ISSN 1977-0944

Gazzetta ufficiale

dell’Unione europea

C 283

European flag  

Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

61° anno
10 agosto 2018


Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

535a sessione plenaria del CESE – 60 anni CESE, 23.5.2018 – 24.5.2018

2018/C 283/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito a Le imprese dell’economia sociale come motore dell’integrazione dei migranti (parere d’iniziativa)

1

2018/C 283/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Verso un accordo di associazione UE-Mercosur (parere d’iniziativa)

9


 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

535a sessione plenaria del CESE – 60 anni CESE, 23.5.2018 – 24.5.2018

2018/C 283/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo — Pacchetto merci: rafforzare la fiducia nel mercato unico[COM(2017) 787 final] e sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce norme e procedure per la conformità alla normativa di armonizzazione dell’Unione relativa ai prodotti e per la sua applicazione e che modifica i regolamenti del Parlamento europeo e del Consiglio (UE) n. 305/2011, (UE) n. 528/2012, (UE) 2016/424, (UE) 2016/425, (UE) 2016/426 e (UE) 2017/1369 e le direttive del Parlamento europeo e del Consiglio 2004/42/CE, 2009/48/CE, 2010/35/UE, 2013/29/UE, 2013/53/UE, 2014/28/UE, 2014/29/UE, 2014/30/UE, 2014/31/UE, 2014/32/UE, 2014/33/UE, 2014/34/UE, 2014/35/UE, 2014/53/UE, 2014/68/UE e 2014/90/UE[COM(2017) 795 final — 2017/0353 (COD)] e sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al reciproco riconoscimento delle merci legalmente commercializzate in un altro Stato membro[COM(2017) 796 final — 2017/0354 (COD)]

19

2018/C 283/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla valutazione delle tecnologie sanitarie, che modifica la direttiva 2011/24/UE[COM(2018) 51 final — 2018/0018 (COD)]

28

2018/C 283/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla: Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2006/112/CE per quanto riguarda le aliquote dell'imposta sul valore aggiunto[COM(2018) 20 final — 2018/0005(CNS)] sulla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto per quanto riguarda il regime speciale per le piccole imprese[COM(2018) 21 final — 2018/0006 (CNS)] sulla Proposta modificata di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 904/2010 per quanto riguarda misure di rafforzamento della cooperazione amministrativa in materia di imposta sul valore aggiunto[COM(2017) 706 final — 2017/0248 (CNS)] e sulla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto, in relazione all'obbligo di rispettare un'aliquota normale minima[COM(2017) 783 final — 2017/0349 (CNS)]

35

2018/C 283/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea[COM(2017) 797 final — 2017/0355 (COD)]

39

2018/C 283/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla: Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per l’interoperabilità tra i sistemi di informazione dell’UE (frontiere e visti) e che modifica la decisione 2004/512/CE del Consiglio, il regolamento (CE) n. 767/2008, la decisione 2008/633/GAI del Consiglio, il regolamento (UE) 2016/399 e il regolamento (UE) 2017/2226[COM(2017) 793 final — 2017/0351 (COD)] e sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per l’interoperabilità tra i sistemi d’informazione dell’UE (cooperazione giudiziaria e di polizia, asilo e migrazione)[COM(2017) 794 final — 2017/0352 (COD)]

48

2018/C 283/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull’attuazione del pacchetto sull’economia circolare: possibili soluzioni all’interazione tra la normativa in materia di sostanze chimiche, prodotti e rifiuti[COM(2018) 32 final]

56

2018/C 283/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Strategia europea per la plastica nell'economia circolare[COM(2018) 28 final] e sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa agli impianti portuali di raccolta per il conferimento dei rifiuti delle navi, che abroga la direttiva 2000/59/CE e modifica la direttiva 2009/16/CE e la direttiva 2010/65/UE[COM(2018) 33 final — 2018/0012 (COD)]

61

2018/C 283/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Il futuro dell’alimentazione e dell’agricoltura[COM(2017) 713 final]

69

2018/C 283/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Azioni dell’Unione europea volte a migliorare la conformità e la governance ambientali[COM(2018) 10 final]

83

2018/C 283/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce l’impresa comune europea per il calcolo ad alte prestazioni[COM(2018) 8 final — 2018/0003(NLE)]

89

2018/C 283/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 1343/2011 relativo a talune disposizioni per la pesca nella zona di applicazione dall'accordo CGPM (Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo)[COM(2018) 143 final — 2018/0069 (COD)]

95


IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

535a sessione plenaria del CESE – 60 anni CESE, 23.5.2018 – 24.5.2018

10.8.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 283/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito a «Le imprese dell’economia sociale come motore dell’integrazione dei migranti»

(parere d’iniziativa)

(2018/C 283/01)

Relatore:

Giuseppe GUERINI

Decisione dell’Assemblea plenaria

21.1.2016

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

27.4.2018

Adozione in sessione plenaria

23.5.2018

Sessione plenaria n.

535

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

186/1/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il fenomeno migratorio nella sua recente evoluzione ha messo alla prova il sistema di ingresso nell’Unione europea, determinando un vero proprio «stress test» delle politiche migratorie, sociali, di sicurezza pubblica dell’Unione e dei paesi membri.

1.2.

Il CESE ritiene fondamentale che le istituzioni europee, insieme ai governi dei paesi membri, promuovano politiche coordinate per rendere più chiare, sostenibili ed efficaci le modalità attraverso cui persone provenienti da paesi terzi possono entrare e stabilirsi in Europa, lavorare, diventare cittadini, ottenere protezione internazionale. Il Comitato invita a rivolgere particolare attenzione alle persone migranti che possono essere a rischio di esclusione sociale come, ad esempio, persone malate o con disagio psichico, persone disabili, anziani.

1.3.

Il CESE ha rilevato che le imprese per l’economia sociale hanno saputo declinare i principi comuni della loro azione (1) (inclusiva, sussidiaria e di tutela delle persone più svantaggiate) affrontando la sfida dell’assistenza alle persone migranti in maniera propositiva e mobilitando le comunità di riferimento e i cittadini.

1.4.

Per questa propensione ad essere imprese inclusive, le imprese dell’economia sociale vanno maggiormente riconosciute, pertanto il CESE chiede che la Commissione europea dia priorità a queste forme di impresa nell’impostazione delle politiche dell’UE e nella programmazione dei fondi europei, con particolare riferimento all’impostazione del Pilastro europeo dei diritti sociali, come del resto è stato evidenziato sia nella conferenza sull’economia sociale del 16 novembre 2017, sia nel vertice europeo del 17 novembre 2017 svoltisi a Göteborg.

1.5.

Le imprese dell’economia sociale creano posti di lavoro di qualità in settori ad alta intensità di lavoro e, in particolare, ad alta incidenza di manodopera extra-europea. In queste imprese dell’economia sociale, la dimensione partecipativa ha rilevanza in termini di sicurezza e protezione nel momento in cui si struttura l’attività economica, perché portano all’emersione dall’economia informale e dal lavoro irregolare.

1.6.

Le imprese dell’economia sociale stanno avendo così un ruolo fondamentale, intervenendo su quattro aspetti chiave per il processo di integrazione delle persone migranti: la salute e l’assistenza; l’abitazione; la formazione e l’educazione (in particolare accompagnando alla consapevolezza di diritti e doveri che derivano dallo stabilirsi nell’Unione europea); il lavoro e l’inserimento attivo delle persone migranti nelle società che le ricevono.

1.7.

Il CESE ritiene che, data la loro particolare propensione ad operare nei settori del lavoro di cura e nelle attività della sharing economy e dell’economia circolare, le imprese dell’economia sociale possano favorire e sostenere, oltre che nuova occupazione, anche l’imprenditorialità e l’accesso alle attività economiche di migranti e rifugiati. L’Unione europea deve continuare a promuovere le imprese dell’economia sociale, come una delle leve della crescita e dell’inclusione lavorativa e sociale dei migranti. Il Comitato chiede quindi alle istituzioni europee di dare priorità alle politiche rivolte alle imprese dell’economia sociale, come richiamato anche nel contributo dato al programma di lavoro 2018 della Commissione europea (2).

1.8.

Alla luce delle evidenze che sostengono la validità delle imprese dell’economia sociale per favorire l’inclusione lavorativa e sociale dei migranti, il Comitato invita l’Unione, gli Stati membri e la comunità internazionale a stabilire incentivi per l’occupazione a cui possano accedere le imprese dell’economia sociale che si occupano di inserimento lavorativo.

1.9.

Il Comitato, visto il rapporto sull’avanzamento delle azioni presentato lo scorso novembre 2017, conferma la necessità di un approccio coordinato dell’Unione e dei paesi membri (3). In particolare è evidente che, in assenza di un sistema di ingresso efficace per i migranti, continuerà l’utilizzo improprio delle richieste di protezione internazionale che abbiamo osservato in questi anni. Il Comitato ribadisce con forza che i casi di utilizzo improprio del sistema di protezione internazionale non giustificano l’introduzione da parte di alcuni paesi membri di restrizioni alla possibilità di cittadini di paesi terzi di far domanda di asilo sul proprio territorio.

1.10.

Il CESE incoraggia Commissione e Consiglio a stabilire un maggiore coordinamento con gli Stati di origine e transito delle migrazioni, per costruire prospettive di miglioramento delle condizioni di vita, in particolare alle popolazioni che si muovono per ragioni economiche o a causa di carestie o delle mutazioni climatiche, mentre sarebbe auspicabile una politica estera europea più incisiva verso i Paesi in cui guerre, dittature e persecuzioni causano la fuga di persone.

1.11.

In particolare, il Comitato sollecita l’Unione ad affrontare il fenomeno migratorio sin dalle cause che determinano le necessità di spostamento delle persone: povertà, conflitti, discriminazioni, cambiamento climatico. Una tale azione passa inevitabilmente da un rinnovato impegno dell’Unione europea nell’ambito della diplomazia e della cooperazione internazionale allo sviluppo, anche con un vero e proprio «piano straordinario di investimenti in cooperazione allo sviluppo».

2.   Osservazioni generali

2.1.

Le imprese dell’economia sociale sono un attore chiave dell’economia e della società europea, rappresentano una ricchezza della diversità dell’Unione e contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi della strategia Europa 2020, costruendo un’Europa più intelligente, sostenibile, inclusiva (4).

2.2.

Le imprese dell’economia sociale hanno contribuito significativamente ad affrontare i cambiamenti avvenuti nella società. Le imprese dell’economia sociale sono presenti in molti settori della società e hanno creato iniziative innovative per rispondere al crescente bisogno di assistenza e cura delle persone non autosufficienti, in particolare anziani e persone con disabilità. In molti casi lo hanno fatto incrementando la partecipazione delle donne nel mondo del lavoro, non solo per la loro implicazione diretta nelle imprese dell’economia sociale, ma anche realizzando nuovi servizi per l’infanzia e le famiglie (5). Allo stesso tempo, le imprese dell’economia sociale promuovono la creazione di opportunità di lavoro per persone svantaggiate, rivolgendo particolare attenzione a soggetti potenzialmente a rischio di grave esclusione sociale come persone disabili, soggetti affetti da disagio psichico o da dipendenze da alcol e droghe. Le imprese dell’economia sociale si confermano un soggetto chiave nella promozione del modello sociale europeo (6).

2.3.

Tra le sfide che l’Unione ha dovuto affrontare nel corso degli ultimi anni, ha assunto particolare importanza la gestione del crescente flusso migratorio che ha visto milioni di persone attraversare i confini del continente per fuggire da guerre, fame, persecuzione, condizioni di vita rese estreme dal cambiamento climatico. Il fenomeno ha messo alla prova il sistema di ingresso dei paesi membri, le politiche migratorie, sociali, di sicurezza pubblica. In un certo senso, le politiche migratorie dell’Unione stanno subendo uno «stress test»: è importante cogliere quest’occasione per analizzare con attenzione le reazioni che il sistema sta generando e i segnali che ha prodotto, per poter promuovere interventi mirati e accrescere efficienza e efficacia delle politiche dell’UE.

2.4.

L’integrazione dei nuovi arrivati è un processo dinamico, che muta nel corso del tempo evolvendo assieme al contesto economico, sociale e culturale del paese in cui queste persone si stabiliscono. Questo processo interroga l’Unione, i paesi membri e la società europea innanzitutto su come cittadini non europei possano entrare, stabilirsi, vivere e lavorare nell’Unione, così come ottenere protezione internazionale.

2.5.

Le imprese dell’economia sociale, pur nelle diverse articolazioni con cui operano nei diversi contesti nazionali, hanno saputo declinare i principi comuni della loro azione (inclusiva, sussidiaria e di tutela delle persone più svantaggiate), affrontando la sfida dell’assistenza alle persone migranti in maniera propositiva.

2.6.

Tra le caratteristiche principali degli interventi realizzati dalle imprese dell’economia sociale, sottolineiamo la capacità di mobilitare e coinvolgere le comunità locali di riferimento, attivando reti e partenariati, che migliorano le relazioni con le amministrazioni centrali e locali per organizzare percorsi di assistenza e inclusione che vengono meglio accettati dalle popolazioni locali.

2.7.

Le imprese dell’economia sociale stanno avendo così un ruolo fondamentale, intervenendo su quattro aspetti chiave per il processo di integrazione delle persone migranti: la salute e l’assistenza; l’abitazione; la formazione e l’educazione (in particolare accompagnando alla consapevolezza dei diritti e doveri che derivano dallo stabilirsi nell’Unione europea); il lavoro e l’inserimento attivo delle persone migranti nelle società che li ricevono. Nel fare ciò, le imprese dell’economia sociale e le organizzazioni della società civile costruiscono luoghi di incontro tra cittadini europei e nuovi arrivati, favorendone il dialogo, contribuendo in questo modo a ridurre pregiudizi e paure.

3.   Le migrazioni in Europa: inquadramento degli ultimi anni

3.1.

L’inquadramento del fenomeno migratorio è un’operazione complessa, dato che è caratterizzato da una costante evoluzione. Le guerre, la presenza di regimi dittatoriali, i cambiamenti climatici, le condizioni di estrema povertà e deprivazione hanno creato le premesse per la situazione che viviamo oggi.

3.2.

Secondo le Nazioni Unite, nel 2015 oltre 244 milioni di persone, ovvero il 3,3 % della popolazione mondiale, hanno attraversato le frontiere del proprio paese di origine alla ricerca di rifugio politico, lavoro, condizioni economiche e climatiche più «ospitali» (7).

3.3.

L’Europa ha visto crescere negli ultimi anni il numero di persone che hanno cercato di raggiungerla. In termini assoluti, i dati Eurostat del 2015 mostrano che gli immigrati nell’UE-28 provenienti da paesi terzi sono stati 2,7 milioni, per il 56 % uomini e per il 44 % donne.

3.4.

Il flusso straordinario è particolarmente influenzato dall’instabilità generata dalla guerra, sia in paesi in situazione di conflitto come la Siria, sia in paesi in cui il processo di stabilizzazione post bellica incontra ancora oggi serie difficoltà, come in Iraq e Afghanistan. Difatti, sono questi i paesi da cui è provenuto nel 2016 circa il 54 % dei migranti che hanno cercato rifugio nei paesi dell’Unione (8).

3.5.

Oltre a ciò, resta importante la migrazione di persone che si trovano, nel proprio paese di origine, a versare in gravi condizioni economiche o ambientali. Si tratta in molti casi di persone provenienti dal continente africano, un flusso su cui ha inciso la crescente instabilità dei paesi della costa meridionale del Mediterraneo.

3.6.

In questo contesto, il sistema di regole previste dall’Unione europea ha evidenziato alcune lacune e difficoltà, dimostrando l’insufficiente gestione delle frontiere esterne dell’Unione e l’inadeguatezza della regolazione degli ingressi, evidenziando la necessità di rivedere i principi e le modalità con cui orientare l’azione degli Stati membri.

3.7.

Il Comitato ha affrontato in numerose occasioni il tema delle politiche migratorie (9) e accoglie con favore l’iniziativa della Commissione europea, che ha adottato l’Agenda europea sulla migrazione. In particolare, nel rapporto del novembre 2017, la Commissione è intervenuta per promuovere un maggiore coordinamento tra i paesi dell’Unione e rilanciare il confronto con gli Stati di origine e di transito delle migrazioni (10). Il Comitato auspica che si preveda una revisione del meccanismo delle quote, alla luce della sua difficile attuazione.

3.8.

È importante rivedere quindi lo schema di regole che consente ai migranti di intraprendere percorsi legali di ingresso nell’Unione, sia sapendo tutelare i richiedenti asilo, sia dando l’opportunità a chi fugge da condizioni climatiche ed economiche avverse di trovare nell’Europa un luogo di approdo e contribuire alla crescita dell’Unione, garantendo i loro diritti. Una tale azione attuerebbe le raccomandazioni delle Nazioni Unite per un fenomeno migratorio «che è nell’interesse di tutti che avvenga in maniera sicura e legale, in una forma regolata piuttosto che illegale» (11).

3.9.

Il Comitato accoglie con favore le conclusioni del vertice informale dei capi di Stato e di governo di Göteborg del 17 novembre scorso, in cui si è affrontato il tema della costruzione di un futuro dell’Europa con al centro l’equità del lavoro e la crescita. Il Comitato inoltre sottolinea l’importanza del side event«Quale ruolo per l’economia sociale nel futuro del lavoro» che ha aperto i lavori della riunione di Göteborg, rimarcando il contributo dell’economia sociale nell’accompagnare le politiche dell’Unione.

3.10.

È inoltre incoraggiante l’accordo tra Consiglio e Parlamento europeo che, sul budget 2018 dell’Unione, riconosce tra le priorità di intervento «la crescita economica e la creazione di lavoro, il rafforzamento della sicurezza e affrontare le sfide poste dal fenomeno migratorio» (12).

3.11.

Il Comitato incoraggia le istituzioni europee ad affrontare le criticità che si sono evidenziate nell’applicazione del regolamento di Dublino. Il Parlamento europeo ha adottato il 16 novembre 2017 una risoluzione che propone delle linee di lavoro per la revisione di tale regolamento, con un importante riferimento alla partecipazione di tutti i paesi membri al meccanismo automatico e permanente di collocamento.

4.   Trasformare le criticità in opportunità: le imprese dell’economia sociale come motore di assistenza e inclusione

4.1.

Uno degli elementi che non consente ai nuovi arrivati di intraprendere un percorso di inclusione e di contribuire quindi alla vita economia e sociale delle comunità in cui si stabiliscono è identificabile nell’incertezza del loro status e del protrarsi nel tempo dell’esame delle domande di asilo.

4.2.

Confinare i nuovi arrivati nell’ambito dell’assistenza umanitaria per anni, senza accesso a educazione, formazione professionale e opportunità di reddito impedisce lo sviluppo del loro capitale umano e limita la loro abilità di contribuire positivamente all’economia e alla società del paese che li ospita (13). In questo percorso il Comitato ha recentemente sottolineato il ruolo determinante delle imprese dell’economia sociale nel prevenire il radicalismo e promuovere valori condivisi, pace e non violenza (14).

4.3.

Il Comitato auspica che il dibattito affronti la necessità di verificare l’efficacia degli attuali meccanismi che consentono la presentazione di domande di ingresso da parte di cittadini di paesi terzi per stabilirsi all’interno dell’Unione europea per motivi di lavoro.

4.4.

Allo stesso modo è centrale che l’Unione affronti il fenomeno migratorio sin dalle cause che determinano le necessità di spostamento delle persone: povertà, conflitti, discriminazioni, cambiamento climatico. Una tale azione passa inevitabilmente da un rinnovato impegno dell’Unione europea nell’ambito della diplomazia e della cooperazione internazionale allo sviluppo.

4.5.

Sebbene il suo uso sia stato piuttosto limitato, una revisione del sistema della Blue Card può rispondere anche alle esigenze di nuove possibilità legali di ingressi all’interno dell’Unione. Infatti, il Comitato ha ricordato che è necessaria una strategia europea per attrarre manodopera extra-europea per garantire crescita e prosperità all’Unione. Nel fare ciò si deve tenere conto degli effetti delle migrazioni nei paesi di origine degli immigrati, da sostenere nel loro ulteriore sviluppo oltre che in quello dei loro sistemi di istruzione (15). Il Comitato suggerisce di valutare l’allargamento della platea dei potenziali beneficiari della Blue Card, in particolare tenendo conto di coloro che intendono avviare un’attività di impresa, promuovendo anche l’attenzione all’imprenditoria sociale.

4.6.

In molti casi la società civile si è mobilitata per promuovere percorsi di legalità e trasparenza, collaborando con le istituzioni a livello locale, nazionale e internazionale e fornendo segnali incoraggianti. Il progetto «Corridoi umanitari» realizzato in Italia dalla Comunità Sant’Egidio, la Federazione delle chiese evangeliche in Italia, la Tavola valdese e il governo italiano è un importante esempio di azione pilota. In questo modo è stato possibile per oltre 1 000 persone da febbraio 2016 ad oggi richiedere un percorso di protezione internazionale e ricevere assistenza nella gestione delle domande prima di intraprendere un viaggio verso un paese dell’Unione (16).

4.7.

È auspicabile che si guardi a questi interventi pilota nella costruzione delle future politiche in materia di immigrazione. In particolare, sarebbe opportuno un maggiore coordinamento tra istituzioni internazionali, da un lato per una gestione non episodica di queste forme di ingresso, dall’altro lato per evitare discriminazioni tra i «pochi eletti» che possono beneficiare dei corridoi umanitari, con ampie tutele anche per il percorso successivo alla fase di accoglienza, e i tanti esclusi dai percorsi, che rimangono vittime di trafficanti e percorsi caratterizzati dall’illegalità.

4.8.

Il ruolo delle imprese dell’economia sociale è determinante per l’azione di inclusione sociale e lavorativa che possono svolgere, andando ad attivare le potenzialità della persona migrante che, nella maggior parte dei casi, decide di abbandonare il proprio paese di origine proprio per cercare condizioni di vita migliori e opportunità di lavoro.

4.9.

È stato riconosciuto in numerosi casi l’importante ruolo delle persone migranti nell’Unione, auspicando, ad esempio, il rafforzamento della loro creatività e capacità innovativa. Il raggiungimento di un tale obiettivo è propedeutico alla crescita dei posti di lavoro ma, al tempo stesso, incrementa l’internazionalizzazione dei settori produttivi e favorisce la nascita di legami, anche commerciali, con i paesi di origine dei migranti (17). Rafforzare quindi la capacità inclusiva del tessuto economico e sociale europeo delle persone migranti è fondamentale anche per migliorare l’efficacia delle politiche europee a favore delle PMI, in particolare per la capacità di affrontare mercati sempre più globalizzati, come sottolineato dal parere del CESE sul tema (18).

4.10.

Le imprese dell’economia sociale in molti casi hanno avuto un ruolo importante per questo riconoscimento del ruolo economico e sociale positivo dei migranti, poiché esse creano posti di lavoro di qualità sia in settori ad alta intensità di lavoro che in aree di innovazione tecnologica e digitalizzazione. Tra le attività più importanti vi sono sicuramente quelle realizzate nella cura della persona, nel garantire l’accesso a servizi sociali, servizi all’infanzia e, in generale, all’assistenza alle persone non autosufficienti e a rischio di esclusione sociale. In molti casi questi settori sono quelli a più alta incidenza di lavoratori provenienti da paesi terzi.

4.11.

Tuttavia, in alcuni settori, come quello dell’assistenza, tra i braccianti agricoli, nelle costruzioni e nella ristorazione, permangono molte sacche di occupazione irregolare; proprio per questo è importante promuovere la presenza di imprese dell’economia sociale che hanno dimostrato di poter svolgere un’importante funzione inclusiva e di regolarizzazione dei contratti di lavoro, valorizzando il ruolo della persona migrante e garantendo i diritti dei lavoratori in questi comparti, in coerenza con le politiche europee in materia e contrastando l’abuso delle qualifiche di lavoratore autonomo (19).

4.12.

Nel settore dei lavori di assistenza domiciliare, dove abbiamo una presenza prevalente di donne che vengono impiegate nei lavori di cura direttamente presso le famiglie, spesso si creano condizioni che impediscono una crescita professionale. Uno studio recente sulle determinanti dell’imprenditorialità delle donne migranti ha dimostrato che la mancanza del riconoscimento delle proprie competenze è uno degli elementi che porta all’attivazione auto-imprenditoriale (20). Le imprese dell’economia sociale in questi settori possono svolgere un ruolo importante per la regolarizzazione dal lavoro e il potenziamento delle opportunità di crescita delle persone migranti, se sostenute da adeguate politiche pubbliche.

4.13.

Molte imprese dell’economia sociale che si occupano di inserimento lavorativo di persone svantaggiate, operano in settori che fanno parte della cosiddetta economia circolare: raccolta e trattamento differenziato dei rifiuti, recupero e riuso di materiali, agricoltura sociale, manutenzione del verde pubblico. Questi settori sono un bacino di occupazione importante e la metodologia delle imprese di inserimento lavorativo sembra particolarmente efficace anche per l’inclusione lavorativa di persone migranti.

4.14.

L’occupazione delle persone migranti in molti casi consente di invertire processi di esclusione sociale e impoverimento culturale dell’Unione, andando a rivitalizzare mestieri tradizionali e artigianato in contesti di difficoltà di ricambio generazionale (21). Sono molte infatti le imprese artigianali e del piccolo commercio che vengono avviate da cittadini migranti.

4.15.

Nei progetti di ospitalità per persone migranti molte organizzazioni dell’economia sociale hanno promosso accordi con le istituzioni centrali e le amministrazioni locali per superare le criticità emerse nel sistema e favorire la distribuzione dei nuovi arrivati sul territorio, introducendo il concetto di «accoglienza diffusa» con l’obiettivo di facilitare meccanismi equi di presa in carico da parte delle comunità locali (22).

4.16.

In questi progetti si è data priorità all’attivazione di processi di inclusione delle persone migranti, prevedendo corsi di lingua, percorsi di valutazione delle competenze, corsi di formazione professionale. Si riesce in questo modo a favorire meccanismi di riconoscimento dei percorsi di studio o esperienze professionali pregresse, utili per aumentare le possibilità occupazionali dei nuovi arrivati.

4.17.

Alcune di queste esperienze di «accoglienza diffusa» stanno contribuendo al ripopolamento di aree territoriali marginali, soprattutto nelle zone di montagna, dove la presenza di migranti contribuisce al mantenimento di attività economiche e di servizio (a cominciare dalla scuole) che limitano il rischio di spopolamento di queste aree. In ogni caso, per garantire il successo di questi interventi è necessario che siano accompagnati da politiche occupazionali e di insediamento abitativo.

4.18.

Le imprese dell’economia sociale possono in tali contesti fare da rete con il mondo dell’imprenditoria tradizionale, consentendo alle persone migranti di inserirsi nel mondo del lavoro attraverso percorsi formativi e di tirocinio appositamente predisposti (23).

4.19.

Il modello creato dalle imprese cooperative in questo senso è stato sicuramente quello che ha ricevuto maggiore attenzione da parte della ricerca, che ha indagato in maniera approfondita il ruolo delle cooperative in relazione alle persone migranti. In queste imprese dell’economia sociale, la dimensione partecipativa ha rilevanza in termini di sicurezza e protezione nel momento in cui si struttura l’attività economica, perché portano all’emersione dall’economia informale e dal lavoro irregolare.

4.20.

Un’analisi specifica condotta dall’Organizzazione internazionale del lavoro ha individuato gli ambiti in cui l’intervento delle cooperative incide positivamente sull’inclusione di migranti e rifugiati: inserimento lavorativo; cura e assistenza; educazione e formazione; supporto alla vita quotidiana e all’autonomia; accesso al mercato; accesso alla finanza; assistenza legale e counselling; assistenza per bisogni primari (24).

4.21.

Nella prima e seconda giornata europea delle imprese dell’economia sociale, organizzate dal Comitato nel 2016 e 2017, i casi di studio individuati hanno dimostrato l’attenzione al tema dei migranti (25) evidenziando l’attivazione di percorsi di formazione professionale e inclusione lavorativa, in particolare verso donne migranti.

4.22.

Anche la Commissione europea ha riconosciuto l’importanza delle imprese dell’economia sociale nell’affrontare la sfida delle migrazioni dedicando la Social Innovation Competition 2016 alle idee per l’accoglienza e l’integrazione dei rifugiati (26). Il Comitato auspica che l’attenzione della Commissione su iniziative nei confronti delle migrazioni abbia una continuità nel tempo e che diventi prioritaria nell’impostazione delle politiche dell’UE.

4.23.

Oltre all’importante ruolo svolto per l’inserimento lavorativo, l’educazione e formazione e l’assistenza, molte imprese dell’economia sociale sono attive anche nell’ambito dei progetti per rendere accessibile l’accesso alla casa di abitazione per molti migranti, in particolare per i rifugiati e richiedenti asilo. Questo modello di gestione di immobili da parte delle imprese dell’economia sociale ha raggiunto dimensioni economiche importanti in paesi come l’Italia con migliaia di unità immobiliari messe a disposizione di progetti di inclusione, che spesso servono anche a riqualificare quartieri o zone marginali.

4.24.

Infine, le imprese dell’economia sociale e la società civile nel suo complesso svolgono un’azione determinante nell’accesso ad assistenza e servizi sanitari, riducendo sensibilmente le difficoltà di accesso alla cura. Il Comitato chiede che i paesi membri garantiscano pieno accesso ai sistemi sanitari e ai servizi sociali alle persone migranti senza discriminazioni legate al loro status.

5.   Ulteriori considerazioni del gruppo permanente per le imprese dell’economia sociale del CESE

5.1.

Le imprese dell’economia sociale hanno una particolare propensione e sensibilità ad intervenire nei settori del lavoro di cura, della gestione dei beni culturali e ambientali, nelle attività della sharing economy e dell’economia circolare. Queste imprese possono essere un valido alleato per promuovere politiche di «transizione ecologica» del modello di sviluppo europeo, trovando per altro in queste aree di attività un importante bacino di nuova occupazione.

5.2.

Le imprese dell’economia sociale sostengono e favoriscono la propensione all’imprenditorialità delle persone e favoriscono l’accesso alle attività economiche delle persone a prescindere dalla loro disponibilità economica di un capitale iniziale per intraprendere un’attività. Questo è particolarmente vero per le imprese di tipo cooperativo, per questo sarebbe utile ed importante che nei programmi di cooperazione allo sviluppo realizzati dall’Unione europea nei paesi in via di sviluppo si introducessero programmi di promozione delle imprese dell’economia sociale.

5.3.

Alla luce delle evidenze che sostengono la validità delle imprese dell’economia sociale per favorire l’inclusione lavorativa e sociale di migranti, gli Stati membri andrebbero invitati a stabilire incentivi per l’occupazione a cui possono accedere le imprese dell’economia sociale che fanno inserimento lavorativo. Tali incentivi potrebbero essere validi per un biennio a seguito del riconoscimento dello status di beneficiario di protezione internazionale.

5.4.

Occorre considerare che nei prossimi anni aumenteranno sicuramente i migranti che si metteranno in movimento a causa e per effetto delle pesanti conseguenze dei cambiamenti climatici che stanno provocando un incremento della desertificazione, carestie e catastrofi ambientali. Questo fenomeno costringerà a rivisitare l’artificiale e discriminatoria distinzione tra rifugiati, richiedenti asilo e migranti economici, almeno nei casi in cui questi migranti siano in fuga da carestie e disastri ambientali.

5.5.

Per questo serve infine proseguire l’azione di promozione di uno sviluppo sostenibile e di una transizione ecologica che potrebbe avere anche conseguenze positive per l’economia, valorizzando il contributo che sanno dare le imprese dell’economia sociale nel promuovere crescita, inclusione e benessere, come sottolineato dai recenti pareri del Comitato (27).

Bruxelles, 23 maggio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Sul ruolo delle imprese dell’economia sociale cfr. anche GU C 117 del 26.4.2000, pag. 52.

(2)  EESC contribution to the Commission’s 2018 work programme, in particolare punto 2.4.6 e seguenti.

(3)  «Progress report on the European Agenda on Migration».

(4)  GU C 318 del 23.12.2009, pag. 22.

(5)  In molti contesti queste attività sarebbero state svolte nell’ambito familiare quasi esclusivamente dalla componente femminile, impedendo la partecipazione delle donne al mondo del lavoro.

(6)  GU C 24 del 28.1.2012, pag. 1.

(7)  https://documents-dds-ny.un.org/doc/UNDOC/GEN/N17/002/18/PDF/N1700218.pdf?OpenElement.

(8)  Dati Eurostat — in «Rapporto sulla protezione internazionale» a cura di ANCI, Caritas italiana, Cittalia, Fondazione Migrantes, Servizio centrale dello SPRAR, in collaborazione con UNHCR cfr. anche http://ec.europa.eu/eurostat/web/asylum-and-managed-migration/data/main-tables.

(9)  https://www.eesc.europa.eu/en/policies/policy-areas/migration-and-asylum/opinions.

(10)  Cfr. nota n. 2.

(11)  Report of the Special Representative on Migration of the Secretary General of UN, 3 February 2017.

(12)  http://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2017/11/18/2018-eu-budget-agreement-reached/.

(13)  UNHCR 2003, Framework for durable solutions for refugees and persons of concern, May, Geneva.

(14)  GU C 129 dell'11.4.2018, pag. 11.

(15)  GU C 75 del 10.3.2017, pag. 75.

(16)  http://www.santegidio.org/pageID/11676/Corridoi-umanitari.html.

(17)  GU C 351 del 15.11.2012, pag. 16.

(18)  GU C 345 del 13.10.2017, pag. 15.

(19)  Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all’istituzione di una piattaforma europea per il rafforzamento della cooperazione volta a prevenire e scoraggiare il lavoro sommerso, COM(2014) 221 final; GU C 161 del 6.6.2013, pag. 14; GU C 125 del 21.4.2017, pag. 1.

(20)  Corsi, M., De Angelis, M., Frigeri, D., working paper, The determinants of entrepreneurship for migrants in Italy. Do Italian migrants become entrepreneurs by «opportunity» or through «necessity»? Cfr. anche ILO, Cooperatives and the world of work n. 2, «Cooperating out of isolation: domestic workers’ cooperatives».

(21)  GU C 351 del 15.11.2012, pag. 16.

(22)  http://www.interno.gov.it/it/notizie/carta-buona-accoglienza-nuovo-modello-integrazione.

(23)  Elaborazioni interne, Consorzio «Veneto Insieme». Per ulteriori informazioni http://venetoinsieme.it/.

(24)  Literature review«Cooperatives and Refugees», ILO 2016 (unpublished).

(25)  In particolare il progetto Okus Doma nell’edizione 2016 e il progetto Solidarity Salt nel 2017 (cfr. anche https://www.eesc.europa.eu/en/agenda/our-events/events/2nd-european-day-social-economy-enterprises).

(26)  http://ec.europa.eu/growth/content/4-social-innovators-win-%E2%82%AC200000-2016-european-social-innovation-competition-0_en, cfr. anche http://eusic-2016.challenges.org/how-is-europe-supporting-the-integration-of-refugees-and-migrants/.

(27)  Parere Promuovere azioni a favore del clima da parte di attori non statali, GU C 227 del 28.6.2018, p. 35 e parere Nuovi modelli economici sostenibili, GU C 81 del 2.3.2018, pag. 57.


10.8.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 283/9


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Verso un accordo di associazione UE-Mercosur»

(parere d’iniziativa)

(2018/C 283/02)

Relatore:

Josep PUXEU ROCAMORA

Correlatore:

Mário SOARES

Decisione dell’Assemblea plenaria

15/02/2018

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

 

 

Sezione competente

Relazioni esterne

Adozione in sezione

26.4.2018

Adozione in sessione plenaria

23.5.2018

Sessione plenaria n.

535

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

185/3/7

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE ritiene che la conclusione dei negoziati su un buon accordo di associazione tra l’UE e il Mercosur, protrattisi troppo a lungo, sarebbe molto utile per le due parti, a cominciare dell’UE, che otterrebbe dalla firma del trattato di associazione, specie a medio e lungo termine, importanti vantaggi, tra cui l’accesso a un mercato di quasi 300 milioni di persone. Inoltre, il Mercosur potrebbe diversificare le sue economie e aggiungere valore alle sue esportazioni, come pure accedere ad un mercato di 500 milioni di persone. L’accordo di associazione dovrebbe essere anzitutto il risultato di un dialogo trasparente e partecipativo.

1.2.

L’attuale panorama internazionale, la diminuzione della fiducia dei cittadini nell’idea che la globalizzazione avvantaggi tutti, l’aumento del protezionismo commerciale con l’adozione di nuove barriere tariffarie e la preferenza per i negoziati bilaterali anziché multilaterali, dovrebbero incoraggiare la conclusione di un accordo auspicato da operatori di primo piano dei due continenti. La Brexit costituisce un dato rilevante, che andrebbe tenuto presente nei negoziati.

1.3.

Il CESE accoglie con soddisfazione la relazione del Parlamento europeo sul nuovo quadro per le relazioni dell’UE con l’America latina, così come l’elaborazione, da parte del SEAE, di una comunicazione in cui tale organo passa in rassegna le relazioni strategiche con l’America latina nell’ambito della sua strategia globale di politica estera. Queste iniziative, che sottolineano l’interesse strategico che l’America latina riveste per l’UE e dimostrano che le relazioni tra le due regioni devono essere più che commerciali, coincidono cronologicamente con altre, promosse dalla società civile (1), da centri accademici o da gruppi di riflessione (2).

1.4.

Per il CESE un accordo di questo tipo sarà possibile solo se sarà equilibrato, se apporterà, a medio e lungo termine, vantaggi ad entrambe le parti e se non sacrificherà nessun settore (come l’agricoltura o l’industria), nessuna regione e nessun paese in particolare. In nessun caso l’accordo di associazione potrà basarsi su un cattivo negoziato. In considerazione di tutto quanto si riferisce alla cooperazione e al dialogo politico (due dei tre pilastri essenziali dell’accordo di associazione), il CESE chiede alle parti negoziali la volontà politica necessaria per concludere l’accordo e il massimo impegno per superare le differenze che attualmente si ripercuotono sulla dimensione commerciale, riconoscendo gli aspetti sensibili di taluni settori inclusi nel negoziato e utilizzando a tal fine il riconoscimento delle asimmetrie, il monitoraggio dei punti concordati, le misure di accompagnamento e di compensazione, la creazione di deroghe, i programmi di sviluppo a favore dei settori maggiormente colpiti, la promozione di investimenti, le politiche d’innovazione, le clausole compensative, transitorie ed evolutive. Sarebbe inoltre necessario includere tutte le politiche dell’UE nelle misure di accompagnamento, tra le altre.

1.5.

Per il CESE le profonde trasformazioni digitali in corso sulle due sponde dell’Atlantico potrebbero costituire un importante fattore propulsivo per trarre maggiori vantaggi dalla firma dell’accordo di associazione tra l’UE e il Mercosur. Tra i settori potenzialmente beneficiari andrebbe considerato il rafforzamento delle catene globali del valore, attualmente molto deboli, tra l’UE e il Mercosur. L’accordo di associazione sarebbe inoltre rilevante in tutto ciò che riguarda la costruzione di infrastrutture, specialmente di interconnessione, per lo sviluppo delle energie rinnovabili e, in particolare, per il settore delle telecomunicazioni, a cominciare dal lancio del sistema 5G sia nell’UE che in America latina.

1.6.

Il CESE invita in ogni caso le parti negoziali e soprattutto l’UE, a valutare l’enorme costo politico, economico e di opportunità che deriverebbe da un mancato accordo o un accordo non equilibrato per entrambe le parti. Evidentemente il costo di un mancato accordo non va calcolato considerando i soli paesi del Mercosur, ma deve includere l’intera America latina, e in particolare i paesi dell’Alleanza del Pacifico (3), divenuta ormai uno dei principali punti focali dell’attenzione europea per il processo di integrazione regionale latinoamericano.

1.7.

Per il CESE è essenziale che l’accordo di associazione sia ambizioso e tenga conto di tutti gli aspetti delle relazioni tra l’UE e il Mercosur. Bisogna considerare i recenti accordi di libero scambio con il Canada e il Giappone. È importante, in tal senso, affrontare gli ostacoli reali con cui si misurano le imprese attraverso l’armonizzazione delle norme e le ripercussioni sulle barriere non commerciali.

1.8.

L’accordo di associazione dovrebbe comprendere una dimensione sociale, lavorativa e ambientale che lo coinvolga integralmente. La presenza di questa dimensione dovrebbe garantire che le relazioni economiche siano conformi agli obiettivi sociali e ambientali stabiliti e tali da non pregiudicare le norme e le garanzie che regolano lo sviluppo sostenibile (4). Occorre anche sottolineare l’importanza della sicurezza alimentare.

1.9.

Il CESE ritiene che gli standard fitosanitari dell’UE debbano formare oggetto di un’attenzione specifica ed essere salvaguardati in qualsivoglia accordo di associazione, al fine di garantire la protezione dei consumatori e dei produttori in relazione al commercio equo.

1.10.

Il CESE ritiene che l’accordo di associazione dovrà essere uno strumento attivo per la promozione del dialogo sociale e del rispetto delle convenzioni fondamentali dell’OIL, in particolare quelle relative al lavoro dignitoso e quelle comprese nella Dichiarazione sui principi e diritti fondamentali nel lavoro del 1998. A questo proposito, il CESE chiede che venga inserito un capitolo socioprofessionale rafforzato, per affrontare i problemi del mondo del lavoro e promuovere il dialogo tra datori di lavoro e lavoratori, che potrebbe dare impulso a una maggiore coesione sociale. Tale capitolo dovrebbe riconoscere i documenti in materia di lavoro già adottati dalle due parti, ossia la Carta dei diritti fondamentali dell’UE e la Dichiarazione socioprofessionale del Mercosur. In tal modo l’accordo di associazione garantirà che la violazione dei principi e dei diritti nel luogo di lavoro non possa essere utilizzata come legittimo vantaggio concorrenziale tra le parti, o nel commercio internazionale. Occorrerebbe pertanto inserire meccanismi volti a garantire la conformità.

1.11.

Il CESE chiede che, nel corso dei negoziati, tanto il Foro consultivo economico e sociale del Mercosur (FCES) quanto il CESE stesso siano coinvolti, in quanto organi rappresentativi della società civile delle due regioni, nelle valutazioni dell’impatto dell’accordo di associazione e nelle proposte derivanti da tali valutazioni (per il CESE è fondamentale non solo analizzare a priori l’impatto di un potenziale accordo ma anche istituire meccanismi per valutare a posteriori il rispetto e l’evoluzione delle questioni oggetto dell’accordo), nell’elaborazione di un capitolo dell’accordo specificamente dedicato alla dimensione sociale, lavorativa e ambientale.

1.12.

Il CESE chiede inoltre che venga istituito un comitato misto di monitoraggio della società civile composto dal CESE e dal FCES. Detto organo dovrà avere:

carattere consultivo;

una composizione paritaria e equilibrata tra i tre settori di interesse rappresentati nelle due istituzioni;

la facoltà di esprimersi in merito a tutti gli ambiti coperti dall’accordo di associazione (compreso quindi un capitolo sul commercio e lo sviluppo sostenibile);

una capacità riconosciuta di interloquire direttamente con gli altri organi congiunti dell’accordo di associazione e

la possibilità di essere consultato da detti organi, nonché esprimersi di propria iniziativa, elaborare il proprio regolamento interno e ricevere dalle rispettive autorità politiche finanziamenti adeguati per il disbrigo delle sue funzioni.

1.13.

Il CESE ritiene non necessaria e inefficace la doppia rappresentanza della società civile, nell’ambito generale dell’AA e nel capitolo sul commercio e lo sviluppo sostenibile. Ritiene che l’accordo di associazione sia un insieme che interessa tutti i paesi di entrambe le parti. Il CESE esorta i negoziatori a imparare dall’esperienza di altri accordi di associazione (5), nel cui ambito sono stati istituiti gruppi consultivi interni della società civile da ciascuna parte, senza alcuna possibilità di dialogo riconosciuta negli accordi. Gli evidenti limiti di questo modello dimostrano che non ha senso che ciascun paese del Mercosur abbia un gruppo consultivo interno per la partecipazione indiretta della società civile all’accordo di associazione, tanto più quando entrambe le parti dispongono di organi consultivi indipendenti, equilibrati, rappresentativi e adatti ad adempiere al loro mandato a norma dell’accordo di associazione.

2.   Introduzione

2.1.

Il Mercosur ha un’estensione territoriale di 12 800 000 km2, una popolazione di 293 milioni di abitanti e una densità di 22,9 abitanti per km2. Esso rappresenta la sesta economia mondiale con un PIL che raggiunge 2 000 miliardi di dollari. Inoltre comprende due membri di pieno diritto del G20: l’Argentina e il Brasile. La presidenza argentina del G20 nel 2018 dà un’idea dell’importanza crescente della regione.

2.2.

Dopo la firma di un accordo quadro interregionale nel dicembre 1995, l’UE e il Mercosur hanno iniziato a negoziare un accordo di associazione. Date le difficoltà tra le parti (controversia sui modelli produttivi agricoli e sulla loro incidenza nel mercato, percezione del protezionismo industriale e nel settore dei servizi nell’UE e nel Mercosur), i negoziati sono stati sospesi nel 2004, essenzialmente per le aspettative delle due parti nei confronti del ciclo negoziale di Doha. Al vertice America Latina, Caraibi e UE del 2010 si è deciso di rilanciare i negoziati. Le prospettive di concludere l’accordo alla fine di quest’anno erano incoraggianti, però data l’impronta essenzialmente politica che i governi del Mercosur hanno dato all’integrazione regionale e alla loro relazione con l’UE, i negoziati si sono nuovamente raffreddati, sebbene siano successivamente ripartiti, nel 2013, grazie a un cambio di atteggiamento del governo brasiliano.

2.3.

Con l’emergere, su entrambe le sponde dell’Atlantico, di minacce contro le democrazie partecipative e la piena applicazione delle libertà, il CESE sottolinea che l’accordo di associazione UE-Mercosur dovrebbe promuovere in modo fermo i valori, i principi e i quadri politici democratici nazionali e internazionali.

2.4.

In considerazione dell’impatto mutevole che il negoziato tra il Regno Unito e l’UE potrebbe avere sull’accordo di associazione, il CESE ritiene che tali questioni dovrebbero essere affrontate in maniera dinamica, tenendo conto delle ripercussioni future più probabili (6).

3.   Le componenti strategiche dell’accordo di associazione UE-Mercosur

3.1.

La firma di un accordo di associazione con il Mercosur dovrebbe iscriversi nel contesto di una politica estera europea per l’America latina, basata sul carattere speciale delle relazioni biregionali, molto diverse da quelle che intercorrono con qualsiasi altra regione del mondo. Malgrado le notevoli difficoltà (frammentazione della regione), il rafforzamento delle relazioni con l’America latina favorirebbe l’UE, così come il rafforzamento delle relazioni con l’UE favorirebbe l’America latina.

3.2.

È necessaria una forte volontà politica per concepire e promuovere l’accordo di associazione non solo come accordo di libero scambio, bensì anzitutto come un accordo strategico globale, che aspiri ad offrire a tutti i soggetti economici e sociali di entrambe le parti vantaggi a lungo termine in termini di sviluppo, sicurezza, processi migratori e sfide ambientali, e anche per utilizzare tutti i meccanismi esistenti per valutare le asimmetrie tra le due regioni, ridurre gli effetti negativi della liberalizzazione degli scambi per taluni settori, colmare il ritardo di integrazione del Mercosur e fissare la partecipazione sociale e la trasparenza come elementi essenziali delle relazioni biregionali.

3.3.

