ISSN 1977-0944

Gazzetta ufficiale

dell’Unione europea

C 34

European flag  

Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

60° anno
2 febbraio 2017


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

520a sessione plenaria del CESE del 19 e 20 ottobre 2016

2017/C 34/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Un bilancio dell’UE basato sulle prestazioni e orientato ai risultati: la chiave di una corretta gestione finanziaria (parere d’iniziativa)

1

2017/C 34/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Un meccanismo europeo di controllo dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali (parere di iniziativa)

8

2017/C 34/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulle Osservazioni conclusive del comitato dell’ONU della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità — Una nuova strategia per le persone con disabilità nell’Unione europea (parere d’iniziativa)

15

2017/C 34/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul Ruolo ed effetti delle ITC e dei PPP nell’attuazione di Orizzonte 2020 per un cambiamento industriale sostenibile (parere d’iniziativa)

24

2017/C 34/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Rafforzare l’industria europea dei prodotti per la cura della persona, dei prodotti per l’igiene corporale e dei prodotti di bellezza (parere d’iniziativa)

31

2017/C 34/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo su La demolizione navale e la società del riciclaggio (parere d'iniziativa)

38

2017/C 34/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo su L’energia e le cooperative energetiche dei prosumatori: opportunità e sfide negli Stati membri dell’UE (parere d’iniziativa)

44

2017/C 34/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Energie marine: fonti energetiche rinnovabili da sviluppare (parere d’iniziativa)

53

2017/C 34/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Agenda 2030 — Un’Unione europea impegnata a favore dello sviluppo sostenibile a livello globale (Parere d'iniziativa)

58

2017/C 34/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Valutazione intermedia di Orizzonte 2020 (Parere esplorativo)

66

2017/C 34/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Rimuovere gli ostacoli a un’acquacoltura sostenibile in Europa (Parere esplorativo)

73

2017/C 34/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Il nuovo assetto del mercato dell’energia elettrica e gli impatti potenziali sui consumatori vulnerabili (Parere esplorativo)

78


 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

520a sessione plenaria del CESE del 19 e 20 ottobre 2016

2017/C 34/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Norme europee per il XXI secolo[COM(2016) 358 final]

86

2017/C 34/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante misure volte a impedire i blocchi geografici e altre forme di discriminazione dei clienti basate sulla nazionalità, il luogo di residenza o il luogo di stabilimento nell’ambito del mercato interno e che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE[COM(2016) 289 final — 2016/0152 (COD)]

93

2017/C 34/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa che tutela i consumatori[COM(2016) 283 final — 2016/148 (COD)]

100

2017/C 34/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai servizi di consegna transfrontaliera dei pacchi[COM(2016) 285 final — 2016/0149 (COD)]

106

2017/C 34/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Relazione sulla politica di concorrenza 2015[COM(2016) 393 final — SWD(2016) 198 final]

110

2017/C 34/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma dell’Unione a sostegno di attività specifiche volte a rafforzare il coinvolgimento dei consumatori e degli altri utenti finali dei servizi finanziari nella definizione delle politiche dell’Unione nel campo dei servizi finanziari per il periodo 2017-2020[COM(2016) 388 final — 2016/0182 (COD)]

117

2017/C 34/19

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva (UE) 2015/849 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo e che modifica la direttiva 2009/101/CE[COM(2016) 450 final — 2016/0208 (COD)]

121

2017/C 34/20

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda l’accesso da parte delle autorità fiscali alle informazioni in materia di antiriciclaggio[COM(2016) 452 final — 2016/0209 (CNS)]

127

2017/C 34/21

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sulle pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare tra imprese[COM(2016) 32 final]

130

2017/C 34/22

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che definisce le caratteristiche dei pescherecci (rifusione)[COM(2016) 273 final — 2016/0145 (COD)]

140

2017/C 34/23

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce le misure di gestione, di conservazione e di controllo applicabili nella zona della convenzione della Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell’Atlantico (ICCAT) e che modifica i regolamenti del Consiglio (CE) n. 1936/2001, (CE) n. 1984/2003 e (CE) n. 520/2007[COM(2016) 401 final — 2016/0187 (COD)]

142

2017/C 34/24

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (rifusione)[COM(2016) 270 final — 2016/0133 (COD)] sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo e che abroga il regolamento (UE) n. 439/2010[COM(2016) 271 final — 2016/0131 (COD)] e sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l’Eurodac per il confronto delle impronte digitali per l’efficace applicazione del regolamento (UE) n. 604/2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di paese terzo o da un apolide, per l’identificazione di cittadini di paesi terzi o apolidi il cui soggiorno è irregolare e per le richieste di confronto con i dati Eurodac presentate dalle autorità di contrasto degli Stati membri e da Europol a fini di contrasto (rifusione)[COM(2016) 272 final — 2016/0132 (COD)]

144

2017/C 34/25

Parere del comitato economico e sociale europeo Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Una strategia dell’UE in materia di riscaldamento e raffreddamento[COM(2016) 51 final]

151

2017/C 34/26

Parere del comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2010/13/UE relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi in considerazione dell’evoluzione delle realtà del mercato[COM(2016) 287 final — 2016/0151 (COD)]

157

2017/C 34/27

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 531/2012 per quanto riguarda le norme sui mercati del roaming all’ingrosso[COM(2016) 399 final — 2016/185 (COD)]

162

2017/C 34/28

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2009/45/CE relativa alle disposizioni e norme di sicurezza per le navi da passeggeri[COM(2016) 369 final — 2016/170 (COD)]

167

2017/C 34/29

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 98/41/CE del Consiglio relativa alla registrazione delle persone a bordo delle navi da passeggeri che effettuano viaggi da e verso i porti degli Stati membri della Comunità e che abroga la direttiva 2010/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle formalità di dichiarazione delle navi in arrivo o in partenza da porti degli Stati membri[COM(2016) 370 final — 2016/171 (COD)]

172

2017/C 34/30

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a un sistema di ispezioni per l’esercizio in condizioni di sicurezza di traghetti ro-ro e di unità veloci da passeggeri adibiti a servizi di linea e che modifica la direttiva 2009/16/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al controllo da parte dello Stato di approdo e abroga la direttiva 1999/35/CE[COM(2016) 371 final — 2016/172 (COD)

176

2017/C 34/31

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1920/2006 per quanto riguarda lo scambio di informazioni, il sistema di allarme rapido e la procedura di valutazione dei rischi sulle nuove sostanze psicoattive[COM(2016) 547 final — 2016/261 (COD)]

182


IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

520a sessione plenaria del CESE del 19 e 20 ottobre 2016

2.2.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 34/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Un bilancio dell’UE basato sulle prestazioni e orientato ai risultati: la chiave di una corretta gestione finanziaria»

(parere d’iniziativa)

(2017/C 034/01)

Relatore:

Petr ZAHRADNÍK

Decisione dell’Assemblea plenaria

21/01/2016

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

 

 

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

05/10/2016

Adozione in sessione plenaria

19/10/2016

Sessione plenaria n.

520

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

139/0/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE ritiene che il bilancio dell’Unione europea possa rappresentare uno strumento fondamentale per affrontare le sfide attuali dell’UE e i suoi cambiamenti strutturali. Occorre tuttavia analizzare e valutare attentamente la destinazione delle risorse, il modo in cui esse sono investite, le modalità di valutazione dell’efficacia delle risorse così spese e della comunicazione dei risultati ottenuti (1). Su tali presupposti, il bilancio dell’UE può raccogliere le sfide prioritarie per l’UE e contribuire a ripristinare la fiducia dei cittadini europei nell’UE, anche in caso di riduzione, in termini assoluti e relativi, delle risorse di cui esso dispone.

1.2.

Un presupposto indispensabile per migliorare le prestazioni del bilancio dell’UE è, al tempo stesso, anche la fissazione di obiettivi prioritari chiaramente definiti a vantaggio dei cittadini dell’UE, di indicatori aggregati corrispondenti e di un sistema di rendicontazione convincente, in relazione alle attività concrete finanziate tramite il bilancio UE, il che permetterebbe di ottimizzare il rapporto costi/benefici. A tal fine si può ricorrere, ad esempio, a condizionalità ex ante o a strumenti finanziari, oppure garantire la flessibilità e la capacità di affrontare sfide impreviste (2). L’aspetto in primo luogo quantitativo del bilancio dell’UE, che anche dal punto di vista del CESE è particolarmente importante per determinare le priorità essenziali e le politiche corrispondenti, deve essere accompagnato anche dalla sua dimensione qualitativa.

1.3.

Il CESE condivide l’approccio in base al quale le spese a titolo del bilancio dell’UE devono non soltanto essere effettuate nel rispetto dei principi di legalità e regolarità delle procedure, ma anche orientate in modo mirato e sistematico ai risultati e alle prestazioni ottenute dal bilancio in tutti i settori prioritari dell’UE.

1.4.

Il CESE concorda sul fatto che, per quanto concerne il bilancio dell’UE, l’adozione delle norme su cui si basa la cultura delle prestazioni impone di garantire un collegamento stretto tra, da un lato, l’importo e la natura delle spese e, dall’altro, un insieme coerente di indicatori aggregati atti a misurare le prestazioni e i risultati.

1.5.

Il CESE ritiene al tempo stesso che l’adozione di questa cultura delle prestazioni debba costituire non una misura una tantum, bensì un processo dinamico che presupponga sia un quadro giuridico adeguato sia una serie di strumenti in grado di indurre i soggetti principali ad agire nel senso auspicato. Il futuro dibattito e l’adozione di un bilancio UE basato sulle prestazioni devono inoltre precisarne ulteriormente il contenuto.

1.6.

Il CESE è convinto che un bilancio UE così concepito garantisca che, nei settori prioritari dell’UE, si ottengano risultati ed effetti tali da apportare un valore aggiunto chiaramente individuabile. Il dibattito su un bilancio dell’UE basato sulle prestazioni è quindi anche un dibattito sulle politiche prioritarie dell’UE che hanno la capacità di assicurare i necessari cambiamenti strutturali.

1.7.

Finora si è proceduto ad una serie di esercizi pilota per valutare in che modo il bilancio dell’UE influisca sulla realizzazione delle priorità e degli obiettivi quantificati della strategia Europa 2020. Il CESE ritiene che si tratti di un passo nella giusta direzione, ma raccomanda di proseguire sulla stessa strada in modo sistematico e nettamente più globale. I test condotti hanno evidenziato un livello elevato di non corrispondenza tra gli obiettivi previsti e i risultati conseguiti, nonché numerosi esempi di uso inefficace dei fondi dell’UE e di mancato rispetto delle relative procedure.

1.8.

Il CESE è favorevole a migliorare e a rafforzare ulteriormente il collegamento e le relazioni tra la strategia Europa 2020, il quadro finanziario pluriennale per il periodo 2014-2020 e i diversi esercizi di bilancio dell’UE relativi a questo stesso periodo, utilizzando e successivamente interpretando gli indicatori di valutazione dell’impatto. In tale occasione è necessario condurre una riflessione sulla strategia Europa 2020 per accertarsi che le reali priorità dell’UE in materia di sviluppo figurino tra i suoi obiettivi anche nella seconda metà del decennio in corso.

1.9.

Il CESE sostiene anche l’idea di garantire che gli accordi di partenariato e i programmi operativi siano in grado di svolgere efficacemente il loro ruolo di cinghie di trasmissione, trasformando le finalità e le priorità dell’UE in obiettivi operativi da realizzare in ciascuno degli Stati membri, vuoi che si tratti di migliorare la gestione concorrente vuoi che occorra migliorare le norme procedurali dei programmi gestiti direttamente dalla Commissione europea nei diversi Stati membri.

1.10.

Il CESE raccomanda di incoraggiare gli Stati membri a includere, nei loro accordi di partenariato e programmi operativi, un insieme coerente e comparabile di risultati quantificabili da conseguire grazie alle risorse del bilancio dell’UE e da sottoporre successivamente a una valutazione. Tutti gli accordi di partenariato e i programmi operativi dovrebbero prevedere indicatori comuni di risultato su base trasversale o orizzontale, che mettano in evidenza il contributo dei vari fondi e dei fondi SIE nel loro complesso; detti indicatori devono essere concepiti in modo tale da consentire un monitoraggio dei progressi compiuti a livello dell’UE, degli Stati membri e di ciascuna delle loro regioni.

1.11.

Il CESE considera la prossima revisione intermedia del quadro finanziario pluriennale per il periodo 2014-2020 come un’opportunità per rafforzare l’applicazione dell’approccio basato sulle prestazioni e sui risultati, che dovrebbe poi concretizzarsi pienamente nel quadro finanziario pluriennale a partire dal 2021.

1.12.

Il CESE ritiene che il quadro finanziario pluriennale che inizierà nel 2021 dovrebbe rappresentare, insieme con la nuova strategia per la competitività e lo sviluppo e con il pilastro sociale in corso di elaborazione, una piattaforma strategica essenziale di medio termine (con lo stesso orizzonte temporale della strategia per la competitività) dotata di una struttura e di una ponderazione delle singole voci di spesa adeguate alle necessità e priorità reali, e, al tempo stesso, dovrebbe consentire una maggiore flessibilità per rispondere alle nuove esigenze che si presentano. Il CESE, inoltre, accoglierebbe con favore un cambiamento delle modalità di gestione del bilancio UE nel senso di una maggiore efficienza attraverso una più ampia applicazione degli strumenti rimborsabili e la ricerca di una loro complementarità con le sovvenzioni. Inoltre, esiste ancora un ampio margine di miglioramento delle modalità di valutazione del bilancio dell’UE e della sua efficacia. Il parametro di un’adeguata flessibilità di bilancio è fondamentale per quanto concerne la capacità del bilancio dell’UE di reagire alle nuove iniziative, minacce e opportunità, come pure il mantenimento della capacità di azione dell’UE (si possono citare in questo contesto la crisi migratoria, la necessità di affrontare gli shock economici o la modifica del numero di Stati membri dell’UE, con il suo impatto sui flussi di bilancio, nonché un’adeguata base di risorse per il Fondo di solidarietà in caso di catastrofi naturali), e non riguarda soltanto l’entità e la struttura delle spese del bilancio dell’UE, ma anche la parte relativa alle entrate.

1.13.

Il CESE raccomanda che la politica di bilancio dell’UE per il dopo 2020 individui anche l’importo corrispondente della parte di tale bilancio relativa alle entrate nonché il modo in cui esso è stata definito (si tratta di trovare un rapporto equilibrato e solidale tra contributi degli Stati membri e risorse proprie del bilancio UE).

1.14.

Il CESE approva l’ulteriore estensione delle possibilità offerte da una politica di bilancio attiva, tra cui, ad esempio, la possibilità di emettere titoli di debito. A tal fine è auspicabile migliorare il quadro e le procedure di bilancio dell’UE e anche risolvere in maniera soddisfacente la questione del campo di applicazione della politica di bilancio dell’UE nei confronti, da un lato, dei paesi della zona euro e, dall’altro, degli altri Stati membri dell’UE.

2.   Analisi e descrizione del problema

2.1.    Elementi concreti di base

2.1.1.

Il bilancio dell’UE rappresenta uno strumento di cruciale importanza per finanziare le priorità dell’UE ed equivale a circa l’1 % del PIL dell’Unione; per l’esercizio 2015, esso ammontava a circa 145,3 miliardi di euro. Il bilancio dell’UE contribuisce in modo piuttosto consistente a sostenere la politica economica in ciascuno degli Stati membri, in cui rappresenta in media l’1,9 % delle spese pubbliche; in alcuni casi, tuttavia, tale quota supera ampiamente il 10 %.

2.2.    Punti di partenza della questione

2.2.1.

Data l’entità delle risorse finanziarie in questione, è indispensabile che esse vengano assegnate non solo nell’osservanza delle norme di legalità e regolarità ma anche, al tempo stesso, una volta soddisfatta questa prima condizione, in modo da permettere innanzitutto di raggiungere gli obiettivi e i risultati corrispondenti e di rispettare i principi di una sana gestione finanziaria e di una cultura delle prestazioni. Tutte le riflessioni politiche attualmente condotte sulla politica di bilancio dell’UE sono intese a mettere in evidenza gli effetti reali dell’esecuzione del bilancio dell’UE, misurata mediante indicatori e criteri macroeconomici pertinenti.

Un bilancio efficiente deve orientare in modo adeguato le spese alle vere priorità dell’UE nel corso di un determinato periodo. La cultura delle prestazioni si basa pertanto su tre pilastri: strategia, semplificazione e procedura di bilancio.

2.2.2.

Il bilancio dell’UE e la sua esecuzione dovrebbero tener conto delle seguenti priorità:

l’adozione di un approccio rafforzato basato sulle prestazioni e orientato ai risultati, che compenserebbe la visione tradizionale, fondata sul rispetto delle norme di legalità e regolarità, e garantirebbe l’inserimento di nuovi elementi che rispecchino le esigenze attuali e future (cfr. più avanti) delle finanze dell’UE;

un più marcato orientamento alle prestazioni e ai risultati presuppone di migliorare la gestione dei dati, la loro accessibilità e la loro disponibilità nella forma richiesta per valutare i benefici reali, a condizione che gli effetti di tale attività siano superiori agli oneri aggiuntivi generati;

la valutazione qualitativa del quadro normativo relativo all’assegnazione delle spese del bilancio dell’UE;

tenuto conto della natura delle attività finanziate dal bilancio dell’UE, è fondamentale esaminarne l’evoluzione non tanto nell’ottica isolata di un determinato esercizio finanziario, quanto sotto forma di un processo continuo a medio termine nel cui ambito ogni esercizio disegna una traiettoria dello sviluppo necessario alla realizzazione dei relativi risultati;

la necessità di tenere conto dello strettissimo legame esistente tra il bilancio dell’Unione, il nuovo modello di politica economica dell’UE (3) e le attuali prestazioni dell’economia europea a medio termine;

la necessità di assicurare la continuità della politica di bilancio dell’UE e di realizzarne e valutarne gli obiettivi.

2.2.3.

Il bilancio dell’UE contiene alcuni nuovi elementi connessi al funzionamento del quadro finanziario pluriennale per il periodo 2014-2020; detti elementi sono pertinenti per quanto riguarda il consolidamento dell’impostazione basata sulle prestazioni e orientata ai risultati:

a)

la concentrazione tematica: le risorse finanziarie dell’UE dovrebbero andare a sostegno solo dei settori prioritari e non finanziare qualsiasi tipo di programma o progetto; le priorità vanno definite con esattezza e sostenute attraverso un’analisi quantitativa e programmi di fattibilità; è inoltre opportuno limitare rigorosamente l’insieme delle priorità: quelle giustificate devono ottenere un finanziamento sufficiente in modo da garantire risultati e vantaggi reali;

b)

l’approccio integrato e basato sul territorio («place-based») e le sinergie: i programmi e i progetti non dovrebbero limitarsi a produrre risultati e vantaggi in quanto tali, ma, grazie alle sinergie realizzate, questi ultimi dovrebbero corrispondere a quelli di altri programmi e progetti. A loro volta, le sinergie dovrebbero essere conseguite nel quadro di un’unità territoriale definita in base al principio di sussidiarietà. Per garantire il funzionamento di questo sistema, è importante stabilire una matrice di gestione onde assicurare condizioni favorevoli ai progetti integrati;

c)

le condizionalità e le riserve di efficacia ed efficienza: conformemente ai principi di una sana gestione finanziaria, il finanziamento da parte dell’UE deve avvenire in un contesto adeguato degli affari interni, macroeconomici e istituzionali di uno Stato, il che rappresenta un presupposto fondamentale ai fini dell’assegnazione; in compenso, viene introdotta una riserva di efficacia che costituisce un bonus per gli enti che hanno ottenuto buoni risultati;

d)

la semplificazione: il sistema di finanziamento dell’UE è estremamente complicato sotto diversi aspetti, il che ne ostacola la gestione efficace e impedisce di misurarne i risultati e i benefici reali;

e)

una migliore quantificazione dei risultati: al fine di definire e di adeguare la politica di bilancio dell’UE, è molto importante misurare in modo efficace i risultati realmente ottenuti e avere la possibilità di trarre insegnamenti chiari e precisi dai fatti osservati. Per questo è essenziale migliorare il sistema di analisi dei dati, la sua gestione e l’utilizzo degli indicatori.

2.2.4.

Lo scopo è un migliore adeguamento della politica di bilancio dell’UE e del funzionamento pratico del bilancio alle esigenze dell’Unione, tramite la ricerca di un equilibrio più pertinente tra gli aspetti formali e procedurali dell’esecuzione del bilancio dell’UE e gli approcci basati sulle prestazioni e orientati ai risultati. In quest’ottica di prestazioni e risultati, appare estremamente necessario un approccio che garantisca una percezione e una comprensione comuni di tale concetto.

2.2.5.

Per misurare il mancato rispetto delle regole formali, da tempo si utilizza l’indicatore del tasso di errore. Quest’ultimo si situa intorno al 4 % (in altre parole, circa il 4 % delle spese a titolo del bilancio UE non è conforme alle regole formali: di per sé, ciò non appare come un risultato negativo, benché in termini assoluti si tratti di circa 6 miliardi di euro). La seguente tabella illustra l’evoluzione del tasso di errore globale negli ultimi anni:

2011

2012

2013

2014

3,9  %

4,8  %

4,7  %

4,4  %

2.2.6.

Il principio fondamentale del bilancio dell’UE risiede nel carattere «sano» dei flussi finanziari e degli effettivi programmi e progetti da essi finanziati, una caratteristica che consente di valutare l’impiego ottimale delle risorse dell’UE in tutti i loro aspetti. Il CESE condivide l’impostazione tendente a porre maggiormente l’accento sulle prestazioni e sui risultati — una tendenza, questa, attualmente osservabile nelle attività della Commissione europea (Budget Focused on Results Initiative  (4)) e in quelle della Corte dei conti europea (la struttura della sua relazione annuale per l’esercizio 2014 (5) e il capitolo appositamente dedicato ai risultati; le parti riguardanti la gestione concorrente comprendono, come risultati, la valutazione della performance dei programmi derivante da un esercizio pilota).

2.2.7.

Il CESE approva l’approccio adottato nel corso dell’esercizio pilota, inteso ad analizzare il rapporto e l’interconnessione tra — da un lato — la strategia Europa 2020 e — dall’altro — gli accordi di partenariato e/o i programmi operativi, in quanto strumenti essenziali per dare attuazione concreta alla politica di coesione dell’UE e componenti significative delle spese iscritte nel bilancio dell’UE. È possibile considerare questo esercizio come l’embrione di una concezione globale riguardante la valutazione delle prestazioni e dei risultati del bilancio dell’UE (6).

2.2.8.

Per giungere a un monitoraggio equilibrato degli aspetti formali e sostanziali legati al bilancio dell’UE, il processo di trattamento, gestione e comunicazione dei dati e delle informazioni tra — da un lato — gli organi e le istituzioni dell’UE (in primo luogo la Commissione europea) e — dall’altro — gli Stati membri svolge un ruolo essenziale. L’esecuzione del bilancio dell’UE è accompagnata da una quantità enorme di dati e informazioni che tuttavia, nella pratica, sono utilizzati soltanto in misura molto limitata per garantire la possibilità di valutare in modo obiettivo il tasso di errore e, in particolare, i risultati effettivi conseguiti tramite il bilancio stesso, e per definire delle procedure volte a migliorare la situazione osservata.

3.   Osservazioni fondamentali

3.1.

Il CESE ritiene che la principale ragion d’essere del bilancio dell’UE sia ravvisabile nei vantaggi che apporta ai cittadini dell’Unione, proteggendo al contempo gli interessi finanziari di quest’ultima; i vantaggi offerti prendono la forma di un sostegno finanziario, basato sul rispetto delle priorità di sviluppo e funzionamento, che deve essere compatibile con il quadro di politica economica e le performance economiche, sia reali che attese; la protezione degli interessi finanziari dell’UE consiste nello spendere opportunamente gli importi iscritti nel bilancio dell’UE nel rispetto delle norme, senza commettere errori o atti fraudolenti. L’attuale approccio politico dovrebbe contribuire al raggiungimento del pieno rispetto e dell’equilibrio reciproco.

3.2.

Il CESE è dell’avviso che questo slancio verso un bilancio dell’UE orientato alle prestazioni non possa assumere la forma concreta di una misura una tantum. È essenziale che le norme giuridiche fondamentali e gli obiettivi del bilancio dell’UE e della politica siano stabiliti in funzione della volontà sia di rispettare indicatori di carattere qualitativo che di ottenere risultati misurabili.

3.3.

Per contribuire in misura significativa a orientare il bilancio dell’UE alle prestazioni, sarebbe inoltre opportuno che si riuscisse a far coincidere nel tempo il periodo di bilancio (ossia, attualmente il quadro finanziario settennale) con il periodo previsto per la strategia fondamentale di sviluppo dell’UE (ossia, attualmente la strategia Europa 2020 con durata decennale). Da questo punto di vista, il 2021 offrirà un’occasione unica per far coincidere i due periodi e creare le condizioni per il funzionamento ottimale di un bilancio dell’UE orientato ai risultati e alle prestazioni.

3.4.

Il CESE prende atto e rispetta le conclusioni della relazione annuale per l’esercizio 2014 pubblicata dalla Corte dei conti, che ha evidenziato una serie di punti problematici per i quali l’interconnessione tra la strategia Europa 2020 e gli accordi di partenariato o, se del caso, i programmi operativi non funziona in modo ottimale. In tale relazione si rileva esplicitamente che questi differenti strumenti non sono concepiti in modo da permettere che gli obiettivi politici della strategia Europa 2020 si traducano sistematicamente in obiettivi operativi concreti (definiti negli accordi di partenariato e nei programmi operativi) (7).

3.5.

Il CESE ritiene che i vantaggi potenziali derivanti dalla realizzazione di sinergie tra i cinque fondi strutturali e d’investimento europei (fondi SIE), nel quadro sia del sistema generale di regolamentazione e gestione che di un accordo di partenariato in ogni Stato membro, non si siano ancora concretizzati, mentre persiste la pratica di applicare norme differenti per ciascuno di questi fondi, le quali determinano una frammentazione della programmazione (invece di innescare le necessarie sinergie).

3.6.

Il CESE è dell’avviso che l’approccio orientato alle prestazioni e ai risultati possa essere ampiamente migliorato grazie all’esistenza di due nuovi elementi nell’utilizzo delle risorse finanziarie dell’UE per il periodo 2014-2020, vale a dire, le condizionalità e la riserva di efficacia ed efficienza. È proprio l’applicazione delle condizionalità macroeconomiche che dovrebbe garantire che le spese previste nel bilancio dell’UE siano realizzate in ogni Stato membro in un contesto macroeconomico sufficientemente sano, oppure non dovrebbe permettere a uno Stato membro che non s’impegna per risolvere i suoi problemi macroeconomici di utilizzare fino in fondo queste risorse. L’esistenza della riserva di efficacia ed efficienza dovrebbe anche incoraggiare adeguatamente gli Stati membri a ottenere dei risultati orientati alla realizzazione degli obiettivi strategici dell’Unione europea, con il sostegno del bilancio UE.

3.7.

Il CESE reputa tuttavia che l’esercizio pilota, volto a testare un bilancio dell’UE orientato alle prestazioni e ai risultati attraverso i legami esistenti tra il bilancio stesso e le priorità della strategia Europa 2020, dovrebbe essere poi esteso ad altri settori pertinenti, in modo che la valutazione di questo orientamento del bilancio dell’UE, basato sulle prestazioni e sui risultati, possa essere veramente coerente e globale; ad esempio, sarebbe opportuno prestare attenzione alle raccomandazioni per paese e alla loro coerenza con gli indicatori derivanti dall’attuazione del semestre europeo.

3.8.

Il CESE raccomanda che, nel contesto della riflessione sul funzionamento del bilancio dell’UE, venga anche esaminato il concetto di fallimento del mercato, alla cui eliminazione il bilancio dell’UE dovrebbe puntare; i segnali di un malfunzionamento del mercato (imperfezioni o carenze del mercato) possono ad esempio assumere la forma di un’asimmetria informativa, ad esempio nel modo in cui le istituzioni finanziarie valutano la redditività degli investimenti sul piano commerciale, che ostacola il finanziamento di certi tipi di progetti, in quanto non vengono prese in considerazione talune esternalità positive o benefici sociali più ampi che, pur non essendo pertinenti per il caso commerciale considerato, sono importanti nell’ottica del sostegno fornito dal finanziamento dell’UE.

3.9.

Il CESE è d’accordo sulla necessità di migliorare considerevolmente il settore della gestione concorrente tra gli organi e le istituzioni dell’UE (in particolare la Commissione europea) e gli Stati membri. Il 76 % delle spese totali del bilancio dell’UE rientra nella gestione concorrente. Quanto più gli Stati membri realizzeranno al loro interno gli obiettivi quantificati della strategia Europa 2020, tanto più il bilancio dell’UE sarà legato agli obiettivi della suddetta strategia, i suoi obiettivi rispecchieranno le vere esigenze dell’UE sul piano economico, sociale, territoriale o ambientale, e si riuscirà a creare un contesto favorevole di sana gestione finanziaria per collegare senza intoppi la Commissione europea e gli Stati membri.

3.10.

Il CESE ritiene che un segnale importante del peso crescente delle prestazioni e dell’orientamento del bilancio dell’UE in funzione dei risultati sia rappresentato dall’accento posto su un maggiore utilizzo degli strumenti di ingegneria finanziaria (SIF) o degli strumenti di finanziamento innovativi, la cui natura modifica in modo assolutamente sostanziale le modalità di utilizzo delle risorse pubbliche dell’UE e le aspettative ad esse collegate. Malgrado le indiscutibili potenzialità dei SIF, soltanto il 65 % circa delle risorse autorizzate a questo titolo nel periodo 2007-2013 è giunto ai destinatari finali (il resto è stato semplicemente «parcheggiato» nei SIF, allo scopo di attestarne formalmente l’utilizzo). Questo tema assume sempre maggiore importanza per il periodo successivo al 2020, anche in relazione alla necessità di una maggiore complementarità con il Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS), e rappresenta una riflessione strategica fondamentale per orientare le risorse comuni di bilancio dell’UE a partire dal 2021.

3.11.

Al tempo stesso, il CESE ritiene che rafforzare l’orientamento del bilancio alle prestazioni e ai risultati non dovrebbe ovviamente comportare che la legalità e la regolarità delle procedure siano trascurate. Non si può far passare in secondo piano l’importanza di rispettare le norme giuridiche e procedurali. Poiché il tasso di errore si riferisce a tutti i casi in cui l’erogazione delle risorse finanziarie non sarebbe dovuta avvenire perché esse non sono state utilizzate conformemente alle regole, si presuppone — in qualche modo automaticamente — che queste regole siano corrette e non presentino alcuna contraddizione interna né elementi indesiderabili. È anche per questo motivo che una procedura che rispetti le norme della sana gestione finanziaria dovrebbe prevedere la verifica delle conseguenze di tali norme, al fine di valutarne la compatibilità e la coerenza con le esigenze e gli obiettivi dell’UE (8).

3.12.

Il CESE conviene sul fatto che le modalità concrete di esecuzione del bilancio dell’UE sono molto complesse. Anche gli sforzi profusi attualmente per semplificare tutte le attività connesse al bilancio dell’UE, che riguardano sia questioni sia procedurali che sostanziali, contribuiscono a soddisfare il requisito di una sana gestione finanziaria; tali sforzi di semplificazione dovrebbero tradursi in una riduzione degli oneri amministrativi eccessivi e nella limitazione della pratica della «sovraregolamentazione» nei singoli Stati membri.

3.13.

Il CESE ritiene che le proposte formulate nella sezione 3 del presente parere, che conducono alle conclusioni e raccomandazioni di cui alla sezione 1, costituiscano delle riflessioni concettuali essenziali in merito alla futura politica di bilancio dell’UE, che possono essere applicate in parte già nell’ambito del processo di revisione intermedia del quadro finanziario pluriennale 2014-2020, ma che potranno essere pienamente iscritte nelle norme di bilancio solo a partire dal 2021. Il concetto delle prospettive e delle riforme necessarie in materia di bilancio e quadro finanziario pluriennale al di là del 2020 può basarsi sui pareri recentemente formulati al riguardo dal CESE oppure dare loro seguito (9).

Bruxelles, 19 ottobre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Cfr. Kristalina Georgieva, vicepresidente della Commissione europea responsabile del bilancio, pagine Internet sul tema EU Budget Focused on Results (Un bilancio dell’UE orientato ai risultati).

(2)  Cfr. l’analisi di cui al punto 2.2.3.

(3)  Il modello comprende, tra le altre cose, la strategia Europa 2020, il semestre europeo, i cosiddetti «six pack» e «two pack» nonché le raccomandazioni per paese; una delle soluzioni potrebbe essere quella di stabilire un legame diretto con tali raccomandazioni per rendere efficace l’assegnazione delle spese a titolo del bilancio UE.

(4)  È stata Kristalina Georgieva, la vicepresidente della Commissione europea competente per il bilancio e le risorse umane, ad annunciare tale iniziativa in occasione della conferenza del 22 settembre 2015.

(5)  Tale relazione annuale è stata pubblicata il 10 novembre 2015.

(6)  Nello stesso senso vanno i contenuti di parecchie risoluzioni del Parlamento europeo adottate tra il 2013 e il 2015 (cfr. le relazioni di Geier e di Grässle), benché esse siano dedicate a questioni specifiche; il documento di scarico riguardante la gestione della Commissione europea per l’esercizio 2014 (relazione elaborata nel 2016 da Dlabajová) ha, invece, una portata generale nel quadro dei materiali del Parlamento europeo.

(7)  Cfr. ad esempio i paragrafi da 3.10 a 3.12 della relazione annuale della Corte dei conti sull’esercizio finanziario 2014.

(8)  Ad esempio, mediante una valutazione dell’impatto della regolamentazione, che rappresenta uno strumento molto efficace per ottenere concretamente una sana gestione finanziaria.

(9)  Cfr. ad esempio i pareri del CESE del 2011 Revisione del bilancio dell’Unione europea (GU C 248 del 25.8.2011, pag. 75), del 2012 su Il quadro finanziario pluriennale per il periodo 2014-2020 (GU C 229 del 31.7.2012, pag. 32), del 2014 su Completare l’Unione economica e monetaria — Il ruolo della politica fiscale (GU C 230 del 14.7.2015, pag. 24), del 2015 su Riesame della governance economica (GU C 268 del 14.8.2015, pag. 33), del 2015 su Completare l’Unione economica e monetaria — Proposte per la prossima legislatura europea (GU C 451 del 16.12.2014, pag. 10), del 2015 su Completare l’UEM: il pilastro politico (GU C 332 dell'8.10.2015, pag. 8), del 2012 su Non solo PIL — Indicatori complementari (GU C 181 del 21.6.2012, pag. 14), del 2012 su Imposta sulle transazioni finanziarie (GU C 181 del 21.6.2012, pag. 55), del 2013 su Cooperazione rafforzata nel settore dell’imposta sulle transazioni finanziarie (GU C 271 del 19.9.2013, pag. 36), e del 2012 sul Programma d’azione per la dogana e l’imposizione fiscale per il periodo 2014-2020 (Fiscus) (GU C 143 del 22.5.2012, pag. 48).


2.2.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 34/8


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Un meccanismo europeo di controllo dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali»

(parere di iniziativa)

(2017/C 034/02)

Relatore:

José Antonio MORENO DIAZ

Correlatore:

Ákos TOPOLÁNSZKY

Consultazione

Comitato economico e sociale europeo, 21/01/2016

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

 

 

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

27/09/2016

Adozione in sessione plenaria

19/10/2016

Sessione plenaria n.

520

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

202/1/7

1.   Osservazioni e proposte del CESE: un meccanismo europeo di controllo dello Stato di diritto, della democrazia e dei diritti fondamentali

1.1.

L’Unione europea non è soltanto un mercato comune, ma anche un’unione di valori comuni, come indicato all’articolo 2 del trattato sull’Unione europea (TUE). Inoltre l’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Tali valori su cui l’UE si fonda sono alla base dell’integrazione, nonché parte costituiva dell’identità europea. Oltre a rappresentare i criteri per l’adesione all’UE, essi vanno poi rispettati dagli Stati membri nella pratica. È quindi essenziale che le procedure previste dai Trattati siano applicate quando tali valori sono sotto attacco. Il CESE è dell’avviso che le istituzioni dell’UE dovrebbero, nelle loro attività politiche, adottare un approccio proattivo e preventivo allo scopo di anticipare ed evitare i problemi.

1.2.

Al pari di numerose organizzazioni della società civile europea, il CESE è preoccupato dal deteriorarsi della situazione dei diritti umani, dalla sempre più marcata deriva populista e autoritaria e dal rischio che questa comporta per la qualità della democrazia e la salvaguardia dei diritti fondamentali, che sono garantiti sia dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che dalla Corte di giustizia dell’Unione europea e rappresentano i principi generali del diritto dell’UE (1).

1.3.

I valori appena citati sono oggetto di attacchi in tutta Europa. Numerose organizzazioni della società civile condannano l’operato di molti Stati membri e auspicano che il CESE adotti nuove iniziative che inducano le istituzioni dell’UE a reagire con decisione. In pericolo non è soltanto l’UE, ma anche la fiducia dei cittadini nelle istituzioni democratiche nazionali e dell’UE. Il CESE ritiene si tratti di un rischio molto grave e di natura sistemica.

1.4.

Il contenuto preciso dei principi e delle norme che scaturiscono dallo Stato di diritto può variare a livello nazionale, in funzione dell’ordinamento costituzionale di ciascuno Stato membro. La giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea e della Corte europea dei diritti dell’uomo, nonché i documenti elaborati dal Consiglio d’Europa, in particolare dalla commissione di Venezia, stabiliscono questi principi e valori dell’UE. Si tratta dei principi di legalità (secondo cui il processo legislativo deve essere trasparente, responsabile, democratico e pluralistico); divieto di arbitrarietà da parte del potere esecutivo; indipendenza e imparzialità del giudice; controllo giurisdizionale effettivo, anche per quanto riguarda il rispetto dei diritti fondamentali; uguaglianza davanti alla legge e protezione dei diritti umani, tra cui quelli delle minoranze.

1.5.

La Corte di giustizia dell’UE e la Corte europea dei diritti dell’uomo hanno entrambe confermato che tali principi non sono meri requisiti procedurali formali, bensì il mezzo per garantire il rispetto della democrazia e dei diritti dell’uomo. Lo Stato di diritto è un principio costituzionale con componenti sia procedurali sia sostanziali.

1.6.

Il rispetto dello Stato di diritto è intrinsecamente connesso al rispetto della democrazia e dei diritti fondamentali: democrazia e salvaguardia dei diritti fondamentali non possono esistere senza il rispetto dello Stato di diritto e, viceversa, i diritti fondamentali sono effettivi solo se possono essere fatti valere. La democrazia è tutelata dalla funzione fondamentale della magistratura, comprese le corti costituzionali. Vale la pena aggiungere che si tratta di diritti individuali, non di diritti degli Stati membri o dei governi, e quindi alla loro difesa dovrebbe essere attribuita priorità assoluta.

1.7.

Alla luce dei lavori condotti dalla commissione per gli Affari costituzionali (AFCO) del Parlamento europeo, delle relazioni elaborate dalla Commissione e della risoluzione del Parlamento europeo del 27 febbraio 2014 sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea, il CESE ritiene che, a tempo debito, sarebbe opportuno modificare l’articolo 51 (2) della Carta dei diritti fondamentali dell’UE al fine di ampliare il campo d’applicazione della Carta e di garantire che tutte le sue disposizioni siano direttamente applicabili negli Stati membri (3).

1.8.

Tra la Corte di giustizia dell’Unione europea e la Corte europea dei diritti dell’uomo intercorre un dialogo regolare che potrebbe essere rafforzato se l’UE firmasse la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). Il CESE propone alla Commissione di presentare, nel primo semestre 2017, una proposta di adesione dell’UE alla CEDU, come specificato all’articolo 6, paragrafo 2, del TUE.

1.9.

Gli obblighi che incombono ai paesi candidati in virtù dei criteri di Copenaghen devono continuare ad applicarsi agli Stati membri dopo l’adesione all’UE a norma dell’articolo 2 del TUE; alla luce di ciò, il CESE ritiene che tutti gli Stati membri dovrebbero essere valutati periodicamente al fine di verificare che continuino a conformarsi ai valori di base dell’UE di rispetto dei diritti fondamentali, nonché di evitare che si sgretoli la fiducia reciproca.

1.10.

Il CESE ritiene che le istituzioni dell’UE debbano rafforzare le procedure e i meccanismi a protezione e difesa della democrazia, dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali in tutti gli Stati membri. In questi ultimi anni e soprattutto prima del 2014, il CESE ha constatato con preoccupazione che la Commissione ha omesso di esercitare in modo efficace il suo ruolo di custode dei Trattati e non è stata in grado di fornire una risposta adeguata alle violazioni dei principi e dei valori europei verificatesi in numerosi Stati membri.

1.11.

Il CESE incoraggia la Commissione ad adottare un approccio attivo nella tutela e nella difesa dei valori e dei principi dell’UE — sanciti dall’articolo 2 del TUE — in tutti gli Stati membri, e a fare pieno uso del quadro, già esistente, del 2014.

1.12.

Il CESE propone l’adozione di un approccio comune da parte delle tre principali istituzioni dell’UE (Commissione, Consiglio e Parlamento). Il dialogo e la cooperazione tra le istituzioni sono essenziali per una questione di siffatta importanza. Il CESE raccomanda al Consiglio di appoggiare il quadro della Commissione, che già esiste, adottando una decisione che rafforzi tale quadro e sostenga un ulteriore consolidamento dello Stato di diritto.

1.13.

Le organizzazioni della società civile svolgono un ruolo fondamentale nella promozione dei valori democratici, nel corretto funzionamento dello Stato di diritto e nella protezione dei diritti fondamentali. Di fronte al continuo contrarsi dello spazio democratico e ai vincoli a cui sono soggette le ONG nei singoli Stati membri, il ruolo positivo svolto sul campo dalle ONG è ammirevole. Il CESE collabora molto attivamente con le parti sociali e le ONG alla tutela dei diritti fondamentali e dei diritti delle minoranze, dei rifugiati e degli immigrati.

1.14.

Il CESE, in quanto rappresentante della società civile organizzata, intende aprire un dialogo con il Consiglio, la Commissione e il Parlamento al fine di migliorare la governance e rafforzare il coordinamento politico tra le istituzioni dell’UE e gli Stati membri; il CESE vuole inoltre introdurre un sistema di allerta precoce.

1.15.

Il CESE ritiene fondamentale creare un meccanismo europeo giuridicamente vincolante che coinvolga attivamente la Commissione, il Parlamento e il Consiglio e in cui il CESE svolga un ruolo importante in rappresentanza della società civile. Tale meccanismo andrà ad integrare il quadro della Commissione e il dialogo intergovernativo avviato dal Consiglio. Il meccanismo potrebbe essere denominato «nuovo meccanismo di Copenaghen» (4) ed essere sottoposto a un controllo democratico e giurisdizionale (5).

Tale meccanismo dovrebbe, tra l’altro, esaminare aspetti quali legittimità, gerarchia delle norme, certezza del diritto, parità, non discriminazione, libero accesso alla giustizia e a un giusto processo, prevenzione dell’abuso del diritto e dell’arbitrarietà da parte delle autorità pubbliche, separazione dei poteri, rispetto e protezione del pluralismo politico, delle minoranze, della diversità sociale e sessuale ecc., rispetto della libertà di espressione e di stampa, al fine di individuare le attuali carenze e chiedere che vengano colmate.

1.16.

Il CESE auspica che il progetto di relazione attualmente in discussione alla commissione LIBE del Parlamento europeo sia adottato e che si raggiunga un accordo interistituzionale in merito all’attuazione del Patto dell’Unione europea sulla democrazia, lo Stato di diritto e i diritti fondamentali. Il CESE sostiene in linea generale la proposta, in quanto essa getta le basi per l’attuazione di un accordo interistituzionale che sia giuridicamente vincolante e che rafforzi la governance europea e il coordinamento politico tra le istituzioni dell’UE e gli Stati membri. Il CESE dovrebbe essere incluso in questo Patto, rendendo così possibile un dibattito con la società civile nell’ambito del Comitato, al quale dovrebbe essere affidato un ruolo nel semestre DSD (democrazia, Stato di diritto e diritti fondamentali) proposto.

1.17.

Il meccanismo dovrebbe fondarsi su indicatori a loro volta basati su dati quantitativi e qualitativi:

indicatori sullo Stato di diritto;

indicatori sulla qualità della democrazia;

indicatori sulla protezione dei diritti fondamentali.

1.18.

Il CESE pone in rilievo l’importanza dei Titoli I, II, III e IV della Carta per l’elaborazione degli indicatori, considerato che i diritti economici, sociali e culturali fondamentali sono «indivisibili» dai diritti civili e politici.

1.19.

È importante che gli Stati membri e le istituzioni, gli organi e le agenzie dell’UE rispettino i diritti fondamentali, compresi i diritti sociali, soprattutto in tempi di crisi. Ciò dovrebbe valere anche per le relazioni e gli accordi con i paesi terzi, in termini non solo di rispetto di tali diritti, ma anche di garanzia della loro applicazione.

1.20.

Il meccanismo rende necessaria l’introduzione di un sistema di monitoraggio e valutazione che impieghi procedure trasparenti. Sarebbe opportuno dare espressamente alla FRA (Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali) un mandato per coadiuvare tale meccanismo. Il CESE appoggia la proposta del Parlamento europeo di creare un gruppo di esperti indipendenti (6) presieduto dal comitato scientifico della FRA.

1.21.

Il CESE propone di far parte di questo gruppo. Propone inoltre che gli esperti designati dai rispettivi governi siano i difensori civici di ciascuno Stato membro.

1.22.

Il gruppo di esperti esaminerà e valuterà la situazione in ciascuno Stato membro sulla base degli indicatori e secondo procedure trasparenti. In questo ambito, il CESE può fornire un contributo organizzando missioni negli Stati membri per esaminare la situazione in collaborazione con la società civile locale, ed elaborare dei rapporti al riguardo.

1.23.

Il CESE sostiene l’attuazione del semestre DSD. Basandosi sulle relazioni degli esperti, la Commissione elaborerà ogni anno una relazione specifica per ciascun paese, contenente tra l’altro una serie di raccomandazioni, il Parlamento terrà una discussione interparlamentare e presenterà una risoluzione, il Consiglio organizzerà un dibattito annuale, formulando alcune conclusioni. Il meccanismo deve funzionare nel contesto di un nuovo ciclo politico annuale volto a garantire un approccio comune e coerente all’interno dell’UE.

1.24.

Il CESE vorrebbe partecipare alla preparazione dell’accordo interistituzionale e potrebbe prendere in considerazione la possibilità di creare un gruppo permanente incaricato di organizzare audizioni con la società civile e di elaborare pareri e relazioni al riguardo.

1.25.

Nell’ambito del semestre DSD e in cooperazione con le organizzazioni della società civile, il CESE potrebbe organizzare un forum annuale per analizzare la situazione della democrazia, dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali; potrebbe anche definire proposte e raccomandazioni da trasmettere alla Commissione, al Consiglio e al Parlamento. Il CESE potrebbe infine collaborare con le altre istituzioni all’elaborazione delle valutazioni d’impatto.

2.   Il trattato e le questioni correlate

2.1.

Negli ultimi anni è emersa chiaramente la mancanza di meccanismi in grado di proteggere i valori enunciati all’articolo 2 del trattato sull’Unione europea (TUE) che stipula: «l’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini».

2.2.

L’Unione europea si fonda su questi valori, che comprendono il rispetto della democrazia, lo Stato di diritto e la protezione dei diritti umani. Vi è la possibilità di verificare il rispetto di questi valori nel periodo che precede l’adesione di uno Stato all’Unione tramite i cosiddetti «criteri di Copenaghen» o «di adesione» (7). «L’appartenenza all’Unione richiede che il paese candidato abbia raggiunto una stabilità istituzionale che garantisca la democrazia, il principio di legalità, i diritti umani, il rispetto e la protezione delle minoranze».

2.3.

Non esiste invece alcun meccanismo analogo applicabile nel periodo successivo all’adesione di nuovi Stati membri. La mancanza di un meccanismo di monitoraggio della democrazia, dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali è stata definita il «dilemma di Copenaghen».

2.4.

Il corretto funzionamento dell’UE si basa sulla «fiducia reciproca» tra le istituzioni dell’UE e i suoi Stati membri, come pure tra gli stessi Stati membri; sulla fiducia, cioè, che le leggi e le decisioni politiche adottate rispettino i medesimi principi in termini di Stato di diritto, democrazia e diritti fondamentali. Si crea così un contesto uniforme tra gli Stati membri per quanto concerne la libera circolazione di persone, beni, servizi e capitali. Ciò consente inoltre ai governi di collaborare in materia di giustizia e di affari interni, ivi compresi il diritto penale, l’asilo e l’immigrazione.

2.5.

L’UE è stata creata per garantire pace e prosperità in tutti i suoi Stati membri e per aumentare il benessere dei suoi cittadini, e ciò dipende non solo dall’esistenza del libero mercato, ma anche dalla protezione dei valori fondamentali dell’UE. Tali valori fondamentali garantiscono ai cittadini dell’UE di poter vivere liberi dall’oppressione e dall’intolleranza, con governi democraticamente eletti e responsabili che agiscono secondo il principio dello Stato di diritto.

2.6.

Negli ultimi anni, determinate decisioni politiche e legislative adottate da vari Stati membri hanno dato adito a dibattiti e scontri con le istituzioni dell’UE e con altri Stati membri, e la «fiducia reciproca» è stata infranta. In molti casi non è stata data la giusta considerazione alle regole della democrazia, allo Stato di diritto e ai diritti fondamentali, e l’UE non è stata in grado, da parte sua, di fornire una risposta adeguata.

2.7.

È con grande inquietudine che il CESE osserva come in certi Stati membri vengano adottate leggi e attuate politiche che sembrano indicare un grave deterioramento qualitativo della democrazia: violazione dei diritti umani, soprattutto delle minoranze, mancanza di indipendenza della magistratura e delle corti costituzionali, restrizioni alla separazione dei poteri, limitazioni della libertà di stampa, di opinione, di riunione, di associazione, d’informazione, di consultazione e contrattazione collettiva, nonché di altri diritti fondamentali civili e sociali. In diverse circostanze l’UE si è trovata di fronte a crisi in alcuni Stati membri innescate da questioni specifiche legate allo Stato di diritto; la Commissione ha reagito a queste situazioni esercitando pressioni politiche e aprendo procedimenti d’infrazione.

2.8.

A tutt’oggi non si è mai fatto uso dei meccanismi preventivi e sanzionatori previsti all’articolo 7 del TUE, che è l’unico articolo dei Trattati cui si possa ricorrere per gestire violazioni della democrazia, dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali in aree che esulano dalla competenza legislativa dell’UE. Esistono due approcci — uno preventivo e l’altro sanzionatorio — che in pratica, però, non sono mai stati utilizzati a causa dell’impatto politico e dei requisiti severi che ne regolano l’applicazione, possibile solo in presenza di «un evidente rischio di violazione» o di «una violazione grave e persistente».

2.9.

La Commissione e il Parlamento possono intervenire nella fase preventiva. Nella seconda fase il Consiglio può sanzionare lo Stato membro sospendendone alcuni diritti, tra cui «i diritti di voto del rappresentante del governo di tale Stato membro in seno al Consiglio».

2.10.

Il Consiglio, tuttavia, gode di un ampio margine di discrezione nell’applicare questo provvedimento, dal momento che non dispone di criteri specifici e trasparenti per attivare la procedura, per gli indicatori da utilizzare o per le procedure di valutazione da seguire. Il Parlamento, la Commissione e la Corte di giustizia dell’UE dispongono di un mandato alquanto limitato in queste situazioni (8); analogamente, non è prevista alcuna consultazione del CESE.

3.   Le azioni delle istituzioni europee

3.1.

Nel marzo 2014 la Commissione europea ha adottato una comunicazione dal titolo Un nuovo quadro dell’UE per rafforzare lo Stato di diritto [COM(2014) 158 final]. L’attivazione di questo quadro è prevista nelle situazioni in cui le autorità di uno Stato membro adottino misure o tollerino situazioni che si ripresentano sistematicamente e potrebbero verosimilmente compromettere l’integrità, la stabilità o il corretto funzionamento delle istituzioni e dei meccanismi di salvaguardia istituiti a livello nazionale per garantire lo Stato di diritto. Devono cioè essere coinvolti la struttura costituzionale del paese, la separazione dei poteri, l’indipendenza o l’imparzialità della magistratura, ovvero il suo sistema di controllo giurisdizionale compresa la giustizia costituzionale.

3.2.

Il quadro elaborato dalla Commissione si propone di contrastare le minacce allo Stato di diritto negli Stati membri prima che si verifichino le condizioni per attivare i meccanismi previsti dall’articolo 7 del TUE. Esso è di responsabilità della Commissione ed è destinato a colmare un vuoto. Non si pone come un’alternativa ai meccanismi previsti dall’articolo 7, ma li precede e li integra. Nei casi in cui sussistano chiare indicazioni dell’esistenza di una minaccia sistemica allo Stato di diritto in un paese dell’UE, il quadro dovrebbe favorire un dialogo strutturato tra la Commissione e il paese in questione. La procedura si articola in tre fasi principali: un parere della Commissione, una raccomandazione della Commissione e un follow-up di tale raccomandazione. Nell’effettuare la valutazione la Commissione può avvalersi di esperti (9).

3.3.

Il CESE accoglie con favore il quadro per rafforzare lo Stato di diritto adottato dalla Commissione, che però presenta, a suo avviso, una serie di limitazioni.

3.3.1.

La valutazione non prevede un’analisi comparativa periodica dei problemi e delle controversie creati dagli Stati membri per quanto riguarda la democrazia, lo Stato di diritto e i diritti fondamentali. Per definizione, il quadro si può attivare solo quando il problema è divenuto «sistemico», il che fissa la soglia a un livello molto elevato. Una minaccia «sistemica» può verificarsi quando la magistratura non è più in grado di garantire che il governo agisca entro i limiti della legge, vale a dire quando è stato raggiunto uno stato di cose già piuttosto avanzato.

3.3.2.

La Commissione deve analizzare le informazioni secondo modalità trasparenti, ricorrendo a indicatori specifici o a procedure oggettive; deve inoltre stabilire protocolli di consultazione della società civile e del CESE.

3.3.3.

Il quadro non prevede alcun ruolo specifico per il Parlamento europeo — benché questi stia avviando, al riguardo, alcune iniziative politiche proprie

3.3.4.

e nemmeno un modello di cooperazione interistituzionale più stretta.

3.4.

Il CESE esprime preoccupazione di fronte alla mancanza di un follow-up, in sede di Consiglio, del quadro per rafforzare lo Stato di diritto.

3.4.1.

Nella sua riunione del 16 dicembre 2014, il Consiglio Affari generali ha adottato le conclusioni sul ruolo del Consiglio nel garantire il rispetto dello Stato di diritto. Il Consiglio si è impegnato a instaurare un dialogo annuale tra gli Stati membri, che si terrà in sede di Consiglio Affari generali e sarà preparato dal Coreper. La presidenza di turno lussemburghese ha avviato nel novembre 2015 questo dialogo destinato a coprire diversi argomenti specifici che non sono stati resi pubblici: i governi sono stati invitati a esprimersi riguardo a qualunque aspetto dello Stato di diritto essi ritenessero opportuno trattare e a fornire per il proprio paese un esempio di una situazione soddisfacente e uno, invece, di una situazione problematica. Invece del dialogo previsto, si è assistito a una serie di monologhi. Gli Stati non hanno collaborato tra loro fornendo sostegno, aiuto o critiche, non hanno formulato o ricevuto raccomandazioni, né si sono impegnati a prendere provvedimenti per cercare di dare soluzione ai problemi individuati. Alla fine del 2016, nel corso della presidenza slovacca, il Consiglio effettuerà una valutazione di questa esperienza.

3.4.2.

Nelle conclusioni del Consiglio non si è tenuto conto né si è fatto riferimento al quadro per rafforzare lo Stato di diritto. Non è stata inoltre fornita un’immagine chiara del ruolo preciso della Commissione, del Parlamento e del CESE nell’ambito di questo dialogo.

3.5.

La Commissione Juncker ha inserito lo Stato di diritto tra le sue priorità, nominando il vicepresidente Timmermans commissario responsabile per lo Stato di diritto e la Carta dei diritti fondamentali. Si ignora però ancora se la Commissione elaborerà criteri e indicatori al fine di attuare il quadro per rafforzare lo Stato di diritto.

3.6.

La Commissione ha per la prima volta attivato il suddetto quadro aprendo una procedura nei confronti della Polonia per infrazione delle norme dell’UE, a seguito di una valutazione critica della situazione da parte di un organo del Consiglio d’Europa, la cosiddetta commissione di Venezia (10).

3.7.

La commissione per le Libertà civili, la giustizia e gli affari interni (LIBE) del Parlamento europeo ha attualmente all’esame un progetto di relazione (d’iniziativa) (11) recante raccomandazioni alla Commissione sull’istituzione di un meccanismo dell’UE in materia di democrazia, Stato di diritto e diritti fondamentali [2015/2254(INL), relatrice: Sophia in ‘t Veld] in cui, tra l’altro, «chiede alla Commissione di presentare, entro la fine del 2016, sulla base dell’articolo 295 del TFUE, una proposta per la conclusione di un Patto dell’Unione sulla democrazia, lo Stato di diritto e i diritti fondamentali sotto forma di un accordo interistituzionale che disciplini le modalità atte a facilitare la cooperazione delle istituzioni dell’Unione e dei suoi Stati membri nell’ambito dell’articolo 7 del TUE, integrare, allineare e completare i meccanismi esistenti secondo le raccomandazioni dettagliate che figurano nell’allegato».

3.7.1.

L’allegato contiene il progetto di accordo interistituzionale dal titolo Patto dell’Unione europea sulla democrazia, lo stato di diritto e i diritti fondamentali, che deve essere concordato tra il Parlamento, il Consiglio e la Commissione.

3.7.2.

Il Patto prevede un quadro di valutazione, una discussione interparlamentare annuale e «misure per rimediare ai rischi e alle violazioni possibili e per attivare il braccio preventivo o il braccio correttivo di cui all’articolo 7 del TUE».

3.7.3.

Il Parlamento propone di lanciare un semestre DSD (democrazia, Stato di diritto e diritti fondamentali) interistituzionale al fine di integrare il quadro per lo Stato di diritto della Commissione, il dialogo annuale sullo Stato di diritto del Consiglio e la discussione interparlamentare. Il semestre DSD sarà coadiuvato da una segreteria e da un gruppo di esperti, presieduto dal presidente del comitato scientifico dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (FRA), che elaborerà gli indicatori per valutare la situazione dei singoli Stati membri, e i progetti di raccomandazioni.

3.7.4.

Il ciclo politico DSD comprenderà le relazioni annuali della Commissione, del Consiglio e del Parlamento; sarà inoltre istituito un gruppo di lavoro interistituzionale sulla valutazione d’impatto.

Bruxelles, 19 ottobre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Articolo 6 del TUE.

(2)  Articolo 51 della Carta: «Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni, organi e organismi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione.»

(3)  La proposta di convenzione e i pareri del CESE non prevedevano i limiti decisi dal Consiglio europeo nell’articolo 51.

(4)  Come proposto dal Parlamento europeo nella sua risoluzione del 27 febbraio 2014 sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea (2012), P7_TA(2014)0173, relatore: Louis Michel, paragrafo 9.

(5)  Carrera, S., E. Guild e N. Hernanz (2013), The Triangular Relationship between Fundamental Rights, Democracy and the Rule of Law in the EU: Towards an EU Copenhagen Mechanism (La relazione triangolare tra diritti fondamentali, democrazia e Stato di diritto nell’UE: verso un meccanismo di Copenaghen), Paperback, Bruxelles: Centro per gli studi politici europei.

(6)  Designati da ciascuno Stato membro, dalla federazione All European Academies (ALLEA), dalla Rete europea delle istituzioni nazionali per i diritti umani (ENNHRI), dalla commissione di Venezia, dalla Commissione europea per l’efficienza della giustizia (CEPEJ), dalle Nazioni Unite e dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE).

(7)  Conclusioni del Consiglio europeo di Copenaghen del 21 e 22 giugno 1993.

(8)  Mentre nel diritto dell’UE la protezione dei diritti umani dispone di un meccanismo che consente ai singoli cittadini di difendere i loro diritti, l’articolo 7 del TUE costituisce un meccanismo giuridico e politico generale che è esplicitamente escluso dalla giurisdizione della Corte di giustizia.

(9)  L’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (FRA), la rete dei presidenti delle Corti supreme dell’Unione europea, il Consiglio d’Europa (commissione di Venezia), l’associazione dei Consigli di Stato e dei supremi organi giurisdizionali amministrativi dell’Unione europea e la Rete europea dei Consigli di giustizia.

(10)  Parere sulle modifiche alla legge del 25 giugno 2015 sul Tribunale costituzionale della Polonia, commissione di Venezia, 11 marzo 2016.

(11)  http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//NONSGML+COMPARL+PE-576.988+01+DOC+PDF+V0//IT


2.2.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 34/15


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulle «Osservazioni conclusive del comitato dell’ONU della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità — Una nuova strategia per le persone con disabilità nell’Unione europea»

(parere d’iniziativa)

(2017/C 034/03)

Relatore:

Ioannis VARDAKASTANIS

Consultazione

Comitato economico e sociale europeo, 21/01/2016

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

 

 

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

27/09/2016

Adozione in sessione plenaria

19/10/2016

Sessione plenaria n.

520

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

211/1/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

La ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (United Nations Convention on the Rights of Persons with Disabilities — UNCRPD) da parte dell’Unione europea rappresenta una tappa storica per i diritti delle persone con disabilità, per l’UE e per i suoi Stati membri. Con il riesame della situazione nell’UE svolto nel 2015 dal comitato dell’ONU della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (comitato CRPD) si è concluso il primo periodo di attuazione della Convenzione. Secondo le osservazioni conclusive del comitato CRPD (OC), le istituzioni dell’UE sono tenute a rispettare i loro obblighi poiché a esse spetta il compito di organizzare e coordinare l’attuazione della Convenzione sulla base delle stesse OC. Nelle OC si ribadisce che l’elaborazione delle politiche dell’UE in materia di disabilità richiede una trasformazione profonda del modo in cui dette politiche sono state realizzate fino ad oggi. Finora l’UE non ha effettivamente intrapreso un reale adattamento della sua politica a questa nuova trasformazione richiesta dalla CRPD.

1.2.

Il CESE invita le istituzioni dell’Unione a integrare le OC nella legislazione esistente e futura e nell’elaborazione delle politiche dell’UE, ed esorta la Commissione europea a riferire al comitato CRPD entro l’autunno del 2016.

1.3.

Il CESE ritiene che la Convenzione dell’ONU e le OC del relativo comitato rappresentino un’opportunità unica per la Commissione di presentare una strategia globale dell’UE sui diritti delle persone con disabilità. Le OC hanno creato una dinamica da cui le istituzioni dell’UE dovrebbero trarre vantaggio, e che dovrebbe portare all’inclusione sistematica dei diritti delle persone con disabilità in tutta la legislazione, nelle politiche e nei programmi dell’UE.

1.4.

Il CESE sottolinea che per integrare i diritti delle persone con disabilità, la Commissione deve procedere a un esercizio di mappatura trasversale e globale che interessi tutte le sue leggi, le sue politiche e i suoi programmi, al fine di garantire la piena armonizzazione con le disposizioni della CRPD e coinvolgere attivamente in tale processo le organizzazioni rappresentative delle persone con disabilità. Il suddetto esercizio dovrebbe essere corredato di un’analisi delle lacune volta a valutare le discrepanze tra la legislazione in vigore, l’attuale elaborazione delle politiche e l’integrazione dei diritti delle persone con disabilità, da un lato, e le disposizioni della CRPD, dall’altro. L’esercizio di mappatura e l’analisi delle lacune dovrebbero essere inclusi esplicitamente nella strategia europea sulla disabilità (SED) riveduta.

1.5.

Il CESE ricorda alla Commissione europea il suo obbligo a procedere immediatamente alla revisione e all’aggiornamento della dichiarazione sulle competenze e del relativo elenco degli atti. La Commissione dovrebbe inoltre assumersi di sua sponte l’impegno a riesaminare e rivedere la dichiarazione sulle competenze almeno una volta nel corso del suo mandato.

1.6.

Il CESE constata che la valutazione dell’UE è stata svolta dal comitato CRPD a metà del periodo di programmazione 2014-2020, e riconosce le difficoltà dell’UE nell’integrare la nuova agenda sui diritti delle persone con disabilità, basata sulle OC, nella revisione intermedia di strategie, politiche, programmi e strumenti di finanziamento. Raccomanda tuttavia alla Commissione di impegnarsi al massimo per integrare e includere le OC nei suddetti processi di revisione e di stanziare le risorse necessarie per adempiere agli obblighi che la Convenzione le assegna.

1.7.

La Convenzione prevede esplicitamente che le organizzazioni rappresentative delle persone con disabilità devono essere consultate e coinvolte nel processo di attuazione e monitoraggio della Convenzione stessa. Il CESE invita la Commissione a organizzare un dialogo strutturato reale e significativo con il movimento europeo dei disabili (a norma degli articoli 4, paragrafo 3, e 33, paragrafo 3). Inoltre, la Commissione dovrebbe stabilire un programma di sviluppo delle capacità per le organizzazioni rappresentative delle persone con disabilità per consentire loro di svolgere i propri compiti fondamentali.

1.8.

Il CESE attribuisce la massima importanza alla cooperazione e al partenariato tra le istituzioni dell’UE nell’attuazione della Convenzione dell’ONU, e pertanto raccomanda di istituire un meccanismo di coordinamento interistituzionale per facilitare la rapida e agevole attuazione delle OC e della Convenzione, ivi compresi la consultazione e il coinvolgimento delle succitate organizzazioni rappresentative.

1.9.

Le OC richiedono che la SED sia riesaminata e riveduta in profondità. Pertanto il CESE invita la Commissione a fare il punto degli sviluppi in materia di diritti delle persone con disabilità e ad ampliare la portata della SED introducendo un maggior numero di settori d’azione e collegandola al riesame e alla revisione delle politiche, dei programmi e degli strumenti di finanziamento (ad esempio, la strategia Europa 2020, la strategia per la parità di genere, la strategia in materia di diritti dei minori, gli impegni assunti nell’ambito dell’azione esterna), con un chiaro calendario di attuazione, una dotazione di bilancio e indicatori e parametri di riferimento specifici e precisi.

1.10.

L’UE si è impegnata ad attuare pienamente gli obiettivi di sviluppo sostenibile che figurano nell’Agenda 2030 dell’ONU e deve garantire di tenere pienamente conto delle OC e delle disposizioni della Convenzione, sia internamente che esternamente. Pertanto il CESE sollecita con forza la Commissione a includere l’attuazione dell’Agenda 2030 nella SED riveduta attraverso la definizione di obiettivi e azioni a livello europeo affinché il conseguimento di tutti gli obiettivi di sviluppo sostenibile all’interno dell’UE riguardi anche le persone con disabilità.

1.11.

Il CESE è fermamente convinto che l’UE dovrebbe evitare che i suoi finanziamenti siano impiegati per la realizzazione o la continuità di esercizio delle strutture di istituzionalizzazione. Il CESE sostiene pienamente l’uso dei finanziamenti dell’UE per creare servizi basati sulla comunità che consentano alle persone con disabilità di vivere in maniera indipendente nelle rispettive comunità. L’istituzionalizzazione delle persone con disabilità costituisce una violazione dei loro diritti, e il CESE esorta la Commissione a promuovere in modo più sistematico ed efficace la deistituzionalizzazione attraverso politiche, programmi e strumenti di finanziamento specifici.

1.12.

Il CESE invita la Commissione a procedere senza indugio alla ratifica del protocollo facoltativo alla Convenzione dell’ONU sui diritti delle persone con disabilità, del trattato di Marrakech e della Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa.

1.13.

Il CESE raccomanda caldamente alla Commissione di creare punti di contatto in tutte le proprie DG, agenzie e organi, coinvolgendo pienamente nel processo di elaborazione delle politiche le organizzazioni rappresentative delle persone con disabilità, al fine di creare strutture orizzontali e verticali che promuovano la piena inclusione e integrazione dei loro diritti nella legislazione, nelle politiche e nei programmi dell’UE.

1.14.

Il CESE ritiene che la Commissione europea dovrebbe avviare il processo in cooperazione con altre istituzioni, agenzie e organi dell’UE, per preparare con attenzione e sviluppare la nuova agenda globale per i diritti delle persone con disabilità 2020-2030, che dovrebbero essere pienamente integrati nelle strategie macroeconomiche e sociali globali (ad esempio la strategia Europa 2020 e i relativi meccanismi di attuazione), e raccomanda di istituire un gruppo di lavoro con la partecipazione di tutti i soggetti interessati e delle organizzazioni rappresentative per far avanzare e realizzare questa iniziativa. Il CESE propone che la Commissione provveda ad avviare l’attuazione della suddetta agenda globale con l’Anno europeo dei diritti delle persone con disabilità 2021.

1.15.

Il CESE prende atto delle iniziative positive della Commissione in materia di accessibilità, in particolare dell’accordo raggiunto nel quadro del trilogo riguardo alla direttiva sull’accessibilità dei siti web degli enti pubblici e della proposta della Commissione relativa all’Atto europeo sull’accessibilità, ed esorta le istituzioni dell’UE a concludere i negoziati in materia. Tuttavia, il CESE esprime preoccupazione per la direttiva in materia di parità di trattamento orizzontale e chiede che i relativi negoziati siano sbloccati e tengano conto, in questa nuova fase, delle OC e della Convenzione dell’ONU sui diritti delle persone con disabilità.

1.16.

Il CESE esorta tutte le istituzioni dell’UE a garantire che le misure di austerità non pregiudichino la capacità delle persone con disabilità di esercitare i loro diritti sanciti nella Convenzione dell’ONU, e invita pertanto la Commissione a creare i necessari livelli minimi di protezione sociale per conseguire questo obiettivo, nonché a rispettare il loro diritto a un tenore di vita adeguato e alla protezione sociale.

1.17.

Il CESE chiede alla Commissione e a Eurostat di sviluppare strumenti statistici per misurare l’impatto sulle persone con disabilità dell’attuazione della Convenzione dell’ONU, a livello europeo e nazionale. Ritiene inoltre che la raccolta di dati sulla base di un approccio alla disabilità ispirato ai diritti umani e disaggregati per disabilità, età e sesso avrà un’influenza positiva sull’elaborazione e l’attuazione della legislazione, delle politiche e dei programmi dell’UE.

1.18.

Il CESE riconosce che l’UE è dotata di competenze per accompagnare le misure nazionali volte a garantire che tutti i suoi cittadini siano uguali davanti alla legge e che, oltre a non essere privati della loro capacità giuridica e dei loro diritti, possano anche partecipare alle elezioni europee e a tutte le elezioni nell’intero territorio dell’Unione in condizioni di parità con gli altri cittadini. Invita pertanto la Commissione, e in particolare la DG Giustizia, ad adottare un programma basato sul metodo aperto di coordinamento per facilitare la convergenza degli Stati membri verso il principio dell’uguale riconoscimento dinanzi alla legge.

1.19.

Il CESE si impegna a dare l’esempio nell’attuazione degli obblighi specifici, evidenziati dal comitato CRPD, che devono essere rispettati dall’UE in quanto pubblica amministrazione, garantendo che le sue risorse umane, i diritti garantiti ai suoi membri e i suoi mezzi di comunicazione siano conformi alla CRPD.

2.   Introduzione

2.1.

Il CESE accoglie con favore le osservazioni conclusive (OC) del comitato CRPD (1) delle Nazioni Unite. Esse forniscono all’Unione europea un programma globale che può consentirle di modificare il proprio processo di elaborazione delle politiche adottando un approccio alle disabilità incentrato sulle persone e basato sui diritti umani.

2.2.

Il CESE ricorda che il progetto di proposta di direttiva sulla parità di trattamento è stato presentato dalla Commissione europea prima della conclusione della Convenzione dell’ONU sui diritti delle persone con disabilità. Inoltre, nel corso dei negoziati tra il Parlamento europeo e il Consiglio dell’UE sono stati gradualmente introdotti emendamenti che non sono conformi agli obblighi stabiliti nella Convenzione. Di conseguenza, il CESE invita la Commissione europea a presentare, nel quadro degli attuali negoziati interistituzionali, una proposta volta ad adeguare il progetto di direttiva per renderlo conforme alla Convenzione e, naturalmente, alle OC sul tema della disabilità, e per includere il divieto di discriminazione multipla e intersettoriale e di discriminazione per associazione.

2.3.

Il CESE sottolinea che le misure di austerità hanno avuto un impatto negativo sulle condizioni di vita delle persone con disabilità e delle loro famiglie. I livelli di povertà, esclusione, discriminazione e disuguaglianza sono aumentati a causa della crisi economica, che in molti Stati membri è diventata una vera e propria crisi dei diritti umani, privando un gran numero di persone con disabilità e le loro famiglie di qualsiasi protezione. Pertanto, il CESE invita l’UE a stabilire livelli minimi di protezione sociale al fine di tutelare i diritti delle persone con disabilità e garantire loro un tenore di vita adeguato e la protezione sociale. Tale meccanismo dovrebbe essere incluso nel processo del semestre europeo.

2.4.

Inoltre, il comitato CRPD dell’ONU ha raccomandato all’UE di adottare una strategia CRPD globale per tutte le sue istituzioni, con specifici stanziamenti di bilancio integrati nel quadro finanziario pluriennale. Il CESE considera pertanto necessario un incontro ad alto livello di tutti i principali leader delle istituzioni e degli organismi dell’UE per avviare il processo di preparazione e di adozione di un’agenda interistituzionale relativa alla Convenzione ONU in questione, con traguardi specifici da raggiungere e obiettivi da conseguire. La strategia globale dovrebbe stabilire le responsabilità di ogni istituzione dell’UE per quanto riguarda l’attuazione della CRPD.

2.5.

È necessario che l’UE avvii un dialogo strutturato reale e significativo con le organizzazioni europee rappresentative delle persone con disabilità, garantendo sia la loro capacità di partecipare in modo efficace e significativo all’elaborazione delle norme e delle politiche dell’UE che di realizzare in modo proattivo le proprie campagne di sensibilizzazione sui diritti delle persone con disabilità. Inoltre, l’UE deve fare in modo che dette organizzazioni abbiano la capacità finanziaria sufficiente per svolgere la loro attività, e pertanto occorre stabilire una linea di bilancio specifica per il rafforzamento delle loro capacità.

2.6.

L’integrazione e l’attuazione globale e trasversale delle disposizioni della Convenzione dell’ONU da parte dell’UE e lo sviluppo di una nuova agenda dell’UE per la Convenzione richiedono la creazione di un quadro partecipativo di governance e di partenariato attraverso il quale tutti gli attori e le parti interessate principali saranno in grado di partecipare pienamente all’elaborazione delle politiche con le istituzioni UE, in modo inclusivo.

2.7.

La Commissione europea dovrebbe procedere immediatamente e con urgenza a un esercizio di mappatura e a un’analisi delle lacune di tutte le politiche e i programmi dell’UE, sia interni che esterni, al fine di assicurarsi della loro conformità alle disposizioni della Convenzione. Devono inoltre essere conformi alle OC tutte le strategie e politiche globali dell’UE, ivi compresi la strategia Europa 2020 e il semestre europeo, il pilastro europeo dei diritti sociali, l’Agenda 2030 dell’ONU e gli strumenti di finanziamento come i fondi SIE.

2.8.

È di fondamentale importanza che l’attuazione delle OC da parte dell’UE sia affrontata al più alto livello politico. Più specificamente, la Commissione dovrebbe includere nel proprio programma di lavoro per il 2017 un’iniziativa politica specificamente dedicata a questo scopo. La piena integrazione delle OC nelle politiche e nei programmi dell’UE richiede che la Commissione elabori una strategia globale per la CRPD. Il CESE la invita pertanto ad avviare con urgenza il processo per realizzare tale strategia, con la piena consultazione e il coinvolgimento delle organizzazioni rappresentative delle persone con disabilità.

2.9.

Il 2021 segnerà il 10o anniversario della firma della Convenzione da parte dell’UE. Il CESE ritiene che tale anniversario costituirà un’ottima occasione per proclamare il secondo Anno europeo delle persone con disabilità. Il Comitato rileva infatti che il primo Anno europeo dedicato a questo tema è stato organizzato dalla Commissione europea nel 2003, e propone quindi alle istituzioni dell’UE di iniziare immediatamente i preparativi e di adottare le misure necessarie per dichiarare il 2021 secondo Anno europeo dei diritti delle persone con disabilità.

3.   Osservazioni conclusive: un’opportunità di realizzare un’UE più inclusiva per le persone con disabilità

3.1.    Principi e obblighi generali (articoli da 1 a 4)

3.1.1.

Pur avendo ratificato la CRPD, l’Unione europea non ha ancora dato il via a un riesame trasversale e completo della propria legislazione, né delle politiche e dei programmi di cui è responsabile. Il CESE invita la Commissione ad effettuare tale riesame con urgenza. Essa dovrebbe inoltre designare, in ciascuna delle sue direzioni generali, un punto di contatto per la Convenzione, responsabile di svolgere tale compito di revisione.

3.1.2.

Il CESE si rammarica che l’UE non abbia ancora ratificato il protocollo facoltativo alla Convenzione, e pertanto la esorta a provvedere senza ulteriori indugi, aprendo così la strada per consentire alle persone con disabilità di presentare una denuncia al comitato CRDP dell’ONU in caso di violazione dei loro diritti sanciti dalla Convenzione stessa.

3.1.3.

L’approccio alla disabilità basato sui diritti umani dovrebbe essere pienamente recepito e integrato nei processi di elaborazione della legislazione e delle politiche dell’UE. Il CESE invita i servizi giuridici delle istituzioni dell’UE a realizzare uno studio esaustivo sulle conseguenze della ratifica della Convenzione dell’ONU sui diritti delle persone con disabilità per l’ordinamento giuridico dell’UE, al fine di farne un quadro adeguato di elaborazione della legislazione e delle politiche. I servizi giuridici dell’UE non prendono sufficientemente in considerazione gli obblighi dell’Unione nei confronti della CRPD.

3.1.4.

Il CESE invita il segretario generale della Commissione a rivedere gli orientamenti per le valutazioni d’impatto e a modificarli per includere un elenco più esaustivo delle problematiche e degli interrogativi al fine di valutare meglio la conformità alla Convenzione.

3.1.5.

Il comitato CRPD delle Nazioni Unite ha chiesto all’UE di presentare, entro l’autunno 2016, una revisione della dichiarazione sulle competenze e dell’elenco degli atti, tenendo conto della visione globale adottata nell’osservazione conclusiva n. 17. La revisione della suddetta dichiarazione dovrebbe avere luogo almeno una volta per mandato.

3.2.    Diritti specifici (articoli da 5 a 30)

3.2.1.

La Commissione non ha messo in atto una strategia UE per l’uguaglianza e la non discriminazione delle persone con disabilità che sia conforme alle disposizioni della Convenzione dell’ONU e alle OC; pertanto il CESE invita la Commissione ad adottare misure immediate per quanto riguarda la direttiva in materia di parità di trattamento orizzontale (cfr. punto 2.2) e a procedere a un riesame della direttiva sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (2000/78/CE).

3.2.2.

La Commissione dovrebbe includere la prospettiva delle donne e delle ragazze con disabilità nella sua politica in materia di parità di genere, anche per quanto riguarda le attività di raccolta dati dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere. Inoltre, l’impegno strategico della Commissione per la parità tra donne e uomini 2016-2019 e il suo lavoro legislativo e politico sull’equilibrio tra vita professionale e vita privata dovrebbe integrare pienamente i diritti delle donne e delle ragazze con disabilità. Il CESE invita l’UE a ratificare in tempi brevi la convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa.

3.2.3.

L’UE dovrebbe includere e integrare nel nuovo programma UE per i diritti dei minori una strategia globale basata sui diritti per i giovani di entrambi i sessi con disabilità, e integrare i diritti dei minori con disabilità in tutte le politiche dell’UE in materia. I minori con disabilità e le loro famiglie dovrebbero inoltre essere coinvolti in tutte le decisioni dell’UE, in conformità con l’articolo 4, paragrafo 3, della Convenzione.

3.2.4.

L’UE dovrebbe inoltre prendere atto della situazione specifica dei giovani con disabilità e riconoscere che spesso essi subiscono molteplici forme di discriminazione nella loro vita quotidiana, in particolare per quanto riguarda le pari opportunità per i giovani nel mercato del lavoro e il coinvolgimento attivo dei giovani con disabilità nella società in senso lato. L’UE dovrebbe quindi svolgere una valutazione della situazione specifica dei giovani con disabilità sul suo territorio e proporre opportuni miglioramenti (2), e dovrebbe anche garantire l’integrazione di questa prospettiva nella prossima strategia dell’UE per la gioventù.

3.2.5.

L’UE dovrebbe organizzare e condurre una vasta campagna di sensibilizzazione alla Convenzione in cooperazione con i mezzi di comunicazione pubblici (compresi i social media) in modo da combattere i pregiudizi nei confronti delle persone con disabilità. È di fondamentale importanza che queste ultime partecipino direttamente a tale campagna, attraverso le loro organizzazioni rappresentative.

3.2.6.

L’UE deve promuovere, facilitare e finanziare la formazione per il personale dei trasporti e del turismo per quanto concerne la sensibilizzazione e l’uguaglianza nei confronti della disabilità, e incoraggiare la collaborazione e lo scambio di buone pratiche tra le organizzazioni europee che operano nel settore della disabilità e gli enti pubblici e privati responsabili dei trasporti. Tutti i materiali relativi allo sviluppo della capacità, alla formazione, alla sensibilizzazione e alle dichiarazioni pubbliche, tra gli altri, dovrebbero resi disponibili in formati accessibili.

3.2.7.

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione relativa all’Atto europeo sull’accessibilità, che deve essere pienamente conforme all’articolo 9 della Convenzione dell’ONU sui diritti delle persone con disabilità ed essere accompagnata da efficaci e accessibili i meccanismi di attuazione e di denuncia a livello nazionale. Esorta le istituzioni dell’UE a tenere conto delle conclusioni e delle raccomandazioni contenute nel parere del CESE in merito all’Atto (3) e a garantire la partecipazione delle persone con disabilità, attraverso le loro organizzazioni di rappresentanza, al processo di adozione.

3.2.8.

Il CESE accoglie con favore l’accordo interistituzionale nel quadro del trilogo sulla proposta di direttiva relativa all’accessibilità dei siti web degli enti pubblici; esorta le istituzioni a convertire tale accordo in una decisione e i governi nazionali a recepire con urgenza le disposizioni della proposta. Il CESE, inoltre, si compiace del fatto che numerose raccomandazioni adottate nel suddetto parere (4) siano state integrate nel testo finale della direttiva.

3.2.9.

L’UE non ha ancora sostanzialmente incluso misure sufficienti per le persone con disabilità nelle strategie in materia di riduzione del rischio di catastrofi. Il CESE chiede pertanto al Consiglio dell’UE di adottare un quadro per la riduzione del rischio di catastrofi per le persone con disabilità in Europa.

3.2.10.

L’UE dovrebbe mettere in atto tutte le misure necessarie per rendere accessibile a tutti il numero di emergenza 112. Il CESE sottolinea la necessità di adottare con urgenza misure altrettanto adeguate per garantire l’accessibilità ai punti di emergenza nazionali.

3.2.11.

Il CESE invita l’UE e gli Stati membri ad adottare, per quanto riguarda le persone con disabilità, un approccio alle politiche in materia di migrazione e di profughi/rifugiati basato sui diritti umani. Sottolinea inoltre che in alcuni paesi la disabilità può costituire molto spesso motivo di persecuzione e discriminazione e invita pertanto le autorità dell’UE a definire orientamenti e organizzare campagne d’informazione (accessibili alle persone con disabilità) per le proprie agenzie e per gli Stati membri in materia di disabilità, migrazione e asilo, nonché a integrare sistematicamente la disabilità nelle politiche europee in materia di migrazione e di profughi/rifugiati.

3.2.12.

L’UE dovrebbe far proprio un approccio alla disabilità fondato sui diritti umani in situazioni di rischio ed emergenza, adottando un piano d’attuazione conforme alle conclusioni del Consiglio del febbraio 2015 su una gestione delle catastrofi attenta alla disabilità e al quadro di Sendai. Occorre inoltre sensibilizzare l’opinione pubblica e fornire informazioni alle persone con disabilità e agli operatori dei servizi di soccorso e della protezione civile circa le iniziative per la riduzione del rischio di catastrofi.

3.2.13.

La Commissione dovrebbe svolgere un ruolo guida nel settore della giustizia e dei diritti umani per le persone con disabilità. Il CESE chiede alla DG Giustizia di organizzare un convegno con tutti i servizi giuridici dell’UE che consenta tra l’altro una riflessione sui diritti d’accesso alla giustizia delle persone con disabilità e sul modo in cui tali diritti sono collegati con altri diritti quali la capacità giuridica e l’eguale riconoscimento di fronte alla legge.

3.2.14.

