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Documento 62002CJ0159

Sentenza della Corte in seduta plenaria del 27 aprile 2004.
Gregory Paul Turner contro Felix Fareed Ismail Grovit, Harada Ltd e Changepoint SA.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: House of Lords - Regno Unito.
Convenzione di Bruxelles - Procedimento avviato in uno Stato contraente - Procedimento avviato in un altro Stato contraente dal convenuto in un procedimento già esistente - Convenuto che agisce in mala fede e con lo scopo di ostacolare il procedimento già esistente - Compatibilità con la Convenzione dell'emanazione di un ordine contro il convenuto che impedisce di proseguire l'azione nell'altro Stato contraente.
Causa C-159/02.

Raccolta della Giurisprudenza 2004 I-03565

Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2004:228

Arrêt de la Cour

Causa C-159/02

Gregory Paul Turner

contro

Felix Fareed Ismail Grovit e altri

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla House of Lords)

«Convenzione di Bruxelles — Procedimento avviato in uno Stato contraente — Procedimento avviato in un altro Stato contraente dal convenuto in un procedimento già esistente — Convenuto che agisce in mala fede e allo scopo di ostacolare il procedimento già esistente — Compatibilità con la Convenzione dell’emanazione nei confronti del convenuto di un’inibitoria che vieta di proseguire l’azione nell’altro Stato contraente»

Massime della sentenza

Convenzione concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni — Inibitoria emanata dal giudice di uno Stato contraente e che vieta ad una parte del procedimento dinanzi ad essa pendente di avviare o di proseguire un’azione giudiziaria dinanzi ad un giudice di un altro Stato contraente — Inammissibilità — Incompatibilità con il principio della reciproca fiducia inerente al sistema della Convenzione

(Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968)

La Convenzione 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, quale modificata dalla Convenzione 9 ottobre 1978 relativa all’adesione del Regno di Danimarca, dell’Irlanda e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, dalla Convenzione 25 ottobre 1982 relativa all’adesione della Repubblica ellenica e dalla Convenzione 26 maggio 1989 relativa all’adesione del Regno di Spagna e della Repubblica portoghese, deve essere interpretata nel senso che osta all’emanazione di un’inibitoria mediante la quale un organo giurisdizionale di uno Stato contraente vieta a una parte del procedimento dinanzi ad esso pendente di proporre o di proseguire un’azione giudiziaria dinanzi a un organo giurisdizionale di un altro Stato contraente, anche quando tale parte agisce in mala fede allo scopo di ostacolare il procedimento già pendente.

Tale divieto costituisce, infatti, un’ingerenza nella competenza del giudice straniero, incompatibile, come tale, con il sistema della Convenzione. Tale ingerenza non può essere giustificata dal fatto che essa è solo indiretta e mira a impedire un abuso di procedura della detta parte, in quanto la decisione sul carattere abusivo di tale comportamento implica una valutazione della pertinenza della proposizione di un’azione dinanzi a un giudice di un altro Stato membro che è contraria al principio della reciproca fiducia che costituisce il fondamento della Convenzione e vieta al giudice, salvo ipotesi particolari limitate alla fase del riconoscimento o dell’esecuzione delle decisioni straniere, di sindacare la competenza di un giudice di un altro Stato contraente.

(v. punti 26-28, 31 e dispositivo)




SENTENZA DELLA CORTE
27 aprile 2004(1)

«Convenzione di Bruxelles – Procedimento avviato in uno Stato contraente – Procedimento avviato in un altro Stato contraente dal convenuto in un procedimento già esistente – Convenuto che agisce in mala fede e allo scopo di ostacolare il procedimento già esistente – Compatibilità con la Convenzione dell'emanazione nei confronti del convenuto di un'inibitoria che vieta di proseguire l'azione nell'altro Stato contraente»

Nel procedimento C-159/02,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, in applicazione del Protocollo del 3 giugno 1971, relativo all'interpretazione da parte della Corte di giustizia della Convenzione 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, dalla House of Lords (Regno Unito) nella causa dinanzi ad essa pendente tra

Gregory Paul Turner

e

Felix Fareed Ismail Grovit,Harada Ltd,Changepoint SA,

domanda vertente sull'interpretazione della citata Convenzione 27 settembre 1968 (GU 1972, L 299, pag. 32), come modificata dalla Convenzione 9 ottobre 1978 relativa all'adesione del Regno di Danimarca, dell'Irlanda e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord (GU L 304, pag. 1, e – testo modificato – pag. 77), dalla Convenzione 25 ottobre 1982 relativa all'adesione della Repubblica ellenica (GU L 388, pag. 1) e dalla Convenzione 26 maggio 1989 relativa all'adesione del Regno di Spagna e della Repubblica portoghese (GU L 285, pag. 1),