L’accordo di associazione rappresenta una grande opportunità per avanzare verso la realizzazione di obiettivi strategici globali di interesse comune. Esso sarebbe un mezzo per avere una presenza politica ed economica internazionale in un contesto in l’economia e la politica si spostano dall’Atlantico al Pacifico. Al di là degli accordi vigenti nell’ambito dell’Associazione latinoamericana di integrazione (ALADI), il Mercosur non ha trattati di libero scambio né con gli Stati Uniti, né con le grandi potenze asiatiche. È questa una delle differenze con l’Alleanza del Pacifico. Fuori dell’America Latina, il Mercosur ha vari tipi di accordi con il Sudafrica, l’India, il Pakistan, la Turchia e il Marocco, e trattati di libero scambio con l’Egitto, l’Autorità palestinese e Israele. Da parte sua, l’UE ha concluso più di 50 accordi commerciali con diversi paesi del mondo. In America latina e nei Caraibi con il Messico, il Cile, l’America centrale, il Perù, la Colombia, l’Ecuador e il Cariforum. In definitiva, l’accordo di associazione tra l’UE e il Mercosur comporrebbe un blocco biregionale dotato di un grande peso specifico sulla nuova scena mondiale.

3.3.1.

La deriva protezionista, che ha raggiunto un livello globale, sta avendo un forte impatto nell’economia internazionale. L’Accordo di associazione tra l’UE e il Mercosur potrebbe rafforzare l’area atlantica e segnalare l’esistenza di una modalità alternativa per le relazioni commerciali e per stimolare il progresso delle nazioni e delle regioni. Questa nuova generazione di accordi di libero scambio, che tiene conto delle preoccupazioni dei cittadini vulnerabili a causa della perdita del lavoro, del reddito e della sicurezza, è la risposta migliore tanto al crescente protezionismo, quanto al rischio di un politica commerciale che lascia i cittadini senza protezione.

3.3.2.

Sebbene il Mercosur non abbia firmato un trattato con la Cina, la presenza cinese nella regione è cresciuta in maniera esponenziale negli ultimi anni. L’Argentina e il Brasile sono due elementi essenziali della penetrazione cinese, come dimostrano non solo il commercio, ma anche l’aumento degli investimenti esteri diretti e il sostegno finanziario al rafforzamento delle infrastrutture.

3.3.3.

Con la firma dell’accordo di associazione, l’UE potrebbe trovare nel Mercosur un alleato strategico per l’obiettivo europeo di promuovere su scala mondiale la tutela dell’ambiente. L’ambiente è oggi uno dei temi che più preoccupano gli Stati, i cittadini e il sistema multilaterale, e l’UE è all’avanguardia nelle politiche e nelle tecnologie verdi. Le risorse naturali sono uno dei principali punti forti del Mercosur, ma la regione è tra le più minacciate dai cambiamenti climatici. In tale contesto occorre dedicare particolare attenzione alla revisione e all’eliminazione, nel medio periodo, di pratiche agricole e zootecniche intensive non sostenibili.

3.3.4.

Per garantire un adeguato sostegno alla realizzazione di tale obiettivo, sarebbe necessario includere nell’accordo di associazione contenuti efficaci in materia di energia, ambiente, cambiamenti climatici, scienza, tecnologia e innovazione. Questi temi dovrebbero essere prioritari nel contesto della cooperazione allo sviluppo.

3.4.

È altresì importante tenere conto delle lezioni apprese nel quadro delle alleanze con altri paesi della regione, dato che ciò consentirà di costruire basi solide e il contesto adeguato affinché gli investimenti, sia europei che locali, sviluppino in maniera sostenibile tutto il loro potenziale di generazione di ricchezza, occupazione e benessere.

4.   Aspetti sensibili del negoziato

4.1.

I vantaggi di un accordo di associazione tra UE e Mercosur non nascondono le difficoltà del negoziato, riassunte in cinque punti: i) la complessità dell’agenda negoziale riguardo i contenuti commerciali, industriali e dei servizi, nel quadro dell’accordo; ii) i potenziali squilibri da entrambi i lati nell’agricoltura; iii) le debolezze strutturali nell’integrazione del Mercosur, che limitano il libero scambio; iv) la dimensione sociale ed ambientale dell’accordo di associazione; v) la diseguale volontà politica delle parti di giungere ad un accordo e la disponibilità ad avvalersi di tutti i possibili meccanismi compensativi, dentro e fuori dell’accordo, per raggiungerlo. Tutti questi aspetti sono analizzati nel presente documento in modo non esaustivo e sulla base della documentazione disponibile al momento.

4.1.1.

Per quanto riguarda gli scambi, dopo lunghi negoziati, le difficoltà sono state individuate. Dal punto di vista europeo, esse riguardano soprattutto il settore agroalimentare del Mercosur. Si temono in particolare impatti negativi per zucchero, carni bovine, pollame, carni suine e ortofrutticoli. Si nutrono inoltre timori riguardo: il protezionismo in campo industriale (automobili e prodotti chimici come l’etanolo) e per alcuni prodotti agricoli trasformati (tra cui il vino); il rischio di mancata osservanza delle norme di protezione delle denominazioni di origine; le norme di sicurezza alimentare e di tutela dell’ambiente caratterizzate da requisiti poco elevati; la mancanza di trasparenza degli appalti pubblici.

4.1.2.

Per l’UE è fondamentale mantenere gli standard di produzione raggiunti a vantaggio dei consumatori e della produzione. Gli aspetti della sicurezza alimentare, della tutela ambientale e del benessere animale (comprese le tecniche di alimentazione) vanno considerati nella prospettiva di una chiara reciprocità. L’accordo di associazione deve sancire in maniera chiara l’utilizzazione e il rispetto delle norme di utilizzazione dei prodotti fitosanitari e zoosanitari. Occorre inoltre definire, per l’insieme del commercio tra le parti, sistemi di verifica, efficaci e confrontabili, tanto dei processi produttivi, quanto del trasporto e dell’abbattimento nel caso dei prodotti dell’allevamento. Analogamente, il capitolo sul rispetto delle indicazioni geografiche protette è essenziale per la difesa di un patrimonio comune europeo accumulato negli anni e per la lotta contro il plagio e la frode.

4.1.3.

I prodotti soggetti a contingenti, zucchero, etanolo, carni bovine, dovrebbero essere assoggettati a un sistema di monitoraggio permanente e omologato, affinché siano adottate misure di compensazione in caso di perturbazioni significative, e per prevenire l’abbandono della produzione locale. Per gli ortofrutticoli, in caso di rinuncia alla protezione del meccanismo dei prezzi d’entrata, si dovrebbe costituire un osservatorio sul funzionamento del mercato, per salvaguardare gli interessi dei produttori delle due parti; si potrebbe quindi ricorrere a gruppi di lavoro per lo scambio di previsioni e le comunicazioni in merito a eventi che distorcano il mercato.

4.2.

Dalla prospettiva del Mercosur l’accento cade sull’agricoltura. Le preoccupazioni europee potrebbero ridursi se si conseguisse una conformità alle stesse norme (ambientali, di sicurezza alimentare, di benessere animale ecc.) tanto nella produzione europea quanto nei prodotti importati dal Mercosur. L’accordo tuttavia non dovrebbe far aumentare la dipendenza alimentare di nessuna delle parti, e dovrebbe comprendere gli elementi necessari per evitare il ricorso a modelli insostenibili di agricoltura, tenendo costantemente conto degli interessi dei consumatori.

4.3.

Per quanto concerne i prodotti industriali, dove le barriere sono inferiori, un’intesa sembra più possibile, come è avvenuto, ad esempio, con l’Accordo tra l’UE e la Corea del Sud sul settore automobilistico. Altri temi quali la proprietà intellettuale, particolarmente sensibili per alcuni paesi del Mercosur, ad esempio il Brasile, potrebbero infine includere clausole evolutive o transitorie, secondo quanto stabilito nell’ambito dell’OMC. A questo proposito, il CESE ritiene che si potrebbe elaborare, tra altre iniziative, un programma sulla proprietà industriale che promuova il trasferimento di tecnologie e aiuti a instaurare un sistema di brevetti valido tra l’UE e il Mercosur, e che potrebbe essere esteso a tutta l’America Latina.

4.4.

Le debolezze strutturali del Mercosur possono ostacolare l’accordo di associazione. Si evidenziano le limitazioni derivanti dalla limitatezza delle infrastrutture di interconnessione e dal basso livello di integrazione delle catene di valore regionali, in un territorio tre volte maggiore di quello dell’UE. Rientrano in tale contesto il basso livello del commercio intraregionale, la predominanza del commercio extraregionale, un’unione doganale incompleta, lo scarso coordinamento delle politiche macroeconomiche e la debolezza delle istituzioni regionali. Un esempio è dato dall’assenza di una corte di giustizia sovranazionale del Mercosur, in grado di emettere sentenze vincolanti per i governi, o dalla scarsa efficacia del sistema di risoluzione pacifica delle controversie.

4.4.1.

Il nuovo codice doganale comune del Mercosur, adottato nel 2010, non è ancora in vigore, motivo per cui continua a vigere la tariffa esterna comune. Più che un’unione doganale, il Mercosur è una zona di libero scambio.

4.5.

Nondimeno l’attuale negoziato con un Mercosur a quattro (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay) costituisce una dato che l’UE deve valutare molto positivamente. Il possibile ampliamento del blocco, con nuove adesioni in prospettiva, renderebbe più difficili i termini del negoziato.

4.6.

Il CESE è favorevole alla creazione di un tribunale multilaterale per la risoluzione delle controversie in materia di investimenti (7) e auspica che i paesi del Mercosur, nonché i paesi associati, aderiscano a tale iniziativa, al fine di garantire una maggiore certezza del diritto, sia per gli investitori latinoamericano che per quelli europei. Inoltre riteniamo che un’eventuale futura adesione all’OCSE dovrebbe essere subordinata all’effettiva attuazione e applicazione dei loro accordi con l’UE e alla creazione di un clima di certezza del diritto e di pieno rispetto della legalità in relazione a tutti gli attori economici e sociali di entrambe le sponde dell’Atlantico.

5.   Potenzialità e opportunità dell’accordo di associazione

5.1.

L’accordo di associazione che l’UE e il Mercosur stanno negoziando va ben oltre un accordo di libero scambio, poiché prevede altri due elementi che lo contraddistinguono, il dialogo politico e la cooperazione. In un contesto di minacce per il multilateralismo, di impennate protezionistiche e di avvisaglie di guerre commerciali, è il momento per l’UE di dimostrare il suo impegno strategico per l’America latina in generale e per il Mercosur in particolare, cogliendo opportunamente le possibilità che si offrono.

5.2.

In considerazione del territorio, della popolazione e dell’attuale interscambio commerciale di oltre 84 miliardi di euro all’anno, la conclusione di un accordo di associazione tra l’UE e il Mercosur consentirebbe di rafforzare il ruolo dei due blocchi sulla scena internazionale, dando vita a una grande area di integrazione economica, con ricadute positive per entrambe le parti e esternalità positive anche nel resto dell’America Latina. Pertanto, l’accordo di associazione con il Mercosur dev’essere vantaggioso per entrambe le parti.

5.3.

L’UE è la prima economia del mondo, e il Mercosur la sesta. I paesi del Mercosur hanno iniziato a diversificare le loro economie, con una forte componente agroalimentare, ma anche con una crescente base industriale, alimentata da apprezzabili risorse energetiche e tecnologiche. Gli sforzi di diversificazione economica, in particolare quelli tendenti a dare un maggior valore aggiunto alle esportazioni provenienti dal Mercosur, rappresentano una grande opportunità per le imprese europee, specie tecnologiche e dei servizi.

5.4.

Tra il 2012 e il 2016, soltanto il Paraguay ha mantenuto il suo ritmo di crescita, con un tasso dell’8,4 %, mentre tale ritmo è rallentato in Argentina (1,4 %) e Uruguay (2,9 %). Il Brasile ha subito una contrazione dell’1,4 %. La ripresa, tuttavia, si sta già facendo sentire in Argentina e in Brasile, e le previsioni a medio termine sono incoraggianti.

5.5.

La certezza del diritto esistente nei quattro paesi del Mercosur rappresenta un elemento rilevante di cui tenere conto, sebbene possa e debba essere migliorata. La corruzione è divenuta un fattore di crescente preoccupazione sociale per entrambe le parti.

5.6.

L’importanza qualitativa e quantitativa del mercato regionale varia notevolmente in funzione delle dimensioni dei paesi Mercosur. In termini relativi, si constata che i paesi di minori dimensioni partecipano in misura maggiore al commercio con l’Europa. Nel 2015 faceva capo all’UE oltre il 40 % del commercio del Paraguay, circa il 30 % di quello dell’Uruguay e quasi un quarto di quello dell’Argentina, ma meno del 10 % di quello del Brasile. Queste cifre sono simili sia per le esportazioni che per le importazioni.

5.7.

Gli investimenti diretti esteri dell’UE nel Mercosur sono uno dei punti di forza della sua presenza, e superano quelli dell’UE in Cina, India e Russia messi insieme (8). Il commercio europeo con i paesi del Mercosur ha un grande potenziale di crescita, nonostante l’aumento dell’import-export con la Cina. Bisogna tuttavia tenere conto dell’eccessiva dipendenza dalle esportazioni di materie prime del Mercosur in Cina.

5.8.

La presenza di PMI europee nei paesi del Mercosur è aumentata negli ultimi anni e alcune piccole e medie imprese del Mercosur iniziano a penetrare nel mercato europeo. L’accordo di associazione tra l’UE e il Mercosur rappresenterebbe per le PMI europee un’eccellente opportunità di rafforzare la loro presenza e la loro attività nella regione.

5.8.1.

L’UE esporta principalmente manufatti, beni strumentali, materiale di trasporto e prodotti chimici, e importa prodotti alimentari ed energetici. Il raggiungimento di un accordo di associazione equilibrato avrebbe un enorme potenziale di creazione di ricchezza, a condizione di consentire che gli imprenditori, i lavoratori e l’insieme della società ne traggano beneficio, soprattutto se fosse in grado di aprire la strada agli investimenti, specie in nuove attività basate sull’utilizzazione intensiva della conoscenza e su un’occupazione di qualità. Esso stimolerebbe inoltre la nascita di piccole e medie imprese, attraverso la creazione di posti di lavoro in rete, e incoraggerebbe l’innovazione e la democratizzazione delle nuove tecnologie, contribuendo alla loro diffusione, in particolare nel campo dell’informazione e della comunicazione. Se si creeranno le condizioni necessarie, sia gli investimenti in tecnologia che l’aumento degli scambi commerciali biregionali potrebbero dare impulso alla creazione di posti di lavoro.

5.8.2.

D’altro canto vi sono fattori specifici che costituirebbero non soltanto opportunità d’affari, ma anche un contributo importante a uno sviluppo sostenibile: la costruzione di infrastrutture inclusive e rispettose dell’ambiente, in grado di facilitare l’accesso a servizi di base in un nuovo quadro di sviluppo urbano e di favorire la coesione territoriale; la promozione di investimenti nell’ingegneria e nelle tecnologie di mitigazione del riscaldamento globale; l’impiego di energie sostenibili, in un quadro di diversificazione mediante fonti rinnovabili non convenzionali, e di sfruttamento dell’esperienza delle imprese europee in questo ambito per progredire verso un’economia verde.

5.8.3.

Per di più, in circostanze adeguate, un buon accordo di associazione potrebbe promuovere il benessere economico e sociale nelle due regioni, e questo si ripercuoterebbe sicuramente sulla creazione di posti di lavoro, ad esempio, mediante:

nuove opportunità commerciali per le imprese operanti in settori non tradizionali, come le nuove tecnologie, l’economia verde e le reti sociali;

l’espansione dei mercati tradizionali nei settori delle telecomunicazioni, dell’industria automobilistica, dell’industria farmaceutica, dell’elettricità e dei servizi bancari;

l’apertura di nuovi mercati per le PMI;

l’approvvigionamento di risorse naturali e di alimenti, di pari passo con la salvaguardia della biodiversità e la sostenibilità ambientale;

la promozione dell’economia sociale, democratica e solidale quale meccanismo di miglioramento del tessuto socioeconomico e di regolarizzazione dell’economia sommersa.

5.9.

Un accordo di associazione con il Mercosur consentirebbe all’UE di rendere più stretti i legami economici e geopolitici con un partner strategico. Nel caso di una sua conclusione immediata, questo accordo biregionale sarà il primo di una certa importanza firmato dal Mercosur, cosa che consentirà all’UE di precedere altri concorrenti internazionali, come gli Stati Uniti, la Cina, o anche l’India, la Russia e la Corea del Sud. L’accordo di associazione rafforzerebbe inoltre il partenariato strategico (che esclude il commercio) con il Brasile, paese di grande rilevanza geopolitica internazionale. L’accordo rafforzerebbe la presenza europea in America latina, una regione con notevoli riserve di energia, alimentari e idriche, tre risorse fondamentali nel ventunesimo secolo. Esso potrebbe contribuire a rafforzare i legami economici e geopolitici tra l’Atlantico e il Pacifico.

5.10.

Un accordo di associazione con l’UE sarebbe vantaggioso per il Mercosur anche da un punto di vista strategico. Da una lato, esso aiuterebbe a rafforzare la sua posizione a livello regionale e favorirebbe gli sforzi di avvicinamento all’Alleanza del Pacifico. Dall’altro, accrescerebbe la capacità negoziale del Mercosur a livello internazionale, e potrebbe riequilibrare alcune asimmetrie dei paesi del Mercosur (e dell’America latina in generale) nelle loro relazioni commerciali e finanziarie con altri concorrenti internazionali. Il Mercosur trarrebbe beneficio dai trasferimenti nel campo tecnologico, scientifico e dell’istruzione, e acquisirebbe un importante alleato nel contesto multilaterale in questioni che lo investono pienamente, quali i cambiamenti climatici, lo sviluppo sostenibile o la lotta contro le minacce globali.

5.11.

Il CESE apprezza la volontà politica delle parti in materia di cooperazione, e incoraggia le parti a fare un uso efficace degli strumenti finanziari esistenti per l’approfondimento della cooperazione nei settori seguenti:

istruzione, formazione e scambi universitari: Erasmus UE-Mercosur;

collaborazione in materia di ricerca, sviluppo e innovazione tra università, centri pubblici di ricerca e imprese; dare la priorità ai trasferimenti di tecnologia;

progetti di sviluppo e imprenditoriali sostenibili;

coesione sociale: lotta alla povertà e alla disuguaglianza.

6.   La società civile e l’Accordo di associazione (9)

6.1.

Il CESE ritiene che il carattere biregionale del contenuto dell’accordo di associazione sia un elemento fondamentale e distintivo dei negoziati stessi, che costituisce inoltre un punto di riferimento per le relazioni politiche ed economiche in un mondo sempre globalizzato. Convinto dell’utilità del dialogo con la società civile delle controparti della politica esterna dell’UE, il CESE lavora da oltre venti anni con le organizzazioni del Mercosur, sia nel monitoraggio dei negoziati che nel mantenimento di un dialogo permanente e strutturato, inteso a favorire la comprensione reciproca e a permettere di dare un contributo, critico ma costruttivo, alle relazioni tra le due regioni.

6.2.

Il CESE traccia un bilancio indiscutibilmente positivo delle relazioni tra l’UE e il Mercosur. Tali relazioni, che hanno già una lunga storia, si basano sui profondi legami storici, culturali e linguistici e mirano ad approfondire l’integrazione regionale, ad affrontare congiuntamente la gestione di sfide comuni derivanti dalla globalizzazione, e a mantenere indissociabili i settori della coesione sociale e dello sviluppo economico. Le società civili di entrambe le parti hanno tessuto una rete di solidi rapporti, che hanno contribuito a loro volta a un maggiore coordinamento in ciascun settore (datori di lavoro, sindacati, terzo settore).

6.3.

Negli ultimi questo lavoro ha avuto il suo riconoscimento nell’ampia accettazione, da parte dei negoziatori europei, dell’esigenza di introdurre disposizioni per la partecipazione della società civile ad ogni accordo, vincolando tale accordo alla promozione dello sviluppo sostenibile (10). Il CESE accoglie con favore questa evoluzione, ma si rammarica del fatto che negli accordi attualmente in vigore la società civile abbia un ruolo limitato. Sono stati infatti istituiti gruppi consultivi interni per ciascuna delle parti (e per ciascun paese firmatario della parte non europea quando si tratta di una regione) senza che detti accordi prevedano formalmente la possibilità che tali gruppi lavorino insieme. Fatto ancora più grave, l’istituzione dei gruppi consultivi interni dei paesi partner dipende esclusivamente dalla volontà dei loro governi, il che ha condotto a una situazione di squilibrio tra i diversi settori, di mancanza di rappresentatività e di indipendenza nei confronti dei rispettivi governi, di mancanza di interesse, se non di aperta avversione, da parte dei governi che devono istituire tali gruppi.

6.3.1.

Il CESE respinge la possibilità che i negoziati sull’accordo di associazione con il Mercosur conducano ancora una volta a un regime di partecipazione basato sul modello dei gruppi consultivi.

6.4.

Il CESE ricorda ancora una volta che il Mercosur, come la stessa UE, dispone di un’istituzione per la partecipazione e la consultazione della società civile, il Forum consultivo economico e sociale del Mercosur (FCES), che rappresenta in forma paritetica il settore economico, quello del lavoro e altre organizzazioni della società civile. I suoi membri si riuniscono regolarmente e dirigono posizioni consensuali ai responsabili politici della regione. Il sostegno fornito dal CESE al FCES sin dalla sua creazione ha avuto l’obiettivo di evidenziare l’importanza del rafforzamento di tale organismo quale fattore essenziale per l’integrazione sociale ed economica della regione.

6.5.

Il CESE ribadisce i principi di trasparenza e partecipazione, sia nel contesto del negoziato che nell’attuazione dell’accordo di associazione, al fine di favorire un processo virtuoso di fiducia nelle istituzioni, di legittimazione e di titolarità, da parte della società civile, dei negoziati che la riguardano direttamente. Deplora pertanto la mancanza di trasparenza in questi negoziati, che non hanno replicato il valido modello costituito precedentemente nei negoziati per un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti, e chiede che alla società civile di tutte le parti coinvolte nei negoziati, in particolare quelle legate al Mercosur, vengano fornite informazioni sistematiche, significative e rilevanti.

6.6.

Conformemente alle posizioni comuni del CESE e del FCES e agli accordi preliminari raggiunti nel corso dei negoziati anteriori al 2004 e approvati successivamente, nei quali era stati stabilito che entrambe le istituzioni avrebbero ricevuto un mandato congiunto nel quadro dell’accordo di associazione, chiediamo che venga istituito un comitato congiunto di monitoraggio della società civile nel quadro dell’accordo di associazione. Tale comitato dovrà:

essere composto in maniera paritaria dal CESE e dal FCES;

rappresentare i tre settori (economico, del lavoro, altre organizzazioni) in modo equilibrato;

avere funzioni consultive obbligatorie in tutti i settori dell’accordo di associazione, incluso il capitolo commerciale e il monitoraggio dello sviluppo sostenibile;

ricevere dalle parti informazioni precise e aggiornate sugli impatti dell’accordo di associazione;

disporre della capacità di dialogare con gli altri organi congiunti dell’accordo di associazione (consiglio di associazione, comitato di associazione, organo parlamentare misto, commissione intergovernativa per il commercio e lo sviluppo sostenibile);

ricevere le consultazioni dei suddetti organismi, ma anche esprimersi di propria iniziativa;

stabilire il proprio regolamento interno;

ricevere dalle rispettive autorità politiche un finanziamento adeguato per lo svolgimento delle sue funzioni (11).

6.7.

Un comitato congiunto di monitoraggio con le caratteristiche di cui sopra renderebbe più semplice risolvere le controversie che possono sorgere in seguito alla firma dell’accordo di associazione, come pure le potenziali situazioni di blocco. In concreto, e seguendo l’approccio di organismi già in funzione nel quadro di accordi analoghi, il comitato congiunto di monitoraggio dovrebbe monitorare l’impatto dell’accordo di associazione per quanto riguarda il miglioramento dei diritti umani, i diritti sul lavoro, i diritti sociali e ambientali (controllando che non si verifichino casi di dumping sociale o ambientale, finalizzato ad esempio a ottenere vantaggi commerciali) e l’assoluta osservanza delle parti per gli accordi o le convenzioni internazionali che hanno sottoscritto (12). Per loro natura, le organizzazioni della società civile che faranno parte del comitato sono le più adatte a garantire che l’accordo di associazione sia vantaggioso per tutte le parti, nonché a mediare o a facilitare la comunicazione con i settori interessati. A tal fine, il comitato congiunto di monitoraggio dovrà essere in grado di trasmettere le informazioni disponibili su casi individuali, nonché le proprie raccomandazioni agli organismi congiunti dell’accordo di associazione, al fine di ottenere risposte.

6.8.

Il CESE ritiene necessario inserire nell’accordo di associazione una dimensione sociale che, oltre a includere il commercio, vada oltre e abbia come obiettivo generale l’aumento della coesione sociale. Tale dimensione deve in particolare concernere l’impatto dell’accordo sull’occupazione, la tutela degli interessi delle popolazioni locali e dei gruppi maggiormente vulnerabili, la promozione e il rispetto dei diritti umani, la protezione ambientale, i diritti degli immigrati e dei lavoratori in generale, la protezione dei consumatori e la promozione dell’economia sociale. In tal senso l’accordo dovrà includere l’impegno delle parti ad applicare le convenzioni fondamentali dell’Organizzazione internazionale del lavoro, in modo che le violazioni dei principi e dei diritti fondamentali sul lavoro non possano essere invocate o utilizzate come vantaggio comparativo nel commercio internazionale. Analogamente, l’inserimento di un capitolo in materia socioprofessionale, destinato ad affrontare i problemi del mondo del lavoro e a promuovere il dialogo tra imprenditori e lavoratori, potrebbe essere lo strumento adatto per far sì che l’accordo generi occupazione di qualità, migliori le condizioni sociali dei lavoratori e contribuisca in misura significativa a una maggiore ridistribuzione della ricchezza.

Bruxelles, 23 maggio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Parere d’iniziativa Le relazioni strategiche UE-CELAC e il ruolo della società civile (GU C 434 del 15.12.2017, pag. 23).

(2)  Rapporto ¿Por qué importa América Latina? [Perché l’America latina conta?], redatto dall’Istituto reale Elcano.

(3)  L’Alleanza del Pacifico è un’iniziativa di integrazione regionale composta da quattro paesi membri: Cile, Colombia, Messico e Perù. Altri due paesi sono ufficialmente candidati ad accedervi: Costa Rica e Panama.

(4)  Come raccomandato dal CESE nel suo parere Capitoli sul commercio e lo sviluppo sostenibile negli accordi di libero scambio dell’UE (GU C 227 del 28.6.2018, pag. 27).

(5)  America centrale, Ucraina, Georgia e Moldova.

(6)  An Assessment of the Economic Impact of Brexit on the EU 27 [«Valutazione dell’impatto della Brexit sull’UE27»], P/A/IMCO/2016-13 March 2017, PE 595.374 EN.

(7)  REX/501 Tribunale multilaterale per gli investimenti (in corso di elaborazione).

(8)  Gli investimenti diretti esteri dell’UE nel Mercosur ammontavano a 447 700 milioni di EUR nel 2016, superando di molto quelli in Russia (162 000 milioni), Cina (177 700 milioni) e India (72 900 milioni). Fonte: Eurostat.

(9)  Vedere anche le proposte avanzate in precedenza dal CESE nei pareri GU C 347 del 18.12.2010, pag. 48, GU C 248 del 25.8.2011, pag. 55 e GU C 434 del 15.12.2017, pag. 23, e le dichiarazioni finali delle riunioni biennali della società civile organizzata UE-CELAC.

(10)  Disposizioni più o meno sviluppate di questi tipo figurano già negli accordi con l’America centrale, Colombia/Perù/Ecuador, Cile e Cariforum, e saranno inserite nella revisione dell’accordo con il Messico.

(11)  Vedere in proposito la dichiarazione congiunta presentata dal FCES e del CESE ai negoziatori dell’UE e del Mercosur il 23 febbraio scorso, in occasione del ciclo di negoziati di Asunción (Paraguay).

(12)  Varranno come esempi gli obiettivi di sviluppo sostenibile, l’Agenda 2030, l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, le convenzioni fondamentali dell’OIL, le dichiarazioni applicabili nel campo dei diritti umani, le convenzioni internazionali sulla conservazione della biodiversità ecc.


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

535a sessione plenaria del CESE – 60 anni CESE, 23.5.2018 – 24.5.2018

10.8.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 283/19


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo — Pacchetto merci: rafforzare la fiducia nel mercato unico»

[COM(2017) 787 final]

e sulla

«proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce norme e procedure per la conformità alla normativa di armonizzazione dell’Unione relativa ai prodotti e per la sua applicazione e che modifica i regolamenti del Parlamento europeo e del Consiglio (UE) n. 305/2011, (UE) n. 528/2012, (UE) 2016/424, (UE) 2016/425, (UE) 2016/426 e (UE) 2017/1369 e le direttive del Parlamento europeo e del Consiglio 2004/42/CE, 2009/48/CE, 2010/35/UE, 2013/29/UE, 2013/53/UE, 2014/28/UE, 2014/29/UE, 2014/30/UE, 2014/31/UE, 2014/32/UE, 2014/33/UE, 2014/34/UE, 2014/35/UE, 2014/53/UE, 2014/68/UE e 2014/90/UE»

[COM(2017) 795 final — 2017/0353 (COD)]

e sulla

«proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al reciproco riconoscimento delle merci legalmente commercializzate in un altro Stato membro»

[COM(2017) 796 final — 2017/0354 (COD)]

(2018/C 283/03)

Relatore:

Jorge PEGADO LIZ

Consultazione

a)

Commissione europea, 12/2/2018

b)

Consiglio, 31/1/2018

Parlamento europeo, 5/2/2018

c)

Parlamento europeo, 5/2/2018

Consiglio, 26/2/2018

Base giuridica

a)

articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

b)

articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

c)

articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

27/4/2018

Adozione in sessione plenaria

23/5/2018

Sessione plenaria n.

535

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

184/2/5

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore l’enorme lavoro, necessario, complesso e meritorio che la Commissione ha svolto con il presente pacchetto e si rammarica soltanto per l’eccessiva «flessibilità» che si constata in una serie di disposizioni, fatto che lascia un margine di discrezionalità troppo ampio agli Stati membri, non permettendo l’assunzione di un maggiore livello di controllo.

1.2.

Il CESE condivide la scelta delle basi giuridiche per le proposte in esame, le valutazioni ivi presentate sulla sussidiarietà e la proporzionalità nonché la scelta degli strumenti giuridici, che ritiene siano quelli più adatti per gli scopi perseguiti.

1.3.

Guarda con perplessità al fatto che la Commissione non chiarisca adeguatamente le vicende della sua proposta di regolamento del 2013 sulla vigilanza del mercato dei prodotti, di cui si sa che l’adozione non è imminente e di cui la presente proposta rappresenta una duplicazione per quanto riguarda alcune disposizioni.

1.4.

Inoltre, la Commissione non spiega le ragioni per le quali le sue proposte non sono state accompagnate da una nuova normativa sulla sicurezza generale dei prodotti, in modo da garantire che per tutti i prodotti, indipendentemente dalle loro caratteristiche, vigano norme attuali e più efficaci.

1.5.

Il CESE, inoltre, ritiene che l’attuale proposta dovrebbe stabilire una norma per rafforzare l’obbligo di vigilanza del mercato da parte degli Stati membri e, in particolare, l’obbligo di trasmettere alla Commissione relazioni (trimestrali) che riepiloghino le azioni e i controlli.

1.6.

Il CESE ribadisce che i principi generali di vigilanza del mercato dovrebbero includere come elemento essenziale ai fini delle decisioni il principio di precauzione, ogniqualvolta vi siano indicazioni fondate che il consumatore o l’ambiente non siano sufficientemente protetti, anche se non vi è una dimostrazione chiara e scientifica che il prodotto non presenti per loro alcun rischio.

1.7.

In mancanza di ciò, il CESE sottolinea la necessità di chiarire che l’onere della prova ricade sempre sugli operatori economici, in modo tale che essi non sostengano che incombe alle autorità dimostrare l’assenza di sicurezza o altri eventuali rischi del prodotto.

1.8.

Il CESE ritiene prioritario prevedere non soltanto l’obbligo per la Commissione europea di presentare relazioni periodiche in merito al RAPEX, ma anche che i consumatori e le imprese, e le loro organizzazioni rappresentative, abbiano accesso a più informazioni di quelle disponibili pubblicamente.

1.9.

Ritiene, inoltre, che il regolamento dovrà essere l’atto giuridico che contiene tutte le disposizioni concernenti il sistema di scambio rapido di informazioni dell’Unione, in particolare, la definizione, i punti di contatto, le modalità e le procedure per lo scambio di informazioni, i soggetti esterni che possono partecipare al sistema (comprese le organizzazioni di difesa dei consumatori) e le regole di notifica.

1.10.

D’altro canto, il CESE sottolinea la necessità di rafforzare la strategia doganale europea comune, in modo da garantire l’impiego ottimale delle risorse materiali e umane per lo sviluppo delle misure previste nella proposta in esame, e, in questo senso, raccomanda l’intensificazione degli accordi di assistenza reciproca con tutti i partner commerciali, in particolare nel quadro dell’OMC e degli accordi di partenariato negoziati di recente con il Giappone e il Canada.

1.11.

Sottolinea, inoltre, la necessità di una politica ambiziosa che consenta la cooperazione tra gli Stati membri nello scambio di informazioni al fine di rispondere più rapidamente a effetti gravi indesiderati connessi all’uso dei prodotti.

1.12.

Per quanto riguarda la valutazione da parte dell’Unione di prodotti controllati all’interno dell’Unione e oggetto della normativa di armonizzazione, il CESE ritiene essenziale che, fatte salve le competenze specifiche delle autorità nazionali, la Commissione europea abbia il potere di valutare le misure nazionali attuate in relazione alla politica di armonizzazione.

1.13.

D’altro canto, il CESE ritiene che nella proposta si sarebbero dovute inserire la questione della vigilanza sul mercato delle vendite tramite piattaforme online come pure quella della valutazione dei nuovi rischi per i consumatori che utilizzano dispositivi connessi a Internet (Internet-connected devices).

1.14.

Infine, il CESE raccomanda l’inclusione di disposizioni per la creazione di una Banca dati europea degli infortuni (IDB) che copra tutti i tipi di infortuni e, in questo senso, raccomanda l’inserimento di una base giuridica per la creazione di una banca dati europea sugli infortuni, in base alla quale la Commissione sosterrebbe il coordinamento della raccolta di dati negli Stati membri, nonché l’efficace funzionamento di tale base.

1.15.

Infine, il CESE raccomanda alla Commissione di tener conto delle modifiche che esso suggerisce a taluni articoli delle sue proposte, come indicato nelle osservazioni specifiche.

2.   Obiettivi del pacchetto merci

2.1.    Obiettivi generali

2.1.1.

È nella comunicazione (1), primo elemento del pacchetto merci, che la Commissione definisce l’obiettivo generale di tale iniziativa, vale a dire: «Tutti i soggetti interessati (cittadini, lavoratori, consumatori, imprese e autorità) devono avere la garanzia di poter agire e acquistare prodotti sicuri in un contesto trasparente ed equo, in cui le norme si applicano allo stesso modo a tutti».

2.1.2.

A tal fine, la Commissione ritiene che, per poter sviluppare appieno il potenziale del mercato unico delle merci e instaurare un clima di fiducia tra consumatori, imprese e autorità sia necessario affrontare rapidamente due carenze strutturali che permangono.

2.1.3.

La prima carenza strutturale nel mercato unico dei beni riguarda l’attuazione delle norme armonizzate dell’UE in materia di sicurezza dei prodotti.

2.1.4.

La seconda carenza strutturale riguarda i prodotti che non rientrano nel campo di applicazione delle norme armonizzate dell’UE in materia di sicurezza dei prodotti o che vi rientrano solo parzialmente. Tali prodotti possono essere considerati sicuri e in linea con l’interesse pubblico in uno Stato membro, ma incontrare difficoltà di accesso al mercato di un altro Stato membro.

2.1.5.

Per affrontare queste due «carenze» la Commissione propone due iniziative legislative oltre ad alcune misure complementari.

2.1.5.1.

La prima di queste iniziative legislative mira a rafforzare il rispetto e l’applicazione delle norme dell’UE sui prodotti; la seconda a rinnovare e facilitare il reciproco riconoscimento nel mercato unico.

2.1.5.2.

Tra le misure complementari si distinguono:

a)

una relazione sull’applicazione della direttiva (UE) 2015/1535, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione nel periodo 2014-2015 (2), e

b)

una relazione sull’attuazione del regolamento (CE) n. 765/2008 (3).

2.2.    Obiettivi specifici

2.2.1.

Gli obiettivi specifici di tali iniziative possono essere riassunti come segue:

a)

Proposta «Conformità»

2.2.2.

Per quanto riguarda la prima iniziativa legislativa (proposta di regolamento che stabilisce norme e procedure per la conformità alla normativa di armonizzazione dell’Unione relativa ai prodotti (4) e per la sua applicazione, di seguito la proposta «conformità») l’obiettivo è creare fiducia nell’effettiva attuazione delle disposizioni dell’UE in materia di prodotti e a tal fine:

a)

garantire l’attuazione intelligente delle norme in un mercato unico senza frontiere;

b)

applicare la legislazione alle frontiere esterne.

2.2.3.

I principali obiettivi specifici sono i seguenti:

a)

consolidare il quadro esistente per le attività di vigilanza del mercato;

b)

incoraggiare iniziative congiunte da parte delle autorità di vigilanza del mercato di vari Stati membri;

c)

migliorare lo scambio di informazioni e promuovere il coordinamento dei programmi di vigilanza del mercato;

d)

creare un quadro rafforzato per i controlli sui prodotti che entrano nel mercato dell’Unione e per una migliore cooperazione tra le autorità di vigilanza del mercato e le autorità doganali.

b)

Proposta «Riconoscimento»

2.2.4.

Per quanto riguarda la seconda iniziativa legislativa (proposta di regolamento relativo al reciproco riconoscimento delle merci legalmente commercializzate in un altro Stato membro (5), di seguito proposta «riconoscimento») l’obiettivo consiste nel garantire un’applicazione efficace ed efficiente del principio di riconoscimento reciproco e a tal fine:

a)

garantire l’efficace funzionamento del principio del reciproco riconoscimento;

b)

rafforzare la cooperazione e la fiducia;

c)

assicurare il funzionamento del mercato interno per i prodotti non armonizzati.

2.2.5.

Il principale obiettivo specifico della proposta è quello di migliorare il funzionamento del reciproco riconoscimento proponendo diverse iniziative miranti a garantire che siano rispettati i diritti e gli obblighi esistenti che discendono dal relativo principio, e precisamente:

a)

la precisazione della portata del principio del reciproco riconoscimento, definendo chiaramente quando esso è applicabile;

b)

l’introduzione di un’autodichiarazione, al fine di agevolare la dimostrazione che un prodotto è già legalmente commercializzato, e di un sistema di risoluzione dei problemi in caso di decisioni che negano o limitano l’accesso al mercato;

c)

l’istituzione di una cooperazione amministrativa e l’adozione di uno strumento informatico che consentiranno di migliorare la comunicazione, la collaborazione e la fiducia reciproca tra le autorità nazionali, facilitando, di conseguenza, il funzionamento del reciproco riconoscimento.

c)

Testi Complementari

2.2.6.

In via complementare, la Commissione presenta due relazioni sulle quali basa le sue proposte legislative, vale a dire:

2.2.7.

Relazione della Commissione sull’applicazione della direttiva (UE) 2015/1535 (cosiddetta direttiva «Trasparenza») nel periodo dal 2014 al 2015 (6), le cui principali conclusioni vanno nel senso di:

a)

confermare l’utilità della direttiva in termini di trasparenza, cooperazione amministrativa e prevenzione di ostacoli tecnici nel mercato interno, come dimostra il grande interesse delle parti interessate per la procedura di notifica, che consente di individuare i settori in cui l’armonizzazione a livello dell’UE potrebbe essere un’opzione;

b)

riconoscere, tuttavia, che l’applicazione della procedura può essere migliorata, in particolare per quanto riguarda il numero di notifiche da parte di alcuni Stati membri e il rispetto degli obblighi di notifica;

c)

considerare che un maggior numero di notifiche e una partecipazione più attiva degli Stati membri alla procedura consentirebbe di evitare nuovi ostacoli tecnici e di individuare problemi sistemici in ciascuno Stato membro e in tutta l’Unione europea;

d)

ritenere essenziale continuare a promuovere la direttiva e a rafforzare la sua applicazione, istituendo un legame più stretto con la politica di monitoraggio e le misure legislative per conseguire pienamente i suoi obiettivi.

2.2.8.

Relazione della Commissione sull’applicazione del regolamento (CE) n. 765/2008 (7) che pone norme in materia di accreditamento e vigilanza del mercato per quanto riguarda la commercializzazione dei prodotti e che abroga il regolamento (CEE) n. 339/93, (COM(2017) 789 final), le cui principali osservazioni sono del seguente tenore:

a)

gli «organismi preposti alla valutazione della conformità», attendibili e competenti, che operano correttamente, per verificare la conformità dei prodotti alle norme prima di metterli in vendita, sono necessari;

b)

per tale ragione, l’UE ha istituito un sistema di accreditamento di tali organismi di valutazione della conformità;

c)

la Commissione ritiene che l’infrastruttura europea di accreditamento istituita dal regolamento (CE) n. 765/2008 (8) rappresenti un valore aggiunto per il mercato unico, ma anche per il commercio internazionale e

d)

la relazione conferma che l’industria dell’Unione e la comunità di valutazione della conformità appoggiano vigorosamente l’accreditamento;

e)

la sfida, tuttavia, sta nel garantire che l’intero sistema di accreditamento tenga conto degli ultimi sviluppi e che sia sempre applicato con lo stesso rigore;

f)

la relazione conferma inoltre che le imprese sono consapevoli del ruolo importante che svolge nel mercato unico l’apposizione del marchio CE sui prodotti, applicata tra il 2013 e il 2017.

d)

Misure non vincolanti

2.2.9.

Infine, la Commissione riconosce, pur senza entrare nei dettagli, che vi è ancora spazio per misure non vincolanti, previste nella comunicazione di base, volte a rafforzare la fiducia nel mercato unico, quali il ricorso ai meccanismi esistenti di SOLVIT o all’adozione di una «clausola del mercato unico» chiara e inequivocabile, corsi di formazione degli istruttori sul tema del riconoscimento reciproco, scambi di funzionari ecc. (allegato alla comunicazione succitata).

3.   Osservazioni generali

3.1.

Si deve constatare che la Commissione ha effettuato un enorme lavoro, necessario, complesso e meritorio che va riconosciuto.

3.2.

Tuttavia, essa non chiarisce a quale punto del suo iter si trovi la proposta di regolamento del 2013 sulla vigilanza del mercato dei prodotti, che non consta sia stata pubblicata e di cui la presente proposta sembra modificare e duplicare alcune disposizioni, senza che la Commissione abbia riconosciuto di averla lasciata cadere.

3.2.1.

Peraltro, il CESE ritiene necessario un collegamento chiaro tra la direttiva sulla sicurezza generale dei prodotti e la proposta in esame, in modo che tutti i prodotti (e non solo quelli elencati nell’allegato) siano coperti dal suo ambito di applicazione.

3.2.2.

A giudizio del CESE, inoltre, sarebbe stato fondamentale che la proposta fosse accompagnata da una nuova normativa sulla sicurezza generale dei prodotti, in modo da garantire per tutti i prodotti, indipendentemente dalle loro caratteristiche, l’esistenza di norme attuali e più efficaci.

3.2.3.

In effetti, il CESE continua a ritenere che le disposizioni sulla vigilanza del mercato siano disseminate in vari atti e si sovrappongano le une alle altre, cosa che genera confusione tra le norme di vigilanza propriamente dette e gli obblighi degli operatori economici.

3.2.4.

Il CESE teme che la Commissione, presentando alla discussione, allo stesso tempo, due proposte di contenuto analogo, ma con elementi differenti, non dia una soluzione adeguata a questo problema.

3.3.

Visto l’attuale quadro della discussione sulla proposta del pacchetto sicurezza dei prodotti e vigilanza del mercato, il CESE ritiene che l’attuale proposta dovrebbe stabilire una regola per rafforzare l’obbligo di vigilanza del mercato da parte degli Stati membri e, in particolare, l’obbligo di presentare relazioni (trimestrali) delle azioni e dei controlli alla Commissione per quanto riguarda, segnatamente, le statistiche e le decisioni.

3.4.

D’altro canto, le azioni di vigilanza delle autorità devono essere rese pubbliche, segnatamente attraverso relazioni d’attività e nei rispettivi siti web.

3.5.

Per contro, il CESE condivide la scelta delle basi giuridiche per le proposte in esame, le valutazioni ivi presentate sulla sussidiarietà e la proporzionalità, nonché la scelta degli strumenti giuridici, che ritiene siano quelli più adatti per gli scopi perseguiti, e si rammarica soltanto per l’eccessiva «flessibilità» che, malgrado il ricorso a regolamenti, si constata in una serie di disposizioni in essi contenute, fatto che lascia un margine di manovra troppo ampio agli Stati membri, non permettendo quell’assunzione di un maggiore livello di controllo che certe opzioni scartate avrebbero conferito all’UE.

3.6.

Il CESE insiste nell’affermare che i principi generali di vigilanza del mercato dovrebbero includere come elemento essenziale ai fini delle decisioni il principio di precauzione, ogniqualvolta vi siano indicazioni che il consumatore o l’ambiente non siano sufficientemente protetti, anche se non vi è una dimostrazione chiara e scientifica che il prodotto non presenti per loro alcun rischio.

3.6.1.

Il CESE non può evitare di criticare ancora una volta la Commissione per la mancanza totale di riferimenti a tale principio e rammenta che il principio di precauzione, che è sempre utilizzato dalle autorità degli Stati membri nel contesto della gestione dei rischi, è un principio fondamentale per tutti gli organismi che devono prendere decisioni relative al ritiro o meno di un prodotto dal mercato.

3.6.2.

In mancanza di un riferimento al principio di precauzione, il CESE raccomanda, comunque, che sia chiarito il fatto che l’onere della prova ricade sempre sugli operatori economici, in modo tale che essi non sostengano che incombe alle autorità dimostrare l’assenza di sicurezza o altri eventuali rischi del prodotto.

3.7.

Il CESE riconosce l’obbligo degli Stati membri di definire una strategia complessiva per la vigilanza del mercato con una cadenza minima triennale.

3.7.1.

Il CESE ritiene, tuttavia, che le misure adottate dalle autorità debbano essere oggetto di un monitoraggio regolare da parte della Commissione europea.

3.8.

Il CESE ritiene indispensabile l’esistenza di un meccanismo RAPEX che funzioni in maniera coordinata ed efficace, in termini di scambio d’informazioni tra gli Stati membri, ma rileva che, negli ultimi anni, ogni volta che vi è una notifica di un prodotto pericoloso da parte di uno Stato membro alla Commissione europea, né le autorità delle Stato membro né la Commissione stessa informano i consumatori, in generale, o le loro organizzazioni di rappresentanza, a meno che non siano adottate misure necessarie, specificamente procedure di richiamo in cui risulta necessario l’intervento del consumatore, e anche nei casi in cui le autorità di uno Stato membro concordano con l’operatore economico il ritiro di un prodotto dal mercato, tale Stato membro non informa gli altri Stati membri di detto accordo, mettendo, persino, in discussione molte volte il principio di precauzione.

3.8.1.

Il CESE sottolinea anche la necessità che il funzionamento di tale meccanismo sia coordinato nei casi in cui il prodotto deve essere distrutto, promuovendo in tal modo una maggiore integrazione e informazione dei consumatori in relazione a tali situazioni.

