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Document 52006AE0752

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Campagna dell'UE per la conservazione della biodiversità — la posizione e il contributo della società civile

GU C 195 del 18.8.2006, p. 96–103 (ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, IT, LV, LT, HU, NL, PL, PT, SK, SL, FI, SV)

18.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 195/96


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Campagna dell'UE per la conservazione della biodiversità — la posizione e il contributo della società civile

(2006/C 195/24)

La presidenza austriaca del Consiglio dell'Unione europea, con lettera del 13 settembre 2005, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di adottare un parere esplorativo sul tema: Campagna dell'UE per la conservazione della biodiversità — la posizione e il contributo della società civile

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 aprile 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore RIBBE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 maggio 2006, nel corso della 427a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 125 voti favorevoli e 4 astensioni.

1.   Sintesi delle conclusioni e delle raccomandazioni del Comitato

1.1

La biodiversità costituisce nel contempo la base e la garanzia della vita sul nostro pianeta. Anche solo nel proprio interesse economico, l'uomo dovrebbe sforzarsi di preservare la stabilità degli ecosistemi. Inoltre, la nostra responsabilità davanti al creato ci impone di preservare la diversità delle specie. La lotta per la biodiversità non è un «lusso» che ci si possa permettere o cui si possa rinunciare.

1.2

L'uomo stesso è il primo beneficiario della biodiversità, pur essendo anche la causa principale del suo deterioramento.

1.3

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che in Europa la biodiversità sia minacciata in modo gravissimo. Le misure finora adottate al riguardo dall'UE non sono ancora sufficienti ad arrestare la tendenza negativa registrata in questi ultimi anni.

1.4

Il CESE si compiace che non solo tutte le istituzioni europee, ma anche tutti gli Stati membri, in quanto parti della convenzione sulla biodiversità, si siano impegnati non solo ad arrestare tale tendenza, ma addirittura ad invertirla.

1.5

Il CESE, tuttavia, si rammarica del divario esistente tra le dichiarazioni d'intenti e la realtà. Finora, infatti, le autorità pubbliche non hanno contribuito come ci si sarebbe potuto aspettare alla tutela della biodiversità. Benché in materia i pubblici poteri debbano svolgere una funzione esemplare, in realtà la loro pianificazione e i loro programmi spesso contribuiscono a mettere a repentaglio la biodiversità. A ciò si aggiunga il fatto che, nel periodo finanziario 2007-2013, proprio in quelle politiche comunitarie che assumono un particolare rilievo per la conservazione della biodiversità si imporranno delle economie di bilancio.

1.6

Il deterioramento della biodiversità è un fenomeno insidioso, che si protrae ormai da molti anni. Dato che sempre meno persone sono a diretto contatto con l'ambiente naturale, quelle che si sentono direttamente coinvolte da questo fenomeno sono ben poche, e, di conseguenza, la pressione politica esercitata per contrastarlo è piuttosto debole. I responsabili politici non devono accontentarsi di questa situazione, ma, invece, elaborare delle strategie intese a combatterla.

1.7

Se si vuole che la società civile sia meglio informata sul contesto e sulle ragioni della tutela della biodiversità, si devono adottare misure di educazione e formazione rivolte al personale delle pubbliche amministrazioni locali, regionali e nazionali: molti fra i loro membri, infatti, non hanno una cognizione esatta del fenomeno e spesso non sono motivati a contrastarlo.

1.8

Il CESE ritiene che una campagna per la conservazione della biodiversità promossa dalla presidenza dell'UE si giustifichi alla luce del fatto che sensibilizzare l'opinione pubblica è fondamentale per il successo di questa battaglia, e la società civile può contribuire in modo molto concreto a quest'opera di sensibilizzazione. Tuttavia, una tale campagna non può ovviare alle carenze constatate dalla stessa UE e non deve indurre a ritenere che i problemi sorgano da soli o derivino soprattutto dall'insufficiente impegno della società civile.

1.9

Sono necessari più esempi pratici positivi e più progetti pilota, ma anche più casi concreti, che facciano prendere coscienza del valore e dell'utilità dei vari paesaggi e, più in generale, della biodiversità, nonché un impegno esemplare da parte delle autorità pubbliche: si tratta, infatti, di mantenere i fondamenti stessi della vita dell'uomo.

2.   Elementi chiave e contesto del parere

2.1

Con una lettera del 13 settembre 2005, la presidenza austriaca del Consiglio dell'Unione europea ha chiesto al CESE di adottare un parere esplorativo sul tema Campagna dell'UE per la conservazione della biodiversitàla posizione e il contributo della società civile. Nella lettera si precisa che il parere del Comitato potrebbe aiutare il Consiglio e la Commissione, sia sotto il profilo dei contenuti che sul piano politico, nei loro sforzi di porre fine al deterioramento della biodiversità, un obiettivo che deve essere raggiunto entro il 2010 (1).

2.2

Nella stessa lettera si propone al CESE di esaminare i seguenti punti:

quali siano le cause del deterioramento della biodiversità,

se le misure finora adottate dal Consiglio e dalla Commissione siano sufficienti ai fini della realizzazione dell'obiettivo di tutelare la biodiversità,

se le diverse politiche comunitarie siano coerenti tra loro,

quali siano le iniziative supplementari che la Commissione e gli Stati membri dovrebbero lanciare,

quali saranno le ripercussioni di tutto ciò nell'ambito della strategia di Lisbona e della strategia per lo sviluppo sostenibile,

quale contributo possa recare la società civile.

