ISSN 1725-2466

doi:10.3000/17252466.C_2011.218.ita

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 218

European flag  

Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

54o anno
23 luglio 2011


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

471a sessione plenaria del 4 e 5 maggio 2011

2011/C 218/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'impatto della crisi economica e finanziaria sulla distribuzione della forza lavoro tra i settori produttivi, con particolare riguardo alle PMI(parere esplorativo)

1

2011/C 218/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il ruolo della politica della famiglia nel processo di cambiamento demografico: condividere le buone pratiche tra gli Stati membri(parere esplorativo)

7

2011/C 218/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Valutazioni d’impatto sulla sostenibilità (VIS) e politica commerciale UE

14

2011/C 218/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Macchine agricole e attrezzature per la costruzione e la movimentazione: qual è il modo migliore per uscire dalla crisi? (parere d’iniziativa)

19

2011/C 218/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'aspetto esterno della politica industriale europea — La politica commerciale dell'UE tiene in debito conto gli interessi dell'industria europea? (parere d'iniziativa)

25

2011/C 218/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le imprese pubbliche dei paesi terzi sui mercati UE degli appalti pubblici (parere di iniziativa)

31

 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

471a sessione plenaria del 4 e 5 maggio 2011

2011/C 218/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni: Una politica industriale integrata per l'era della globalizzazione — Riconoscere il ruolo centrale di concorrenzialità e sostenibilità COM(2010) 614 definitivo

38

2011/C 218/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull'effettiva applicazione della sorveglianza di bilancio nell'area dell'euro COM(2010) 524 definitivo

46

2011/C 218/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulle misure esecutive per la correzione degli squilibri macroeconomici eccessivi nell'area dell'euro COM(2010) 525 definitivo — 2010/0279 (COD), e alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici COM(2010) 527 definitivo — 2010/0281 (COD)

53

2011/C 218/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro bianco sui sistemi di garanzia nel settore delle assicurazioni COM(2010) 370 definitivo

61

2011/C 218/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione concernente il monitoraggio e la comunicazione dei dati relativi all'immatricolazione delle autovetture nuove COM(2010) 657 definitivo

66

2011/C 218/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 sulla cooperazione tra autorità nazionali responsabili per l'applicazione della normativa che tutela i consumatori COM(2010) 791 definitivo — 2011/0001 (COD)

69

2011/C 218/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa i requisiti tecnici per i bonifici e gli addebiti diretti in euro e che modifica il regolamento (CE) n. 924/2009 COM(2010) 775 definitivo — 2010/0373 (COD)

74

2011/C 218/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale COM(2010) 748 definitivo/2 — 2010/0383 (COD)

78

2011/C 218/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 2003/71/CE e 2009/138/CE per quanto riguarda i poteri dell'Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA) e dell'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) COM(2011) 8 definitivo — 2011/0006 (COD)

82

2011/C 218/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni concernente la risposta alla relazione del gruppo di esperti sulla valutazione intermedia del Settimo programma quadro per le attività di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione e alla relazione del gruppo di esperti sulla valutazione intermedia del meccanismo di finanziamento con ripartizione dei rischi COM(2011) 52 definitivo

87

2011/C 218/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio La politica antiterrorismo dell’UE: principali risultati e sfide future COM(2010) 386 definitivo

91

2011/C 218/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi per motivi di lavoro stagionale COM(2010) 379 definitivo — 2010/0210 (COD)

97

2011/C 218/19

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi nell'ambito di trasferimenti intrasocietari COM(2010) 378 definitivo — 2010/0209 (COD)

101

2011/C 218/20

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'uso dei dati del codice di prenotazione a fini di prevenzione, accertamento, indagine e azione penale nei confronti dei reati di terrorismo e dei reati gravi COM(2011) 32 definitivo — 2011/0023 (COD)

107

2011/C 218/21

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica al regolamento (CE) n. 1234/2007 per quanto riguarda i rapporti contrattuali nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari COM(2010) 728 definitivo — 2010/0362 (COD)

110

2011/C 218/22

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sui regimi di qualità dei prodotti agricoli COM(2010) 733 definitivo — 2010/0353 (COD)

114

2011/C 218/23

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1234/2007 del Consiglio in ordine alle norme di commercializzazione COM(2010) 738 definitivo — 2010/0354 (COD)

118

2011/C 218/24

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 834/2007 relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici COM(2010) 759 definitivo — 2010/0364 (COD)

122

2011/C 218/25

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento (UE) n. …/… del Parlamento europeo e del Consiglio del … recante modifica del regolamento (CE) n. 1290/2005 del Consiglio relativo al finanziamento della politica agricola comune e abrogazione dei regolamenti (CE) n. 165/94 e (CE) n. 78/2008 del Consiglio COM(2010) 745 definitivo — 2010/0365 (COD)

124

2011/C 218/26

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) del Consiglio n. 485/2008 relativo ai controlli, da parte degli Stati membri, delle operazioni che rientrano nel sistema di finanziamento del Fondo europeo agricolo di garanzia COM(2010) 761 definitivo — 2010/0366 (COD)

126

2011/C 218/27

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa agli attacchi contro i sistemi di informazione, e che abroga la decisione quadro 2005/222/GAI del Consiglio COM(2010) 517 definitivo — 2010/0273 (COD)

130

2011/C 218/28

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Consiglio concernente la gestione del combustibile esaurito e dei residui radioattivi COM(2010) 618 definitivo

135

IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

471a sessione plenaria del 4 e 5 maggio 2011

23.7.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 218/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «L'impatto della crisi economica e finanziaria sulla distribuzione della forza lavoro tra i settori produttivi, con particolare riguardo alle PMI»

(parere esplorativo)

2011/C 218/01

Relatore: PEZZINI

Correlatore: HAVLÍČEK

In data 15 novembre 2010, il rappresentante permanente della Repubblica di Ungheria presso l'Unione europea Péter GYÖRKÖS ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo, a nome della futura presidenza ungherese, di elaborare un parere esplorativo sul tema:

L'impatto della crisi economica e finanziaria sulla distribuzione della forza lavoro tra i settori produttivi, con particolare riguardo alle PMI.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI), incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 aprile 2011.

Alla sua 471a sessione plenaria, dei giorni 4 e 5 maggio 2011 (seduta del 4 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 153 voti favorevoli, 5 voti contrari e 11 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) esprime grande apprezzamento per l'attenzione della presidenza ungherese verso una tematica cruciale per la società civile organizzata, quale quella dei riflessi dell'attuale crisi economica e finanziaria sulla manodopera e sulla sua distribuzione tra i diversi settori produttivi, con particolare riguardo alle PMI.

1.2   Il CESE ricorda inoltre che ha avuto modo di pronunciarsi, a più riprese, sulle problematiche delle piccole e medie imprese, che rappresentano, con il comparto pubblico e con l'economia sociale il tessuto connettivo dell'economia e dell'occupazione europea.

1.3   Le PMI hanno sofferto pesantemente per gli effetti della crisi economica e finanziaria globale, anche se hanno spesso reagito attraverso maggiore flessibilità e con risposte innovative.

1.4   Il CESE ritiene che l'UE possa fare di più per sostenere le PMI, al di là delle affermazioni di principio. È ora assolutamente necessaria un'azione comunitaria coerente e coordinata, indirizzata su un ventaglio di priorità, a sostegno del miglioramento delle condizioni operative sul mercato interno e mirata anche all'internazionalizzazione delle PMI.

1.4.1   Tra le azioni prioritarie, il CESE individua: lo sviluppo delle potenzialità della nuova imprenditorialità, specie femminile, l'occupazione giovanile, e il sostegno all'iniziativa faro Youth on the Move.

1.4.2   Il CESE raccomanda di organizzare regolarmente una conferenza annuale delle PMI intesa a fare il punto della situazione di tali imprese in Europa, in particolare per quanto riguarda l'occupazione. A tale evento, che potrebbe servire da modello, dovrebbero partecipare differenti organizzazioni professionali nazionali ed europee e tutte le istituzioni dell'UE.

1.5   In particolare, il CESE chiede di varare una tabella di marcia per assicurare, nell'immediato, le condizioni necessarie allo sviluppo di nuove imprese innovative e al sostegno delle PMI già esistenti, onde contribuire alla creazione di nuova occupazione, necessaria per uscire dalla crisi, e rilanciare una crescita sostenibile: le azioni previste dovrebbero essere programmate a livello europeo, nazionale e regionale e includere sia le imprese commerciali e non commerciali sia quelle dell'economia sociale. Oltre a questa tabella di marcia, occorre prevedere una formazione che consenta ai lavoratori disoccupati e ai giovani di accedere ai nuovi posti di lavoro.

1.5.1   L'UE potrebbe sostenere, d'intesa con i paesi membri, nelle regioni della convergenza, l'utilizzo di fondi strutturali, finalizzati al sostegno delle PMI.

1.6   Secondo il CESE, va accelerato il processo di internazionalizzazione delle PMI, aumentando il loro accesso ai nuovi mercati e, quindi, le loro capacità di creare lavoro.

1.6.1   L'accesso ai nuovi mercati dovrebbe essere preceduto da solidi accordi commerciali nei quali si individuino semplici protocolli procedurali di pronto utilizzo da parte delle PMI.

1.7   Il CESE ritiene fondamentale la diffusione della cultura imprenditoriale e dello spirito d'iniziativa in un ambiente che sostenga gli imprenditori, che comprenda i rischi del mercato e valorizzi il capitale umano.

1.8   La formazione, il trasferimento delle conoscenze e delle qualifiche, i nuovi metodi di lavoro, lo sviluppo delle attitudini al cambiamento devono essere incoraggiati, soprattutto in questo momento di crisi, per assicurare la conservazione dei posti di lavoro e per rafforzare il ruolo dei lavoratori come strumento di rafforzamento delle imprese.

1.9   Il CESE sottolinea l'importanza degli appalti pubblici, nel rispetto degli standard sociali e ambientali, come strumento per sostenere la sopravvivenza delle imprese e l'occupazione locale. Think Small First dovrebbe essere obbligatorio in una crisi dove è in gioco molta parte dell'occupazione: un uso corretto, responsabile e intelligente della domanda pubblica dovrebbe stimolare una competizione aperta e l'innovazione.

1.10   Secondo il CESE occorre rafforzare lo sviluppo di clusters e di gruppi settoriali di PMI. La condivisione di contratti e di conoscenze tra grandi e piccole imprese potrebbe imprimere slanci innovativi, attraverso sistemi a rete, anche settoriali.

1.11   Il CESE raccomanda che lo sviluppo delle iniziative settoriali di punta sia meglio coordinato sotto gli aspetti tecnologici, occupazionali, di investimento e di valorizzazione delle risorse umane, per trarre il massimo profitto da queste iniziative.

1.12   Occorre riconoscere la necessità di ideare nuovi meccanismi finanziari: il CESE ritiene che la sfida finanziaria e gli altri fattori di crisi per le PMI siano stati resi più acuti da una incapacità di programmare nuovi interventi, anche potenziando gli strumenti come Jeremie, Jasper e Jessica.

1.13   Secondo il CESE, la Commissione dovrebbe accelerare il Fitness check della legislazione esistente, dando l'esempio agli Stati membri, per ridurre gli effetti cumulativi della legislazione e per ridurre adempimenti e costi.

1.14   Le nuove proposte legislative, a parere del Comitato, dovrebbero essere sottoposte ad un'analisi preventiva, per stabilire il loro impatto sulla competitività, con l'ausilio di schede di impatto operative, comunitarie e nazionali.

1.15   Il CESE invita la Commissione a insistere e ad aumentare i suoi interventi nella promozione delle tecnologie a bassa emissione di carbonio e dell'economia verde, che sono fonte di nuova e migliore occupazione.

1.16   Sarebbe utile, secondo il Comitato, sostenere e favorire la diffusione di reti internazionali, anche settoriali, per i protagonisti della creatività e dell'innovazione. A questo fine esso raccomanda che la Rete impresa Europa (Enterprise Europe Network) svolga un ruolo di informazione e consulenza non soltanto a livello generale, ma anche settoriale, e che a tale rete vengano conferite delle funzioni amministrative di sportello unico.

1.17   Il CESE chiede di accelerare l'adozione dello Statuto europeo delle PMI e l'attuazione, a livello degli Stati membri, dello Small Business Act, su cui il Comitato si è già pronunciato.

2.   Introduzione

2.1   Con il manifestarsi della crisi economica, nel 2008, la tendenza positiva registrata tra il 2002 e il 2008 dalle PMI, ha subito un arresto con stime che valutano la riduzione di posti di lavoro in 3,25 milioni per il periodo 2009-2010 (1).

2.2   Il tasso di disoccupazione nell'UE si è attestato al 9,6 % nel 2010, ed è ancora maggiore nei settori della pubblica amministrazione, dei trasporti e delle telecomunicazioni. Vi è stata una leggera espansione nei settori delle vendite al dettaglio e nel manifatturiero, mentre il mercato del lavoro giovanile - dai 15 ai 24 anni - permane depresso, con un tasso di disoccupazione intorno al 21 %, cioè ai livelli più elevati dall'inizio della crisi.

2.2.1   D'altra parte la crisi economica e fattori come la mondializzazione, i progressi tecnologici, l'invecchiamento della popolazione e il passaggio progressivo ad una economia a basse emissioni di carbonio e di particolato, hanno dato una forte spinta a rapidi cambiamenti nelle qualifiche e nelle competenze richieste sul mercato del lavoro, con nuove professioni in forte crescita.

2.3   A livello settoriale, la recessione sembra aver accelerato l'attuale tendenza al trasferimento dei posti di lavoro dalle attività manifatturiere primarie e di base verso il settore dei servizi con proiezioni che vedono riduzioni sostanziali dell'occupazione nell'industria primaria ed in agricoltura, così come perdite di posti di lavoro sono attese nelle industrie manifatturiere e produttive, nel periodo 2010-2020, mentre una crescita occupazionale è prevista nei servizi, specie nei servizi all'industria e di mercato, e aumenti sono previsti nella distribuzione e nei trasporti, nei settori alberghieri, della ristorazione e del turismo, della sanità, dell'istruzione e della sicurezza.

2.4   Quanto ai profili professionali, l'andamento, che si dovrebbe consolidare e incrementare da qui al 2020, dovrebbe essere quello delle professionalità medio-alte (40 %), quali: personale dirigente, professionisti e tecnici, che rappresentano i cosiddetti knowledge and skill-intensive jobs.

2.4.1   Il calo maggiore è previsto nella percentuale dei lavoratori con qualifiche formali di basso livello o meno qualificati. Si è rilevato che l'occupazione nei settori che producono beni di investimento è più vulnerabile alle crisi economiche generali, perché particolarmente rilevanti sono le competenze, dato che spesso a tali settori sono associate competenze specifiche.

2.5   Il Comitato ha ricordato a più riprese (2) che «l'importanza delle piccole e medie imprese (PMI) per l'economia dell'Unione europea è universalmente riconosciuta», e ha ribadito (3) che «poiché i risultati economici, l'innovazione e l'occupazione dipendono sempre più dalle PMI, una priorità dovrebbe consistere nello sviluppo dell'imprenditorialità tra i giovani».

2.6   Nell'UE le imprese indipendenti sono oltre 20 milioni: tra queste, oltre il 99 % è rappresentato da piccole e medie imprese con meno di 250 dipendenti. La grande maggioranza (92 %) è rappresentata dalle microimprese, che hanno meno di 10 dipendenti. Inoltre l'occupazione, nelle PMI, rappresenta oltre il 67 % dell'occupazione nell'UE (4). Molte delle PMI che hanno resistito alla crisi debbono la loro sopravvivenza all'impegno del personale.

2.7   Occorre peraltro tener presente che molteplici ostacoli, quali:

un ambiente inadatto allo sviluppo dell'imprenditorialità,

difficoltà nell'accesso al credito,

difficoltà nell'internazionalizzazione e nell'accesso ai mercati,

insufficiente flusso di conoscenze o di capacità di gestione,

insufficiente tutela della proprietà intellettuale,

sono suscettibili di frenare la nascita di nuova imprenditorialità e la creazione e il rapido sviluppo di PMI innovative, e di impedire il perseguimento della politica del pieno impiego.

2.8   Nel 2009 il numero di grandi imprese che ha registrato riduzioni dei livelli occupazionali è risultato doppio rispetto alle piccole imprese e più che triplo rispetto alle microimprese. Queste cifre confermano le capacità di questi ultimi tipi di imprese, di fungere da stabilizzatori, rispetto ai cicli economici.

2.9   Gli andamenti del mercato del lavoro comunitario rimangono tuttavia caratterizzati da forti disequilibri tra paesi e paesi, con livelli di disoccupazione giovanile inaccettabili: se è vero che il tasso medio europeo potrà collocarsi nel biennio 2010-2011 intorno a livelli critici di oltre il 10 %, la distribuzione della forza lavoro tra settori, tra territori e, soprattutto, tra fasce d'età, è molto più preoccupante.

2.9.1   L'ultimo rapporto L'occupazione in Europa 2010 indica che i giovani risultano essere le principali vittime della crisi, con una incidenza della disoccupazione sulla fascia di età 15-24 anni che raggiunge e oltrepassa, in alcuni paesi membri, il 30 %.

2.10   Le analisi degli andamenti della distribuzione della forza lavoro europea nei vari settori (5) - inclusa l'articolazione per età, genere, e tipologia d'impresa - indicano:

un tasso di occupazione generale UE-27 (6) che è passato da 62,2 nel 2000 al 64,6 % nel 2009,

un tasso d'occupazione giovanile (7) che, nello stesso periodo, è passato dal 37,5 al 35,2 %,

un tasso d'occupazione femminile, in generale, che è passato dal 53,7 al 58,6 % e, per le giovani, dal 34,1 al 33,1 %,

il tasso d'occupazione nell'UE-27, nel settore industriale, è passato dal 26,8 %, nel 2000, al 24,1 % nel 2009,

il tasso d'occupazione nei servizi è passato dal 65,9 % nel 2000 al 70,4 % nel 2009,

il tasso d'occupazione in agricoltura è passato da 7,3 % nel 2000 al 5,6 % nel 2009.

2.11   Nell'UE-15 i dati evidenziano una situazione leggermente migliore, sia per quanto concerne il tasso d'occupazione generale (63,4-65,9 %) sia per l'occupazione femminile (54,1-59,9 %).

2.12   Ridare competenze e nuove qualificazioni ai giovani di ambo i sessi è un obiettivo del programma comunitario «Gioventù in movimento», anche se appare limitato rispetto all'enorme rilevanza del problema e necessita di essere integrato con altre iniziative per creare nuove attività e nuove imprese.

2.13   Il Comitato, anche attraverso la propria commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI), ha avuto modo di pronunciarsi sui riflessi occupazionali della crisi nel settore manifatturiero, nell'industria dell'automobile, nell'industria tessile, nelle industrie della lavorazione dei metalli, nell'industria aeronautica, nelle industrie culturali e creative, nell'industria navale e cantieristica, nell'industria carbosiderurgica, nell'industria degli elettrodomestici ed altri, nel settore forestale ed agricolo come nel settore dei servizi.

2.14   In tutti i settori, a fianco alle imprese di grandi dimensioni, vi è una presenza significativa di PMI, come in quello manifatturiero (su 2 milioni 376 mila imprese europee, 2 milioni e 357 mila sono PMI) o nel settore della costruzione (2 milioni 914 mila su 2 milioni 916 mila) o nei settori del commercio all'ingrosso e al dettaglio, delle riparazione d'auto e dei motocicli e dei beni di consumo delle famiglie (in totale, 6 milioni 491 mila su 6 milioni 497 mila) per non parlare dei servizi immobiliari, della ristorazione e del settore alberghiero e dei trasporti.

2.15   Il CESE sottolinea la piena complementarietà tra grandi, medie e piccole imprese, che si esprime spesso nella qualità della subfornitura, nell'efficienza dell'outsourcing come nella creazione di spin-off innovativi.