3.8.2.

In riferimento a ciò, fatte salve la tutela del principio di riservatezza e la protezione dei segreti commerciali, il CESE ritiene prioritario prevedere non soltanto l’obbligo per la Commissione europea di presentare relazioni periodiche in merito al RAPEX, ma anche che i consumatori e le imprese, e le loro organizzazioni rappresentative, abbiano accesso a più informazioni di quelle disponibili pubblicamente, tenendo conto della difficoltà dei consumatori nel venire a conoscenza del fatto che un prodotto è riconosciuto come non sicuro e nell’adottare comportamenti conseguenti.

3.8.3.

Ritiene, inoltre, che il presente regolamento dovrà essere l’atto giuridico che contiene tutte le disposizioni concernenti il sistema di scambio rapido di informazioni dell’Unione, in particolare, la definizione, i punti di contatto, le modalità e le procedure per lo scambio di informazioni, i soggetti esterni che possono partecipare al sistema (comprese le organizzazioni di difesa dei consumatori) e le regole di notifica.

3.9.

Dall’altro lato, e come già in precedenti pareri, il CESE sottolinea la necessità di rafforzare la strategia doganale europea comune in modo che garantisca l’impiego ottimale delle risorse materiali e umane per lo sviluppo delle misure di cui alla presente proposta, sfruttando anche le nuove tecnologie e l’innovazione, nel pieno rispetto della riservatezza dei dati personali dei cittadini, con particolare attenzione alle PMI e ai consumatori.

3.9.1.

A tale proposito, raccomanda l’intensificazione di accordi di assistenza reciproca con i partner commerciali, in particolare nel quadro dell’OMC e degli accordi di partenariato negoziati di recente con il Giappone e il Canada.

3.9.2.

Il CESE richiama anche l’attenzione sul problema della lotta contro le frodi, la contraffazione e la falsificazione, che ha un impatto significativo sulla sicurezza generale dei prodotti, in particolare nel contesto delle importazioni nell’UE.

3.9.3.

Sottolinea, a tale proposito, la necessità di una politica ambiziosa che consenta la cooperazione tra gli Stati membri per lo scambio di informazioni al fine di rispondere più rapidamente agli effetti indesiderati gravi connessi all’uso dei prodotti, nella misura in cui l’aumento del numero di prodotti fraudolenti e adulterati, insieme con la scarsità di risorse degli Stati membri per il loro controllo, comporta un aumento del rischio per la salute e la sicurezza dei consumatori.

3.9.4.

Infine, come affermato nel suo precedente parere in materia, il CESE ritiene che «I membri che siedono negli organi di vigilanza e i dipendenti di tali organi, come pure il personale dei servizi doganali, devono presentare tutte le garanzie di integrità e indipendenza, ed essere tutelati nell’esercizio delle loro funzioni da eventuali ingerenze o tentativi di corruzione» (9).

3.10.

Per quanto riguarda la valutazione da parte dell’UE di prodotti controllati all’interno dell’Unione e oggetto della normativa di armonizzazione, il CESE ritiene essenziale che, fatte salve le competenze specifiche delle autorità nazionali, la Commissione europea abbia il potere di valutare le misure nazionali attuate in relazione alla politica di armonizzazione, evitando così una situazione di incertezza giuridica tale da mettere in discussione la libera circolazione di prodotti sicuri.

3.11.

Allo stesso modo, come già dichiarato in un precedente parere, il CESE continua a sostenere l’inclusione di disposizioni per la creazione di una banca dati europea degli infortuni che copra tutti i tipi di infortuni e che sia diretta a:

a)

aiutare le autorità di vigilanza del mercato a prendere decisioni più informate in merito ai rischi;

b)

offrire una base per misure preventive e campagne di sensibilizzazione del pubblico e a consentire agli organismi responsabili della standardizzazione di elaborare norme migliori sui prodotti;

c)

aiutare i fabbricanti ad adeguare la progettazione di nuovi prodotti in modo da includervi gli aspetti relativi alla sicurezza;

d)

valutare l’efficacia delle misure preventive e a fissare priorità per la definizione delle politiche.

3.12.

A tale proposito, propone, di nuovo, di stabilire una base giuridica per la banca dati europea degli infortuni, in forza della quale la Commissione europea appoggerebbe il coordinamento della raccolta dei dati negli Stati membri e il buon funzionamento dell’IDB.

4.   Osservazioni specifiche

4.1.    Proposta «conformità» (COM(2017) 795 final)

4.1.1.   Articolo 1

4.1.1.1.

Il CESE accoglie con favore il fatto che, oltre alla protezione della salute e della sicurezza delle persone, rientrino nell’oggetto del regolamento anche la protezione dell’ambiente e l’interesse pubblico.

4.1.2.   Articolo 5

4.1.2.1.

Il CESE critica le dichiarazioni di conformità per la maggior parte dei prodotti di consumo, poiché in generale si tratta di una dichiarazione unilaterale da parte del fabbricante, che riconosce che il prodotto è conforme al diritto europeo in materia di sicurezza dei prodotti. Spesso, la dichiarazione crea confusione tra i destinatari che non distinguono tra origine del prodotto e autorizzazione del prodotto.

4.1.2.2.

Di recente, varie organizzazioni di consumatori hanno sollevato una serie di preoccupazioni in merito a questi sistemi di conformità, analoghe a quelle riguardanti la dichiarazione di «marcatura CE». In questo contesto, il CESE sottolinea la necessità che tale dichiarazione di conformità, nello stesso sito web, sia posta nella pagina che fa riferimento alla documentazione tecnica del prodotto. Questa dichiarazione di conformità non deve, pertanto, indurre confusione o trarre in inganno i destinatari.

4.1.3.   Articoli 10 e 14

4.1.3.1.

Il CESE accoglie con favore questa proposta che intende creare un sistema coerente di vigilanza del mercato in ciascuno Stato membro. La proposta, tuttavia, stabilisce norme riguardanti gli obblighi, i poteri e l’organizzazione delle attività di vigilanza del mercato, ma non dice nulla circa la capacità e il potere discrezionale degli Stati membri, a livello di risorse tecniche, umane e finanziarie, fatto che potrà determinare incoerenze a livello della vigilanza del mercato dei prodotti nell’Unione europea.

4.1.3.2.

Fatte salve le competenze attribuite, il CESE ritiene che il regolamento stabilisca obblighi limitati per le autorità, citando soprattutto prerogative, in particolare la semplice facoltà di avvertire, entro un adeguato periodo di tempo, gli utilizzatori che vivono nel loro territorio in merito a prodotti identificati come rischiosi.

4.1.4.   Articolo 18

4.1.4.1.

Il CESE non è a conoscenza della ragione per cui la Commissione ha svuotato di contenuto, in questo articolo, la disposizione precedente proposta nel 2013, vale a dire l’ottemperanza dei criteri riguardanti la decisione dell’autorità, nonché tutte le misure posteriori, come gli obblighi dell’operatore economico e le azioni successive da parte delle autorità. In realtà, non è chiaro, dal punto di vista degli operatori economici, se, dopo la notifica al sistema RAPEX, tali notifiche siano effettivamente controllate e se gli operatori ritirino realmente i prodotti dal mercato.

4.1.4.2.

Per quanto concerne la procedura di richiamo dei prodotti, il CESE ritiene essenziali le informazioni fornite al consumatore e sottolinea, pertanto, che la procedura di richiamo deve essere identificata in modo concreto, obbligando le autorità a pubblicare tali informazioni. D’altra parte, la procedura d’informazione sul richiamo di un prodotto dovrà essere anch’essa definita, al fine di evitare che i consumatori confondano le informazioni sul richiamo con una comunicazione commerciale sul prodotto.

4.1.5.   Articolo 26

4.1.5.1.

Il CESE ritiene fondamentale che la proposta preveda una norma esplicita secondo cui le autorità degli Stati membri devono disporre di poteri e risorse sufficienti per l’adempimento dei loro compiti, in particolare in termini di controlli fisici e di laboratorio sui prodotti.

4.1.6.   Articolo 27

4.1.6.1.

Il CESE reputa che, fatti salvi i paragrafi esistenti, si dovrà inserire una disposizione generale che consenta alle autorità di vigilanza del mercato di chiedere alle autorità competenti dei controlli alle frontiere esterne di non immettere il prodotto in libera pratica nel caso in cui sia accertato che il prodotto presenta un rischio per la salute, la sicurezza, l’ambiente o l’interesse pubblico.

4.1.7.   Articolo 32

4.1.7.1.

Il CESE sottolinea la necessità che le organizzazioni della società civile, in particolare le associazioni di consumatori, siano coinvolti in tale rete, al fine di garantire una maggiore trasparenza sui risultati raggiunti dagli Stati membri in materia di politica di vigilanza del mercato.

4.1.8.   Articolo 61

4.1.8.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta di definire una norma specifica in materia di sanzioni pecuniarie intese a scoraggiare gli operatori economici dall’immettere nel mercato prodotti pericolosi.

4.1.8.2.

Pertanto, il CESE accoglie favorevolmente l’articolo 61, paragrafo 3, quando afferma che in caso di recidiva la sanzione può essere inasprita.

4.2.    Proposta «Riconoscimento» (COM(2017) 796 final)

4.2.1.   Articolo 4

4.2.1.1.

Il CESE esprime dubbi in merito all’efficacia di tale principio, in particolare quando l’articolo 4, paragrafo 3, dispone che siano gli operatori economici ad essere responsabili del contenuto e dell’esattezza di tale dichiarazione, in quanto può generare gli stessi effetti che ha avuto per i consumatori la marcatura CE, la quale non ha mai impedito che prodotti considerati pericolosi circolassero nel mercato interno, indipendentemente dalla relativa dichiarazione.

4.2.1.2.

Il CESE ritiene che, se l’operatore economico non fornisce la relativa dichiarazione e fatto salvo il paragrafo 8, si debba stabilire un termine ragionevole per la verifica da parte delle autorità delle informazioni sulla conformità.

4.2.2.   Articolo 5

4.2.2.1.

Il CESE ritiene che il principio di precauzione debba essere incluso nei requisiti di valutazione delle merci, in particolare con riferimento al paragrafo 5 di questo articolo.

4.2.3.   Articolo 6

4.2.3.1.

Per quanto riguarda i diritti dei consumatori, in particolare, il diritto alla tutela della salute e alla sicurezza e alla protezione dell’ambiente e dell’interesse pubblico, il CESE non è d’accordo con la presunzione di sicurezza stabilita nella disposizione. Ritiene che, qualora venga effettuata la valutazione del prodotto di cui all’articolo 5, il prodotto stesso non potrà essere immesso in circolazione fino all’adozione della decisione definitiva da parte dell’autorità competente dello Stato membro.

Bruxelles, 23 maggio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=COM%3A2017%3A787%3AFIN.

(2)  http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:52017DC0788&qid=1519385332001.

(3)  http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:52017DC0789.

(4)  http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=COM%3A2017%3A0795%3AFIN.

(5)  http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=COM%3A2017%3A0796%3AFIN.

(6)  http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:52017DC0788(01)&qid=1519385332001.

(7)  GU L 218 del 13.8.2008, pag. 30.

(8)  GU L 218 del 13.8.2008, pag. 30.

(9)  GU C 271 del 19.9.2013, pag. 86, punto 1.6.


10.8.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 283/28


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla valutazione delle tecnologie sanitarie, che modifica la direttiva 2011/24/UE»

[COM(2018) 51 final — 2018/0018 (COD)]

(2018/C 283/04)

Relatore:

Dimitris DIMITRIADIS

Consultazione

Parlamento europeo, 8.2.2018

Consiglio, 26.2.2018

Base giuridica

Articolo 114 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Decisione dell’Ufficio di presidenza

5.12.2017

Adozione in sessione plenaria

23.5.2018

Sessione plenaria n.

535

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

172/2/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) concorda sul fatto che la cooperazione in materia di valutazione delle tecnologie sanitarie (HTA) all’insegna della sostenibilità su scala unionale mira a garantire che tutti i paesi dell’UE possano beneficiare di un miglioramento dell’efficienza, massimizzando il valore aggiunto.

1.2.

Il CESE ritiene opportuna la decisione della Commissione europea di preferire il regolamento ad altri strumenti giuridici, perché si garantisce così una cooperazione più diretta ed efficace a livello degli Stati membri.

1.3.

A giudizio del CESE, la proposta di regolamento è assolutamente coerente con gli obiettivi generali dell’UE, compresi il buon funzionamento del mercato interno, la sostenibilità dei sistemi sanitari e un ambizioso programma di ricerca e di innovazione.

1.4.

Il CESE concorda con la posizione secondo cui la spesa sanitaria è destinata ad aumentare nei prossimi anni, tenuto conto, tra l’altro, dell’invecchiamento della popolazione europea, dell’aumento delle malattie croniche e della complessità delle nuove tecnologie, mentre, nel contempo, gli Stati membri sono sempre più spesso confrontati a vincoli di bilancio.

1.5.

Il CESE sarebbe favorevole al ricorso ad incentivi fiscali da parte di alcuni paesi, come pure all’eventualità di rivedere verso l’alto la soglia «de minimis» per gli aiuti di Stato, ma questa scelta dovrebbe essere lasciata alla discrezione degli Stati.

1.6.

Il CESE ritiene che il finanziamento pubblico sia molto importante per l’HTA, e certamente questo aspetto potrebbe essere rafforzato lanciando iniziative di cooperazione congiunte ed evitando la duplicazione degli sforzi.

1.7.

Il CESE ritiene che gli Stati membri debbano sostenere e finanziare le idee e le iniziative pertinenti provenienti da start-up.

1.8.

Il CESE ritiene che la proposta dovrebbe apportare benefici alle piccole e medie imprese (PMI), come pure alle imprese dell’economia sociale che operano nel settore, riducendo gli attuali oneri amministrativi e i costi di conformità connessi alla trasmissione di più fascicoli per rispondere ai diversi requisiti delle HTA nazionali, ma non approva la mancanza di disposizioni specifiche al riguardo.

1.9.

Il CESE propone di fare riferimento, nel regolamento, alle misure di prevenzione e di estendere il campo di applicazione a tali misure, che andranno a completarlo, come ad esempio l’assistenza agli ospedali nel controllo, nella prevenzione e nella riduzione delle infezioni nosocomiali.

2.   Contesto

2.1.

La proposta di regolamento è il frutto di oltre vent’anni di cooperazione volontaria nel campo della valutazione delle tecnologie sanitarie (HTA). A seguito dell’adozione della direttiva sull’assistenza sanitaria transfrontaliera (direttiva 2011/24/UE) (1), nel 2013 è stata istituita, a livello dell’Unione europea, una rete volontaria HTA, costituita da organismi e agenzie nazionali di valutazione delle tecnologie sanitarie al fine di offrire un orientamento strategico e politico alla cooperazione scientifica e tecnica nell’UE.

2.2.

Queste attività sono state completate da tre azioni comuni successive (2) in materia di HTA e hanno offerto alla Commissione europea e agli Stati membri la possibilità di costruire una solida base di conoscenze relativa ai metodi e allo scambio di informazioni sull’HTA.

2.3.

La cooperazione in materia di HTA all’insegna della sostenibilità su scala unionale mira a garantire che tutti i paesi dell’UE possano beneficiare di un miglioramento dell’efficienza, massimizzando il valore aggiunto. Una cooperazione rafforzata in questo campo a livello dell’UE gode di un ampio sostegno da parte dei soggetti interessati all’accesso tempestivo dei pazienti a terapie, medicinali e prodotti sanitari innovativi, nella misura in cui essi apportano un valore aggiunto, dimostrando che l’Unione in quanto tale non è mossa solo da interessi economici, ma mette al primo posto l’essere umano. Le parti interessate e i cittadini che hanno risposto alla consultazione pubblica indetta dalla Commissione hanno espresso un sostegno considerevole: la quasi totalità (98 %) ha riconosciuto l’utilità dell’HTA, e l’87 % concorda sul fatto che la cooperazione su scala unionale in materia di HTA dovrebbe proseguire anche oltre il 2020 (3).

3.   Problemi o lacune da sormontare grazie alla proposta

3.1.

Il CESE concorda con la constatazione, frutto di un’ampia consultazione, secondo cui, fino ad ora, l’accesso al mercato delle tecnologie innovative è risultato ostacolato e/o distorto dalle procedure burocratiche, dai metodi e da requisiti di vario tipo a livello nazionale o regionale in materia di HTA, che si riscontrano in tutta l’UE e sono imposti dalle diverse legislazioni e pratiche nazionali. È questo il motivo che ha indotto la Commissione a presentare una proposta di regolamento, a suo giudizio la prassi legislativa più indicata.

3.2.

Il CESE concorda inoltre con la constatazione secondo cui la situazione attuale contribuisce anche alla mancanza di prevedibilità del contesto imprenditoriale, con la conseguenza di produrre costi più elevati per le imprese del settore e le piccole e medie imprese (PMI), determina ritardi nell’accesso alle nuove tecnologie e ha effetti negativi sull’innovazione. Come esempio dell’attuale situazione non armonizzata si potrebbe citare il documento elaborato da I-Com (Institute for Competitiveness — Istituto per la competitività) (4) in cui, alla pagina 49, viene fatto riferimento al BEUC (Ufficio europeo delle unioni dei consumatori) e segnalato che alcuni organismi HTA mettono le valutazioni a disposizione del pubblico, direttamente o su richiesta, mentre altri le considerano riservate. Inoltre, gli studi osservazionali condotti per stabilire il valore di un medicinale sono accettati da alcuni organismi HTA, ma respinti da altri. Questo fatto è importante poiché, come riferito dal BEUC, la letteratura esistente mostra che questi dati sono meno solidi di quelli forniti da prove randomizzate e dal profilo di efficacia dei medicinali. Benché tali differenze non incidano direttamente sull’attività del BEUC, esse potrebbero contribuire alla duplicazione del lavoro e all’aumento dei costi per gli Stati membri. È pertanto importante sensibilizzare maggiormente i consumatori riguardo all’importanza dell’HTA e apportare il contributo dei pazienti e degli utilizzatori finali. Infine, il BEUC ritiene che, sebbene un’HTA congiunta completa potrebbe essere molto utile, essa dovrebbe essere adattata ai contesti nazionali dell’assistenza sanitaria. Come dimostrano i vari decenni di cooperazione nell’UE basata sui progetti HTA, tali questioni non sono state affrontate adeguatamente tramite l’approccio puramente volontario delle iniziative congiunte intraprese finora.

3.3.

La cooperazione in corso a livello unionale sulla base di progetti HTA patisce anche della mancanza di redditività, in quanto i finanziamenti sono di breve durata e vanno rinegoziati e garantiti ad ogni ciclo economico. Se la collaborazione in atto, ossia le azioni comuni e la rete HTA, ha dimostrato i benefici della cooperazione a livello dell’UE in termini di costituzione della rete professionale, di messa a disposizione degli strumenti e delle metodologie per la cooperazione e le valutazioni congiunte pilota, questo modello di cooperazione non ha contribuito alla scomparsa di problemi quali la frammentazione dei sistemi nazionali e la duplicazione delle attività (5).

3.4.

Considerato che l’affidabilità di qualsiasi nuovo meccanismo deve poggiare sui principi dell’indipendenza e della libertà di espressione dei partecipanti, e basarsi esclusivamente su criteri scientifici, morali, etici e imparziali, gli obiettivi di questa iniziativa potranno essere conseguiti in misura sufficiente grazie a una cooperazione rafforzata a livello dell’UE in materia di HTA sulla base di tali principi. Nella sostanza, l’iniziativa affronterà l’attuale frammentazione dei sistemi nazionali HTA (le discrepanze nelle procedure e nei metodi di HTA che incidono sull’accesso al mercato) e, nel contempo, rafforzerà la cooperazione anche ad altri livelli necessari per l’HTA (ad esempio, nei paesi in cui vi sono difficoltà dovute alla mancanza di registri dei pazienti andranno introdotti piani d’azione nazionali per tutte le malattie, in modo da accelerare i lavori dei pertinenti ministeri della Salute, tenendo conto delle migliori prassi adottate da altri paesi europei). Si tratta di un approccio che, nel processo decisionale scientifico, integra anche valori e priorità sociali.

3.5.

Il CESE sottolinea la necessità di riconoscere l’innovazione tecnologica in campo sanitario anche per le attività di assistenza extra-ospedaliera a livello locale. L’invecchiamento della popolazione (6), l’aumento delle malattie croniche e il problema della non-autosufficienza richiedono una specializzazione e un uso più efficace delle tecnologie e dei metodi di intervento per l’assistenza a domicilio. Per questo motivo andrebbero previsti programmi specifici di HTA volti a migliorare le cure e l’assistenza a domicilio, non solo tramite il ricorso a nuove tecnologie e alla telemedicina, ma anche mediante un miglioramento generale della qualità professionale dei servizi di assistenza.

3.6.

A questo proposito il CESE sottolinea come in molti casi il suddetto settore dell’assistenza sanitaria ai cittadini europei sia stato sviluppato e venga gestito da imprese dell’economia sociale innovative, la cui presenza nel settore andrebbe maggiormente riconosciuta e valorizzata.

4.   Obiettivo della proposta in esame

4.1.

La proposta di regolamento relativo alla valutazione delle tecnologie sanitarie mira a contribuire alla disponibilità di tecnologie sanitarie innovative per i pazienti in Europa, ad utilizzare meglio le risorse disponibili e ad accrescere la prevedibilità del contesto imprenditoriale.

4.2.

Il CESE ritiene opportuna la decisione della Commissione europea di preferire il regolamento ad altri strumenti giuridici, perché si garantisce così una cooperazione più diretta ed efficace a livello degli Stati membri. Tuttavia, l’obbligo di ricorrere ad una valutazione clinica congiunta, se la tecnologia è stata sottoposta a una valutazione di questo tipo, non garantisce che gli Stati membri avranno a disposizione un’HTA adeguata che possa essere utilizzata a fini decisionali. La cooperazione volontaria rappresenta quindi un’opzione per talune categorie di valutazione delle tecnologie sanitarie, come affermato all’articolo 19. Poiché il desiderio di portare a termine l’HTA entro un periodo di tempo limitato rischia di pregiudicarne la qualità, diventa imperativa l’applicazione dell’articolo 29 della proposta di regolamento, che riguarda la valutazione e il monitoraggio.

4.3.

La proposta di regolamento intende garantire che i metodi e le procedure applicate nelle HTA siano più prevedibili in tutta l’UE e che le valutazioni cliniche congiunte non siano ripetute a livello nazionale, evitando così duplicazioni e discrepanze. Come descritto più in dettaglio nella relazione sulla valutazione d’impatto, si ritiene che l’opzione preferita presenti la migliore combinazione di efficacia ed efficienza nel raggiungere gli obiettivi strategici prefissati, rispettando nel contempo i principi di sussidiarietà e di proporzionalità. Essa rappresenta la soluzione migliore per conseguire gli obiettivi del mercato interno mediante la promozione della convergenza delle procedure e delle metodologie, la riduzione delle duplicazioni (ad esempio, delle valutazioni cliniche) e quindi del rischio di risultati divergenti, contribuendo così a migliorare la disponibilità di tecnologie sanitarie innovative per i pazienti. Tuttavia, poiché l’accesso alle tecnologie e il loro utilizzo non sono identici in tutti gli Stati membri, variano anche le esigenze in materia di HTA, in particolare per quanto riguarda lo standard di cura. La mancanza di un confronto diretto, oppure l’utilizzo, negli studi clinici, di criteri di riferimento che vengono impiegati per l’autorizzazione all’immissione sul mercato, rafforzano ulteriormente tali esigenze di ulteriori studi. Di conseguenza, l’uso obbligatorio dell’HTA congiunta può non essere pienamente realizzabile, e occorre continuare ad applicare il principio della cooperazione volontaria, come menzionato in precedenza, per alcune categorie di HTA. Pertanto, è importante precisare che l’articolo 34 prevede che gli Stati membri possano effettuare una valutazione clinica utilizzando mezzi diversi dalle norme di cui al capo III del regolamento, al fine di garantire che essi continuino ad avere la possibilità di effettuare valutazioni supplementari su misura ove necessario.

4.4.

Il CESE concorda sul fatto che la proposta di regolamento offra agli Stati membri un quadro sostenibile, che permette di mettere in comune le competenze, di rafforzare il processo decisionale basato su evidenze e di sostenere i loro sforzi per garantire la sostenibilità dei sistemi sanitari nazionali. L’opzione preferita è altresì efficiente sotto il profilo dei costi nel senso che i costi sono più che compensati dai risparmi realizzati dagli Stati membri, dalle imprese del settore e dalle PMI, grazie alla messa in comune delle risorse, all’esclusione di duplicazioni e al miglioramento della prevedibilità del contesto imprenditoriale. La proposta contiene disposizioni per l’uso di strumenti, metodi e procedure comuni in materia di HTA su tutto il territorio dell’UE e definisce le quattro sezioni seguenti per inquadrare le attività congiunte che gli Stati membri condurranno a livello dell’UE.

4.4.1.

Valutazioni cliniche congiunte, con particolare accento sulle tecnologie sanitarie maggiormente innovative e potenzialmente benefiche con il massimo valore aggiunto per l’UE.

4.4.2.

Consultazioni scientifiche congiunte, in base alle quali i responsabili dello sviluppo di una tecnologia sanitaria possono chiedere il parere delle autorità di valutazione riguardo alla natura dei dati e delle evidenze che potrebbero essere richiesti al momento della presentazione della loro tecnologia ai fini dell’HTA.

4.4.3.

Individuazione delle tecnologie sanitarie emergenti per garantire che le tecnologie sanitarie più promettenti per i pazienti e per i sistemi sanitari siano identificate precocemente e inserite nelle attività congiunte.

4.4.4.

Cooperazione volontaria nei settori che non rientrano nella cooperazione obbligatoria, come le tecnologie sanitarie diverse dai medicinali o dai dispositivi medici (interventi chirurgici ecc.) o gli aspetti economici di tali tecnologie.

5.   Quali opzioni legislative e non legislative sono state prese in considerazione? Esiste un’opzione preferita?

5.1.

A giudizio del CESE, la proposta di regolamento è assolutamente coerente con gli obiettivi generali dell’UE, compresi il buon funzionamento del mercato interno, la sostenibilità dei sistemi sanitari e un ambizioso programma di ricerca e di innovazione.

5.1.1.

Oltre che con questi obiettivi strategici dell’Unione, la proposta è altresì coerente con la vigente legislazione dell’UE relativa ai medicinali e ai dispositivi medici (7), che essa integra. Ad esempio, mentre il processo normativo e il processo di valutazione delle tecnologie sanitarie rimarranno nettamente separati in quanto perseguono finalità differenti, esiste la possibilità di creare sinergie attraverso la reciproca condivisione delle informazioni e una migliore sincronizzazione della tempistica delle procedure tra le proposte valutazioni cliniche congiunte e l’autorizzazione centralizzata all’immissione in commercio per i medicinali (8).

5.2.

La proposta si fonda sull’articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).

5.2.1.

L’articolo 114 del TFUE prevede l’adozione di misure relative al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri, a condizione che siano necessarie per l’instaurazione o il funzionamento del mercato interno, garantendo al tempo stesso un elevato livello di protezione della salute pubblica.

5.2.2.

L’articolo 114 del TFUE costituisce altresì un’adeguata base giuridica alla luce degli obiettivi della proposta, che consistono nell’eliminare alcune delle divergenze esistenti nel mercato interno per le tecnologie sanitarie a causa delle differenze metodologiche e procedurali nelle valutazioni cliniche effettuate negli Stati membri, insieme alla notevole duplicazione di tali valutazioni in tutta l’UE.

5.2.3.

In linea con l’articolo 114, paragrafo 3, del TFUE, nell’elaborare la proposta, che dovrebbe migliorare la disponibilità di tecnologie sanitarie innovative per i pazienti dell’UE, è stato preso in considerazione un elevato livello di protezione della salute umana.

5.3.

Qualunque proposta legislativa dovrà altresì conformarsi all’articolo 168, paragrafo 7, del TFUE, secondo il quale «l’azione dell’UE rispetta le responsabilità degli Stati membri per la definizione della loro politica sanitaria e per l’organizzazione e la fornitura di servizi sanitari e di assistenza medica». In tale ambito figurano le decisioni in materia di fissazione dei prezzi e di rimborso, che non rientrano nel campo di applicazione della presente iniziativa.

5.3.1.

Pur essendo chiaro che gli Stati membri dell’UE continueranno ad essere responsabili della valutazione degli aspetti non clinici (ad esempio economici, sociali ed etici) delle tecnologie sanitarie, nonché delle decisioni in materia di fissazione dei prezzi o di rimborso, il CESE propone di valutare e di sottoporre a uno studio separato un’eventuale politica tariffaria comune (intesa a garantire la trasparenza e l’accesso per tutti i cittadini) all’interno dell’UE per i medicinali, i dispositivi medici e i prodotti più generici in vitro, e in particolare per quelli che hanno superato l’HTA, allo scopo di migliorare l’accesso per tutti i cittadini europei ed evitare le esportazioni/importazioni parallele basate esclusivamente sul prezzo. Così verrà coadiuvata in modo efficace l’opera delle commissioni nazionali pertinenti per quanto riguarda il registro/osservatorio dei prezzi massimi ammissibili che esiste in alcuni paesi, in particolare per i dispositivi medici.

5.4.

Benché nella relazione «l’espressione ‘tecnologia sanitarià va(da) intesa in senso lato per comprendere un medicinale, un dispositivo medico o procedure mediche e chirurgiche, come pure misure per la prevenzione, la diagnosi o la cura delle malattie utilizzate nel settore sanitario», a livello di attuazione le valutazioni cliniche congiunte si limitano ai medicinali assoggettati alla procedura centralizzata di autorizzazione all’immissione in commercio, a nuove sostanze attive e ai prodotti esistenti la cui autorizzazione all’immissione in commercio è estesa ad una nuova indicazione terapeutica e a talune categorie di dispositivi medici e di dispositivi medico-diagnostici in vitro per i quali i pertinenti gruppi di esperti istituiti conformemente ai regolamenti (UE) n. 2017/745 e 2017/746 hanno espresso pareri o opinioni e che sono stati selezionati dal gruppo di coordinamento istituito ai sensi del regolamento in esame.

5.5.

Per prevenire le patologie degenerative, ma anche per ridurre i casi di ospedalizzazione impropria di persone anziane e non autosufficienti, si dovrebbero adottare misure e azioni finalizzate a migliorare la qualità delle cure e dell’assistenza e, quindi, ad aumentare la sicurezza e il benessere dei pazienti.

5.5.1.

Il CESE ritiene che vada fatto riferimento alle misure di prevenzione e che il campo di applicazione vada esteso a tali misure, che andranno a completarlo, come ad esempio l’assistenza agli ospedali nel controllo, nella prevenzione e nella riduzione delle infezioni nosocomiali. Questo esempio rimanda ai circa 37 000 decessi (9) causati, ogni anno in Europa, da infezioni nosocomiali; vi è una necessità pressante di migliorare la sicurezza dei pazienti e la qualità dei servizi sanitari offerti, con un particolare accento sulla prevenzione delle infezioni nosocomiali e sull’uso razionale degli antibiotici, ma gli studi condotti finora si limitano al solo livello nazionale, evidenziando tutte quelle vulnerabilità che questa proposta specifica intende eliminare.

6.   I costi dell’opzione preferita

6.1.

A giudizio del CESE, l’opzione preferita è efficiente sotto il profilo dei costi nel senso che i costi sono più che compensati dai risparmi realizzati dagli Stati membri e dalle imprese del settore (10), grazie alla messa in comune delle risorse, all’esclusione di duplicazioni e al miglioramento della prevedibilità del contesto imprenditoriale.

Al fine di garantire la disponibilità di risorse sufficienti (11) per le attività congiunte di cui alla proposta di regolamento, il CESE appoggia l’idea di finanziare in misura adeguata le attività congiunte e la cooperazione volontaria, nonché il quadro di sostegno finalizzato a supportare tali attività. Il finanziamento dovrebbe coprire i costi di produzione delle relazioni sulle valutazioni cliniche congiunte e sulle consultazioni scientifiche congiunte. Gli Stati membri dovrebbero inoltre avere la possibilità di distaccare esperti nazionali presso la Commissione con il compito di supportare i lavori del segretariato del gruppo di coordinamento, come menzionato all’articolo 3.

6.2.

I costi dei controlli sono inclusi nei costi imputati all’esercizio di individuazione di nuove tecnologie emergenti da valutare a livello dell’UE e alle valutazioni cliniche congiunte. La cooperazione con gli organismi competenti per i medicinali e i dispositivi medici ridurrà al minimo i rischi di errori in sede di elaborazione del programma di lavoro del gruppo di coordinamento. La Commissione indica inoltre che tale gruppo di coordinamento sarà composto da rappresentanti nazionali degli organismi HTA, e i suoi sottogruppi da esperti tecnici che effettuano le valutazioni. È prevista anche una formazione per gli organismi nazionali di HTA, in modo da garantire che gli Stati membri con meno esperienza soddisfino i requisiti di tali valutazioni. Tuttavia, ciò non figura esplicitamente nel testo della proposta.

6.3.

Complessivamente, la spesa per l’assistenza sanitaria (pubblica e privata) dell’UE ammonta a circa 1 300 miliardi di euro l’anno (12) (compresi 220 miliardi di euro per i prodotti farmaceutici (13) e 100 miliardi di euro per i dispositivi medici (14)). Di conseguenza, la spesa per l’assistenza sanitaria rappresenta in media il 10 % circa del PIL dell’UE (15).

6.4.

Il CESE concorda con la posizione secondo cui la spesa sanitaria è destinata ad aumentare nei prossimi anni, tenuto conto, tra l’altro, dell’invecchiamento della popolazione europea, dell’aumento delle malattie croniche e della complessità delle nuove tecnologie, mentre, nel contempo, gli Stati membri sono sempre più spesso confrontati a vincoli di bilancio.

6.5.

Il CESE ritiene inoltre che questi sviluppi obbligheranno gli Stati membri ad incrementare ulteriormente l’efficienza dei bilanci per la spesa sanitaria, focalizzando l’attenzione sulle tecnologie efficienti e mantenendo, nel contempo, gli incentivi a favore dell’innovazione (16).

6.6.

Il CESE sarebbe favorevole al ricorso ad incentivi fiscali da parte di alcuni paesi, come pure all’eventualità di rivedere verso l’alto la soglia «de minimis» per gli aiuti di Stato: a questo proposito, una proposta da prendere in considerazione consiste nella possibilità di portare tale soglia dagli attuali 200 mila euro ad almeno 700 mila euro per le PMI che operano nel settore sanitario, socio-sanitario ed assistenziale, introducendo requisiti qualitativi aggiuntivi come il fatto di operare sulla base di progetti che prevedono la collaborazione tra più imprese, la presenza di investimenti in ricerca ed innovazione, oppure il fatto di essere imprese che reinvestono totalmente in azienda i loro utili. Queste misure potrebbero essere utili per incoraggiare le PMI e le imprese dell’economia sociale ad investire maggiormente nella ricerca, nell’innovazione e nello sviluppo di collaborazioni di rete (17). Il CESE ritiene inoltre che gli Stati membri debbano sostenere e finanziare le idee e le iniziative pertinenti provenienti da start-up.

6.7.

Il CESE ritiene che il finanziamento pubblico sia molto importante per l’HTA, e certamente questo aspetto potrebbe essere rafforzato lanciando iniziative di cooperazione congiunte ed evitando la duplicazione degli sforzi. Si calcola che ogni valutazione nazionale delle tecnologie sanitarie costi circa 30 000 EUR agli organismi nazionali e 100 000 EUR al settore (18). Supponendo che 10 Stati membri effettuino un’HTA per la medesima tecnologia e che queste valutazioni possano essere sostituite da una relazione congiunta, si potrebbe realizzare un risparmio fino al 70 %, anche ipotizzando che, a causa della maggiore necessità di coordinamento, il costo di una valutazione congiunta sia tre volte superiore al costo di una relazione nazionale. Queste risorse potrebbero essere risparmiate o riassegnate ad altre attività connesse alla valutazione delle tecnologie sanitarie. Tuttavia, visti i costi molto elevati richiesti per le nuove tecnologie, è necessario che l’HTA utilizzata da uno Stato membro per decidere sul rimborso di una tecnologia sia correlata all’insieme degli strumenti terapeutici di tale Stato membro. Per i trattamenti oncologici, ad esempio, che di regola superano i 100 000 EUR per paziente, un’inadeguata valutazione clinica avrà un costo molto più elevato dei risparmi derivanti dalla valutazione congiunta. Va indubbiamente segnalato che la coalizione europea dei pazienti oncologici (ECPC) valuta positivamente la proposta e rileva che, evitando la duplicazione degli sforzi, le valutazioni cliniche congiunte obbligatorie eliminerebbero il rischio di risultati differenti, e quindi ridurrebbero al minimo i ritardi nell’accesso a nuovi trattamenti (19). Inoltre l’AIM (l’associazione internazionale delle mutue non a scopo di lucro) si rallegra della proposta della Commissione di conferire un carattere più permanente alla cooperazione in materia di HTA a livello UE. Tuttavia, l’AIM teme che, con una sola valutazione clinica nell’UE, il nuovo sistema determini delle pressioni affinché la valutazione venga condotta il più rapidamente possibile, con possibili effetti negativi sulla qualità e la sicurezza delle cure (20).

6.8.

Poiché la proposta dovrebbe cominciare a produrre effetti sul bilancio a partire dal 2023, il contributo del bilancio dell’UE dopo il 2020 sarà esaminato in sede di preparazione delle proposte della Commissione per il prossimo quadro finanziario pluriennale (QFP) e terrà conto dell’esito dei negoziati sul QFP per il periodo successivo al 2020.

6.9.

Dati gli enormi interessi economici in gioco, il settore delle tecnologie sanitarie è soggetto a conflitti di interesse. È molto importante che l’HTA sia organizzata in modo obiettivo, indipendente e trasparente.

7.   Impatto sulle PMI e le microimprese

7.1.

La proposta è rilevante per le piccole e medie imprese (PMI), che sono particolarmente numerose nel settore dei dispositivi medici, come già indicato al punto 4.2. Non sono tuttavia previste disposizioni specifiche per le microimprese, in quanto si ritiene che queste ultime non avranno un ruolo importante nell’immettere in commercio nuove tecnologie sanitarie. Il CESE ritiene che la proposta dovrebbe apportare benefici alle PMI, come pure alle imprese dell’economia sociale che operano nel settore, riducendo gli attuali oneri amministrativi e i costi di conformità connessi alla trasmissione di più fascicoli per rispondere alle diverse richieste nazionali di valutazione delle tecnologie sanitarie, ma non approva la mancanza di disposizioni specifiche al riguardo. In particolare, le valutazioni cliniche congiunte e le consultazioni scientifiche congiunte previste dalla proposta dovrebbero aumentare la prevedibilità del contesto imprenditoriale per le imprese del settore. Ciò assume particolare importanza per le PMI e per le imprese sociali, in quanto esse tendono ad avere portafogli di prodotti più limitati e una disponibilità più ridotta di risorse specifiche e di capacità da destinare alla valutazione delle tecnologie sanitarie. È importante notare che la proposta non prevede alcun pagamento di diritti per le valutazioni cliniche congiunte o le consultazioni scientifiche congiunte, e ciò è molto importante anche per il settore dell’occupazione (riduzione della disoccupazione). Il miglioramento della prevedibilità del contesto imprenditoriale grazie alle attività congiunte in materia di valutazione delle tecnologie sanitarie in tutta l’UE dovrebbe avere un impatto positivo sulla competitività dell’UE nel settore delle tecnologie sanitarie. L’infrastruttura informatica prevista dalla proposta si fonda su strumenti informatici standard (ad esempio banche dati, scambio di documenti, pubblicazione su Internet), basandosi su strumenti già sviluppati nell’ambito delle azioni comuni della rete EUnetHTA.

7.2.

Un incentivo economico concreto per le PMI consisterebbe nel promuoverne la partecipazione, anche dopo il 2020, ai programmi europei di finanziamento dello sviluppo nell’ambito dei quadri strategici nazionali di riferimento (QSNR). Gli attuali programmi QSNR per il periodo 2014-2020 contengono disposizioni specifiche per le attività di ricerca e sviluppo che mirano a ridurre la povertà e la disoccupazione.

7.2.1.

Il CESE ritiene che tali programmi debbano non solo essere mantenuti, ma anche estesi nel quadro più ampio dei principi contenuti nella proposta di regolamento e fungere da incentivo per la ricerca, lo sviluppo e lo spirito d’innovazione. La proposta non contiene alcun riferimento ai paesi terzi, ma il CESE ritiene che con quelli con cui è in vigore un accordo commerciale bilaterale non dovrebbe essere esclusa una cooperazione nel quadro della proposta. In ultima analisi, tutto viene lasciato all’utente finale e alle sue scelte.

Bruxelles, 23 maggio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Direttiva 2011/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2011, concernente l’applicazione dei diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria transfrontaliera (GU L 88 del 4.4.2011, pag. 45).

(2)  Azione comune EUnetHTA 1, 2010-2012, azione comune EUnetHTA 2, 2012-2015, e azione comune EUnetHTA 3, 2016-2019: http://www.eunethta.eu/.

(3)  http://europa.eu/rapid/press-release_IP-18-486_it.htm.

(4)  http://www.astrid-online.it/static/upload/7787/7787e169a7f0afc63221153a6636c63f.pdf.

(5)  http://www.eunethta.eu/wp-content/uploads/2018/01/FINAL-Project-Plan-WP4-CA-TAVI-v3.pdf.

(6)  http://ec.europa.eu/economy_finance/publications/european_economy/2015/pdf/ee3_en.pdf.

(7)  La legislazione in materia comprende la direttiva 2001/83/CE, il regolamento (CE) n. 726/2004, il regolamento (UE) n. 536/2014, il regolamento (UE) n. 2017/745 e il regolamento (UE) n. 2017/746.

(8)  Va osservato che la necessità di sviluppare sinergie è stata riconosciuta anche dagli Stati membri nel documento di riflessione della rete di valutazione delle tecnologie sanitarie Synergies between regulatory and HTA issues on pharmaceuticals (Sinergie tra le questioni normative e di valutazione delle tecnologie sanitarie sui medicinali), nonché dall’EUNetHTA e dall’EMA nella loro relazione comune Report on the implementation of the EMA-EUnetHTA three-year work plan 2012-2015 (Relazione sull’attuazione del piano di lavoro triennale EMA-EUNetHTA per il periodo 2012-2015).

(9)  http://www.cleoresearch.org/en/.

(10)  I risparmi sui costi correlati alle valutazioni congiunte (Agenzia esecutiva per la ricerca) possono raggiungere 2 670 000 EUR l’anno.

(11)  I costi totali dell’opzione preferita sono stimati a circa 16 milioni di EUR.

(12)  Dati Eurostat. Cfr. documento di lavoro dei servizi della Commissione: Pharmaceutical Industry: A Strategic Sector for the European Economy (L’industria farmaceutica: un settore strategico per l’economia europea), DG GROW, 2014.

Eurostat, spese per i prestatori di assistenza sanitaria in tutti gli Stati membri, dati per il 2012 o dati più recenti disponibili. Per l’Irlanda, l’Italia, Malta e il Regno Unito queste cifre sono integrate dai dati sulla salute forniti dall’OMS (tasso di cambio annuale della BCE).

(13)  Dati Eurostat, DG GROW, documento di lavoro dei servizi della Commissione Pharmaceutical Industry: A Strategic Sector for the European Economy (L'industria farmaceutica: un settore strategico per l'economia europea), 2014.

(14)  Comunicazione della Commissione Dispositivi medici e dispositivi medico-diagnostici in vitro sicuri, efficaci e innovativi a vantaggio dei pazienti, dei consumatori e degli operatori sanitari, COM(2012) 540 final. Calcoli della Banca mondiale, dell’EDMA, di Espicom e di Eucomed.

(15)  Commissione europea. Scheda tematica relativa al semestre europeo: Health and Health systems (Salute e sistemi sanitari), 2015. DG ECFIN. COST-containment policies in public pharmaceutical spending in the EU (Politiche di contenimento dei costi della spesa farmaceutica pubblica nell’UE), 2012, e

http://ec.europa.eu/smart-regulation/roadmaps/docs/2016_sante_144_health_technology_assessments_en.pdf.

(16)  Cost-containment policies in public pharmaceutical spending in the EU (Politiche di contenimento dei costi della spesa farmaceutica pubblica nell’UE), 2012.

(17)  Attualmente il regolamento (UE) n. 1407/2013 prevede una soglia di 200 000 EUR in tre anni come aiuti di Stato che possono essere riconosciuti alle imprese, anche sotto forma di agevolazioni fiscali. Nel 2008 l’UE, attraverso l’azione intitolata «piano europeo di ripresa economica», aveva innalzato temporaneamente la soglia a 500 000 EUR per far fronte alla crisi economica. Andrebbe riconosciuto che l’impatto sui sistemi sanitari della crescente domanda di servizi per la salute, in particolare legati alla non-autosufficienza, sarà una delle principali voci di spesa per i sistemi sanitari degli Stati membri: per questo sarebbe utile prevedere un sistema straordinario di incentivazione e sostegno per le imprese impegnate in particolare nella realizzazione di servizi di welfare territoriale.

(18)  Direzione generale degli Affari economici e finanziari (DG ECFIN), The 2015 Ageing report (Relazione 2015 sull’invecchiamento demografico), 2015. OCSE, Pharmaceutical expenditure and policies: past trends and future challenges (Spese e politiche nel settore farmaceutico: tendenze passate e sfide future), 2015.

(19)  http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/BRIE/2018/614772/EPRS_BRI(2018)614772_EN.pdf.

(20)  https://www.aim-mutual.org/wp-content/uploads/2018/02/AIM-on-HTA.pdf.


10.8.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 283/35


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla: «Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2006/112/CE per quanto riguarda le aliquote dell'imposta sul valore aggiunto»

[COM(2018) 20 final — 2018/0005(CNS)]

sulla

«Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto per quanto riguarda il regime speciale per le piccole imprese»

[COM(2018) 21 final — 2018/0006 (CNS)]

sulla

«Proposta modificata di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 904/2010 per quanto riguarda misure di rafforzamento della cooperazione amministrativa in materia di imposta sul valore aggiunto»

[COM(2017) 706 final — 2017/0248 (CNS)]

e sulla

«Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto, in relazione all'obbligo di rispettare un'aliquota normale minima»

[COM(2017) 783 final — 2017/0349 (CNS)]

(2018/C 283/05)

Relatore:

Petru Sorin DANDEA

Consultazione

Consiglio dell'Unione europea, 15.12.2017, 9.1.2018, 5.2.2018

 

 

Base giuridica

Articolo 113 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea

 

 

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

26.3.2018

Adozione in sessione plenaria

23.5.2018

Sessione plenaria n.

535

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

198/5/10

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la proposta della Commissione e raccomanda agli Stati membri la sua rapida adozione e attuazione, tenuto conto che l'eccessiva frammentazione del regime IVA a livello del mercato interno genera ostacoli ingiustificati allo sviluppo delle piccole imprese.

1.2.

Il CESE condivide l'obiettivo della Commissione secondo cui le misure contenute nel pacchetto in esame devono essere a vantaggio del consumatore finale. Il CESE, tuttavia, ritiene che le aliquote ridotte e le esenzioni applicate a norma dell'articolo 98, paragrafi (1) e (2) della proposta di direttiva 2018/0005 (CNS) vadano applicate principalmente con l'obiettivo di perseguire, in modo coerente, una finalità di interesse generale. A volte, tale finalità (ad esempio, nel caso dei servizi socio-assistenziali ed educativi) è perseguita da enti intermedi, che non sono i consumatori finali. Inoltre, il CESE ritiene che il regime debba essere applicabile, attraverso un innalzamento delle soglie, non solo alle microimprese, ma anche alle PMI.

