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Document 52018AE0300

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea» [COM(2017) 797 final — 2017/0355 (COD)]

EESC 2018/00300

GU C 283 del 10.8.2018, p. 39–47 (BG, ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, HR, IT, LV, LT, HU, MT, NL, PL, PT, RO, SK, SL, FI, SV)

10.8.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 283/39


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea»

[COM(2017) 797 final — 2017/0355 (COD)]

(2018/C 283/06)

Relatore:

Christian BÄUMLER

Correlatrice:

Vladimíra DRBALOVÁ

Consultazione

Consultazione da parte del Consiglio dell’Unione europea: 10.1.2018

Consultazione da parte del Parlamento europeo: 18.1.2018

Base giuridica

Articolo 153, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

25.4.2018

Adozione in sessione plenaria

23.5.2018

Sessione plenaria n.

535

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

164/22/9

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene gli sforzi della Commissione volti a rendere le condizioni di lavoro di tutti i lavoratori, in particolare quelli atipici, più trasparenti e prevedibili, poiché si tratta di un passo concreto verso l’attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali.

1.2.

Il CESE osserva con rammarico che non è stato possibile rivedere e aggiornare la direttiva 91/533/CEE (in prosieguo: «direttiva sulle dichiarazioni scritte») nel quadro del dialogo sociale. Ricorda che le parti sociali hanno un ruolo specifico per quanto riguarda la definizione di condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili attraverso il dialogo sociale e la contrattazione collettiva, nel rispetto della diversità tra gli Stati membri e delle pratiche nazionali.

1.3.

Il CESE fa inoltre presente che la relazione REFIT osserva che l’attuale direttiva 91/533/CEE apporta tuttora un chiaro valore aggiunto, raggiunge il suo scopo, rimane un elemento importante dell’acquis e continua ad essere pertinente per tutti i portatori di interesse. Sono state tuttavia rilevate diverse carenze in relazione all’efficacia e all’ambito di applicazione personale della direttiva nonché alla sua attuazione.

1.4.

Alcuni Stati membri hanno affrontato le sfide poste dal lavoro atipico e introdotto misure di garanzia mediante contratti collettivi, il dialogo sociale o l’adozione di una normativa allo scopo di garantire condizioni di lavoro eque e il passaggio a percorsi di carriera diversi nel mercato del lavoro. Il CESE è chiaramente a favore di un simile approccio. La Commissione dovrebbe chiarire che questi tipi di protezione devono essere sostenuti, nel pieno rispetto dell’autonomia delle parti sociali.

1.5.

Il CESE comprende gli obiettivi della proposta della Commissione di una direttiva su condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili, che dovrebbe comportare una migliore protezione per i lavoratori, e in particolare di quelli con contratti di lavoro atipici. Il CESE sottolinea che soltanto una proposta equilibrata, giuridicamente solida, chiara e sufficientemente motivata sarà in grado di garantire la necessaria convergenza e assicurare un’applicazione coerente sul mercato del lavoro europeo degli obblighi derivanti dalla direttiva proposta.

1.6.

Il CESE riconosce la particolare situazione delle persone fisiche che agiscono in qualità di datori di lavoro, nonché delle piccole imprese e delle microimprese, che possono non disporre delle stesse risorse delle imprese di medie e grandi dimensioni, nell’adempimento dei loro obblighi ai sensi della proposta di direttiva. Pertanto, raccomanda alla Commissione europea e agli Stati membri di sostenere e assistere in maniera adeguata questi soggetti, per aiutarli a rispettare tali obblighi. L’uso di modelli (lettere) e formati, come già previsto dalla proposta, è un buon esempio e altre misure pratiche meritano di essere esplorate.

1.7.

Per garantire l’efficacia dei diritti sanciti dal diritto dell’Unione, l’ambito di applicazione personale della direttiva sulle dichiarazioni scritte dovrebbe essere aggiornato, in modo da tenere conto degli sviluppi del mercato del lavoro, rispettando al tempo stesso le pratiche nazionali. Secondo la Commissione, nella sua giurisprudenza la Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito criteri per determinare la condizione di lavoratore che risultano adeguati per determinare l’ambito di applicazione personale della direttiva. La definizione di lavoratore si basa su questi criteri. La Commissione dovrebbe prendere in considerazione la formulazione di orientamenti per aiutare i datori di lavoro a rispettare i loro obblighi e sensibilizzare i lavoratori, riducendo così i rischi di controversie.

1.8.

Il CESE sottolinea che gli Stati membri devono essere in grado di determinare, nel quadro del dialogo sociale, quali soggetti rientrino nell’ambito di applicazione della definizione di «lavoratore», ma che ciò va interpretato alla luce della finalità della direttiva, che consiste nel «promuovere un’occupazione più sicura e prevedibile garantendo al tempo stesso l’adattabilità del mercato del lavoro e migliorando il tenore di vita e le condizioni di lavoro». Il CESE precisa inoltre che i lavoratori domestici, i lavoratori marittimi e i pescatori dovrebbero pertanto rientrare in detto ambito di applicazione. Le condizioni di lavoro dei marittimi sono già disciplinate molto accuratamente e in dettaglio dall’accordo delle parti sociali europee sulla Convenzione sul lavoro marittimo dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) del 2006, allegato alla direttiva 2009/13/CE del Consiglio.

1.9.

Il CESE sottolinea che il criterio «dell’essere sotto la direzione di un’altra persona» nella definizione di un lavoratore potrebbe pregiudicare l’inclusione dei lavoratori tramite piattaforma digitale nell’ambito di applicazione della direttiva. Raccomanda pertanto ulteriori chiarimenti, in modo che anche questi lavoratori possano beneficiare della protezione della direttiva. Il CESE ritiene, tuttavia, che le persone che utilizzano le piattaforme, e che sono effettivamente lavoratori autonomi e indipendenti, dovrebbero essere escluse dal campo di applicazione della direttiva.

1.10.

Il CESE raccomanda che l’ambito di applicazione personale della direttiva relativo alla definizione di datore di lavoro venga chiarito, in quanto risulta attualmente impreciso.

1.11.

Il CESE sostiene la versione rifusa dell’obbligo di fornire ai lavoratori informazioni sulle loro condizioni di lavoro, quando un rapporto di lavoro inizia o viene modificato, nonché la precisazione che ciò deve avvenire al più tardi all’inizio di un tale rapporto o quando le modifiche prendono effetto. Il CESE riconosce che vi possono essere ragioni operative giustificate per consentire una certa, limitata flessibilità nel caso di piccole imprese e microimprese, pur garantendo che i lavoratori siano informati sulle loro condizioni di lavoro ad una data quanto più vicina possibile all’inizio del rapporto di lavoro.

1.12.

Il CESE osserva che la proposta consente alle parti sociali di concludere contratti collettivi che derogano ai requisiti minimi in materia di condizioni di lavoro. Condivide questo aspetto, purché gli obiettivi della direttiva vengano raggiunti e che la protezione generale dei lavoratori risulti accettabile e non venga compromessa.

1.13.

Il CESE ritiene che il lavoro a chiamata non possa essere mantenuto come forma di occupazione, senza un adeguato periodo di riferimento e un opportuno preavviso. Raccomanda che i contratti che prevedono un lavoro a chiamata debbano obbligatoriamente garantire un determinato numero di ore o il pagamento corrispondente.

1.14.

Il CESE condivide le disposizioni relative ai requisiti minimi in materia di condizioni di lavoro, in particolare per quanto riguarda la durata del periodo di prova, le restrizioni sul divieto di lavoro subordinato in parallelo, la prevedibilità minima del lavoro, il passaggio ad un’altra forma di impiego se disponibile, e l’offerta di una formazione gratuita, qualora ciò sia necessario affinché il lavoratore possa svolgere il lavoro. Raccomanda, tuttavia, di chiarire taluni aspetti, consigliando di lasciare la responsabilità al livello nazionale, nel rispetto delle pratiche nazionali giuridiche e di dialogo sociale.

1.15.

Il CESE ritiene che, per l’efficace applicazione della direttiva, sia giusto che i lavoratori vengano protetti dal licenziamento o da altre misure di effetto equivalente, poiché hanno invocato i propri diritti ai sensi della direttiva. In tali circostanze, è ragionevole che il datore di lavoro possa essere tenuto a motivare per iscritto, su richiesta del lavoratore, le ragioni del licenziamento.

1.16.

La proposta prevede una serie di strumenti per sanzionare una violazione degli obblighi di informazione della direttiva. Il CESE ha richiamato l’attenzione su questa lacuna in un suo precedente parere e ha chiesto che fosse rettificata. Secondo il CESE, le sanzioni, qualora giustificate, dovrebbero corrispondere al livello del danno subito dal lavoratore. Il CESE accoglie con favore la disposizione dell’articolo 14 in base alla quale i datori di lavoro dispongono di 15 giorni per fornire le informazioni mancanti.

1.17.

La proposta stabilisce norme minime per la convergenza ed è importante che i lavoratori che attualmente godono di migliori diritti sostanziali non debbano temere un deterioramento dei loro attuali diritti quando la direttiva verrà attuata. Pertanto, il CESE sostiene l’esplicita clausola di non regressione contenuta nella proposta. Tuttavia, raccomanda che la direttiva, oltre a impedire qualsiasi peggioramento del livello generale di protezione, affermi anche in maniera più esplicita che non vi dovrebbe essere alcun peggioramento delle condizioni nei singoli settori disciplinati dalla direttiva stessa.

2.   Contesto della proposta

2.1.

La proposta di direttiva relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea (2017/0355 (COD)] è destinata a sostituire l’attuale direttiva del Consiglio 91/533/CEE, del 14 ottobre 1991, relativa all’obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore delle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro («direttiva sulle dichiarazioni scritte»). Essa dovrebbe inoltre integrare altre direttive dell’UE in vigore.

2.2.

La proposta ha come base giuridica l’articolo 153, paragrafo 2, lettera b), del trattato sul funzionamento dell’Unione europea e si fonda su una valutazione REFIT della normativa dell’UE in vigore. La relazione REFIT osserva che la «direttiva sulle dichiarazioni scritte» apporta un chiaro valore aggiunto, raggiunge il suo scopo, rimane un elemento importante dell’acquis e continua ad essere pertinente per tutti i portatori di interesse. Sono state tuttavia rilevate diverse carenze in relazione all’efficacia e all’ambito di applicazione personale della direttiva nonché alla sua attuazione.

2.3.

Il costo per il rilascio di una dichiarazione scritta nuova o riveduta dovrebbe essere compreso tra i 18 e i 153 EUR per le PMI e tra i 10 e i 45 EUR per le imprese più grandi. Le imprese sosterrebbero anche costi una tantum per familiarizzare con la nuova direttiva, pari in media a 53 EUR per le PMI e a 39 EUR per le imprese più grandi. I costi sostenuti per rispondere alle richieste di una nuova forma di lavoro subordinato dovrebbero essere analoghi a quelli derivanti dal rilascio di una nuova dichiarazione scritta.

2.4.

I datori di lavoro prevedono alcuni costi indiretti di modesta entità (consulenza giuridica, revisione dei sistemi di pianificazione, tempi di gestione delle risorse umane, informazioni al personale ecc.). La perdita di flessibilità sarà solo marginale (ossia interesserà solo la ristretta percentuale di datori di lavoro che ricorrono ampiamente alle forme di lavoro subordinato più flessibili).

2.5.

A norma dell’articolo 154 del TFUE la Commissione ha avviato, il 26 aprile 2017 e il 21 settembre 2017, due fasi della consultazione delle parti sociali europee sul possibile orientamento e sul contenuto dell’azione dell’Unione. Le opinioni delle parti sociali sulla necessità di misure legislative di revisione della direttiva 91/533/CEE erano discordanti. Il CESE sottolinea, come già in un precedente parere, che condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili dovrebbero essere negoziate soprattutto dalle parti sociali nel quadro del dialogo sociale (1), e osserva con rammarico che non è emerso un consenso tra le parti sociali sull’avvio di negoziati diretti per la conclusione di un accordo a livello dell’Unione.

2.6.

La Commissione sottolinea che il mondo del lavoro si è notevolmente evoluto dall’adozione della direttiva 91/533/CEE relativa all’obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore delle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro. Negli ultimi 25 anni si è assistito a una crescente flessibilizzazione del mercato del lavoro. Nel 2016 un quarto di tutti i contratti di lavoro era relativo a forme di lavoro subordinato «non standard» e negli ultimi dieci anni oltre la metà di tutti i nuovi posti di lavoro risulta di tipo «non standard». Anche la digitalizzazione ha agevolato la creazione di nuove forme di lavoro subordinato.

2.7.

Nella proposta la Commissione osserva che la flessibilità derivante dalle nuove forme di lavoro subordinato è stata un importante motore per la creazione di posti di lavoro e per la crescita dei mercati del lavoro. Dal 2014 sono stati generati oltre cinque milioni di posti di lavoro, costituiti per almeno il 20 % da nuove forme di lavoro subordinato.

2.8.

Tuttavia la Commissione ha anche riconosciuto che queste tendenze hanno alimentato l’instabilità e una maggiore mancanza di prevedibilità in alcuni rapporti di lavoro. È il caso, in particolare, dei lavoratori che si trovano nelle situazioni più precarie. Tra 4 e 6 milioni di persone lavorano a chiamata e con contratti intermittenti, spesso con poche indicazioni in merito a quando lavoreranno e per quanto tempo. Quasi un milione di persone è soggetto a clausole di esclusività che impediscono di trovare un impiego presso un altro datore di lavoro. D’altro canto, la sesta indagine europea sulle condizioni di lavoro (2015) ha rilevato che l’80 % dei lavoratori dell’UE 28 era soddisfatto delle condizioni di lavoro.

2.9.

Alcuni Stati membri hanno affrontato le sfide poste dal lavoro atipico e introdotto misure di garanzia mediante contratti collettivi, il dialogo sociale o l’adozione di una normativa allo scopo di garantire condizioni di lavoro eque e il passaggio a percorsi di carriera diversi nel mercato del lavoro. Il CESE è chiaramente a favore di un simile approccio. Nei considerando della proposta in esame la Commissione dovrebbe sottolineare la necessità di rispettare alcune forme di protezione, tra cui quelle previste in Belgio e in Svezia. In Belgio, ad esempio, il regime in vigore per le occupazioni supplementari in diversi settori si fonda sul principio che i lavoratori ne detengono già una a titolo principale.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Nei suoi pareri (2) sul pilastro europeo dei diritti sociali, il CESE ha incoraggiato gli Stati membri e l’Unione europea a creare e a mantenere un quadro normativo che favorisca l’adattabilità, sia semplice, trasparente e prevedibile e rafforzi e tuteli i diritti dei lavoratori e lo Stato di diritto, e attraverso il quale l’UE possa promuovere un quadro giuridico stabile per la contrattazione collettiva e il dialogo sociale nell’attuazione della flessicurezza. Nel suo primo parere sul pilastro europeo dei diritti sociali (3), il CESE ha sottolineato che le condizioni del mercato del lavoro devono sostenere percorsi di carriera nuovi e più diversificati. Nella vita lavorativa sono necessarie forme diverse di creazione di posti di lavoro e diverse forme di lavoro. Ciò esige che vi sia un ambiente legislativo di protezione dell’occupazione adatto per fornire un quadro per condizioni di lavoro eque e per incoraggiare assunzioni a titolo di tutti i contratti di lavoro.

3.2.

Il CESE sottolinea che il lavoro atipico può avere ripercussioni importanti sia sui singoli individui che sulla società in generale. La precarietà del posto di lavoro potrebbe, ad esempio, entrare in conflitto con la creazione di una famiglia, l’acquisto di una casa e altri progetti personali. Va ricordato che i giovani, le donne e le persone provenienti da un contesto migratorio sono particolarmente esposti a queste forme di occupazione. Una retribuzione più bassa, spesso associata a forme di lavoro atipico, può in alcuni casi richiedere prestazioni sociali supplementari e per di più incidere negativamente sui diritti pensionistici, oltre che sull’importo della pensione.

3.3.

Il CESE sottoscrive l’obiettivo della Commissione di garantire che i mercati del lavoro dinamici e innovativi, che contribuiscono alla competitività dell’UE, siano inquadrati in modo tale da assicurare una protezione di base a tutti i lavoratori e un aumento della produttività a più lungo termine per i datori di lavoro, e da garantire una convergenza verso migliori condizioni di vita e di lavoro in tutta l’UE. Sottolinea che soltanto una proposta equilibrata e giuridicamente solida, chiara e sufficientemente motivata sarà in grado di garantire la necessaria convergenza e assicurare un’applicazione uniforme sul mercato del lavoro europeo degli obblighi derivanti dal settore del diritto del lavoro all’esame.

3.4.

La Commissione osserva che il sistema normativo nell’Unione europea è diventato sempre più complesso. A suo avviso questo fa aumentare il rischio di una concorrenza basata sulla corsa al ribasso delle norme sociali, con conseguenze nefaste sia per i datori di lavoro, soggetti a una pressione concorrenziale insostenibile, che per gli Stati membri, che risentono della perdita di entrate fiscali e contributi previdenziali. Il CESE sostiene l’obiettivo della Commissione di stabilire prescrizioni minime per i lavoratori con contratti atipici, nel rispetto dei sistemi giuridici e di dialogo sociale dei singoli Stati membri, al fine di tutelare in particolare i lavoratori non coperti da contratti collettivi.

3.5.

A giudizio del CESE, la proposta costituisce una delle iniziative chiave intraprese dalla Commissione per dare seguito al pilastro europeo dei diritti sociali, dopo la proclamazione congiunta da parte del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione al vertice sociale per l’occupazione e la crescita eque di Göteborg il 17 novembre 2017. Il pilastro funge da bussola per una rinnovata convergenza verso l’alto delle norme sociali nel contesto delle mutevoli realtà del mondo del lavoro. La direttiva dovrebbe contribuire all’attuazione dei principi del pilastro «Occupazione flessibile e sicura» e «Informazioni sulle condizioni di lavoro e sulla protezione in caso di licenziamento». Vi sono punti di vista diversi in merito al modo più efficace per attuare tali principi: secondo alcuni la proposta della Commissione costituisce un passo importante nella giusta direzione, mentre secondo altri essa va al di là di quanto necessario.

3.6.

Tuttavia il CESE sottolinea che il dialogo sociale e la contrattazione collettiva dovrebbero rimanere lo strumento più importante per stabilire condizioni di lavoro trasparenti, prevedibili e dignitose, e che la Commissione europea dovrebbe fare attenzione a non interferire nel dialogo sociale e nella contrattazione collettiva, e a non ostacolarli.

4.   Osservazioni specifiche

4.1.   Ambito di applicazione e definizioni

4.1.1.

Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della proposta i diritti minimi sanciti dalla direttiva si applicano a tutti i lavoratori nell’Unione. Per garantire l’efficacia dei diritti sanciti dal diritto dell’Unione, l’ambito di applicazione personale della direttiva sulle dichiarazioni scritte dovrebbe essere aggiornato per tenere conto degli sviluppi del mercato del lavoro, rispettando al tempo stesso le pratiche nazionali. Secondo la Commissione, nella sua giurisprudenza la Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito criteri per determinare la condizione di lavoratore che risultano adeguati per determinare l’ambito di applicazione personale della direttiva. La definizione di lavoratore all’articolo 2, paragrafo 1, si basa su questi criteri. Essi garantiscono un’attuazione coerente dell’ambito di applicazione personale della direttiva, pur lasciando alle autorità e ai giudici nazionali il compito di applicarla a situazioni specifiche. I lavoratori domestici, i lavoratori a chiamata, i lavoratori intermittenti, i lavoratori a voucher, i lavoratori tramite piattaforma digitale, i tirocinanti e gli apprendisti potrebbero tutti rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva, a condizione che soddisfino tali criteri.

4.1.2.

Il CESE sottolinea che il criterio dell’essere sotto la direzione di un’altra persona potrebbe pregiudicare l’inclusione dei lavoratori tramite piattaforma digitale nell’ambito di applicazione della direttiva. Sarebbe pertanto opportuno precisare nei considerando della proposta che per i lavoratori gli algoritmi possono essere vincolanti quanto le istruzioni orali o scritte. I veri lavoratori autonomi che utilizzano le piattaforme dovrebbero essere esclusi dal campo di applicazione della direttiva.

4.1.3.

Il CESE sottolinea che gli Stati membri e le parti sociali devono essere in grado di determinare, nel quadro del dialogo sociale, chi rientra nell’ambito di applicazione del «lavoratore», ma ciò va interpretato alla luce dello scopo generale della direttiva che consiste nel migliorare le condizioni di lavoro promuovendo un’occupazione più sicura e prevedibile e garantendo nel contempo l’adattabilità del mercato del lavoro. La Corte di giustizia dell’Unione europea ha evidenziato che agli Stati membri non è consentito applicare una normativa che possa pregiudicare la realizzazione degli obiettivi perseguiti da una direttiva e, conseguentemente, privare la direttiva medesima del proprio effetto utile (si veda, ad esempio, la causa C-393/10, O’Brien).

4.1.4.

Il CESE teme che la definizione stessa di datore di lavoro contenuta nella proposta possa generare confusione e complessità. Definendo il datore di lavoro come «una o più persone fisiche o giuridiche che sono direttamente o indirettamente parte di un rapporto di lavoro con un lavoratore» la proposta introduce un concetto nuovo nella definizione di datore di lavoro. Di norma in un rapporto di lavoro vi è un unico datore di lavoro. A tale riguardo, è necessario fare riferimento alla legislazione nazionale applicabile.

4.1.5.

Il CESE sottolinea che la deroga prevista dall’articolo 1, paragrafo 6, potrebbe portare ad un’ingiustificabile disparità di trattamento dei lavoratori domestici per quel che riguarda l’accesso a forme migliori di lavoro, al perfezionamento professionale e all’esercizio dei loro diritti. Questa disparità di trattamento è scorretta ed effettivamente vietata, dal momento che numerosi paesi dell’UE hanno ratificato la Convenzione n. 189 dell’OIL sulle condizioni di lavoro delle lavoratrici e dei lavoratori domestici e sono quindi vincolati a detta Convenzione.

4.1.6.

Il CESE accoglie con favore il fatto che l’articolo 1, paragrafo 7, della direttiva dovrebbe applicarsi ai lavoratori marittimi e ai pescatori. Quanto alle condizioni di lavoro dei marittimi, che sono disciplinate dalla direttiva 2009/13/CE del Consiglio, il CESE ritiene che si dovrebbe valutare la compatibilità della proposta di direttiva con le caratteristiche specifiche della professione marittima.

4.2.   Obbligo di informazione

4.2.1.

Il CESE sostiene il fatto che, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della proposta, i lavoratori debbano essere informati delle condizioni di lavoro importanti all’inizio del rapporto di lavoro. Si tratta dell’unico modo per assicurarsi che entrambe le parti siano consapevoli dei loro diritti e dei loro obblighi al momento di instaurare un rapporto di lavoro. Fornire le informazioni in una fase successiva va unicamente a scapito dei lavoratori i quali, nel caso di lavori di breve durata, perdono interamente la protezione cui hanno diritto. Tuttavia, il CESE riconosce che vi possono essere circostanze eccezionali che possono impedire alle microimprese e alle piccole imprese di fornire le informazioni il primo giorno. Il CESE raccomanda di prevedere una breve proroga del termine per la presentazione di informazioni ai lavoratori nel caso delle microimprese e delle piccole imprese. Riconosce inoltre che un fascicolo informativo più ampio per le aziende, in particolare le piccole imprese e le microimprese, potrebbe risultare gravoso. Ritiene pertanto che sia necessario fornire assistenza e sostegno alle persone fisiche, alle piccole imprese e alle microimprese, tra l’altro anche da parte di associazioni di PMI, per aiutarle ad adempiere agli obblighi previsti dalla direttiva.

4.2.2.

La proposta prevede all’articolo 4, paragrafo 1, che il documento contenente le informazioni sul rapporto di lavoro possa essere trasmesso per via elettronica purché sia facilmente accessibile al lavoratore. Il CESE ritiene, tuttavia, che ciò sia importante per garantire che la notifica abbia effettivamente luogo, e raccomanda che datori di lavoro e lavoratori abbiano la possibilità di concordare le modalità di trasmissione del documento e che, in ogni caso, la notifica sia considerata completata solo dopo che il lavoratore ne ha confermato il ricevimento.

4.2.3.

Il CESE concorda sul fatto che le informazioni relative alle modifiche delle condizioni di lavoro fondamentali debbano essere fornite prima possibile e al più tardi al momento dell’entrata in vigore della modifica. Questo permette di colmare un’importante lacuna nell’attuale direttiva sulle dichiarazioni scritte, secondo cui le modifiche devono essere comunicate per iscritto solamente un mese dopo la loro entrata in vigore (articolo 5, paragrafo 1). Per evitare oneri amministrativi eccessivi è opportuno stabilire che i cambiamenti risultanti dalle modifiche degli obblighi giuridici o amministrativi stabiliti o dai contratti collettivi non devono essere comunicati individualmente da un’impresa, dato che in molti Stati membri tali modifiche sono comunicate dai legislatori e dalle parti sociali.

4.2.4.

L’articolo 6, paragrafo 1 corrisponde sostanzialmente alle disposizioni vigenti (articolo 4, paragrafo 1 della direttiva sulle dichiarazioni scritte). Il CESE prende atto delle informazioni più dettagliate (che ora figurano alla lettera c)] in merito alle prestazioni in natura e in denaro.

4.2.5.

Il CESE accoglie con favore l’obbligo di cui all’articolo 6, paragrafo 2, di fornire maggiori informazioni ai lavoratori distaccati. Raccomanda di precisare che dette disposizioni si basano su disposizioni esistenti, vale a dire che tali informazioni devono essere fornite in aggiunta a quelle previste all’articolo 6, paragrafo 1, e all’articolo 3, paragrafo 2. Non è chiaro quando la direttiva 96/71/CE riveduta entrerà in vigore. Tuttavia il CESE sottolinea che le disposizioni di detta direttiva devono essere coerenti con l’accordo finale sulla revisione della direttiva relativa al distacco dei lavoratori.

4.2.6.

Il CESE osserva che il riferimento al sito web che deve essere istituito in ogni Stato membro (articolo 5, paragrafo 2, lettera a), della direttiva di applicazione 2014/67/UE) non adempie adeguatamente all’obbligo di fornire informazioni. Questo è dovuto al fatto che il riferimento presuppone che ogni Stato membro abbia adempiuto pienamente all’obbligo stabilito dalla direttiva di applicazione e che i lavoratori distaccati siano in grado di comprendere sia il contenuto delle informazioni che la lingua in cui queste sono redatte. Dato che molti paesi, tra cui la Germania, non sono stati in grado di soddisfare adeguatamente il loro obbligo ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2014/67/UE, nonostante la scadenza del periodo di attuazione, il riferimento risulta inutile se le informazioni presenti sui siti web sono solo molto generiche e non sono disponibili nelle lingue pertinenti.

4.2.7.

Il CESE sottolinea che un semplice riferimento alle disposizioni in vigore, come previsto dall’articolo 6, paragrafo 3, non è sufficiente per adempiere agli obblighi di informare adeguatamente i lavoratori stranieri qualora tali disposizioni non siano accessibili in una lingua che essi sono in grado di capire. I lavoratori stranieri devono essere informati direttamente senza fare riferimento a disposizioni che non sono in grado di capire, soprattutto quando si tratta della retribuzione che si possono attendere all’estero.

4.2.8.

L’articolo 6, paragrafo 4, della proposta prevede un’esenzione dall’obbligo di informazione per i periodi di lavoro all’estero che non superano le quattro settimane consecutive. Il CESE esprime preoccupazione per il fatto che questa disposizione potrebbe creare una lacuna che consentirebbe di eludere gli obblighi di informazione, e raccomanda una valutazione di tale esenzione a tempo debito.

4.3.   Prescrizioni minime relative alle condizioni di lavoro

4.3.1.

Il CESE sostiene l’obiettivo della Commissione di far sì che le disposizioni dell’articolo 7, paragrafo 1, introducano prescrizioni minime uniformi per l’intera durata del periodo di prova. Questa disposizione, analogamente all’esenzione di cui all’articolo 7, paragrafo 2, è nell’interesse sia dei datori di lavoro che dei lavoratori. I periodi di prova consentono ai datori di lavoro di verificare che i lavoratori siano idonei alla posizione per la quale sono stati assunti fornendo al contempo ai lavoratori sostegno e formazione. Tali periodi possono essere caratterizzati da una minore protezione contro il licenziamento. L’ingresso nel mercato del lavoro o la transizione verso una nuova posizione non dovrebbe implicare un lungo periodo di insicurezza. Come stabilito nel pilastro europeo dei diritti sociali, i periodi di prova dovrebbero pertanto essere di durata ragionevole. Il CESE sottolinea che l’articolo 7, paragrafo 2, consentirebbe agli Stati membri di prevedere periodi di prova più lunghi, quando ciò sia giustificato dalla natura del rapporto di lavoro, come potrebbe essere il caso, ad esempio, della pubblica amministrazione di alcuni Stati membri o dei posti di lavoro che richiedono competenze eccezionali.

4.3.2.

Il CESE è favorevole alla disposizione di cui all’articolo 8, paragrafo 1, secondo la quale i datori di lavoro non devono vietare ai lavoratori di accettare impieghi presso altri datori di lavoro al di fuori della programmazione del lavoro stabilita con i primi, entro i limiti fissati dalla direttiva sull’orario di lavoro intesa a proteggere la salute e la sicurezza dei lavoratori. Tuttavia, sottolinea che un diritto così ampio di svolgere un lavoro in parallelo dovrebbe rispettare la normativa, le prassi e le tradizioni in materia di dialogo sociale e partenariato sociale in vigore nei singoli Stati membri. Un diritto così ampio può risultare problematico, in particolare nel caso del personale chiave per il datore di lavoro, dato che questi lavoratori non possono essere disponibili per più datori di lavoro allo stesso tempo. Per quanto riguarda la direttiva sull’orario di lavoro, sussistono anche preoccupazioni circa il fatto che i datori di lavoro possano essere responsabili del controllo dell’orario di lavoro delle persone che esercitano un lavoro in parallelo. Il CESE raccomanda di chiarire che il datore di lavoro non è responsabile del controllo dell’orario di lavoro nell’ambito di un altro rapporto di lavoro.

4.3.3.

A norma dell’articolo 8, paragrafo 2, i datori di lavoro possono stabilire condizioni di incompatibilità qualora tali limitazioni siano giustificate da motivi legittimi quali la protezione dei segreti aziendali o la prevenzione dei conflitti di interessi. Al considerando 20 la Commissione fa riferimento a specifiche categorie di datori di lavoro. I datori di lavoro possono, in linea di principio, sostenere detto articolo 8, paragrafo 2, ma ritengono che limitare le restrizioni nel caso del lavoro per specifiche categorie di datori di lavoro sembri non consentire le restrizioni necessarie per il personale chiave in particolare, a prescindere dalla categoria dei datori di lavoro per cui vorrebbero lavorare. Tuttavia i sindacati si oppongono a tale esenzione generale visto che darebbe ai datori di lavoro il diritto unilaterale di stabilire criteri di incompatibilità che limitano il lavoro in parallelo. Qualora un datore di lavoro abbia motivi legittimi per applicare siffatte restrizioni, queste devono essere oggettivamente giustificabili, e pertanto la responsabilità di bilanciare gli interessi contrastanti delle parti ricade principalmente sui legislatori e sugli organi giurisdizionali dello Stato membro.

4.3.4.

Il CESE condivide l’obiettivo di migliorare la prevedibilità del lavoro su chiamata previsto dalla proposta. Questa prevedibilità può essere migliorata mediante delle restrizioni dell’orario di lavoro effettivo in funzione di un quadro di riferimento stabilito in anticipo e tramite la notifica rapida degli orari, come previsto all’articolo 9. I lavoratori la cui programmazione del lavoro è in gran parte variabile dovrebbero beneficiare di una prevedibilità minima del lavoro se la programmazione del lavoro richiede la loro flessibilità sia direttamente, ad esempio mediante l’assegnazione di incarichi di lavoro, che indirettamente, ad esempio chiedendo al lavoratore di rispondere alle richieste dei clienti. Tuttavia, sarà necessario chiarire che cosa si intenda per preavviso sufficientemente ragionevole atto ad informare il lavoratore del lavoro da svolgere nei giorni successivi, e chi dovrebbe decidere quale sia il preavviso ragionevole per i diversi settori. Gli accordi in merito variano in base al settore.

4.3.5.

Il CESE sottolinea che la direttiva non fornisce agli Stati membri alcun orientamento qualitativo in merito al quadro di riferimento e al preavviso. Non è escluso che anche un periodo di riferimento e un periodo di preavviso nel senso ampio del termine sarebbero comunque conformi alla direttiva, pur non migliorando la prevedibilità del lavoro per i lavoratori. Inoltre, i periodi di riferimento potrebbero essere imposti unilateralmente dal datore di lavoro, senza che i lavoratori abbiano il medesimo diritto, il che perpetuerebbe lo squilibrio esistente.

4.3.6.

Il CESE riconosce il fatto che il lavoro a chiamata comporta una certa flessibilità che limita la prevedibilità della vita quotidiana di un lavoratore dipendente. Il lavoro a chiamata potrebbe presentare un grosso problema per i lavoratori, vale a dire un reddito variabile e inaffidabile. Il CESE ritiene che il lavoro a chiamata non possa essere mantenuto come forma di occupazione senza che venga stabilito un adeguato periodo di riferimento e un opportuno preavviso per il lavoratore. Raccomanda che i contratti che prevedono un lavoro a chiamata debbano obbligatoriamente garantire un determinato numero di ore o il pagamento corrispondente.

4.3.7.

Ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, dopo un periodo di lavoro di sei mesi i lavoratori devono avere la possibilità di chiedere ai loro datori di lavoro una forma di lavoro subordinato con condizioni di lavoro più prevedibili e sicure. Il CESE accoglie con favore il fatto che questo accordo debba applicarsi a tutte le categorie di lavoratori in situazioni di lavoro atipico o precario. Esprime preoccupazione per il fatto che non vi sia alcuna disposizione che preveda il diritto esigibile di passare ad altre forme di occupazione, se disponibili. In quanto tale, il diritto di presentare una domanda non costituisce, di per sé, un miglioramento significativo della situazione giuridica dei dipendenti subordinati, dato che possono già esprimere il desiderio di una riqualificazione professionale, di un contratto a tempo indeterminato ecc. Tuttavia, le misure strategiche a sostegno di tale obiettivo dovrebbero essere efficaci e proporzionate e non dovrebbero imporre oneri amministrativi inutili alle imprese.

4.3.8.

A giudizio del CESE, i requisiti di cui all’articolo 10, paragrafo 2, in merito alla risposta scritta del datore di lavoro devono essere ampliati. I datori di lavoro dovrebbero fornire ragioni commerciali oggettive per il rifiuto della domanda, di modo che, se il lavoratore ritiene che la domanda sia stata respinta per altri motivi, il rifiuto possa essere sottoposto a una verifica indipendente da parte degli organi giurisdizionali o conformemente alle pratiche nazionali. Questo è l’unico modo per garantire che i datori di lavoro prendano seriamente in considerazione le richieste dei lavoratori, invece di limitarsi a fornire una risposta qualunque per adempiere a una formalità.

4.3.9.

Il CESE prende atto che la Commissione riconosce la situazione specifica delle persone fisiche che agiscono in qualità di datori di lavoro, nonché delle piccole imprese e delle microimprese, nella deroga ai requisiti relativi alla motivazione scritta di cui all’articolo 10, paragrafo 2. Tuttavia, fa notare che la formulazione attuale coprirebbe tutte le imprese con un massimo di 249 dipendenti e un fatturato annuo fino a 50 milioni di EUR, vale a dire il 99 % di tutte le imprese dell’UE. L’ambito di applicazione della deroga dovrebbe pertanto essere riveduto.

4.3.10.

Il CESE ritiene che la direttiva dovrebbe creare reali opportunità che permettano ai lavoratori che svolgono forme di lavoro subordinato non standard di passare a condizioni di impiego più standard, adeguate alle loro qualifiche. A tal fine vi è bisogno di diritti minimi che permettano ai lavoratori a tempo determinato di passare a un contratto a tempo indeterminato e di essere riqualificati passando dal lavoro a tempo parziale al lavoro a tempo pieno, qualora vi siano posti vacanti nell’impresa e il lavoratore possieda le competenze o le qualifiche necessarie.

4.3.11.

Il CESE accoglie con favore la disposizione contenuta nell’articolo 11, in base alla quale, qualora i datori di lavoro siano tenuti, a norma della legislazione dell’Unione o nazionale o dei pertinenti contratti collettivi, ad erogare ai lavoratori formazione ai fini dello svolgimento del lavoro per il quale sono stati assunti, tale formazione dovrebbe essere gratuita per il lavoratore. Per quanto riguarda la possibilità di introdurre una «clausola di rimborso» nel caso di una formazione che esuli dagli obblighi di legge e che comporti un miglioramento del livello di qualifiche del lavoratore dipendente, e qualora questi si dimetta in una fase iniziale del rapporto di lavoro dopo aver seguito la formazione, il CESE sottolinea che eventuali clausole di questo tipo devono avere un valido fondamento per ogni singolo caso e, se opportuno, essere state concordate a seguito di un negoziato tra le parti sociali; devono anche, in ogni caso, rispettare il principio di proporzionalità ed avere effetto regressivo (ossia, il rischio di rimborso per il lavoratore dipendente diminuisce a misura che prosegue il rapporto di lavoro).

4.3.12.