La Commissione dovrebbe mettere a disposizione i fondi necessari per la formazione dei funzionari dell’UE e dei sistemi giudiziari nazionali sulla legislazione dell’UE e sulle disposizioni della CRPD. Inoltre, il CESE invita l’UE e i giudici nazionali ad applicare le proprie norme e istruzioni interne in modo tale da facilitare l’accesso alla giustizia per le persone con disabilità. Si dovrebbe tenere conto delle raccomandazioni generali del Comitato CRPD anche nell’amministrazione della giustizia, sia al livello dell’UE che a livello nazionale. Il CESE raccomanda inoltre che la DG Giustizia utilizzi il metodo aperto di coordinamento per realizzare un approccio equilibrato e coordinato da parte degli Stati membri a questo tema di grande importanza, gettando così le basi per una risposta europea alla questione dell’uguale riconoscimento dinanzi alla legge. La Commissione europea dovrebbe creare norme europee e promuovere l’analisi comparativa in materia di accesso alla giustizia.

3.2.15.

Il CESE invita le istituzioni dell’UE e gli Stati membri ad abolire le leggi discriminatorie sulla tutela, consentendo così a tutte le persone con disabilità di esercitare i loro diritti politici in condizioni di parità con gli altri. Osserva che è indispensabile adottare una flessibilità e un’accessibilità ragionevoli per quanto riguarda le procedure, le infrastrutture e i materiali elettorali.

3.2.16.

Purtroppo, un numero imprecisato di cittadini europei con disabilità è privato della libertà e della sicurezza e vive in condizioni di detenzione o è obbligato a subire trattamenti forzati, compresa la sterilizzazione forzata. Il CESE invita la Commissione ad adottare misure efficaci per porre fine a questa situazione insostenibile, a raccogliere, attraverso Eurostat, dati affidabili e a mettere a punto un meccanismo di valutazione efficiente.

3.2.17.

Il CESE invita l’UE a rivedere i suoi orientamenti etici in materia di ricerca, e in particolare a fornire esempi di buone pratiche mettendo a punto moduli per il consenso in formati accessibili e di facile lettura e ad evitare le decisioni surrogate in questo settore.

3.2.18.

L’UE dovrebbe adottare norme giuridiche per armonizzare la protezione e combattere la violenza, gli abusi e lo sfruttamento, e ratificare la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza domestica nei confronti delle donne (5). L’UE deve condurre un’azione politica e legislativa su scala europea contro le attività transfrontaliere nei paesi dell’UE che comportano il traffico di donne e bambini con disabilità, e invita l’UE a combattere la violenza nei confronti dei minori con disabilità attraverso misure specifiche e servizi di sostegno accessibili.

3.2.19.

L’iniziativa della Commissione sul pilastro europeo dei diritti sociali dovrebbe riconoscere pienamente e integrare le disposizioni della Convenzione e creare i necessari livelli minimi di protezione sociale e meccanismi efficaci per prevenire e alleviare la povertà, la vulnerabilità e l’esclusione sociale delle persone con disabilità e delle loro famiglie, con particolare riguardo per le donne, i minori e gli anziani con disabilità.

3.2.20.

È evidente la necessità di elaborare un sistema UE di coordinamento delle prestazioni di previdenza sociale, che preveda tra l’altro un quadro chiaro per la portabilità dei diritti, con un limite massimo di giorni per il completamento della procedura di riconoscimento della disabilità.

3.2.21.

L’UE dovrebbe elaborare e attuare la tanto attesa e auspicata strategia europea di deistituzionalizzazione (6) che dovrebbe in primo luogo comprendere un monitoraggio molto rigoroso dell’uso dei fondi SIE per garantire che siano utilizzati esclusivamente per lo sviluppo di servizi di sostegno che consentano alle persone con disabilità di vivere in maniera indipendente nelle comunità locali. Il CESE chiede inoltre di creare un Fondo europeo autonomo per la deistituzionalizzazione.

3.2.22.

Il CESE deplora che la Commissione non abbia ancora elaborato un’analisi dell’impatto dei fondi SIE sulle persone con disabilità, in linea con l’obbligo previsto dal regolamento del Fondo sociale europeo in materia di rendicontazione annuale sulle misure adottate nel settore della disabilità. Detta analisi dovrebbe includere il rafforzamento del monitoraggio realizzato dalla Commissione sull’uso dei fondi SIE in linea con la CRPD e, in consultazione con le organizzazioni rappresentative delle persone con disabilità, sulle procedure d’infrazione (sospensione, revoca e recupero) avviate dall’UE per il mancato rispetto delle condizionalità ex ante.

3.2.23.

È necessario dotare di maggiore efficacia gli organismi nazionali di applicazione: le loro competenze vanno armonizzate e rafforzate per agevolare l’applicazione dei diritti dei passeggeri in tutti i modi di trasporto, e occorre semplificare le procedure di reclamo. Inoltre, il CESE invita la Commissione a garantire libertà di viaggio per coloro che prestano cure o assistenza alle persone con disabilità in tutti i modi di trasporto, compreso il trasporto aereo, come già avviene a norma del regolamento n. 1371/2007 (7) e del regolamento n. 1177/2010 (8).

3.2.24.

La Commissione dovrebbe conferire riconoscimento ufficiale pieno e immediato alla lingua dei segni e al Braille, e intraprendere una valutazione dei propri canali di comunicazione e delle proprie procedure interne al fine di elaborare e presentare le informazioni in modo accessibile alle persone con disabilità. Tra queste modalità andrebbero inclusi diversi formati accessibili, come la lingua dei segni, il Braille e la comunicazione aumentativa ed alternativa, ivi compreso il formato di facile lettura. L’UE dovrebbe garantire che tutte le persone con disabilità, indipendentemente dalla loro capacità finanziaria, abbiano accesso a un’istruzione inclusiva.

3.2.25.

L’UE dovrebbe adottare un quadro di qualità obbligatorio e inclusivo per gli scambi in materia di istruzione, che stabilisca criteri minimi accessibili per garantire la mobilità di tutti gli studenti con disabilità, in particolare dei giovani, nell’UE a fini di istruzione secondaria e terziaria e di formazione professionale. Tutte le università partner del programma di scambi di studenti Erasmus dovrebbero prevedere strumenti per l’accessibilità ai programmi e alle strutture di istruzione al fine di garantire la piena partecipazione di tutti gli studenti con disabilità, in particolare dei giovani.

3.2.26.

L’UE dovrebbe ratificare il trattato di Marrakech dell’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (OMPI) e agevolarne e incoraggiarne la ratifica a livello nazionale da parte degli Stati membri, consentendo così la libera circolazione delle versioni accessibili di materiale stampato per le persone con disabilità visive o con difficoltà a leggere i testi stampati.

3.2.27.

Il CESE invita la Commissione a elaborare e attuare un’iniziativa specifica sull’attuazione dell’Agenda 2030 e degli obiettivi di sviluppo sostenibile per le persone con disabilità all’interno dell’UE, nonché nell’ambito delle sue politiche esterne, ivi compresi la cooperazione allo sviluppo e il commercio internazionale.

3.3.    Obblighi specifici (Articoli da 31 a 33)

3.3.1.

Il CESE esorta Eurostat a organizzare un convegno al fine di concordare un meccanismo unificato per gli istituti statistici di tutti gli Stati membri dell’UE, dando un seguito all’OC n. 71. Vi è la necessità di creare un meccanismo europeo per le statistiche in materia di diritti umani dei disabili, disaggregate per disabilità, sesso ed età, al fine di raccogliere informazioni operative per le politiche europee e nazionali destinate alle persone con disabilità.

3.3.2.

La Commissione dovrebbe integrare sistematicamente i diritti delle persone con disabilità in tutte le politiche e i programmi di cooperazione internazionale dell’UE. Il CESE plaude al progetto pilota dell’UE Bridging the gap («Colmare il divario») e chiede l’adozione di un programma di finanziamento dell’UE in materia di disabilità per i diritti delle persone con disabilità. Come già avviene in alcuni paesi europei, detto programma dovrebbe essere attuato in stretta collaborazione con le organizzazioni europee delle persone con disabilità, in quanto organismi intermedi responsabili di dirigere, gestire e definire le priorità politiche e di finanziamento. È importante garantire che i finanziamenti europei non siano assegnati a progetti che non rispettano le disposizioni della Convenzione.

3.3.3.

La Commissione deve conformarsi pienamente all’OC n. 75 istituendo punti di contatto in tutte le sue direzioni generali, agenzie e organismi. Tutti i suddetti punti di contatto dovrebbero riunirsi almeno tre volte all’anno, con la partecipazione attiva dei rappresentanti delle persone con disabilità. Il 3 dicembre di ogni anno, la Commissione dovrebbe presentare la sua relazione annuale sull’attuazione della Convenzione da parte dell’UE e degli Stati membri.

3.3.4.

Il CESE accoglie con favore la decisione della Commissione europea di ritirarsi dal quadro di monitoraggio indipendente, preparando il terreno per la creazione di un meccanismo realmente autonomo sotto il controllo di un organo di gestione composto dai membri del quadro indipendente. Tuttavia, affinché il quadro UE sia in grado di svolgere i suoi compiti in modo efficace, occorre assegnargli con urgenza sufficienti risorse finanziarie e umane.

3.4.    Conformità delle istituzioni dell’UE alla Convenzione (in quanto pubbliche amministrazioni)

3.4.1.

Vi è una evidente necessità che le istituzioni dell’UE rivedano le proprie politiche delle risorse umane e le allineino con le disposizioni della CRPD, al fine di garantire che le persone con disabilità e i lavoratori con familiari con disabilità possano usufruire di una ragionevole flessibilità e di un sostegno per riuscire a trovare un equilibrio adeguato tra vita professionale e obblighi familiari. Il CESE invita l’UE a rivedere il suo regime comune di assicurazione malattia, il sistema pensionistico e di sicurezza sociale connessa alla disabilità e le misure di protezione sociale al fine di garantire la non discriminazione e le pari opportunità per tutte le persone con disabilità, tra l’altro riconoscendo che le esigenze sanitarie legate alle disabilità sono da considerarsi distinte dalle malattie e promuovendo una vita e un’attività lavorativa indipendenti attraverso il rimborso integrale dei costi aggiuntivi dei materiali o dei servizi necessari.

3.4.2.

È fondamentale che tutte le istituzioni dell’UE intraprendano iniziative in modo proattivo per conformarsi alle disposizioni in materia di accessibilità della direttiva sull’accesso ai siti web degli enti pubblici fissando una scadenza concreta, in modo da dare un buon esempio in questo fondamentale settore dei diritti delle persone con disabilità.

3.4.3.

Il CESE invita la Commissione europea e il Consiglio superiore delle scuole europee ad adottare un piano e assegnare le necessarie risorse finanziarie e umane per lo sviluppo e l’attuazione nelle scuole europee di un sistema di istruzione di qualità e inclusivo a tutti i livelli, garantendo una ragionevole flessibilità, il sostegno e una politica di non respingimento per tutti gli studenti con disabilità nella scuola primaria e secondaria.

3.4.4.

Dato il basso livello di occupazione delle persone con disabilità nell’Unione europea, il CESE invita le istituzioni dell’UE a istituire un regime di occupazione basato sull’azione positiva (compresi concorsi specifici) al fine di aumentare il numero di persone con disabilità impiegate nei loro servizi, prevedendo la flessibilità e il sostegno necessari. L’attuazione di tale politica deve essere riveduta ogni due anni, al fine di valutare l’eventuale necessità di misure correttive.

3.4.5.

Il CESE invita le istituzioni, le agenzie e gli organi dell’UE a garantire che il vigente Statuto dei funzionari sia pienamente ed effettivamente attuato in conformità con la CRPD e che le regolamentazioni interne e le disposizioni di attuazione siano elaborate nel pieno rispetto delle disposizioni della Convenzione stessa.

3.4.6.

Il CESE si impegna a sviluppare una struttura per attuare le OC al suo interno, per quanto riguarda la politica in materia di risorse umane, i servizi di comunicazione con i cittadini e con i membri del CESE, oltre che la piena inclusione e uguaglianza dei membri del Comitato con disabilità. Si adopererà inoltre affinché ciò avvenga anche nei suoi rapporti con la comunità imprenditoriale, i sindacati e la società civile. Questa nuova politica sarà sviluppata in stretta collaborazione con il suo gruppo di studio permanente sui diritti delle persone con disabilità.

Bruxelles, 19 ottobre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.

(2)  GU C 181 del 21.6.2012, pag. 2.

(3)  Parere del CESE sul tema Atto europeo sull’accessibilità, GU C 303 del 19.8.2016, pag. 103.

(4)  GU C 271 del 19.9.2013, pag. 116.

(5)  Convenzioni del Consiglio d'Europa.

(6)  GU C 332 dell'8.10.2015, pag. 1.

(7)  GU L 315 del 3.12.2007, pag. 14.

(8)  GU L 334 del 17.12.2010, pag. 1.


2.2.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 34/24


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul «Ruolo ed effetti delle ITC e dei PPP nell’attuazione di Orizzonte 2020 per un cambiamento industriale sostenibile»

(parere d’iniziativa)

(2017/C 034/04)

Relatore:

Antonello PEZZINI

Correlatore:

Enrico GIBELLIERI

Decisione dell’Assemblea plenaria

21/01/2016

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

 

 

Organo competente

Commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI)

Adozione in commissione

28/09/2016

Adozione in sessione plenaria

19/10/2016

Sessione plenaria n.

520

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

212/1/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE ritiene che il partenariato pubblico-privato (1) in campo di ricerca e innovazione nelle sue varie tipologie costituisca una formula d’eccellenza e un potente strumento per affrontare le principali questioni che hanno un impatto sulla competitività dell’Europa e abbia la capacità di rispondere in modo efficace alle sfide socio-economiche, occupazionali e di sostenibilità ambientale.

1.2.

La R&I non è un processo lineare unidimensionale. Secondo il CESE la piena integrazione delle dimensioni tecnologiche, ambientali e sociali nei partenariati pubblico-privati di H2020 richiede una nuova impostazione basata su maggiore trasparenza sui risultati raggiunti e sull’impatto socio-economico ottenuto.

1.3.

Per il CESE, occorre assicurare nei partenariati una visione più ampia dell’innovazione, tenendo conto delle innovazioni nei servizi, delle innovazioni sociali, dell’upgrading necessario alle PMI e all’economia sociale per una loro maggiore integrazione lungo tutto il percorso di dimostrazione e sviluppo delle applicazioni.

1.4.

La legittimità sociale dell’innovazione dovrebbe essere favorita nelle ITC e nei PPPc, aumentando la partecipazione delle parti interessate economicamente più deboli (sindacati, PMI, ONG) nell’orientamento e programmazione strategica delle attività di R&I, in linea con le disposizioni del regolamento 2012/1025 sulla normalizzazione specie nelle strategie e selezione dei progetti e loro utilità sociale.

1.5.

Il CESE ritiene necessario intensificare l’orientamento al mercato dei PPP con attenzione mirata ad aspetti quali interoperabilità, standardizzazione, armonizzazione e trasferimenti transnazionali di tecnologia così da rendere i risultati sostenibili a livello di territorio e trasferibili in tutta l’UE.

1.6.

Per il CESE, è aupicabile che ITC e PPPc si attivino per:

rafforzare la coerenza con altri partenariati e iniziative, in un quadro di politiche concomitanti sempre più affollato;

allungare la catena del valore con un focus più centrato sul mercato e un ampliamento della partecipazione dal lato della domanda, sia per numero di utenti dei paesi partecipanti, sia con nuovi attori in tutta la catena del valore attraverso sinergie di interoperatività con altre iniziative;

dare più rilievo ad approcci multidisciplinari, impegnando nuove comunità di stakeholders soprattutto a livello locale di prossimità;

nelle ITC e nei PPPc dovrebbe essere favorita la partecipazione attiva delle PMI nel processo della innovazione ad una fase più iniziale in modo che loro formino pian piano un potenziale di R&D proprio.

1.7.

Il CESE raccomanda il varo di nuove misure innovative da parte di ITC e PPPc per interagire maggiormente con investitori di punta per la creazione di business-model innovativi e di profili professionali avanzati, per lo sviluppo di Forum che includano le parti sociali, per un sostegno più mirato allo sfruttamento rapido di mercato post-progetto.

1.8.

Il CESE ritiene importante rafforzare il monitoraggio su capacità e coerenza d’attuazione di ITC e PPPc con nuovi strumenti più flessibili e rispondenti a esigenze di mercato; approcci più dinamici alla garanzia qualità, tra cui un sistema completo di indicatori chiave dinamici di performance KPDI (key performance dynamic indicators), comparabili per le diverse iniziative, per permettere un Quadro di Valutazione Sinottica Annuale di tutte le ITC e PPPc da presentare alle istituzioni europee e nazionali e ai contribuenti europei.

1.9.

Il CESE chiede maggiori sforzi per assicurare coerenza interna tra obiettivi e priorità del PQ9 di R&IUE e le strategie di R&I di settore industriale espresse da ITC e PPPc in coordinamento con tutte le altre forme di partenariato per l’innovazione presenti in altre politiche regionali, nazionali e comunitarie.

1.10.

Il CESE propone il varo di un Consiglio europeo dell’Innovazione a forte componente industriale e sociale, con reti paneuropee di sostegno infrastrutturale all’innovazione, strumento utile per un più forte coordinamento delle iniziative anche con le linee d’azione delle altre organizzazioni di R&I europee e internazionali così come con i partenariati internazionali (2) similari.

1.11.

Il CESE sollecita autorità regionali e municipalità ad assegnare all’innovazione di ITC e PPPc pertinenti un’alta priorità durante la loro pianificazione e attuazione di misure, quali le strategie di specializzazione intelligente, i programmi operativi e di cooperazione per la politica di coesione, i programmi di ricerca e innovazione e di sviluppo di progetti di attuazione dei piani di adattamento ai cambiamenti climatici.

1.12.

Il CESE è convinto che investimenti strategici, intelligenti e tempestivi in soluzioni innovative adeguate, rispettose dell’ambiente e in infrastrutture verdi siano alla base della ripresa di un processo di reindustrializzazione sano ed efficace basato su ricerca e innovazione e sulle loro applicazioni di mercato.

1.13.

Il CESE sottolinea la necessità di «allineare i vari strumenti e i programmi di ricerca e innovazione in Europa» a quelli del prossimo PQ per «assicurare la continuità degli investimenti nei settori in cui l’Europa vanta una posizione di punta a livello mondiale» (3) basati su una prospettiva si stabilità, condizionata a verifiche di efficacia periodiche.

1.14.

Il CESE chiede a Commissione, Parlamento europeo e Consiglio una riflessione congiunta con l’obiettivo di organizzare, appena possibile, una conferenza interistituzionale sul ruolo dei partenariati tecnologici pubblico-privati nella reindustrializzazione europea, in vista del prossimo Programma Quadro di R&I dopo il 2020.

2.   Le ITC e i PPPc per Ricerca e Innovazione

2.1.

Le Iniziative Tecnologiche Congiunte-ITC sono partenariati pubblico-privato in aree chiave della R&I europea previsti con la decisione n. 1982/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (4). Già dal 7o programma quadro-PQ7 gli strumenti tradizionali si erano rivelati inadeguati per raggiungere gli obiettivi di maggiore e migliore competitività dell’economia europea. I partenariati industriali sono finalizzati alla R&I, con: obiettivi industriali di mercato ben individuati, migliore concentrazione di risorse finanziarie e umane, un effetto leva tale da dare una spinta decisiva per accelerare il trasferimento di scoperte scientifiche e tecnologiche in innovazioni di mercato.

2.2.

L’attuale PQ H2020 ha introdotto innovazioni sostanziali nella sua struttura lasciando più spazio a influenza e sinergie con l’industria e Stati membri, attraverso varie formule di PPP a sostegno dei settori che:

creano occupazione d’alta qualità;

rispondono meglio alle necessità di crescita sostenibile e competitiva;

hanno un impatto forte, innovativo e rapido sullo sviluppo dell’impresa europea, specie di quella minore e nascente (startup);

favoriscono nuovi profili professionali in un mondo in rapido cambiamento;

sono in grado di sviluppare azioni locali e regionali.

2.3.

Per supportare diversi tipi di partenariato, orientati al settore industriale, sostenuti da comunità scientifiche o guidati da autorità pubbliche, sono state varate varie iniziative.

2.4.

Le istituzioni UE hanno dato un sostegno importante alle piattaforme tecnologiche europee-PTE create su iniziativa industriale per definire con un processo bottom-up, obiettivi e priorità strategiche comuni.

2.5.

Le 38 PTE attuali — cui si aggiungono 3 iniziative trasversali — hanno una funzione strategica, di mobilitazione e diffusione. Per svolgere il loro ruolo, sono impegnate nelle seguenti attività principali:

sviluppo di programmi di R&I strategica, tra cui roadmap e piani attuativi;

partecipazione diretta dell’industria ai PQ, collaborando con reti nazionali;

promozione di attività di rete lungo tutta la catena del valore per sfide intersettoriali e modelli più aperti d’innovazione;

stimolo d’opportunità di cooperazione internazionale, come canali di programmazione H2020;

rafforzamento di PPP in seno al PQ e creazione di imprese comuni in ambito ITC per la gestione congiunta di interventi pubblici e privati.

2.6.

Le ITC uniscono: CE, Stati membri, mondo accademico e industria su settori scientifici e tecnologici di alto valore per la società, sostenendo, in particolare, ricerca e innovazione cooperative in Europa, dove siano chiaramente identificati obiettivi tecnologici ed economici comuni.

2.7.

L’obiettivo principale delle ITC è incrementare l’impatto degli investimenti pubblici e privati sulle attività di ricerca e consolidare lo Spazio europeo della ricerca e dell’innovazione, contribuendo a stimolare innovazioni scientifiche e tecnologiche di leadership nell’ambito della strategia Europa 2020.

2.8.

L’idea alla base delle ITC è quella di essere accessibile a nuovi partecipanti e in grado di comunicare con un vasto pubblico, di stimolare un effetto leva, con contributi economici europei, in una struttura chiara, in grado di incoraggiare industria, PMI, economia sociale e Stati membri ad aumentare la loro partecipazione e i loro investimenti.

2.9.

Le ITC sono nate in primo luogo dal lavoro delle Piattaforme tecnologiche europee  — sulle quali il CESE ha avuto modo di formulare un proprio parere d’iniziativa (5), in grado di delineare visioni congiunte e condivise dell’evoluzione dei settori individuando problematiche da risolvere.

2.10.

I criteri per l’identificazione di settori in cui è necessario creare una ITC sono stati individuati in: importanza strategica del settore e obiettivi chiari; alto valore aggiunto dell’azione a livello europeo; effetto leva per investimenti ingenti e di lungo periodo; risposte adeguate e rapide alle sfide di crescita, sostenibilità e clima.

2.11.

Per apprezzare l’intensità delle innovazioni non è sufficiente considerare solamente i fondi investiti, ma abbiamo bisogno di avere indicatori dei risultati economici e di mercato corrispondenti a questa spesa. I PPPc devono presentare relazioni annuali, riguardo a: attività svolte, incrementi effettivi di valore aggiunto europeo, efficacia degli strumenti finanziari innovativi d’effetto leva, raggiungimento quali-quantitativo degli obiettivi socio-economici secondo indicatori predefiniti.

2.12.

Lo scopo del presente parere è di evidenziare come la politica industriale e le trasformazioni industriali sono influenzate dalla partecipazione diretta dei settori industriali nella R&I finanziata dall’UE attraverso le formule di partenariati istituzionali-ITC e contrattuali-PPPc e formulare notazioni migliorative.

3.   Prospettive di sviluppo di ITC e PPPc per un cambiamento industriale sostenibile

3.1.

L’esperienza dei PQ di R&I UE ha mostrato difficoltà nel prendere in considerazione le reali necessità dell’industria europea, che troppo spesso rischiano di essere ignorate sia nella definizione degli obiettivi generali che nei programmi di lavoro, consolidando il paradosso europeo: un valore scientifico europeo elevato e una bassa e lenta capacità di trasformarlo in innovazione sul mercato rispetto ai suoi concorrenti mondiali.

3.2.

Il lavoro e l’azione delle piattaforme tecnologiche europee hanno progressivamente modificato quest’approccio. L’industria europea è riuscita a definire obiettivi e priorità dei maggiori settori manifatturieri, che sono stati, in gran parte, recepiti nella struttura e obiettivi di H2020.

3.3.

Da un approcio top-down si è passati ad un approccio bottom-up per coprire l’intero ciclo dell’innovazione e puntare a risultati a più elevato livello di maturità tecnologica (TRL) per realizzare nuove tecnologie di produzione, nuovi prodotti e nuove competenze.

3.4.

ITC e PPPc dovrebbero costituire strumenti chiave per assicurare un ruolo attivo dei settori industriali nella programmazione pluriennale e attuazione delle azioni comunitarie in H2020. Il settore privato è impegnato a investire circa 10 miliardi di EUR in iniziative tecnologiche congiunte per stimolare l’innovazione in sette settori, contribuendo ad invertire il ruolo in declino dell’industria manufatturiera europea.

4.   Osservazioni e rilievi sulle prossime sfide dell’Unione

4.1.

Il CESE è fermamente convinto che il partenariato nel campo della ricerca e innovazione nelle sue varie tipologie costituisca una formula d’eccellenza per lo sviluppo e un potente strumento per affrontare le principali questioni con impatto su competitività UE.

4.2.

Il CESE ritiene che ICT e PPPc rappresentino esperienze positive con la creazione di partenariati a livello europeo, se capaci di riunire su un arco pluriennale risorse UE e nazionali con risorse private, know-how, capacità di ricerca e innovazione, con obiettivi di condivisione delle conoscenze e diffusione d’innovazioni-chiave in settori decisivi di successo sul mercato globale.

4.3.

Secondo il CESE ITC e PPPc devono rispondere efficacemente alle loro responsabilità in termini di:

risultati economici;

ottimizzazione del valore economico-tecnologico-innovativo aggiunto europeo del settore;

capacità di sviluppare tecnologie competitive sul mercato;

effetto-leva finanziario maggiorato;

coinvolgimento ampliato delle PMI e dell’economia sociale e dell’utenza finale;

flessibilità e rapidità di trasferimento di risultati innovativi;

creazione di reti;

un chiaro ruolo rivolto alla reindustrializzazione dell’economia europea;

sfide di sostenibilità ambientale e climatica;

sostenibile zero-CO2 nella concezione di prodotti e processi;

sfide sociali e occupazionali;

coinvolgimento attivo del territorio.

Lo sviluppo di nuove tecnologie e d’innovazione realizzato dall’industria deve portare a formazione di qualità di risorse umane e nuove competenze professionali avanzate con una più stretta e sistematica associazione delle parti sociali e delle autorità locali nella definizione e applicazione delle linee strategiche di settore.

4.4.

Dagli ultimi rapporti pubblicati nel 2016 dalla CE (6), i risultati iniziali (7) d’indagini qualitative evidenziano che mentre H2020 sembra rispondere adeguatamente alla necessità di apertura ai PPP, queste formule non sembrano rispondere sempre appieno alle esigenze di apertura e stimolo alla partecipazione di new comers, mentre anche la loro capacità di sostenere occupazione, crescita, investimenti e sviluppi accelerati del mercato unico digitale non riscuote pieni consensi come invece la capacità di risposta alle sfide energetiche e climatiche.

4.5.

Parimenti le capacità da parte di ITC e PPPc di interagire con successo con altri strumenti finanziari comunitari come fondi strutturali e d’investimento europei-ESIF e Fondo europeo per gli investimenti strategici-EFSI è percepita come estremamente bassa, anche se alcune ITC hanno siglato protocolli in proposito. Il CESE ritiene importante che vengano avviate sinergie promuovendo la partecipazione di attori regionali e locali, facilitando l’allineamento a standard operativi comuni.

4.6.

Dato che il tasso di caduta delle proposte di progetto appare collocarsi da 7 a 1 in H2020 — in aumento rispetto al PQ7 dove si collocava da 5 a 1 — sarebbe opportuno riequilibrare il paniere degli esperti-valutatori indipendenti cui vengono sottoposti i progetti candidati che vede una partecipazione dell’industria nei primi bandi di PPPc di H2020 superiore al 50 %, mentre i panieri d’esperti-valutatori vedono più della metà provenire dal settore accademico di fronte a expertise del settore privato di poco superiori a un quinto.

4.7.

I quadri disponibili per gli ITC e i PPPc presentano importanti caratteristiche positive per la sostenibilità e la competitività dell’industria europea. Le attività sono state formulate dai partner privati attraverso un ampio processo aperto di consultazioni per l’elaborazione dei programmi di lavoro e relativi bandi di gara in risposta e in aderenza ai bisogni effettivi dell’industria, con tassi di mobilizzazione elevate e un forte effetto leva, da 3 a 9.

4.8.

Per quanto attiene al quadro «parziali bandi effettuati da ITC nel 2014» questa tipologia di partenariato deve chiarire maggiormente la sua formalizzazione istituzionale e i livelli di governance, rispondendo al contribuente europeo e alle istituzioni comunitarie.

4.9.

Secondo il CESE, ITC e PPPc devono rispondere, anche nei meccanismi di apertura e d’accesso partecipativo, a esigenze prioritarie coerenti con una forte politica di crescita con il pieno contributo delle parti sociali.

4.10.

Le ITC ed i PPPc stanno infatti partecipando a una gara a livello globale per essere primi nello sviluppo e commercializzazione di nuove tecnologie del futuro, e quindi richiedono lo sviluppo e l’implementazione di chiari obiettivi di strategia industriale:

flessibilità;

sistemi trasparenti ed efficaci di valutazione;

validi criteri d’eccellenza scientifico/tecnologica e di rilevanza industriale;

rispetto dei principi di sana gestione finanziaria;

capacità di coinvolgere in modo efficace le PMI;

sviluppo veloce di startup/spin-out.

4.11.

Il CESE sottolinea la necessità di coinvolgere tutti gli attori dei settori industriali chiave dello scenario europeo, sia per tipologia di settore merceologico sia per dimensione di impresa, sia dal lato delle risorse umane, della loro formazione e sviluppo e delle loro rappresentanze, per migliorare l’integrazione degli aspetti sociali e delle PMI e la partecipazione degli interessati nei progetti R&I.

4.12.

Al riguardo, il CESE ritiene importante introdurre appositi strumenti sociali e formativi e monitorare, attraverso indicatori chiave dinamici di prestazione (key performance dynamic indicators — KPDI), non solo i brevetti e le pubblicazioni scientifiche ottenute, ma anche e soprattutto l’evoluzione dell’impatto socio-economico e sulla formazione delle nuove figure professionali.

4.13.

Il CESE ritiene sia un fattore chiave, per il conseguimento degli obiettivi di crescita e occupazione della strategia Europa 2020, specie quello del 3 % degli investimenti in R&I, riuscire a mobilitare, con un forte effetto leva gli investimenti del settore privato, partendo dal finanziamento pubblico.

4.14.

Le attività d’innovazione a più alto TRL dovrebbero continuare a godere di piani di supporto agli investimenti, basati su prospettive di stabilità, legati a verifiche di efficacia periodiche e rivolti a infrastrutture e impianti industriali, sulla scia del Fondo europeo per gli investimenti strategici (EFSI) del presidente Junker.

4.15.

Per il CESE, sarebbe opportuno un maggiore coinvolgimento di attori provenienti dal settore industriale nei programmi di R&I e nei comitati di programma che costituiscono un fattore chiave per lo sviluppo di una diffusa partecipazione industriale di ciascuno Stato membro.

4.16.

Il CESE ritiene infine che Stati membri e CE debbano rivedere e armonizzare — ove possibile e opportuno — il quadro regolamentare industriale dei settori nei quali ITC e PPPc, che sono tenuti ad offrire una massimizzazione del valore aggiunto in termini di benefici ambientali, economici, sociali e occupazionali, modelli di business intelligenti e soluzioni in aree territoriali integrate, nuove competenze e innovazioni sociali (8).

4.17.

Maggiore coerenza e migliore coordinamento delle azioni di R&I con una visione complessiva UE nelle dimensioni interne e esterne devono contraddistinguere, a parere del CESE, lo sviluppo delle varie formule di partenariato R&I che si realizzano in molteplici politiche comunitarie anche al di là di H2020. La creazione di un Consiglio europeo dell’innovazione a forte componente industriale e sociale, accompagnato da reti paneuropee di sostegno infrastrutturale all’innovazione, potrebbe favorire un quadro più efficace.

4.18.

In vista del PQ9 (9) il CESE ritiene opportuna l’individuazione d’un quadro trasparente di valutazione quali-quantitativa del successo/insuccesso economico-innovativo, sociale ed ambientale, delle attività svolte da ITC e PPPc attuali integrando final users industriali e parti sociali e rappresentanti di PMI e società civile, per valutare priorità strategiche e ridisegnare i futuri partenariati su cui concentrare gli sforzi all’orizzonte 2030.

Bruxelles, 19 ottobre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Due sono le categorie del Partenariarto Pubblico Privato (PPP): gli ITC sono Iniziative Tecnologiche Congiunte previste dall’Art 187 del TFUE, con Regolamento di Impresa comune, i PPPc sono iniziative congiunte di tipo contrattuale, previste in Horizon 2020 con Memorandum di intenti

(2)  V. EU — EUROPEAN RESEARCH AREA & INNOVATION COMMITTEE Strategic Forum for International S&T Cooperation, Brussels Feb. 2015- ERAC-SFIC 1353/15

(3)  V. COM(2016) 5 final: «Alcune ITC hanno firmato protocolli d’intesa con le autorità di gestione dei fondi europei di sviluppo regionale istituendo in questo modo un quadro per una cooperazione strutturata».

(4)  GU L 412 del 30.12.2006, pag. 1.

(5)  GU C 299 del 4.10.2012, pag. 12.

(6)  V. SWD 2016/123 del 4.2016.

(7)  Un esame più completo potrà aversi dopo la pubblicazione del Rapporto ad interim nel 2017.

(8)  Cfr. ad esempio formule come quelle in essere in alcuni Stati membri in cui i partenariati industriali settoriali possono attivare direttamente le autorità pubbliche competenti per l’esame di ostacoli tecnico-normativi e barriere che si frappongono a una rapida traduzione di ritrovati tecnologici in innovazioni di mercato ai fini del loro abbattimento.

(9)  Cfr. parere INT/792 «Valutazione intermedia di Orizzonte 2020» (cfr. pag. 66 della presente Gazzetta ufficiale).


2.2.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 34/31


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Rafforzare l’industria europea dei prodotti per la cura della persona, dei prodotti per l’igiene corporale e dei prodotti di bellezza»

(parere d’iniziativa)

(2017/C 034/05)

Relatrice:

Madi SHARMA

Correlatore:

Dirk JARRÉ

Decisione dell’Assemblea plenaria

21/01/2016

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

 

 

Organo competente

Commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI)

Adozione in commissione

28/09/2016

Adozione in sessione plenaria

20/10/2016

Sessione plenaria n.

520

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

181/1/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni politiche

1.1.

L’Europa ha sempre avuto un ruolo chiave nella produzione, nell’innovazione e nello sviluppo di prodotti per la cura della persona, dei prodotti per l’igiene del corpo e dei prodotti di bellezza. La sua posizione di leadership in questo settore, tuttavia, è stata negli ultimi anni progressivamente erosa nel contesto della concorrenza globale e di condizioni che non tengono conto della pressione dell’innovazione tecnologica e della realtà commerciale sulla capacità di rimanere competitivi.

1.2.

Il presente parere esamina le possibilità di rafforzare l’industria europea dei prodotti per la cura della persona, dei prodotti per l’igiene corporale e dei prodotti di bellezza, in particolare quelli coperti dal regolamento (CE) n. 1223/2009 sui prodotti cosmetici. Si definisce «prodotto cosmetico» qualsiasi sostanza o miscela destinata a essere applicata sulle superfici esterne del corpo umano (epidermide, sistema pilifero e capelli, unghie, labbra, organi genitali esterni) oppure sui denti e sulle mucose della bocca allo scopo esclusivamente o prevalentemente di pulirli, profumarli, modificarne l’aspetto, proteggerli, mantenerli in buono stato o correggere gli odori corporei; una sostanza o miscela che è destinata a essere ingerita, inalata, iniettata o impiantata nel corpo umano non è considerata un prodotto cosmetico.

1.3.

I settori della carta igienica, dei prodotti di carta e dei prodotti igienico-sanitari non rientrano nell’ambito di applicazione del regolamento sui cosmetici, ma potrebbero essere presi in considerazione in molte delle raccomandazioni, dato il valore aggiunto di tali settori nell’igiene personale.

1.4.

Nel parere non sono inclusi i prodotti farmaceutici, i tatuaggi, la dermopigmentazione o trucco permanente, i servizi per le cure di bellezza, i prodotti somministrati attraverso interventi o strumenti di tipo chirurgico né i prodotti per l’epidermide degli animali. Tuttavia, a causa delle crescenti preoccupazioni da parte dei consumatori riguardanti le sostanze chimiche dannose, il CESE raccomanda che tutti questi prodotti formino oggetto di un documento a parte.

1.5.

È vero che le imprese specializzate europee dispongono di una notevole capacità innovativa, ma l’innovazione in quanto tale e, di conseguenza, la produzione e la commercializzazione di invenzioni dell’UE, si sono spostate verso altre parti del mondo, con gravi ripercussioni economiche e sociali. Creare un contesto che permetta di andare oltre Industria 4.0 (la 4a rivoluzione industriale), tenendo conto degli ultimi progressi biotecnologici mediante opportune strategie, consentirà di contribuire in modo significativo al ritorno della produzione industriale in Europa e allo sviluppo di nuovi prodotti (NPD).

1.6.

Il CESE, riconoscendo che la regolamentazione del settore è già adeguata a garantire la tutela e la sicurezza dei consumatori, formula le raccomandazioni specifiche che seguono; non si giudicano necessarie ulteriori normative, nondimeno si dovrebbe considerare l’opportunità di una maggiore trasparenza:

una maggiore convergenza tecnologica tra la bioingegneria, lo sviluppo della genomica, i prodotti farmaceutici, i dispositivi medici e il settore dei prodotti di bellezza e per la cura della persona,

una collaborazione più intensa tra grandi e piccole imprese nonché all’interno del settore della ricerca biotecnologica,

strategie per abbreviare il più possibile, per le PMI innovative, il periodo di sviluppo in cui non si produce reddito,

maggiori informazioni sul mercato e trasferimento di conoscenze tra i soggetti interessati per accrescere l’innovazione cosmetica e promuovere la personalizzazione,

migliori opportunità occupazionali nell’innovazione e nel settore NPD,

strategie di gestione delle risorse e dei rifiuti ai fini della sostenibilità ambientale e dell’economia circolare,

elevato grado di priorità della ricerca di alternative alla sperimentazione animale e accettazione a livello normativo di metodi alternativi riconosciuti validi,

diffusione delle disposizioni di tutela della biodiversità, rispetto della proprietà intellettuale delle popolazioni indigene ed osservanza dei principi del commercio equo e solidale,

nuovi approcci per il coinvolgimento dei gruppi di utilizzatori e consumatori, dalla fase NPD a quella della valutazione,

un riesame della cooperazione internazionale per migliorare l’accessibilità, l’armonizzazione e la promozione delle norme dell’UE a livello mondiale al fine di combattere la frode.

2.   Analisi dell’industria dei prodotti per la cura della persona

2.1.

I prodotti cosmetici e quelli per la cura della persona rappresentano beni essenziali di uso giornaliero per oltre 500 milioni di consumatori europei di tutte le fasce d’età. La gamma di tali prodotti spazia dai prodotti per l’igiene quotidiana, ad esempio saponi, shampoo, deodoranti e dentifrici, ai prodotti di bellezza di lusso, come i profumi o i prodotti per il trucco. Nel 2015 il settore ha prodotto un fatturato di 77 miliardi di euro ed è stato uno dei pochi comparti che non ha risentito della crisi finanziaria globale. L’Europa è leader mondiale in questo ambito ed è uno dei principali esportatori di prodotti cosmetici. Nel 2015 il commercio con i paesi extraeuropei ha raggiunto 17,2 miliardi di euro.

2.2.

Dato l’elevato grado di concorrenza nel settore, la riconoscibilità del marchio è importante nell’industria cosmetica. La fedeltà dei clienti si basa su una pubblicità affidabile, sulla qualità, sulla sicurezza e sull’NPD, una situazione più o meno analoga a quella esistente nel settore della moda, con tendenze che mutano secondo ritmi stagionali.

2.3.

Il settore è composto da imprese di tutte le dimensioni e in Europa le PMI del settore cosmetico sono più di 4 600. Si stima che il segmento PMI rappresenti il 30 % del mercato, ma che in alcuni Stati membri dell’UE questa cifra possa arrivare fino al 98 %. Il portafoglio di prodotti varia da 20 000 e più prodotti per le grandi imprese a circa 160 per le imprese più piccole. Un grosso fabbricante di prodotti cosmetici dispone di un portafoglio di circa 2 000 ingredienti, che si riducono a 600 per le PMI; ciascun fabbricante aggiunge un 4 % circa di nuovi ingredienti ogni anno. Questi nuovi ingredienti hanno un notevole effetto in termini di redditività e di crescita.

2.4.

Almeno 2 milioni di persone sono occupate in tutta la catena del valore sul territorio europeo, dalla fabbricazione alla vendita al dettaglio. Nel 2015 la fabbricazione occupava da sola circa 152 000 lavoratori (1), con una presenza femminile (56 %) leggermente superiore a quella maschile (44 %). Negli ultimi cinque anni, l’occupazione diretta e indiretta nel settore è aumentata del 2,3 %, il che equivale a più di 39 000 posti di lavoro (2).

2.5.

Nel 2015 la spesa nel campo della ricerca e sviluppo è stata di circa 1,27 miliardi di euro, con forti variazioni da un paese all’altro. Il settore dà lavoro a più di 26 000 ricercatori che operano in nuovi ambiti scientifici, lavorano con nuovi ingredienti, elaborano formule ed effettuano valutazioni di sicurezza, generando ogni anno un numero impressionante di brevetti nell’UE.

2.6.

L’industria della carta europea, in particolare quella dei prodotti di carta, ha un fatturato di oltre 10 miliardi di euro ogni anno e rappresenta il 25 % del mercato dei prodotti di carta a livello globale. L’accresciuto uso di prodotti di carta di qualità, come salviette di carta, fazzoletti, carta igienica ecc., è un elemento importante di una migliore qualità di vita e di migliori condizioni igieniche generali sia nell’ambito domestico che fuori di esso e, di conseguenza, esso contribuisce in modo significativo al settore della cura della persona.

2.7.

Al settore europeo dei prodotti cosmetici si dà atto della sua posizione di guida nella messa al bando totale delle sperimentazioni sugli animali e, contemporaneamente, del suo persistente impegno nella promozione dell’innovazione e della competitività. Oggi il mercato dei cosmetici è guidato in pari misura dalla sicurezza e dall’innovazione, con nuove gamme cromatiche, trattamenti dermatologici specifici, prodotti antinvecchiamento e formule uniche. I consumatori chiedono costantemente una scelta più ampia, prodotti sempre più personalizzati e anche una maggiore efficacia. Per dare una risposta più adeguata alle preferenze e alle aspettative dei clienti, gruppi e organizzazioni di consumatori vengono regolarmente coinvolti nelle primissime fasi di sviluppo.

3.   Legislazione dell’UE

3.1.

Il controllo degli ingredienti e dei criteri di sperimentazione, tra cui il divieto di sperimentazione animale, la protezione ambientale e l’etichettatura, sono tutti soggetti alla legislazione e alle linee guida dell’UE. Il quadro normativo in materia di accesso al mercato, le relazioni commerciali internazionali e la convergenza regolamentare sono tutti sottoposti al controllo della Commissione europea.

3.2.

Il regolamento (CE) n. 1223/2009 sui prodotti cosmetici è in vigore dal 2013 e sostituisce la direttiva 76/768/CEE, adottata nel 1976. Il suo obiettivo è armonizzare le norme volte a creare un mercato interno dei prodotti cosmetici e a garantire un livello elevato di protezione della salute umana.

3.3.

Indipendentemente dai processi di produzione o dai canali di distribuzione, i prodotti cosmetici immessi nel mercato dell’UE devono essere prodotti sicuri. Il regolamento sui prodotti cosmetici (inclusi gli allegati) e le relative modifiche stabiliscono i requisiti e le restrizioni di legge per tutte le sostanze usate nei prodotti cosmetici. La «persona responsabile» di un prodotto cosmetico è tenuta a garantirne la sicurezza e, prima della vendita, si assicura che il prodotto sia sottoposto a una valutazione scientifica della sicurezza condotta da esperti del settore. Una banca dati chiamata CosIng che contiene informazioni sulle sostanze e sugli ingredienti utilizzati nei prodotti cosmetici consente di accedere facilmente a questi dati. Garantire un elevato livello di protezione della salute umana e di sicurezza dei consumatori significa anche che i comitati scientifici responsabili dovrebbero considerare con particolare attenzione i rischi potenziali per la salute di determinate categorie professionali (ad esempio parrucchieri ed estetisti) che, nell’esercizio delle loro attività, utilizzano prodotti cosmetici quotidianamente e sono pertanto maggiormente esposte a tali prodotti rispetto al pubblico in generale.

4.   Strategie per la crescita del settore

4.1.

Per rimanere competitivi, i fabbricanti sono costantemente impegnati nell’innovazione per scoprire nuovi ingredienti, nell’utilizzo di quelli esistenti in nuove applicazioni e nella creazione di prodotti più personalizzati. Non possono tuttavia lavorare in isolamento e quindi la Commissione europea, i governi e le parti interessate nazionali, specie i rappresentanti dei consumatori e dei lavoratori, devono lavorare insieme per creare un contesto propizio alla crescita.

4.2.

Il CESE riconosce che le sfide principali per la crescita del settore sono comparabili a quelle di tutti i settori industriali, e formula le seguenti raccomandazioni destinate specificamente al comparto dei prodotti per la cura della persona e dei prodotti cosmetici:

4.2.1.

una maggiore convergenza del settore della bioingegneria, ivi compreso tra la ricerca sul genoma e il settore dei prodotti di bellezza e per la cura della persona, sosterrebbe meglio la diversificazione dei prodotti. La pelle è l’organo più grande del corpo umano, ma la distinzione tra le applicazioni dermatologiche dei cosmetici e i trattamenti con prodotti medici tende a sparire. Devono essere presi in considerazione taluni effetti, come le irritazioni, le allergie e i tumori della pelle. Iniziative come EIT Health  (3) che coprono aree essenziali della sanità come i prodotti farmaceutici, le tecnologie mediche, le biotecnologie e la salute digitale sono buoni esempi di collaborazione. I prodotti cosmetici consentono una maggiore igiene personale e apportano benefici in termini di benessere e/o fattori legati allo stile di vita (effetti positivi non riconosciuti dai regolamenti, come ad esempio la riduzione dello stress, l’aumento della fiducia in sé stessi o il miglioramento del sonno). Pur non essendo prodotti medicinali, i cosmetici sono basati su conoscenze scientifiche sofisticate della pelle e della sua funzione. Lo sviluppo di cosmetici può pertanto trarre vantaggio dai progressi in altri campi delle scienze biologiche, in particolare dall’industria farmaceutica. Si dovrebbe incoraggiare la collaborazione in materia di ricerca a focalizzarsi sulla personalizzazione, considerando stili di vita e prodotti di benessere su misura.

4.2.2.

Una migliore collaborazione tra aziende grandi e quelle di minori dimensioni, parallelamente allo sviluppo di incubatori specifici per settore (4) o di cluster, potrebbero aumentare la competitività e favorire la crescita. Prima di essere immessi sul mercato, tutti i prodotti cosmetici sono soggetti a una valutazione scientifica sulla sicurezza da parte di esperti, il che può comportare limitazioni, sotto il profilo amministrativo e finanziario, per le imprese più piccole. Sebbene sia essenziale mantenere le valutazioni di sicurezza, le aziende più piccole innovative dovrebbero ricorrere ad una serie di misure di sostegno alle imprese che potrebbero aiutarle durante il periodo di sviluppo tra il processo d’innovazione e NPD e la commercializzazione riuscita del prodotto finale, riducendo così il rischio di fallimento. Tra tali misure si conterebbero la migliore condivisione di informazioni, attraverso il trasferimento di tecnologia e conoscenza, la cooperazione per le opportunità d’investimento, l’analisi della riduzione dei costi e l’accessibilità a flussi di finanziamento (5). In aggiunta, i governi dovrebbero modificare il loro atteggiamento in materia di fabbricazione dei prodotti, sostenendo la produzione locale e la creazione di posti di lavoro in Europa.

4.2.3.

Maggiori informazioni sul mercato e una più ampia messa a disposizione di dati da parte del mondo accademico, delle imprese e dei consumatori promuoveranno la crescita grazie a un trasferimento della conoscenza. Nel campo della cura della persona, la tendenza attuale è verso prodotti biologici, naturali, protettori solari UVB e UVA, cosmetici per controllare o ritardare il processo d’invecchiamento, un fenomeno questo che estende la sfera dell’innovazione. L’innovazione applicata ai prodotti per la menopausa e a quelli contro l’invecchiamento offre un campo di sviluppo nel segmento dei prodotti di bellezza, destinando a un numero notevole di persone prodotti che le aiutino a curare il loro aspetto e a sentirsi al meglio della forma. Con i progressi scientifici e tecnologici nel sequenziamento del genoma umano e con la sempre maggiore comprensione delle sue diverse funzioni e della sua assoluta individualità, il futuro dell’industria cosmetica sta nella personalizzazione estremamente spinta dei prodotti. La ricerca e gli investimenti in questo tipo di approccio, in cooperazione con la professione medica e con il mondo accademico, costituiscono un fattore cruciale per il settore.

4.2.4.

Promozione di una maggiore partecipazione dei lavoratori: i lavoratori sono in prima linea nell’innovazione di prodotto, in quanto hanno una visione d’insieme del settore dalla fase di sviluppo alla reazione dei consumatori. Per questo una maggiore consultazione, compresa la promozione dell’intrapreneurship (imprenditorialità all’interno dell’impresa), potrebbe sostenere la crescita dell’azienda. Il settore presenta una vasta gamma di opportunità di lavoro e risulterà più attraente grazie a una migliore comunicazione che evidenzi le specializzazioni e le competenze richieste per lo sviluppo attuale e futuro. Oltre 514 000 studiosi di scienze biologiche sono impegnati in Europa (6) nella creazione di nuove ricerche e opportunità per una maggiore collaborazione trasversale tra i settori. Ancora una volta, una maggiore collaborazione tra il mondo accademico e l’industria aiuterebbe ad attirare un ventaglio più ampio di lavoratori.

4.2.5.

Misure per la ricerca e lo sviluppo: investimenti, spesa per le attività di R&S e infine misure di sicurezza sono necessarie per sostenere la crescita. Si potrebbero prendere in considerazione meccanismi di finanziamento, pubblici e privati, per le attività di R&S, le registrazioni di brevetti e l’NPD nel settore manifatturiero dell’UE.

4.2.6.

Le violazioni nel campo dei brevetti e la contraffazione delle merci rappresentano un grave pericolo per la redditività delle imprese dell’UE, siano esse grandi o piccole, e per la salute dei consumatori. Nel 2006 la contraffazione di profumi e cosmetici è costata all’Unione 3 miliardi di euro in minori guadagni. Una maggiore protezione della proprietà intellettuale per i marchi potrebbe essere garantita se nell’etichetta del prodotto fosse inserito anche il nome del paese di fabbricazione.

4.2.7.

Impegno a favore di una regolamentazione «basata sul rischio»: attualmente le sostanze non sono regolamentate in funzione delle loro proprietà intrinseche (ad esempio irritanti), ma in riferimento al concreto manifestarsi dell’effetto di tali proprietà nelle reali condizioni d’uso (ad esempio, quando la sostanza è utilizzata in una concentrazione al di sotto della soglia di irritabilità). Tale impostazione è possibile in quanto l’uso dei prodotti cosmetici è ben definito ed è possibile condurre una valutazione completa dei rischi. La situazione è diversa da quella concernente la regolamentazione sulle sostanze chimiche (il cui uso non è definito a priori), settore nel quale è il «pericolo» dovuto alle proprietà intrinseche ad orientare la normativa. Per garantire in futuro la capacità dell’industria di innovarsi e di crescere, è fondamentale mantenere, nella legislazione e nella politica dell’UE, una distinzione adeguata tra i pericoli e i rischi.

4.2.8.

Promozione d’ingredienti specifici di un determinato territorio: facilitare la ricerca e la certificazione dei prodotti naturali specifici di una regione attraverso il marchio di Indicazione geografica protetta (7) (ad esempio l’helycrysum della Corsica) permetterebbe di promuovere i prodotti regionali dell’UE aumentando l’attenzione per materie prime e prodotti artigianali locali. Attualmente i costi per la tracciabilità isotopica o l’analisi di laboratorio dei prodotti naturali risultano proibitivi per gli imprenditori e le PMI.

4.2.9.

Divieto di sperimentazioni sugli animali: il regolamento sui prodotti cosmetici ha introdotto una serie di divieti nel campo della sperimentazione (divieto di sperimentare prodotti cosmetici finiti e ingredienti cosmetici sugli animali) e della commercializzazione (divieto di collocare sul mercato dell’UE prodotti cosmetici finiti e ingredienti cosmetici che siano stati testati su animali). Non vi è alcuna intenzione di abolire tali divieti, ma i fabbricanti che desiderano innovare, sviluppare nuovi prodotti ed esportarli devono far fronte alle seguenti sfide:

riconoscimento a livello normativo di metodi alternativi validati: in diversi ambiti della sperimentazione per motivi di sicurezza, è stato possibile elaborare con successo metodi e strategie, poi riconosciuti e accettati dall’OCSE, senza il coinvolgimento di animali. Questi metodi consentono di prevedere con esattezza le complesse reazioni di un sistema biologico, in particolare per quanto concerne la sperimentazione di prodotti cosmetici finiti e per alcuni endpoint di tossicità (parametri che esprimono l’intensità dell’effetto) in relazione alla sperimentazione di ingredienti. È inoltre possibile sostituire talune informazioni mancanti in materia di sicurezza tramite riferimenti incrociati ad ingredienti di tipo chimico già conosciuti oppure attraverso l’applicazione di una soglia di rischio tossicologico. L’accettazione di tali metodi validati da parte dalle autorità di regolamentazione è essenziale affinché l’industria possa avanzare verso un mondo innovativo e senza sperimentazione sugli animali,

R&S per migliorare la valutazione di sicurezza degli ingredienti e dei prodotti: in assenza di sperimentazione sugli animali non è ancora disponibile una serie completa di test in vitro per valutare la sicurezza di nuove molecole, come ad esempio quelle dei protettori solari. La ricerca per sviluppare approcci alla valutazione di sicurezza senza coinvolgimento di animali dovrebbe essere sostenuta sia dal settore privato che da quello pubblico. La R&S diretta a comprendere la biologia dermatologica per sviluppare prodotti che prevengano/riducano i tumori della pelle costituisce una priorità alla luce dei casi di melanoma tuttora in aumento,

esportazioni: molti dei paesi di esportazione dei prodotti cosmetici europei richiedono la sperimentazione su animali per garantire la sicurezza dei consumatori. Questo determina requisiti normativi in conflitto tra loro e sfide significative per l’industria. È opportuno negoziare accordi a livello globale su questo aspetto.

4.2.10.

Gestione delle risorse e dei rifiuti: la crescita della popolazione, l’aumento dei consumi e l’esaurimento delle risorse, in particolare dell’acqua, costituiscono un problema per i consumatori e l’industria in riferimento al consumo sostenibile e alla responsabilità sociale delle imprese. La fabbricazione di prodotti compatibili con l’ambiente, attenta alla gestione delle risorse e dei rifiuti, è una priorità del settore. Il pacchetto «Economia circolare» della Commissione e le Guidelines for Cosmetic Companies, especially SMEs (Linee guida per le imprese produttrici di cosmetici, in particolare le PMI) elaborate da Cosmetics Europe nel 2012 sono documenti preziosi, ma occorre fare ben di più, dal momento che restano ancora alcune importanti sfide da affrontare. Per questo settore, la salvaguardia delle risorse comporta necessariamente la tutela della biodiversità in quanto bene comune per le generazioni presenti e future. La ricerca di nuovi prodotti non può andare a scapito delle popolazioni indigene e delle creazioni intellettuali da loro prodotte. È quindi non solo utile, ma, anzi, estremamente necessario diffondere tra le imprese del settore i principi del commercio equo e solidale e i codici di condotta ambientale. Non meno importante è l’atteggiamento dei consumatori, i quali non dovrebbero accettare di acquistare prodotti fabbricati in modo contrario ai principi dello sviluppo sostenibile.

4.2.11.

Maggiore trasparenza: il monitoraggio del mercato è essenziale per garantire la protezione dei consumatori. Un’accresciuta collaborazione tra le autorità nazionali di protezione dei consumatori, le organizzazioni dei consumatori, gli utilizzatori e gli operatori sanitari a livello nazionale aumenterebbe la fiducia dei consumatori e la trasparenza. Le consultazioni con le parti interessate dovrebbero svolgersi durante tutto il processo di sviluppo e innovazione del prodotto. La notifica dei prodotti al sistema di allerta rapida dà la facoltà ai consumatori di chiedere una sicurezza più adeguata in tutta la catena di approvvigionamento, ma essi insistono sul fatto che la notifica di rischi gravi dovrebbe avvenire il prima possibile. Sostengono che un aumento della trasparenza è necessario per i seguenti motivi:

assicurare un rispetto più rigoroso della legislazione esistente e una valutazione di sicurezza più chiara, per mantenere la fiducia dei consumatori nella sicurezza dei prodotti, innalzando nel contempo i livelli di osservanza del regolamento sui prodotti cosmetici: ciò richiede tra l’altro un’etichettatura più completa e leggibile sulle modalità d’uso dei prodotti e la loro funzione,

è necessaria maggiore trasparenza in materia di pubblicità per quanto riguarda le pagine pubblicitarie, sotto forma di articoli in giornali e riviste, e la promozione dei prodotti, per evitare di fuorviare i consumatori. La pubblicità ha costi proibitivi per le imprese di dimensioni più piccole. Il materiale pubblicitario pagato deve essere chiaramente indicato, compresi i confronti fra prodotti che, pur avendo un marchio diverso, a volte vengono fabbricati dalla stessa impresa,

il regolamento sui prodotti cosmetici non stabilisce regole specifiche per i prodotti bio. Non esistono attualmente norme armonizzate dell’UE che stabiliscano criteri per i cosmetici bio e ciò fa sì che prodotti con bassi livelli di ingredienti bio possano rivendicare credenziali «bio». I consumatori potrebbero essere indotti in errore e l’industria cosmetica dell’UE rischia di danneggiare la sua reputazione di affidabilità se non si applicano linee guida specifiche.

4.2.12.

Le opportunità nei nuovi mercati, compresi quelli orientati verso un cambiamento delle abitudini di acquisto dei consumatori, come il commercio elettronico e le vendite dirette, offrono nuovi modelli commerciali al pari degli scambi transfrontalieri. Le conclusioni iniziali di un’indagine settoriale sul commercio elettronico hanno permesso di stabilire che nel settore cosmetico e sanitario dell’UE metà delle imprese intervistate non aveva venduto prodotti al di là delle frontiere. Le aziende cosmetiche, pur adeguandosi all’era digitale, continuano a essere limitate da requisiti normativi che sono spesso specifici ai singoli paesi: etichettatura nella lingua nazionale, leggi sulla sperimentazione sugli animali, requisiti di cosmetovigilanza.

4.2.13.

Barriere commerciali: pur avendo l’UE un consistente avanzo commerciale nei prodotti cosmetici, la Commissione europea dovrebbe continuare a insistere a favore della convergenza in sedi quali l’International Cooperation on Cosmetics Regulation (ICCR — Cooperazione internazionale sulla regolamentazione dei cosmetici) e nei negoziati commerciali in cui la regolamentazione dell’UE diventa lo standard internazionale. Il regolamento UE sui prodotti cosmetici resta il modello cui si ispirano le regole per la sicurezza dei consumatori nelle regioni emergenti (ASEAN, Russia, America Latina, Cina). Tutto questo dà all’industria e alle autorità di regolamentazione dell’UE la possibilità di contribuire a creare, nei principali mercati di esportazione, sistemi normativi altamente compatibili con il sistema UE.

È necessario un sostegno per l’armonizzazione allo scopo di aumentare gli scambi nel mercato interno. Gli ostacoli al commercio nell’UE sono aggravati dalla mancanza di un’unica amministrazione doganale. In ciascuno Stato membro dell’UE esiste un apposito organismo competente per la legislazione doganale dell’UE, amministrato in modo non uniforme rispetto agli altri paesi. Le norme dell’UE in materia di classificazione, valutazione, origine e procedure doganali sono spesso applicate in modo differente nei singoli Stati membri, con aliquote IVA di diverso livello.

La lotta contro le frodi, la contraffazione e la falsificazione dei prodotti importati e di quelli commercializzati all’interno dell’UE rappresenta un problema grave. I paesi dell’UE devono cooperare, scambiarsi informazioni e rispondere più rapidamente agli effetti gravi indesiderati connessi all’uso di prodotti cosmetici. L’aumento del numero di prodotti fraudolenti e adulterati, causato in parte dall’incremento delle importazioni, insieme con la penuria di risorse disponibili negli Stati membri per monitorare i prodotti, implica maggiori rischi per la salute dei consumatori.

Quello sui prodotti cosmetici è stato uno dei capitoli più problematici nell’ambito del dibattito sul Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP). Dal TTIP e da altri accordi commerciali potrebbe derivare un uso più esteso degli standard dell’UE, promuovendo così la credibilità e la fiducia nelle marche di prodotti fabbricati nell’UE e consentendo alle aziende dell’Unione di accedere a un numero maggiore di consumatori.

Bruxelles, 20 ottobre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Eurostat.

(2)  Fonte: Cosmetics Europe.

(3)  www.eithealth.eu

(4)  http://www.biocity.co.uk/medicity/nottingham

(5)  GU C 13 del 15.1.2016, pag. 152.

(6)  Euromonitor International.

(7)  http://ec.europa.eu/agriculture/quality/schemes/index_en.htm


2.2.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 34/38


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «La demolizione navale e la società del riciclaggio»

(parere d'iniziativa)

(2017/C 034/06)

Relatore:

Martin SIECKER

Correlatore:

Richard ADAMS

Decisione dell’Assemblea plenaria

21/01/2016

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

 

 

Organo competente

Commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI)

Adozione in commissione

28/09/2016

Adozione in sessione plenaria

19/10/2016

Sessione plenaria n.

520

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

202/2/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Gli armatori europei controllano il 40 % della flotta mercantile mondiale e sono responsabili anche di circa un terzo, in termini di tonnellaggio, delle navi giunte al termine del loro ciclo di vita arenate in cantieri dell’Asia meridionale non conformi agli standard. L’UE è il principale mercato che invia navi in disarmo alla demolizione in condizioni pericolose e inquinanti. Dal momento che ospita la più grande comunità di armatori, l’UE ha anche una responsabilità particolare per quanto riguarda la regolamentazione relativa al riciclaggio delle navi.

1.2.

Secondo il CESE, vi sono fortissime ragioni morali e sociali di eliminare gli abusi legati alla demolizione irresponsabile delle navi, e di passare a un sistema che crei, nelle navi in disarmo, un valore aggiunto sufficiente a coprire i costi più elevati derivanti da un riciclaggio responsabile. Se, da un lato, la maggior parte delle attività di riciclaggio delle navi probabilmente continuerebbe a tenersi nei paesi a basso costo di manodopera, vi sarebbe, dall’altro, un miglioramento delle condizioni di lavoro e degli standard ambientali. Allo stesso tempo questo permetterebbe anche ai cantieri di demolizione dell’UE di guadagnarci in termini di competitività.

1.3.

Gli interventi dell’Organizzazione marittima internazionale (OMI) hanno finora avuto un impatto modesto; tuttavia è necessario continuare a compiere in tale sede ogni sforzo possibile per realizzare un nuovo strumento internazionale giuridicamente vincolante. Il ruolo dell’UE in questo processo può essere influente e dinamico. La ricerca di una soluzione efficace al problema della demolizione irresponsabile delle navi è rimasta all’ordine del giorno dell’UE per molti anni ed è culminata nell’adozione del regolamento dell’UE relativo al riciclaggio delle navi, che entrerà pienamente in vigore entro il 31 dicembre 2018. Tuttavia, uno dei principali punti deboli di questo regolamento consiste nel fatto che gli armatori potrebbero facilmente aggirarlo con un semplice cambiamento di bandiera, facendo battere alle navi in disarmo la bandiera di un paese terzo.

1.4.

Ciò che manca nel regolamento è uno strumento economico che la Commissione possa utilizzare per orientare lo sviluppo nella direzione auspicata. In una relazione estremamente circostanziata è stato di recente messo a punto un piano per dotarsi di questo strumento grazie all’introduzione di un «sistema di licenze per il riciclaggio di navi». Entro la fine dell’anno la Commissione presenterà una proposta fondata su quest’idea, che incentiverà gli armatori a demolire le navi giunte al termine della loro vita utile all’interno di impianti approvati dall’UE secondo modalità accettabili sotto il profilo sia sociale che ambientale.

1.5.

Uno dei vantaggi che la proposta presenta consiste nella sinergia che creerebbe con il quadro regolamentare attuale. I meccanismi di controllo non interferirebbero con quelli del regolamento dell’UE relativo al riciclaggio delle navi. Esistono già delle istituzioni dell’UE in grado di gestire ed applicare questo tipo di licenza. Il CESE, tuttavia, esorta la Commissione a valutare anche l’eventuale rischio che i partner commerciali dell’UE considerino la proposta come un’ingerenza anticoncorrenziale nella gestione del trasporto marittimo internazionale.

1.6.

L’unico modo per eliminare le pratiche pregiudizievoli attuali consiste nel riconoscere la responsabilità degli armatori applicando il principio «chi inquina paga» e nell’integrare il costo di un riciclaggio responsabile nei costi di funzionamento delle navi. Sia gli operatori che gli utilizzatori di navi per carichi alla rinfusa e per il trasporto merci e passeggeri hanno un ruolo da svolgere. In primo luogo, devono prendere atto dell’esistenza di un grave problema e, in secondo luogo, devono sostenere un meccanismo finanziario progressivo e applicabile quale la licenza di riciclaggio delle navi, che può essere estesa su scala mondiale, sotto gli auspici dell’OMI e con una campagna informativa che superi i confini dell’UE.

1.7.

Il CESE sostiene la Commissione europea in questa impresa. Oltre al fatto che si inserisce perfettamente nella politica dell’UE a favore di una società del riciclaggio, essa può anche costituire un importante passo per riformare l’industria — pericolosa e inquinante — della demolizione delle navi nell’Asia meridionale e impedire che sia delocalizzata in un’altra parte del mondo. Il CESE riconosce le potenzialità della convenzione di Hong Kong, a patto che includa i principi del regolamento dell’UE relativo al riciclaggio delle navi, e sottolinea altresì la necessità di uno strumento finanziario. Incoraggia l’UE a fornire assistenza tecnica ai cantieri di tutto il mondo affinché possano soddisfare tali requisiti.

2.   Situazione attuale

2.1.

Senza il trasporto marittimo l’economia mondiale non funzionerebbe. Ogni anno circa 1 000 navi d’alto mare di grandi dimensioni (petroliere e portacontainer, navi da carico e navi da passeggeri) sono vendute per essere demolite. Oltre il 70 % di queste navi giunte al termine del loro ciclo di vita finiscono sulle spiagge di India, Bangladesh e Pakistan per essere sottoposte a pericolose operazioni di demolizione. Il restante 30 % viene smantellato principalmente in Cina e in Turchia, dove la disponibilità di infrastrutture adeguate permette di adottare pratiche più pulite e sicure, a condizione che si applichino le procedure adeguate (1).

2.2.

La maggior parte delle navi giunte al termine del loro ciclo di vita viene demolita in condizioni inaccettabili seguendo il metodo dell’«arenamento» che consiste nel far incagliare le navi su spiagge sabbiose, dove vengono demolite per lo più da personale non qualificato (tra cui anche dei minori, come segnalato in Bangladesh), senza attrezzature appropriate e con scarsa o nessuna protezione contro le grandi quantità di sostanze pericolose rilasciate nel corso dell’operazione (2).

2.3.

L’industria del riciclaggio delle navi si è trasferita nell’Asia orientale (Cina e Taiwan) negli anni ‘70, a seguito dell’introduzione in Europa di norme più rigorose in materia di ambiente e di salute sul posto di lavoro. Negli anni ‘80 il settore ha dovuto far fronte a delle norme più severe anche nell’Asia orientale e si è quindi trasferito nell’Asia meridionale. Negli ultimi trent’anni, in India sono stati segnalati 470 decessi. Nel 2014 sono stati segnalati 25 decessi e 50 incidenti gravi nei cantieri dell’Asia meridionale. Lo scorso anno nei cantieri del Bangladesh hanno perso la vita sedici lavoratori e altri dodici sono deceduti dall’inizio di quest’anno. Un numero molto più elevato di lavoratori si ferisce gravemente o si ammala a seguito dell’inalazione di fumi tossici e muore con grande sofferenza a causa dei tumori provocati dall’esposizione a materiali pericolosi come l’amianto. L’ambiente naturale che circonda questi impianti di arenamento è estremamente degradato (3).

3.   La causa del problema — eludere le responsabilità

3.1.

Alla base del problema del riciclaggio delle navi vi è la mancanza di una governance internazionale efficace che consenta di trovare una soluzione globale. Un’agenzia delle Nazioni Unite, l’Organizzazione marittima internazionale (OMI), ha adottato la convenzione internazionale di Hong Kong per un riciclaggio delle navi sicuro e compatibile con l’ambiente, che non è ancora stata ratificata e il cui impatto è incerto. Come in molti altri settori, l’Unione europea può, promuovendo le buone pratiche e le soluzioni concrete, proporre un quadro regolamentare e giuridico in grado di produrre risultati positivi a livello mondiale e soluzioni efficaci per affrontare le problematiche extraterritoriali specifiche diffuse nell’industria marittima.

3.2.

In base al diritto internazionale, ogni nave mercantile deve essere registrata in un paese. Secondo l’Unctad (la Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo), quasi il 73 % della flotta mondiale è registrato o batte bandiera di un paese diverso da quello in cui è registrato il proprietario effettivo della nave. I motivi che inducono i proprietari a registrare le loro navi sotto la bandiera di un paese diverso dal loro includono l’elusione fiscale, la possibilità di sottrarsi alle regolamentazioni nazionali in materia di lavoro e ambiente nonché la possibilità di reclutare l’equipaggio nei paesi in cui la manodopera è a costo inferiore. Molti di questi registri aperti sono denominati anche «bandiere di comodo» o «bandiere d’inadempimento». Si tratta di bandiere di paesi noti per la scarsa applicazione del diritto internazionale. Circa il 40 % di tutte le navi da rottamare arenate nell’Asia meridionale è stato importato sotto bandiere di comodo o bandiere d’inadempimento, come quelle di Saint Kitts e Nevis, delle Comore e di Tuvalu. Queste bandiere di «fine del ciclo di vita» sono raramente utilizzate durante la vita operativa di una nave e permettono di beneficiare di tariffe speciali per il viaggio finale, nonché di ottenere rapidamente e agevolmente una registrazione a breve termine, senza alcun requisito di nazionalità.

3.3.

Solo un numero ridotto di armatori ha volontariamente adottato le misure necessarie per assicurare il riciclaggio sicuro e non inquinante delle loro navi obsolete. Meno dell’8 % delle navi vendute a fini di demolizione batte ancora bandiera europea e nella maggior parte dei casi queste vengono demolite in maniera sicura e sostenibile. Gran parte delle navi che raggiungono la fine della loro vita utile è venduta ai cosiddetti «cash buyer», che le acquistano pagando in contanti e le conducono alla destinazione finale in Asia meridionale. La maggior parte degli armatori non ha contatti diretti con gli impianti di riciclaggio: infatti essi prendono opportunamente le distanze dallo smaltimento finale e lo lasciano agli acquirenti di cui sopra che si specializzano in navi in disarmo e fungono da intermediari tra gli armatori e i cantieri di demolizione. I «cash buyer» provvedono a fornire l’equipaggio, trasferire la nave nel suo viaggio finale, espletare le pratiche necessarie e tenere i contatti con le autorità sul luogo della demolizione.

Ricorrono a queste pratiche gli armatori sia privati che pubblici.

3.4.

Questa attività è redditizia per:

coloro che organizzano la demolizione a livello locale e ai costi più bassi, sfruttando i lavoratori e danneggiando l’ambiente;

gli armatori di tutto il mondo che riescono ad ottenere un prezzo migliore per le loro navi da demolire;

gli interessi economici nei paesi interessati, dato che il settore rappresenta una fonte importante di rottami di acciaio che vengono utilizzati nell’economia locale e nazionale;

i governi per i quali questa attività è una fonte di entrate e che non sono incoraggiati a regolamentare o a controllare il settore e ad applicare le garanzie giuridiche esistenti.

3.5.

Benché dal 2009 gli armatori abbiano intrapreso, su base volontaria, diverse azioni coordinate, tra cui l’elaborazione di una serie di orientamenti sulla preparazione di inventari di materiali pericolosi e l’adozione di altre misure relative alla fine del ciclo di vita, nel 2015 il Bangladesh, in cui le condizioni sono notoriamente le peggiori, è stata la destinazione preferita delle navi al termine del loro ciclo di vita (4).

4.   Far fronte al problema — tentativi di responsabilizzazione

4.1.

Nel 2009 l’OMI ha adottato uno strumento specifico per il trasporto marittimo, la convenzione di Hong Kong, che stabilisce un quadro regolamentare destinato ad assicurare condizioni di parità sostenibili per le attività di riciclaggio delle navi in tutto il mondo. In realtà, questo argomento non regge ad un esame approfondito. La convenzione costituisce indubbiamente un piccolo passo avanti, però le disposizioni in materia di attuazione e applicazione sono deboli e si prestano a un’ampia gamma di interpretazioni, non sono previste iniziative di certificazione né di controllo indipendenti e l’arenamento è in pratica ancora autorizzato.

4.2.

La convenzione di Hong Kong entrerà in vigore solo 24 mesi dopo la ratifica da parte di 15 Stati che rappresentano il 40 % del tonnellaggio mondiale e la cui capacità di riciclaggio annuale rappresenta almeno il 3 % della stazza combinata dei firmatari. Finora solo cinque paesi, di cui Panama è l’unico importante Stato di bandiera, hanno ratificato la convenzione di Hong Kong, ma nessuno di essi presenta la capacità di riciclaggio delle navi richiesta per l’entrata in vigore della convenzione che non è quindi prevista nel prossimo futuro.

4.3.

Un’altra iniziativa dell’OMI, il Fondo fiduciario internazionale per il riciclaggio delle navi, non ha ricevuto sostegno a livello internazionale. Benché l’OMI abbia realizzato riforme positive in diversi ambiti, esse non comprendono iniziative efficaci in materia di demolizione di navi. L’industria del riciclaggio delle navi si è tendenzialmente localizzata o trasferita nei paesi dove il costo della manodopera è basso e dove le norme in materia di ambiente, salute e sicurezza sono poco rigorose e non vengono fatte rispettare. L’unico modo per mettere fine al ruolo di «facilitatori» svolto da tali Stati consiste nell’associare a ogni singola nave un fondo finanziario significativo e gestito da un’entità indipendente, fondo che potrà essere recuperato a condizione che la nave sia riciclata in modo responsabile. Il trasporto marittimo è un settore globale e la demolizione delle navi (che nel 70 % dei casi avviene su tre spiagge dell’Asia meridionale) è uno scandalo regionale che va risolto in maniera efficace.

4.4.

All’interno dell’UE, le navi giunte al termine del loro ciclo di vita vengono considerate rifiuti pericolosi e rientrano nel campo di applicazione della Convenzione di Basilea, che disciplina ogni tipo di trasporto di rifiuti pericolosi e che è recepita a livello dell’UE dal regolamento relativo alle spedizioni di rifiuti. Queste disposizioni avrebbero dovuto, in teoria, impedire lo smaltimento irresponsabile delle navi battenti bandiera di uno degli Stati membri dell’UE. Le disposizioni della Convenzione e del regolamento relativo alle spedizioni di rifiuti vengono inoltre sistematicamente eluse dagli armatori che vendono le loro navi in disuso a «cash buyer» non appena le navi lasciano le acque dell’UE per effettuare il loro ultimo tragitto. Tuttavia, dopo l’entrata in vigore del regolamento relativo al riciclaggio delle navi all’interno dell’Unione europea, le navi giunte al termine del ciclo di vita che battono bandiera di uno Stato membro dell’UE saranno escluse dall’applicazione del regolamento UE sulle spedizioni di rifiuti e della Convenzione di Basilea, che disciplina ogni tipo di trasporto di rifiuti pericolosi, a partire dal 2019.

4.5.

Dopo un’accurata analisi, l’UE e i gli Stati membri hanno concluso che sia la Convenzione di Hong Kong che quella di Basilea sembrano offrire un livello equivalente di controllo e di applicazione delle norme per le navi classificate come rifiuti. Le ONG a livello mondiale, il relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani e i rifiuti tossici, nonché il Parlamento europeo e il CESE hanno denunciato la Convenzione di Hong Kong perché non propone soluzioni adeguate.

4.6.

La ricerca di una soluzione efficace è all’ordine del giorno dell’UE da diversi anni. Nel 2007 la Commissione europea ha pubblicato un Libro verde (5) sull’argomento, seguito nel 2008 da una comunicazione (6) e, infine nel 2012, da una proposta di regolamento dell’UE relativo al riciclaggio delle navi (7). Il regolamento è entrato in vigore il 30 dicembre 2013 ma la sua piena applicazione decorrerà dal 31 dicembre 2018. Il regolamento anticipa l’entrata in vigore di una serie di requisiti della convezione di Hong Kong. Inoltre, il regolamento dell’UE relativo al riciclaggio delle navi istituisce un elenco europeo degli impianti di riciclaggio approvati in cui dovranno essere demolite le navi battenti bandiera dell’UE. Tali strutture devono essere oggetto di una certificazione e di un controllo indipendenti. Inoltre, il regolamento in questione va oltre la convenzione di Hong Kong in quanto introduce standard più rigorosi per gli impianti di riciclaggio e affronta la questione della gestione dei rifiuti a valle come pure quella dei diritti dei lavoratori.

4.7.

Tuttavia, il regolamento sul riciclaggio delle navi non è che un pallido riflesso del Libro verde e della comunicazione pubblicati in precedenza sullo stesso tema. Questi due documenti analizzano con precisione i problemi relativi al riciclaggio delle navi nell’Asia meridionale ed esprimono la convinzione che occorre adottare delle misure severe al fine di contrastare la situazione intollerabile che si osserva in questi paesi. Tuttavia, le misure previste dal regolamento sul riciclaggio delle navi non permettono di risolvere questi problemi. Se da un lato il regolamento fissa standard elevati per gli impianti di riciclaggio delle navi, standard che escludono efficacemente il metodo non conforme dell’arenamento, è molto facile per gli armatori aggirare tali norme procedendo a un trasferimento di proprietà o semplicemente registrando la nave in disarmo sotto la bandiera di un paese terzo. Come ha concluso il CESE, era chiaramente assente la volontà politica di mettere il settore del trasporto marittimo davanti alle sue responsabilità e ci si attendeva dalla Commissione una proposta più pertinente, creativa, coraggiosa, ricca di iniziative e ambiziosa quanto i documenti da essa precedentemente pubblicati (8).

5.   Un approccio più efficace

5.1.

Ciò che manca nel regolamento è uno strumento economico che la Commissione possa utilizzare per orientare lo sviluppo nella direzione auspicata. Nella sua proposta iniziale del 2012, che prevedeva una clausola sulla «responsabilità del penultimo proprietario», la Commissione ha riconosciuto il principale punto debole che permette agli armatori di sottrarsi facilmente al regolamento sul riciclaggio delle navi semplicemente registrando la nave in disarmo sotto la bandiera di un paese terzo. Sebbene la clausola sia stata respinta durante i negoziati tripartiti, il Parlamento europeo ha fatto in modo che nel regolamento venisse inserito un articolo in cui si invitava la Commissione ad esaminare eventuali dispositivi finanziari alternativi.

5.2.

A luglio di quest’anno la Commissione ha pubblicato un nuovo studio, realizzato da Ecorys, DNV-GL e dall’Università Erasmus di Rotterdam, in merito a una «licenza di riciclaggio delle navi» con l’obiettivo di incoraggiare gli armatori ad assumersi finalmente le loro responsabilità in materia di demolizione pulita e sicura delle navi.

5.3.

Una tale licenza consentirebbe di creare un apposito fondo specifico per ciascuna nave, tenuto a titolo di garanzia da un grande istituto finanziario e destinato a costituire un capitale per finanziare un riciclaggio sicuro e sostenibile. L’importo della licenza verrebbe determinato in funzione di una combinazione di fattori, tra cui la stazza, il tipo di trasporto, la frequenza degli scali nei porti dell’UE, la concezione alla luce del principio «dalla culla alla culla», e la presenza di materiali tossici a bordo. Il capitale è creato dagli armatori, i quali, ogni volta che una delle loro navi fa scalo in un porto dell’UE, versano il canone appropriato nel fondo collegato a tale nave.

5.4.

A fine vita, se la nave è stata effettivamente riciclata in un cantiere riconosciuto dall’UE, questo fondo potrebbe essere recuperato e quindi utilizzato per compensare la perdita di entrate determinata dalla scelta di optare per uno smantellamento responsabile. Entro la fine dell’anno la Commissione esprimerà la propria posizione ufficiale riguardo allo studio.

5.5.

Uno dei principali vantaggi del dispositivo finanziario proposto consiste nella sinergia che creerebbe con il quadro regolamentare attuale. In particolare, i meccanismi di controllo istituiti da tale dispositivo sarebbero perfettamente compatibili con le attuali procedure di controllo previste dal regolamento dell’UE relativo al riciclaggio delle navi, quali le visite di controllo delle strutture in loco prima e dopo il loro inserimento nell’elenco europeo. Le licenze potrebbero inoltre essere incluse nell’elenco dei certificati che devono essere verificati periodicamente nel quadro dei controlli da parte dello Stato di approdo in base agli obblighi preesistenti. In modo analogo, pare che l’attuale Agenzia europea per la sicurezza marittima (EMSA) sia l’organismo più adeguato per svolgere le funzioni di controllo e di rilascio delle licenze, e che una delle istituzioni finanziarie europee, come la Banca europea per gli investimenti (BEI) o il Fondo europeo per gli investimenti (FEI), si trovi nella posizione migliore per gestire le entrate provenienti da un’eventuale licenza di riciclaggio. Il CESE esorta la Commissione anche a valutare con attenzione gli eventuali rischi che i partner commerciali dell’UE considerino la proposta come un’interferenza anticoncorrenziale nella gestione del trasporto marittimo internazionale.

5.6.

Un fondo di questo tipo costituirebbe un passo in avanti nella direzione della proposta del CESE a favore di un’industria europea del riciclaggio delle navi più ampia e redditizia. L’UE dispone di sufficiente capacità, che non viene più sfruttata per la costruzione e la riparazione delle navi, ma che risulta idonea per lo smantellamento e il riciclaggio di queste ultime. Questa prospettiva è in linea con l’obiettivo dell’UE di divenire una società sostenibile basata sul riciclaggio, con un’economia circolare in cui i rifiuti vengono trasformati in materie prime grazie a un sistema di riciclaggio intelligente e capillare. Alla luce dei prezzi delle materie prime, contraddistinti alternativamente da volatilità e costante aumento, dell’elevato tasso di disoccupazione registrato in diversi Stati membri dell’UE e del fatto che un certo numero di piattaforme petrolifere nelle acque dell’UE è giunto alla fine della vita utile, questo sviluppo potrebbe risultare molto proficuo per l’Europa nel suo complesso. Inoltre, la realizzazione di una filiera specializzata nel riciclaggio di navi al termine del loro ciclo di vita rappresenterebbe un’opportunità per lo sviluppo di talune zone marittime e per la formazione sia dei giovani che dei disoccupati nelle professioni emergenti.

5.7.

Il 12 aprile 2016 la Commissione ha pubblicato degli orientamenti tecnici per gli impianti di riciclaggio delle navi che chiedono il riconoscimento ai sensi del regolamento relativo al riciclaggio delle navi. Le strutture che desiderano figurare nell’elenco approvato dall’UE devono garantire condizioni di lavoro sane e sicure, la riduzione dell’inquinamento — anche mediante una corretta gestione dei rifiuti a valle — e il rispetto dei diritti internazionali in materia di lavoro. Possono presentare domanda per essere inseriti nell’elenco gli impianti situati sia all’interno sia all’esterno dell’UE. Molto probabilmente nell’elenco, che sarà pubblicato entro la fine di quest’anno, figureranno non solo gli impianti dell’UE ma anche i migliori cantieri di Cina e Turchia. Gli impianti di riciclaggio che ricorrono al metodo dell’arenamento hanno già presentato domanda per essere inseriti nell’elenco dell’UE. Come il Parlamento europeo e la Commissione, anche il Comitato ritiene che i siti che utilizzano il metodo dell’arenamento non dovrebbero essere ammessi.

5.8.

Se l’Europa vuole che le sue navi vengano demolite in maniera responsabile, è logico che debba garantire che il costo di tale operazione sia integrato nei costi di esercizio delle navi. In un’economia di mercato niente è gratis, tutto ha un prezzo. Per una demolizione responsabile delle navi questo prezzo viene pagato in denaro. Per una demolizione irresponsabile delle navi, parte di tale prezzo viene pagato con altri valori, come la distruzione dell’ambiente locale e la perdita di vite umane. Dato che l’UE non vuole accettare questi valori come mezzo di pagamento legittimo, non dovrebbe nemmeno accettare che siano utilizzati come valuta legittima nel flusso di pagamenti tra gli Stati membri e i paesi terzi in via di sviluppo.

5.9.