1.3.

Il CESE concorda con la proposta della Commissione di istituire un «elenco negativo» dei prodotti e servizi per i quali non vengono applicate le aliquote ridotte previste nella proposta di direttiva, ma richiama l'attenzione sul fatto che tale elenco non dovrebbe indebitamente pregiudicare la libertà degli Stati membri di stabilire aliquote ridotte per determinati prodotti di interesse generale. Inoltre, gli Stati membri dovrebbero poter continuare ad applicare aliquote ridotte ai prodotti già soggetti ad aliquote ridotte sulla base delle attuali deroghe previste nella vigente direttiva 2006/112/CE.

1.4.

La Commissione ritiene che il regime di aliquote ridotte non debba essere applicato ai beni e ai servizi che costituiscono dei fattori produttivi intermedi. Secondo il CESE tale impostazione crea difficoltà interpretative, ad esempio nella gestione dei servizi complessi, specialmente in rapporto ai servizi forniti dalle reti di imprese, dai raggruppamenti e dai consorzi. Difatti, può prestarsi ad interpretazioni ambigue quando un servizio fornito da un'impresa appartenente a un gruppo è fatturato alla società madre che poi, a sua volta, lo fattura all'impresa che ha realizzato il servizio. Se in questo passaggio non è applicata la stessa aliquota agevolata, viene generato un incremento di costi che, alla fine, si ripercuote sull'utente finale, seppure in modo indiretto.

1.5.

Il CESE desidera sottolineare che gli ambiziosi obiettivi fissati dalla Commissione nel pacchetto legislativo all'esame potranno essere raggiunti solo se gli Stati membri compiranno quanto necessario per adottare il regime definitivo dell'IVA in un lasso di tempo ragionevole.

1.6.

Il CESE è d'accordo con la proposta della Commissione di permettere agli Stati membri di applicare due aliquote ridotte pari ad almeno il 5 %, nonché un'altra aliquota ridotta inferiore al 5 %, e ritiene che tali aliquote vadano applicate a determinate classi di prodotti e servizi, come già fanno alcuni Stati membri. Il CESE esorta gli Stati membri a mantenere le aliquote ridotte che sono attualmente applicate a talune classi di prodotti o servizi di interesse generale. Secondo il CESE, inoltre, gli Stati membri dovrebbero proporre un elenco di beni e servizi ai quali possono essere applicate aliquote ridotte, allo scopo di sostenere l'accesso delle PMI al mercato interno. Dovrebbe essere preso in considerazione lo svolgimento di un'analisi approfondita sulla possibilità di applicare aliquote IVA più elevate sui beni di lusso.

1.7.

Il Comitato desidera richiamare l'attenzione degli Stati membri su alcuni aspetti importanti del regime IVA applicato alle organizzazioni e associazioni attive nel campo dell'assistenza alle persone svantaggiate. Nella maggior parte dei casi, queste non sono in grado di recuperare importi considerevoli a causa dell'IVA, un fatto che limita notevolmente la loro capacità di prestare assistenza alle persone appartenenti a gruppi svantaggiati. È per questo motivo che il Comitato raccomanda alle istituzioni dell'UE e agli Stati membri di esentare queste organizzazioni dal regime IVA. Inoltre, secondo il CESE gli avvocati che svolgono la loro attività professionale a titolo volontario e gratuito o a spese dello Stato non dovrebbero essere assoggettati al regime IVA, a condizione che tale attività non generi introiti (se non esigui) per tali avvocati.

1.8.

Il CESE raccomanda agli Stati membri di assegnare le risorse umane, finanziarie e logistiche necessarie alle autorità preposte alla lotta contro il fenomeno delle infrazioni al regime dell'IVA, al fine di assicurare che le disposizioni del regolamento siano correttamente attuate, come proposto dalla Commissione. Analogamente, ritiene opportuno che gli Stati membri esaminino la possibilità di utilizzare meglio le tecnologie digitali per combattere le frodi in materia di IVA, oltre che per promuovere il rispetto volontario attraverso una maggiore trasparenza della normativa europea nel settore dell'IVA.

2.   La proposta della Commissione europea

2.1.

Nell'aprile del 2016 la Commissione europea ha pubblicato un piano d'azione (1) sulla modernizzazione del regime europeo dell'IVA. Il dispositivo che la Commissione propone si articola in tre proposte di direttiva (2) e una proposta di regolamento (3) che portano avanti l'attuazione del piano.

2.2.

L'obiettivo delle tre proposte di direttiva è modificare la direttiva del Consiglio 2006/112/CE relativa al regime comune d'imposta sul valore aggiunto. I cambiamenti proposti riguardano il regime specifico per le piccole imprese, le aliquote minime dell'IVA e il rispetto dell'aliquota normale minima.

2.3.

Le norme dell'UE in materia di IVA risalgono a oltre vent'anni fa e si basano sul principio del paese d'origine. La Commissione desidera modernizzare tali norme al fine di istituire, per gli scambi transfrontalieri di beni tra imprese, un regime definitivo dell'IVA che dovrebbe essere basato sulla tassazione nello Stato membro di destinazione.

2.4.

La proposta della Commissione mira a stabilire la parità di trattamento tra gli Stati membri, introducendo un'unica aliquota ridotta senza soglia minima e altre due aliquote ridotte pari almeno al 5 %. La Commissione propone inoltre di mantenere l'aliquota normale dell'IVA a un livello minimo del 15 %.

2.5.

Per la Commissione il regime di aliquote ridotte non si dovrebbe applicare ai beni e ai servizi che, negli scambi intracomunitari, costituiscono dei fattori produttivi intermedi. Inoltre le disposizioni contenute nel pacchetto di misure all'esame devono andare a beneficio del consumatore finale.

2.6.

La proposta di regolamento intende modificare il regolamento (UE) n. 904/2010, che contiene misure volte a rafforzare la cooperazione amministrativa in materia d'imposta sul valore aggiunto. Fra le principali modifiche proposte figurano: gli scambi d'informazioni senza preventiva richiesta, gli audit congiunti, le procedure di rimborso dell'IVA ai soggetti passivi non stabiliti nello Stato membro di rimborso, il potenziamento di Eurofisc tramite una capacità di analisi congiunta dei rischi e la possibilità sia di coordinare le indagini che di cooperare con l'Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF), con Europol — per la comunicazione dei casi gravi di frode — e con la Procura europea (EPPO), l'aggiornamento delle condizioni che disciplinano lo scambio d'informazioni e la condivisione tra le autorità fiscali delle informazioni sui regimi doganali 42 e 63 e sull'immatricolazione dei veicoli (4).

3.   Osservazioni generali e particolari

3.1.

Considerate l'eccessiva frammentazione del regime dell'IVA a livello degli Stati membri e la sua inefficacia per quanto concerne le eventuali frodi, e tenendo conto anche degli ostacoli che tale regime crea alle piccole imprese in rapporto alle operazioni commerciali o d'investimento, il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione e raccomanda agli Stati membri di adottarla e attuarla rapidamente.

3.2.

La Commissione ritiene che il regime di aliquote ridotte non debba essere applicato ai beni e ai servizi che costituiscono dei fattori produttivi intermedi. Tuttavia questa impostazione crea difficoltà interpretative, ad esempio nella gestione dei servizi complessi, specialmente in rapporto ai servizi forniti dalle reti d'imprese, dai raggruppamenti e dai consorzi. Difatti, può prestarsi ad interpretazioni ambigue quando un servizio fornito da un'impresa appartenente a un gruppo è fatturato alla società madre che poi, a sua volta, lo fattura all'impresa che ha realizzato il servizio. Se in questo passaggio non è applicata la stessa aliquota agevolata, viene generato un incremento di costi che, alla fine, si ripercuote sull'utente finale, seppure in modo indiretto.

3.3.

La Commissione propone che, in futuro, il regime dell'IVA si basi sul principio del paese di destinazione. Il CESE ritiene che tale approccio debba rappresentare un passo importante sulla via del regime europeo definitivo dell'IVA, e invita la Commissione e gli Stati membri ad accelerare questo processo e a chiarire la definizione di vari beni e servizi.

3.4.

La Commissione propone di mantenere al 15 % il livello minimo dell'aliquota normale dell'IVA. Il CESE desidera richiamare l'attenzione sul fatto che, per la maggior parte degli Stati membri dell'UE, il gettito dell'IVA rappresenta una delle principali fonti di entrate del bilancio statale e, pertanto, appoggia la proposta della Commissione.

3.5.

La maggior parte degli Stati membri applica aliquote IVA ridotte per i prodotti alimentari, i medicinali o i libri, nonché per alcuni servizi essenziali, come quelli di cura e assistenza sociale. Il CESE è d'accordo con la proposta della Commissione di permettere agli Stati membri di applicare due aliquote ridotte pari ad almeno il 5 %, nonché un'altra aliquota ridotta inferiore al 5 %, e ritiene che tali aliquote vadano applicate a determinate classi di prodotti e servizi, come già fanno alcuni Stati membri. L'utilizzo di queste aliquote ridotte accresce le necessità di informazione delle PMI che operano anche al di fuori del mercato nazionale. Dovrebbe essere preso in considerazione lo svolgimento di un'analisi approfondita sulla possibilità di applicare aliquote IVA più elevate sui beni di lusso.

3.6.

La Commissione fa notare che nell'ambito del nuovo regime, fondato sul principio del paese di destinazione, potrebbero verificarsi delle distorsioni di concorrenza per determinati servizi o prodotti. Per risolvere questa situazione, la Commissione propone di stabilire, sulla base della classificazione statistica dei prodotti e servizi, un «elenco negativo» a cui applicare l'aliquota normale dell'IVA. Il CESE concorda con la proposta della Commissione e sottolinea che gli Stati membri hanno l'obbligo di seguire l'elenco, ma richiama l'attenzione su quanto sia importante che tale elenco, una volta deciso, non pregiudichi indebitamente la libertà degli Stati membri di stabilire aliquote ridotte per determinati prodotti di interesse generale. Inoltre, gli Stati membri dovrebbero poter continuare ad applicare aliquote ridotte ai prodotti già soggetti ad aliquote ridotte sulla base delle attuali deroghe previste nella vigente direttiva 2006/112/CE. L'elenco negativo proposto dalla Commissione europea (allegato III bis) dovrebbe pertanto tener conto delle norme ormai consolidatesi negli Stati membri. In ogni caso, andrebbe chiarito che l'aliquota IVA ridotta può essere mantenuta per la prestazione di servizi ad alta intensità di lavoro, in particolare da parte delle PMI.

3.7.

Considerando che il nuovo regime dell'IVA, proposto dalla Commissione e applicabile alle piccole imprese, è concepito per venire in loro aiuto, in quanto permette loro di sfruttare le opportunità offerte dal mercato unico, il CESE è del parere che le soglie proposte all'art. 284, paragrafo 1, e all'art. 284, paragrafo 2, lettera a) debbano essere maggiormente correlate al volume d'affari definito all'articolo 280 bis, paragrafo 1. In altre parole, benché la proposta della Commissione fissi a 85 000 euro la soglia del fatturato annuale entro cui le microimprese possono beneficiare delle esenzioni previste dalla proposta di direttiva, la soglia per il volume di cessioni transfrontaliere è di 100 000 euro, il che significa che il regime proposto è applicabile soprattutto alle microimprese. Il CESE ritiene che le soglie debbano essere fissate in modo che il nuovo regime sia applicabile a tutte le PMI. È inoltre auspicabile che le misure destinate alle PMI possano essere estese alle imprese dell'economia sociale, in particolare quando queste prestano servizi socio-assistenziali ed educativi. Il CESE ritiene inoltre che siano necessarie misure supplementari che permettano alle PMI di trarre beneficio dalla riduzione degli oneri amministrativi, dato che quest'ultima, in base al regime proposto dalla Commissione, si applica solo alle microimprese.

3.8.

Il CESE ritiene che, per favorire l'accesso delle PMI al mercato interno dell'UE, gli Stati membri debbano compilare un elenco di beni e servizi ai quali si applicano le aliquote ridotte dell'IVA. L'elenco dovrebbe essere disponibile per il settore delle imprese a livello centrale.

3.9.

Il CESE accoglie con favore le semplificazioni proposte dalla Commissione per quel che concerne gli obblighi delle imprese in materia di registrazione e comunicazione, e ritiene che questo le aiuterà a svilupparsi più rapidamente e agevolerà il loro accesso al mercato unico.

3.10.

Il CESE quindi, pur condividendo l'orientamento della Commissione in merito all'obiettivo per cui le disposizioni contenute nel pacchetto di misure all'esame devono andare a beneficio del consumatore finale, ritiene che le aliquote ridotte e le esenzioni applicate a norma dei paragrafi 1 e 2 dell'articolo 98 della proposta di direttiva 2018/0005 (CNS) vadano applicate principalmente con l'obiettivo di perseguire, in modo coerente, una finalità di interesse generale. A volte, tale finalità (ad esempio, nel caso dei servizi socio-assistenziali ed educativi) è perseguita da enti intermedi, che non sono i consumatori finali. Inoltre, allo scopo di facilitare l'accesso di tutti alla difesa legale, è importante prevedere un'aliquota IVA ridotta per i servizi di difesa legale offerti dagli avvocati alle categorie svantaggiate.

3.11.

Il CESE riconosce che le regolamentazioni comprese nel secondo pacchetto non abbracciano in maniera esaustiva il settore dell'IVA. Tuttavia, il Comitato desidera richiamare l'attenzione degli Stati membri su alcuni aspetti importanti del regime IVA applicato alle organizzazioni e associazioni attive nel campo dell'assistenza alle persone svantaggiate. Nella maggior parte dei casi, queste non sono in grado di recuperare importi considerevoli a causa dell'IVA, un fatto che limita notevolmente la loro capacità di prestare assistenza alle persone appartenenti a gruppi svantaggiati.

3.12.

La Commissione propone il 2022 come data limite per il recepimento della direttiva. Il CESE raccomanda alla Commissione e agli Stati membri di prendere in considerazione un termine più breve per l'attuazione, dato che con il nuovo regime l'attività delle piccole imprese verrà agevolata ed esse beneficeranno di maggiori opportunità nell'ambito del mercato unico. Il CESE propone alla Commissione di lanciare, in collaborazione con gli Stati membri, una vasta campagna informativa sui mezzi d'informazione tesa a promuovere il nuovo regime IVA e i suoi requisiti.

3.13.

Visto che nel 2015 il totale delle perdite subite dagli Stati membri in materia di riscossione dell'IVA ammontava a 152 miliardi di euro, il CESE accoglie con favore le misure avanzate dalla Commissione nella sua proposta di regolamento sulla cooperazione amministrativa. Dal momento che l'OLAF e la Procura europea saranno associati ad Eurofisc nelle indagini sulle frodi dell'IVA nelle operazioni transfrontaliere, la capacità di individuare le frodi a livello di Stati membri ne risulterà migliorata.

3.14.

Il CESE raccomanda agli Stati membri di assegnare le risorse umane, finanziarie e logistiche necessarie alle autorità preposte alla lotta contro il fenomeno delle infrazioni al regime dell'IVA, al fine di assicurare che le disposizioni del regolamento siano correttamente attuate, come proposto dalla Commissione. Analogamente, ritiene opportuno che gli Stati membri esaminino la possibilità di utilizzare meglio le tecnologie digitali per combattere le frodi in materia di IVA e migliorare il rispetto volontario.

3.15.

Il CESE rinnova la propria proposta relativa alla creazione di un consesso (5) appropriato che permetta non solo lo scambio di buone pratiche in materia di riscossione delle entrate e l'individuazione delle possibilità per rafforzare le capacità amministrative degli Stati membri nella lotta contro le frodi IVA nel settore delle operazioni transfrontaliere, ma anche un migliore funzionamento del mercato interno. La Commissione dovrebbe provvedere a istituire tale consesso.

3.16.

Il CESE desidera sottolineare che gli ambiziosi obiettivi fissati dalla Commissione nel pacchetto legislativo all'esame potranno essere raggiunti solo se gli Stati membri compiranno quanto necessario per adottare il regime definitivo dell'IVA in un lasso di tempo ragionevole.

Bruxelles, 23 maggio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  COM(2016) 148 final — Piano d'azione sull'IVA — Verso uno spazio unico europeo dell'IVA — Il momento delle scelte.

(2)  COM(2017) 783 final — Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto, in relazione all'obbligo di rispettare un'aliquota normale minima.

(3)  COM (2017) 706 final — Proposta modificata di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 904/2010 per quanto riguarda misure di rafforzamento della cooperazione amministrativa in materia di imposta sul valore aggiunto.

(4)  Per maggiori informazioni si rimanda a: http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A52014DC0069 e http://europa.eu/rapid/press-release_ECA-11-47_it.htm.

(5)  Cfr. il parere del CESE sul tema Pacchetto di riforma dell'IVA (I).


10.8.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 283/39


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea»

[COM(2017) 797 final — 2017/0355 (COD)]

(2018/C 283/06)

Relatore:

Christian BÄUMLER

Correlatrice:

Vladimíra DRBALOVÁ

Consultazione

Consultazione da parte del Consiglio dell’Unione europea: 10.1.2018

Consultazione da parte del Parlamento europeo: 18.1.2018

Base giuridica

Articolo 153, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

25.4.2018

Adozione in sessione plenaria

23.5.2018

Sessione plenaria n.

535

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

164/22/9

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene gli sforzi della Commissione volti a rendere le condizioni di lavoro di tutti i lavoratori, in particolare quelli atipici, più trasparenti e prevedibili, poiché si tratta di un passo concreto verso l’attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali.

1.2.

Il CESE osserva con rammarico che non è stato possibile rivedere e aggiornare la direttiva 91/533/CEE (in prosieguo: «direttiva sulle dichiarazioni scritte») nel quadro del dialogo sociale. Ricorda che le parti sociali hanno un ruolo specifico per quanto riguarda la definizione di condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili attraverso il dialogo sociale e la contrattazione collettiva, nel rispetto della diversità tra gli Stati membri e delle pratiche nazionali.

1.3.

Il CESE fa inoltre presente che la relazione REFIT osserva che l’attuale direttiva 91/533/CEE apporta tuttora un chiaro valore aggiunto, raggiunge il suo scopo, rimane un elemento importante dell’acquis e continua ad essere pertinente per tutti i portatori di interesse. Sono state tuttavia rilevate diverse carenze in relazione all’efficacia e all’ambito di applicazione personale della direttiva nonché alla sua attuazione.

1.4.

Alcuni Stati membri hanno affrontato le sfide poste dal lavoro atipico e introdotto misure di garanzia mediante contratti collettivi, il dialogo sociale o l’adozione di una normativa allo scopo di garantire condizioni di lavoro eque e il passaggio a percorsi di carriera diversi nel mercato del lavoro. Il CESE è chiaramente a favore di un simile approccio. La Commissione dovrebbe chiarire che questi tipi di protezione devono essere sostenuti, nel pieno rispetto dell’autonomia delle parti sociali.

1.5.

Il CESE comprende gli obiettivi della proposta della Commissione di una direttiva su condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili, che dovrebbe comportare una migliore protezione per i lavoratori, e in particolare di quelli con contratti di lavoro atipici. Il CESE sottolinea che soltanto una proposta equilibrata, giuridicamente solida, chiara e sufficientemente motivata sarà in grado di garantire la necessaria convergenza e assicurare un’applicazione coerente sul mercato del lavoro europeo degli obblighi derivanti dalla direttiva proposta.

1.6.

Il CESE riconosce la particolare situazione delle persone fisiche che agiscono in qualità di datori di lavoro, nonché delle piccole imprese e delle microimprese, che possono non disporre delle stesse risorse delle imprese di medie e grandi dimensioni, nell’adempimento dei loro obblighi ai sensi della proposta di direttiva. Pertanto, raccomanda alla Commissione europea e agli Stati membri di sostenere e assistere in maniera adeguata questi soggetti, per aiutarli a rispettare tali obblighi. L’uso di modelli (lettere) e formati, come già previsto dalla proposta, è un buon esempio e altre misure pratiche meritano di essere esplorate.

1.7.

Per garantire l’efficacia dei diritti sanciti dal diritto dell’Unione, l’ambito di applicazione personale della direttiva sulle dichiarazioni scritte dovrebbe essere aggiornato, in modo da tenere conto degli sviluppi del mercato del lavoro, rispettando al tempo stesso le pratiche nazionali. Secondo la Commissione, nella sua giurisprudenza la Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito criteri per determinare la condizione di lavoratore che risultano adeguati per determinare l’ambito di applicazione personale della direttiva. La definizione di lavoratore si basa su questi criteri. La Commissione dovrebbe prendere in considerazione la formulazione di orientamenti per aiutare i datori di lavoro a rispettare i loro obblighi e sensibilizzare i lavoratori, riducendo così i rischi di controversie.

1.8.

Il CESE sottolinea che gli Stati membri devono essere in grado di determinare, nel quadro del dialogo sociale, quali soggetti rientrino nell’ambito di applicazione della definizione di «lavoratore», ma che ciò va interpretato alla luce della finalità della direttiva, che consiste nel «promuovere un’occupazione più sicura e prevedibile garantendo al tempo stesso l’adattabilità del mercato del lavoro e migliorando il tenore di vita e le condizioni di lavoro». Il CESE precisa inoltre che i lavoratori domestici, i lavoratori marittimi e i pescatori dovrebbero pertanto rientrare in detto ambito di applicazione. Le condizioni di lavoro dei marittimi sono già disciplinate molto accuratamente e in dettaglio dall’accordo delle parti sociali europee sulla Convenzione sul lavoro marittimo dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) del 2006, allegato alla direttiva 2009/13/CE del Consiglio.

1.9.

Il CESE sottolinea che il criterio «dell’essere sotto la direzione di un’altra persona» nella definizione di un lavoratore potrebbe pregiudicare l’inclusione dei lavoratori tramite piattaforma digitale nell’ambito di applicazione della direttiva. Raccomanda pertanto ulteriori chiarimenti, in modo che anche questi lavoratori possano beneficiare della protezione della direttiva. Il CESE ritiene, tuttavia, che le persone che utilizzano le piattaforme, e che sono effettivamente lavoratori autonomi e indipendenti, dovrebbero essere escluse dal campo di applicazione della direttiva.

1.10.

Il CESE raccomanda che l’ambito di applicazione personale della direttiva relativo alla definizione di datore di lavoro venga chiarito, in quanto risulta attualmente impreciso.

1.11.

Il CESE sostiene la versione rifusa dell’obbligo di fornire ai lavoratori informazioni sulle loro condizioni di lavoro, quando un rapporto di lavoro inizia o viene modificato, nonché la precisazione che ciò deve avvenire al più tardi all’inizio di un tale rapporto o quando le modifiche prendono effetto. Il CESE riconosce che vi possono essere ragioni operative giustificate per consentire una certa, limitata flessibilità nel caso di piccole imprese e microimprese, pur garantendo che i lavoratori siano informati sulle loro condizioni di lavoro ad una data quanto più vicina possibile all’inizio del rapporto di lavoro.

1.12.

Il CESE osserva che la proposta consente alle parti sociali di concludere contratti collettivi che derogano ai requisiti minimi in materia di condizioni di lavoro. Condivide questo aspetto, purché gli obiettivi della direttiva vengano raggiunti e che la protezione generale dei lavoratori risulti accettabile e non venga compromessa.

1.13.

Il CESE ritiene che il lavoro a chiamata non possa essere mantenuto come forma di occupazione, senza un adeguato periodo di riferimento e un opportuno preavviso. Raccomanda che i contratti che prevedono un lavoro a chiamata debbano obbligatoriamente garantire un determinato numero di ore o il pagamento corrispondente.

1.14.

Il CESE condivide le disposizioni relative ai requisiti minimi in materia di condizioni di lavoro, in particolare per quanto riguarda la durata del periodo di prova, le restrizioni sul divieto di lavoro subordinato in parallelo, la prevedibilità minima del lavoro, il passaggio ad un’altra forma di impiego se disponibile, e l’offerta di una formazione gratuita, qualora ciò sia necessario affinché il lavoratore possa svolgere il lavoro. Raccomanda, tuttavia, di chiarire taluni aspetti, consigliando di lasciare la responsabilità al livello nazionale, nel rispetto delle pratiche nazionali giuridiche e di dialogo sociale.

1.15.

Il CESE ritiene che, per l’efficace applicazione della direttiva, sia giusto che i lavoratori vengano protetti dal licenziamento o da altre misure di effetto equivalente, poiché hanno invocato i propri diritti ai sensi della direttiva. In tali circostanze, è ragionevole che il datore di lavoro possa essere tenuto a motivare per iscritto, su richiesta del lavoratore, le ragioni del licenziamento.

1.16.

La proposta prevede una serie di strumenti per sanzionare una violazione degli obblighi di informazione della direttiva. Il CESE ha richiamato l’attenzione su questa lacuna in un suo precedente parere e ha chiesto che fosse rettificata. Secondo il CESE, le sanzioni, qualora giustificate, dovrebbero corrispondere al livello del danno subito dal lavoratore. Il CESE accoglie con favore la disposizione dell’articolo 14 in base alla quale i datori di lavoro dispongono di 15 giorni per fornire le informazioni mancanti.

1.17.

La proposta stabilisce norme minime per la convergenza ed è importante che i lavoratori che attualmente godono di migliori diritti sostanziali non debbano temere un deterioramento dei loro attuali diritti quando la direttiva verrà attuata. Pertanto, il CESE sostiene l’esplicita clausola di non regressione contenuta nella proposta. Tuttavia, raccomanda che la direttiva, oltre a impedire qualsiasi peggioramento del livello generale di protezione, affermi anche in maniera più esplicita che non vi dovrebbe essere alcun peggioramento delle condizioni nei singoli settori disciplinati dalla direttiva stessa.

2.   Contesto della proposta

2.1.

La proposta di direttiva relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea (2017/0355 (COD)] è destinata a sostituire l’attuale direttiva del Consiglio 91/533/CEE, del 14 ottobre 1991, relativa all’obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore delle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro («direttiva sulle dichiarazioni scritte»). Essa dovrebbe inoltre integrare altre direttive dell’UE in vigore.

2.2.

La proposta ha come base giuridica l’articolo 153, paragrafo 2, lettera b), del trattato sul funzionamento dell’Unione europea e si fonda su una valutazione REFIT della normativa dell’UE in vigore. La relazione REFIT osserva che la «direttiva sulle dichiarazioni scritte» apporta un chiaro valore aggiunto, raggiunge il suo scopo, rimane un elemento importante dell’acquis e continua ad essere pertinente per tutti i portatori di interesse. Sono state tuttavia rilevate diverse carenze in relazione all’efficacia e all’ambito di applicazione personale della direttiva nonché alla sua attuazione.

2.3.

Il costo per il rilascio di una dichiarazione scritta nuova o riveduta dovrebbe essere compreso tra i 18 e i 153 EUR per le PMI e tra i 10 e i 45 EUR per le imprese più grandi. Le imprese sosterrebbero anche costi una tantum per familiarizzare con la nuova direttiva, pari in media a 53 EUR per le PMI e a 39 EUR per le imprese più grandi. I costi sostenuti per rispondere alle richieste di una nuova forma di lavoro subordinato dovrebbero essere analoghi a quelli derivanti dal rilascio di una nuova dichiarazione scritta.

2.4.

I datori di lavoro prevedono alcuni costi indiretti di modesta entità (consulenza giuridica, revisione dei sistemi di pianificazione, tempi di gestione delle risorse umane, informazioni al personale ecc.). La perdita di flessibilità sarà solo marginale (ossia interesserà solo la ristretta percentuale di datori di lavoro che ricorrono ampiamente alle forme di lavoro subordinato più flessibili).

2.5.

A norma dell’articolo 154 del TFUE la Commissione ha avviato, il 26 aprile 2017 e il 21 settembre 2017, due fasi della consultazione delle parti sociali europee sul possibile orientamento e sul contenuto dell’azione dell’Unione. Le opinioni delle parti sociali sulla necessità di misure legislative di revisione della direttiva 91/533/CEE erano discordanti. Il CESE sottolinea, come già in un precedente parere, che condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili dovrebbero essere negoziate soprattutto dalle parti sociali nel quadro del dialogo sociale (1), e osserva con rammarico che non è emerso un consenso tra le parti sociali sull’avvio di negoziati diretti per la conclusione di un accordo a livello dell’Unione.

2.6.

La Commissione sottolinea che il mondo del lavoro si è notevolmente evoluto dall’adozione della direttiva 91/533/CEE relativa all’obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore delle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro. Negli ultimi 25 anni si è assistito a una crescente flessibilizzazione del mercato del lavoro. Nel 2016 un quarto di tutti i contratti di lavoro era relativo a forme di lavoro subordinato «non standard» e negli ultimi dieci anni oltre la metà di tutti i nuovi posti di lavoro risulta di tipo «non standard». Anche la digitalizzazione ha agevolato la creazione di nuove forme di lavoro subordinato.

2.7.

Nella proposta la Commissione osserva che la flessibilità derivante dalle nuove forme di lavoro subordinato è stata un importante motore per la creazione di posti di lavoro e per la crescita dei mercati del lavoro. Dal 2014 sono stati generati oltre cinque milioni di posti di lavoro, costituiti per almeno il 20 % da nuove forme di lavoro subordinato.

2.8.

Tuttavia la Commissione ha anche riconosciuto che queste tendenze hanno alimentato l’instabilità e una maggiore mancanza di prevedibilità in alcuni rapporti di lavoro. È il caso, in particolare, dei lavoratori che si trovano nelle situazioni più precarie. Tra 4 e 6 milioni di persone lavorano a chiamata e con contratti intermittenti, spesso con poche indicazioni in merito a quando lavoreranno e per quanto tempo. Quasi un milione di persone è soggetto a clausole di esclusività che impediscono di trovare un impiego presso un altro datore di lavoro. D’altro canto, la sesta indagine europea sulle condizioni di lavoro (2015) ha rilevato che l’80 % dei lavoratori dell’UE 28 era soddisfatto delle condizioni di lavoro.

2.9.

Alcuni Stati membri hanno affrontato le sfide poste dal lavoro atipico e introdotto misure di garanzia mediante contratti collettivi, il dialogo sociale o l’adozione di una normativa allo scopo di garantire condizioni di lavoro eque e il passaggio a percorsi di carriera diversi nel mercato del lavoro. Il CESE è chiaramente a favore di un simile approccio. Nei considerando della proposta in esame la Commissione dovrebbe sottolineare la necessità di rispettare alcune forme di protezione, tra cui quelle previste in Belgio e in Svezia. In Belgio, ad esempio, il regime in vigore per le occupazioni supplementari in diversi settori si fonda sul principio che i lavoratori ne detengono già una a titolo principale.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Nei suoi pareri (2) sul pilastro europeo dei diritti sociali, il CESE ha incoraggiato gli Stati membri e l’Unione europea a creare e a mantenere un quadro normativo che favorisca l’adattabilità, sia semplice, trasparente e prevedibile e rafforzi e tuteli i diritti dei lavoratori e lo Stato di diritto, e attraverso il quale l’UE possa promuovere un quadro giuridico stabile per la contrattazione collettiva e il dialogo sociale nell’attuazione della flessicurezza. Nel suo primo parere sul pilastro europeo dei diritti sociali (3), il CESE ha sottolineato che le condizioni del mercato del lavoro devono sostenere percorsi di carriera nuovi e più diversificati. Nella vita lavorativa sono necessarie forme diverse di creazione di posti di lavoro e diverse forme di lavoro. Ciò esige che vi sia un ambiente legislativo di protezione dell’occupazione adatto per fornire un quadro per condizioni di lavoro eque e per incoraggiare assunzioni a titolo di tutti i contratti di lavoro.

3.2.

Il CESE sottolinea che il lavoro atipico può avere ripercussioni importanti sia sui singoli individui che sulla società in generale. La precarietà del posto di lavoro potrebbe, ad esempio, entrare in conflitto con la creazione di una famiglia, l’acquisto di una casa e altri progetti personali. Va ricordato che i giovani, le donne e le persone provenienti da un contesto migratorio sono particolarmente esposti a queste forme di occupazione. Una retribuzione più bassa, spesso associata a forme di lavoro atipico, può in alcuni casi richiedere prestazioni sociali supplementari e per di più incidere negativamente sui diritti pensionistici, oltre che sull’importo della pensione.

3.3.

Il CESE sottoscrive l’obiettivo della Commissione di garantire che i mercati del lavoro dinamici e innovativi, che contribuiscono alla competitività dell’UE, siano inquadrati in modo tale da assicurare una protezione di base a tutti i lavoratori e un aumento della produttività a più lungo termine per i datori di lavoro, e da garantire una convergenza verso migliori condizioni di vita e di lavoro in tutta l’UE. Sottolinea che soltanto una proposta equilibrata e giuridicamente solida, chiara e sufficientemente motivata sarà in grado di garantire la necessaria convergenza e assicurare un’applicazione uniforme sul mercato del lavoro europeo degli obblighi derivanti dal settore del diritto del lavoro all’esame.

3.4.

La Commissione osserva che il sistema normativo nell’Unione europea è diventato sempre più complesso. A suo avviso questo fa aumentare il rischio di una concorrenza basata sulla corsa al ribasso delle norme sociali, con conseguenze nefaste sia per i datori di lavoro, soggetti a una pressione concorrenziale insostenibile, che per gli Stati membri, che risentono della perdita di entrate fiscali e contributi previdenziali. Il CESE sostiene l’obiettivo della Commissione di stabilire prescrizioni minime per i lavoratori con contratti atipici, nel rispetto dei sistemi giuridici e di dialogo sociale dei singoli Stati membri, al fine di tutelare in particolare i lavoratori non coperti da contratti collettivi.

3.5.

A giudizio del CESE, la proposta costituisce una delle iniziative chiave intraprese dalla Commissione per dare seguito al pilastro europeo dei diritti sociali, dopo la proclamazione congiunta da parte del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione al vertice sociale per l’occupazione e la crescita eque di Göteborg il 17 novembre 2017. Il pilastro funge da bussola per una rinnovata convergenza verso l’alto delle norme sociali nel contesto delle mutevoli realtà del mondo del lavoro. La direttiva dovrebbe contribuire all’attuazione dei principi del pilastro «Occupazione flessibile e sicura» e «Informazioni sulle condizioni di lavoro e sulla protezione in caso di licenziamento». Vi sono punti di vista diversi in merito al modo più efficace per attuare tali principi: secondo alcuni la proposta della Commissione costituisce un passo importante nella giusta direzione, mentre secondo altri essa va al di là di quanto necessario.

3.6.

Tuttavia il CESE sottolinea che il dialogo sociale e la contrattazione collettiva dovrebbero rimanere lo strumento più importante per stabilire condizioni di lavoro trasparenti, prevedibili e dignitose, e che la Commissione europea dovrebbe fare attenzione a non interferire nel dialogo sociale e nella contrattazione collettiva, e a non ostacolarli.

4.   Osservazioni specifiche

4.1.   Ambito di applicazione e definizioni

4.1.1.

Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della proposta i diritti minimi sanciti dalla direttiva si applicano a tutti i lavoratori nell’Unione. Per garantire l’efficacia dei diritti sanciti dal diritto dell’Unione, l’ambito di applicazione personale della direttiva sulle dichiarazioni scritte dovrebbe essere aggiornato per tenere conto degli sviluppi del mercato del lavoro, rispettando al tempo stesso le pratiche nazionali. Secondo la Commissione, nella sua giurisprudenza la Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito criteri per determinare la condizione di lavoratore che risultano adeguati per determinare l’ambito di applicazione personale della direttiva. La definizione di lavoratore all’articolo 2, paragrafo 1, si basa su questi criteri. Essi garantiscono un’attuazione coerente dell’ambito di applicazione personale della direttiva, pur lasciando alle autorità e ai giudici nazionali il compito di applicarla a situazioni specifiche. I lavoratori domestici, i lavoratori a chiamata, i lavoratori intermittenti, i lavoratori a voucher, i lavoratori tramite piattaforma digitale, i tirocinanti e gli apprendisti potrebbero tutti rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva, a condizione che soddisfino tali criteri.

4.1.2.

Il CESE sottolinea che il criterio dell’essere sotto la direzione di un’altra persona potrebbe pregiudicare l’inclusione dei lavoratori tramite piattaforma digitale nell’ambito di applicazione della direttiva. Sarebbe pertanto opportuno precisare nei considerando della proposta che per i lavoratori gli algoritmi possono essere vincolanti quanto le istruzioni orali o scritte. I veri lavoratori autonomi che utilizzano le piattaforme dovrebbero essere esclusi dal campo di applicazione della direttiva.

4.1.3.

Il CESE sottolinea che gli Stati membri e le parti sociali devono essere in grado di determinare, nel quadro del dialogo sociale, chi rientra nell’ambito di applicazione del «lavoratore», ma ciò va interpretato alla luce dello scopo generale della direttiva che consiste nel migliorare le condizioni di lavoro promuovendo un’occupazione più sicura e prevedibile e garantendo nel contempo l’adattabilità del mercato del lavoro. La Corte di giustizia dell’Unione europea ha evidenziato che agli Stati membri non è consentito applicare una normativa che possa pregiudicare la realizzazione degli obiettivi perseguiti da una direttiva e, conseguentemente, privare la direttiva medesima del proprio effetto utile (si veda, ad esempio, la causa C-393/10, O’Brien).

4.1.4.

Il CESE teme che la definizione stessa di datore di lavoro contenuta nella proposta possa generare confusione e complessità. Definendo il datore di lavoro come «una o più persone fisiche o giuridiche che sono direttamente o indirettamente parte di un rapporto di lavoro con un lavoratore» la proposta introduce un concetto nuovo nella definizione di datore di lavoro. Di norma in un rapporto di lavoro vi è un unico datore di lavoro. A tale riguardo, è necessario fare riferimento alla legislazione nazionale applicabile.

4.1.5.

Il CESE sottolinea che la deroga prevista dall’articolo 1, paragrafo 6, potrebbe portare ad un’ingiustificabile disparità di trattamento dei lavoratori domestici per quel che riguarda l’accesso a forme migliori di lavoro, al perfezionamento professionale e all’esercizio dei loro diritti. Questa disparità di trattamento è scorretta ed effettivamente vietata, dal momento che numerosi paesi dell’UE hanno ratificato la Convenzione n. 189 dell’OIL sulle condizioni di lavoro delle lavoratrici e dei lavoratori domestici e sono quindi vincolati a detta Convenzione.

4.1.6.

Il CESE accoglie con favore il fatto che l’articolo 1, paragrafo 7, della direttiva dovrebbe applicarsi ai lavoratori marittimi e ai pescatori. Quanto alle condizioni di lavoro dei marittimi, che sono disciplinate dalla direttiva 2009/13/CE del Consiglio, il CESE ritiene che si dovrebbe valutare la compatibilità della proposta di direttiva con le caratteristiche specifiche della professione marittima.

4.2.   Obbligo di informazione

4.2.1.

Il CESE sostiene il fatto che, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della proposta, i lavoratori debbano essere informati delle condizioni di lavoro importanti all’inizio del rapporto di lavoro. Si tratta dell’unico modo per assicurarsi che entrambe le parti siano consapevoli dei loro diritti e dei loro obblighi al momento di instaurare un rapporto di lavoro. Fornire le informazioni in una fase successiva va unicamente a scapito dei lavoratori i quali, nel caso di lavori di breve durata, perdono interamente la protezione cui hanno diritto. Tuttavia, il CESE riconosce che vi possono essere circostanze eccezionali che possono impedire alle microimprese e alle piccole imprese di fornire le informazioni il primo giorno. Il CESE raccomanda di prevedere una breve proroga del termine per la presentazione di informazioni ai lavoratori nel caso delle microimprese e delle piccole imprese. Riconosce inoltre che un fascicolo informativo più ampio per le aziende, in particolare le piccole imprese e le microimprese, potrebbe risultare gravoso. Ritiene pertanto che sia necessario fornire assistenza e sostegno alle persone fisiche, alle piccole imprese e alle microimprese, tra l’altro anche da parte di associazioni di PMI, per aiutarle ad adempiere agli obblighi previsti dalla direttiva.

4.2.2.

La proposta prevede all’articolo 4, paragrafo 1, che il documento contenente le informazioni sul rapporto di lavoro possa essere trasmesso per via elettronica purché sia facilmente accessibile al lavoratore. Il CESE ritiene, tuttavia, che ciò sia importante per garantire che la notifica abbia effettivamente luogo, e raccomanda che datori di lavoro e lavoratori abbiano la possibilità di concordare le modalità di trasmissione del documento e che, in ogni caso, la notifica sia considerata completata solo dopo che il lavoratore ne ha confermato il ricevimento.

4.2.3.

Il CESE concorda sul fatto che le informazioni relative alle modifiche delle condizioni di lavoro fondamentali debbano essere fornite prima possibile e al più tardi al momento dell’entrata in vigore della modifica. Questo permette di colmare un’importante lacuna nell’attuale direttiva sulle dichiarazioni scritte, secondo cui le modifiche devono essere comunicate per iscritto solamente un mese dopo la loro entrata in vigore (articolo 5, paragrafo 1). Per evitare oneri amministrativi eccessivi è opportuno stabilire che i cambiamenti risultanti dalle modifiche degli obblighi giuridici o amministrativi stabiliti o dai contratti collettivi non devono essere comunicati individualmente da un’impresa, dato che in molti Stati membri tali modifiche sono comunicate dai legislatori e dalle parti sociali.

4.2.4.

L’articolo 6, paragrafo 1 corrisponde sostanzialmente alle disposizioni vigenti (articolo 4, paragrafo 1 della direttiva sulle dichiarazioni scritte). Il CESE prende atto delle informazioni più dettagliate (che ora figurano alla lettera c)] in merito alle prestazioni in natura e in denaro.

4.2.5.

Il CESE accoglie con favore l’obbligo di cui all’articolo 6, paragrafo 2, di fornire maggiori informazioni ai lavoratori distaccati. Raccomanda di precisare che dette disposizioni si basano su disposizioni esistenti, vale a dire che tali informazioni devono essere fornite in aggiunta a quelle previste all’articolo 6, paragrafo 1, e all’articolo 3, paragrafo 2. Non è chiaro quando la direttiva 96/71/CE riveduta entrerà in vigore. Tuttavia il CESE sottolinea che le disposizioni di detta direttiva devono essere coerenti con l’accordo finale sulla revisione della direttiva relativa al distacco dei lavoratori.

4.2.6.

Il CESE osserva che il riferimento al sito web che deve essere istituito in ogni Stato membro (articolo 5, paragrafo 2, lettera a), della direttiva di applicazione 2014/67/UE) non adempie adeguatamente all’obbligo di fornire informazioni. Questo è dovuto al fatto che il riferimento presuppone che ogni Stato membro abbia adempiuto pienamente all’obbligo stabilito dalla direttiva di applicazione e che i lavoratori distaccati siano in grado di comprendere sia il contenuto delle informazioni che la lingua in cui queste sono redatte. Dato che molti paesi, tra cui la Germania, non sono stati in grado di soddisfare adeguatamente il loro obbligo ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2014/67/UE, nonostante la scadenza del periodo di attuazione, il riferimento risulta inutile se le informazioni presenti sui siti web sono solo molto generiche e non sono disponibili nelle lingue pertinenti.

4.2.7.

Il CESE sottolinea che un semplice riferimento alle disposizioni in vigore, come previsto dall’articolo 6, paragrafo 3, non è sufficiente per adempiere agli obblighi di informare adeguatamente i lavoratori stranieri qualora tali disposizioni non siano accessibili in una lingua che essi sono in grado di capire. I lavoratori stranieri devono essere informati direttamente senza fare riferimento a disposizioni che non sono in grado di capire, soprattutto quando si tratta della retribuzione che si possono attendere all’estero.

4.2.8.

L’articolo 6, paragrafo 4, della proposta prevede un’esenzione dall’obbligo di informazione per i periodi di lavoro all’estero che non superano le quattro settimane consecutive. Il CESE esprime preoccupazione per il fatto che questa disposizione potrebbe creare una lacuna che consentirebbe di eludere gli obblighi di informazione, e raccomanda una valutazione di tale esenzione a tempo debito.

4.3.   Prescrizioni minime relative alle condizioni di lavoro

4.3.1.

Il CESE sostiene l’obiettivo della Commissione di far sì che le disposizioni dell’articolo 7, paragrafo 1, introducano prescrizioni minime uniformi per l’intera durata del periodo di prova. Questa disposizione, analogamente all’esenzione di cui all’articolo 7, paragrafo 2, è nell’interesse sia dei datori di lavoro che dei lavoratori. I periodi di prova consentono ai datori di lavoro di verificare che i lavoratori siano idonei alla posizione per la quale sono stati assunti fornendo al contempo ai lavoratori sostegno e formazione. Tali periodi possono essere caratterizzati da una minore protezione contro il licenziamento. L’ingresso nel mercato del lavoro o la transizione verso una nuova posizione non dovrebbe implicare un lungo periodo di insicurezza. Come stabilito nel pilastro europeo dei diritti sociali, i periodi di prova dovrebbero pertanto essere di durata ragionevole. Il CESE sottolinea che l’articolo 7, paragrafo 2, consentirebbe agli Stati membri di prevedere periodi di prova più lunghi, quando ciò sia giustificato dalla natura del rapporto di lavoro, come potrebbe essere il caso, ad esempio, della pubblica amministrazione di alcuni Stati membri o dei posti di lavoro che richiedono competenze eccezionali.

4.3.2.

Il CESE è favorevole alla disposizione di cui all’articolo 8, paragrafo 1, secondo la quale i datori di lavoro non devono vietare ai lavoratori di accettare impieghi presso altri datori di lavoro al di fuori della programmazione del lavoro stabilita con i primi, entro i limiti fissati dalla direttiva sull’orario di lavoro intesa a proteggere la salute e la sicurezza dei lavoratori. Tuttavia, sottolinea che un diritto così ampio di svolgere un lavoro in parallelo dovrebbe rispettare la normativa, le prassi e le tradizioni in materia di dialogo sociale e partenariato sociale in vigore nei singoli Stati membri. Un diritto così ampio può risultare problematico, in particolare nel caso del personale chiave per il datore di lavoro, dato che questi lavoratori non possono essere disponibili per più datori di lavoro allo stesso tempo. Per quanto riguarda la direttiva sull’orario di lavoro, sussistono anche preoccupazioni circa il fatto che i datori di lavoro possano essere responsabili del controllo dell’orario di lavoro delle persone che esercitano un lavoro in parallelo. Il CESE raccomanda di chiarire che il datore di lavoro non è responsabile del controllo dell’orario di lavoro nell’ambito di un altro rapporto di lavoro.

4.3.3.

A norma dell’articolo 8, paragrafo 2, i datori di lavoro possono stabilire condizioni di incompatibilità qualora tali limitazioni siano giustificate da motivi legittimi quali la protezione dei segreti aziendali o la prevenzione dei conflitti di interessi. Al considerando 20 la Commissione fa riferimento a specifiche categorie di datori di lavoro. I datori di lavoro possono, in linea di principio, sostenere detto articolo 8, paragrafo 2, ma ritengono che limitare le restrizioni nel caso del lavoro per specifiche categorie di datori di lavoro sembri non consentire le restrizioni necessarie per il personale chiave in particolare, a prescindere dalla categoria dei datori di lavoro per cui vorrebbero lavorare. Tuttavia i sindacati si oppongono a tale esenzione generale visto che darebbe ai datori di lavoro il diritto unilaterale di stabilire criteri di incompatibilità che limitano il lavoro in parallelo. Qualora un datore di lavoro abbia motivi legittimi per applicare siffatte restrizioni, queste devono essere oggettivamente giustificabili, e pertanto la responsabilità di bilanciare gli interessi contrastanti delle parti ricade principalmente sui legislatori e sugli organi giurisdizionali dello Stato membro.