2.16   Le possibilità di creazione di nuova occupazione, quale strumento di lotta alla crisi, di stimolo alla crescita economica sostenibile e competitiva, attraverso le piccole e medie aziende dei settori pubblici, privati e dell'economia sociale, vede alcuni settori dei servizi particolarmente interessati (8):

spin off di ricerca e sviluppo,

il settore informatico e delle attività connesse,

le attività di manutenzione e di ristrutturazione del patrimonio immobiliare,

le attività ausiliarie all'intermediazione finanziaria,

il settore alberghiero e della ristorazione,

il settore turistico e culturale,

il settore delle poste e telecomunicazioni e trasporti,

il settore delle forniture elettriche, di gas e acqua,

i settori previsti nei Lead Market: sanità elettronica; edilizia sostenibile; tessuti intelligenti; prodotti a base biologica; riciclaggio; energie rinnovabili ed economia verde.

2.17   Per quanto riguarda la distribuzione territoriale del contributo delle PMI al valore aggiunto e all'occupazione dell'UE, nel periodo 2002-2007, mentre non sembrano esserci molte differenze in termini occupazionali, il contributo delle PMI in termini di valore aggiunto sembra indicare forti differenze tra l'UE-12 e l'UE-15 con un differenziale di produttività del lavoro PMI/grandi imprese più elevato nei nuovi Stati membri rispetto ai vecchi Stati membri.

2.18   Inoltre, al di là della creazione di nuovi posti di lavoro, le PMI contribuiscono in larga misura al dinamismo e alla performance innovativa dell'economia, quali importanti convettori di spill-over applicativi di conoscenze scientifiche e tecnologiche, attraverso il trasferimento e la commercializzazione di idee e scoperte. In proposito, occorre notare che, a livello europeo, i nuovi approcci enunciati nel principio «Pensare anzitutto in piccolo» e nello Small Business Act non hanno ancora trovato piena applicazione, soprattutto a livello regionale e nazionale.

2.19   Secondo il Comitato, occorre rafforzare lo sviluppo di gruppi (clusters) innovativi di PMI ad alta capacità di sviluppo, quali iniziatori di svolte innovative, attraverso sistemi a rete in grado di arrivare con rapidità sul mercato con prodotti di alta qualità e fruibilità.

2.20   La chiave di volta per rafforzare lo sviluppo e la competitività delle PMI è il sostegno alla loro internazionalizzazione nei mercati globali, e lo sviluppo delle loro potenzialità sul mercato interno, assicurando eque condizioni di concorrenza e di operatività.

2.21   Mentre le PMI concorrono, mediamente, per oltre il 50 % del PIL nazionale, esse contano, in media, solo per il 30 % nelle esportazioni extra UE anche se, spesso, il loro contributo è all'interno di catene globali del valore.

2.22   D'altra parte, si è molto insistito per un accesso più semplice al credito: l'UE ha sostenuto governi, istituzioni finanziarie e grandi imprese durante la crisi, mentre poco o nulla viene fatto per sostenere le PMI e la creazione di occupazione produttiva e durevole a livello locale. Sarebbe opportuno rafforzare strumenti quali Jeremie, Jessica, Jasper.

2.23   Il CESE ritiene che i governi dell'UE debbano sostenere con determinazione:

i programmi nazionali e regionali di stimolo all'imprenditorialità,

gli strumenti per mantenere attive le piccole e medie imprese,

lo sviluppo di nuove attività, legate all'intelligenza dei prodotti e dei servizi,

la riduzione di vincoli burocratici,

la formazione dei disoccupati e dei giovani per consentire loro di accedere ai nuovi posti di lavoro,

la qualificazione e la formazione permanente della manodopera,

il dialogo sociale,

un migliore accesso ai programmi comunitari, con un'attenzione particolare al finanziamento delle PMI,

la lotta contro l'evasione fiscale e il lavoro sommerso,

la riduzione e la semplificazione degli oneri amministrativi, potenziando gli sportelli unici e le reti settoriali.

2.24   In particolare il CESE raccomanda di accelerare la revisione in atto, per facilitare l'accesso a programmi di ricerca e innovazione comunitari.

2.25   È necessario affrontare i fallimenti del mercato, nella promozione di posti di lavoro durevoli, nello sviluppo dello spirito imprenditoriale, nell'innovazione e nella crescita economica sostenibile, con pacchetti d'azione dinamici, che sappiano affrontare e accompagnare la nascita, la crescita e l'uscita dal mercato delle imprese, con condizioni adeguate chiare e trasparenti.

3.   Osservazioni

3.1   Il presente parere esplorativo viene elaborato su richiesta della presidenza ungherese sul tema relativo ai riflessi dell'attuale crisi economica e finanziaria sulla manodopera e la sua distribuzione tra i diversi settori produttivi, con particolare riguardo alle piccole e medie imprese.

3.2   Il CESE ritiene che, se si vuole cercare di uscire dalla crisi ed essere protagonisti nella globalizzazione, sia necessaria un'azione comunitaria immediata, coerente e coordinata, indirizzata su un ventaglio di priorità che vada al di là delle parole e sia effettiva, a sostegno del miglioramento delle condizioni operative, sul mercato interno e su quelli globali, che sostenga l'innovazione nelle piccole e medie imprese, che rilanci lo spirito imprenditoriale, che sappia individuare nuovi percorsi, per la formazione e la qualificazione del personale, e adegui il mercato del lavoro alle nuove sfide.

3.3   Per poter assicurare pienamente il loro apporto positivo all'occupazione, anche nel nuovo quadro della globalizzazione, e malgrado la crisi internazionale in atto nei paesi industrializzati, le PMI devono poter competere su un piano di parità anche in termini di:

varo di una tabella di marcia per creare le condizioni necessarie ad assicurare che le PMI possano contribuire pienamente alla creazione dell'occupazione,

sviluppo delle capacità innovative delle piccole e medie imprese e sostegno delle reti, dei distretti produttivi dei servizi e dei parchi tecnologici (9),

garanzie d'accesso ai mercati esteri, al finanziamento e al rafforzamento di assicurazioni e di garanzie di pagamento negli scambi internazionali,

strutture intelligenti di supporto economico ai mercati (10) insieme con piena reciprocità nell'apertura del mercato europeo e dei mercati esteri,

rispetto degli standard sociali e ambientali e della proprietà industriale e intellettuale,

misure contro l'informazione asimmetrica nell'accesso al credito, assicurando offerte adeguate di crediti, prestiti e partecipazione al capitale di rischio,

strutture di formazione continua, sia per lo sviluppo dell'imprenditorialità e della gestione aziendale, sia per assicurare maestranze qualificate in un quadro di flessicurezza, negoziata tra le parti sociali,

un dialogo sociale, a livello nazionale e europeo, che riconosca le specificità delle PMI, garantendo loro una rappresentanza adeguata a livello comunitario ma anche un dialogo che consenta alle parti sociali di affrontare adeguatamente le ripercussioni della crisi,

lotta all'economia informale e rafforzamento della politica di concorrenza, in tema di aiuti di Stato.

3.4   Il CESE ritiene che sia necessario razionalizzare e semplificare i vincoli amministrativi e regolamentari, relativi alla creazione di imprese, soprattutto a livello degli Stati membri, al fine di garantire che le imprese esistenti possano trarre profitto delle opportunità tecnologiche e commerciali per svilupparsi, e che nuove PMI siano messe in grado di creare nuovi posti di lavoro, dando piena e concreta applicazione ai principi di «Pensare prima in piccolo» e allo Small Business Act.

3.4.1   È altresì necessaria l'adozione dello Statuto delle PMI europee e lo studio della società cooperativa europea, per rafforzarne la diffusione.

3.5   Occorre facilitare il processo di internazionalizzazione delle PMI, aumentando la partecipazione imprenditoriale in partenariati di ricerca, assicurando l'accesso ai mercati esteri.

3.5.1   Tale obiettivo va perseguito anche mediante una strategia che faciliti la costituzione di reti internazionali tra i protagonisti della creatività e dell'innovazione: quadri, ricercatori, membri delle professioni liberali, per favorire sinergie e una migliore internazionalizzazione delle professioni liberali.

3.6   È necessario altresì diffondere la cultura imprenditoriale e rafforzare lo spirito d'iniziativa e l'imprenditorialità femminile, sviluppando le competenze strategiche e gestionali necessarie e rafforzando la formazione.

3.6.1   Appare anche opportuno introdurre una tabella di marcia, con statistiche semestrali, relative alle variabili economiche e sociali delle PMI europee.

3.7   La formazione permanente dei quadri e delle maestranze deve permettere la dotazione di risorse umane qualificate ed aggiornate, in un quadro di stimolo della parità di genere. Il CESE chiede un'azione prioritaria a livello comunitario, nazionale e regionale, di lotta alla disoccupazione giovanile moltiplicando le opportunità di apprendistato, stage lavorativi di qualità (work placement), sponsorizzazione dei laureati, specie in discipline scientifiche ed una campagna di valorizzazione del lavoro industriale e manifatturiero e della iniziativa imprenditoriale, specie femminile.

3.8   Il CESE è convinto che le capacità di assorbimento dell'innovazione debbano essere potenziate: occorre rafforzare le reti di competenze e di conoscenze, e sviluppare i distretti industriali di nuova generazione e le infrastrutture di trasferimento tecnologico e di mobilità delle risorse umane tra industria, centri di ricerca e università, anche nell'ambito dell'Istituto di innovazione e tecnologia (EIT), che deve integrare le PMI.

3.9   Lo sviluppo delle iniziative settoriali di punta dovrebbe, a parere del Comitato, essere meglio coordinato sotto gli aspetti tecnologici, di investimento e di formazione e valorizzazione delle risorse umane.

3.10   I mercati del lavoro europei usciranno profondamente modificati dalla crisi, ragion per cui i lavoratori e gli imprenditori devono essere pronti, con le competenze e i sostegni appropriati, per adattarsi ad una realtà che cambia: «La crisi ha azzerato tutti i progressi realizzati in passato, ragion per cui dobbiamo ora riformare urgentemente i mercati del lavoro, far sì che le competenze disponibili siano in linea con la domanda e che le condizioni lavorative siano quelle giuste per incoraggiare la creazione di lavoro» (11).

Bruxelles, 4 maggio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Relazione European SMEs under pressure (2010).

(2)  Cfr. parere CESE sul tema Le diverse misure politiche, al di là di finanziamenti adeguati, atte a contribuire alla crescita e allo sviluppo delle piccole e medie imprese, GU C 27 del 3.2.2009, pag. 7; parere CESE sul tema Come sostenere le PMI nell'adattamento ai cambiamenti del mercato globale, GU C 255 del 22.9.2010, pag. 24; parere CESE in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - «Pensare anzitutto in piccolo» (Think Small First) - Uno «Small Business Act» per l'Europa, GU C 182 del 4.8.2009, pag. 30.

(3)  Cfr. parere CESE sul tema La strategia di Lisbona dopo il 2010, GU C 128 del 18.5.2010, pag. 3.

(4)  Fonte Eurostat.

(5)  Eurostat - Labour market indicators («Indicatori del mercato del lavoro») UE 27 – 2010.

(6)  Classificazione Eurostat fascia d'età 15-64.

(7)  Classificazione Eurostat fascia d'età 15-24.

(8)  Cfr. Hartmut Schrör, Enterprise Births, Survivals and Deaths - Employment effects («Creazione, sopravvivenza e morte delle imprese - effetti sull'occupazione») (Eurostat, Statistics in Focus, 44/2008).

(9)  Cfr. parere CESE sul tema I distretti industriali europei verso le nuove reti del sapere, GU C 255 del 14.10.2005 pag. 1; parere CESE sul tema Il ruolo dei parchi tecnologici nel mutamento industriale dei nuovi Stati membri dell'UE, GU C 65 del 17.3.2006, pag. 51 e parere CESE sul tema Trasformazioni industriali, sviluppo del territorio e responsabilità delle imprese, GU C 175 del 28.7.2009, pag. 63.

(10)  Cfr. accesso e strutture semplificate della banca dati sull'accesso ai mercati (market access database) (MADB).

(11)  Cfr. László ANDOR, commissario responsabile per l'Occupazione - IP/10/1541 del 23 novembre 2010.


23.7.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 218/7


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Il ruolo della politica della famiglia nel processo di cambiamento demografico: condividere le buone pratiche tra gli Stati membri»

(parere esplorativo)

2011/C 218/02

Relatore generale: BUFFETAUT

Correlatrice generale: OUIN

Con lettera del 15 novembre 2010, l'ambasciatore Péter GYÖRKÖS ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo, a nome della presidenza ungherese e conformemente all'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di elaborare un parere esplorativo sul tema:

Il ruolo della politica della famiglia nel processo di cambiamento demografico: condividere le buone pratiche tra gli Stati membri.

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo ha incaricato, in data 7 dicembre 2010, la sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza di preparare i lavori in materia (relatore: BUFFETAUT, correlatrice: OUIN).

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 471a sessione plenaria, dei giorni 4 e 5 maggio 2011 (seduta del 4 maggio), ha nominato BUFFETAUT come relatore generale e OUIN come correlatrice generale e ha adottato il seguente parere con 183 voti favorevoli, 3 voti contrari e 8 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Le politiche della famiglia attuate in Europa variano per fonti di ispirazione e contenuti, ma puntano ad un obiettivo comune: il sostegno alle famiglie. Le politiche nazionali e regionali più globali, così come le politiche in materia di investimenti e formazione, alloggio e occupazione, possono fare sì che uno Stato o una regione risultino attraenti per le famiglie e creare un ambiente favorevole a queste ultime.

1.2

È interessante mettere a confronto i diversi sistemi adottati, poiché in questo modo si possono individuare le buone pratiche. In ogni caso, affinché un sistema sia pienamente efficace, bisogna che l'offerta di servizi e i meccanismi di sostegno rispondano alle aspettative delle famiglie e dei genitori o futuri genitori. Tali aspettative possono variare da uno Stato membro all'altro a seconda della cultura del paese, delle abitudini sociali e delle tradizioni. Sarà bene quindi che i poteri pubblici si guardino dai preconcetti ideologici, proponendo invece misure che diano veramente alle persone la possibilità di scegliere di creare una famiglia e a queste ultime di avere il numero di figli che desiderano.

1.3

Benché le politiche a favore della famiglia non rientrino nelle competenze dell'Unione europea, quest'ultima può legiferare in ambiti che riguardano la conciliazione della vita familiare con quella professionale e nel settore della parità professionale tra uomini e donne, nonché in materia di protezione e sviluppo dell'infanzia.

1.4

L'UE può inoltre svolgere un ruolo utile per la conoscenza delle diverse situazioni e sviluppi demografici, nonché per lo scambio di buone pratiche tra Stati membri.

1.5

Oggi, sotto la guida dell'Unione europea, si sta sviluppando un certo numero di iniziative e di finanziamenti ad esse collegati; inoltre, i fondi strutturali e il Fondo sociale europeo hanno già sostenuto delle politiche a favore delle famiglie e potranno farlo anche in futuro.

1.6

Sarebbe auspicabile collegarle meglio fra loro e porle sotto l'autorità, o per lo meno il coordinamento, di un organo che abbia il compito di definire una politica globale e stabilire le principali linee d'azione e piste di studio. Questo ruolo di direzione e coordinamento potrebbe essere affidato, per quanto riguarda gli aspetti politici e la gestione, alla Commissione europea, in particolare grazie all'Alleanza europea per la famiglia, e, per quanto riguarda invece la parte scientifica, a Eurofound.

1.7

Sarebbe altresì auspicabile che all'elaborazione delle politiche familiari o che incidono sulla famiglia, a livello sia dell'UE che degli Stati membri, partecipassero anche le associazioni di rappresentanza delle famiglie.

1.8

Molte delle politiche decise a livello europeo hanno un impatto diretto sulla vita delle famiglie, e il CESE raccomanda quindi di integrare la dimensione familiare in modo trasversale in tutte le politiche europee, in particolare nella realizzazione delle valutazioni di impatto, oramai necessarie per tutta la legislazione europea (1), nonché in tutte le valutazioni delle politiche esistenti che devono essere rivedute.

1.9

Il Comitato sostiene risolutamente l'idea di proclamare il 2014 Anno europeo delle famiglie.

2.   Introduzione: panoramica della situazione demografica attuale

2.1

Le famiglie europee sono in piena trasformazione: fecondità in calo ben al di sotto della soglia di ricambio generazionale già da diversi decenni (2), rinvio della prima maternità a un'età più avanzata, aumento del tasso di separazioni, della quota di famiglie monoparentali e di famiglie senza un reddito stabile, allungamento della vita e aumento del numero di anziani dipendenti dovuto soprattutto all'eredità demografica. L'evoluzione delle strutture familiari pone nuove sfide di cui occorre tenere conto nell'elaborazione e nel coordinamento delle politiche della famiglia, e successivamente nella loro attuazione.

2.2

Il declino della famiglia estesa a vantaggio della famiglia nucleare, dovuto tra l'altro all'urbanizzazione e alla trasformazione dello stile di vita, è stato accompagnato dal manifestarsi di atteggiamenti più individualisti, dall'emergere di nuovi gruppi sociali a rischio e con maggiori probabilità di esclusione sociale: disoccupati di lunga data, famiglie monoparentali, lavoratori poveri e minori che vivono o rischiano di cadere in povertà. Questi fenomeni colpiscono purtroppo tutte le società europee. Si stima che il 17 % degli europei sia vittima della povertà e dell'esclusione sociale - fatto, questo, che non è privo di conseguenze dal punto di vista delle politiche della famiglia.

2.3

Malgrado l'indice di fecondità si situi al di sotto della soglia di ricambio in tutta l'Unione europea, esistono tuttavia notevoli differenze tra gli Stati membri e le loro diverse regioni per quanto riguarda sia la situazione demografica che le politiche praticate a favore della famiglia. Si può altresì rilevare che la densità demografica è molto variabile persino all'interno di ciascuno Stato membro, poiché alcune regioni hanno una densità molto elevata e altre invece sono spopolate, il che pone il problema dell'assetto territoriale e del mantenimento dei servizi pubblici, compresi quelli destinati alle famiglie. Il motto dell'Unione europea «uniti nella diversità» è dunque particolarmente appropriato in questo caso specifico. L'invecchiamento della popolazione europea, ossia l'aumento della percentuale di persone anziane, è dovuto certamente ad uno sviluppo positivo, vale a dire l'aumento della speranza di vita e l'allungamento della vita in buona salute degli anziani; ma la sua causa secondaria è invece negativa: si tratta infatti del forte abbassamento della natalità, che compromette il ricambio generazionale.

2.4

Nessuno Stato membro dell'UE raggiunge la soglia del semplice ricambio generazionale (3), sebbene due paesi, l'Irlanda e la Francia, ci vadano molto vicini. Il tasso di fecondità degli Stati Uniti d'America è quasi pari a tale valore, mentre la fecondità media nell'UE non arriva ad un quarto.

2.5

Questo quadro generale presenta tuttavia forti contrasti: diciotto Stati membri hanno infatti un saldo naturale positivo, quindi con nascite superiori ai decessi, mentre nove hanno un saldo negativo, quindi con un numero di decessi che supera quello delle nascite (in ordine crescente: Portogallo, Estonia, Italia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Romania, Bulgaria, Germania).

2.6

Per invertire questa tendenza occorre innanzitutto migliorare nettamente l'indice sintetico di fecondità (total fertility rate). Anche i flussi migratori possono modificarlo, ma non sarebbero sufficienti a invertire la tendenza in atto, visto che gli immigrati non si insediano necessariamente laddove l'indice di fecondità è più basso e, inoltre, anch'essi invecchiano. Inoltre, l'immigrazione richiede politiche di integrazione attiva per evitare che insorgano problemi di coabitazione tra comunità diverse - problemi sentiti con ancora maggior forza nei paesi d'accoglienza poco dinamici dal punto di vista demografico.

3.   L'impatto della crisi sulle famiglie

3.1

La crisi economica ha avuto una serie di effetti che hanno inciso sulle condizioni di vita di talune famiglie, rendendo più difficile rispondere alla conseguente domanda di sostegno. Essa ha colpito in primo luogo l'occupazione e le risorse di molte famiglie.