In un periodo in cui il settore risente di situazioni di capacità eccessiva e di bassi livelli di profitto, esistono chiare indicazioni del fatto che la grande maggioranza degli armatori si oppone alle misure che comportano oneri più elevati. Tuttavia l’impatto di tali misure sugli armatori sarà limitato. Per modificare il comportamento del 42 % degli armatori, si reputa infatti che le misure necessarie per conseguire questo obiettivo determineranno un aumento dello 0,5 % dei costi di funzionamento delle navi più piccole e del 2 % circa di quelli delle navi di dimensioni maggiori. Se si aumenta l’importo dei canoni della licenza e/o si riduce la durata dell’accumulazione di capitale, la percentuale delle navi vendute per un riciclaggio sostenibile aumenterebbe fino al 68 %. Nel lungo periodo, secondo lo studio, fino a 97 % delle navi che operano nei porti europei sarà in grado di accumulare fondi sufficienti a colmare la lacuna del riciclaggio sostenibile (9).

5.10.

Tuttavia, occorre dimostrare che le entrate derivanti dalla licenza di riciclaggio sono in grado di coprire i costi di un riciclaggio responsabile e che il sistema di prelievo verrà applicato equamente a tutti gli operatori che fanno scalo nei porti dell’UE. Nondimeno, una misura regionale (su scala continentale), come la licenza dell’UE per il riciclaggio delle navi, non può essere attuata efficacemente su scala mondiale senza la cooperazione degli armatori e dell’OMI. Uno strumento finanziario dell’UE che si possa applicare a tutte le navi che fanno scalo in un porto dell’Unione potrebbe costituire la soluzione auspicata a livello mondiale e potrebbe essere diffusa dall’OMI. I governi degli Stati membri in cui risiede un numero elevato di armatori proprietari di flotte devono compiere notevoli sforzi per far avanzare la legislazione pertinente in linea con le politiche di lotta alle frodi e gli orientamento dell’OMC.

5.11.

Un’opinione pubblica informata può anche generare volontà politica e sostenerla. Rendere pubbliche le condizioni scandalose in cui opera la maggior parte degli impianti di riciclaggio dell’Asia meridionale ha un certo impatto, ma attualmente i cittadini preoccupati da questa situazione non dispongono di alcuno strumento per influenzare direttamente il settore dei trasporti marittimi mediante l’acquisto o il boicottaggio dei servizi che offrono. Occorre porre rimedio a questa situazione incoraggiando le principali società che si avvalgono dei servizi di trasporto marittimo ad esigere che le loro merci siano trasportate da navi alle quali si applicano politiche di fin di vita responsabili e irrevocabili.

5.12.

Come in numerosi altri settori, l’Unione europea può, promuovendo le buone pratiche e le soluzioni concrete, svolgere un ruolo e proporre un quadro normativo propizio in grado di produrre risultati positivi a livello mondiale e soluzioni efficaci per affrontare le problematiche extraterritoriali specifiche diffuse nell’industria marittima.

Bruxelles, 19 ottobre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  http://www.shipbreakingplatform.org/shipbrea_wp2011/wp-content/uploads/2016/04/LIST-OF-ALL-SHIPS-DISMANTLED-OVER-THE-WORLD-IN-2015.pdf

(2)  La demolizione navale in Bangladesh e in India, video della National Geographic «Where Ships Go to Die, Workers Risk Everything» (Dove le navi vanno a morire, i lavoratori rischiano tutto) (2014).

(3)  Piattaforma di ONG sulla demolizione navale.

(4)  Regolamento dell’UE relativo al riciclaggio delle navi «Shipping Industry Guidelines on Transitional Measures for Ship owners Selling Ships for Recycling» (Orientamenti per il settore del trasporto marittimo recanti misure transitorie per gli armatori che vendono navi destinate al riciclaggio), 2a edizione, gennaio 2016.

(5)  Libro verde COM(2007) 269.

(6)  COM(2008) 767.

(7)  Regolamento (UE) n. 1257/2013 (GU L 330, 10.12.2013, pag. 1).

(8)  GU C 299, 4.10.2012, pag. 158.

(9)  Tabella 4.2; pag. 83.


2.2.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 34/44


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «L’energia e le cooperative energetiche dei prosumatori: opportunità e sfide negli Stati membri dell’UE»

(parere d’iniziativa)

(2017/C 034/07)

Relatore:

Janusz PIETKIEWICZ

Decisione dell’Assemblea plenaria

21/01/2016

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

 

 

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

06/10/2016

Adozione in sessione plenaria

19/10/2016

Sessione plenaria n.

520

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

225/4/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE è dell’avviso che l’ampio sviluppo della prosumazione diffusa di energia debba costituire un elemento importante e sostenibile della politica energetica dell’Unione europea. Una soluzione di questo tipo, infatti, è senz’altro vantaggiosa, e può persino risultare indispensabile ai fini della sicurezza energetica e alla luce di considerazioni ambientali e sociali.

1.2.

La misura in cui la prosumazione di energia contribuisce alla produzione energetica complessiva dovrebbe essere calibrata in funzione delle caratteristiche specifiche del singolo Stato membro. Il CESE propone pertanto che la Commissione europea elabori una disciplina quadro sulla prosumazione di energia, mentre la regolamentazione specifica in materia dovrà rimanere di competenza dei singoli Stati membri.

1.3.

L’energia prodotta da prosumatori può essere ricavata da un’ampia gamma di fonti energetiche rinnovabili e tale modo di produzione funziona in modo adeguato in qualsiasi sito, indipendentemente dalle condizioni climatiche.

1.4.

L’avvento su larga scala dei prosumatori sul mercato è stato possibile grazie alle nuove tecnologie e alla rivoluzione digitale, che consentono di soddisfare le aspettative dei consumatori in termini di partecipazione diretta ai processi economici.

1.5.

Per favorire una migliore comprensione del concetto di prosumazione negli Stati membri, si raccomanda alla Commissione di elaborare una definizione quadro di tale concetto, che copra aspetti essenziali comuni, come ad esempio le dimensioni e la proprietà dell’impianto, il carattere individuale o collettivo della generazione di energia e le eccedenze di produzione energetica.

1.6.

Chiunque può diventare un prosumatore, indipendentemente dal titolo di proprietà di un dato immobile, impianto o macchinario. Prosumatore, infatti, può essere ad esempio sia il proprietario di una casa unifamiliare che il locatario di uno degli appartamenti di un edificio.

1.7.

I benefici economici derivanti dalla prosumazione di energia, dovuti principalmente alla riduzione dei costi di trasmissione dell’energia, a un migliore utilizzo delle fonti di energia locali e all’implicazione delle comunità locali, dovrebbero, in un futuro non troppo lontano, far sì che questo sistema di produzione energetica possa funzionare senza ulteriori meccanismi di sostegno.

1.8.

I risparmi economici, ma anche i benefici sul piano sociale, di un consumo più consapevole e attivo, dell’impiego decentrato di fonti di energia rinnovabili, della limitazione delle perdite di rete e della maggiore efficienza derivante dalla cooperazione, possono risolversi rapidamente in un rendimento positivo degli investimenti negli impianti di prosumazione energetica e nello sviluppo delle reti di trasmissione e distribuzione, anche locali, e del relativo sistema di gestione, nonché nello sviluppo dello stoccaggio di energia.

1.9.

I regimi di sostegno per i prosumatori non dovrebbero in alcun caso distorcere la concorrenza sul mercato energetico o estromettere altri operatori; occorre altresì tener presente che, in tale mercato, esistono consumatori di energia che non possono o non vogliono diventare prosumatori.

1.10.

Le misure finanziarie suscettibili di influire sui prosumatori, come ad esempio quelle fiscali, tariffarie e relative ad altri oneri, dovrebbero favorire questi soggetti. In nessun caso, sul mercato dell’energia, i prosumatori dovrebbero risultare discriminati.

1.11.

Un presupposto per lo sviluppo dinamico della prosumazione energetica è la creazione di validi partenariati tra prosumatori, altri produttori di energia e imprese attive nel campo della trasmissione e distribuzione di energia. È necessario creare le condizioni affinché tutti gli attori del mercato dell’energia traggano beneficio dallo sviluppo del prosumerismo e il CESE suggerisce alla Commissione di effettuare degli studi allo scopo di elaborare soluzioni in questo campo.

1.12.

È necessario prevedere delle soluzioni per tutelare i diritti dei prosumatori dalle pratiche monopolistiche delle imprese che operano nel settore della trasmissione e della distribuzione energetiche nonché dei grandi produttori di energia.

1.13.

In generale, i prosumatori producono energia per uso proprio (sia che si tratti di singoli o gruppi di cittadini, famiglie, aziende agricole o piccole imprese). Non è possibile garantire una precisa corrispondenza tra la capacità degli impianti e il fabbisogno energetico del prosumatore. Pertanto, è di cruciale importanza trovare una soluzione al problema di come gestire le eccedenze di energia. Una questione che diviene ancora più importante se si vuole — come sempre si dovrebbe — incitare i prosumatori a ridurre il consumo di energia.

1.14.

I processi di ottimizzazione del consumo energetico da parte dei prosumatori dovrebbero essere sostenuti da sistemi di smart living e il CESE propone di tenerne conto nelle soluzioni sistematiche predisposte dalla Commissione europea.

1.15.

Data la piccola scala della produzione dei singoli prosumatori di energia, questi non devono incontrare limitazioni nell’accesso alla rete.

1.16.

Lo sviluppo della prosumazione energetica esige che le reti di distribuzione e trasmissione e il loro funzionamento siano adeguati di conseguenza. I prosumatori devono contribuire a coprire i costi che ne derivano, ma tale partecipazione ai costi dovrebbe essere disciplinata da norme trasparenti.

1.17.

Condizione necessaria per lo sviluppo della prosumazione nel campo dell’energia è il parallelo sviluppo di reti intelligenti in prossimità dei siti di produzione. Il CESE considera la diffusione dei contatori intelligenti come parte integrante dello sviluppo dell’infrastruttura di rete, ragion per cui i relativi costi finanziari non dovrebbero essere sostenuti direttamente dai consumatori. Richiama anche l’attenzione sulla necessità di garantire la protezione dei dati raccolti.

1.18.

I benefici derivanti dalla prosumazione energetica aumenteranno fortemente in seguito allo sviluppo di piccoli impianti di stoccaggio dell’energia. Il Comitato suggerisce pertanto che la ricerca scientifica continui a concentrarsi sul miglioramento delle tecnologie di stoccaggio energetico esistenti e sullo studio di nuove tecnologie in questo campo.

1.19.

Un modo di accelerare lo sviluppo della prosumazione energetica consiste nel costituire raggruppamenti di prosumatori che assumano la forma di cooperative o altre forme giuridiche. I prosumatori, infatti, sono più efficienti se operano in gruppo, dato che ciò consente loro, tra l’altro, di abbassare i costi di produzione dell’energia, rafforzare la loro posizione sul mercato dell’energia e contribuire direttamente a migliorare la sicurezza energetica locale.

1.20.

I gruppi di prosumatori possono bilanciare meglio la loro produzione con il loro fabbisogno di energia, il che a sua volta consente loro di limitare ulteriormente la trasmissione di energia, riducendo in tal modo i costi dell’energia per i membri del gruppo; e, grazie alle minori fluttuazioni nell’offerta e nella domanda, i gruppi di prosumatori hanno sulla rete di distribuzione e trasmissione un impatto migliore rispetto ai prosumatori singoli.

1.21.

Il CESE raccomanda alla Commissione europea di attribuire la massima importanza allo sviluppo della prosumazione energetica nelle attività connesse alla realizzazione di edifici il cui consumo energetico sia quasi nullo («edifici a energia quasi zero»).

1.22.

Il Comitato propone alla Commissione di tener conto delle questioni della prosumazione energetica nell’ambito di due iniziative già in corso: la proposta sull’assetto del mercato dell’energia elettrica e il riesame del pacchetto sulle rinnovabili.

1.23.

Il CESE reputa che i benefici derivanti dalla prosumazione energetica debbano trovare applicazione ai fini di una politica attiva di riduzione della povertà energetica e di tutela delle categorie sociali vulnerabili, nonché ai fini della soluzione dei problemi legati all’«economia d’argento» (silver economy) e all’invecchiamento della popolazione. Fondamentale sarà, in questo campo, il contributo delle organizzazioni della società civile.

1.24.

Lo sviluppo diffuso del prosumerismo rappresenta altresì un’opportunità di dare impulso all’imprenditoria locale, e in particolare di creare nuovi posti di lavoro nel settore dell’indotto per la produzione delle apparecchiature e dei servizi necessari.

1.25.

Un impatto enorme sull’ulteriore sviluppo della prosumazione energetica lo avrà l’implicazione in questo processo degli enti locali e regionali. Il CESE raccomanda alla Commissione di tenere conto di questo aspetto nelle attività che essa svolge in relazione al Patto dei sindaci.

1.26.

Considerato che il livello di sviluppo della prosumazione energetica differisce da uno Stato membro all’altro, è opportuno organizzare varie forme di condivisione delle esperienze in questo campo. Il CESE suggerisce alla Commissione di monitorare lo sviluppo del prosumerismo negli Stati membri e di riferire in merito nelle sue relazioni annuali nel quadro dell’Unione dell’energia. I dati raccolti saranno molto utili per gli sforzi compiuti dagli Stati membri.

1.27.

La diffusione del prosumerismo è un processo complesso, che presenta molteplici aspetti e richiede tempi lunghi. È quindi importante che le misure volte a stimolare lo sviluppo della prosumazione nel campo dell’energia abbiano carattere stabile in un orizzonte temporale di lungo termine.

2.   Contesto

2.1.

L’accesso alle fonti di energia, la sicurezza dell’approvvigionamento energetico, e una politica dei prezzi che tenga conto degli interessi dei gruppi sociali vulnerabili e dei consumatori che si trovano in situazioni difficili rappresentano sfide fondamentali per le società e per ogni amministrazione politica, nonché per i singoli consumatori.

2.2.

Fino a poco tempo fa, l’umanità non era in grado di ottenere efficacemente energia in modi diversi dalla combustione, con la sola possibile eccezione dell’energia idraulica. I progressi tecnologici hanno reso possibile produrre energia su vasta scala senza dover bruciare alcunché. Abbiamo appreso a produrre energia nella forma più pulita dalla luce solare, senza inquinare l’ambiente. Inoltre, questa fonte di energia è gratuita e inesauribile, e i soli costi sono quelli degli impianti.

2.3.

In maniera altrettanto efficace si può produrre energia elettrica dalla forza del vento, ossia dalla stessa fonte, il sole, che, riscaldando la terra, provoca lo spostamento di masse d’aria. Questo vale anche per la biomassa, dato che la fotosintesi è il fattore principale del suo rinnovo.

2.4.

La produzione di energia da fonti rinnovabili è necessariamente destinata a svilupparsi, a causa della ridotta disponibilità dei combustibili fossili, che vanno progressivamente esaurendosi, della dipendenza di molti paesi dalle importazioni, del riscaldamento globale e dell’inquinamento atmosferico. Problemi, questi, che hanno fatto sì che l’Europa, e con essa la maggior parte delle economie più importanti, iniziasse ad investire nelle FER.

2.5.

Nel corso del vertice sulla Terra svoltosi nel 1992 a Rio de Janeiro sono stati adottati principi fondamentali di politica socioeconomica che impongono di proteggere l’ambiente, ad esempio con la convenzione quadro dell’ONU sui cambiamenti climatici.

2.6.

Nel settembre 2015, l’Assemblea generale dell’ONU ha adottato gli obiettivi di sviluppo sostenibile, uno dei quali consiste nel garantire a tutti l’accesso all’energia sostenibile (obiettivo 7). Attualmente nel mondo 1,2 miliardi di persone non hanno accesso all’elettricità.

2.7.

Più di 120 milioni di cittadini dell’UE sono a rischio di povertà o di esclusione sociale. Il 10 % degli europei vive in famiglie in cui nessuno ha un lavoro, e il numero dei cittadini senza casa è in aumento. Queste cifre significano al tempo stesso povertà energetica.

2.8.

Le società civili danno prova di enorme sostegno nei confronti delle fonti energetiche rinnovabili. Ciò ha trovato conferma nel 2015 nell’enciclica di Papa Francesco sull’ambiente e nelle dichiarazioni di leader religiosi islamici, induisti e buddisti sui cambiamenti climatici, nelle quali si esortano le comunità dei fedeli a impegnarsi per un futuro a basse emissioni di carbonio.

2.9.

La necessità di abbandonare gradualmente le fonti energetiche fossili è stata sottolineata ulteriormente in occasione della COP 21 svoltasi a Parigi nel 2015, alla quale hanno partecipato quasi 200 paesi, quando si è assunto soprattutto l’impegno a mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al disotto di 2 oC rispetto ai livelli preindustriali e a proseguire gli sforzi volti a limitare l’aumento della temperatura a 1,5 oC.

3.   La rivoluzione digitale L’impulso allo sviluppo del prosumerismo

3.1.

Negli ultimi cinquant’anni, la popolazione della terra è triplicata. La fragilità del sistema finanziario globale minaccia una stagnazione a lungo termine dell’economia mondiale. Gli alti tassi di disoccupazione e l’aumento dei costi dell’energia hanno causato instabilità in molti paesi: sono aumentati i costi operativi per le imprese e i costi aggiuntivi per i consumatori.

3.2.

Il mondo deve confrontarsi con la necessità di un mutamento di paradigma economico e di una trasformazione dei modelli dell’attività economica, anche nella sfera sociale. Strumenti del nuovo sistema sono emersi con la rivoluzione digitale mondiale e l’Internet degli oggetti.

3.3.

Entro il 2020, sul mercato i dispositivi collegati alla rete saranno oltre 50 miliardi, ossia sette volte più numerosi della popolazione mondiale. Uno smartphone, e non più un personal computer, è ormai la «finestra» più importante per comunicare con il mondo; e nel 2020 sul mercato ve ne saranno circa 6,1 miliardi.

3.4.

L’Internet degli oggetti ha permesso a milioni di persone di partecipare a reti sociali (social network). È emerso il modello dell’«economia della condivisione» (sharing economy), più adatto a un’organizzazione sociale orientata alla coesione sociale. L’economia inizia a passare da strutture centralizzate, gestite «dall’alto», all’idea della condivisione, e molte categorie sociali escluse si vedono offerta un’opportunità di partecipare attivamente alla vita economica.

3.5.

Grazie alle piattaforme online, i consumatori possono trasformarsi in produttori, creando e diffondendo essi stessi informazioni e prodotti realizzati con l’ausilio di stampanti 3D. Tali piattaforme rendono così possibile condividere automobili, abitazioni, capi d’abbigliamento e altri beni. Il consumatore/produttore stesso può intraprendere una formazione online, ottenere un consulto medico o trovare un artigiano per farsi ristrutturare la casa. Gli imprenditori sociali possono, ricorrendo non agli istituti bancari ma al finanziamento collettivo (crowdfunding), finanziare le loro attività economiche nella giovane economia della condivisione.

3.6.

In un mondo di opportunità digitali, il capitale sociale è altrettanto importante di quello finanziario, l’accesso diventa più importante della proprietà, e il «valore di scambio» sui mercati capitalistici lascia sempre più spesso il posto al «valore di condivisione» nella comunità cooperativa.

3.7.

Lo sviluppo della tecnologia digitale e i nuovi modelli commerciali nel settore energetico, compreso il modello di distribuzione dell’energia, fanno sì che le zone rurali, le aree periurbane, i quartieri e sobborghi di case unifamiliari, i condomini e le cooperative edilizie si possano considerare come grandi centrali elettriche con un enorme potenziale. E ciò vale anche per la nube (cloud) di fonti diffuse che danno luogo a una nuova dottrina della sicurezza energetica costruita «dal basso», ossia a partire dalle famiglie, dalle aziende agricole, dalle piccole imprese o dalle microcooperative.

3.8.

Nel settore dell’energia, Internet ha reso possibile, nel quadro dell’economia della condivisione, partecipare a social network di milioni di persone che producono energia elettrica nelle case, negli edifici adibiti a uffici e sui tetti dei magazzini e poi la condividono grazie all’«Internet dell’energia», proprio come oggi creiamo e scambiamo informazioni nella rete. Gli elementi di tale sistema che devono ancora svilupparsi in misura considerevole sono lo stoccaggio dell’energia, l’«internetizzazione» delle reti energetiche e gli autoveicoli elettrici.

4.   Verso fonti di energia rinnovabili diffuse

4.1.

Per produrre energia pulita che integrasse il mercato e rimpiazzasse i combustibili fossili, si è reso necessario trasformare i sistemi energetici e introdurre disposizioni che consentissero a nuovi attori di entrare nel mercato.

4.2.

Conformemente alle disposizioni del trattato di Lisbona (articolo 2, paragrafo 3), lo sviluppo sostenibile in Europa ha luogo in un’economia sociale di mercato. I partner della società civile svolgono un ruolo importante in questo senso, e l’accettazione pubblica della trasformazione dei nostri sistemi energetici, soprattutto a livello locale, riveste un’importanza cruciale.

4.3.

L’UE si è prefissa di riuscire, entro il 2030, a creare un’Unione dell’energia e a fare dell’Europa un’economia altamente efficiente e a basse emissioni di CO2. In tale contesto, due degli obiettivi principali sono la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra del 40 % e l’aumento della quota dell’energia da fonti rinnovabili al 27 %, senza peraltro che sia specificato un indicatore per ogni Stato membro. Un’economia a basso consumo di energia garantirà la sicurezza energetica e la crescita economica con bassi livelli di emissioni di CO2 e, a più lungo termine, l’aumento della produzione e del consumo di energia generata localmente. In base agli ultimi dati disponibili, nel mondo nel 2014 le FER hanno consentito di ridurre le emissioni di CO2 di 380 Mt.

4.4.

Uno degli obiettivi specifici fissati dall’UE per il 2030 consiste nel ridurre la spesa energetica per le famiglie e le imprese, le quali potranno partecipare attivamente al mercato dell’energia grazie alle possibilità offerte dalle nuove tecnologie.

4.5.

Il bilancio energetico dipende dagli scambi commerciali. Oltre la metà del consumo energetico interno annuo lordo dell’UE, pari a 400 miliardi di euro, proviene dalle importazioni. Alcuni studi indicano che, entro il 2030, la dipendenza dell’UE dalle fonti di energia esterne potrebbe arrivare al 70 %. Si stima che, in tutto il mondo, il ricorso alle FER abbia permesso di ridurre il consumo di combustibili fossili di 114 Mt nel 2014.

4.6.

Per l’UE, migliorare il suo bilancio energetico è diventato di importanza cruciale. E una soluzione consiste nella produzione di energia da parte dei singoli consumatori, a partire da un largo ventaglio di fonti locali. Senza un ampio sostegno «dal basso» alla produzione di energia da fonti rinnovabili per soddisfare le necessità locali, molti paesi possono avere problemi nel garantire la sicurezza dei loro sistemi.

4.7.

Gli sviluppi tecnologici nella produzione di energia negli impianti domestici, le soluzioni sempre più agili per lo stoccaggio di energia in questi stessi impianti, la trasmissione di tale energia tramite reti intelligenti, l’uso di contatori intelligenti e la gestione della domanda locale fanno sì che gli impianti dei consumatori possano apportare un contributo sostanziale al mix energetico di ciascun paese.

4.8.

Il comparto delle FER è un potente fattore di innovazione tecnologica. Esso riveste un’importanza essenziale per la radicale trasformazione del sistema energetico europeo, nel quadro della strategia per il mercato unico digitale.

4.9.

La trasformazione dei consumatori passivi in «prosumatori» attivi in svariati settori, e la possibilità di integrare i microimprenditori e la strategia per il mercato unico nell’era digitale dell’Internet degli oggetti, sono descritte nella comunicazione della Commissione, del maggio 2016, sulla strategia per il mercato unico digitale [COM(2015) 192 final], strategia che si fonda su tre pilastri: 1) il miglioramento dell’accesso online a beni e servizi, 2) la creazione di condizioni favorevoli alle reti e ai servizi digitali e 3) lo sfruttamento del potenziale di crescita dell’economia digitale. Tutto ciò potrebbe apportare all’economia dell’UE 415 miliardi di euro all’anno e creare centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro, anche nel settore delle energie rinnovabili.

4.10.

Il mercato, oggi dominato dai grandi produttori e distributori di energia, dovrebbe aprirsi ai singoli attori e diventare più frammentato. L’energia elettrica non sarà più fornita «dall’alto», ossia in maniera centralizzata, dai grandi impianti di generazione («centrali» elettriche) ai consumatori, ma verrà prodotta da un gran numero di fonti decentrate di energia rinnovabili.

4.11.

Il grado di frammentazione della produzione di energia elettrica deve essere adattato alle specificità dei consumatori di energia. Le differenze in questo ambito possono essere legate soprattutto al funzionamento delle industrie ad alta intensità energetica in un determinato paese.

4.12.

Attualmente la sicurezza energetica dipende sempre più dalla resilienza del sistema energetico agli attacchi terroristici. Sviluppando una produzione energetica diffusa, aumenteremo anche la sicurezza energetica, dato che la generazione decentrata di energia è meno vulnerabile alle minacce terroristiche.

4.13.

Fonti di energia diffuse consentono di affrontare il problema della continuità della fornitura di energia agli operatori le cui attività dipendono in larga misura dalla corrente elettrica (ad esempio, le aziende avicole, gli impianti di trasformazione o i depositi frigoriferi). In alcuni paesi dell’UE la corrente elettrica viene interrotta in media per non più di venti minuti all’anno, ma in altri le interruzioni di fornitura durano dai 450 a 500 minuti. I microimpianti dei prosumatori garantiscono continuità operativa ai produttori di questo tipo.

4.14.

Le opportunità create dal diffondersi della generazione di energia da parte di prosumatori possono essere sfruttate in ambiti d’intervento dell’UE di grande rilievo sociale nell’ottica della strategia Europa 2020, ossia per risolvere i problemi demografici connessi con l’invecchiamento della società e lottare contro la povertà e l’esclusione sociale.

4.14.1.

Uno degli obiettivi della strategia Europa 2020 è quello di ridurre di almeno 20 milioni l’enorme numero dei cittadini (ben 122 milioni) in condizioni o a rischio di povertà o di esclusione sociale. Un aiuto in tal senso è fornito dai programmi operativi di sostegno, da misure attive per il mercato del lavoro e da fondi mirati, compreso almeno il 20 % della dotazione del Fondo sociale europeo. Offrendo alle persone bisognose un sostegno logistico e finanziario alla creazione di microcooperative energetiche e/o alla partecipazione alle imprese locali esistenti che operano nel settore dell’Internet degli oggetti, si potrebbe aprire la strada al loro inserimento professionale e sociale e permettere loro di sfuggire al rischio di povertà.

4.14.2.

Sfide analoghe a quelle summenzionate si riscontrano nel campo dell’«economia d’argento». L’UE è confrontata ad una sfida epocale di un tipo mai affrontato prima da alcuna società, ossia un drastico aumento della longevità media e nel contempo una generale digitalizzazione della vita, una sfida che richiede l’adozione di soluzioni economiche non convenzionali come anche di strategie sociali nuove.

4.14.3.

Nel 2060 per ogni cittadino in giovane età ve ne saranno due in età avanzata (1). Nell’era della rivoluzione digitale, la popolazione anziana e i lavoratori anziani dovrebbero essere considerati non come una minaccia e un peso per la società, bensì come un’opportunità per creare un’economia «con un alto tasso di occupazione» (job rich economy) sulla base del grande patrimonio di esperienza e tempo libero degli anziani nonché sul loro, seppur modesto, capitale finanziario da investire in modo sicuro in imprese dell’era digitale. Una possibilità potrebbe essere l’implicazione degli anziani come «anziani digitali» (e-seniors) nelle attività legate alla produzione di energia, ad esempio in centrali elettriche cooperative di quartiere o di condominio.

5.   Energia dai prosumatori

5.1.

Il tratto distintivo del capitalismo moderno era il fatto che il concetto di consumo fosse definito in rapporto ai processi di produzione e commercializzazione, nel momento in cui il consumo aveva cessato di essere appannaggio di una élite di ricchi per diventare un fenomeno di massa.

5.2.

Il termine «prosumatore» (prosumer) è stato coniato nel 1980 dallo scrittore e futurologo Alvin Toffler. Nel suo libro «La terza ondata» (The Third Wave), egli ha definito la prosumazione (prosumption) come il fenomeno che, sul mercato, fa sfumare la distinzione tra la sfera della produzione e quella del consumo. La «terza ondata» è stata un processo che ha visto il coinvolgimento di singoli o gruppi organizzati di prosumatori nella fabbricazione di prodotti per uso proprio, spostando la linea di demarcazione fra coloro che producono e coloro che consumano.

5.3.

Il concetto di un mercato in cui i consumatori, comprese le famiglie, erano percepiti soltanto come soggetti passivi del mercato non era adeguato alle sfide poste dallo sviluppo tecnologico. Già nel 1972 Marshall McLuhan e Barrington Nevitt avevano previsto che, con lo svilupparsi delle tecnologie nel campo dell’elettricità, i consumatori avrebbero potuto diventare produttori.

5.4.

La spina dorsale dell’economia in una società moderna è costituita dalla fornitura di energia ai consumatori in modo sicuro e a prezzi accessibili, tenendo conto della necessità di proteggere i gruppi sociali vulnerabili nel quadro della lotta contro la povertà energetica.

5.5.

I prosumatori sono singoli, gruppi di cittadini, famiglie o aziende agricole in grado di operare in forme organizzate, quali associazioni, fondazioni o cooperative, che sono sia produttori che consumatori di energia generata in piccoli impianti situati nei cortili di casa o in edifici residenziali o commerciali (ad esempio mini turbine eoliche, pannelli fotovoltaici, collettori solari, pompe di calore). I prosumatori possono anche essere piccoli imprenditori, compresi le imprese sociali e gli enti locali.

5.6.

Il concetto di «prosumerismo» (prosumerism) comprende, oltre alla produzione di elettricità, anche il riscaldamento e il raffreddamento.

5.7.

In linea di principio, i prosumatori producono energia per proprio uso privato, diventando così co-produttori dei beni da loro stessi consumati. Coloro che producono una quantità di energia analoga a quella da loro consumata sono anch’essi considerati prosumatori, anche se i due processi non sono simultanei: è il caso, ad esempio, di chi produce energia soprattutto nelle ore diurne, quando però ne consuma relativamente poca per uso personale e vende quindi l’eccedenza ad altri consumatori, mentre consuma la maggior parte dell’energia in ore in cui ne produce molto meno.

5.8.

Produrre energia individualmente implica, per chi compie questa scelta, una diversa organizzazione della vita. È una scelta che può, in larga misura, essere legata all’insoddisfazione per la produzione di massa e standardizzata. Nell’era digitale, i consumatori moderni desiderano essere trattati come soggetti e avere la possibilità di soddisfare individualmente le proprie esigenze e le proprie aspirazioni. Essi partecipano in maniera consapevole a progetti riguardanti la protezione dell’ambiente e la lotta contro le emissioni di gas a effetto serra.

5.9.

I prosumatori associano il passaggio ad un sistema energetico moderno allo sviluppo, al bisogno di creatività ed indipendenza. Il gruppo di prosumatori più attivo su questo mercato è la «generazione della rete», una generazione contraddistinta dal fatto di non guardare il mondo dal punto di vista del consumo, bensì da quello della produzione e che aspira a soddisfare bisogni legati alla libertà, alla credibilità sul piano sociale, a un ritmo di vita dinamico, alla capacità di innovazione.

5.10.

I primi processi di produzione-consumo hanno la loro genesi in semplici attività di servizio per soddisfare i propri bisogni e di commercio elettronico, in un modello di consumo meno orientato al mercato. Altri fattori all’origine della prosumazione sono i mutamenti nel mercato del lavoro, l’informatizzazione delle attività quotidiane, la possibilità di lavorare a domicilio (telelavoro), l’aumento del tempo libero e la necessità di utilizzarlo nel miglior modo possibile.

5.11.

Sul piano del mercato, la ragione principale dello sviluppo della prosumazione, non solo nel settore dell’energia, è il calo dei redditi delle famiglie durante la crisi, l’aumento dei prezzi di beni e servizi, la necessità di realizzare risparmi quotidianamente e la produzione di beni e servizi per uso personale per ragioni economiche.

5.12.

Molti paesi riconoscono i vantaggi recati dallo sviluppo parallelo di impianti decentrati di generazione di energia da fonti diffuse, compresi i microimpianti, la cui potenza non supera in genere i 50-100 KW. E ciò vale in particolare per gli impianti dei prosumatori.

5.13.

L’energia prodotta da prosumatori si può considerare un elemento essenziale del passaggio verso la generazione energetica diffusa, ossia una soluzione che, in linea di massima, sarebbe auspicabile sia dal punto di vista della sicurezza energetica che alla luce di considerazioni ambientali e sociali;

5.14.

L’ampia attuazione del prosumerismo dovrebbe facilitare in modo significativo l’assolvimento dei compiti fissati dalla COP 21 di Parigi.

5.15.

L’UE ha posto i consumatori al centro della sua politica energetica, consentendo loro di utilizzare attivamente le nuove tecnologie. Negli ultimi anni, con l’avvento di nuove tecnologie per le FER sia per i grandi impianti industriali che per i progetti su piccola scala, i costi degli investimenti iniziali si sono considerevolmente ridotti: per esempio, il costo dei moduli solari fotovoltaici è diminuito dell’80 % tra il 2008 e il 2012. Di conseguenza, imprese e famiglie hanno potuto iniziare a produrre e consumare la propria energia elettrica in maniera redditizia.

5.16.

Considerati i benefici dello sviluppo della prosumazione in campo energetico, è opportuno incoraggiare i potenziali prosumatori a rendersi attivi in questo settore. E tale sostegno può includere la rimozione delle barriere e la semplificazione delle procedure amministrative, l’agevolazione delle connessioni alla rete o anche la creazione di condizioni favorevoli per la vendita delle eccedenze di energia.

6.   Le cooperative energetiche come prosumatori

6.1.

Una cooperativa energetica è un’associazione volontaria di un numero illimitato di membri, dotata di personalità giuridica e avente lo scopo di soddisfare congiuntamente la domanda di energia dei suoi membri.

6.2.

Un prosumatore può produrre energia da solo oppure insieme con i suoi vicini in un edificio plurifamiliare. Si può parlare di cooperativa quando ad investire nell’impianto di produzione di energia sono più persone, ad esempio interi gruppi di abitanti di un determinato sito. L’idea è quella di produrre energia elettrica o termica a partire da fonti energetiche rinnovabili per coprire il proprio fabbisogno e vendere le eventuali eccedenze alla rete di distribuzione. Per far ciò, in Germania devono associarsi almeno 3 persone fisiche, in Polonia almeno 10 persone fisiche o 3 persone giuridiche.

6.3.

L’esperienza tedesca degli ultimi anni dimostra che lo scopo delle cooperative non è massimizzare il profitto, bensì, soprattutto, fornire assistenza economica e sostegno ai loro aderenti. Delle circa mille cooperative, un quarto si è finanziato esclusivamente con i contributi dei soci, mentre nelle altre due terzi dei finanziamenti sono stati erogati da banche cooperative. Ogni socio della cooperativa dispone di un solo voto, a prescindere dall’importo del suo contributo finanziario. Quest’ultimo, che in genere non è di grande entità, è stabilito dallo statuto. Se una cooperativa registra delle perdite, la responsabilità dei soci è limitata all’importo della rispettiva partecipazione.

6.3.1.

Come ogni altra impresa, anche una cooperativa deve funzionare in modo economicamente efficace. Il vantaggio di questa forma d’impresa è costituito dalla trascurabile percentuale di fallimenti (che rappresentano circa lo 0,1 % di tutti i fallimenti dichiarati in Germania). Inizialmente, venivano distribuiti dividendi pari, in media, al 5-6 %, mentre attualmente tale media si attesta sul 2-3 %.

6.3.2.

In Germania i comuni sono partner molto importanti delle cooperative energetiche, e non solo perché mettono i tetti e gli edifici comunali a disposizione per gli investimenti. In molti casi, infatti, i sindaci stessi hanno assunto l’iniziativa di costituire cooperative energetiche e hanno cercato di convincere gli abitanti a tradurre in pratica questa idea.

6.4.

Un effetto molto importante della costituzione di cooperative energetiche è la possibilità di ottenere energia a costi inferiori rispetto a quelli che i singoli dovrebbero pagare individualmente.

6.5.

Le cooperative energetiche rafforzano in misura molto rilevante la posizione dei prosumatori rispetto ai grandi operatori sul mercato dell’energia.

6.6.

Le cooperative energetiche, inoltre, coinvolgono direttamente le persone del posto nel processo di rafforzamento della sicurezza energetica locale, e ciò è di capitale importanza per ottimizzare soluzioni su misura per le esigenze e le condizioni delle comunità locali.

6.7.

Il movimento cooperativo, in particolare nei «vecchi» Stati membri dell’UE, ha svolto un ruolo significativo nel guidare la crescita e migliorare la competitività dell’economia, nonché nel sostenere i valori europei di solidarietà, autonomia e democrazia. In tali Stati membri, il potenziale economico delle cooperative è ancora enorme. Nei paesi dell’Europa centrale e orientale usciti dai regimi del socialismo reale, le origini socialiste del movimento cooperativo e la politica di assoggettamento delle cooperative al controllo delle autorità nazionali e subnazionali seguita da quei regimi si rivelano un freno e si ripercuotono negativamente sull’atteggiamento nei confronti delle cooperative di prosumatori.

6.8.

Il «modello di autoconsumo»(self-consumption model) ha aperto la possibilità di ridurre i costi dell’energia, in particolare per le PMI, per le quali i prezzi elevati dell’energia elettrica rappresentavano un grave peso. Tra i consumatori delle utenze domestiche si vanno affermando nuovi sistemi, che vanno dai pannelli fotovoltaici sui tetti, di proprietà della famiglia stessa o di terzi, ai progetti realizzati da cooperative di cittadini per la produzione di energia da FER.

Bruxelles, 19 ottobre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  GU C 389 del 21.10.2016, pag. 28.


2.2.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 34/53


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Energie marine: fonti energetiche rinnovabili da sviluppare»

(parere d’iniziativa)

(2017/C 034/08)

Relatore:

Stéphane BUFFETAUT

Decisione dell’Assemblea plenaria

21/01/2016

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

 

 

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

06/10/2016

Adozione in sessione plenaria

19/10/2016

Sessione plenaria n.

520

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

218/3/8

1.   Conclusioni

1.1.

Da anni, scienziati e ingegneri lavorano allo sfruttamento dell’energia oceanica. Correnti, maree e moto ondoso offrono riserve energetiche rinnovabili all’infinito. In Francia, la centrale mareomotrice dell’EDF, situata all’estuario del fiume Rance e inaugurata nel 1966 dal generale de Gaulle, ha una capacità di 240 MW, con 24 turbine da 10 MW ciascuna. Le turbine eoliche di ultima generazione sviluppano al massimo 8 MW. Questa tecnologia è quindi efficace, anche se la diga sulla Rance è rimasta per molto tempo l’unico esempio mondiale di impianto di questo genere. Oggi, vi è un altro esempio di impianto analogo nel lago di Sihwa, in Corea del Sud, con una capacità di 254 MW. Altri progetti, avviati in Gran Bretagna, sono stati bloccati o sospesi perché oggetto di opposizione per ragioni ecologiche.

1.2.

Nondimeno tali investimenti sono giustificati quando il sito dell’installazione ha caratteristiche favorevoli, con elevati coefficienti di marea, e dovrebbero essere maggiormente integrati nel mix energetico nazionale.

1.3.

Le prime applicazioni industriali sono state realizzate, il che dimostra che è opportuno considerare tali tecniche non come sperimentazioni rischiose ma come fonti di energia pulita da sfruttare.

1.4.

Il CESE considera pertanto utile sviluppare questo tipo di generazione di elettricità rinnovabile, anziché concentrarsi unicamente sulla tecnologia eolica e su quella solare. È vero che non tutti i siti si prestano allo sfruttamento delle energie marine, ma sarebbe controproducente ignorare una fonte energetica rinnovabile prevedibile, con un impatto ambientale ridotto o controllabile. È noto che il futuro energetico si baserà sulla varietà delle fonti di approvvigionamento.

1.5.

Il 6 giugno 2016, la Germania, il Belgio, la Danimarca, la Francia, l’Irlanda, il Lussemburgo, la Norvegia, i Paesi Bassi e la Svezia hanno deciso di rafforzare la loro cooperazione in materia di energia eolica in mare. I suddetti paesi hanno firmato con i commissari europei responsabili dell’Unione dell’energia e del clima un piano d’azione specifico per i mari dell’Europa settentrionale. Tale cooperazione si tradurrà in particolare in un’armonizzazione della regolamentazione e del regime di sovvenzione dell’energia eolica in mare, e nell’interconnessione delle reti elettriche.

1.5.1.

Il CESE raccomanda vivamente di lanciare un’iniziativa analoga per lo sfruttamento delle energie marine, mediante turbine sommerse o dighe mareomotrici, avviando una cooperazione tra Stati membri o paesi del vicinato dell’Unione europea che dispongono di siti adatti per questo tipo di impianti, ossia principalmente i paesi orientati verso l’Atlantico e il Mare del Nord.

1.6.

Ritiene che non si debbano trascurare le tecniche non ancora mature, quali l’energia del moto ondoso o l’energia termica oceanica, ma che, in un periodo di scarsità di fondi pubblici, l’assegnazione di tali fondi deve rispondere a criteri di efficienza, e occorre pertanto dare la priorità alle tecnologie più promettenti nel breve periodo.

1.7.

Sottolinea che investire in questo settore consentirà all’UE di consolidare a medio termine la propria posizione di avanguardia nelle nuove fonti di energie rinnovabili. Le imprese europee possiedono già il 40 % dei brevetti in materia di energie rinnovabili. Il CESE raccomanda di proseguire gli sforzi di ricerca e sviluppo nel settore delle energie marine, ma anche in quello dello stoccaggio dell’energia prodotta da fonti intermittenti per essere in grado di regolarizzare la produzione di energie rinnovabili.

1.8.

Mette in guardia dalla tentazione di sovvenzionare le sole energie rinnovabili classiche, perché ciò rischierebbe di limitare il potenziale a disposizione e di distorcere l’economia delle rinnovabili, avvantaggiando le tecniche promosse attraverso un’efficace attività lobbistica.

2.   Considerazioni generali

2.1.

Il nostro pianeta è coperto prevalentemente da oceani e sarebbe più giusto chiamarlo pianeta Mare anziché pianeta Terra. Da sempre il genere umano ha utilizzato le risorse alieutiche per nutrirsi, mentre più recentemente l’umanità è riuscita a sfruttare le risorse situate sul fondo marino o sotto di esso (noduli polimetallici, petrolio e altro). Anche l’energia contenuta negli oceani è utilizzata da secoli, ma su scala artigianale, mediante i mulini a marea che si ritrovano in alcune zone costiere.

2.2.

Oggigiorno l’esigenza di contrastare l’inquinamento di ogni genere e di ridurre le emissioni di gas a effetto serra dovrebbe indurci a studiare il potenziale energetico del mare. Per l’UE e i suoi Stati membri affacciati sul mare sarebbe d’altronde impossibile ignorare le opportunità energetiche offerte dagli oceani.

2.3.

Le aree marittime europee sono effettivamente molto vaste, ma lo sfruttamento delle risorse energetiche rinnovabili che vi sono racchiuse è ancora agli inizi. L’UE e i suoi Stati membri potrebbero nondimeno contribuire a promuovere l’applicazione di nuove tecniche di sfruttamento delle energie marine da parte di imprese innovative e di gruppi industriali del settore energetico. È questo l’obiettivo che il Forum delle energie marine si è prefissato.

2.4.

Nei mari sono presenti varie fonti energetiche rinnovabili: moto ondoso, onde, correnti, maree, differenze di temperatura tra acque di superficie, venti. Ogni tecnica o metodo ha esigenze geografiche e ambientali proprie, e dunque l’impiego di tali tecniche innovative può essere previsto solo tenendo conto di tali limitazioni e delle relative conseguenze.

3.   Lo sfruttamento dell’energia delle correnti, delle maree, del moto ondoso e delle onde: le turbine sommerse

3.1.

Chiunque abbia osservato l’oceano, calmo o agitato, sa che quest’immensità è costantemente in movimento e che in essa agiscono delle forze. È perciò naturale chiedersi se sia possibile sfruttare o captare l’energia sviluppata dal mare.

3.2.

Quali tecniche, in pratica, sono state studiate o attuate?

le dighe site negli estuari e dotate di turbine mareomotrici. In Francia, la diga di La Rance funziona da decenni in modo soddisfacente. Nel Regno Unito sono stati elaborati due progetti, attualmente bloccati da gruppi di pressione ambientalisti;

le turbine installate in mare aperto e collocate su pali o boe;

le turbine sommerse, fissate sul fondale. In Bretagna saranno presto realizzati dei progetti di impianti di questo tipo.

3.3.

In pratica, la tecnica più promettente sembra essere lo sfruttamento delle correnti di marea. Tuttavia il potenziale di queste tecniche dipende molto dal sito in cui è localizzato l’impianto. I siti più convenienti sono l’Atlantico e il Mare del Nord, dove i coefficienti di marea sono maggiori. L’efficacia è infatti più elevata nelle zone caratterizzate da una forte escursione di marea. Il grande vantaggio di questo tipo di sfruttamento è che offre una generazione di energia prevedibile e regolare, in quanto le maree sono costanti, e loro ampiezza è nota in anticipo.

Secondo l’EDF, il potenziale di utilizzazione per l’Unione europea sarebbe di circa 5 GW (di cui 2,5 sulle coste francesi), ovvero l’equivalente di 12 reattori nucleari di 10 800 MW. Tuttavia, lo sfruttamento delle correnti di marea è in fase di ricerca tecnologica e, con l’eccezione della diga di La Rance, non ancora operativo.

3.4.

Quali tecnologie di turbine sommerse vengono sperimentate?

Un prototipo di turbina sommersa, denominato Arcouest (1,5 MW) è stato installato nel 2014 al largo di Paimpol, in Bretagna. Questa turbina sommersa è stata sviluppata da Open Hydro (un’impresa del gruppo di costruzioni navali DCNS) per la prima centrale a turbine sommerse dell’EDF, a Paimpol/Bréhat. Comprende quattro turbine, con una potenza installata compresa tra 2 e 3 MW. Si tratta di un tipo di installazione semplice e robusto, a centro aperto, che dispone di un rotore a velocità ridotta e funziona senza lubrificante, cosa che riduce al minimo l’impatto sulla vita marina. L’impianto è stato collaudato per quattro mesi. La turbina ha girato per 1 500 ore senza interruzione ed è stata oggetto di numerose misurazioni meccaniche ed elettriche. Le prove sono state concludenti e confermano la validità di questo tipo di turbine. Si è deciso, pertanto, di mettere in servizio un parco dimostrativo nell’estate del 2015. Le turbine sono state costruite e sono pronte per essere installate, ma le condizioni meteorologiche e del mare hanno costretto a rinviarne l’installazione. Le due turbine sono state costruite a Cherbourg e a Brest, il che dimostra che le nuove tecnologie possono creare attività industriale nelle regioni costiere.

Le turbine semisommerse, che possono essere sollevate per la manutenzione. Si tratta di una tecnica britannica, sviluppata dalla società Tidalstream. È stato messo a punto il prototipo di un impianto STT (Ship to turbine) operante nello Stretto di Pentland. L’impianto consiste di 4 turbine del diametro di 20 metri, in grado di generare fino a 4 MW. Per generare una potenza equivalente, una turbina eolica in mare dovrebbe avere il diametro di 100 metri e operare con un vento della velocità di 10 metri al secondo. Inoltre, la base della turbina eolica, situata a 25 metri sotto il livello del mare, è di un 25 % più grande di quella dell’impianto STT. Tidalstream ritiene quindi che il proprio sistema sarebbe competitivo rispetto alle centrali eoliche situate in mare o in terraferma. Il costo dell’elettricità prodotta dal sistema STT potrebbe raggiungere 0,03 GBP/kWh (circa 0,044 EUR/kWh). Tale sistema è stato sperimentato e riconosciuto valido mediante prove effettuate nel Tamigi.

Le turbine sommerse montate su pali di Marine Current Turbines. Tale tecnologia richiede il fissaggio di un palo sul fondo del mare, e comporta quindi un limite di profondità. Le turbine sommerse possono essere fatte scorrere lungo il palo, e quindi estratte dall’acqua per la manutenzione e le riparazioni.

Nel 2003 è stato installato nello stretto di Hammerfest, in Norvegia, un impianto sommerso le cui turbine sono fissate su una boa ancorata al fondo.

Vi sono infine le turbine mareomotrici, tra cui quelle installate in Francia, su una diga all’estuario del fiume Rance, che costituiscono il primo impianto di questo tipo, in funzione dagli anni 1960. Due progetti sono allo studio in Gran Bretagna, ma sono stati bloccati per motivi ambientali.

4.   Lo sfruttamento dell’energia del moto ondoso e delle onde: l’energia dalle onde

4.1.

Esiste una vasta gamma di soluzioni per lo sfruttamento dell’energia delle onde, alcuni prototipi sono immersi, altri installati in superficie, in prossimità della costa o in alto mare. I sistemi di conversione dell’energia variano da un prototipo all’altro: conversione dell’energia meccanica in superficie (ondulazioni) o sott’acqua (traslazioni o movimenti orbitali), conversione delle variazioni di pressione al passaggio delle onde (variazioni di altezza dell’acqua) o conversione fisica di una massa d’acqua grazie a uno sbarramento.

4.2.

Il principale svantaggio è che, a differenza delle correnti di marea, l’energia del moto ondoso è poco prevedibile. Oggi lo sfruttamento dell’energia del moto ondoso e delle onde si trova nella fase di ricerca tecnologica e non è ancora operativa. Vengono tuttavia condotte delle prove con sei tecniche differenti:

la catena galleggiante articolata, o «serpente marino». Si tratta di una serie di lunghi galleggianti che si susseguono per la direzione del vento perpendicolarmente alle onde e la cui testa è ancorata al fondo del mare con un cavo. Le vaghe creano un’oscillazione della catena e le oscillazioni sono sfruttate in corrispondenza delle giunzioni esercitando una pressione su un fluido idraulico che aziona una turbina. Tale sistema è stato provato con gradi differenti di riuscita;

la parete oscillante immersa;

la colonna a oscillazione verticale;

il sensore di pressione immerso;

la colonna d’acqua;

il cassone inondabile.

5.   Lo sfruttamento dell’energia termica del mare

5.1.

Consiste nello sfruttamento della differenza di temperatura tra acque di superficie e acque profonde dei mari. Questa tecnica viene spesso chiamata OTEC (Ocean Thermal Energy Conversion). Ne testi dell’UE il termine energia idrotermica designa l’energia immagazzinata nelle acque superficiali sotto forma di calore.

5.2.

Le acque marine superficiali, grazie all’energia solare, raggiungono temperature elevate, superiori ai 25 oC nella zona intertropicale, mentre in profondità, in assenza di irradiazione solare, la temperatura dell’acqua è bassa, compresa tra 2 e 4 oC salvo nei mari chiusi come il Mediterraneo. Inoltre, gli strati di acqua fredda non si mescolano a quelli di acqua calda. Questa differenza di temperatura può essere sfruttata da una macchina termica, la quale ha bisogno di una fonte fredda e di una fonte calda per produrre energia e utilizza rispettivamente l’acqua in profondità e l’acqua di superficie come fonti.

5.3.

Ma per funzionare in modo ottimale e redditizio, questo tipo di sfruttamento termico del mare dev’essere installato in aree specifiche, dove la temperatura delle acque superficiali e la profondità corrispondono a determinati valori. Le condutture necessarie possono infatti giungere fino alla profondità di circa mille metri, con costi e aspetti tecnologici sotto controllo. Non avrebbe senso installare gli impianti di sfruttamento termico del mare a vari chilometri dalla costa, perché ciò richiederebbe tubi più lunghi e quindi costi aggiuntivi. In pratica, la zona ottimale è quella compresa tra il tropico del Cancro e il tropico del Capricorno, vale a dire tra 30o di latitudine nord e 30o di latitudine sud, dunque, per l’Unione europea, nelle cosiddette aree ultraperiferiche.

6.   Le sfruttamento dell’energia del vento in mare: le eoliche offshore

6.1.

Sebbene a rigor di termini non si tratti di energia marina, occorre menzionare anche le turbine eoliche fissate al fondo o galleggianti (ovviamente ancorate), che costituiscono la tecnologia di gran lunga più sviluppata in mare, e sembrano quasi convenzionali rispetto alle tecniche menzionate fin qui. Esse hanno tuttavia un indubbio impatto ambientale e visivo. Spesso è stata sollevata la questione del conflitto con i pescatori per il loro uso. In pratica i campi eolici, le cui pale hanno la base fissata sul fondo marino, costituiscono delle vere e proprie riserve in cui i pesci si moltiplicano. Indirettamente, tali impianti servono ai pescatori in quanto consentono di ricostituire gli stock in zone vietate alla pesca e in cui le fondamenta degli alberi fungono da barriere artificiali.

6.2.

Si tratta della tecnica più diffusa in Europa, ed è in pieno sviluppo. I parchi eolici già installati sono oltre cento, principalmente nel Mare del Nord, nell’Oceano Atlantico (Regno Unito) e nel Mar Baltico. Nel Mediterraneo, mare caratterizzato da una piattaforma continentale limitata o inesistente, sono presenti pochi impianti o progetti di questo tipo.

6.3.

Le tappe principali dell’attuazione di queste tecniche possono essere così riassunte;

Il primo impianto in mare, situato a Vindeby, in Danimarca, risale al 1991 e sviluppa 450 kW;

La base più profonda si trova a 45 m ed è stata installata nel Regno Unito nel 2007 (Beatrice Wind Farm). Essa sviluppa due volte 5 MW;

La prima grande eolica galleggiante in acque profonde (220 metri) è stata installata in Norvegia (Hywind) e sviluppa 2,3 MW;

la più potente eolica in mare sviluppa 6 MW e si trova in Belgio (Bligh Bank);

il più grande parco eolico in mare è in costruzione e si trova nel Regno Unito (Dogger Bank). Dovrebbe avere la capacità di 12 000 MW, con 166 turbine. Si può osservare che il Regno Unito, attento alla propria indipendenza energetica, dispone già di 1 452 turbine, distribuite tra 27 parchi eolici.

6.4.

Due importanti progetti saranno sviluppati al largo delle coste francesi, uno in Bretagna, l’altro tra Noirmoutier e l’isola di Yeu. Sono stati già pubblicati i bandi di gara e scelti i consorzi incaricati dei lavori.

6.5.

Il rendimento economico degli impianti eolici in mare dipende dal sito ma soprattutto dall’intensità e regolarità del vento, e può quindi variare secondo il rapporto 1 a 2. Talvolta, in periodi di basso consumo, le eccedenze di energia ricavata dall’eolico sono cedute a prezzi negativi sui mercati spot. Il considerevole aumento di questo tipo di generazione elettrica condurrà forse a delle eccedenze difficili da utilizzare perché strettamente legate ad eventi meteorologici specifici e casuali (cfr. il parere del professor Wolf sulle energie intermittenti).

6.6.

Lo sviluppo di questa tecnica e i progressi tecnologici connessi allo sfruttamento dell’energia eolica negli ultimi vent’anni riducono i costi di investimento e di gestione. All’inizio degli anni 2000 il costo del MWh generato era di 190 EUR, mentre oggi è compreso tra 140 e 160 EUR. A titolo di comparazione, un reattore nucleare moderno del tipo EPR ha un costo di generazione di 130 EUR al MWh, ma la sua produzione è stabile e prevedibile.

6.7.

È evidente che le altre tecniche di generazione di energia in mare dovranno poter reggere alla concorrenza dell’eolico per potersi sviluppare su scala industriale e dimostrare di avere vantaggi concorrenziali rispetto alle centrali eoliche, le quali comportano costi di manutenzione e di vigilanza non trascurabili. Oggigiorno le turbine sommerse e le dighe di estuario sembrano essere i sistemi più efficaci e redditizi. Uno dei loro vantaggi è fornire un flusso di energia prevedibile e regolare.

7.   Quale futuro per le energie rinnovabili in mare?

7.1.

Le energie verdi sono ammissibili a beneficiare di vari regimi di sostegno europei o nazionali, tra i quali in particolare il prezzo d’acquisto preferenziale. Tuttavia, a parte le turbine eoliche in mare, tali tecnologie, e in particolare le turbine sommerse, devono ancora essere collaudate su scala reale. È da sperare che le nuove tecniche sperimentate non siano ostacolate da un certo tradizionalismo ecologico. È noto che le dighe di estuario non hanno potuto svilupparsi anche per la strenua opposizione degli ambientalisti e dei pescatori. Qualsiasi impianto ha impatti ambientali, che bisogna poter misurare con la massima precisione per valutare il reale equilibrio tra costi e benefici.

7.2.

Di recente è stata installata tra Paimpol e l’isola di Bréhat, una prima centrale a turbine sommerse. Nella fase ascendente e in quella discendente le correnti di marea muovono i rotori delle turbine; ogni unità può generare 1 MW, e l’impianto potrà alimentare di elettricità 3 000 abitazioni.

7.3.

Infine, l’efficacia di tutte le tecniche di sfruttamento dell’energia marina dipende dall’ubicazione dei relativi impianti. Esse non sono pertanto una fonte di energia dall’efficacia universale. Occorrerà quindi dar prova di ragionevolezza più in questo settore che in altri settori delle energie rinnovabili sovvenzionate come, per esempio, i pannelli solari, installati talvolta più per i loro vantaggi fiscali che per ragioni di efficacia. È infine opportuno sottolineare che l’imposizione fiscale sulla CO2 contribuirà a rendere interessanti sul piano economico talune tecniche di produzione di energia rinnovabile oggi ancora all’inizio.

Bruxelles, 19 ottobre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


2.2.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 34/58


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Agenda 2030 — Un’Unione europea impegnata a favore dello sviluppo sostenibile a livello globale»

(Parere d'iniziativa)

(2017/C 034/09)

Relatore:

Ioannis VARDAKASTANIS

Decisione dell’Assemblea plenaria

21/01/2016

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

 

 

Sezione competente

Relazioni esterne

Adozione in sezione

29/09/2016

Adozione in sessione plenaria

20/10/2016

Sessione plenaria n.

520

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

141/1/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore l’Agenda 2030, poiché essa prevede un’ambiziosa serie di obiettivi e traguardi volti a trasformare il nostro mondo e segna un cambiamento storico nel modo in cui vengono affrontate le disuguaglianze di natura economica, sociale e ambientale in tutto il mondo. Tenuto conto dell’importante ruolo svolto dall’Unione europea (UE) sul piano internazionale in termini di diplomazia, promozione dei diritti umani, commercio, sviluppo e aiuto umanitario, nonché di cooperazione con le organizzazioni multilaterali e i paesi terzi sul piano bilaterale, essa può esercitare un’enorme influenza sul processo che mira a raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) a livello globale. Tuttavia, la rendicontazione spontanea potrebbe minare l’attuazione coerente, efficace e misurabile dell’Agenda 2030. Il CESE invita l’UE a considerare l’attuazione dell’Agenda 2030 come un dovere e un’opportunità per delineare le politiche e i programmi futuri dell’Unione europea. Inoltre, il CESE sottolinea che l’UE dovrebbe integrare l’Agenda 2030, in quanto essa fornisce una nuova dialettica orientata al futuro per rendere l’UE un’Unione dello sviluppo sostenibile e, di conseguenza, presentare ai cittadini dell’UE e del resto del mondo una nuova visione per uno sviluppo umano inclusivo.

1.2.

L’Agenda 2030 riflette pienamente i valori europei di prosperità per tutti, diritti umani, giustizia sociale, lotta alla povertà, governance democratica, economia sociale di mercato e tutela dell’ambiente. Ci si attende, perciò, che l’UE svolga un ruolo di leadership nell’attuazione dell’Agenda 2030 e nel contribuire al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile a livello globale. L’Unione, quindi, sarà riconosciuta quale principale attore nella promozione dello sviluppo ecocompatibile, socialmente ed economicamente responsabile e sostenibile, nonché del rispetto dei diritti umani, della parità di genere, della non-discriminazione e del sostegno ai gruppi vulnerabili. L’eliminazione della povertà dovrebbe essere una priorità assoluta nelle politiche e nei programmi dell’UE. Inoltre, i principi di giustizia climatica e di «transizione giusta» dovrebbero essere pienamente inseriti e integrati nella strategia globale dell’UE per l’attuazione dell’Agenda 2030.

1.3.

Il CESE sottolinea che l’UE potrà far fronte ai propri impegni in termini di sviluppo sostenibile a livello globale, e quindi promuovere in modo sostanziale ed efficace l’attuazione dell’Agenda 2030, solo se apporterà i necessari cambiamenti per adattare in modo equilibrato e inclusivo le sue politiche e i suoi programmi ai tre pilastri degli obiettivi di sviluppo sostenibile. L’UE e gli Stati membri hanno il dovere politico e morale, verso i cittadini dell’Unione e quelli del resto del mondo, di occuparsi dell’attuazione dell’Agenda 2030 in modo coordinato e coerente dal punto di vista politico. Le istituzioni dell’UE e gli Stati membri devono concordare con urgenza la procedura da seguire al più alto livello politico, attraverso un accordo interistituzionale tra la Commissione, il Consiglio e il Parlamento, al fine di stabilire una solida base per l’azione politica futura (1). L’accordo sull’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile dovrebbe costituire la base per una strategia globale volta a integrare l’Agenda 2030, con l’obiettivo di rendere l’UE un’Unione dello sviluppo sostenibile.

1.4.

Come già in un parere precedente (2), il CESE chiede la creazione di un Forum europeo della società civile a favore dello sviluppo sostenibile per promuovere e monitorare l’attuazione dell’Agenda 2030, al fine di garantire la coerenza nelle politiche e nei programmi sia interni che esterni dell’UE. Tutte le parti interessate, inclusi il Consiglio, la Commissione, il Parlamento e la società civile, devono partecipare pienamente a tale forum in qualità di attori chiave, rendendone l’attività trasparente e responsabile nei confronti dei cittadini europei. Il CESE è pronto a facilitare questo processo.

1.5.

L’Unione europea stessa dovrebbe presentare, di propria iniziativa, una revisione periodica volontaria alla Sessione del Forum politico di alto livello delle Nazioni Unite, sulle sue politiche e sui suoi programmi interni e esterni, a partire dal 2017. L’UE sarebbe la prima organizzazione regionale a farlo. Essa, inoltre, dovrebbe preparare relazioni tematiche annuali in linea con le revisioni tematiche annuali del Forum politico di alto livello delle Nazioni Unite. La società civile dovrebbe essere pienamente coinvolta in questo processo di rendicontazione attraverso il Forum europeo a favore dello sviluppo sostenibile. Il CESE è pronto a facilitare questo processo (3).

1.6.

L’UE ha il dovere di rispettare pienamente i trattati e gli accordi, sia europei che internazionali, che tutelano l’ambiente, i diritti umani e i diritti economici, sociali e culturali. Per questo motivo, la legislazione europea e internazionale dovrebbe essere alla base dell’approccio dell’UE all’attuazione, al monitoraggio e alla revisione dell’Agenda 2030. Il carattere volontario dell’Agenda 2030 non dovrebbe minacciare l’obbligo di includere e integrare pienamente ed efficacemente i suoi obblighi nei confronti del diritto internazionale ed europeo all’interno della strategia globale dell’UE per l’attuazione degli OSS. Detti obblighi internazionali assunti dall’UE dovrebbero essere applicabili a tutte le politiche e a tutti i programmi.

1.7.

La Commissione europea deve esaminare il modo in cui gli strumenti d’azione esterna tengono conto dell’Agenda 2030. L’esercizio di mappatura delle politiche esterne rappresenta il primo passo, ma non è sufficiente e deve essere affiancato da un’analisi e una valutazione complete e dettagliate del divario, al fine di individuare la reale divergenza esistente tra le politiche e i programmi esterni attuali e quelli futuri, che devono includere, inserire e integrare pienamente, in modo equo ed equilibrato, i pilastri economico, sociale e ambientale dell’agenda 2030. Il CESE, perciò, invita la Commissione a intraprendere un’azione specifica che includa questi elementi nell’imminente comunicazione sull’attuazione degli OSS.

1.8.

La Commissione europea deve inserire e integrare pienamente l’Agenda 2030 nell’azione esterna dell’Unione europea. L’UE è un attore rilevante sulla scena mondiale, che interagisce con altri attori (pubblici, intergovernativi, privati e non governativi) attraverso l’azione esterna e i relativi strumenti. Di conseguenza, la Commissione dovrebbe utilizzare pienamente i settori chiave, quali il commercio e le politiche dello sviluppo, la politica di vicinato, le politiche ambientali e l’azione per il clima, la politica estera e di sicurezza, l’economia sociale e solidale, la promozione dei diritti umani, l’aiuto umanitario, la riduzione del rischio di catastrofi e i trasferimenti di tecnologia, per procedere in modo propositivo nell’attuazione dell’Agenda 2030. La Commissione europea deve integrare e utilizzare appieno l’Agenda 2030 nel Consenso europeo in materia di sviluppo e il CESE si rammarica del fatto che questo elemento non sia stato sufficientemente incluso nella strategia globale dell’UE in materia di politica estera e di sicurezza (4). Nella Comunicazione sull’Agenda 2030, a lungo attesa e a lungo rimandata, la Commissione dovrebbe includere un programma significativo per conseguire la coerenza e il coordinamento delle politiche, nell’ambito delle sue azioni e nei suoi programmi esterni, al fine di garantire un approccio allo sviluppo sostenibile che sia integrato in tutte le politiche esterne.

1.9.

La Commissione europea e, più in particolare, l’Alto rappresentante per gli affari esteri e la sicurezza, dovrebbero istituire dei meccanismi efficaci per coordinare in modo coerente l’aiuto pubblico allo sviluppo e il programma d’azione di Addis Abeba, così da garantire che l’APS sia destinato a partenariati, programmi e progetti sviluppati in linea con i tre pilastri dell’Agenda 2030, tenendo pienamente in considerazione i principi di eliminazione della povertà, del «non lasciare indietro nessuno», la giustizia climatica, la giusta transizione, crescita e sviluppo inclusivi, la promozione della modernizzazione, lo sviluppo delle infrastrutture e le aziende sostenibili, la lotta alla disuguaglianza e la garanzia del rispetto per i diritti umani.

1.10.

Il CESE raccomanda che la Commissione europea utilizzi l’approccio di condizionalità dei fondi strutturali e d’investimento europei durante il processo d’integrazione dell’Agenda 2030 all’interno degli strumenti per l’azione esterna e, quindi, un simile approccio basato sulla condizionalità dell’Agenda 2030 dovrebbe essere applicato trasversalmente alle sue politiche e ai suoi programmi.

1.11.

Le delegazioni dell’UE nei paesi terzi dovrebbero condurre dei sondaggi per valutare la consapevolezza dell’opinione pubblica e la sua comprensione degli obiettivi di sviluppo sostenibile. La Commissione dovrebbe organizzare e svolgere attività e campagne di sensibilizzazione per fare dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile un’agenda europea. Essa dovrebbe, inoltre, svolgere indagini periodiche dell’Eurobarometro al fine di valutare la consapevolezza e la comprensione degli obiettivi di sviluppo sostenibile tra i cittadini dell’UE. Le organizzazioni della società civile hanno un ruolo cruciale da svolgere in questo processo.

1.12.

Il CESE invita la Commissione europea a presentare una relazione annuale sull’attuazione dell’azione esterna e sui finanziamenti relativi all’Agenda 2030: questo dovrebbe far parte delle relazioni dell’UE previste annualmente sull’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Inoltre, la Commissione dovrebbe stilare e includere una serie di indicatori e parametri di riferimento dell’Agenda 2030 nelle sue politiche esterne e nei suoi programmi, al fine di facilitare la stima, la valutazione e la rendicontazione sull’efficacia con cui gli strumenti dell’azione esterna indirizzano i finanziamenti verso i progetti e i programmi connessi agli OSS e, nello specifico, sull’inclusione dei pilastri economico, sociale e ambientale dell’Agenda 2030 all’interno degli strumenti dell’azione esterna dell’UE.

1.13.

La Commissione europea dovrebbe promuovere un modello di governance basato su una pluralità di soggetti nelle sue politiche e nei suoi programmi esterni, rendendo le organizzazioni della società civile nei paesi terzi dei veri partner nell’attuazione degli OSS. Tale nuovo approccio alla consultazione e al processo decisionale partecipativo deve basarsi sulla trasparenza, sulla responsabilità e sul partenariato. L’attuazione democratica dell’Agenda 2030 richiede il pieno coinvolgimento delle organizzazioni della società civile in tutte le fasi, incluse quelle di monitoraggio e revisione.

1.14.

Il CESE invita la Commissione europea a integrare lo sviluppo delle capacità delle organizzazioni della società civile nei suoi strumenti di finanziamento e nelle politiche e nei programmi dell’azione esterna. La Commissione dovrebbe stabilire un programma specifico e una linea di finanziamento a sostegno dello sviluppo delle capacità delle organizzazioni della società civile (OSC), in modo che possano partecipare pienamente a questo processo. Gli attuali programmi di sviluppo delle capacità devono essere più esplicitamente aperti alle OSC che svolgono una funzione di «ponte» tra le problematiche locali e le questioni di governance (5).

1.15.

Poiché il CESE interagisce con un ampio ventaglio di partner in molti paesi in tutto il mondo, esso è pronto a facilitare il reale e significativo coinvolgimento di tutti i partner (per lo più provenienti dalla società civile) nell’attuazione e nel monitoraggio degli OSS e, a tal fine, si impegna a facilitare la partecipazione della società civile nell’attuazione a livello nazionale.

2.   Introduzione

2.1.

Il CESE accoglie con soddisfazione l’impegno sottoscritto dai leader mondiali il 25 settembre 2015 nei confronti dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile con il titolo «Trasformare il nostro mondo», che stabilisce una serie di obiettivi per mettere fine alla povertà, proteggere il pianeta e garantire prosperità per tutti. Ogni obiettivo prevede alcuni traguardi specifici da raggiungere nei prossimi 15 anni. Ci si attende quindi che l’Agenda 2030 promuova la creazione e l’attuazione di un partenariato forte e inclusivo tra tutti i soggetti coinvolti, sostenendo così, in modo significativo, un nuovo modello di governance a livello globale.

2.2.

L’Agenda 2030 è caratterizzata dal suo approccio universale, indivisibile e integrato ai pilastri economico, sociale e ambientale, raggiungendo così un equilibrio unico tra le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile. Questo è il motivo per il quale l’Agenda 2030 rappresenta un cambiamento storico nel modo in cui le disuguaglianze di tipo economico, sociale e ambientale vengono affrontate in tutto il mondo.

2.3.

L’Agenda 2030 costituisce un piano d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità. Stabilisce 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) e 169 traguardi affrontando in egual misura le dimensioni economica, ambientale e sociale dello sviluppo sostenibile, al fine di garantire la prosperità per tutti: sulla base dei risultati degli obiettivi di sviluppo del Millennio (OSM), ne affronta le carenze e le lacune e offre al mondo una nuova visione dello sviluppo sostenibile, e della crescita inclusiva che andrà a beneficio di tutte le fasce della popolazione. L’Agenda 2030 mira, inoltre, a proteggere, promuovere e garantire i diritti umani e l’uguaglianza per tutti, con un’enfasi particolare sulla parità di genere (obiettivo 5).

2.4.

Il CESE accoglie e sostiene pienamente l’importanza del principio «non lasciare indietro nessuno», che vale per tutti gli OSS e i traguardi e che, per questo, deve essere pienamente integrato nello sviluppo dei partenariati, delle politiche e nell’azione di attuazione e monitoraggio dell’Agenda 2030.

2.5.

L’Agenda 2030 istituisce una struttura di governance di alto livello presso le Nazioni Unite, che prende il nome di Forum politico di alto livello, una piattaforma multilaterale incaricata di svolgere revisioni sistematiche e di dar seguito all’attuazione dell’Agenda 2030. La prima riunione del Forum, in seguito alla sottoscrizione dell’Agenda 2030, si è svolta nel luglio del 2016 e 22 governi, inclusi quattro Stati membri dell’UE, hanno presentato le primissime revisioni nazionali volontarie, che descrivono gli sforzi tesi all’attuazione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile nei paesi terzi (i paesi erano Estonia, Finlandia, Francia e Germania, accanto a Cina, Colombia, Egitto, Filippine, Georgia, Madagascar, Marocco, Messico, Montenegro, Norvegia, Repubblica di Corea, Samoa, Sierra Leone, Svizzera, Togo, Turchia, Uganda e Venezuela).

2.6.

Durante l’attuazione dell’Agenda 2030, maggiore attenzione deve essere prestata all’azione, alle politiche, ai programmi e alla creazione di partenariati multilaterali, trasparenti e partecipativi, volti ad eliminare le disuguaglianze economiche, sociali e ambientali in tutto il mondo, sulla base dei principi di universalità, indivisibilità, trasparenza, responsabilità e diritti umani.

2.7.

La natura universale e indivisibile dell’Agenda 2030 vale in egual misura per i paesi in via di sviluppo e per quelli sviluppati e la sua attuazione richiede, su tutti i fronti, cambiamenti trasformativi economici, sociali e ambientali. Dato che dall’UE ci si aspetta che sia d’esempio nell’attuazione dell’Agenda 2030, l’UE e gli Stati membri devono allineare le proprie politiche e i propri programmi agli obiettivi di lotta contro la povertà e la disuguaglianza, tutelando il pianeta e creando una crescita economica inclusiva in modo equilibrato e coerente, garantendo benefici equamente distribuiti tra tutte le fasce della popolazione, e inserendo e integrando i tre pilastri degli OSS.

2.8.

Le istituzioni dell’UE dovranno avviare processi di alto livello il cui risultato saranno decisioni politiche di alto livello per fare dell’UE un Unione dello sviluppo sostenibile. Per questo è di cruciale importanza sviluppare una strategia globale per l’attuazione degli OSS, promuovere, garantire e integrare la coerenza e il coordinamento nelle politiche e nei programmi dell’UE in modo equilibrato, prendendo egualmente in considerazione i tre pilastri dell’Agenda 2030.

3.   Fare dell’UE un leader globale nell’attuazione dell’Agenda 2030

3.1.

La principale sfida dell’attuazione dell’Agenda 2030 è l’eliminazione della povertà in tutte le sue forme, inclusa la povertà estrema. Questo rappresenta anche un principio chiave e un valore sancito dai trattati dell’Unione europea, nonché un prerequisito per il raggiungimento dello sviluppo sostenibile (obiettivo 1). L’UE ha una forte presenza globale ed è diventata, di fatto, uno dei principali attori, dotato di una forte influenza sulla crescita economica e sulle politiche di sviluppo a livello mondiale. Dispone, quindi, di un’opportunità unica per orientare le politiche e i programmi dell’azione esterna verso l’attuazione dell’Agenda 2030 a livello globale, garantendo che i tre pilastri dell’Agenda 2030 siano integrati in modo equilibrato in tutti gli strumenti dell’azione esterna dell’UE. Data l’universalità e l’indivisibilità dell’Agenda 2030, l’UE deve attendersi di trovarsi sotto attenta osservazione, soprattutto per quanto riguarda la sua capacità di affrontare questa sfida.

3.2.

L’Unione dovrebbe cercare meccanismi di condivisione degli oneri e dei benefici del cambiamento climatico, in quanto esso esercita un impatto sui diritti umani, sulla povertà e sull’uguaglianza. Uno tra questi meccanismi è la «giustizia climatica», utilizzata per inquadrare il surriscaldamento globale come una questione etica e politica, piuttosto che semplicemente ambientale o fisica. Ciò avviene mettendo in relazione gli effetti del cambiamento climatico con i concetti di giustizia, in particolare della giustizia ambientale e sociale, esaminando problematiche quali l’uguaglianza, i diritti imani, i diritti collettivi e le responsabilità storiche del cambiamento climatico. Un’affermazione fondamentale della giustizia climatica è che a essere maggiormente colpiti dal cambiamento climatico sono coloro che ne sono meno responsabili.

3.3.

È parimenti cruciale inserire e integrare all’interno delle politiche e dei programmi esterni e interni dell’UE il concetto di una «giusta transizione» che contribuisca alla salvaguardia dei diritti dei cittadini e dei lavoratori (ed esempio il lavoro dignitoso), e nel contempo modernizzi e renda ecocompatibili e socialmente responsabili le economie nazionali e gli operatori commerciali, attraverso gli strumenti dell’azione esterna dell’UE.

3.4.

L’equa attuazione dei pilastri economico, sociale e ambientale dell’Agenda 2030 attraverso l’azione esterna dell’UE deve includere strategie per la promozione di economie a basse emissioni di carbonio, circolari e collaborative, la produzione e il consumo alimentare sostenibili, investimenti nell’innovazione e nella modernizzazione a lungo termine delle infrastrutture, nonché l’incoraggiamento delle aziende sostenibili (6).

3.5.

L’Agenda 2030 si basa sul principio e sull’approccio di volontarietà e ciò può ostacolarne la piena e rapida attuazione. Tuttavia, l’UE dovrebbe rendere l’attuazione dell’Agenda 2030 un processo obbligatorio sia all’interno che all’esterno; i suoi 17 obiettivi sono pienamente compatibili con i principi e i valori dell’UE, in quanto sono sanciti dai suoi Trattati e, pertanto, devono essere inseriti e attuati attraverso le politiche e i programmi dell’UE. L’azione esterna dell’UE deve affondare le proprie radici in questi principi e valori.

3.6.

La piena attuazione dell’Agenda 2030 da parte dell’UE richiede che essa e gli Stati membri si impegnino concretamente al più alto livello politico al fine di integrare e includere in modo rapido ed efficiente gli OSS in tutte le politiche e in tutti i programmi dell’UE.

3.7.

La natura universale dell’Agenda 2030 e gli impegni sottoscritti dai paesi di tutto il mondo, indipendentemente dal loro livello di sviluppo economico e sociale e dal loro tenore di vita, pongono una sfida significativa all’Unione, che dovrà garantire la leadership e la guida per l’attuazione progressiva dell’Agenda 2030 a livello globale. Tuttavia, al fine di raggiungere questo obiettivo ed essere un motore dell’Agenda 2030, l’UE deve prendere le decisioni necessarie e apportare i cambiamenti indispensabili alle proprie politiche e ai propri programmi.

3.8.

Va sottolineato che è passato un anno dall’approvazione dell’Agenda 2030, con una gestione dell’attuazione di tale agenda da parte della Commissione europea molto incoerente e priva di coordinamento. La prima sessione del Forum politico di alto livello si è svolta nel luglio 2016 presso le Nazioni Unite, e quattro Stati membri (Estonia, Finlandia, Francia e Germania) hanno presentato le loro revisioni volontarie. Il CESE si rammarica del fatto che la Commissione europea non abbia presentato una strategia coerente e coordinata alla prima sessione del Forum, al fine di facilitare un miglior coordinamento e lanciare sinergie sia tra gli Stati membri che tra questi ultimi e le istituzioni dell’UE.

3.9.

Tale mancanza di coordinamento si riflette anche nei documenti di consultazione sia per la strategia globale per la politica estera e di sicurezza che per il nuovo Consenso in materia di sviluppo che rispecchia l’integrazione e l’inclusione limitate dell’Agenda 2030. All’inizio dell’anno, la Commissione europea ha dato il via alla consultazione sul pilastro europeo dei diritti sociali senza alcun riferimento all’Agenda 2030 e, più specificamente, al suo pilastro sociale. Va osservato che attualmente il CESE sta elaborando un parere sul pilastro europeo dei diritti sociali che stabilisca la visione del Comitato. Esso, inoltre, sottolinea con forza che l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile non può e non deve essere attuata dall’UE a compartimenti stagni.

3.10.

L’aiuto allo sviluppo da parte dell’UE e degli Stati membri raggiunge circa 150 paesi; sono i maggiori donatori dell’aiuto pubblico allo sviluppo (APS), con più del 50 % dell’APS totale donato ogni anno in tutto il mondo. Le cifre preliminari mostrano che nel 2015 l’APS totale dell’UE (istituzioni dell’UE e Stati membri) ha raggiunto i 68 miliardi di euro, in crescita per il terzo anno consecutivo, aumentando del 15 % rispetto al 2014 e raggiungendo il livello più alto ad oggi. Il CESE invita l’UE e gli Stati membri ad aumentare ulteriormente l’APS totale: nel 2015 si è attestato allo 0,47 % del reddito nazionale lordo (RNL) dell’UE, ma deve raggiungere l’obiettivo dello 0,7 %.

3.11.

L’indagine dell’Eurobarometro dimostra che «almeno nove cittadini dell’Unione europea su dieci sostengono l’aiuto allo sviluppo (89 %, ovvero 4 punti percentuali in più rispetto al 2014). Più della metà ha dichiarato che i livelli di aiuto promessi dovrebbero essere forniti dall’UE» (7). I cittadini europei si aspettano che l’UE rispetti i propri impegni relativi agli obiettivi di sviluppo sostenibile, fornendo una nuova visione di un’Europa sostenibile, e che adempia i propri doveri d’attuazione.

3.12.

La Commissione europea dovrebbe intraprendere la revisione delle politiche e dei programmi rivolti ai paesi terzi, per garantire la loro compatibilità con l’Agenda 2030. L’esercizio di mappatura che la Commissione europea sta svolgendo dovrebbe essere accompagnato da un’analisi completa e dettagliata del divario, al fine di individuare le mancanze e le incongruenze tra le politiche e i programmi dell’UE rivolti ai paesi terzi e gli obiettivi di sviluppo sostenibile.

3.13.

Si riscontra una mancanza di dati affidabili e disaggregati sulla situazione delle persone vulnerabili nel mondo. La Commissione europea deve, per questo motivo, sostenere il gruppo interagenzie di esperti sugli indicatori degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Eurostat deve rafforzare la propria capacità di misurare l’impatto dell’Agenda 2030 sui gruppi vulnerabili all’interno dell’UE. Il CESE chiede che sia presentata una relazione annuale sull’attuazione delle azioni e dei fondi relativi all’Agenda 2030: Questo dovrebbe far parte delle relazioni dell’Eurostat previste annualmente sull’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile per l’Europa.

3.14.

Le istituzioni dell’UE dovrebbero intraprendere le azioni necessarie per poter affrontare la sfida di mettere in atto il principio di «non lasciare indietro nessuno» e integrarlo pienamente nelle politiche e nei programmi dell’Unione. Per conseguire ciò, è necessario un livello significativo di dati disaggregati, affidabili e accessibili.

3.15.

La Commissione europea dovrebbe sempre coinvolgere e consultare la società civile quando conduce revisioni complete o quando istituisce processi per monitorare l’attuazione dell’Agenda 2030. Il CESE, tuttavia, considera che la Commissione dovrebbe includere le attività di sviluppo delle capacità per la società civile in tutte le sue politiche e in tutti i suoi programmi, facendo così della società civile un vero partner nell’attuazione degli OSS, finanziando la cooperazione internazionale per le organizzazioni della società civile dell’UE e di altre regioni. A tal fine, il CESE invita la Commissione europea ad approvare l’istituzione di un Forum europeo a favore dello sviluppo sostenibile, come già raccomandato nel suo parere sul tema Forum della società civile europea a favore dello sviluppo sostenibile  (8).

3.16.

Le istituzioni dell’UE dovrebbero stabilire un meccanismo di coordinamento interistituzionale per inserire e integrare in modo efficiente, rapido e coerente gli obiettivi e i traguardi dell’Agenda 2030 in tutte le politiche e in tutti i programmi dell’azione esterna dell’UE. Un impegno completo dell’UE nell’attuazione degli OSS a livello globale richiede una pianificazione strategica per il futuro delle politiche e i programmi futuri dell’azione esterna dell’UE. Il CESE invita dunque:

3.16.1.

la Commissione europea a presentare nell’imminente comunicazione sull’Agenda 2030 un programma significativo per conseguire la coerenza e il coordinamento delle politiche nell’ambito dell’azione e dei programmi esterni. Una comunicazione senza un piano significativo per trasformare le politiche esterne dell’UE in politiche orientate all’Agenda 2030 non sarà all’altezza delle aspettative dei cittadini di tutto il mondo. Tale piano dovrebbe far parte della strategia globale dell’UE, comprendendo tutte le misure necessarie e apportando i cambiamenti indispensabili per attuare l’Agenda 2030 in modo coerente all’interno delle politiche e dei programmi dell’UE a livello globale. Il modello di governance multilaterale dovrebbe costituire una componente di base della strategia globale, garantendo il pieno coinvolgimento delle organizzazioni della società civile nell’attuazione degli OSS (9);

3.16.2.

la Commissione europea a garantire che la strategia globale dell’UE in materia di politica estera e di sicurezza sia un meccanismo ampio, così da includere l’Agenda 2030 in aree quali il commercio, lo sviluppo, la democrazia, i diritti umani, l’aiuto umanitario, la riduzione del rischio di catastrofi, i trasferimenti di tecnologie e l’azione per il clima;

3.16.3.

la Commissione europea a garantire che la proposta per il futuro Consenso in materia di sviluppo stabilisca un reale coordinamento tra le istituzioni dell’UE e gli Stati membri, fornendo assistenza ai paesi terzi. Tale coordinamento dovrebbe includere la condivisione delle risorse. Il Consenso dovrebbe includere un efficace coordinamento bilaterale tra l’UE e gli Stati membri sulle loro priorità nazionali, sui partenariati con l’UE e l’inclusione di altri donatori pubblici e privati. Si prevede che ciò avrà un effetto moltiplicatore per la realizzazione dell’Agenda 2030 e diminuirà l’impatto negativo della frammentazione e della sovrapposizione dell’aiuto, come accade attualmente;

3.16.4.

la Commissione europea a promuovere l’economia sociale e solidale attraverso le sue politiche e i suoi programmi dell’azione esterna. Il CESE ritiene che l’economia sociale e solidale sia pienamente in linea con il conseguimento degli OSS e per questo tale settore dell’economia può essere determinante nell’attuazione equilibrata dei pilastri economico, sociale e ambientale dell’Agenda 2030;

3.16.5.

la Commissione europea a chiarire e specificare i mezzi da utilizzare per attuare l’Agenda 2030, cercando nel contempo forti sinergie con il programma d’azione di Addis Abeba e il Forum di finanziamento per lo sviluppo.