4.3.4.

Il CESE condivide l’obiettivo di migliorare la prevedibilità del lavoro su chiamata previsto dalla proposta. Questa prevedibilità può essere migliorata mediante delle restrizioni dell’orario di lavoro effettivo in funzione di un quadro di riferimento stabilito in anticipo e tramite la notifica rapida degli orari, come previsto all’articolo 9. I lavoratori la cui programmazione del lavoro è in gran parte variabile dovrebbero beneficiare di una prevedibilità minima del lavoro se la programmazione del lavoro richiede la loro flessibilità sia direttamente, ad esempio mediante l’assegnazione di incarichi di lavoro, che indirettamente, ad esempio chiedendo al lavoratore di rispondere alle richieste dei clienti. Tuttavia, sarà necessario chiarire che cosa si intenda per preavviso sufficientemente ragionevole atto ad informare il lavoratore del lavoro da svolgere nei giorni successivi, e chi dovrebbe decidere quale sia il preavviso ragionevole per i diversi settori. Gli accordi in merito variano in base al settore.

4.3.5.

Il CESE sottolinea che la direttiva non fornisce agli Stati membri alcun orientamento qualitativo in merito al quadro di riferimento e al preavviso. Non è escluso che anche un periodo di riferimento e un periodo di preavviso nel senso ampio del termine sarebbero comunque conformi alla direttiva, pur non migliorando la prevedibilità del lavoro per i lavoratori. Inoltre, i periodi di riferimento potrebbero essere imposti unilateralmente dal datore di lavoro, senza che i lavoratori abbiano il medesimo diritto, il che perpetuerebbe lo squilibrio esistente.

4.3.6.

Il CESE riconosce il fatto che il lavoro a chiamata comporta una certa flessibilità che limita la prevedibilità della vita quotidiana di un lavoratore dipendente. Il lavoro a chiamata potrebbe presentare un grosso problema per i lavoratori, vale a dire un reddito variabile e inaffidabile. Il CESE ritiene che il lavoro a chiamata non possa essere mantenuto come forma di occupazione senza che venga stabilito un adeguato periodo di riferimento e un opportuno preavviso per il lavoratore. Raccomanda che i contratti che prevedono un lavoro a chiamata debbano obbligatoriamente garantire un determinato numero di ore o il pagamento corrispondente.

4.3.7.

Ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, dopo un periodo di lavoro di sei mesi i lavoratori devono avere la possibilità di chiedere ai loro datori di lavoro una forma di lavoro subordinato con condizioni di lavoro più prevedibili e sicure. Il CESE accoglie con favore il fatto che questo accordo debba applicarsi a tutte le categorie di lavoratori in situazioni di lavoro atipico o precario. Esprime preoccupazione per il fatto che non vi sia alcuna disposizione che preveda il diritto esigibile di passare ad altre forme di occupazione, se disponibili. In quanto tale, il diritto di presentare una domanda non costituisce, di per sé, un miglioramento significativo della situazione giuridica dei dipendenti subordinati, dato che possono già esprimere il desiderio di una riqualificazione professionale, di un contratto a tempo indeterminato ecc. Tuttavia, le misure strategiche a sostegno di tale obiettivo dovrebbero essere efficaci e proporzionate e non dovrebbero imporre oneri amministrativi inutili alle imprese.

4.3.8.

A giudizio del CESE, i requisiti di cui all’articolo 10, paragrafo 2, in merito alla risposta scritta del datore di lavoro devono essere ampliati. I datori di lavoro dovrebbero fornire ragioni commerciali oggettive per il rifiuto della domanda, di modo che, se il lavoratore ritiene che la domanda sia stata respinta per altri motivi, il rifiuto possa essere sottoposto a una verifica indipendente da parte degli organi giurisdizionali o conformemente alle pratiche nazionali. Questo è l’unico modo per garantire che i datori di lavoro prendano seriamente in considerazione le richieste dei lavoratori, invece di limitarsi a fornire una risposta qualunque per adempiere a una formalità.

4.3.9.

Il CESE prende atto che la Commissione riconosce la situazione specifica delle persone fisiche che agiscono in qualità di datori di lavoro, nonché delle piccole imprese e delle microimprese, nella deroga ai requisiti relativi alla motivazione scritta di cui all’articolo 10, paragrafo 2. Tuttavia, fa notare che la formulazione attuale coprirebbe tutte le imprese con un massimo di 249 dipendenti e un fatturato annuo fino a 50 milioni di EUR, vale a dire il 99 % di tutte le imprese dell’UE. L’ambito di applicazione della deroga dovrebbe pertanto essere riveduto.

4.3.10.

Il CESE ritiene che la direttiva dovrebbe creare reali opportunità che permettano ai lavoratori che svolgono forme di lavoro subordinato non standard di passare a condizioni di impiego più standard, adeguate alle loro qualifiche. A tal fine vi è bisogno di diritti minimi che permettano ai lavoratori a tempo determinato di passare a un contratto a tempo indeterminato e di essere riqualificati passando dal lavoro a tempo parziale al lavoro a tempo pieno, qualora vi siano posti vacanti nell’impresa e il lavoratore possieda le competenze o le qualifiche necessarie.

4.3.11.

Il CESE accoglie con favore la disposizione contenuta nell’articolo 11, in base alla quale, qualora i datori di lavoro siano tenuti, a norma della legislazione dell’Unione o nazionale o dei pertinenti contratti collettivi, ad erogare ai lavoratori formazione ai fini dello svolgimento del lavoro per il quale sono stati assunti, tale formazione dovrebbe essere gratuita per il lavoratore. Per quanto riguarda la possibilità di introdurre una «clausola di rimborso» nel caso di una formazione che esuli dagli obblighi di legge e che comporti un miglioramento del livello di qualifiche del lavoratore dipendente, e qualora questi si dimetta in una fase iniziale del rapporto di lavoro dopo aver seguito la formazione, il CESE sottolinea che eventuali clausole di questo tipo devono avere un valido fondamento per ogni singolo caso e, se opportuno, essere state concordate a seguito di un negoziato tra le parti sociali; devono anche, in ogni caso, rispettare il principio di proporzionalità ed avere effetto regressivo (ossia, il rischio di rimborso per il lavoratore dipendente diminuisce a misura che prosegue il rapporto di lavoro).

4.3.12.

Il CESE accoglie con favore il fatto che l’articolo 12 preveda la modifica delle norme minime di cui agli articoli da 7 a 11 nel quadro di accordi collettivi, a condizione che i diritti dei lavoratori restino a un livello adeguato all’interno di tali accordi e che si mantenga il rispetto della protezione generale dei lavoratori. Sottolinea che condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili dovrebbero essere negoziate soprattutto dalle parti sociali nel quadro del dialogo sociale.

4.4.   Altre disposizioni

4.4.1.

Il CESE richiama l’attenzione sul fatto che l’articolo 13 impone agli Stati membri di assicurare la conformità alla direttiva e di dichiarare nulle o di modificare le disposizioni contrarie alla stessa nei contratti individuali o collettivi al fine di allinearle alle disposizioni della direttiva. Le conseguenze derivanti dall’introduzione dell’annullamento e la relativa conformità alla direttiva negli Stati membri dovrebbero essere analizzate attentamente soprattutto alla luce dell’articolo 12. Occorre incoraggiare e rispettare il ruolo delle parti sociali nel garantire la conformità alla direttiva.

4.4.2.

L’articolo 14 della proposta prevede una serie di strumenti per sanzionare una violazione degli obblighi di informazione della direttiva. Il CESE ha richiamato l’attenzione su questa lacuna in un suo precedente parere e ha chiesto che fosse rettificata (4). Secondo il CESE, le sanzioni, qualora siano giustificate, dovrebbero corrispondere al livello del danno subito da un dipendente. In questo modo si potrebbero evitare controversie per delle violazioni tecniche minime della direttiva. Il CESE accoglie con favore la disposizione dell’articolo 14, lettera b), in base alla quale i datori di lavoro dispongono di 15 giorni per fornire le informazioni mancanti.

4.4.3.

Il CESE accoglie con soddisfazione l’obbligo imposto agli Stati membri all’articolo 15 di assicurare che i lavoratori abbiano accesso a un meccanismo di risoluzione delle controversie efficace e imparziale e beneficino di un diritto di ricorso, compresa un’adeguata compensazione, in caso di violazioni dei loro diritti derivanti dalla direttiva.

4.4.4.

Il CESE accoglie con favore le disposizioni dell’articolo 16 che concretizzano il divieto generale di ricorrere a un trattamento disciplinare. Tali disposizioni, che gli Stati membri attuerebbero mediante un esplicito divieto di discriminazione, fungono da segnale per gli operatori del diritto e in quanto tali costituiscono una misura preventiva.

4.4.5.

Il CESE prende atto della protezione contro il licenziamento prevista dall’articolo 17 e del relativo onere della prova. L’articolo 17, paragrafo 1, stabilisce che gli Stati membri devono vietare il licenziamento (o misure con effetto equivalente) o la preparazione di un licenziamento per il fatto che i lavoratori abbiano esercitato i diritti previsti dalla direttiva. Tale articolo, in combinazione con l’articolo 17, paragrafo 2, in virtù del quale i lavoratori che ritengono di essere stati licenziati per il fatto di aver esercitato i diritti di cui alla direttiva in questione possono chiedere al datore di lavoro di fornire i motivi debitamente giustificati del licenziamento, costituisce uno strumento utile per l’esercizio dei diritti derivanti dalla direttiva all’esame. A giudizio del CESE, l’approccio adottato all’articolo 17, paragrafo 3, in base al quale incombe al datore di lavoro dimostrare che il licenziamento è stato basato su motivi diversi dalla discriminazione del lavoratore, va nella giusta direzione, sebbene sollevi una serie di dubbi quanto alla base giuridica della disposizione sui quali andrebbe fatta chiarezza. È opportuno chiarire che i licenziamenti o misure analoghe non hanno validità per il fatto che i lavoratori hanno invocato i loro diritti ai sensi della direttiva stessa.

4.4.6.

Il CESE sostiene l’obbligo per gli Stati membri, stabilito all’articolo 18, di prevedere sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive in caso di violazione delle disposizioni nazionali di attuazione della direttiva.

4.4.7.

Il CESE accoglie con favore le espresse disposizioni dell’articolo 19 che vietano l’abbassamento degli standard in questa normativa; tali disposizioni erano già presenti nella direttiva sulle dichiarazioni scritte (articolo 7) e sono indispensabili quando gli standard dei diritti sostanziali sono più elevati. Tuttavia il paragrafo 1 dev’essere chiarito per assicurare che non solo non si possa ridurre il livello generale di protezione ma anche che, in particolare riguardo ai singoli settori contemplati dalla direttiva, non sia consentito alcun peggioramento negli ambiti che essa disciplina a seguito della sua attuazione.

4.4.8.

Il CESE si compiace del fatto che, a norma dell’articolo 21, i diritti e gli obblighi derivanti dalla direttiva debbano essere estesi anche alle condizioni di lavoro attuali. Ciò è sia ragionevole che necessario, considerato che la direttiva intende migliorare la situazione giuridica attuale. Tuttavia il Comitato riconosce che questo potrebbe comportare costi ed eventuali oneri aggiuntivi per le imprese. Si dovrebbero adottare misure adeguate per assistere le persone fisiche che agiscono in qualità di datori di lavoro e le imprese, in particolare le piccole imprese e le microimprese, affinché possano adempiere agli obblighi previsti dalla direttiva.

Bruxelles, 23 maggio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  GU C 434 del 15.12.2017, pag. 30.

(2)  GU C 125 del 21.4.2017, pag. 10 e GU C 81 del 2.3.2018, pag. 145.

(3)  GU C 125 del 21.4.2017, pag. 10.

(4)  GU C 125 del 21.4.2017, pag. 10.


10.8.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 283/48


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla: «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per l’interoperabilità tra i sistemi di informazione dell’UE (frontiere e visti) e che modifica la decisione 2004/512/CE del Consiglio, il regolamento (CE) n. 767/2008, la decisione 2008/633/GAI del Consiglio, il regolamento (UE) 2016/399 e il regolamento (UE) 2017/2226»

[COM(2017) 793 final — 2017/0351 (COD)]

e sulla

«Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per l’interoperabilità tra i sistemi d’informazione dell’UE (cooperazione giudiziaria e di polizia, asilo e migrazione)»

[COM(2017) 794 final — 2017/0352 (COD)]

(2018/C 283/07)

Relatrice:

Laure BATUT

Consultazione

Commissione europea, 18.1.2018

Parlamento europeo, 28.2.2018

Base giuridica

Articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

25.4.2018

Adozione in sessione plenaria

23.5.2018

Sessione plenaria n.

535

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

160/3/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE considera utile e positiva la proposta della Commissione europea tesa a migliorare l’interoperabilità dei sistemi d’informazione dell’UE in materia di frontiere e visti, di cooperazione giudiziaria e di polizia nonché di asilo e di migrazione.

1.2.

A giudizio del CESE, tale interoperabilità deve costituire un obiettivo strategico dell’UE affinché essa rimanga uno spazio aperto, che garantisce i diritti fondamentali e la mobilità. L’UE e gli Stati membri hanno l’obbligo di proteggere la vita e la sicurezza di tutti gli esseri umani. Occorre rispettare pienamente il principio del non respingimento.

1.3.

Tanto maggiore sarà la comprensione delle misure in materia di interoperabilità quanto più esse:

garantiranno, nell’ambito della strategia dell’UE in materia di migrazione, condizioni di equilibrio tra libertà e sicurezza, nel rispetto della separazione dei poteri,

assicureranno alle persone interessate il rispetto dei loro diritti fondamentali, in particolare la protezione dei loro dati personali e della loro privacy, il diritto di accedere ai propri dati, di rettificarli o di cancellarli entro un termine ragionevole e attraverso procedure accessibili,

riaffermeranno, anche in tutti i testi d’esecuzione, l’esigenza di integrare i principi di protezione dei dati fin dalla fase di progettazione («privacy by design»),

non creeranno nuovi ostacoli al traffico normale di passeggeri e merci.

1.4.

Per quanto riguarda l’uso dei dati a fini di contrasto, il CESE chiede procedure e garanzie che:

prevedano di applicare in questo ambito la legge europea più protettiva (regolamento generale sulla protezione dei dati),

permettano di determinare più rapidamente lo Stato membro autorizzato ad esaminare le domande di protezione internazionale,

garantiscano alle persone interessate il diritto a due gradi di giudizio,

garantiscano ai minori, in particolare quelli non accompagnati, siano essi in situazione irregolare, perseguitati o abbiano commesso delle illegalità, il diritto di ottenere un visto, di essere protetti e integrati e di beneficiare del diritto all’oblio entro un lasso di tempo più breve rispetto ai maggiorenni.

1.5.

Il CESE ritiene che l’attuale base giuridica dei sistemi di informazione dovrebbe essere rafforzata e tenere conto dell’evoluzione dei sistemi di raccolta dei dati. Raccomanda pertanto di:

rafforzare la sicurezza delle banche dati esistenti e quella dei loro canali di comunicazione,

valutare l’impatto del rafforzamento del controllo ex ante sulla gestione dei rischi,

assicurare un controllo e una valutazione permanente del sistema da parte delle autorità competenti in materia di protezione dei dati (GEPD); chiede ai responsabili di riferire ogni anno alle autorità decisionali e alla Commissione in merito alla sicurezza degli elementi di interoperabilità e ogni due anni in merito all’impatto delle misure sui diritti fondamentali.

1.6.

Il CESE ritiene che il progetto debba contare su un personale competente e raccomanda:

programmi concreti di formazione per le autorità competenti e gli agenti di eu-LISA,

un controllo scrupoloso delle competenze di detti agenti e dei candidati ai posti dell’agenzia.

1.7.

Il CESE esprime la sua preoccupazione per il finanziamento del nuovo sistema. Il monitoraggio della programmazione sarà fondamentale per evitare lo slittamento dei bilanci e garantire il completamento del progetto fino al 2029;

1.8.

Il CESE raccomanda che i cittadini siano informati dei progressi compiuti in tale ambito fino al completamento del progetto, e che le persone ricevano un’informazione di tipo pedagogico sui controlli cui sono soggette. Ritiene che debba essere prevista la possibilità di mettere fine all’iniziativa qualora la libertà e i diritti fondamentali vengano messi in pericolo da un uso distorto del sistema.

2.   Introduzione

2.1.

Nel contesto internazionale del 2017, considerato come instabile tanto sul piano geopolitico quanto su quello della sicurezza interna degli Stati membri, il Consiglio ha chiesto ripetutamente alla Commissione di mettere in atto i mezzi per rintracciare le persone giudicate «a rischio» e già oggetto di schedatura in uno degli Stati membri. Individuarne i passaggi alle frontiere, i viaggi e gli spostamenti in Europa potrebbe rivelarsi cruciale per la sicurezza all’interno dell’UE.

2.2.

Nella risoluzione del 6 luglio 2016 il Parlamento ha invitato la Commissione europea ad assicurare le necessarie garanzie in materia di protezione dei dati.

2.3.

I testi all’esame rientrano nell’obiettivo «Preservare e rafforzare Schengen» (1). L’Unione si è già dotata di diverse normative e servizi digitalizzati di informazione nei settori legati al controllo dell’attraversamento delle frontiere di persone e merci.

2.4.

Promemoria:

SIS: Sistema d’informazione Schengen, uno dei meccanismi più vecchi, riveduto, che gestisce un ampio spettro di segnalazioni riguardanti le persone e le merci,

Eurodac: Sistema europeo per il confronto delle impronte digitali dei richiedenti asilo e dei cittadini dei paesi terzi in situazione irregolare alle frontiere e negli Stati membri, e per la determinazione dello Stato membro responsabile delle domande (CESE 2016-02981, relatore: Moreno Díaz (2)),

VIS: Sistema di informazione visti (codice dei visti), che gestisce i visti per i soggiorni di breve durata (CESE 2014-02932, relatori: Pezzini e Pariza Castaños (3)),

EES: Sistema di ingressi/uscite, attualmente in attesa di decisione, che dovrebbe gestire elettronicamente i dati dei passaporti e le date di ingresso/uscita dei cittadini di paesi terzi che si recano nello spazio Schengen (CESE 2016-03098, SOC/544, relatore: Pîrvulescu (4)),

ETIAS: Sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi, attualmente in attesa di decisione, che dovrebbe costituire un ampio sistema automatizzato di stoccaggio e verifica ex ante dei dati dei cittadini di paesi terzi esentati dal visto per circolare nella zona Schengen (CESE 2016-06889, SOC/556, relatore: Simons (5)),

ECRIS-TCN: Sistema europeo di scambio di informazioni sui casellari giudiziali dei cittadini di paesi terzi, attualmente proposto dalla Commissione, un sistema digitale di scambio di informazioni sulle sentenze già pronunciate dai giudici nazionali.

2.5.

Si può fare un’analogia tra i mezzi attuali di un’autorità abilitata e uno smartphone con diverse applicazioni, tutte separate tra loro e ciascuna che fornisce le «proprie» informazioni.

2.6.

Ad eccezione del SIS, tali sistemi sono incentrati sulla gestione dei cittadini di paesi terzi. Esistono sei sistemi, complementari e decentrati. La somma delle informazioni richieste è quella delle diverse risposte ottenute nelle diverse banche dati dai servizi di investigazione, in funzione delle loro autorizzazioni di accesso.

2.7.

La Commissione si propone di rispondere alla seguente domanda:

in che modo, senza cambiare le strutture già acquisite e mantenendone la complementarietà, collegare tra loro tutte le banche dati allo stesso tempo affinché, in uno specifico punto di entrata sul territorio europeo e tramite una sola interrogazione del sistema, tutte le informazioni già raccolte nelle basi esistenti convergano verso l’autorità di controllo autorizzata a richiederle, rispettando nel contempo le disposizioni in materia di protezione dei dati e i diritti fondamentali.

2.8.

La Commissione europea, nelle proposte in esame:

2.8.1.

desidera aggiungere le ulteriori possibilità offerte da un accesso alle banche dati di Europol e di Interpol, che già cooperano con le autorità di controllo europee;

2.8.2.

vorrebbe «sincronizzare» le ricerche di informazioni per ridurre i tempi di risposta per quanto concerne il dossier dei migranti, e accelerare la risposta di sicurezza in caso di necessità. A tal fine, propone di creare nuove entità, il che consentirebbe di fare funzionare in simbiosi le banche dati esistenti.

2.9.

I suoi obiettivi sono i seguenti: rimediare il più possibile alle carenze dei diversi sistemi; migliorare la gestione delle frontiere esterne dello spazio Schengen; contribuire alla sicurezza interna dell’Unione; gestire le frodi d’identità; risolvere i casi di identità multiple; ritrovare le persone sospettate o già condannate e verificarne l’identità nello spazio Schengen.

2.10.

Per riprendere l’immagine dello smartphone, non solo l’autorità abilitata avrebbe a sua disposizione numerose applicazioni, ma potrebbe anche raccogliere simultaneamente e nel quadro della stessa ricerca (attraverso i propri codici di accesso) i dati memorizzati in tutti i suoi supporti: computer, laptop, telefono, tablet, notebook ecc.

3.   Funzionamento del sistema

3.1.

La Commissione ha proceduto ad una serie di consultazioni e ha riunito un gruppo di esperti ad alto livello sui sistemi di informazione e l’interoperabilità (6), nominati dagli Stati membri, dai paesi del gruppo Schengen e da agenzie europee come eu-LISA (7) e FRA (8), con il coordinamento della DG HOME.

Il metodo: interconnettività o interoperabilità?

3.1.1.

L’interconnettività dei sistemi di informazione è la possibilità di collegarli tra loro in modo che i dati di uno possano essere consultati automaticamente da un altro.

3.1.2.

L’interoperabilità (9) è la capacità di diversi sistemi di comunicare, scambiare dati e utilizzare le informazioni scambiate, rispettando le autorizzazioni di accesso ai sistemi.

3.2.   La scelta dell’interoperabilità

3.2.1.

Per la Commissione, questa opzione non stravolge quanto già creato tramite le strutture e le competenze attuali, e i dati resteranno in compartimenti stagni. Nonostante la maggiore divulgabilità, tale opzione comporterebbe un vantaggio in materia di sicurezza per i sistemi e i dati, nessuno dei quali, evidentemente, sarà accessibile via Internet. I testi sottoposti a parere presentano forti analogie e riguardano:

uno, COM(2017) 793, l’interoperabilità dei sistemi di informazione relativi alle frontiere e ai visti,

l’altro, COM(2017) 794, la cooperazione giudiziaria e di polizia, l’asilo e la migrazione.

3.3.   I nuovi strumenti

3.3.1.

Per funzionare in interoperabilità, una nuova architettura composta da quattro nuovi strumenti dovrà completare le sei banche dati per lavorare rapidamente interrogando il sistema solo una volta, mantenendo delle persone abilitate all’origine delle richieste.

3.4.   Il PER (EPS), Portale europeo della ricerca

3.4.1.

L’autorità di controllo autorizzata (utente finale) dovrebbe disporre di un accesso unico all’intero sistema. Invece di sei ricerche, essa ne lancerebbe solo una (polizia, dogane ecc.), per interrogare contemporaneamente diverse banche dati sui dati ricercati, senza però conservarne alcuno. Se i dati esistono, il sistema li troverà. In caso di sospetto di reato o di attività terroristiche, il primo tentativo potrà avere esito neutro per la persona controllata («no-hit»), ma se il dato concorda con una seconda informazione («hit») presente nelle banche dati quali SIS, EES, ETIAS, ciò potrà indurre ad effettuare ricerche approfondite e a lanciare un’indagine.

3.5.   Il BMS comune (servizio comune di corrispondenza biometrica)

3.5.1.

Tale piattaforma condivisa di confronto consentirà la ricerca e la comparazione simultanee di dati matematizzati, biometrici, impronte digitali e fotografie di identità, a partire dalle diverse banche dati, come SIS, Eurodac, VIS, EES (10), ECRIS, ma non ETIAS; i loro dati dovranno essere compatibili.

3.5.2.

I dati matematizzati non verranno conservati nella loro forma originale.

3.6.   Il CIR (registro comune di identità)

3.6.1.

Un «registro comune di identità» riunirà i dati relativi all’identità biografica e biometrica delle persone controllate di paesi terzi, che si trovino alla frontiera o negli Stati membri (di Schengen). Un indicatore di concordanza delle informazioni nelle diverse banche dati accelererà le ricerche. Sotto la responsabilità e con i mezzi di sicurezza dell’agenzia eu-LISA, tali dati saranno conservati in modo che nessuno possa accedere a più di una linea alfanumerica alla volta. Sviluppato a partire dall’EES e dall’ETIAS, il CIR non dovrebbe determinare una duplicazione dei dati. Il registro potrà essere utilizzato anche per ricerche civili.

3.7.   Il MID (rivelatore di identità multiple)

3.7.1.

Esso avrà il compito di verificare la vera identità delle persone in buona fede e di combattere le frodi di identità, attuando una ricerca in tutte le banche contemporaneamente. Nessuna amministrazione ha ancora utilizzato uno strumento di questo tipo, che dovrebbe consentire di evitare le usurpazioni di identità.

3.8.   Il ruolo dell’agenzia eu-LISA (11)

3.8.1.

L’agenzia, istituita nel 2011, ha il compito di facilitare le politiche dell’UE nei settori della giustizia, della sicurezza e della libertà. Essa ha sede a Tallinn (Estonia) e garantisce già lo scambio di informazioni tra le diverse autorità di contrasto degli Stati membri e il funzionamento senza interruzioni dei sistemi informatici su vasta scala, nonché la libera circolazione delle persone nello spazio Schengen.

3.8.2.

L’agenzia sta lavorando al progetto «Frontiere intelligenti» e, nella nuova architettura di scambio di dati, svolgerà un ruolo di conservazione degli elementi connessi alle persone come di quelli relativi alle autorità, alle indagini e agli investigatori. Essa verificherà le autorizzazioni dei richiedenti e garantirà la sicurezza dei dati, anche in caso di «incidente» (articolo 44 delle proposte (2017) 793 e 794).

3.8.3.

L’uso dell’UMF (formato universale dei messaggi), non ancora creato, dovrebbe rendere più facile lavorare con i nuovi sistemi, che saranno obbligatori, imponendo la creazione di interfacce negli Stati membri che non ne sono ancora dotati e un sistema di traduzione temporanea da un linguaggio all’altro.

3.9.   La protezione dei dati personali (artt. 7 e 8 della Carta):

3.9.1.

La proposta di regolamento riconosce la possibilità di incidenti in materia di sicurezza. Gli Stati membri e i loro sistemi di dati devono rispettare per primi i principi di protezione dei dati previsti dai testi, dal trattato, dalla Carta dei diritti fondamentali e dal regolamento generale sulla protezione dei dati RGPD (12), che entrerà in vigore il 25 maggio 2018.

4.   Dibattito

4.1.   Valore aggiunto dell’interoperabilità in democrazia

4.1.1.

L’Unione ha bisogno di una legislazione e di mezzi di indagine che la proteggano dalla criminalità. L’interoperabilità dei sistemi di informazione è un’opportunità di far valere la preminenza del diritto e la difesa dei diritti umani.

4.1.2.

L’EES e l’ETIAS, combinati con il BMS e il CIR, permetteranno di controllare il passaggio alle frontiere delle persone sospette, conservando i loro dati. Tuttavia, la possibilità di agevolare e semplificare «alle autorità di contrasto l’accesso ai sistemi di informazione estranei al settore del contrasto a livello dell’UE» (articolo 17, CIR, proposte (2017) 793 e 794) non può essere compatibile con gli obiettivi indicati come base delle proposte all’esame. In tale contesto, il Comitato (articolo 300, paragrafo 4, del TFUE) è tenuto ad invocare il principio di proporzionalità e chiede alla Commissione di scongiurare qualsiasi schema tipo «Grande Fratello» (13) e la creazione di ostacoli alla libertà di circolazione dei cittadini europei (articolo 3 del TUE).

4.1.3.

Il modello proposto per la raccolta e l’utilizzo dei dati personali ottenuti alla frontiera e nel territorio dell’Unione durante i controlli dei movimenti e dei documenti viene presentato come un modello «a tenuta stagna», accessibile solo alle persone autorizzate e per scopi di sicurezza e di gestione, e consentirà una maggiore fluidità delle procedure.

4.1.4.

Il Comitato nutre una serie di dubbi sull’impermeabilità: sussisteranno delle lacune, la costruzione che si estende su un arco di nove anni si basa su «fondamenta» ancora inesistenti, come le banche dati EES ed ETIAS o le interfacce nazionali. Essendo il contesto tecnologico in costante evoluzione, il progetto si basa necessariamente sullo stato della tecnica e non prevede, finanziariamente parlando, la gestione dell’obsolescenza che potrebbe manifestarsi in alcuni settori digitali.

4.1.5.

Inoltre, la proposta avrebbe potuto tener conto della rapida evoluzione nell’utilizzo dei cosiddetti algoritmi dell’intelligenza artificiale (IA) sia come strumento di controllo dei sistemi sia come chiave di sicurezza da affidare alle autorità decisionali per garantire un uso democratico del sistema.

4.1.6.

Il sistema elaborato nella proposta è stato pensato per soggetti in buona fede, rispettosi della legge. Il fatto che ai comandi vi siano esseri umani è rassicurante, ma il fattore umano può rivelarsi anche un anello debole. Il Comitato propone di aggiungere un articolo che preveda una serie di «disgiuntori differenziali», per i casi di crisi politica e/o di «gestione», poiché qualsiasi problema in una banca dati potrebbe rappresentare un rischio per l’intero sistema (14). L’applicazione generalizzata dell’UMF potrebbe condurre ad un uso internazionale, indubbiamente molto positivo ma molto rischioso per la protezione dei dati. Le autorità abilitate avranno una pesante responsabilità. Tali aspetti non sono trattati nei testi in esame.

4.2.   Tutela dei diritti fondamentali

4.2.1.

I diritti fondamentali sono assoluti: possono subire limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità d’interesse generale riconosciute dall’Unione, ma sempre nel rispetto del loro contenuto essenziale (artt. 8 e 52, paragrafo 1, della Carta). Il Comitato si chiede in che modo possa essere valutata la proporzionalità delle misure di controllo in caso di migranti in fuga dalle persecuzioni e in cerca di asilo sulle coste dell’Unione [COM (2017) 794 final, Relazione — Diritti fondamentali]. La ricerca di sospetti al fine di prevenire azioni criminali, in particolare attentati terroristici, non deve spingere le nostre democrazie verso la presunzione di reato: è essenziale che vi sia una differenza tra le «attività» tali da turbare l’ordine pubblico e le «opinioni».

4.2.2.

Il rispetto per tutti dei diritti sanciti dalla Carta deve garantire un equilibrio tra sicurezza e libertà, pena la morte della democrazia. Il Comitato ritiene che questo equilibrio sia fondamentale e debba rappresentare un obiettivo costante per tutte le autorità, comprese quelle di controllo, a livello sia nazionale che europeo.

4.2.3.

Il sistema conserverà traccia sia delle varie autorità associate a una ricerca sia dei metadati ad essa collegati. Alle stesse autorità competenti vanno garantiti i diritti fondamentali a proposito dei dati generati, in particolare per quanto concerne la loro sicurezza e la loro privacy, in caso di intrusione dolosa nella struttura e di uso improprio dei dati tra il momento in cui vengono inseriti e la loro cancellazione.

4.3.   Protezione dei dati

4.3.1.

Le proposte riconoscono il principio della protezione dei dati personali fin dalla fase di concezione e d’ufficio, benché nella relazione si sottolinei che, secondo la Corte di giustizia (CGUE), non si tratta di una prerogativa assoluta. Il Comitato riconosce i benefici di misure preventive a favore della sicurezza, della lotta contro la falsificazione di identità e della garanzia del diritto di asilo. Desidera tuttavia sottolineare i limiti della matematizzazione dei dati e del loro carattere anonimo: le persone interessate potrebbero aver ancora bisogno dei loro dati.

4.3.2.

Sottolinea inoltre che il tipo di dati memorizzati, biometrici e biologici, è di particolare interesse per alcune imprese e per la criminalità. In questo contesto la sicurezza informatica ha la stessa importanza della sicurezza fisica, ed è menzionata troppo raramente nelle proposte. I dati memorizzati verranno immagazzinati in un unico luogo fisico; anche adottando misure estreme di tutela e di sicurezza, esso potrebbe risultare vulnerabile.

4.3.3.

Il CESE ricorda che per quanto riguarda la protezione dei dati e il diritto alla cancellazione («diritto all’oblio»), le istituzioni e gli organi dell’Unione sono tenuti al rispetto del regolamento (CE) n. 45/2001, meno protettivo del regolamento generale sulla protezione dei dati del 2016 (15) (che entra in vigore nel maggio 2018) che deve essere rispettato dagli Stati membri. Il Comitato sottolinea quanto sia complicato attuare tale diritto e teme che i viaggiatori, i migranti e i richiedenti asilo non siano in grado di farlo rispettare:

1)

la protezione dei dati personali deve valere per tutte le banche dati esistenti, nazionali e europee, affinché l’intero sistema risulti protetto;

2)

la protezione è fondamentale affinché i cittadini accettino questa immensa rete di vigilanza che incombe su di loro.

4.3.4.

Le proposte non indicano chiaramente la durata di conservazione dei dati raccolti dalle autorità abilitate. I testi menzionano la procedura relativa al diritto di rettifica e/o cancellazione che fa avanti e indietro tra lo Stato membro della richiesta e lo Stato membro competente, ma non viene fissato un termine per la conservazione dei dati (articolo 47 delle proposte). Il Comitato raccomanda che tale termine venga stabilito, e che sia più breve per i minori (Carta dei diritti fondamentali, articolo 24) — tranne in caso di terrorismo -, in modo che essi possano sfruttare le loro opportunità di integrazione.

4.4.   Governance e rendicontabilità

4.4.1.

Le banche dati internazionali non sono soggette alle stesse regole vigenti per i sistemi informatizzati europei. La creazione di un formato universale di accesso, che potrebbe diventare internazionale, sarà solo una componente tecnica che non uniformerà le normative, anche se certamente Interpol è tenuta a rispettare l’articolo 17 del Patto delle Nazioni Unite (16). Le autorizzazioni continueranno inoltre ad essere prerogativa degli Stati membri. Il CESE ritiene che le proposte dovrebbero trattare la questione.

4.4.2.

Sarà sufficiente presentare un’unica richiesta, e le banche dati europee in simbiosi fra di loro daranno il loro verdetto. Il CESE sottolinea che la burocrazia generata sarà più che proporzionale alla velocità raggiunta. La governance sarà assicurata dalla Commissione nel quadro di una procedura di controllo con gli Stati membri. Il perno del sistema sarà l’agenzia eu-LISA, incaricata in particolare di definire le procedure per la raccolta delle informazioni sul funzionamento dell’interoperabilità. L’agenzia riceverà le informazioni dagli Stati membri e da Europol e ogni quattro anni presenterà al Consiglio, al Parlamento europeo e alla Commissione una relazione di valutazione tecnica. Dal canto suo, la Commissione preparerà una relazione globale un anno dopo (articolo 68 delle proposte). Per il Comitato, queste fasi procedurali sono troppo lunghe. La valutazione della sicurezza delle componenti di interoperabilità (articolo 68, paragrafo 5, lettera d) dovrebbe aver luogo almeno una volta l’anno, e quella dell’incidenza sui diritti fondamentali almeno ogni due anni (stesso articolo, lettera b).

4.4.3.

Il Comitato si rammarica che questioni importantissime quali quelle oggetto delle proposte all’esame siano gestite da agenzie europee, le cui procedure di assunzione e funzionamento restano oscure per molti cittadini. Reputa necessario comparare le buone pratiche e chiedere il parere di tutte le autorità indipendenti per il controllo dell’utilizzazione dei dati (GEPD), nonché di altre agenzie come la FRA e l’ENISA.

4.4.4.

La creazione di tutte queste nuove strutture e procedure avverrà mediante atti delegati e atti di esecuzione della Commissione. Il Comitato auspica che l’obiettivo del rispetto dei diritti fondamentali e della protezione dei dati personali resti iscritto in tutti questi atti nel corso del tempo, in un approccio teso a migliorare l’accoglienza delle persone alle frontiere. Il CESE raccomanda che i cittadini europei siano informati delle diverse tappe fino al completamento del progetto, e che le persone ricevano un’informazione di tipo pedagogico sui controlli cui sono soggette.

5.   Formazione necessaria delle autorità di controllo in tutta l’Unione

5.1.

Per il Comitato, contrariamente a quanto previsto dalla Commissione nella sintesi della valutazione d’impatto (C), nel primo periodo (dopo il 2021) bisognerà insistere sulla formazione. Si parla di 76 milioni di EUR l’anno, ma il passaggio a nuove procedure richiede sempre un aggiornamento che, in questo caso, interesserebbe tutte le frontiere dell’Unione e i sistemi nazionali. Alcuni Stati membri non si sono ancora dotati di sistemi compatibili: essi dovranno compiere uno sforzo considerevole e creare interfacce che consentano loro di partecipare. Affinché sia garantita l’interoperabilità, bisognerà appianare le disparità tra i vari Stati membri.

5.2.

La formazione all’utilizzo di dati di qualità e dell’UMF sarà essenziale. Il Comitato propone di istituire un centro di formazione comune per le autorità abilitate con il CEPOL (17), Frontex, Europol e includendo l’eu-LISA dopo aver verificato attentamente le competenze dei suoi membri.

5.3.

Il MID è uno strumento unico nel suo genere, che in caso di successo rivelerà tutta la sua potenza. Il nuovo sistema richiederà la più alta qualità dei dati. Affinché esso sia all’altezza delle aspettative del progetto, tutti gli Stati membri devono partecipare allo stesso livello, altrimenti le carenze risulteranno più gravi che in passato. In tal caso, il diritto di asilo e il diritto di accesso alla protezione internazionale verrebbero compromessi (articoli 18 e 19 della Carta).

6.   Finanziamento

6.1.

L’intera architettura proposta si basa su una serie di ipotesi: l’adozione da parte delle autorità decisionali dei sistemi EES, ETIAS e UMF, il corretto funzionamento del MID e la messa in sicurezza del CIR. Due organi, il CEPD e l’agenzia eu-LISA, e forse anche l’agenzia ENISA, disporranno di effettivi e mezzi finanziari sufficienti? La Commissione propone un cofinanziamento dell’UE e degli Stati membri. Il Comitato osserva che la gestione del «Semestre» avviene ancora con bilanci improntati all’austerità e che, inoltre, l’attuale utilizzo delle banche dati esistenti (SIS, VIS, Prüm, EES) deve ancora essere ottimizzato nel rispetto degli obblighi di legge (relazione del gruppo di esperti).

6.2.

Benché il Regno Unito non appartenga al sistema Schengen, il CESE si interroga sull’impatto della Brexit sul bilancio e, più in generale, sulla futura complessità della gestione dell’interoperabilità nei paesi europei che non hanno accesso al SIS ma partecipano ad altre banche dati, come Eurodac.

6.3.

Il fondo previsto è l’FSI, Fondo per la sicurezza interna e delle frontiere. L’operatività è prevista a partire dal 2023. Il Comitato si chiede se cinque anni basteranno per ridurre le disparità europee e per garantire le condizioni necessarie per il successo. Il bilancio previsto è di 424,7 milioni di EUR su 9 anni (2019-2027), suddiviso fra l’Unione (FSI) e gli Stati membri. Questi ultimi devono essere in grado di far funzionare correttamente i sistemi attuali con la nuova architettura informatica. Il Comitato ritiene che la realizzazione di tali investimenti avverrà grazie al ritorno della crescita.

Bruxelles, 23 maggio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  COM(2017) 570 final.

(2)  GU C 34 del 2.2.2017, pag. 144.

(3)  GU C 458 del 19.12.2014, pag. 36.

(4)  GU C 487 del 28.12.2016, pag. 66.

(5)  GU C 246 del 28.7.2017, pag. 28.

(6)  DG HOME, unità B/3; decisione C/2016/3780 della Commissione del 17 giugno 2016; http://ec.europa.eu/transparency/regexpert/index.cfm?Lang=IT.

(7)  Agenzia europea per la gestione operativa dei sistemi IT su larga scala nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

(8)  FRA: Agenzia dell’UE per i diritti fondamentali.

(9)  Comunicazione della Commissione europea Sistemi d’informazione più solidi e intelligenti per le frontiere e la sicurezza (COM(2016) 205 final).

(10)  Il corsivo indica che i testi riguardanti tali organi non sono ancora stati adottati.

(11)  Regolamento (UE) n. 1077/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, che istituisce un’agenzia europea per la gestione operativa dei sistemi IT su larga scala nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

(12)  Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati). Pareri del CESE: GU C 229 del 31.7.2012, pag. 90, e GU C 345 del 13.10.2017, pag. 138.

(13)  Da 1984, di George Orwell.

(14)  GEPD, allegato, relazione finale del gruppo di esperti ad alto livello, maggio 2017.

(15)  Regolamento generale sulla protezione dei dati [regolamento (UE) 2016/679].

(16)  Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici — ONU — «Articolo 17: 1. Nessuno può essere sottoposto ad interferenze arbitrarie o illegittime nella sua vita privata, nella sua casa o nella sua corrispondenza, né a illegittime offese al suo onore e alla sua reputazione. 2. Ogni individuo ha diritto ad essere tutelato dalla legge contro tali interferenze od offese.».

(17)  Agenzia dell’Unione europea per la formazione delle autorità di contrasto (con sede a Budapest, Ungheria).


10.8.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 283/56


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull’attuazione del pacchetto sull’economia circolare: possibili soluzioni all’interazione tra la normativa in materia di sostanze chimiche, prodotti e rifiuti»

[COM(2018) 32 final]

(2018/C 283/08)

Relatore:

Brian CURTIS

Consultazione da parte della Commissione

12.2.2018

Base giuridica

Articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Decisione dell’Ufficio di presidenza

19.9.2017 (in previsione della consultazione)

 

 

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

3.5.2018

Adozione in sessione plenaria

23.5.2018

Sessione plenaria n.

535

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

185/01/01

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore l’approccio adottato dalla Commissione nell’esplorare in maniera sistematica la gamma di opzioni che potrebbero contribuire a risolvere una serie di problemi individuati nell’interazione tra la normativa in materia di sostanze chimiche, prodotti e rifiuti.

1.2.

Il CESE reputa lodevole che la Commissione abbia adottato a questo riguardo un tipo di visione proattiva a lungo termine. Il processo di transizione avrà inevitabilmente una durata prolungata, ma richiederà un costante incoraggiamento per poter essere portato avanti e dovrà tener conto degli sviluppi in corso nel campo delle tecnologie di individuazione e trattamento.

1.3.

Garantire la salute pubblica, in particolare quella dei consumatori finali dei prodotti, è essenziale per rafforzare la fiducia nei principi dell’economia circolare.

1.4.

Anche la salute e la sicurezza dei lavoratori che operano negli impianti di riciclaggio sono a rischio se non viene attuata un’azione globale, in particolare per affrontare la questione delle sostanze ereditate. È pertanto essenziale fornire informazioni complete ai sindacati.

1.5.

Bisognerebbe dare la priorità alla piena applicazione del regolamento REACH e di altre normative sulle sostanze chimiche già in vigore. La legislazione esistente, volta a consentire di evitare fin dall’inizio che le sostanze chimiche pericolose entrino nel ciclo dei materiali, non è ancora pienamente applicata, in particolare per quanto riguarda l’ingresso nell’UE dei prodotti provenienti da paesi terzi.

1.6.

Il CESE individua e raccomanda ulteriori investimenti in adeguate apparecchiature di cernita da parte delle imprese di riciclaggio ed esorta a considerare l’adozione di misure di sostegno economico e tecnico in questo settore.

1.7.

Il CESE sostiene fermamente l’idea che una migliore informazione circa la presenza, la localizzazione e la concentrazione di sostanze chimiche pericolose nei prodotti e nei materiali recuperati dai rifiuti possa ridurre i problemi incontrati dagli operatori della catena di recupero.

1.8.

L’individuazione delle fonti potenziali di valore o dell’azione di salvaguardia necessaria in materia di sostanze chimiche pericolose nel flusso di rifiuti sosterrà l’analisi costi/benefici che sarà necessaria per giustificare le misure legislative e gli interventi concreti da attuare.

1.9.

È essenziale migliorare e rafforzare, se del caso, i requisiti in materia di individuazione e localizzazione dei prodotti importati che possono contenere sostanze estremamente preoccupanti (Substances of Very High Concern — SVHC), al fine di vietarne, se necessario, l’utilizzo e adottare adeguati meccanismi di tracciamento nel corso dell’intero ciclo di vita del prodotto.

1.10.

Il quadro giuridico dovrebbe offrire la stessa protezione, indipendentemente dal fatto che il prodotto sia fabbricato da materiali vergini o di recupero.

2.   Introduzione

2.1.

Nel suo parere sul pacchetto sull’economia circolare (1)(2), il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ha rilevato la necessità di agevolare maggiormente il recupero dei materiali dal flusso di rifiuti, e ha osservato che occorre affrontare una serie di ostacoli giuridici, tecnici e finanziari. Uno di questi ostacoli è rappresentato dalla presenza di sostanze pericolose nei materiali di scarto, e la comunicazione in esame si inquadra in un sforzo volto a individuare gli obiettivi strategici, le sfide e le soluzioni per aumentare la circolarità nell’economia. Alcuni settori dovranno essere affrontati con strumenti non legislativi, ma l’obiettivo generale è quello di influire sulla politica futura.

3.   Sintesi della proposta della Commissione

3.1.

La comunicazione delinea una serie di obiettivi strategici, descrive le tematiche collegate e invita le parti interessate a prendere posizione sulle sfide individuate, al fine di contribuire a definire un percorso che porti a un’economia realmente circolare. Tali sfide sono raggruppate in quattro grandi categorie, seguendo un approccio esplorativo e non direttivo. Tenendo conto del documento di lavoro dei servizi della Commissione e dei contributi di membri del CESE e delle organizzazioni delle parti interessate della società civile, il presente parere è inteso a rispondere alla richiesta di offrire opzioni preferibili per affrontare le sfide principali. Per questo motivo, il contenuto principale del parere è presentato nella sezione finale «Osservazioni particolari».

3.2.

La Commissione intende avviare una consultazione pubblica e incoraggiare le discussioni con il Parlamento europeo, il Consiglio e le parti interessate al fine di scegliere le opzioni e definire le azioni specifiche da adottare a livello generale o settoriale per lo sviluppo dei mercati di materie prime secondarie sostenibili. Le azioni successive saranno portate avanti in linea con i principi per legiferare meglio, e saranno predisposte delle valutazioni d’impatto prima che siano presentate proposte concrete che si prevede possano avere un impatto significativo.

4.   Osservazioni generali

4.1.

La legislazione dell’UE pertinente in materia disciplina gli ambiti delle sostanze chimiche, dei prodotti e dei rifiuti (3). L’attuale quadro normativo presenta però alcune debolezze in quanto non garantisce che le informazioni sulle sostanze chimiche pericolose siano trasmesse lungo l’intero ciclo del materiale e i suoi eventuali cicli di vita successivi.

4.2.

La nostra società sempre più complessa dipende in crescente misura dall’utilizzo di sostanze chimiche (4). I pilastri della legislazione dell’UE sui prodotti chimici sono costituiti dal regolamento CLP (5), dal regolamento REACH (6) e dal regolamento POP (7) che sono tra loro complementari e si applicano indipendentemente dal settore di impiego.

4.3.