3.2

Un altro possibile effetto della crisi e della situazione difficile in cui versano le finanze pubbliche in numerosi Stati membri è quello di indurre i governi a modificare o a posticipare l'adozione di determinate misure di politica della famiglia.

3.3

La maggior parte delle politiche interne degli Stati membri - lotta all'esclusione, formazione, alloggi, trasporti pubblici, energia, assistenza sociale, istruzione, occupazione, ecc. - tocca direttamente le famiglie o esercita un certo impatto su di loro. È quindi necessario un monitoraggio trasversale di queste politiche in funzione del loro impatto sulle famiglie (family mainstreaming) (4).

4.   Diversità delle politiche a favore della famiglia

4.1

Una politica generale a favore della famiglia comprende misure fiscali e assegni familiari, azioni a favore della parità professionale tra uomini e donne, servizi di accoglienza e assistenza all'infanzia e alle persone dipendenti, diritti familiari nei sistemi di assicurazione per la vecchiaia e la possibilità di conciliare vita familiare e vita professionale tramite congedi parentali e lavoro a tempo parziale. Politiche di questo tipo esistono in tutta l'Unione europea, sebbene possano essere privilegiati aspetti diversi a seconda del paese, o le si possano concepire come politiche sociali piuttosto che come politiche della famiglia. Questa diversità non sorprende, in quanto anche le tradizioni, le esigenze, gli approcci sociali o persino filosofici, come del resto le aspettative delle famiglie, sono diversi da un paese all'altro.

4.2

Varia anche l'ispirazione di queste politiche: esse possono avere una matrice morale o civica, economica o politica, oppure un'impostazione natalista. Qualunque ne sia l'origine, tuttavia, esse sono accomunate da un'attenzione per il benessere morale, sanitario ed educativo del bambino così come dall'obiettivo di consentire ai genitori di allevare il numero di figli che desiderano e di conciliare le loro responsabilità familiari con la vita professionale e sociale.

4.3

I paesi scandinavi hanno dedicato un'attenzione particolare alla parità tra padri e madri sia nella vita professionale che nei compiti familiari, mettendo in atto, fin dagli anni '70, delle politiche sociali e di formazione professionale che consentono di conciliare meglio lavoro e famiglia e di ritrovare più facilmente un impiego dopo un congedo parentale. In Svezia queste politiche si sono fondate su una profonda riforma dei congedi parentali, dei servizi pubblici di accoglienza per la prima infanzia, delle tasse a carico delle famiglie (soppressione della tassazione congiunta fin dal 1971) e della legislazione familiare. La politica della famiglia adottata si basa su tre dimensioni: aiuti diretti alle famiglie, aiuti ai genitori che lavorano sotto forma di congedi parentali retribuiti e condivisione del diritto al congedo parentale da parte di padre e madre. Il risultato è stato un elevato grado di occupazione femminile, una maggiore partecipazione dei padri alla cura dei figli nei primi anni di età, indici di fecondità superiori alla media dell'Unione europea e una diminuzione della povertà infantile. In Finlandia, dal 1988 è stato attribuito un assegno ai genitori che rimangono a casa per occuparsi dei figli e in Norvegia è stata adottata un'iniziativa analoga nel 1998, in riconoscimento, anche in termini finanziari, degli sforzi compiuti dai genitori che si occupano a tempo pieno dei figli.

4.4

Nei Paesi Bassi, invece, il cardine della politica della famiglia è stato lo sviluppo del lavoro a tempo parziale, per consentire alle madri di dedicare più tempo all'educazione dei figli. La formula del tempo parziale è stata sfruttata anche dai padri, in proporzioni maggiori che in qualsiasi altro paese. Ciò nonostante, gli uomini che lavorano a tempo pieno sono il 73,2 %, contro il 45,9 % delle donne. I padri che sfruttano la possibilità di lavorare part-time sono il 19 % - una percentuale molto più elevata che nel resto d'Europa - a fronte del 41 % delle madri. La possibilità di lavorare a tempo parziale può essere utilizzata fino agli otto anni di età del bambino ed è accompagnata da sgravi fiscali pari a 704 euro al mese. Si ha diritto a 26 volte il numero di ore di lavoro settimanali per ogni figlio, e le ore sono cumulabili. Di conseguenza, anche i servizi di custodia dei bambini possono essere utilizzati a tempo parziale.

4.5

In Francia la politica familiare ha una lunga tradizione e si contraddistingue per la sua notevole continuità, a prescindere dalla maggioranza di governo, e per un insieme di strumenti comprendenti assegni familiari, un sistema fiscale equo per le famiglie, disposizioni in materia di pensioni, disposizioni di diritto del lavoro che prevedono specifiche forme di congedo retribuito, servizi di custodia dei bambini da 0 a 3 anni e la possibilità di frequentare gratuitamente la scuola materna a partire dai tre anni di età. L'importanza di questa politica risiede anche nel fatto che essa viene attuata tanto dallo Stato quanto dai dipartimenti e dai comuni, indipendentemente dalle loro tendenze politiche. Dipartimenti e comuni, infatti, completano la politica nazionale adottando numerose politiche familiari locali relative ai sistemi di custodia o agli aiuti alle famiglie. Gli assegni familiari in senso stretto sono destinati a compensare gli oneri sostenuti dalla famiglia per ciascun figlio e favoriscono le famiglie numerose. Vengono versati a tutte le famiglie a prescindere dal reddito (principio di universalità). Sono destinati al bambino - aspetto, questo, che contraddistingue la politica familiare dalla politica sociale. Queste misure fanno sì che la Francia sia uno dei paesi con il tasso di occupazione femminile e l'indice di fecondità più alti in Europa. La libera scelta del sistema di custodia dei figli occupa un posto centrale nella politica familiare francese, ma per scegliere liberamente bisogna innanzitutto che vi sia possibilità di scelta, vale a dire un'offerta sufficiente di sistemi di custodia.

4.6

Nel Regno Unito, invece, le politiche familiari sono maggiormente ed efficacemente incentrate sulla lotta alla povertà delle famiglie e dei minori, e si presuppone in generale che lo Stato non debba interferire nelle scelte di vita dei singoli. Tali politiche si iscrivono in un contesto in cui la flessibilità del mercato del lavoro consente alle donne di trovare piuttosto facilmente un nuovo impiego dopo una maternità. Questa grande flessibilità permette inoltre di rispondere alle attese estremamente eterogenee delle famiglie. L'indice di fecondità delle donne più orientate verso la vita familiare è circa due volte più elevato di quello delle donne più impegnate nella vita professionale.

4.7

La Germania, confrontata ad una situazione demografica critica, ha lanciato da qualche anno una politica ambiziosa per riuscire a conciliare la vita professionale e la vita familiare nella pratica e certamente anche a livello di mentalità, poiché in passato la scelta di lavorare avendo dei figli era piuttosto malvista. Sono stati creati sistemi di custodia più perfezionati e in orari adatti, ed è stato istituito un congedo parentale di quattordici mesi retribuito per l'ammontare dei due terzi dello stipendio. Queste misure sono state accompagnate da aiuti specifici e concepite per lottare contro la povertà dei bambini fornendo un supplemento di reddito.

4.8

In ogni caso, dagli studi realizzati emerge chiaramente che, quando viene data la possibilità di conciliare vita professionale e vita familiare, a un tasso elevato di occupazione femminile spesso corrisponde un indice elevato o relativamente elevato di fecondità. È come se dopo il periodo di transizione demografica, in cui si assiste a un drastico calo del numero di figli per donna, quando si riducono notevolmente i tassi di mortalità, in particolare infantile, infanto-adolescenziale e materna, si diffondono comportamenti igienici e vi è la possibilità di scegliere il momento della procreazione, il periodo post-transizione si traducesse in una situazione in cui entrambi i genitori lavorano fuori casa. Il tasso di occupazione a tempo pieno rimane comunque più elevato tra i padri che tra le madri, in particolare quando le condizioni di accesso ai servizi e ai congedi parentali retribuiti sono insufficienti.

5.   I diversi scenari

5.1

Nella situazione demografica attuale dell'Unione europea è molto importante individuare l'incidenza delle politiche condotte sui livelli di fecondità. Si possono infatti immaginare più scenari in termini di evoluzione demografica.

5.2

In base al primo scenario, che postula un'evoluzione in base alle tendenze attuali, l'Unione europea rimarrebbe in una situazione caratterizzata da un indice di fecondità al di sotto della soglia di ricambio generazionale e variabile da uno Stato membro all'altro, ma si registrerebbe una lieve crescita della popolazione dovuta agli effetti di inerzia propri delle logiche demografiche, effetti che finirebbero però per attenuarsi, e sarebbero dovuti all'aumento dell'aspettativa di vita degli anziani e al saldo migratorio positivo. In tal caso, l'UE assisterebbe al tempo stesso a un marcato invecchiamento della popolazione malgrado l'apporto migratorio (effetto di «struttura»), a un forte aumento del numero degli anziani, detto «gerontocrescita» (effetto di «tendenza»), e ad una possibile diminuzione della popolazione attiva nonostante l'aumento dell'età della pensione. Inoltre, in circa la metà dei paesi dell'UE si potrebbe assistere a un calo della popolazione.

5.3

Questa situazione finirebbe per accentuare le disparità demografiche tra gli Stati membri e rischierebbe di compromettere la coesione dell'Unione europea, in quanto le politiche da attuare e le rivendicazioni delle popolazioni potrebbero variare considerevolmente da uno Stato membro all'altro in conseguenza delle caratteristiche demografiche.

5.4

Lo scenario catastrofico sarebbe quello in cui l'inverno demografico si intensificherebbe, dando luogo ad un numero di nascite largamente inferiore al numero di decessi. In tal caso si assisterebbe all'effetto cumulativo di un invecchiamento dal basso molto marcato, dovuto a una fecondità molto ridotta, inferiore della metà alla soglia del semplice ricambio generazionale, e già riscontrabile in talune regioni dell'Unione europea, e forse a un invecchiamento dall'alto dovuto alla maggiore longevità delle persone oltre i 65 anni. Nella pratica, questa società così «invecchiata» non sarebbe forse più in grado di garantire il finanziamento dei redditi e dell'assistenza sanitaria necessari alle persone anziane.

5.5

Questi due aspetti dello scenario catastrofico darebbero luogo all'emigrazione dei giovani laureati, che lascerebbero un'Unione europea sempre più vecchia per paesi più intraprendenti, e a un calo tendenziale dell'immigrazione dovuto alla minore attrattiva esercitata da un'Europa meno dinamica, più povera e con grandi difficoltà di bilancio e di equilibrio dei conti sociali.

5.6

Se si verificasse una tale situazione, l'Unione europea si troverebbe di fronte a una piramide delle età molto squilibrata, con molti più anziani che giovani e una popolazione attiva in forte diminuzione e in rapido invecchiamento.

5.7

Infine, il terzo scenario - più ottimistico - è quello del rinnovamento demografico, e dunque di una «primavera demografica». Esso prevede una ripresa dell'indice di fecondità, che si avvicinerebbe alla soglia del semplice ricambio generazionale. L'aumento delle nascite stimolerebbe molti settori dell'economia. In seguito la popolazione attiva, dopo essere diminuita, aumenterebbe nuovamente con la generazione successiva. Questo dinamismo demografico si tradurrebbe in un dinamismo economico, che contribuirebbe a finanziare la protezione sociale. L'Unione europea riacquisterebbe la sua attrattiva agli occhi sia dei suoi cittadini, non più tentati dall'emigrazione, sia degli immigrati più qualificati.

5.8

Ovviamente, questi tre scenari non sono previsioni, bensì semplici ipotesi, che permettono di ideare delle politiche atte a rimediare alla situazione attuale e ad evitare il peggio.

6.   Le politiche a favore della famiglia possono spiegare le differenze negli indici di fecondità?

6.1

Tutti gli Stati membri conducono un insieme di politiche che, combinate tra loro, formano una politica della famiglia, qualunque nome le si dia (5). Le politiche praticate perseguono obiettivi diversi:

ridurre la povertà e salvaguardare il reddito delle famiglie,

fornire un'assistenza alla prima infanzia e permettere lo sviluppo armonioso del bambino,

conciliare vita professionale e vita familiare,

rispondere all'esigenza di parità tra i sessi,

permettere ai genitori o futuri genitori di avere il numero di figli che desiderano e quando lo desiderano, aumentando così il tasso di fecondità.

6.2

Volendo classificare i paesi in base alle politiche familiari condotte e suddividerli in categorie, si potrebbe dire che vi sono:

paesi con una politica debole e una fecondità inferiore alla media europea,

paesi con una politica inadeguata ai bisogni delle famiglie e una fecondità inferiore alla media europea,

paesi in cui lo sforzo a favore della famiglia, in termini di PIL, appare inferiore o uguale alla media dell'UE ma che presentano una fecondità superiore alla media,

paesi con politiche forti e con una fecondità superiore alla media dell'Unione europea (6).

Sembra quindi che le politiche condotte incidano sulla fecondità in maniera diversa a seconda degli elementi su cui si fondano.

6.3

È interessante mettere a confronto le politiche familiari, poiché in questo modo si possono individuare le buone pratiche. In ogni caso, affinché un sistema sia pienamente efficace, bisogna che l'offerta di servizi e i meccanismi di sostegno, in particolar modo finanziario e/o fiscale, rispondano alle aspettative delle famiglie e dei genitori o futuri genitori. Tali aspettative possono variare da uno Stato membro all'altro a seconda della cultura del paese, delle abitudini sociali e delle tradizioni. Sarà bene quindi che i poteri pubblici si guardino dai preconcetti ideologici, proponendo invece misure che diano veramente alle persone la possibilità di scegliere di fondare una famiglia e a queste ultime di avere il numero di figli che desiderano. Tali dispositivi devono anche essere adeguati alle differenze di popolazione in funzione dei territori. A partire da queste constatazioni, e nel rispetto delle suddette differenze, diventa possibile sviluppare un sistema di informazione e di scambio di buone pratiche. L'intervento dei poteri pubblici è comunque pienamente giustificato dal fatto che la famiglia, in quanto struttura in cui si crea il capitale umano (7), costituisce il fondamento dell'intero edificio sociale. Lo si è visto con la crisi, quando le famiglie hanno spesso svolto una funzione di ammortizzatori sociali.

7.   Gli elementi chiave del successo delle politiche per la famiglia

7.1

Malgrado le differenze, le politiche familiari di maggior successo presentano dei punti in comune:

la creazione di meccanismi che consentono di conciliare vita professionale e vita familiare (strutture di qualità per l'accoglienza dei bambini, in particolare infrastrutture pubbliche di accoglienza per la prima infanzia, misure di sostegno alle famiglie per l'accoglienza e l'assistenza delle persone dipendenti, flessibilità nell'organizzazione del lavoro, congedi specifici), fermo restando che questi meccanismi vanno adeguati alle condizioni di ciascun paese e devono rispondere alle aspettative di padri e madri, come pure alle esigenze del bambino e all'obiettivo di un suo sviluppo armonioso sul piano affettivo, psicologico e fisico,

la prevenzione e la lotta alla povertà delle famiglie,

la continuità delle politiche al di là dell'alternanza delle forze politiche al governo e la loro universalità. Esse sono condotte innanzitutto nell'interesse del bambino, a prescindere dal reddito familiare. Questa continuità è un elemento di grande importanza, in quanto la famiglia è un progetto che si realizza nel lungo periodo. Una politica familiare adeguata e permanente costituisce un fattore di sviluppo sostenibile,

il riconoscimento della famiglia e la valorizzazione del suo ruolo e del successo familiare. Nella società contemporanea il successo è stato soprattutto concepito in chiave individuale e professionale. Ma esistono altre forme di successo personale, legate agli altri e al bene comune, tra cui il successo familiare, associativo o culturale, che andrebbero valorizzate di più, in particolare nei media (8) e nei sistemi di istruzione nazionali,

l'attenzione prestata alla situazione specifica delle famiglie numerose.

7.2

A fianco degli elementi della politica familiare in senso stretto, due politiche rivestono chiaramente una grande importanza: quella occupazionale e quella abitativa (9). Senza lavoro e senza un alloggio, infatti, è difficile impegnarsi in un progetto familiare: per creare una famiglia bisogna avere un minimo di fiducia nell'avvenire. Un alto tasso di disoccupazione giovanile o contratti di lavoro precari possono incidere profondamente sul ricambio generazionale, perché se per allevare figli ci vuole molto tempo, gli anni di maggiore fecondità invece passano presto. Bisognerebbe quindi prestare attenzione alla situazione degli studenti e dei giovani che già hanno figli o desiderano averli.

7.3

Quando le politiche familiari vengono portate avanti con continuità e rispondono effettivamente alle aspettative delle famiglie, esse contribuiscono allo sviluppo armonioso del bambino e alla realizzazione personale dei genitori, alla concordia sociale e a una ripresa dell'indice di fecondità.

7.4

Una recente inchiesta realizzata presso 11 000 madri dal Movimento mondiale delle madri indica che queste desiderano:

primo, conciliare lavoro e vita familiare,

secondo, che la società riconosca l'importanza del loro ruolo di madri,

terzo, avere più tempo per occuparsi dei figli.

7.5

Sarebbe interessante condurre un'indagine analoga presso i padri, in quanto le tre priorità che emergono dall'inchiesta presso le madri interessano molto probabilmente anche loro, in particolare il riconoscimento del loro ruolo. Un tale riconoscimento li porterebbe senz'altro a impegnarsi di più nella vita familiare (10). Da questo punto di vista suscitano interesse le recenti proposte miranti a incoraggiare i padri a servirsi dei congedi parentali, o addirittura a istituire un congedo paterno obbligatorio retribuito, in quanto si iscrivono nella necessaria rivalutazione della paternità e nell'altrettanto necessaria responsabilizzazione dei padri in caso di divorzio. A tale proposito sarebbe utile raccogliere le buone pratiche delle imprese che adottano un'organizzazione del lavoro che ben si concilia con le responsabilità parentali. La responsabilità sociale delle imprese comprende infatti anche le misure intese a consentire un buon equilibrio tra il lavoro e la vita familiare, ed è proprio all'interno delle imprese che tali misure vengono concretamente realizzate. Sarebbe interessante creare un'etichetta per le imprese che favoriscono le famiglie, com'è avvenuto in Spagna con il sostegno del Ministero della Sanità e degli affari sociali (11).

7.6

In un precedente parere (12) il CESE ha suggerito di «prendere in considerazione iniziative atte a permettere ai nonni e ad altri familiari di occuparsi dei bambini, se anche i genitori lavoratori lo desiderano e a condizione che ciò sia nell'interesse del bambino». Per quanto riguarda il tempo destinato alla famiglia, il CESE ha già affermato il principio in base al quale «ognuno deve avere la possibilità di (…) disporre di un “credito di tempo” costituito da un numero sufficiente di anni da dedicare alle proprie attività familiari (…). Bisognerebbe avere la possibilità di scegliere di prorogare l'età della pensione se si desidera disporre di tempo (finanziato come la pensione) durante la propria vita attiva» (13). In questo modo, se il tempo di lavoro all'esterno è parziale o temporaneamente interrotto, ciò non comporterebbe un'eccessiva riduzione del reddito. Sarebbe opportuno effettuare un calcolo economico preciso, specialmente per determinare i risparmi realizzati in materia di sistemi collettivi di custodia, risparmi che potrebbero essere impiegati per tenere conto del tempo dedicato all'educazione dei figli nel calcolo dell'ammontare delle pensioni. È importante anche garantire i diritti dei nonni nei confronti dei nipoti.

7.7

Per elaborare delle politiche familiari adatte alle esigenze occorrerebbe inoltre realizzare indagini sulle aspirazioni dei giovani, sui cambiamenti legati alla maggiore mobilità delle famiglie, sul rapporto tra l'accesso dei giovani all'alloggio e la decisione di fondare una famiglia, o sull'incidenza delle nuove forme familiari sulla fecondità. Tali indagini aiuterebbero a capire meglio le aspettative delle famiglie - uno dei fattori chiave delle politiche condotte.

8.   Quale ruolo per l'Unione europea?

8.1

Le politiche a favore della famiglia non rientrano nelle competenze dell'Unione europea; del resto, l'articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali stabilisce chiaramente che il diritto di famiglia è disciplinato dalle leggi nazionali. L'UE può però legiferare in ambiti che riguardano la conciliazione della vita familiare con quella professionale, e le parti sociali, dal canto loro, possono negoziare accordi che più tardi diventeranno delle direttive: lo si è visto con il congedo parentale e in occasione dei dibattiti sulla durata del congedo di maternità. L'UE può inoltre legiferare nel settore della parità professionale tra uomini e donne, che è una delle componenti di ogni politica della famiglia, come pure in materia di protezione e sviluppo dell'infanzia, sulla base del recente programma della Commissione europea sui diritti dei minori (14).

8.2

La strategia Europa 2020 fissa un obiettivo per quanto riguarda il tasso di occupazione di uomini e donne. Per raggiungere tale obiettivo, occorrerà tuttavia condurre una politica familiare che consenta a uomini e donne di allevare il numero di figli che desiderano lavorando, cosa che oggi non avviene nella maggior parte degli Stati membri dell'Unione.

8.3

L'Unione europea può inoltre svolgere un ruolo utile per quanto riguarda la conoscenza delle diverse situazioni e sviluppi demografici, a tutti i livelli geografici, la valutazione delle politiche familiari, attuate sia dallo Stato che dagli enti locali, e lo scambio di buone pratiche tra Stati membri.

8.4

L'Alleanza europea per la famiglia, creata durante l'ultima presidenza tedesca, aveva previsto l'istituzione di un osservatorio, che non ha mai visto la luce.

8.5

Oggi, sotto la guida dell'Unione europea, si sta sviluppando un certo numero di iniziative e di finanziamenti ad esse collegati:

il gruppo di esperti sulle questioni demografiche,

il forum europeo sulla demografia,

i workshop dedicati alle buone pratiche,

la rete sulle politiche della famiglia,

il portale Internet dell'Alleanza europea per la famiglia,

i seminari regionali.

Il totale dei finanziamenti per queste azioni è di circa 500 000 euro, ai quali si aggiungono il progetto di ricerca Family Platform, che si sta avviando a conclusione, altri progetti di ricerca in campo demografico che toccano anch'essi argomenti legati alla famiglia, e la banca dati sulla famiglia dell'OCSE.

8.6

Sarebbe auspicabile collegare tutte queste iniziative fra loro e porle sotto l'autorità, o per lo meno il coordinamento, di un organo che abbia il compito di definire una politica globale e stabilire le principali linee d'azione e piste di studio. Poiché il clima attuale è poco favorevole alla creazione di nuovi organi autonomi nell'Unione europea, questo ruolo di direzione e coordinamento potrebbe essere affidato, per quanto riguarda gli aspetti politici e la gestione, alla Commissione europea, per il tramite dell'Alleanza europea per la famiglia, e, per quanto riguarda invece la parte scientifica, a Eurofound, che, in quanto agenzia tripartita dell'Unione europea, sarebbe perfettamente indicata per questo compito. In tal modo si potrebbe mettere a disposizione degli Stati membri una vera e propria banca dati grazie a un efficace coordinamento di tutte le iniziative già condotte a livello dell'Unione europea. Inoltre, l'Alleanza dovrebbe instaurare dei contatti e una cooperazione con le strutture e le azioni del metodo aperto di coordinamento sociale, sul quale la Commissione europea sta conducendo una riflessione insieme con le parti interessate.

8.7

Il Fondo sociale europeo e il Fondo di sviluppo regionale hanno già contributo all'adozione di misure di politica a favore della famiglia in alcuni Stati membri. Bisognerebbe pensare a come sviluppare questo tipo di intervento. La politica familiare deve rientrare anche nell'iniziativa faro Piattaforma contro la povertà.

8.8

Analogamente, sarebbe opportuno che nel programma quadro per la ricerca (15) e l'innovazione fosse previsto un finanziamento per gli studi e le ricerche demografiche, ma anche per la sociologia, l'antropologia e la filosofia, visto che le questioni legate alla famiglia rientrano in parte anche in queste discipline. Bisognerebbe inoltre realizzare degli studi sull'efficacia e l'impatto delle politiche condotte a favore delle famiglie. A questo proposito, è auspicabile che l'attività della Family Platform non cessi, ma che anzi diventi permanente, come vorrebbero tutte le associazioni e le parti interessate che operano nel campo della famiglia.

8.9

Sarebbe auspicabile che le associazioni di rappresentanza delle famiglie fossero maggiormente associate all'elaborazione delle politiche familiari o che incidono sulla famiglia, a livello sia dell'Unione europea che degli Stati membri.

8.10

Tutti i cittadini europei hanno fatto o fanno parte di una famiglia, qualunque sia il destino o la storia di questo istituto sociale e a prescindere dall'evoluzione generale delle famiglie negli ultimi decenni. Nessuno viene al mondo per generazione spontanea, e tutti i sondaggi di opinione mostrano che le solidarietà familiari occupano tuttora i primi posti nella scala dei valori dei cittadini europei. Molte delle politiche decise a livello europeo hanno un impatto diretto sulla vita delle famiglie (libera circolazione delle persone, occupazione e protezione sociale, determinazione delle aliquote IVA sugli articoli per la prima infanzia (16), tutela dell'ambiente e dei consumatori, media, programmi educativi, culturali o sociali).

8.11

Alla luce di tutto ciò, il CESE raccomanda di integrare la dimensione familiare in modo trasversale in tutte le politiche europee, in particolare nella realizzazione delle valutazioni di impatto, oramai necessarie per tutta la legislazione europea (17), e anche in tutte le valutazioni delle politiche in atto nella prospettiva di una loro revisione. In Spagna, ad esempio, la tariffazione dell'acqua prevedeva che il costo al metro cubo aumentasse in funzione del consumo, con l'obiettivo di ridurre l'utilizzo di una risorsa limitata. Questo sistema era però molto svantaggioso per le famiglie numerose, poiché una famiglia di cinque persone consuma automaticamente più acqua di un single o di una coppia senza figli. A seguito di un'azione giudiziaria questo sistema di tariffazione è stato abbandonato (18). Sarebbe quindi auspicabile che, a livello europeo, venisse sistematicamente effettuato uno studio dell'impatto esercitato dalle varie normative sulla vita delle famiglie, in modo da evitare eventuali effetti perversi nocivi per queste ultime.

8.12

Occorre inoltre sottolineare fino a che punto le politiche regionali e le politiche in materia di investimenti e formazione, alloggio e occupazione siano legate tra loro e facciano sì che uno Stato o una regione risultino attraenti per le famiglie e i giovani, anche al di là delle politiche familiari in senso stretto, e possano concorrere a realizzare un forte dinamismo demografico globale.

8.13

Il Comitato sostiene risolutamente l'idea di proclamare il 2014 Anno europeo delle famiglie e di celebrare il ventennale dell'Anno internazionale della famiglia delle Nazioni Unite. In effetti, l'avvenire delle società risiede nelle generazioni future, che vengono alla luce all'interno delle famiglie. Bisogna però sottolineare, in conclusione, che esiste un fattore determinante nella decisione di fondare una famiglia: la speranza di un futuro migliore. I governi sono responsabili della speranza che nutrono le rispettive popolazioni: sta in questo la grandezza, e anche il peso, della loro missione.

Bruxelles, 4 maggio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Cfr. parere del CESE sul tema Promuovere la solidarietà fra le generazioni, GU C 120 del 16.5.2008, pag. 66, punto 4.8.

(2)  Ossia quel fenomeno che i demografi definiscono «inverno demografico».

(3)  Pari a 2,1 figli per donna nell'Unione europea. Il dato di 0,1 figli per donna si spiega con la necessità di compensare gli effetti dell'eccesso di nascite maschili e quelli derivanti dalla percentuale di bambine che non raggiungeranno l'età della maternità.

(4)  Cfr. parere del CESE sul tema Promuovere la solidarietà fra le generazioni, GU C 120 del 16.5.2008, pag. 66, punto 4.8.

(5)  Cfr. parere del CESE sul tema La famiglia e l'evoluzione demografica, GU C 161 del 13.7.2007, pag. 66, punto 7.

(6)  «Comunicazione al gruppo di riflessione sul futuro dell'Unione europea (presieduto da Felipe González)» - Gérard-François Dumont, UE Prospective démographique, http://www.diploweb.com/UE-Prospective-demographique.html.

(7)  Cfr. pareri del CESE sui seguenti temi: La famiglia e l'evoluzione demografica, GU C 161 del 13.7.2007, pag. 66, punto 6.4, e Promuovere la solidarietà fra le generazioni, GU C 120 del 16.5.2008, pag. 66, punto 3.11.

(8)  Cfr. pareri del CESE sui seguenti temi: La famiglia e l'evoluzione demografica, GU C 161 del 13.7.2007, pag. 66, punto 8.15, e Promuovere la solidarietà fra le generazioni, GU C 120 del 16.5.2008, pag. 66, punto 3.13.

(9)  Cfr. parere del CESE sul tema La famiglia e l'evoluzione demografica, GU C 161 del 13.7.2007, pag. 66, punto 4.6.

(10)  Cfr. parere del CESE sul tema La famiglia e l'evoluzione demografica, GU C 161 del 13.7.2007, pag. 66, punto 8.11.

(11)  http://www.en.aenor.es/aenor/certificacion/resp_social/resp_efr.asp.

(12)  Cfr. parere del CESE sul tema Promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, GU C 277 del 17.11.2009, pag. 102, punto 1.12.

(13)  Cfr. parere del CESE sul tema Il legame tra la parità fra uomini e donne, la crescita economica e il tasso di occupazione, GU C 318 del 23.12.2009, pag. 15, punto 4.2.6.2.

(14)  COM(2011) 60 definitivo.

(15)  Cfr. parere del CESE sul tema La famiglia e l'evoluzione demografica, GU C 161 del 13.7.2007, pag. 66, punto 4.5.

(16)  Il CESE si è già pronunciato a favore della riduzione di tali aliquote, a cominciare dai pannolini per bambini. Cfr. parere del CESE sul tema Promuovere la solidarietà fra le generazioni, GU C 120 del 16.5.2008, pag. 66, punto 4.7.

(17)  Cfr. parere del CESE sul tema Promuovere la solidarietà fra le generazioni, GU C 120 del 16.5.2008, pag. 66, punto 4.8.

(18)  http://sentencias.juridicas.com/docs/00285332.html.


23.7.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 218/14


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Valutazioni d’impatto sulla sostenibilità (VIS) e politica commerciale UE»

2011/C 218/03

Relatrice: PICHENOT

La Commissione europea, in data 22 aprile 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 262 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema:

Valutazioni d’impatto sulla sostenibilità (VIS) e politica commerciale UE.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 aprile 2011.

Alla sua 471a sessione plenaria, dei giorni 4 e 5 maggio 2011 (seduta del 5 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 161 voti favorevoli, 3 voti contrari e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

Per migliorare le prestazioni delle valutazioni d’impatto sulla sostenibilità (VIS) collegate alla politica commerciale dell’Unione europea, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) raccomanda alla Commissione di rivedere il dispositivo per tenere maggiormente conto delle preoccupazioni della società civile e del contesto della globalizzazione. Il CESE propone di modificare le VIS e di integrarle in un ciclo coerente di valutazione.

1.1   Per conseguire tale obiettivo, il CESE ritiene indispensabile che ogni accordo commerciale preveda da ora in poi un meccanismo di monitoraggio in cui sia coinvolta la società civile, essendo questo l’unico modo per garantire un controllo degli impegni assunti e una vigilanza sui rischi e le opportunità di un’apertura commerciale in materia di sviluppo sostenibile. Tale meccanismo è indispensabile nell’approccio dinamico proposto, in quanto permette, a scadenze prestabilite, di rivalutare i rischi e le opportunità individuati nella valutazione iniziale.

1.2   Affinché il dispositivo risulti coerente con gli obiettivi dello sviluppo sostenibile, il CESE raccomanda che la VIS:

sia integrata in una valutazione ex ante, in itinere ed ex post,

sia coordinata con lo studio preliminare precedente al mandato di negoziato e venga effettuata entro termini utili,

abbia come obiettivo prioritario la rilevazione dei rischi sociali e ambientali, in aggiunta alla valutazione economica, il cui scopo principale consiste in pratica nel giustificare l’intenzione dell’UE di concludere un accordo commerciale,

privilegi, non tanto la valutazione degli effetti aggregati della liberalizzazione su ciascuno dei pilastri dello sviluppo sostenibile, quanto una valutazione più specifica e dettagliata a livello di settori o di nuclei familiari, in particolare nel caso di economie caratterizzate da una percentuale elevata di attività informale,

divenga un criterio di riferimento al servizio del dibattito pubblico in seno al Parlamento europeo sull’analisi delle conseguenze,

coinvolga le altre politiche dell’Unione europea nelle misure di accompagnamento.

1.3   Per aumentare la pertinenza delle informazioni fornite, il CESE raccomanda di adeguare le VIS in base alle seguenti considerazioni:

occorre garantire un equilibrio tra i tre pilastri,

i consulenti devono ricorrere a un ampio ventaglio di metodi disponibili, soprattutto qualitativi, in modo da fornire informazioni sugli aspetti non economici dell’accordo commerciale in questione,

devono essere sviluppati gli approcci ecologici (analisi del ciclo di vita, impronta di carbonio, valutazione dei servizi ecosistemici),

il gruppo di consulenti incaricati della valutazione dovrebbe cercare sistematicamente di comprendere esperti del paese partner firmatario dell’accordo commerciale in questione,

le parti sociali, gli esperti di questioni ambientali e i rappresentanti del settore imprenditoriale devono essere invitati a partecipare a incontri diretti e approfonditi,

l’impatto di genere deve essere preso in considerazione,

le VIS devono comprendere un’analisi delle condizioni di esercizio delle professioni giuridiche e sanitarie, incentrata in particolare sull’indipendenza e sulla garanzia dell’integrità fisica dei loro rappresentanti.

1.4   Per poter organizzare un processo partecipativo rinnovato, secondo il CESE devono essere soddisfatte le seguenti condizioni:

le valutazioni devono rimanere accessibili, in ogni fase, a tutte le parti interessate e ai paesi partner e devono essere corredate da una relazione di sintesi,

la consultazione deve essere adattata alle diverse fasi del ciclo e aperta a tutte le parti interessate della società civile, oltre a disporre di mezzi finanziari adeguati,

il CESE deve poter collaborare a monte delle VIS, tramite l’elaborazione di un parere sulla scelta degli indicatori e l’individuazione delle organizzazioni della società civile da consultare e deve poter proporre delle modalità di consultazione,

il CESE dev’essere invitato a formulare un parere sull’analisi delle conseguenze presentata al Parlamento europeo e al Consiglio,

occorre riconoscere che il CESE rappresenta un partner importante per l’organizzazione delle consultazioni e del monitoraggio con le società civili dei paesi partner, di concerto con le delegazioni dell’UE,

il CESE deve agire come facilitatore per fare in modo che la consultazione della società civile nel quadro della valutazione d’impatto sia coordinata con la futura introduzione dei meccanismi di monitoraggio previsti dagli accordi,

il dispositivo di valutazione ex post deve tenere conto delle relazioni intermedie del comitato di monitoraggio.

2.   Valutazioni d’impatto sulla sostenibilità: uno strumento indispensabile che necessita però di una revisione

2.1   Nella comunicazione Commercio, crescita e affari mondiali  (1), la Commissione europea precisa di voler intensificare le consultazioni con le parti interessate e con la società civile, per valutare più accuratamente l’impatto delle politiche commerciali sullo sviluppo sostenibile. Consapevole del ruolo di pioniere svolto dalla DG Commercio con l’introduzione della valutazione d’impatto sulla sostenibilità (VIS), il CESE è lieto che la Commissione riapra il dibattito per analizzare i risultati del metodo ma anche per tentare di superarne i limiti e le carenze. Nel presente parere esplorativo, il CESE si concentra su alcune proposte finalizzate a migliorare le prestazioni del dispositivo e a chiarirne le finalità. Inoltre cerca di rispondere all’insieme delle domande poste riguardo all’utilità sociale e politica delle VIS.

2.2   L’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha ampliato le competenze del Parlamento europeo e lo ha posto su un piede di parità con il Consiglio in materia di politica commerciale. In occasione della prima ratifica dopo l’entrata in vigore del Trattato, quella dell’accordo con la Corea del Sud (marzo 2011), le parti interessate, in particolare nei settori sensibili, hanno potuto verificare l’importanza di questo nuovo potere attribuito agli europarlamentari. Ora è quindi necessario adeguare a questo cambiamento istituzionale la precedente formula di dialogo con la società civile.

2.3   Il CESE nota con grande interesse le modifiche apportate al dispositivo dalla recente comunicazione della Commissione sopracitata. Viene mantenuta la VIS, associata alla consultazione della società civile e accompagnata da un impegno formale ad effettuarla durante i negoziati e a trarne gli insegnamenti in un documento di posizione. Viene però aggiunta una nuova fase: la Commissione comunica che, per contribuire a vigilare sugli impatti degli accordi commerciali, verrà effettuata una valutazione ex post di questi ultimi. Infine, alla conclusione dei negoziati, e prima della firma dell’accordo, viene aggiunta una nuova tappa chiave, durante la quale la Commissione preparerà per il Parlamento e per il Consiglio un’analisi delle conseguenze. D’ora in poi la VIS non può più essere concepita come un semplice strumento limitato al negoziato, poiché la sua nuova funzione consiste nel coordinare l’intero ciclo di elaborazione, attuazione e monitoraggio delle politiche. Ciò rende attuale e aumenta l’importanza delle proposte di revisione del dispositivo contenute nel presente parere.

2.4   In mancanza di una conclusione positiva a livello multilaterale, sono gli accordi di libero scambio (ALS) bilaterali o regionali che, sia attraverso il ricorso a un ciclo più completo di valutazione (ex ante ed ex post) sia tramite il loro contenuto (capitoli sullo sviluppo sostenibile contenenti impegni ambientali e sociali), integrano in misura crescente gli elementi relativi a una governance più «sostenibile» del commercio mondiale.

2.5   Tra la DG Commercio e la società civile esiste già un dialogo strutturato (2) che prevede riunioni informative e di scambio in diverse fasi dei negoziati commerciali. Tale dialogo risponde a un obbligo di consultazione sia delle organizzazioni della società civile europea sia delle organizzazioni dei paesi partner per l’elaborazione delle VIS da parte dei consulenti. Si tratta di una sperimentazione su ampia scala di un dialogo civile nel quale il CESE desidera essere maggiormente coinvolto.

2.6   Nella fase attuale di sviluppo o di ripresa dei negoziati commerciali bilaterali o regionali, questa formula di informazione/consultazione suscita speranze ma riceve anche qualche critica (3). Nelle VIS, a causa della diffusione di modelli di simulazione matematica, ad esempio i modelli di equilibrio generale calcolabile, definiti per stabilire l’efficacia delle politiche macroeconomiche e non il loro impatto ambientale e sociale, si tende ad attribuire una notevole importanza alla valutazione economica. I risultati di tali modelli, presentati nelle VIS, sono spesso conformi all’intuito e non rivestono, agli occhi dei negoziatori e delle parti interessate, un grande valore sul piano informativo, dato che non indicano impatti significativi o sufficientemente mirati. Le VIS non offrono una descrizione adeguata degli eventuali impatti nel settore informale, dal momento che la loro elaborazione è resa difficile dall’assenza o dalla scarsità di dati statistici attendibili relativi a tale settore.

2.7   Sul piano procedurale, diversi studi (4) mostrano i limiti dell’elaborazione di queste valutazioni e dell’organizzazione delle consultazioni. Le VIS vengono realizzate in una fase ormai troppo avanzata del processo di negoziazione e, pertanto, non permettono né di influenzare efficacemente il contenuto dei negoziati né di sensibilizzare in tempo utile le parti interessate dagli effetti maggiormente controversi. Inoltre mancano regole chiare sull’individuazione e la scelta dei soggetti principali consultati durante la procedura.

2.8   Quando, in seguito agli effetti della crisi finanziaria ed economica, i valori di alcuni indicatori sociali vengono sensibilmente modificati, è opportuno apportare dei cambiamenti alla valutazione iniziale, o completarla, per aggiornarne i dati e le ipotesi formulate, nonché ai fini di una maggiore pertinenza delle misure d’accompagnamento proposte.

3.   Integrare le VIS in un ciclo coerente di valutazione

3.1   Poiché le VIS non si sono rivelate soddisfacenti, avendo fornito informazioni con eccessivo ritardo, con scarsi elementi di novità per i negoziati, e senza implicazioni politiche chiare o consultazioni appropriate, il CESE propone una revisione di tali valutazioni adottando un approccio dinamico. In primo luogo, è opportuno concentrare il mandato delle VIS sulla rilevazione di rischi (ambientali e sociali) specifici, nonché sulla valutazione e sul monitoraggio di questi rischi nel tempo. Il vero valore aggiunto delle VIS risiede infatti nella capacità di fornire queste informazioni sui rischi anticipati e osservati.

3.2   La valutazione deve essere pertanto sia ex ante (rischi anticipati) che in itinere (evoluzione dei rischi) ed ex post (impatto osservato). La VIS deve quindi acquisire un carattere dinamico, cessando di essere semplicemente un metodo o uno strumento diagnostico: essa non deve più essere concepita come uno strumento statico attraverso il quale calcolare il valore aritmetico dei tre pilastri, ma come un processo di coproduzione e di condivisione di informazioni mirate; informazioni che acquistano valore di «segnale» o di allerta, su cui viene richiamata l’attenzione della società civile e dei negoziatori, i quali sono tenuti ad esercitare la vigilanza.

3.3   Per essere efficace, il processo delle VIS deve essere integrato in un ciclo coerente di valutazione delle politiche dell’UE, la cui finalità comune è rappresentata dallo sviluppo sostenibile.

3.3.1   Occorre innanzitutto assicurare la coerenza tra i tre pilastri, con il necessario rafforzamento della dimensione ambientale e climatica, ma anche garantire che, sotto il profilo sociale, venga esplicitamente tenuto conto dei diritti dell’uomo e delle condizioni di lavoro dignitose (5).

3.3.2   In secondo luogo, deve sussistere una coerenza tra le politiche e le misure di accompagnamento previste e i rischi e le opportunità individuati. Le raccomandazioni devono coinvolgere più direttamente il più ampio ventaglio possibile di politiche e misure dell’UE (fondi strutturali e programmi specifici, aiuto allo sviluppo, Fondo di adeguamento alla globalizzazione, strumento europeo per la democrazia e i diritti umani (EIDHR), finanziamenti BEI). Questi strumenti devono a loro volta tenere conto delle VIS nella loro programmazione.

3.3.3   Infine la coerenza dev’essere garantita anche tra le diverse valutazioni realizzate dalla Commissione. In particolare occorre chiarire la relazione tra lo studio preliminare d’impatto precedente al mandato di negoziato e la VIS. Il mandato di una VIS può essere, se del caso, adattato e riveduto a seconda che sia stato preceduto da uno studio preliminare sui rischi sociali e ambientali ambizioso o, al contrario, modesto e incompleto.

3.4   Gli eurodeputati, i rappresentanti degli Stati membri e la società civile dovrebbero essere associati all’intero processo in misura maggiore rispetto a quanto avviene attualmente. La preparazione a cura della Commissione di un’analisi delle conseguenze dell’accordo commerciale, da trasmettere al Parlamento europeo e al Consiglio, assume una dimensione strategica nel ciclo, e la sua presa in considerazione da parte delle istituzioni offre l’opportunità di concentrare il dialogo civile su una fase cruciale del dibattito politico.

3.5   Sembra necessario generalizzare e adattare le VIS agli attuali e ai futuri mandati di negoziati di accordi di libero scambio con i nostri partner economici strategici (Stati Uniti, Cina, Russia, Giappone, India, Brasile), affrontando più precisamente gli aspetti concernenti il Protocollo facoltativo relativo al Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali delle Nazioni Unite, nonché i diritti di proprietà intellettuale, i codici degli appalti pubblici e gli accordi che regolano gli investimenti.

4.   Aumentare la pertinenza delle informazioni fornite

4.1   Trasmettere i risultati ai negoziatori in una fase precoce delle discussioni è indispensabile affinché si possa effettivamente tenere conto delle potenziali conseguenze positive o negative. È opportuno che le valutazioni restino accessibili, durante tutte le fasi, a tutte le parti interessate e a ciascuno dei paesi partner. La durata del processo di valutazione è stata estesa a nove mesi, ma questo periodo di tempo aggiuntivo deve essere sfruttato per rafforzare il processo consultivo nei paesi partner.

4.2   Per rispondere alle critiche sull’utilità delle VIS, è preferibile rinunciare alle considerazioni generali e alla valutazione qualitativa degli effetti aggregati (economico, ambientale e sociale). La priorità dovrebbe invece essere attribuita alla definizione dei rischi ambientali e sociali specifici, nonché dei potenziali in questi settori, in aggiunta alla necessaria valutazione delle opportunità economiche che, per natura, risultano positive nelle maggior parte dei modelli. Tali opportunità sono infatti alla base dell’avvio del negoziato sugli accordi in questione, fin dalla valutazione preliminare d’impatto precedente al mandato.

4.3   La valutazione dei rischi ambientali e sociali deve essere effettuata utilizzando il più ampio ventaglio di metodi disponibili, da quelli quantitativi fino a quelli più qualitativi, concepiti esplicitamente per fornire informazioni su un aspetto non economico delle politiche commerciali analizzate, come l’impatto di genere, la sicurezza alimentare o la sicurezza sanitaria degli alimenti. In particolare, varrebbe la pena di sviluppare approcci più ecologici, come le analisi del ciclo di vita, l’impronta di carbonio e le ripercussioni sulla biodiversità. Un’altra possibilità consiste nel ricorrere a metodi qualitativi per valutare le conseguenze sociali nei settori interessati, in termini di occupazione e lavoro dignitoso.

4.4   A questo proposito, la Commissione dovrebbe esplicitamente richiedere, nei capitolati delle gare di appalto, la consultazione di esperti di tematiche sociali e/o ambientali. È vivamente raccomandato il coinvolgimento più diretto di esperti dei paesi partner e, se del caso, dell’OIL, dell’OMS e della FAO, soprattutto nel caso di economie caratterizzate da un elevato tasso di attività informale. Inoltre, i consulenti devono provvedere a effettuare un’analisi delle condizioni di esercizio delle professioni liberali in ambito giuridico e medico, per raccogliere informazioni sulla tutela legale dei loro interessi e della loro integrità fisica.

4.5   L’impatto intraeuropeo non va trascurato, soprattutto nelle VIS che riguardano i partner strategici, in particolare in materia di occupazione o ristrutturazione. In questo ambito, il coinvolgimento delle parti sociali è essenziale, anche per rilevare eventuali conflitti tra obiettivi sociali e ambientali in un’ottica di transizione giusta e di crescita verde e inclusiva. Le informazioni settoriali devono essere sistematicamente ricercate nella commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI) del CESE e nei comitati europei di dialogo sociale settoriale, che hanno inserito il tema degli scambi commerciali tra i punti in agenda. La possibilità di dialogare direttamente con le parti sociali conferirà una maggiore legittimità ai risultati della valutazione d’impatto.

4.6   Inoltre, gli impegni volontari e/o negoziati di responsabilità sociale delle imprese (RSI) multinazionali, nonché gli accordi quadro internazionali (ACI) dovranno progressivamente diventare elementi di informazione per le VIS.

4.7   I mezzi finanziari e umani destinati al rafforzamento delle capacità dei paesi partner (competenze soprattutto a livello ambientale e sociale, meccanismi di consultazione) sono indispensabili per la qualità delle VIS e per l’avvio dell’attività del gruppo di monitoraggio. Il coordinamento in questo ambito tra la DG Sviluppo e cooperazione EuropeAid e la DG Commercio deve essere rafforzato e sviluppato, associandovi la programmazione del nuovo Servizio europeo per l’azione esterna.

4.8   L’impatto dell’ALS sui paesi non firmatari dell’accordo commerciale o sulle regioni ultraperiferiche dovrebbe essere progressivamente integrato con il contributo di esperti locali e della società civile, al fine di valutare le conseguenze ecologiche e sociali della modifica dei flussi commerciali.

4.9   Questo metodo diagnostico, utile per i negoziatori ma anche per i futuri valutatori, dovrà essere accompagnato da una revisione della guida pratica delle VIS messa a punto dalla Commissione nel 2006 (6). In questa fase di revisione e nella successiva attuazione dovranno essere direttamente coinvolti gli esperti delle DG DEVCO (Sviluppo e cooperazione EuropeAid), EMPL (Occupazione, affari sociali e inclusione), ENV (Ambiente), CLIMA (Azione per il clima) e SANCO (Salute e consumatori).

5.   Rivedere il processo di partecipazione della società civile

5.1   Molte di queste raccomandazioni rispondono alle aspettative espresse dai soggetti che hanno partecipato (esprimendo un giudizio critico) alla consultazione pubblica promossa dalla DG Commercio nel 2010 in merito alla nuova politica commerciale. Se da un lato le VIS dovrebbero inquadrarsi in un ciclo coerente di valutazione delle politiche, dall’altro la consultazione dovrebbe essere riconcepita in maniera dinamica (come un processo adattato alle diverse fasi del ciclo) e dovrebbe basarsi su un insieme di buone pratiche.

5.2   Nel quadro delle consultazioni istituzionali, il CESE potrebbe intervenire più a monte nell’elaborazione di una particolare VIS, mediante la formulazione di un parere sulla scelta degli indicatori sociali o ambientali, l’individuazione di misure di accompagnamento o la proposta dei meccanismi di consultazione più appropriati.

5.3   Nell’analisi delle conseguenze presentata al Parlamento europeo, la società civile si attende che la Commissione spieghi in che modo le conclusioni delle VIS sono state integrate dai negoziatori e quali modifiche sono state apportate a determinati capitoli per evitare i problemi individuati.

5.4   È necessario inserire la valutazione iniziale in un dispositivo di controllo e valutazione precoce (da due a tre anni), che consenta, in stretto contatto con la società civile, di precisare e, se del caso, rivedere le conseguenze osservate, oltre a identificare i nuovi rischi. Il controllo e la valutazione devono concentrarsi sui rischi e sulla loro evoluzione nel tempo, nonché sull’efficacia delle misure di accompagnamento.

5.5   Per rispondere al nuovo ciclo di valutazione che integra la VIS, il CESE può contare su una rete di relazioni consolidate con ampi settori delle società civili dei paesi terzi. È quindi in grado di svolgere un ruolo di interfaccia nelle consultazioni. Inoltre ha già acquisito esperienza in alcune fasi dei negoziati per l’organizzazione del dialogo con le società civili dei paesi partner.

5.6   Questi gruppi permanenti geografici del CESE per gli scambi con la società civile dei paesi terzi rappresentano un’importante opportunità per organizzare con tutte le componenti della società civile l’avvio dei lavori dei comitati di monitoraggio degli accordi. Grazie alla loro esperienza di dialogo e di confronto su diversi aspetti degli accordi di associazione o di partenariato, questi organi di lavoro del CESE fungono da luoghi privilegiati di dibattito sugli equilibri ottenuti con l’accordo commerciale. Ogni struttura congiunta apporta un’esperienza sul campo, su base geografica, in materia di relazioni empiriche tra commercio internazionale e sviluppo sostenibile.

5.7   Il meccanismo di monitoraggio contenuto nell’accordo Cariforum rappresenta una risposta alla vigilanza sull’insieme dell’accordo mediante un controllo incrociato delle società civili sulla sua applicazione. Nel caso della Corea del Sud è possibile monitorare il capitolo dell’accordo relativo allo sviluppo sostenibile. L’introduzione di questi meccanismi di controllo rafforza notevolmente la credibilità degli impegni europei in materia di sviluppo sostenibile. Dalla qualità della VIS dipenderà la successiva validità del monitoraggio e la fiducia reciproca delle parti in questo processo consultivo. Per questo motivo il CESE ribadisce il proprio interesse per l’introduzione di un comitato di monitoraggio in tutti gli accordi commerciali.

5.8   Il CESE appoggia l’approccio cooperativo della DG Commercio, che si propone di includere in ciascun accordo un capitolo dedicato allo sviluppo sostenibile contenente impegni in materia sociale ed ambientale. La VIS è parte integrante di questa strategia di incentivazione, poiché indica concretamente e praticamente le opportunità che il commercio offre in questo settore, come pure le disposizioni transitorie o le misure di adeguamento, di compensazione o di salvaguardia necessarie per eliminare o ridurre i rischi sociali e ambientali, nel rispetto degli impegni sottoscritti nell’accordo.

5.9   Il CESE, al quale è stato attribuito un ruolo chiave nel monitoraggio dell’accordo Cariforum, si baserà sulle relazioni con la società civile già consolidate. Inoltre svilupperà un partenariato con la società civile sudcoreana per continuare a supervisionare i meccanismi di monitoraggio che dovranno essere messi a punto. Per la revisione del processo partecipativo, possono essere tratti utili insegnamenti dalla prima valutazione ex post dell’accordo con il Cile.

Bruxelles, 5 maggio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  COM(2010) 612 definitivo del 9 novembre 2010.

(2)  Relazione di attività 2010 della DG Commercio sul dialogo con la società civile (http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2010/february/tradoc_145785.pdf).

(3)  Relazione finale 2010 sulla consultazione pubblica in merito alla nuova politica commerciale dell’Unione europea (http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2010/september/tradoc_146556.pdf).

(4)  Anne Chetaille (2005). Les études d’impact des accords commerciaux sur le développement durable: bilan et perspectives. Gret, Paris.

Ruddy; Hilty (2007). Impact assessment and policy learning in the European Commission. Sciencedirect.

Pascal Gabriel (2008). Problématiques environnementales, emploi et cohésion sociale. Un examen des développements politiques au niveau international. Syndex/DG Emploi.

Ekins; Voituriez (2009). Trade, Globalisation and Sustainability Impact Assessment. Earthscan, London.

(5)  Il lavoro dignitoso e lo sviluppo sostenibile nella regione del Mediterraneo (relazione informativa). CESE, settembre 2010.

(6)  Guida pratica sulle VIS. DG Commercio (http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2006/march/tradoc_127974.pdf).


23.7.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 218/19


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Macchine agricole e attrezzature per la costruzione e la movimentazione: qual è il modo migliore per uscire dalla crisi?» (parere d’iniziativa)

2011/C 218/04

Relatore: RANOCCHIARI

Correlatore: PESCI

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 15 luglio 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d’iniziativa sul tema:

Macchine agricole e attrezzature per la costruzione e la movimentazione: qual è il modo migliore per uscire dalla crisi?

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI), incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 aprile 2011.

Alla sua 471a sessione plenaria, dei giorni 4 e 5 maggio 2011 (seduta del 4 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 151 voti favorevoli, 3 voti contrari e 8 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Le industrie europee delle macchine agricole e attrezzature per la costruzione sono state colpite con particolare durezza dalla crisi, in un momento in cui si registra un cambiamento sostanziale della domanda globale. Il settore fa comunque parte di un’industria tecnologicamente avanzata molto competitiva.

Tuttavia, sono numerose le azioni a livello di Unione europea che si rendono necessarie per garantire la sostenibilità e la competitività del settore e per evitare a lungo termine la sovraccapacità produttiva nell’UE:

un quadro normativo che non limiti la capacità dei produttori di innovare e sviluppare attrezzature che vadano incontro alle esigenze dei clienti,

parità di condizioni all’interno dell’Europa, attraverso un’efficace vigilanza del mercato: le autorità doganali e di vigilanza del mercato dovrebbero garantire un’efficace applicazione del regolamento (CE) n. 765/2008 e rafforzare i controlli sul mercato europeo,

una legislazione sui prodotti e una politica commerciale che garantiscano il libero accesso ai mercati globali,

una legislazione europea che tenga conto della relativa diminuzione di importanza del ruolo svolto dai mercati europei. Il fulcro del mercato mondiale si sta spostando sempre di più verso l’America meridionale e l’Asia, pertanto sarebbe opportuno prevedere tutte le misure necessarie, comprese una riduzione degli oneri burocratici e la promozione di misure volontarie da parte del settore, per mantenere gli stabilimenti dei produttori europei nell’Unione europea,

l’armonizzazione - a livello dell’UE e mondiale - dei requisiti in materia di sicurezza stradale e di protezione dell’ambiente,

il miglioramento delle condizioni di lavoro e l’attuazione in tutta l’Unione di misure destinate ad evitare future sovraccapacità e a promuovere, sfruttando le conoscenze di tutte le parti in causa, lo sviluppo di nuovi prodotti e di idee innovative sull’organizzazione del lavoro,

un programma di finanziamenti e incentivi a sostegno della competitività delle PMI.

1.2   Facendo seguito all’audizione tenutasi l’11 novembre 2010 a Bologna nel quadro dell’EIMA (Esposizione internazionale di macchine per l’agricoltura), a cui hanno partecipato numerosi soggetti interessati, nel prosieguo del documento verranno illustrate più dettagliatamente ulteriori raccomandazioni.

2.   Contesto del parere

2.1   L’industria europea delle macchine agricole e attrezzature per la costruzione offre soluzioni tecniche in grado di soddisfare efficacemente esigenze umane basilari come provvedere all’alimentazione di una popolazione mondiale in crescita, costruire alloggi e garantire le infrastrutture necessarie.

2.2   I costi elevati dei terreni in Europa fanno crescere la domanda europea di soluzioni ad alta efficienza e innovative per l’agricoltura e l’edilizia, tanto da rendere l’industria europea uno dei leader mondiali a livello tecnologico.

2.3   Mentre la domanda in Europa è stagnante, i mercati di Asia, America Latina e paesi della CSI (Comunità di Stati indipendenti) sono in espansione e continueranno a crescere rapidamente. Sono pertanto emersi nuovi soggetti a livello mondiale che stanno diventando competitivi anche al di fuori dei propri mercati nazionali.

2.4   La crisi finanziaria globale ha duramente colpito entrambi i settori. Lo scoppio della bolla speculativa immobiliare ha causato una netta flessione nel settore delle attrezzature per la costruzione nel secondo semestre del 2008. Ne è seguita una drastica riduzione degli investimenti nel settore edile, con un crollo del 42 % del fatturato nel 2009. Tale riduzione è dipesa principalmente dalle scarse o nulle possibilità dei clienti di ottenere finanziamenti e dalla diminuzione dell’attività edilizia.

2.5   Gli effetti della crisi sono stati avvertiti più tardi nel settore delle macchine agricole; benché la flessione nel 2009 sia stata meno accentuata (– 22 %), non vi è stata alcuna ripresa nel 2010, contrariamente a quanto avvenuto in altri comparti del settore, e la diminuzione del fatturato per l’intero 2010 è stimata intorno al 9 %. Il principale fattore responsabile è stato, ancora una volta, la mancanza di possibilità finanziarie per i clienti, unitamente all’incertezza.

2.6   La domanda di prodotti fa registrare un crescente riorientamento: mentre i mercati al di fuori dell’Unione europea, dove sono in vigore obblighi di legge assai meno rigorosi, sono in crescita, sta calando la domanda di prodotti europei, che devono rispettare una legislazione in materia di sicurezza e ambiente sempre più severa. Ciò fa crescere ulteriormente un portafoglio di prodotti già caratterizzato da notevole complessità e comporta, inoltre, un trasferimento dei siti di produzione: i prodotti destinati a mercati non UE vengono realizzati in stabilimenti più vicini all’origine della domanda, con conseguente perdita di posti di lavoro nell’Unione europea.

3.   Macchine agricole e attrezzature per la costruzione: importanza strategica del settore, sfide emergenti e struttura del mercato

3.1   Piccoli quantitativi, elevata diversificazione dei prodotti e forte dipendenza dai fornitori

Esistono numerose similitudini tra i due settori in termini di dimensioni e gamma di prodotti proposti dalle aziende.

Vi sono grandi società multinazionali che producono un vasto assortimento di prodotti, tra cui le attrezzature più utilizzate come i trattori agricoli, gli escavatori o le ruspe.

Allo stesso tempo, le aziende del settore spaziano anche dai produttori regionali di notevoli dimensioni fino alle PMI che producono le attrezzature più diffuse, ma che trovano il modo di sopravvivere rifornendo il mercato di prodotti di nicchia altamente specializzati.

La gamma delle specializzazioni e la varietà di prodotti offerti sul mercato sono spesso sproporzionate rispetto alle effettive dimensioni del produttore. Non è affatto insolito trovare produttori che propongono fino a 200 modelli diversi, offrono attrezzature progettate per utilizzi molto specifici e vendono meno di 1 000 articoli all’anno; molti altri sopravvivono vendendo serie di meno di 100 pezzi all’anno per ciascun modello.

3.2   Occupazione e produzione

3.2.1   Il mercato delle macchine per l’agricoltura rispecchia fedelmente le tendenze nel settore agricolo.

Senza le macchine più recenti non esisterebbe un settore agricolo moderno, efficiente e competitivo. Oggi, i lavoratori dell’agricoltura sono più di 10 milioni. Benché il numero di lavoratori del settore sia in diminuzione, è ancora possibile osservare forti differenze tra l’UE a 15 e i «nuovi» Stati membri che hanno aderito all’Unione europea dopo il 2004.

All’interno dell’UE a 15 «solo» il 4 % dei lavoratori è occupato in questo settore, mentre tale percentuale sale al 13,4 % della forza lavoro totale nei 12 nuovi Stati membri.

Per questo motivo, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che sia necessaria una politica agricola comune (PAC) forte non solo per gli agricoltori ma anche per l’industria, per consentire a questa di continuare a investire nell’attività di ricerca e sviluppo, rispettando allo stesso tempo i vincoli di legge e rispondendo alla domanda degli acquirenti.

I circa 4 500 produttori del settore delle macchine agricole hanno generato un fatturato intorno ai 28 miliardi di euro nel 2008. In questo settore lavorano 135 000 persone, mentre altri 125 000 addetti sono occupati nel settore della distribuzione e della manutenzione.

Due terzi della produzione dell’UE a 27 si concentra in Germania, Italia, Francia, Spagna e Regno Unito, mentre l’insieme dei 12 «nuovi» Stati membri rappresenta soltanto il 7 % della produzione di macchine agricole dell’Unione europea.

3.2.2   Il settore edile dell’UE dà lavoro al 7,1 % della popolazione attiva.

La produzione di attrezzature per la costruzione segue lo stesso schema del settore delle macchine agricole, con Italia, Germania, Francia, Spagna e Regno Unito che producono circa tre quarti di tutte le attrezzature europee. In totale, le aziende in Europa sono circa 1 200, con un fatturato complessivo di 31 miliardi di euro nel 2008, crollato a 18 miliardi nel 2009 (ossia una flessione del 42 %).

Questo settore dà lavoro direttamente a 160 000 addetti, ai quali si aggiunge un indotto stimato di altri 450 000 posti di lavoro nella filiera di fornitura e nella rete di distribuzione e manutenzione. Secondo le stime dell’industria, nel 2010 i posti di lavoro diretti hanno registrato una riduzione del 35 % e quelli dell’indotto del 20 %.

Si osserva tuttavia con tutta evidenza una mancanza di manodopera giovane e qualificata. Un’indagine sulla manodopera condotta dalla Federazione delle industrie tecnologiche finlandesi mette in luce crescenti difficoltà nel reperire personale qualificato. La carenza riguarda professioni che sono tra le più richieste ormai da oltre dieci anni: saldatori, addetti al trattamento dei metalli, meccanici e ingegneri.

3.3   Dipendenza dai fornitori di componentistica e motori

I produttori europei di entrambi i settori sono sempre stati ai primi posti nel panorama mondiale per quanto riguarda l’eccellenza tecnologica e la qualità dell’attrezzatura offerta. Le tecnologie avanzate, che spaziano dalle funzioni a elevata automazione ai GPS ad alta risoluzione per l’agricoltura di precisione, fino ai cambi a variazione continua e all’elettronica, devono essere all’avanguardia in questi settori.

D’altro canto, l’esigenza di lavorare in condizioni estreme (polvere, fango, ghiaccio, caldo e freddo estremi) fa sì che i componenti standard reperibili sul mercato non siano in grado di soddisfare i requisiti dei clienti né di apportare l’ulteriore sviluppo specifico necessario.

Nel settore cresce la preoccupazione che in futuro non sia più possibile trovare i partner europei nel comparto della componentistica necessari a garantire la leadership tecnologica grazie a uno sviluppo comune.

I motori costituiscono l’elemento essenziale per lo sviluppo del prodotto e il rispetto delle normative ma, a differenza del settore automobilistico, solo le grandi società multinazionali dispongono degli impianti necessari per questa produzione specifica.

Il numero di produttori indipendenti di motori sta diminuendo ed essi occupano una posizione marginale sul mercato; la maggior parte dei produttori di attrezzature si trova spesso costretta a dipendere da fornitori di motori controllati dai propri concorrenti.

3.4   Importanza della rete di distribuzione e manutenzione

La rete di concessionari e manutentori è uno dei fattori decisivi per il successo di un produttore. Macchine di tale complessità possono comportare rischi per la sicurezza e la salute se non utilizzate correttamente o sottoposte a regolare manutenzione. Esse richiedono un sistema di distribuzione con personale competente, che aiuti nella scelta della tecnologia più adatta e fornisca servizi di manutenzione e riparazione di alta qualità, al fine di garantire un’assistenza rapida e affidabile all’altezza della complessità delle attrezzature, delle aspettative di prestazioni elevate del cliente e di settori caratterizzati da fattori quali le condizioni climatiche, i picchi stagionali e le scadenze ravvicinate.

3.5   Impatto della crisi economica sulla crescita e la produzione

Entrambi i settori sono stati colpiti assai duramente dalla crisi economica, in un momento in cui la domanda mondiale era molto elevata. Nel settore delle attrezzature per la costruzione, la domanda ha subito un tracollo in tutto il mondo nel quarto trimestre del 2008. Nel 2009 le vendite complessive dei produttori europei sono calate del 42 %, provocando un massiccio accumulo di giacenze e un notevole sottoutilizzo delle capacità. Lungo tutto il 2010, come si è già ricordato, si è registrata un’ulteriore diminuzione del 9 %, mentre alla fine dello stesso anno la domanda in Asia ha ripreso a crescere.

Nel settore delle macchine agricole gli effetti della crisi hanno iniziato a farsi sentire più tardi, essendo l’agricoltura meno dipendente dal contesto economico generale. Tuttavia, nel 2009 le vendite sono diminuite del 22 % e nel 2010 hanno registrato un ulteriore calo del 9 %.

In entrambi i settori, per il 2011 si prevede un aumento inferiore a una decina di punti percentuali, molto più basso quindi di quello necessario per tornare ai livelli precedenti alla crisi.

Il principale fattore di limite durante la crisi è stato la mancanza di disponibilità di credito, soprattutto per i clienti, per finanziare l’acquisto di nuovi macchinari, ma anche per i produttori. Inoltre, la domanda di nuove attrezzature è stata limitata naturalmente anche dalla mancanza di attività, specialmente nel settore edilizio. La domanda in entrambi i comparti ha registrato un’elevata volatilità.

4.   Difficoltà e sfide da affrontare dopo la crisi

La crisi economica ha messo in evidenza alcuni tratti specifici di entrambi i settori e ha creato una situazione molto difficile, che richiede un intervento a livello politico.

4.1   Scarsità di fornitori e di know-how

È importante sottolineare che il settore delle attrezzature per la costruzione sta attraversando una fase di cambiamenti sostanziali e fondamentali.

Il fulcro del mercato mondiale si sta spostando in modo sempre più marcato verso l’America meridionale e l’Asia.

Mentre nel 2005 il 20 % della domanda complessiva di attrezzature per la costruzione in tutto il mondo proveniva dall’Europa, quest’ultima sarà all’origine di solo il 14 % della domanda mondiale complessiva nel 2014 (1).

Il cambiamento più eclatante riguarda la Cina e l’India. Si prevede che nel 2014 la domanda cinese di attrezzature per la costruzione rappresenterà il 34 % della domanda globale, rispetto al solo 18 % nel 2005; ciò significa che nell’arco di 9 anni la domanda sarà raddoppiata.

Questa linea di tendenza avrà conseguenze della massima importanza, dato che la domanda congiunta di Stati Uniti e Unione europea rappresenterà soltanto il 29 % della domanda mondiale.

Per effetto della crisi, la tendenza a spostare massicciamente la produzione in prossimità dei nuovi mercati al di fuori dell’Europa ha subito una notevole accelerazione, la quale, a sua volta, ha determinato un netto calo del numero di fornitori di componenti essenziali in Europa. Questa tendenza riguarda non solo lo spostamento dei siti di produzione ma anche del necessario know-how.

Dato che le esigenze e le norme dei mercati extraeuropei sono diverse da quelle europee, si avverte una preoccupazione crescente per la mancanza di fornitori europei di componenti essenziali a prezzi accessibili, che siano in grado di rispondere al fabbisogno dell’Europa per il futuro.

Un altro problema è dato dalla disponibilità di acciaio in un’economia globale in ripresa, in cui gli aumenti dei prezzi e le misure protezionistiche avrebbero ripercussioni negative su questo settore, come dimostrano le cifre precedenti alla crisi.

4.2   Impatto sull’occupazione: invecchiamento della manodopera, carenza di personale qualificato e fuga dei cervelli

In Europa, il settore dell’ingegneria meccanica conta 3,6 milioni di occupati (2).

Di questi, il 10 % lavora nel comparto delle macchine agricole e delle attrezzature per la costruzione. In generale, l’età media della forza lavoro è elevata: solo il 20,1 % dei lavoratori ha meno di 30 anni, laddove negli altri settori di beni non finanziari la percentuale è pari a circa il 25 %.

Dal lato utilizzatori, gli agricoltori hanno i medesimi problemi: solo il 7 % di tutti gli agricoltori europei ha meno di 35 anni e l’agricoltura e l’edilizia attirano meno lavoratori rispetto ad altri settori, dato che il lavoro è più faticoso e meno remunerato di molte altre attività lavorative in Europa.

L’immagine pubblica poco attraente del settore, che porta a trascurarne l’importanza per l’intera comunità, la carenza di manodopera qualificata e di ingegneri, la discrepanza tra le competenze richieste e quelle disponibili sul mercato del lavoro, la diversità e la disparità delle nomenclature delle qualifiche e dei titoli nazionali per i vari gradi di formazione, l’assenza di istruzione di altissimo livello in scienze naturali e ingegneria: tutti questi aspetti che già caratterizzavano il settore sono stati aggravati dalla crisi economica.

L’industria ha cercato di limitare al massimo la riduzione di posti di lavoro, anche se, come si è già ricordato, la manodopera occupata nel settore delle attrezzature per la costruzione ha subito una flessione del 35 % rispetto al 2008 (3).

La crisi ha inoltre provocato una fuga di cervelli verso l’Estremo Oriente e l’America meridionale, dove i mercati sono più prosperi e la crisi ha avuto effetti meno pesanti.

5.   Azioni necessarie a livello di Unione europea

5.1   Garantire l’effettiva applicazione di misure per contrastare la concorrenza sleale

L’importazione nell’Unione europea di attrezzature per la costruzione non conformi - e la loro vendita e utilizzo - resta un problema importante per il settore europeo delle attrezzature per la costruzione. Le attrezzature che vengono distribuite per la prima volta sul mercato dell’UE devono rispettare tutti i requisiti ambientali e di sicurezza in vigore. Le macchine che non soddisfano tali requisiti sono considerate non conformi e gli Stati membri devono impedirne la commercializzazione nel mercato dell’UE.

Tali macchine sono fonte di concorrenza sleale e compromettono la capacità dei fornitori in buona fede di intraprendere attività di ricerca e sviluppo. Ciò minaccia, a sua volta, la competitività e i posti di lavoro del settore europeo delle attrezzature per la costruzione. Le macchine non conformi hanno maggiori probabilità di provocare incidenti e spesso non soddisfano le norme ambientali imposte dall’UE.

I produttori che fabbricano macchine e attrezzature conformi alla legislazione europea si trovano attualmente ad affrontare il problema della concorrenza di prodotti commercializzati nel mercato dell’UE in condizioni sleali, a un prezzo notevolmente inferiore al prezzo di mercato dei prodotti conformi. Le autorità non dispongono dei mezzi e delle risorse per rimediare a tale situazione, mentre le normative non sempre difendono con chiarezza i prodotti rispondenti ai requisiti di legge.

Sono sempre più numerose le macchine non conformi immesse illegalmente sul mercato dell’Unione europea senza che le autorità doganali e di vigilanza del mercato intervengano per contrastare efficacemente tale fenomeno, nonostante l’entrata in vigore, il 1o gennaio 2010, di norme più severe (regolamento (CE) n. 765/2008).

Raccomandazione: il CESE invita la Commissione europea e le autorità degli Stati membri ad adottare tutte le misure necessarie a garantire la concorrenza leale all’interno del mercato dell’UE e ad assicurare la parità di condizioni tra i produttori che devono competere a livello internazionale.

5.2   È necessario adottare le decisioni corrette per migliorare l’ambiente

Come per il settore automobilistico, una delle sfide più importanti per il comparto in esame è la legislazione che disciplina le emissioni delle macchine mobili. Rispetto al settore automobilistico, i costi unitari di ottemperanza alle normative delle macchine mobili sono molto alti, dato che la produzione e le vendite sono di gran lunga inferiori e il numero di modelli diversi è molto più alto.

Con la prossima fase di riduzione delle emissioni che inizierà nel 2011 (IIIB) e la fase successiva già prevista per il 2014 (fase IV), gli inquinanti principali saranno ridotti di oltre il 90 % rispetto ai livelli esistenti. Le modifiche riguarderanno i motori ma imporranno anche una sostanziale riprogettazione dell’intera macchina.

Le tecnologie imposte da tali livelli di emissione richiedono l’uso di carburanti a bassissimo contenuto di zolfo, difficili da ottenere in Europa per il settore «non stradale» e non reperibili al di fuori dell’Europa. Ciò impedirà le vendite sui mercati non europei sia delle attrezzature nuove che di quelle usate.

Come misura di attenuazione della crisi, l’industria ha chiesto uno strumento legislativo che consenta un aumento delle quantità di motori già previste dal regime di flessibilità delle direttive in vigore. Il conseguente risparmio in termini di costi per il settore sarebbe notevole, al prezzo di un aumento una tantum delle emissioni di circa lo 0,5 %. La Commissione europea ha appoggiato la richiesta e ha presentato due proposte, attualmente al vaglio del Consiglio e del Parlamento europeo, che modificano le pertinenti direttive. Tuttavia, i progressi in tale ambito sono troppo lenti e potrebbero ridurre l’effetto economico positivo previsto della misura.

Il CESE raccomanda l’adozione quanto più rapida possibile delle disposizioni aggiuntive in materia di flessibilità per la prossima fase della legislazione sulle emissioni delle macchine mobili non stradali e di una proposta analoga per i trattori agricoli.

La riduzione delle emissioni di fuliggine e NOX in futuro richiederà tecnologie speciali, che comporteranno un aumento nel consumo di carburante e, di conseguenza, di emissioni di CO2. Gli sforzi compiuti dai produttori hanno impedito un reale aumento del consumo di carburante, grazie al miglioramento dell’efficienza dell’intera macchina. Qualunque nuova normativa in materia di limiti/riduzioni delle emissioni di carbonio dovrebbe essere conforme all’attuale legislazione sulle emissioni e, prima di essere introdotta, dovrebbe concedere un tempo di adattamento sufficiente dopo la conclusione dell’attuale fase di riduzione delle emissioni.

Raccomandazione: prima di prendere in considerazione l’applicazione di norme più rigide o l’elaborazione di nuove normative da applicare a questi stessi prodotti, sarebbe opportuno effettuare una valutazione di impatto a livello dell’Unione europea, tenendo conto delle possibili conseguenze negative sulla competitività del settore nel mercato mondiale e dei possibili miglioramenti marginali per tali macchine in termini concreti.

5.3   Età elevata delle attrezzature in uso: necessità di un programma di rottamazione per le macchine mobili

Le macchine utilizzate in agricoltura e nell’edilizia hanno una lunga aspettativa di vita, tanto che la vita media dei trattori supera i 15 anni. Il miglioramento costante delle prestazioni ambientali delle nuove attrezzature ha quindi soltanto un effetto lento e limitato sulle prestazioni ambientali globali delle attrezzature in uso. Si potrebbero ottenere progressi più rapidi ricorrendo a incentivi per eliminare dal mercato le attrezzature molto vecchie e inquinanti. Tale approccio presenterebbe inoltre vantaggi nettamente superiori rispetto alla riqualificazione di vecchie attrezzature mediante l’installazione di dispositivi di post-trattamento. L’adattamento delle vecchie attrezzature con filtri crea molti problemi aggiuntivi e inefficienze in termini di sicurezza e di prestazioni.

Il CESE raccomanda l’adozione di un programma di rottamazione, che rappresenterebbe la soluzione adatta al problema delle macchine vecchie e inquinanti e contribuirebbe a un ambiente più pulito e a condizioni di lavoro più sicure.

Il CESE ritiene che qualunque programma per installare dispositivi di adattamento degli scarichi costituisca una soluzione inadeguata al problema delle attrezzature inquinanti utilizzate in zone edificate. Lungi dal risolvere il problema, questi sistemi mantengono in attività macchine rumorose e non sicure e, se non installati correttamente, possono addirittura aumentare i rischi.

Il CESE raccomanda, inoltre, lo sviluppo di requisiti armonizzati per la riqualificazione di vecchie attrezzature mediante l’installazione di dispositivi di post-trattamento, non solo per il potenziale in termini di riduzione delle emissioni, ma anche per affrontare i rischi derivanti dall’installazione di questi dispositivi su attrezzature per l’agricoltura e l’edilizia.

5.4   Il settore è in grado di raccogliere la sfida delle emissioni di CO2

Analogamente al settore dei veicoli che circolano su strada, anche per il settore in esame il fattore principale che contribuisce alle emissioni di CO2 è il consumo di carburante. Le possibilità di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra devono essere valutate dal punto di vista delle specifiche prestazioni di lavoro delle attrezzature e non semplicemente in termini di consumo di carburante per chilometro, come avviene nel caso del settore automobilistico.

Già in questi ultimi anni sono stati raggiunti miglioramenti considerevoli grazie a macchine più efficienti. I costi del ciclo di vita, costituiti per buona parte dal costo del carburante, sono diventati un fattore sempre più importante nella decisione di acquisto da parte dei clienti.

Tuttavia, per ridurre in misura ottimale le emissioni di CO2, l’opera di ottimizzazione non deve concentrarsi soltanto sul motore in quanto alimentatore in energia del macchinario, ma sull’intera macchina/attrezzatura e sulle applicazioni e i processi nel loro complesso, oltre che sull’efficienza operativa e sull’eventuale ricorso a fonti energetiche alternative a basse emissioni di carbonio.

Il CESE invita le istituzioni dell’Unione europea e i rappresentanti degli Stati membri a sostenere un approccio globale e orientato al mercato per ridurre le emissioni di CO2 generate dalle macchine mobili. Dal momento che non esiste un approccio unico e universalmente applicabile, la messa a punto di sistemi adeguati per i tipi di macchine caratterizzati dal livello più elevato di emissioni (trattori, combinati, ecc.), in grado di misurare l’efficienza complessiva della macchina (ovvero il consumo di carburante per tonnellata di cereale raccolta o per chilometro di strada pavimentato), costituirebbe una soluzione ragionevole e pragmatica.

5.5   La chiave è l’armonizzazione, all’interno dell’Europa e a livello mondiale, sia in materia di sicurezza stradale che di protezione dell’ambiente

Ora che i mercati si stanno allontanando dall’Europa, si sta rivelando sempre più importante conseguire l’armonizzazione della legislazione e la standardizzazione dei prodotti a livello mondiale. Ciò vale anche per i requisiti in materia di sicurezza stradale, che attualmente non sono affatto armonizzati nel caso delle attrezzature per la costruzione e di alcuni tipi di veicoli agricoli.

Inoltre, l’industria europea deve far fronte alla difficoltà di requisiti europei che diventano sempre più severi rispetto a quelli in vigore nel resto del mondo, e questo fa sì che le versioni europee delle macchine siano troppo costose o non compatibili.

Quando si tratta di protezione dell’ambiente, ad esempio, l’impatto di ogni decisione presa a livello di Unione europea andrebbe valutato con attenzione prima di adottare e attuare eventuali normative europee.

Il settore delle macchine agricole e delle attrezzature per la costruzione contribuisce alla tutela dell’ambiente riducendo le emissioni dei propri prodotti, come previsto dalla direttiva 97/68/CE (per le macchine mobili non stradali) e dalla direttiva 2000/25/CE (per i trattori). In questo modo si otterrà una notevole riduzione di emissioni di particolati (97 %), di ossidi di azoto - NOX (96 %) e di monossido di carbonio - CO (85 %).

Il settore ha compiuto gli stessi sforzi per ridurre le emissioni acustiche: ha lavorato per 10 anni al fine di ottemperare alle disposizioni pertinenti della legislazione in materia di emissioni acustiche riguardo a 22 macchine per la costruzione.

Il comparto rispetta già degli standard internazionali relativi al ciclo di vita delle macchine, e si è fatto esso stesso promotore dell’introduzione di standard per i programmi di riciclaggio delle macchine per movimento terra.

Per garantire in futuro la competitività dei prodotti europei è quindi della massima importanza assicurare la coerenza a livello mondiale delle leggi e delle normative.

Il CESE invita le istituzioni dell’UE e i rappresentanti degli Stati membri non soltanto a sostenere lo sviluppo di standard mondiali, ma anche a partecipare e a intervenire nel processo per realizzarli. A tal fine, l’UNECE (4) appare il laboratorio ideale per la definizione di questi standard.

5.6   Condizioni di lavoro e dialogo sociale nel settore

Poiché entrambi i settori (macchine agricole e attrezzature per la costruzione) contano numerose aziende di piccole e medie dimensioni, sono necessari accordi particolari in materia di dialogo sociale. La rappresentanza del personale e le possibilità di scambiare informazioni a livello transnazionale sono ridotte rispetto ad altri settori in cui sono presenti dei comitati aziendali europei. Nonostante ciò, le imprese del settore presentano un fronte piuttosto unito e avrebbero bisogno, allo stesso modo, di un coordinamento strutturato e di scambi organizzati. Occorre quindi un miglioramento e un rafforzamento del dialogo tra aziende e lavoratori.

Così come in altri settori, il lavoro precario si va diffondendo anche nei diversi comparti della siderurgia, con tutta una serie di conseguenze, tra cui soprattutto una formazione professionale permanente di scarsa qualità e la costante minaccia di veder emigrare lavoratori esperti e qualificati verso altri settori industriali, oltre a ripercussioni negative sulle condizioni di lavoro.

Raccomandazione: la Commissione europea dovrebbe promuovere la realizzazione di una specifica analisi settoriale incentrata sul livello delle condizioni di lavoro. Il CESE propone inoltre di attuare iniziative per migliorare tali condizioni in tutta l’Unione europea. Infine, sarebbe di primaria importanza mettere in campo provvedimenti destinati ad evitare future sovraccapacità - come quelle registrate durante la crisi economica - e a rilanciare, sfruttando le conoscenze di tutte le parti in causa, lo sviluppo di nuovi prodotti e di idee innovative sull’organizzazione del lavoro.

5.7   L’importanza di mantenere una manodopera giovane e qualificata in Europa

La mancanza di manodopera qualificata, l’invecchiamento della forza lavoro, la fuga dei cervelli verso altri continenti: questi sono alcuni dei problemi che interessano l’occupazione nel comparto delle macchine agricole e delle attrezzature per la costruzione. Attrarre lavoratori giovani e qualificati verso questo settore è sempre più difficile. L’industria e le istituzioni devono continuare a compiere gli investimenti necessari nella formazione, nell’insegnamento e nell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, poiché si tratta di un settore fondamentale per l’industria europea.

Senza una formazione di altissimo livello e senza competenze giovani non c’è futuro, e l’innovazione tecnica ha bisogno di ingegneri altamente qualificati e creativi. Andrebbero attuati dei programmi, a diversi livelli, mirati ai lavoratori e volti a promuovere l’istruzione e la formazione e a illustrarne i vantaggi: questi ultimi andrebbero spiegati non solo ai lavoratori ma anche ai datori di lavoro, perché comprendano il valore aggiunto che l’azienda ricava dall’investimento nei lavoratori e nelle loro competenze. Un più diffuso riconoscimento dell’importanza di tali programmi potrà essere ottenuto grazie ai soggetti che partecipano al dialogo sociale.

Raccomandazione: gli Stati membri devono sostenere maggiormente il settore in materia di istruzione, formazione, apprendimento lungo tutto l’arco della vita e acquisizione di competenze nel campo dell’ingegneria meccanica. Per il futuro sarà essenziale disporre di programmi di riconversione dei lavoratori in esubero sovvenzionati da finanziamenti pubblici, che dovranno essere operativi prima che per le imprese si presenti la necessità di licenziare.

5.8   Le PMI devono rimanere il fulcro dell’innovazione

Come doverosamente sottolinea la recente comunicazione della DG Imprese e industria intitolata Una politica industriale per l’era della globalizzazione, una delle principali sfide e risposte politiche per sostenere le PMI che operano nei diversi settori (compreso quello delle macchine agricole e delle attrezzature per la costruzione) è l’accesso ai finanziamenti, che continua a rappresentare un elemento di strozzatura.

Sebbene siano spesso le PMI a introdurre innovazioni sul mercato, le loro possibilità di investire nell’innovazione sono penalizzate dalle difficoltà di accedere ai finanziamenti, difficoltà che si sono accentuate durante la crisi finanziaria ed economica in tutti gli Stati membri. Le PMI del settore, in particolare, hanno registrato un inasprimento delle condizioni di credito, al quale la maggior parte dei governi ha risposto introducendo o estendendo i sistemi pubblici di garanzia o fornendo aiuti di Stato diretti. Ma ciò non è sufficiente.

Si raccomanda pertanto agli Stati membri e alla Commissione europea di sostenere le PMI che operano nel settore delle macchine agricole e delle attrezzature per la costruzione elaborando progetti e destinando risorse rispondenti alle loro esigenze.

Bruxelles, 4 maggio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Dati della società di consulenza Off-Highway Research: www.offhighway.co.uk.

(2)  Dati Eurostat: European Business Facts and Figures, edizione 2009.

(3)  Dati del CECE (Committee for European Construction Equipment - «Comitato europeo per le macchine edili»).

(4)  United Nations Economic Commission for Europe (Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite, Ginevra, www.unece.org).


23.7.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 218/25


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «L'aspetto esterno della politica industriale europea — La politica commerciale dell'UE tiene in debito conto gli interessi dell'industria europea?» (parere d'iniziativa)

2011/C 218/05

Relatore: Antonello PEZZINI

Correlatore: Marcel PHILIPPE

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 settembre 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

L'aspetto esterno della politica industriale europea - La politica commerciale dell'UE tiene in debito conto gli interessi dell'industria europea?

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI), incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 aprile 2011.

Alla sua 471a sessione plenaria, dei giorni 4 e 5 maggio 2011 (seduta del 4 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 106 voti favorevoli, 2 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) condivide pienamente le preoccupazioni espresse dalla presidenza ungherese dell'Unione europea che «in tutto il mondo si sta verificando una trasformazione incredibilmente rapida e profonda e l'Europa deve essere in grado di sostenere una concorrenza mondiale molto più forte rispetto al passato».

1.2   Il Comitato chiede con urgenza all'UE di adottare azioni concertate e coerenti, per una strategia integrata di politica industriale nella sua dimensione esterna, che assicuri un ruolo guida dell'Unione nel sistema commerciale e unicità di indirizzi negli accordi commerciali multilaterali e bilaterali.

1.3   Il CESE ritiene indispensabili pari regole del gioco per tutti gli attori per competere in un quadro di concorrenza leale, con una crescita economica e sociale sostenibile e competitiva, nel pieno rispetto degli standard economici, sociali e ambientali internazionali, tenendo conto che entro il 2015 il 90 % della crescita mondiale sarà generato fuori dall'Europa - di cui un terzo dalla sola Cina. Per questo motivo la politica commerciale dell'UE deve sostenere anche la politica per lo sviluppo e tenere conto delle disparità sia tra i blocchi commerciali sia all'interno delle diverse società, specialmente nei paesi in via di sviluppo.

1.4   Il Comitato ritiene necessario:

stabilire un quadro comune di «governance europea rafforzata» in grado di sfruttare il potenziale del mercato unico, per il rilancio internazionale dell'industria europea,

parlare con voce unica a livello globale,

definire una coerenza di comportamenti da parte degli Stati membri.

1.5   Secondo il Comitato, il lungo lavoro iniziato nel 1988 per attuare il Mercato interno va continuato e intensificato anche attraverso la realizzazione di un diritto europeo dei contratti per le imprese che si basi su un regolamento, che contenga un nuovo regime avanzato, al quale, in via facoltativa, possano attingere le imprese nei loro contratti transnazionali.

1.6   Il Comitato ritiene che mantenere la leadership mondiale dell'industria europea sia possibile non solo attraverso l'innovazione, la ricerca e l'applicazione di nuove tecnologie, ma anche realizzando infrastrutture valide, chiedendo al mercato mondiale una regolamentazione intelligente, che favorisca forme pulite e sostenibili di produzione e di distribuzione.

1.7   Il Comitato ritiene che particolare attenzione debba essere assicurata ad interventi a livello comunitario, nazionale e regionale, all'educazione e alla formazione permanente delle risorse umane e alla diffusione delle conoscenze.

1.8   Il CESE raccomanda che siano sempre presi in considerazione gli interessi dell'industria europea e che tali interessi vengano difesi con forza, nei negoziati, utilizzando in modo chiaro, trasparente e diversificato tutti gli strumenti regolamentari a disposizione, compresi gli accordi commerciali.

1.9   Il CESE sottolinea l'importanza di dotare le imprese di un quadro normativo intelligente, prevedibile e, soprattutto, meno oneroso, e di un migliore contesto imprenditoriale per le PMI.

1.10   È interesse delle aziende europee che vengano assicurati, con una tutela chiara e trasparente, negli accordi e nei contatti bilaterali:

norme sociali che rispettino l'uomo nel posto di lavoro e siano conformi alle convenzioni internazionali;

norme di tutela ambientale;

limiti allo sfruttamento delle risorse ecologiche;

norme per il risparmio energetico e per la difesa del clima;

l'utilizzo diffuso degli ecolabel;

la cultura della certificazione EMAS;

il rispetto degli standard tecnico-normativi;

la difesa della proprietà industriale e intellettuale;

alcuni strumenti efficaci di difesa commerciale e di accesso ai mercati e alle materie prime strategiche che tengano conto delle preoccupazioni in merito alla gestione delle risorse espresse dalla società civile di entrambe le parti;

iniziative per facilitare l'attività delle PMI nei paesi terzi;

sistemi di dialogo sociale e di verifica da parte della società civile, anche attraverso valutazioni d'impatto ex ante e ex post e, infine,

un alto livello di tutela dei consumatori.

1.11   Il CESE condivide quanto espresso dal Consiglio europeo di Bruxelles del dicembre 2010, sulla necessità di «affrontare più efficacemente le sfide e di cogliere le opportunità connesse alla globalizzazione, procedendo a valutazioni d'impatto prima dell'avvio di negoziati commerciali per garantire mercati aperti, condizioni eque e parità di concorrenza». La politica commerciale dell'UE dovrebbe comunque tener conto della disuguaglianza di condizioni alle quali la nostra industria si trova spesso costretta a competere.

1.12   Il Comitato chiede di dare un seguito concreto alle indicazioni del Consiglio dell'UE di «rafforzare ulteriormente la coerenza e la complementarietà tra la sua politica interna e la sua politica estera» (1).

1.13   Il Comitato ritiene che l'UE debba sviluppare i suoi vantaggi competitivi, per una difesa più efficace e strategica dei suoi interessi e per una maggiore credibilità del modello economico e sociale europeo sulla scena mondiale.

2.   Introduzione

2.1   L'industria considerata nel suo complesso, compresi anche i servizi specializzati dai quali l'industria dipende e, viceversa, i servizi che dipendono dall'industria, costituisce un insieme molto ampio che rappresenta circa la metà (47 %) del PIL dell'UE.

2.2   L'industria è in grado di dare contributi specifici per rendere più dinamica la crescita di tutta l'economia:

per una maggiore produttività dell'Europa;

per l'export di prodotti manifatturieri (2);

per il progresso tecnologico: oltre l'80 % delle spese del settore privato in RST nell'UE viene dal settore manifatturiero.

2.3   La sfida contro la de-industrializzazione è quella di far convergere tutte le politiche dell'UE verso l'obiettivo di sostenere il potenziale di crescita e di competitività dell'industria, soprattutto rafforzando la sua dimensione esterna.

2.4   Non si tratta di definire una politica isolata, ma di ricomprendere una dimensione di competitività industriale, e dei servizi correlati, in tutte le politiche dell'UE, a cominciare dalla politica commerciale comune.

2.5   L'apertura dei mercati rappresenta, indubbiamente, il presupposto per la crescita dell'occupazione. Tuttavia, l'UE ha bisogno di aggiornare la sua strategia per meglio supportare l'internazionalizzazione delle imprese in un quadro di simmetria e reciprocità che assicuri pari regole del gioco per tutti i protagonisti.

2.6   Un approccio coerente richiederebbe di affrontare una serie di settori, con un notevole valore aggiunto:

la futura politica commerciale dell'UE dovrebbe essere integrata nel quadro della strategia Europa 2020. Ciò comporta la necessità di un puntuale ed efficace corpo di regole, concepite per:

sostenere i mercati aperti ed equi, esigendo il rispetto di pari regole pei i paesi emergenti e tutelando le esigenze dei paesi meno sviluppati;

tutelare la proprietà industriale e intellettuale;

creare nuove e più integrate conoscenze;

scoraggiare la contraffazione;

difendere e diffondere il valore dell'Economia sociale di mercato (3);

proporre ed esigere un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell'ambiente e, infine,

promuovere l'euro come valuta di regolamento degli scambi internazionali.

L'apertura del mercato globale e la conseguente reciprocità delle tariffe trovano forti limiti negli ostacoli non tariffari: occorre «garantire il rispetto dei nostri diritti nell'ambito degli accordi bilaterali e multilaterali ed aprire i mercati illegalmente chiusi» (4) per assicurare simmetria, reciprocità e pari regole del gioco.

Dovrebbero essere riviste e potenziate le iniziative a sostegno dell'internazionalizzazione delle PMI. La percentuale delle esportazioni delle PMI, oltre il mercato interno, è oggi inferiore al 15 %.

La politica dell'UE dovrebbe meglio esplorare il rafforzamento di altri modi di perseguire l'internazionalizzazione, quali:

1.

il FDI (Foreign Direct Investment),

2.

la cooperazione tecnologica,

3.

le attività di subappalto.

Gli Stati europei dovrebbero impegnarsi per lo sviluppo di un dialogo rafforzato con le parti sociali e con tutti gli attori economici e sociali.

Per l'occupazione, un nuovo slancio dovrebbe sostenere le iniziative settoriali avanzate, sull'esempio delle azioni pilota dei Lead markets.

2.7   Occorre consolidare il ruolo dell'euro sulla scena internazionale come valuta di regolamento degli scambi internazionali sia per le materie prime che per i prodotti manufatti.

2.8   L'impetuoso processo della globalizzazione dell'economia mondiale e lo sviluppo delle economie emergenti ci impongono una sostanziale revisione delle politiche commerciali dell'UE, perché queste prendano in piena considerazione gli interessi dell'industria europea ed essa conservi e accresca di conseguenza il suo ruolo nel villaggio globale.

2.9   In termini generali, la politica industriale dell'UE si attua attraverso:

misure generali, volte a sviluppare il mercato interno;

una politica commerciale esterna (politica antidumping; negoziati commerciali bilaterali e multilaterali aventi un'incidenza su singoli settori industriali);

numerose politiche sociali regionali e ambientali, tese allo sviluppo delle risorse umane;

una politica di concorrenza con strumenti giuridici, necessari nei fallimenti del mercato e opportuni negli aiuti di Stato;

una politica di ricerca e di sviluppo;

azioni per l'innovazione;

il rafforzamento della cooperazione tra le imprese europee;

la ricerca del dialogo e della cooperazione tra le parti sociali, estesi ai paesi in via di sviluppo, soprattutto attraverso la negoziazione di accordi quadro internazionali;

gli sforzi per la realizzazione di politiche ambientali;

una politica ambiziosa ed efficace in materia di istruzione e di formazione.

2.10   I commerci, l'economia, il dialogo interreligioso e culturale, quindi la prosperità dei popoli, sono condizionati e determinati dalla qualità delle relazioni tra gli Stati, i governi e gli organismi internazionali. Occorre, inoltre, tener conto dei diversi livelli di sviluppo e delle diverse impostazioni che possono essere date per risolvere problemi comuni.

2.11   Il CESE vuole, in questo parere, concentrarsi sulla dimensione esterna della politica industriale.

2.12   Alla politica industriale, in questo contesto, viene riconosciuto un ruolo primario, anche sulla base di una nuova consapevolezza: la necessità di restituire all'industria e alle imprese il posto centrale che a loro compete.

2.13   «Una politica industriale per l'era della globalizzazione» (5): questa iniziativa serve a definire alcune priorità volte a migliorare il clima imprenditoriale, specialmente per le PMI, e a favorire lo sviluppo di una base industriale solida e sostenibile.

2.14   Una «Crescita davvero intelligente, sostenibile ed inclusiva» (6) è legata al rafforzamento di un settore manifatturiero diversificato e innovativo, per operare con successo sui mercati globali.

3.   Aree d'interesse ed azione per una dimensione esterna coerente

3.1   Sono molteplici le aree d'interesse e d'intervento che mettono in risalto la vocazione esterna della politica industriale europea, ma il CESE vuole concentrarsi sui seguenti ambiti:

strategia europea per l'accesso alle materie prime;

internazionalizzazione delle PMI;

standardizzazione e diritti di proprietà intellettuale (DPI);

dialogo regolamentare;

politica commerciale comune;

immagine e prospettive dell'UE;

iniziative settoriali: i «Lead markets e le piattaforme europee».

3.1.1   L'accesso alle materie prime. Un sicuro e facile accesso alle materie prime rappresenta la chiave per le infrastrutture ed è la pre-condizione per lo sviluppo industriale. Le iniziative dell'UE sono fondamentali per:

rimuovere le distorsioni esistenti e creare nuove regole e accordi riguardanti l'accesso alle materie prime, specialmente energetiche;

richiedere sforzi continui per garantire, anche a livello dell'OMC, che i paesi produttori rispettino le norme ambientali e sociali minime;

migliorare le condizioni per un'estrazione sostenibile delle materie prime in Europa;

sostenere le filiere europee o nazionali di riciclaggio per ridurre gli sprechi, creare posti di lavoro ad elevato valore aggiunto e limitare gli effetti ambientali e sociali dei processi estrattivi;

promuovere l'efficienza nell'uso delle risorse e l'utilizzo di materie prime secondarie;

rafforzare le autorità e le istituzioni responsabili della gestione delle materie prime nei paesi in via di sviluppo che dispongono di questo tipo di risorse;

sostenere le ricerche già in atto, tese ad ottenere l'energia da fusione, attraverso JET e ITER, con l'uso di materie prime (deuterium, lithium, tritium) molto diffuse in natura, soprattutto nell'acqua di mare.