3.17.

Il nuovo approccio olistico dell’Agenda 2030, con la natura universale e indivisibile dei tre pilastri correlati, mira a un modello più completo di sviluppo umano e, per questo, i risultati dell’attuazione dell’Agenda 2030 non possono essere misurati nel modo tradizionale, utilizzando esclusivamente il PIL per misurare la crescita economica e lo sviluppo inclusivo.

3.18.

L’Unione europea dovrebbe concepire e realizzare politiche e programmi specifici, con l’obiettivo di attuare pienamente l’Agenda 2030, con un’attenzione particolare alla promozione della democrazia, dei diritti umani, delle politiche ambientali, dello Stato di diritto e della crescita inclusiva, con un vero miglioramento delle condizioni di vita dei gruppi vulnerabili. Ciò dovrebbe costituire la componente di base dell’azione esterna dell’UE, delle sue politiche e dei suoi programmi, con un’enfasi sulla promozione dell’attuazione equilibrata dei tre pilastri dell’Agenda 2030.

3.19.

Il Servizio per l’azione esterna dovrebbe inoltre concepire e attuare un piano coerente per l’inclusione di azioni e iniziative misurabili. L’obiettivo dovrebbe essere far sì che l’UE, svolgendo un ruolo di leadership nell’integrazione coerente dell’Agenda 2030 nell’azione, nelle politiche e nei programmi, sia considerata dal resto del mondo come il pioniere nell’attuazione equilibrata ed equa dell’Agenda 2030.

3.20.

La Commissione europea dovrebbe istituire una condizionalità dell’Agenda 2030 da delineare attraverso i 17 obiettivi, e tale condizionalità dovrebbe essere inclusa in tutte le politiche e in tutti i programmi finanziati dall’UE attraverso la sua azione esterna. I destinatari di questi programmi dovrebbero essere responsabili del rispetto della suddetta condizionalità nell’attuazione dei programmi in questione. Senza dubbio, la condizionalità dell’Agenda 2030 deve essere ugualmente e pienamente applicabile a tutte le politiche e a tutti i programmi dell’UE. Il principio di condizionalità è stato già incluso nel quadro normativo dei fondi strutturali e d’investimento (10).

3.21.

È ampiamente condiviso che l’Agenda 2030 porti un cambiamento di paradigma nell’agenda dello sviluppo e che questo dovrebbe rispecchiarsi pienamente nei programmi di cooperazione allo sviluppo dell’UE. Per questo motivo, i 17 obiettivi dell’Agenda 2030 dovrebbero essere pienamente inseriti, integrati e inclusi nell’Agenda di cooperazione allo sviluppo dell’UE. L’Unione, inoltre, dovrebbe rispettare pienamente e prendere in considerazione i trattati internazionali, ivi compresi i trattati in materia di ambiente e diritti umani, nello sviluppo e nell’attuazione dell’azione esterna (11).

3.22.

In più, la Commissione europea dovrebbe includere, nelle proprie politiche e nei programmi di azione esterna, misure per valutare la comprensione e la percezione, da parte dei cittadini, dell’impatto dell’attuazione dell’Agenda 2030. Perciò, il CESE invita la Commissione a svolgere un’indagine Eurobarometro negli Stati membri dell’UE e sondaggi pertinenti nei paesi partner. Va osservato e sottolineato che secondo l’Eurobarometro, soltanto «un terzo degli europei ha sentito parlare o ha letto degli obiettivi di sviluppo sostenibile (36 %)».

4.   Garantire un ruolo significativo per le organizzazioni della società civile nel processo di attuazione dell’Agenda 2030 a livello mondiale

4.1.

L’Agenda 2030 invita il mondo a orientarsi verso un modello di governance multilaterale, con un ruolo più prominente riservato alla società civile. Questo implica nuove modalità di lavoro più collaborative e inclusive, sviluppate intorno a un processo decisionale partecipativo.

4.2.

I negoziati per l’Agenda 2030 hanno mobilitato e attratto nuovi attori provenienti dalla società civile e per questo il coinvolgimento della società civile deve essere sfruttato al meglio, rafforzato e formalizzato durante il processo di attuazione. In effetti, i contributi positivi ed efficaci delle organizzazioni della società civile durante i negoziati dell’Agenda 2030 hanno reso indispensabile il ruolo della società civile stessa nell’attuazione dell’Agenda, rendendola di fatto un partner del processo.

4.3.

La società civile ha un ruolo cruciale da svolgere, nell’attuazione dell’Agenda 2030 a livello mondiale, regionale e nazionale. Bisogna garantire che la società civile svolga anche un ruolo efficace a livello nazionale negli Stati membri dell’UE e nei Paesi partner. Per fare di tale partecipazione e partenariato una realtà, il CESE invita la Commissione europea a inserire, integrare e includere le attività di sviluppo di capacità della società civile nelle sue politiche e nei suoi programmi.

4.4.

Il CESE è consapevole delle restrizioni, delle barriere degli ostacoli ai quali sono esposte le organizzazioni della società civile in molte parti del mondo e rileva che questa spiacevole situazione ostacola la loro reale ed effettiva partecipazione a tale processo. Invita quindi la Commissione a rendere obbligatoria, per i Paesi partner, la facilitazione della reale partecipazione della società civile attraverso consultazioni sistematiche e il loro coinvolgimento nella programmazione, nell’attuazione e nel monitoraggio dell’Agenda 2030 in relazione a progetti e programmi, specialmente quelli finanziati dall’UE. Per raggiungere tale obiettivo, le delegazioni dell’UE nei Paesi partner dovranno monitorare tutto ciò da vicino e informare la Commissione europea, così come l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Le delegazioni delle Nazioni Unite nei paesi partner dovrebbero altresì organizzare riunioni di consultazione con le organizzazioni della società civile, riguardanti i programmi di finanziamento dell’UE.

4.5.

Tuttavia, la società civile dovrebbe cercare attivamente di adattarsi ai requisiti dell’Agenda 2030 per esercitare un’effettiva influenza sulla sua attuazione. È evidente che l’Agenda 2030 invita le organizzazioni della società civile a diventare la vera forza propulsiva della sua attuazione e ciò vuol dire che la società civile dovrebbe considerare tale processo come un cambiamento di paradigma nella sua organizzazione e nelle modalità di lavoro. Questo potrà essere conseguito soltanto se la società civile provvederà a prepararsi e a darsi una nuova struttura, così da essere in grado di partecipare pienamente al processo decisionale. Le organizzazioni della società civile dovrebbero essere rappresentative, democratiche, trasparenti e responsabili.

4.6.

La futura istituzione del Forum a favore dello sviluppo sostenibile nell’UE è un buon modello di piattaforma che può essere riprodotto in altre regioni e paesi del mondo, adattandolo alle condizioni locali (12).

4.7.

Il CESE è pronto a facilitare il coinvolgimento significativo delle organizzazioni della società civile nell’attuazione, nel monitoraggio e nella revisione dell’Agenda 2030 a livello globale. Esso può sostenere tutto ciò sfruttando appieno la sua ampia rete di contatti, partner e soggetti interessati in molte regioni del mondo. Il Comitato invita inoltre la Commissione europea a includere e integrare un sostegno strutturale e significativo nelle politiche e nei programmi dell’azione esterna, al fine di consentire alle organizzazioni della società civile nei paesi terzi di partecipare in qualità di partner a pieno titolo al processo d’attuazione dell’Agenda 2030.

Bruxelles, 20 ottobre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Come raccomandato nel parere del CESE NAT/693 sul tema Sviluppo sostenibile: una mappatura delle politiche interne ed esterne dell’UE, relatore: Ioannis Vardakastanis, correlatrice: Jarmila Dubravská (GU C 487 del 28.12.2016, pag. 41).

(2)  Parere esplorativo del CESE sul tema Forum della società civile europea a favore dello sviluppo sostenibile (GU C 303 del 19.8.2016, pag. 73).

(3)  Cfr. la nota 1.

(4)  Cfr. la nota 1.

(5)  Cfr. la nota 1.

(6)  Cfr. la nota 1.

(7)  Eurobarometro Speciale 441 — The European Year for Development — Citizens’ views on Development, Cooperation and aid («L’anno europeo dello sviluppo — Il punto di vista dei cittadini sullo sviluppo, la cooperazione e gli aiuti»).

(8)  Cfr. la nota 2.

(9)  Parere del CESE sul tema Forum europeo della società civile a favore dello sviluppo sostenibile, relatrice: Brenda King, punto 1.4, GU C 303 del 19.8.2016, pag. 7); parere del CESE sul tema Bilancio della strategia Europa 2020, relatore: Stefano Palmieri (GU C 12 del 15.1.2015, pag. 105).

(10)  Regolamento (UE) n. 1303/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante disposizioni comuni sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione, sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca e disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca, e che abroga il regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio (GU L 347 del 20.12.2013, pag. 320).

(11)  Convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale 21 dicembre 1965

Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici 16 dicembre 1966

Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali 16 dicembre 1966

Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne 18 dicembre 1979

Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti 10 dicembre 1984

Convenzione sui diritti del fanciullo 20 novembre 1989

Convenzione internazionale delle Nazioni Unite sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie 18 dicembre1990

Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate 20 dicembre 2006

Convenzione sui diritti delle persone con disabilità 13 dicembre 2006

(12)  Cfr. la nota 2.


2.2.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 34/66


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Valutazione intermedia di Orizzonte 2020»

(Parere esplorativo)

(2017/C 034/10)

Relatore:

Ulrich SAMM

Consultazione

Presidenza slovacca del Consiglio, 14/03/2016

Base giuridica

Articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

Parere esplorativo

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

04/10/2016

Adozione in sessione plenaria

20/10/2016

Sessione plenaria n.

520

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

180/0/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie favorevolmente Orizzonte 2020, in quanto è un programma solido e vincente che combina l’eccellenza, le infrastrutture di ricerca comuni, la collaborazione transfrontaliera e le sinergie tra il mondo accademico, l’industria, le PMI e gli organismi di ricerca.

1.2.

Il programma Orizzonte 2020 è uno strumento strategico cruciale per l’attuazione della strategia Europa 2020 volta a «contribuire alla crescita economica e alla competitività sostenibili in Europa rafforzando la capacità d’innovazione degli Stati membri e dell’Unione per rispondere alle grandi sfide affrontate dalla società europea».

1.3.

Il CESE pertanto, in linea con la commessione ITRE (Industria, ricerca ed energia) del Parlamento europeo, chiede che venga annullato lo storno di 2,2 miliardi di euro dal programma per la ricerca e l’innovazione Orizzonte 2020 al Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS).

1.4.

Il CESE rileva con compiacimento che l’innovazione ha un peso maggiore nel quadro del programma Orizzonte 2020, in quanto essa è cruciale per la crescita economica. Lo strumento per le PMI che è stato recentemente introdotto rappresenta un esempio concreto di un processo efficiente in termini di applicazione, selezione e monitoraggio.

1.5.

Il finanziamento della ricerca di base è estremamente efficace. Le sovvenzioni del Consiglio europeo della ricerca (CER) sono tenute in grande considerazione: sono considerate riconoscimenti di alto livello per singoli ricercatori e fungono da parametro di riferimento a livello europeo.

1.6.

Il CESE esprime preoccupazione per la significativa riduzione dei finanziamenti destinati alla ricerca per la priorità Sfide per la società. Tante storie di successo nate dalla collaborazione paneuropea delle attività di ricerca nell’ambito del 6o e 7o PQ sono giunte al termine con l’avvio di Orizzonte 2020. La ricerca in collaborazione dovrebbe nuovamente avere una sua funzione quale elemento indispensabile della catena della ricerca e dell’innovazione (R&I).

1.7.

Il CESE chiede un’attenta valutazione affinché venga trovato un ragionevole equilibrio tra i tre assi fondamentali, ossia le priorità Eccellenza scientifica, Leadership industriale e Sfide per la società. Questa valutazione dovrebbe tenere conto delle differenze in termini di impatto, tempi di realizzazione, effetto leva e — in particolare — valore aggiunto specifico dell’UE.

1.8.

L’Unione europea deve fornire un sostegno equilibrato all’intera catena della R&I, dalla ricerca fondamentale a quella orientata alla produzione.

1.9.

Il CESE, inoltre, evidenzia che le scienze sociali e le discipline umanistiche devono svolgere un ruolo di primo piano nell’analisi e nella previsione degli sviluppi sociali indotti da mutamenti nelle condizioni di vita e di lavoro che sono provocati dall’evoluzione demografica, dalla globalizzazione, dai cambiamenti climatici, dalle tecnologie emergenti, dalla digitalizzazione e dall’istruzione pensata in funzione di nuovi posti di lavoro di qualità.

1.10.

Il CESE presta grande attenzione alla performance dell’Istituto europeo di innovazione e tecnologia (IET) e alle raccomandazioni formulate dalla Corte dei conti. Il Comitato si attende che con la valutazione intermedia siano apportati notevoli miglioramenti all’IET.

1.11.

Il nuovo consiglio europeo per l’innovazione (CEI), la cui creazione è proposta dalla Commissione e che dovrebbe rivolgersi direttamente agli imprenditori e agli innovatori, potrebbe diventare un organismo quadro che razionalizza gli strumenti di finanziamento per l’innovazione e, in questo modo, rappresenterebbe un sistema efficiente per colmare il divario in materia d’innovazione.

1.12.

Il CESE raccomanda con forza che, in occasione dell’introduzione di un nuovo strumento di finanziamento, vengano riesaminati in maniera approfondita anche gli altri strumenti, allo scopo di ridurli di numero e di armonizzarli quanto più possibile.

1.13.

Il CESE desidera sottolineare che l’erogazione di finanziamenti per la mobilità e per l’accesso a infrastrutture oltre frontiera costituisce, assieme al sostegno per i ricercatori, un elemento cruciale dello Spazio europeo della ricerca, che dovrebbe essere appoggiato in modo più efficace.

1.14.

Il CESE è estremamente preoccupato per le grandi disparità esistenti tra gli Stati membri in termini di finanziamento nazionale a favore della ricerca e dell’innovazione. Questa situazione ha portato a grandi differenze nella capacità di ricevere finanziamenti dall’UE.

1.15.

Il CESE raccomanda un riesame di tutti gli strumenti affinché siano apportati dei miglioramenti che possano aiutare a superare tali disparità. In quest’ottica, la ricerca in collaborazione a cui partecipano più Stati membri svolgerà un ruolo importante, al pari delle nuove misure concepite per diffondere l’eccellenza e ampliare la partecipazione.

1.16.

Il CESE chiede un potenziamento del finanziamento nazionale a favore della R&I e desidera richiamare l’attenzione degli Stati membri sul fatto che il finanziamento dell’UE per la R&I non può sostituire gli sforzi nazionali.

1.17.

Il CESE appoggia inoltre le conclusioni del Consiglio del 27 maggio 2016 in cui viene sottolineato che, nel quadro di Orizzonte 2020, ci si dovrebbe adoperare per assicurare che i finanziamenti basati su prestiti non siano ulteriormente estesi a scapito dei finanziamenti per la R&I basati su sovvenzioni.

1.18.

Bisogna conseguire percentuali di successo ragionevoli, per evitare uno spreco di risorse e la frustrazione dei migliori partecipanti provenienti dall’ambiente industriale e dal mondo accademico. A tale fine è disponibile un ventaglio di proposte per le contromisure del caso, e la Commissione dovrebbe attuarle senza indugio per il restante periodo di Orizzonte 2020.

1.19.

La necessità di semplificare ulteriormente le procedure del programma Orizzonte 2020 rappresenta tuttora un nodo da affrontare. Il CESE dà atto degli sforzi che la Commissione ha intrapreso con successo per rendere più agevole le domande. Per converso, adesso la fase di esecuzione dei progetti potrebbe comportare oneri supplementari. Il CESE raccomanda alla Commissione di accettare, per quanto possibile, il principio secondo cui il rispetto delle regole nazionali costituisce il criterio principale, purché tali regole soddisfino standard concordati.

1.20.

La valutazione intermedia dovrebbe esaminare in che modo il programma Orizzonte 2020 contribuisce sul piano qualitativo al raggiungimento dei suoi obiettivi, che consistono nel promuovere l’eccellenza scientifica, nell’affrontare le urgenti sfide per la società e nel sostenere una leadership industriale al servizio di una crescita economica maggiore e più inclusiva — in grado di creare veri posti di lavoro in Europa -, senza prestare un’attenzione eccessiva a misure quantitative — come il conteggio delle pubblicazioni e dei brevetti o la redditività del capitale investito (ROI) -, come è successo nella valutazione del 7o PQ. Il CESE raccomanda inoltre di creare indicatori compatibili per gli investimenti sia nella ricerca che nell’innovazione nel quadro dei fondi strutturali e del FEIS.

2.   Introduzione

2.1.

Orizzonte 2020, il programma quadro di ricerca e innovazione per il periodo 2014-2020, è stato lanciato nel 2014 per rafforzare l’eccellenza scientifica, affrontare le grandi sfide cui la società europea è posta di fronte e promuovere la crescita economica. Il programma fa seguito al settimo programma quadro per le attività di ricerca e sviluppo tecnologico (2007-2013). La struttura di Orizzonte 2020 differisce in maniera significativa dal 7o PQ, in quanto il programma adesso abbraccia anche l’Istituto europeo di innovazione e tecnologia (IET), oltre che parti del precedente programma quadro per la competitività e l’innovazione (CIP). Come risulta evidente sia dalla nuova struttura che dalla denominazione, nel quadro di Orizzonte 2020 l’innovazione ha un ruolo molto maggiore rispetto al programma precedente.

2.2.

Il CESE ha fornito un’analisi dettagliata delle proposte di regolamento riguardanti il programma Orizzonte 2020 nel proprio parere del marzo 2012 (1).

2.3.

Il CESE accoglie favorevolmente Orizzonte 2020 in quanto è un programma solido e vincente: esso combina l’eccellenza, le infrastrutture di ricerca e la maggior parte dei ricercatori di vari Stati membri dell’UE, dei paesi associati e di tutto il mondo, e inoltre genera risultati importanti e sinergie tra il mondo accademico, l’industria, le PMI e gli organismi di ricerca. Esso è il principale programma di finanziamento pubblico del mondo in materia di ricerca e innovazione, e trasmette con forza il segnale che l’UE sta investendo sul suo futuro.

2.4.

Più del 90 % del bilancio di Orizzonte 2020 è assorbito dai seguenti tre pilastri fondamentali:

1)

«Eccellenza scientifica» con il Consiglio europeo della ricerca (CER), le tecnologie emergenti e future (TEF), la mobilità dei ricercatori (azioni Marie Skłodowska-Curie o MSCA) e le infrastrutture di ricerca europee (24,4 miliardi di euro);

2)

«Leadership industriale», dedicato alla competitività dell’industria europea e articolato in sei sottoprogrammi, con un’attenzione particolare riservata al finanziamento delle PMI (17 miliardi di euro);

3)

«Sfide per la società», articolato in sette sottoprogrammi (29,7 miliardi di euro).

2.5.

Il programma è stato approvato dal Consiglio e dal Parlamento europeo con un bilancio totale di oltre 70 miliardi di euro (circa 80 miliardi di euro a prezzi correnti) di finanziamenti da erogare nel corso di sette anni. Il bilancio del programma è stato ridotto di 2,2 miliardi di euro nel 2015, in modo che i fondi stornati potessero essere usati per il FEIS.

2.6.

Il programma Orizzonte 2020 ha un ruolo multiforme nella strategia dell’UE. Esso è lo strumento finanziario che attua l’iniziativa faro della strategia Europa 2020 denominata «L’Unione dell’innovazione», volta a garantire la competitività dell’UE a livello mondiale. La sua origine risale tuttavia al trattato di Lisbona — in particolare all’articolo 179 e segg. — che stabilisce l’obiettivo di creare uno Spazio europeo della ricerca e assegna all’Unione europea il compito di attuare «programmi di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione, promuovendo la cooperazione con e tra le imprese, i centri di ricerca e le università».

2.7.

Il programma Orizzonte 2020 è stato istituito in un periodo di gravi difficoltà economiche e forte disoccupazione giovanile in Europa; di conseguenza, ha posto un accento maggiore sull’innovazione rispetto ai precedenti programmi di ricerca dell’UE. In tale contesto, per innovazione si intende generalmente l’introduzione sul mercato di un prodotto (oppure di un servizio) nuovo o considerevolmente migliorato.

2.8.

Tenuto conto del quadro generale, il programma Orizzonte 2020, che pone l’accento sulla crescita economica, ha inoltre istituito un nuovo strumento per le PMI, specificamente concepito per aiutare le singole PMI ad essere più innovative. Il programma, che pone un accento maggiore sugli strumenti finanziari, ha come obiettivo che il 20 % dei finanziamenti relativi ai pilastri 2 e 3 venga assorbito dalle PMI.

3.   Dalla ricerca all’innovazione

3.1.

Il CESE riconosce il successo di Orizzonte 2020 e accoglie con favore lo spostamento dell’attenzione verso una maggiore innovazione al servizio di un’economia in crescita. Desidera tuttavia anche evidenziare alcuni rischi per la catena della R&I che, a suo avviso, potrebbero minacciare questo successo.

3.2.

L’Unione europea deve tener conto dell’intera catena della R&I, dalla ricerca fondamentale a quella orientata alla produzione. Solo un sostegno equilibrato lungo questa catena garantirà che le conoscenze specialistiche generate siano effettivamente applicate e, alla fine, si trasformino in benefici sociali ed economici. Il CESE auspica un’attenta valutazione, allo scopo di trovare un equilibrio ragionevole tra i tre pilastri fondamentali (le priorità Eccellenza scientifica, Leadership industriale e Sfide per la società), tenendo conto delle loro differenze in termini di impatto, tempi di realizzazione, effetto leva e — in particolare — valore aggiunto specifico dell’UE.

3.3.

La ricerca di base in Europa ha un grandissimo successo. Il finanziamento dal basso proveniente dalle tecnologie emergenti e future (TEF), dalle azioni Marie Skłodowska-Curie (MSCA) e dal Consiglio europeo della ricerca (CER) dovrebbe certamente essere mantenuto a un livello elevato. Le sovvenzioni del CER sono tenute in grande considerazione: sono considerate riconoscimenti di alto livello per singoli ricercatori e fungono da parametro di riferimento a livello europeo.

3.4.

Andrebbe inoltre ricordato che la ricerca moderna è in gran parte il frutto della collaborazione. Pertanto, indipendentemente dall’importanza del sostegno dato ai singoli ricercatori, il CESE deplora che i finanziamenti per la ricerca di base in collaborazione siano stati significativamente ridotti nel programma Orizzonte 2020.

3.5.

La maggior parte della ricerca di base, che necessita di molto tempo prima di poter generare innovazione ed è principalmente stimolata dalle sfide poste alla società, non è finanziata dal CER. Questo tipo di ricerca in collaborazione ha avuto molto successo nell’ambito dei programmi quadro precedenti, ma con Orizzonte 2020 ha perso gran parte della sua importanza. Per finanziare il FEIS, il pilastro Sfide per la società è stato ridotto del 3,5 % e la ricerca in collaborazione nei livelli di maturità tecnologica più bassi (TRL da 1 a 5) ha perso terreno rispetto ai livelli TRL più alti. Questo ha allontanato numerose università e istituiti accademici dalla ricerca sulle sfide per la società, con l’effetto che l’interazione tra l’industria e il mondo accademico si è ridotta invece di rafforzarsi. Il CESE raccomanda alla Commissione di affrontare questo sviluppo preoccupante. È di vitale importanza sia ripristinare il finanziamento destinato alla priorità Sfide per la società che assegnare alla ricerca — nei livelli TRL da 1 a 5 — un ruolo di maggior rilievo nel quadro del pertinente pilastro del programma Orizzonte 2020, allo scopo di finanziare l’intero ciclo della ricerca e dell’innovazione. In tale contesto, è estremamente importante che la Commissione agisca di concerto con le parti interessate al momento di definire i dettagli che caratterizzeranno la priorità Sfide per la società a livello del programma di lavoro.

3.6.

Il CESE rileva con compiacimento che l’innovazione ha un peso maggiore nel quadro di Orizzonte 2020, in quanto essa è cruciale per la crescita economica. Lo strumento per le PMI che è stato recentemente introdotto rappresenta un esempio concreto di un processo efficiente in termini di applicazione, selezione e monitoraggio. Il successo di questo strumento è testimoniato dal fatto che l’obiettivo originario di una quota di bilancio del 20 % per le PMI è già stato superato. Nella valutazione andrebbero analizzati l’impatto e l’efficacia di questo strumento in rapporto ai differenti tipi di PMI, nonché i motivi addotti per presentare una domanda come singola impresa (come avviene nella maggior parte dei casi) o come consorzio (nazionale o a livello dell’UE). Bisognerebbe inoltre prestare attenzione a esaminare in che misura una diminuzione dei finanziamenti nazionali a favore delle PMI è correlata alle richieste di finanziamento a livello dell’UE. È fondamentale che il finanziamento per le PMI resti accessibile anche alle PMI a livello regionale e locale, e che i finanziamenti dell’UE non siano utilizzati per giustificare tagli a questa importante fonte di sostegno a livello locale.

3.7.

La partecipazione dell’industria è essenziale per il successo di Orizzonte 2020. È evidente che l’ammontare totale del finanziamento di Orizzonte 2020 che è destinato alle industrie è inferiore rispetto alla spesa industriale in R&I. I benefici principali per i partner industriali sono osservabili in termini di creazione di reti e di nuovi legami con le università, gli istituti di ricerca e altri soggetti interessati, come le città. I progetti dell’UE svolgono un ruolo importante nell’offrire la massa critica per lo sviluppo di nuovi standard e nel fornire all’industria nuove competenze, nuovi clienti e mercati, nonché nuovi talenti. Questo effetto positivo per la competitività dell’Europa andrebbe ulteriormente promosso. Va osservato che gli indicatori di successo, come il numero di nuovi posti di lavoro, non sono ancora applicabili a Orizzonte 2020, in considerazione dei tempi necessari per l’innovazione e la creazione di posti di lavoro.

3.8.

Il CESE presta grande attenzione alla performance dell’Istituto europeo di innovazione e tecnologia (IET). L’Europa ha bisogno di una forte interazione tra l’industria, la ricerca e l’istruzione, e tale interazione rappresenta l’obiettivo principale dell’IET. Secondo una relazione speciale della Corte dei conti (pubblicata nell’aprile 2016), l’IET è posto di fronte a varie questioni di rilievo. Anche se alcune sono già state affrontate in tempi recenti, il CESE si attende che con la valutazione intermedia vengano apportati notevoli miglioramenti generali all’IET.

3.9.

La Commissione ha avviato una discussione sull’istituzione di un consiglio europeo per l’innovazione (CEI) e sul relativo ambito di competenza. Il CEI dovrebbe rivolgersi direttamente agli imprenditori e agli innovatori, e potrebbe rivelarsi un meccanismo più rapido per portare a termine il processo volto a colmare il divario in materia d’innovazione. Il CEI potrebbe diventare un organismo quadro nel cui ambito vengono razionalizzati gli strumenti di finanziamento che hanno rilevanza per l’innovazione. Sono quindi necessarie un’attenta sincronizzazione e l’armonizzazione con tutti gli altri strumenti di finanziamento. Il CESE accoglie favorevolmente questa iniziativa ed è pronto a contribuire alla discussione quando verranno avanzate proposte concrete.

3.10.

Una delle sfide principali per i prossimi anni consiste nello spiegamento di tutte le potenzialità di Orizzonte 2020 a sostegno dell’innovazione sociale, che è cruciale per conseguire gli obiettivi della strategia Europa 2020. Il CESE ricorda che le imprese dell’economia sociale, per loro natura, hanno un ruolo importante da svolgere in tal senso e raccomanda alla Commissione europea e agli Stati membri di garantire che tali imprese possano accedere ai finanziamenti di Orizzonte 2020 a parità di condizioni rispetto ad altri soggetti.

3.11.

Il CESE evidenzia, inoltre, che le scienze sociali e le discipline umanistiche hanno una grande rilevanza in Europa. Il cambiamento della nostra società è inevitabile, per effetto dell’invecchiamento della popolazione e dell’evoluzione demografica, e questo porta a nuove priorità di ricerca (2). La nostra società attraverserà trasformazioni profonde nel cammino verso condizioni sostenibili. I mutamenti nelle condizioni limite derivanti da fenomeni quali la globalizzazione, i cambiamenti climatici, l’accesso all’energia e le tecnologie emergenti (di cui la digitalizzazione è uno dei motori principali), porterà persino ad un’accelerazione dei cambiamenti sociali. Il miglioramento del nostro sistema d’istruzione sarà essenziale per assicurarci di essere preparati al futuro, con le giuste competenze per futuri posti di lavoro di qualità. La valutazione dell’impatto generato da tutti questi sviluppi sulla nostra società, compresi gli eventuali problemi che potrebbero essere innescati da mutamenti nelle condizioni di vita e di lavoro, dovrebbe ricevere la massima priorità e, al riguardo, le scienze sociali devono svolgere un ruolo di primo piano.

4.   Lo spazio europeo della ricerca e il valore aggiunto di Orizzonte 2020 a livello dell’UE

4.1.

Uno degli obiettivi del programma quadro di ricerca e innovazione (Orizzonte 2020) consiste nel completamento dello Spazio europeo della ricerca (SER). Il programma Orizzonte 2020 è anche considerato uno strumento strategico per l’attuazione della strategia Europa 2020 e delle iniziative legate all’Unione dell’innovazione. Per il SER gli elementi cruciali sono una politica europea comune in materia di infrastrutture di ricerca, progetti di ricerca in collaborazione, la mobilità transfrontaliera dei ricercatori e il coordinamento dei principali programmi di ricerca, nel rispetto della difficile condizione limite secondo cui i programmi dell’UE devono operare in un contesto in cui la maggior parte dei finanziamenti pubblici per la ricerca e l’innovazione è gestita dagli Stati membri.

4.2.

Il Forum strategico europeo sulle infrastrutture di ricerca (ESFRI) è finora servito da utile strumento di coordinamento per l’individuazione di nuove infrastrutture di ricerca di interesse paneuropeo. Anche se la creazione di impianti di ricerca di grandi dimensioni dipende principalmente dai finanziamenti nazionali, il livello europeo è importante per sostenere i consorzi, oltre che per consentire ai ricercatori di accedere alle infrastrutture in tutta Europa. Il CESE condivide le preoccupazioni delle comunità di ricerca per l’insufficienza di questo sostegno e raccomanda alla Commissione di potenziarlo in misura significativa, garantendo in tal modo l’accesso dei ricercatori europei sia agli impianti del loro paese che a quelli di altri Stati membri, che rappresentano una risorsa primaria del SER.

4.3.

In generale, la mobilità all’interno dello Spazio europeo della ricerca è della massima importanza. Il CESE raccomanda pertanto che i programmi di finanziamento come le azioni Marie Skłodowska Curie siano mantenute a un livello di rilievo.

4.4.

Il CESE accoglie con favore l’iniziativa Open to the World, in quanto presume che la qualità scientifica rimanga il motore principale di questa attività. Andrebbero attentamente esaminate le prime indicazioni secondo cui persino le economie industrializzate (ad esempio, gli Stati Uniti) risentono della minore partecipazione dei paesi terzi, allo scopo di determinare le cause di questo preoccupante sviluppo.

4.5.

Il CESE desidera sottolineare che la ricerca in collaborazione con un numero minimo di tre partner di Stati membri differenti deve rimanere la colonna portante dei finanziamenti europei alla ricerca. La creazione di un quadro che consenta a differenti attori dell’innovazione e della ricerca di unire le forze per affrontare le sfide che non possono essere superate da un solo paese, e lo sviluppo di sinergie all’interno del panorama europeo della ricerca, sono due attività che vanno realizzate a livello dell’UE e che creano un notevole valore aggiunto per l’UE stessa.

4.6.

Il CESE è estremamente preoccupato per le grandi disparità tra gli Stati membri in termini di finanziamenti nazionali a favore della ricerca e dell’innovazione. La conseguenza è che esistono grandi differenze nella capacità di ricevere finanziamenti dall’UE. IL CESE osserva con profonda preoccupazione che tali disparità sono persino in aumento. In particolare, gli ultimi 13 Stati membri che hanno aderito all’UE hanno registrato scarsi risultati nel conseguire finanziamenti a titolo di Orizzonte 2020. Le differenze nei finanziamenti nazionali per la ricerca e l’innovazione sono enormi. Questa situazione non è dovuta soltanto alle differenze in termini di prodotto nazionale lordo (PNL) all’interno dell’UE. Inoltre, gli Stati membri più forti spendono molto di più in termini relativi per la ricerca e l’innovazione rispetto ad altri Stati più deboli.

4.7.

Si può chiaramente affermare che il mancato raggiungimento dell’obiettivo del 3 % del PNL da destinare al finanziamento della R&I (Lisbona 2007) è dovuto essenzialmente all’insufficienza dei finanziamenti nazionali per la ricerca e l’innovazione. Al programma Orizzonte 2020 è imputabile solo una piccola parte di questo insuccesso. Il CESE chiede un potenziamento del finanziamento nazionale a favore della ricerca e desidera richiamare l’attenzione degli Stati membri sul fatto che il finanziamento dell’UE per la ricerca non può sostituire gli sforzi nazionali. È inoltre fondamentale contrastare il pericolo di una fuga dei cervelli da taluni Stati membri.

4.8.

Bisognerebbe realizzare un’analisi del crescente divario tra gli Stati membri, allo scopo di valutarne le ragioni. Il CESE accoglie con favore le nuove misure per «diffondere l’eccellenza e ampliare la partecipazione», che possono contribuire a ridurre tale divario. Tra le altre misure che dovrebbero essere prese in esame figura la prestazione di servizi di consulenza per le strutture di sostegno rivolte ai candidati, oppure considerare la partecipazione di un paese fra gli ultimi 13 Stati che hanno aderito all’UE un criterio per l’attribuzione della priorità tra progetti ugualmente meritevoli, sempre che i candidati concorrenti soddisfino gli stessi criteri di eccellenza. Il Comitato desidera in particolare proporre un rafforzamento dello strumento di finanziamento già esistente — ossia la ricerca in collaborazione — che aiuta a gettare ponti tra le comunità di ricerca, contribuendo in tal modo a eliminare le disparità.

4.9.

Il CESE appoggia le attività che si rifanno al movimento Open science  (3). Il libero accesso (Open Access) alle pubblicazioni ha compiuto dei passi avanti; tuttavia, esistono ancora dei seri problemi con alcuni editori, un ostacolo che potrebbe essere superato mediante sforzi coordinati dell’UE. Lo sviluppo della tendenza ad avere dati aperti (Open Data) è da accogliere con favore, ma è ancora necessario un processo dal basso all’interno delle comunità di ricerca per definirne i dettagli di attuazione.

4.10.

Una nuvola informatica europea, secondo quanto proposto dalla Commissione, potrebbe offrire ai ricercatori d’Europa un ambiente virtuale in cui archiviare, condividere e riutilizzare dati a livello interdisciplinare e transfrontaliero. Il CESE appoggia questa iniziativa (4), in quanto ritiene che possa costituire un fattore importante per avere dati aperti. Il Comitato raccomanda alla Commissione di prendere attentamente in considerazione i sistemi cloud transfrontalieri di specifiche comunità scientifiche, che già esistono e funzionano bene, nonché le attività nazionali volte a conseguire lo stesso obiettivo.

5.   Verso processi efficienti

5.1.

Il CESE accoglie con favore gli sforzi della Commissione europea volti ad apportare ulteriori semplificazioni al programma Orizzonte 2020. In particolare, gli operatori più piccoli saranno attirati dalla minore burocrazia, dalla maggiore semplicità delle regole e da una maggiore certezza del diritto.

5.2.

Lo strumento per le PMI che è stato recentemente introdotto rappresenta un esempio concreto di un processo efficiente in termini di applicazione, selezione e monitoraggio. Le imprese hanno espresso un giudizio molto positivo su elementi come il poco tempo necessario per accogliere le domande di prestito e la concessione di finanziamenti per le idee dal basso. Questi elementi dovrebbero essere considerati buone pratiche e impiegati per altri strumenti nel quadro del programma Orizzonte 2020.

5.3.

Nella semplificazione delle regole sono stati conseguiti molti risultati di grande rilievo, come il netto miglioramento del portale dei partecipanti, ma bisogna ancora risolvere delle questioni importanti, in quanto l’attrattiva del programma ne risente pesantemente. Ad esempio, la fatturazione interna utilizzata dalla maggior parte delle imprese e degli istituti accademici diventa quasi impossibile, mentre ulteriori complicazioni sono sorte per effetto di disposizioni più rigorose in merito alla «piena capacità» degli impianti. La riluttanza della Commissione a rimborsare i costi salariali effettivi individuali piuttosto che gli importi iscritti nell’ultimo esercizio finanziario verificato, pur essendo stata parzialmente superata, implica tuttora un onere amministrativo supplementare. Spesso i regolamenti relativi al programma Orizzonte 2020 continuano a richiedere una contabilità parallela. Le grandi competenze amministrative che i partecipanti devono ancora possedere per dare attuazione a questi aspetti del programma Orizzonte 2020 rendono la partecipazione particolarmente onerosa per le PMI e, inoltre, disincentivano i partner internazionali.

5.4.

Il CESE incoraggia pertanto la Commissione a semplificare ulteriormente Orizzonte 2020 e a rispettare le regole di partecipazione al programma, che prevedono «una più vasta accettazione delle prassi abituali di contabilità analitica dei beneficiari». Raccomanda inoltre che le riflessioni sui futuri programmi quadro puntino a compiere ulteriori progressi in questa direzione e accettino, ove possibile, i principi contabili abituali dei partecipanti, partendo dal presupposto che il rispetto delle norme nazionali costituisce il criterio principale, a patto che tali norme soddisfino gli standard concordati. Questi standard potrebbero essere sviluppati e provati in collaborazione con la Corte dei conti europea.

5.5.

In vista del prossimo programma quadro, il CESE raccomanda inoltre con forza di evitare la creazione di nuovi strumenti e incoraggia invece la Commissione sia a ridurre attivamente il numero degli strumenti disponibili che a far tesoro della valutazione dell’ITC che suggerisce di mantenere solo quelli più efficaci.

5.6.

Il CESE, in linea con la commissione Industria, ricerca ed energia (ITRE) del Parlamento europeo, chiede di annullare lo storno di 2,2 miliardi di euro dal programma di ricerca e innovazione Orizzonte 2020 al FEIS, allo scopo di controbilanciare il considerevole impatto negativo dovuto ai tagli. Il FEIS investe in progetti che non possono essere considerati una compensazione per quei progetti che non possono più essere realizzati nel quadro di Orizzonte 2020, in quanto la maggior parte dei progetti del FEIS non riguarda aspetti legati alla ricerca, ma l’applicazione di tecnologie esistenti. Questo ha ovviamente un suo pregio, ma non deve limitare le fonti di nuove tecnologie innovative per la competitività dell’Europa che il programma Orizzonte 2020 può fornire.

5.7.

All’interno di Orizzonte 2020, il classico cofinanziamento dei progetti in cui la Commissione assegna sovvenzioni a progetti specifici, contribuendo in questo modo a coprire i costi totali, sta perdendo sempre più terreno a favore degli strumenti finanziari. Tuttavia, il finanziamento della ricerca tramite prestiti è utile, sia per l’industria che per il mondo accademico, soltanto al termine della catena dell’innovazione e non nel settore delle innovazioni rivoluzionarie. Inoltre, molti operatori di rilievo non possono accedere a questi strumenti, in quanto in numerosi Stati membri gli istituti pubblici di ricerca non sono autorizzati a sottoscrivere prestiti. Il CESE raccomanda quindi che Orizzonte 2020 e i programmi che gli succederanno continuino a essere principalmente incentrati sul cofinanziamento.

5.8.

Il CESE appoggia quindi le conclusioni del Consiglio del 27 maggio 2016 in cui viene sottolineato che, nel quadro di Orizzonte 2020, ci si dovrebbe adoperare per assicurare che i finanziamenti basati su prestiti non siano ulteriormente estesi a scapito dei finanziamenti per la R&I basati su sovvenzioni. L’industria europea deve avere accesso alle nuove tecnologie innovative derivanti da progetti ad alto rischio, e non saranno dei prestiti ad aiutare lo sviluppo di queste tecnologie.

5.9.

Nei primi anni di Orizzonte 2020 si sono registrate basse percentuali di successo, in alcuni casi addirittura del 3 %. In generale, le percentuali di successo sono passate da 1 su 5 nel 7o PQ a 1 su 8 in Orizzonte 2020. Bisogna conseguire percentuali di successo ragionevoli, per evitare uno spreco di risorse e la frustrazione dei migliori partecipanti provenienti dall’ambiente industriale e dal mondo accademico. Quando le percentuali di successo sono molto più basse, i costi generati dagli sforzi compiuti nel quadro delle proposte possono superare il finanziamento fornito. A tale fine è disponibile un ventaglio di proposte per le contromisure del caso (impatto definito con maggiore precisione, processi articolati in due fasi, buone pratiche) e la Commissione dovrebbe attuarle senza indugio per il restante periodo di Orizzonte 2020.

5.10.

Il «marchio di eccellenza» per le domande di livello eccellente che non hanno ricevuto un finanziamento potrebbe essere particolarmente utile per le PMI che sperano di ottenere finanziamenti dai fondi strutturali e di investimento europei. Bisogna ancora chiarire la questione riguardante le regole sugli aiuti di Stato, cioè se tali regole possono generare problemi in questi casi.

5.11.

Il CESE raccomanda che la valutazione intermedia esamini in che modo il programma Orizzonte 2020 contribuisce sul piano qualitativo al raggiungimento dei suoi obiettivi, che consistono nel promuovere l’eccellenza scientifica, nell’affrontare le urgenti sfide per la società e nel sostenere una leadership industriale al servizio di una crescita economica maggiore e più inclusiva — in grado di creare veri posti di lavoro in Europa -, senza prestare un’attenzione eccessiva a misure quantitative — come il conteggio delle pubblicazioni e dei brevetti o la redditività del capitale investito (ROI) -, come è successo nella valutazione del 7o PQ. Il CESE raccomanda inoltre di creare indicatori compatibili per il sostegno sia alla ricerca che all’innovazione nel quadro dei fondi strutturali e del Fondo europeo per gli investimenti strategici.

Bruxelles, 20 ottobre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  GU C 181 del 21.6.2012, pag. 111.

(2)  GU C 229 del 31.7.2012, pag. 13.

(3)  GU C 76 del 14.3.2013, pag. 48.

(4)  Parere sul tema Iniziativa europea per il cloud computing — Costruire un’economia competitiva dei dati e della conoscenza in Europa (TEN 592) (GU C 487 del 28.12.2016, pag. 86).


2.2.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 34/73


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Rimuovere gli ostacoli a un’acquacoltura sostenibile in Europa»

(Parere esplorativo)

(2017/C 034/11)

Relatore:

Gabriel SARRÓ IPARRAGUIRRE

Consultazione

Commissione europea, 29/04/2016

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

Parere esplorativo

Decisione dell’Ufficio di presidenza del Comitato

15/03/2016

 

 

Sezione competente:

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

30/09/2016

Adozione in sessione plenaria

19/10/2016

Sessione plenaria n.

520

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

220/1/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE esprime grande preoccupazione per il fatto che la situazione dell’acquacoltura dell’Unione europea non sia migliorata, malgrado le disposizioni a sostegno della sua promozione previste dalla politica comune della pesca (PCP), dall’organizzazione comune dei mercati (OCM) e del Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP).

1.2.

Il CESE osserva che il motivo principale all’origine sia della lentezza delle pratiche amministrative per l’autorizzazione dell’esercizio dell’acquacoltura che della mancanza di siti disponibili per quest’attività risiede nella complessa attuazione delle normative ambientali dell’Unione europea (essenzialmente, la direttiva quadro sulle acque, la direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino e le regole relative a Natura 2000) da parte delle amministrazioni pubbliche degli Stati membri e delle loro regioni. Questa situazione esige dalle imprese dell’acquacoltura il rispetto di requisiti che sono eccessivamente gravosi sul piano economico e che, paradossalmente, non garantiscono una maggiore protezione dell’ambiente.

1.3.

Il CESE esorta la Commissione europea ad adempiere fino in fondo ai suoi obblighi di coordinamento delle competenze concorrenti nel settore dell’acquacoltura, tra cui la semplificazione delle pratiche amministrative e il coinvolgimento dei dipartimenti delle amministrazioni pubbliche nazionali e regionali competenti per l’acquacoltura.

1.4.

Il CESE chiede alla Commissione europea sia di garantire che gli Stati membri seguano gli orientamenti sull’applicazione delle norme europee in materia ambientale, quale cammino necessario per ridurre oneri amministrativi superflui, sia di assicurare che venga preservata la qualità delle acque e degli ecosistemi.

1.5.

Il CESE evidenzia che, se non verranno risolti i problemi connessi alle pratiche amministrative e alla disponibilità di siti, l’acquacoltura dell’Unione non potrà utilizzare in modo adeguato i fondi disponibili nel quadro del FEAMP, analogamente a quanto già avvenuto con il precedente Fondo europeo per la pesca (FEP). D’altro canto, il Comitato teme che, a causa delle misure per la riduzione del disavanzo di bilancio negli Stati membri, non vengano più finanziate iniziative di acquacoltura sostenibile che potrebbero generare crescita e posti di lavoro.

1.6.

Il CESE raccomanda alla Commissione europea di istituire con urgenza il Consiglio consultivo per l’acquacoltura e di contribuire attivamente al suo efficace funzionamento. Questo forum sarà efficace soltanto se ci sarà cooperazione tra i soggetti coinvolti, come le amministrazioni pubbliche nazionali e le istituzioni dell’UE, in primis la Commissione europea.

1.7.

Il CESE invita la Commissione europea a realizzare, assieme agli Stati membri, un monitoraggio accurato dei piani strategici nazionali pluriennali per l’acquacoltura, allo scopo di verificare in quale misura gli obiettivi siano stati raggiunti e di assicurare il coinvolgimento di tutti i dipartimenti delle amministrazioni pubbliche nazionali competenti in materia ambientale nel raggiungimento di tali obiettivi.

1.8.

Il CESE avverte la Commissione europea che i prossimi anni saranno cruciali per il futuro dell’acquacoltura nell’Unione europea. Gli sforzi compiuti per creare un quadro normativo che promuova l’acquacoltura sostenibile potrebbero rivelarsi vani se non venisse realizzato un attento monitoraggio della situazione e se non venissero risolte le attuali strozzature che, come è stato indicato, si concentrano nei dipartimenti delle amministrazioni pubbliche degli Stati membri che non hanno partecipato all’elaborazione del rispettivo piano strategico nazionale pluriennale per l’acquacoltura.

2.   Contesto

2.1.

Gli attuali regolamenti sulla politica comune della pesca (PCP) e l’organizzazione comune dei mercati (OCM) nel settore dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura attribuiscono un’importanza senza precedenti allo sviluppo sostenibile dell’acquacoltura nell’Unione europea.

2.2.

Il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP) dispone di un bilancio specifico per lo sviluppo dell’acquacoltura sostenibile, la cui cospicua dotazione ammonta a 1,2 miliardi di euro per il periodo 2014-2020.

2.3.

Negli ultimi anni il CESE ha elaborato due pareri sul tema dell’acquacoltura (1)  (2). In questi due pareri è stata sottolineata la rilevanza di quest’attività per l’UE, e la Commissione europea e gli Stati membri sono stati esortati a promuovere un’acquacoltura responsabile e sostenibile.

2.4.

Nel 2013 la Commissione europea ha pubblicato degli orientamenti strategici per lo sviluppo sostenibile dell’acquacoltura nell’Unione europea. Tali orientamenti avevano lo scopo di guidare gli Stati membri nella definizione di obiettivi nazionali in questo campo, tenendo conto delle rispettive situazioni di partenza, delle condizioni prevalenti su scala nazionale e delle disposizioni istituzionali.

2.4.1.

Tra gli altri orientamenti proposti, si raccomandava anche agli Stati membri di elaborare piani strategici nazionali pluriennali per l’acquacoltura che stabilissero obiettivi comuni e, se possibile, degli indicatori per valutare i progressi compiuti verso il conseguimento di tali obiettivi. Questi piani strategici dovevano servire a promuovere la competitività del settore dell’acquacultura e sostenerne lo sviluppo e l’innovazione, oltre che a incentivare l’attività economica, a incoraggiare la diversificazione, a migliorare la qualità di vita nelle regioni costiere e rurali, nonché a garantire condizioni eque agli operatori del settore per quanto riguarda l’accesso allo spazio marino e terrestre.

2.4.2.

Tutti gli Stati membri in cui viene praticata l’acquacoltura hanno presentato nel 2013 i rispettivi piani strategici nazionali pluriennali. La maggior parte delle misure e azioni proposte in questi piani è stata successivamente integrata nei rispettivi programmi operativi per consentirne il finanziamento attraverso il FEAMP. L’intenzione era quella di agevolare l’applicazione di tali misure e azioni.

2.5.

La nuova PCP prevede l’istituzione di un Consiglio consultivo per l’acquacoltura, che subentrerà al precedente Comitato consultivo per la pesca e l’acquacoltura (gruppo 2: Acquacoltura). Questo Consiglio avrà il compito di agevolare il dibattito sulle questioni di rilievo per l’acquacoltura e di presentare raccomandazioni e proposte alle istituzioni europee. Parallelamente, è in fase di creazione un Consiglio consultivo dei mercati, che lavorerà per una commercializzazione più adeguata dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Secondo le stime della FAO, da qui al 2050 la produzione mondiale di alimenti deve aumentare di circa il 70 %, allo scopo di nutrire i 9 miliardi di persone che si prevede vivranno sulla Terra in quel momento. La FAO attribuisce un’importanza speciale all’acquacoltura quale fonte di cibo con un potenziale di crescita, e ne raccomanda la promozione in quanto attività che fornisce prodotti alimentari e genera posti di lavoro e ricchezza.

3.2.

Il consumo di pesce e di altri prodotti di origine acquatica è raccomandato in ragione del valore nutrizionale di questi alimenti e della loro importanza nel mantenimento della buona salute delle persone. Permettere alle persone di avere accesso a una dieta sufficientemente ricca di prodotti acquatici costituisce una priorità sociale. Nell’Unione europea il consumo annuo pro capite di prodotti di origine acquatica si aggira sui 23,9 kg ed è in lieve aumento.

3.3.

Il CESE osserva che l’Unione europea presenta un saldo negativo della bilancia commerciale con i paesi terzi per quanto concerne i prodotti di origine acquatica destinati al consumo umano. Nel mercato interno la domanda annua di prodotti di origine acquatica è di circa 13,2 milioni di tonnellate, di cui solo il 10 % proviene dall’acquacoltura dell’Unione europea, mentre il 25 % proviene dalla pesca estrattiva e il 65 % dalle importazioni. La percentuale delle importazioni è andata aumentando, anche se negli ultimi anni si è stabilizzata. In ogni caso, questa situazione implica un forte squilibrio che mette l’Unione europea in una posizione di debolezza per quel che concerne la sicurezza alimentare presente e futura.

3.4.

La produzione annuale dell’acquacoltura nell’Unione europea ammonta a 1,2 milioni di tonnellate, di cui il 65,4 % proviene dall’acquacoltura marina e il 34,6 % dall’acquacoltura continentale; il valore dei prodotti dell’acquacoltura alla prima vendita si aggira sui 4 miliardi di euro. I sistemi di produzione sono vari, da quelli tradizionali in lagune o stagni ad altri più avanzati sul piano tecnico, compresi quelli in vasche, in gabbie in mare aperto o in unità di ricircolo.

3.5.

Il regolamento sul FEAMP è stato adottato e pubblicato nel maggio 2014. La Commissione europea ha approvato in via definitiva i programmi operativi degli Stati membri per il FEAMP soltanto nell’autunno del 2015, con un anno e cinque mesi di ritardo.

3.5.1.

La Corte dei conti europea ha pubblicato nel 2014 uno studio sull’efficacia del sostegno fornito dal precedente Fondo europeo per la pesca (FEP) all’acquacoltura. In tale studio la Corte è giunta alla conclusione che il FEP non aveva efficacemente sostenuto lo sviluppo sostenibile dell’acquacoltura. A suo avviso, le misure di sostegno a livello europeo non erano state debitamente concepite e monitorate, e non era stato offerto un quadro di riferimento sufficientemente chiaro per lo sviluppo dell’acquacoltura. A livello degli Stati membri, le misure di sostegno non sono state concepite né attuate nel modo dovuto, e i piani strategici nazionali e i corrispondenti programmi operativi non hanno fornito una base sufficientemente chiara per la promozione dell’acquacoltura.

3.6.

Nel settore dell’acquacoltura nell’Unione europea si contano attualmente circa 85 000 posti di lavoro diretti, ma non si registra una dinamica di crescita del numero degli occupati. Il CESE giudica positivamente la stima della Commissione europea, secondo cui ogni punto percentuale in più nel consumo di prodotti dell’acquacoltura nell’Unione europea implicherebbe la creazione di 3 000 — 4 000 posti di lavoro a tempo pieno. D’altro canto, è da sottolineare che l’indotto dell’acquacoltura (trasformazione e attività complementari) dà lavoro a circa 200 000 persone.

3.7.

Il CESE apprezza che gli Stati membri abbiano elaborato e presentato alla Commissione europea i rispettivi piani strategici nazionali pluriennali per l’acquacoltura, ma ritiene che il coinvolgimento degli operatori economici, ambientali e sociali nell’elaborazione di tali piani sia stato insufficiente rispetto alla partecipazione delle amministrazioni pubbliche e, in particolare, rispetto al ruolo di primo piano che hanno svolto le amministrazioni con competenze dirette in materia di acquacoltura.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

Il CESE osserva che lo squilibrio della bilancia commerciale dell’Unione europea dei prodotti di origine acquatica non è accettabile, né da un punto di vista economico (per il disavanzo commerciale che ne deriva) né da un punto di vista sociale (per le opportunità occupazionali che non vengono sfruttate).

4.2.

Il CESE rileva che la crescita della produzione acquicola nell’Unione europea, dopo aver evidenziato una battuta d’arresto verso l’anno 2000, non riesce a riprendere slancio, malgrado gli sforzi delle differenti istituzioni europee, nazionali e regionali. Si continua a registrare una stagnazione dei volumi prodotti, malgrado un leggero incremento del loro valore commerciale complessivo.

4.3.

Le cause della situazione di stallo nell’acquacoltura dell’Unione europea, mentre nel resto del mondo questa attività continua a crescere a un ritmo sostenuto, sono state correttamente descritte dalla Commissione europea negli orientamenti strategici del 2013 per lo sviluppo sostenibile dell’acquacoltura nell’UE. I due principali motivi indicati sono stati la complessità delle pratiche amministrative per lo svolgimento dell’attività acquicola e le difficoltà nell’accedere legalmente a siti idonei o nell’ampliare quelli esistenti.

4.4.

Il CESE riconosce gli sforzi compiuti dalla Commissione europea per aiutare le amministrazioni nazionali e regionali ad applicare la normativa europea in materia ambientale senza imporre oneri superflui agli acquacoltori. A tal fine sono stati pubblicati degli orientamenti sull’acquacoltura, sui siti della rete Natura 2000 e sulla direttiva quadro in materia di acque, e sono in fase di elaborazione gli orientamenti riguardanti il collegamento con la direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino. Tuttavia, le amministrazioni nazionali e regionali competenti in materia ambientale non conoscono o non attuano tali orientamenti.

4.5.

Il CESE osserva che, a causa del ritardo nell’adozione del regolamento FEAMP e dei programmi operativi nazionali, gli operatori degli Stati membri non potranno iniziare a beneficiare realmente dei fondi del FEAMP prima della fine del 2016, nella migliore delle ipotesi, il che significa un ritardo di quasi tre anni.

4.6.

Da alcune relazioni, come quella pubblicata dalla Corte dei conti europea nel 2014, risulta che la mancanza di un’appropriata pianificazione dello spazio marittimo, unita alla complessità delle procedure di autorizzazione, ha agito da freno allo sviluppo sostenibile dell’acquacoltura. La Corte ha inoltre confermato che i principali obiettivi di crescita nel settore dell’acquacoltura non erano ancora stati raggiunti, e che il settore era rimasto stagnante per molti anni.

4.7.

Il CESE rileva con soddisfazione che il bilancio che il FEAMP assegna allo sviluppo di un’acquacoltura sostenibile è, in pratica, tre volte superiore a quello stabilito nel quadro del precedente FEP.

4.7.1.

Il CESE sottolinea le difficoltà che gli Stati membri più importanti nel settore della produzione acquicola devono affrontare per apportare la loro quota di cofinanziamento ai fondi del FEAMP, a causa delle restrizioni di bilancio derivanti dall’obbligo di rispettare gli impegni assunti per la riduzione del disavanzo.

4.8.

Il CESE concorda sull’assoluta necessità di un forum europeo che possa contare sulla partecipazione di tutte le parti interessate, allo scopo di discutere la situazione del settore dell’acquacoltura e formulare raccomandazioni consensuali alle istituzioni europee e nazionali, analogamente a quanto fatto dal precedente Comitato consultivo per la pesca e l’acquacoltura. Per questo motivo accoglie con favore il nuovo Consiglio consultivo per l’acquacultura (CCA), che assicura un’ampia rappresentanza non solo delle parti economiche, sociali e ambientali, ma anche dei ricercatori e dei consumatori. Deplora, tuttavia, il ritardo accumulato nella sua creazione e nel suo avviamento, che ha implicato un vuoto di tre anni tra il momento in cui il primo ha cessato di esistere e il secondo ha iniziato a funzionare.

4.8.1.

Il CESE teme che la partecipazione della Commissione europea al nuovo Consiglio consultivo per l’acquacultura non sia di livello pari al coinvolgimento che essa aveva nel precedente comitato consultivo. Questa circostanza è imputabile al fatto che nel Comitato consultivo la segreteria esecutiva era diretta dalla Commissione stessa, mentre nel nuovo Consiglio consultivo per l’acquacultura la segreteria esecutiva sarà totalmente esterna alla Commissione. Questa circostanza potrebbe incidere sia sulla capacità di mobilitare le amministrazioni pubbliche europee che sulla diffusione delle raccomandazioni. Il CESE teme che la Commissione possa considerarsi un semplice partecipante, alla stessa stregua degli altri, del Consiglio consultivo per l’acquacoltura, mentre invece essa deve continuare a svolgere un ruolo di primo piano.

4.9.

Il CESE osserva che i piani strategici nazionali pluriennali degli Stati membri in materia di acquacoltura non hanno ancora prodotto risultati concreti. D’altro canto, nella maggior parte di tali piani i meccanismi di monitoraggio dei risultati non sono ancora in funzione.

4.9.1.

Il CESE constata che gli scarsi risultati conseguiti finora nell’attuazione dei piani strategici nazionali pluriennali per l’acquacoltura sono dovuti al fatto che non vengono affrontate con la sufficiente energia le strozzature che ostacolano lo sviluppo sostenibile di questo settore. Questi ostacoli sono perlopiù concentrati nei dipartimenti delle amministrazioni pubbliche degli Stati membri che non hanno partecipato all’elaborazione dei piani strategici e, quindi, non li conoscono. Per questo motivo, il Comitato chiede che questi dipartimenti siano attivamente coinvolti nell’attuazione dei piani strategici.

4.10.

Il CESE invita la Commissione europea a raccomandare alle amministrazioni pubbliche degli Stati membri e delle loro regioni di prendere in considerazione, nell’attuazione delle norme ambientali europee, lo sviluppo sostenibile, articolato nelle sue tre dimensioni, la dimensione ambientale, quella sociale e quella economica, e di ponderarlo con la necessità di migliorare la sicurezza alimentare dell’Unione.

Bruxelles, 19 ottobre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Parere del CESE sul tema Costruire un futuro sostenibile per l’acquacoltura — Un nuovo impulso alla strategia per lo sviluppo sostenibile dell’acquacoltura europea (GU C 18 del 19.1.2011, pag. 59).

(2)  Parere del CESE sul tema Orientamenti strategici per lo sviluppo sostenibile dell’acquacoltura nell’UE (GU C 67 del 17.11.2015, pag. 150).


2.2.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 34/78


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Il nuovo assetto del mercato dell’energia elettrica e gli impatti potenziali sui consumatori vulnerabili»

(Parere esplorativo)

(2017/C 034/12)

Relatore:

Vladimír NOVOTNÝ

Consultazione

Consiglio dell’Unione europea, 14/03/2016

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE)

 

Parere esplorativo

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

06/10/2016

Adozione in sessione plenaria

19/10/2016

Sessione plenaria n.

520

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

146/66/43

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE appoggia l’idea di base di un nuovo assetto del mercato dell’energia elettrica dell’UE, in quanto necessario per assicurare un sistema di forniture di energia elettrica stabile che sia al servizio degli obiettivi dell’Unione europea dell’energia. La transizione della produzione e della commercializzazione dell’energia elettrica, da organizzare nel medio/lungo termine, verso impianti più decentrati e la realizzazione degli obiettivi indicati nella direttiva dell’UE sulle energie rinnovabili rendono necessario un modello di mercato dell’energia elettrica completamente nuovo. A tale proposito il CESE rimanda ai suoi pareri TEN/577, TEN/578 e TEN/583 in cui si è pronunciato su quanto precede, ma anche sul ruolo futuro dei consumatori, dei prosumatori e dei nuovi attori nel mercato.

1.2.

A giudizio del CESE, le reti di distribuzione «intelligenti», combinate con i «contatori intelligenti» e le tecnologie di stoccaggio, rappresenteranno un altro elemento importante del nuovo assetto del mercato dell’elettricità a medio e lungo termine. Tali reti intelligenti, assieme alle tecnologie di gestione e stoccaggio, possono produrre effetti positivi, in termini sia di ottimizzazione del consumo di energia elettrica sia di risparmio energetico.

1.3.

Il CESE richiama l’attenzione sul potenziale rappresentato dai piccoli produttori/consumatori (prosumatori) ma anche da altri nuovi modelli, come ad esempio le cooperative energetiche; tali attori possono contribuire alla riduzione della povertà energetica. Secondo il CESE, per integrare pienamente questi ultimi nel mercato dell’energia, è necessario, tra le altre cose, rimuovere gli ostacoli amministrativi e tutte le barriere superflue di altra natura che si frappongono alle loro attività, nonché promuovere il loro accesso alle reti di distribuzione sulla base delle condizioni di mercato in materia di finanziamento della gestione dei tali reti.

1.4.

Il CESE ritiene che un elemento importante del nuovo assetto del mercato dell’elettricità sia anche l’utilizzo di dispositivi intelligenti di regolazione nelle cosiddette «abitazioni intelligenti». L’applicazione di questi dispositivi determinerà un rafforzamento del ruolo attivo svolto dalle famiglie nel processo della loro piena integrazione nel nuovo assetto del mercato dell’energia nonché una riduzione del rischio di povertà energetica. Tali importanti cambiamenti saranno agevolati da programmi incentivanti di formazione rivolti ad ampie fasce della popolazione, nonché dal sostegno alla loro introduzione presso la categoria delle famiglie vulnerabili e altri clienti vulnerabili sul mercato dell’energia, come ad esempio le piccole e medie imprese.

1.5.

Il CESE è convinto che, affinché tutti i cambiamenti attesi dal nuovo assetto del mercato dell’energia elettrica si realizzino, tale nuovo mercato dovrà fornire segnali di prezzo a breve termine (price) e segnali di prezzo a lungo termine (cost) corretti, che consentano e promuovano ampie attività di investimento nel settore dell’energia elettrica dell’UE. In quest’ambito rientra anche la necessità che i prezzi rispecchino la verità dei costi e comprendano quindi anche i cosiddetti costi esterni.

1.6.

Gli sviluppi verificatisi sui mercati dell’elettricità hanno portato negli scorsi anni a un notevole calo dei prezzi all’ingrosso, del quale tuttavia i piccoli consumatori e le PMI non hanno ancora beneficiato poiché per loro i prezzi sono aumentati invece di diminuire.

1.7.

Un modello efficiente di mercato dell’elettricità, accompagnato da investimenti strategici negli impianti ai quali partecipino anche e soprattutto i cittadini socialmente più vulnerabili, ad esempio nell’ambito di cooperative energetiche, permetterà in futuro di collegare la politica energetica, la politica sociale e la creazione di valore a livello regionale.

1.8.

A tale riguardo, la politica deve dare una risposta chiara alla domanda su chi, nel quadro di una futura produzione più decentrata, potrà e saprà produrre e commercializzare energia elettrica. Ciò riveste un’importanza decisiva anche per la soluzione del problema della povertà energetica.

1.9.

Un esempio al riguardo è costituito dalla regione della Podlachia in Polonia, dove è in corso di attuazione un programma di sostegno per piccoli impianti fotovoltaici. Con un contributo all’investimento del 60 % e in collegamento con il sistema di NET metering (scambio sul posto) che la Polonia prevede di introdurre, i costi dell’elettricità per i consumatori saranno dimezzati.

2.   Introduzione

2.1.

La presidenza slovacca del Consiglio dell’UE, con lettera del 14 marzo 2016, ha chiesto al CESE di elaborare un parere sulla dimensione sociale del nuovo assetto del mercato dell’energia elettrica nella dinamica dello sviluppo sociale ed economico.

2.2.

Nella sua richiesta la presidenza slovacca rileva che il nuovo assetto del mercato dell’energia elettrica crea delle opportunità per i consumatori se offre loro un modo più proattivo per interagire con il mercato. Oltre agli effetti dell’eventuale aumento dei prezzi dell’energia elettrica sulla competitività dell’industria dell’UE, è anche necessario tenere conto dei possibili rischi per i clienti socialmente vulnerabili.

2.3.

In una serie di precedenti pareri (1)  (2), il CESE ha effettuato un esame approfondito dell’evoluzione del mercato dell’energia e ha adottato delle raccomandazioni e delle conclusioni che ritiene ancora attuali. Pertanto, il presente parere si concentrerà sui rischi e sulle opportunità che il nuovo assetto del mercato dell’elettricità può generare per i gruppi di cittadini socialmente vulnerabili e sulle manifestazioni specifiche della povertà energetica in relazione all’accessibilità dell’energia elettrica.

3.   La visione del nuovo assetto del mercato dell’energia

3.1.

Il ruolo fondamentale di un nuovo assetto dei mercati dell’energia elettrica basato sui principi di sostenibilità deve essere quello di garantire a tutti i consumatori un approvvigionamento sicuro di energia elettrica a prezzi accessibili e competitivi.

3.2.

Il quadro strategico dell’UE per l’Unione dell’energia è incentrato sui seguenti obiettivi strategici essenziali:

sicurezza energetica, solidarietà e fiducia,

piena integrazione del mercato interno dell’energia,

il contributo dell’efficienza energetica come mezzo per moderare il consumo di energia,

decarbonizzazione dell’economia,

un’Unione dell’energia per la ricerca, l’innovazione e la competitività.

3.3.

Le principali caratteristiche del quadro strategico del mercato dell’elettricità sono:

la transizione verso sistemi energetici a basse emissioni di carbonio;

l’integrazione efficace sotto il profilo dei costi delle energie rinnovabili intermittenti;

l’abbandono delle centrali elettriche convenzionali per passare ad una produzione decentrata di energia da fonti rinnovabili;

l’evoluzione del ruolo dei consumatori nel mercato dell’energia elettrica;

l’incremento della sicurezza e dell’affidabilità dell’approvvigionamento di energia elettrica.

3.4.

Nel nuovo assetto del mercato dell’energia elettrica una notevole importanza andrebbe attribuita all’evoluzione del ruolo svolto dai consumatori su tale mercato (3).

4.   La povertà energetica e la sua prevenzione

4.1.

Sul problema della povertà energetica il CESE ha recentemente adottato una serie di pareri, in particolare il parere TEN/516 Per un’azione europea coordinata per la prevenzione e la lotta alla povertà energetica (relatore: Coulon, 2013) (4), che è stato oggetto di analisi approfondite a livello nazionale, ad esempio da parte del Consiglio economico e sociale della Bulgaria nel suo parere Measures to overcome energy poverty in Bulgaria («Misure per sconfiggere la povertà energetica in Bulgaria», ESC/3/030/2015). Il CESE ritiene che le raccomandazioni e le conclusioni formulate in tali documenti siano ancora attuali e non intende quindi ripeterle nel presente parere.

4.2.

La questione della povertà energetica viene, tra l’altro, affrontata anche nei pareri TEN/578 Un «new deal» per i consumatori di energia e TEN/583 L’energia e le cooperative energetiche dei prosumatori: opportunità e sfide negli Stati membri.

4.3.

La povertà energetica è definita come l’accesso limitato alle fonti energetiche a causa dell’assenza o del cattivo funzionamento delle infrastrutture energetiche o come l’incapacità di pagare le forniture energetiche. Qualora vi sia il rischio che le infrastrutture non funzionino, è necessario aumentare la loro capacità oppure creare nuove capacità per garantire la sicurezza e l’affidabilità dell’approvvigionamento di energia elettrica. A tale proposito anche i gestori delle reti constatano che impianti di produzione decentrati, come per esempio impianti fotovoltaici installati su abitazioni private, possono contribuire a stabilizzare l’approvvigionamento regionale di energia e molto spesso anche reti deboli a livello regionale.

4.4.

Sebbene la povertà energetica sia spesso percepita in relazione ai clienti privati finali, è importante sottolineare che in molti casi anche alcune PMI sono esposte a questo fenomeno, con tutte le conseguenze che ciò comporta per la loro competitività.

4.5.

Nella maggior parte dei casi, la povertà energetica è legata alla capacità di garantire il riscaldamento delle abitazioni, mentre nei paesi meridionali dell’UE essa può anche essere collegata alla disponibilità dell’aria condizionata durante i caldi mesi estivi. La manifestazione specifica della povertà energetica è l’incapacità di pagare le fatture dell’elettricità. In tal caso vengono impiegati dei metodi basati sul sostegno diretto o indiretto ai clienti vulnerabili rispetto alla povertà energetica.

4.6.

Il sostegno diretto ai clienti vulnerabili viene fornito in primo luogo sotto forma di programmi di sovvenzioni sociali come rimborso diretto dei pagamenti, in contanti o in natura, e rientra nei sistemi interni di protezione sociale a livello dei singoli Stati membri.

4.7.

Il cliente vulnerabile è definito in maniera diversa nei vari Stati membri, in funzione della situazione specifica e dei diversi sistemi sociali degli Stati membri.

4.8.

Gli aiuti indiretti sono erogati sotto forma di tariffe sociali o speciali. Attualmente 10 Stati membri applicano tariffe sociali, 8 Stati membri hanno definito uno status di «cliente vulnerabile» e un totale di 16 Stati membri praticano sul loro mercato nazionale dei prezzi regolamentati per l’elettricità. Il CESE si è chiaramente espresso contro questa regolamentazione dei prezzi (cfr. TEN/578).

4.9.

Tuttavia, i rischi di povertà energetica potranno essere ridotti tramite l’adozione di una serie di misure compatibili con il nuovo assetto del mercato dell’energia elettrica. Si tratterà, in particolare, delle seguenti:

aumentare l’accessibilità delle informazioni sui prezzi dell’energia elettrica proposti dai diversi fornitori;

rimuovere gli ostacoli che si frappongono al passaggio a un altro fornitore di servizi energetici;

rafforzare la concorrenza e l’offerta trasparente di servizi energetici complessi;

assicurare la trasparenza dei contratti, dei prezzi e delle fatture energetiche;

educare e formare i consumatori, assicurando un ruolo importante ai loro comuni;

eliminare le pratiche commerciali sleali e le tecniche di pressione nella conclusione dei contratti per la fornitura di elettricità;

risparmiare sul consumo energetico e rendere accessibili a ciascuno le informazioni sul proprio consumo, rendere ampiamente disponibili gli strumenti intelligenti di misurazione e regolazione per le famiglie e gli altri consumatori al dettaglio;

promuovere l’isolamento termico delle abitazioni, il rinnovo e il restauro dei vecchi edifici al fine di ridurre le perdite di energia;

sostenere programmi di motivazione e formazione per i consumatori vulnerabili;

promuovere iniziative locali di lotta contro la povertà energetica;

vietare l’applicazione di tariffe eccessivamente onerose ai consumatori vulnerabili;

aumentare l’efficienza e l’affidabilità dell’approvvigionamento di energia elettrica.

4.10.

Gli sviluppi verificatisi sui mercati dell’elettricità hanno portato negli scorsi anni a un notevole calo dei prezzi all’ingrosso, del quale tuttavia i piccoli consumatori e le PMI non hanno ancora beneficiato poiché per loro i prezzi sono aumentati invece di diminuire.

4.11.

Il CESE sottolinea che un ruolo specifico nella riduzione della povertà energetica può essere svolto anche dai piccoli produttori/consumatori (prosumatori). Per integrarli con successo nei mercati dell’energia, bisogna eliminare al più presto tutti gli ostacoli amministrativi e consentire loro l’accesso alla rete, sempre nel rispetto delle condizioni del mercato e delle norme di qualità per la fornitura di energia elettrica.

4.12.

Il CESE è consapevole che, anche se queste misure, conformi al mercato, di sostegno ai clienti vulnerabili saranno adottate, l’onere principale della lotta contro la povertà energetica e le sue conseguenze continuerà a gravare sui sistemi sociali nazionali, in quanto unica alternativa conforme dal punto di vista del mercato.

4.13.

Un modello efficiente di mercato dell’elettricità, accompagnato da investimenti strategici negli impianti ai quali partecipino anche e soprattutto i cittadini socialmente più vulnerabili, ad esempio nell’ambito di cooperative energetiche, permetterà in futuro di collegare la politica energetica, la politica sociale e la creazione di valore a livello regionale.

4.14.

A tale riguardo, la politica deve dare una risposta chiara alla domanda su chi, nel quadro di una futura produzione decentrata, dovrà, potrà e saprà produrre e commercializzare energia elettrica in futuro. Ciò riveste un’importanza decisiva anche per la soluzione del problema della povertà energetica.

4.15.

Le energie rinnovabili, infatti, aprono possibilità completamente nuove di contrastare la povertà energetica in quanto problema sociale. Per esempio, uno studio del Centro comune di ricerca della Commissione europea già nel 2014 giungeva alla conclusione che l’80 % della popolazione europea avrebbe potuto produrre la propria energia elettrica con impianti fotovoltaici a un costo inferiore rispetto a quello rappresentato dall’acquisto di elettricità dalla rete. Un problema è rappresentato dal fatto che una parte della popolazione non dispone di un tetto o di un terreno su cui installare un impianto del genere. In questo contesto, un ampliamento della definizione del concetto di prosumatore e il sostegno ad impianti organizzati in forma collettiva (cooperative energetiche) potrebbero costituire una soluzione.

4.16.

In uno studio di CE Delft pubblicato di recente si calcola che, entro il 2050, fino all’83 % delle famiglie potrebbe produrre l’energia sufficiente per soddisfare il proprio fabbisogno.

4.17.

Un problema rilevante sta però nel fatto che proprio i cittadini socialmente più deboli non dispongono dei fondi per i necessari investimenti. Lo «svantaggio» delle energie rinnovabili risiede nel fatto che richiedono un investimento iniziale relativamente elevato, anche se poi i costi d’esercizio sono bassi (il sole e il vento non costano nulla). Ma anche a questo problema può ovviare la politica, tra l’altro mediante pertinenti investimenti strategici.

4.18.

Un esempio al riguardo è costituito dalla regione della Podlachia in Polonia, dove è in corso di attuazione un programma di sostegno per piccoli impianti fotovoltaici. Con un contributo all’investimento del 60 % e in collegamento con il sistema di NET metering (scambio sul posto) che la Polonia prevede di introdurre, i costi dell’elettricità per i consumatori saranno dimezzati.

4.19.

Il Comitato invita a tale proposito la Commissione, il Consiglio e il PE a occuparsi più a fondo già da adesso degli sviluppi a medio e lungo termine che potrebbero rivelarsi positivi per i consumatori, come la mobilità elettrica. Si prevede che nei prossimi 20-30 anni si rafforzerà la presenza sul mercato di auto elettriche. Un’auto elettrica necessita di circa 14 KWh per 100 km, il che a un prezzo dell’elettricità di 0,25 cent/kWh vuol dire 3,50 EUR. Per uno spostamento in auto di 100 km in un veicolo con motore a combustione interna il costo, con un consumo di 7 l/100 km e un prezzo del carburante di 1,20 EUR/l, è pari a 8,40 EUR. Per produrre la quantità di energia che un’auto elettrica necessita per percorrere 10 000 km, è sufficiente un impianto fotovoltaico con circa 6 moduli; con un investimento di circa 3 000 EUR si potrebbe quindi alimentare un’auto elettrica per 20 anni con energia prodotta in proprio. Gli aspetti economici del passaggio alla mobilità elettrica, sia per i cittadini sia anche potenzialmente per le regioni, non sono stati ancora sufficientemente dibattuti.

Bruxelles, 19 ottobre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  GU C 82 del 3.3.2016, pag.13.

(2)  GU C 424 del 26.11.2014, pag. 64.

(3)  GU C 82 del 3.3.2016, pag. 22.

(4)  GU C 341 del 21.11.2013, pag. 21.


ALLEGATO

Il seguente controparere, pur avendo ottenuto almeno un quarto dei voti espressi, è stato respinto in favore del parere della sezione adottato dall’Assemblea.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si aspetta che la proposta di un nuovo assetto del mercato dell’energia, presentata dalla Commissione europea nel quadro del pacchetto autunno/inverno sull’energia, conduca a una piena integrazione delle fonti energetiche rinnovabili nel mercato comune dell’energia elettrica, in quanto strumento importante per realizzare gli impegni assunti dall’UE in materia di protezione climatica.

1.2.

Tale proposta deve prefiggersi di garantire l’affidabilità e la sicurezza a lungo termine dell’approvvigionamento energetico, condurre all’eliminazione delle esistenti distorsioni del mercato e, al tempo stesso, portare a prezzi dell’elettricità che assicurino la competitività dell’economia europea e che siano stabili e accessibili per i clienti finali, comprese le fasce di popolazione a basso reddito.

1.3.

Il CESE ritiene che il nuovo assetto del mercato dell’energia elettrica condurrà, nella sua forma finale, alla diminuzione o all’eliminazione dei rischi di potenziali effetti negativi sulla povertà energetica.

1.4.

Il CESE è convinto che il processo di trasformazione del mercato attuale dell’elettricità nel nuovo assetto futuro comporterà dei rischi di potenziali effetti sui gruppi vulnerabili di consumatori di elettricità, in particolare sui cittadini.

1.5.

Ad avviso del CESE, i rischi della trasformazione del mercato dell’energia elettrica in un nuovo assetto del mercato sono collegati, in particolare, alla necessità di rafforzare in modo sostanziale le reti di trasmissione nazionali 220/440 kW e di interconnettere le loro capacità, di ampliare le funzioni dei sistemi di distribuzione fino a comprendere anche funzioni svolte attualmente solo dai sistemi di trasmissione (ad esempio, garantire la stabilità della rete) e di convertirli a un assetto «intelligente», di risolvere il problema dello stoccaggio di grandi capacità di energia elettrica, di decentrare la produzione di elettricità, di collegare la produzione decentrata alle reti di distribuzione e di modificare la natura del ruolo e del comportamento dei consumatori di elettricità sul mercato.

1.6.

I processi di trasformazione summenzionati rappresentano impegni a lungo termine, la cui attuazione richiederà decenni, costi di investimento elevati — stimati a diverse centinaia di miliardi di euro -, nonché altri costi comparabili connessi allo sviluppo di nuove soluzioni tecniche, spesso ancora ignote.

1.7.

In una situazione in cui vengano pienamente applicati i principi del mercato, una parte significativa di questi costi si ripercuoterà sulla componente regolamentata del prezzo dell’energia elettrica e, di conseguenza, nella fase di transizione gli effetti potenziali di tale trasformazione rischiano di creare una situazione di povertà energetica per i gruppi vulnerabili della popolazione.

2.   Introduzione

2.1.

La presidenza slovacca del Consiglio dell’UE, con lettera del 14 marzo 2016, ha chiesto al CESE di elaborare un parere sulla dimensione sociale del nuovo assetto del mercato dell’energia elettrica nella dinamica dello sviluppo sociale ed economico.

2.2.

Nella lettera veniva richiesta una più ampia analisi dei fattori che influenzano il mercato dell’energia elettrica e una valutazione critica dei loro effetti sull’andamento dei prezzi dell’energia nell’UE, affinché tale sviluppo sia sostenibile non soltanto dal punto di vista ambientale (protezione del clima), ma anche sul piano economico e sociale, in particolare per quanto riguarda la sicurezza e la disponibilità dell’approvvigionamento di energia elettrica.

2.3.

Nella sua richiesta la presidenza slovacca rileva che il nuovo assetto del mercato dell’energia elettrica crea delle opportunità per i consumatori e offre loro un modo più proattivo per interagire con il mercato. Oltre agli eventuali effetti dell’aumento dei prezzi dell’energia elettrica sulla competitività dell’industria dell’UE, è anche necessario tenere conto dei possibili rischi per i clienti socialmente vulnerabili.

2.4.

In una serie di precedenti pareri, il CESE ha effettuato un esame approfondito dell’evoluzione del mercato dell’energia e ha adottato delle raccomandazioni e delle conclusioni che ritiene ancora attuali. Pertanto, il presente parere si concentrerà esclusivamente sui rischi che il nuovo assetto del mercato dell’elettricità può generare per i gruppi di cittadini socialmente vulnerabili e sulle manifestazioni specifiche della povertà energetica in relazione all’accessibilità dell’energia elettrica.

3.   Principali problemi dell’attuale mercato dell’elettricità nell’UE e rischi legati al suo sviluppo a medio termine

3.1.

I principali problemi dell’attuale mercato dell’elettricità nell’UE si possono sintetizzare come segue:

distorsione fondamentale del mercato dell’elettricità;

investimenti insufficienti nella creazione di nuove fonti regolabili di energia elettrica;

ritardi nello sviluppo delle infrastrutture di trasmissione per privilegiare invece la crescita delle fonti rinnovabili;

riduzione e minacce per la sicurezza e l’affidabilità dell’approvvigionamento di energia elettrica;

mancanza di un coordinamento efficace delle politiche energetiche nazionali, che, tuttavia, dovrebbe prendere piuttosto la forma di una cooperazione e di un coordinamento a livello delle regioni transnazionali sulla base delle condizioni reali dei mercati esistenti;

aggravamento della distorsione del mercato dell’energia elettrica per via di un’integrazione inefficace dei mercati.

3.2.

Un altro importante fattore negativo del mancato funzionamento, di fatto, dei mercati dell’elettricità dell’UE è la distanza geografica di alcuni importanti raggruppamenti di fonti rinnovabili dalle aree a forte consumo di elettricità, insieme all’insufficiente capacità di trasmissione all’interno dei singoli Stati. La produzione incontrollata di energia elettrica, in particolare da fonti eoliche, determina, in occasione dei picchi temporanei, il traboccamento di energia elettrica verso gli Stati confinanti, il che provoca poi delle situazioni di crisi nelle reti di trasmissione con un rischio elevato di collasso del sistema (black-out).

3.3.

In una serie di Stati membri, in risposta all’instabilità dell’approvvigionamento da fonti rinnovabili, sono stati introdotti sistemi di meccanismi di capacità, accompagnati da taluni elementi discriminatori come, ad esempio, l’orientamento verso tecnologie di produzione di elettricità oggetto di una preselezione o l’esclusione delle forniture transfrontaliere. Il nuovo modello per il mercato dell’energia elettrica dovrebbe prendere in considerazione e superare alcune attuali carenze e, in tale contesto, è fondamentale migliorare le infrastrutture dell’energia elettrica dell’UE.

3.4.

Le reti di trasmissione degli Stati membri non garantiscono una copertura operativa di una scarsità locale di risorse fra gli Stati membri, e pertanto, nel contesto attuale, l’ulteriore integrazione del mercato dell’energia elettrica appare problematica. In Europa esistono diversi mercati regionali dell’energia elettrica, che non collaborano tra loro e le cui azioni non sono sufficientemente coordinate.

3.5.

La loro interconnessione avviene gradualmente, conformemente alla legislazione in vigore (codici di rete). Tra questi mercati esistono per il momento notevoli differenze in termini sia di sicurezza operativa che di livello dei prezzi dei prodotti e servizi forniti. Questo processo di integrazione è assolutamente indispensabile, ma sembra molto difficile da realizzare.

3.6.

In una serie di Stati membri, in risposta ai problemi dell’integrazione delle fonti rinnovabili instabili nei sistemi energetici, sono stati introdotti meccanismi di capacità, che garantiscono l’affidabilità e l’accessibilità dell’approvvigionamento di energia elettrica quando le fonti rinnovabili sono indisponibili a causa della loro dipendenza dalle condizioni naturali. I meccanismi di capacità prendono la forma di mercati di capacità oppure di riserve strategiche. Mentre i primi presentano rischi di distorsione del mercato, le riserve strategiche hanno carattere neutro nei confronti del mercato dell’elettricità e andrebbero privilegiate in quanto soluzione conforme al mercato.