La normativa in materia di prodotti può essere incentrata sulla sicurezza dei prodotti e anche sulla loro sostenibilità. La direttiva DSGP (8) stabilisce i requisiti generali di sicurezza per i prodotti di consumo non alimentari. È inoltre pertinente una serie di normative specifiche sui prodotti, quali la direttiva sui giocattoli, il regolamento sugli imballaggi alimentari, la direttiva RoHS (9) e la direttiva sulla progettazione ecocompatibile. Nel suo parere su questo tema (10), il CESE si pronuncia a favore di un «approccio integrato» alla progettazione ecocompatibile, la quale dovrebbe essere estesa al di là del suo attuale campo di applicazione. Un approccio integrato di questo tipo terrebbe conto dell’efficienza energetica e delle prestazioni dei prodotti, come anche dell’efficienza e delle prestazioni in termini di risorse e materiali.

4.4.

Sono inoltre pertinenti diverse normative in materia di rifiuti. La direttiva quadro sui rifiuti è stata oggetto di una serie di pareri del CESE, il quale ha sempre sostenuto l’obbligo, per gli Stati membri, di adottare un ordine di priorità in materia di rifiuti, in cui al primo posto vi sia la prevenzione della produzione di rifiuti, seguita dalla preparazione per il riutilizzo, dal riciclaggio o da altre forme di recupero e, come misura di ultima istanza, dallo smaltimento attraverso l’incenerimento e la messa in discarica. Il CESE ha inoltre raccomandato di rendere obbligatorio che gli Stati membri adottino regimi di responsabilità estesa del produttore e ha chiesto di rafforzare la disposizione che impone la raccolta differenziata dei rifiuti (11).

4.5.

Per orientare le azioni future si possono fare alcune considerazioni generali:

una migliore informazione circa la presenza, la localizzazione e la concentrazione delle sostanze chimiche pericolose nei prodotti e nei materiali recuperati dai rifiuti può ridurre i problemi incontrati dagli operatori della catena di recupero e favorire la tutela dell’ambiente e della salute umana,

è essenziale evitare fin dall’inizio che le sostanze chimiche pericolose entrino nel ciclo dei materiali. La legislazione in vigore volta a impedire che ciò avvenga non è ancora pienamente applicata,

il quadro giuridico dovrebbe offrire la stessa protezione, indipendentemente dal fatto che il prodotto sia fabbricato da materiali vergini o di recupero.

4.6.

È opportuno rilevare che sono in atto iniziative di sostegno in questo senso. Ad esempio, la questione delle sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche è affrontata dalla direttiva RoHS, la quale, dando il via alla sostituzione di determinate sostanze pericolose in tali apparecchiature, aumenta le possibilità e la convenienza economica del riciclaggio di queste ultime. Inoltre, al Parlamento europeo e al Consiglio sono in discussione quattro proposte legislative collegate (12)(13)(14)(15), e il CESE prende atto del recente accordo politico al riguardo (16).

4.7.

Alcune delle questioni sollevate nella comunicazione in esame sono concettualmente complesse, in particolare quelle che riguardano i problemi derivanti dalla mancanza di armonizzazione e di allineamento delle norme. Il CESE ritiene che si dovrebbe dare la priorità alle questioni più concrete relative all’informazione e alle sostanze ereditate.

4.8.

Tuttavia, dalla sintesi delle questioni fornita nella comunicazione in esame e dalla vasta gamma di iniziative già avviate o in corso di definizione per realizzare una reale economia circolare, risulta chiaro che non sarà possibile completare in tempi brevi il processo di transizione connesso all’eliminazione delle sostanze pericolose dai rifiuti e durante le operazioni di recupero o riciclaggio. È quindi opportuno adottare una visione proattiva a lungo termine, simile a quella applicata dalla Commissione.

5.   Osservazioni particolari

Necessità di informazione

5.1.

L’obiettivo è quello di assicurare che informazioni adeguate sulle sostanze problematiche contenute nei prodotti siano a disposizione di tutti gli attori della catena di approvvigionamento e, alla fine della catena, dei gestori dei rifiuti. Il modo migliore di proteggere la salute umana e l’ambiente è indubbiamente quello di riuscire a limitare fin dall’inizio l’entrata di sostanze chimiche pericolose nel ciclo economico. Questo consentirebbe anche di recuperare le materie prime dai rifiuti e di rafforzare l’economia circolare.

5.2.

La messa a disposizione di informazioni complete ai sindacati può svolgere un ruolo essenziale nella tutela della salute dei lavoratori ed è pertanto essenziale.

5.3.

La normativa REACH disciplina la fabbricazione, l’utilizzo e l’immissione sul mercato delle sostanze chimiche dell’UE. Il suo obiettivo primario è quello di garantire un elevato livello di protezione dell’uomo e dell’ambiente. Le relazioni prodotte da alcune associazioni di consumatori e dalla Commissione mettono in luce lacune nell’attuazione degli obblighi circoscritti di comunicazione lungo la catena di approvvigionamento imposti dal regolamento REACH.

5.4.

La Commissione sta avviando uno studio di fattibilità sull’utilizzo di diversi sistemi informatici e di tecnologie e strategie di tracciabilità innovative che potrebbe consentire alle informazioni pertinenti di percorrere la catena di approvvigionamento dei prodotti fino a raggiungere i responsabili del riciclaggio. A questo riguardo sorgono i seguenti interrogativi: potrebbe un sistema di informazione obbligatorio offrire un valore aggiunto e come andrebbero gestite le merci importate nell’UE che possono contenere sostanze non autorizzate?

5.5.

Il CESE reputa che, in larga misura, esistano già strumenti giuridici in grado di limitare la possibilità che sostanze SVHC entrino nel ciclo dei materiali. Si tratta, in particolare, di quelle disposizioni di legge che privilegiano e incentivano la sostituzione di tali sostanze con agenti chimici non pericolosi. Il CESE raccomanda che il regolamento REACH sia applicato pienamente e sia mantenuto al passo con l’evoluzione delle conoscenze scientifiche sulle caratteristiche di pericolosità delle sostanze chimiche, anche in relazione alle materie prime secondarie. Questo consentirà di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori sul posto di lavoro e la salute dei consumatori finali, e rafforzerà inoltre la credibilità dell’economia circolare.

5.6.

Per le merci importate, gli importatori sono già tenuti a identificare le sostanze SVHC. Si potrebbe rafforzare ulteriormente l’accento sulle misure volte a far rispettare l’obbligo imposto dal regolamento REACH ai fabbricanti e agli importatori di indicare nel dettaglio, nel loro fascicolo di registrazione e nella scheda dati di sicurezza, gli scenari di esposizione riguardanti la fase in cui la sostanza in questione diventa rifiuto. Inoltre potrebbero essere richieste informazioni più dettagliate, quali la descrizione di diversi scenari di fine vita per il riciclaggio, la preparazione per il riutilizzo o lo smaltimento. Questo potrebbe essere fatto in combinazione con l’applicazione dell’obbligo per i fabbricanti e gli importatori di prodotti di informare gli operatori economici della catena di approvvigionamento in merito alla presenza di sostanze SVHC nei loro articoli, e con una disposizione che imponga di individuare esattamente dove si trovano tali sostanze nel prodotto.

5.7.

È essenziale migliorare e rafforzare, se del caso, i requisiti in materia di individuazione e localizzazione dei prodotti importati che possono contenere sostanze SVHC, al fine di vietarne, se necessario, l’utilizzo e adottare adeguati meccanismi di tracciamento nel corso dell’intero ciclo di vita del prodotto.

5.8.

Il CESE teme che la piena individuazione delle sostanze SVHC in relazione agli accordi di libero scambio e agli accordi di partenariato economico possa costituire un problema.

5.9.

In generale, le imprese di riciclaggio dovranno compiere ulteriori investimenti in apparecchiature di cernita adeguate e bisognerà considerare l’adozione di misure di sostegno economico e tecnico.

Rifiuti contenenti sostanze la cui presenza in prodotti nuovi non è più autorizzata

5.10.

È ormai dal XIX secolo che negli Stati membri è in vigore una legislazione restrittiva in materia di composti chimici pericolosi, e le nuove sostanze chimiche vengono sottoposte a un rigoroso esame di pericolosità. Tuttavia, il processo continuo di valutazione del rischio fa sì che esistano prodotti, fabbricati in passato nel rispetto delle norme, che contengono sostanze SVHC e che quelli fabbricati oggi possano contenere sostanze che potrebbero essere vietate in futuro. Questo può significare che nella fase di trattamento e recupero dei rifiuti possano essere presenti delle «sostanze ereditate».

5.11.

L’obiettivo è quello di agevolare il riciclaggio e di migliorare nel contempo l’utilizzo delle materie prime secondarie attraverso la promozione di cicli di materiali non tossici. Inoltre, nel considerare possibili restrizioni e le relative deroghe in materia di sostanze chimiche, è opportuno prestare maggiore attenzione al loro impatto sul riciclaggio e sul riutilizzo futuri.

5.12.

La Commissione rileva che la questione delle sostanze ereditate continua a costituire un ostacolo per l’economia circolare e che dovrebbe essere sviluppato un metodo decisionale specifico a supporto delle decisioni relative alla riciclabilità dei rifiuti che contengono sostanze problematiche. Questo lavoro è in corso e dovrebbe essere completato entro la metà del 2019. In tale contesto è necessario elaborare orientamenti per garantire che la presenza di sostanze SVHC nei materiali recuperati sia meglio presa in conto nelle fasi iniziali di preparazione delle proposte per la gestione dei rischi, e la Commissione sta anche valutando la possibilità di adottare disposizioni di attuazione per consentire un controllo efficace del ricorso all’attuale esenzione dalla registrazione REACH per le sostanze recuperate.

5.13.

La realtà delle sostanze ereditate solleva i seguenti interrogativi: come si concilia l’idea che i rifiuti siano una risorsa che dovremmo riciclare con la necessità di garantire che quelli contenenti sostanze SVHC siano recuperati per produrre soltanto materiali utilizzabili poi in modo sicuro? Si può consentire che i materiali riciclati contengano sostanze chimiche che non sono più autorizzate nelle materie primarie? Se sì, a quali condizioni?

5.14.

L’obiettivo in relazione ai materiali riciclati è che le loro prestazioni e la loro composizione chimica si avvicinino il più possibile a quelle di materie primarie comparabili. Nel determinare la fattibilità dell’eliminazione delle sostanze preoccupanti, svolgono un ruolo significativo fattori di ordine economico e tecnico, suscettibili di variare notevolmente da caso a caso. Le opzioni strategiche sono quelle di imporre che tutte le materie prime primarie e secondarie soddisfino le stesse norme o di consentire che le materie secondarie possano essere oggetto di deroghe specifiche, limitate nel tempo.

5.15.

Il CESE ritiene che qualsiasi criterio applicato in tale contesto debba impedire che le sostanze chimiche pericolose possano essere presenti nei materiali recuperati in concentrazioni che superano il livello consentito per i materiali vergini.

Mancanza di allineamento delle norme per stabilire quali rifiuti e sostanze chimiche siano pericolosi

5.16.

Questa questione è strettamente collegata agli aspetti relativi all’armonizzazione di cui sopra ed entrambi sono complessi sul piano concettuale. Come descritto sopra, la produzione e l’utilizzo di sostanze chimiche e prodotti pericolosi sono soggetti a rigorose norme UE adottate per proteggere i lavoratori, i cittadini e l’ambiente da possibili danni. In maniera analoga, la gestione dei rifiuti è disciplinata da norme UE volte a raggiungere lo stesso risultato. Tuttavia, le ricerche hanno messo in luce che le due normative non sono completamente allineate (17).

5.17.

È necessario sviluppare un approccio più coerente tra le norme di classificazione delle sostanze chimiche e dei rifiuti. Ad esempio, con l’adozione di norme, simili a quelle della direttiva RAEE (18), per altri gruppi di prodotti o flussi di materiali specifici (come mobili o prodotti tessili) che impongano un trattamento adeguato dei rifiuti contenenti sostanze chimiche pericolose prima che il materiale possa essere recuperato e utilizzato in nuovi prodotti. La Commissione intende pubblicare un documento di orientamento sulla classificazione dei rifiuti per aiutare i gestori e le autorità competenti ad avere un approccio comune alla caratterizzazione e alla classificazione dei rifiuti. Sarà promosso inoltre lo scambio di buone pratiche in relazione ai metodi di prova per la valutazione delle sostanze. Le parti interessate sono invitate a valutare se le norme in materia di classificazione della pericolosità debbano essere allineate in modo che i rifiuti siano considerati pericolosi sulla base delle stesse norme che si applicano ai prodotti.

Bruxelles, 23 maggio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Parere del CESE in merito al Pacchetto sull’economia circolare (GU C 264 del 20.7.2016, pag. 98).

(2)  Pacchetto sull’economia circolare adottato dalla Commissione il 2 dicembre 2015.

(3)  Per le definizioni di rifiuti pericolosi si rimanda al «Documento di orientamento sulla definizione e classificazione dei rifiuti pericolosi» (Guidance document on the definition and classification of hazardous waste), giugno 2015.

(4)  Relazione AEA n. 2/2016, pagg. 33-34.

(5)  Regolamento (CE) n. 1272/2008 sulla classificazione, l’etichettatura e l’imballaggio.

(6)  Regolamento (CE) n. 1907/2006 concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH).

(7)  Regolamento sugli inquinanti organici persistenti — cfr. http://ec.europa.eu/environment/chemicals/international_conventions/index_en.htm.

(8)  Direttiva 2001/95/CE sulla sicurezza generale dei prodotti (DSGP).

(9)  Direttiva 2011/65/UE sulla restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche.

(10)  Parere del CESE in merito al Piano di lavoro sulla progettazione ecocompatibile 2016-2019 (GU C 345 del 13.10.2017, pag. 97).

(11)  Parere del CESE in merito al Pacchetto sull’economia circolare (GU C 264 del 20.7.2016, pag. 98).

(12)  Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio.

(13)  Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso, 2006/66/CE relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori e 2012/19/UE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche.

(14)  Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti.

(15)  Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti.

(16)  Intervento del commissario Vella in merito all'accordo politico raggiunto per modernizzare la normativa in materia di rifiuti (disponibile solo in inglese).

(17)  Ad esempio: Keeping it Clean: How to protect the circular economy from hazardous substances [L’economia circolare: come tenerla pulita proteggendola dalle sostanze pericolose]. Ufficio europeo per l’ambiente.

(18)  Direttiva 2012/19/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 luglio 2012, sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche.


10.8.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 283/61


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Strategia europea per la plastica nell'economia circolare»

[COM(2018) 28 final]

e sulla

«proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa agli impianti portuali di raccolta per il conferimento dei rifiuti delle navi, che abroga la direttiva 2000/59/CE e modifica la direttiva 2009/16/CE e la direttiva 2010/65/UE»

[COM(2018) 33 final — 2018/0012 (COD)]

(2018/C 283/09)

Relatore:

Antonello PEZZINI

Consultazione

Parlamento europeo, 5/2/2018

Consiglio, 9/2/2018

Commissione europea, 12/2/2018

Base giuridica

Articoli 100, comma 2, e 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea

 

 

Decisione dell'Assemblea plenaria

19/9/2017

 

 

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

3/5/2018

Adozione in sessione plenaria

23/5/2018

Sessione plenaria n.

535

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

193/00/01

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE, che è stato fin dall'inizio sostenitore della politica della Commissione sull'economia circolare, ritiene tuttavia che essa vada perseguita in stretto contatto con le forze sociali e con le organizzazioni della società civile, attraverso esercizi di foresight, e con il coinvolgimento delle Accademie e dei diversi centri di formazione.

1.1.1

Allo stesso modo, non si può prescindere da valide misure in campo educativo e formativo, da incentivi progettuali e comportamentali, da standard tecnico-normativi comuni di qualità, da sistemi attrattivi e premianti — anche fiscali e finanziari — da un approccio sistemico e intersettoriale, da un uso intelligente e pervasivo delle applicazioni digitali.

1.2

Il rispetto e la difesa dei beni racchiusi nell'equilibrio dinamico della biosfera non nascono per germinazione spontanea, ma sono figli di una sensibilità che si alimenta con la cultura e con la consapevolezza che il creato non è stato creato per essere sfruttato e distrutto, per vantaggi economici, ma per essere intelligentemente utilizzato, migliorato e conservato «nella genesi dell'antropomorfismo universale» (1).

1.3

Le nuove scoperte, come le materie polimeriche, hanno reso più facile il lavoro e il benessere dell'uomo, ma vanno gestite, nel loro ciclo di vita, perché non incidano negativamente sui processi della natura.

1.3.1

Il Comitato ritiene fondamentale lo sviluppo di una cultura dell'ecoprogettazione della materie polimeriche per agevolare, dopo un primo utilizzo, successive applicazioni delle materie polimeriche seconde.

1.3.2

Occorre una rivoluzione culturale che trasformi i rifiuti in preziose risorse da valorizzare, nei comportamenti e nelle strutture produttive, distributive e di consumo, senza trascurare la società civile e la scuola di ogni ordine e grado.

1.3.3

Secondo il CESE, soprattutto nel settore degli imballaggi, oggi enormemente diffuso, per motivi economici e di igiene deve essere elaborata una strategia di filiera tesa al riutilizzo, con il coinvolgimento delle imprese che hanno esperienza nei processi di riciclaggio. Si tratta di armonizzare e ingegnerizzare competenze, a monte e a valle del processo.

1.3.4

Gli Enti di standardizzazione nazionali, in stretto contatto con gli Enti europei e internazionali, dovrebbero intensificare i processi di riconoscimento, attraverso un label, delle materie prime seconde, per aumentare, attraverso un'armonizzazione europea, la sicurezza dei consumatori sui nuovi prodotti.

1.3.5

Un ruolo importante deve rivestire, per il CESE, la ricerca e innovazione, specie la JTI (Iniziative Tecnologiche Congiunte) — Institutional Public-private partnerships under Horizon 2020, tesa allo sviluppo di bioprodotti (2) e altre iniziative di sostenibilità circolare nel prossimo PQ9.

1.3.6

Occorre dare priorità al processo applicativo di marcature digitali alle varie tipologie di plastica per consentire identificazioni, separazioni ed eventuali eliminazioni secondo metodologie comuni. In particolare, queste materie prime seconde devono essere prive di talune sostanze tossiche che compaiono in quelle materie prime, non destinate agli alimenti e ai giochi dei bimbi.

1.4

Il CESE ritiene che, attraverso le analisi chimiche, legate a REACH, si debba intervenire per limitare l'inquinamento da micro-plastica, che rappresenta una delle principali minacce per l'ambiente e la salute delle persone.

1.5

Il CESE sostiene con convinzione le proposte della CE tese a dotare i porti di strutture per la raccolta dei rifiuti e gli obblighi per i responsabili dei mezzi navali di seguire procedure per lo scarico dei rifiuti.

1.5.1

Secondo il CESE, una politica simile dovrebbe essere applicata anche alla gestione dei fiumi, che rappresentano un notevole collettore dell'inquinamento dei mari.

1.5.2

Le associazioni dei pescatori e le forze sociali, secondo il CESE, dovrebbero essere coinvolte, sia culturalmente sia attraverso finanziamenti nazionali e/o comunitari, in un esercizio di pulizia delle acque dai residui polimerici, promuovendo anche azioni di sensibilizzazione sui rifiuti fluviali e marini. Non solo, ma potrebbero, con un'opportuna formazione, intervenire nella parte della filiera allestita nel porto o lungo i fiumi, nelle fasi iniziali del riciclaggio, soprattutto durante le interruzioni fisiologiche della pesca.

1.6

Secondo il CESE, la nascita e lo sviluppo di nuove attività complementari, figlie dell'economia circolare, impongono la revisione della legislazione attuale sui rifiuti, figlia della direttiva 2008/98/CE, che responsabilizza il possessore dei rifiuti, senza creare, spesso, gli strumenti per riutilizzarli.

1.7

Il CESE ritiene che l'ecoprogettazione (3), fin qui applicata al risparmio energetico, debba essere attivata per l'economia circolare, specie per la plastica.

1.8

Il CESE ritiene necessari opportuni accordi regionali sull'inquinamento marino, estendendoli alle politiche di prossimità e agli accordi Euromed e Baltici.

1.9

Dovrebbero essere sostenuti e incentivati gli accordi volontari di settore e intersettoriali delle industrie e delle amministrazioni pubbliche territoriali, favorendo le certificazioni delle imprese (EMAS, CSR), i Green boat (4).

2.   Introduzione

2.1

La plastica, intesa come nome generico di un gruppo di materie polimeriche, è un materiale importante e onnipresente nella nostra economia e nella nostra vita quotidiana. Essa contribuisce a promuovere la crescita sostenibile e competitiva, un'occupazione durevole e molteplici innovazioni tecnologiche e progettuali.

2.2

La scoperta della plastica — dal monomero al polimero — avvenne nella metà degli anni cinquanta, ad opera di due scienziati, Natta e Ziegler. Il chimico tedesco, Karl Ziegler, era riuscito a ottenere, nel 1953, un tipo di plastica dal petrolio, il polietilene, la cui molecola è un polimero (5). Il chimico italiano Giulio Natta ottenne un diverso polimero: il polipropilene, brevettato con il nome di Moplen. Questa scoperta contribuì enormemente a mettere in crisi l'industria mineraria, che aveva fornito, nella storia dell'uomo, i materiali (6) per costruire gli oggetti per la vita quotidiana e per il lavoro.

2.3

La plastica è figlia del petrolio, due chili di petrolio danno, mediamente, un chilo di plastica.

2.3.1

Con questi nuovi materiali (7) sono stati costruiti gli oggetti più disparati: non si arrugginiscono, sono leggeri e non si rompono. Nel 1973 venne prodotta la prima bottiglia in PET (8).

2.4

Il CESE ha avuto modo di sottolineare (9) come «la transizione verso un'economia europea circolare possa aprire prospettive positive per la realizzazione degli obiettivi della strategia Europa 2020».

2.5

Il Comitato sostiene infatti che la transizione verso un'economia europea circolare possa aprire prospettive positive in termini di competitività sistemica dell'UE «se si baserà su una visione strategica europea condivisa, con la partecipazione attiva del mondo del lavoro, dei governi, dei datori di lavoro e dei lavoratori, dei consumatori e delle autorità legislative e regolamentari ai vari livelli» (10).

2.6

Il CESE ricorda il lancio del pacchetto (11) 2014 — poi ritirato — e quello del dicembre 2015 con l'adozione di un piano d'azione dell'UE per l'economia circolare, che aveva individuato nella plastica la priorità chiave.

2.7

Secondo il CESE, «il modo migliore per ottenere un cambiamento dei comportamenti consiste nel fornire chiari segnali in termini di prezzo, offrendo cioè praticità e prezzi competitivi ai consumatori. Ciò si può realizzare ricorrendo a regimi di responsabilità estesa del produttore e/o alla tassazione verde» (12).

2.8

L'industria plastica europea ha raggiunto nel 2016 una cifra d'affari di quasi 350 miliardi di euro, con circa 62 mila imprese, un'occupazione di oltre 1,5 milioni di lavoratori, una produzione di 60 milioni di tonnellate (13).

2.9

Oggi la plastica è presente in ogni aspetto della vita quotidiana: dai trasporti all'edilizia, dalle telecomunicazioni ai beni di largo consumo, dall'alimentare alla sanità.

2.10

Le PMI, circa l'80 % delle imprese della plastica nell'UE, hanno meno di 20 addetti, e le medio/grandi rappresentano circa il 20 % (14).

2.11

Ogni anno gli europei generano 25 milioni di c.d rifiuti di plastica. Meno del 30 % viene riciclata (15).

2.12

Secondo un recente studio condotto su scala europea (nota 15), la sostituzione della plastica con altri materiali, nelle sue principali applicazioni, comporterebbe un maggior peso degli imballaggi di quasi 4 volte rispetto a quelli in plastica; un aumento del 60 % del volume dei rifiuti prodotti; un incremento del consumo energetico annuo del 57 % durante l'intero ciclo di vita.

2.12.1

D'altro canto, il 95 % del valore del packaging si perde dopo un singolo utilizzo. Delle 78 milioni di tonnellate immesse al consumo, il 72 % non viene recuperato. Di questi il 40 % va in discarica e il 32 % sfugge ai sistemi di raccolta legale.

2.13

Da qui la necessità di sviluppare l'ecoprogettazione della plastica, per renderla meglio riciclabile e accrescere, quindi, la domanda di plastica riciclata da parte dei vari settori industriali e circuiti di distribuzione, dei consumatori e dei cittadini europei.

2.13.1

È importante intensificare il dialogo con l'industria del riciclo, per comprenderne i processi produttivi, le esigenze e le tecnologie.

2.14

La plastica riciclata deve subire un'opportuna riqualificazione e un up-grading mediante un processo di standardizzazione e di certificazione attraverso un label.

2.15

In un'economia circolare, la plastica deve essere considerata un prezioso patrimonio materiale comune, in quanto essenziale per uno sviluppo economico sostenibile e competitivo al servizio del cittadino, della salute e dell'ambiente, a condizione che gli oggetti che integrano tale materia prima non vengano più considerati come «rifiuti da eliminare» ma come «oggetti da recuperare».

3.   I mari e la plastica

3.1

Il 70 % della superficie del pianeta è costituito da mari e oceani, e le acque marine rappresentano il 97 % delle sue risorse idriche. Gli oceani sono i nostri più grandi alleati contro il cambiamento climatico e sono stati inseriti nell'accordo di Parigi, con una relazione speciale dell'IPCC, dedicata agli oceani.

3.2

I rifiuti marini, e soprattutto la plastica e la micro-plastica, rappresentano un'altra importante minaccia per gli oceani e sono, pertanto, una preoccupazione globale che interessa tutti gli oceani del mondo. Ogni anno, milioni e milioni di tonnellate di rifiuti sono riversati negli oceani, in tutto il mondo, generando problemi ambientali, economici, estetici e di salute. I rifiuti marini possono provocare gravi danni economici quali: perdite per le comunità costiere; limitazioni al turismo; intralci al trasporto marittimo e alla pesca.

3.3

Il costo potenziale in tutta l'UE della pulizia delle coste e delle spiagge è stato stimato a circa 630 milioni di EUR l'anno.

3.4

A causa del loro accumulo e della loro diffusione, i rifiuti marini rappresentano una terribile minaccia per la salute degli oceani del mondo, soprattutto per la loro rapida crescita. A tale riguardo, sono necessarie equilibrate ed efficaci misure d'economia circolare, a livello internazionale ed europeo, con obiettivi di riduzione dei rifiuti marini dell'UE del 30 % e del 50 % nel 2025 e nel 2030.

3.4.1

Per raggiungere questi obiettivi va, innanzitutto, modificata la legislazione esistente, che attribuisce la proprietà dei rifiuti a coloro che li raccolgono, disincentivandone la raccolta.

3.4.2

Dovrebbero essere studiati opportuni incentivi per coloro, pescatori soprattutto, che possono collaborare per la pulizia del mare e dei fiumi, anche con un'appropriata utilizzazione del fondo per la politica marittima e della pesca dell'UE-FEAMP.

3.5

Il 18 dicembre 2017 il Consiglio ha adottato le conclusioni sull'ecoinnovazione e ha inoltre sottolineato «la necessità di coerenza tra le politiche di sostegno all'innovazione e altre politiche, in particolare: la protezione della salute umana, il rispetto dell'ambiente e della transizione verso l'economia circolare» (16).

3.6

Il PE, dal canto suo, ha adottato vari documenti in materia: dalla risoluzione del 9 luglio 2015 sull'efficienza delle risorse: transizione verso un'economia circolare; alle risoluzioni adottate nel febbraio 2017 sul «pacchetto rifiuti», fino alla risoluzione del 18 dicembre 2017 sulla «Governance internazionale degli oceani».

3.7

L'intervento per la pulizia del mar Mediterraneo potrebbe trovare sinergie con il Programma (PPP) Prima, che prevede interventi ecologici con fini ambientali (17).

4.   Le proposte della Commissione

4.1

La strategia proposta dalla CE è intesa a proteggere l'ambiente dall'inquinamento da plastica e a promuovere, al contempo, la crescita e l'innovazione, cercando di trasformare così una sfida economica di un paradigma lineare, produttivo-distributivo-consumistico-comportamentale, in un modello circolare, che si autoalimenti attraverso un uso efficiente delle risorse, che arrivi a considerare i «rifiuti» come «risorse da rigenerare».

4.2

Riuso, riciclo e recupero diventerebbero parole chiave intorno alle quali costruire un nuovo paradigma, per favorire nuova progettazione, sostenibilità, innovazione e competitività, in tutto il mercato interno e in quello internazionale.

La strategia proposta prevede 40 azioni, 15 raccomandazioni rivolte alle autorità nazionali e regionali e 8 raccomandazioni rivolte all'industria.

4.3

La proposta di direttiva relativa agli impianti portuali di raccolta introduce nuove norme per contrastare il fenomeno dei rifiuti marini, con misure intese a garantire che i rifiuti generati a bordo delle navi o raccolti in mare non siano abbandonati in mare, ma riportati a terra per essere opportunamente trattati. Sono anche previste misure volte a ridurre l'onere amministrativo che grava sui porti, sulle imbarcazioni e sulle autorità competenti.

5.   Commenti e raccomandazioni generali

5.1

Secondo il Comitato, una vincente strategia della plastica non può prescindere da valide misure in campo educativo e formativo, da incentivi progettuali e comportamentali, da standard tecnico-normativi comuni di qualità, da sistemi attrattivi e premianti — anche fiscali e finanziari -, da un approccio sistemico e intersettoriale, da un uso intelligente e pervasivo delle applicazioni digitali, da un esercizio di foresight diffuso e partecipato, volto ad accompagnare il processo con una vera e propria cultura europea della circolarità della plastica basata sull'analisi dell'intero ciclo di vita dei prodotti.

5.2

L'inquinamento da micro-plastica è una delle principali minacce per l'ambiente e la salute delle persone. Queste sostanze vengono spesso usate nei detergenti, nella cosmesi, negli arredi, nelle vernici. Secondo il CESE, questo inquinamento deve essere affrontato alla fonte, attraverso interventi a livello UE, in ambito REACH.

5.3

Nell'UE, circa il 40 % della plastica è monouso ed è la causa maggiore dell'inquinamento: con una minima spesa, per singolo sacchetto di plastica, se ne riducono enormemente i consumi. E il CESE raccomanda l'estensione di questa misura a tutti i tipi di plastica monouso.

5.4

Il CESE ritiene prioritaria la marcatura digitale delle varie tipologie di plastica, ai fini dell'identificazione, selezione ed eventuali esclusioni degli elementi nocivi. Nella plastica vi sono spesso sostanze tossiche, vietate nei materiali a contatto degli alimenti e nei giocattoli. Il riciclo della plastica potrebbe portare queste sostanze nei nuovi prodotti. Da qui la necessità di garantire e certificare che le «materie plastiche seconde» risultino prive di sostanze tossiche.

5.5

Le legislazioni nazionali differiscono tra loro, per quanto riguarda le quantità e le autorizzazioni. Sarebbe opportuna un'unica legislazione armonizzata, più severa, a tutto vantaggio dei consumatori.

5.6

Secondo il CESE, occorrerebbe potenziare le azioni volte ad assicurare priorità a:

metodologie comuni di rilevazione;

digitalizzazione di prodotti, processi e componenti, per marcature digitali delle varie tipologie;

infrastrutture d'eccellenza di raccolta e differenziazione, dotate di lettori ottici;

norme e certificazioni di prodotti, processi, impianti;

professionalizzazione e monitoraggio del riciclaggio;

sistemi premianti di responsabilità estese del produttore e del consumatore;

lancio di un'azione pilota UE per l'organizzazione, la creazione e lo sviluppo commerciale competitivo di un vero e proprio mercato europeo delle materie plastiche seconde di qualità, promuovendo gli appalti verdi.

5.7

La raccolta differenziata e, soprattutto, il riciclo del PET (18), possono creare nell'UE vantaggi economici, con nuove attività produttive e occupazionali.

5.8

Fino ad ora si è privilegiato il riciclaggio organico mediante compostaggio (19); l'interramento in discarica; il recupero di energia mediante incenerimento (20), specie nel campo siderurgico e del cemento, con adeguati filtri dei fumi di scarico.

5.9

Diventa sempre più importante riciclare la plastica con nuovi oggetti, o dello stesso tipo (bottiglia/bottiglia), o di tipo diverso (plastica/tessuto). Ma questo comporta un processo di incentivi per i consumatori (21) ed una facilità d'identificazione mediante lettori digitali nei punti di raccolta.

5.10

Il PET riciclato può essere utilizzato come fibra per la produzione di tessuti estivi e invernali, tute da lavoro, divise militari, rinforzi di pneumatici, canne, nastri trasportatori, film per imballaggi, prodotti stampati.

5.11

Con una forte azione di standardizzazione tecnico-normativa e di certificazione, anche dopo il riciclaggio, se i processi vengono compiuti correttamente e certificati (22), il PET rimane chimicamente inerte e quindi adatto ad applicazioni che portino al contatto sicuro con gli alimenti (23).

5.12

Per quanto attiene ai rifiuti marini, il CESE è favorevole al coordinamento della direttiva con la Convenzione internazionale per la prevenzione dell'inquinamento causato da navi (MARPOL) e ritiene che affrontare il tema dei rifiuti delle navi da pesca e da diporto potrà dare soluzioni al problema dell'inquinamento marino, a condizione che si individuino opportune esenzioni per le piccole imbarcazioni e per i porti a traffico limitato.

5.13

Per l'organizzazione della raccolta dei rifiuti nel mare sarebbe opportuno coinvolgere, attraverso l'utilizzo del Fondo della pesca-FEAMP, le organizzazioni dei pescatori, i quali, con opportuna formazione, potrebbero integrare i proventi non sempre sicuri della pesca con l'impegno nella raccolta e nella filiera del riciclaggio.

5.14

Lo stesso discorso può valere per la pulizia dei fiumi, utilizzando le cooperative del lavoro, con la modifica dell'attuale legislazione (24).

5.15

Il CESE ritiene prioritario lo sviluppo di accordi regionali sull'inquinamento marino, in particolare nelle aree marine e fluviali.

6.   Osservazioni specifiche

6.1

Dal PET al filato. Il riciclo del PET subisce un processo meccanico/chimico innovativo, non inquinante, che preserva la purezza della fibra, riducendo consumi di acqua e di energia, riducendo le emissioni di CO2 di circa il 30 %. Il tutto senza produrre scorie o rifiuti.

6.1.1

Come prima cosa viene recuperata, grazie alla raccolta differenziata, la materia prima. Dopo le fasi di: triturazione, lavaggio, macinazione, trafilatura, essicamento, granulazione, il PET viene trasformato in un nuovo polimero, attraverso un processo, non inquinante, che sfrutta, principalmente, le variazioni di temperatura. Alla fine, il polimero fuso che si ottiene viene inviato ad un estrusore. Viene tagliato alla lunghezza desiderata, in una gamma di fili sintetici, riciclati, in poliestere di alta qualità, dalle prestazioni elevate.

6.2

L'evoluzione del PET (25) (Polietilentereftalato) in tessuto è innovazione, rispetto dell'ambiente e qualità: dalle tecniche di produzione al design.

6.2.1

Dati tecnici (26):

2 kg di petrolio (C9H18) producono 1 kg di PET (C10H8O4)N;

1 bottiglia da 1,5 litri ha una massa di 38 grammi;

1 bottiglia da 0,5 litri ha una massa di 25 grammi;

per realizzare una felpa di pile (330 gr/m2) servono circa 27 bottiglie da 1,5 litri;

27 bottiglie corrispondono a 1 026 grammi di PET, che equivalgono a circa 2 052 grammi di petrolio;

la riduzione di CO2 per 2 052 grammi di petrolio (24,2136 kWh) (27) è di 6,39239 kg/CO2 .

6.2.2

Altro esempio: 53 900 bottiglie di plastica da 1,5 litri, riciclate, possono essere trasformate in un ottimo poliestere, necessario per confezionare 7 000 zaini (bags), con un risparmio di 3,34 t di CO2 (28).

7.   Questioni aperte

7.1

Impegni degli Stati:

educazione, dalla scuola, per la raccolta differenziata (plastica inclusa!), soprattutto a livello di nucleo familiare;

creazione di cooperative/consorzi che raccolgano la plastica, in collaborazione con comuni e aziende, e la conferiscano a centri per il trattamento e per la certificazione di «materia plastica seconda»;

adattamento delle norme, ora in vigore sui rifiuti, alle necessità legate alla raccolta della plastica.

7.2

Il CESE sostiene il dialogo tra le parti per la creazione di un Fondo per investire nelle tecnologie di riciclaggio delle materie plastiche e per la creazione di un mercato europeo della plastica secondaria di qualità.

7.3

Sostegno, tramite H 2020 — e Nuovo PQ9 anche con studi sui batteri (29) — alla JTI (Iniziative Tecnologiche Congiunte) — Institutional Public-private partnerships (Una delle 7 JTI) Bio-based Industries.

Bruxelles, 23 maggio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Benedetto Croce; nella storia di tutto ciò che ha forma umana, nell'universo.

(2)  L'iniziativa Bioindustrie è un partenariato pubblico-privato (PPP) tra la Commissione e il consorzio Bioindustrie (consorzio BIC). Il consorzio raccoglie attualmente oltre 60 imprese grandi e piccole, raggruppamenti di imprese e organizzazioni nei settori tecnologico, industriale, agricolo e forestale, che si sono tutti impegnati a investire nella ricerca, nello sviluppo e nella dimostrazione di biotecnologie su base collaborativa nell'ambito del PPP. Sono previsti investimenti per 3,8 miliardi di EUR a favore della bio-innovazione nel quadro del periodo di programmazione 2014-2020 (Orizzonte 2020): 1 miliardo di EUR proveniente dai fondi UE e 2,8 miliardi da privati.

(3)  Direttiva 2005/32/CE e modifiche successive.

(4)  Cfr. Art 8.5 COM (2008) 33.

(5)  Ziegler ha scoperto, insieme a Giulio Natta, la sintesi stereospecifica del polipropilene, utilizzando dei catalizzatori contenenti titanio; questi tipi di catalizzatori vengono comunemente chiamati catalizzatori di Ziegler-Natta. Nel 1963 hanno vinto il Premio Nobel per la chimica.

(6)  Zinco, blenda, calamina, baritina, bachelite.

(7)  PE (Polietilene); PP (Polipropilene); PS (polistirene); PET (PoliEtileneTereftalato); PVC (Cloruro di PoliVinile).

(8)  Brevettata da: N. Convers Wyrth, ingegnere americano.

(9)  Parere del CESE (GU C 230 del 14.7.2015, pag. 91).

(10)  Parere del CESE (GU C 230 del 14.7.2015, pag. 91).

(11)  Cfr. SWD(2014) 0208 e SWD(2015) 259 Fin.

(12)  Parere del CESE (GU C 230 del 14.7.2015, pag. 91).

(13)  V. rapporto su L'eccellenza della filiera della plastica per il rilancio industriale dell'ITALIA e dell'EUROPA 2017 — https://www.ambrosetti.eu/wp-content/uploads/parte-2.pdf.

(14)  Ambrosetti, L'eccellenza della filiera della plastica nell'UE 2015.

(15)  CE, comunicato stampa del 16/01/18.

(16)  http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-15811-2017-INIT/it/pdf, conclusioni del Consiglio 18.12.2017Ecoinnovazione: consentire la transizione verso un'economia circolare.

(17)  COM(2016) 662 final e parere del CESE (GU C 125 del 21.4.2017, pag. 80).

(18)  PET: Poli EtileneTreftalato, composizione (C10H8O4)n. Deriva dal petrolio greggio (C9H18). È una resina termoplastica, adatta al contatto alimentare.

(19)  Il compost, è ciò che rimane dopo il processo di decomposizione ed umificazione su residui di sostanze organiche.

(20)  CdR, combustibile solido da rifiuto. Durante la combustione, la rottura dei legami tra gli atomi di H e di C della plastica, emettono grandi quantità di calore.

(21)  Es: cauzione obbligatoria in Germania. Obbligo di ritiro del vuoto da parte dei venditori (Svizzera).

(22)  Impedire la generazione di Acetaldeide, ottimizzando la temperatura di fusione, il tempo di residenza. Escludere la decontaminazione.

(23)  Per legge, in alcuni Stati, i contenitori destinati agli alimenti non possono superare il 50 % della loro composizione con materie plastiche seconde. E non devono venire a contatto con il cibo, quindi la plastica riciclata va accoppiata con plastica «vergine» per la parte vicina all'alimento.

(24)  Si stima che, allo stato attuale, i fiumi riversino ogni anno negli oceani da 1,15 a 2,41 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, e che oltre il 74 % di tali sversamenti si verifichi tra maggio e ottobre. I 20 fiumi più inquinanti al mondo, per lo più ubicati in Asia, sono responsabili del 67 % delle tonnellate complessive di rifiuti di plastica riversate negli oceani.

(25)  I Poliesteri vengono dal PET e sono disponibili sia come fiocco sia come filo liscio o voluminizzato nonché come microfibra.

(26)  Fonte Pielleitalia S.r.l Grassobbio Bergamo.

(27)  Fonte JRC Ispra: Fattore di conversione petrolio greggio:

11,8 MWh/t

0,264 tCO2/MWh

(28)  Vedi nota 28 JRC Ispra.

(29)  Kyoto Institute of Technology e Keio UNIVERSITY, con altri istituti di ricerca giapponesi, hanno isolato una specie di batterio, Ideonella sakaiensis, in grado di «divorare» la plastica, utilizzandola come fonte di sostentamento e crescita, mediante l'azione chimica di soli due enzimi. See: science.sciencemag.org/content/351/6278/1196 — YOSHIDA & OTHERS.University of Portsmouth biologist Professor John McGeehan and his colleagues accidentally created a super-powered version of the plastic-eating enzyme, published in the journal Proceedings of the National Academy of Sciences 2018.


10.8.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 283/69


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni «Il futuro dell’alimentazione e dell’agricoltura»

[COM(2017) 713 final]

(2018/C 283/10)

Relatrice:

Jarmila DUBRAVSKÁ

Correlatore:

John BRYAN

Consultazione

Commissione europea, 18.1.2018

Base giuridica

Articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Decisione dell’Ufficio di presidenza

05.12.2017

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

3.5.2018

Adozione in sessione plenaria

23.5.2018

Sessione plenaria n.

535

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

195/7/18

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore la comunicazione della Commissione sul tema Il futuro dell’alimentazione e dell’agricoltura, e ritiene che una politica agricola comune (PAC) forte e adeguatamente finanziata sia fondamentale per l’agricoltura sostenibile e praticabile nell’UE.

1.2.

La futura PAC deve rispondere agli obiettivi originari stabiliti nel trattato di Roma, nonché ai nuovi obiettivi in materia di ambiente, cambiamenti climatici e biodiversità, e garantire al tempo stesso che il modello di agricoltura europea sia mantenuto e rimanga competitivo e vitale, per rispondere alle esigenze dei cittadini europei. La nuova PAC deve altresì adottare e realizzare le finalità indicate negli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) delle Nazioni Unite e dalla COP21.

1.3.

Il CESE apprezza la direzione delle riforme, le nuove proposte in materia di sussidiarietà e il nuovo modello di attuazione, e sottolinea la necessità di garantire che esse siano attuate secondo modalità che proteggano la politica comune e il mercato unico e siano in linea con gli impegni assunti in materia di semplificazione. Il CESE, tuttavia, ritiene che la comunicazione in esame avrebbe dovuto essere più specifica, e avrebbe voluto che, nelle proposte legislative che vi hanno fatto seguito, la Commissione prendesse in considerazione il punto di vista della società civile espresso in questo parere. I tempi a disposizione per il parere del CESE e le proposte legislative della Commissione erano troppo serrati.

1.4.

Il CESE è favorevole al modello a due pilastri della PAC, in cui il primo pilastro eroga pagamenti diretti (che andrebbero orientati diversamente e devono garantire un reddito equo agli agricoltori nonché costituire un incentivo alla fornitura di beni pubblici) e assicura il sostegno al mercato mentre il secondo pilastro sostiene le aree rurali e ne combatte lo spopolamento in linea con la dichiarazione di Cork 2.0. Il CESE è contrario al cofinanziamento nell’ambito del primo pilastro, e chiede che venga stabilito un massimale ragionevole per il cofinanziamento nell’ambito del secondo pilastro. È convinto che i pagamenti diretti dovrebbero essere versati soltanto agli agricoltori attivi, in base a criteri oggettivi relativi all’attività agricola e alla fornitura di beni pubblici.

1.5.

Il CESE è a favore di una PAC forte e adeguatamente finanziata e di un aumento del bilancio dell’UE all’1,3 % del RNL, in linea con la crescita dell’economia dell’UE. La PAC dev’essere finanziata adeguatamente, per far fronte ai bassi redditi degli agricoltori e dei lavoratori agricoli, all’inflazione, a un eventuale ammanco derivante dalla Brexit e ad ulteriori requisiti connessi all’ambiente e ai cambiamenti climatici, nonché all’esigenza di armonizzare i pagamenti diretti nei vari Stati membri tenendo conto delle diverse condizioni.

1.6.

Il CESE ritiene che la PAC debba sostenere le piccole aziende come le grandi, i giovani come gli anziani, i nuovi arrivati come gli operatori già affermati, gli agricoltori autonomi come i loro dipendenti, le donne come gli uomini, in modo da garantire, nelle aree rurali, condizioni adeguate di vita agli agricoltori attivi che si impegnano nella produzione agricola, forniscono beni pubblici, si prendono cura dell’ambiente e contribuiscono all’occupazione.

1.7.

Pur accogliendo con favore le nuove proposte in materia di sussidiarietà e maggiore responsabilizzazione degli Stati membri, il CESE è convinto che occorra mantenere una PAC forte ed evitare una rinazionalizzazione che metterebbe in pericolo il mercato unico. La sussidiarietà deve applicarsi solo ai piani degli Stati membri in materia di attuazione degli obiettivi della PAC, offrendo nel contempo agli Stati membri la flessibilità di adottare le opzioni di pagamento del primo e del secondo pilastro per rispondere meglio alle tipologie delle attività agricole, alle strutture e alle situazioni di paesi specifici, tenendo conto delle condizioni naturali e dell’ambiente.

1.8.

Il nuovo modello di attuazione proposto, incentrato sugli obiettivi in materia di ambiente e clima, dev’essere attuato prevalentemente a livello di Stato membro. In linea con l’impegno a favore della semplificazione, tale modello dev’essere semplice e di agevole comprensione per gli agricoltori, e non imporre costi aggiuntivi. I piani strategici nazionali devono essere convertiti, a livello di azienda agricola, in piani semplici, con indicatori agevolmente comprensibili e facilmente misurabili.

1.9.

La semplificazione è stata per lungo tempo un elemento fondamentale della comunicazione sulla PAC, e questa riforma deve dare seguito all’impegno ad attuarla. Il CESE ritiene che questa riforma rappresenti una reale opportunità di semplificazione, e ha proposto un elenco di punti molto specifici riguardanti la sua attuazione. La condizionalità dovrebbe essere consolidata utilizzando i progressi tecnologici, la forma e il tasso d’ispezioni aziendali devono essere riesaminati e ottimizzati e i margini di tolleranza, eventualmente, ampliati onde evitare un’accuratezza soltanto apparente; gli agricoltori dovrebbero avere la possibilità di effettuare correzioni a eventuali inosservanze mediante un processo di close-out prima di subire sanzioni, e i pagamenti dovrebbero essere effettuati per tempo. Al riguardo bisognerebbe applicare il principio di annualità, onde evitare di dover effettuare controlli (e irrogare sanzioni) con effetto retroattivo.

1.10.

Il CESE è decisamente a favore di misure migliorate per i giovani agricoltori, e ha proposto sei misure specifiche, tra cui una chiara definizione del concetto di giovane agricoltore, per affrontare la questione cruciale del ricambio generazionale nel settore agricolo.