2.3

La consultazione da parte della presidenza austriaca nasce probabilmente dalla constatazione, menzionata nella lettera, che, secondo i dati forniti da diversi centri di ricerca ed istituti come Eurostat, malgrado tutti gli sforzi compiuti, la diversità biologica continua a diminuire in Europa e nel resto del mondo e, per il momento, nulla lascia intravedere una possibile inversione di tendenza. Nella sua comunicazione sul riesame della strategia per lo sviluppo sostenibile, anche la Commissione prende le mosse dalle tendenze negative che si registrano in questo campo.

2.4

Il CESE ringrazia la presidenza austriaca di avergli sottoposto questa importante questione. Come richiesto dalla presidenza, il Comitato esaminerà di seguito ciascuno dei punti sollevati nella lettera, con l'intento di darvi risposta e proporre idee per la «campagna» che si prevede di lanciare.

3.   Osservazioni generali

3.1

La biodiversità è la base di ogni forma di vita presente sul nostro pianeta: senza di essa l'uomo non avrebbe alcuna possibilità di sopravvivere. Infatti, le piante che trasformano l'energia solare in biomassa sono un anello fondamentale di tutti i cicli di energia e di materia sulla Terra ai quali l'uomo partecipa ogni giorno, per esempio quando respira, si nutre o coltiva la terra. Analogamente, senza le specie che, ritrasformando e modificando i rifiuti «prodotti» dall'uomo, consentono a questi cicli di proseguire, l'uomo non potrebbe vivere.

3.2

Di conseguenza, la biodiversità non è qualcosa che la società può «permettersi» se lo ritiene importante e di cui può fare a meno se ritiene di dover stabilire altre priorità. La biodiversità è indispensabile.

3.3

Nel riesame della politica ambientale del 2003 (2) la Commissione afferma chiaramente che «la biodiversità riflette la complessità, l'equilibrio e la condizione dei vari ecosistemi. Oltre a svolgere funzioni essenziali di sostegno alla vita, essa è alla base di importanti attività economiche, ricreative e culturali».

3.4

Biodiversità significa, letteralmente, «diversità della vita», ma è un concetto applicabile su piani diversi: può infatti riferirsi sia alla diversità genetica in seno a una popolazione sia al grado di ricchezza di specie in un determinato habitat.

3.5

Data la sua intelligenza, l'uomo è il maggior beneficiario della biodiversità: nessun'altra specie vivente, infatti, sfrutta o utilizza altre specie più dell'uomo. Quest'ultimo, tuttavia, è anche la causa principale della distruzione della biodiversità. La distinzione che l'uomo stabilisce tra specie «benefiche» e «nocive» si fonda su un ragionamento puramente economico, centrato sulle attività umane. La natura, invece, ignora siffatte distinzioni: essa, infatti, conosce solo degli equilibri che, in larga misura, si regolano da soli. La diversità delle specie è un fattore decisivo per la sostenibilità.

3.6

Gli equilibri divenuti incontrollabili costituiscono un problema per chi ha interesse a mantenere stabili le relazioni tra le specie. Con le sue molteplici attività, di natura essenzialmente economica, l'uomo interviene sugli equilibri ecologici e li influenza. Tale influenza dura ormai da millenni, e in passato ha spesso condotto (ad esempio mediante forme di sfruttamento estensivo dei suoli) alla formazione di nuovi equilibri, che a loro volta si sono in gran parte consolidati. Purtroppo, però, l'impatto delle attività umane sulla biodiversità ha ormai raggiunto un'intensità senza precedenti: le molteplici forme di sfruttamento realizzate dall'uomo non si sono più limitate a modificare leggermente l'ecosistema, ma lo hanno addirittura distrutto completamente e a più livelli.

La situazione attuale e le cause della perdita di biodiversità

3.7

Nella lettera indirizzata al CESE, la presidenza dell'Unione europea ha descritto chiaramente e inequivocabilmente la situazione attuale nel campo della conservazione della biodiversità (cfr. punto 2.3). Tale analisi è, tra l'altro, conforme a quella contenuta nella relazione sulla diversità delle specie del Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (UNEP/PNUE), secondo cui, su scala mondiale, la diversità biologica si riduce a un ritmo più rapido che in passato.

3.8

Già nel 1998, nell'ambito della strategia comunitaria per la diversità biologica (3), l'UE aveva sottolineato l'estrema gravità della situazione in Europa. Nella comunicazione della Commissione sull'argomento si legge infatti che «la ricca diversità biologica dell'Unione europea ha subito lenti cambiamenti nel corso dei secoli, dovuti all'impatto delle attività umane. Negli ultimi decenni l'intensità di questo impatto è aumentata drasticamente. La valutazione del Programma per l'ambiente delle Nazioni Unite conferma che in alcuni paesi europei il 24 % delle specie appartenenti ai lepidotteri, agli uccelli e ai mammiferi sono estinte a livello nazionale».

3.9

Nel 2001, nell'ambito della strategia di Göteborg (4) per lo sviluppo sostenibile, l'UE ha constatato che «negli ultimi decenni la perdita di biodiversità in Europa ha subito una drastica accelerazione». Il CESE tiene a sottolineare che il tasso di estinzione delle specie è oggi da 100 a 1 000 volte superiore a quello naturale, e uno studio più recente dell'Università di Utrecht parla addirittura di un fattore di moltiplicazione che va da 1 000 a 10 000.

3.10

Le ragioni del declino della biodiversità sono molteplici. In linea generale, si può constatare che a tale declino contribuisce la soppressione o la modificazione materiale degli habitat naturali della fauna e della flora. Il deterioramento, infatti, si spiega essenzialmente con la frammentazione degli habitat naturali dovuta allo sviluppo delle infrastrutture e all'urbanizzazione, con l'apporto di sostanze nutritive, con l'eccessiva edificazione, nonché con l'esposizione al turismo di massa e con l'inquinamento dell'aria e dell'acqua.