3.7.

La prospettiva della situazione energetica per i prossimi 20 anni è un fattore importante che inciderà sulla forma definitiva del nuovo assetto del mercato dell’elettricità e, naturalmente, sulle conseguenze per i clienti vulnerabili. A tale proposito è importante tenere conto dei seguenti fattori:

3.7.1.

A seguito degli sviluppi intervenuti negli ultimi dieci anni, la situazione energetica nell’UE richiede una soluzione urgente fondata su una riflessione strategica obiettiva. L’affidabilità dell’approvvigionamento sostenibile di energia elettrica a prezzi accettabili/accessibili non può rimanere soltanto a livello di dichiarazioni di principio, ma deve essere saldamente fondata sui tre pilastri fondamentali dello sviluppo sostenibile. Il rinnovo delle reti richiederà circa 655 miliardi di dollari USA.

3.7.2.

Tra il 2016 e il 2025 nell’UE arriveranno a fine vita delle capacità termiche installate pari a circa 150 GW, più o meno un quarto delle attuali capacità termiche dell’UE. Per mantenere l’adeguatezza del sistema di produzione di elettricità e l’approvvigionamento dei consumatori, occorrerà costruire fino a 100 GW di nuove capacità termiche con una potenza stabile, tenendo presente che fino al 2035 le fonti fossili rappresenteranno 200 GW, anche qualora fossero confermate le ipotesi di sviluppo tecnologico nel campo sia dell’efficienza energetica che dello stoccaggio dell’elettricità.

3.7.3.

Tuttavia, allo stato attuale del mercato dell’elettricità, non è possibile investire in tali capacità produttive, e la garanzia della sicurezza energetica richiederà delle riforme sistemiche sostanziali, in modo da pervenire a un’applicazione rigorosa dei meccanismi di mercato con ripercussioni positive sui prezzi praticati ai consumatori finali.

Il controparere è stato respinto con 141 voti contrari, 91 voti favorevoli e 22 astensioni.


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

520a sessione plenaria del CESE del 19 e 20 ottobre 2016

2.2.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 34/86


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Norme europee per il XXI secolo»

[COM(2016) 358 final]

(2017/C 034/13)

Relatore:

Antonello PEZZINI

Consultazione

Commissione, 17/08/2016

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

[COM(2016) 358 final]

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

04/10/2016

Adozione in sessione plenaria

20/10/2016

Sessione plenaria n.

520

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

147/0/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE ritiene fondamentale una nuova visione per organizzare un sistema europeo di normalizzazione (SEN) che sappia adattarsi a contesti internazionali in continua evoluzione, che sia in grado di portare vantaggi crescenti a imprese, consumatori, lavoratori e ambiente.

1.2.

Nella sua veste di «casa della società civile», il CESE dà particolare importanza al miglioramento della trasparenza e inclusività del SEN e rivendica un suo ruolo proattivo nell’indirizzo strategico, nell’attuazione e diffusione normativa nonché nel sostegno a una cultura della standardizzazione.

1.3.

Il CESE sottolinea l’importanza di rafforzare il ruolo strategico della normalizzazione tecnica per assicurare:

qualità, sicurezza e performance di beni e servizi,

un livello sempre più elevato di protezione del consumatore, del lavoratore e dell’ambiente,

maggiori livelli d’innovazione per la competitività delle imprese.

1.4.

Il CESE plaude al lancio dell’iniziativa congiunta per la standardizzazione (ICS) tra i partner pubblici e privati del SEN per la individuazione di un approccio comune nella definizione delle priorità, nello sviluppo di azioni congiunte volte a modernizzare e semplificare l’adozione delle norme.

1.5.

Il CESE è però fortemente preoccupato della limitatezza di concrete indicazioni attuative e delle relative dotazioni finanziarie, fondamentali per trasformare una visione comune innovativa in strategie ed azioni concrete di modernizzazione.

1.6.

In proposito, il CESE raccomanda che il partenariato pubblico privato JIS (1) trovi una sua collocazione strutturale e finanziaria nell’ambito delle iniziative tecnologiche congiunte di Horizon 2020  (2), con l’obiettivo di:

assicurare il raggiungimento di obiettivi tecnico-normativi ben individuati nel settore industriale, dei servizi e del consumo,

ottenere maggiore e migliore concentrazione di risorse finanziarie e umane e di conoscenze su priorità condivise.

1.7.

Il CESE appoggia la Commissione nella realizzazione di un sistema integrato e strutturato, con l’obiettivo di raggiungere una strategia comune, che porti a una riduzione della frammentazione delle norme, e dei loro sistemi di programmazione.

1.8.

Il CESE sostiene quindi un migliore sistema di governance nelle strategie di azione normativa, che tenga conto della convergenza delle tecnologie e dell’informatizzazione delle imprese e dei servizi, e delle nuove e crescenti competenze sociali e ambientali e che possa affiancare l’attuale Comitato tecnico per la standardizzazione.

1.9.

Il dialogo interistituzionale europeo sulla standardizzazione deve assicurare un ruolo privilegiato di tutte le realtà rappresentative interessate. I gruppi permanenti di valutazione e indirizzo dovrebbero essere costituiti in seno alle istituzioni UE, in primis con il CESE e con il Comitato delle regioni (CdR), tenuto conto delle competenze di consultazione obbligatoria attribuite dall’articolo 114 TFEU.

1.10.

Secondo il CESE, è necessario rafforzare in seno al SEN e alle competenti direzioni generali della Commissione le capacità di utilizzo coordinato dello strumento della normazione tecnica, rilevante per i singoli settori, specie nel settore dei servizi.

1.11.

Il CESE ritiene prioritario il lancio di un’azione di sviluppo di una vera e propria cultura europea della standardizzazione a partire dai livelli educativi di base fino ai decisori politici e ai negoziatori di accordi internazionali, con il varo e il sostegno di una incisiva campagna europea di sensibilizzazione.

1.12.

Il CESE sottolinea che una politica europea di normalizzazione veramente innovativa deve rispondere in primis ai principi di customer’s satisfaction dei cittadini, delle imprese e dei lavoratori, e deve raggiungere alti livelli di sicurezza, qualità ed efficacia, nuova occupazione e competitività internazionale, con un approccio equilibrato e flessibile tra normazione e creatività (3).

2.   Il sistema di normalizzazione tecnica di fronte alle sfide europee e globali

2.1.

La normalizzazione tecnica gioca un ruolo di importanza fondamentale nel funzionamento del mercato interno e nella competitività internazionale di prodotti e servizi, quale strumento strategico per assicurare qualità, performance e sicurezza di beni e servizi, interoperatività di reti e sistemi, livelli elevati di protezione delle imprese, dei lavoratori, dei consumatori e dell’ambiente nonché maggiori livelli di innovazione e di inclusione sociale.

2.2.

Alla luce dei nuovi sviluppi tecnologici, delle priorità politiche e dei trend globali, specie di servizi, e di rivoluzione informatica è necessario rivedere il sistema europeo di normalizzazione (SEN), per preservarne i numerosi elementi di successo, correggerne i difetti, puntare ad un equilibrio adeguato tra dimensione europea e nazionale così come tra libertà d’innovazione, creatività e inter-operatività tecnico-normativa e — più in generale — per rispondere alle nuove esigenze e aspettative delle imprese, dei consumatori, dei lavoratori e della società europea nel suo insieme.

2.3.

Nella veste di «casa della società civile», il CESE dà particolare importanza al miglioramento della trasparenza e inclusività del SEN e rivendica un ruolo sempre più proattivo nell’indirizzo strategico, nell’attuazione e diffusione normativa nonché nel sostegno ad una cultura della standardizzazione, come base del successo delle imprese e delle generazioni future.

2.4.

Il CESE ha sempre sostenuto che: «un processo europeo di normalizzazione rapido, efficace e partecipato rappresenta non solo un elemento portante dell’architettura del mercato unico, e costituisce il fulcro dell’integrazione europea e della strategia Europa 2020, intesa a realizzarla, ma anche e soprattutto un elemento fondante della competitività dell’economia europea e uno strumento propulsivo dell’innovazione» (4). Proprio per questo, occorrono norme chiare e trasparenti a tutela di consumatori e imprese così come dell’ambiente e della società.

2.5.

I principali obiettivi generali del SEN sono aumentare il contributo delle norme e del processo di normalizzazione europea alla libera circolazione di beni e servizi sul mercato interno, per stimolare la crescita e l’innovazione e per favorire la competitività delle imprese europee, in particolare delle PMI — assicurando al contempo alti livelli di protezione dei consumatori, dei lavoratori e dell’ambiente — attraverso processi più ampi ma rapidi d’elaborazione inclusivi e trasparenti, sia a livello nazionale che europeo, basati su criteri riconosciuti, come quelli previsti dall’accordo OMC sugli ostacoli tecnici agli scambi e dal regolamento UE n. 1025/2012.

2.6.

Di recente il CESE ha sottolineato come «la standardizzazione europea, attraverso l’apporto di tutte le parti sociali e degli stakeholders, deve contribuire a completare e arricchire i processi in atto nelle economie mondiali», auspicando «una maggiore presenza e un maggiore peso della cultura della standardizzazione europea nei processi mondiali di normazione» (5) anche attraverso sensibilizzazione alla comunicazione, facilità d’accesso e costi contenuti.

2.6.1.

È altresì importante mantenere un giusto equilibrio tra normazione e creatività (6) garantendo, anche all’artigiano e all’impresa minore, la possibilità di esprimersi liberamente ed arricchire prodotti e servizi nel rispetto dei limiti di base stabiliti dalle norme.

2.7.

La normalizzazione europea è destinata a svolgere un ruolo chiave nella creazione e nel funzionamento del mercato unico di prodotti e servizi attraverso l’armonizzazione graduale a livello UE di norme nazionali, spesso suscettibili di creare ostacoli tecnici all’accesso ai mercati nazionali e al commercio e all’interscambio intraeuropeo.

2.8.

Con la convergenza delle tecnologie e l’informatizzazione della società, di imprese e di servizi pubblici, la separazione tradizionale tra la normalizzazione generale e quella digitale si sta riducendo, come ben evidenziato anche in altro parere (7) del CESE e comporta la necessità di un approccio coerente nella progettazione e definizione delle priorità di normazione all’interno della Commissione.

2.9.

Di fronte alle preferenze espresse da vari attori economici e industriali dell’UE per norme internazionali ISO/IEC, diventa di estrema rilevanza il rafforzamento del SEN per assicurare standard internazionali allineati ad una normazione europea rapida, efficace e inclusiva di tutte le parti interessate, specie in termini di rappresentanza delle imprese minori, dei consumatori e degli altri stakeholders.

2.10.

Un incremento nello sviluppo di standard europei volontari di servizi, potrebbe promuovere l’occupazione e la crescita con maggiori prestazioni transfrontaliere e una maggiore integrazione dei mercati permettendo di sfruttare appieno il potenziale del settore per l’economia europea nella salvaguardia e nel rispetto delle condizioni di lavoro e di vita locali, e contribuendo all’abbattimento di barriere derivanti dall’uso di sistemi di certificazione nazionali.

2.11.

In risposta alla rapida evoluzione dei cicli tecnologici, alla maggiore complessità e interazione nei sistemi industriali, i confini sempre più labili tra i prodotti, i servizi e le TIC, la Commissione europea (CE) ha lanciato una iniziativa congiunta sulla normazione, tra i partner pubblici e privati del SEN — come auspicato dal CESE — con la definizione di una visione comune condivisa e un percorso comune di focalizzazione su una serie di iniziative volte a modernizzare, definire priorità, accelerare e semplificare l’adozione delle norme entro la fine del 2019, mediante:

sensibilizzazione, istruzione e comprensione riguardo al sistema europeo di normazione,

tempestività, qualità e allineamento di priorità e piani normativi con il quadro di R&I,

coordinamento, cooperazione, trasparenza e inclusività delle rappresentanze anche minori,

il coinvolgimento attivo e trasparente di tutte le parti interessate,

competitività e dimensione internazionale, con lo sviluppo di sviluppo di modelli normativi comuni.

3.   Le proposte della Commissione europea

3.1.

La comunicazione della CE rappresenta una visione accompagnata da un pacchetto di normalizzazione che prevede una serie di obiettivi di modernizzazione del sistema europeo di normalizzazione-SEN:

Iniziativa congiunta sulla normalizzazione — JIS: un processo innovativo di partenariato tra organizzazioni europee e nazionali di normalizzazione, l’industria e associazioni professionali, PMI, associazioni dei consumatori, sindacati, organizzazioni ambientaliste, gli Stati membri, l’Associazione europea di libero scambio (EFTA) e la CE, con l’obiettivo di sviluppare azioni concrete per accelerare e snellire i lavori di normalizzazione tecnica;

Standard tecnico-normativi europei per i servizi: una guida per promuovere lo sviluppo di norme volontarie europee nel settore dei servizi, ridurre gli ostacoli derivanti da norme nazionali e schemi di certificazione, e migliorare le informazioni ai fornitori di servizi;

Dialogo interistituzionale strutturato CE, Parlamento europeo, Consiglio, CESE, CdR: un sistema di reporting annuale e feedback in merito all’attuazione della politica di normalizzazione UE;

Presentazione di programmi di lavoro annuali: il programma di lavoro 2017 stabilisce le priorità annuali del SEN.

3.2.

La CE, in particolare nel settore dei servizi, intende:

effettuare analisi delle aree di conflitto o di duplicazione tra standard nazionali,

concordare criteri per stabilire le priorità per standard europei dei servizi,

produrre una revisione mirata di raccolta d’informazioni sulle norme nazionali vigenti e pratiche per le autorizzazioni relative alle norme e certificati,

chiedere al CEN un elenco annuale delle aree di potenziale conflitto o duplicazioni tra gli standard di servizio nazionali o potenziali lacune nello sviluppo di standard,

considerare la dimensione europea prima di impostare lo sviluppo di una norma nazionale,

raccomandare agli Stati membri di esplorare l’uso di standard europei di servizi.

3.2.1.

La CE inoltre propone di facilitare la disponibilità di informazioni sulle norme europee armonizzate attraverso un migliore accesso al gateway unico digitale proposto nella strategia per il mercato unico.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il CESE condivide — una volta di più (8) — l’urgenza di una effettiva ed efficiente modernizzazione del sistema di normazione europea di cui si discute da oltre un quinquennio e ritiene indispensabile una nuova visione comune e azioni concrete per rispondere, sempre su base volontaria, alle sfide globali della normalizzazione con un innovativo processo di collaborazione, basato sul consenso per lo sviluppo tempestivo di standard in un ambiente tecnologico in rapida evoluzione.

4.2.

Secondo il CESE occorre iniziare il processo normativo sin dalle fasi di ricerca e sviluppo con azioni di co-normazione e pre-normazione e potenziare i meccanismi di trasferimento delle norme europee a livello internazionale con il supporto dell’industria e delle rappresentanze delle PMI, dei consumatori, delle parti sociali, degli ambientalisti e degli attori pertinenti della società civile.

4.3.

Per il CESE, per rendere effettive ed efficaci sul piano interno e internazionale le azioni di modernizzazione del SEN, indicate nel documento comune JIS, occorre prioritariamente:

allineare sistemi di programmazione, elaborazione e monitoraggio dei diversi quadri europei di riferimento, rafforzandone il coordinamento,

assicurare un quadro poliennale rafforzato di dotazione finanziaria agli organismi di normazione europei per dar seguito concreto alle azioni previste (9),

sostenere finanziariamente e organizzativamente una partecipazione inclusiva delle organizzazioni e rappresentanze più deboli e meno attrezzate con azioni di sviluppo di standard tecnico-normativi, «sensibilizzazione, istruzione e comprensione» e di inclusività «europea» e nella «dimensione internazionale».

4.3.1.

In proposito, il CESE raccomanda la creazione di un’iniziativa di partenariato pubblico-privato nell’ambito delle iniziative tecnologiche congiunte (JTI) di Orizzonte 2020, sulla base del percorso tracciato nell’iniziativa JIS sulla normalizzazione, con un’adeguata dotazione finanziaria e un sistema strutturato di definizione di strategie e priorità.

4.4.

Il CESE è parimenti preoccupato per l’assenza di una forte e novativa architettura di allineamento delle priorità sia a livello di diverse politiche UE e delle varie direzioni generali che le implementano, sia di strumenti di programmazione, al di là del Comitato degli standard e delle pur lodevoli iniziative — JIS e dialogo strutturato.

4.4.1.

A parere del CESE occorre quindi un nuovo organismo di governance per l’elaborazione e il monitoraggio di strategie d’azione normativa che ricomprendano tutti i vari aspetti della normazione da quelli scientifici e tecnologici, a quelli sociali e ambientali, e affianchi l’attuale Comitato tecnico per la standardizzazione.

4.4.2.

Il Comitato ritiene che l’urgenza di procedere finalmente verso una forte modernizzazione e valorizzazione del SEN non può trovare risposte efficaci in un modello «businesss as usual» di fronte alle richieste urgenti del Consiglio del marzo 2015 in proposito. Il dialogo interistituzionale strutturato europeo sulla standardizzazione dovrebbe assicurare un ruolo proattivo privilegiato delle realtà rappresentative in particolare del CdR e del CESE, tenuto conto delle competenze di consultazione obbligatoria a quest’ultimo attribuite dall’articolo 114 TFEU.

5.   Osservazioni particolari

5.1.

Velocità e tempestività delle norme tecniche europee. Si riscontrano diversità d’interessi in termini di velocità e difficoltà nell’applicare una soluzione «one size fits all» per ridurre i tempi necessari e carenze nel monitoraggio dei processi. La tempestività resta più importante della velocità se quest’ultima può compromettere la costruzione del consenso.

5.2.

Supporto alla competitività delle imprese europee. Superare le barriere alla partecipazione delle PMI a processi di elaborazione/applicazione normativa e rafforzare i legami tra standardizzazione e innovazione e progetti di ricerca, anche con azioni di capacity building per l’impresa minore.

5.3.

Sostegno alla legislazione e alle politiche dell’UE. Si riscontra una crescente domanda di norme a sostegno della legislazione e delle politiche UE per ottenere gli standard richiesti: appare necessario aumentare le capacità di coordinamento inter-comunicativo tra i vari attori e soggetti interessati.

5.4.

Maggiori capacità anticipatorie. Appare necessario aumentare le capacità di risposta puntuale ai bisogni di anticipazione normativa, nella definizione dei processi di standardizzazione europei, anche per ridurre i rischi di norme nazionali che possono indebolire l’efficacia complessiva del SEN.

5.5.

Inclusività. Occorre migliorare le capacità di rappresentanza degli attori della società civile e delle organizzazioni minori, con azioni di capacity building. Il CESE ha già avuto modo di sottolineare «l’importanza di facilitare l’accesso al processo di normazione per le PMI e le componenti interessate della società…» e di «un monitoraggio approfondito degli sforzi condotti dagli attori principali della normazione, al fine di rafforzare la dimensione dell’inclusività del SEN» (10). Occorre assicurare alle organizzazioni di cui all’allegato III uno status specifico di membro/partner con chiari diritti ed obblighi, specie per il diritto di parere.

5.6.

Supporto alle norme europee a livello mondiale. È necessaria una maggiore incisività, capacità di rappresentanza, competenza e coerenza, soprattutto nelle sedi ISO/IEC/ITU specie per impresa minore, consumatori e ambiente — e in sede multilaterale e di accordi di libero scambio.

5.7.

Governance. Occorre:

ridisegnare strutture di governance e di coordinamento efficienti;

migliorare le reti interoperative di comunicazione CE circa il processo normativo;

armonizzare metodi di lavoro con strutture programmatorie trasparenti ed inclusive di partenariato pubblico-privato e meccanismi di dialogo interattivo.

5.8.

Sostegni finanziari pluriennali. È indispensabile un quadro pluriennale di dotazione finanziaria, non solo per la ricerca pre- e co-normativa (11), per le azioni di Science & Society e di Social Sciences & Humanities e per formare una coscienza e una cultura diffusa della standardizzazione, ma anche per sostenere strategie e azioni-pilota normative concrete, in settori di punta con l’utilizzo del cofinanziamento nel quadro generale e regolamentare di Horizon 2020.

5.9.

Assetti e strategie per il futuro. Necessità di analisi d’impatto di future norme internazionali sul mercato europeo e di analisi prospettiche settoriali e intersettoriali. Occorrono valutazioni periodiche e follow-up dell’efficacia applicativa delle azioni adottate, con la partecipazione di meccanismi appositi nelle istituzioni, quali un gruppo permanente sulla standardizzazione nel CESE e organismi analoghi in ambito CdR e Parlamento europeo.

5.10.

Normalizzazione come strumento di politiche UE. Per tutte le politiche europee vi è la necessità di rafforzare in seno al SEN ed alle varie direzioni generali competenti della CE, le capacità di attivazione e utilizzo coordinato dello strumento della normazione tecnica rilevante per i singoli settori.

5.11.

Dialogo interistituzionale strutturato. Tale strumento deve essere, secondo il CESE, pienamente interattivo e proattivo, giovandosi delle attività di gruppi permanenti in seno alle istituzioni europee con la partecipazione, sin dall’inizio dei lavori programmatori, del CdR e del Comitato economico e sociale europeo, viste le competenze attribuite, specie a quest’ultimo, dal TFUE (12) relativamente al mercato interno, del quale la standardizzazione è parte integrante.

Bruxelles, 20 ottobre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Joint Initiative on Standardization.

(2)  Cfr. ad esempio il P2P metrologia.

(3)  Cfr. parere TEN/593 — Priorità per la normazione delle TIC per il mercato unico digitale (GU C 487 del 28.12.2016, pag. 92).

(4)  GU C 376 del 22.12.2011, pag. 69.

(5)  GU C 177 del 18.5.2016, pag.1.

(6)  Cfr. la nota 3.

(7)  Cfr. la nota 5.

(8)  Cfr. la nota 4.

(9)  Cfr. Annexe 1 to the JIS under the Single Market Strategy, 13.06.2016, Amsterdam.

(10)  «Normazione europea per il 2016» (GU C 303 del 19.8.2016, pag. 81).

(11)  Cfr. programma EMPIR di metrologia 2014-2020.

(12)  Cfr. in particolare l’articolo 114 TFUE.


2.2.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 34/93


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante misure volte a impedire i blocchi geografici e altre forme di discriminazione dei clienti basate sulla nazionalità, il luogo di residenza o il luogo di stabilimento nell’ambito del mercato interno e che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE»

[COM(2016) 289 final — 2016/0152 (COD)]

(2017/C 034/14)

Relatore:

Joost VAN IERSEL

Consultazione

Parlamento europeo, 09/06/2016

Consiglio dell’Unione europea, 10/06/2016

Base giuridica

Articolo 114 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

[COM(2016) 289 final — 2016/0152 (COD)]

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

04/10/2016

Adozione in sessione plenaria

19/10/2016

Sessione plenaria n.

520

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

216/3/6

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta di regolamento sui blocchi geografici, in quanto essa costituisce, sia per le imprese che per i consumatori, un elemento indispensabile della strategia per il mercato unico digitale. Si tratta, tuttavia, di un piccolo passo e non di un punto di svolta. Gli utenti finali — siano essi consumatori oppure imprese — continueranno a dover affrontare difficoltà considerevoli nelle vendite e negli acquisti in tutto il mercato unico.

1.2.

Il CESE sollecita la Commissione europea e il Consiglio ad introdurre strumenti giuridici ambiziosi e ben definiti per garantire il successo di un mercato unico digitale che sia favorevole ai consumatori e alle imprese, come presupposto, tra l’altro, per la creazione di un’economia europea resiliente rispetto al resto del mondo. Tali strumenti permetterebbero inoltre di promuovere un’immagine positiva dell’Unione europea.

1.3.

Resta da vedere se il regolamento sarà in grado di alleviare le frustrazioni dei consumatori. Fermo restando che il tradizionale commercio off-line continuerà ad essere significativo, il numero di imprese che oggi operano nel commercio online transfrontaliero è ancora piuttosto limitato, mentre il potenziale per gli acquisti e per le vendite online, specialmente transfrontalieri, è enorme.

1.4.

Vi è urgente bisogno di garantire parità di condizioni tra il commercio off-line e quello on line. Di conseguenza, l’UE dovrebbe sforzarsi non solo di porre fine ai blocchi geografici ingiustificati, ma anche di affrontare i rimanenti ostacoli nel mercato unico che scoraggiano od intralciano gli operatori che desiderino praticare il commercio on line e/o off-line transfrontaliero.

1.5.

Si dovrebbe promuovere ulteriormente la fiducia tra le imprese e i consumatori adottando parallelamente altri strumenti giuridici, tra cui spiccano, in particolare, un regolamento sulla consegna dei pacchi (1) — che miri ad alleviare i problemi di trasporto e ridurre i costi attraverso la concorrenza leale, introducendo anche disposizioni in materia sociale, e rispetti pienamente la legislazione dell’UE in questo campo — e una revisione equilibrata delle norme UE sul diritto d’autore.

1.6.

Pur essendo contrario ai geoblocchi ingiustificati, il CESE riconosce che le imprese, soprattutto se PMI e microimprese, possono avere diversi fondati motivi per evitare o rifiutare il commercio online transfrontaliero o per adeguare i prezzi e/o le condizioni in funzione delle differenze tra i mercati. Motivi che consistono, tra gli altri, nell’esigenza di tener conto di contesti giuridici diversi, di ulteriori requisiti nazionali, di costi aggiuntivi di trasporto, di requisiti linguistici relativi all’informazione precontrattuale, di requisiti amministrativi (back office) ecc.

1.7.

Il CESE sottolinea che i blocchi geografici giustificati, dovuti al fatto che le politiche industriali e gli ordinamenti giuridici divergono notevolmente da uno Stato membro all’altro, stanno ostacolando lo sviluppo spontaneo di PMI ed altre imprese in espansione (scale-up), intenzionate a operare a livello europeo. Queste divergenze, a loro volta, nuocciono anche alla trasparenza e alla prevedibilità, così necessarie per stimolare gli investimenti e rassicurare i mercati nell’era digitale.

1.8.

Il regolamento proposto evita giustamente di imporre ai commercianti l’obbligo di consegnare beni o prestare servizi nel paese del cliente quando il commerciante non effettua (ancora) consegne od operazioni nel paese in questione.

1.9.

Tutti i clienti nel mercato unico avranno giustamente accesso a qualsiasi offerta e potranno acquistare beni o servizi a condizione che essi stessi concordino il ritiro del prodotto o la ricezione del servizio in un territorio in cui il commerciante opera già, consentendo ragionevolmente a quest’ultimo di applicare le norme del suo paese di origine.

1.10.

Inoltre, il CESE accoglie con favore i requisiti di informazione imposti ai commercianti volti ad accrescere la trasparenza e la fornitura di informazioni al consumatore, in linea con la direttiva sui diritti dei consumatori del 2011. Un sito web informativo dell’UE può essere utile in questo caso. Nel contesto della direttiva sui diritti dei consumatori del 2011, le imprese sono tenute a garantire la trasparenza dei prezzi. Il CESE incoraggia le imprese ad andare oltre i requisiti minimi per conquistare la fiducia dei consumatori.

1.11.

Il CESE accoglie con favore i risultati iniziali dell’indagine settoriale sul commercio elettronico pubblicati di recente dalla Commissione europea (2), che dimostrano in particolare che il commercio elettronico è un importante motore della trasparenza dei prezzi e della concorrenza basata sui prezzi. I geoblocchi ingiustificati ne ostacolano il naturale sviluppo.

1.12.

Alcuni aspetti, comunque, meritano un chiarimento più approfondito; nello specifico:

1.12.1.

L’articolo 1, paragrafo 5 — che, in materia di legge applicabile, afferma in sostanza che il commerciante può «vendere» all’estero così come fa nel proprio paese, basandosi cioè sulle norme del proprio paese di origine — deve essere formulato in modo più chiaro.

1.12.2.

La materia dei servizi postvendita (casi di non conformità, costo dei resi, opzioni di rimborso ecc.) non è specificamente coperta dal regolamento, ed è pertanto disciplinata dalla direttiva sui diritti dei consumatori del 2011. Nel regolamento sui geoblocchi si dovrebbe aggiungere un riferimento alla pertinente legislazione dell’UE applicabile. In questo caso si rende necessaria un’ulteriore riflessione.

1.12.3.

Alcune disposizioni importanti, come l’articolo 7 sulle sanzioni in caso di violazione e l’articolo 8 sull’assistenza ai consumatori, attribuiscono la responsabilità dell’applicazione del regolamento agli Stati membri. È necessario evitare che eventuali interpretazioni difformi conducano ad una maggiore frammentazione e, di conseguenza, a un’attenuazione dell’impatto del regolamento. Il CESE si compiace della volontà della Commissione di introdurre un modulo UE a disposizione del consumatore per presentare reclami (3).

1.13.

La data, di cui all’articolo 11, per l’applicazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), vale a dire il 1o luglio 2018, dovrebbe restare aperta ed essere fissata soltanto in una fase successiva, in funzione della durata del processo legislativo.

1.14.

Il CESE sostiene la proposta della Commissione di utilizzare un modulo uniforme per i reclami.

2.   Introduzione

2.1.

Sia la trasformazione digitale nelle imprese che i mercati digitali si stanno diffondendo rapidamente in tutto il mondo. Date le enormi conseguenze di questi processi dinamici, la Commissione ha giustamente dichiarato che il mercato unico digitale è una delle sue priorità principali.

2.2.

Il CESE, inoltre, è profondamente coinvolto nelle discussioni sulle trasformazioni digitali. In una serie di pareri il CESE ha già formulato osservazioni in merito agli aspetti complessivi e orizzontali della digitalizzazione e alle proposte presentate dalla Commissione riguardo a questioni specifiche (4).

2.3.

Ad avviso del CESE, la rivoluzione digitale richiede condizioni solide per promuovere il mercato unico in questa nuova era. E queste condizioni devono essere definite da un quadro legislativo appropriato, nuovo e/o riesaminato, che garantisca i diritti dei cittadini e dei consumatori. Inoltre, le imprese dovrebbero essere incoraggiate ad utilizzare strumenti digitali e soluzioni innovative per operare oltre frontiera.

2.4.

Ciascuna delle 16 proposte legislative e non legislative contenute nel pacchetto sul mercato unico digitale deve essere tenuta pienamente in considerazione sulla base di questa premessa, e lo stesso vale per la proposta sui geoblocchi.

2.5.

Dalla valutazione delle pratiche attuali risulta evidente che esistono ancora molti ostacoli alle transazioni transfrontaliere online. In molti casi, il fatto che il mercato transfrontaliero conosca ancora uno sviluppo limitato non è dovuto a una segmentazione ingiusta del mercato, bensì all’incertezza degli operatori commerciali riguardo alle abitudini dei consumatori, o è riconducibile ad altre cause: gli ostacoli amministrativi ancora presenti, la diversità dei contesti normativi e le barriere linguistiche. Incertezze di questo tipo sono dannose anche per la fiducia dei consumatori.

2.6.

La mancanza di informazioni contribuisce inoltre al fatto che il commercio elettronico (sia le vendite che gli acquisti) stia decollando rapidamente all’interno dei singoli paesi, ma rimanga troppo poco sviluppato a livello transfrontaliero.

2.7.

Esistono poi differenze sostanziali nel commercio transnazionale tra un settore e l’altro, tra le grandi e le piccole imprese, e tra tipi di operatori diversi quali venditori al dettaglio o intermediari e siti web, mentre il volume del commercio online internazionale varia considerevolmente tra gli Stati membri.

2.8.

La situazione, insomma, è complicata. Al fine di promuovere la parità di condizioni e le soluzioni trasparenti necessarie per le imprese e i consumatori, il pacchetto normativo per il mercato unico digitale dovrebbe essere introdotto in maniera coerente mentre, nel contempo, altre norme legislative su questioni collegate, come ad esempio l’IVA, la consegna di pacchi, lo smaltimento di rifiuti e i diritti dei consumatori, dovrebbero essere pienamente compatibili.

2.9.

Le tendenze economiche e tecnologiche sono irreversibili. Pertanto, in un mondo in cui il commercio online aumenterà comunque, l’obiettivo di creare parità di condizioni a livello europeo sia per i cittadini che per le imprese deve essere raggiunto il prima possibile.

3.   Un ambito più ampio

3.1.

In questi giorni di sviluppi dirompenti, le industrie, sia manifatturiere che dei servizi, sono in costante mutamento, stanno emergendo i nuovi modelli d’impresa dell’economia collaborativa (sharing economy) e i metodi degli scambi commerciali si adattano di conseguenza. I social media e i servizi stanno influenzando in modo fondamentale lo sviluppo di nuovi modelli per il commercio e l’acquisto dei beni, con implicazioni enormi sia per le imprese che per i consumatori. L’UE dovrebbe allineare la legislazione attuale e quella futura alle nuove realtà del mercato, senza ricorrere ad un approccio troppo pesante, per non intralciare lo sviluppo di nuovi modelli imprenditoriali e di approcci innovativi.

3.2.

I blocchi geografici sono in conflitto con uno dei principi basilari del mercato unico. Benché in molti casi esistano fondati motivi per una diversità di trattamento in termini di prezzi o condizioni — motivi legati, ad esempio, alla residua frammentazione del mercato o alle differenze tra i mercati nazionali — sia le imprese che i consumatori trarrebbero beneficio da un mercato aperto e concorrenziale che offra varietà di scelta ed una qualità migliore ad un prezzo equo.

3.3.

L’importanza del commercio elettronico business-to-consumer (B2C) — in cui i consumatori e le imprese sono gli utenti finali — va considerata in un quadro più ampio. Le imprese sono, oggi più che mai, obbligate a innovare e a lavorare in modo efficiente a prezzi contenuti. Le nuove scoperte allargano i confini e aiutano le imprese a diventare più solide e resilienti. Questo è uno dei motivi per i quali il CESE sostiene pienamente l’obiettivo di abolire qualsiasi discriminazione nei confronti del cliente basata sulla nazionalità e/o la residenza.

3.4.

Ad ogni modo, la decisione di operare a livello internazionale è, e rimarrà, un diritto esclusivo di ogni impresa. L’evidenza empirica mostra come la (grande) maggioranza delle imprese scelga un approccio nazionale.

3.5.

In confronto agli Stati Uniti, l’Europa procede a rilento; i settori digitali cinese e indiano sono sulla buona strada per acquisire posizioni di forza; e tra i 20 leader mondiali di Internet non figura nessuna società europea. Secondo gli studi internazionali l’Europa primeggia nelle nuove imprese. Tuttavia, la frammentazione del mercato europeo frena lo sviluppo spontaneo di imprese in fase di avvio (start-up) o di espansione (scale-up) che intendono operare a livello europeo. Spesso la segmentazione del mercato inibisce lo sviluppo del mercato.

3.6.

La Commissione distingue giustamente i geoblocchi giustificati da quelli ingiustificati. I blocchi geografici giustificati nel commercio B2C sono principalmente una conseguenza della frammentazione del mercato UE e delle situazioni dove manca la trasparenza.

3.7.

La lotta ai geoblocchi ha un effetto collaterale particolarmente significativo: quello di rivelare chiaramente le (nuove) carenze nel mercato interno. È essenziale analizzare con attenzione, adottando un approccio caso per caso, se esistano o meno i presupposti per limitare l’accesso ad un determinato servizio o per un trattamento diverso in termini di prezzi e/o condizioni in funzione della nazionalità o della residenza.

3.8.

Una panoramica dei geoblocchi potenziali e delle prospettive di sviluppo di un grande mercato interno come quello degli Stati Uniti sarebbe stata estremamente utile, per quanto difficile e costosa una tale analisi potesse essere. Verosimilmente, essa avrebbe potuto fornire all’Europa un modello da seguire. Come in Europa, anche negli Stati Uniti i singoli Stati possono mantenere determinati poteri giuridici che ostacolano le operazioni su scala interstatale, ma la portata di tali poteri è di gran lunga inferiore che in Europa. Negli Stati Uniti la libera impresa e la domanda dei consumatori favoriscono probabilmente in modo schiacciante il commercio elettronico B2C, creando così nel mercato interno statunitense un terreno fertile per la concorrenza e anche per il rapido sviluppo di start-up e scale-up.

3.9.

Un quadro come quello sopra delineato può essere d’aiuto per valutare le prospettive di sviluppo in Europa. Le analisi della Commissione, basate su indagini tra gli imprenditori, descrivono le pratiche attuali in mercati che hanno un carattere prevalentemente nazionale. L’esempio degli Stati Uniti può servire a illustrare l’effettivo potenziale di attività economica dispiegato dal commercio elettronico B2C una volta rimosse tutte le barriere principali.

3.10.

La promozione delle vendite transfrontaliere è da tempo nei piani dell’UE, che ha già adottato a questo scopo una serie di direttive, come quella sui servizi del 2006 e quella sui diritti dei consumatori del 2011, le quali pongono l’accento sulla tutela dei consumatori con il duplice obiettivo di imporre alle imprese di garantire una trasparenza sufficiente per i consumatori e di porre fine alle discriminazioni transfrontaliere ingiustificate.

3.11.

Il CESE si rammarica del fatto che, in molti casi, l’attuazione inadeguata e l’applicazione non corretta delle attuali normative UE, come pure lo scarso controllo del loro rispetto, finiscano per creare barriere durature.

3.12.

Ad oggi, in ogni caso, l’effetto delle norme giuridiche volte a incoraggiare il commercio elettronico transfrontaliero rimane limitato. Sulla base di studi di mercato ad ampio raggio e di indagini tra imprenditori e consumatori, la Commissione giunge alla conclusione che «mentre per i consumatori acquistare online è diventato normale, gli acquisti online transfrontalieri rimangono un’eccezione. Soltanto la metà delle imprese che vendono online lo fa anche oltre frontiera» (5).

3.13.

Il CESE concorda nel ritenere che le restrizioni transfrontaliere legate alla nazionalità o alla residenza minano la fiducia nel mercato unico e di conseguenza andrebbero combattute. Sulla base delle ampie indagini condotte, sarebbe pienamente giustificato concludere che la stragrande maggioranza dei consumatori e delle imprese è nettamente favorevole all’apertura del mercato europeo al commercio online B2C. Il Parlamento europeo ha espresso la stessa opinione (6).

4.   Situazione attuale

4.1.

Al fine di promuovere gli acquisti e le vendite transfrontalieri, la Commissione ha elaborato un pacchetto di misure riguardante varie materie quali la registrazione IVA e le norme sull’IVA per il commercio elettronico, la consegna di pacchi, la riforma del diritto d’autore e la riforma del regolamento sulla cooperazione per la tutela dei consumatori. È inoltre essenziale che gli accordi verticali tra fornitori e distributori e le misure unilaterali adottate dalle singole imprese siano pienamente in linea con la politica di concorrenza dell’UE.

4.2.

La proposta di regolamento sui blocchi geografici rientra appunto in questo pacchetto complessivo. E in proposito vale la pena di notare che il regolamento proposto non si applica ad una serie di settori importanti, quali ad esempio la salute/i pazienti, il trasporto ferroviario di passeggeri, i servizi finanziari (al dettaglio), la musica su supporto digitale, i servizi audiovisivi e alcune forme di gioco d’azzardo. Il principio di base è che questi settori richiedono disposizioni settoriali specifiche che, secondo il CESE, dovrebbero essere introdotte quanto prima per colmare le lacune della legislazione sul mercato unico digitale.

4.3.

Lo stesso vale anche per la materia, estremamente importante, del diritto d’autore. Se è senz’altro giusto che le problematiche del diritto d’autore, pur indubbiamente correlate, siano escluse dall’ambito di applicazione della proposta in esame, il CESE sollecita però la Commissione ad adottare misure appropriate per combattere la frammentazione in questo campo, alleviare la frustrazione dei consumatori ed aiutare la costruzione di un autentico mercato unico digitale.

4.4.

La sintesi della consultazione pubblica del 2015 sui blocchi geografici conclude che, in generale, sia i consumatori che le imprese sono insoddisfatti dell’attuale frammentazione del mercato unico. Sembra tuttavia che le imprese e le associazioni imprenditoriali accettino comunque lo stato attuale delle cose, attribuendolo alle divergenze tra gli ordinamenti giuridici dei singoli Stati membri (7).

4.5.

Il CESE osserva che, per le PMI, è importante che il regolamento proposto non introduca l’obbligo di effettuare consegne in tutta Europa. Le PMI, comunque, beneficeranno certamente della possibilità (8) di vendere prodotti e servizi in tutto il continente, soprattutto nelle regioni di confine, mentre godranno, in quanto utenti finali, degli stessi diritti dei consumatori, cosa utile quando si acquistano prodotti e servizi dagli altri Stati membri. Inoltre, il CESE sottolinea che la riuscita applicazione del regolamento sui servizi di consegna dei pacchi è necessaria per sostenere e stimolare il commercio transfrontaliero.

4.6.

Le divergenze tra gli ordinamenti giuridici aiutano a spiegare la distinzione tra i blocchi geografici giustificati e quelli ingiustificati. Eccezion fatta per la categoria delle imprese semplicemente non intenzionate ad operare all’estero, le riserve degli imprenditori circa l’abolizione dei geoblocchi vanno attribuite, in larga parte, alle loro incertezze attuali relativamente alle pratiche divergenti in uso in questa o quella parte d’Europa, che ostacolano il commercio internazionale.

4.7.

I consumatori, da parte loro, manifestano un diffuso scontento riguardo al commercio transfrontaliero, anche se i campioni disponibili per la consultazione sono di dimensioni piuttosto limitate ed è quindi auspicabile un’ulteriore valutazione. Le loro rimostranze coprono una vasta gamma di problemi, quali la mancanza di informazioni, le restrizioni alla consegna oppure il rifiuto di consegnare, la mancanza di giustificazioni o spiegazioni per il rifiuto di fornire un bene od un servizio, il reinstradamento, le differenze di prezzo, il rifiuto di determinate carte di credito, la differenziazione sulla base degli indirizzi di fatturazione e consegna e sulle lingue. Alcuni di questi problemi sono il risultato delle differenze tra gli ordinamenti giuridici. Altri, invece, derivano da disposizioni contrattuali o pratiche concertate che determinano una segmentazione verticale del mercato piuttosto diffusa, basata ad esempio su caratteristiche personali, e dovrebbero quindi essere vietate (9). Rafforzare la fiducia dei consumatori e delle imprese nei mercati online è indispensabile per stimolare il commercio elettronico transfrontaliero a vantaggio dei consumatori, delle imprese e dei cittadini.

4.8.

Oltre all’applicazione di un trattamento diverso in termini di prezzo, condizioni o altri aspetti ai servizi prestati nello stesso momento e nello stesso luogo (per esempio tramite il tracciamento degli indirizzi IP o la profilazione), anche il blocco geografico ingiustificato dovrebbe essere vietato. Non esiste alcuna giustificazione per una sistematica disparità di trattamento nei servizi come il noleggio di autoveicoli, i parchi dei divertimenti o gli alberghi. Tuttavia, promozioni o differenze di prezzi temporanee, ad esempio durante le vacanze scolastiche, dunque su base provvisoria e orizzontale, dovrebbero essere consentite.

4.9.

Le limitazioni contrattuali alle vendite transfrontaliere appaiono sotto molteplici forme, e restrizioni territoriali contrattuali si riscontrano in tutte le categorie merceologiche (10). Alcune limitazioni apparentemente ingiustificate, peraltro, sono di fatto accettabili: è questo, ad esempio, il caso — piuttosto comune — della diversa determinazione dei prezzi. Al riguardo la Commissione parla giustamente di una «zona grigia» (11). Ad esempio, le differenze di prezzo si possono spiegare (almeno in parte) con le divergenze tra i mercati, le diverse categorie di consumatori interessati e i maggiori costi derivanti da normative nazionali diverse o aggiuntive, e quindi dalla necessità di ricorrere a consulenze giuridiche, dai servizi di pagamento, dalla gestione delle consegne e dei resi (12).

4.10.

Le percezioni negative e le conseguenti rimostranze riguardo alle false promesse del mercato unico sono diffuse in pari misura tra i consumatori e tra le imprese. I problemi da loro denunciati derivano sostanzialmente da due fenomeni che si sovrappongono tra loro: le diverse politiche industriali degli Stati membri e le diverse legislazioni nazionali.

4.11.

Il CESE ha criticato spesso l’esistenza di 28 politiche industriali, dato che una politica industriale focalizzata su un singolo Stato membro ostacola le attività delle imprese a livello europeo e nuoce in particolare alla portata delle attività transfrontaliere delle PMI. L’assenza di coordinamento tra le politiche nazionali, unita a una loro evidente difformità, quando questa sarebbe necessaria, ostacola la pianificazione transfrontaliera. E ad aggiungere ulteriore incertezza contribuisce l’adozione, da parte dei governi nazionali, di provvedimenti imprevedibili od arbitrari.

4.12.

Il panorama attuale è senza dubbio variegato: esistono standard nazionali differenti e sistemi di certificazione diversi; alcuni siti web sono bloccati per impedire la vendita da un altro paese; le modalità di pagamento di solito sono diverse; i requisiti linguistici possono essere proibitivi; a volte le autorità di vigilanza del mercato impongono requisiti aggiuntivi (13) e le direttive UE in vigore vengono applicate male o non vengono applicate affatto. Un esempio ben noto è quello dell’articolo 20 della direttiva sui servizi, sistematicamente ignorato dagli Stati membri, anche se, in questo caso particolare, effettivamente non è chiaro come occorra procedere per applicare la norma correttamente. Tutti questi fattori nuocciono sia alla trasparenza del mercato che alla parità di condizioni auspicata.

4.13.

Il mercato interno rappresenta una questione cruciale. La società online, infatti, pone il mercato unico al centro di una particolare attenzione. Le imprese e i consumatori di tutto il continente diventano più vicini. Un solo click del mouse apre istantaneamente un’enorme varietà di opzioni e scelte. Le possibilità di ottenere specialità e soluzioni di precisione possono crescere in misura esponenziale. Tuttavia, si dovrebbe tenere a mente che, anche se il mercato unico funzionasse alla perfezione, esisterebbero comunque ancora delle differenze tra le regioni.

4.14.

Le barriere artificiali frenano lo sviluppo spontaneo delle imprese, in particolare delle PMI. Le imprese cercano azioni coordinate per aggirare i problemi o per superare gli ostacoli al fine di assicurarsi posizioni di mercato. Gli accordi verticali e orizzontali tra venditori e distributori, così come le varie forme di segmentazione del mercato, considerati generalmente all’origine della formazione di geoblocchi ingiustificati, andrebbero intesi, in molti casi, anche come misure difensive contro quelle che le imprese ritengono essere barriere nazionali arbitrarie. Ad esempio, i costi di spedizione e il costo dei servizi postvendita possono rivelarsi inaspettatamente più alti a causa delle politiche nazionali. Un’impresa tenuta a effettuare consegne in ogni circostanza può avere difficoltà ad onorare i propri impegni, trovandosi di fronte a condizioni sconosciute.

4.15.

In alcuni casi, si ricorre ad intermediari transfrontalieri per smussare le complicazioni derivanti da fattori nazionali tra l’impresa nel paese di origine e i clienti stabiliti in un altro paese; e ciò, per quanto utile possa essere, in genere non facilita le relazioni dirette tra le imprese fornitrici e i clienti.

4.16.

Non vi è dubbio che i geoblocchi ingiustificati vadano individuati e combattuti; tuttavia, il CESE insiste sul fatto che, nel creare le condizioni più appropriate, occorra anche trarre le debite conclusioni dalla perdurante frammentazione del mercato interno per effetto della diversità degli approcci adottati dagli Stati membri.

Bruxelles, 19 ottobre 2016

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Il parere del CESE in merito alla proposta di regolamento sui servizi di consegna transfrontaliera dei pacchi integra le proposte formulate nel presente parere, cfr. pag. 106 della GU.

(2)  L’indagine è stata pubblicata nel maggio 2015 e i primi risultati sono stati resi disponibili il 15 settembre 2016.

(3)  Date le differenze di approccio tra paesi, il risultato è tutt’altro che scontato. Il modulo è attualmente al centro di discussioni tra la Commissione e il Consiglio.

(4)  GU C 264 del 20.7.2016, pag. 86,

GU C 264 del 20.7.2016, pag. 57,

GU C 264 del 20.7.2016, pag. 51,

GU C 71 del 24.2.2016, pag. 65.

(5)  Cfr. la valutazione d’impatto sui blocchi geografici e altre forme di discriminazione dei clienti basate sulla nazionalità, il luogo di residenza o il luogo di stabilimento in Europa (COM(2016) 289 final, pag. 2). Ad ogni modo, nel documento di lavoro dei servizi della Commissione SWD(2012)146, volto a fornire orientamenti sull’applicazione dell’articolo 20, paragrafo 2, della direttiva sui servizi (direttiva 2006/123/CE), si afferma giustamente che le imprese sono libere di stabilire, all’interno dell’UE, l’ambito geografico verso cui dirigere le loro attività, «anche quando vendono online».

(6)  Cfr. la risoluzione del Parlamento del 19 gennaio 2016 sul tema Verso un atto per il mercato unico digitale [2015/2147(INI)], capitolo 2.

(7)  Sintesi delle risposte fornite nell’ambito della consultazione pubblica sui geoblocchi condotta nel 2015 dalla Commissione europea, pag. 15.

(8)  Cfr. l’Alleanza europea delle piccole imprese (ESBA).

(9)  Cfr. anche il punto 7 del documento di analisi che presenta i primi risultati dell’indagine sul settore del commercio elettronico condotta dalla DG Concorrenza (SWD(2016) 70 final).

(10)  Ibidem, punti 98 e 99.

(11)  Ibidem, punto 102. Questa zona grigia dovrebbe essere definita in modo più chiaro.

(12)  Ibidem, punto 114.

(13)  È il caso, ad esempio, dell’autorità di vigilanza tedesca.


2.2.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 34/100


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa che tutela i consumatori»

[COM(2016) 283 final — 2016/148 (COD)]

(2017/C 034/15)

Relatore:

Bernardo HERNÁNDEZ BATALLER

Consultazione

Parlamento europeo, 9/6/2016

Consiglio, 30/6/2016

Base giuridica

Articolo 114 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

[COM(2016) 283 final — 2016/148 (COD)]

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

4/10/2016

Adozione in sessione plenaria

19/10/2016

Sessione plenaria n.

520

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

219/4/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE esprime il suo sostegno alla proposta della Commissione, considerandola opportuna e apprezzando l’abilità con cui la materia in esame è stata analizzata e sviluppata. A tale riguardo, è d’obbligo sottolineare l’estensione dei benefici attesi dall’attuazione della proposta a tutte le parti interessate, consumatori, imprese e autorità nazionali, come indicato nella proposta stessa.

1.2.

Il CESE, inoltre, esprime la sua inquietudine e i suoi timori per il fatto che la regolamentazione di tutta questa materia come risulta dalla proposta influisca sui diritti fondamentali e sulla loro applicazione da parte degli Stati membri.

1.3.

Inoltre, il CESE invita la Commissione e gli Stati membri a garantire che le norme procedurali comuni previste dall’articolo 8 della proposta siano applicate in modo efficace, secondo i principi che governano una corretta prassi amministrativa.

1.4.

Infine, il CESE invita la Commissione ad avviare il debito coordinamento con gli Stati membri per l’attuazione delle misure di cui alla presente proposta e a estendere la portata delle azioni coordinate.

2.   Contesto

2.1.

Il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e della Commissione, del 27 ottobre 2004 (1), sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa che tutela i consumatori (in appresso CTC) è stato adottato con il parere favorevole del CESE (2).

2.2.

Il CTC armonizza il quadro di cooperazione tra le autorità nazionali competenti dello Spazio economico europeo, in modo che l’azione da parte delle autorità di tutela dei consumatori copra tutto l’ambito territoriale del mercato unico.

2.3.

L’ambito legislativo cui si applica il regolamento CTC è stabilito nell’allegato al regolamento stesso, allegato che viene aggiornato quando entra in vigore una nuova normativa. Attualmente comprende venti direttive e regolamenti nel settore dell’acquis dell’Unione in materia di diritto dei consumatori e commercializzazione di prodotti e servizi.

2.4.

Il regolamento mira a vegliare sul buon funzionamento dei mercati al dettaglio in tutta l’UE.

2.4.1.

Il regolamento CTC istituisce poteri minimi per le autorità nazionali competenti e consente loro di porre fine alle infrazioni transfrontaliere.

3.   Valutazione del regolamento CTC

3.1.

L’articolo 21 bis del regolamento (CE) n. 2006/2004 stabiliva che la Commissione presentasse una relazione per valutare l’efficacia e i meccanismi di funzionamento del regolamento stesso e per vagliare l’eventuale inclusione, nell’allegato, di ulteriori normative, relazione corredata, se del caso, di una proposta legislativa per la modifica del regolamento.

3.2.

In seguito alla realizzazione di una valutazione esterna (3) e di una consultazione pubblica, la Commissione ha pubblicato una relazione (4) in cui si segnalano i fattori che potrebbero compromettere l’efficacia del regolamento:

a)

le autorità responsabili dispongono di poteri minimi insufficienti per una cooperazione efficiente e rapida, soprattutto in ambiente digitale;

b)

scambio insufficiente di informazioni di mercato;

c)

limiti del meccanismo nel contrastare le infrazioni che interessano più paesi. Le amministrazioni nazionali devono spesso affrontare infrazioni simili commesse contemporaneamente sui loro mercati. Si dovrebbero coprire le «infrazioni diffuse» e le «infrazioni con una durata relativamente breve» ma che arrechino pregiudizio ai consumatori;

d)

la necessità di modificare l’allegato del regolamento al fine di estenderne il campo di applicazione, sulla base dei seguenti criteri:

i)

gli interessi collettivi dei consumatori;

ii)

rilevanza transfrontaliera;

iii)

dimensione relativa all’esecuzione della normativa da parte dei poteri pubblici e coerenza con la legislazione settoriale e orizzontale attualmente figurante nell’elenco dell’allegato;

e)

nessuna imposizione di ulteriori obblighi giuridici alle imprese.

3.3.

In breve, si propone di rafforzare i meccanismi di cooperazione per l’esecuzione del CTC e di applicare in modo efficiente il diritto dei consumatori per avere un mercato unico forte e dinamico.

4.   La proposta della Commissione

4.1.

L’obiettivo generale della proposta è quello di eliminare le distorsioni della concorrenza e gli ostacoli al mercato interno. La proposta intende preservare e aumentare l’efficacia e l’efficienza del sistema di esecuzione transfrontaliera della normativa che tutela i consumatori dell’Unione.

4.2.

Si aggiorna l’attuale regolamento CTC approfondendo il livello di armonizzazione, al fine di affrontare le questioni segnalate nella relazione di valutazione, rafforzando l’esecuzione transfrontaliera della normativa dell’Unione in materia di tutela dei consumatori nel mercato unico.

4.3.

La proposta è conforme al principio di sussidiarietà, dato che la tutela dei consumatori è una delle competenze condivise tra l’Unione e gli Stati membri. D’altro canto, la proposta, è conforme al principio di proporzionalità, in quanto prevede un insieme di poteri minimi comuni per tutte le autorità competenti degli Stati membri nel contesto del suo ambito di applicazione.

4.4.

Per quanto riguarda la cooperazione per fronteggiare le «infrazioni diffuse», tra gli altri strumenti, viene proposta una procedura comune a livello dell’Unione per contrastare le infrazioni pregiudizievoli più importanti che riguardano almeno 3/4 degli Stati membri, rappresentanti almeno i 3/4 della popolazione dell’Unione.

4.4.1.

Si propone che nei casi di «infrazioni diffuse» sia la Commissione a decidere di avviare la procedura comune, ricoprendo un ruolo obbligatorio di coordinamento nell’ambito della stessa. Anche gli Stati membri interessati dovranno obbligatoriamente partecipare a questa procedura comune.

4.5.

Nelle disposizioni introduttive della proposta si aggiornano le definizioni per tener conto dell’ampliamento dell’ambito di applicazione del regolamento alle «infrazioni diffuse» anche se «cessate».

4.6.

Si definiscono le modalità per designare le autorità competenti e gli uffici unici di collegamento, chiarendo i loro ruoli. Si definiscono inoltre i poteri investigativi ed esecutivi minimi, chiarendo quelli attuali e aggiungendone di nuovi, che le autorità competenti ritengono necessari per operare in un contesto transfrontaliero.

4.7.

È previsto anche un meccanismo di assistenza reciproca che, a sua volta, si compone di due strumenti:

richiesta di informazioni, che permette alle autorità competenti di ottenere informazioni e prove oltre frontiera, e

richiesta di misure di esecuzione, che permette a un’autorità competente di chiedere a un’altra autorità competente in un altro Stato membro di adottare misure di esecuzione.

4.8.

Per quanto riguarda le attività di sorveglianza coordinate, le attività d’indagine e il meccanismo di esecuzione per le «infrazioni diffuse», si prevedono strumenti quali le azioni coordinate, le azioni comuni contro le infrazioni più diffuse aventi una dimensione unionale e le indagini concordate dei mercati al consumo.

4.8.1.

Si istituisce un nuovo strumento per affrontare le infrazioni diffuse aventi dimensione unionale che possono danneggiare i consumatori in gran parte dell’Unione. La proposta fissa le soglie che stabiliscono quali presunte violazioni abbiano una dimensione unionale.

4.8.2.

Le soglie si basano su due criteri: il numero di paesi e la popolazione interessata e, se del caso, si avvia l’azione comune attraverso una decisione. L’obiettivo è quello di far cessare l’infrazione e garantire, ove necessario, la riparazione dei danni al consumatore attraverso gli impegni assunti dall’operatore responsabile dell’infrazione.

4.8.3.

La proposta prevede disposizioni comuni per le procedure relative ad azioni coordinate e comuni, come il diritto di essere ascoltati per gli operatori, il ruolo del coordinatore, l’assunzione delle decisioni e il regime linguistico. Inoltre, essa stabilisce una base giuridica per le indagini concordate dei mercati al consumo (indagini a tappeto).

4.9.

Infine, la proposta contempla altre attività a livello dell’Unione, come il coordinamento di altre attività che contribuiscono alla sorveglianza e all’esecuzione della normativa, gli scambi di funzionari fra le autorità competenti, lo scambio di informazioni sulla politica dei consumatori e la collaborazione internazionale.

4.9.1.

L’allegato della proposta, contiene l’elenco degli atti normativi che tutelano gli interessi dei consumatori e definisce il campo di applicazione del regolamento ratione materiae.

5.   Osservazioni generali

5.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione che implicherà una cooperazione rafforzata e migliorerà la certezza giuridica, sviluppando meccanismi moderni, efficienti e efficaci per ridurre i danni causati agli interessi collettivi dei consumatori e al mercato unico dalle infrazioni transfrontaliere.

5.2.

La proposta favorirà tutti gli operatori economici che subiscono la concorrenza sleale proveniente da operatori inadempienti che hanno sviluppato modelli commerciali che consentono loro di eludere la legislazione e che danneggiano i consumatori in altri Stati membri.

5.2.1.

Ciò consentirà di accrescere la tutela dei consumatori, la certezza giuridica delle imprese, un’esecuzione transfrontaliera più coerente e la parità di condizioni nel mercato unico, senza che ciò richieda l’imposizione di oneri sproporzionati alle imprese.

5.2.2.

In conseguenza di quanto precede, il CESE ricorda che, nell’esercitare i poteri minimi conferiti alle autorità competenti, si deve garantire un opportuno equilibrio tra gli interessi tutelati dai diritti fondamentali in questione, quali un livello elevato di tutela dei consumatori, da un lato e, dall’altro, la libertà d’impresa e la libertà di informazione. Il CESE insiste sull’importanza di rispettare durante il procedimento il diritto alla difesa, il diritto ad essere ascoltato e a scegliere la lingua che si vuole utilizzare.

5.3.

La proposta presenta non solo soluzioni a priori efficaci conformi all’importanza e all’ampiezza delle infrazioni diffuse, bensì include misure che promuovono l’effettiva tutela dei diritti dei consumatori e degli utenti e che possono rivelarsi utili per l’applicazione a casi che non sono oggetto della presente proposta.

5.4.

Per raggiungere lo scopo e la finalità della proposta è necessario che le autorità pubbliche dispongano dei poteri e dei mezzi per cooperare efficacemente e poter adottare le misure in esecuzione del regolamento. Il CESE è favorevole all’aumento dei poteri minimi di indagine e di esecuzione e degli strumenti previsto dalla proposta per le autorità pubbliche competenti, nel rispetto delle diverse tradizioni giuridiche esistenti negli Stati membri.

5.4.1.

Per l’efficace attuazione della normativa, è importante la possibilità di disporre la restituzione dei profitti illeciti ottenuti per mezzo delle infrazioni, possibilità cui il CESE aveva già dato il suo appoggio (5). Giustamente, la proposta stabilisce una distinzione tra i poteri minimi delle autorità competenti prevedendo la compensazione del consumatore e la restituzione dei profitti ottenuti a seguito dell’infrazione.

5.4.2.

Per quanto riguarda la pubblicità delle sanzioni, è importante che la proposta preveda questa possibilità come misura di risanamento del mercato al fine di rendere più trasparente il suo funzionamento e di dare contenuto concreto alla libertà di informazione (6).

5.5.

D’altra parte, la proposta non prende in esame provvedimenti proattivi che contribuiscano all’obiettivo che essa persegue, limitandosi a un approccio puramente di reazione a una situazione esistente, approccio il cui effetto coercitivo, in non poche occasioni, può non contrastare l’impatto delle infrazioni nella misura sperata specie se le procedure comuni, o la loro efficacia, hanno tempi lunghi.

5.6.

Inoltre, si dovrà riesaminare la futura applicazione del regolamento al fine di valutarne gli effetti sulla correzione del mercato, in quanto non sempre le azioni sanzionatorie si accompagnano a una rettifica sufficiente delle pratiche irregolari e alla reversibilità delle loro conseguenze, in particolare per quanto riguarda la loro reiterazione e recidiva.

5.7.

Forse un’impostazione più decisa della proposta verso l’eliminazione delle infrazioni diffuse potrebbe aumentare le possibilità di un risultato positivo, per il cui conseguimento spetta un ruolo preponderante alle percezioni e alle aspettative dei consumatori e degli utenti.

5.7.1.

Pertanto, la loro conoscenza e l’applicazione simultanea di misure proattive e reattive, ponendo in particolare l’accento sul valore dell’autoregolamentazione e della coregolamentazione nonché della corresponsabilità del consumatore, possono creare sinergie che portino a una maggiore efficienza ed efficacia della proposta.

5.8.

Il CESE accoglie con favore la possibilità di coinvolgere le organizzazioni della società civile prevista nella proposta, perché così si promuove la buona governance, la trasparenza e l’applicazione del principio di apertura nel funzionamento delle istituzioni dell’UE (7).

5.8.1.

Aprire il meccanismo di allerta alla partecipazione di altri soggetti è considerata la chiave per il raggiungimento degli obiettivi fissati per la responsabilità condivisa di tutti gli attori.

6.   Osservazioni specifiche

6.1.

Si sarebbe potuto tener conto nella proposta della possibilità di includere la specificazione di misure accessorie o alternative della sanzione pecuniaria vera e propria.

6.2.

Per quanto riguarda la cooperazione con le altre autorità pubbliche e gli organismi designati sarebbe opportuno stabilire criteri di coordinamento per garantire una trasversalità uniforme ai fini del rispetto ottimale delle disposizioni dell’articolo 6, per evitare divergenze o disfunzioni nella sua applicazione.

6.3.

Si ritiene inoltre molto positivo lo sviluppo dell’articolo 8, in quanto l’enumerazione esplicita dei poteri minimi d’intervento a disposizione delle autorità pubbliche, in attesa che siano determinate, potrà consentire uno spettro d’intervento più ampio di quello attualmente esistente.

6.4.

In ogni caso, è molto importante che gli Stati membri assicurino che le autorità competenti e gli uffici unici di collegamento abbiano le risorse di bilancio per l’efficace svolgimento dei loro compiti.

6.5.

Il CESE ritiene necessario garantire che lo sviluppo e l’esecuzione del meccanismo di assistenza reciproca e delle procedure amministrative si realizzino nel rispetto di principi come la trasparenza e la semplificazione amministrativa.

6.6.

Nel capitolo sulle attività di sorveglianza coordinata, sulle attività d’indagine e sul meccanismo di esecuzione per le infrazioni diffuse, sarebbe necessaria maggiore chiarezza, per contribuire ad una migliore comprensione e a un’assimilazione comoda e immediata del testo, data la molteplicità di forme e iter procedurali e la casistica che ne risulta. E lo stesso vale per le fasi di ciascuna procedura.

6.7.

Con riferimento all’articolo 24, non è chiaro se gli impegni assunti dall’operatore responsabile implichino, una volta che siano stati accettati dai consumatori, la decadenza di qualsiasi altra azione correttiva avviata o che potrebbe essere avviata successivamente, anche se dal contenuto dell’articolo 25 si evince che gli impegni e le sanzioni sono mutualmente esclusivi, il che potrebbe essere in contrasto con l’attuale legislazione degli Stati membri sul loro territorio.

6.7.1.

Inoltre non è chiaro se l’uso di formule incompatibili possa essere applicabile a tutti i casi che si presentino, dal momento che un’analisi delle circostanze specifiche può consigliare l’una o l’altra e con una gradazione diversa. Forse l’ambiguità può lasciare un margine per un’applicazione caso per caso, ma sempre con la premessa di evitare un trattamento non uniforme.

6.7.2.

Infine per le indagini concordate dei mercati al consumo sarebbe opportuno estendere l’azione investigativa a una prassi amministrativa di natura preventiva, in linea con quanto indicato in precedenza, poiché non solo si evita in tal modo l’emergere di situazioni di rischio di infrazioni diffuse, ma si impedirebbero anche le distorsioni temporali derivante dalle azioni svolte fino a quel momento, oltre a rendere possibile una reazione tempestiva.

6.8.

Va segnalata, ai fini dell’efficienza e dell’efficacia, la necessità di far funzionare in modo coordinato le attività di sorveglianza e i meccanismi di allerta nei sistemi già istituiti e collegarli in maniera diretta, cercando di armonizzare o standardizzare il loro funzionamento integrato.

6.9.

Nel capitolo VI si potrebbe includere un articolo che stabilisca la procedura per un’efficace comunicazione al pubblico nei casi in cui ciò sia richiesto, determinando i criteri d’applicazione e di sviluppo.

6.10.

Quanto alla base di dati e al sistema di scambio di informazioni sulle infrazioni, va fatta la stessa osservazione già formulata a proposito delle attività di sorveglianza sulla necessità di far funzionare in modo coordinato i meccanismi di sorveglianza e di allerta.

6.11.

Il CESE ritiene che il termine per la presentazione della relazione sull’applicazione della proposta sia troppo ampio e, data l’importanza degli obiettivi perseguiti, considera necessaria una sua riduzione ovvero un sistema di valutazione parziale continuata in modo da rilevare tempestivamente eventuali scostamenti in termini di funzionamento e avviare, ove appropriato, le azioni pertinenti per una revisione della proposta e della sua applicazione.

Bruxelles, 19 ottobre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  GU L 364 del 9.12.2004, pag. 1.

(2)  GU C 108 del 30.4.2004, pag. 86.

(3)  Relazione finale del Consumer Policy Evaluation Consortium, 17.12.2012.

(4)  COM(2016) 284 final del 25.5.2016.

(5)  GU C 175 del 28.7.2009, pag. 20 e GU C 162 del 25.6.2008, pag. 1.

(6)  GU C 248 del 25.8.2011, pag. 87 e GU C 218 del 23.7.2011, pag. 69.

(7)  GU C 11 del 15.1.2013, pag. 3.


2.2.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 34/106


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai servizi di consegna transfrontaliera dei pacchi»

[COM(2016) 285 final — 2016/0149 (COD)]

(2017/C 034/16)

Relatore:

Raymond HENCKS

Consultazione

Parlamento europeo, 09/06/2016

Consiglio dell’Unione europea, 21/06/2016

Base giuridica

Articolo 114 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

[COM(2016) 285 final — 2016/0149 (COD)]

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

04/10/2016

Adozione in sessione plenaria

19/10/2016

Sessione plenaria n.

520

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

212/0/8

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Diversi studi elaborati su incarico della Commissione hanno dimostrato che le tariffe per la consegna transfrontaliera dei pacchi, soprattutto per i privati e le PMI, superano talvolta di quasi cinque volte le tariffe di spedizione nazionali e che tali differenze non trovano giustificazione nei costi del lavoro o di altro tipo nel paese di destinazione. Di conseguenza, i consumatori e i piccoli rivenditori del commercio elettronico non possono sfruttare appieno le opportunità offerte dal mercato unico.

1.2.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) riconosce che un nuovo intervento da parte della Commissione è ormai indispensabile affinché tutti i rivenditori online e i consumatori, in particolare i privati e le PMI nelle aree più remote, possano finalmente beneficiare di servizi di consegna transfrontaliera dei pacchi che siano al tempo stesso accessibili, di elevata qualità e a prezzi abbordabili.

1.3.

La Commissione intende affrontare il problema delle tariffe eccessive attraverso il regolamento in esame, che tuttavia si applica solo ai fornitori del servizio universale che effettuano servizi di consegna dei pacchi.

1.4.

Il CESE teme che le misure previste dal regolamento, in particolare l’introduzione della trasparenza delle tariffe e delle quote-parti terminali, la pubblicazione di un’offerta di riferimento, nonché una valutazione dell’accessibilità economica delle tariffe — tutte misure indubbiamente necessarie — rischino, in assenza di ulteriori interventi, di essere insufficienti e di non indurre affatto i servizi interessati di consegna transfrontaliera dei pacchi a praticare tariffe ragionevoli.

1.5.

Il CESE deplora che la Commissione abbia scelto di rinviare l’adozione di eventuali misure più vincolanti alla fine del 2018, in attesa di vedere se, nel frattempo, la situazione evolverà in senso positivo. La Commissione, tuttavia, non fornisce alcuna indicazione su quali sarebbero le sue intenzioni future se il previsto miglioramento non avesse luogo.

1.6.

Il CESE chiede che la Commissione, come ha già fatto per quanto riguarda le tariffe di roaming nella telefonia mobile, rivolga — come minimo — un ultimo appello risoluto a tutti i servizi di consegna transfrontaliera dei pacchi affinché riducano le tariffe, e che annunci sin d’ora che, in caso contrario, essa interverrà adottando una regolamentazione e fissando un massimale delle tariffe.

1.7.

Per quanto riguarda la valutazione dell’accessibilità economica, già da anni il CESE chiede chiarimenti sul concetto di «accessibilità economica dei servizi di interesse economico generale» e l’adozione di provvedimenti legislativi che impongano agli Stati membri di definire degli indicatori per determinare tale «accessibilità economica». Esso ritiene pertanto che le disposizioni del regolamento in esame costituiscano un primo passo nella giusta direzione, fermo restando che una tale valutazione dovrà, se necessario, essere seguita dalle misure appropriate.

2.   I servizi di consegna nel quadro del commercio elettronico

2.1.

Uno dei fattori essenziali per la crescita del commercio elettronico è la consegna materiale dei prodotti ordinati online. Nell’Unione europea il commercio elettronico si sviluppa assai più lentamente a livello transfrontaliero che non all’interno dei singoli Stati membri. Nel 2014, ad esempio, e in misura molto diversa nei vari Stati membri, solo il 15 % dei consumatori aveva effettuato acquisti online in altri paesi dell’Unione, a fronte di una percentuale del 44 % che aveva realizzato acquisti online nel proprio paese.

2.2.

Le tariffe, la qualità e le procedure di consegna materiale dei prodotti ordinati online, come pure le condizioni dell’eventuale restituzione del pacco al mittente, sono altrettanti fattori che, insieme ad altri, influiscono sulla decisione del consumatore di effettuare ordini online. La soddisfazione di chi acquista online dipende quindi, in parte, dall’esperienza relativa alla consegna dei prodotti ordinati. Poter disporre di soluzioni di consegna efficienti e a costi accessibili è particolarmente importante per le PMI, le microimprese e i consumatori privati stabiliti nelle aree isolate o periferiche.

2.3.

Il servizio di consegna pacchi di un peso massimo di 31,5 kg è in piena espansione in numerosi Stati membri. Molti operatori hanno messo a punto soluzioni capaci di rispondere meglio alle aspettative dei clienti, grazie in particolare a tutta una serie di servizi accessori quali: invio ordinario o consegna differita, invio espresso o consegna in giornata, tracciatura dell’invio, prova dell’avvenuta consegna, scelta del luogo di consegna, punti di ritiro, «paccoteche» (armadietti automatizzati con codice per il ritiro del pacco), invio raccomandato, valore dichiarato ecc. Invece, le spedizioni postali di peso inferiore a 2 kg, che secondo le stime rappresentano l’80 % degli invii prodotti dal commercio elettronico, sono spesso considerati come «pacchetti» e rientrano quindi a pieno titolo nella «corrispondenza».

2.4.

La consegna dei pacchi fino a 10 kg, che può arrivare a 20 kg, forma oggetto di un obbligo di servizio universale che impone agli Stati membri di assicurare, sul piano sia nazionale che internazionale, un servizio di base in tutti i punti del territorio e a prezzi accessibili a tutti gli utenti.

2.5.

Il mercato del commercio elettronico è estremamente divergente: esso, infatti, è spesso dominato da alcuni grandi rivenditori online che producono quotidianamente enormi quantità di pacchi e che, pertanto, sono in posizione di netto vantaggio per contrattare le tariffe e le condizioni di invio con gli operatori dei servizi di consegna dei pacchi, sui quali esercitano delle pressioni affinché concedano loro tariffe «negoziate» molto vantaggiose e condizioni di consegna ben precise. Spesso questi rivenditori online si fanno carico delle spese di consegna dei pacchi, anche nel caso di consegne transfrontaliere. Solo pochi grandi distributori di pacchi possono essere concorrenziali su questo mercato «negoziato», sia nazionale che transfrontaliero: per quest’ultimo settore, oltretutto, è necessario avere accesso ad una rete di distribuzione internazionale.

2.6.

Attualmente, tuttavia, queste opportunità non sono disponibili né per gli acquisti online transfrontalieri di modesta entità od occasionali né per i mittenti individuali, comprese numerose PMI; i servizi di consegna non beneficiano di tariffe negoziate e hanno accesso a reti di distribuzione internazionali soltanto dietro pagamento di prezzi talmente alti che, in definitiva, il consumatore finale deve spesso pagare prezzi di consegna eccessivi. In questi casi le tariffe per la consegna transfrontaliera possono essere da tre a cinque volte superiori a quelle applicate agli invii nazionali (1), benché tali differenze non trovino giustificazione nei costi del lavoro o in altri tipi di costi nel paese di destinazione. Esempi di prezzi eccessivi e differenze sostanziali nelle relazioni bidirezionali tra diversi Stati membri sono documentati nella valutazione d’impatto (SWD(2016) 166 final) della Commissione.

2.7.

La Commissione europea si occupa da diversi anni di questa tematica e ha elaborato una serie di comunicazioni in proposito:

COM(2011) 942 final: Un quadro coerente per rafforzare la fiducia nel mercato unico digitale del commercio elettronico e dei servizi online;

COM(2012) 698 final: Libro verde — Un mercato integrato della consegna dei pacchi per la crescita del commercio elettronico nell’UE;

COM(2013) 886 final: Una tabella di marcia per il completamento del mercato unico della consegna dei pacchi — Instaurare un clima di fiducia e incoraggiare le vendite online;

COM(2015)192 final: Strategia per il mercato unico digitale in Europa.

2.8.

La Commissione intendeva così mettere a punto delle soluzioni capaci di rispondere meglio alle aspettative dei consumatori.

2.9.

Avendo raggiunto solo in parte gli obiettivi che si era prefissa con queste iniziative, la Commissione si è vista costretta ad emanare il regolamento in esame, corredato di un documento di accompagnamento (SWD(2016) 167 final), di un allegato (COM(2016) 285 final) e di una valutazione d’impatto di ben 289 pagine (SWD(2016) 166 final).

3.   Contenuto della proposta di regolamento

3.1.

Rendere più efficienti i servizi di consegna transfrontaliera dei pacchi è una delle misure previste dalla Strategia per il mercato unico digitale in Europa al fine di promuovere l’accesso di consumatori e imprese ai beni e ai servizi digitali in tutta l’Unione europea.

3.2.

Le misure proposte nel documento in esame sono:

il miglioramento del funzionamento dei mercati a) rafforzando l’efficacia e la coerenza della sorveglianza regolamentare del mercato della consegna dei pacchi e b) stimolando la concorrenza nel settore dei servizi di consegna transfrontaliera dei pacchi;

una maggiore trasparenza delle tariffe e delle quote-parti terminali al fine di a) ridurre le differenze tariffarie ingiustificate e b) ridurre le tariffe applicate ai privati e alle piccole imprese, soprattutto nelle aree più remote;

la valutazione, da parte delle autorità nazionali di regolamentazione, dell’accessibilità economica delle tariffe dei servizi di consegna;

l’accesso trasparente e non discriminatorio ai servizi e alle infrastrutture necessari per la fornitura di servizi di consegna transfrontaliera dei pacchi.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Dato che le varie iniziative della Commissione, tra cui il Libro verde del 2012 Un mercato integrato della consegna dei pacchi per la crescita del commercio elettronico nell’UE e la tabella di marcia del 2013 per il completamento del mercato unico della consegna dei pacchi — Instaurare un clima di fiducia e incoraggiare le vendite online  (2), hanno ottenuto soltanto risultati molto modesti per quanto riguarda le tariffe transfrontaliere, è ormai indispensabile un ulteriore intervento da parte della Commissione affinché tutti i rivenditori online e i consumatori, in particolare i privati e le PMI nelle aree più remote, possano finalmente beneficiare di servizi di consegna transfrontaliera dei pacchi che siano al tempo stesso accessibili, di elevata qualità e a prezzi abbordabili.

4.2.

Secondo uno studio dell’Università Saint-Louis di Bruxelles, le tariffe pubbliche per la consegna transfrontaliera di pacchi applicate dai fornitori del servizio universale ai privati e alle piccole imprese sono superiori di quasi cinque volte a quelle degli invii nazionali, mentre lo studio di Copenhagen Economics ha evidenziato che i prezzi praticati dagli altri operatori sono da tre a cinque volte superiori alle tariffe degli invii nazionali, senza che tali differenze trovino giustificazione nei costi del lavoro o in altri tipi di costi nel paese di destinazione.

4.3.

Il CESE constata quindi che, a prescindere dal servizio di consegna dei pacchi, i prezzi praticati ai privati e alle piccole imprese sono eccessivi. La Commissione intende affrontare questo problema affidando all’autorità nazionale di regolamentazione il compito di valutare l’accessibilità economica delle tariffe per le consegne transfrontaliere.

4.4.

Il CESE approva la scelta della Commissione di ricorrere ad un regolamento per non perdere altro tempo, ma teme che le misure previste si rivelino poco efficaci. Limitandosi a prevedere una maggiore trasparenza delle tariffe e delle quote-parti terminali, la pubblicazione di un’offerta di riferimento, nonché una valutazione dell’accessibilità economica delle tariffe — tutte misure indubbiamente necessarie — si rischia tuttavia, in assenza di ulteriori interventi, di non indurre affatto i fornitori dei servizi di consegna dei pacchi interessati a praticare tariffe ragionevoli.

4.5.

Il CESE si rammarica che la Commissione abbia scelto di rinviare l’adozione di eventuali misure più vincolanti alla fine del 2018, in attesa di una relazione di valutazione sull’applicazione del regolamento in esame. In tale relazione, la Commissione intende valutare se l’accessibilità economica dei servizi di consegna transfrontaliera dei pacchi sia migliorata e se l’accesso transfrontaliero all’ingrosso venga concesso in modo trasparente e non discriminatorio dai fornitori del servizio universale che effettuano servizi di consegna dei pacchi. La Commissione non fornisce tuttavia alcuna indicazione su quali sarebbero le sue intenzioni future se il previsto miglioramento e l’accesso non discriminatorio di cui sopra non si realizzassero.

4.6.

Il CESE avrebbe preferito che la Commissione, come ha già fatto per quanto riguarda le tariffe di roaming nella telefonia mobile, avesse rivolto, come minimo, un ultimo appello risoluto a tutti i servizi di consegna transfrontaliera dei pacchi affinché riducessero i prezzi, e che avesse annunciato sin d’ora che, in caso contrario, essa sarebbe intervenuta adottando una regolamentazione e un massimale dei prezzi.

4.7.

Inoltre, le misure previste dalla proposta di regolamento per quanto riguarda la trasparenza delle tariffe e delle quote-parti terminali, la pubblicazione di un’offerta di riferimento, la valutazione dell’accessibilità economica delle tariffe e l’accesso transfrontaliero trasparente e non discriminatorio si applicano soltanto ai fornitori del servizio universale che prestano servizi di consegna dei pacchi.

4.8.

Tuttavia, nel mercato complessivo della consegna dei pacchi, la quota dei fornitori del servizio universale è compresa tra il 10 % (Bulgaria, Spagna, Regno Unito, Italia) e il 25 % (Repubblica ceca, Danimarca, Francia, Estonia), mentre solo una quota modesta (5-10 %) di questi invii di pacchi rientra negli obblighi di servizio universale. Pertanto, la proposta di regolamento in esame riguarda solo una quota marginale di questo mercato che, tuttavia, è assolutamente necessaria per i consumatori e le PMI nelle aree più remote, i quali non dispongono di soluzioni alternative.

4.9.

Per quanto riguarda la valutazione dell’accessibilità economica, già da anni il CESE chiede chiarimenti sul concetto di «accessibilità economica dei servizi di interesse economico generale» e l’adozione di provvedimenti legislativi che impongano agli Stati membri di definire degli indicatori per determinare tale «accessibilità economica» (3). Esso ritiene pertanto che le disposizioni del regolamento in esame costituiscano un primo passo nella giusta direzione, fermo restando che una tale valutazione dovrà, se necessario, essere seguita dalle misure appropriate.

4.10.

Tuttavia, la valutazione da parte dell’autorità nazionale di regolamentazione prevista dal regolamento sarà limitata alle sole tariffe delle categorie di invii postali menzionate nell’elenco pubblico delle tariffe transfrontaliere previsto dall’allegato del regolamento, vale a dire i pacchi da 0,5, 1, 2 o 5 kg (con o senza servizio di tracciatura = tracking and tracing). Il CESE ritiene che tale valutazione dovrebbe essere estesa ai pacchi da 10, 15 e 20 kg, sempre nell’ottica di un’eventuale futura regolamentazione delle tariffe delle consegne transfrontaliere dei pacchi.

Bruxelles, 19 ottobre 2016

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Studio commissionato dalla Commissione europea a Copenhagen Economics, E-commerce and delivery («Commercio elettronico e servizi di consegna»), 2013; Libro verde — Un mercato integrato della consegna dei pacchi per la crescita del commercio elettronico nell’UE (COM(2012) 698 final).

(2)  GU C 451 del 16.12.2014, pag. 51.

(3)  GU C 177 dell'11.6.2014, pag. 24.


2.2.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 34/110


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Relazione sulla politica di concorrenza 2015»

[COM(2016) 393 final — SWD(2016) 198 final]

(2017/C 034/17)

Relatore:

Juan MENDOZA CASTRO

Consultazione

Commissione europea, 17/08/2016

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

[COM(2016) 393 final — SWD(2016) 198 final]

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

04/10/2016

Adozione in sessione plenaria

19/10/2016

Sessione plenaria n.

520

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

211/1/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE dà una valutazione positiva della relazione 2015, in considerazione del fatto che per l’economia sociale di mercato dell’UE è fondamentale una politica di concorrenza che garantisca condizioni di parità in tutti i settori.

1.2.

Le importazioni basate su una concorrenza sleale costituiscono un pericolo per le imprese europee. Le misure antidumping sono essenziali per salvare posti di lavoro e tutelare i settori economici interessati.

1.3.

Il CESE condivide le preoccupazioni delle PMI, dei sindacati e delle associazioni imprenditoriali dell’UE in riferimento alla possibile concessione alla Cina dello status di economia di mercato.

1.4.

Le PMI, essenziali per la ripresa economica, sono più vulnerabili agli abusi di posizione dominante.

1.5.

Il controllo degli aiuti di Stato consente un uso più efficiente delle risorse e migliora la situazione delle finanze pubbliche. Tuttavia tali aiuti possono essere fondamentali per garantire la fornitura di servizi di interesse economico generale.

1.6.

Ai fini di una visibilità e di una trasparenza maggiori, il CESE raccomanda di migliorare le informazioni sugli aiuti di Stato concessi.

1.7.

Un numero ristretto di imprese di paesi terzi che operano su scala mondiale controlla l’innovazione digitale ed è essenziale per l’Europa conservare la sua posizione di primo piano grazie al suo mercato unico digitale.

1.8.

La grande sfida per la politica europea di concorrenza in un settore dominato da colossi della tecnologia consiste nel garantire ai consumatori l’accesso ai migliori prodotti e ai prezzi migliori e nel fare in modo che tutte le imprese, grandi e piccole, possano competere in un mercato aperto e in base al merito dei loro prodotti. Il CESE ritiene che gli interventi dell’UE siano generalmente equilibrati e conformi alla normativa, nonostante alcune critiche che le vengono rivolte.

1.9.

L’Unione europea dell’energia ha conseguito importanti risultati in termini di sicurezza dell’approvvigionamento (cosa che rappresenta un successo strategico), di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, di promozione delle energie rinnovabili e di aumento della scelta per i consumatori. Tuttavia, si trova di fronte a grandi sfide legate ai costi dell’energia, a una maggiore interconnessione delle reti e all’assunzione di un ruolo guida nell’attuazione dell’accordo di Parigi.