1.11.

In una prospettiva ambientale positiva, e al fine di aumentare la superficie a prato in tutta l’UE, il CESE raccomanda di intensificare il sostegno diretto agli agricoltori per i prati permanenti con un pagamento di livello più elevato.

1.12.

La PAC dopo il 2020 dovrà rafforzare la posizione degli agricoltori nella catena di approvvigionamento, affinché possano raggiungere un livello di reddito equo e non siano l’anello più debole della catena (1). La PAC deve tutelare il funzionamento del mercato unico, con l’indicazione obbligatoria dell’origine dei prodotti agricoli, che non impedirà la libera circolazione delle merci nell’UE.

1.13.

Il CESE ritiene che la PAC debba essere complementare ad una politica alimentare a vasto raggio (2).

1.14.

L’UE ha bisogno di un consumo alimentare sostenibile, che rispetti le esigenze connesse alla limitazione delle emissioni di carbonio (3), si conformi a standard elevati in materia di ambiente e di clima e sia in linea con l’economia circolare e un’agricoltura rispettosa dell’ambiente.

1.15.

L’agricoltura non consiste solo nel produrre alimenti, ma anche nel gestire terreni agricoli, utilizzare risorse idriche e preservare l’ambiente. Il CESE chiede pertanto alla Commissione di proteggere i suoli, a livello di Unione europea, dall’accaparramento e dalla destinazione irreversibile ad altri usi, come anche dal degrado, dalla desertificazione, dall’abbandono, dall’inquinamento e dall’erosione (4). Dovrebbe inoltre essere riconosciuto lo stretto legame esistente tra l’agricoltura e la silvicoltura.

1.16.

Il CESE ritiene che sia necessaria una strategia molto più coerente tra la PAC e la politica commerciale internazionale perseguita dall’UE. Riconoscendo che una politica commerciale è essenziale per il successo della PAC, il CESE ritiene che i nuovi accordi commerciali debbano insistere sul pieno rispetto delle norme europee relative a tutti gli aspetti critici della sicurezza alimentare, dell’impatto ambientale, della salute e del benessere degli animali e delle piante, e delle condizioni di lavoro.

2.   L’importanza dell’agricoltura e il futuro dell’alimentazione e dell’agricoltura

2.1.

Un’agricoltura sostenibile ed economicamente efficiente è l’unico settore in grado di soddisfare le esigenze più basilari della popolazione umana in termini di produzione alimentare. Inoltre, attraverso la gestione e la cura del territorio, essa fornisce beni pubblici essenziali, connessi alla tutela ambientale delle acque, del suolo, dell’aria e delle risorse della biodiversità che appartengono a noi tutti.

2.2.

In aggiunta alla fornitura di beni pubblici, l’agricoltura, la silvicoltura e la pesca, con 11 milioni di agricoltori, creano 22 milioni di posti di lavoro direttamente in azienda e altri 22 milioni nel più vasto settore alimentare in tutta Europa, in settori correlati come la trasformazione dei prodotti, il commercio e i trasporti e persino la scienza, la ricerca e l’istruzione. L’agricoltura potrebbe contribuire maggiormente alla produzione economica, alla crescita e alla creazione di posti di lavoro in tutte le zone rurali, se si intervenisse in modo appropriato per mutare il quadro in cui essa si iscrive.

2.3.

L’agricoltura avrà ruolo di vitale importanza per il futuro dell’Europa e il conseguimento dei traguardi fissati sia negli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite che negli impegni assunti nel quadro della 21a conferenza delle parti (COP21). Nell’ambito del «futuro dell’alimentazione e dell’agricoltura», il settore agricolo europeo, attraverso una catena di approvvigionamento alimentare migliorata, può fornire alla società importanti benefici, tra cui un abbondante approvvigionamento di alimenti e di materie prime sicuri, a prezzi accessibili e prodotti in maniera sostenibile, proteggendo le nostre principali risorse ambientali: suolo, acqua, aria e biodiversità. Esso può inoltre offrire redditi equi agli agricoltori attraverso prezzi remunerativi.

2.4.

Il CESE ritiene che in futuro la PAC debba non solo attuare gli obiettivi chiave stabiliti nel trattato di Roma per quanto riguarda 1) accrescere la produttività agricola, 2) assicurare un tenore di vita equo agli agricoltori, 3) stabilizzare i mercati, 4) provvedere all’approvvigionamento e 5) assicurare prezzi ragionevoli ai consumatori, ma anche conseguire maggiori risultati, specie in materia di ambiente, cambiamenti climatici e biodiversità, come pure questioni sociali e occupazione nelle aree rurali.

2.5.

Il CESE rileva che gli obiettivi inizialmente assegnati alla PAC dai Trattati di Roma sono cambiati nel tempo e che nessun obiettivo è stato pienamente raggiunto. Un obiettivo era, ed è tuttora, quello di generare un reddito sufficiente grazie all’aumento della produttività delle aziende agricole. Ebbene, oggi le aziende agricole sono senz’altro più produttive rispetto al passato, ma i redditi sono spesso insufficienti e, in molti casi, i pagamenti diretti si sono sostituiti ai prezzi «equi e adeguati» che possono essere ottenuti sui mercati. Oltre che dei rendimenti del mercato, gli agricoltori attivi hanno bisogno dei pagamenti unici per azienda della PAC.

2.6.

Il CESE reputa che i seguenti principi fondamentali debbano costituire la base dei futuri obiettivi della PAC:

protezione del modello agricolo europeo, con i suoi ruoli plurifunzionali e con aziende familiari redditizie, piccole e medie imprese, cooperative e altri sistemi di attività agricola aventi una base storica nell’UE. La PAC dovrebbe rendere possibile una produzione agricola sostenibile in tutte le regioni dell’UE;

forti pagamenti diretti per sostenere redditi agricoli adeguati;

una forte azione nel campo dello sviluppo rurale;

un mercato unico ben funzionante;

rafforzamento della posizione dei produttori primari nella catena del valore;

uso e gestione sostenibili delle risorse naturali del suolo, dell’acqua, dell’aria e della biodiversità;

protezione dell’ambiente e mitigazione dei cambiamenti climatici;

conservazione della natura e del paesaggio;

sostegno per il ricambio generazionale e per attrarre giovani agricoltori;

promozione dell’occupazione;

tutela dei posti di lavoro e inclusione sociale;

sostegno della crescita e rafforzamento della competitività;

accesso dei cittadini a un’ampia varietà di alimenti prodotti in modo sostenibile, tra cui prodotti regionali, a indicazione geografica e biologici;

adozione di una politica commerciale coerente, in linea con gli obiettivi della PAC;

obbligo dell’indicazione di origine, in quanto fonte di valore aggiunto per i consumatori;

priorità ad azioni di formazione incentrate sul miglioramento della produzione e sulla qualità degli alimenti;

agevolazione dei flussi di migrazione circolare per rispondere alle esigenze produttive con lavoratori stagionali provenienti da paesi terzi;

promozione della digitalizzazione delle zone rurali, dell’attività agricola e della catena di approvvigionamento alimentare.

2.7.

Il CESE apprezza le nuove misure proposte dalla comunicazione in esame in materia di sussidiarietà e il nuovo modello di attuazione, e reputa che, attuati nel modo giusto, le une e l’altro possano avere un forte impatto positivo sulla PAC a livello di singole aziende agricole, in termini di semplificazione e riduzione della burocrazia nonché di migliori misure di adeguamento al variare delle condizioni negli Stati membri e di maggiore focalizzazione di tale politica sull’ambiente e sui cambiamenti climatici. Il CESE ritiene inoltre che, a questo scopo, sia necessario introdurre nella PAC alcune modifiche fondamentali, in parte già previste nelle proposte della Commissione. Se attuate correttamente, tali modifiche potrebbero incidere positivamente sull’agricoltura e sull’effettivo conseguimento degli obiettivi della PAC.

2.8.

La PAC deve riflettere gli obiettivi e le finalità principali previsti dagli OSS e dalla COP21. Tra questi figurano l’eradicazione della povertà, che implica un miglioramento dei redditi agricoli, la lotta contro la fame, buona salute e benessere, istruzione di qualità, acqua pulita e infrastrutture igienico-sanitarie, energia a prezzi accessibili e pulita, lavoro dignitoso e crescita economica, riduzione delle disuguaglianze, consumo e produzione responsabili, l’azione per il clima e la protezione delle acque e della vita sulla terra. Il CESE ritiene che la PAC debba rispettare tali obiettivi fondamentali e che ciò dovrebbe riflettersi nella condizionalità dei pagamenti diretti, in particolare per quanto riguarda le questioni fondiarie e le norme ambientali e sul lavoro.

2.9.

In considerazione della tempistica delle misure proposte, il CESE fa presente che occorrono disposizioni transitorie chiare, e ciò per il semplice fatto che i processi politici necessari e la successiva attuazione amministrativa presumibilmente non potranno concludersi prima della fine del 2022: è necessario disporre del tempo sufficiente per passare senza problemi dalla politica attuale a quella nuova. Gli agricoltori e il settore agricolo hanno bisogno di chiarezza, stabilità e sicurezza di pianificazione: l’UE deve evitare le difficoltà che sono sorte con l’ultima riforma.

3.   Bilancio

3.1.

I pagamenti diretti dovranno continuare a contribuire alla tutela dei redditi, dato che le condizioni attuali fanno sì che gli agricoltori non possano trarre un reddito sufficiente dalla vendita dei loro prodotti. Nel contempo, occorre creare per gli agricoltori un mercato di «beni pubblici», inteso non solo a compensare i costi aggiuntivi per gli agricoltori e gli eventuali minori introiti ma anche ad avere un impatto positivo sui redditi (una visione che il CESE sostiene con fermezza); e, affinché queste promesse possano davvero tradursi in realtà, i responsabili politici devono garantire un finanziamento sufficiente. Il CESE è critico riguardo al fatto che con la comunicazione non sia stata presentata un’analisi del reale fabbisogno finanziario della nuova PAC «più equa e più verde» (5).

3.2.

Il CESE invoca pertanto la creazione di un bilancio solido per la PAC, ma ritiene altresì che ciò sia a rischio. Per rispondere alle nuove aspettative nei confronti della PAC riguardo al soddisfacimento, a livello di azienda agricola, di ulteriori requisiti in materia di ambiente e di clima, per far fronte alla necessità di ravvicinare i pagamenti diretti nei vari Stati membri tenendo conto delle diverse condizioni, per continuare a reagire alle pressioni indotte dal basso livello dei redditi agricoli e per colmare il divario di reddito con gli altri settori della società e contenere l’inflazione, probabilmente il bilancio della PAC dovrà aumentare in misura sostanziale.

3.3.

Dagli anni ottanta del secolo scorso la spesa per la PAC è in costante diminuzione, essendo passata da circa il 70 % al 38 % del bilancio dell’UE. Il bilancio della PAC non è cresciuto quando il numero di Stati membri dell’UE è aumentato repentinamente di diciotto unità e la superficie agricola dell’UE è divenuta molto più estesa.

3.4.

Il CESE prende atto delle proposte del Parlamento europeo volte a incrementare il bilancio dell’UE dall’1,0 % ad almeno l’1,3 % del RNL. Tuttavia, rileva che non è ancora chiaro quanti dei fondi supplementari già previsti andranno all’agricoltura e se tale importo sarà sufficiente per sostenere un bilancio della PAC che sia adeguato e idoneo a soddisfare tutti gli ambiziosi obiettivi e requisiti di tale politica. Sia la società civile che il Parlamento europeo sostengono un bilancio forte e la stabilità che ne deriva. Le proposte di riforma della PAC non saranno coronate da successo senza un bilancio sufficiente.

3.5.

Gli Stati membri dovranno compensare con contributi aggiuntivi ogni ammanco nel bilancio dell’UE, e specialmente in quello della PAC, che consegua dal recesso del Regno Unito. Inoltre, le proposte per finanziare nuove misure dell’UE devono comportare nuovi finanziamenti.

4.   Sussidiarietà

4.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta di introdurre una maggiore sussidiarietà nella PAC, ma sottolinea l’importanza di mantenere una forte politica agricola comune e un forte mercato unico dell’UE. Non si può permettere che la sussidiarietà comprometta in qualsiasi modo la PAC o il mercato unico. Inoltre, i membri del CESE sottolineano la loro preoccupazione che, facendo leva sul principio della sussidiarietà, negli Stati membri si possa giungere a una rinazionalizzazione della PAC.

4.2.

La sussidiarietà dovrebbe applicarsi soltanto ai piani elaborati dagli Stati membri per attuare le priorità della PAC, ma l’attuale struttura a due pilastri di tale politica dovrebbe rimanere immutata. Il CESE accoglie con favore l’iniziativa volta a sviluppare l’agricoltura nelle regioni di origine dei migranti. Le norme sul lavoro devono essere rispettate per tutti i dipendenti, compresi i lavoratori stagionali.

4.3.

Il ruolo della Commissione nell’approvazione e nel controllo dei piani nazionali di attuazione (e, nel caso di mancata ottemperanza, nell’applicazione di eventuali sanzioni) è fondamentale per garantire che la PAC continui ad essere una politica comune.

4.4.

L’elemento chiave della sussidiarietà positiva dovrebbe consistere nel consentire agli Stati membri di definire regimi e operazioni nell’ambito del primo e del secondo pilastro nel modo più conforme ai tipi, alle strutture e alle condizioni dell’agricoltura in specifici paesi, garantendo nel contempo migliori risultati in relazione ai cambiamenti climatici e all’ambiente.

4.5.

La sussidiarietà dovrebbe garantire anche la flessibilità necessaria per consentire agli Stati membri di adottare la concezione, i requisiti e le regole di condizionalità che rispondono meglio alle rispettive specificità nazionali, e a loro volta apportare una semplificazione effettiva e sostanziale a livello di azienda agricola, mantenendo al tempo stesso controlli adeguati.

5.   Nuovo modello di attuazione

5.1.

La comunicazione sulla PAC propone un «nuovo modello di attuazione», che, attraverso la sussidiarietà, consentirà agli Stati membri di elaborare una combinazione di misure, obbligatorie e volontarie, in entrambi i pilastri, per conseguire gli obiettivi ambientali e climatici definiti a livello UE. La comunicazione propone che gli Stati membri definiscano obiettivi quantificati in piani strategici, in modo da assicurarne l’attuazione; che tutti i pagamenti diretti versati agli agricoltori siano subordinati all’impegno di adottare (o mantenere, se già attuate) determinate pratiche in materia di ambiente e cambiamenti climatici; e di remunerare gli agricoltori per le pratiche volontarie più ambiziose, cosa che richiederà il pagamento di forti incentivi.

5.2.

Il CESE è convinto che occorra applicare principalmente a livello di Stato membro gli obiettivi, i risultati e gli indicatori di realizzazione ambientali e climatici quantificati.

5.3.

A livello di azienda agricola, il nuovo modello di attuazione potrebbe comportare l’adozione di un piano semplice che riguardi gli aspetti fondamentali delle misure ambientali e climatiche in materia di tutela del suolo, dell’acqua, dell’aria, della biodiversità e delle caratteristiche del paesaggio, come pure di gestione dei nutrienti.

5.4.

Pagamenti ulteriori e di livello più elevato nel secondo pilastro sarebbero effettuati laddove si applichino condizioni volontarie più rigorose in campo sociale e occupazionale nonché in materia di ambiente e di cambiamenti climatici.

5.5.

Il CESE considera molto importante che il nuovo modello di attuazione sia in linea agli obiettivi di semplificazione e sia facile da comprendere e da applicare a livello di singola azienda agricola.

5.6.

L’applicazione del nuovo modello di attuazione non dovrebbe comportare, a livello di azienda agricola, costi supplementari in termini di servizi di consulenza o costi di conformità, i quali eroderebbero i pagamenti diretti. Eventuali costi sostenuti a livello delle aziende agricole per garantire una maggiore conformità alle nuove sfide ambientali e climatiche devono riflettersi in un aumento dei pagamenti e degli stanziamenti di bilancio a livello di Stato membro.

5.7.

Il CESE accoglie con favore le proposte della Commissione volte a far proprio il concetto di agricoltura intelligente, che aiuta a migliorare il reddito delle aziende agricole apportando nel contempo benefici all’ambiente. L’agricoltura intelligente comporterebbe il ricorso alla formazione, ai trasferimenti di conoscenze e alle tecnologie al fine di aumentare l’efficienza nei consumi di acqua, energia, fertilizzanti e altri fattori di produzione come i pesticidi (6), nonché la promozione di metodi di produzione ecologici come la gestione dei terreni rispettosa dell’ambiente, l’agricoltura biologica e l’agroecologia.

6.   Semplificazione

6.1.

Il CESE è decisamente a favore di una semplificazione sostanziale della PAC, e in particolare dell’attuazione degli impegni politici assunti in materia di semplificazione, al fine di realizzare benefici tangibili, tra cui una riduzione degli adempimenti burocratici per gli agricoltori. In numerose precedenti riforme della PAC è stata promessa una semplificazione, con risultati scarsi o addirittura assenti.

6.2.

È essenziale che le proposte legislative producano un’effettiva semplificazione degli aspetti più burocratici della PAC, specie le verifiche in loco connesse a richieste relative ai regimi di aiuto per superficie, e i requisiti di condizionalità molto ampi e complessi nell’ambito dei criteri di gestione obbligatori (CGO) e delle buone condizioni agronomiche e ambientali (BCAA), cui gli agricoltori devono conformarsi. Al tempo stesso, è importante che sia introdotto un sistema di controllo efficace ed efficiente, basato sui rischi, che sia comunque collegato a un sistema di consulenza a monte e di incentivi per gli agricoltori.

6.3.

Se, da un lato, il regolamento omnibus ha già comportato una modesta ma apprezzata semplificazione, dall’altro serviranno ulteriori modifiche per attuare l’obiettivo di una semplificazione.

6.4.

Il CESE propone che il nuovo modello di attuazione, la sussidiarietà e un impiego migliore delle moderne tecnologie, grazie alle risorse e agli strumenti del Centro comune di ricerca, introducano una semplificazione nei seguenti ambiti:

sono necessari un riesame e una riconfigurazione completi del sistema di controllo a livello di azienda, per renderlo più efficiente e meno burocratico, basato su un principio di annualità (senza controlli con effetto retroattivo) e incentrato sull’orientamento e sulla correzione anziché immediatamente su ammende e sanzioni;

un uso migliore delle nuove tecnologie, l’ispezione via satellite e il telerilevamento potrebbero sostituire alcuni dei controlli in loco relativi alla condizionalità;

i CGO e le BCAA dovrebbero essere ottimizzati senza compromettere i controlli o gli standard;

per tener conto delle specificità della concreta gestione di un’azienda agricola, spesso nelle mani di una sola persona, si dovrebbero ampliare i margini di tolleranza e offrire il tempo appropriato per correggere o rettificare eventuali inadempienze;

le ispezioni non dovrebbero avere l’effetto di bloccare i pagamenti, ed eventuali sanzioni comminate in relazione all’ammissibilità, alla condizionalità e/o ai criteri di gestione obbligatori dovrebbero essere applicate l’anno successivo a quello in cui si è svolto il controllo (7).

6.5.

La sussidiarietà offre agli Stati membri la possibilità di accrescere la semplificazione a livello di singola azienda agricola per tener conto delle specificità di questa, salvaguardando nel contempo la fornitura di beni pubblici.

7.   Pagamenti diretti, sviluppo rurale e organizzazione comune dei mercati

7.1.

Una recente relazione della Corte dei conti europea ha sottolineato che il regime di pagamento di base per gli agricoltori è sulla buona strada dal punto di vista operativo, ma sta avendo un impatto modesto su semplificazione, indirizzamento e convergenza dei livelli di aiuto. La Corte dei conti aggiunge che il regime di pagamento di base rappresenta un’importante fonte di reddito per molti agricoltori, ma presenta limiti intrinseci. Esso non tiene conto delle condizioni di mercato, dell’uso dei terreni agricoli o di circostanze specifiche dell’azienda, e non si basa su un’analisi della situazione generale dei redditi agricoli.

7.2.

I pagamenti diretti costituiscono quindi, per molti agricoltori, il più importante strumento della PAC (8) e più in generale rivestono un’importanza cruciale per l’agricoltura europea, sostenendo i redditi agricoli, contribuendo a salvaguardare il modello europeo di agricoltura e promuovendo gli standard alimentari e ambientali più elevati, proprio perché, in molti casi, gli agricoltori non possono più trarre un reddito sufficiente dalla produzione e dalla vendita dei loro prodotti sul mercato. I pagamenti diretti costituiscono in media il 46 % del reddito agricolo per circa 7 milioni di aziende agricole, che coprono il 90 % della superficie agricola dell’UE (9). In alcuni settori e regioni, i pagamenti diretti hanno un’importanza ancora maggiore, e risultano assolutamente essenziali per la sopravvivenza dell’attività agricola.

7.3.

Il CESE si rammarica di questo sviluppo, che rende l’agricoltura sempre più dipendente dalle discussioni sul bilancio. Secondo il CESE: la PAC deve in primissimo luogo far sì che mercati stabilizzati (e accordi commerciali equi) consentano di trarre redditi adeguati dalla vendita di beni prodotti in maniera sostenibile. Al tempo stesso, il CESE accoglie con favore l’intenzione dei responsabili politici di sviluppare un mercato di «beni pubblici» capace di avere effetti positivi sui redditi.

7.4.

Come risulta chiaramente dalla comunicazione della Commissione, tutto ciò renderà necessario apportare delle modifiche nell’orientamento dei pagamenti diretti. Il CESE apprezza il fatto che la Commissione stia esaminando la questione se l’attuale allocazione del sostegno finanziario possa essere mantenuta nella sua forma attuale. Qualsiasi modifica, tuttavia, dovrà aver luogo senza compromettere uno dei punti di forza fondamentali della PAC: la salvaguardia di quel mercato interno ben funzionante da essa realizzato nel corso degli anni.

7.5.

Il CESE è preoccupato per la mancanza di sostegno agli agricoltori che ricevono pagamenti diretti scarsi o addirittura inesistenti, come i produttori di frutta e verdura su piccole superfici, oppure, per esempio, i pastori transumanti in Stati membri nei quali per le loro prestazioni non sono disponibili premi accoppiati.

7.6.

Il CESE è favorevole al mantenimento del modello di PAC a due pilastri, con i pagamenti diretti e le misure di mercato a sostegno dei redditi agricoli nel primo pilastro, e gli interventi relativi agli aspetti economici, ambientali, occupazionali e sociali nell’agricoltura e nelle aree rurali, in linea con la dichiarazione di Cork 2.0, nel secondo (10).

7.7.

Il CESE appoggia le proposte tendenti a perseguire, in entrambi i pilastri della PAC, un livello più elevato di ambizione e di concentrazione sulla tutela dell’ambiente e sull’azione per il clima, per rendere la PAC più verde, là dove le politiche attuali si sono dimostrate troppo macchinose e devono essere rese più efficienti.

7.8.

I pagamenti diretti devono essere versati soltanto agli agricoltori attivi, sulla base di criteri chiari e oggettivi e in base alle pratiche regionali, gli uni e le altre incentrati sulle attività agricole e sulla fornitura di beni pubblici, mentre tali pagamenti non devono essere disponibili per coloro che si limitino a detenere proprietà fondiarie, senza impegnarsi attivamente nella produzione agricola e senza fornire beni pubblici.

7.9.

Se necessario, gli Stati membri devono essere autorizzati ad aumentare il livello dei pagamenti accoppiati per sostenere con forza i settori e le regioni vulnerabili, senza alcuna distorsione del mercato. Ciò contribuirà a proteggere la biodiversità, l’allevamento basato sul prato e altri settori in declino, prevenendo l’abbandono delle terre, specie nelle zone rurali remote, dove non è possibile un adeguamento o un passaggio ad attività agricole differenti. Gli Stati membri dovrebbero inoltre poter dirigere con maggiore flessibilità i pagamenti del secondo pilastro per migliorare la situazione di settori vulnerabili e di zone in declino, dove i pagamenti accoppiati potrebbero risultare inadeguati.

7.10.

Il CESE ritiene necessario offrire un sostegno più mirato alle aziende agricole a conduzione familiare. Al fine di migliorare la sostenibilità economica delle piccole aziende agricole, si devono impiegare le misure volontarie più adeguate previste nell’ambito del primo e del secondo pilastro della PAC. Un’eventuale ridistribuzione dei pagamenti tra i richiedenti non deve comportare un incremento del prezzo di vendita o del canone di affitto dei terreni o una riduzione del reddito e della redditività degli agricoltori attivi.

7.11.

Ogni Stato membro dovrà adottare un piano strategico ed erogare su tale base i pagamenti all’agricoltura. I pagamenti diretti a titolo del primo pilastro dovrebbero essere soggetti ad un massimale equo e ragionevole per i singoli agricoltori. Dovrebbero essere possibili degli aggiustamenti, e si dovrebbe tenere conto dei partenariati, delle cooperative e delle imprese nonché del numero di dipendenti che necessitano di una copertura assicurativa. Il massimale non dovrebbe applicarsi alle misure ambientali adottate su base volontaria e ai soggetti che forniscono beni pubblici. I fondi non erogati grazie all’applicazione del massimale potrebbero essere utilizzati per pagamenti redistributivi. Gli Stati membri potranno tenere conto dell’occupazione, della produzione animale e dei settori sensibili.

7.12.

Quanto al modello di pagamento di base, si propone che i paesi che hanno adottato modelli diversi dal sistema di pagamento forfettario di base, come il modello ibrido o il modello di approssimazione, siano autorizzati a mantenere tali modelli anche dopo il 2020, ove questi si adattino meglio ai rispettivi contesti nazionali (11). Gli Stati membri con un pagamento unico per superficie dovrebbero avere la possibilità di abolire il sistema dei diritti all’aiuto. Un pagamento forfettario per ettaro può, in certi casi, andare a beneficio dei produttori di seminativi più che degli agricoltori che operano in settori ad alta intensità di manodopera come quelli zootecnico ed ortofrutticolo.

7.13.

Il CESE ritiene che per mantenere la PAC come una forte politica comune dell’UE non debba esservi alcun cofinanziamento nel primo pilastro. Il CESE non è favorevole a consentire agli Stati membri di trasferire fondi dal secondo al primo pilastro, ma invoca un livello ragionevole di cofinanziamento del secondo pilastro per tutti gli Stati membri.

7.14.

Il livello degli aiuti diretti versati agli agricoltori nei diversi Stati membri dell’UE dev’essere ulteriormente ravvicinato al fine di creare condizioni di parità per gli agricoltori di tutti gli Stati membri e assicurare uno sviluppo equilibrato delle zone rurali nell’intera UE (12).

7.15.

Una politica di sviluppo rurale forte, con un maggior margine di manovra, nell’ambito del secondo pilastro della PAC è essenziale per sostenere il soddisfacimento delle esigenze agricole, economiche, ambientali e sociali delle aree rurali, comprese le regioni più vulnerabili, in linea con la dichiarazione di Cork 2.0. Le misure dovrebbero concentrarsi sulla lotta contro lo spopolamento, in sinergia con altre politiche strutturali. Il CESE sottolinea inoltre lo stretto legame esistente tra l’agricoltura e la silvicoltura e il ruolo delle foreste nelle economie rurali.

7.16.

Le indennità a favore delle zone soggette a vincoli naturali o ad altri vincoli specifici costituiscono una misura di particolare rilievo ai fini del ripristino, della salvaguardia e della valorizzazione degli ecosistemi dipendenti dall’agricoltura e dalla silvicoltura (13). Il sostegno agli agricoltori che operano nelle suddette zone è di cruciale importanza per mantenere in esse l’attività agricola e prevenire l’abbandono dei terreni e quindi, in ultima analisi, lo spopolamento delle campagne. Il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) deve allocare agli Stati membri mezzi finanziari sufficienti per sostenere le zone soggette a vincoli naturali o ad altri vincoli specifici.

7.17.

Il CESE continua a sostenere il rafforzamento dell’aiuto nelle zone soggette a vincoli naturali o ad altri vincoli specifici. Tale aiuto dovrebbe variare in funzione del grado di svantaggio cui esse sono soggette, a sua volta basato sugli attuali parametri biofisici per la determinazione di tali zone.

7.18.

Il CESE propone che l’attuale organizzazione comune dei mercati (OCM) sia migliorata e rafforzata per garantire un’efficace rete di sicurezza e misure di sostegno al mercato, soprattutto in periodi di crisi o comunque difficili quali l’embargo russo sulle importazioni dall’UE o la Brexit, al fine di proteggere i produttori primari, il settore della trasformazione, i consumatori, i mercati e l’occupazione. A giudizio del CESE, le proposte legislative della Commissione devono essere molto più incisive riguardo ai temi «mercati» e «commercio» e prevedere misure significative e concrete.

7.19.

La PAC deve rafforzare la posizione degli agricoltori, onde evitare che essi siano l’anello più debole della catena di approvvigionamento (14). Il CESE apprezza l’iniziativa della Commissione di proporre misure legislative per contrastare le pratiche commerciali sleali. Tali misure devono essere attuate al più presto, in modo che il sostegno a carico del bilancio dell’UE non vada perso per l’agricoltura, ma crei valore e aiuti gli agricoltori a commercializzare i loro prodotti a prezzi equi. Inoltre, il CESE raccomanda di tradurre in pratica le proposte della task force «Mercati agricoli».

7.20.

Il buon funzionamento del mercato unico deve essere al centro della PAC. Le recenti tendenze alla rinazionalizzazione osservabili in tutto il mercato unico sono fonte di grande preoccupazione e hanno portato ad un’accresciuta divergenza dei prezzi e dei mercati. È essenziale introdurre (dove non ve ne siano già) norme sull’etichettatura obbligatoria dell’origine dei prodotti agricoli e alimentari, necessaria per evitare le frodi e mettere i consumatori in condizione di effettuare scelte più consapevoli; e questo proprio affinché tali norme non compromettano od ostacolino la libera circolazione delle merci nel mercato unico dell’UE (15). La concorrenza sleale dovuta al mancato rispetto delle norme in materia di lavoro (contratti, previdenza sociale, salute e sicurezza sul lavoro) mette gravemente a rischio il mercato unico.

7.21.

L’incertezza politica, i cambiamenti climatici e altri fattori fanno sì che gli agricoltori debbano far fronte sempre più spesso a catastrofi naturali causate da fenomeni atmosferici e a forti fluttuazioni dei prezzi sui mercati. I redditi agricoli possono risentire fortemente della volatilità dei prezzi delle materie prime. Il CESE invita la Commissione e gli Stati membri a mettere a disposizione strumenti che aiutino gli agricoltori a sormontare efficacemente i rischi e a garantirsi un reddito stabile. L’attuale meccanismo di riserva di crisi dovrebbe essere rivisto al fine di accumulare risorse finanziarie per consentire risposte efficaci alle situazioni di crisi. Per il CESE non vi sono dubbi sul fatto che robusti pagamenti diretti siano la migliore forma di garanzia del reddito degli agricoltori.

8.   I giovani agricoltori, il ricambio generazionale, i nuovi agricoltori e le donne nell’agricoltura

8.1.

Il numero dei giovani agricoltori è in costante diminuzione, così come il numero degli agricoltori in generale. Il rapido calo del numero degli agricoltori nel corso del precedente periodo finanziario (da 14,5 a 10,7 milioni (16)) riguarda tutte le classi di età (17). Nonostante esistano per loro le stesse opportunità di sostegno attraverso la PAC, il numero dei giovani agricoltori e la proporzione che essi rappresentano variano notevolmente da uno Stato membro all’altro (18). Nel 2016 solo il 31,8 % dei lavoratori agricoli aveva meno di quarant’anni, rispetto al 42,4 % della popolazione lavorativa complessiva (19).

8.2.

Il CESE propone di migliorare il sostegno della PAC ai giovani agricoltori e al ricambio generazionale. Bisognerebbe inoltre accordare agli Stati membri la flessibilità necessaria per mettere a disposizione dei giovani agricoltori e dei giovani lavoratori agricoli misure per la stabilizzazione dei redditi, agevolazioni fiscali o altri incentivi. Essi dovrebbero inoltre adottare misure per integrare i nuovi agricoltori (di età superiore a 40 anni) al fine di tenere conto del fatto che la mobilità professionale aumenta nelle zone rurali così come nelle città.

8.3.

Il CESE propone di definire il «giovane agricoltore» come una persona di età inferiore a 40 anni che abbia le qualifiche necessarie e corrisponda ai requisiti stabiliti per un agricoltore in attività.

8.4.

I giovani agricoltori fanno fronte a un rischio elevato, ad alti costi e a un reddito d’impresa incerto. Il CESE avanza le seguenti proposte specifiche volte a sostenere e assistere i giovani agricoltori e il ricambio generazionale:

miglioramento dei redditi e del sostegno agli investimenti attraverso un aumento dei pagamenti del I e II pilastro ai giovani agricoltori qualificati;

incremento del pagamento complementare del 25 % per i giovani agricoltori nell’ambito del I pilastro;

introduzione, nel II pilastro, di un regime pensionistico per gli agricoltori che intendano passare la mano e trasmettere le proprie aziende a giovani agricoltori qualificati, comprese disposizioni per un regime di mobilità agricola;

introduzione nel II pilastro di un regime di avviamento e di altre misure mirate che aiuti i giovani agricoltori a consolidare la loro posizione;

versamento di un’integrazione del reddito, sotto forma di un pagamento per cinque anni, ai giovani che avviano piccole imprese agricole i cui prodotti sono destinati ai mercati locali, per consentire loro un avviamento progressivo dell’attività;

sviluppo di strumenti finanziari per contribuire alla fornitura di capitale o prestiti di avviamento a basso costo;

promozione dell’innovazione e del trasferimento delle conoscenze ad hoc per i giovani agricoltori.

8.5.

Nell’UE la proporzione di donne che lavorano nell’agricoltura è inferiore a quella delle donne lavoratrici in generale: 35,1 % contro 45,9 %, con significative variazioni tra gli Stati membri. Tuttavia le donne svolgono un ruolo molto significativo nella forza lavoro. È quindi importante che la PAC comprenda misure intese a incoraggiare e a motivare una maggiore presenza femminile nel settore agricolo.

9.   Elementi di alto valore aggiunto ambientale

9.1.

Il CESE apprezza la speciale attenzione che la comunicazione sulla PAC dedica all’ambiente e al cambiamento climatico, e in particolare alla tutela e alla sostenibilità del suolo, dell’acqua, dell’aria e della biodiversità a livello di singola azienda agricola.

9.2.

Oltre alle sue funzioni produttive, il prato permanente, che rappresenta oltre il 20 % della superficie dell’UE, assolve numerose altre funzioni. Esso ha evidenti vantaggi ambientali, in particolare in termini di sequestro del carbonio e stabilità ecologica, in quanto importante fonte di biodiversità nelle aree agricole.

9.3.

Per tale ragione, e al fine di aumentare la superficie a prato in tutta l’UE, il CESE raccomanda che la PAC consenta agli Stati membri di a) fornire un maggiore sostegno diretto agli agricoltori attivi per i prati permanenti, con un nuovo pagamento ad hoc di livello più elevato, e b) sostenere iniziative di commercializzazione dei prodotti dell’attività di pascolo. Prerequisito per tale aiuto più sostanzioso dovrà essere il rispetto, da parte del richiedente, della densità di pascolo e del periodo di pascolo minimi prescritti. Il CESE rileva tuttavia anche una serie di problemi nell’ammissibilità del prato permanente al sistema d’identificazione delle parcelle agricole (SIPA) (20), dovuti a carenze nel monitoraggio o a dati incompleti, da cui consegue il pagamento di aiuti per superfici non ammissibili.

9.4.

Il CESE osserva inoltre che da lungo tempo vi sono carenze terminologiche nella descrizione dei pascoli, e propone pertanto di impiegare il concetto generale di «prato permanente», che eliminerebbe la divergenza terminologica ereditata da periodi precedenti (21). Il regolamento dovrebbe inoltre definire e prendere in considerazione meglio la produzione animale basata sul pascolo di piante non erbacee, ampiamente praticata in molte parti dell’UE, dal momento che svolge un ruolo essenziale nella protezione dell’ambiente.

9.5.

La terra è un fattore limitante anzitutto per l’agricoltura e poi per altri settori. In tutta l’UE vigono già adesso svariate misure, legislative e di altro tipo, per proteggere i terreni. Tuttavia, un quadro comune europeo garantirebbe l’uso sostenibile e la protezione dei terreni e dei suoli agricoli (22). Proteggere la salute e la fertilità del suolo dovrebbe essere uno degli obiettivi stabiliti a livello dell’UE nel quadro del nuovo modello di attuazione della PAC. Il CESE è favorevole all’elaborazione e all’attuazione di una strategia europea per le proteine per incrementare il grado di autosufficienza in mangimi proteici.

10.   Scambi commerciali e questioni internazionali

10.1.

Essendo l’UE il principale esportatore netto di prodotti agricoli, il successo dell’agricoltura europea dipende in ampia misura dagli scambi con i paesi terzi. Il potenziale dei futuri accordi di libero scambio equi e reciprocamente vantaggiosi dovrebbe essere utilizzato per garantire il costante contributo all’occupazione e al reddito degli agricoltori.

10.2.

Il CESE ritiene che sia necessaria una strategia molto più coerente tra la PAC e la politica commerciale perseguita dall’UE. La PAC promuove in maniera positiva una politica di sostegno alle aziende agricole a conduzione familiare e di altre strutture aziendali nell’UE, come pure standard più elevati in tutti gli ambiti cruciali della sicurezza alimentare, dell’ambiente e del lavoro. Tuttavia, nei negoziati commerciali, ad esempio con il Mercosur, l’UE sta accettando importazioni di prodotti alimentari che non soddisfano le norme di sicurezza alimentare dell’UE, che sono prodotti in base a norme ambientali meno rigorose e a norme sul lavoro del tutto inaccettabili.

10.3.

Tutti gli accordi commerciali dell’UE devono rispettare il principio della sovranità alimentare e della preferenza comunitaria, con prodotti alimentari dell’UE per i cittadini europei e una tariffa esterna comune. Per evitare la rilocalizzazione delle emissioni e la perdita di posti di lavoro, occorre mantenere e difendere gli standard più elevati per quanto attiene alle condizioni sanitarie, fitosanitarie, ambientali e di lavoro.

10.4.

Tra gli esempi positivi recenti nel campo del commercio figura l’accordo UE-Giappone, nel cui ambito sono state mantenute norme equivalenti e al quale non sono conseguite né una rilocalizzazione delle emissioni né una perdita di occupazione. La proposta di accordo UE-Mercosur comporta invece un’ingente rilocalizzazione delle emissioni di carbonio, dato il persistere della distruzione delle foreste pluviali amazzoniche, emissioni aggiuntive di gas a effetto serra e perdite di posti di lavoro. Le emissioni di gas a effetto serra connesse alla produzione di carni bovine in Brasile sono stimate in 80 kg di CO2-eq/kg, contro i 19 kg di CO2-eq/kg generate nella produzione dell’UE. Gli accordi di partenariato economico con i paesi in via di sviluppo dovrebbero tenere presenti gli effetti sull’occupazione e sulle norme sociali nei relativi paesi di destinazione.

11.   Alimentazione e salute

11.1.

Gli agricoltori dell’UE e la PAC garantiscono ai cittadini dell’Unione quantità sufficienti (23) di alimenti di alta qualità, accessibili nel prezzo, sicuri per la salute e prodotti nel rispetto delle norme ambientali. La PAC è il meccanismo abilitante dell’agricoltura, che costituisce la base dell’industria alimentare dell’UE (24).

11.2.

Il CESE sottolinea che gli attuali strumenti politici dell’UE devono essere riallineati e armonizzati per produrre sistemi alimentari sostenibili sul piano ambientale, economico e socioculturale. Inoltre, il CESE ribadisce che una politica alimentare comprensiva dovrebbe essere complementare, e non alternativa, ad una PAC riformata in profondità (25).

11.3.

Il CESE invita la Commissione europea a proteggere i consumatori facendo sì che i requisiti ambientali e di benessere animale, gli standard sanitari e fitosanitari e le norme sociali in vigore per la produzione nel mercato interno si applichino anche ai prodotti importati da paesi terzi.

Bruxelles, 24 maggio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Parere del CESE I fattori che influenzano la PAC dopo il 2020 (GU C 75 del 10.03.2017, pag. 21).

(2)  Parere del CESE Il contributo della società civile allo sviluppo di una politica alimentare globale nell’UE (GU C 129 dell'11.4.2018, pag. 18).

(3)  Parere del CESE Giustizia climatica (GU C 81, del 2.3.2018, pag. 22).

(4)  Parere del CESE Utilizzo del suolo per una produzione alimentare e servizi ecosistemici sostenibili (GU C 81, del 2.3.2018, pag. 72).

(5)  Il CESE ha già avuto modo di osservare, nel suo parere NAT/449 (GU C 354, del 28.12.2010, pag. 35) che il modello agricolo europeo non può essere ottenuto ai prezzi vigenti sul mercato mondiale.

(6)  Parere del CESE Un’eventuale riforma in profondità della PAC (GU C 288 del 31.8.2017, pag. 10).

(7)  Parere del CESE Un’eventuale riforma in profondità della PAC (GU C 288 del 31.8.2017, pag. 10, punto 4.24).

(8)  Farmers need direct support [Gli agricoltori hanno bisogno di un sostegno diretto]. Sintesi dei risultati della consultazione pubblica sulla modernizzazione e la semplificazione della PAC (ECORYS) — tabella 6.1, pag. 95.

(9)  Il futuro dell’alimentazione e dell’agricoltura, COM(2017) 713 final.

(10)  Parere del CESE Dalla dichiarazione di Cork 2.0 a iniziative concrete (GU C 345 del 13.10.2017, pag. 37).

(11)  Parere del CESE Un’eventuale riforma in profondità della PAC (GU C 288 del 31.8.2017).

(12)  Parere del CESE Un’eventuale riforma in profondità della PAC (GU C 288 del 31.8.2017, pag. 10, punto 1.12).

(13)  Allegato VI, regolamento (UE) n. 1305/2013.

(14)  Parere del CESE I fattori che influenzano la PAC dopo il 2020 (GU C 75 del 10.03.2017, pag. 21).

(15)  Parere del CESE Un’eventuale riforma in profondità della PAC (GU C 288 del 31.8.2017, pag. 10).

(16)  Dieci milioni nell’UE-28 nel 2015 (Eurostat 2017).

(17)  Il numero di agricoltori nell’UE-27: 14,5 milioni (2005), 10,7 milioni (2013).

(18)  Il loro numero si è ridotto maggiormente, nel periodo 2007-2013, in Polonia, Germania e Italia, mentre è aumentato in Romania e Slovenia (Eurostat).

(19)  Indagine sulle forze di lavoro 2016.

(20)  Relazione speciale n. 25/2016 della Corte dei conti europea.

(21)  http://data.consilium.europa.eu/doc/document/PE-56-2017-INIT/it/pdf;

http://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/Glossary:Permanent_grassland.

(22)  Parere del CESE Utilizzo del suolo per una produzione alimentare e servizi ecosistemici sostenibili (GU C 81 del 2.3.2018, pag. 72).

(23)  Articolo 39, paragrafo 1, lettera e), del TFUE.

(24)  Centro comune di ricerca — Evaluation of the EU livestock sector contribution to the EU greenhouse gas emissions [Valutazione del contributo dell’allevamento alle emissioni di gas a effetto serra dell’UE], 2010.

(25)  Parere del CESE Un’eventuale riforma in profondità della PAC (GU C 288 del 31.08.2017, pag. 10).


ALLEGATO I

Almeno un quarto dei votanti si è espresso contro l’emendamento di compromesso accolto dall’Assemblea relativamente al punto 7.11, la cui formulazione originaria nel parere della sezione era la seguente:

Punto 7.11

I pagamenti diretti del primo pilastro dovrebbero essere soggetti ad un massimale equo e ragionevole per i singoli agricoltori attivi (pari, ad esempio, al reddito di un lavoratore comparabile). Dovrebbero essere possibili degli aggiustamenti, e si dovrebbe tenere conto di partenariati, cooperative e imprese nonché del numero di dipendenti che hanno una copertura previdenziale. Il massimale non dovrebbe applicarsi alle misure ambientali adottate su base volontaria e ai soggetti che forniscono beni pubblici. I fondi non erogati grazie all’applicazione del massimale potrebbero essere utilizzati per pagamenti redistributivi.

Votazione

Voti favorevoli:

92

Voti contrari:

85

Astensioni:

30


ALLEGATO II

Almeno un quarto dei votanti si è espresso a favore del seguente emendamento di compromesso, respinto però dall’Assemblea:

Punto 7.13

Il CESE ritiene che per mantenere la PAC come una forte politica comune dell’UE non debba esservi alcun cofinanziamento nel primo pilastro. Per una nuova PAC riformata in profondità è indispensabile poter vantare un primo e un secondo pilastro forti, provvisti di programmi di sviluppo rurale flessibili, disponibili nei territori di tutti gli Stati membri — comprese le zone soggette a vincoli naturali — e incentrati sulle regioni e sui settori vulnerabili. Il CESE non è favorevole a consentire agli Stati membri di trasferire fondi dal secondo al primo pilastro, ma invoca un livello ragionevole di cofinanziamento del secondo pilastro, con limiti sia minimi che massimi, per tutti gli Stati membri.

Votazione

Voti favorevoli:

73

Voti contrari:

98

Astensioni:

37


10.8.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 283/83


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Azioni dell’Unione europea volte a migliorare la conformità e la governance ambientali»

[COM(2018) 10 final]

(2018/C 283/11)

Relatore:

Arnaud SCHWARTZ

Consultazione

Commissione europea, 12/2/2018

Base giuridica

Articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Decisione dell’Assemblea plenaria

16/1/2018

 

 

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

3/5/2018

Adozione in sessione plenaria

23/5/2018

Sessione plenaria n.

535

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

192/2/5

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con riserva la comunicazione in esame nella misura in cui il piano d’azione della Commissione europea per «migliorare la conformità e la governance ambientali» ivi formulato denota, rispetto al livello attuale di degrado dell’ambiente, una grave carenza di ambizione e di mezzi.

1.2.

Tale riserva è tanto più giustificata in quanto il CESE, al pari della Commissione, riconosce che l’insufficiente rispetto dei meccanismi volti a garantire l’attuazione della normativa in materia di ambiente e della governance ambientale è un deprecabile fattore di concorrenza sleale e di pregiudizio economico.

1.3.

Il CESE, inoltre, si associa alla Commissione nel sottolineare che le attuali carenze minano la fiducia dei cittadini nei confronti dell’efficacia della legislazione europea, ed esorta gli Stati membri e la Commissione a destinare finanziamenti consistenti all’assunzione di personale supplementare incaricato di controllare l’attuazione della governance e della normativa ambientali.

1.4.

Come indicato nella comunicazione Diritto dell’Unione europea: risultati migliori attraverso una migliore applicazione (1), «le violazioni del diritto dell’UE non sono questioni banali» e non dovrebbero essere trattate come tali. Il CESE reputa che la non conformità con il diritto dell’UE debba essere affrontata a un livello adeguatamente alto e in modo tempestivo, come purtroppo non fa la comunicazione in esame (2).

1.5.

La comunicazione, infatti, riguarda soltanto lo sviluppo delle capacità e il sostegno a livello di singoli Stati membri. Nessuna delle misure in essa prospettate concerne il monitoraggio e l’applicazione a livello UE da parte della Commissione nella sua qualità di «custode dei Trattati». Il piano d’azione non affronta le cause della non conformità diverse dalla confusione e dalla scarsa capacità, quali l’opportunismo e la mancanza di volontà politica. Se il sostegno agli Stati membri è senz’altro necessario, le misure non vincolanti previste dal piano d’azione non possono essere l’unica strategia per migliorare il rispetto della normativa ambientale.