LA CORTE (seduta plenaria),



composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. P. Jann (relatore), C.W.A. Timmermans, C. Gulmann, J.N. Cunha Rodrigues e A. Rosas, presidenti di sezione, dai sigg. A. La Pergola, J.-P. Puissochet e R. Schintgen, dalla sig.ra  N. Colneric e dal sig. S. von Bahr, giudici,

avvocato generale: sig. D. Ruiz-Jarabo Colomer
cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale

viste le osservazioni scritte presentate:

per il sig. Grovit, la Harada Ltd e la Changepoint SA, dal sig. R. Beynon, solicitor, e dal sig. T. de La Mare, barrister;

per il governo del Regno Unito, dal sig. K. Manji, in qualità di agente, assistito dal sig. S. Morris, QC;

per il governo tedesco, dal sig. R. Wagner, in qualità di agente;

per il governo italiano, dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. O. Fiumara, vice avvocato generale dello Stato;

per la Commissione delle Communità europee, dalle sig.re  C. O'Reilly e A.-M. Rouchaud-Joët, in qualità di agenti,

sentite le osservazioni orali del sig. Turner e del governo del Regno Unito, del sig. Grovit, della Harada Ltd e della Changepoint SA, nonché della Commissione all'udienza del 9 settembre 2003,

sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 20 novembre 2003,

ha pronunciato la seguente



Sentenza



1
Con ordinanza 13 dicembre 2001, pervenuta alla Corte il 29 aprile 2002, la House of Lords ha proposto, ai sensi del Protocollo del 3 giugno 1971, relativo all’interpretazione da parte della Corte di giustizia della Convenzione 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, una questione pregiudiziale relativa all’interpretazione di tale Convenzione (GU 1972, L 299, pag. 32), quale modificata dalla Convenzione 9 ottobre 1978 relativa all’adesione del Regno di Danimarca, dell’Irlanda e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord (GU L 304, pag. 1, e – testo modificato – pag. 77), dalla Convenzione 25 ottobre 1982 relativa all’adesione della Repubblica ellenica (GU L 388, pag. 1) e dalla Convenzione 26 maggio 1989 relativa all’adesione del Regno di Spagna e della Repubblica portoghese (GU L 285, pag. 1; in prosieguo: la «Convenzione»).

2
Tale questione è stata sollevata nell’ambito di una controversia tra il sig. Turner, da un lato, e il sig. Grovit, la Harada Ltd (in prosieguo: la «Harada») e la Changepoint SA (in prosieguo: la «Changepoint»), dall’altro, a seguito della risoluzione del contratto di lavoro concluso tra il sig. Turner e la Harada.


Controversia nella causa principale

3
Il sig. Turner, cittadino britannico residente nel Regno Unito, veniva assunto nel 1990 come consulente legale di un gruppo di imprese da una delle società che ne facevano parte.

4
Il gruppo, denominato Chequepoint Group, è diretto dal sig. Grovit e ha come attività principale la gestione di uffici di cambiavalute. Esso comprende varie società stabilite in paesi diversi, fra le quali figurano la China Security Ltd, che aveva inizialmente assunto il sig. Turner, la Chequepoint UK Ltd, che riprendeva il contratto del sig. Turner alla fine del 1990, la Harada, con sede nel Regno Unito, e la Changepoint, con sede in Spagna.

5
Il sig. Turner svolgeva il suo lavoro a Londra (Regno Unito). Tuttavia, nel maggio del 1997, su sua richiesta, il suo datore di lavoro acconsentiva a che trasferisse il suo ufficio a Madrid (Spagna).

6
Il sig. Turner cominciava a lavorare a Madrid nel novembre del 1997. Il 16 febbraio 1998 presentava le sue dimissioni alla Harada, presso il cui servizio era stato trasferito il 31 dicembre 1997.

7
Il 2 marzo 1998 il sig. Turner citava in giudizio a Londra la Harada dinanzi all’Employment Tribunal (commissione per le controversie di lavoro). Egli affermava di essere stato vittima di tentativi di coinvolgerlo in comportamenti illeciti, il che, secondo lui, equivaleva a un licenziamento senza giusta causa.

8
L’Employment Tribunal respingeva l’eccezione d’incompetenza sollevata dalla Harada. Tale decisione veniva confermata in appello. Pronunciandosi sul merito, esso accordava al sig. Turner il risarcimento dei danni.

9
Il 29 luglio 1998 la Changepoint citava quest’ultimo dinanzi a un giudice di primo grado di Madrid. L’atto di citazione veniva notificato al sig. Turner intorno al 15 dicembre 1998. Il sig. Turner rifiutava la notifica e contestava la competenza del giudice spagnolo.

10
Nell’ambito del procedimento avviato in Spagna, la Changepoint chiedeva al sig. Turner ESP 85 milioni come risarcimento dei danni che il sig. Turner le avrebbe causato con la sua condotta professionale.

11
Il 18 dicembre 1998 il sig. Turner chiedeva alla High Court of Justice (England & Wales) (Tribunale di secondo grado d’Inghilterra e del Galles) di emettere, ai sensi dell’art. 37, n. 1, del Supreme Court Act 1981, un’inibitoria che vietasse al sig. Grovit, alla Harada e alla Changepoint, sotto minaccia di sanzioni, di portare a termine il procedimento avviato in Spagna. Il 22 dicembre 1998 veniva emesso un ordine provvisorio in tal senso. Il 24 febbraio 1999 la High Court si rifiutava di rinnovare tale ordine.

12
La Court of Appeal (England & Wales), investita a seguito del ricorso del sig. Turner, ingiungeva alle convenute, il 28 maggio 1999, di non proseguire il procedimento avviato in Spagna e di astenersi dall’avviarne altri in Spagna o altrove contro il sig. Turner in merito al suo contratto di lavoro. La Court of Appeal motivava la sua decisione dichiarando, in particolare, che il procedimento in Spagna era stato intentato in mala fede per dissuadere il sig. Turner dal proseguire l’azione dinanzi all’Employment Tribunal.

13
Il 28 giugno 1999, rimettendosi a tale ingiunzione, la Changepoint desisteva dall’azione pendente dinanzi al giudice spagnolo.

14
Il sig. Grovit, la Harada e la Changepoint adivano successivamente la House of Lords facendo valere, in sostanza, che i giudici inglesi non hanno il potere di emettere inibitorie che vietano di proseguire giudizi dinanzi a giudici stranieri cui si applica la Convezione.


Ordinanza di rinvio e questione pregiudiziale

15
Secondo le indicazioni fornite nell’ordinanza di rinvio, il potere esercitato dalla Court of Appeal nella causa principale non si fonda sulla pretesa di definire la competenza di un giudice straniero, ma sul fatto che la parte cui è rivolto l’inibitoria è soggetta in personam alla competenza degli organi giurisdizionali inglesi.

16
In base all’analisi contenuta nell’ordinanza di rinvio, un provvedimento come quello emesso dalla Court of Appeal non implica una decisione sulla competenza del giudice straniero, ma una valutazione del comportamento manifestato dalla parte interessata nel far valere tale competenza. Tuttavia, dato che un ordine di questo tipo interferisce indirettamente con il procedimento instaurato dinanzi al giudice straniero, esso potrebbe essere emanato solo se il richiedente dimostra di avere una palese necessità di tutelare un procedimento pendente in Inghilterra.

17
L’ordinanza di rinvio segnala che gli elementi essenziali che giustificano l’esercizio da parte della Court of Appeal, nella causa principiale, del suo potere di emettere un ordine erano:

il fatto che il richiedente era parte in un procedimento pendente in Inghilterra;

il fatto che i convenuti avevano, in mala fede, intentato un’azione contro il richiedente in un paese terzo, con l’intenzione di proseguire tale procedimento allo scopo di ostacolare o di fare ostruzionismo al procedimento pendente in Inghilterra;

il fatto che, secondo la valutazione della Court of Appeal, era necessario, per tutelare l’interesse legittimo del richiedente nel procedimento inglese, emettere un’inibitoria contro i convenuti.

18
Considerato, tuttavia, che si tratta di un problema di interpretazione della Convenzione, la House of Lords ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte la seguente questione:

«Se sia o non sia compatibile con la Convenzione di Bruxelles concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale firmata a Bruxelles il 27 settembre 1968 (alla quale il Regno Unito ha aderito successivamente) l’emanazione di inibitorie nei confronti di convenuti che minacciano di iniziare o continuare procedimenti giudiziari in un altro Stato parte della Convenzione, quando tali convenuti stanno agendo in mala fede con l’intenzione di vanificare o ostacolare procedimenti regolarmente pendenti innanzi al giudice inglese».


Sulla questione pregiudiziale

19
Con tale questione il giudice del rinvio chiede in sostanza se la Convenzione osti all’emanazione di un’inibitoria mediante il quale un organo giurisdizionale di uno Stato contraente vieta a una parte del procedimento dinanzi ad esso pendente di proporre o di proseguire un’azione giudiziaria dinanzi a un organo giurisdizionale di un altro Stato contraente, anche quando tale parte agisce in mala fede allo scopo di ostacolare il procedimento già pendente.

Osservazioni presentate alla Corte

20
I convenuti nella causa principale, i governi tedesco e italiano nonché la Commissione sostengono che un ordine quale quello di cui trattasi nella causa principale è incompatibile con la Convenzione. Essi fanno valere, in sostanza, che la Convenzione instaura un regime completo di regole di competenza. Ciascun giudice può pronunciarsi solo sulla propria competenza in merito a tali regole, e non su quella di un giudice di un altro Stato contraente. Orbene, un’inibitoria farebbe sì che il giudice che lo ha emesso si arroghi una competenza esclusiva e privi il giudice di un altro Stato contraente di ogni possibilità di esaminare la propria competenza, demolendo in tale modo il principio di reciproca collaborazione che è alla base della Convenzione.

21
Il sig. Turner e il governo del Regno Unito rilevano, innanzi tutto, che la questione pregiudiziale concerne soltanto le inibitorie fondate su abusi processuali, indirizzati a convenuti che agiscono in mala fede allo scopo di ostacolare un procedimento pendente innanzi a un giudice inglese. Avendo l’obiettivo di tutelare l’integrità del procedimento di cui è investito il giudice inglese, solo un giudice inglese sarebbe in grado di decidere se la condotta del convenuto leda tale integrità o minacci di comprometterla.

22
Inoltre, alla stregua della House of Lords, il sig. Turner e il governo del Regno Unito sottolineano che gli ordini di cui trattasi non implicano la valutazione della competenza del giudice straniero. Essi dovrebbero essere considerati provvedimenti procedurali. A tale proposito, riferendosi alla sentenza 17 novembre 1998, causa C‑391/95, Van Uden (Racc. pag. I‑7091), essi sostengono che la Convenzione non prevede alcun limite ai provvedimenti di natura procedurale che possono essere disposti dal giudice di uno Stato contraente, dal momento che costui è competente ai sensi della Convenzione a conoscere il merito di una controversia.

23
Infine il sig. Turner e il governo del Regno Unito sostengono che l’emanazione di un’inibitoria può contribuire alla realizzazione dell’obiettivo della Convenzione, che consiste nel ridurre al minimo il rischio di contraddizione tra le decisioni ed evitare la moltiplicazione dei procedimenti.

Risposta della Corte

24
Innanzi tutto, occorre ricordare che la Convenzione si basa necessariamente sulla fiducia che gli Stati contraenti accordano reciprocamente ai loro sistemi giuridici e alle loro istituzioni giudiziarie. Questa fiducia reciproca ha consentito la creazione di un sistema obbligatorio di competenza, che tutti i giudici cui si applica la Convenzione sono tenuti a rispettare, e la correlativa rinuncia da parte di questi stessi Stati alle loro norme interne di riconoscimento e di delibazione delle sentenze straniere a favore di un meccanismo semplificato di riconoscimento e di esecuzione delle decisioni giudiziarie (sentenza 9 dicembre 2003, causa C‑116/02 Gasser, Racc. pag. I‑14693, punto 72).

25
Inerisce a tale principio di reciproca fiducia il fatto che, nell’ambito di applicazione della Convenzione, le norme di competenza della Convenzione, che valgono per tutti i giudici degli Stati contraenti, possono venire interpretate ed applicate con pari autorità da ciascuno di essi (v., in tal senso, sentenze 27 giugno 1991, causa C‑351/89, Overseas Union Insurance e a., Racc. pag. I‑3317, punto 23, e Gasser, cit., punto 48).

26
D’altro canto, a parte talune limitate eccezioni, elencate all’art. 28, primo comma, della Convenzione, le quali riguardano solo la fase del riconoscimento o dell’esecuzione e si riferiscono solo a talune norme di competenza speciale o esclusiva non pertinenti nella fattispecie della causa principale, la Convenzione non autorizza il sindacato della competenza di un giudice da parte di un giudice di un altro Stato contraente. (v., in tal senso, sentenza Overseas Union Insurance e a., cit., punto 24).

27
Orbene, il divieto del giudice ad una parte, sotto minaccia di sanzioni, di avviare o di continuare un’azione dinanzi ad un organo giurisdizionale straniero ha l’effetto di pregiudicare la competenza di quest’ultimo a risolvere la controversia. Infatti, dal momento che con un’inibitoria si vieta al richiedente di intentare una siffatta azione, è giocoforza constatare l’esistenza di un’ingerenza nella competenza del giudice straniero, incompatibile, come tale, con il sistema della Convenzione.

28
Malgrado le spiegazioni fornite dal giudice del rinvio e contrariamente a quanto sostenuto da sig. Turner e dal governo del Regno Unito, tale ingerenza non può essere giustificata dal fatto che essa è solo indiretta e mira a impedire un abuso di procedura da parte del convenuto del procedimento nazionale. Infatti, dal momento che la condotta contestata al convenuto consiste nell’avvalersi della competenza di un giudice di un altro Stato membro, la decisione sul carattere abusivo di tale comportamento implica una valutazione della pertinenza della proposizione di un’azione dinanzi a un giudice di un altro Stato membro. Orbene, una siffatta valutazione è contraria al principio della reciproca fiducia che, come ricordato ai punti 24‑26 della presente sentenza, costituisce il fondamento della Convenzione e vieta al giudice, salvo ipotesi particolari non applicabili alla fattispecie nella causa principale, di sindacare la competenza di un giudice di un altro Stato contraente.

29
Supponendo che un’inibitoria possa essere considerata, come è stato sostenuto, un provvedimento di ordine procedurale destinato a tutelare l’integrità del procedimento pendente dinanzi al giudice che lo emette e, in quanto tale, rientrare nell’ambito di applicazione solo della legge nazionale, basti ricordare che l’applicazione delle norme processuali nazionali non deve compromettere l’effetto utile della Convenzione (sentenza 15 maggio 1990, causa C‑365/88, Hagen, Racc. pag. I‑1845, punto 20). Orbene, ciò si verifica nel caso di un’inibitoria come quella di cui trattasi, la quale, come accertato al punto 27 della presente sentenza, ha l’effetto di limitare l’applicazione delle norme di competenza previste dalla Convenzione.

30
L’argomento secondo il quale l’emanazione di inibitorie può contribuire alla realizzazione dell’obiettivo della Convenzione, che consiste nel ridurre al minimo il rischio di contraddizione tra le decisioni ed evitare la moltiplicazione dei procedimenti, non può essere accolto. Da un lato, l’impiego di un siffatto provvedimento priva del loro effetto utile i meccanismi specifici previsti dalla Convenzione in caso di litispendenza e di connessione. Dall’altro, il ricorso a tale strumento può generare situazioni di conflitto per le quali la Convenzione non prevede regole. Infatti, non si può escludere che, nonostante un’inibitoria emanata in uno Stato contraente, un giudice di un altro Stato contraente possa ugualmente emettere una decisione. Del pari, non si può escludere che gli organi giurisdizionali di due Stati contraenti, che autorizzano provvedimenti del genere, emanino due ordini contrastanti.

31
Di conseguenza, occorre risolvere la questione pregiudiziale dichiarando che la Convenzione deve essere interpretata nel senso che osta all’emanazione di un’inibitoria mediante la quale un organo giurisdizionale di uno Stato contraente vieta a una parte del procedimento dinanzi ad esso pendente di proporre o di proseguire un’azione giudiziaria dinanzi ad un organo giurisdizionale di un altro Stato contraente, anche quando tale parte agisce in mala fede allo scopo di ostacolare il procedimento già esistente.


Sulle spese

32
Le spese sostenute dai governi del Regno Unito, tedesco e italiano, nonché dalla Commissione, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.

Per questi motivi,

LA CORTE

pronunciandosi sulla questione sottopostale dalla House of Lords con ordinanza 13 dicembre 2001, dichiara:

1)
La Convenzione 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, quale modificata dalla Convenzione 9 ottobre 1978 relativa all’adesione del Regno di Danimarca, dell’Irlanda e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, dalla Convenzione 25 ottobre 1982 relativa all’adesione della Repubblica ellenica e dalla Convenzione 26 maggio 1989 relativa all’adesione del Regno di Spagna e della Repubblica portoghese, deve essere interpretata nel senso che osta all’emanazione di un’inibitoria mediante la quale un organo giurisdizionale di uno Stato contraente vieta a una parte del procedimento dinanzi ad esso pendente di proporre o di proseguire un’azione giudiziaria dinanzi a un organo giurisdizionale di un altro Stato contraente, anche quando tale parte agisce in mala fede allo scopo di ostacolare il procedimento già pendente.

Skouris

Jann

Timmermans

Gulmann

Cunha Rodrigues

Rosas

La Pergola

Puissochet

Schintgen

Colneric

von Bahr

Così pronunciato in udienza pubblica a Lussemburgo il 27 aprile 2004.

Il cancelliere

Il presidente

R. Grass

V. Skouris


1
Lingua processuale: l'inglese.

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