1.10.

Nel settore dell’energia, il controllo delle concentrazioni deve conciliarsi con la previsione di fusioni e acquisizioni volte a ridurre i costi di produzione, che daranno luogo a una diminuzione del numero di imprese.

1.11.

Il regolamento n. 1/2003 ha rafforzato le autorità nazionali della concorrenza e ha contribuito a consolidare il prestigio internazionale della politica di concorrenza dell’UE. Il coordinamento delle autorità nazionali della concorrenza tra loro e con la Commissione rende più efficaci gli interventi in caso di operazioni transfrontaliere.

1.12.

In relazione con la crisi finanziaria, il CESE ribadisce che si deve ridurre l’esposizione dei contribuenti ai costi di salvataggio delle banche.

1.13.

Il CESE auspica che le disposizioni dell’UE sulle commissioni interbancarie per le carte di debito e di credito si applichino indipendentemente dal paese in cui ha sede l’emittente e che non sia impedito alle banche di offrire commissioni interbancarie più basse ai dettaglianti stabiliti in un altro paese dello Spazio economico europeo.

1.14.

Il CESE desidera sottolineare la necessità che la Commissione continui a lavorare per promuovere la concorrenza, riducendo le distorsioni fiscali derivanti dalle divergenze tra i 28 sistemi fiscali.

1.15.

La generalizzazione dei sistemi di concorrenza dovuta alla globalizzazione richiede la cooperazione internazionale. In considerazione delle esigenze crescenti e della partecipazione a vari consessi (Unctad, OCSE, rete internazionale della concorrenza), il CESE osserva che l’UE deve disporre di risorse adeguate affinché la voce dell’UE, attualmente ascoltata e rispettata, continui a farsi sentire.

2.   La relazione sulla concorrenza 2015

2.1.

La Commissione afferma che «Una politica di concorrenza dell’UE forte ed efficace è sempre stata una delle fondamenta del progetto europeo».

2.2.

La trattazione degli aspetti basilari della relazione è articolata in tre capitoli:

La politica di concorrenza stimola l’innovazione e gli investimenti in tutta l’UE,

Cogliere le opportunità del mercato unico digitale,

Costruire un’Unione europea dell’energia integrata e rispettosa del clima.

2.3.

La Commissione riferisce in merito alle sue azioni specifiche in questi settori, sottolineando che nell’applicazione delle norme si è orientata ai seguenti principi guida: salvaguardare l’imparzialità, far rispettare lo stato di diritto e servire l’interesse comune europeo.

2.4.

Negli ultimi venticinque anni, il numero di regimi di concorrenza in tutto il mondo è aumentato enormemente da circa 20 all’inizio degli anni ‘90 a circa 130 nel 2015, che coprono l’85 % della popolazione mondiale.

3.   Osservazioni generali

3.1.    La politica di concorrenza dell’UE

3.1.1.

Il CESE giudica favorevolmente la relazione 2015, riguardante settori chiave per lo sviluppo economico e il benessere dei cittadini dell’UE.

3.1.2.

Una politica di concorrenza basata sulla parità di condizioni in tutti i settori costituisce un fondamento dell’economia sociale di mercato in Europa, nonché uno strumento essenziale per garantire il corretto funzionamento di un mercato interno dinamico, efficiente, sostenibile e innovativo e per stimolare la crescita economica, la creazione di posti di lavoro e la competitività a livello mondiale.

3.1.3.

La politica di concorrenza non deve impedire che emergano campioni industriali nell’economia europea. Per essere efficace e credibile, tale politica non deve orientarsi esclusivamente alla riduzione dei prezzi al consumo, ma anche incoraggiare lo sviluppo e la competitività delle imprese europee sui mercati mondiali.

3.1.4.

Una base industriale forte è vitale per la prosperità e la crescita. Alla luce delle minacce che la concorrenza sleale comporta per le imprese europee, il CESE ricorda che le misure antidumping tutelano decine di migliaia di posti di lavoro, diretti e indiretti, e proteggono i settori economici da politiche di importazione sleali.

3.1.5.

Costituiscono concorrenza sleale le importazioni che configurano azioni di dumping, le quali mettono a repentaglio migliaia di posti di lavoro nell’UE. Il CESE ritiene difficile asserire che la Cina operi in condizioni di mercato, dato che infrange quattro dei cinque criteri derivanti dalla prassi della Commissione e dal regolamento (CE) n. 1225/2009 (1).

3.1.6.

I fondi strutturali dell’UE non devono essere utilizzati per sostenere direttamente o indirettamente la delocalizzazione di servizi o della produzione verso altri Stati membri.

3.1.7.

Le PMI costituiscono la base per la ripresa economica in Europa, ma, per le loro dimensioni, sono anche le imprese più vulnerabili agli abusi di posizione dominante, che in molti casi le condannano alla sparizione. Ciò deve essere oggetto di particolare attenzione nella politica di concorrenza, specie per quanto riguarda le pratiche dei grandi gruppi aziendali.

3.1.8.

Il CESE sottolinea ancora una volta la mancanza di un vero e proprio meccanismo giuridico per le azioni collettive che dia realizzazione concreta ai diritti al risarcimento del danno per le vittime di abuso di posizione dominante e ribadisce la sua posizione secondo cui la direttiva 2014/104/UE del 26 novembre 2014 e la raccomandazione relativa a principi comuni per i meccanismi di ricorso collettivo nel quadro delle violazioni delle norme sulla concorrenza non sono tali da fornire la necessaria tutela collettiva dei diritti delle vittime di tali violazioni.

3.2.    Gli aiuti di Stato

3.2.1.

La modernizzazione degli aiuti di Stato permette all’UE di usare in modo più efficiente le risorse e di migliorare la qualità delle finanze pubbliche. Essa contribuisce, inoltre, a fare in modo che gli Stati membri possano conformarsi alla strategia Europa 2020 per la crescita e provvedere al risanamento di bilancio.

3.2.2.

Gli aiuti di Stato possono tuttavia risultare indispensabili per garantire la fornitura di servizi di interesse economico generale, fra cui l’energia, i trasporti e le telecomunicazioni. Inoltre essi sono spesso lo strumento politico più efficace per assicurare l’erogazione di servizi fondamentali per il mantenimento delle condizioni economiche e sociali in regioni isolate, remote o periferiche e nelle regioni insulari dell’Unione.

3.2.3.

Il CESE considera necessario mantenere la coerenza tra la politica di concorrenza e le altre politiche dell’UE, in particolare nel caso degli investimenti rivolti a promuovere l’innovazione e la ricerca, come quelli destinati alle attività di ricerca, sviluppo e innovazione, al finanziamento del rischio e all’estensione della banda larga.

3.2.4.

I cittadini dell’Unione europea non si ritengono abbastanza informati sul complesso sistema di aiuti di Stato, e sottolineano la difficoltà di accesso alle informazioni sulle imprese che ne beneficiano (2). Ai fini di una divulgazione e di una trasparenza maggiori, il CESE raccomanda agli Stati membri di pubblicare in ogni caso i destinatari, gli importi e gli obiettivi dell’aiuto.

3.3.    Concorrenza nel mercato unico digitale

3.3.1.

Il mercato unico digitale è una strategia chiave dell’UE per affrontare la frammentazione di vari mercati nazionali e fonderli in un approccio europeo (3). Un numero ristretto di imprese di paesi terzi che operano su scala mondiale controlla l’innovazione digitale ed è essenziale per l’Europa conservare la sua posizione di primo piano grazie al suo mercato unico digitale.

3.3.2.

La grande sfida per la politica europea di concorrenza in un settore dominato da colossi della tecnologia consiste nel garantire ai consumatori l’accesso ai migliori prodotti ai prezzi migliori e nel fare in modo che tutte le imprese, grandi e piccole, possano competere in un mercato aperto e in base al merito dei loro prodotti.

3.3.3.

Casi sui quali sta indagando la Commissione:

Servizi di ricerca su Internet. La Commissione, in una comunicazione degli addebiti, sostiene che Google favorisce sistematicamente i propri prodotti per la comparazione dei prezzi. Si indaga inoltre su altre tre riserve che sono state avanzate.

Libri elettronici. Amazon impone clausole che possono aggirare la concorrenza, limitando ad esempio il diritto di informazione in merito a condizioni più favorevoli o ad alternative offerte dai suoi concorrenti.

Prestazione transfrontaliera di servizi di televisione a pagamento nel Regno Unito e in Irlanda. Gli accordi di licenza conclusi tra la Sky UK e sei grandi studi cinematografici statunitensi impongono a Sky UK di bloccare l’accesso al di fuori del territorio coperto dalla licenza.

Dispositivi mobili quali smart phone e tablet. Tra le altre pratiche, Android impone ai produttori di preinstallare Google Search e il navigatore web Google Chrome, e li obbliga a impostare Google Search come motore di ricerca predefinito nei loro dispositivi, come condizione per la concessione di licenze per alcune applicazioni esclusive di Google.

Chipset in banda base utilizzati nei dispositivi elettronici. È in corso un’indagine per accertare se il primo produttore mondiale, Qualcomm, abbia offerto incentivi finanziari a un importante costruttore di smartphone e tablet per indurlo a utilizzare esclusivamente i suoi prodotti.

3.3.4.

In linea generale si tratta di possibili pratiche monopolistiche e di abusi di posizione dominante. La complessità tecnica e l’elevato impatto dei casi esaminati sollevano delle critiche, tra cui quella che l’UE avrebbe dichiarato guerra alla Silicon Valley. Il CESE non condivide tali critiche e sostiene l’azione della Commissione, che ritiene equilibrata e conforme alla normativa.

3.3.5.

Google, che nel 2015 ha fatturato 74,5 miliardi di dollari, ha una posizione dominante nello spazio economico europeo, con una quota di oltre il 90 % nei mercati dei servizi di ricerca generale su Internet, dei sistemi operativi con licenza per smartphone, e degli app store per il sistema operativo mobile Android. È stato sostenuto che l’indagine della Commissione compromette le possibilità dell’UE di divenire un centro di idee innovative, e che alcuni argomenti tecnici utilizzati sono erronei. Nondimeno i servizi tecnici della commissione federale per il commercio degli Stati Uniti hanno concluso nel 2012 che Google, la quale controlla i due terzi del mercato nordamericano, utilizzava tattiche anticoncorrenziali ed era responsabile di abuso di posizione dominante, con pregiudizio degli utenti e dei concorrenti (4). Un’indagine svolta in tale paese è giunta alle stesse conclusioni (5).

3.4.    Un’Unione europea dell’energia rispettosa del clima

3.4.1.

L’Unione europea dell’energia presenta importanti risultati:

Sicurezza di approvvigionamento: l’UE ha conseguito un successo strategico ed è ora molto meglio preparata per affrontare una crisi come quella del 2009. La dipendenza dell’Europa dal gas russo si è ridotta a un terzo e sono state molto migliorate le infrastrutture per la circolazione interna di gas, le possibilità di approvvigionamento esterno e le capacità di stoccaggio.

Gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e di aumento del ricorso alle rinnovabili (20-20-20 entro il 2020) saranno raggiunti prima del previsto, e quelli in materia di efficienza energetica sembrano ormai pressoché conseguiti, anche se in parte per effetto della crisi economica.

I mercati sono stati aperti e le possibilità di scelta dei consumatori sono aumentate.

3.4.2.

Tuttavia, il CESE, che ha manifestato il suo appoggio alla strategia quadro del 2015 (6), deve sottolineare in particolare le grandi sfide che l’UE avrà di fronte nei prossimi anni:

ridurre il costo dell’energia, tuttora molto elevato per i consumatori europei, in considerazione delle conseguenze sociali (rischio di povertà energetica), economiche (le PMI ne risentono fortemente) e di competitività esterna delle imprese (l’energia è molto più a buon mercato in altri mercati, tra cui gli Stati Uniti);

migliorare l’integrazione del mercato, aumentando l’interconnessione delle reti;

assumere un ruolo guida nell’attuazione degli obiettivi della conferenza COP 21 di Parigi, per realizzare con successo il cambiamento decisivo che implica il passaggio graduale e redditizio a un’economia a basso tenore di carbonio.

3.4.3.

Il CESE sostiene la Commissione per quanto riguarda la ferma applicazione delle norme antitrust, che sono fondamentali per rispondere ai comportamenti abusivi degli operatori in posizione dominante sul mercato. Va sottolineato l’accordo giuridicamente vincolante raggiunto dalla Commissione con la società energetica bulgara Bulgarian Energy Holding.

3.4.4.

Nel 2012 il settore energetico ha ricevuto sovvenzioni per 122 miliardi di euro (UE-28) (7). Senza tale sostegno il prezzo, già elevato, dell’energia per i consumatori sarebbe insostenibile. Nell’applicare le politiche in materia di aiuti di Stato (8) la Commissione dovrebbe considerare che alcuni tipi di energie rinnovabili (principali beneficiarie degli aiuti con 44 miliardi di euro), hanno costi di produzione elevati, cosa che rende impossibile ai fornitori essere competitivi sul mercato.

3.4.5.

Il CESE osserva che la Commissione ha approvato l’acquisizione delle divisioni energetiche di Alstom da parte della statunitense General Electric (9).

3.4.6.

La Commissione afferma che «il controllo delle concentrazioni […] ha continuato a essere uno strumento efficace per mantenere aperto il mercato dell’energia dell’UE». Ciò dev’essere reso compatibile con il fatto che i bassi prezzi del petrolio possono rendere inevitabili fusioni di imprese volte a ridurre i costi di produzione. Secondo alcune stime il numero di imprese produttrici di petrolio e di gas si ridurrà di un terzo.

4.   Rafforzamento del mercato unico dell’UE

4.1.    Fiscalità

4.1.1.

Il CESE condivide il giudizio secondo cui la trasparenza e l’equa distribuzione del carico fiscale sono essenziali per il mercato unico. L’evasione, l’elusione e i paradisi fiscali comportano un costo elevato per i contribuenti europei, oltre a distorcere la concorrenza. Si stima che ogni anno, a causa dell’evasione fiscale, l’UE perda una cifra compresa tra 50 e 70 miliardi di euro di entrate fiscali, equivalente a un po’ più del 16 % degli investimenti pubblici nell’UE. Tale danno aumenta considerevolmente (10) se si aggiunge la perdita di gettito derivante da pratiche di ingegneria fiscale legali, o presunte tali.

4.1.2.

Il piano d’azione per l’applicazione di una imposta sulle società equa ed efficace è un passo importante per ridurre la pianificazione fiscale aggressiva, un fenomeno che erode le basi imponibili degli Stati membri e favorisce la concorrenza sleale (11).

4.1.3.

Il CESE desidera sottolineare la necessità che la Commissione continui a lavorare per promuovere la concorrenza, riducendo le distorsioni fiscali derivanti dalle divergenze tra i 28 sistemi fiscali. Il complesso sistema di prezzi di trasferimento attualmente in vigore per le operazione all’interno dei gruppi è particolarmente costoso e oneroso per le imprese che operano all’interno dell’UE, conduce a controversie tra le amministrazioni degli Stati membri e dà luogo alla doppia imposizione delle società. È opportuno introdurre una base imponibile consolidata comune (CCCTB) per le imprese con attività transfrontaliere.

4.1.4.

La Commissione sta indagando sugli accordi fiscali tra alcuni Stati membri e grandi multinazionali: Lussemburgo (Fiat, Starbucks, McDonald’s, Amazon); Paesi Bassi (Starbucks). Nel caso di Apple, la Commissione ritiene che il trattamento fiscale di cui ha beneficiato tale impresa le abbia permesso di evitare l’imposizione fiscale su praticamente tutte le vendite effettuate nello Spazio economico europeo, e che pertanto essa debba restituire all’Irlanda una somma stimata in 13 miliardi di euro. Senza pregiudizio della decisione definitiva che sarà adottata, il CESE esprime il proprio sostegno per la Commissione in relazione alle inchieste su accordi fiscali potenzialmente dannosi per la concorrenza.

4.2.    Autorità nazionali della concorrenza

4.2.1.

Il regolamento n. 1/2003 (12) ha rafforzato le autorità nazionali della concorrenza e ha contribuito al prestigio internazionale della politica di concorrenza dell’UE. La Commissione ha condotto una consultazione pubblica sul rafforzamento delle autorità nazionali della concorrenza, che sono competenti attualmente per il maggior numero di casi. Il coordinamento delle autorità nazionali della concorrenza tra loro e con la Commissione rende più efficaci gli interventi in caso di operazioni transfrontaliere.

4.3.    Pagamenti tramite carta

4.3.1.

Anche se i vari sistemi di pagamento elettronico sono ormai diffusi, nel complesso, i consumatori pagano l’85 % dei loro acquisti in contanti. Nell’UE, la situazione è simile in diversi Stati membri, anche se nei paesi scandinavi tali pagamenti ammontano solo al 10 %. In ogni caso, i pagamenti tramite carta costituiscono un elemento essenziale per il funzionamento degli scambi e sono estremamente importanti per i consumatori. Il regolamento n. 2015/751 fissa dei limiti alle commissioni interbancarie (13).

4.3.2.

La comunicazione degli addebiti nei confronti di MasterCard si basa sul fatto che viene impedito alle banche di offrire commissioni interbancarie più basse ai dettaglianti situati in un altro paese dello Spazio economico europeo, e che per le carte emesse in altre parti del mondo vengono applicate commissioni interbancarie più elevate. Le organizzazioni europee dei consumatori hanno ripetutamente denunciato pratiche abusive di società che emettono carte di pagamento, come Visa e MasterCard, favorite dalla loro posizione dominante sul mercato. Il CESE esprime l’auspicio che l’esito delle indagini conduca alla rimozione di tale ostacolo e che i limiti delle commissioni interbancarie stabiliti nell’UE siano applicati a prescindere dal paese di emissione della carta di pagamento.

4.4.    Aiuti di Stato alle banche

4.4.1.

La Commissione riferisce in merito agli aiuti di Stato approvati, che sono stati concessi a istituti bancari di vari paesi. Finora la crisi ha avuto un costo elevato per i contribuenti europei. Per evitare un tracollo del sistema bancario i governi sono intervenuti per salvare le loro banche con aiuti urgenti di un’entità che non ha precedenti. Nell’area dell’euro, tra il 2008 e il 2014, il sostegno pubblico agli istituti finanziari è ammontato all’8 % del PIL, mentre la quota recuperata ammonta al 3,3 % (14).

4.4.2.

Oltre ai costi elevati per le finanze pubbliche, i salvataggi di banche, la cui risoluzione dovrebbe avvenire conformemente alle norme in vigore dal 1o gennaio 2015 (15), possono comportare distorsioni della concorrenza.

Il CESE ritiene necessario:

ridurre l’esposizione dei contribuenti ai costi del salvataggio delle banche;

dotare le autorità pubbliche dei poteri necessari per adottare misure preventive;

conferire alle autorità di risoluzione la facoltà di ridurre gli importi dovuti ai creditori non garantiti di un ente in dissesto e di convertire tali crediti in capitale azionario (16).

5.   La concorrenza nell’era della globalizzazione

5.1.

La generalizzazione dei sistemi di concorrenza dovuta alla globalizzazione rende indispensabile la cooperazione internazionale. Il CESE sostiene vivamente la partecipazione attiva della Commissione in sedi quali il comitato per la concorrenza dell’OCSE, la Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (Unctad), la rete internazionale della concorrenza (ICN).

5.2.

Attualmente, la voce dell’Unione europea è ascoltata e rispettata in queste sedi. Il Comitato sottolinea la necessità di mantenere risorse materiali e umane all’altezza di questa responsabilità.

Bruxelles, 19 ottobre 2016

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  GU C 389 de 21.10.2016, pag. 13. Cfr. anche la «ETUC — BusinessEurope joint declaration on Chinàs Market Economy Status» (Dichiarazione comune della Confederazione europea dei sindacati e di BusinessEurope sullo status di economia di mercato della Cina), del 19 luglio 2016 e il rapporto Granting of Market Economy Status to China (Riconoscimento dello status di economia di mercato alla Cina), Parlamento europeo, dicembre 2015.

(2)  «Perception and awareness about transparency of state aid» (Percezione e consapevolezza in merito alla trasparenza degli aiuti di stato), Eurobarometro, luglio 2016.

(3)  GU C 71 del 24.2.2016, pag. 65.

(4)  http://www.wsj.com/articles/inside-the-u-s-antitrust-probe-of-google-1426793274.

(5)  «Does Google content degrade Google search? Experimental evidence» (La presenza di contenuti Google compromette il funzionamento di Google search? Prove sperimentali), Harvard Business School 2015.

(6)  GU C 383 del 17.11.2015, pag. 84.

(7)  Studio Subsidies and costs of EU energy (Sussidi e costi dell’energia nell’UE),11 novembre 2014. http://ec.europa.eu/energy/en/content/final-report-ecofys.

(8)  GU C 200 del 28.6.2014, pag. 1.

(9)  General Electric ha annunciato la soppressione, tra il 2016 e il 2017, di 6 500 posti di lavoro in Europa, di cui 765 in Francia. Le Monde del 14 gennaio 2016.

(10)  Studio sul tema Bringing transparency, coordination and convergence to corporate tax policies in the European Union (Portare trasparenza, coordinamento e convergenza nelle politiche sulle imposte societarie nell’UE), settembre 2015.

(11)  GU C 71 del 24.2.2016, pag. 42.

(12)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio: Dieci anni di applicazione delle norme antitrust ai sensi del regolamento (CE) n. 1/2003: risultati e prospettive future

http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex:52014DC0453.

(13)  GU L 123 del 19.5.2015, pag. 1.

(14)  Bollettino della BCE.

(15)  GU L 173 del 12.6.2014, pag. 190.

(16)  GU C 44 del 15.2.2013, pag. 68.


2.2.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 34/117


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma dell’Unione a sostegno di attività specifiche volte a rafforzare il coinvolgimento dei consumatori e degli altri utenti finali dei servizi finanziari nella definizione delle politiche dell’Unione nel campo dei servizi finanziari per il periodo 2017-2020»

[COM(2016) 388 final — 2016/0182 (COD)]

(2017/C 034/18)

Relatrice:

Reine-Claude MADER

Consultazione

Parlamento europeo, 22/06/2016

 

Consiglio, 11/07/2016

Base giuridica

Articolo 114 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

[COM(2016) 388 final — 2016/0182 (COD)]

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

04/10/2016

Adozione in sessione plenaria

19/10/2016

Sessione plenaria n.

520

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

223/2/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE è lieto che la Commissione abbia tenuto conto degli interessi dei consumatori e dei risparmiatori e che le loro organizzazioni abbiano ricevuto assistenza. Ritiene infatti necessario attribuire un’attenzione particolare ai servizi finanziari, vuoi a causa del loro carattere tecnico che li rende poco accessibili ai non addetti ai lavori vuoi per le sfide che comportano.

1.2.

Il Comitato accoglie favorevolmente l’iniziativa adottata nel quadro del progetto pilota avviato alla fine del 2011 dalla Commissione e inteso a sostenere la creazione di un centro di consulenza finanziaria a vantaggio dei consumatori e utenti finali dei servizi finanziari per consentire loro di partecipare all’elaborazione delle politiche dell’Unione in materia e portare al ripristino della fiducia nel sistema finanziario europeo.

1.3.

Il CESE osserva che le due ONG, Better Finance e Finance Watch, soddisfano le condizioni di ammissibilità alle sovvenzioni di funzionamento assegnate dalla Commissione europea per il tramite di inviti a presentare proposte e che nel 2015 le loro azioni sono state oggetto di una valutazione globalmente positiva.

1.4.

Ritiene tuttavia opportuno insistere su un certo numero di condizioni da soddisfare.

Legittimità

1.5.

Il CESE sottolinea che a rendere legittime tali organizzazioni devono essere non solo i loro membri o la loro governance ma anche le azioni intraprese per rendere comprensibili al pubblico le caratteristiche tecniche della legislazione finanziaria e dei suoi strumenti.

1.6.

Al riguardo, il CESE reputa necessario uno sforzo particolare per garantire il reale coinvolgimento degli utenti finali nei lavori di tali associazioni. Questo sforzo deve essere condotto per quanto concerne la composizione e la governance di Finance Watch e Better Finance e l’adozione di nuovi metodi di lavoro adeguati alle esigenze.

Indipendenza, trasparenza e responsabilità finanziarie

1.7.

Il CESE accoglie favorevolmente la trasparenza finanziaria di cui ha dato prova Finance Watch  (1); d’altro canto ritiene che sia quest’ultima sia Better Finance debbano proseguire i loro sforzi volti a raggiungere una maggiore indipendenza finanziaria, anche dalla Commissione europea, in quanto è in gioco la credibilità delle loro azioni e la loro legittimità agli occhi del grande pubblico.

1.8.

Il CESE ricorda che queste associazioni possono essere ritenute finanziariamente responsabili in caso di irregolarità: la Commissione europea e la Corte dei conti dispongono in effetti di un potere di revisione contabile, esercitabile sulla base di documenti e controlli sul posto, sugli operatori economici che hanno ottenuto, direttamente o indirettamente, finanziamenti dell’Unione. L’OLAF può, dal canto suo, procedere a controlli e verifiche sul posto al fine di accertare l’eventuale esistenza di frodi, corruzione o qualsiasi altra attività illecita lesiva degli interessi finanziari dell’Unione (2).

1.9.

Il CESE accoglie favorevolmente il carattere pluriennale della dotazione finanziaria prevista nell’ambito dell’esecuzione del programma dell’Unione volto a favorire la partecipazione dei consumatori e altri utenti finali dei servizi finanziari, in quanto consentirà di assicurare maggiore stabilità finanziaria alle associazioni beneficiarie. Queste ultime potranno organizzare il proprio funzionamento e fissare il loro programma su un periodo più lungo.

Visibilità presso il grande pubblico

1.10.

Il CESE osserva che, nonostante gli sforzi intrapresi in materia di comunicazione e visibilità, in particolare grazie ad articoli pubblicati dalla stampa economica e all’organizzazione di convegni, Finance Watch e Better Finance restano ancora in gran parte sconosciute al grande pubblico e alle associazioni nazionali di consumatori, che dovrebbero ricevere direttamente le loro newsletter.

1.11.

Prende atto dei risultati della valutazione ex post del progetto pilota volto a sostenere la creazione di un centro di consulenza finanziaria a vantaggio dei consumatori e utenti finali dei servizi finanziari, lanciato dalla Commissione alla fine del 2011 (3). Invita le ONG a intensificare gli sforzi per rafforzare il ruolo, l’interesse e l’informazione degli utenti finali e dei consumatori nell’elaborazione delle politiche dell’Unione nel settore finanziario.

Equilibrio tra operatori del settore e utenti

1.12.

Il CESE riconosce che è necessario sviluppare una consulenza tecnica affinché gli utenti dei servizi finanziari possano discutere su un piano di parità con gli esperti del settore finanziario. Anche da questa consulenza dipende la credibilità dell’azione delle associazioni interessate agli occhi degli ambienti finanziari, che dispongono di mezzi più adeguati.

1.13.

Il CESE chiede un giusto equilibrio che promuova l’idea di una finanza stabile, sostenibile e orientata al lungo termine.

2.   Sintesi della proposta di regolamento  (4)

2.1.

La proposta rappresenta il seguito delle iniziative adottate dalla Commissione europea a partire dal 2007 per ripristinare la fiducia dei consumatori dopo la crisi finanziaria.

2.2.

L’obiettivo della Commissione è di far sì che il punto di vista dei consumatori sia tenuto in maggiore considerazione, e questo ha portato, nel 2010, alla creazione del gruppo di utenti dei servizi finanziari (GUSF), alla partecipazione sistematica dei consumatori e dei rappresentanti della società civile ai gruppi di esperti istituiti nel 2011 e al lancio di un progetto pilota volto a sostenere, mediante sovvenzioni, la creazione di un centro di consulenza finanziaria.

2.3.

L’invito a presentare proposte da parte della Commissione ha permesso di selezionare due organizzazioni senza fini di lucro: Finance Watch, istituita nel 2011 sotto forma di associazione internazionale senza fini di lucro di diritto belga, la cui missione è quella di rappresentare gli interessi della società civile nel settore finanziario, e Better Finance, nata dalla riorganizzazione di associazioni europee di investitori e azionisti esistenti dal 2009 e destinata a diventare un centro di consulenza finanziaria costituito soprattutto da investitori privati, risparmiatori e altri utenti finali.

2.4.

Tra il 2012 e il 2015, le due organizzazioni hanno ricevuto sovvenzioni di funzionamento da parte della Commissione europea. Finance Watch ha ricevuto 3,04 milioni di EUR tra il 2012 e il 2014 e Better Finance0,90 milioni di EUR in tre anni. Tali sovvenzioni rappresentano il 60 % dei loro costi ammissibili.

2.5.

La valutazione del 2015 ha concluso che gli obiettivi strategici fissati dalla Commissione sono stati raggiunti, ma ha altresì sottolineato la necessità di apportare miglioramenti per quanto riguarda gli aspetti legati all’informazione dei consumatori e alla presa in considerazione del loro punto di vista.

2.6.

La Commissione osserva inoltre che, nonostante i loro sforzi, tali organismi non sono riusciti a ottenere un finanziamento stabile e sufficiente da parte di donatori indipendenti dal settore finanziario, il che rende indispensabile un finanziamento dell’UE per la prosecuzione delle loro attività.

2.7.

La proposta di regolamento stabilisce, per il periodo 2017-2020, un programma di ricerca e di sensibilizzazione, anche per un pubblico di non esperti, nonché attività destinate a rafforzare le interazioni tra i membri delle organizzazioni beneficiarie e le attività di sostegno volte a promuovere le loro posizioni all’interno dell’UE.

2.8.

L’obiettivo è quello di continuare a rafforzare la partecipazione dei consumatori e degli utilizzatori finali dei servizi finanziari all’elaborazione delle politiche dell’Unione in materia e di contribuire alla loro informazione sulle sfide della regolamentazione del settore finanziario.

2.9.

Il finanziamento di Finance Watch e di Better Finance è fissato a un massimo di 6 000 000 di euro per il periodo che va dal 1o gennaio 2017 al 31 dicembre 2020.

2.10.

Ogni anno, i beneficiari dovranno fornire una descrizione delle azioni già realizzate e di quelle in programma.

3.   Osservazioni generali e specifiche

3.1.

Con la crisi finanziaria, la Commissione europea e il Parlamento europeo hanno preso coscienza dello squilibrio tra la rappresentanza degli operatori del settore finanziario e degli utenti di tali servizi nei diversi organi.

3.2.

In base all’articolo 169, paragrafo 2, lettera b) del TFUE, che l’autorizza a promuovere gli interessi dei consumatori e ad assicurare un livello elevato di protezione di questi ultimi, la Commissione europea propone di cofinanziare l’azione di associazioni specializzate nel settore dei servizi finanziari.

3.3.

Il CESE non può che condividere questo obiettivo, già citato in numerosi pareri, in cui insiste sulla necessità di collocare il consumatore al centro di tutte le politiche, cosa che implica l’esigenza di dare ai suoi rappresentanti i mezzi appropriati (5).

3.4.

Il CESE, a causa soprattutto della complessità delle questioni relative al risparmio e agli investimenti, sostiene la creazione di un centro di consulenza finanziaria che si dimostri indipendente dagli ambienti finanziari e che sia a disposizione delle organizzazioni che tutelano gli interessi dei consumatori, dei risparmiatori e degli utenti finali, i quali non dispongono delle competenze necessarie in campo finanziario, visto il carattere tecnico della materia che la rende poco accessibile ai non addetti ai lavori e considerando le poste in gioco che comporta.

3.5.

A questo proposito, giudica necessario fare in modo che non vi siano legami finanziari o di altra natura che potrebbero influenzare negativamente l’azione di dette associazioni.

3.6.

Il CESE sottolinea che a rendere legittime tali organizzazioni devono essere non solo i loro membri o la loro governance ma anche le azioni intraprese per rendere comprensibili al grande pubblico le caratteristiche tecniche della legislazione finanziaria e dei suoi strumenti.

3.7.

Il CESE osserva che, nonostante gli sforzi intrapresi in materia di comunicazione e visibilità, in particolare grazie ad articoli pubblicati dalla stampa economica e all’organizzazione di convegni, Finance Watch e Better Finance restano ancora in gran parte sconosciute al grande pubblico e alle associazioni nazionali di consumatori, che potrebbero ricevere direttamente le loro newsletter.

3.8.

Il Comitato ritiene che gli esperti non debbano sostituirsi ai rappresentanti della società civile, bensì fornire loro gli strumenti per individuare le sfide, valutare le misure da adottare e presentare eventuali proposte.

3.9.

Il CESE concorda con la Commissione europea circa la necessità di promuovere la partecipazione dei consumatori e di altri utenti finali alla definizione delle politiche dell’Unione, ridando loro, al tempo stesso, fiducia nel sistema finanziario europeo.

3.10.

Il Comitato prende atto del programma dell’Unione previsto dalla proposta di regolamento e dei relativi obiettivi e desidera sottolineare quanto sia difficile per le istituzioni e organizzazioni interagire con un pubblico più vasto.

3.11.

Il Comitato osserva che la creazione di Finance Watch e di Better Finance coincide con la realizzazione del progetto pilota (6) e insiste sulla necessità di garantire l’indipendenza di ciascuno dei loro membri nei confronti degli ambienti industriali, commerciali o economici.

3.12.

Il CESE giudica adeguate la durata e la forma del finanziamento prescelte: accoglie favorevolmente il carattere pluriennale della dotazione finanziaria prevista nell’ambito dell’esecuzione del programma dell’Unione volto a rafforzare il coinvolgimento dei consumatori e degli altri utenti finali dei servizi finanziari, in quanto consentirà di assicurare maggiore stabilità finanziaria alle associazioni beneficiarie. Queste ultime potranno quindi organizzare il proprio funzionamento e fissare il loro programma su un periodo più lungo, anche se l’importo della sovvenzione prevista è inferiore agli obiettivi prefissati.

3.13.

Il Comitato inoltre ritiene che tali organismi debbano trovare fonti aggiuntive di finanziamento per assicurare il loro sviluppo, il pareggio dei conti e la loro indipendenza, in particolare nei confronti della Commissione.

3.14.

Il CESE insiste su una rapida adozione del regolamento affinché la dinamica avviata dal progetto pilota non venga interrotta.

3.15.

Il CESE sostiene la procedura di valutazione indispensabile per valutare se gli obiettivi sono stati raggiunti e se le norme in materia di trasparenza e di responsabilità finanziaria di cui all’articolo 8 della proposta di regolamento sono state rispettate (7).

Bruxelles, 19 ottobre 2016

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Per il 2015, Finance Watch disponeva in totale delle seguenti risorse: donatori e fondazioni 32,1 %, progetti di ricerca 7,4 %, sovvenzioni europee 56,4 %, organizzazione di eventi 1,3 %, contributi dei membri 2,7 %. Fonti: http://www.finance-watch.org/a-propos/gouvernance-et-financement.

(2)  Cfr. l’articolo 8 della proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma dell’Unione a sostegno di attività specifiche volte a rafforzare il coinvolgimento dei consumatori e degli altri utenti finali dei servizi finanziari nella definizione delle politiche dell’Unione nel campo dei servizi finanziari per il periodo 2017-2020, il regolamento (UE Euratom) n. 883/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 settembre 2013, relativo alle indagini svolte dall’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) (GU L 248 del 18.9.2013, pag. 1) e il regolamento (Euratom, CE) n. 2185/96 del Consiglio, dell’11 novembre 1996, relativo ai controlli e alle verifiche sul posto effettuati dalla Commissione ai fini della tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee contro le frodi e altre irregolarità (GU L 292 del 15.11.1996, pag. 2).

(3)  http://ec.europa.eu/finance/finservices-retail/docs/users/151222-staff-working-document_en.pdf.

(4)  Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma dell’Unione a sostegno di attività specifiche volte a rafforzare il coinvolgimento dei consumatori e degli altri utenti finali dei servizi finanziari nella definizione delle politiche dell’Unione nel campo dei servizi finanziari per il periodo 2017-2020. COM(2016) 388 final — 2016/0182 (COD).

(5)  GU C 181 del 21.6.2012, pag. 89.

(6)  Progetto pilota lanciato nel 2011 e volto a sostenere, mediante sovvenzioni, la creazione di un centro di consulenza finanziaria a vantaggio degli utenti finali e di altre parti interessate esterne al settore finanziario e a rafforzare la capacità di questi ultimi di partecipare all’elaborazione delle politiche dell’Unione nel campo dei servizi finanziari — Proposta di regolamento del Parlamento e del Consiglio che istituisce un programma dell’Unione a sostegno di attività specifiche volte a rafforzare il coinvolgimento dei consumatori e degli altri utenti finali dei servizi finanziari nella definizione delle politiche dell’Unione nel campo dei servizi finanziari per il periodo 2017-2020. COM(2016) 388 final — 2016/0182 (COD), pag. 2.

(7)  Articolo già citato.


2.2.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 34/121


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva (UE) 2015/849 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo e che modifica la direttiva 2009/101/CE»

[COM(2016) 450 final — 2016/0208 (COD)]

(2017/C 034/19)

Relatore:

Javier DOZ ORRIT

Consultazione

Consiglio 19/08/2016

Parlamento europeo, 12/09/2016

Base giuridica

Articoli 50 e 114 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

[COM(2016) 450 final — 2016/0208 (COD)]

 

 

Sezione competente:

Unione economica e monetaria coesione economica e sociale

Adozione in sezione

05/10/2016

Adozione in sessione plenaria

19/10/2016

Sessione plenaria n.

520

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

182/0/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE ritiene che la lotta contro il terrorismo e il suo finanziamento, il riciclaggio di denaro e altre forme di criminalità economica collegate debbano costituire priorità permanenti della politica dell’UE.

1.2.

Il CESE concorda, in linea di principio, con le misure incluse nella proposta di modifica della direttiva relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo (1) e con il carattere urgente del suo recepimento.

1.3.

Data la portata mondiale di questi fenomeni, il Comitato raccomanda che in futuro l’UE e gli Stati membri svolgano un ruolo di ancora maggior rilievo e assumano l’iniziativa nel quadro delle organizzazioni e dei forum internazionali attivi nella lotta contro il riciclaggio di denaro e contro i gravi fenomeni criminali che vi sono associati. Per intervenire in maniera più incisiva e ottenere maggiori risultati sono necessarie azioni e misure coordinate a livello internazionale e mondiale, e in questo contesto l’Europa può svolgere un ruolo di primo piano.

1.4.

Il Comitato è consapevole dello sforzo che l’obbligo di adeguamento alla direttiva comporta per le imprese e i soggetti obbligati, nonché per le autorità preposte al controllo. Tuttavia, è uno sforzo necessario da parte di tutti perché si possano raggiungere gli obiettivi pienamente condivisi, tra cui spicca la difesa del sistema finanziario e di altri soggetti obbligati contro la loro utilizzazione al fine di commettere reati. Il Comitato propone di condurre una valutazione dell’impatto dell’applicazione di tali misure.

1.5.

Il CESE esprime il timore che un certo numero di fattori possa limitare seriamente l’efficacia pratica della 4a e della 5a direttiva antiriciclaggio. In primo luogo, l’elenco dei paesi terzi ad alto rischio, pubblicato il 14 luglio 2016, non contiene molti paesi o giurisdizioni per le quali vi sono indizi fondati del fatto che stiano operando come paradisi fiscali per il riciclaggio di denaro e non ne comprende alcuno dei 21 menzionati nei Panama papers. Poiché le misure rafforzate di adeguata verifica della 5a direttiva antiriciclaggio si applicano solo ai paesi terzi dichiarati ad alto rischio, il CESE propone di elaborare un nuovo elenco di paesi terzi ad alto rischio oppure di ampliare l’ambito di applicazione delle misure dell’articolo 18 bis della 5a direttiva antiriciclaggio. Il CESE ritiene prioritaria la creazione di registri pubblici dei titolari effettivi di società, fiduciarie, conti bancari e operazioni e l’accesso a tali servizi da parte dei soggetti obbligati.

1.6.

Il CESE sollecita le istituzioni europee a rafforzare le politiche intese a porre fine ai paradisi fiscali. In particolare, ritiene necessario che tutti gli obblighi previsti dalla 5a direttiva antiriciclaggio e, in special modo, l’identificazione dei titolari effettivi dei conti bancari, delle società, delle fiduciarie e delle operazioni, si estendano alla totalità dei territori o delle giurisdizioni sotto la sovranità degli Stati membri.

1.7.

È necessario coordinare più strettamente la lotta contro il riciclaggio con la lotta contro l’evasione e l’elusione fiscali, la corruzione e altri reati collegati, traffico di armi, droga, esseri umani e contro la criminalità economica organizzata. Bisogna sviluppare nuove iniziative contro tutti questi fenomeni e i loro collegamenti con il riciclaggio. Occorre altresì prevedere misure contro la concorrenza fiscale sleale.

1.8.

La lotta contro il terrorismo e il riciclaggio richiede una più stretta cooperazione tra i vari servizi di intelligence e di sicurezza degli Stati membri e di questi con Europol.

1.9.

Il CESE ritiene che i trattati di libero scambio e di partenariato economico dovrebbero includere un capitolo sulle misure di lotta contro l’evasione e l’elusione fiscali, il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo. Il CESE invita la Commissione ad inserire tale capitolo come proposta dell’UE nei negoziati in corso, in particolare in quello relativo al TTIP e nei trattati già in vigore nel momento in cui si siano oggetto di revisione.

1.10.

Il lavoro delle unità di informazione finanziaria (FIU) degli Stati membri e il loro costante coordinamento a livello europeo è essenziale. Il CESE ritiene che sarebbe opportuno creare uno strumento di monitoraggio, coordinamento e anticipazione dei cambiamenti tecnologici.

1.11.

Vista l’enorme importanza della lotta contro il riciclaggio e al fine di garantire che le regole in questo settore siano applicate in maniera uniforme ed efficace in tutti gli Stati membri, è essenziale che i testi e i concetti alla base delle misure proposte siano quanto più possibile chiari. Questo favorirà anche la necessaria certezza del diritto per tutti coloro che saranno chiamati ad applicare tali testi.

1.12.

Sarebbe opportuna l’armonizzazione europea del trattamento giuridico, cioè definizioni e pene, del complesso dei reati relativi al riciclaggio, all’evasione fiscale, alla corruzione e al finanziamento del terrorismo e di quelli collegati, oltre che l’armonizzazione delle sanzioni risultanti dal non rispetto delle disposizioni delle direttive antiriciclaggio

1.13.

Il CESE propone l’istituzione di misure di controllo delle filiazioni dei soggetti obbligati in paesi terzi ad alto rischio e suggerisce di non monitorare solo i clienti.

1.14.

Il CESE propone alla Commissione di prendere in considerazione misure aggiuntive per proteggere i diritti dei cittadini contro l’uso illecito o abusivo delle informazioni registrate da parte delle autorità competenti o dei soggetti obbligati.

1.15.

Il Comitato accoglie con favore il rapido trattamento di queste proposte e auspica che esse entrino in vigore al più presto, senza però che ciò vada a scapito della qualità dei risultati. Occorre pertanto prevedere un calendario realistico per il recepimento dei testi e la loro applicazione negli Stati membri, come anche degli orientamenti chiari al riguardo.

2.   Contesto e proposta della Commissione

2.1.

I brutali attacchi terroristici in Francia, in Belgio e in altri paesi europei e le rivelazioni sul riciclaggio di capitali provenienti da attività criminose in paradisi fiscali, di cui le ultime in ordine di tempo sono quelle dell’ICIJ (2) sui Panama papers, hanno portato la Commissione europea a proporre nuove misure contro l’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo. Il 5 luglio 2016, la Commissione ha approvato, insieme alla proposta della 5a direttiva antiriciclaggio, un’altra proposta volta a facilitare l’accesso da parte delle autorità fiscali alle informazioni in materia di riciclaggio (3) e una comunicazione su ulteriori misure intese a rafforzare la trasparenza e la lotta contro l’evasione e l’elusione fiscali (4).

2.2.

Un recente studio del Parlamento europeo (5) segnala che i Panama papers hanno messo in evidenza il ruolo svolto dai paradisi fiscali nel facilitare l’elusione fiscale e la natura aggressiva di alcune pratiche di elusione fiscale in cui è difficile distinguere tra l’elusione e l’evasione. In tal senso, l’opacità, che risulta dalla segretezza, dalla mancanza di tracciabilità e dal mancato scambio di informazioni fiscali, ha svolto un ruolo significativo nei casi di violazione del rispetto delle sanzioni economiche e ha nascosto informazioni utili e necessarie in relazione alla criminalità organizzata, compreso il riciclaggio di denaro legato ad attività terroristiche, alla corruzione e al traffico di droga.

2.3.

L’ICIJ ha pubblicato i Panama papers. La sua banca dati — Offsore Leaks Database  (6) –– contiene riferimenti a 45 131 società dell’UE (7). Dei 21 territori che lo studio Mossack Fonseca utilizzava per le operazioni di evasione e elusione fiscali e riciclaggio, tre sono Stati membri dell’UE, e tre sono giurisdizioni dipendenti da uno di essi (8).

2.4.

La 5a direttiva antiriciclaggio recepisce una parte delle proposte del Piano d’azione per rafforzare la lotta contro il finanziamento del terrorismo  (9): quelle che comportano una modifica della quarta direttiva antiriciclaggio (10) e della direttiva sulle garanzie richieste alle società per proteggere gli interessi dei soci e di terzi (11). Il piano propone di anticipare la data di recepimento della 4a direttiva antiriciclaggio dal 26 giugno 2017 al 1o gennaio 2017, data che è anche il termine per il recepimento delle due proposte di direttiva del 5 luglio 2016.

2.5.

Il complesso quadro politico e legislativo della 5a direttiva antiriciclaggio include, soltanto nel 2015, altre due iniziative: l’Agenda europea sulla sicurezza  (12) e la proposta di direttiva sulla lotta contro il terrorismo  (13) che stabilisce una nuova definizione dei reati collegati al finanziamento del terrorismo.

2.6.

Il 14 luglio 2016, la Commissione ha adottato il regolamento delegato relativo all’individuazione dei paesi terzi ad alto rischio e un elenco allegato (14) che recepisce quello approvato dal GAFI nella riunione tenutasi a Busan (Corea) il 24 giugno 2016.

2.7.

La proposta relativa alla 5a direttiva antiriciclaggio impone alcuni nuovi obblighi di adeguata verifica da applicare da parte dei soggetti obbligati, vale a dire istituti finanziari, professionisti del settore, prestatori di servizi fiduciari e di servizi di gioco d’azzardo, agenti immobiliari ecc., ai loro clienti, a quelli nuovi come a quelli già esistenti. In particolare prevede, all’articolo 18 bis, misure rafforzate di adeguata verifica nei confronti di clienti con attività in paesi terzi ad alto rischio. Gli Stati membri possono anche applicare contromisure nei confronti delle giurisdizioni ad alto rischio, compreso il divieto di insediarvi filiazioni o uffici di rappresentanza o di effettuarvi operazioni finanziarie.

2.8.

Una novità consiste nel fatto sono inclusi nel campo di applicazione della direttiva le piattaforme di cambio di valute virtuali e i prestatori di servizi di portafoglio digitale che saranno considerati soggetti obbligati ai fini delle misure di adeguata verifica. Si sopprime l’anonimato per l’utilizzo online delle carte prepagate e si riduce la soglia dell’obbligo di identificazione da 250 a 150 EUR in caso di utilizzo di persona.

2.9.

La 5a direttiva antiriciclaggio propone anche di rafforzare le competenze delle FIU e di promuovere la cooperazione tra di esse, di facilitare l’identificazione dei titolari di conti bancari e di pagamento, istituendo registri centrali nazionali automatizzati per tali conti, e di imporre l’obbligo di identificare e registrare i titolari effettivi delle società (abbassando la soglia dal 25 % al 10 % di partecipazione azionaria), delle fiduciarie e delle fondazioni ed enti analoghi, nonché di permettere l’accesso pubblico a tali informazioni a certe condizioni.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Le varie forme di criminalità che utilizzano il riciclaggio di denaro e i paradisi fiscali contro i diritti fondamentali di tutti i cittadini, sono fenomeni molto gravi. L’espansione delle operazioni di riciclaggio di capitali non accenna a diminuire, nonostante gli sforzi profusi dalle autorità nazionali ed europee.

3.2.

La liberalizzazione dei flussi finanziari nel mondo e la rapidità di applicazione delle nuove tecnologie digitali alle loro operazioni rendono difficile la lotta contro l’uso del sistema finanziario a fini criminali. Le indagini sui recenti attacchi del terrorismo jihadista in Europa hanno fornito informazioni su forme di finanziamento di tali attentati non contemplate dalla 4a direttiva antiriciclaggio. Ciò giustifica il fatto che si proponga la sua modifica quando non è ancora entrata in vigore e che si anticipi il termine per il suo recepimento.

3.3.

Il CESE è d’accordo, in linea di principio, con le misure proposte nella 5a direttiva antiriciclaggio e ritiene che possano essere utili per contribuire a porre fine al terrorismo e al riciclaggio.

3.4.

Si potrebbe sollevare una riserva da ricondurre alle conseguenze sui diritti fondamentali, in particolare sulla protezione dei dati personali, di un uso non adeguato da parte delle autorità competenti di una grande quantità di informazioni sensibili. La proposta della 5a direttiva prevede alcune garanzie a tale proposito. Quello che si è venuto a sapere di taluni comportamenti governativi resi noti dalle rivelazioni di WikiLeaks (2010 e 2012) e dai documenti di Snowden (2013) ci inducono a proporre che la Commissione studi la possibilità di stabilire ulteriori misure per la protezione dei diritti dei cittadini contro l’utilizzo abusivo delle informazioni registrate. In particolare, la si invita ad analizzare la fattibilità di stabilire una qualche forma di definizione penale comune per l’uso illecito di informazioni e dati personali. Il CESE potrebbe contribuire alla realizzazione di questo studio.

3.5.

Fatte salve le attuali proposte e le altre iniziative e azioni a livello europeo sostenute dal Comitato nel presente parere, è essenziale che in futuro l’UE e gli Stati membri svolgano un ruolo di ancora maggior rilievo e assumano l’iniziativa nel quadro delle organizzazioni e dei forum internazionali attivi nella lotta contro il riciclaggio di denaro e contro i gravi fenomeni criminali che vi sono associati, fenomeni globali e in genere a carattere transfrontaliero. Per intervenire in maniera più incisiva e ottenere maggiori risultati sono necessarie azioni e misure coordinate a livello internazionale e mondiale, e in questo contesto l’Europa può svolgere un ruolo di primo piano.

3.6.

Molti cittadini europei stanno ancora pagando le conseguenze della crisi, le politiche di aggiustamento e l’aumento della povertà e della disuguaglianza, mentre allo stesso tempo vengono a sapere che grandi società multinazionali praticano l’elusione e l’evasione fiscali e personalità importanti del mondo economico, politico, culturale o sportivo evadono le imposte e riciclano denaro in paradisi fiscali. Alcune procedure e giurisdizioni sono utilizzate anche per finanziare organizzazioni terroristiche in grado di commettere i crimini più atroci in Europa e in altre parti del mondo. Si tratta di una situazione insostenibile. Si deve chiedere alle autorità nazionali ed europei di agire con efficacia per porvi fine.

3.7.

Malgrado quanto detto al punto 3.2, il conseguimento degli obiettivi delle direttive antiriciclaggio potrebbe essere seriamente ostacolato dalle debolezze dell’azione politica volta a eliminare i paradisi fiscali, nodi indispensabili per il riciclaggio di capitali. Questo anche a causa di un coordinamento inadeguato delle iniziative antiriciclaggio con le azioni correlate alla lotta contro i reati che lo stimolano (evasione fiscale, appartenenza a organizzazioni terroristiche o criminali, traffico di armi, droga e esseri umani ecc.) in un contesto caratterizzato dal persistere di pratiche di concorrenza fiscale sleale nell’UE.

3.8.

L’elenco dei paesi ad alto rischio pubblicato dalla Commissione il 14 luglio 2016 (15) non ne contiene nessuno di quelli che figurano nei Panama papers. Questo fatto è paradossale in quanto uno degli argomenti utilizzati dalla Commissione per proporre la 5a direttiva antiriciclaggio sono le rivelazioni contenute in tali documenti. Nell’elenco si trova solo un paese ad alto rischio che rifiuta di collaborare: la Corea del Nord. Nel gruppo II, che comprende i paesi che si sono impegnati a ovviare alle carenze e hanno chiesto l’assistenza tecnica per l’attuazione del piano d’azione del GAFI, figura l’Iran. Nel gruppo I di paesi che hanno già elaborato il piano d’azione che consentirà loro di uscire dall’elenco non appena siano soddisfatte le disposizioni della direttiva sono compresi nove paesi (di cui quattro in guerra: Afghanistan, Iraq, Siria e Yemen). Parte dei fondi per finanziare il terrorismo passa attraverso questi paesi. Tuttavia, tutte le analisi e indagini mostrano che il riciclaggio dei proventi delle altre forme di criminalità non si realizza nei paesi summenzionati.

3.9.

Si esprime rammarico per il fatto che un organismo come il GAFI, che svolge un importante lavoro nell’analisi della criminalità finanziaria internazionale e nella formulazione di proposte sui mezzi per combatterla, non abbia trovato la forma adeguata per redigere i suoi elenchi di paesi a rischio. È logico che la Commissione si serva delle raccomandazioni (16) e di altre proposte del GAFI per lottare contro il riciclaggio. Ma in questo caso aderire alle sue proposte può annullare parte dell’efficacia della 5a direttiva antiriciclaggio, dato che le misure più rigorose di cui all’articolo 18 bis si applicano solo ai paesi terzi ad alto rischio.

3.10.

Il CESE ritiene che l’efficacia pratica della 5a direttiva antiriciclaggio richiederebbe o la revisione dell’elenco dei paesi terzi ad alto rischio per inserirvi i paesi o territori in cui si effettuano le principali operazioni di riciclaggio oppure estendere il campo di applicazione dell’articolo 18 bis a tutti i soggetti obbligati e alle giurisdizioni che, in virtù delle informazioni detenute dalle FIU sono sospettati di realizzare operazioni di riciclaggio. Il CESE propone inoltre che si stili un elenco unico di giurisdizioni che non collaborano al perseguimento dei reati economici.

3.11.

Il fatto che una parte non trascurabile delle operazioni di riciclaggio si effettuino in giurisdizioni dipendenti da Stati membri dovrebbe portare tutte le istituzioni europee a fondare un forte impegno politico per l’eliminazione dei paradisi fiscali dal loro territorio. In particolare, gli obblighi di identificazione dei titolari effettivi dei conti bancari, della proprietà delle società e di tutte le parti delle fiduciarie e delle operazioni, che si impongono ai soggetti obbligati dell’UE ai sensi della proposta relativa alla 5a direttiva antiriciclaggio, dovrebbero essere estesi a tutti i territori sotto la sovranità degli Stati membri, compresi quelli che beneficiano di regimi fiscali speciali. In tale contesto, per adempiere ai loro obblighi, i soggetti obbligati dovrebbero poter anche ricorrere ai dati dei registri (ufficiali) nazionali. Allo stesso modo, le misure più rigorose di cui all’articolo 18 bis dovrebbero applicarsi alle giurisdizioni dipendenti da Stati membri dell’UE che svolgono operazioni di riciclaggio.

3.12.

L’evasione e l’elusione fiscali sono strettamente collegate al riciclaggio. Parte del denaro riciclato proviene dall’evasione e dall’elusione fiscali. È necessario coordinare la prevenzione e la repressione di entrambi questi reati, sia sul piano legislativo sia in termini di azione politica e di attività dei servizi d’intelligence, di polizia e dei sistemi giudiziari. Il CESE ha apprezzato le ultime iniziative della Commissione per lottare contro l’evasione e l’elusione fiscali nell’UE, ma esse sono ancora insufficienti, per cui sarebbero necessarie altre misure addizionali da coordinare con quelle che si adotteranno contro il riciclaggio.

3.13.

La lotta contro il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo richiede una più stretta cooperazione tra i vari servizi di intelligence e di sicurezza degli Stati membri e di questi con Europol. Si deve riconoscere che i livelli attuali di cooperazione sono insufficienti. Nonostante le dichiarazioni pubbliche dei responsabili nazionali ed europei e del sostegno dei cittadini al rafforzamento di questa cooperazione, dopo ogni attentato terroristico vengono alla luce importanti carenze nel coordinamento. A volte è tra servizi diversi dello stesso Stato che vengono scoperte lacune nel coordinamento. Bisogna impiegare tutti i mezzi per porre fine a tale situazione.

3.14.

Negli ultimi anni l’UE ha negoziato o firmato importanti accordi di libero scambio e di partenariato economico. Attualmente è in fase di negoziato un trattato dell’importanza del TTIP. Questi trattati dovrebbero fornire un’eccellente opportunità di istituire misure bilaterali o biregionali per combattere l’evasione e l’elusione fiscali, il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo. Il CESE invita la Commissione a studiare il modo di inserire un capitolo di questo tenore nei trattati attualmente in corso di negoziazione e nella revisione di quelli già in vigore. Su questo punto, il CESE concorda pienamente con le conclusioni dello studio del PE menzionato in precedenza (17).

4.   Osservazioni particolari

4.1.

Le FIU degli Stati membri devono svolgere un ruolo importante in materia di informazione, monitoraggio e prevenzione, compresa l’anticipazione dei rapidi cambiamenti nelle tecnologie che possono essere utilizzate nel riciclaggio e nel finanziamento del terrorismo. La rapidità delle risposte nazionali e della condivisione a livello europeo delle rispettive indagini è assolutamente necessaria. Il coordinamento costante e agile delle FIU è essenziale. Il CESE ritiene che sarebbe opportuno creare uno strumento europeo di monitoraggio, coordinamento e anticipazione dei cambiamenti tecnologici.

4.2.

I soggetti obbligati, definiti nella 4a e 5a direttiva antiriciclaggio, devono svolgere compiti di sorveglianza e controllo di persone e movimenti sospetti. Non sono tuttavia contemplati in queste direttive requisiti o obblighi in merito alle attività dei soggetti obbligati in paesi terzi ad alto rischio. Si dovrebbe porre fine a questa situazione in cui si sorvegliano più i clienti che i soggetti obbligati stessi.

4.3.

Risultano particolarmente utili in relazione con il presente parere le seguenti raccomandazioni contenute nel parere del CESE CCMI/132 «Lotta alla corruzione nell’UE: rispondere alle preoccupazioni delle imprese e della società civile» (18): a) elaborare una strategia quinquennale di lotta alla corruzione coerente e a vasto raggio, corredata di un piano d’azione; b) creare una procura europea e rafforzare le capacità di Eurojust; e c) obbligare le società multinazionali a comunicare i dati finanziari chiave sulla loro attività in tutti i paesi in cui operano.

4.4.

Secondo il CESE sarebbe opportuno introdurre un’armonizzazione a livello europeo del trattamento penale, cioè definizioni e pene, del complesso dei reati relativi al riciclaggio, all’evasione fiscale, alla corruzione e al finanziamento del terrorismo e di quelli collegati. La Commissione e l’Autorità bancaria europea dovrebbero inoltre promuovere l’armonizzazione delle sanzioni per violazione degli obblighi da parte dei soggetti obbligati.

4.5.

La lotta contro il riciclaggio è fondamentale e deve essere portata avanti con energia, determinazione ed efficacia. Perciò è essenziale che i testi e i concetti alla base delle misure proposte siano quanto più chiari possibile. Questo favorirà anche la necessaria certezza del diritto per tutti coloro che saranno chiamati ad applicare tali testi e consentirà un’applicazione uniforme in tutta l’Unione.

4.6.

Il Comitato accoglie con favore il rapido trattamento di queste proposte e auspica che esse siano adottate ed entrino in vigore al più presto, senza però che ciò vada a scapito della qualità dei risultati. Occorre pertanto prevedere un calendario realistico per il recepimento dei testi e la loro applicazione negli Stati membri, come anche degli orientamenti chiari al riguardo.

Bruxelles, 19 ottobre 2016.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  In appresso la 5a direttiva antiriciclaggio: COM(2016) 450 final.

(2)  International Consortium of Investigative Journalists.

(3)  COM(2016) 452 final.

(4)  COM(2016) 451 final.

(5)  EPRS-EP: «The inclusion of financial services in EU free trade and association agreements: Effects on money laundering, tax evasion and avoidance.(EPRS European Parliamentary Research Service -PE L'inclusione dei servizi finanziari negli accordi di libero scambio e di partenariato dell'UE: effetti sul riciclaggio, l'evasione e l'elusione fiscali). Ex-Post Impact Assessment» (valutazione d'impatto ex-post); pag. 18.

(6)  Offshore Leaks Database.

(7)  EPRS, op.cit. pagg. 19 e 20.

(8)  EPRS, op.cit. pag. 21.

(9)  COM(2016) 50 final.

(10)  GU L 141 del 5.6.2015, pag. 73.

(11)  GU L 258 dell'1.10.2009, pag. 11.

(12)  COM(2015) 185 final.

(13)  COM(2015) 625 final, pag. 2.

(14)  C(2016) 4180 final.

(15)  Regolamento delegato C(2016) 4180 final: http://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/3/2016/IT/3-2016-4180-IT-F1-1.PDF e allegato con l’elenco dei paesi: http://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/3/2016/IT/3-2016-4180-IT-F1-1-ANNEX-1.PDF.

(16)  INTERNATIONAL STANDARDS ON COMBATING MONEY LAUNDERING AND THE FINANCING OF TERRORISM & PROLIFERATION (Norme internazionali in materia di lotta contro il riciclaggio di capitali e il finanziamento del terrorismo e della proliferazione).

(17)  EPRS, op. cit., pag 59.

(18)  GU C 13 del 15.1.2016, pag. 63.


2.2.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 34/127


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda l’accesso da parte delle autorità fiscali alle informazioni in materia di antiriciclaggio»

[COM(2016) 452 final — 2016/0209 (CNS)]

(2017/C 034/20)

Relatore:

Petru Sorin DANDEA

Consultazione

Consiglio dell’Unione europea, 27/07/2016

Base giuridica

Articoli 113 e 115 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

[COM(2016) 452 final — 2016/0209 (CNS)]

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

05/10/2016

Adozione in sessione plenaria

19/10/2016

Sessione plenaria n.

520

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

227/3/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore l’iniziativa della Commissione e ne sostiene gli sforzi volti a contrastare l’evasione fiscale e il riciclaggio di denaro: quest’ultima pratica non solo erode le basi imponibili degli Stati membri, ma costituisce anche una delle principali fonti di finanziamento delle organizzazioni criminali e terroristiche a livello mondiale.

1.2.

Tenuto conto delle gravi conseguenze della frode ed evasione fiscale, il CESE appoggia le norme stabilite nella proposta di direttiva che modifica la direttiva sulla cooperazione amministrativa nel settore fiscale. Il fatto di includere nelle categorie di informazioni che sono oggetto di scambio tra le amministrazioni fiscali degli Stati membri le informazioni relative ai beneficiari effettivi delle operazioni finanziarie che — in base ai riscontri di verifiche, esami e revisioni contabili — potrebbero dar adito a dubbi quanto alla loro legalità o persino configurarsi come operazioni di riciclaggio di denaro, contribuirà a rafforzare la capacità amministrativa e ad accrescere l’efficacia della lotta antiriciclaggio.

1.3.

Dal momento che la modifica della direttiva sulla cooperazione amministrativa («direttiva DAC») non potrà essere pienamente applicata finché non sarà approvata anche la proposta di direttiva che modifica la quarta direttiva antiriciclaggio (1), il CESE raccomanda agli Stati membri e al Parlamento europeo di approvare l’intero pacchetto legislativo proposto dalla Commissione.

Il CESE raccomanda inoltre agli Stati membri di garantire le risorse umane, finanziarie e logistiche necessarie alle amministrazioni fiscali per attuare efficacemente le nuove norme antiriciclaggio.

2.   La proposta della Commissione europea

2.1.

Nell’ambito del programma di contrasto dell’evasione ed elusione fiscale, ma anche del piano d’azione per la lotta al finanziamento del terrorismo, nel luglio 2016 la Commissione europea ha presentato un pacchetto legislativo con l’obiettivo di migliorare l’accesso delle amministrazioni fiscali alle informazioni in materia di antiriciclaggio. Il pacchetto comprende la proposta di direttiva (2) del Consiglio che modifica la direttiva 2011/16/UE (direttiva sulla cooperazione amministrativa nel settore fiscale, o «direttiva DAC») per quanto riguarda l’accesso da parte delle autorità fiscali alle informazioni in materia di antiriciclaggio.

2.2.

La proposta della Commissione modifica l’articolo 22 della direttiva DAC in modo da includere nello scambio di informazioni tra le amministrazioni fiscali degli Stati membri informazioni specifiche relative alle operazioni finanziarie che favoriscono il riciclaggio di denaro.

2.3.

L’obiettivo della proposta in esame è consentire alle autorità fiscali di avere un accesso sistematico alle informazioni in materia di antiriciclaggio per lo svolgimento delle loro funzioni di monitoraggio della corretta applicazione della direttiva sulla cooperazione amministrativa («direttiva DAC») da parte delle istituzioni finanziarie.

2.4.

La proposta di direttiva contiene norme volte a contrastare le pratiche di elusione fiscale che incidono direttamente sul funzionamento del mercato interno. La proposta in esame si prefigge inoltre di garantire alle amministrazioni fiscali l’accesso alle informazioni relative ai beneficiari effettivi delle operazioni finanziarie che — in base ai riscontri di verifiche, esami e revisioni contabili — potrebbero dar adito a dubbi quanto alla loro legalità o persino configurarsi come operazioni di riciclaggio di denaro a beneficio di organizzazioni criminali o terroristiche.

3.   Osservazioni generali e specifiche

3.1.

La proposta di direttiva in esame raccomanda l’attuazione uniforme, in tutti i paesi dell’UE, delle norme in materia di scambio di informazioni tra le amministrazioni fiscali degli Stati membri relativamente al beneficiario effettivo di talune operazioni finanziarie che possono configurarsi come operazioni di riciclaggio di denaro. Come già indicato in pareri precedenti (3), il CESE accoglie con favore l’iniziativa della Commissione e ne sostiene gli sforzi volti a contrastare l’evasione fiscale e il riciclaggio di denaro: quest’ultima pratica non solo erode le basi imponibili degli Stati membri, ma costituisce anche una delle principali fonti di finanziamento delle organizzazioni criminali e terroristiche a livello mondiale.

3.2.

Il CESE approva le norme relative all’accesso delle amministrazioni fiscali ai meccanismi, alle procedure, ai documenti e alle informazioni riguardanti operazioni finanziarie che possono configurarsi come operazioni di riciclaggio di denaro. Con la dichiarazione del 18 aprile 2016, il G20 ha invitato il gruppo di azione finanziaria internazionale (GAFI) a presentare proposte per migliorare l’attuazione delle norme internazionali in materia di trasparenza, anche per quanto riguarda la disponibilità di informazioni sui beneficiari effettivi e lo scambio di tali informazioni a livello internazionale. Pertanto, il CESE raccomanda alla Commissione e agli Stati membri di intensificare i negoziati internazionali nel quadro di istituzioni quali l’OCSE o il G20, in modo da consentire l’applicazione delle suddette norme a livello mondiale.

3.3.

Dal momento che la proposta di direttiva che modifica la direttiva DAC non potrà entrare pienamente in vigore finché non sarà approvata anche la proposta di direttiva che modifica la quarta direttiva antiriciclaggio (4), il CESE raccomanda agli Stati membri e al Parlamento europeo di approvare l’intero pacchetto legislativo proposto dalla Commissione.

3.4.

In considerazione non solo della recrudescenza delle attività terroristiche a livello globale, ma anche degli attentati perpetrati che hanno mietuto vite umane in diversi Stati membri dell’UE, il CESE ritiene che le norme proposte dalla Commissione debbano essere approvate con urgenza. L’adozione di norme antiriciclaggio più efficaci elimina una delle principali fonti di finanziamento delle organizzazioni terroristiche.

Il CESE raccomanda agli Stati membri di garantire le risorse umane, finanziarie e logistiche necessarie per attuare le nuove norme contenute nel pacchetto antiriciclaggio presentato dalla Commissione europea. Il CESE ritiene altresì che lo sviluppo di programmi per lo scambio di buone pratiche tra esperti delle amministrazioni fiscali degli Stati membri potrebbe contribuire al conseguimento di risultati migliori nell’attuazione delle nuove disposizioni.

Bruxelles, 19 ottobre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  COM(2016) 450 final.

(2)  COM(2016) 452 final.

(3)  GU C 271 del 19.09.2013, pag. 31.

(4)  Cfr. nota 1.


2.2.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 34/130


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sulle pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare tra imprese»

[COM(2016) 32 final]

(2017/C 034/21)

Relatore:

Peter SCHMIDT

Consultazione

Commissione europea, 04/03/2016

Base giuridica

Articolo 43, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

[COM(2016) 32 final]

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

30/09/2016

Adozione in sessione plenaria

19/10/2016

Sessione plenaria n.

520

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

221/0/5

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE mette in evidenza la necessità di rimediare alla posizione di debolezza dei soggetti più vulnerabili lungo la filiera alimentare, ponendo fine alle pratiche commerciali sleali delle aziende alimentari al dettaglio e di alcune imprese transnazionali, che aumentano il rischio e l’incertezza per tutti gli operatori di tale filiera e, di conseguenza, sono all’origine di costi superflui.

1.2.

Il CESE prende atto che prevenire le pratiche commerciali sleali non sarebbe di per sé sufficiente a risolvere i problemi strutturali di mercato della filiera alimentare, quali gli squilibri temporanei del mercato, la situazione vulnerabile degli agricoltori ecc.

1.3.

Il CESE riafferma le preoccupazioni e le raccomandazioni già espresse nel suo parere sul tema Relazioni commerciali tra la grande distribuzione e i fornitori di prodotti alimentari — quadro della situazione attuale  (1). In particolare, il CESE invita ancora una volta la Commissione a modificare la normativa UE adattandola alle caratteristiche specifiche dei vari soggetti del settore alimentare.

1.4.

Il CESE richiama l’attenzione sull’esistenza di carenze del mercato, in quanto la situazione continua a peggiorare in un sistema non sufficientemente regolato (2).

1.5.

Il CESE sostiene con vigore la risoluzione del Parlamento europeo del 7 giugno 2016 (3), in cui si evidenzia la necessità di una normativa quadro a livello dell’UE per contrastare le pratiche commerciali sleali del settore della vendita al dettaglio di prodotti alimentari e di alcune imprese transnazionali e dare agli agricoltori e ai consumatori europei la possibilità di beneficiare di condizioni di vendita e di acquisto eque. Vista la natura di tali pratiche, il CESE ritiene necessario e doveroso che l’UE adotti provvedimenti giuridici al fine di proibirle.

1.6.

Il CESE invita la Commissione e gli Stati membri a intraprendere un’azione rapida per prevenire le pratiche commerciali sleali istituendo a tal fine una rete di autorità di contrasto armonizzata al livello dell’UE, in modo da creare condizioni di parità nel mercato unico.

1.7.

Il CESE accoglie con favore la creazione della Supply Chain Initiative (SCI — Iniziativa della catena di approvvigionamento) su scala unionale e di altri sistemi nazionali volontari, ma solo in aggiunta a meccanismi di attuazione solidi ed efficaci al livello degli Stati membri. Tuttavia, è necessario garantire che tutte le parti interessate (ad esempio gli agricoltori e i sindacati) possano partecipare e che le denunce possano essere presentate in modo anonimo. È inoltre necessario stabilire sanzioni dissuasive. Tali piattaforme, inoltre, dovrebbero essere in grado di reagire in modo indipendente. Il CESE propone altresì l’istituzione di un Mediatore dotato di poteri di regolamentazione esercitabili nella fase di mediazione preliminare.

1.8.

Il CESE chiede che siano vietate pratiche sleali quali quelle elencate al punto 3.3 del presente parere.

1.9.

In particolare, il CESE raccomanda che ai fornitori, e in particolare agli agricoltori, sia pagato un prezzo non inferiore al costo di produzione. Chiede inoltre che sia vietata in modo efficace la vendita sottocosto da parte delle aziende alimentari al dettaglio.

1.10.

Il CESE raccomanda di incoraggiare e sostenere i modelli commerciali alternativi che contribuiscono ad accorciare la catena di approvvigionamento tra i produttori e i consumatori finali di alimenti, ad esempio attraverso le politiche degli Stati membri in materia di appalti pubblici.

1.11.

Il CESE propone di rafforzare il ruolo e la posizione delle cooperative e delle organizzazioni dei produttori per ristabilire l’equilibrio di potere, poiché esse costituiscono una forma di impresa adeguata e importante, nel cui ambito i produttori agricoli, in quanto proprietari, possono rafforzare insieme, anche alle condizioni del mercato interno, la loro posizione di mercato e possono agire attivamente per riequilibrare la distribuzione del potere di contrattazione nella catena di approvvigionamento alimentare.

1.12.

Il CESE esorta gli operatori della filiera alimentare a sviluppare relazioni commerciali eque basate su contratti stabili e a lungo termine e a cooperare tra loro per soddisfare le esigenze e le richieste dei consumatori.

1.13.

Il CESE chiede inoltre che siano protetti gli informatori che denunciano le pratiche commerciali sleali, ai quali deve essere garantito l’anonimato.

1.14.

Il CESE raccomanda di introdurre il diritto all’azione collettiva.

1.15.

Il CESE propone di avviare una campagna di informazione e di sensibilizzazione su scala europea sul «valore degli alimenti», che sarebbe necessaria per garantire un cambiamento a lungo termine del comportamento dei consumatori.

2.   Introduzione

2.1.

La filiera agroalimentare collega diversi settori importanti dell’economia europea che sono di primaria importanza per il benessere economico, sociale e ambientale, nonché per la salute dei cittadini europei. Negli ultimi anni, tuttavia, all’interno della filiera di approvvigionamento, si è verificato uno spostamento del potere di contrattazione, che ha avvantaggiato principalmente il settore del commercio al dettaglio e alcune imprese transnazionali a scapito dei fornitori, in particolare dei produttori primari.

2.2.

Un numero ristretto di aziende domina attualmente la commercializzazione e la vendita dei prodotti alimentari. Ad esempio, molti dei mercati di generi alimentari degli Stati membri sono controllati da non più di tre — cinque rivenditori al dettaglio, con una quota di mercato complessiva compresa tra il 65 e il 90 % tra i rivenditori al dettaglio moderni (4), (5).

2.3.

La concentrazione del potere di contrattazione ha portato ad abusi di posizione dominante e ha reso gli operatori più deboli sempre più vulnerabili alle pratiche commerciali sleali. In tal modo si trasferisce il rischio economico dal mercato verso i segmenti più a monte della filiera, con un impatto particolarmente negativo sui consumatori e su taluni operatori, per esempio gli agricoltori, i lavoratori e le PMI.

2.4.

Il CESE ha già trattato le pratiche commerciali sleali nel suo parere sul tema Relazioni commerciali tra la grande distribuzione e i fornitori di prodotti alimentari — quadro della situazione attuale, nel febbraio del 2013 (6). Da allora, la situazione è migliorata ben poco. Al contrario, il potere del settore del commercio al dettaglio è addirittura aumentato, e questo potrebbe portare ad abusi nei confronti di taluni operatori, per esempio gli agricoltori, i lavoratori e le PMI.

3.   Le pratiche commerciali sleali e il loro impatto

3.1.

Le pratiche commerciali sleali possono essere definite in generale come quelle che si distanziano in modo significativo da una condotta commerciale corretta e sono in contrasto con i principi di buona fede e correttezza (7).

3.2.

Le pratiche commerciali sleali possono verificarsi in qualsiasi parte della catena di approvvigionamento e tra una molteplicità di operatori. Tuttavia, sono più diffuse nelle ultime fasi della filiera, caratterizzate da una maggiore concentrazione di potere tra i rivenditori al dettaglio e imprese transnazionali. Quando si riscontrano nelle fasi precedenti della filiera, sono spesso il risultato di un trasferimento dei rischi derivanti dal ricorso a pratiche sleali nelle fasi successive.

3.3.

Alcuni esempi di tali pratiche sono:

trasferimento sleale del rischio commerciale;

condizioni contrattuali poco chiare o non specificate;

modifiche unilaterali e retroattive ai contratti, compreso il prezzo;

riduzione della qualità dei prodotti o delle informazioni ai consumatori senza comunicazione, consultazione o consenso degli acquirenti;

contributi ai costi promozionali e di commercializzazione;

pagamenti ritardati;

commissioni per l’inclusione nell’assortimento o di fidelizzazione;

oneri per la collocazione di prodotti sugli scaffali;

richieste per i prodotti smaltiti o invenduti;

uso di specifiche di prodotto cosmetiche per respingere partite di prodotti alimentari o ridurre il prezzo pagato;

pressioni esercitate per ottenere riduzioni dei prezzi;

oneri per servizi fittizi;

cancellazioni di ordini e riduzioni dei volumi previsti effettuate all’ultimo minuto;

minacce di esclusione dall’assortimento;

tariffe forfettarie che le aziende impongono ai fornitori per inserirli nel loro elenco («pay to stay»).

3.4.

Le pratiche commerciali sleali hanno effetti estesi sugli operatori, sui consumatori e sull’ambiente. Tuttavia, tali pratiche sono redditizie per loro stessa natura, e garantiscono quindi guadagni a breve termine a coloro che vi ricorrono, a scapito di altre parti interessate nella catena di fornitura. Nel lungo periodo, gli operatori della filiera alimentare devono avere rapporti di fornitura sostenibili e lavorano per prevenire perturbazioni della catena di approvvigionamento al fine di competere e continuare a soddisfare le esigenze dei consumatori, che sono in costante evoluzione.

3.5.   L’impatto sui fornitori

3.5.1.

Gli impatti di queste pratiche sugli operatori che le subiscono sono molteplici e di vasta portata e possono riflettersi in una contrazione dei ricavi dei fornitori, a causa di deduzioni sui prezzi o maggiori costi derivanti da tali pratiche. Le pratiche commerciali sleali comportano un costo per i fornitori stimato in circa 30-40 miliardi di euro (8). Oltre alle continue pressioni sui prezzi subite dai fornitori, tali pratiche creano incertezza, stagnazione dell’innovazione e degli investimenti nella catena di approvvigionamento e possono causare la cessazione dell’attività di fornitori competenti e responsabili.

3.5.2.

La pressione esercitata sugli agricoltori e sul settore della trasformazione, e la conseguente pressione al ribasso sui prezzi portano anche a una riduzione dei salari sia nel settore agricolo sia per i dipendenti del settore manifatturiero alimentare. Nel caso degli impieghi più stabili, la corsa al ribasso dei prezzi comporta anche il ribasso dei salari affinché i fornitori possano conseguire i loro margini.

3.5.3.

Le PMI sono spesso le imprese più vulnerabili a queste pratiche, come avviene, ad esempio nel commercio mondiale delle banane: la produzione dei piccoli agricoltori è utilizzata per «integrare» i volumi delle piantagioni più grandi, e questi fornitori rischiano di essere i primi a essere tagliati fuori da una vendita se un ordine viene annullato senza il dovuto preavviso (9).

3.5.4.

In alcune aree di produzione e trasformazione di alimenti la libertà contrattuale non esiste più. In Germania i recenti sviluppi mostrano che i prezzi al dettaglio sono stati ridotti in modo unilaterale, senza negoziati con i fornitori. Nel Regno Unito il latte è spesso un articolo di richiamo nel settore dei generi alimentari e i produttori lattiero-caseari si trovano a incassare cifre sempre più basse per il loro latte, in alcuni casi inferiori ai costi di produzione. In Spagna è legale per l’industria di trasformazione pagare un prezzo inferiore al costo, il che incide pesantemente sulla formazione dei prezzi lungo la filiera.

3.5.5.

Il settore dei prodotti freschi è particolarmente suscettibile alle pratiche commerciali sleali a causa dell’alta deperibilità dei prodotti forniti al mercato europeo. Gli agricoltori hanno a disposizione un arco di tempo limitato per vendere i loro prodotti garantendo un’adeguata durata di conservazione per il cliente e il consumatore finale, e spesso gli acquirenti commerciali dei rivenditori al dettaglio e gli intermediari ne approfittano imponendo riduzioni di prezzo non negoziabili al ricevimento della merce.

3.5.6.

Diversi studi hanno evidenziato che determinati operatori hanno un evidente potere contrattuale del quale abusano attraverso pratiche commerciali sleali (10). Tali pratiche possono evidenziarsi in qualsiasi parte della catena di approvvigionamento, e sono altrettanto evidenti nei rapporti tra gli agricoltori e l’industria alimentare, poiché le imprese di quel settore dispongono anch’esse di un «potere contrattuale di acquirente» importante per effetto di una relativa concentrazione del potere (11).

3.5.7.

L’aumento delle vendite di prodotti «con marchio proprio» dei rivenditori al dettaglio (etichette bianche o marchi di proprietà) permette a questi ultimi di cambiare frequentemente fonti di approvvigionamento se trovano prodotti più convenienti durante o dopo l’inizio delle relazioni contrattuali. Tuttavia, i prodotti «con marchio proprio» non costituiscono di per sé un abuso, e possono aiutare le PMI ad accedere al mercato e a offrire ai consumatori una maggiore varietà di scelta.

3.5.8.

L’espansione di alcune attività al dettaglio attraverso l’integrazione verticale nell’approvvigionamento e nel trattamento può indurre i dettaglianti a tagliare i prezzi. È un esempio di aumento del potere di contrattazione attraverso la continua concentrazione del potere.

3.5.9.

In caso di vendita a un prezzo inferiore al costo di produzione e l’uso di prodotti agricoli di base quali il latte, il formaggio, la frutta e gli ortaggi quali «articoli civetta» (ossia venduti sotto il prezzo d’acquisto) da parte della grande distribuzione e di alcune imprese transnazionali costituiscono una minaccia per la sostenibilità a lungo termine della produzione agricola europea.

3.6.   L’impatto sui consumatori

3.6.1.

Le pratiche commerciali sleali hanno un notevole effetto negativo sui consumatori europei. Gli operatori più grandi riescono spesso ad assorbire i costi rappresentati da tali pratiche, mentre le piccole imprese sono sempre più sotto pressione e non sono in grado di investire e innovare, il che le esclude dai mercati ad alto valore aggiunto (12), riduce le possibilità di scelta per i consumatori e in ultima analisi porta a un aumento dei prezzi al consumo.

3.6.2.

La mancanza di trasparenza sulle etichette va a scapito dei consumatori, che non sono in grado di scegliere con cognizione di causa, pur avendo espresso in diverse occasioni il desiderio di favorire i prodotti agroalimentari sani, di qualità, rispettosi dell’ambiente e legati all’area locale. Questa opacità ha un impatto negativo sulla fiducia dei consumatori e aggrava ulteriormente la crisi che colpisce il settore agricolo.

3.6.3.

Le pressioni sui prezzi costringono l’industria della trasformazione a produrre al minor costo possibile, il che può incidere sulla qualità degli alimenti disponibili per i consumatori. Per ridurre i costi, in alcuni casi le aziende utilizzano materie prime più economiche, che incidono sulla qualità e sul valore dei prodotti alimentari, un esempio di ciò è costituito dall’utilizzo di acidi grassi trans in sostituzione di oli e grassi più sani di origine europea in molti prodotti.

3.7.   L’impatto sull’ambiente

3.7.1.

È necessario riconoscere che le pratiche commerciali sleali hanno un impatto sull’ambiente, in quanto incoraggiano la sovrapproduzione dei fornitori che vogliono cautelarsi contro l’incertezza, il che può portare allo spreco di alimenti e causare un inutile impoverimento delle risorse, ivi compresi la terra, l’acqua, i prodotti agrochimici e i carburanti (13), (14).

4.   Sintesi della relazione della Commissione sulle pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare tra imprese

4.1.

La Commissione ha redatto una relazione (15) in cui valuta l’esistenza e l’efficacia dei quadri nazionali istituiti per l’attuazione delle misure di contrasto delle pratiche commerciali sleali, nonché il ruolo svolto dall’iniziativa volontaria a livello di UE Supply Chain Initiative (SCI — Iniziativa della catena di approvvigionamento) e dalle relative piattaforme volontarie nazionali.

4.2.

La relazione della Commissione del 2016 mette in evidenza il fatto che la stragrande maggioranza degli Stati membri ha già introdotto misure normative e sistemi pubblici di attuazione per contrastare le pratiche commerciali sleali. Alcuni Stati membri sono andati più avanti di altri, tuttavia molti non sono ancora in grado di porre rimedio al «clima di paura» che percepiscono le vittime di tali pratiche. Dal momento che esistono diversi approcci per combatterle efficacemente, la Commissione ha concluso che, in questa fase, uno specifico atto legislativo dell’UE non apporterebbe alcun valore aggiunto.

4.3.

La Supply Chain Initiative  (16) è un’iniziativa comune cui partecipano 8 associazioni europee che rappresentano il settore degli alimenti e delle bevande, i fabbricanti di prodotti di marca, il commercio al dettaglio, le piccole e medie imprese e gli operatori agricoli. La SCI è stata lanciata nel quadro del «Forum di alto livello per un migliore funzionamento della filiera alimentare» (17) con lo scopo di aiutare le parti interessate a combattere le pratiche commerciali sleali.

4.4.

La relazione conclude che la SCI ha creato consapevolezza intorno a tali pratiche ed è potenzialmente un’alternativa più veloce e più conveniente ai procedimenti giudiziari. Essa potrebbe anche contribuire a risolvere i problemi transfrontalieri. La Commissione evidenzia anche le aree di potenziale miglioramento della SCI, come ad esempio una maggiore imparzialità della struttura di governance e la possibilità di presentare singole denunce riservate.

5.   Osservazioni generali

5.1.

La posizione del CESE rispetto alla relazione della CE è in linea con la risoluzione del Parlamento europeo sulle pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare adottata il 7 giugno 2016 con un ampio sostegno trasversale (18). Il Parlamento sottolinea la necessità di una normativa quadro al livello dell’UE e invita la Commissione a presentare proposte volte a contrastare le pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare, in modo da garantire un reddito equo agli agricoltori e un’ampia possibilità di scelta ai consumatori. Il Parlamento sottolinea inoltre che la SCI e altri sistemi volontari a livello nazionale ed europeo non dovrebbero essere promossi in quanto alternative, ma «in aggiunta a meccanismi di controllo solidi ed efficaci a livello degli Stati membri, assicurando l’anonimato delle denunce e la definizione di sanzioni dissuasive, unitamente ad un coordinamento a livello di UE» (19).

5.2.

La Commissione ritiene che la Supply Chain Initiative sia ancora troppo recente per poterne valutare il successo. Tuttavia, il Comitato economico e sociale europeo osserva che la SCI non è stata efficace nel ridurre le pratiche commerciali sleali e gli abusi di potere d’acquisto per i seguenti motivi:

5.2.1.

La leadership del commercio al dettaglio nella SCI è un importante deterrente nei confronti di qualsiasi agricoltore che intenda impegnarsi in modo efficace nella piattaforma, data la sfiducia tra queste parti interessate. La SCI quindi non garantisce ai fornitori l’anonimato di cui hanno bisogno per superare il «clima di paura». Inoltre, la SCI non può indagare in modo proattivo sulle catene di approvvigionamento, e pertanto attende che siano gli operatori a sporgere denuncia, ponendo così l’onere della prova sulle vittime.

5.2.2.

Secondo la Commissione, la SCI permette un’autoregolamentazione delle pratiche commerciali sleali. Tuttavia, la mancanza di sanzioni finanziarie fa sì che gli acquirenti non siano dissuasi dall’utilizzare le pratiche che risultano redditizie. Il rivenditore al dettaglio britannico Tesco PLC, per esempio, ha recentemente condotto pratiche commerciali sleali nei rapporti con i propri fornitori, pur essendo un membro della SCI. La Tesco ha subito sanzioni non finanziarie dalle autorità britanniche (il Groceries Code Adjudicator, o arbitro del codice dei generi alimentari), ma non ha ricevuto alcuna sanzione dalla SIC. L’unico potere dissuasivo della SIC è la sua facoltà di espellere un’azienda colpevole di infrazioni, della quale non si è ancor avvalsa nei confronti della Tesco PLC. Questo è un chiaro esempio di come la SCI non impedisca il ricorso alle pratiche sleali.

5.2.3.

Il CESE constata inoltre l’assenza tra i membri della SCI degli agricoltori e dei sindacati. Anche se alcune organizzazioni non hanno mai aderito all’iniziativa o a suoi omologhi nazionali, l’Unione centrale finlandese dei produttori agricoli e dei proprietari di foreste (MTK), uno dei membri fondatori della piattaforma nazionale di attuazione della SCI in Finlandia, ha abbandonato l’iniziativa sostenendo che essa non ha funzionato in quanto è aumentato il rischio per gli agricoltori a causa della mancanza di anonimato.

6.   Gli attuali meccanismi di applicazione per prevenire le pratiche commerciali sleali in Europa

6.1.

In venti Stati membri sono in vigore disposizioni legislative e iniziative normative, ma il loro successo è ancora moderato (20). Quindici di questi Stati hanno introdotto misurazioni negli ultimi cinque anni, a dimostrazione della significativa presenza di pratiche commerciali sleali nella catena di approvvigionamento. Tuttavia, vi è una grande disparità tra i diversi livelli di regolamentazione, e molte autorità nazionali di contrasto non hanno il potere di irrogare sanzioni finanziarie o di raccogliere denunce anonime.

6.2.

Il Codice di buone pratiche nel settore alimentare del Regno Unito (Groceries Supply Code of Practice, GSCOP) (21) è considerato come una delle misure legislative più avanzate per prevenire tali pratiche (22). Prima della creazione di questo codice, esisteva un codice di condotta volontario, ma è risultato essere inefficace nel prevenire le pratiche sleali a causa della sua mancanza di regolamentazione. Il GSCOP è regolato dal Groceries Code Adjudicator (arbitro del codice dei generi alimentari), che ha il potere legale di ricevere le denunce anonime riguardanti tali pratiche, avviare indagini d’ufficio, pubblicizzare le cattive condotte di queste imprese e punire i rivenditori al dettaglio con multe fino all’1 % del fatturato annuo per le violazioni del GCSOP. Tuttavia, nonostante i risultati ottenuti, il GCA può solo regolamentare il rapporto tra i rivenditori al dettaglio e i loro fornitori diretti (in gran parte con sede nel Regno Unito). Questo problema presenta «rischi morali» perché i rivenditori al dettaglio ed i loro fornitori diretti trasferiscono il rischio ai fornitori indiretti mediante pratiche sleali.

6.3.

Indagini simili a quella della Commissione della concorrenza del Regno Unito sono state condotte in Spagna (23), Finlandia (24), Francia (25), Italia (26) e Germania, e ognuna di esse ha mostrato una elevata presenza di pratiche commerciali sleali nella catena di approvvigionamento alimentare.

6.4.

Molti degli operatori europei sono attivi in più Stati membri, dando a queste imprese la possibilità di «ricercare il foro più vantaggioso», compromettendo in tal modo la legislazione al livello degli Stati membri. Il panorama legislativo non armonizzato nell’UE ha creato una situazione di disparità all’interno del mercato unico. Inoltre, se la legislazione disciplina solo i rapporti tra fornitori diretti e dettaglianti, l’uso di organizzazioni di intermediari da parte dei rivenditori al dettaglio per l’acquisto di alimenti riduce l’efficacia di tale normativa, come avviene nel caso del Regno Unito. Si tratta di un altro argomento a favore di una normativa a livello europeo.

6.5.

I fornitori extraeuropei in genere riforniscono indirettamente i rivenditori al dettaglio dell’UE tramite importatori e altri intermediari. Ne consegue che c’è poca consapevolezza dell’esistenza di tali autorità (27), e chi ne è a conoscenza incontra spesso difficoltà nell’accedere alle autorità di contrasto perché intervengano contro le pratiche sleali.

7.   Richiesta di una rete europea di autorità nazionali di contrasto per prevenire le pratiche commerciali sleali

7.1.

In virtù delle osservazioni formulate in precedenza, il CESE chiede l’istituzione di una rete europea di autorità di contrasto per prevenire le pratiche commerciali sleali. La natura di tali pratiche richiede e giustifica che la legislazione dell’UE le proibisca, in modo da proteggere tutti i fornitori di prodotti alimentari ovunque si trovino, anche nei paesi terzi. Affinché tale divieto sia efficace, le autorità di contrasto all’interno della rete devono avere le seguenti prerogative:

libero accesso a tutti gli operatori e le parti interessate nella catena di approvvigionamento alimentare dell’UE, indipendentemente dalla loro ubicazione geografica,

misure per proteggere efficacemente l’anonimato e la riservatezza delle parti interessate che desiderano denunciare le pratiche commerciali sleali,

capacità di agire d’ufficio nelle indagini per abuso di potere d’acquisto a carico di imprese,

capacità di irrogare sanzioni finanziarie e non finanziarie alle imprese colpevoli di infrazioni,

coordinamento a livello UE tra le autorità di contrasto degli Stati membri,

potenziale di coordinamento internazionale con le autorità di contrasto non UE per prevenire le pratiche commerciali sleali che si verificano all’interno e all’esterno del mercato unico.

7.2.

L’obiettivo di tutti gli Stati membri dovrebbe essere quello di istituire organismi nazionali di contrasto per il trattamento delle denunce relative alle pratiche commerciali sleali. Questi organismi dovrebbero avere almeno le prerogative di cui sopra.

7.3.

Le misure legislative volte a prevenire le pratiche commerciali sleali possono e devono essere efficaci sotto il profilo dei costi.

7.4.

La risoluzione del Parlamento europeo invita inoltre la Commissione a mettere in atto meccanismi di contrasto efficaci, ad esempio organizzando e coordinando una «rete di autorità nazionali reciprocamente riconosciute a livello dell’UE» (28).

7.5.

Il British Institute of International and Comparative Law (BIICL — «Istituto britannico di diritto internazionale e comparativo») ha raccomandato all’UE di adottare una direttiva per stabilire obiettivi comuni tra le autorità di controllo degli Stati membri per prevenire le pratiche commerciali sleali e di includervi regole per il coordinamento di tali autorità a livello europeo (29).

8.   Attuali buone pratiche del settore per prevenire le pratiche commerciali sleali

8.1.

I contratti con prezzi fissi o con prezzi minimi garantiti basati su negoziati equi tra acquirenti e fornitori offrono a questi ultimi un maggior grado di sicurezza rispetto alla vendita di prodotti sul mercato aperto. Tuttavia, sebbene questi tipi di contratto garantiscano prezzi fissi per i fornitori, questa pratica sarebbe rafforzata se i volumi di produzione fossero fissi o avessero garanzie minime. Attualmente, i volumi possono essere modificati retroattivamente e i prodotti possono essere rifiutati dagli acquirenti quando la domanda del mercato cambia, a volte all’ultimo minuto, comportando spese impreviste per la ricommercializzazione, il reimballaggio o lo smaltimento dei prodotti alimentari.

8.2.

Alcuni dei fornitori che riforniscono l’UE hanno cominciato a impiegare agenti di parte terza per controllare i prodotti al loro arrivo a destinazione ed evitare reclami pretestuosi di rifiuto dei prodotti da parte degli importatori. Tali reclami vengono sporti quando si verificano cambiamenti nella domanda e nell’offerta previste, aumentando così il rischio per gli acquirenti nelle ultime fasi della filiera. Questo problema ha un andamento stagionale, perché, quando l’offerta è alta e i prezzi sono bassi, i fornitori rischiano maggiormente di ricevere reclami rispetto a quando l’offerta è scarsa. Anche se il ricorso ad agenti di parte terza riduce certamente la frequenza di tali reclami di rifiuto per gli esportatori, tali servizi rappresentano un costo aggiuntivo per il fornitore, limitando ulteriormente la sua capacità di investimento e di innovazione nella sua azienda. Inoltre, i fornitori più piccoli, in genere, non sono in grado di permettersi questo tipo di assistenza e quindi non beneficiano di questa pratica.

9.   Filiere agroalimentari alternative

9.1.

Ci sono molti esempi di filiere agroalimentari alternative, in cui esistono pratiche commerciali più eque e un equilibrio più corretto di distribuzione o ridistribuzione. Esistono alcuni approcci promettenti nel settore delle cooperative, ma essi sono sempre più minacciati dal crescente potere dei gruppi aziendali e delle multinazionali.

9.2.

Per rendere più equa la catena di approvvigionamento alimentare dell’UE è necessario combinare le misure volte a contrastare il potere detenuto dalle grandi imprese nella catena di approvvigionamento, prevenendo così le pratiche commerciali sleali, con misure intese a rafforzare la parte opposta, incoraggiando lo sviluppo di cooperative e canali alternativi per la distribuzione degli alimenti.

9.3.

Le cooperative e le associazioni degli agricoltori in Europa e nei paesi terzi hanno permesso ai fornitori di aggregare i volumi di produzione, al fine di aumentare il potere di vendita, accedere ai mercati tradizionali e negoziare prezzi migliori. Tali modelli aziendali permettono ai piccoli fornitori un maggiore controllo della produzione e della commercializzazione dei loro prodotti e offrono un’alternativa alle operazioni di crescita su larga scala. Il Parlamento europeo ha invitato la Commissione a incoraggiare i modelli commerciali «al fine di aumentare il loro potere contrattuale e la loro posizione nella catena di approvvigionamento alimentare» (30). Inoltre, è necessaria una più forte promozione su base regionale e di settore della cooperazione tra i produttori e le cooperative (31).

9.4.

I programmi di agricoltura sostenuta dalla comunità (CSA) e altre cooperative di agricoltori e consumatori consentono a questi ultimi di contribuire direttamente alla produzione degli alimenti che consumano. I dati più recenti indicano che ci sono attualmente 2 776 programmi di CSA attivi in Europa, che approvvigionano 472 055 consumatori (32). Anche i modelli più grandi di prodotto «con consegna a domicilio» beneficiano delle filiere corte per consegnare i prodotti o direttamente alle famiglie consumatrici o a punti di raccolta centralizzati.

9.5.

La vendita diretta dei prodotti agroalimentari da parte dagli agricoltori, per esempio nei mercati degli agricoltori, presenta un duplice vantaggio: consente ai produttori di evitare le pratiche sleali, una maggiore autonomia e utili superiori, e offre ai consumatori l’accesso a prodotti freschi, genuini e sostenibili, la cui origine è sicura. In uno studio (33) si è constatato che gli agricoltori ricavano proventi molto più elevati per i loro prodotti utilizzando queste filiere anziché i mercati tradizionali. Tali iniziative dovrebbero essere ulteriormente sostenute da finanziamenti pubblici, ad esempio dai pagamenti relativi al secondo pilastro della PAC, perché esse, oltre a soddisfare le esigenze dei consumatori, generano crescita e occupazione.

9.6.

Gli Stati membri dovrebbero trovare soluzioni per migliorare la situazione degli agricoltori e delle aziende alimentari locali mediante contratti diretti con le autorità pubbliche nell’ambito dell’attuazione delle nuove direttive sugli appalti pubblici, andando oltre la logica dello sconto massimo.

9.7.

Si dovrebbe inoltre avviare una campagna di informazione e di sensibilizzazione su scala europea sul valore degli alimenti. Si rendono infatti sempre più necessarie un’accresciuta consapevolezza da parte dei consumatori riguardo all’importanza della produzione alimentare, come anche una maggiore valorizzazione degli alimenti, che possono entrambe contribuire al diffondersi di pratiche commerciali più eque.

Bruxelles, 19 ottobre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  GU C 133 del 9.5.2013, pag.16.

(2)  Cfr. la nota 1.

(3)  Risoluzione del Parlamento europeo del 7 giugno 2016 sulle pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare, [2015/2065(INI)].

(4)  Friends of the Earth, 2015. Eating From The Farm.

(5)  Consumers International, 2012. The relationship between supermarkets and suppliers: What are the implications for consumers? («Il rapporto tra i supermarket e i fornitori: quali implicazioni per i consumatori?»)

(6)  Cfr. la nota 1.

(7)  Commissione europea, 2014. Affrontare le pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare tra imprese COM(2014) 472 final.

(8)  Europe Economics. Estimated costs of Unfair Trading Practices in the EU Food Supply Chain («Stima dei costi delle pratiche commerciali sleali nella catena di approvvigionamento alimentare dell’UE»).

(9)  Make Fruit Fair, 2015. Banana Value Chains in Europe and the Consequences of Unfair Trading Practices («Le catene del valore delle banane in Europa e le conseguenze delle pratiche commerciali sleali»). http://www.makefruitfair.org/wp-content/uploads/2015/11/banana_value_chain_research_FINAL_WEB.pdf.

(10)  Relazione settimanale, Berlino 13/2011 pagina 4 e segg.

(11)  Cfr. la nota 1.

(12)  Fair Trade Advocacy Office, 2014. Who’s got the power? Tackling imbalances in agricultural supply chains. (Chi ha il potere? Ridurre gli squilibri nelle filiere alimentari). Pag. 4.

(13)  Parlamento europeo — Commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, 2016. Relazione sulle pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare [2015/2065(INI)].

(14)  Feedback, 2015. Food Waste In Kenya: uncovering food waste in the horticultural export supply chain.

(15)  COM(2016) 32 final.

(16)  http://www.supplychaininitiative.eu/it/homepage

(17)  http://ec.europa.eu/growth/sectors/food/competitiveness/supply-chain-forum/index_en.htm

(18)  Relazione del Parlamento europeo sulle pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare, 7 giugno 2016 [2015/2065(INI)].

(19)  Risoluzione del Parlamento europeo 2015/2065(INI), ibid.

(20)  Cfr. la nota 15.

(21)  UK GOV. 2016: www.gov.uk/government/publications/groceries-supply-code-of-practice.

(22)  Il codice è stato introdotto a seguito di un’inchiesta condotta dalla Commissione sulla concorrenza del Regno Unito, la quale ha constatato che i rivenditori al dettaglio hanno un potere sproporzionato nella catena di approvvigionamento, cosa che comporta il trasferimento del rischio verso i livelli più a monte di detta catena.

(23)  Comisión Nacional de los Mercados y la Competencia, Informe sobre las relaciones entre fabricantes y distribuidores en el sector alimentario, 2011.

(24)  Autorità finlandese garante della concorrenza (AFGA), «Lo studio della AFGA dimostra che il commercio quotidiano dei beni di consumo utilizza il suo potere d’acquisto in diversi modi che sono discutibili per la concorrenza», 2012.

(25)  Autorité de la Concurrence, Avis no 12-A-01 du 11 janvier 2012 relatif à la situation concurrentielle dans le secteur de la distribution alimentaire à Paris.

(26)  Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, «Indagine conoscitiva sul settore della Grande Distribuzione Organizzata», 2013.

(27)  Feedback, 2015 ibid.

(28)  Risoluzione del Parlamento europeo 2015/2065(INI), ibid.

(29)  Link: http://www.biicl.org/documents/872_biicl_enforcement_mechanisms_report_-_final_w_exec_sum.pdf?showdocument=1.

(30)  Risoluzione del Parlamento europeo 2015/2065(INI), ibid.

(31)  GU C 303 del 19.8.2016, pag. 64.

(32)  Gruppo europeo di ricerca CSA, 2015. Overview of Community Support Agriculture in Europe («Panoramica dell’agricoltura sostenuta dalla comunità in Europa»). http://urgenci.net/wp-content/uploads/2016/05/Overview-of-Community-Supported-Agriculture-in-Europe.pdf.

(33)  http://www.foeeurope.org/sites/default/files/agriculture/2015/eating_from_the_farm.pdf.


2.2.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 34/140


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che definisce le caratteristiche dei pescherecci (rifusione)»

[COM(2016) 273 final — 2016/0145 (COD)]

(2017/C 034/22)

Relatore:

Gabriel SARRÓ IPARRAGUIRRE

Consultazione

Consiglio, 01/06/2016

Parlamento europeo, 06/06/2016

Base giuridica

Articolo 43, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

 

[COM(2016) 273 final — 2016/0145 (COD)]

Decisione dell’Ufficio di presidenza del Comitato

14/06/2016

 

 

Sezione competente:

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

30/09/2016

Adozione in sessione plenaria

19/10/2016

Sessione plenaria n.

520

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

222/0/2

1.   Conclusioni

1.1.

Il CESE concorda con la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio all’esame, che definisce le caratteristiche dei pescherecci (rifusione), giudicandola necessaria e estremamente utile ai fini del diritto dell’Unione.

2.   Contesto

2.1.

Obiettivo della proposta della Commissione è di realizzare la codificazione del regolamento (CEE) n. 2930/86 del Consiglio, del 22 settembre 1986, che definisce le caratteristiche dei pescherecci, modificato dal regolamento (CE) n. 3259/94 del Consiglio, del 22 dicembre 1994.

2.2.

Tale codificazione segue le conclusioni della presidenza del Consiglio europeo di Edimburgo (dicembre 1992), che ha confermato la decisione della Commissione di procedere alla codificazione di tutti gli atti (originali e successive modifiche) dopo non oltre dieci modifiche.

2.3.

La codificazione è necessaria in termini di semplificazione, chiarezza e trasparenza della normativa dell’Unione, affinché diventi più comprensibile e accessibile ai cittadini, offrendo loro nuove possibilità di far valere i diritti che la normativa stessa sancisce.

2.4.

La codificazione va effettuata nel pieno rispetto dell’iter di adozione della legislazione dell’Unione.

3.   Osservazioni generali

3.1.

La proposta della Commissione preserva in pieno la sostanza degli atti oggetto di codificazione.

3.2.

Ciononostante la proposta contiene una serie di modifiche sostanziali all’articolo 5, paragrafo 3, del regolamento (CEE) n. 2930/86, al fine di delegare alla Commissione il potere di adeguare al progresso tecnico i requisiti per la determinazione della potenza continua dei motori. Per tali motivi, la proposta viene presentata in forma di rifusione.

3.3.

La proposta di rifusione è stata elaborata sulla base del consolidamento preliminare, in 23 lingue ufficiali, del regolamento (CEE) n. 2930/86 e dello strumento di modifica dello stesso, effettuato dall’Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea, attraverso un sistema di elaborazione dati.

3.4.

La proposta comprende tre allegati, che rappresentano l’emendamento dell’allegato (adattato) del regolamento (CE) n. 3259/94 e, nel caso gli articoli abbiano una nuova numerazione, indicano il collegamento tra la vecchia e la nuova numerazione della proposta.

4.   Osservazioni specifiche

4.1.

Il CESE condivide le modifiche apportate al contenuto dell’articolo 5, paragrafo 3, che conferisce alla Commissione il potere di adottare atti delegati per adeguare al progresso tecnico i requisiti per la determinazione della potenza continua del motore, stabilita conformemente alle specifiche adottate dall’Organizzazione internazionale per l’unificazione nel quadro delle norme internazionali ISO 3046/1, seconda edizione, ottobre 1981.

Bruxelles, 19 ottobre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


2.2.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 34/142


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce le misure di gestione, di conservazione e di controllo applicabili nella zona della convenzione della Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell’Atlantico (ICCAT) e che modifica i regolamenti del Consiglio (CE) n. 1936/2001, (CE) n. 1984/2003 e (CE) n. 520/2007»

[COM(2016) 401 final — 2016/0187 (COD)]

(2017/C 034/23)

Relatore:

Thomas McDONOGH

Consultazione

Parlamento europeo, 22/06/2016

Consiglio, 30/06/2016

Base giuridica

Articolo 43, paragrafo 2, e articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

[COM(2016) 401 final — 2016/0187 (COD)]

 

 

Decisione dell’Ufficio di presidenza del Comitato

12/07/2016

 

 

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

30/09/2016

Adozione in sessione plenaria

19/10/2016

Sessione plenaria n.

520

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

224/1/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore il recepimento nel diritto dell’UE delle misure adottate dalla Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell’Atlantico (International Commission for the Conservation of Atlantic Tunas — ICCAT) a partire dal 2008. Il Comitato sollecita la Commissione europea a svolgere un ruolo più incisivo in questa e in altre organizzazioni regionali di gestione della pesca (ORGP).

1.2.

Il CESE invita tutte le parti interessate ad assicurare l’esecuzione di queste e di altre misure di conservazione con il massimo rigore. La maggior parte dei pescatori rispettano le regole e meritano condizioni di parità.

1.3.

Il CESE chiede alla Commissione europea di riesaminare e, se del caso, sopprimere l’articolo 7, paragrafo 2, e altresì di modificare, secondo le linee proposte nel presente parere, gli articoli 9, paragrafo 1, 31, 32, da 34 a 36 e 38, paragrafo 4. La possibilità di effettuare, in via eccezionale, il trasbordo in mare, proposta agli articoli da 52 a 59 dovrebbe inoltre essere attentamente riesaminata e, eventualmente, eliminata qualora prevalga l’obbligo generale di trasbordo in porto.

2.   Contesto generale

2.1.

Oltre agli accordi bilaterali, come ad esempio i partenariati o gli accordi di reciprocità per una pesca sostenibile, la Politica comune della pesca (PCP) conferisce all’Unione europea la facoltà di concludere accordi multilaterali nell’ambito delle ORGP. L’obiettivo di tali accordi consiste nel rafforzare la cooperazione regionale allo scopo di garantire la conservazione e lo sfruttamento sostenibile delle risorse ittiche.

2.2.

L’ICCAT è responsabile della conservazione dei tonnidi e delle specie affini (circa 30 in totale) nell’Oceano Atlantico e nei mari adiacenti. L’UE è parte contraente dell’ICCAT dal 1997, in sostituzione di singoli Stati membri.

2.3.

L’ICCAT ha la facoltà di adottare raccomandazioni vincolanti che devono essere recepite nel diritto dell’Unione, nella misura in cui non formano già oggetto di legislazione precedente.

3.   Osservazioni

3.1.

L’articolo 7, paragrafo 2, della proposta, che limita la sostituzione solo a navi di capacità equivalente o inferiore, si basa sulla raccomandazione 14-01 dell’ICCAT, che non è più in vigore. La nuova raccomandazione 15-01 relativa alla cattura dei tonnidi tropicali, non include nella sua forma attuale alcuna limitazione per quanto riguarda le sostituzioni.

3.2.

L’articolo 9, paragrafo 1, concernente i piani di gestione per i dispositivi di concentrazione del pesce (fish-aggregating devices — FAD) fissa il termine per la trasmissione dei piani al segretariato dell’ICCAT al 1o luglio di ogni anno, vale a dire la data di scadenza stabilita nella raccomandazione 14-01. La raccomandazione 15-01 fissa il termine al 31 gennaio; dato che tale limite si applica alla Commissione, gli Stati membri dovrebbero avere una scadenza più ravvicinata, ad esempio il 15 gennaio.

3.3.

Gli articoli 31, 32, 34, 35 e 36, che impongono il divieto di sbarco di squali non autorizzati, potrebbero includere un riferimento all’articolo 15, paragrafo 4, del regolamento di base della PCP (1), che prevede deroghe al divieto generale di rigetto.

3.4.

L’articolo 38, paragrafo 4, dovrebbe iniziare, come nella raccomandazione 07-07 dell’ICCAT, con la dicitura «ove possibile». Ciò non dovrebbe tuttavia precludere la negoziazione di un compromesso più vincolante all’interno dell’ICCAT.

3.5.

Gli articoli 54 e 55 mirano a introdurre le eccezioni dell’ICCAT per i pescherecci con palangari per quanto riguarda il trasbordo in mare, ma nel caso della flotta dell’UE andrebbe applicata la regola generale, che prevede il trasbordo in porto per tutte le operazioni.

Bruxelles, 19 ottobre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Regolamento (UE) n. 1380/2013.


2.2.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 34/144


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (rifusione)»

[COM(2016) 270 final — 2016/0133 (COD)]

sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo e che abroga il regolamento (UE) n. 439/2010»

[COM(2016) 271 final — 2016/0131 (COD)]

e sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l’“Eurodac” per il confronto delle impronte digitali per l’efficace applicazione del regolamento (UE) n. 604/2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di paese terzo o da un apolide, per l’identificazione di cittadini di paesi terzi o apolidi il cui soggiorno è irregolare e per le richieste di confronto con i dati Eurodac presentate dalle autorità di contrasto degli Stati membri e da Europol a fini di contrasto (rifusione)»

[COM(2016) 272 final — 2016/0132 (COD)]

(2017/C 034/24)

Relatore:

José Antonio MORENO DÍAZ

Consultazione

Consiglio dell’Unione europea, 15/06/2016

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

[COM(2016) 270 final — 2016/0133 (COD)], [COM(2016) 271 final — 2016/0131 (COD)], [COM(2016) 272 final — 2016/0132 (COD)]

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

27/09/2016

Adozione in sessione plenaria

19/10/2016

Sessione plenaria n.

520

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

215/1/4

1.   Conclusioni

1.1.

Il CESE ritiene indispensabile una riforma efficace e concreta del sistema europeo comune di asilo e un miglioramento dei percorsi legali di ingresso nell’Unione europea, nella prospettiva del rispetto dei diritti di persone che subiscono una persecuzione.

1.2.

In quest’ottica occorrerebbe proporre un autentico sistema comune e obbligatorio per tutti gli Stati membri, che armonizzi tutte le legislazioni nazionali o, in assenza di ciò, introdurre almeno un regime comune di riconoscimento reciproco delle decisioni in materia di asilo tra tutti gli Stati membri dell’UE, che renda possibile un vero sistema europeo comune di asilo.

1.3.

Il CESE accoglie comunque con favore l’obiettivo proposto, di migliorare e snellire le procedure di determinazione dello Stato competente rendendole più efficaci, ma ritiene che occorra precisare e includere disposizioni garantiste in materia di questioni procedurali, di trattamento individuale delle domande, di mantenimento delle clausole discrezionali e di mantenimento del termine di cessazione dell’obbligo di presa in carico da parte di uno Stato membro, di diritti dei richiedenti e di limitazioni del meccanismo correttivo di assegnazione.

1.4.

Bisogna garantire la coerenza delle disposizioni proposte nel regolamento con le vigenti disposizioni in questo settore, con le misure collegate che la CE intende perseguire nell’ambito di una sostanziale modifica del sistema europeo comune di asilo, e con altre politiche dell’Unione.

1.5.

Tutti gli Stati membri devono essere responsabili per la messa a disposizione dei richiedenti di informazioni dettagliate e aggiornate sulle procedure derivanti dal sistema di Dublino, in linea con i requisiti di cui all’articolo 4.

1.6.

Ai fini di un’effettiva sostenibilità del sistema per quanto riguarda il rapido accesso dei richiedenti alle procedure di asilo e la capacità di applicazione del sistema da parte delle amministrazioni degli Stati membri, occorre garantire il principio di proporzionalità.

2.   Contesto

2.1.

Il 6 aprile 2016 la Commissione ha presentato una comunicazione in cui prende atto delle carenze nella concezione e nell’applicazione del sistema europeo comune di asilo, in particolare delle disposizioni «di Dublino», e definisce cinque ambiti prioritari per migliorare la situazione.

2.2.

La Commissione propone di rivedere il sistema europeo comune di asilo per creare un sistema più equo, efficiente e sostenibile grazie alla modifica dell’attuale regolamento (UE) n. 604/2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale.

2.3.

La Commissione constata che il sistema di Dublino non è stato concepito per garantire una ripartizione sostenibile, equa ed efficace delle responsabilità relativa ai richiedenti protezione internazionale in tutta l’UE. Il cosiddetto sistema di Dublino non ha funzionato adeguatamente, e neppure in modo omogeneo: l’esperienza degli ultimi anni ha dimostrato che, in caso di massicci flussi migratori, un numero limitato di Stati membri si trova a dover esaminare una maggioranza di domande di protezione internazionale, cosa che conduce talvolta a una crescente violazione delle disposizioni dell’UE in materia di asilo.

2.4.

Per rimediare a queste lacune, la Commissione propone di modificare il regolamento con le seguenti finalità:

rafforzare l’efficacia del sistema indicando un unico Stato membro competente per l’esame delle domande di protezione internazionale;

scoraggiare l’abuso del sistema di asilo e prevenire i movimenti secondari dei richiedenti asilo all’interno dell’UE;

istituire un sistema di ripartizione più giusto grazie a un meccanismo correttivo che verificherà automaticamente se uno Stato membro stia facendo fronte a un numero sproporzionato di domande di asilo;

chiarire gli obblighi dei richiedenti asilo nell’UE e le conseguenze in caso di mancato adempimento di tali obblighi;

modificare il regolamento Eurodac per adeguarlo alle modifiche del sistema di Dublino e garantire una sua corretta applicazione;

rafforzare il mandato dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO) tramite la creazione dell’Agenzia dell’UE per l’asilo.

3.   Analisi

3.1.    Criteri di Dublino proposti per determinare la responsabilità dello Stato membro

Nell’attuale regolamento n. 604/2013, il criterio generale più esteso per determinare il trasferimento è quello della documentazione e del luogo di ingresso, cosa che comporta un’importante assunzione di responsabilità da parte degli Stati membri con una frontiera esterna. I dati contenuti nel sistema per il confronto delle impronte digitali Eurodac e nel sistema di informazione visti (VIS) sono accettati come prova dalla maggior parte degli Stati membri, anche se talvolta non sono considerati sufficienti.

La proposta prevede che i criteri per la determinazione dello Stato membro si applichino una sola volta e l’articolo 9 stabilisce che il richiedente debba presentare la sua domanda di protezione nel primo Stato membro di ingresso, indipendentemente dal fatto che tale ingresso sia stato irregolare o che il soggiorno sia legale. La gerarchia dei criteri definiti negli articoli da 10 a 17 stabilisce disposizioni simili:

3.1.1.

Minori: la proposta di riforma proposta mantiene i criteri stabiliti, ma soltanto per quanto riguarda i minori non accompagnati richiedenti la protezione internazionale.

3.1.2.

Familiari: la proposta estende in due sensi la definizione di familiari, applicandola ai fratelli, e prendendo in considerazione le famiglie costituitesi prima dell’arrivo nello Stato membro, e non necessariamente solo quelle formatesi nel paese di origine come prevede invece il regolamento Dublino III (regolamento (UE) n. 604/2013). Queste due estensioni sono fondamentali e il CESE sottolinea in particolare le situazioni di mancanza di protezione che si verificano di fatto quando non vengono considerati come membri della famiglia i fratelli e che spesso riguardano minori non accompagnati, i cui unici familiari in uno Stato membro sono i rispettivi fratelli.

3.1.3.

Titolo di soggiorno o visto: la proposta continua ad assegnare la competenza per l’esame della domanda di protezione internazionale allo Stato membro che abbia in precedenza rilasciato al richiedente un titolo di soggiorno o un visto, ma introduce considerazioni volte a chiarire i criteri di competenza.

3.1.4.

Ingresso illegale attraverso uno Stato membro: la proposta sopprime le disposizioni relative alla cessazione, dopo 12 mesi, della competenza dello Stato membro in cui il richiedente sia entrato attraversando una frontiera non abilitata.

3.1.5.

Clausole discrezionali: la proposta riduce la discrezionalità degli Stati membri, consentendo loro di assumere la competenza di domande di protezione internazionale per la quale non sono competenti solo in casi giustificati dall’esistenza di rapporti di famiglia non previsti nella definizione di «familiari» contenuta nel regolamento.

3.1.6.

La proposta in esame non prevede modifiche per le persone a carico, e se a motivo di una gravidanza, maternità recente, malattia grave, grave disabilità o età avanzata un richiedente dipenda dall’assistenza del figlio, del fratello o del genitore legalmente residente in uno Stato membro, o laddove questi ultimi dipendano dall’assistenza del richiedente, gli Stati membri lasciano insieme o ricongiungono il richiedente con essi, a condizione che i legami familiari esistessero nel paese d’origine, e che gli interessati siano in grado di fornire assistenza alla persona a carico e abbiano espresso tale desiderio per iscritto.

3.2.    Procedura di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale

3.2.1.

La proposta di riforma del regolamento Dublino mira ad istituire un sistema più equo e sostenibile, semplificando le procedure e aumentando l’efficacia, ma le modifiche introdotte non sono sempre dirette a raggiungere questi obiettivi.

L’articolo 3 della proposta di riforma introduce l’esame dei criteri di ammissibilità di una domanda di protezione internazionale, prima della determinazione dello Stato membro competente, senza procedere ancora alla valutazione della presenza di familiari in un altro Stato membro o delle esigenze dei minori.

I criteri di ammissibilità che possono essere valutati previamente sono i concetti di paese terzo sicuro, di primo paese di asilo, di paese di origine sicuro e il concetto giuridico indeterminato di pericolo per la sicurezza.

La proposta introduce modifiche relative ai termini, abbreviandoli in modo significativo, e accelera le procedure di ripresa in carico.

3.2.2.

La riforma abroga i casi di cessazione della competenza previsti dall’attuale articolo 19 (che il richiedente abbia lasciato volontariamente il territorio dell’UE per almeno tre mesi, o sia stato oggetto di un provvedimento di allontanamento). Ne consegue che lo stesso Stato membro sarà competente per qualsiasi domanda presentata in qualsiasi momento da una persona, anche se questa ha fatto rientro nel suo paese di origine per lunghi periodi di tempo, la sua situazione personale e familiare si è nel frattempo modificata e le condizioni di detto Stato membro sono sostanzialmente cambiate.

3.3.    Garanzie procedurali e rispetto dei diritti fondamentali nella procedura di determinazione dello Stato membro competente

3.3.1.

Diritto di informazione: l’articolo 6, paragrafo 1, rafforza il diritto all’informazione dei richiedenti protezione internazionale soggetti alle procedure per la determinazione dello Stato membro competente e precisa le informazioni che devono essere fornite.

3.3.2.

Diritto a un ricorso effettivo: l’articolo 27 della proposta prevede che la decisione di trasferimento verso lo Stato membro competente venga notificata al richiedente per iscritto e senza indebito ritardo, informandolo al tempo stesso della possibilità di impugnare la decisione; l’articolo 28 dispone che il ricorso avverso decisioni di trasferimento dei richiedenti protezione internazionale abbia un effetto sospensivo, stabilendo un termine che appare tuttavia eccessivamente breve (solo sette giorni per la presentazione del ricorso) per tale procedura di riesame.

3.3.3.

Diritto alla libertà di circolazione e trattenimento dei richiedenti interessati da una procedura di determinazione dello Stato competente: l’articolo 29 della proposta dimezza i termini delle procedure qualora la persona richiedente sia trattenuta. Viene inoltre ridotto da sei a quattro settimane il termine per effettuare il trasferimento o, in caso di non trasferimento, per porre fine al trattenimento.

3.4.    Obblighi e sanzioni

3.4.1.

La proposta introduce esplicitamente per i richiedenti protezione internazionale i seguenti obblighi:

presentare una domanda di protezione internazionale nel primo Stato membro di ingresso irregolare o nel paese dove soggiornano legalmente;

presentare tutte le informazioni e gli elementi di prova il prima possibile, e al più tardi in occasione del colloquio per determinare lo Stato competente, e collaborare con le autorità dello Stato membro responsabile della determinazione dello Stato membro competente;

essere presente e a disposizione delle autorità dello Stato membro che sta procedendo alla determinazione dello Stato membro competente;

conformarsi alla decisione di trasferimento verso lo Stato membro competente.

3.4.2.

In caso di mancato rispetto degli obblighi, l’articolo 5 prevede conseguenze sproporzionate in termini procedurali e di accoglienza, in contrasto con le disposizioni delle direttive attuali in materia di procedure (2013/32) e di accoglienza (2013/33) e con la Carta dei diritti fondamentali dell’UE:

Le domande presentate in uno Stato membro differente da quello in cui il richiedente soggiorna legalmente o da quello in cui è entrato illegalmente sono esaminate con una procedura accelerata, conformemente all’articolo 31, paragrafo 8, della direttiva 2013/32/UE. Tuttavia tale articolo non contempla queste circostanze, e di conseguenza sono destinati ad aumentare i casi di applicazione di una procedura che, in pratica, comporta una riduzione dei termini per l’esame del merito della domanda, una limitazione delle garanzie e maggiori difficoltà nell’identificazione, in termini così brevi, dei profili vulnerabili. Ciò risulta particolarmente pertinente alla luce dell’articolo 24, paragrafo 3, della direttiva 2013/32/UE, che esclude l’applicazione di procedure accelerate nei casi di richiedenti particolarmente vulnerabili.

Nel caso in questione le autorità competenti terranno conto solo delle informazioni e della documentazione fornite fino al momento del colloquio volto a determinare lo Stato competente. Tuttavia, la verifica dei legami familiari richiede in molti casi prove della filiazione, il cui conseguimento può richiedere un certo tempo.

I richiedenti non beneficeranno in nessun altro Stato membro delle condizioni di accoglienza previste agli articoli da 14 a 19 della direttiva 2013/33/UE e riguardanti la scolarizzazione dei minori (articolo 14 della direttiva 2013/33/UE) — e ciò in palese violazione del diritto all’istruzione dei minori (articoli 14 e 24 della Carta dei diritti fondamentali) — l’assistenza sanitaria al di là delle prestazioni di pronto soccorso (articolo 19 della direttiva 2013/33/UE) o un’adeguata qualità di vita che garantisca il sostentamento dei richiedenti e ne tuteli la salute fisica e mentale (articolo 17 della direttiva 2013/33/UE).

La proposta esclude la possibilità di impugnare la decisione di respingere la domanda di protezione internazionale da parte di richiedenti la cui domanda sia stata respinta e che si siano trasferiti in un altro Stato membro (articolo 20, paragrafo 5). Tale disposizione potrebbe essere in contrasto con l’articolo 46 della direttiva 2013/32 e l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali.

3.5.    Meccanismo correttivo di assegnazione

Viene istituito un meccanismo volto a correggere l’eventuale sproporzione tra il numero di domande che ciascuno Stato membro riceve secondo i criteri di cui sopra. Per accertare tale situazione si calcola, in ragione del PIL e della popolazione, un numero di riferimento basato sul numero di domande e di reinsediamenti che ciascuno Stato membro ha la capacità di ricevere. Qualora venga superato il 150 % di tale numero di riferimento, il meccanismo correttivo di assegnazione si attiva automaticamente il che implica il trasferimento dei richiedenti protezione internazionale da tale Stato membro (beneficiario) ad altri Stati membri (di assegnazione), dove la pressione è minore.

3.6.    Rafforzamento del sistema EURODAC

La proposta della Commissione prevede l’adeguamento di EURODAC con l’obiettivo di migliorare tale sistema, istituito nel 2000, per l’organizzazione e l’uso di una banca dati europea in cui sono registrate le impronte digitali dei richiedenti protezione internazionale e di varie categorie di migranti in situazione illegale. Il sistema serve a facilitare l’applicazione del regolamento di Dublino, consentendo di accertare quale Stato membro sia stato il primo punto d’ingresso nell’UE di un richiedente protezione internazionale. È prevista la possibilità di estendere l’ambito di attuazione, inserendo e memorizzando i dati di persone provenienti da paesi terzi che non richiedono protezione internazionale ma soggiornano in modo irregolare nell’UE.

3.7.    Nuovo mandato per l’agenzia dell’UE per l’asilo

La Commissione propone di modificare il mandato dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo per facilitare l’applicazione del sistema europeo comune di asilo e del regolamento di Dublino.

La Commissione prevede di trasformare l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo, ampliandone il mandato per rafforzarne le funzioni e garantire un’applicazione efficace del sistema europeo comune di asilo.

4.   Raccomandazioni specifiche

4.1.    Minori non accompagnati

Tenendo conto dei numerosi casi di minori non accompagnati che, per circostanze diverse, non accedono al regime di protezione internazionale, le disposizioni sono in contrasto con «l’interesse superiore del minore» e neppure garantiscono una valutazione delle esigenze individuali dei minori.

4.2.    Ingresso irregolare attraverso uno Stato membro

Sopprimendo le disposizioni relative alla cessazione, dopo 12 mesi, della competenza dello Stato membro in cui il richiedente sia entrato attraversando una frontiera non abilitata, la proposta sembra allontanarsi da uno degli obiettivi prioritari della riforma, che è quello di garantire una condivisione sostenibile delle responsabilità e un sistema più equo. Tale soppressione non garantirà detta equità agli Stati membri che hanno frontiere esterne.

4.3.    Clausole discrezionali

4.3.1.

Il CESE non concorda con la restrizione della clausola ai soli casi di vincoli familiari diversi da quelli contemplati dalla corrispondente definizione, perché ritiene essenziale tener conto del fatto che in taluni Stati membri possano verificarsi problemi non solo quantitativi, in relazione al numero di richiedenti protezione internazionale, ma anche qualitativi, in relazione all’efficace applicazione della direttiva 2013/32/UE recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, per quanto riguarda l’accesso alla procedura di asilo per i richiedenti protezione internazionale, le informazioni e la consulenza, le garanzie procedurali e le procedure speciali per le persone in stato di necessità. Inoltre la rifusione della direttiva 2013/33/UE sulle condizioni di accoglienza, contiene norme comuni al fine di garantire ai richiedenti protezione internazionale condizioni di vita comparabili in tutti gli Stati membri e il pieno rispetto dei loro diritti fondamentali.

4.3.2.

Possono verificarsi situazioni in cui uno Stato membro non sia in grado di garantire le disposizioni contenute in tali direttive, pertanto è necessario mantenere la formulazione del regolamento Dublino III per quanto riguarda la decisione di uno Stato membro di esaminare una domanda di protezione internazionale che gli sia stata presentata, anche se tale esame non è di sua competenza.

4.3.3.

Occorre inoltre tener conto del fatto che molti richiedenti protezione internazionale soffrono di malattie gravi e/o di disabilità importanti, e non hanno legami familiari in alcuno Stato membro: tuttavia, a causa di circostanze particolari, non sono in condizioni, per motivi sanitari, di essere trasferiti nello Stato membro competente, cosa che istituisce una loro relazione di dipendenza con lo Stato membro in cui hanno presentato domanda di protezione internazionale. È necessario includere tali casi nella nuova formulazione delle clausole discrezionali proposta.

4.3.4.

È essenziale mantenere l’assunzione di competenza per motivi umanitari o culturali, al fine di garantire assistenza ai richiedenti protezione internazionale che si trovino in situazioni di particolare vulnerabilità secondo le disposizioni della direttiva 2013/32/UE, nonché ai fini di un trattamento differenziato in funzione della valutazione delle loro circostanze specifiche.

4.4.    Procedura di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale

4.4.1.

La valutazione dell’ammissibilità eseguita senza accertamento previo della presenza di familiari in un altro Stato membro o delle esigenze dei minori, ove si traduca nella decisione di respingere la domanda di protezione internazionale, può essere in conflitto con il diritto alla vita familiare quale riconosciuto dall’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

4.4.2.

L’automaticità nell’applicazione dei concetti di paese terzo sicuro, primo paese di asilo, paese di origine sicuro e del concetto giuridico di rischio per la sicurezza può portare a situazioni di discriminazione in funzione della nazionalità o delle rotte di fuga. Inoltre, in caso di paese di origine sicuro e di pericolo per la sicurezza, l’articolo 3.3 stabilisce che si applichi una procedura accelerata. Tale iter accelerato non può in alcun caso pregiudicare le garanzie procedurali a causa della brevità dei termini, né può portare a una valutazione non individuale di queste domande di protezione internazionale, vietata dall’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2013/32/UE.

4.4.3.

L’articolo 33 della proposta non migliora in alcun modo la trasmissione tra Stati membri delle informazioni sui casi di vulnerabilità, sulle situazioni sanitarie e su altre caratteristiche specifiche dei richiedenti asilo in procinto di essere trasferiti, malgrado si tratti di uno dei principali punti deboli individuati nell’applicazione pratica del sistema di Dublino.

4.4.4.

La disposizione relativa alla cessazione della competenza nel caso in cui il richiedente si allontani volontariamente dall’UE per più di tre mesi o sia stato espulso può dar luogo a situazioni in cui non sono tenuti in considerazione i legami familiari costituiti nel paese d’origine dopo una prima domanda di protezione internazionale nell’UE oppure non sono garantite, al momento della seconda richiesta, le condizioni di accoglienza e le procedure nello Stato membro competente che erano invece soddisfatte al momento della presentazione della prima domanda.

4.5.    Garanzie procedurali

4.5.1.

Per quanto riguarda il diritto all’informazione, la disposizione sulla messa a disposizione delle informazioni per mezzo di un opuscolo informativo non tiene conto del fatto che nella maggior parte degli Stati membri tale opuscolo contiene solo informazioni di carattere generale, in una lingua che i richiedenti comprendono poco o per nulla. Le informazioni devono sempre essere fornite durante il colloquio.

4.5.2.

Per quanto riguarda il diritto a un ricorso effettivo, si ritiene che, onde evitare di limitare l’accesso a un’effettiva tutela giuridica, tale ricorso non dovrebbe essere limitato ai soli tre casi contemplati:

rischio di trattamenti inumani o degradanti nello Stato membro competente a causa di carenze nel sistema di asilo;

decisioni di trasferimento basate sui criteri relativi ai minori (articolo 10), ai legami familiari (artt. 11, 12 e 13) e alle persone a carico (articolo 18).

decisioni di assumere la competenza dell’esame (senza trasferimento), qualora non siano stati applicati criteri relativi ai legami familiari.

4.5.3.

Per quanto riguarda il diritto alla libera circolazione e la possibilità di trattenimento dei richiedenti sottoposti a procedimento di determinazione dello Stato competente, la limitazione della durata del trattenimento (due settimane) non aggiunge nulla di nuovo in riferimento a quali siano i casi eccezionali in cui si debba disporre il trattenimento. Data la divergenza tra le pratiche nazionali, constatata dalla stessa Commissione, è opportuno stabilire norme chiare e precise circa il carattere eccezionale del trattenimento e la valutazione della necessità e della proporzionalità della misura.

4.6.    Meccanismo correttivo di assegnazione

4.6.1.

Il ricorso a un criterio con una soglia così elevata, il 150 % della capacità dello Stato membro interessato, può compromettere le condizioni di accoglienza e procedurali cui fanno fronte i richiedenti protezione internazionale già presenti nello Stato in cui il suddetto numero sia raggiunto. Se, in base ai criteri, è stata prevista una capacità di accoglienza, sembra logico attivare questo meccanismo non appena si superi tale capacità, anziché attendere che sia raggiunta la soglia del 150 %. Inoltre, il meccanismo di assegnazione per essere efficace dovrebbe essere applicato a tutte le persone che hanno diritto di presentare domanda di asilo, indipendentemente dal paese di origine.

4.6.2.

Il meccanismo si applica prima della determinazione dello Stato membro competente, alla quale provvede successivamente lo Stato membro cui sono stati assegnati i richiedenti. Ciò implica che, dopo essere stato trasferito dallo Stato membro beneficiario nello Stato membro di assegnazione, il richiedente protezione internazionale possa essere di nuovo trasferito in un terzo Stato membro, in cui si trovino i suoi familiari, il che si traduce in una mancanza di efficacia del sistema e in un ulteriore ritardo nell’accesso alla procedura per la determinazione dello status di protezione internazionale.

4.6.3.

Essendo automatico, poi, questo meccanismo non tiene conto delle circostanze individuali dei richiedenti protezione internazionale, né delle esigenze speciali, come le situazioni di vulnerabilità, che possono sconsigliare il trasferimento nello Stato membro di assegnazione.

4.6.4.

Il meccanismo correttivo non tiene conto dei richiedenti protezione internazionale arrivati prima dell’entrata in vigore della riforma e sono esclusi dall’assegnazione i richiedenti che non erano stati ammessi precedentemente all’applicazione dei criteri di determinazione dello Stato membro competente a norma dell’articolo 3, come pure i richiedenti arrivati nello Stato membro in questione prima del raggiungimento della soglia del 150 % della capacità di accoglienza. Tutto ciò rischia di snaturare l’obiettivo finale di questo meccanismo e ha un effetto molto limitato sulla ripartizione delle competenze per l’esame delle domande e sull’accoglienza.

4.6.5.

Il fatto che gli Stati membri possano chiamarsi fuori dal meccanismo correttivo versando un importo per ciascun richiedente protezione internazionale che non viene trasferito nel suo territorio può portare a situazioni discriminatorie, poiché gli Stati membri potrebbero scegliere sulla base della religione, dell’etnia o della nazionalità quali richiedenti ammettere sul loro territorio e quali respingere.

4.7.    Sistema Eurodac

Qualsiasi considerazione relativa all’adeguamento del regolamento deve giustificare la necessità e la proporzionalità delle misure adottate alla luce della sensibilità dei dati inclusi, in particolare per quanto riguarda i richiedenti protezione internazionale e la riservatezza della procedura.

4.8.    Mandato dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo

Il CESE condivide le proposte avanzate, dato che sin dall’avvio dell’EASO le aspettative sono state deluse. Ritiene necessario rafforzare e sviluppare, nella nuova proposta, il ruolo dell’attuale forum per la consultazione delle organizzazioni, le cui capacità sono in pratica molto ridotte. La futura Agenzia dovrebbe disporre delle informazioni provenienti da tali organizzazioni e del lavoro che esse svolgono in ciascuno degli Stati membri per monitorare la corretta applicazione del sistema europeo comune di asilo e la sua attuazione.

Bruxelles, 19 ottobre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


2.2.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 34/151


Parere del comitato economico e sociale europeo «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Una strategia dell’UE in materia di riscaldamento e raffreddamento»

[COM(2016) 51 final]

(2017/C 034/25)

Relatrice:

Baiba MILTOVIČA

Consultazione

Commissione europea, 16/02/2016

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

[COM(2016) 51 final]

Organo competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

06/10/2016

Adozione in sessione plenaria

19/10/2016

Sessione plenaria n.

520

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astensioni)

229/3/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Una strategia dedicata al riscaldamento e al raffreddamento, ed al loro impatto diretto e quotidiano su tutti i cittadini dell’UE, era attesa da tempo e viene accolta con molto favore. Se le buone pratiche verranno seguite e se un quadro politico coerente verrà sviluppato e sostenuto tramite i finanziamenti disponibili le opportunità di miglioramento in tutta Europa saranno numerose.

1.2.

Questa strategia globale dell’UE è estremamente ambiziosa. Essa parte dal presupposto che il conseguimento degli obiettivi climatici ed energetici dell’UE dipenderà in larga misura dalla sua efficace e coerente applicazione a livello degli Stati membri, indicando che il rafforzamento del ruolo delle energie rinnovabili nel riscaldamento e nel raffreddamento potrebbe essere il fattore in grado di offrire da solo il maggior contributo al conseguimento degli obiettivi a medio e lungo termine, e come tale dovrebbe essere riconosciuto nella prosecuzione del programma dell’Unione dell’energia.

1.3.

Il CESE raccomanda, pertanto, che la relazione sullo stato dell’Unione dell’energia contenga un capitolo specifico in cui siano valutati i progressi compiuti nell’attuazione della strategia.

1.4.

Il Comitato apprezza il lavoro intrapreso dalla Commissione per individuare e raccogliere i dati relativi al riscaldamento e al raffreddamento. Tali dati sono essenziali. Eurostat dovrebbe privilegiare attività che consentano di ampliare la raccolta di dati, in particolare sull’energia utilizzata per il riscaldamento.

1.5.

Il ruolo che spetta al consumatore nel rendere qualsiasi strategia globale efficace è di fondamentale importanza, e il Comitato invita a dare seguito alla sua proposta di un ampio dialogo europeo per l’energia al fine di migliorare notevolmente la consapevolezza e allo scopo di creare chiari incentivi per i consumatori per indurli a cambiare i loro comportamenti. Non solo tali incentivi dovrebbero essere finanziari, ma dovrebbero accentuare anche l’impatto sociale positivo delle diverse misure previste dalla strategia ed essere destinati ai consumatori vulnerabili e in condizioni di povertà energetica.

1.6.

Il Comitato raccomanda di realizzare al più presto un’analisi comparativa dei progetti del settore pubblico e privato finalizzati a sostenere programmi per generare riscaldamento e raffreddamento in modo efficiente e con basse emissioni di carbonio.

1.7.

Occorre mettere in atto in tutti gli Stati membri, a livello regionale e comunale, un nuovo approccio in materia di politica di pianificazione urbanistica, coerente con la strategia proposta, volto a garantire la realizzazione della strategia stessa. A questo riguardo il Comitato sottolinea il ruolo del Patto dei sindaci.

1.8.

Gli obiettivi di alto livello dell’UE in materia di energia e di clima devono essere tradotti in contributi espliciti da parte degli Stati membri, con l’attuazione nei piani nazionali attraverso, ad esempio, obiettivi quinquennali, distinti per settore, con parametri elaborati specificamente per il riscaldamento e il raffreddamento.

2.   Introduzione

2.1.

La strategia in materia di riscaldamento e raffreddamento fornisce la prima valutazione mirata a livello UE del settore nel suo insieme. Il riscaldamento e il raffreddamento sono responsabili del 50 % circa del consumo energetico totale dell’UE e resteranno anche nel lungo termine il principale motore della domanda di energia, con il settore più importante rappresentato dal riscaldamento degli edifici. Le tecnologie di riscaldamento degli edifici, grazie alle loro caratteristiche di sostenibilità, svolgeranno un ruolo importante nel determinare se l’UE potrà o meno conseguire i propri obiettivi a medio e a lungo termine in materia di clima ed energia. Il riscaldamento degli ambienti e dell’acqua per usi domestici negli edifici rappresenta attualmente uno dei principali settori di impiego dell’energia — ed è quello più problematico in termini di decarbonizzazione. Per riscaldare si utilizzano prevalentemente energia da combustibili fossili fornita direttamente agli edifici, creando problemi di sicurezza e di emissioni a livello locale.

2.2.

Tutti i settori della società civile sono coinvolti. Il fabbisogno energetico della maggior parte delle grandi industrie di trasformazione, in cui il calore è generalmente applicato in modo estensivo, incide direttamente sulla loro competitività; il raffreddamento è essenziale in gran parte della catena di trasformazione, distribuzione, vendita al dettaglio e conservazione degli alimenti, mentre, i costi e l’efficienza del riscaldamento e del raffreddamento domestici interessano tutti.

2.3.

Un numero crescente di famiglie in tutti gli Stati membri destina una quota significativa del proprio reddito alle spese energetiche, fatto che causa l’aumento del livello di povertà energetica. Gli anziani, i soggetti vulnerabili e le fasce di popolazione a basso reddito sono particolarmente esposti a questo fenomeno e il CESE ha raccomandato l’istituzione di un Osservatorio della povertà energetica per analizzare e risolvere questo problema (1). Per conseguire risultati efficaci è necessaria una combinazione di misure tecniche, finanziarie e sociali che operino in sinergia. Un maggiore accento sulla raccolta di dati accurati in materia di riscaldamento contribuirà alla lotta alla povertà energetica.

2.4.

Il riscaldamento e il raffreddamento in quanto tali non sono né facili né economici da trasportare e ciò porta alla formazione di «mercati» eccessivamente localizzati e frammentati. Il raffreddamento costituisce solo il 5 % del fabbisogno energetico, mentre il riscaldamento ne rappresenta il 95 %, con una domanda notevolmente superiore a quella del raffreddamento, sebbene quest’ultimo sia vitale negli Stati membri più caldi. Gli investimenti di capitale in sistemi di riscaldamento e raffreddamento tendono a essere a medio e lungo termine, mentre la tecnologia e l’innovazione in questo settore si sviluppano rapidamente.

2.5.

Il CESE, nei suoi precedenti pareri (2), ha raccomandato un approccio politico integrato e coerente in tutto il settore dell’energia, nonché un rafforzamento del ruolo della società civile e del dialogo con quest’ultima su tali questioni. Queste raccomandazioni sono ora formalmente divenute prioritarie con il pacchetto Unione dell’energia e il riconoscimento del riscaldamento e del raffreddamento come settore di importanza fondamentale crea opportunità in termini di rinvii e coerenza tra i numerosi pacchetti legislativi in materia di clima ed energia che si stanno mettendo a punto.

3.   Sintesi del contenuto della comunicazione e osservazioni

3.1.

La comunicazione valuta il potenziale contributo del settore agli obiettivi strategici dell’UE in materia di clima ed energia ed è accompagnata da un documento di lavoro dei servizi che fornisce una base analitica e scientifica. La comunicazione vuole dare priorità al calore, in quanto settore strategico per l’efficienza energetica, e stimola un dibattito informato e un consenso su questo argomento e sulle questioni collegate della riduzione della domanda energetica e della decarbonizzazione.

3.2.

Questo quadro strategico individua quattro settori critici di intervento: l’efficienza termica degli edifici; una tecnologia di riscaldamento efficiente e sostenibile; l’integrazione del potenziale inutilizzato dell’industria, migliorandone nel contempo l’efficienza; una più stretta sinergia con il sistema dell’energia elettrica, nel quale alle pompe di calore e ad altre fonti di energia rinnovabili spetta un ruolo importante. Le possibili azioni delineate sono molte, ma soluzioni dettagliate saranno presentate nell’ambito del pacchetto di revisione legislativa comprendente l’Unione dell’energia.

3.3.

L’idea dominante è la decarbonizzazione degli edifici tramite interventi di ristrutturazione, sistemi di riscaldamento e raffreddamento più efficienti, la diffusione del teleriscaldamento e il passaggio dai combustibili fossili alle fonti di energia a basse emissioni di carbonio. Gli edifici residenziali rappresentano la parte più cospicua del parco immobiliare europeo, il 60-70 % del quale risale al 1980 o più indietro nel tempo. Le abitazioni registrano il consumo specifico (kWh/mq/anno) più elevato. I bassi tassi di ristrutturazione degli edifici accrescono il già elevato onere finanziario per i consumatori. Le famiglie dell’UE spendono in media il 6,4 % (COM(2014) 520 final) del reddito disponibile per l’uso dell’energia legato all’abitazione: circa due terzi per il riscaldamento e un terzo per altri scopi. Un numero crescente di famiglie incontra problemi nel far fronte ai costi dell’energia. L’introduzione di sistemi di riscaldamento e raffreddamento a prezzi accessibili è indispensabile affinché gli utenti domestici possano mantenere una buona qualità di vita.

3.4.

Poiché non tutte le imprese possono percorrere la strada di un’energia a basse emissioni di carbonio, specificamente perché molte industrie di trasformazione esigono combustibili fossili ad alta densità di energia, sarà essenziale utilizzare una quota nettamente maggiore di calore di scarto risultante come sottoprodotto dell’attività di alcuni impianti industriali e di generazione dell’energia. Il documento di lavoro riconosce le potenzialità derivanti dall’uso dei rifiuti termici industriali nei sistemi di teleriscaldamento, nonché dal ruolo in evoluzione delle nuove tecnologie e dei combustibili alternativi, che potrebbero apportare un importante contributo.

3.5.

La strategia individua diverse sfide significative. I combustibili fossili rappresentano oltre l’80 % dell’energia utilizzata e questo fa del settore un elemento fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi relativi alle basse emissioni di carbonio e il passaggio a un sistema energetico più efficiente e sicuro. I due terzi del parco immobiliare dell’UE sono stati costruiti prima dell’introduzione dei requisiti di efficienza energetica; e la maggior parte di tali edifici sarà ancora in uso nel 2050. Gli incentivi a realizzare interventi di «miglioramento» possono essere spezzettati a causa delle diverse forme di proprietà e locazione degli immobili e possono essere indeboliti dalla mancanza di adeguati meccanismi di finanziamento. Nel settore del riscaldamento mancano una concorrenza di mercato, formazione e competenze specifiche a livello di costruttori e di installatori, oltre che la consapevolezza dei benefici potenziali tra i consumatori domestici. Il tasso di ristrutturazione degli immobili resta basso (tra lo 0,4 e l’1,2 % all’anno) e a ciò si aggiunge anche il problema crescente della povertà energetica che interessa tutta l’UE.

3.6.

Quasi la metà degli edifici dell’UE è dotata di caldaie individuali aventi un’efficienza inferiore al 60 % mentre gli attuali livelli di tecnologia (obbligatori per legge in caso di sostituzione) superano il 90 %. Inoltre il riscaldamento domestico (fossili e biomassa) ha un impatto notevole sull’inquinamento atmosferico in alcune parti dell’Europa. Tuttavia, una percentuale significativa delle caldaie resta in funzione decisamente oltre il ciclo di vita tecnico. I costi restano un ostacolo importante per quanto riguarda la sostituzione e, sebbene vengano sempre ampiamente recuperati, sussistono difficoltà nel reperire il capitale iniziale, soprattutto quando si passa a una fonte di calore rinnovabile: ad esempio, a una fonte solare o geotermica o a pompe di calore. In questo secolo l’industria ha realizzato notevoli risparmi in termini di efficienza energetica, ma le PMI in particolare incontrano difficoltà nell’individuare gli interventi prioritari di miglioramento e nel finanziarli.

3.7.

Il teleriscaldamento, che attualmente fornisce il 9 % del riscaldamento nell’UE, viene additato come capace di espandersi considerevolmente e, grazie all’uso del calore di scarto, in grado di passare a fonti di calore rinnovabili o miste più facilmente rispetto agli impianti individuali. La cogenerazione di calore e energia è anch’essa poco sviluppata e il potenziale degli edifici intelligenti (utenze domestiche, servizi o attività industriali), se combinato con una rete intelligente, offre altresì potenziali vantaggi in termini di efficienza, nonché la possibilità di una maggiore partecipazione delle famiglie in qualità di «prosumatori». La strategia suggerisce indirettamente di sviluppare il «prosumerismo» a livello di singole famiglie mediante nuove tecnologie di riscaldamento e una maggiore sensibilizzazione.

3.8.

Nel documento della Commissione vengono proposti strumenti e soluzioni. L’integrazione, la revisione e l’attuazione coerenti degli strumenti dell’UE nell’ambito dello sviluppo in atto dell’Unione dell’energia rappresenteranno gli elementi costitutivi della strategia. Si possono in particolare segnalare la direttiva sull’efficienza energetica, la direttiva sulla prestazione energetica nell’edilizia, il quadro dell’UE in materia di progettazione ecocompatibile e di etichettatura energetica, la direttiva sulle energie rinnovabili, e il sistema di scambio delle emissioni (ETS). La strategia in esame dovrebbe contribuire a un coordinamento più efficace di tali misure.

3.9.

Nel documento vengono descritte in dettaglio le azioni specifiche che verranno intraprese dalla Commissione per rispondere alle sfide descritte e per sostenere le misure legislative già adottate. Tali azioni comprendono la promozione delle energie rinnovabili, l’incentivazione della partecipazione dei cittadini, una più intensa cooperazione con le associazioni dei consumatori, un maggiore impegno a favore dell’innovazione, ad esempio tramite il piano strategico per le tecnologie energetiche, e l’incoraggiamento di nuovi approcci al finanziamento delle misure. La strategia deve essere orientata ai consumatori e porre l’accento sul passaggio a sistemi decarbonizzati che utilizzino le energie rinnovabili e il calore di scarto.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il riscaldamento e il raffreddamento svolgono un ruolo fondamentale nell’industria, nella trasformazione e conservazione degli alimenti e nel settore dei servizi terziari. Incidono inoltre su tutti i cittadini dell’UE per via del desiderio universale di beneficiare di condizioni di vita e di lavoro confortevoli. Il costo e la disponibilità del riscaldamento e del raffreddamento determinano non solo il grado in cui la povertà energetica è presente in una società ma anche la competitività di interi settori economici. Pertanto il CESE accoglie con favore questo primo esame strategico del riscaldamento e del raffreddamento nell’UE.

4.2.

L’idea del documento è che l’attuazione delle strategie illustrate sarà di grande aiuto per riuscire a ridurre i costi, per migliorare la sicurezza energetica, diminuire la dipendenza dalle importazioni e conseguire gli obiettivi in materia di clima. Il CESE, pur sostenendo pienamente questa visione, rileva l’ampiezza e la complessità delle sfide delineate nella strategia, alcune delle quali possono essere sottovalutate, ad esempio: il considerevole impegno che verrà richiesto agli Stati membri; i cambiamenti richiesti nel comportamento dei cittadini; l’efficacia dei meccanismi di sostegno finanziario; la resistenza contro l’incertezza dei prezzi energetici; e la definizione e attuazione delle soluzioni tecniche più efficaci.

4.3.

In molti Stati membri i consumatori usufruiscono di sistemi di teleriscaldamento che possono recare notevoli vantaggi in termini di costi, efficienza e utilizzo del calore di scarto. Il CESE invita le istituzioni dell’UE a riconoscere la chiara e netta enfasi che la strategia pone su questo settore e a sostenere lo sviluppo e il miglioramento dei sistemi di teleriscaldamento comunali attraverso misure finanziarie e interventi di ristrutturazione e miglioramento tecnico. L’ammodernamento delle centrali termiche può apportare notevoli vantaggi dal punto di vista dell’utilizzo di energia e delle emissioni, e le nuove norme in via di definizione per l’assetto del mercato dovrebbero imporre l’applicazione delle migliori tecnologie disponibili. In particolare, occorre sviluppare le possibili sinergie esistenti tra la produzione di energia dai rifiuti (con il suo notevole potenziale) e il teleriscaldamento.

4.4.

Maggiore attenzione potrebbe essere riservata in seno alla strategia al ruolo dei consumatori e, in particolare, all’importanza dell’istruzione e della formazione per il cambiamento dei comportamenti. Una sfida particolare è rappresentata dalla consapevolezza in merito all’impiego del riscaldamento e ai relativi costi nei condomini. Gli edifici intelligenti e il riscaldamento intelligente hanno bisogno di abitanti intelligenti con effettive competenze digitali. La strategia infatti non pone l’adeguata enfasi sul ruolo che spetta al consumatore nel rendere efficace qualsiasi strategia globale. Bisogna riconoscere la tendenza a preferire il «comfort» rispetto ai risparmi in termini di efficienza e una certa riluttanza tra i consumatori a modificare in maniera significativa i loro stili di vita per massimizzare i benefici delle nuove tecnologie, attraverso altre ricerche approfondite sui meccanismi in grado di innescare un cambiamento dei comportamenti.

4.5.

La strategia indica chiaramente che pacchetti di finanziamenti mirati saranno essenziali per incoraggiare i necessari investimenti pubblici e privati. Il CESE rileva che solo una percentuale molto modesta dei finanziamenti approvati dalla BEI per il settore dell’energia attraverso il Fondo europeo per gli investimenti strategici è destinata a progetti pertinenti di riscaldamento e raffreddamento. Il documento di lavoro non contiene esempi o analisi dei progetti pertinenti attuati negli Stati membri, di cui soltanto alcuni si sono rivelati efficaci nell’incoraggiare gli investimenti.

4.6.

Data l’enorme importanza del riscaldamento e del raffreddamento per il raggiungimento degli obiettivi climatici ed energetici dell’UE, il CESE suggerisce di inserire nella relazione annuale sullo stato dell’Unione dell’energia una sezione specifica dedicata ai progressi compiuti e alla linea futura, sulla base delle sfide individuate nella sezione tre della strategia. Ne conseguirebbe un importante duplice vantaggio:

si segnalerebbe il ruolo centrale del riscaldamento nel conseguimento degli obiettivi e se ne esigerebbe il riconoscimento in tutti gli aspetti dell’Unione dell’energia,

si introdurrebbe un’attenzione concreta per i consumatori nella relazione e si sosterrebbe l’aspirazione a porre al centro i consumatori e i soggetti vulnerabili.

5.   Osservazioni particolari

5.1.

Il documento di lavoro che accompagna la comunicazione utilizza dati provenienti da numerose fonti per tracciare un quadro su come l’energia viene impiegata per il riscaldamento e il raffreddamento nell’insieme dell’UE. Vengono presentate stime e conclusioni ragionevoli, anche se il quadro tracciato corrisponde in larga misura alla situazione nel 2012/13. Sarebbe stato utile disporre di maggiori informazioni sulle tendenze negli ultimi dieci anni. Eurostat dovrebbe privilegiare attività che consentano di ampliare la raccolta di dati, in particolare sull’energia utilizzata per il riscaldamento (3).

5.2.

Occorre altresì rilevare che, se il 90 % della crescita postulata dell’energia da fonti rinnovabili utilizzata per il riscaldamento entro il 2020 proviene dalla biomassa, la riduzione delle emissioni di gas e particelle nel processo di combustione delle biomasse continua a essere un problema. Le conclusioni della politica dell’UE aggiornata in materia di bioenergia sostenibile per il periodo 2020-2030 saranno particolarmente importanti (esse saranno parte integrante del pacchetto sulle energie rinnovabili dell’UE previsto entro la fine del 2016) e dovrebbero tenere conto, oltre ad altre questioni, degli effetti negativi prodotti da alcune biomasse sulla salute.

5.3.

Esistono notevoli differenze tra gli Stati membri per quanto riguarda i sistemi energetici, le strutture giuridiche, le tecniche di costruzione e i modelli commerciali. I prossimi pacchetti legislativi pertinenti per l’attuazione della strategia dovrebbero prevedere la possibilità di adeguamenti nazionali.

5.4.

Nel riconoscere questa diversità tra gli Stati membri è importante che, dopo aver stabilito gli obiettivi richiesti, venga mantenuta una neutralità tecnologica sul modo in cui essi possono essere meglio conseguiti a livello nazionale e locale. Le vaste esperienze delle città e degli enti locali nello sviluppo di piani d’azione per l’energia sostenibile, come si articolano attraverso il Patto dei sindaci, offrono preziose indicazioni.

5.5.

La strategia propone di incoraggiare le banche al dettaglio a concedere prestiti speciali per la ristrutturazione di edifici privati in locazione, ma gli istituti europei che erogano mutui ipotecari (The European Mortgage Federation (Federazione ipotecaria europea) — European Covered Bond Council (Consiglio europeo delle obbligazioni assicurate)] hanno piani per consentire ai proprietari di alloggi di beneficiare di riduzioni dei tassi di rimborso dei loro mutui se eseguono ristrutturazioni per la riqualificazione energetica, come anche di tassi di interesse più vantaggiosi sui prestiti richiesti per la realizzazione di tali lavori. Il CESE invita i regolatori europei ad esaminare attivamente e con urgenza questa iniziativa.

5.6.

In diversi pareri adottati il CESE ha messo in rilievo la crescita delle società di servizi energetici (ESCO) (4) e il ruolo che esse possono svolgere nel promuovere la scelta e l’efficienza energetica per i consumatori. Pur accogliendo con favore questo contributo, il CESE invita la Commissione a incoraggiare gli Stati membri ad assicurare un’adeguata supervisione e sorveglianza delle ESCO o di organismi privati analoghi che tutelano gli interessi dei clienti. La fiducia dei consumatori in tali servizi e in altri programmi di consulenza in materia di energia è una questione di vitale importanza (5).

5.7.

Il CESE esprime grande apprezzamento per l’iniziativa della Commissione europea che ha istituito il Forum dei cittadini per l’energia a Londra e sollecita una maggiore partecipazione dei cittadini, sostenuta da una più intensa cooperazione con le associazioni europee dei consumatori. I complessi sviluppi legislativi, regolamentari, tecnologici, sociali e comportamentali, su cui si fonda la transizione energetica, richiederanno comprensione e appropriazione da parte dell’opinione pubblica per realizzare pienamente il loro potenziale. La necessità di una maggiore attenzione alla partecipazione dei cittadini è evidenziata nella proposta del CESE sul dialogo europeo per l’energia che viene incontro a tali aspirazioni.

5.8.

La strategia in esame invita a dare la massima priorità a un approccio radicale e coordinato sul tema del riscaldamento e del raffreddamento. Tale approccio deve essere integrato nelle revisioni legislative in corso e nei pacchetti legislativi adottati in materia. Pertanto, la revisione della direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica e della direttiva 2010/31/UE sulla prestazione energetica nell’edilizia, la nuova direttiva sulle energie rinnovabili per il periodo 2020-2030 e la politica aggiornata dell’UE in materia di sfruttamento sostenibile delle bioenergie devono fare specifico riferimento alla centralità del riscaldamento e del raffreddamento e adottare le misure di coordinamento proposte nella strategia in esame.

5.9.

Il Comitato rileva quindi con preoccupazione che nella recente proposta di regolamento sulla condivisione degli sforzi (COM(2016) 482 final) si è persa un’occasione per dare la priorità all’efficienza energetica. Gli Stati membri dell’Europa orientale potrebbero sfruttare maggiormente la ristrutturazione degli edifici quale soluzione ai problemi di inquinamento, di dipendenza e povertà energetica, e questo regolamento potrebbe far affluire le risorse necessarie a tale fine.

Bruxelles, 19 ottobre 2016

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  GU C 341 del 21.11.2013, pag. 21.

(2)  GU C 383 del 17.11.2015, pag. 84; GU C 198 del 10.7.2013, pag. 56; GU C 318 del 29.10.2011, pag. 155; GU C 277 del 17.11.2009, pag. 75.

(3)  GU C 264 del 20.7.2016, pag. 117.

(4)  GU C 120 del 20.5.2005, pag. 115; GU C 162 del 25.6.2008, pag. 62; GU C 24 del 28.1.2012, pag. 134.

(5)  GU C 383 del 17.11.2015, pag. 84.


2.2.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 34/157


Parere del comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2010/13/UE relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi in considerazione dell’evoluzione delle realtà del mercato»

[COM(2016) 287 final — 2016/0151 (COD)]

(2017/C 034/26)

Relatore:

Raymond HENCKS

Consultazione

Commissione europea, 06/07/2016

Base giuridica

Articolo 53, paragrafo 1, e articolo 62 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

[COM(2016) 287 final — 2016/0151 (COD)]

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

06/10/2016

Adozione in sessione plenaria

19/10/2016

Sessione plenaria n.

520

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

218/2/7

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) riconosce che, tenuto conto degli sviluppi del mercato audiovisivo legati alla nascita di nuove forme di servizi, alla comparsa di nuovi operatori e allo sviluppo di nuove forme di consumo «su richiesta», l’adeguamento del quadro normativo europeo per i servizi di media audiovisivi è diventato indispensabile. Il Comitato approva pertanto il lavoro di aggiornamento della direttiva del 2010 sui servizi di media audiovisivi («SMA») intrapreso dalla Commissione europea, fatte salve alcune osservazioni presentate qui di seguito.

1.2.

I servizi di media audiovisivi non vanno considerati esclusivamente dal punto di vista del loro valore commerciale. Il CESE ritiene che le misure di tutela dei minori e adolescenti, come pure i provvedimenti intesi a garantire la partecipazione delle persone con disabilità, degli anziani, dei poveri e degli emarginati alla vita sociale e culturale, non possano essere subordinati a considerazioni di ordine economico.

1.3.

Il CESE prende atto che la Commissione prevede di abrogare l’attuale articolo 7 della direttiva SMA concernente l’accessibilità ai servizi di media audiovisivi per le persone con disabilità, articolo che dovrebbe essere sostituito dalla proposta di direttiva sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative ai requisiti di accessibilità dei prodotti e dei servizi [COM(2015) 615 final]. Se tale proposta della Commissione non dovesse essere accolta, sarebbe opportuno valorizzare nuovamente il citato articolo 7 della direttiva SMA obbligando gli Stati membri a promuovere, tra l’altro, il linguaggio dei segni, la sottotitolazione, l’audiodescrizione e menù di navigazione di facile comprensione.

1.4.

Il CESE si compiace del fatto che, per tutelare la diversità culturale, l’Unione promuova la diffusione di opere europee, e approva del pari l’obbligo imposto ai grandi fornitori di SMA di proporre una determinata quota di tali opere nei loro programmi o cataloghi. Propone tuttavia di aumentare dal 20 % al 50 % la quota minima di opere europee imposta ai grandi fornitori di video su richiesta, per analogia con la quota minima stabilita per la radiodiffusione televisiva. Raccomanda inoltre di prevedere una quota minima del 20 % per i fornitori con un fatturato o un pubblico (audience) di modesta entità, precisando tuttavia le definizioni dei concetti di «fatturato di modesta entità» e «pubblico (audience) di modesta entità».

1.5.

Il CESE è contrario a concedere agli Stati membri la facoltà di imporre o meno contributi finanziari, sotto forma di investimenti diretti in opere o di prelievi assegnati a fondi nazionali per il cinema, ai servizi su richiesta soggetti alla loro giurisdizione e a quelli stabiliti al di fuori dei confini nazionali ma che si rivolgono al loro pubblico nazionale: ciò potrebbe infatti falsare la concorrenza a seconda che uno Stato membro imponga o meno tali contributi, e potrebbe inoltre penalizzare i servizi audiovisivi di uno Stato membro destinati ai propri cittadini stabiliti in un altro paese dell’UE.

1.6.

Per quanto riguarda la tutela dei minori, il CESE approva il fatto che la proposta di direttiva preveda di allineare le norme di protezione applicabili ai fornitori di piattaforme per la condivisione di video a quelle applicabili alla radiodiffusione televisiva. Il Comitato invita tuttavia a cogliere l’occasione per precisare quanto disposto dall’articolo 27 della direttiva SMA (2010/13/UE), il quale stabilisce che gli Stati membri adottino misure atte a garantire che le trasmissioni televisive, nelle fasce orarie in cui i minori si trovino nell’area di diffusione, non contengano alcun programma che possa nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minori stessi. Il CESE propone di stabilire, per l’applicazione di questa disposizione, una fascia oraria ben precisa in cui viga anche il divieto di trasmettere pubblicità di bevande alcoliche.

1.7.

Il CESE approva la nuova formulazione proposta per l’articolo 6 della direttiva, che stabilisce che gli SMA erogati non possano contenere alcuna «istigazione alla violenza o all’odio nei confronti di un gruppo di persone o un membro di tale gruppo definito in riferimento al sesso, all’origine razziale o etnica, alla confessione, alla disabilità, all’età o all’orientamento sessuale». Fa tuttavia presente che, nella nuova formulazione dell’articolo 28 bis, relativo alle piattaforme per la condivisione di video, viene tralasciato il riferimento all’istigazione in base al sesso, all’orientamento sessuale e alla disabilità, e che talvolta la terminologia utilizzata è differente. Propone quindi che il testo dell’articolo 28 bis, paragrafo 1, lettera b), riproduca la stessa formulazione dell’articolo 6.

1.8.

Al fine di tutelare tutti i cittadini da contenuti che istighino alla violenza o all’odio e di tutelare i minori da contenuti che possano nuocere al loro sviluppo, il CESE approva l’idea di promuovere la coregolamentazione e l’autoregolamentazione mediante dei codici di condotta, nella misura in cui il gruppo dei regolatori europei per i servizi di media audiovisivi (European Regulators Group for Audiovisual MEDIA Services — ERGA) sarà stato effettivamente istituito e dotato dei mezzi per l’esercizio effettivo delle sue competenze, in particolare quella di cui all’articolo 30 bis, paragrafo 3, punto c).

1.9.

Il CESE si pronuncia contro la proposta della Commissione di accordare ai servizi di media audiovisivi maggiore spazio e flessibilità in materia di pubblicità: ciò, infatti, andrebbe a discapito dei consumatori, i quali sarebbero bersagliati da un maggior numero di interruzioni pubblicitarie dei programmi, e per un tempo più lungo, nelle ore di punta e di massimo ascolto. Inoltre, le nuove norme relative alle interruzioni pubblicitarie potrebbero pregiudicare l’integrità delle opere e i diritti morali degli autori.

1.10.

A giudizio del CESE, le norme relative alla vigilanza esercitata dalle autorità nazionali di regolamentazione sono carenti per quanto riguarda le società fittizie di uno Stato membro che si avvalgono delle capacità via satellite di un paese terzo per raggiungere un vasto pubblico (audience) in un altro Stato membro; tali norme dovranno pertanto essere rivedute e integrate da una disposizione in base alla quale un operatore che sia titolare di una licenza per la fornitura di servizi audiovisivi in uno Stato membro, ma che fornisca tali servizi audiovisivi in un altro, debba conformarsi alla regolamentazione vigente in entrambi questi paesi dell’UE.

2.   Introduzione

2.1.

Dal 1989 il settore dei media audiovisivi è disciplinato da norme europee che garantiscono la diversità culturale e la libera circolazione dei contenuti nell’UE. La direttiva sui servizi di media audiovisivi (direttiva SMA), che è stata aggiornata più volte in funzione dell’evoluzione tecnologica e commerciale, armonizza, a livello europeo, tutte le normative nazionali sui media audiovisivi. Attualmente tale direttiva riguarda le trasmissioni televisive e i servizi di video su richiesta (video on demand — VOD).

2.2.

Il panorama dei media audiovisivi sta però mutando rapidamente a causa della sempre maggiore convergenza fra televisione e servizi distribuiti via Internet. Stanno emergendo nuovi modelli economici e nuovi strumenti tecnologici di comunicazione, mentre e nuovi operatori — in particolare fornitori di video su richiesta e piattaforme per la condivisione di video — offrono contenuti audiovisivi via Internet.

2.3.

La radiodiffusione televisiva e i video su richiesta sono disciplinati da norme diverse e soggetti a livelli differenti di tutela dei consumatori. Per questo la Commissione intende conseguire un migliore equilibrio tra le norme che si applicheranno alle emittenti televisive tradizionali, ai fornitori di video su richiesta e alle piattaforme per la condivisione di video.

3.   Contenuto della proposta della Commissione

3.1.

Nel quadro della strategia per il mercato unico digitale, la Commissione propone di aggiornare la direttiva SMA al fine di creare un contesto più equo per tutti gli operatori del mercato, promuovere la diversità culturale europea e i film europei, garantire una migliore protezione dei minori, combattere i discorsi che fomentano l’odio e l’istigazione alla violenza, garantire l’indipendenza delle autorità di regolamentazione del settore audiovisivo e offrire una maggiore flessibilità agli organismi di diffusione in materia di pubblicità. La direttiva SMA modificata si applicherà anche alle piattaforme online e ai siti di condivisione di video e contenuti.

3.2.

La Commissione propone pertanto le misure descritte qui di seguito.

3.2.1.   Responsabilità delle piattaforme per la condivisione di video

Le piattaforme per la condivisione di video dovranno proteggere i minori dai contenuti nocivi e tutelare tutti i cittadini dall’istigazione alla violenza, all’odio o al razzismo. La Commissione inviterà tutte le piattaforme per la condivisione di video a cooperare, nel quadro dell’Alleanza per una migliore tutela dei minori online, alla stesura di un codice di condotta per il settore. Le autorità nazionali di regolamentazione del settore audiovisivo saranno incaricate di far rispettare le norme e, secondo la legislazione nazionale applicabile, questo può anche dar luogo a sanzioni. Le misure di protezione dei consumatori previste dalla direttiva sul commercio elettronico saranno applicabili anche alle piattaforme per la condivisione di video.

3.2.2.   Un ruolo più incisivo per le autorità nazionali di regolamentazione del settore audiovisivo

La direttiva garantirà l’indipendenza delle autorità nazionali di regolamentazione. Il ruolo del gruppo dei regolatori europei per i servizi di media audiovisivi (European Regulators Group for Audiovisual MEDIA Services — ERGA), costituito da tutte e 28 le autorità nazionali per il settore audiovisivo, sarà definito nella legislazione dell’UE. L’ERGA valuterà i codici di condotta in materia di coregolamentazione e fornirà consulenza alla Commissione europea.