3.11

In Europa un ruolo particolare — in pratica una doppia funzione — è svolto dall'agricoltura. In passato, questa aveva contribuito alla conservazione della biodiversità grazie a forme di sfruttamento estensivo e altamente diversificato. Da tempo, tuttavia, le colture estensive non sono più redditizie, e sono quindi state rimpiazzate da forme di sfruttamento più intensivo, che anno ovviamente un impatto maggiore sui cicli naturali. Tale cambiamento ha influenzato la biodiversità in due modi: da una parte, l'agricoltura intensiva contribuisce fortemente alla scomparsa delle specie e, dall'altra, la cessazione dello sfruttamento e la messa a riposo prolungata o il cambio di coltura in terreni fino ad allora coltivati in modo estensivo o «naturale» causa la perdita di biotopi preziosi. Così, a seconda delle forme di sfruttamento adottate, l'agricoltura può favorire o ridurre la biodiversità.

3.12

Tra gli altri fattori principali che contribuiscono a ridurre la biodiversità figurano la successione delle formazioni arboree, lo squilibrio determinato nella competizione biologica (per esempio dall'apporto di sostanze nutritive), la forestazione di superfici non boschive, l'introduzione di specie allogene e lo sfruttamento eccessivo delle risorse ittiche.

3.12.1

Altri fattori, la cui incidenza è per ora meno significativa, potrebbero in futuro aggravare ulteriormente la situazione. In una recente relazione (5), l'Agenzia europea per l'ambiente considera i previsti cambiamenti climatici come un fattore di rischio molto grave, forse destinato a diventare addirittura il più grave, tale da ridurre la biodiversità in modo irreversibile.

3.12.2

Un altro, nuovo fattore di rischio per la biodiversità in Europa potrebbe essere costituito dalle tecnologie genetiche applicate all'agricoltura. Secondo alcuni ricercatori, la coltivazione a scopo commerciale di piante geneticamente modificate potrebbe avere gravi ripercussioni sulla flora dell'ambiente circostante, e quindi sui lepidotteri e sulle api: sono queste le conclusioni di uno studio, cui hanno partecipato oltre 150 ricercatori, condotto per tre anni su richiesta del governo britannico (6). Il CESE invita la Commissione a sostenere con vigore le attività di ricerca condotte in questo campo.

3.13

Le potenziali conseguenze della perdita di biodiversità possono essere illustrate con esempi concreti. Al riguardo si consideri il caso degli insetti impollinatori, la cui popolazione è indiscutibilmente diminuita (addirittura su scala mondiale, secondo la FAO). Le piante con fiori (antofite) hanno sviluppato ulteriormente i loro sistemi riproduttivi per adattarli all'evoluzione degli insetti impollinatori, che a loro volta hanno sviluppato dei meccanismi efficaci di raccolta del nettare e del polline, contribuendo così a una migliore produzione e propagazione dei semi delle piante bottinate. L'impollinazione incrociata tramite gli insetti aumenta la diversità genetica e fa produrre semi più resistenti e frutti di migliore qualità. Il 70-95 % degli insetti impollinatori appartiene all'ordine degli imenotteri, al quale appartiene anche l'ape mellifera, utile all'uomo. La diminuzione che si registra nella popolazione degli insetti impollinatori può avere conseguenze disastrose, anche sul piano economico.

3.14

Data la moltitudine degli studi e delle dichiarazioni che rilevano la drastica diminuzione della biodiversità, in questo parere il CESE può fare a meno di approfondire ulteriormente le singole cause di questo fenomeno e soprattutto di invocare una adeguata consapevolezza della sua gravità. Tutti i soggetti responsabili a livello politico dovrebbero ormai avere un quadro chiaro della situazione: i dati disponibili, infatti, sono sufficienti a descriverla con precisione.

3.15

Il CESE si compiace che tutte le istituzioni europee riconoscano sempre più l'esigenza di tutelare la biodiversità. Tuttavia, ad onta dei moltissimi riconoscimenti e delle molteplici dichiarazioni a livello politico, malgrado la firma della Convenzione sulla biodiversità (ratificata sia dall'UE che da tutti e 25 gli Stati membri) e nonostante l'adozione, a livello comunitario, di opportune misure di protezione ambientale, quali la direttiva del 1979 concernente la conservazione degli uccelli selvatici (7) e quella del 1992 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (8) (in seguito, rispettivamente «direttiva» uccelli «e» direttiva «habitat»), si continua a registrare una perdita di biodiversità.

3.16

Gli Stati partecipanti al secondo vertice mondiale delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile (Rio +10), svoltosi nel 2002 a Johannesburg, si sono impegnati a ridurre in modo significativo il ritmo della perdita di biodiversità entro il 2010. Nelle conclusioni della presidenza del Consiglio europeo di Göteborg, l'Unione europea è andata persino oltre, impegnandosi, sempre entro il 2010 (9), ad arrestare questo fenomeno.

3.17

La conservazione della biodiversità, dunque, è un compito la cui necessità ed urgenza sono ormai ampiamente riconosciute, ma anche un compito estremamente complesso, al quale tutti i livelli politici (dall'UE agli enti locali) e la società civile organizzata devono lavorare in stretto contatto tra loro, anche fungendo da esempio per la società nel suo insieme.

Lo sfondo politico-sociale della perdita di biodiversità

3.18

Una questione interessante, purtroppo tuttora irrisolta e sollevata troppo di rado, è l'individuazione delle cause politiche che, negli ultimi decenni, hanno contribuito a questa talora drastica perdita di biodiversità, in mancanza di appropriate contromisure di natura politica.

3.19

Tali cause sono molteplici. Una di esse è senz'altro il fatto che la perdita di biodiversità è un processo lento, strisciante e quindi appena percepibile (sotto questo aspetto paragonabile al fenomeno dei cambiamenti climatici). Non c'è una singola «misura» che si possa additare come causa scatenante di questo problema, né un'unica contromisura che potrebbe risolverlo. La perdita della biodiversità, infatti, è il risultato di milioni di azioni decise e compiute negli ultimi anni e, più in generale, negli ultimi secoli, per quanto trascurabile o marginale possa apparire l'impatto di ciascuna di esse.

3.20

Per questo motivo, nell'imminenza di una decisione, è sempre molto difficile, se non proprio respingerla, riuscire almeno a segnalarne i pericoli per la biodiversità. Tanto più che, secondo le indicazioni delle cosiddette «autorità competenti a intervenire» in materia, ogni intervento su questo aspetto della natura dovrebbe essere controbilanciato da misure compensative o sostitutive in un altro campo (il che, peraltro, non avviene quasi mai).

3.21

Un'ulteriore causa si può ravvisare nel fatto che in un periodo relativamente breve si è arrivati al punto in cui sempre meno persone sperimentano direttamente o comunque percepiscono l'importanza della biodiversità e del paesaggio, nonché delle alterazioni che vi hanno luogo. Assistiamo a una sorta di alienazione dell'uomo dalla natura, che comincia a manifestarsi col fatto che sempre meno persone conoscono o riconoscono il valore utilitario  (10) e spirituale  (11) del paesaggio.

3.22

La maggioranza delle persone (compresa gran parte dei responsabili politici) non è del tutto conscia del significato e dell'importanza del compito che va sotto il nome di «tutela della biodiversità» (nonché della grave responsabilità etica e morale che esso implica). Sono «consumatori» del paesaggio, ne apprezzano la bellezza, ne godono esteticamente, passano il tempo libero nella natura, vi praticano sport, vi trascorrono le vacanze. Tuttavia, non sono pienamente consapevoli del fatto che l'interazione tra gli elementi biotici del paesaggio (cioè le singole specie animali e vegetali) modula il paesaggio, né di quanto essi contribuiscano alla sua stabilità, né dell'enorme importanza di questa fragile stabilità, che è alla base delle nostre condizioni di vita e del nostro sistema economico. La maggior parte dei nostri contemporanei ha della natura una conoscenza solo sporadica e talvolta, per giunta, perlopiù indiretta, mediata dai programmi televisivi o dai film che descrivono le bellezze dell'Africa, delle isole Galapagos o di altri luoghi esotici, ma raramente trattano dei problemi del patrimonio naturale europeo.

3.23

Del resto, non è un caso che alle organizzazioni per la conservazione della natura accada talvolta di constatare che, paradossalmente, gli europei sono più disposti a impegnarsi per la protezione degli elefanti o delle tigri siberiane che per quella dei criceti che vivono nel nostro continente.

3.24

Della perdita di biodiversità si viene a conoscenza leggendo relazioni, rapporti e documenti politici, ma non se ne avvertono direttamente le conseguenze negative. Alcuni non hanno addirittura mai visto con i propri occhi ciò che il paesaggio «là fuori» ha perduto e continua a perdere. È noto che ci si impegna solo per ciò che si conosce e si ama davvero, per ciò che può recarci un qualche beneficio.

3.25

La biodiversità è dunque un concetto ampiamente conosciuto, ma sempre più lontano dall'interesse della maggior parte dei cittadini, che non si sentono coinvolti in prima persona. I valori emergono dal nostro attaccamento a ciò che li rappresenta. A molte persone la biodiversità sembra non avere alcun impatto diretto sulle loro vite, cosicché la responsabilità per la sua conservazione è sempre più considerata un compito dello Stato piuttosto che un impegno personale.

3.26

La tutela della biodiversità nel pianeta dipenderà dalla capacità dei responsabili politici di far sentire la gente nuovamente «coinvolta». Bisogna spiegare chiaramente ai cittadini che non tutto ciò che è possibile può anche essere fatto. Si tratta insomma di far loro comprendere che il rispetto della natura esige delle rinunce da parte dell'uomo, ma che si tratta di rinunce che lo arricchiscono. Una parte dell'eventuale campagna dell'UE sulla perdita di biodiversità deve essere dedicata a questo obiettivo.

3.27

Poiché la situazione sembra essere quella descritta, nella società odierna ciascuno riconosce sempre più la fondatezza della tutela della biodiversità, ma si chiede anche:

se la natura debba essere protetta proprio dove si progetta di realizzare la nuova tangenziale,

se la presenza di una specie protetta a livello europeo ai sensi della direttiva «habitat» sia una valida ragione per bloccare, ad esempio, la costruzione di uno stabilimento industriale,

se la protezione dell'ambiente debba proprio avere un costo economico (così elevato).

3.28

Ma c'è di più. Nell'attuale congiuntura economica, ritenuta piuttosto difficile, la protezione della natura non è considerata un presupposto fondamentale della vita e dell'economia, ma serve anzi da capro espiatorio, accusato di intralciare questo o quello sviluppo «positivo», cioè importante per l'economia. Per inciso, gli argomenti addotti al riguardo sono perlopiù contraddittori. Infatti, se la normativa che tutela l'ambiente impedisce di realizzare un'opera, come una strada, che a qualcuno sembra importante, questi scuoterà il capo con disapprovazione; se, invece, il luogo in cui trascorre le vacanze o il tempo libero rischia di essere deturpato da una strada, per opporvisi ricorre volentieri all'argomento della tutela del paesaggio.

3.29

Oggi la natura è considerata un «bene comune liberamente disponibile», che può essere modellato e modificato più o meno a piacimento, in ossequio agli imperativi economici di una società sempre più urbanizzata e industrializzata, con aspettative elevate anche riguardo all'utilizzo del tempo libero. In proposito, poi, i politici suggeriscono a torto che ci si può limitare a rispondere alle esigenze di conservazione della biodiversità con misure compensative o sostitutive.

L'efficacia delle misure finora adottate dal Consiglio e dalla Commissione

3.30

Come dimostra la gravità della situazione, gli effetti delle misure finora adottate dal Consiglio e della Commissione sono del tutto insufficienti. Tuttavia, l'approccio seguito dalla Commissione con le direttive «Uccelli» del 1979 e «Habitat» del 1992, cioè quello di proteggere gli habitat naturali della flora e della fauna europee, era e resta valido e giusto. Il problema fondamentale è la mancanza della volontà politica di attuare e applicare queste misure: come ha riconosciuto la stessa Commissione, «l'attuazione delle direttive» Uccelli «e» Habitat «è stata difficile. Le violazioni rappresentano oltre un quarto delle procedure di infrazione avviate dalla Commissione europea» (12).

3.31

Il CESE ravvisa qui due distinti livelli di responsabilità.

3.31.1

Il primo livello è quello politico, dove manca una consapevolezza sufficiente della gravità del problema. Il CESE ritiene ad esempio assolutamente incomprensibile il fatto che gli Stati membri adottino in sede di Consiglio direttive sulla protezione della natura che, in quegli stessi Stati, sono destinate ad essere applicate in modo del tutto insufficiente o a non esserlo affatto. Secondo il Comitato, è assolutamente inaccettabile che, non riuscendo a garantire l'attuazione di tali misure, i politici stessi si rendano responsabili di una così grave perdita di credibilità.

3.31.2

Inoltre, non è possibile dar credito a una classe politica che, pur ambendo ad arrestare il declino della biodiversità entro il 2010 e ben conoscendo il costo economico che ciò comporta, riduce di oltre il 30 % le principali voci di bilancio (13) pertinenti per i paesi dell'UE a 15. Così facendo, i capi di Stato e di governo degli Stati membri dell'Unione hanno di fatto posto i presupposti di una politica rinunciataria, incapace di rispondere alle proprie ambizioni. In tal senso, quindi, è la politica stessa a dare il cattivo esempio.

3.31.3

Gli Stati membri non devono — ed è questo il secondo livello di responsabilità — imputare il fallimento della propria politica ai fruitori della natura. In proposito il CESE non può che ribadire in questa sede quanto più volte affermato nei suoi pareri in merito al problema della mancata o insufficiente attuazione di direttive importanti per la conservazione o l'aumento della biodiversità: fintanto che l'attuazione di tali misure si scontrerà ad esempio con i (comprensibili) interessi economici degli utilizzatori dei suoli, bisognerà almeno compensare le potenziali perdite economiche di questi ultimi, anche se sarebbe meglio prevedere degli incentivi per attuare le misure adottate a tutela della biodiversità. Al riguardo, in seguito alla decisione del Consiglio europeo del 16 dicembre 2005, l'assoluta mancanza di garanzie per quanto concerne il finanziamento delle misure della rete Natura 2000 nel prossimo periodo finanziario dell'UE costituisce un ostacolo decisivo. Per quanto seria essa sia, ogni dichiarazione politica a favore della conservazione e dello sviluppo della biodiversità rimarrà lettera morta, se non sarà accompagnata dalle appropriate condizioni finanziarie.

3.32

Pertanto, finché il problema del finanziamento della rete Natura 2000 non sarà risolto nel senso auspicato sia dal CESE che dal Parlamento europeo (ossia con la creazione di un'apposita linea di bilancio, con fondi sufficienti per le misure compensative previste), l'approccio dell'Unione europea continuerà in sostanza a rivelarsi inefficace. Per quanto svolte con le migliori intenzioni, le campagne di sensibilizzazione dell'opinione pubblica non basteranno a cambiare la situazione.

3.33

Una delle misure per la conservazione della biodiversità previste nell'ambito della strategia per lo sviluppo sostenibile consiste nel «migliorare, in occasione del riesame intermedio della politica agricola comune, le misure agroambientali affinché garantiscano un sistema trasparente di pagamenti diretti per la prestazione di servizi ambientali». Il CESE deplora che neppure questo impegno, giusto e importante, sia stato onorato, cosa che si è rivelata controproducente. La responsabilità principale al riguardo non è tanto della Commissione quanto piuttosto degli Stati membri, in particolare per quanto concerne le misure di finanziamento.

Le varie politiche comunitarie sono sufficientemente coerenti tra loro?

3.34

Il CESE constata purtroppo che le varie politiche comunitarie non sono ancora coordinate in misura sufficiente per arrestare la perdita di biodiversità. Al contrario, anche le politiche rientranti nelle competenze dell'UE pongono ulteriori minacce per l'ambiente, non compensate dalle poche e modeste misure adottate per proteggerlo. I programmi di azione già attuati (14) non sono in grado di cambiare la situazione e anche le strategie tematiche in corso di elaborazione sembrano non avere alcuna influenza decisiva al riguardo (15).

3.35

Oltre a quello della politica agricola, di cui il Comitato ha già avuto modo di occuparsi in altri pareri, si può citare il caso delle reti transeuropee di trasporti, adducendo l'esempio di un progetto in questo campo. Con un corso di 2 880 km, che attraversa 10 paesi europei, il Danubio si può senz'altro considerare «il» fiume europeo per eccellenza. Lungo questa arteria vitale si trovano ancora numerose oasi naturalistiche, da integrare nella rete Natura 2000. Tuttavia, secondo l'UE, per circa la metà del suo corso (e precisamente per 1 400 km), comprendente principalmente tronconi fluviali ancora liberi, per esempio a Straubing-Vilshofen, in Germania, oppure presso Hainburg e nella Wachau, in Austria, nonché gran parte del tratto ungherese e la quasi totalità di quelli bulgaro e rumeno, il Danubio presenta delle strozzature che occorre eliminare per favorire la circolazione fluviale. Una tale politica, che pone in diretto contrasto la crescita economica e la protezione dell'ambiente, finisce col provocare e programmare i conflitti che essa dovrebbe invece contribuire a risolvere nel quadro della strategia per lo sviluppo sostenibile e la conservazione della biodiversità, ossia nell'ambito di una politica comunitaria coerente.

3.36

Secondo il CESE, questa sostanziale incoerenza tra le politiche comunitarie non si riscontra solo nei settori che, in senso «classico», si potrebbero considerare potenzialmente problematici per la protezione della natura e delle specie viventi, come la politica dei trasporti e delle infrastrutture oppure un'agricoltura, silvicoltura e piscicoltura troppo intensive, ma anche nei campi in cui non è facile scorgere una connessione diretta con la biodiversità.

3.36.1

A titolo di esempio, si possono citare le misure per la lotta all'encefalopatia spongiforme bovina (ESB), che vietano praticamente ovunque di abbandonare o deporre delle carcasse nell'ambiente (16) e obbligano gli allevatori a portare gli animali morti nei locali adibiti all'eliminazione delle carogne, il che è estremamente costoso.

3.36.2

Nelle zone d'Europa in cui esistono ancora intere popolazioni di animali selvatici che si cibano di carogne, come gli avvoltoi, i lupi o gli orsi, si pongono dei gravi problemi di protezione delle specie. Nelle Asturie, ad esempio, negli anni '90 e fino al 2003 sono stati portati ai servizi di eliminazione delle carogne, in media, 3 000 animali domestici all'anno, mentre già nel 2004, in applicazione del regolamento comunitario in materia, tale numero era aumentato a circa 20 000 capi.

3.36.3

Di conseguenza, nell'ambiente di quella regione spagnola (il cui territorio si estende per 10 604 km2) vi sono oggi circa 17 000 carcasse di animali «in meno», che avrebbero costituito un'importante base alimentare per avvoltoi, orsi, lupi e molte altre specie che si nutrono di carogne. Calcolando una media di 200 kg per ciascun animale, ciò equivale a 3 400 tonnellate di biomassa proteica in meno nell'ambiente (17). È ancora presto per dire se il regio decreto spagnolo del novembre 2002, che disciplina l'alimentazione degli animali saprofagi con determinati animali morti o prodotti derivati, cambierà davvero qualcosa. In ogni caso, nessuna misura analoga è stata adottata negli altri Stati membri dell'UE.

Quali iniziative supplementari dovrebbero lanciare la Commissione e gli Stati membri?

3.37

Nel riesame della politica ambientale del 2003 (18), la Commissione fissa le seguenti priorità:

passare a una politica agricola più sostenibile,

introdurre la dimensione ambientale nella politica comune della pesca,

accrescere la protezione del suolo e dell'ambiente marino,

migliorare l'attuazione delle norme di protezione della natura,

evidenziare meglio le attuali tendenze in materia di biodiversità,

rafforzare la protezione della biodiversità a livello internazionale.

3.38

Inoltre, nella comunicazione sulla strategia politica annuale per il 2007 la Commissione ha previsto la revisione delle direttive «Habitat» e «Uccelli» per adeguarle alle nuove conoscenze scientifiche (19). Il CESE gradirebbe che la Commissione precisasse quanto prima la natura di queste nuove conoscenze scientifiche e la portata della revisione, che, a suo avviso, dovrebbe solo migliorare la protezione dell'ambiente in Europa.

3.39

Il CESE ritiene evidente la necessità di proteggere l'ambiente naturale e sbloccare i fondi necessari a tale scopo. Le direttive «Habitat» e «Uccelli» non sono ancora riuscite a garantire una protezione sufficiente, su tutto il territorio europeo, alle specie e agli habitat naturali che ne hanno bisogno. A ciò si aggiunge il fatto — deplorevole secondo il CESE — che nel frattempo negli Stati membri (dal livello nazionale a quello locale) si è in parte adottato il seguente atteggiamento: tutto ciò che non forma oggetto di una regolamentazione europea, ma, eventualmente, di una normativa di tutela «solo» nazionale, è una questione ambientale di second'ordine. Il che equivale a dire che se l'UE non assicura i finanziamenti necessari, non si vede perché a farlo debbano essere gli Stati membri. La tutela della biodiversità appare ancor meno garantita al di fuori delle aree protette, dove non si riscontra più quasi nessun intervento da parte dei poteri pubblici, nonostante tale tutela non sia un compito che ci si può limitare ad assolvere in quelle poche aree.

3.40

Peraltro, alla luce dell'atteggiamento e della mentalità descritti sopra, è più che evidente che gran parte della popolazione, ma anche la maggior parte dei responsabili politici, non comprende le interrelazioni ecologiche in generale e la necessità di tutelare la biodiversità in particolare. Al riguardo sono innanzitutto le istituzioni pubbliche ad essere sollecitate e a dover fungere da esempio. Esse devono far comprendere ai cittadini che per loro la biodiversità è importante e che sono disposte ad adottare le misure necessarie per proteggerla nei territori di loro competenza, anche se esistono delle possibilità economicamente più «vantaggiose» nel breve periodo.

3.41

Il decennio delle Nazioni Unite dell'educazione per lo sviluppo sostenibile (2005-2014) dovrebbe quindi essere l'occasione per lanciare una vasta campagna volta ad arrestare e invertire la tendenza all'erosione delle conoscenze e dell'esperienza in fatto di biodiversità che si osserva nella popolazione. Sarà necessaria una campagna imponente e positiva, che faccia comprendere che la natura non è un lusso che la società può permettersi nei periodi di prosperità economica e cui può rinunciare quando la congiuntura è più difficile. Bisogna che la società riacquisisca la consapevolezza del fatto che la biodiversità è un patrimonio economico e culturale-spirituale. La protezione dell'ambiente deve essere concepita in modo positivo (non può esserci nulla di più positivo del fatto di preservare i fondamenti stessi della vita), deve essere fonte di gioia e di piacere e non essere percepita come un peso. Inoltre, bisogna far comprendere che i costi generati dall'ulteriore erosione dei fondamenti naturali della nostra vita saranno molto superiori a quelli della loro protezione, e che i valori che vanno perduti a causa di tale erosione non si possono esprimere in termini pecuniari.

3.42

Secondo il CESE, è evidente che la politica comunitaria di protezione dell'ambiente deve limitarsi a perseguire gli obiettivi raggiungibili solo con un'azione transfrontaliera. Tuttavia, un'adeguata «politica di tutela della biodiversità» deve essere condotta anche a livello nazionale, regionale, locale e addirittura della sfera privata. Si tratta quindi di un'esigenza che si impone sia agli Stati membri che all'Unione europea.

3.43

Di conseguenza, il CESE si rallegrerebbe se, nell'ambito di una campagna mirata e condotta in collaborazione coi gruppi che si occupano della tutela dell'ambiente e con le associazioni degli utilizzatori dei suoli interessati, la Commissione decidesse di sostenere dei progetti pilota di protezione dell'ambiente in grado di fondare un'identità a livello europeo e ampiamente pubblicizzati. Tra i progetti idonei a far parte di una tale campagna si potrebbe citare ad esempio la cosiddetta «cintura verde europea» (European Green Belt), un'iniziativa di alcune ONG che riceve già un certo sostegno dai pubblici poteri (20) e si è posta come obiettivo la protezione degli habitat sviluppatisi a ridosso delle (talora addirittura inumane) frontiere terrestri. Questa «cintura verde europea», che si estende dalla Scandinavia ai Balcani, è (ancora) uno degli assi di biotopi più lunghi d'Europa.

3.44

Riguardo alla promozione della tutela della biodiversità a livello internazionale, il CESE ritiene che, rientrando tra le «questioni non commerciali» (non-trade concerns), la biodiversità debba divenire parte integrante del sistema commerciale internazionale (e quindi di essa si debba tener conto, ad esempio, negli accordi in sede di OMC).

Le conseguenze per la strategia di Lisbona e la strategia per lo sviluppo sostenibile

3.45

Qui di seguito il CESE si limita a menzionare alcune riflessioni concernenti la strategia di Lisbona. In questa sede non è necessario formulare delle osservazioni riguardo alla strategia per lo sviluppo sostenibile: da una parte, infatti, le affermazioni fatte dalla Commissione nella sua comunicazione in materia (21) sono così vaghe e poco impegnative che non ci si può attendere che la tutela della biodiversità ne risulti rafforzata e, dall'altra, il CESE esaminerà tale comunicazione in un apposito parere.

3.46

Se è vero, come ha affermato il Consiglio europeo nel vertice di primavera 2005 svoltosi a Bruxelles, che la strategia di Lisbona rientra nel più ampio contesto di quella per lo sviluppo sostenibile, la prima deve essere concepita in modo tale da sforzarsi non solo di tener conto degli imperativi ecologici, ma anche di produrre sviluppi economici che, oltre ad essere vantaggiosi, favoriscano, in maniera consapevole, anche la biodiversità. Tuttavia, nei documenti riguardanti la strategia di Lisbona questo approccio non è neppure accennato.

3.47

Bisognerebbe che la Commissione elaborasse al più presto una visione globale del significato puramente economico della tutela della biodiversità in Europa. Sarebbe inoltre opportuno citare e far conoscere maggiormente gli esempi positivi che mostrano come la tutela della biodiversità e lo sviluppo economico possano e debbano andare di pari passo. Infine, bisognerebbe avviare nella società il necessario dibattito sui modi concreti di «internalizzare» i costi esterni.

Il contributo della società civile

3.48

Il contributo della società civile alla conservazione della biodiversità è importante e può senz'altro produrre molti altri effetti positivi, ma non può controbilanciare o compensare gli errori e le omissioni delle autorità pubbliche. È giusto chiedere alla società civile di fare di più, ma ciò non deve distogliere l'attenzione dalle carenze dimostrate dai pubblici poteri.

3.49

Il CESE accoglierebbe con grande favore una nuova campagna, come la presidenza ha già preannunciato nella lettera del 13 settembre 2005. Tale campagna dovrebbe mirare ad accrescere la consapevolezza dell'importanza di tutelare la natura e la biodiversità e a rafforzare la motivazione a proteggerle. L'educazione in questo campo dovrebbe iniziare molto presto, già nelle scuole materne e primarie, e mirare a spiegare che ciascuno di noi deve fare la propria parte per preservare i fondamenti stessi della vita umana. Si deve iniziare a proteggere la biodiversità già nell'ambiente in cui si vive, nella maniera di fare acquisti, nel modo di configurare il proprio giardino, ecc.

3.50

Le persone sono più disposte ad impegnarsi ad agire quando conoscono la posta in gioco, sanno che il loro impegno è desiderato ed apprezzato e possono prendere a modello la politica. Una campagna del tipo proposto potrebbe servire non solo a fornire delle informazioni di base, ma anche a conquistare alla causa della tutela della biodiversità «ambasciatori» come rockstar, intellettuali, attori, politici, giornalisti, ecc.

3.51

Le organizzazioni non governative, ma anche molti cittadini non coinvolti in gruppi o associazioni, svolgono un prezioso lavoro per la tutela della natura e delle specie viventi. Da parte loro, gli agricoltori si impegnano nell'ambito dei programmi agroambientali e delle iniziative volontarie. Molte altre categorie sociali lavorano con impegno per proteggere la biodiversità, talora assumendosi persino dei compiti che spetterebbero chiaramente ai pubblici poteri. Gran parte dei risultati ottenuti nel campo della biodiversità non sarebbero stati possibili senza tale impegno. Senza il contributo dei privati che si occupano della tutela dell'ambiente, ma anche di molti fruitori della natura, oggi la situazione sarebbe ancora peggiore. I politici dovrebbero promuovere tale impegno anche, ma non soltanto, con incentivi finanziari.

3.52

Al riguardo, non si tratta soltanto di lavorare concretamente sull'ambiente stesso. Se i politici vogliono davvero arrestare il declino della biodiversità, devono avere interesse a suscitare nei cittadini la consapevolezza della necessità di una politica appropriata in questo campo. In proposito si può ben parlare di pressione politica. Non c'è dubbio che l'opinione pubblica europea sia generalmente concorde sulla necessità di agire. Secondo l'Eurobarometro, in Europa nove persone su dieci ritengono che, nell'adottare decisioni importanti, i politici debbano dare alle considerazioni ambientali lo stesso peso che attribuiscono agli interessi economici (Attitudes of Europeans towards the environment, 2004).

3.53

È necessario e urgente promuovere l'educazione dei cittadini per favorire la loro comprensione delle misure imposte da questa politica (nonché delle spese che la loro attuazione comporta). Al riguardo la società civile può e deve recare il suo contributo, ma per farlo ha bisogno del sostegno dei poteri pubblici. Per esempio, la società civile deve far sì che la protezione della natura non sia più ingiustamente considerata «ostile al progresso», ma che si trovino soluzioni adeguate ai problemi sollevati in proposito, in modo che in ultima analisi si abbia un aumento — e non una perdita — di biodiversità.

3.54

Il CESE si compiace quindi dell'iniziativa «Countdown 2010» (22), lanciata da una serie di ONG per incitare tutti i governi europei a intraprendere quanto necessario per arrestare il declino della biodiversità entro il 2010, e garantire così che questo obiettivo politico, oltre che dichiarato, sia anche perseguito con le azioni appropriate. Come questa campagna dimostra, la società civile e i governi hanno una lunga serie di compiti da assolvere insieme.

Bruxelles, 18 maggio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Cfr. le conclusioni del Consiglio europeo di Göteborg, del 15 e 16 giugno 2001.

(2)  COM(2003) 745 def.

(3)  Cfr. COM(1998) 42 def.

(4)  COM(2001) 264 def.

(5)  AEA, The European Environment - State and outlook 2005, novembre 2005.

(6)  Apparso sulla rivista scientifica Nature del 22.3.2005.

(7)  GU L 103 del 25.4.1979, pag. 1.

(8)  GU L 206 del 22.7.1992, pag. 7.

(9)  Cfr. il punto 31 delle conclusioni.

(10)  Il valore utilitario, o economico, del paesaggio va molto al di là della sua importanza come «luogo di produzione» per l'agricoltura e la silvicoltura. Si pensi, ad esempio, al turismo o alle attività ricreative. In particolare il valore turistico presuppone l'esistenza di paesaggi ricchi di biodiversità e quindi considerati «belli» dalla generalità delle persone.

(11)  Il paesaggio ha un valore spirituale sotto un duplice aspetto: in primo luogo per il valore intrinseco della natura, che deve essere riconosciuto e preservato e non può essere annullato da uno sfruttamento tecnologico ed economico unilaterale, e in secondo luogo per il valore che assume per la rigenerazione fisica, ma anche e soprattutto psichica, dell'uomo e la sua integrazione nell'ambiente naturale con le altre specie viventi.

(12)  Cfr. COM(2003) 745 def. e, negli stessi termini, COM(2005) 17 def.

(13)  La politica di sviluppo rurale, nella rubrica 2 delle prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013.

(14)  Per esempio in materia di agricoltura biologica.

(15)  Il CESE sta elaborando su ciascuna delle strategie dei pareri distinti, ai quali va fatto riferimento in questa sede.

(16)  Ciò è ancora possibile solo a determinate condizioni, che però sono così complesse da non essere in pratica quasi mai soddisfatte.

(17)  Le conseguenze di tutto ciò possono essere descritte brevemente con qualche esempio. Nella valle di Trubia, la FAPAS, un'associazione spagnola per la protezione dell'ambiente, effettua da molti anni un monitoraggio della popolazione locale di grifoni. Fino al 2003 vi erano in media 10 coppie di grifoni, che, nella maggior parte dei casi, riuscivano ad allevare 8-9 piccoli (i grifoni non hanno mai più di un pulcino alla volta). Nel 2004, invece, solo 4 piccoli avevano raggiunto lo sviluppo sufficiente per volare. Coloro che si occupano della tutela degli orsi riferiscono che, tra i cuccioli di questi animali, si riscontra un tasso di mortalità molto elevato, anch'esso imputato alla diminuzione della quantità di cibo disponibile.

(18)  COM(2003) 745 def.

(19)  COM(2006) 122 def.

(20)  Per esempio dal Bundesamt für Naturschutz (il servizio federale tedesco di protezione della natura, un'agenzia collegata al ministero federale tedesco dell'Ambiente).

(21)  COM(2005) 658 def., del 13.12.2005, Riesame della strategia per lo sviluppo sostenibile - una piattaforma d'azione.

(22)  Cfr. http://www.countdown2010.net/


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