1.6.

Il CESE, inoltre, richiamando un proprio parere (3), chiede specificamente alla Commissione di completare il piano d’azione includendovi un aspetto essenziale come quello dell’accesso alla giustizia, e chiede altresì che venga affrontata la questione del costo di tale accesso alla giustizia per la società civile.

1.7.

Il CESE pone inoltre l’accento sulla necessità di compiere ulteriori sforzi innanzitutto per evitare che i danni ambientali si verifichino, privilegiando sempre una strategia di prevenzione anziché una di riparazione. Per conseguire tale obiettivo, è essenziale che gli Stati membri e la Commissione garantiscano un’applicazione coerente e rigorosa della legislazione ambientale, dato che il loro impegno funge da forte deterrente contro danni futuri. Oltre a ciò, sarebbe utile che fossero realizzate campagne di comunicazione volte a sensibilizzare le parti direttamente interessate e più in generale i cittadini, in modo che possano svolgere meglio il proprio ruolo di vigilanza e controllo pubblico; e, affinché i cittadini possano assumere questo ruolo, è indispensabile garantire un accesso effettivo alla giustizia in materia ambientale.

1.8.

Infine, il CESE accoglie con favore la possibilità che propri rappresentanti partecipino al Forum sulla conformità e la governance ambientali, e a tal fine raccomanda che tre dei propri membri (uno per ogni gruppo) vi siedano con diritto di voto anziché con lo status di semplici osservatori.

1.9.

Il CESE esorta la Commissione a far sì che, nel suddetto Forum, si instauri un dialogo significativo ed efficace con le organizzazioni della società civile (OSC), tale da garantire che la loro voce venga ascoltata; e, in relazione al rispetto delle norme ambientali, sottolinea il ruolo essenziale delle organizzazioni della società civile in quanto osservatori critici, che vigilano sul rispetto dello Stato di diritto, del bene comune e della tutela dei cittadini.

2.   Osservazioni generali

2.1.

Il Comitato, sia nel parere sul riesame dell’attuazione delle politiche ambientali dell’UE (4) che in quello sull’accesso alla giustizia a livello nazionale in rapporto alle misure di attuazione della legislazione ambientale dell’UE (5), ha evidenziato che l’attuazione lacunosa, frammentaria e disomogenea della normativa ambientale europea rappresenta un grave problema in molti Stati membri dell’Unione europea.

2.2.

La comunicazione COM(2018) 10 final della Commissione presenta un piano d’azione inteso ad accrescere la conformità alla normativa ambientale dell’UE e a migliorare la governance nel settore dell’ambiente.

2.3.

Il piano prevede che la Commissione lavori a stretto contatto con gli Stati membri e con professionisti quali ispettori, auditor, funzionari di polizia e pubblici ministeri al fine di creare una cultura intelligente e collaborativa della conformità alle norme ambientali dell’UE; tuttavia, questo impegno rappresenta solo una minima parte di quanto è necessario per garantire l’attuazione della normativa ambientale.

2.4.

L’attuazione di tale legislazione incontra gravi difficoltà legate al persistere di determinati problemi, quali ad esempio il diffuso inquinamento delle risorse idriche, la scarsa qualità dell’aria nelle aree urbane, il trattamento insoddisfacente dei rifiuti e la scomparsa di specie e habitat.

2.5.

I costi della mancata applicazione di queste norme sono stimati dalla Commissione in 50 miliardi di EUR all’anno.

2.6.

Una migliore applicazione della normativa ambientale, oltre a comportare i vantaggi economici summenzionati, consentirebbe di ottenere numerosi altri benefici (in particolare in termini di salute pubblica e di risorse necessarie a lungo termine per la società).

2.7.

Inoltre, due delle cause della mancata applicazione delle norme in questione sono la debolezza dei meccanismi volti a garantirne il rispetto e la mancanza di una governance efficace a livello europeo, nazionale, regionale e locale (che si traduce tra l’altro in una mancanza di controlli).

2.8.

Questi meccanismi deboli sono anche un fattore di concorrenza sleale per le imprese nonché di danno economico, ad esempio in termini di perdita di gettito fiscale. E tutto ciò mina la fiducia dei cittadini nell’efficacia del diritto dell’UE.

2.9.

Per questo motivo la Commissione propone un piano d’azione in nove punti, accompagnato dalla creazione di un gruppo di esperti (6): il Forum sulla conformità e la governance ambientali.

2.10.

I nove tipi di azione che il piano si propone di lanciare figurano nell’allegato 1 del documento di lavoro dei servizi della Commissione (7).

3.   Osservazioni specifiche

3.1.   Realizzare un’Europa esemplare e proteggere i cittadini

3.1.1.

A livello mondiale, l’UE dovrebbe sforzarsi di essere una pioniera nel campo della protezione efficace dell’ambiente e dei cittadini e insistere affinché questo tema divenga finalmente una priorità. Considerato che vi è già una legislazione in vigore e che sono stati compiuti importanti passi avanti, il fatto che l’UE non garantisca il rispetto di tale legislazione rappresenta un’occasione mancata, per la stessa Unione europea, di mostrarsi all’altezza dei valori che essa difende e di fare realmente la differenza.

3.1.2.

Il CESE avverte la Commissione europea che ad oggi, in determinati contesti, la protezione dei cittadini è ancora molto carente. Il rispetto del diritto dell’UE in tutti gli Stati membri è di capitale importanza, poiché una legislazione nazionale non corretta compromette sistematicamente la capacità delle persone di far valere i loro diritti e di trarre pienamente beneficio dalla legislazione dell’UE. Questo punto assume poi un rilievo del tutto particolare nel caso della normativa ambientale, in quanto il mancato rispetto, ad esempio, delle norme sulla qualità dell’aria incide in misura significativa sulla salute umana.

3.1.3.

Il CESE richiama l’attenzione della Commissione su un proprio parere (8), ed auspica che essa ne tenga conto nel suo piano d’azione e che, ad esempio, al di là della criminalità riguardante i rifiuti e le specie selvatiche, tale piano riguardi anche la regolamentazione, i controlli e la governance relativi ai nanomateriali e agli interferenti endocrini.

3.1.4.

Tuttavia, il CESE tiene a sottolineare che apprezza la volontà della Commissione di promuovere, ad esempio, l’impiego di droni e applicazioni per smartphone per segnalare o individuare dei danni causati all’ambiente e di incoraggiare gli Stati e gli enti territoriali subnazionali a ricorrervi essi stessi (come avviene ad esempio in Irlanda) o a sostenere le iniziative dei cittadini in grado di migliorare l’attuazione della normativa ambientale con questo tipo di strumenti.

3.2.   Il mercato unico e gli aspetti economici

3.2.1.

La coerenza nell’applicazione della legislazione ambientale è uno dei fondamenti del mercato unico. Un’applicazione incoerente di tale legislazione si traduce infatti in un ingiusto vantaggio per le imprese degli Stati membri in cui vi la legislazione stessa non viene rispettata. Ciò crea condizioni di mercato non eque e trasmette segnali sbagliati alle imprese dell’UE.

3.2.2.

La coerenza e la certezza dell’applicazione sono necessarie in tutti gli Stati membri per garantire che l’inosservanza sia sanzionata in modo uniforme in tutta l’UE. Ciò assicura la tutela dello Stato di diritto e consente alle imprese di far valere il diritto dell’Unione, creando al tempo stesso condizioni di parità per le imprese in tutti gli Stati membri.

3.2.3.

Nella comunicazione la Commissione afferma che i costi della non conformità sono stimati in 50 miliardi di euro all’anno; e anche lo studio della Commissione per valutare i benefici dell’applicazione della normativa ambientale europea (Study to assess the benefits delivered through the enforcement of EU environmental legislation(9) rileva gli enormi vantaggi economici che possono essere ottenuti garantendo la conformità con tale normativa. È dunque evidente che controlli efficaci e un’applicazione corretta delle norme ambientali vigenti dovrebbero essere dettati, oltre che da considerazioni di tutela dell’ambiente, della salute e dello Stato di diritto, anche da un chiaro interesse economico a evitare danni ulteriori.

3.2.4.

Il CESE ha già spiegato in un suo parere («Un piano d’azione per la natura, i cittadini e l’economia» (10)) e ricorda adesso alla Commissione che, per verificare la corretta attuazione delle norme e della governance ambientali, sono necessarie maggiori risorse umane e finanziarie. Soprattutto, si constata la mancanza di fondi sufficienti per raggiungere gli obiettivi concordati, ad esempio in materia di biodiversità.

3.2.5.

Il CESE auspica inoltre che l’Unione europea, nell’ambito dei negoziati commerciali bilaterali o multilaterali, ottenga sistematicamente l’equivalenza della sua legislazione sociale e ambientale per i prodotti importati.

3.3.   Procedimenti di controllo dell’applicazione da parte della Commissione

3.3.1.

Se è vero che la responsabilità primaria di attuare e applicare correttamente il diritto dell’Unione europea incombe agli Stati membri, nondimeno la Commissione è la custode dei Trattati (11). Essa, pertanto, deve assicurarsi che gli atti normativi in materia di ambiente siano rispettati e che gli Stati membri si astengano da qualsiasi misura che rischi di compromettere la realizzazione degli obiettivi dell’UE nel campo della politica ambientale (12). A tal fine, la Commissione ha la facoltà di avviare procedimenti di esecuzione ai sensi dell’articolo 258 del TFUE.

3.3.2.

Dato l’impatto transfrontaliero dei danni ambientali, la conformità in uno Stato membro riveste un grande interesse per tutti gli Stati membri che cercano di proteggere i propri cittadini e di evitare danni ambientali sul proprio territorio. Alla Commissione spetta quindi un ruolo fondamentale nel tutelare questo interesse comune dell’UE e nel garantire l’accesso alla giustizia nelle controversie transfrontaliere.

3.3.3.

Il Parlamento europeo e il Consiglio hanno dichiarato nel 2013 che «nei prossimi anni sarà data priorità assoluta a una migliore attuazione dell’acquis dell’Unione in materia ambientale a livello di Stati membri» (13). Nella comunicazione Diritto dell’Unione europea: risultati migliori attraverso una migliore applicazione (14), la Commissione ha sottolineato l’importanza di esercitare il proprio potere di esecuzione in modo strategico, accordando la priorità allo sforzo di perseguire le violazioni più gravi che incidono sugli interessi di cittadini e imprese. Ebbene, la conformità alla normativa ambientale è di vitale importanza per l’Unione europea, dato che interessa direttamente il mercato unico e la salute dei cittadini, ragion per cui la Commissione dovrebbe accordare una chiara priorità ai procedimenti di esecuzione volti a garantire il rispetto di tale normativa.

3.3.4.

Il CESE richiama l’attenzione sui vantaggi che le procedure d’infrazione comportano al di là della loro immediata applicazione ad un caso specifico (15). Un procedimento di esecuzione efficace, infatti, invia un segnale chiaro agli Stati membri, ossia che l’UE attribuisce un’elevata priorità alla protezione dei cittadini e dell’ambiente in cui vivono.

3.3.5.

Perseguire sistematicamente l’inosservanza delle norme costituisce anche un forte elemento deterrente, che riduce più ampiamente tale fenomeno. In questo modo si rafforzerebbe ulteriormente la fiducia nel diritto dell’UE anche al di là del settore della tutela ambientale, con ricadute positive in altri settori della legislazione europea.

3.4.   L’effettività del diritto

3.4.1.

In molti paesi le organizzazioni che rappresentano la società civile denunciano che, forse a causa di un’errata interpretazione di alcuni orientamenti politici dell’UE (ad esempio una malintesa strategia di «miglioramento» normativo induce a semplificazioni e sperimentazioni che autorizzano a contravvenire alle norme), è in atto un ampio smantellamento del diritto penale ambientale così come l’introduzione di freni all’accesso alla giustizia e alla governance ambientali per i cittadini.

3.4.2.

Inoltre, in relazione a una serie di politiche ambientali dell’UE gli Stati membri dovrebbero porre rimedio alla mancanza di un’adeguata attuazione della normativa anziché a una presunta sovraregolamentazione. Questa presunta sovraregolamentazione a livello nazionale, anzi, può indurre la falsa percezione che gli Stati membri siano fin troppo ambiziosi, quando in realtà essi vengono meno al loro obbligo principale, attuando in misura insufficiente la normativa ambientale dell’UE e quindi determinando una situazione di non conformità.

3.4.3.

La comunicazione in esame propone tre categorie di intervento per garantire la conformità, ma non propone misure concrete in relazione a ciascuna delle tre. Le azioni proposte, infatti, sono tutte volte a promuovere la conformità e rafforzare le capacità al livello degli Stati membri. Nessuna di tali azioni, invece, riguarda misure di monitoraggio ed esecuzione da parte della Commissione stessa, il che rende il piano d’azione molto «morbido» e difficilmente in grado di ottenere miglioramenti significativi in termini di rispetto delle norme ambientali.

3.4.4.

Nel suo piano d’azione, dunque, la Commissione non propone misure di controllo ed esecuzione a livello di Unione europea. Anche nell’ambito dei meccanismi di sostegno proposti, essa non ha sfruttato questa occasione per associare a ciascuna azione degli obiettivi chiari che consentano di misurarne l’efficacia. Il sostegno finanziario non è accordato in funzione di cambiamenti nelle pratiche adottate dagli Stati membri, il che rende poco chiaro l’esito previsto e suscita quindi perplessità circa l’adeguatezza e l’efficacia delle misure proposte.

3.4.5.

Il CESE esprime rammarico anche per il fatto che non sia stata affrontata la questione del funzionamento delle denunce e delle ispezioni riguardanti l’attuazione nazionale del diritto dell’UE. Il CESE è seriamente preoccupato per la mancanza di volontà politica all’interno della Commissione, che fa sì che a tali denunce non venga dato seguito; e il carattere non vincolante delle misure proposte non fa che confermare tale preoccupazione.

3.4.6.

Il CESE ritiene che, per assicurare uno sviluppo sostenibile, occorra non solo garantire un’attuazione corretta del diritto ambientale e una buona governance in materia di ambiente, ma anche considerare l’applicazione del principio di «non regressione» (ossia della salvaguardia del livello di tutela) nel suddetto diritto.

3.4.7.

La Commissione riconosce, certo, che la non conformità può essere dovuta a diversi motivi, tra i quali la confusione, la scarsa comprensione o la non accettazione delle norme, la mancanza di investimenti, l’opportunismo e la criminalità. Purtroppo, però, essa omette di affrontare la totalità di questi problemi, limitandosi a proporre misure intese a porre rimedio alla confusione e alla scarsa comprensione delle norme. Se il sostegno agli Stati membri è senz’altro necessario, non può essere questa l’unica strategia per migliorare il rispetto della normativa ambientale, in quanto non affronta la maggior parte delle cause della sua inosservanza, che non sono legate a confusione o a capacità limitate.

3.5.   Accesso alla giustizia a livello nazionale ed europeo

3.5.1.

Il CESE ricorda alla Commissione che la sistematica assenza di conformità negli Stati membri e la mancanza di controlli adeguati, da parte dei giudici nazionali, sull’applicazione delle norme pongono un problema evidente di esercizio della giustizia a livello nazionale.

3.5.2.

Il CESE sollecita la Commissione a seguire la raccomandazione contenuta nel suo parere sull’accesso alla giustizia (16) per quanto riguarda il monitoraggio dei rinvii pregiudiziali. Il CESE sottolinea l’importanza dei rinvii pregiudiziali nel garantire la coerenza del diritto dell’UE ed esorta la Commissione a riferire in merito all’impiego e al rispetto di tale strumento da parte dei giudici nazionali,

3.5.3.

Il CESE ribadisce (17) che il libero accesso alle informazioni in materia di ambiente è essenziale affinché i cittadini e le organizzazioni della società civile possano svolgere il loro ruolo di vigilanza e controllo pubblico.

3.5.4.

Pur riconoscendo le differenze esistenti tra i sistemi giudiziari dei singoli Stati membri, il CESE si rammarica che non siano state affrontate né la questione della legittimazione ad agire né il problema dei costi che intentare una causa a livello nazionale comporta. Per le associazioni di cittadini e di consumatori e le organizzazioni sociali e ambientaliste che intendano adire i giudici nazionali per porre i governi e le grandi imprese dinanzi alle loro responsabilità, il mancato riconoscimento della legittimazione ad agire e l’entità dei costi da sostenere rappresentano infatti degli ostacoli considerevoli.

3.5.5.

Il CESE ribadisce poi quanto già osservato in un suo parere (18), e cioè che, anche laddove la legittimazione ad agire viene riconosciuta alle OSC, la maggior parte di esse dispone comunque di risorse estremamente limitate, il che in molti casi si risolve di fatto in un diniego di giustizia per le persone danneggiate. Inoltre, i suddetti ostacoli impediscono a tali organizzazioni di svolgere il loro lavoro, che, contribuendo a garantire la corretta applicazione della legislazione in vigore, è essenziale per preservare lo Stato di diritto.

3.5.6.

Il CESE avverte anche che è importante disporre di meccanismi atti a impedire i ricorsi abusivi al sistema giudiziario, e che occorre tenere presente questo aspetto nel riconoscere alle OSC la possibilità di un libero accesso alla giustizia. Nondimeno, pone anzitutto l’accento sui benefici dell’accesso delle OSC alla giustizia per la società nel suo insieme, in termini di tutela dei consumatori, della salute e dell’ambiente, ragion per cui ritiene che le norme volte a impedire i ricorsi abusivi debbano essere specifiche e mirate, in modo da non intralciare la funzione essenziale di ausilio all’attuazione del diritto svolta da tali organizzazioni.

3.5.7.

Il fatto che la Commissione e le giurisdizioni europee non garantiscano la conformità con la normativa dell’UE non solo mette a repentaglio lo Stato di diritto ed erode la fiducia dei cittadini, degli Stati membri e delle imprese nel diritto dell’UE, ma contribuisce anche a impedire l’accesso alla giustizia da parte dei cittadini, delle OSC e delle imprese, provocando una crescente sfiducia nell’efficienza della Commissione e dei giudici e, più in generale, minando la fiducia nell’UE nel suo complesso.

3.5.8.

Inoltre, la comunicazione non ha tenuto conto di due aspetti sensibili a livello europeo, entrambi riguardanti l’accesso al giudice europeo:

il problema del denegato accesso alla giustizia dell’UE, constatato durante la riunione delle parti della convenzione di Århus e legato al funzionamento interno delle istituzioni europee (ad esempio, un’archiviazione troppo rapida delle denunce da parte della Commissione);

il problema posto dall’atteggiamento di talune giurisdizioni nazionali, che rifiutano di sollevare questioni pregiudiziali e si arrogano, in violazione dei Trattati, una competenza interpretativa del diritto dell’Unione, giungendo talvolta a decisioni grottesche (ad esempio, in un procedimento davanti al Consiglio di Stato francese il rapporteur public [«relatore pubblico», assimilabile all’avvocato generale presso la Corte di giustizia dell’UE, NdT] ha indicato al collegio giudicante che era inutile rimettere una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea poiché questa non si era mai pronunciata in materia).

3.5.9.

Il CESE invita pertanto la Commissione a includere esplicitamente nel piano d’azione misure a favore dell’accesso alla giustizia a livello nazionale e dell’UE, così da garantire un’impostazione globale che, tutelando la salute pubblica e proteggendo gli habitat attuali e futuri, sia effettivamente al servizio dei cittadini.

Bruxelles, 23 maggio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  GU C 18 del 19.1.2017, pag. 10.

(2)  COM(2018) 10.

(3)  GU C 129 dell'11.4.2018, pag. 65.

(4)  GU C 345 del 13.10.2017, pag. 114.

(5)  GU C 129 dell'11.4.2018, pag. 65.

(6)  GU C 19 del 19.1.2018, pag. 3.

(7)  SWD(2018) 10.

(8)  GU C 345 del 13.10.2017, pag. 114.

(9)  https://publications.europa.eu/it/publication-detail/-/publication/219e8506-9adf-11e6-868c-01aa75ed71a1.

(10)  GU C 129 dell'11.4.2018, pag. 90.

(11)  Articolo 17 del trattato sull’Unione europea (TUE).

(12)  Articolo 4, paragrafo 3, TUE.

(13)  Decisione n. 1386/2013/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 novembre 2013, su un programma generale di azione dell’Unione in materia di ambiente fino al 2020 «Vivere bene entro i limiti del nostro pianeta» (GU L 354 del 28.12.2013, pag. 171).

(14)  GU C 18 del 19.1.2017, pag. 10.

(15)  GU C 81 del 2.3.2018, pag. 88.

(16)  GU C 129 dell'11.4.2018, pag. 65.

(17)  GU C 345 del 13.10.2017, pag. 114.

(18)  GU C 129 dell'11.4.2018, pag. 65.


10.8.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 283/89


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce l’impresa comune europea per il calcolo ad alte prestazioni»

[COM(2018) 8 final — 2018/0003(NLE)]

(2018/C 283/12)

Relatore:

Ulrich SAMM

Correlatore:

Antonio LONGO

Consultazione

Consiglio dell’Unione europea, 21.2.2018

Base giuridica

Articoli 187 e 188 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

4.5.2018

Adozione in sessione plenaria

23.5.2018

Sessione plenaria n.

535

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

196/2/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE appoggia l’iniziativa dell’impresa comune EuroHPC in quanto rappresenta un passo concreto in linea con la strategia europea in materia di cloud computing e si inserisce in una più ampia strategia a livello UE (comprendente la cibersicurezza, il mercato unico digitale, la società dei Gigabit europea, la scienza aperta ecc.). Questa iniziativa apporta un chiaro valore aggiunto a livello UE con una tecnologia fondamentale che consentirà di affrontare le questioni più impegnative della nostra società moderna e recherà, in ultima analisi, benefici in termini di benessere, competitività e occupazione.

1.2.

Il CESE ritiene che l’investimento iniziale di 1 miliardo di EUR per l’acquisizione e l’esercizio di supercalcolatori di prim’ordine sia significativo ma non eccessivamente ambizioso rispetto a concorrenti quali gli Stati Uniti e la Cina. Tuttavia, il CESE è convinto che per mantenere un livello di prim’ordine nel settore delle applicazioni HPC sarà necessario un sostanziale aumento degli investimenti (negli Stati membri dell’UE), associati a un solido programma europeo di ricerca e innovazione. Poiché la corsa non si ferma qui, non vi è alcun dubbio che per il prossimo quadro finanziario pluriennale sarà necessario mettere in campo sforzi analoghi, in linea con quelli dei concorrenti a livello mondiale.

1.3.

Il CESE accoglie con favore l’approccio industriale per lo sviluppo della prossima generazione di microchip a basso consumo in Europa, che renderebbe l’UE meno dipendente dalle importazioni e garantirebbe l’accesso alle migliori tecnologie di calcolo ad alte prestazioni. Il CESE evidenzia che lo sviluppo di tali microchip ha anche un impatto sui sistemi di calcolo di piccola scala, perché i circuiti integrati di alta gamma possono essere adattati (ridimensionati) per gli apparecchi del mercato dei prodotti di massa (PC, smartphone e settore automobilistico).

1.4.

Il CESE esorta la Commissione a porre maggiormente l’accento sulla posizione di forza da cui l’iniziativa proposta prende le mosse e sul fatto che quest’ultima è fondamentale per proseguire il cammino europeo di successo basato sui pilastri esistenti del partenariato PRACE e della rete GÉANT, che ormai da molti anni forniscono servizi HPC di alta gamma alla scienza e all’industria e interconnettono rispettivamente la comunità della ricerca e dell’istruzione, le reti nazionali di ricerca e i centri HPC con reti sicure e ad alta capacità.

1.5.

Il CESE sottolinea, pertanto, l’estrema importanza di integrare la nuova impresa comune EuroHPC con le strutture e i programmi già esistenti, in quanto questo rappresenta il modo migliore per impiegare congiuntamente le risorse europee. Ad esempio, la valutazione inter pares organizzata da PRACE dovrebbe essere mantenuta per conservare standard di livello mondiale.

1.6.

Il CESE invita altri Stati membri ad aderire all’impresa comune EuroHPC e a utilizzarla come opportunità per sfruttare la potenza di calcolo di prim’ordine che essa offre. Vista la complessità insita in un’impresa comune, il CESE chiede alla Commissione di compiere sforzi adeguati per spiegare e promuovere i vantaggi e le opportunità offerti da questo strumento giuridico, in particolare per i paesi più piccoli e con riferimento alla possibilità di contribuire in natura.

1.7.

Il CESE si compiace che due dei partner della Commissione partecipanti al partenariato pubblico-privato contrattuale (cPPP) possano diventare i primi membri del settore privato, il che è fondamentale per la partecipazione delle imprese, incluse le PMI. Il CESE accoglie con favore la possibilità di coinvolgere un maggior numero di partner, ma insiste anche sul fatto che per ogni nuovo partner, in particolare per quelli provenienti da paesi terzi, sia rispettata la reciprocità. L’UE dovrebbe approfittare dell’opportunità offerta dallo sviluppo della tecnologia del calcolo ad alte prestazioni per completare il settore industriale europeo al fine di coprire tutta la catena di produzione (progettazione, fabbricazione, implementazione e applicazione). L’Unione europea dovrebbe stabilire come obiettivo a medio termine il raggiungimento della capacità di pianificare e realizzare un sistema HPC con tecnologia europea.

1.8.

Il CESE raccomanda di informare i cittadini e le imprese in merito a questa nuova importante iniziativa al fine di recuperare la fiducia dei cittadini nel processo di integrazione europea e per consentire alle imprese europee, in particolare le PMI, di essere consapevoli dei benefici che ne derivano. Le università e i centri di ricerca devono essere coinvolti mediante una specifica attività di comunicazione intesa a stimolare interesse e a incoraggiare progetti nel settore del calcolo ad alte prestazioni.

1.9.

Il CESE raccomanda di rafforzare il più possibile la dimensione sociale del processo di digitalizzazione quale componente fondamentale del pilastro sociale europeo. L’implementazione e l’utilizzo di macchine di alto livello devono avere un impatto positivo chiaro e tangibile sulla vita quotidiana di tutti i cittadini.

2.   Introduzione

2.1.

Dopo essere stato implementato inizialmente nella ricerca sul clima, nelle previsioni meteorologiche digitali, nell’astrofisica, nella fisica delle particelle e nella chimica, il calcolo ad alte prestazioni (high-performance computing — HPC) viene ormai utilizzato anche nella maggior parte degli altri settori scientifici: dalla biologia alle scienze della vita e alla salute, dalle simulazioni ad alta fedeltà della combustione alle scienze dei materiali e alle scienze sociali e umanistiche. Nell’industria, il calcolo ad alte prestazioni è stato largamente utilizzato nella prospezione di petrolio e gas, nell’aeronautica, nel settore automobilistico e in quello della finanza, e sta ora diventando fondamentale per realizzare la personalizzazione della medicina, sviluppare le nanotecnologie e consentire la messa a punto e la diffusione delle energie rinnovabili. Infine, questo strumento sta acquisendo sempre maggiore importanza per sostenere il processo decisionale pubblico attraverso la simulazione di scenari collegati a rischi naturali, industriali, biologici e di terrorismo (informatico), rivelandosi quindi essenziale per la sicurezza e la difesa nazionali.

2.2.

In informatica, il numero di operazioni a virgola mobile al secondo (flop/s) eseguite da un computer consente di determinare le prestazioni della macchina. Il calcolo ad alte prestazioni rappresenta il limite massimo di ciò che è tecnicamente possibile. Questo livello superiore di prestazioni è in costante aumento, grazie all’utilizzo di circuiti integrati di dimensioni sempre più ridotte (legge di Moore) e al passaggio dal calcolo vettoriale a quello parallelo. La velocità di calcolo è andata moltiplicandosi di 1 000 volte ogni 10-12 anni, per cui si è passati dalla gigascala (nel 1985), alla terascala (nel 1997) e infine alla petascala (nel 2008). Secondo le previsioni, tra il 2020 e il 2023 avverrà il balzo successivo, con il passaggio dalla petascala all’esascala (giga = 109, tera = 1012, peta = 1015, esa = 1018).

2.3.

Finora, ogni Stato membro dell’UE ha investito nel calcolo ad alte prestazioni di propria iniziativa. Gli investimenti dell’Europa in questi sistemi sono nettamente inferiori a quelli operati dai concorrenti negli Stati Uniti, in Cina e in Giappone, facendo registrare un divario di finanziamento pari a 500-700 milioni di EUR l’anno. Il risultato è che i supercomputer di cui l’UE dispone non sono dei più veloci e, oltretutto, dipendono da tecnologia non europea. Il modo migliore per compiere i prossimi passi sul fronte delle tecnologie di calcolo ad alte prestazioni può essere quello di unire gli sforzi a livello europeo, mettendo in campo investimenti in un ordine di grandezza che va al di là delle possibilità dei singoli Stati membri.

2.4.

Lo sviluppo della prossima generazione di microchip in Europa contribuirebbe a realizzare l’indipendenza dell’UE nell’accesso alle migliori tecnologie di calcolo ad alte prestazioni. Tuttavia, la catena di approvvigionamento per queste tecnologie potrà essere migliorata soltanto con chiare prospettive di un mercato trainante e di sviluppo di un ecosistema di dimensioni fino a una macchina a esascala. Il settore pubblico è chiamato a svolgere un ruolo fondamentale nella realizzazione di questo obiettivo, altrimenti i fornitori europei non si assumeranno il rischio di sviluppare tali macchine in proprio.

2.5.

Di conseguenza, la Commissione europea intende compiere un investimento iniziale di 1 miliardo di EUR congiuntamente con gli Stati membri per la creazione di un’infrastruttura europea di supercomputer di prim’ordine. Tale infrastruttura condivisa e l’utilizzo comune delle capacità andrebbero a vantaggio di tutti: grandi imprese, PMI, comunità scientifica, settore pubblico e soprattutto gli Stati membri (più piccoli) che non sono dotati di infrastrutture nazionali autosufficienti in materia di calcolo ad alte prestazioni.

2.6.

L’importanza del calcolo ad alte prestazioni è stata illustrata chiaramente dalla Commissione europea nel 2012 nella sua strategia intitolata Calcolo ad alte prestazioni: il posto dell’Europa nella corsa mondiale (1). Nell’aprile 2016 la Commissione europea ha lanciato l’iniziativa europea per il cloud computing (2), articolata in due elementi principali: l’infrastruttura dati europea, con capacità di supercalcolo di prim’ordine e connettività ad alta velocità, e il cloud europeo per la scienza aperta (European Open Science Cloud), con servizi all’avanguardia di archiviazione e gestione dati e interfacce per la fornitura di servizi basati su cloud. Il primo di questi due elementi sarà realizzato con la Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce l’impresa comune europea per il calcolo ad alte prestazioni  (3).

2.7.

La proposta fa seguito alla dichiarazione EuroHPC, proclamata il 23 marzo 2017 a Roma in occasione della Giornata digitale e firmata da sette Stati membri: Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo e Spagna. A questi si sono aggiunti nel 2017 Belgio, Slovenia, Bulgaria, Svizzera, Grecia e Croazia. Questi paesi hanno convenuto di creare un’infrastruttura di supercalcolo a esascala integrata paneuropea. Anche altri Stati membri e paesi associati sono stati incoraggiati a firmare la dichiarazione EuroHPC.

2.8.

Sulla base di una valutazione di impatto (4), la Commissione ha ritenuto che un’impresa comune sarebbe stata lo strumento migliore per realizzare l’iniziativa EuroHPC, in quanto consentirebbe di combinare efficacemente l’aggiudicazione, la proprietà e la gestione congiunte dei supercomputer.

3.   Sintesi della proposta

3.1.

La Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento del Consiglio che istituisce l’impresa comune europea per il calcolo ad alte prestazioni (European High Performance Computing Joint Undertaking — impresa comune EuroHPC). Questa nuova entità giuridica servirà a:

fornire una struttura di finanziamento per acquisire, creare e implementare in tutta Europa un’infrastruttura di calcolo ad alte prestazioni (HPC) di prim’ordine,

sostenere un programma di ricerca e innovazione per lo sviluppo di tecnologie e macchine (hardware), nonché di applicazioni (software) destinate ai supercomputer,

fornire sostegno finanziario sotto forma di aggiudicazione di appalti o di sovvenzioni per la ricerca e l’innovazione ai partecipanti in esito a bandi di gara aperti e concorrenziali; consentire all’industria europea, in particolare alle piccole e medie imprese (PMI), un migliore accesso ai supercomputer.

3.2.

Il contributo dell’UE, nell’ambito dell’attuale quadro finanziario pluriennale, all’iniziativa EuroHPC sarà di circa 486 milioni di EUR, ai quali si aggiungerà un importo analogo proveniente dagli Stati membri e dai paesi associati. I membri privati dell’iniziativa potranno anche apportare dei contributi in natura. Da qui al 2020, il finanziamento pubblico complessivo investito nell’iniziativa sarà di circa 1 miliardo di EUR.

3.3.

L’impresa comune EuroHPC opererà dal 2019 al 2026 svolgendo le seguenti attività:

acquisizione ed esercizio di due supercalcolatori pre-esascala di prim’ordine e di almeno due supercalcolatori (a petascala) di livello medio; concessione e gestione dell’accesso a tali supercalcolatori a un’ampia gamma di utilizzatori pubblici e privati a partire dal 2020,

sostegno di un programma di ricerca e innovazione per l’HPC volto a favorire lo sviluppo di tecnologie europee di supercalcolo, compresa la prima generazione di microprocessori a basso consumo europei, e la coprogettazione di macchine a esascala europee, nonché a promuovere lo sviluppo di applicazioni e di competenze e un’ampia diffusione dei sistemi di calcolo ad alte prestazioni.

3.4.

L’obiettivo della proposta è quello di raggiungere prestazioni a esascala entro il 2022 o il 2023. Una tappa intermedia (vale a dire il 50 % delle prestazioni a esascala) dovrebbe essere raggiunta entro il 2019. L’infrastruttura prevista sarà detenuta e gestita congiuntamente dai membri partecipanti, costituiti inizialmente dai paesi che hanno firmato la dichiarazione EuroHPC e dai membri privati del mondo accademico e dell’industria. Altri membri potranno aderire a tale cooperazione in qualsiasi momento, purché apportino un contributo finanziario (o in natura).

3.5.

La proposta prevede la creazione e l’implementazione di due infrastrutture in parallelo che saranno ospitate da due paesi dell’UE rispondenti a criteri specifici.

3.6.

L’impresa comune sarà gestita da un consiglio di direzione, composto di rappresentanti dei membri del settore pubblico dell’impresa comune, il quale avrà la responsabilità di definire la politica strategica e di prendere le decisioni di finanziamento relative agli appalti e alle attività di ricerca e innovazione dell’impresa comune. Le procedure di voto e i diritti di voto dei membri saranno commisurati al loro contributo finanziario. Il modello dell’impresa comune sarà basato sugli insegnamenti tratti da altre esperienze analoghe, come ad esempio quella dell’impresa comune Componenti e sistemi elettronici per la leadership europea (ECSEL). Per quanto riguarda gli obiettivi e la struttura, l’impresa comune EuroHPC sarà simile a quella dell’ECSEL. La differenza principale consiste nel fatto che l’EuroHPC presenta un numero elevato di attività di appalto, che sono invece assenti nell’ECSEL. Questa differenza giustifica l’attribuzione di diritti di voto in proporzione al contributo dei partecipanti.

3.7.

Il consiglio di direzione sarà sostenuto da un consiglio consultivo industriale e scientifico, composto di rappresentanti dei membri del settore privato dell’impresa comune. Per evitare conflitti di interessi, quest’organo avrà un ruolo puramente consultivo.

4.   Osservazioni specifiche

4.1.

Il CESE appoggia l’iniziativa proposta, in quanto rappresenta un passo concreto in linea con la strategia europea in materia di cloud computing: la scelta strategica di un cloud computing europeo, aperto e destinato al mondo scientifico e all’industria, nel quadro di un forte impegno politico ed economico per l’innovazione digitale (5). Questa iniziativa apporta un chiaro valore aggiunto a livello UE con una tecnologia fondamentale che consentirà di affrontare le questioni più impegnative della nostra società moderna e che recherà, in ultima analisi, benefici in termini di benessere, competitività e occupazione.

4.2.

Più in generale, l’iniziativa in materia di calcolo ad alte prestazioni è un elemento essenziale di una più ampia strategia a livello UE (comprendente il regolamento sulla cibersicurezza (6), la revisione intermedia della strategia per il mercato unico digitale (7), la società dei Gigabit europea (8), la scienza aperta ecc.) destinata a ripristinare la sovranità e l’indipendenza dell’Europa in campo digitale, per consentire all’UE di diventare un attore fondamentale nello sviluppo digitale, con ricadute dirette sulla competitività e sulla qualità di vita dei cittadini.

4.3.

Il CESE ritiene che l’investimento iniziale di 1 miliardo di EUR per l’acquisizione e l’esercizio di due supercalcolatori pre-esascala di prim’ordine e di almeno due supercalcolatori di livello medio sia significativo ma non eccessivamente ambizioso rispetto ai paesi concorrenti. Tuttavia, il CESE è convinto che per mantenere un livello di prim’ordine nel settore delle applicazioni HPC sarà necessario un sostanziale aumento degli investimenti (negli Stati membri dell’UE), associati a un solido programma europeo di ricerca e innovazione. Poiché la corsa non si ferma qui, non vi è alcun dubbio che per il prossimo quadro finanziario pluriennale è necessario mettere in campo sforzi analoghi, in linea con quelli dei concorrenti a livello mondiale.

4.4.

Il CESE richiama l’attenzione sul fatto che un computer veloce, da solo, non è sufficiente per ottenere buoni risultati. Lo sviluppo di software e di applicazioni di alta gamma, basati su un solido programma di ricerca e sviluppo, è anch’esso indispensabile per compiere progressi reali. In questo ambito, l’UE non è affatto in ritardo rispetto ai suoi concorrenti, per cui il CESE esorta la Commissione a mettere maggiormente in evidenza la posizione di forza da cui l’iniziativa proposta prende le mosse e il fatto che quest’ultima è fondamentale per proseguire il cammino europeo di successo basato sui pilastri esistenti del partenariato per l’informatica avanzata in Europa (PRACE) e della rete di dati paneuropea per la comunità della ricerca e dell’istruzione (GÉANT), che ormai da oltre un decennio hanno il compito di riunire e aggregare i due settori del calcolo ad alte prestazioni e del collegamento in rete.

4.5.

Il partenariato PRACE, istituito nel 2010 e cofinanziato dall’UE, al quale aderiscono 25 Stati membri, fornisce servizi di calcolo ad alte prestazioni per la scienza e l’industria, utilizzando i più estesi sistemi nazionali di supercalcolo esistenti in Europa. Nel 2017, l’iniziativa PRACE ha dato accesso a una rete di sette sistemi all’avanguardia, forniti da cinque membri ospitanti (Francia, Germania, Italia, Spagna e Svizzera) che hanno investito oltre 400 milioni di EUR nel partenariato fin dal suo avvio. PRACE assegna risorse di calcolo ad alte prestazioni sulla base di inviti a presentare proposte con valutazione inter pares, fondate sull’eccellenza scientifica, a progetti di ricerca provenienti dal mondo accademico e dell’industria, comprese le piccole e medie imprese.

4.6.

La rete paneuropea GÉANT, istituita nel 2000, interconnette le reti nazionali per la ricerca e l’istruzione e i centri di calcolo ad alte prestazioni con reti sicure ad alta capacità. Tale progetto è essenziale per promuovere la scienza aperta mediante servizi di accesso affidabile e costituisce la rete di R&S più estesa ed avanzata al mondo, che collega oltre 50 milioni di utenti di 10 000 istituzioni di tutta Europa, sostenendo tutte le discipline scientifiche. La rete centrale funziona a velocità che arrivano a 500 Gbps (2017). La rete GÉANT ha creato il servizio di grande successo «eduroam» che consente agli utenti del settore di ricerca e sviluppo di connettersi a una rete Wi-Fi quando è presente un SSID del servizio eduroam — un sistema che è stato proposto dal CESE come modello per l’accesso Wi-Fi per tutti i cittadini europei nel contesto della strategia Connettività per un mercato unico digitale competitivo: verso una società dei Gigabit europea (9).

4.7.

Il CESE sottolinea, pertanto, l’estrema importanza di integrare la nuova impresa comune EuroHPC con le strutture e i programmi già esistenti. Ad esempio, la valutazione inter pares organizzata da PRACE dovrebbe essere mantenuta per conservare standard di livello mondiale. Altre buone pratiche dovrebbero essere integrate o modificate. Il modo migliore per impiegare congiuntamente le risorse europee consiste nell’adottare un approccio integrato che combini l’iniziativa EuroHPC, Orizzonte 2020, o il programma che lo sostituirà, e le attività nazionali corrispondenti. In tale contesto, il CESE accoglie con favore l’intenzione della Commissione di utilizzare l’impresa comune EuroHPC per coordinare lo strumento di finanziamento di Orizzonte 2020 (o del programma che lo sostituirà) nel settore del calcolo ad alte prestazioni. Il CESE osserva che la costruzione di infrastrutture richiede un approccio dall’alto, mentre la buona scienza, come quella promossa da PRACE, necessita un approccio dal basso in cui gli scienziati devono essere le forze trainanti.

4.8.

Il CESE invita altri Stati membri ad aderire all’impresa comune EuroHPC e a utilizzarla come opportunità per sfruttare la potenza di calcolo di prim’ordine che essa offre. Il collegamento in rete è fondamentale per l’utilizzo scientifico del calcolo ad alte prestazioni. Vista la complessità insita in un’impresa comune, il CESE chiede alla Commissione di compiere sforzi adeguati per spiegare e promuovere i vantaggi e le opportunità offerti da questo strumento giuridico, in particolare per i paesi più piccoli e con riferimento alla possibilità di contribuire in natura.

4.9.

Il CESE si compiace che due dei partner della Commissione partecipanti al partenariato pubblico-privato contrattuale (cPPP) abbiano trasmesso lettere di sostegno per l’attuazione dell’impresa comune EuroHPC: la piattaforma tecnologica europea per il calcolo ad alte prestazioni ETP4HPC e l’associazione BDVA (Big Data Value Association). Queste due organizzazioni potrebbero diventare i primi membri del settore privato, e tale adesione è fondamentale per la partecipazione delle imprese, incluse le PMI. Il CESE accoglie con favore la possibilità di coinvolgere un maggior numero di partner, ma insiste anche sul fatto che per ogni nuovo partner, in particolare per quelli provenienti da paesi terzi, sia rispettata la reciprocità. L’UE dovrebbe approfittare dell’opportunità offerta dallo sviluppo della tecnologia del calcolo ad alte prestazioni per completare il settore industriale europeo al fine di coprire tutta la catena di produzione (progettazione, fabbricazione, implementazione e applicazione).

4.10.

Un supercomputer basato su una CPU da 12 petaflop ha un consumo di energia pari a circa 1,5 MW. Considerando un incremento scalare fino all’esascala, il calcolo ad alte prestazioni basato sulla tecnologia esistente oggi comporterebbe consumi di energia dell’ordine di 150 MW, ossia un valore inammissibile; lo sviluppo di microchip a basso consumo è quindi un obiettivo importante dell’impresa comune EuroHPC. Il CESE sottolinea che i microchip a basso consumo svolgeranno pertanto un ruolo di rilievo nelle finalità della strategia energetica dell’UE, a prescindere dall’obiettivo di rendere l’UE indipendente dalle importazioni. In linea con gli obiettivi di cui sopra, l’iniziativa europea in materia di processori «European Processor Initiative», lanciata dalla Commissione europea nel 2018, sostenuta da un consorzio di 23 partner provenienti da 10 Stati membri e finanziata con 120 milioni di EUR, svolgerà un ruolo importante nella realizzazione dell’iniziativa HPC.

4.11.

Il CESE evidenzia che lo sviluppo di microchip avanzati a basso consumo ha anche un impatto sui sistemi di calcolo di piccola scala (PC, smartphone e settore automobilistico), perché i circuiti integrati di alta gamma possono essere adattati (ridimensionati) anche per gli apparecchi del mercato dei prodotti di massa. Questo recherà benefici per tutti i cittadini e potrebbe aprire nuovi mercati per l’industria dell’UE. Per molti aspetti, il calcolo ad alte prestazioni costituisce quindi una tecnologia fondamentale per una società moderna.

4.12.

Il CESE raccomanda di informare i cittadini e le imprese in merito a questa nuova importante iniziativa intrapresa dall’UE. Da un lato, sarà utile per recuperare la fiducia dei cittadini nel processo di integrazione europea. La società civile organizzata potrebbe rappresentare un efficace strumento per la diffusione di questo tipo di informazioni. Dall’altro, una campagna mirata consentirà alle imprese europee, in particolare le PMI, di essere a conoscenza delle iniziative in corso. Per questa ragione è importante aiutare, attraverso un percorso specifico, le PMI con produzioni ad alto valore aggiunto ad accedere e utilizzare le nuove infrastrutture.

4.13.

Le università e i centri di ricerca devono essere coinvolti mediante una specifica attività di comunicazione intesa a stimolare interesse e a incoraggiare progetti nel settore del calcolo ad alte prestazioni. Tale processo potrebbe favorire la creazione di nuovi percorsi scolastici e di nuovi programmi di formazione professionale e corsi universitari, al fine di colmare il divario di competenze tra l’Europa e i suoi principali concorrenti a livello mondiale (10).

4.14.

Il CESE raccomanda di rafforzare il più possibile la dimensione sociale del processo di digitalizzazione quale componente fondamentale del pilastro sociale europeo (11). Il Comitato propone pertanto di definire una serie di sfide per la società che dovranno essere raccolte utilizzando le nuove infrastrutture digitali. L’implementazione e l’utilizzo di macchine di alto livello devono avere un impatto positivo chiaro e tangibile sulla vita quotidiana di tutti i cittadini.

4.15.

Il CESE ritiene che il calcolo ad alte prestazioni e la tecnologia quantistica costituiscano due obiettivi strategici per la crescita e la competitività dell’Europa. Il Comitato raccomanda quindi di sviluppare queste due tecnologie in parallelo, in modo da garantire che l’UE possa beneficiare, nel medio e lungo termine, delle migliori prestazioni e opportunità che esse offrono.

Bruxelles, 23 maggio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  COM(2012) 45 final e GU C 299 del 4.10.2012, pag. 148.

(2)  COM(2016) 178 final e GU C 487 del 28.12.2016, pag. 86.

(3)  COM(2018) 8 final e allegato 1.

(4)  SWD(2018) 6 final.

(5)  GU C 487 del 28.12.2016, pag. 86.

(6)  GU C 227 del 28.6.2018, pag. 86.

(7)  GU C 81 del 2.3.2018, pag. 102.

(8)  GU C 125 del 21.4.2017, pag. 51.

(9)  COM(2016)587 final e GU C 125 del 21.4.2017, pag. 51; GU C 125 del 21.4.2017, pag. 69.

(10)  GU C 434 del 15.12.2017, pag. 30; GU C 173 del 31.5.2017, pag. 45.

(11)  GU C 125 del 21.4.2017, pag. 10.


10.8.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 283/95


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 1343/2011 relativo a talune disposizioni per la pesca nella zona di applicazione dall'accordo CGPM (Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo)»

[COM(2018) 143 final — 2018/0069 (COD)]

(2018/C 283/13)

Consultazione

Parlamento europeo, 16.4.2018

Consiglio dell'Unione europea, 12.4.2018

Base giuridica

Articolo 43, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sessione plenaria

23.5.2018

Sessione plenaria n.

535

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

187/3/10

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, nel corso della 535a sessione plenaria dei giorni 23 e 24 maggio 2018 (seduta del 23 maggio 2018), ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 187 voti favorevoli, 3 voti contrari e 10 astensioni.

Bruxelles, 23 maggio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER