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Document 62005CJ0304

Sentenza della Corte (Quarta Sezione) del 20 settembre 2007.
Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana.
Inadempimento di uno Stato - Direttiva 92/43/CEE - Conservazione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatiche - Direttiva 79/409/CEE - Conservazione degli uccelli selvatici - Valutazione dell’impatto ambientale di lavori di adattamento di piste da sci.
Causa C-304/05.

Raccolta della Giurisprudenza 2007 I-07495

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2007:532

Causa C-304/05

Commissione delle Comunità europee

contro

Repubblica italiana

«Inadempimento di uno Stato — Direttiva 92/43/CEE — Conservazione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatiche — Direttiva 79/409/CEE — Conservazione degli uccelli selvatici — Valutazione dell’impatto ambientale di lavori di adattamento di piste da sci»

Conclusioni dell’avvocato generale J. Kokott, presentate il 19 aprile 2007 

Sentenza della Corte (Quarta Sezione) 20 settembre 2007 

Massime della sentenza

1.     Ambiente — Conservazione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatiche — Direttiva 92/43 — Autorizzazione di un piano o di un progetto su un sito protetto

(Direttiva del Consiglio 92/43, art. 6, n. 3)

2.     Ambiente — Conservazione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatiche — Direttiva 92/43 — Autorizzazione di un piano o di un progetto su un sito protetto per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico

(Direttiva del Consiglio 92/43, art. 6, n. 4)

3.     Ambiente — Conservazione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatiche — Direttiva 92/43 — Zone di protezione speciale

(Direttiva del Consiglio 92/43, art. 6, n. 2)

4.     Ricorso per inadempimento — Prova dell’inadempimento — Onere incombente alla Commissione

(Art. 226 CE; direttive del Consiglio 79/409, art. 4, e 92/43, art. 6, nn. 2-4)

1.     L’art. 6, n. 3, della direttiva 92/43, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, prevede un procedimento di valutazione diretto a garantire, mediante un controllo preventivo, che un piano o un progetto non direttamente connesso o necessario alla gestione del sito interessato, ma idoneo ad avere incidenze significative sullo stesso, possa essere autorizzato solo se non pregiudicherà l’integrità di tale sito. La nozione di «opportuna valutazione» che figura nella detta disposizone, la quale non definisce alcun metodo particolare per lo svolgimento della stessa, dev’essere concepita in modo tale che le autorità competenti possano acquisire la certezza che un piano o un progetto non pregiudicherà l’integrità del sito di cui trattasi, dato che, quando sussiste un’incertezza circa la mancanza di tali effetti, le dette autorità sono tenute a negare l’autorizzazione richiesta.

Uno studio sulle valutazioni che possono essere considerate opportune ai sensi dell’art. 6, n. 3, della direttiva 92/43, il quale evidenzi esso stesso il carattere sommario e frammentario dell’analisi delle ripercussioni ambientali dei lavori di cui trattasi e rilevi un numero considerevole di elementi che non sono stati presi in considerazione, che raccomandi, in particolare, ulteriori analisi morfologiche e ambientali nonché un nuovo esame degli effetti delle opere, nel loro contesto globale, sulla fauna selvatica in generale e sulla situazione di talune specie tutelate, in particolare nella zona di foresta da disboscare, e consideri che la realizzazione delle opere progettate, auspicabile da un punto di vista economico, deve avvenire nel rispetto di numerose condizioni e prescrizioni di tutela, non costituisce una valutazione opportuna sulla quale le autorità nazionali possano fondarsi per autorizzare i lavori ai sensi del detto art. 6, n. 3.

Una relazione sulle valutazioni che possono essere considerate opportune ai sensi dell’art. 6, n. 3, della direttiva 92/43, concepita come un’occasione per presentare ulteriori proposte di miglioramento del bilancio ambientale degli interventi previsti, sottolineando l’importanza di valutazioni da effettuarsi progressivamente, in particolare in base a conoscenze e precisazioni che possono emergere nel corso del processo di realizzazione del progetto, e che non contiene, quanto agli uccelli per i quali il sito è stato classificato zona di protezione speciale, un elenco esaustivo degli uccelli selvatici ivi presenti, non costituisce una valutazione opportuna sulla quale le autorità nazionali possano fondarsi per autorizzare i lavori ai sensi del detto art. 6, n. 3.

Non possono essere considerate valutazioni opportune ai sensi di tale articolo rapporti e studi caratterizzati da lacune e dall’assenza di rilievi e di conclusioni completi, precisi e definitivi atti a dissipare qualsiasi ragionevole dubbio scientifico in merito agli effetti dei lavori previsti nella zona di protezione speciale in questione. Rilievi e conclusioni di tale natura sono indispensabili affinché le competenti autorità siano in grado di acquisire la certezza necessaria per adottare la decisione che autorizza i detti lavori.

(v. punti 56-58, 62-71)

2.     L’art. 6, n. 4, della direttiva 92/43, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, il quale prevede che, qualora, nonostante conclusioni negative circa la valutazione dell’incidenza effettuata in conformità all’art. 6, n. 3, primo periodo, di tale direttiva, un piano o progetto debba essere comunque realizzato per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica, e in mancanza di soluzioni alternative, lo Stato membro possa adottare ogni misura compensativa necessaria per garantire che la coerenza globale di Natura 2000 sia tutelata, dev’essere interpretato restrittivamente, in quanto disposizione derogatoria rispetto al criterio di autorizzazione previsto dal secondo periodo del n. 3 del citato articolo.

Il detto art. 6, n. 4, può essere applicato solo dopo che l’incidenza di un piano o di un progetto sia stata valutata ai sensi n. 3 di questo stesso articolo. La conoscenza di tale incidenza con riferimento agli obiettivi di conservazione relativi al sito in questione costituisce, infatti, un presupposto imprescindibile ai fini dell’applicazione del detto n. 4, dato che, in assenza di tali elementi, non può essere valutato alcun requisito di applicazione di tale disposizione di deroga. L’esame di eventuali motivi imperativi di rilevante interesse pubblico e quello dell’esistenza di alternative meno dannose richiedono, infatti, una ponderazione con riferimento ai danni che il piano o il progetto in questione cagiona al sito. Inoltre, per determinare la natura di eventuali misure compensative, i danni al detto sito devono essere individuati con precisione.

(v. punti 81-83)

3.     Attività che incidono su una zona di protezione speciale possono violare l’art. 6, nn. 3 e 4, nonché, contemporaneamente, il n. 2 dello stesso articolo della direttiva 92/43, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche. Infatti, quando un’autorizzazione sia stata accordata per un piano o progetto in modo non conforme all’art. 6, n. 3, il quale prescrive una valutazione opportuna preventiva dell’incidenza del detto piano o progetto, può essere rilevata una violazione del n. 2 del detto articolo, che stabilisce l’obbligo di adottare opportune misure di tutela, ove risultino dimostrati il degrado di un habitat ovvero perturbazioni che colpiscono le specie per le quali la zona in questione è stata designata.

Tale degrado è dimostrato allorché, in una foresta all’interno di una zona protetta, che costituisce l’habitat di specie di uccelli protetti, vengono abbattuti alberi provocando l’annientamento dei siti di riproduzione delle dette specie. Questi lavori e le loro ripercussioni sulla detta zona di protezione speciale sono, infatti, incompatibili con lo status giuridico di tutela di cui avrebbe dovuto beneficiare la detta zona in forza dell’art. 6, n. 2, della direttiva 92/43.