Il CESE accoglie con favore il fatto che l’articolo 12 preveda la modifica delle norme minime di cui agli articoli da 7 a 11 nel quadro di accordi collettivi, a condizione che i diritti dei lavoratori restino a un livello adeguato all’interno di tali accordi e che si mantenga il rispetto della protezione generale dei lavoratori. Sottolinea che condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili dovrebbero essere negoziate soprattutto dalle parti sociali nel quadro del dialogo sociale.

4.4.   Altre disposizioni

4.4.1.

Il CESE richiama l’attenzione sul fatto che l’articolo 13 impone agli Stati membri di assicurare la conformità alla direttiva e di dichiarare nulle o di modificare le disposizioni contrarie alla stessa nei contratti individuali o collettivi al fine di allinearle alle disposizioni della direttiva. Le conseguenze derivanti dall’introduzione dell’annullamento e la relativa conformità alla direttiva negli Stati membri dovrebbero essere analizzate attentamente soprattutto alla luce dell’articolo 12. Occorre incoraggiare e rispettare il ruolo delle parti sociali nel garantire la conformità alla direttiva.

4.4.2.

L’articolo 14 della proposta prevede una serie di strumenti per sanzionare una violazione degli obblighi di informazione della direttiva. Il CESE ha richiamato l’attenzione su questa lacuna in un suo precedente parere e ha chiesto che fosse rettificata (4). Secondo il CESE, le sanzioni, qualora siano giustificate, dovrebbero corrispondere al livello del danno subito da un dipendente. In questo modo si potrebbero evitare controversie per delle violazioni tecniche minime della direttiva. Il CESE accoglie con favore la disposizione dell’articolo 14, lettera b), in base alla quale i datori di lavoro dispongono di 15 giorni per fornire le informazioni mancanti.

4.4.3.

Il CESE accoglie con soddisfazione l’obbligo imposto agli Stati membri all’articolo 15 di assicurare che i lavoratori abbiano accesso a un meccanismo di risoluzione delle controversie efficace e imparziale e beneficino di un diritto di ricorso, compresa un’adeguata compensazione, in caso di violazioni dei loro diritti derivanti dalla direttiva.

4.4.4.

Il CESE accoglie con favore le disposizioni dell’articolo 16 che concretizzano il divieto generale di ricorrere a un trattamento disciplinare. Tali disposizioni, che gli Stati membri attuerebbero mediante un esplicito divieto di discriminazione, fungono da segnale per gli operatori del diritto e in quanto tali costituiscono una misura preventiva.

4.4.5.

Il CESE prende atto della protezione contro il licenziamento prevista dall’articolo 17 e del relativo onere della prova. L’articolo 17, paragrafo 1, stabilisce che gli Stati membri devono vietare il licenziamento (o misure con effetto equivalente) o la preparazione di un licenziamento per il fatto che i lavoratori abbiano esercitato i diritti previsti dalla direttiva. Tale articolo, in combinazione con l’articolo 17, paragrafo 2, in virtù del quale i lavoratori che ritengono di essere stati licenziati per il fatto di aver esercitato i diritti di cui alla direttiva in questione possono chiedere al datore di lavoro di fornire i motivi debitamente giustificati del licenziamento, costituisce uno strumento utile per l’esercizio dei diritti derivanti dalla direttiva all’esame. A giudizio del CESE, l’approccio adottato all’articolo 17, paragrafo 3, in base al quale incombe al datore di lavoro dimostrare che il licenziamento è stato basato su motivi diversi dalla discriminazione del lavoratore, va nella giusta direzione, sebbene sollevi una serie di dubbi quanto alla base giuridica della disposizione sui quali andrebbe fatta chiarezza. È opportuno chiarire che i licenziamenti o misure analoghe non hanno validità per il fatto che i lavoratori hanno invocato i loro diritti ai sensi della direttiva stessa.

4.4.6.

Il CESE sostiene l’obbligo per gli Stati membri, stabilito all’articolo 18, di prevedere sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive in caso di violazione delle disposizioni nazionali di attuazione della direttiva.

4.4.7.

Il CESE accoglie con favore le espresse disposizioni dell’articolo 19 che vietano l’abbassamento degli standard in questa normativa; tali disposizioni erano già presenti nella direttiva sulle dichiarazioni scritte (articolo 7) e sono indispensabili quando gli standard dei diritti sostanziali sono più elevati. Tuttavia il paragrafo 1 dev’essere chiarito per assicurare che non solo non si possa ridurre il livello generale di protezione ma anche che, in particolare riguardo ai singoli settori contemplati dalla direttiva, non sia consentito alcun peggioramento negli ambiti che essa disciplina a seguito della sua attuazione.

4.4.8.

Il CESE si compiace del fatto che, a norma dell’articolo 21, i diritti e gli obblighi derivanti dalla direttiva debbano essere estesi anche alle condizioni di lavoro attuali. Ciò è sia ragionevole che necessario, considerato che la direttiva intende migliorare la situazione giuridica attuale. Tuttavia il Comitato riconosce che questo potrebbe comportare costi ed eventuali oneri aggiuntivi per le imprese. Si dovrebbero adottare misure adeguate per assistere le persone fisiche che agiscono in qualità di datori di lavoro e le imprese, in particolare le piccole imprese e le microimprese, affinché possano adempiere agli obblighi previsti dalla direttiva.

Bruxelles, 23 maggio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  GU C 434 del 15.12.2017, pag. 30.

(2)  GU C 125 del 21.4.2017, pag. 10 e GU C 81 del 2.3.2018, pag. 145.

(3)  GU C 125 del 21.4.2017, pag. 10.

(4)  GU C 125 del 21.4.2017, pag. 10.


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