3.2.3.   Una creatività europea rafforzata

La Commissione auspica che le emittenti televisive continuino a dedicare almeno metà del tempo di visione dei programmi ad opere europee, e stabilirà l’obbligo, per i fornitori di servizi su richiesta, di riservare ai contenuti europei una quota di almeno il 20 % nei loro cataloghi. La proposta precisa inoltre che gli Stati membri potranno chiedere ai fornitori di servizi su richiesta disponibili o diffusi sul loro territorio di contribuire finanziariamente alla produzione di opere europee.

3.2.4.   Una maggiore flessibilità per la pubblicità diffusa dalle emittenti televisive

La nuova regolamentazione del settore audiovisivo non aumenta la durata complessiva dei messaggi pubblicitari che le emittenti televisive possono trasmettere nella fascia oraria compresa tra le 7.00 e le 23.00, ma concede alle emittenti una maggiore flessibilità lasciando loro ampia scelta quanto al momento in cui collocare gli annunci pubblicitari. Si propone pertanto di abolire il limite orario, introducendo invece una quota massima giornaliera del 20 % di pubblicità nella fascia oraria compresa tra le 7.00 e le 23.00. Gli organismi di radiodiffusione e i fornitori di servizi su richiesta godranno inoltre di una maggiore flessibilità in materia di inserimento di prodotti e di sponsorizzazione.

4.   Osservazioni di carattere generale

4.1.

Il CESE sottolinea di avere a cuore la diversità dei servizi di media audiovisivi (SMA) in quanto essa promuove la libera circolazione dell’informazione, lo sviluppo culturale e la libera formazione delle opinioni, in condizioni che consentono di salvaguardare il pluralismo dell’informazione e la diversità culturale e linguistica.

4.2.

Il Comitato guarda inoltre con favore al fatto che la direttiva in esame si impegni a rispettare i diritti fondamentali e ad osservare i principi sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in particolare il diritto alla libertà di espressione, la libertà d’impresa e il diritto a un ricorso giurisdizionale, nonché a promuovere l’applicazione dei diritti dei minori.

4.3.

Il Comitato appoggia le iniziative adottate dalla Commissione per valorizzare il patrimonio europeo e sviluppare la creazione audiovisiva europea, oltre che per aumentare la produzione e la distribuzione di programmi europei di qualità, nel rispetto dei principi della dignità umana e assicurando un livello elevato di tutela dei minori, dei consumatori e dei dati personali nonché una concorrenza equa e leale.

4.4.

Il CESE riconosce che, tenuto conto degli sviluppi del mercato audiovisivo legati alla nascita di nuove forme di servizi e di nuovi strumenti tecnologici di comunicazione, alla comparsa di nuovi operatori e allo sviluppo di nuove forme di consumo «su richiesta», l’adeguamento del quadro normativo europeo per i servizi di media audiovisivi è diventato indispensabile.

4.5.

Considerata la complessità delle disposizioni legislative relative alla fornitura di servizi di media audiovisivi, il CESE reputa che sarebbe opportuno, per ragioni di chiarezza e razionalità, riunire in un testo consolidato le modifiche e le aggiunte che la proposta di direttiva in esame intende apportare alla direttiva 2010/13/UE del 10 marzo 2010 sugli SMA.

4.6.

I servizi di media audiovisivi sono servizi pubblici essenziali di natura economica, sociale e culturale, portatori di valori e di significati inerenti, in larga misura, ai diritti umani, e non vanno considerati esclusivamente dal punto di vista del loro valore commerciale. Questo è vero in particolare per i minori e gli adolescenti, la cui formazione ed educazione dipendono in misura sempre maggiore dai media, vista l’influenza che i servizi di media audiovisivi esercitano sul modo in cui gli ascoltatori/spettatori si formano un’opinione, ma è altrettanto vero anche per le persone con disabilità, per gli anziani, per i poveri e gli emarginati, chiamati a partecipare e ad integrarsi nella vita sociale e culturale, la quale non può prescindere dalla fornitura di servizi di media accessibili, anche dal punto di vista economico.

4.7.

Il CESE prende atto che, in base alla proposta in esame, l’attuale articolo 7 della direttiva SMA, formulato in modo estremamente vago e poco eloquente, dovrebbe essere abrogato e sostituito dalla direttiva sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative ai requisiti di accessibilità dei prodotti e dei servizi (COM(2015) 615 final), un testo che, tuttavia, al momento è soltanto una proposta di direttiva.

4.8.

Qualora la Commissione non riuscisse nel suo progetto di predisporre, mediante un atto legislativo europeo, un quadro generale per l’accessibilità dei prodotti e servizi, conformemente alla Convenzione dell’ONU sui diritti delle persone con disabilità, una nuova formulazione dell’articolo 7 della direttiva SMA dovrebbe contenere disposizioni più vincolanti che obblighino gli Stati membri a promuovere, tra l’altro, il linguaggio dei segni, la sottotitolazione, l’audiodescrizione e menù di navigazione di facile comprensione, ai sensi del considerando 46 della direttiva SMA del 2010. A questo proposito, il CESE sottolinea che, negli Stati membri in cui la sottotitolazione dei programmi audiovisivi è la norma, il numero di cittadini bilingui o multilingui è particolarmente elevato.

4.9.

Il CESE si compiace del fatto che, per tutelare la diversità culturale, l’Unione promuova la diffusione di opere europee, e approva del pari l’obbligo imposto ai grandi fornitori di SMA di proporre una determinata quota di tali opere nei loro programmi o cataloghi.

4.10.

Quanto alla quota minima del 20 % di opere europee imposta ai grandi fornitori di servizi di video su richiesta (VOD), rispettare questo obbligo non richiederà ulteriori sforzi da parte loro poiché essi raggiungono già adesso tale quota (cfr. statistiche dell’Osservatorio europeo dell’audiovisivo). Inoltre, si tratta pur sempre di una quota assai modesta rispetto a quella che si applica alle emittenti di servizi televisivi lineari, che sono sempre tenute a rispettare una quota minima del 50 % di opere europee. La quota minima fissata per i servizi di video su richiesta dovrebbe pertanto essere pari a quella stabilita per la radiodiffusione televisiva.

4.11.

Il CESE avanza delle riserve quanto alla possibilità di accordare deroghe relative alle opere europee alle piccole e medie imprese con un fatturato o un pubblico (audience) di modesta entità, poiché tali deroghe potrebbero costituire una nuova forma di concorrenza sleale. Ritiene opportuno fissare una quota minima del 20 %, ma chiede anche di chiarire che cosa si intenda per «fatturato di modesta entità» e «pubblico (audience) di modesta entità».

4.12.

Gli Stati membri saranno autorizzati ad imporre contributi finanziari, sotto forma di investimenti diretti in opere o prelievi assegnati a fondi nazionali per il cinema, ai servizi su richiesta soggetti alla loro giurisdizione e a quelli stabiliti al di fuori dei confini nazionali ma che si rivolgono al loro pubblico nazionale.

4.13.

Il CESE è contrario al fatto che tale misura sia facoltativa, poiché questo potrebbe falsare le norme di concorrenza a seconda che uno Stato membro imponga o meno tali contributi, e potrebbe inoltre penalizzare i servizi audiovisivi di uno Stato membro destinati ai propri cittadini stabiliti in un altro paese dell’UE.

4.14.

Per quanto riguarda la tutela dei minori, il CESE si compiace che la proposta di direttiva preveda di allineare le norme di protezione applicabili ai fornitori di piattaforme per la condivisione di video a quelle applicabili alla radiodiffusione televisiva. Il CESE invita tuttavia a cogliere l’occasione per precisare quanto disposto dall’articolo 27 della direttiva SMA (2010/13/UE), il quale stabilisce che gli Stati membri adottino misure atte a garantire che le trasmissioni televisive, nelle fasce orarie in cui i minori si trovino nell’area di diffusione, non contengano alcun programma che possa nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minori stessi. Il CESE propone di stabilire, per l’applicazione di questa disposizione, una fascia oraria ben precisa in cui viga anche il divieto di trasmettere pubblicità di bevande alcoliche, oltre che di farmaci da banco e di generi alimentati considerati dannosi per i loro effetti in termini di aumento dell’obesità infantile.

4.15.

Al fine di tutelare tutti i cittadini da contenuti che istighino alla violenza o all’odio e di tutelare i minori da contenuti che possano nuocere al loro sviluppo, il CESE approva l’idea di promuovere la coregolamentazione e l’autoregolamentazione mediante dei codici di condotta, che devono essere redatti in modo da risultare ampiamente accettabili per i principali soggetti interessati. Il CESE rammenta (1) che, perché tali strumenti — ossia l’autoregolamentazione e la coregolamentazione — possano funzionare come strumenti di regolamentazione validi e riconosciuti in qualsiasi ordinamento giuridico, la loro configurazione e il loro campo di applicazione devono essere definiti da norme espresse ed esplicite di legge, inderogabili e applicabili a livello giurisdizionale sia a livello nazionale che a livello dell’UE, che rispettino nel contempo la natura di questi strumenti e in particolare l’accordo volontario delle parti. È in tale quadro che assume particolare rilevanza la necessità di istituire il gruppo dei regolatori europei per i servizi di media audiovisivi (ERGA) e di dotarlo dei mezzi necessari per l’esercizio effettivo delle sue competenze, in particolare quella di cui all’articolo 30 bis, paragrafo 3, lettera c).

4.16.

La Commissione europea desidera accordare maggiore spazio e flessibilità in materia di pubblicità a tutti i servizi di media audiovisivi. La trasmissione di film prodotti per la televisione, opere cinematografiche e notiziari potrà quindi essere interrotta da pubblicità televisiva o televendite una volta per ogni periodo programmato di almeno venti minuti, mentre invece attualmente tale periodo programmato è di almeno trenta minuti: ciò significa che d’ora in poi si potrà avere un’interruzione supplementare per ogni ora di programmi. Inoltre, la durata massima di pubblicità consentita per ogni periodo programmato di un’ora, attualmente fissata al 20 %, ossia a dodici minuti in un’ora, viene sostituita da una quota giornaliera del 20 % di spot pubblicitari e di televendita nella fascia oraria compresa tra le 7.00 e le 23.00, per un totale di 192 minuti. Saranno altresì autorizzati spot isolati, ed è prevista una maggiore flessibilità nelle disposizioni relative alla sponsorizzazione e all’inserimento di prodotti.

4.17.

Di conseguenza, i programmi televisivi in questione potranno essere interrotti più spesso e più a lungo in orari scelti dalle emittenti televisive, purché non venga superata la quota massima di 192 minuti di pubblicità nella fascia oraria compresa tra le 7.00 e le 23.00.

4.18.

È evidente che, d’ora in poi, le interruzioni pubblicitarie dei programmi si susseguiranno a un ritmo sostenuto durante le ore di punta e di massimo ascolto, mentre la mattina presto e la sera tardi saranno molto più distanziate, al fine di creare il margine di manovra necessario per rispettare la quota del 20 % di pubblicità nell’arco della giornata. Le nuove norme relative alle interruzioni pubblicitarie potrebbero inoltre pregiudicare l’integrità delle opere e i diritti morali degli autori.

4.19.

Il CESE si oppone pertanto a queste nuove norme in materia di pubblicità e chiede di mantenere immutate le disposizioni attualmente in vigore, se non addirittura di rafforzarle, come aveva già raccomandato in passato.

4.20.

Si potrebbe prendere in considerazione l’idea di abbandonare la distinzione tra «servizi lineari» e «servizi non lineari», che gli sviluppi in campo digitale rendono ormai obsoleta.

4.21.

Il CESE approva le misure adottate per garantire l’indipendenza dell’autorità nazionale di regolamentazione del settore audiovisivo in ciascun paese dell’UE, considerato che in taluni Stati membri l’indipendenza giuridica e funzionale dell’autorità di regolamentazione da qualsiasi altro organismo pubblico o privato non era garantita e si prestava ad abusi.

4.22.

A giudizio del CESE, le norme relative alla vigilanza esercitata dalle autorità nazionali di regolamentazione sono carenti per quanto riguarda le società fittizie di uno Stato membro che si avvalgono delle capacità via satellite di un paese terzo per raggiungere un vasto pubblico (audience) in un altro Stato membro. Per evitare simili pratiche abusive, il CESE raccomanda di inserire nella direttiva in esame una disposizione in base alla quale un operatore che sia titolare di una licenza per la fornitura di servizi audiovisivi in uno Stato membro, ma che fornisca tali servizi audiovisivi in un altro, debba conformarsi alla regolamentazione vigente in entrambi questi paesi dell’UE.

Bruxelles, 19 ottobre 2016

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  GU C 248 del 25.8.2011, pag. 118.


2.2.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 34/162


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 531/2012 per quanto riguarda le norme sui mercati del roaming all’ingrosso»

[COM(2016) 399 final — 2016/185 (COD)]

(2017/C 034/27)

Relatore:

Raymond HENCKS

Consultazione

Parlamento europeo, 4/7/2016

Consiglio, 7/7/2016

Base giuridica

Articolo 114 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

[COM(2016) 399 final — 2016/185 (COD)]

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

6/10/2016

Adozione in sessione plenaria

19/10/2016

Sessione plenaria n.

520

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

224/3/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ha costantemente appoggiato la soppressione di qualsiasi tariffa specifica per le comunicazioni mobili in roaming. Il CESE appoggia la Commissione europea nelle sue iniziative volte a giungere a un «roaming a tariffa nazionale» a partire dal 15 giugno 2017 e a eliminare preventivamente le carenze del mercato all’ingrosso del roaming che rischiano di compromettere l’obiettivo summenzionato.

1.2.

Parallelamente alla soppressione delle tariffe di roaming, occorrerà adottare delle misure preventive per evitare che gli operatori compensino la diminuzione degli introiti, dovuta all’abolizione delle tariffe di roaming, con un aumento delle tariffe nazionali o con altre pratiche abusive. Analogamente, sarà importante assicurare che le tariffe nazionali, soprattutto le offerte forfettarie, diventino più trasparenti e che le autorità di regolamentazione elaborino, in collaborazione con le organizzazioni dei consumatori, un modello di informazione standardizzata sulla composizione dei prezzi.

1.3.

Secondo il CESE, le tariffe medie massime all’ingrosso (proposte dalla Commissione) che l’operatore di una rete ospitante può applicare al fornitore di servizi di roaming per le chiamate, gli SMS e i servizi di dati in roaming, sono ragionevoli e dovrebbero lasciare un margine sufficiente per una sana concorrenza tra i fornitori all’ingrosso di servizi mobili di roaming.

1.4.

Il CESE esprime invece forti riserve in merito alla nuova possibilità offerta dalla proposta di regolamento in esame agli operatori per la negoziazione di «regimi tariffari all’ingrosso innovativi», al di fuori dei prezzi (massimali) regolamentati, che non sarebbero direttamente connessi ai volumi effettivamente consumati. Le trattative commerciali basate su pagamenti forfettari, su impegni immediati o sulla capacità rischiano di creare delle intese e degli abusi di posizione dominante da parte dei grandi operatori e di chi può avvalersi di una rete con copertura nazionale, a danno degli operatori più piccoli e degli operatori di reti mobili virtuali, e questo porterà inevitabilmente a rafforzare gli oligopoli esistenti e gli accordi di roaming bilaterali che la Commissione ritiene siano alla radice delle attuali carenze del mercato.

1.5.

Il CESE approva la proposta, formulata nel regolamento in esame, che — in caso di controversia tra operatori per quanto riguarda i mercati del roaming all’ingrosso — le autorità nazionali di regolamentazione siano obbligate a chiedere il parere dell’Organismo dei regolatori europei delle comunicazioni elettroniche (BEREC) sulle misure da adottare, dato che questo aumenterà la coerenza degli approcci regolamentari applicati da tali autorità nazionali. Il CESE propone di completare le disposizioni sulle controversie e di invitare le autorità nazionali a incoraggiare, ove opportuno, le parti in causa a ricorrere innanzitutto alla procedura extragiudiziaria per la risoluzione delle controversie.

2.   Introduzione

2.1.

L’obiettivo dell’Unione di fare dell’Europa un continente connesso, basato su un’infrastruttura all’avanguardia e su prezzi accessibili per i servizi fissi e quelli senza filo, è stato ostacolato anche da prezzi per le comunicazioni mobili in roaming all’interno dell’Europa che sono eccessivi e ampiamente superiori alle tariffe applicate per il medesimo servizio all’interno di un paese.

2.2.

Visto che erano rimasti inascoltati i ripetuti appelli che la Commissione aveva rivolto fin dal 2006 agli operatori della telefonia mobile affinché abbassassero le tariffe eccessive per le comunicazioni mobili in roaming, nel 2007 l’UE ha iniziato a introdurre un massimale tariffario (l’euro-tariffa) per i mercati all’ingrosso e al dettaglio delle chiamate vocali intereuropee, poi per gli SMS e infine per i servizi di dati in roaming, nella speranza che si sviluppasse una sana concorrenza e che gli utenti non fossero più costretti a pagare prezzi eccessivi.

2.3.

Le tariffe massime di roaming per le chiamate vocali, l’invio di SMS e l’utilizzo di servizi di dati, compresi i messaggi MMS, sono quindi dovute essere successivamente abbassate (cfr. tabella qui di seguito) allo scopo di conseguire l’obiettivo finale di giungere alla completa abolizione delle tariffe per il roaming e di allineare le tariffe delle comunicazioni intereuropee a quelle applicate a livello nazionale.

 

Chiamate vocali

euro/minuto

IVA esclusa

SMS

euro/SMS

IVA esclusa

Dati

euro/kilobyte

IVA esclusa

Tariffa all’ingrosso

Tariffa al dettaglio per chiamata effettuata

Tariffa al dettaglio per chiamata ricevuta

Tariffa all’ingrosso

Tariffa al dettaglio

Tariffa all’ingrosso

Tariffa al dettaglio

Tariffa media prima dell’1.9.2007

 

0,7692

0,417

----

----

----

----

Regolamento (CE) n. 717/2007

Tariffa massima tra l’1.9.2007 e il 31.8.2008

0,30

0,49

0,24

----

----

----

----

Tariffa massima tra l’1.9.2008 e il 30.6.2009

0,28

0,46

0,22

----

----

----

----

Tariffa massima tra l’1.7.2009 e il 30.6.2010

0,26

0,43

0,19

0,04

0,11

1,00

----

Regolamento (CE) n. 544/2009

Tariffa massima tra l’1.7.2010 e il 30.6.2011

0,22

0,39

0,15

0,04

0,11

0,80

----

Tariffa massima tra l’1.7.2011 e il 30.6.2012

0,18

0,35

0,11

0,04

0,11

0,50

----

Tariffa massima tra l’1.7.2012 e il 30.6.2013

0,14

0,29

0,08

0,03

0,09

0,25

0,70

Regolamento (UE) n. 531/2012

Tariffa massima tra l’1.7.2013 e il 30.6.2014

0,10

0,24

0,07

0,02

0,08

0,15

0,45

Tariffa massima tra l’1.7.2014 e il 30.6.2015

0,05

0,19

0,05

0,02

0,06

0,05

0,20

Tariffa massima tra l’1.7.2015 e il 30.6.2017

0,05

0,19

0,05

0,02

0,06

0,05

0,20

Tariffa massima tra l’1.7.2015 e il 30.6.2022

0,05

 

 

0,02

 

0,05

 

2.4.

Nessuna rete mobile copre tutti gli Stati membri dell’Unione. Di conseguenza, per poter fornire servizi di comunicazioni mobili ai propri clienti nazionali che viaggiano in un altro Stato membro, i fornitori di servizi di roaming devono acquistare tali servizi all’ingrosso dagli operatori che esercitano la loro attività nello Stato membro visitato dal loro cliente nazionale, oppure scambiare servizi di roaming con detti operatori.

2.5.

Il massimale delle tariffe nell’Unione è stato accompagnato da misure strutturali, anche per quanto riguarda il mercato del roaming all’ingrosso (1). Pertanto, gli operatori delle reti mobili ospitanti devono:

soddisfare tutte le richieste ragionevoli di accesso ai servizi di roaming e possono respingere le richieste di accesso all’ingrosso ai servizi di roaming esclusivamente sulla base di criteri obiettivi,

pubblicare un’offerta di riferimento sufficientemente dettagliata, tenendo conto degli orientamenti stabiliti dal BEREC, e trasmetterla all’impresa che chiede di accedere all’ingrosso ai servizi di roaming,

fornire all’impresa che richiede l’accesso un progetto di contratto per tale accesso entro un mese al massimo dal ricevimento iniziale della richiesta da parte dell’operatore della rete mobile. L’accesso all’ingrosso ai servizi di roaming è concesso entro un termine ragionevole non superiore a tre mesi dalla conclusione del contratto,

rispondere, entro un termine non superiore a due mesi, alla richiesta di un operatore di avviare delle trattative commerciali per aggiungere degli elementi che non sono contemplati dall’offerta di riferimento.

2.6.

Infine, conformemente al regolamento (UE) n2015/2120, a decorrere dal 15 giugno 2017 — ma subordinatamente a un utilizzo ragionevole e all’esito positivo di un riesame sul funzionamento corretto del mercato — i prestatori di servizi di roaming non applicano più un sovrapprezzo, rispetto ai prezzi al dettaglio nazionali, ai clienti in roaming in un altro Stato membro per l’effettuazione e la ricezione di chiamate in roaming regolamentate, per l’invio di SMS in roaming regolamentati e per l’utilizzo di servizi di dati in roaming regolamentati, né applicano tariffe generali per l’utilizzo all’estero di servizi o di apparecchiature terminali.

2.7.

Tuttavia, in circostanze specifiche ed eccezionali, al fine di assicurare la sostenibilità del suo modello di tariffazione nazionale, un prestatore di servizi di roaming, qualora non sia in grado di recuperare i costi globali effettivi e previsti connessi alla prestazione di servizi di roaming regolamentati, può chiedere l’autorizzazione ad applicare un sovrapprezzo. Tale sovrapprezzo è applicato solo nella misura necessaria per recuperare i costi sostenuti nella prestazione di servizi di roaming al dettaglio regolamentati, tenuto conto delle tariffe massime all’ingrosso applicabili.

2.8.

Ciononostante, dalla relazione relativa al riesame del mercato del roaming all’ingrosso [COM(2016) 398 final], risulta che le misure strutturali previste si sono rivelate insufficienti nel mercato interno dei servizi di roaming per il conseguimento dell’obiettivo di rafforzare la concorrenza e realizzare un mercato interno dei servizi di comunicazione mobile in cui non siano operate distinzioni tra le tariffe nazionali e quelle di roaming.

2.9.

Questa analisi dei mercati ha dimostrato che il funzionamento dei mercati all’ingrosso risente ancora di una serie di carenze dovute a situazioni oligopolistiche (associate ad accordi di roaming bilaterali), alla mancanza di prodotti sostitutivi al livello all’ingrosso e a prezzi nettamente superiori ai costi stimati, in particolare per i servizi di dati.

2.10.

Vista la stretta correlazione tra i mercati all’ingrosso e quelli al dettaglio, e in mancanza di un margine sufficiente tra i prezzi all’ingrosso e quelli al dettaglio, l’obiettivo di un «roaming a tariffa nazionale» diventa irrealizzabile e strutturalmente non sostenibile, soprattutto per i piccoli operatori, gli operatori di reti mobili virtuali (MVNO) e gli operatori con grande traffico di roaming in uscita.

2.11.

Ne consegue che la Commissione è obbligata a proporre un nuovo intervento normativo dell’UE per quel che concerne i mercati del roaming all’ingrosso.

2.12.

L’articolo 6 quinquies del regolamento (UE) 2015/2120, che modifica il regolamento (UE) n. 531/2012, invita la Commissione a presentare, entro il 15 dicembre 2016, anche un atto di esecuzione che stabilisca norme dettagliate sull’applicazione, da parte degli operatori, di una politica «di utilizzo corretto» in materia di consumo di servizi di roaming al dettaglio regolamentati prestati al prezzo al dettaglio nazionale applicabile. Al momento, questo atto di esecuzione è ancora in sospeso dopo il ritiro, da parte della Commissione, di una prima proposta al riguardo.

3.   Contenuto della proposta della Commissione

3.1.

La proposta di modifica del regolamento (UE) n. 531/2012 prevede:

la riduzione, per il periodo compreso tra il 15 giugno 2017 e il 30 giugno 2022, della tariffa media massima per il roaming all’ingrosso:

per le chiamate, da 5 centesimi di euro al minuto a 4 centesimi di euro al minuto,

per gli SMS, da 2 centesimi di euro a 1 centesimo di euro,

per i servizi di dati, da 5 centesimi di euro per megabyte a 0,85 centesimi di euro per megabyte,

la possibilità, per le due parti che stipulano un accordo per la prestazione di servizi di roaming all’ingrosso, di decidere espressamente di non applicare per un periodo determinato, nel quadro di tale accordo, la tariffa massima all’ingrosso prevista dal regolamento,

l’obbligo, per le autorità nazionali di regolamentazione, di consultare il BEREC sulle misure da adottare in caso di controversia tra gli operatori della rete ospitante e gli altri operatori per quanto riguarda i servizi di roaming all’ingrosso,

una relazione, basata sui dati raccolti dal BEREC in merito all’evoluzione sui mercati del roaming all’interno dell’Unione, che la Commissione deve elaborare e presentare al Parlamento europeo e al Consiglio ogni due anni, a partire dal 15 giugno 2017.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Nei propri precedenti pareri il CESE ha sempre appoggiato le proposte della Commissione volte a introdurre dei massimali per le tariffe di roaming, ritenendo che vadano nella giusta direzione, cioè verso la scomparsa a medio termine di qualunque forma specifica di prezzo delle comunicazioni mobili in roaming. Pertanto, il Comitato non può che approvare le nuove proposte della Commissione intese a eliminare le carenze del mercato del roaming all’ingrosso che rischiano di compromettere il conseguimento di un «roaming a tariffa nazionale» a partire dal 15 giugno 2017.

4.2.

Per quanto riguarda il «roaming a tariffa nazionale», il CESE ricorda che ha sempre messo in guardia contro eventuali effetti controproducenti e che ha invitato le autorità di regolamentazione ad adottare misure preventive per evitare che gli operatori compensino la diminuzione degli introiti, dovuta all’abolizione delle tariffe di roaming, con un aumento delle tariffe nazionali o con altre pratiche abusive a danno del consumatore, come l’addebito di una tariffa per accedere alla rete senza che sia stata effettuata alcuna comunicazione (tariffa di attivazione).

4.3.

Affinché i consumatori possano effettivamente beneficiare di un «roaming a tariffa nazionale» e verificare che non vi è alcun rialzo delle tariffe nazionali, il CESE rinnova la propria proposta secondo cui le autorità di regolamentazione dovrebbero elaborare, in collaborazione con le organizzazioni dei consumatori, un modello di informazione standardizzata sulla composizione dei prezzi, in modo da arrivare a una maggiore trasparenza delle tariffe e, in particolare, delle offerte forfettarie.

4.4.

Il CESE è assolutamente consapevole che le tariffe massime all’ingrosso dovranno permettere agli operatori sia di recuperare i loro costi che di ricavare un margine di profitto ragionevole. Tuttavia, come riconosciuto dalla Commissione (2), la valutazione del costo per la fornitura di servizi di roaming all’ingrosso è un’operazione complessa, che implica un’ampia serie di scelte e di ipotesi, e non è scevra d’incertezze.

4.5.

Tenuto conto dei diversi elementi che concorrono alla composizione sia del costo sostenuto per la fornitura di servizi di roaming all’ingrosso (tariffa di terminazione delle chiamate mobili nel paese di residenza e nel paese visitato) che di altri costi, in particolare i costi di transito non regolamentati, i massimali proposti dalla Commissione sembrano ragionevoli e dovrebbero lasciare un margine sufficiente per una sana concorrenza tra i fornitori di servizi di roaming all’ingrosso.

4.6.

Il CESE esprime forti riserve in merito alla nuova possibilità che la proposta di regolamento in esame offre agli operatori per la negoziazione di «regimi tariffari all’ingrosso innovativi», al di fuori dei prezzi (massimali) regolamentati, che non sarebbero direttamente connessi ai volumi effettivamente consumati. Le trattative commerciali basate su pagamenti forfettari, su impegni immediati o sulla capacità rischiano di creare delle intese e degli abusi di posizione dominante da parte dei grandi operatori e di chi può avvalersi di una rete con copertura nazionale, a danno degli operatori più piccoli e degli operatori di reti mobili virtuali.

4.7.

Il CESE approva la proposta che, in caso di controversia tra operatori per quanto riguarda i mercati del roaming all’ingrosso, le autorità nazionali di regolamentazione siano obbligate a chiedere il parere del BEREC sulle misure da adottare, dato che questo aumenterà la coerenza degli approcci regolamentari applicati da tali autorità nazionali. Il CESE propone di completare le disposizioni sulle controversie e di invitare le autorità nazionali a incoraggiare, ove opportuno, le parti in causa a ricorrere innanzitutto alla procedura extragiudiziaria per la risoluzione delle controversie.

Bruxelles, 19 ottobre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  GU L 172 del 30.6.2012, pag. 10.

(2)  COM(2016) 398 final.


2.2.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 34/167


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2009/45/CE relativa alle disposizioni e norme di sicurezza per le navi da passeggeri»

[COM(2016) 369 final — 2016/170 (COD)]

(2017/C 034/28)

Relatore:

Tomas ABRAHAMSSON

Consultazione

Parlamento europeo, 9/6/2016

 

Consiglio dell’Unione europea, 22/6/2016

Base giuridica

Articolo 100, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE)

 

[COM(2016) 369 final — 2016/170 (COD)]

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

6/10/2016

Adozione in sessione plenaria

19/10/2016

Sessione plenaria n.

520

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

229/0/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie in linea di massima con favore la proposta della Commissione che modifica la direttiva 2009/45/CE del Consiglio relativa alle disposizioni e norme di sicurezza per le navi da passeggeri. Come stabilisce la relazione sull’adeguatezza della legislazione [REFIT, Correggere la rotta: controllo di qualità della legislazione in materia di sicurezza delle navi da passeggeri nell’UE, COM(2015) 508 final], la direttiva 2009/45/CE è, in alcune parti, poco chiara quanto a una serie di definizioni e di requisiti e stabilisce requisiti superati o che si sovrappongono; tutto ciò ha portato a incoerenze nell’attuazione del quadro giuridico per le navi da passeggeri. L’obiettivo delle modifiche proposte è quello di semplificare la normativa, di eliminare le sovrapposizioni e le ridondanze e di chiarire i requisiti e l’ambito di applicazione, mantenendo nel contempo l’attuale livello di sicurezza.

1.2.

I 120 milioni di persone trasportate da navi da passeggeri su rotte nazionali ogni anno rendono la normativa dell’Unione in materia di sicurezza delle navi da passeggeri molto importante. La proposta di modifica della direttiva 2009/45/CE, tuttavia, esclude tutte le piccole navi di lunghezza inferiore a 24 metri dal campo di applicazione della direttiva, mentre attualmente sono escluse solo le navi da passeggeri esistenti, non quelle nuove.

1.3.

Questa proposta viene giustificata con il fatto che, in primo luogo, la direttiva 2009/45/CE si applica al momento a 70 piccole navi su 1 950 e poi con il rispetto del principio di sussidiarietà: queste navi sono costruite per svolgere un’ampia gamma di servizi e stabilire un complesso comune di regole è estremamente problematico, ragion per cui gli Stati membri sarebbero in una posizione migliore per legiferare in materia.

1.4.

Il CESE prende atto della succitata giustificazione, ma raccomanda che l’applicazione alle nuove navi di lunghezza inferiore ai 24 metri sia mantenuta nell’interesse della sicurezza dei passeggeri.

1.5.

La proposta di modifica della direttiva 2009/45/CE precisa che, ai fini della direttiva, l’alluminio è un materiale equivalente all’acciaio e stabilisce l’applicabilità delle corrispondenti norme in materia di sicurezza antincendio. Allo stato attuale, non tutti gli Stati membri certificano le navi di alluminio ai sensi della direttiva vigente, fatto che crea disparità. Il CESE accoglie favorevolmente tale chiarimento.

1.6.

Il CESE accoglie con grande favore l’importanza che le norme attuali dell’UE concernenti la sicurezza delle navi da passeggeri attribuiscono all’accessibilità per le persone a mobilità ridotta (considerando 17 della direttiva 2009/45/CE) ed esprime la sua soddisfazione per il fatto che gli standard dell’UE rappresentino un importante valore aggiunto rispetto alle norme internazionali, che non contengono alcun obbligo in tal senso. Il CESE esprime grande apprezzamento per questa disposizione e ritiene che vada applicata a tutti i tipi di navi per il trasporto nazionale di passeggeri.

1.7.

Il CESE si congratula con la Commissione per il chiarimento contenuto nella nuova lettera (z bis). Questa lettera chiarisce che per «materiale equivalente» si intendono leghe di alluminio o qualsiasi materiale non combustibile che, grazie alla sua coibentazione, al termine della prevista prova standard del fuoco possiede caratteristiche strutturali e di resistenza al fuoco equivalenti a quelle dell’acciaio; Dato che alcuni Stati membri non effettuano la certificazione delle navi di alluminio ai sensi della direttiva vigente, il CESE accoglie favorevolmente tale chiarimento. Il CESE raccomanda tuttavia che la corrispondente norma tecnica compresa nell’allegato della direttiva 2009/45/CE sia ulteriormente chiarita in collaborazione con esperti nazionali.

2.   Introduzione e contesto

2.1.

La configurazione geografica dell’Europa come una vasta penisola dà un’idea dell’importanza fondamentale dei servizi di trasporto marittimo, compreso il trasporto di passeggeri. Ogni anno dai porti dell’UE transitano oltre 400 milioni di persone, di cui 120 milioni sono trasportate dalle navi passeggeri che operano su rotte nazionali. Da qui l’importanza di garantire le più elevate norme di sicurezza nelle acque dell’UE, nella consapevolezza che la legislazione sulla sicurezza delle navi ha notevoli implicazioni, in particolare per l’ambiente, la normativa sul lavoro, la mobilità dei cittadini dell’UE e la facilitazione dei trasferimenti di navi passeggeri, dato che queste ultime ottemperano alle stesse norme in tutta l’UE.

2.2.

Il disastro del traghetto Estonia ha indotto l’Organizzazione marittima internazionale (OMI) a modificare la convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare (International Convention for the Safety of LIFE at Sea, SOLAS), elevando tra l’altro i requisiti di stabilità delle navi ro-ro quando sono danneggiate.

2.3.

Tuttavia, gli incidenti continuano a verificarsi, il che ha indotto l’Europa a introdurre, negli ultimi due decenni, norme supplementari per la sicurezza delle navi passeggeri, tra cui alcune norme specifiche, ad esempio, la registrazione delle persone a bordo, già prevista dalla convenzione SOLAS per i viaggi internazionali, nei quali rientrano anche le rotte tra due o più Stati membri dell’UE, e numerose altre norme UE per le rotte nazionali.

2.4.

Le proposte sono frutto dell’esame svolto nel quadro del programma REFIT condotto dalla Commissione europea in relazione alla normativa sulla sicurezza delle navi da passeggeri. L’abbreviazione REFIT sta per Regulatory Fitness and Performance (adeguatezza e efficacia della regolamentazione).

2.5.

L’obiettivo di tale controllo era quello di semplificare e razionalizzare, ove possibile, la normativa europea vigente in materia di sicurezza delle navi passeggeri al fine di:

mantenere le norme dell’UE soltanto nei casi in cui siano necessarie e proporzionate,

garantire un’applicazione corretta e uniforme,

eliminare le sovrapposizioni e le incongruenze.

Tale iniziativa è in linea con quanto auspicato dal CESE in relazione al programma REFIT, come formulato nel suo recente parere esplorativo in materia (SC/044, 26 maggio 2016).

2.6.

Questo pacchetto coerente di proposte è inteso a realizzare tali obiettivi. Il pacchetto sulla sicurezza delle navi da passeggeri comprende proposte di revisione di quasi tutta la legislazione europea in materia, ad eccezione, ovviamente, della direttiva 2003/25/CE, di carattere puramente tecnico, concernente requisiti specifici di stabilità per le navi ro-ro da passeggeri.

2.7.

Il pacchetto si articola nelle seguenti tre proposte volte a:

limitare e precisare il campo di applicazione della direttiva 2009/45/CE (requisiti tecnici per le navi da passeggeri che operano su rotte marittime nazionali),

migliorare e chiarire gli obblighi di comunicazione previsti dalla direttiva 98/41/CE (registrazione delle persone a bordo delle navi passeggeri) in relazione ad altri strumenti (la direttiva 2010/65/UE relativa alle formalità di dichiarazione e la direttiva 2002/59/CE relativa al sistema comunitario di monitoraggio e informazione), nonché eliminare le sovrapposizioni tra queste normative,

chiarire e semplificare il sistema UE di controlli e ispezioni per le navi traghetto ro-ro (traghetti che, oltre ai passeggeri, possono trasportare anche autovetture e treni) e le navi da passeggeri ad alta velocità.

2.8.

Oggetto del presente parere è la prima proposta.

2.9.

La direttiva 2009/45/CE del 6 maggio 2009, è una rifusione della direttiva 98/18/CE, che è stato necessario abrogare a fini di chiarezza. Essa introduce un livello uniforme di sicurezza per le navi da passeggeri che effettuano viaggi nazionali. Tuttavia, a distanza di 15 anni, la Commissione ha reputato necessario rivedere la presente direttiva, dopo aver portato a termine un controllo dell’adeguatezza da cui è emersa la necessità, che il CESE appoggia fermamente, di semplificare e chiarire i requisiti in vigore.

2.10.

Il CESE ha partecipato attivamente alle riflessioni nel settore della normativa sulla sicurezza marittima, elaborando diversi pareri. Sulla questione specifica della sicurezza delle navi da passeggeri, è opportuno rilevare che il 29 maggio 1996 il Comitato ha formulato un parere in merito alla proposta di direttiva relativa alle disposizioni e alle norme di sicurezza per le navi da passeggeri (1), seguito l’11 dicembre 2002 da un parere del Comitato sulla proposta di direttiva concernente specifici requisiti di stabilità per le navi ro-ro da passeggeri e sulla proposta di direttiva che modificava la direttiva 98/18/CE relativa alle disposizioni e norme di sicurezza per le navi da passeggeri. Va osservato inoltre che più recentemente, il 16 gennaio 2008, il Comitato ha approvato senza riserve la proposta sulla summenzionata rifusione della direttiva 98/18/CE.

2.11.

Data l’importanza del lavoro di revisione svolto adesso dalla Commissione, il CESE desidera evidenziare la grande importanza che annette al continuo miglioramento della sicurezza delle navi da passeggeri coinvolte nelle rotte commerciali nazionali.

3.   Sintesi della proposta della Commissione

3.1.

La direttiva 2009/45/CE relativa alle disposizioni e norme di sicurezza per le navi da passeggeri si applica alle navi costruite in acciaio e materiale equivalente e alle unità veloci, a prescindere dalla loro lunghezza. Attuata a livello dell’UE e con un campo di applicazione limitato ai soli viaggi nazionali, tale direttiva stabilisce requisiti tecnici per la costruzione, la stabilità, la protezione contro gli incendi e per le attrezzature di salvataggio delle navi, fondati da un lato sulle disposizioni della convenzione SOLAS (Convenzione internazionale per la salvaguarda della vita umana in mare, 1974 e successive modifiche) e, dall’altro, su alcuni obblighi che hanno la loro origine in una serie di incidenti marittimi che hanno comportato la perdita di vite umane e da cui è derivata, quindi, la necessità di affrontare la natura alquanto frammentaria della legislazione.

3.2.

A seguito di un controllo di qualità della legislazione effettuato nello spirito del programma REFIT (programma della Commissione europea per il controllo dell’adeguatezza e dell’efficacia della regolamentazione) e dell’agenda «Legiferare meglio», la Commissione è giunta alla conclusione che esista un margine per rafforzare ulteriormente il livello di sicurezza, efficacia e proporzionalità garantito dalla summenzionata direttiva. Il riesame proposto, pertanto, è volto a razionalizzare e semplificare l’attuale quadro normativo che, pur soddisfacendo gli obiettivi e restando estremamente pertinente, deve liberarsi di alcuni requisiti e definizioni obsoleti, ambigui o ridondanti.

3.3.

La Commissione suggerisce un numero limitato di modifiche alla direttiva attuale nei seguenti settori:

esclusione delle navi di lunghezza inferiore a 24 metri, dal campo di applicazione della direttiva in questione per il motivo che le navi di piccole dimensioni sono costruite principalmente a partire da materiali diversi dall’acciaio e sono già certificate a norma della legislazione nazionale,

precisazione del campo di applicazione della direttiva, specificando che l’alluminio è un materiale equivalente all’acciaio (con implicazioni per i requisiti di isolamento antincendio) e chiarendo che i battelli di servizio per gli impianti eolici offshore sono esclusi come avviene per le navi tradizionali,

chiarimento e semplificazione della definizione dei tratti di mare di cui alla direttiva 2009/45/CE e eliminazione del riferimento a «ove i passeggeri possono prender terra in caso di naufragio» e del concetto di «luogo di rifugio».

3.4.

Inoltre la relazione REFIT raccomanda l’elaborazione di linee guida o norme per le navi di piccole dimensioni e per le navi costruite in materiali diversi dall’acciaio o materiali equivalenti, sulla base di requisiti funzionali nell’ambito di un quadro normativo orientato all’obiettivo;

3.5.

Infine, è importante osservare che la proposta della Commissione è intesa a preservare l’attuale livello di sicurezza comune istituito dalla direttiva 2009/45/CE per le navi che effettuano viaggi nazionali nelle acque dell’UE, cosa che facilita il trasferimento di navi tra registri nazionali e permette alla concorrenza nei viaggi nazionali di svolgersi su un piano di parità.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il CESE osserva che il controllo dell’adeguatezza applicato alle disposizioni e norme di sicurezza dell’UE per le navi da passeggeri, potrebbe facilmente essere stato influenzato dalla mancanza di dati e chiede pertanto una raccolta dei dati e sistemi di monitoraggio migliori in futuro per rendere le valutazioni a posteriori dell’UE più solide.

4.2.

Pur prendendo atto della motivazione sottostante all’esclusione delle navi di piccole dimensioni (di lunghezza inferiore a 24 metri) dal campo di applicazione della direttiva, il CESE ritiene che questa dovrebbe continuare ad applicarsi alle nuove navi di lunghezza inferiore ai 24 metri.

4.3.

Nella relazione REFIT e nel considerando 17 della direttiva 2009/45/CE si osserva che le norme dell’UE prevedono la possibilità di accesso ai servizi nazionali di trasporto delle navi da passeggeri per le persone a mobilità ridotta, un aspetto che è raccomandato, ma non è obbligatorio, nelle norme internazionali. Il CESE esprime grande apprezzamento per questa disposizione e ritiene che vada applicata a tutti i tipi di navi per il trasporto nazionale di passeggeri.

4.4.

Il CESE ritiene inoltre che sia essenziale che tutti i passeggeri imbarcati sulle navi siano informati in modo dettagliato circa la sicurezza a bordo della nave. È di fondamentale importanza che l’accesso a tali informazioni dettagliate sia garantito alle persone disabili.

5.   Osservazioni particolari sulla proposta di modifica della direttiva 2009/45/CE

5.1.    Articolo 2 — Definizioni

5.1.1.

Lettera h) della direttiva 2009/45/CE: La definizione di «nave nuova» come una nave la cui chiglia sia stata impostata, o che si trovi a un equivalente stadio di costruzione al 1o luglio 1998 o in data successiva è ormai superata, ma non si propone alcuna modifica.

5.1.2.

Lettera u). La modifica da «Stato ospite» a «Stato di approdo» non è spiegata. Il CESE raccomanda alla Commissione di fornire una spiegazione per questo cambiamento di terminologia (ed eventuale cambiamento di merito).

Inoltre, la direttiva in questo punto sembra non stabilire alcuna distinzione tra navi battenti bandiere dell’UE e quelle battenti bandiere di paesi terzi, fatto che potrebbe avere rilevanza, in quanto le navi in questione effettuano cabotaggio marittimo (regolamento (CEE) n. 3577/92 del Consiglio, del 7 dicembre 1992, concernente l’applicazione del principio della libera prestazione dei servizi ai trasporti marittimi fra Stati membri (cabotaggio marittimo)].

5.1.3.

Nuova lettera (z bis). Questa lettera chiarisce che per «materiale equivalente» si intendono leghe di alluminio o qualsiasi materiale non combustibile che, grazie al suo isolamento termico, al termine della prevista prova standard del fuoco possiede caratteristiche strutturali e di resistenza al fuoco equivalenti a quelle dell’acciaio; Dato che alcuni Stati membri non effettuano la certificazione delle navi di alluminio ai sensi della direttiva vigente, il CESE in linea di principio accoglie favorevolmente tale chiarimento. Il CESE raccomanda tuttavia che la corrispondente norma tecnica compresa nell’allegato della direttiva 2009/45/CE sia ulteriormente chiarita in collaborazione con esperti nazionali.

Infine, il CESE ritiene che la nuova definizione di «materiale equivalente», in particolare il riferimento a «qualsiasi altro materiale non combustibile» possa essere fuorviante in quanto non specifica adeguatamente quale sia il tipo di materiale cui un materiale deve essere equivalente al fine di rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva modificata.

5.1.4.

Nuova lettera (z quinquies). La definizione proposta di «nave/unità da diporto» è così formulata: «un’imbarcazione che non trasporta merci, che trasporta un massimo di 12 passeggeri e che non è impegnata in attività commerciali, indipendentemente dal mezzo di propulsione»; Il CESE ritiene che, a fini di chiarezza, la redazione attuale del testo «(navi da diporto che…non trasportano più di dodici passeggeri a fini commerciali») dovrebbe essere mantenuta.

5.2.    Articolo 3 — Campo di applicazione

5.2.1.

Paragrafo 1, lettera a). (La presente direttiva si applica…) «alle navi da passeggeri nuove ed esistenti di lunghezza pari o superiore a 24 metri». La proposta di modifica della direttiva 2009/45/CE esclude quindi tutte le navi di piccole dimensioni, mentre la normativa esistente esclude unicamente le navi esistenti, non le «nuove» navi di lunghezza inferiore a 24 metri. Cfr. punto 5.1.1 per la definizione di «nave nuova».

5.2.2.

La motivazione fornita per l’esclusione è che la direttiva 2009/45/CE si applica attualmente solo a 70 navi di piccole dimensioni su 1 950.

5.2.3.

Un’altra giustificazione per l’esclusione proposta è il rispetto del principio di sussidiarietà, sulla base del fatto che, essendo queste navi costruite per un’ampia gamma di servizi, stabilire regole comuni sarà estremamente problematico. Gli Stati membri sarebbero di conseguenza in una posizione migliore per legiferare.

5.2.4.

Il Comitato stenta a comprendere tali argomenti. Se il 96 % della flotta di navi di piccole dimensioni non è coperto dalla direttiva, perché si tratta di navi costruite con materiali diversi dall’acciaio o materiali equivalenti o perché sono navi che operano esclusivamente nelle aree portuali ecc., allora escludere le navi di lunghezza inferiore a 24 metri non è di alcun vantaggio per tali navi. Ma che cosa accade con l’altro 4 %?

5.2.5.

Se le norme armonizzate non sono adatte per talune navi di lunghezza inferiore ai 24 metri, allora gli Stati membri hanno già la facoltà di concedere deroghe ai sensi dell’articolo 9 della direttiva. Tuttavia, se la proposta di modifica della direttiva su questo punto viene accettata, vi saranno delle navi di lunghezza sino a 24 metri che non saranno più coperte dalla direttiva.

5.2.6.

Una nave da passeggeri di 24 metri non è necessariamente una nave insignificante, in quanto potrebbe accogliere a bordo fino a 250 passeggeri. Si potrebbe argomentare che i passeggeri dovrebbero avere lo stesso diritto alla sicurezza, indipendentemente dal fatto che la loro nave misuri in lunghezza 23,9 metri oppure 24,1 metri. Per tali ragioni il CESE ritiene che l’applicazione a navi nuove di lunghezza inferiore a 24 metri dovrebbe essere mantenuta e che gli Stati membri possano continuare a permettere deroghe, se lo ritengono opportuno.

5.3.    Articolo 5

Per quanto riguarda la modifica dell’articolo 5, paragrafo 3, in materia di ispezione, il CESE è del parere che si dovrebbe fare riferimento anche ai traghetti ro-ro e alle unità veloci da passeggeri adibiti a servizi di linea così come definiti nel campo di applicazione della nuova proposta di direttiva [COM(2016)371 final] che abroga la direttiva 1999/35/CE (cfr. articolo 1). Al fine di razionalizzare l’attività ispettiva delle amministrazioni nazionali, massimizzare il periodo in cui la nave può essere sfruttata commercialmente ed eliminare potenziali sovrapposizioni tra le ispezioni specifiche ai sensi della proposta di nuova direttiva [COM(2016)371 final] che abroga la direttiva 1999/35/CE e le visite di controllo di cui all’articolo 12, si suggerisce di:

sostituire «visita di controllo» con «ispezione» ai sensi dell’articolo 5, e

inserire un chiaro riferimento nell’articolo 5 agli obblighi di ispezione ai sensi della proposta di nuova direttiva [COM(2016)371 final] che abroga la direttiva 1999/35/CE.

Bruxelles, 19 ottobre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  GU C 212 del 22.7.1996, pag. 21.


2.2.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 34/172


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 98/41/CE del Consiglio relativa alla registrazione delle persone a bordo delle navi da passeggeri che effettuano viaggi da e verso i porti degli Stati membri della Comunità e che abroga la direttiva 2010/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle formalità di dichiarazione delle navi in arrivo o in partenza da porti degli Stati membri»

[COM(2016) 370 final — 2016/171 (COD)]

(2017/C 034/29)

Relatore:

Vladimír NOVOTNÝ

Consultazione

Parlamento europeo, 9/6/2016

 

Consiglio dell’Unione europea, 22/6/2016

Base giuridica

Articolo 100, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

[COM(2016) 370 final — 2016/171 (COD)]

 

 

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

6/10/2016

Adozione in sessione plenaria

19/10/2016

Sessione plenaria n.

520

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

205/9/15

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE ritiene che la modifica proposta permetterà di aumentare la sicurezza della navigazione, soprattutto per i viaggiatori nelle acque dell’UE e, in caso di incidenti in mare, contribuirà a una maggiore efficacia dei servizi di soccorso.

1.2.

Il CESE approva la proposta di aggiungere la nazionalità alle informazioni registrate, in modo che, in caso di incidenti marittimi, tali dati permettano di informare più rapidamente i familiari delle persone a bordo ed evitare incertezze circa la loro sorte.

1.3.

In linea con i risultati delle consultazioni effettuate dalla Commissione, il CESE richiama l’attenzione sui problemi dei piccoli operatori e sulla necessità di tutelare questi ultimi dall’aumento degli oneri amministrativi. A parere del Comitato, la proposta in esame garantisce che nelle acque dell’UE continui ad esservi parità di condizioni di concorrenza per tutti gli operatori.

1.4.

Il CESE approva il fatto che la proposta di direttiva sia accompagnata da un piano di attuazione che elenca le azioni necessarie per attuare le misure di semplificazione e individua le principali sfide tecniche, giuridiche e di tempistica legate all’introduzione delle nuove procedure.

1.5.

Il CESE accoglie con favore la proposta di modificare la direttiva 98/41/CE del Consiglio come un importante contributo all’attuazione del programma di controllo dell’adeguatezza e dell’efficacia della regolamentazione (REFIT) e dell’agenda «Legiferare meglio» dell’UE.

2.   Introduzione

2.1.

In esito al controllo dell’adeguatezza della normativa UE in materia di sicurezza delle navi passeggeri, la Commissione europea presenta una serie di proposte volte a semplificare e razionalizzare il quadro normativo esistente in materia al fine di evitare eventuali sovrapposizioni di obblighi e discrepanze tra i diversi testi legislativi, rispettando al contempo le norme UE e garantendone la corretta applicazione.

2.2.

Scopo della serie di proposte, tra cui figurano la modifica della direttiva 2009/45/CE relativa alle disposizioni e norme di sicurezza per le navi da passeggeri, la proposta di direttiva che sostituisce la direttiva 1999/35/CE relativa alle navi da passeggeri in servizio di linea, e, in particolare, la modifica della direttiva 98/41/CE relativa alla registrazione delle persone a bordo delle navi da passeggeri, è fornire un quadro giuridico chiaro, semplice e aggiornato, che sia più facile da attuare, monitorare e far rispettare, aumentando così il livello di sicurezza complessivo del trasporto marittimo.

2.3.

Le modifiche proposte si basano sul programma della Commissione sull’adeguatezza ed efficacia della regolamentazione (REFIT) e rappresentano un contributo all’agenda «Legiferare meglio» dell’UE.

2.4.

La proposta mantiene gli impegni dell’agenda «Legiferare meglio» della Commissione garantendo che la legislazione in vigore sia semplice e chiara, non crei oneri inutili e resti al passo con l’evoluzione politica, sociale e tecnologica. Essa adempie inoltre gli obiettivi della strategia per il trasporto marittimo del 2018, garantendo la qualità dei servizi traghetto nel trasporto regolare di passeggeri all’interno dell’UE.

3.   Il documento della Commissione

3.1.

La direttiva 98/41/CE del Consiglio prevede il conteggio e la registrazione di tutti i passeggeri e membri dell’equipaggio a bordo delle navi passeggeri che effettuano viaggi da e verso i porti dell’UE. In base ai requisiti attuali, tali informazioni devono essere memorizzate nel sistema di informazione della società di navigazione e rese disponibili in qualsiasi momento per la trasmissione alla competente autorità di sicurezza responsabile delle operazioni di ricerca e salvataggio. I dati registrati non sempre includono informazioni sulla cittadinanza (oltre al nome, all’età e al sesso), rendendo così più difficoltosa l’assistenza prestata alle eventuali vittime e ai loro familiari.

3.2.

Di conseguenza, gli operatori che già trasmettono questi dati all’interfaccia unica nazionale si trovano a dover effettuare una duplice comunicazione di dati. La normativa attuale non tiene conto dello sviluppo di sistemi quali SafeSeaNet e l’interfaccia unica nazionale, e richiede che l’autorità nazionale competente contatti la società di navigazione in caso di emergenza. Ciò è pienamente in linea con il programma REFIT della Commissione, e mira a sfruttare le potenzialità della digitalizzazione per quanto riguarda la registrazione, la trasmissione, la disponibilità e la protezione dei dati.

3.3.

Un’operazione di ricerca e salvataggio efficace richiede un accesso immediato a dati precisi sulle persone presenti a bordo. Il testo attuale della direttiva non garantisce che questo avvenga nella misura richiesta. La Commissione propone quindi di aggiornare, chiarire e semplificare gli attuali requisiti per il conteggio e la registrazione dei passeggeri e dei membri dell’equipaggio a bordo delle navi passeggeri, innalzando così il livello di sicurezza che tali requisiti mirano a garantire.

3.4.

Rispetto al livello di sicurezza attuale, l’obbligo previsto dalla proposta di registrare le informazioni relative alle persone a bordo in un sistema elettronico già esistente (che, in caso di emergenza. consenta l’immediato accesso ai dati da parte dell’autorità competente) è visto come un grande passo in avanti che non genera costi significativi per gli operatori e per le amministrazioni competenti.

3.5.

La Commissione europea propone di eliminare la doppia comunicazione dei requisiti relativi ai passeggeri e allineare gli obblighi di comunicazione per tutti gli operatori, stabilendo di registrare le informazioni relative al numero di persone a bordo in un sistema elettronico esistente. In questo modo, in caso di emergenza o incidente, i dati sarebbero immediatamente trasmessi all’autorità competente anziché ottenuti dal sistema della società di navigazione, prima di partire da, o arrivare a, qualsiasi porto UE di scalo. Inoltre, per ogni tratta superiore alle 20 miglia nautiche, le informazioni richieste sui passeggeri e sui membri dell’equipaggio verrebbero registrate nel suddetto sistema anziché in quello della società, prima di partire da, o arrivare a, qualsiasi porto UE di scalo.

3.6.

Propone, inoltre, di evitare sovrapposizioni e imporre, per ogni tratta superiore alle 20 miglia nautiche, di registrare la nazionalità dei passeggeri e trasmettere tale dato all’autorità competente, utilizzando gli stessi mezzi e criteri in atto per la registrazione e la trasmissione dei dati già richiesti (quali il nome, l’età ecc.); di chiarire le definizioni relative ai requisiti per la registrazione dei passeggeri di cui alla direttiva 98/41/CE (quali ad esempio la durata del viaggio); di eliminare dalla direttiva 98/41/CE il requisito relativo all’approvazione dei sistemi di registrazione dei passeggeri; e di razionalizzare il meccanismo di comunicazione delle esenzioni/equivalenze ai sensi delle direttive 2009/45/CE e 98/41/CE. La proposta precisa inoltre le definizioni e i requisiti corrispondenti della direttiva 98/41/CE.

3.7.

La proposta garantisce che nelle acque dell’UE continui ad esservi parità di condizioni di concorrenza per tutti gli operatori.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta di modificare la direttiva 98/41/CE del Consiglio come un importante contributo all’attuazione del programma di controllo dell’adeguatezza e dell’efficacia della regolamentazione (REFIT) e dell’agenda «Legiferare meglio» dell’UE.

4.2.

Il Comitato giudica opportune le modifiche proposte per la dichiarazione con l’ausilio di moderni mezzi di comunicazione elettronica, e ritiene che esse renderanno più efficace ed efficiente il sistema di registrazione e dichiarazione delle persone che viaggiano a bordo delle navi passeggeri.

4.3.

Il CESE ritiene che la modifica proposta permetterà di accrescere la sicurezza della navigazione nelle acque dell’UE e, in caso di incidenti in mare, contribuirà a una maggiore efficacia dei servizi di soccorso.

4.4.

Il CESE approva la proposta di aggiungere la nazionalità alle informazioni registrate, in modo che, in caso di incidenti marittimi, tali dati permettano di informare più rapidamente i familiari delle persone a bordo ed evitare incertezze circa la loro sorte.

4.5.

Il CESE accoglie con favore l’approccio della Commissione europea, la quale, nel corso della preparazione della proposta di modifica della direttiva, ha effettuato consultazioni mirate presso esperti del settore dei trasporti marittimi e rappresentanti dei viaggiatori. I risultati di queste consultazioni sono sintetizzati e valutati nel documento di lavoro della Commissione allegato alla proposta di modifica della direttiva 98/41/CE del Consiglio, mentre le conclusioni di dette consultazioni sono state incorporate nella proposta di direttiva.

4.6.

Il CESE ritiene necessario rafforzare la protezione dei dati personali soggetti a registrazione, come pure modernizzare in maniera sostanziale la direttiva 98/41/CE in linea con l’evoluzione giuridica nel settore della protezione dei dati personali e, in particolare, con il regolamento (UE) 2016/679.

5.   Osservazioni particolari

5.1.

Secondo il CESE, in accordo con la Commissione europea, la protezione dei dati personali deve essere controbilanciata da requisiti relativi all’accessibilità limitata a tali dati da accordare su richiesta alle autorità nazionali competenti (il meccanismo di scambio in caso di emergenza o in seguito a un incidente è il sistema SafeSeaNet, definito nella direttiva 2002/59/CE). Come l’interfaccia unica nazionale, il sistema SafeSeaNet è basato sul diritto dell’UE in materia di protezione dei dati personali, e garantisce sicurezza e diritti di accesso chiaramente definiti. Il CESE raccomanda che, nella proposta di direttiva, venga specificato più in dettaglio il periodo di conservazione dei dati.

5.2.

Ad avviso del CESE, la proposta di trasmissione all’interfaccia unica nazionale deve tenere sistematicamente conto dei requisiti di riservatezza (definiti all’articolo 8 della direttiva 2010/65/UE), e tale trasmissione deve essere conforme al diritto dell’UE in materia di protezione dei dati personali.

5.3.

In linea con i risultati delle consultazioni effettuate dalla Commissione, il CESE richiama l’attenzione sui problemi dei piccoli operatori e sulla necessità di tutelare questi ultimi dall’aumento degli oneri amministrativi. Per questo motivo il CESE appoggia la proposta della Commissione che dovrebbe consentire ai piccoli operatori di adempiere agli obblighi di registrazione accedendo ad Internet, come alternativa meno costosa e più flessibile, o scegliendo di trasmettere i dati sul numero di persone a bordo attraverso il sistema di informazione automatizzato, un sistema di trasmissione marittimo basato sulla trasmissione di segnali radio ad altissima frequenza. Ciò consentirebbe al centro di ricerca e salvataggio locale di reperire facilmente il dato relativo al numero delle persone a bordo in qualsiasi momento, indipendentemente dalla disponibilità di una persona di contatto.

5.4.

Il CESE approva il fatto che la proposta di direttiva sia accompagnata da un piano di attuazione che elenca le azioni necessarie per attuare le misure di semplificazione e individua le principali sfide tecniche, giuridiche e di tempistica legate all’introduzione delle nuove procedure.

Bruxelles, 19 ottobre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


2.2.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 34/176


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a un sistema di ispezioni per l’esercizio in condizioni di sicurezza di traghetti ro-ro e di unità veloci da passeggeri adibiti a servizi di linea e che modifica la direttiva 2009/16/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al controllo da parte dello Stato di approdo e abroga la direttiva 1999/35/CE»

[COM(2016) 371 final — 2016/172 (COD)

(2017/C 034/30)

Relatore:

Jan SIMONS

Consultazione

Parlamento europeo, 9/6/2016

Consiglio dell’Unione europea, 22/6/2016

Base giuridica

Articolo 100, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

[COM(2016) 371 final — 2016/172 (COD)]

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

6/10/2016

Adozione in sessione plenaria

19/10/2016

Sessione plenaria n.

520

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

222/2/6

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE si compiace, nell’insieme, delle finalità del programma di controllo dell’adeguatezza e dell’efficacia della regolamentazione (programma REFIT) della Commissione europea, inteso in linea generale a fornire un quadro giuridico chiaro, semplice e coerente in materia di sicurezza delle navi passeggeri, che sia più facile da attuare, monitorare e far rispettare, in modo da garantire un adeguato livello complessivo di sicurezza per i passeggeri e gli equipaggi.

1.2.

Il CESE attribuisce grande importanza al fatto di disporre di un sistema di ispezioni a livello dell’Unione europea applicabile alle navi passeggeri in servizio interno e/o internazionale, che mantenga condizioni di parità nelle acque dell’UE per tutte le navi passeggeri, indipendentemente dalla loro bandiera. Tuttavia, il CESE reputa che l’UE dovrebbe innanzitutto cercare di mantenere standard adeguati di sicurezza marittima e di protezione dell’ambiente marino a livello mondiale, i quali a loro volta sono applicati alle navi che operano nelle acque dell’Unione.

1.3.

Il CESE ritiene che occorra inserire nella nuova proposta di direttiva alcune chiarificazioni e ulteriori disposizioni al fine di evitare eventuali ridondanze nelle ispezioni o inutili oneri aggiuntivi a carico delle amministrazioni degli Stati membri, tali da ridurre al minimo l’operatività commerciale di una nave o provocare affaticamento aggiuntivo all’equipaggio. A tal fine è necessario:

evitare qualsiasi possibile ridondanza delle ispezioni per effetto della sovrapposizione tra la nuova direttiva proposta e la direttiva 2009/16/CE sul controllo da parte dello Stato di approdo,

garantire un adeguato coordinamento tra le autorità competenti degli Stati membri nella pianificazione delle ispezioni.

1.4.

La nuova proposta di direttiva mira giustamente a ridurre l’affaticamento dell’equipaggio, e il CESE sottolinea, da parte sua, che ai fini della sicurezza marittima è essenziale garantire il rispetto delle prescrizioni minime per il lavoro dei marittimi a bordo di una nave, in particolare per quanto riguarda la certificazione medica e quella relativa alla formazione come previsto dalla convenzione STCW (International Convention on Standards of Training, Certification and Watchkeeping for Seafarers - Convenzione internazionale sulle norme relative alla formazione della gente di mare, al rilascio dei brevetti e alla guardia). Tale rispetto deve essere garantito in conformità delle convenzioni internazionali vigenti quali la convenzione sul lavoro marittimo del 2006, recepita nel diritto dell’Unione con la direttiva 2009/13/CE del Consiglio.

1.5.

Alla luce di quanto sopra, il CESE riconosce che le diverse disposizioni chiarificatrici obbligheranno gli Stati membri e le compagnie di navigazione ad adeguare le loro procedure attuali. Di conseguenza, il CESE sostiene il ruolo dell’Agenzia europea per la sicurezza marittima (EMSA) e il ricorso all’attuale gruppo di esperti di sicurezza per le navi da passeggeri (che fa capo al Maritime Safety Group), al fine di agevolare le procedure di attuazione e recepimento, in collaborazione con i relativi gruppi di esperti che si occupano di ispezioni da parte dello Stato di approdo e dell’attuazione dello sportello unico nazionale.

1.6.

Il CESE formula sette osservazioni tecniche specifiche, per le quali si rimanda al capitolo 5 del presente parere.

2.   Introduzione

2.1.

La configurazione geografica dell’Europa, costituita da una vasta penisola, dà un’idea di quanto siano importanti i servizi di trasporto marittimo, compreso il trasporto di passeggeri. Dai porti dell’UE transitano ogni anno oltre 400 milioni di persone, di cui 120 milioni sono trasportati da navi che operano su rotte nazionali. Di qui l’importanza di garantire, nelle acque dell’UE, le più elevate norme di sicurezza, nella consapevolezza che la legislazione sulla sicurezza delle navi ha notevoli implicazioni, in particolare per l’ambiente, la normativa sul lavoro, la mobilità dei cittadini dell’UE e la facilitazione degli scambi di navi passeggeri, dato che queste ultime ottemperano alle stesse norme in tutta l’Unione.

2.2.

Sono ancora impressi nella memoria collettiva, soprattutto di coloro che si occupano di navigazione, i tragici incidenti delle navi traghetto Herald of Free Enterprise, naufragata nel 1987 mentre salpava dal porto belga di Zeebrugge, ed Estonia, in navigazione da Tallinn a Stoccolma, affondata al largo della costa finlandese nella notte tra il 27 e il 28 settembre 1994. Nel primo incidente, in cui la nave si arenò sul fondale sabbioso, persero la vita 193 persone; nel secondo, il numero di vittime raggiunse la cifra record di 852 persone. La causa: i portelloni di prua, attraverso i quali avviene l’imbarco e lo sbarco dei passeggeri e dei veicoli («roll-on, roll-off», da cui il termine «navi ro-ro»), non erano stati chiusi, nel primo caso, o avevano ceduto in seguito a una forte tempesta, nel secondo. Conseguenza: rapida inclinazione della nave a causa della grande quantità d’acqua penetrata e capovolgimento, il tutto nel giro di mezz’ora.

2.3.

Il disastro dell’Estonia indusse l’Organizzazione marittima internazionale (OMI), un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite con sede a Londra, a modificare la convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare (International Convention for the Safety of LIFE at Sea, SOLAS), elevando tra l’altro i requisiti di stabilità delle navi ro-ro in caso di falla.

2.4.

Tuttavia, gli incidenti hanno continuato a verificarsi, il che ha indotto l’Europa a introdurre, negli ultimi due decenni, norme supplementari per la sicurezza delle navi passeggeri, tra cui alcune disposizioni specifiche, ad esempio, la registrazione delle persone a bordo, già prevista dalla convenzione SOLAS per i viaggi internazionali, nei quali rientrano anche le rotte tra due o più Stati membri dell’UE, e numerose altre norme UE per le rotte nazionali.

2.5.

Le proposte sono frutto dell’esame svolto nel quadro del programma REFIT condotto dalla Commissione europea in relazione alla normativa sulla sicurezza delle navi passeggeri.

2.6.

L’obiettivo era quello di semplificare e razionalizzare, ove possibile, la normativa europea vigente in materia di sicurezza delle navi passeggeri al fine di:

mantenere le norme dell’UE soltanto nei casi in cui siano necessarie e proporzionate,

garantire un’applicazione corretta e uniforme,

eliminare le sovrapposizioni e le incongruenze.

Tale iniziativa è in linea con quanto auspicato dal CESE in relazione al programma REFIT, nel suo recente parere esplorativo in materia (SC/044, 26 maggio 2016).

2.7.

Questo pacchetto coerente di proposte è inteso a realizzare le finalità di cui sopra.

Il pacchetto sulla sicurezza delle navi passeggeri comprende proposte di revisione di quasi tutta la legislazione europea in materia, ad eccezione, ovviamente, della direttiva 2003/25/CE, di carattere puramente tecnico, sui requisiti specifici di stabilità per le navi passeggeri di tipo ro-ro.

2.8.

Il pacchetto si articola nelle seguenti tre proposte volte a:

limitare e precisare il campo di applicazione della direttiva 2009/45/CE (requisiti tecnici per le navi passeggeri che operano su rotte marittime nazionali),

migliorare e chiarire gli obblighi di comunicazione previsti dalla direttiva 98/41/CE (registrazione delle persone a bordo delle navi passeggeri) in relazione ad altri strumenti (la direttiva 2010/65/UE relativa alle formalità di dichiarazione e la direttiva 2002/59/CE relativa al sistema comunitario di monitoraggio e informazione), nonché eliminare le sovrapposizioni tra queste normative,

chiarire e semplificare il sistema UE di controlli e ispezioni per le navi traghetto ro-ro (che, oltre ai passeggeri, possono trasportare anche autovetture e treni) e le navi passeggeri ad alta velocità.

2.9.

Quest’ultima proposta costituisce l’oggetto del presente parere.

3.   Sintesi della proposta della Commissione sul sistema di ispezione

3.1.

La proposta è intesa a chiarire e semplificare il sistema UE di controlli e ispezioni per i traghetti ro-ro e le unità veloci da passeggeri, che vengono attualmente svolti ai sensi della direttiva 1999/35/CE (visite obbligatorie per l’esercizio in condizioni di sicurezza di traghetti roll-on/roll-off e di unità veloci da passeggeri adibiti a servizi di linea) e della direttiva 2009/16/CE (controllo da parte dello Stato di approdo).

3.2.

La proposta viene considerata nel contesto delle direttive 2009/21/CE e 2009/45/CE (controllo da parte dello Stato di bandiera sulle navi marittime in servizio, rispettivamente, su rotte internazionali e nazionali). Anche in questo caso risulta che la direttiva viene applicata in modo diverso da uno Stato membro all’altro.

3.3.

Nella proposta viene eliminata la nozione di «Stato ospite» (a norma della direttiva 1999/35/CE, lo Stato ospite, ossia lo Stato nel quale la nave opera, è tenuto a ispezionare i traghetti ro-ro battenti bandiera di un altro paese). I controlli vengono integrati nelle ispezioni da parte dello Stato di approdo e di bandiera. Infine, viene chiarito quando devono avvenire le due ispezioni annuali previste dall’attuale direttiva 1999/35/CE.

3.4.

Viene pertanto proposto di modificare la direttiva 2009/16/CE e di abrogare la direttiva 1999/35/CE tramite una nuova direttiva, i cui punti principali sono i seguenti:

circoscrivere il campo di applicazione della direttiva ai traghetti ro-ro e alle unità veloci da passeggeri adibiti a servizi di linea tra i porti di uno Stato membro o tra un porto di uno Stato membro e un porto di un paese terzo, nel caso in cui la nave batta la bandiera dello Stato membro in questione,

eliminare una serie di definizioni e riferimenti ridondanti, quali «passeggero», «Stato ospite», «viaggio internazionale», «certificato di esenzione», e sopprimere il riferimento alle indagini sugli incidenti marittimi, che è ora disciplinato dalla direttiva 2009/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio,

stabilire un sistema di ispezioni basate sulla nave (piuttosto che sulla compagnia di navigazione) precedenti all’avvio di un servizio di linea. Le navi devono essere sottoposte a un’ispezione conformemente all’allegato II e devono essere verificati anche diversi aspetti legati alla gestione della sicurezza delineati nell’allegato I,

stabilire che le navi che rientrano nel campo di applicazione della direttiva devono essere ispezionate due volte l’anno, con un certo intervallo di tempo tra un’ispezione e l’altra, e che uno di questi controlli deve essere un’ispezione in servizio di linea durante una traversata regolare,

prevedere che uno Stato membro possa, se lo desidera, combinare tale controllo con l’ispezione a cura dello Stato di bandiera che dovrebbe essere effettuata su una nave con cadenza annuale,

allineare le disposizioni concernenti i rapporti di ispezione, i fermi, i ricorsi, i costi, la banca dati sulle ispezioni e le sanzioni a quelle della direttiva 2009/16/CE,

allineare la direttiva alle disposizioni del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) per quanto concerne l’esercizio dei poteri della Commissione in relazione agli atti delegati,

modificare la direttiva 2009/16/CE in modo da mantenere il contenuto e la frequenza attuali delle ispezioni dei traghetti ro-ro e delle unità veloci da passeggeri,

prevedere una valutazione della direttiva da parte della Commissione.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il CESE si compiace, nell’insieme, delle finalità del programma di controllo dell’adeguatezza e dell’efficacia della regolamentazione (programma REFIT) della Commissione europea, inteso in linea generale a fornire un quadro giuridico chiaro, semplice e coerente in materia di sicurezza delle navi passeggeri, che sia più facile da attuare, monitorare e far rispettare, in modo da garantire un adeguato livello di sicurezza complessivo per i passeggeri e gli equipaggi. I controlli REFIT e le valutazioni integrano in maniera coerente anche gli obiettivi della strategia europea per i trasporti marittimi [COM(2009) 8 final volta a sfruttare appieno il potenziale collegato alla domanda crescente di trasporti marittimi a corto raggio e di servizi di trasporto via mare per le imprese e i cittadini d’Europa.

4.2.

Come dimostrano le statistiche sugli incidenti, il quadro normativo in vigore ha consentito di raggiungere un elevato livello di sicurezza delle navi passeggeri nelle acque dell’UE. Il CESE accoglie con favore il rinnovato accento sulle caratteristiche in materia di sicurezza specifiche dei traghetti ro-ro e delle unità veloci da passeggeri posto da questa nuova direttiva e con la modifica della direttiva 2009/16/CE. Il risultato del REFIT chiarisce e semplifica gli obblighi vigenti ai sensi dell’attuale direttiva 1999/35/CE per quanto riguarda le visite, le ispezioni estese da parte dello Stato di approdo e le ispezioni annuali da parte dello Stato di bandiera, mantenendo però inalterato il livello di sicurezza dei passeggeri che viaggiano sui traghetti ro-ro e sulle unità veloci da passeggeri in servizio di linea nelle acque di tutta l’UE.

4.3.

Il CESE attribuisce grande importanza al fatto di disporre di un sistema di ispezioni a livello UE applicabile alle navi passeggeri in servizio interno e/o internazionale, che mantenga condizioni di parità nelle acque dell’UE per tutte le navi passeggeri, indipendentemente dalla loro bandiera.

4.4.

Il CESE si compiace del fatto che la prevista semplificazione consentirà non soltanto di garantire una maggiore chiarezza giuridica, ma anche di razionalizzare ulteriormente il numero delle ispezioni che devono essere effettuate dalle amministrazioni nazionali e, nel contempo, di ottimizzare le operazioni commerciali delle navi.

4.5.

Il nuovo regime di ispezione (NIR) adottato nel 2009 nel quadro del memorandum d’intesa di Parigi (MOU di Parigi) si concentra sulle prestazioni individuali delle navi, prevedendo una maggiore frequenza delle ispezioni per le navi con profilo di rischio elevato e una frequenza minore per quelle con profilo di rischio modesto. Il CESE riconosce i risultati ottenuti con il NIR, soprattutto in considerazione del fatto che gli oneri amministrativi sono una crescente fonte di preoccupazione per le navi che operano sulle rotte commerciali brevi e che ogni ispezione supplementare aumenta tali oneri.

4.6.

Il CESE sottolinea che ai fini della sicurezza marittima è essenziale garantire il rispetto delle prescrizioni minime per il lavoro dei marittimi a bordo di una nave, in particolare per quanto riguarda la certificazione medica e quella relativa alla formazione, come previsto dalla convenzione STCW. Tale rispetto deve essere pertanto garantito in conformità delle convenzioni internazionali vigenti quali la convenzione sul lavoro marittimo del 2006, recepita nel diritto dell’Unione con la direttiva 2009/13/CE del Consiglio. Questa direttiva ha anche modificato la normativa specifica sull’orario di lavoro della gente di mare, ossia la direttiva 1999/63/CE intesa a tutelare la salute e la sicurezza della gente di mare stabilendo requisiti minimi in materia di orario di lavoro. Parallelamente, la
direttiva 1999/95/CE
è volta a migliorare la sicurezza in mare, a combattere la concorrenza sleale da parte di armatori di paesi terzi e a tutelare la salute e la sicurezza della gente di mare a bordo delle navi che fanno scalo nei porti dell’UE.

4.7.

Il CESE riconosce che le diverse disposizioni chiarificatrici obbligheranno gli Stati membri e le compagnie di navigazione ad adeguare le loro procedure attuali. Di conseguenza, il CESE sostiene il ruolo dell’EMSA e dell’attuale gruppo di esperti di sicurezza per le navi da passeggeri (che fa capo al Maritime Safety Group - gruppo permanente di esperti in materia di sicurezza marittima istituito dalla direzione generale Mobilità e trasporti), al fine di agevolare le procedure di attuazione e recepimento, in collaborazione con i gruppi di esperti che si occupano di ispezioni da parte dello Stato di approdo e della realizzazione dello sportello unico nazionale. Il CESE accoglie con favore l’opportunità offerta di recente alle organizzazioni delle parti interessate di partecipare alle riunioni del gruppo di esperti di sicurezza per le navi da passeggeri. Tali piattaforme di discussione, create sul modello del Forum europeo per il trasporto marittimo sostenibile (ESSF), possono infatti rivelarsi molto utili nel riunire attorno a un tavolo la Commissione europea, i rappresentanti del settore, le ONG interessate e le autorità competenti degli Stati membri.

4.8.

In relazione alle ispezioni periodiche a norma dell’articolo 5, può verificarsi che una nave in servizio di linea sottoposta a ispezioni ai sensi della nuova direttiva possa essere soggetta nello stesso tempo anche alle ispezioni da parte dello Stato di approdo a norma dell’articolo 14 Ispezione dei traghetti ro-ro e delle unità veloci da passeggeri in servizio di linea della direttiva 2009/16/CE, nella versione modificata dalla nuova direttiva in esame. Per ragioni di efficienza bisogna evitare che si venga eventualmente a creare una ridondanza di ispezioni per effetto della compresenza delle due direttive.

4.8.1.

I parametri di rischio di cui all’attuale sistema di controllo da parte dello Stato di approdo potrebbero non richiedere l’ispezione estesa di una nave nel momento in cui tale ispezione è invece prevista in base alla nuova direttiva proposta. Ciononostante, gli Stati membri dovrebbero coordinarsi in modo che sia rispettato l’intervallo tra un’ispezione e l’altra, come prescritto all’articolo 5, paragrafo 1, lettera b).

4.8.2.

In base all’articolo 10 della nuova direttiva proposta, la Commissione istituirà una banca dati sulle ispezioni. Al riguardo andrebbe precisato se tale banca dati debba essere tenuta in parallelo al sistema THETIS del MOU di Parigi/EMSA, e andrebbe chiarito in particolare il modo in cui le ispezioni effettuate ai sensi della nuova direttiva influiranno sul profilo di rischio della nave nel quadro del MOU di Parigi.

4.8.3.

In relazione all’articolo 1, paragrafo 1, andrebbe chiarito se con la nozione di «paese terzo» si intenda uno Stato non appartenente all’UE o se questa si riferisca invece sia a uno Stato membro dell’UE che a un paese terzo propriamente detto. Il CESE ritiene che la definizione «paese terzo» debba riferirsi unicamente a uno Stato non appartenente all’UE, in modo da evitare confusione in relazione alle ispezioni da parte dello Stato di approdo cui sono sottoposti i traghetti ro-ro e le unità veloci da passeggeri ai sensi dell’articolo 14 della nuova direttiva proposta.

4.9.

Il CESE reputa che il compito primario dell’UE sia quello di garantire che qualsiasi modifica degli strumenti internazionali di cui all’articolo 2 della nuova direttiva proposta consenta di mantenere un adeguato livello di sicurezza marittima e di protezione dell’ambiente marino a livello mondiale. Il CESE ritiene pertanto che il ricorso alle disposizioni in merito a possibili scostamenti futuri dalla legislazione internazionale di cui agli articoli 12 e 13 della nuova direttiva proposta dovrebbe costituire uno strumento di ultima istanza e dovrebbe comportare, se del caso, un’azione europea volta a garantire che ogni conflitto tra la legislazione marittima comunitaria e gli strumenti internazionali si risolva alla fine con una soluzione compatibile a livello internazionale.

5.   Osservazioni specifiche

5.1.

In relazione al concetto di «servizio di linea» di cui all’articolo 2, paragrafo 5, lettera a), e all’articolo 14 della nuova direttiva proposta, il CESE raccomanda di precisarne la definizione come segue: «in base a un elenco, disponibile al pubblico o previsto, di orari di partenza e di arrivo».

5.2.

Le disposizioni in merito all’«ispezione preavviamento», di cui all’articolo 3, paragrafo 2, e quelle sulle «eccezioni all’obbligo dell’ispezione preavviamento», di cui all’articolo 4, paragrafo 1, si sovrappongono dando luogo a confusione. Il CESE propone di fondere questi due paragrafi in un nuovo articolo 4, paragrafo 1, in modo da far riferimento in maniera coerente alle condizioni alle quali si può prescindere da un’ispezione, purché lo Stato membro consideri soddisfacenti le ispezioni o le visite cui la nave è stata sottoposta in precedenza. Questo nuovo paragrafo deve fare riferimento anche alle ispezioni richieste per i traghetti ro-ro e le unità veloci da passeggeri ai sensi della direttiva 2009/16/CE così come modificata dall’articolo 14 della nuova direttiva proposta.

5.3.

Nella nuova direttiva proposta è prevista una procedura allorché, in seguito a circostanze impreviste, si debba introdurre rapidamente un traghetto ro-ro o un’unità veloce da passeggeri di rimpiazzo (articolo 4, paragrafo 3). A questo riguardo, il CESE propone di adottare una procedura ad hoc per la sostituzione della nave per un periodo di tempo limitato, qualora l’articolo 4, paragrafo 1, non sia applicabile, nel caso di interventi di manutenzione programmata della nave in servizio di linea.

5.4.

La frequenza delle due ispezioni annuali prescritte dall’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), dovrebbe essere specificata anche nell’articolo 14 bis, paragrafo 2, al fine di garantire, sul piano dei tempi, un livello comune di sicurezza tra la direttiva in esame e la direttiva 2009/16/CE. Inoltre, la frequenza delle due ispezioni annuali che dovrebbero essere effettuate nel corso di 12 mesi non è specificata per le navi che effettuano servizio stagionale e andrebbe invece precisata.

5.5.

La formulazione di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), «numero sufficiente delle voci elencate negli allegati I e II» che devono essere oggetto dell’ispezione durante un servizio di linea genera confusione. Il CESE propone che sia l’ispettore a decidere, basandosi sul suo discernimento professionale, quali voci sottoporre a ispezione e in quali termini, al fine di determinare le condizioni generali di tali ambiti ed evitare che venga reiterata l’ispezione di voci che possono essere già state oggetto di verifica obbligatoria ai sensi di altre normative internazionali. Il Comitato propone di modificare in questo senso anche l’articolo 14 bis, paragrafo 2, lettera b). Inoltre, ai fini di una maggiore chiarezza, nell’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), e nell’allegato III si potrebbe indicare che si tratta di un’ispezione in servizio di linea da effettuarsi durante una traversata regolare. In particolare, nelle ispezioni in servizio di linea su rotte marittime a brevissimo raggio si dovrebbero tenere in considerazione sia le esigenze di praticità sia i limiti di tempo disponibile durante la traversata.

5.6.

Il testo della nuova direttiva proposta è chiaramente ispirato all’articolo 19 — Correzioni e fermo di cui alla direttiva 2009/16/CE, ma bisognerebbe specificare che «ove l’ispezione sia effettuata ai sensi di questa direttiva, si fa tutto il possibile per evitare che una nave sia indebitamente sottoposta a fermo o trattenuta».

5.7.

Poiché i traghetti ro-ro e le unità veloci sono definiti separatamente nell’articolo 2 della nuova direttiva proposta, il CESE raccomanda, per una maggiore chiarezza, di utilizzare sempre ed esclusivamente la dicitura «traghetti ro-ro e unità veloci da passeggeri». Il considerando 6 della proposta dovrebbe pertanto essere modificato di conseguenza.

Bruxelles, 19 ottobre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


2.2.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 34/182


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1920/2006 per quanto riguarda lo scambio di informazioni, il sistema di allarme rapido e la procedura di valutazione dei rischi sulle nuove sostanze psicoattive»

[COM(2016) 547 final — 2016/261 (COD)]

(2017/C 034/31)

Consultazione

Consiglio, 7/9/2016

Base giuridica

Articolo 148, paragrafo 2 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

[COM(2016) 547 final — 2016/261 (COD)]

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sessione plenaria

19/10/2016

Sessione plenaria n.

520

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

228/2/5

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e dato che esso aveva già formato oggetto del suo parere Nuove sostanze psicoattive (EESC-2013-06166-00-00-AC-TRA), adottato il 21 gennaio 2014 (1), il Comitato, nel corso della 520a sessione plenaria tenutasi il 19 e 20 ottobre 2016 (seduta del 19 ottobre), ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto e di rinviare alla posizione a suo tempo sostenuta nel documento citato.

Bruxelles, 19 ottobre 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Parere del CESE in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulle nuove sostanze psicoattive, COM(2013) 619 final — 2013/0305 (COD), COM(2013) 618 final — 2013/0304 (COD), (GU C 177 dell'11.6.2014, pag. 52).