(v. punti 91-92, 94-96)

4.     Nell’ambito di un procedimento per inadempimento avviato ai sensi dell’art. 226 CE, spetta alla Commissione provare l’asserita inadempienza. Ad essa spetta infatti fornire alla Corte tutti gli elementi necessari perché quest’ultima accerti l’esistenza di tale inadempimento, senza potersi basare su alcuna presunzione.

Qualora la gestione di una zona classificata zona di protezione speciale ai sensi delle disposizioni dell’art. 4 della direttiva 79/409, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, sia disciplinata da diversi strumenti giuridici di diritto nazionale, spetta alla Commissione produrre la prova che il contesto giuridico delineato da tali diversi strumenti non è idoneo a conferire alla detta zona un adeguato status di tutela. Riferirsi semplicemente all’adozione da parte dell’autorità amministrativa di una decisione di autorizzazione contraria all’art. 6, n. 2-4, della direttiva 92/43, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, non basta a dimostrare l’incompatibilità del detto contesto giuridico con l’art. 4 della direttiva 79/409.

(v. punti 105-108)







SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)

20 settembre 2007 (*)

«Inadempimento di uno Stato – Direttiva 92/43/CEE – Conservazione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatiche – Direttiva 79/409/CEE – Conservazione degli uccelli selvatici – Valutazione dell’impatto ambientale di lavori di adattamento di piste da sci»

Nella causa C‑304/05,

avente ad oggetto un ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 29 luglio 2005,

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. M. van Beek e dalla sig.ra D. Recchia, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Repubblica italiana, rappresentata dai sigg. I.M. Braguglia e G. Fiengo, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

LA CORTE (Quarta Sezione),

composta dal sig. K. Lenaerts, presidente di sezione, dal sig. E. Juhász, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta (relatore), dai sigg. J. Malenovský e T. von Danwitz, giudici,

avvocato generale: sig.ra J. Kokott

cancelliere: sig. R. Grass

vista la fase scritta del procedimento,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 19 aprile 2007,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1       Con il ricorso in esame, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che, nell’ambito del progetto relativo all’ampliamento e all’adattamento della zona sciistica di Santa Caterina Valfurva (piste denominate «Bucaneve» e «Edelweiss») e alla realizzazione delle correlate infrastrutture, in vista dei campionati mondiali di sci alpino del 2005, nella zona di protezione speciale IT 2040044, Parco Nazionale dello Stelvio (in prosieguo: il «Parco»), la Repubblica italiana:

–       avendo autorizzato misure suscettibili di avere un impatto significativo su tale zona senza assoggettarle ad un’appropriata valutazione della loro incidenza sul sito alla luce degli obiettivi di conservazione dello stesso e, in ogni caso, senza rispettare le disposizioni che permettono di realizzare un progetto, in caso di conclusioni negative della valutazione dell’incidenza e in mancanza di soluzioni alternative, solo per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico e solo dopo avere adottato e comunicato alla Commissione ogni misura compensativa necessaria per garantire che la coerenza globale di Natura 2000 sia tutelata;

–       avendo omesso di adottare misure per evitare il degrado degli habitat naturali e degli habitat delle specie nonché la perturbazione delle specie per cui la zona è stata designata, e

–       avendo omesso di conferire alla zona uno status giuridico di protezione che possa garantire, in particolare, la sopravvivenza e la riproduzione delle specie di uccelli menzionate nell’allegato I della direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici (GU L 103, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva 79/409»), e la riproduzione, la muta e lo svernamento delle specie migratorie non considerate nell’allegato I che ivi giungono regolarmente,

è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 6, nn. 2-4, e dell’art. 7 della direttiva del Consiglio 21 maggio 1992, 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (GU L 206, pag. 7; in prosieguo: la «direttiva 92/43»), nonché dell’art. 4, nn. 1 e 2, della direttiva 79/409.

 Contesto normativo comunitario

2       Scopo della direttiva 92/43 è contribuire a salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il Trattato CE.

3       Il decimo ‘considerando’ della direttiva così recita:

«considerando che qualsiasi piano o programma che possa avere incidenze significative sugli obiettivi di conservazione di un sito già designato o che sarà designato deve formare oggetto di una valutazione appropriata».

4       L’art. 3, n. 1, della direttiva prevede quanto segue:

«È costituita una rete ecologica europea coerente di zone speciali di conservazione, denominata Natura 2000. Questa rete, formata dai siti in cui si trovano tipi di habitat naturali elencati nell’allegato I e habitat delle specie di cui all’allegato II, deve garantire il mantenimento ovvero, all’occorrenza, il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, dei tipi di habitat naturali e degli habitat delle specie interessati nella loro area di ripartizione naturale.

La rete “Natura 2000” comprende anche le zone di protezione speciale classificate dagli Stati membri a norma della direttiva [79/409]».

5       L’art. 4 della direttiva 92/43 disciplina il procedimento per la costituzione della detta rete Natura 2000, nonché per la designazione delle zone speciali di conservazione da parte degli Stati membri.

6       L’art. 6 della direttiva, che stabilisce i provvedimenti di conservazione per tali zone, così recita:

«(...)

2.      Gli Stati membri adottano le opportune misure per evitare nelle zone speciali di conservazione il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie nonché la perturbazione delle specie per cui le zone sono state designate, nella misura in cui tale perturbazione potrebbe avere conseguenze significative per quanto riguarda gli obiettivi della presente direttiva.

3.      Qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso e necessario alla gestione del sito ma che possa avere incidenze significative su tale sito, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti, forma oggetto di una opportuna valutazione dell’incidenza che ha sul sito, tenendo conto degli obiettivi di conservazione del medesimo. Alla luce delle conclusioni della valutazione dell’incidenza sul sito e fatto salvo il paragrafo 4, le autorità nazionali competenti danno il loro accordo su tale piano o progetto soltanto dopo aver avuto la certezza che esso non pregiudicherà l’integrità del sito in causa e, se del caso, previo parere dell’opinione pubblica.

4.      Qualora, nonostante conclusioni negative della valutazione dell’incidenza sul sito e in mancanza di soluzioni alternative, un piano o progetto debba essere realizzato per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica, lo Stato membro adotta ogni misura compensativa necessaria per garantire che la coerenza globale di Natura 2000 sia tutelata. Lo Stato membro informa la Commissione delle misure compensative adottate.

Qualora il sito in causa sia un sito in cui si trovano un tipo di habitat naturale e/o una specie prioritari, possono essere addotte soltanto considerazioni connesse con la salute dell’uomo e la sicurezza pubblica o relative a conseguenze positive di primaria importanza per l’ambiente ovvero, previo parere della Commissione, altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico».

7       L’art. 7 della direttiva dispone quanto segue:

«Gli obblighi derivanti dall’articolo 6, paragrafi 2, 3 e 4 della presente direttiva sostituiscono gli obblighi derivanti dall’articolo 4, paragrafo 4, prima frase, della direttiva [79/409] per quanto riguarda le zone classificate a norma dell’articolo 4, paragrafo 1, o analogamente riconosciute a norma dell’articolo 4, paragrafo 2 di detta direttiva a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente direttiva o dalla data di classificazione o di riconoscimento da parte di uno Stato membro a norma della direttiva [79/409] qualora essa sia posteriore».

8       La direttiva 79/709 si prefigge la protezione, la gestione e la regolazione di tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il Trattato.

9       L’art. 4 di tale direttiva prevede, per le specie di uccelli elencate nell’allegato I, misure speciali di conservazione per quanto riguarda l’habitat, per garantire la sopravvivenza e la riproduzione di dette specie nella loro area di distribuzione. Tale articolo così dispone:

«1.      Per le specie elencate nell’allegato I sono previste misure speciali di conservazione per quanto riguarda l’habitat, per garantire la sopravvivenza e la riproduzione di dette specie nella loro area di distribuzione.

A tal fine si tiene conto:

a)      delle specie minacciate di sparizione;

b)      delle specie che possono essere danneggiate da talune modifiche del loro habitat;

c)      delle specie considerate rare in quanto la loro popolazione è scarsa o la loro ripartizione locale è limitata;

d)      di altre specie che richiedono una particolare attenzione per la specificità del loro habitat.

Per effettuare le valutazioni si terrà conto delle tendenze e delle variazioni dei livelli di popolazione.

Gli Stati membri classificano in particolare come zone di protezione speciale i territori più idonei in numero e in superficie alla conservazione di tali specie, tenuto conto delle necessità di protezione di queste ultime nella zona geografica marittima e terrestre in cui si applica la presente direttiva.

2.      Analoghe misure vengono adottate dagli Stati membri per le specie migratrici non menzionate nell’allegato I che ritornano regolarmente, tenuto conto delle esigenze di protezione nella zona geografica marittima e terrestre in cui si applica la presente direttiva per quanto riguarda le aree di riproduzione, di muta e di svernamento e le zone in cui si trovano le stazioni lungo le rotte di migrazione. A tale scopo, gli Stati membri attribuiscono una importanza particolare alla protezione delle zone umide e specialmente delle zone d’importanza internazionale.

(...)

4.      Gli Stati membri adottano misure idonee a prevenire, nelle zone di protezione di cui ai paragrafi 1 e 2, l’inquinamento o il deterioramento degli habitat, nonché le perturbazioni dannose agli uccelli che abbiano conseguenze significative tenuto conto degli obiettivi del presente articolo. Gli Stati membri cercheranno inoltre di prevenire l’inquinamento o il deterioramento degli habitat al di fuori di tali zone di protezione».

 Il Parco

 Lo status del Parco nel diritto nazionale

10     Il Parco fu istituito con legge 24 aprile 1935, n. 740, inizialmente nel solo territorio delle Province di Trento e di Bolzano, allo scopo di tutelare e migliorare la flora, di incrementare la fauna, e di conservare le speciali formazioni geologiche, nonché le bellezze del paesaggio.

11     Con decreto del presidente della Repubblica 23 aprile 1977, il territorio del Parco venne esteso alle zone di Cancano e di Livigno, nonché ai monti Sobretta, Gavia e Serottini, situati nelle province di Sondrio e di Brescia, nel territorio della Regione Lombardia.

12     Il Parco è un’area protetta ai sensi della legge 6 dicembre 1991, n. 394, legge quadro sulle aree protette. Tale legge detta i principi fondamentali che disciplinano le zone di cui trattasi, al fine di garantire e di promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del paese.

13     Con decreto del presidente del Consiglio 23 novembre 1993 è stato costituito il Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio (in prosieguo: il «Consorzio»). Uno statuto definisce le competenze e le funzioni assegnate al Consorzio.

14     Ai sensi dell’art. 4 del detto statuto, il Consorzio ha il compito di garantire, nella gestione del Parco, la tutela della natura e la conservazione dei paesaggi.

 Lo status del Parco nel diritto comunitario

15     Nel 1998 il Parco è stato classificato quale zona di protezione speciale ai sensi dell’art. 4 della direttiva 79/409. Esso è stato indicato, nel capitolo «Regione Lombardia», con il codice IT 2040044.

16     Come emerge dal formulario compilato dalla Repubblica italiana nel 1998, ai sensi della decisione della Commissione 18 dicembre 1996, 97/266/CE, concernente un formulario informativo sui siti proposti per l’inserimento nella rete Natura 2000 (GU L 107, pag. 1), il Parco ospita numerose specie di uccelli tutelate nell’allegato I della direttiva 79/409: l’aquila reale (Aquila chrysaetos), il falco pellegrino (Falco peregrinus), il falco pecchiaiolo (Pernis apivorus), la bonasia (Bonasa bonasia), la pernice bianca (Lagopus mutus helvetica), il fagiano di monte (Tetrao tetrix), il gallo cedrone (Tetrao urogallus) ed il picchio nero (Dryocopus martius) – nonché tre specie d’uccelli migratori: lo sparviero (Accipiter nisus), la poiana (Buteo buteo) e il picchio muraiolo (Tichodroma muraria).

17     Un altro formulario, del 14 maggio 2004, menziona la presenza, nella detta zona, di altre specie figuranti nell’allegato I della direttiva 79/409, ossia l’avvoltoio degli agnelli (Gypaetus barbatus), il nibbio reale (Milvus milvus), il piviere tortolino (Charadrius morinellus), la civetta capogrosso (Aegolius funereus), la civetta nana (Glaucidium passerinum), il gufo reale (Bubo bubo), il picchio cenerino (Picus canus) e la coturnice (Alectoris graeca saxatilis).

 Fatti

18     Il 4 ottobre 1999 veniva depositato presso le autorità regionali, in vista dei campionati mondiali di sci alpino del 2005, un progetto relativo a lavori di ristrutturazione della zona sciistica di Santa Caterina Valfurva e delle connesse infrastrutture.

19     Tale progetto prevedeva la realizzazione di un corridoio per piste da sci in una zona di foresta. Esso verteva altresì sulla costruzione di una cabinovia che, dall’ingresso di Santa Caterina, doveva raggiungere la località di Plaghera e, con un secondo tratto, la Valle dell’Alpe. Esso prevedeva inoltre un collegamento tra la Valle dell’Alpe e Costa Sobretta con una seggiovia monofune a quattro posti. Al progetto erano strettamente collegate ulteriori opere: la realizzazione di una stazione di partenza, dello stadio dello sci, di un parcheggio in prossimità della stazione di partenza, della variante della pista «Edelweiss», di un ponte sul fiume Frodolfo, di un rifugio in Valle dell’Alpe, oltre che di strade di servizio, di un impianto di neve programmata e di un magazzino veicoli.

20     Con decreto 30 maggio 2000, n. 13879, la Regione Lombardia, in base ad uno studio effettuato da un architetto per conto delle società Montagne di Valfurva e Santa Caterina Impianti, esprimeva un giudizio positivo di compatibilità ambientale del progetto, subordinato al rispetto di una serie di prescrizioni di carattere generale nonché di carattere specifico relative all’esecuzione dei singoli interventi previsti dal progetto. Il detto decreto precisava che, nell’ambito dei successivi iter autorizzativi, sarebbe stato necessario verificare l’osservanza delle dette condizioni, nonché di taluni divieti e compensazioni previste in materia ambientale.

21     Nella premessa dello studio cui fa riferimento il detto decreto si indicava che lo stato degli impianti sciistici e delle infrastrutture della zona in questione era divenuto carente e che il loro ammodernamento risultava necessario, e ciò anche al fine di ottenere una sovvenzione per il progetto in esame.

22     Secondo tale studio, non erano stati presi in considerazione l’effetto dell’aumento della pressione antropica sulle specie con attività riproduttiva sensibile alla presenza umana, in particolare la pernice bianca e la marmotta, né le possibili conseguenze sugli invertebrati e sugli anfibi, né gli effetti sui flussi migratori di uccelli limicoli.

23     In tale studio si sosteneva che l’incidenza sull’ambiente e le questioni relative alle misure di mitigazione, di monitoraggio e di compensazione degli effetti delle opere previste sulle varie componenti ambientali sarebbero stati affrontati in maniera sommaria e che la componente «flora, vegetazione e habitat» sarebbe stata analizzata solo in modo frammentario. Tale studio concludeva quindi che era necessario predisporre un progetto di ripristino morfologico/ambientale che affrontasse la tematica del rinverdimento dei luoghi una volta terminati i lavori.

24     Il detto studio conteneva le seguenti conclusioni:

«(…)

La mancata realizzazione dell’intervento potrebbe avviare una lenta ma inesorabile decadenza [economica] non solo dell’area di S. Caterina ma dell’intero bacino sciabile. Pertanto, la proposta di potenziamento degli impianti di risalita e di realizzazione di nuove piste, con le infrastrutture connesse, risulta, per le sue valenze socio-economiche e con particolare riguardo agli aspetti turistici, meritoria di realizzazione.

(…)

Gli interventi progettati si possono ritenere ambientalmente compatibili alle seguenti condizioni:

–       l’intero progetto di riqualificazione impiantistica e conseguente attivazione dei nuovi impianti/servizi è subordinato alla realizzazione del parcheggio a valle dell’abitato di Santa Caterina quale logico supporto alla costruzione dei nuovi impianti. Considerata la natura ed entità economica del progetto del parcheggio, fermi restando i limiti contributivi autorizzati in sede comunitaria, si rileva l’opportunità che lo stesso sia prevalentemente autofinanziato dai richiedenti;

(…)

–       per contenere il taglio del bosco, ridurre i movimenti di terra e limitare la larghezza del ponte sul torrente Frodolfo, la pista di raccordo (…) originariamente prevista con larghezza minima pari a 40 metri, dovrà essere ridotta in larghezza a 20 metri lineari (…);

(…)

–       le infrastrutture di valle (tribune, cabine telecronisti e cronometristi) dovranno essere oggetto di specifica progettazione (…);

–       la larghezza della fascia da disboscare per la realizzazione dell’impianto di risalita dovrà essere strettamente limitata a quella imposta dalle norme di sicurezza degli impianti (…);

–       la pista di raccordo fra le piste da sci esistenti e la nuova stazione di arrivo/partenza di località Plaghera dovrà essere ridimensionata nell’ampiezza per ridurre i movimenti di terra;

(…)

–       per ridurre i movimenti di terra e la conseguente alterazione dei luoghi non dovranno essere realizzati [né] il corsello di collegamento tra la stazione di arrivo e il rifugio di Valle dell’Alpe [né] il previsto magazzino per il deposito delle cabine (…);

–       la nuova strada carrabile prevista per la cantierizzazione della seggiovia Vallalpe-Costa Sobretta, considerata l’eccessiva alterazione dei luoghi che comporterà, non dovrà essere realizzata (…);

–       considerato l’alto grado di naturalità dei luoghi (copertura vegetale di praterie naturali, cespugli e ambienti floristici rupicoli e di morena, rilevanze paesistiche del complesso articolarsi dei massicci delle linee verticali delle pareti rocciose e delle frastagliate linee di cresta), e le varie potenziali criticità sopra evidenziate per tale ambito territoriale, la progettazione esecutiva (...) dovrà essere comprensiva di tutte quelle indicazioni settoriali (flora, fauna, ecosistemi, geologia, idrogeologia, stabilità dei versanti etc.) per consentire una valutazione degli interventi previsti coerentemente con i livelli di tutela della massima espressione della naturalità alpina dei luoghi in esame.

Nel caso di sostenibilità delle opere, la progettazione esecutiva [conterrà] anche (…) le seguenti prescrizioni: (…)

–       la perdita di patrimonio forestale dovuta al taglio piante dovrà essere compensata mediante idonee ripiantumazioni pari a due volte le essenze abbattute (…);

–       tutti i movimenti di terra dovranno essere sistemati ed inerbiti (…);

–       le linee di servizio (acquedotto, fognatura, elettricità, impianti per l’innevamento programmato) dovranno essere interrati. È vietata la posa di elettrodotti aerei a fianco degli impianti di risalita;

–       risulta necessaria ed indispensabile la predisposizione di un progetto di ripristino morfologico ambientale dei luoghi interessati dai lavori, che affronti a livello esecutivo la tematica del rinverdimento dei luoghi ad operazioni di cantierizzazione ultimate (…).

Per il prosieguo della progettazione esecutiva sarà necessario che risultino adempiuti i seguenti aspetti:

–       sotto il profilo idrogeologico, siano trattate le problematiche connesse alle interferenze indotte dalla realizzazione delle piste da sci e dei previsti cantieri sull’assetto idrogeologico del territorio in località “Vallalpe” e sul versante sud della Costa Sobretta;

–       esecuzione di specifiche indagini relative all’assetto idrogeologico e geomeccanico, con studi sulla circolazione delle acque sotterranee (…);

–       verifica delle alterazioni degli assetti geostrutturali delle formazioni affioranti sulle pareti rocciose interessate dai lavori (…).

Per quanto concerne la componente ambientale fauna risulta indispensabile riparametrare l’effetto dell’opera nel suo contesto globale (…)».

25     Successivamente, nel settembre 2000, la Regione Lombardia incaricava l’Istituto di Ricerca per l’Ecologia e l’Economia applicate alle Aree Alpine (in prosieguo: l’«IREALP») di redigere una relazione sulla valutazione dell’impatto ambientale del progetto in esame.

26     Questa relazione era intesa quale studio di fattibilità comprendente gli aspetti connessi con il recupero ambientale, le azioni di mitigazione, le opere di ingegneria naturalistica e la riqualificazione ambientale ritenute necessaire per l’avvio di una progettazione preliminare e, poi, definitiva.

27     Il progetto controverso veniva poi modificato, per inserire in particolare un allargamento della pista «Edelweiss», la cui larghezza veniva portata da 20 a quasi 50 metri.

28     Nel settembre 2002 l’IREALP rendeva pubblica la relazione sulla valutazione dell’incidenza delle misure progettate. Tale relazione descriveva in modo sintetico l’area del sito interessata dal progetto come una «pecceta con poche specie rare, ma elevata diversità specifica propria della foresta subalpina; fragilità alta e rigenerazione in tempi lunghi».

29     La detta relazione constatava la «presenza di animali di rilevante interesse […], nidificanti nel bosco: astore, picchio nero, picchio rosso maggiore, picchio verde». Tale relazione menzionava, tra i principali fattori di impatto del detto progetto in fase di cantiere, la «riduzione di habitat forestale idoneo alla nidificazione di specie di interesse conservazionistico».

30     Dalle conclusioni della relazione dell’IREALP risulta che le linee direttrici che lo studio aveva potuto considerare non erano ancora completamente definite, ma subivano una progressiva evoluzione anche sulla base delle conoscenze e delle precisazioni che via via emergevano nel corso del processo di realizzazione del progetto. Veniva parimenti osservato che la relazione costituiva l’occasione per presentare ulteriori proposte di miglioramento del bilancio ambientale della gestione dell’intero comprensorio sciistico, che non poteva essere visto come separato dalle più generali istanze di sviluppo sostenibile del territorio.

31     La relazione precisava altresì quanto segue:

«Se il processo indicato può essere considerato positivo, esso mostra peraltro anche aspetti meno positivi nel momento in cui riflette la necessità di ulteriori determinazioni di alcuni aspetti tecnici anche importanti, che richiederanno probabilmente precisazioni tecniche nelle prossime fasi. Anche il presente studio riflette evidentemente tale limite, e deve pertanto essere considerato come uno strumento di orientamento delle decisioni, che evidenzia rischi e fornisce suggerimenti per risolvere i problemi, piuttosto che come una misura precisa degli impatti ambientali che gli interventi previsti produrranno. Stime più precise di tali impatti (...) potranno essere fornite in futuro in studi di impatto ambientale che accompagnino l’evoluzione delle attuali linee progettuali (…)».

32     Le conclusioni della relazione contenevano una serie di valutazioni relative alla fattibilità, sotto il profilo ambientale, delle linee direttrici del progetto studiato. Esse rilevavano ciò che segue:

«In ogni caso la prosecuzione delle attività di progettazione dovrà prevedere un significativo contenimento delle interferenze sull’ambiente rispetto alle ipotesi iniziali, obiettivo [per il cui conseguimento si potranno] anche utilizzare i suggerimenti al riguardo contenuti nella presente relazione. Tal[e] obiettiv[o] dovr[à] essere perseguit[o] con maggior forza per quanto riguarda gli interventi in Valle dell’Alpe, per i quali potrà essere opportuno un ulteriore specifico studio di impatto ambientale una volta precisato l’insieme degli interventi ipotizzati».

33     Il 3 ottobre 2002 il Consorzio dichiarava di approvare le misure e gli orientamenti raccomandati dalla relazione dell’IREALP, nonché le proposte ivi contenute.

34     Il 14 febbraio 2003 il Consorzio rilasciava un’autorizzazione relativa al progetto di ampliamento e adattamento delle piste da sci alpino «Bucaneve» e «Edelweiss», nonché delle infrastrutture correlate in località Santa Caterina Valfurva (in prosieguo: «l’autorizzazione del 14 febbraio 2003»). Il Consorzio considerava i lavori previsti conformi al contenuto di tale relazione, precisando, tuttavia, che tale autorizzazione veniva concessa subordinatamente alla sussistenza di tale conformità. La detta autorizzazione veniva inoltre subordinata all’osservanza di una serie di condizioni e prescrizioni.

35     A partire dal febbraio 2003, circa 2 500 alberi venivano abbattuti, su un’area di 50 metri di larghezza per 500 metri di lunghezza, a quote comprese fra 1 700 e 1 900 metri di altitudine. Inoltre, l’adattamento delle piste e delle infrastrutture sciistiche a Santa Caterina Valfurva, all’interno della zona di protezione speciale IT 2040044, causava la completa perdita di continuità degli habitat delle specie di uccelli presenti nel sito.

36     Il 19 giugno 2003, sulla scorta delle indicazioni contenute nella relazione dell’IREALP, veniva pubblicato un nuovo progetto, corredato da uno studio complementare del comune di Valfurva relativo all’impatto ambientale. Nel luglio 2003 veniva avviata la procedura di valutazione dell’impatto ambientale, finalizzata al parere relativo alla parte del progetto localizzata tra Plaghera, Costa Sobretta e Valle dell’Alpe.

37     Il 20 agosto 2003 il Consorzio emetteva parere negativo sulla compatibilità del progetto con l’ambiente, a causa dell’inosservanza delle indicazioni fornite nella relazione dell’IREALP.

38     Il 16 ottobre 2003 veniva sottoscritto un documento d’intesa tra la Regione Lombardia, il Consorzio, il comitato organizzatore dei campionati mondiali di sci ed il responsabile del programma quadro relativo al progetto, al fine di mettere a punto gli elementi controversi del progetto. Tale intesa prevedeva:

–       l’individuazione delle modalità di acquisizione dei pareri per portare a termine le procedure regionali di valutazione;

–       l’adozione di una visione d’insieme degli interventi sottoposti ad istruttoria, coordinando per quanto possibile le relative procedure;

–       la garanzia del rispetto delle condizioni fissate dal consiglio direttivo del Consorzio;

–       la conferma della localizzazione della stazione intermedia a Plaghera e del rifugio in Valle dell’Alpe;

–       il riesame e l’adattamento dei progetti riferiti agli interventi nell’ambito del sito di Santa Caterina-Plaghera in funzione delle esigenze di tutela espresse dal Consorzio.

39     Con decreto 28 novembre 2003, n. 20789, la Regione Lombardia dichiarava che il progetto di ristrutturazione degli impianti di risalita e dei servizi correlati nel territorio del comune di Valfurva era compatibile con l’ambiente della zona di protezione speciale IT 2040044.

40     Il detto decreto, che recepisce anche le conclusioni di una valutazione di incidenza della competente Direzione generale Agricoltura della Regione Lombardia, affidava la vigilanza sul rispetto delle condizioni poste, in fase sia di approvazione dei progetti sia della loro esecuzione, al Comune di Valfurva. Esso stabiliva inoltre che i progetti definitivi avrebbero dovuto essere integrati con una serie di prescrizioni, tra cui la presentazione di uno studio di incidenza delle opere.

 Fase precontenziosa del procedimento

41     Conformemente all’art. 226 CE, la Commissione, con lettera 19 dicembre 2003, invitava la Repubblica italiana a trasmetterle le proprie informazioni in merito alla situazione della zona di protezione speciale IT 2040044.

42     Non avendo ricevuto risposta a tale lettera, la Commissione inviava alla Repubblica italiana un parere motivato in data 9 luglio 2004.

43     La Repubblica italiana rispondeva alle censure formulate dalla Commissione nel parere motivato con diverse comunicazioni ministeriali.

44     La Commissione, ritenendo tali risposte insoddisfacenti, proponeva il ricorso in esame.

 Sul ricorso

45     La Commissione deduce quattro addebiti a carico della Repubblica italiana: i primi tre si riferiscono alla direttiva 92/43 ed il quarto riguarda la direttiva 79/409.

 Sul primo addebito, vertente sulla violazione del combinato disposto degli artt. 6, n. 3, e 7 della direttiva 92/43

–       Argomenti delle parti

46     La Commissione ritiene che l’autorizzazione del 14 febbraio 2003 non fosse fondata su un’adeguata valutazione dell’impatto ambientale della decisione di ampliare le piste da sci «Bucaneve» e «Edelweiss» e di allestire varie infrastrutture correlate.

47     La Commissione sottolinea che la relazione dell’IREALP non contiene un’adeguata valutazione degli effetti delle opere progettate sulla zona di protezione speciale IT 2040044.

48     Essa rileva che la detta zona ospita numerose specie di uccelli protette, come emerge dalle indicazioni contenute nell’Atlas of European Breeding Birds, pubblicazione che raccoglie gli studi di oltre 10 000 ornitologi di tutta Europa e considerata quale opera estremamente attendibile in materia di uccelli nidificanti in Europa.

49     La Commissione osserva inoltre che, sebbene la relazione dell’IREALP contenga utili raccomandazioni, di esse non si è tenuto debitamente conto nell’ambito dell’autorizzazione del 14 febbraio 2003.

50     La Commissione giunge alla conclusione che la detta autorizzazione è stata accordata senza che le autorità nazionali avessero acquisito la certezza che le opere previste fossero prive di effetti pregiudizievoli per l’integrità della zona di protezione speciale in questione.

51     La Repubblica italiana deduce che occorre distinguere tra due tipi di lavori, ossia, da un lato, quelli per cui è stata effettuata la procedura di valutazione dell’impatto ambientale e sono state indicate le misure da adottare per limitare tale impatto e, dall’altro, quelli per cui, in base alla relazione dell’IREALP, sono state previste talune modifiche.

52     La Repubblica italiana osserva che per la prima categoria di lavori, che comprende le opere realizzate tra Plaghera e la Valle dell’Alpe, occorre determinare se le competenti autorità abbiano proceduto ad una valutazione degli interessi ambientali presenti nella zona di protezione speciale IT 2040044. Per gli altri lavori, ossia le opere realizzate tra Santa Caterina e Plaghera, occorrerebbe verificare se la stessa procedura abbia avuto corso e se il rinvio ad una fase successiva di affinamento progettuale delle misure di mitigazione delle ripercussioni sull’ambiente sia conforme alla direttiva 92/43.

53     La Repubblica italiana sostiene che il decreto regionale 30 maggio 2000, n. 13879, pur non facendo espressamente riferimento alla valutazione dell’incidenza ambientale, è stato emanato previa analisi degli elementi di riferimento stabiliti da tale direttiva.

54     Secondo la Repubblica italiana, ne consegue che la valutazione alla base di tale decreto costituisce un vincolo imprescindibile per ogni successivo provvedimento autorizzativo.

–       Giudizio della Corte

55     In via preliminare occorre rilevare che le parti sono concordi sul fatto che i lavori di adattamento delle piste da sci e l’allestimento delle connesse infrastrutture erano tali da far sorgere l’obbligo di effettuare una previa valutazione d’incidenza ambientale, in conformità all’art. 6, n. 3, della direttiva 92/43.

56     Tale disposizione prevede un procedimento di valutazione diretto a garantire, mediante un controllo preventivo, che un piano o un progetto non direttamente connesso o necessario alla gestione del sito interessato, ma idoneo ad avere incidenze significative sullo stesso, possa essere autorizzato solo se non pregiudicherà l’integrità di tale sito (v. sentenze 7 settembre 2004, causa C‑127/02, Waddenvereniging e Vogelbeschermingsvereniging, Racc. pag. I‑7405, punto 34, in prosieguo: la «sentenza Waddenzee»; nonché 26 ottobre 2006, causa C‑239/04, Commissione/Portogallo, Racc. pag. I‑10183, punto 19, in prosieguo: la «sentenza Castro Verde»).

57     Per quanto riguarda la nozione di «opportuna valutazione» ai sensi dell’art. 6, n. 3, della direttiva 92/43, occorre rilevare che quest’ultima non definisce alcun metodo particolare per lo svolgimento di siffatta valutazione.

58     Tuttavia, la Corte ha dichiarato che tale valutazione dev’essere concepita in modo tale che le autorità competenti possano acquisire la certezza che un piano o un progetto non pregiudicherà l’integrità del sito di cui trattasi, dato che, quando sussiste un’incertezza quanto alla mancanza di tali effetti, le dette autorità sono tenute a negare l’autorizzazione richiesta (v., in tal senso, le citate sentenze Waddenzee, punti 56 e 57, e Castro Verde, punto 20).

59     Quanto agli elementi in base ai quali le competenti autorità possono acquisire la certezza necessaria, la Corte ha precisato che dev’essere escluso qualsiasi ragionevole dubbio da un punto di vista scientifico, fermo restando che le dette autorità devono fondarsi sulle migliori conoscenze scientifiche in materia (v. citate sentenze Waddenzee, punti 59 e 61, e Castro Verde, punto 24).

60     Occorre pertanto verificare se, nel caso di specie, gli effetti dei lavori controversi sull’integrità del sito interessato siano stati esaminati prima del rilascio dell’autorizzazione del 14 febbraio 2003 in modo conforme ai suddetti parametri.

61     Dagli atti di causa risulta che talune riflessioni preparatorie erano state svolte prima del rilascio della detta autorizzazione. Le valutazioni possibilmente idonee ai sensi dell’art. 6, n. 3, della direttiva 92/43 sono costituite, da una parte, da uno studio dell’impatto sull’ambiente realizzato nel 2000 e, dall’altra, da una relazione presentata nel 2002 (v. supra, punti 21-24 nonché 25-32).

62     Per quanto attiene, da un lato, al suddetto studio, realizzato da un architetto per conto di due imprese di lavori pubblici, occorre osservare che, sebbene esso affronti la questione degli effetti delle opere progettate sulla fauna e sulla flora della zona, esso stesso evidenzia il carattere sommario e frammentario dell’analisi delle ripercussioni ambientali prodotte dall’allargamento delle piste da sci e dalla costruzione delle correlate infrastrutture.

63     Si deve altresì sottolineare che il medesimo studio rileva un numero considerevole di elementi che non sono stati presi in considerazione. In particolare, esso raccomanda ulteriori analisi morfologiche e ambientali, nonché un nuovo esame degli effetti delle opere, nel loro contesto globale, sulla fauna selvatica in generale e sulla situazione di talune specie tutelate, in particolare nella zona di foresta da disboscare.

64     Secondo il detto studio, inoltre, dal punto di vista economico la realizzazione delle opere progettate è auspicabile, ma deve avvenire nel rispetto di un elevato numero di prescrizioni a fini di tutela.

65     È d’obbligo concludere che il detto studio non costituisce una valutazione opportuna ai sensi dell’art. 6, n. 3, della direttiva 92/43 sulla quale le autorità nazionali potessero fondarsi per autorizzare i lavori controversi.

66     Per quanto concerne, dall’altro lato, la relazione dell’IREALP presentata nel 2002, va osservato che anch’essa descrive i lavori previsti, esaminandone l’incidenza sul regime idrogeologico e sulla geomorfologia, nonché sulla vegetazione della zona. Quanto agli uccelli per i quali il sito è stato classificato zona di protezione speciale, tale relazione non contiene un elenco esaustivo degli uccelli selvatici ivi presenti.

67     Se è pur vero che la relazione dell’IREALP spiega che i principali elementi di disturbo che minacciano la fauna provengono dalla distruzione dei nidi durante la fase di disboscamento e dalla frammentazione dell’habitat, tale relazione è tuttavia caratterizzata da una serie di rilievi di carattere preliminare e dall’assenza di conclusioni definitive. Essa sottolinea, infatti, l’importanza di valutazioni da effettuarsi progressivamente, in particolare in base a conoscenze e precisazioni che possono emergere nel corso del processo di realizzazione del progetto. La detta relazione è stata peraltro concepita come un’occasione per presentare ulteriori proposte di miglioramento del bilancio ambientale degli interventi previsti.

68     Da tali elementi si evince che neppure la relazione dell’IREALP può essere considerata quale valutazione opportuna dell’incidenza dei lavori controversi sulla zona di protezione speciale IT 2040044.

69     Da tutte le suesposte considerazioni risulta che sia lo studio del 2000 sia la relazione del 2002 sono caratterizzati da lacune e dall’assenza di rilievi e di conclusioni completi, precisi e definitivi atti a dissipare qualsiasi ragionevole dubbio scientifico in merito agli effetti dei lavori previsti sulla zona di protezione speciale in questione.

70     Orbene, rilievi e conclusioni di tale natura erano indispensabili affinché le competenti autorità fossero in grado di acquisire la certezza necessaria per adottare la decisione che autorizza i detti lavori.

71     Pertanto, l’autorizzazione del 14 febbraio 2003 non era conforme all’art. 6, n. 3, della direttiva 92/43.

72     Quanto agli altri studi, è sufficiente osservare che essi non possono essere considerati pertinenti, dato che sono stati svolti o nel corso dei lavori, o dopo la loro realizzazione, ossia dopo il rilascio dell’autorizzazione del 14 febbraio 2003.

73     Pertanto, l’inadempimento dell’art. 6, n. 3, della direttiva 92/43 dev’essere considerato dimostrato.

 Sul secondo addebito, vertente sulla violazione del combinato disposto degli artt. 6, n. 4, e 7 della direttiva 92/43

–       Argomenti delle parti

74     La Commissione ritiene che fosse evidente come i lavori previsti rischiassero di pregiudicare gravemente l’integrità della zona in questione. Ebbene, a suo avviso non è stata presa seriamente in considerazione nessuna alternativa. Il decreto regionale 30 maggio 2000, n. 13879, avrebbe evocato la possibilità di non modificare le piste da sci «Bucaneve» e «Edelweiss», ma piuttosto di mantenere, nei limiti del possibile, il tracciato attuale, per poi scostarsene in seguito.

75     La Commissione ne deduce che il progetto è stato autorizzato sebbene esistessero altre soluzioni meno dannose per l’ambiente della detta zona, le quali tuttavia non sono state prese in considerazione dalle autorità nazionali.

76     La Commissione fa inoltre valere che la realizzazione dei lavori non era giustificata da motivi imperativi di rilevante interesse pubblico. Essa afferma, inoltre, che non è stata adottata alcuna misura compensativa.

77     La Repubblica italiana sostiene che i lavori controversi sono stati oggetto di una doppia procedura di autorizzazione. La parte iniziale dei tracciati e degli impianti tra Santa Caterina e Plaghera sarebbe stata considerata compatibile con l’ambiente in forza del decreto regionale 30 maggio 2000, n. 13879, integrato dal successivo parere favorevole del Consiglio regionale della Lombardia. Per quanto riguarda la parte del progetto da realizzarsi tra Plaghera e la Valle dell’Alpe, essa afferma che è stata avviata una fase di revisione del progetto in seguito alle indicazioni contenute nella relazione dell’IREALP, al fine di dar corso alla procedura di valutazione dell’impatto ambientale.

78     La Repubblica italiana fa presente che la Regione Lombardia aveva imposto, quale condizione prevista dal decreto regionale 28 novembre 2003, n. 20789, contenente una valutazione d’incidenza ambientale relativa alla zona situata tra Plaghera e Valle dell’Alpe, che fosse presentato uno studio sull’impatto complessivo delle opere, riguardante anche la zona situata tra Santa Caterina e Plaghera.

79     La Repubblica italiana aggiunge che le competenti autorità hanno acquisito la certezza che fosse necessario assoggettare a valutazione d’incidenza ambientale la totalità delle opere, comprese quelle autorizzate dal detto decreto regionale.

–       Giudizio della Corte

80     Per quanto riguarda la fondatezza dell’addebito vertente sulla violazione dell’art. 6, n. 3, della direttiva 92/43, occorre acclarare se l’autorizzazione del 14 febbraio 2003 fosse conforme ai requisiti stabiliti dall’art. 6, n. 4, della direttiva.

81     Tale disposizione prevede che, qualora, nonostante conclusioni negative della valutazione dell’incidenza effettuata in conformità all’art. 6, n. 3, primo periodo, di tale direttiva, un piano o progetto debba essere comunque realizzato per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica, e in mancanza di soluzioni alternative, lo Stato membro può adottare ogni misura compensativa necessaria per garantire che la coerenza globale di Natura 2000 sia tutelata.

82     Come la Corte ha sottolineato ai punti 35 e 36 della citata sentenza Commissione/Portogallo, l’art. 6, n. 4, della detta direttiva, in quanto disposizione derogatoria rispetto al criterio di autorizzazione previsto dal secondo periodo del n. 3 del citato articolo, dev’essere interpretato restrittivamente.

83     Occorre inoltre rilevare che l’art. 6, n. 4, della direttiva 92/43 può essere applicato solo dopo che l’incidenza di un piano o di un progetto sia stata valutata ai sensi dell’art. 6, n. 3, della direttiva medesima. La conoscenza di tale incidenza con riferimento agli obiettivi di conservazione relativi al sito in questione costituisce un presupposto imprescindibile ai fini dell’applicazione del detto art. 6, n. 4, dato che, in assenza di tali elementi, non può essere valutato alcun requisito di applicazione di tale disposizione di deroga. L’esame di eventuali motivi imperativi di rilevante interesse pubblico e quello dell’esistenza di alternative meno dannose richiedono, infatti, una ponderazione con riferimento ai danni che il piano o il progetto in questione cagiona al sito. Inoltre, per determinare la natura di eventuali misure compensative, i danni al detto sito devono essere individuati con precisione.

84     Orbene, dalle considerazioni che precedono risulta che le autorità nazionali non disponevano di tali dati al momento dell’adozione della decisione di concedere l’autorizzazione del 14 febbraio 2003. Ne consegue che tale autorizzazione non può essere fondata sull’art. 6, n. 4, della direttiva 92/43.

85     Pertanto, l’autorizzazione del 14 febbraio 2003 dal Consorzio non era conforme all’art. 6, n. 4, della direttiva 92/43.

86     Di conseguenza, anche sotto tale profilo il ricorso della Commissione è fondato.

 Sul terzo addebito, vertente sulla violazione del combinato disposto degli artt. 6, n. 2, e 7 della direttiva 92/43

–       Argomenti delle parti

87     La Commissione afferma che le autorità nazionali non erano autorizzate a concedere l’autorizzazione per i lavori di ampliamento e adattamento della zona sciistica alpina, dato che tali lavori erano suscettibili di arrecare grave pregiudizio all’integrità del parco.

88     La Commissione sottolinea che la zona in questione ha subìto un notevole degrado in seguito ai lavori autorizzati dal Consorzio. Essa ricorda che l’adattamento delle piste da sci alpino «Bucaneve» e «Edelweiss» ha comportato l’abbattimento di circa 2 500 alberi che costituivano un habitat importante per numerose specie tutelate di uccelli.

89     Secondo la Repubblica italiana, la circostanza che la realizzazione dell’opera controversa abbia comportato alcuni aspetti critici cui non è ancora stato posto rimedio non significa che gli interventi considerati non siano stati correttamente valutati. Quando lavori pubblici comportanti impatti negativi sull’ambiente risultano necessari, le disposizioni della direttiva 92/43 non implicano, a suo avviso, il divieto di realizzare tali lavori, bensì l’obbligo di adottare opportune misure compensative.

90     La Repubblica italiana ritiene che siffatte misure debbano essere adottate, secondo le possibilità, prima, durante e dopo la realizzazione dei lavori in questione.

–       Giudizio della Corte

91     Per accertare la fondatezza dell’addebito occorre esaminare se attività che incidono su una zona di protezione speciale possano violare l’art. 6, nn. 3 e 4, della direttiva 92/43 – come rilevato, nella specie, ai punti 73 e 85 della presente sentenza – nonché, contemporaneamente, il n. 2 dello stesso articolo.

92     A tale proposito occorre osservare che quest’ultima disposizione stabilisce l’obbligo di adottare opportune misure di tutela, dirette ad evitare il degrado nonché le perturbazioni che possano avere effetti significativi per quanto riguarda gli obiettivi della direttiva 92/43.

93     Tale obbligo corrisponde all’obiettivo enunciato al settimo ‘considerando’ di tale direttiva, secondo il quale ogni zona di protezione speciale deve integrarsi in una rete ecologica europea coerente.

94     Quando un’autorizzazione sia stata accordata per un piano o progetto in modo non conforme all’art. 6, n. 3, della direttiva 92/43 – come emerge nella specie dall’esame della prima censura –, può essere rilevata una violazione del n. 2 del detto articolo con riferimento ad una zona di protezione speciale se risultino dimostrati il degrado di un habitat ovvero perturbazioni che colpiscono le specie per le quali la zona in questione è stata designata.

95     Per quanto riguarda la causa in esame, occorre ricordare che all’interno della zona interessata – che costituisce l’habitat di specie di uccelli protetti, in particolare dell’astore, della pernice bianca, del picchio nero e del fagiano di monte – sono stati abbattuti circa 2 500 alberi. Di conseguenza, i lavori controversi hanno annientato i siti di riproduzione delle dette specie.

96     È giocoforza concludere che i detti lavori, e le ripercussioni sulla zona di protezione speciale IT 2040044 che ne sono derivate, erano incompatibili con lo status giuridico di tutela di cui avrebbe dovuto beneficiare la detta zona in forza dell’art. 6, n. 2, della direttiva 92/43.

97     Di conseguenza, il ricorso della Commissione dev’essere accolto anche sotto tale profilo.

 Sul quarto addebito, vertente sulla violazione dell’art. 4, nn. 1 e 2, della direttiva 79/409

–       Argomenti delle parti

98     La Commissione ritiene che l’analisi delle misure adottate dalle autorità nazionali dimostri come la zona di protezione speciale IT 2040044 non abbia beneficiato di uno status giuridico di protezione nel diritto nazionale atto a garantire, in particolare, la sopravvivenza e la riproduzione delle specie di uccelli menzionate nell’allegato I della direttiva 79/409 e la riproduzione, la muta e lo svernamento delle specie migratorie non considerate dal detto allegato che ivi ritornano regolarmente.

99     Ad avviso della Commissione, i lavori intrapresi in seguito all’autorizzazione del 14 febbraio 2003 sarebbero tali da nuocere gravemente alle specie di uccelli presenti in tale zona di protezione speciale, in particolare durante il periodo riproduttivo.

100   La Commissione precisa che, sebbene la detta zona sia soggetta a regolamentazione, la decisione del 14 febbraio 2003 dimostrerebbe come le autorità nazionali non abbiano preso le misure necessarie per istituire un regime giuridico atto ad assicurare non solo la tutela di tale zona, ma anche l’effettiva protezione delle specie di uccelli ivi presenti.

101   La Repubblica italiana replica che la zona controversa costituisce uno spazio intensamente regolamentato.

102   Essa spiega che dalla normativa istitutiva del Parco risulta che tale zona gode di uno status di tutela idoneo a garantire gli obiettivi previsti dalla normativa comunitaria. A suo avviso, la creazione del Parco ha lo scopo di proteggere la fauna instaurando un regime di gestione incentrato sulla conservazione di specie animali o vegetali.

–       Giudizio della Corte

103   In via preliminare si deve rammentare che la zona oggetto del ricorso in esame è stata classificata zona di protezione speciale ai sensi delle disposizioni dell’art. 4 della direttiva 79/409.

104   Occorre altresì rilevare che, se è pur vero che l’art. 7 della direttiva 92/43 produce l’effetto di sostituire gli obblighi imposti dall’art. 6, nn. 2-4, della detta direttiva a quelli derivanti dall’art. 4, n. 4, della direttiva 79/409, gli obblighi dettati dai nn. 1 e 2 del citato art. 4 rimangono integralmente applicabili. Questi ultimi obblighi presentano infatti carattere autonomo e perseguono obiettivi diversi da quelli stabiliti all’art. 6, nn. 2-4, della direttiva 92/43.

105   Ai fini della determinazione della fondatezza della censura va sottolineato che, per giurisprudenza costante, incombe alla Commissione provare la sussistenza dell’asserito inadempimento. Spetta infatti all’istituzione fornire alla Corte tutti gli elementi necessari affinché quest’ultima accerti l’esistenza dell’inadempimento, senza potersi basare su alcuna presunzione (v., in particolare, sentenze 6 novembre 2003, causa C‑434/01, Commissione/Regno Unito, Racc. pag. I‑13239, punto 21; 29 aprile 2004, causa C‑117/02, Commissione/Portogallo, Racc. pag. I‑5517, punto 80, e 26 aprile 2007, causa C‑135/05, Commissione/Italia, Racc. pag. I-3475, punto 20).

106   A tale proposito occorre osservare, come ha fatto la stessa Commissione, che la gestione della zona di protezione speciale in questione è disciplinata da diversi strumenti giuridici dell’ordinamento italiano.

107   Incombeva quindi alla Commissione produrre la prova che il contesto giuridico delineato da tali diversi strumenti non è idoneo a conferire alla detta zona un adeguato status di tutela.

108   Ebbene, la Commissione non ha dimostrato sotto quale profilo il detto contesto giuridico sia insufficiente alla luce delle disposizioni dell’art. 4, nn. 1 e 2, della direttiva. Essa si è infatti limitata ad eccepire l’adozione, da parte dell’autorità amministrativa, di una decisione di autorizzazione contraria all’art. 6 della direttiva 92/43, il che tuttavia non basta a dimostrare l’incompatibilità del detto contesto giuridico con l’art. 4 della direttiva 79/409.

109   Conseguentemente, il quarto addebito della Commissione dev’essere respinto. 

 Sulle spese

110   A norma dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta sostanzialmente soccombente, va condannata alle spese.

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara e statuisce:

1)      La Repubblica italiana,

–       avendo autorizzato misure suscettibili di avere un impatto significativo sulla zona di protezione speciale IT 2040044, Parco Nazionale dello Stelvio, senza assoggettarle ad un’opportuna valutazione della loro incidenza alla luce degli obiettivi di conservazione della detta zona;

–       avendo autorizzato siffatte misure senza rispettare le disposizioni che consentono la realizzazione di un progetto, in caso di conclusioni negative risultanti dalla valutazione dell’incidenza sull’ambiente e in mancanza di soluzioni alternative, solo per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, e solo dopo avere adottato e comunicato alla Commissione delle Comunità europee ogni misura compensativa necessaria per garantire che la coerenza globale di Natura 2000 sia tutelata, e

–       avendo omesso di adottare misure per evitare il deterioramento degli habitat naturali e degli habitat delle specie nonché la perturbazione delle specie per le quali la zona di protezione speciale IT 2040044, Parco Nazionale dello Stelvio, è stata designata,

è venuta meno agli obblighi ad essa imposti dall’art. 6, nn. 2-4, della direttiva del Consiglio 21 maggio 1992, 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, nel combinato disposto con l’art. 7 della medesima direttiva, nonché dall’art. 4, nn. 1 e 2, della direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici.

2)     Il ricorso è respinto quanto al resto.

3)     La Repubblica italiana è condannata alle spese.

Firme


* Lingua processuale: l'italiano.

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