3.1.1.1   L'industria europea, se vuole consolidare e accrescere la sua presenza e la sua competitività a livello mondiale, deve dotarsi di una strategia forte, integrata, con un'attenzione particolare per l'approvvigionamento energetico e una vera e propria «diplomazia delle materie prime».

3.1.1.2   L'accesso alle materie prime, specialmente energetiche, deve essere un pilastro fondamentale della nuova politica industriale. Il punto chiave deve essere il rafforzamento dei nostri rapporti economici e politici con i paesi terzi per:

rimuovere le distorsioni nelle condizioni d'accesso, con un'azione di contrasto verso le restrizioni sull'export (7);

sostenere la produzione di metalli in Europa;

intensificare gli sforzi sulle materie prime di cui l'Europa già dispone;

monitorare la lista di 14 materie prime «strategiche» per il futuro della nostra produzione. Si tratta di: antimonio, berillio, cobalto, fluorite, gallio, germanio, grafite, indio, magnesio, niobio, il gruppo platino (platino, palladio, iridio, rodio, rutenio e osmio), terre rare, tantalio e tungsteno;

istituire delle riserve strategiche delle principali materie prime;

considerare il cotone tra le materie strategiche;

creare un Servizio geologico europeo.

3.1.2   L'internazionalizzazione delle PMI. Un'altra sfida cruciale è quella della dimensione internazionale dell'industria europea: le piccole e medie imprese devono poter competere sui mercati globali accanto alla grande industria, valorizzando, al contempo, i propri distretti produttivi.

3.1.2.1   È necessario creare e rafforzare gli strumenti di sostegno alla prospezione e al finanziamento (assicurazioni, garanzie di pagamento, ecc.), in modo da consentire alle PMI di crescere a livello internazionale.

3.1.2.2   Secondo un recente studio della DG Imprese, il 25 % delle piccole e medie imprese europee ha svolto attività di import o export nel corso degli ultimi tre anni. Fuori dal mercato interno europeo, solo il 13 % ha avuto rapporti con paesi terzi e, se si considerano i mercati emergenti dell'area BRIC (Brasile, Russia, India e Cina), la percentuale oscilla tra il 7 e il 10 %.

3.1.2.3   L'internazionalizzazione, infatti, fa bene all'impresa e le offre una marcia in più:

in termini di propensione all'assunzione di nuovo personale: le PMI attive a livello internazionale registrano un tasso di crescita dell'occupazione pari al 7 %, contro un modesto 1 % delle altre PMI;

in termini di propensione all'innovazione: l''introduzione di prodotti o servizi innovativi ha interessato il 26 % delle PMI attive a livello internazionale, contro l'8 % delle altre.

3.1.2.4   Un miglioramento delle performance, nel commercio internazionale, è importante ai fini di un rafforzamento della crescita e della competitività.

3.1.2.5   Occorre, in particolare, potenziare e ampliare le iniziative pilota per la creazione dei Centri europei di supporto nei paesi terzi, i cosiddetti European Business Centres  (8), e gli impegni per la piena operatività dei Team di accesso ai mercati (Market Access Teams).

3.1.3   La standardizzazione. È necessaria una forte politica di standardizzazione e di difesa della proprietà intellettuale (DPI), assicurando una dimensione esterna dei processi di standardizzazione.

3.1.3.1   Occorre evitare che gli standard si trasformino in barriere commerciali e che la crescita del numero di norme nazionali, in materia di servizi, crei ostacoli al commercio.

3.1.3.2   Il CESE è convinto che debba essere introdotto l'obbligo legale, per tutti coloro che creano gli standard, di rispettare i principi dell'OMC/TBT (Technical Barriers to Trade), nel processo di sviluppo di tali standard.

3.1.3.3   Un altro tema fondamentale è quello dell'interoperabilità: i servizi e le applicazioni devono essere davvero interoperabili per essere accettati dal mercato e per rispondere agli obiettivi stabiliti.

3.1.4   Il dialogo regolamentare. L'industria europea, per essere davvero competitiva, necessita di un global playing field in termini di regole e di regolamenti.

3.1.4.1   Alle barriere commerciali «tariffarie» si aggiungono, spesso, delle barriere «non tariffarie» di natura regolamentare. Per questo il CESE ritiene che si debbano intensificare gli sforzi sui diversi fronti sia per ridurre le barriere esistenti sia per prevenire l'insorgere di nuove barriere.

3.1.4.2   In tali contesti, il principio del miglioramento della regolamentazione (Better Regulation) è fondamentale per abbattere i costi elevati, dovuti spesso ad un eccesso di regolamentazione, e per beneficiare di un accesso più efficace ai mercati internazionali attraverso meccanismi di mutuo riconoscimento.

3.1.5   La politica commerciale comune costituisce un pilastro delle relazioni esterne dell'Unione europea. Essa regola le relazioni commerciali degli Stati membri con i paesi terzi con l'obiettivo fondamentale di garantire parità di concorrenza e pari regole del gioco.

3.1.5.1   È necessario assicurare maggiore efficacia alle attività di lotta alla contraffazione e pirateria, sia all'interno che all'esterno del mercato unico, per le pesanti ripercussioni negative su un numero crescente di settori sempre più differenziati.

3.1.5.2   Un miglioramento delle nostre performance - come indicato dalle nuove norme del Trattato di Lisbona - nel commercio transfrontaliero e internazionale è importante ai fini di un rafforzamento della crescita, del potenziamento della competitività e della sostenibilità a lungo termine delle aziende, garantendo una voce unica europea.

3.1.5.3   Gli strumenti di difesa commerciale e di accesso ai mercati si prefiggono, in particolare, di proteggere le imprese europee dagli ostacoli al commercio. L'Unione deve poter garantire lo sviluppo armonioso del commercio mondiale, promuovendo il suo carattere equo e sostenibile che tenga conto dei differenti livelli di sviluppo dei paesi terzi, aiutando quelli meno sviluppati nei loro percorsi di industrializzazione ed esigendo il pieno rispetto delle norme da parte dei paesi emergenti.

3.1.5.4   L'UE deve definire criteri economici precisi per negoziare e concludere accordi di libero scambio e per individuare i suoi partner, in particolare per quanto riguarda il potenziale dei mercati in termini di dimensioni e di crescita economica, assicurando chiari meccanismi di valutazione ex ante (di coerenza politica) ed ex post (di pieno rispetto delle simmetrie e reciprocità), anche con il sostegno del dialogo sociale europeo e della società civile organizzata.

3.1.5.5   È necessario accompagnare la riduzione delle tariffe, nel quadro OMC, con uno sforzo teso a migliorare le condizioni di lavoro, in conformità alle norme dell'OIL.

3.1.6   L'immagine e le prospettive dell'Unione. Occorre una visione orientata secondo una logica di sviluppo sostenibile e capace di promuovere società inclusive, economie aperte e relazioni pacifiche, con una logica globale e di lungo periodo.

3.1.6.1   L'immagine dell'Unione, al suo interno, ma soprattutto al suo esterno, deve essere meglio curata, assicurando coerenza, unità e capacità d'azione rapida, per una sua completa valorizzazione. Occorre che si definisca e si attui un'azione articolata su livelli sinergici e tra loro coerenti per:

assicurare un'apertura equilibrata dei mercati, provvedendo inoltre a tutelare le limitate risorse del pianeta e a rendere sicuro e sostenibile l'accesso dell'Europa alle risorse che le sono strategicamente necessarie;

rafforzare il dialogo economico con tutti i partner principali, nel quadro di un approccio multilaterale;

procedere nel rafforzamento del ruolo internazionale dell'euro;

proporre l'UE come «potenza normativa internazionale», promotrice di un innalzamento degli standard nel campo industriale, ambientale e sociale, nonché in quello delle condizioni di lavoro dignitose, degli appalti pubblici e della proprietà intellettuale;

rilanciare le tre principali politiche di sviluppo esterno dell'UE: l'allargamento, la politica di vicinato e l'Unione mediterranea, un nuovo partenariato con l'Africa, nel quadro ACP (9).

3.1.6.2   Il CESE è profondamente convinto che, in assenza di un foresight partecipato, a livello europeo, sulle prospettive globali della politica industriale europea, non sarà possibile sviluppare quella visione strategica comune, indispensabile per un rilancio forte e coerente della dimensione esterna della politica industriale europea.

3.1.6.3   Il CESE è convinto che l'interesse delle industrie europee risieda nella crescita e che l'unico modo per realizzarlo consista nel non essere permanentemente esposti ad una concorrenza a basso costo.

3.1.7   Iniziative settoriali: Lead markets e piattaforme

3.1.7.1   L'Europa deve costruire il proprio futuro sui suoi punti di forza. Diverse soluzioni di settore sono costantemente sviluppate per migliorare la competitività globale dell'Europa e per contribuire all'attrattiva dell'Europa come luogo per vivere e lavorare.

3.1.7.2   Fra le aree di punta vi sono:

infrastrutture tecnologiche;

reti di approvvigionamento energetico;

società della conoscenza e società digitale;

salute e mobilità;

tecnologie orizzontali, necessarie per le industrie dell'UE.

3.1.7.3   Secondo il CESE, occorre porre in un quadro rafforzato e coerente i vari approcci settoriali esistenti, quali:

le piattaforme tecnologiche europee;

le iniziative Lead markets;

i vari comitati consultivi di alto livello;

le piattaforme di innovazione, come LeaderShip, Cars 21, ICT Task force;

il Gruppo ad alto livello dell'industria chimica.

3.1.7.4   Il CESE ritiene inoltre che alcuni settori, particolarmente sensibili e promettenti, meriterebbero di essere sviluppati ulteriormente, quali:

lo spazio,

la mobilità sostenibile,

le sfide sociali del futuro in tema di cambiamento climatico,

le sfide competitive, come l'industria chimica, ingegneristica, e l'agroalimentare,

i settori ad alta intensità energetica.

4.   La dimensione esterna delle politiche UE, chiave di successo per l'industria UE

4.1   Come sottolineato dalla presidenza ungherese, «in tutto il mondo si sta verificando una trasformazione incredibilmente rapida e profonda e l'Europa deve essere in grado di sostenere una concorrenza mondiale molto più forte rispetto al passato».

4.2   20 milioni di imprese in Europa, in particolare quelle di piccole e medie dimensioni, guidate dai creatori, dai lavoratori, da artigiani e da imprenditori, devono poter innovare, rafforzare la loro competitività e creare posti di lavoro, con il sostegno di una politica industriale europea integrata nella sua dimensione esterna.

4.3   Il CESE si compiace delle conclusioni del Consiglio europeo del 17 dicembre 2010 in tema di competitività internazionale e di mercato unico.

4.4   In particolare il CESE sottolinea l'importanza di dotare le imprese di un quadro normativo intelligente, prevedibile e meno oneroso e di un migliore contesto imprenditoriale per le PMI, che consenta loro di operare con una visione a lungo termine.

Bruxelles, 4 maggio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Cfr. lettera a) dell'allegato I delle conclusioni del Consiglio europeo del 16 settembre 2010.

(2)  Circa tre quarti delle esportazioni dell'UE, fonte: DG Imprese.

(3)  Cfr. art. 3 del Trattato di Lisbona.

(4)  Cfr. COM(2010) 612 definitivo, Capitolo 4.

(5)  Cfr. iniziativa faro 10, COM(2010) 2020 definitivo.

(6)  Ibidem.

(7)  Come quelle imposte da Cina, India e altri paesi.

(8)  In Cina, Tailandia, India e Vietnam.

(9)  Cfr. parere CESE sul tema La dimensione esterna della strategia di Lisbona rinnovata, GU C 128/2010, pag. 41.


23.7.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 218/31


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Le imprese pubbliche dei paesi terzi sui mercati UE degli appalti pubblici» (parere di iniziativa)

2011/C 218/06

Relatore: ROSSITTO

Correlatore: PAETZOLD

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 settembre 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Le imprese pubbliche dei paesi terzi sui mercati UE degli appalti pubblici.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 aprile 2011.

Alla sua 471a sessione plenaria, dei giorni 4 e 5 maggio 2011 (seduta del 4 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 152 voti favorevoli, 4 voti contrari e 9 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) considera una carta vincente l'apertura dei sistemi d'appalto di tutti i paesi alla concorrenza internazionale, sulla base dell'Accordo sugli appalti pubblici AAP/OMC: esso garantisce reciprocità e simmetria normativa e sostanziale, e permette di contrastare misure protezionistiche e pratiche di concorrenza sleale; nonostante accordi specifici con paesi emergenti, in conformità al diritto primario e derivato UE in materia e alle sentenze della Corte di giustizia UE.

1.2   Per il CESE, l'UE deve accrescere il potere negoziale per migliorare - sulle basi del suo diritto primario e derivato - l'accesso ai mercati pubblici dei paesi terzi dato che l'UE ha aperto più dell'80 % dei suoi mercati pubblici e le altre grandi economie sviluppate non hanno aperto i loro che per un 20 %.

1.3   Il CESE chiede con forza a PE, Consiglio e Commissione, di assicurare, sia sul piano interno che su quello internazionale, una difesa più efficace e più strategica degli interessi UE in tema di accesso ai mercati pubblici, rafforzando la sua credibilità mondiale ma anche la longevità e lo sviluppo del modello economico e sociale europeo.

1.4   A parere del CESE, le imprese appaltatrici devono essere messe nelle stesse condizioni di concorrenza di mercato volte a garantire una concorrenza equa a parità di condizioni (level playing field), su basi di reciprocità con imprese di paesi terzi rispettose dei principi cardine degli appalti internazionali specie in tema di aiuti di Stato diretti o indiretti vietati, di metodi di calcolo dei prezzi, di presa in conto precauzionale di costi e rischi.

1.5   Il CESE raccomanda ai legislatori del mercato interno dell'UE e ai negoziatori UE in ambito internazionale su appalti pubblici internazionali coerenza e consapevolezza sulle possibili conseguenze reciproche nell'esercizio delle loro attività, promuovendo: parità di trattamento, non discriminazione, mutuo riconoscimento, proporzionalità, trasparenza, lotta alla corruzione, rispetto di standard sociali e ambientali, rispetto dei diritti fondamentali.

1.6   Il CESE ritiene indispensabile avviare un controllo sistematico della coerenza tra risultati dei negoziati condotti dalla Commissione su mandato degli Stati membri, a livello bilaterale e multilaterale, e l'applicazione consequenziale, totale ed effettiva da parte degli Stati membri, delle misure adottate.

1.7   Per il CESE, sarebbe opportuno convertire l'Accordo AAP da plurilaterale a multilaterale, con nuove adesioni e misure transitorie in tema di compensazioni, preferenze di prezzo, introduzione di enti o settori e di nuove soglie, e riprendere con forza l'idea di escludere pro tempore dall'AAP gli appalti finanziati con fondi europei per le imprese dei paesi che mantengono misure di protezione nazionali.

1.8   Il CESE chiede la rapida adozione dell'iniziativa annunciata sulle condizioni d'«accesso delle imprese dei paesi terzi al mercato europeo degli appalti pubblici»- MASP con meccanismi chiari, trasparenti e verificati di apertura reciproca dei mercati per garantire accessi simmetrici ai mercati pubblici, adeguando di conseguenza il pacchetto appalti del 2004.

1.9   Secondo il CESE, occorre rafforzare l'approccio basato sulla prevenzione e su un sistema di «allarme rapido» sui progetti e/o sul varo di normative di paesi terzi restrittive in tema d'appalti, per l'individuazione e la denuncia internazionale di potenziali ostacoli sin dalla fase iniziale, affinando la banca dati CE sull'accesso ai mercati, con informazioni affidabili e rapidamente accessibili su bandi di gara e formalità e specifiche tecniche di capitolato, specie per le nostre PMI, corredate da basi statistiche e indicatori d'impatto dei fenomeni distorsivi.

1.10   Il CESE raccomanda misure di snellimento e semplificazione delle procedure, adeguandole alle nuove sfide a livello UE, per garantire che le stazioni appaltanti, a livello interno ed internazionale, sfruttino appieno le potenzialità economiche ed innovative delle PMI, anche attraverso formazione, informazione ed assistenza ad appaltatori e partecipanti a bandi di gara internazionali e su mercati terzi, specie per i loro quadri e dirigenti.

2.   Introduzione

2.1   Nell'UE il volume annuo degli appalti del settore pubblico per beni e servizi rappresenta circa il 17 % del PIL, pari a circa 2 100 miliardi di euro: di questi il 3 % circa sta sopra la soglia GPA - Government Procurement Agreement nel quadro dell'accordo dell'OMC sugli appalti pubblici (1). La consistenza del mercato globale degli appalti pubblici è stimata tra il 10 ed il 20 % del PIL, non esistendo dati comparabili per paesi non membri del GPA: il livello globale degli appalti pubblici si pone ben al disopra del 10 % del PIL mondiale.

2.2   Le imprese europee, dalle grandi imprese globali alle PMI più intraprendenti, lottano per imporsi sui mercati mondiali ma riscontrano crescenti difficoltà nell'accesso al mercato degli appalti pubblici, non tanto legate agli ostacoli alle frontiere, quanto a ostacoli «oltre frontiera» più complessi e tecnicamente più problematici, di più lunga individuazione, analisi ed eliminazione, con norme e pratiche restrittive che rischiano di impedire alle imprese UE di partecipare efficacemente alle gare d'appalto pubbliche nei paesi terzi.

2.3   Il presente parere d'iniziativa concerne un aspetto specifico del mercato degli appalti pubblici come indicato nel titolo: studiare ed indicare - in relazione alla partecipazione di imprese pubbliche di paesi terzi a gare d'appalto nel mercato UE - in qual modo l'UE possa:

assicurare il buon funzionamento del suo mercato interno in tema di appalti,

garantire che imprese pubbliche di paesi terzi siano autorizzate ad operare sul mercato europeo nel rispetto delle stesse condizioni e criteri d'ammissione di tutte le altre imprese,

garantire parimenti reciprocità e simmetria d'accesso offerte a imprese europee sui mercati pubblici terzi.

Altri aspetti in tema d’appalti sono o saranno oggetto di pareri CESE.

2.4   Il collegamento tra l'apertura del commercio estero e le riforme del mercato interno è a doppio senso: se in entrambi i casi lo scopo è quello di ridurre il costo di barriere regolamentari non necessarie che impediscono il flusso dei beni, dei servizi e degli investimenti, la crescente interdipendenza tra il mercato interno e i mercati internazionali richiede che i legislatori del mercato interno dell'UE e i negoziatori UE del commercio internazionale e degli appalti pubblici internazionali siano consapevoli di possibili conseguenze reciproche nell'esercizio delle loro attività, e applichino una politica coerente orientata alla promozione dei principi di diritto primario e secondario UE come confermati dalla Corte di giustizia e dalla Carta dei diritti fondamentali:

Rispetto dei diritti umani

Lotta alla corruzione

Rispetto degli standard sociali e ambientali

Trasparenza

Proporzionalità

Parità di trattamento

Non discriminazione

Mutuo riconoscimento

2.5   Nei settori di standard e regolamentazioni, servizi, investimenti e appalti pubblici nonché diritti di proprietà intellettuale, sistemi di certificazione, in vari nostri partner commerciali permangono spesso procedure onerose, mancanza di trasparenza e misure di politica industriale volte a sostituzioni forzate delle importazioni, a trasferimenti forzosi di tecnologia e a un accesso preferenziale alle materie prime per i produttori locali.

2.6   Mentre le imprese UE subiscono una concorrenza crescente sul proprio mercato interno, che ha privilegiato un'apertura trasparente con grossi sforzi per creare nell'UE un mercato interno privo di barriere, è ora emerso chiaramente che tale apertura rende questo mercato interno completamente privo di difese nei confronti di attori dei mercati dei paesi terzi, non impegnati a praticare la stessa apertura sui loro mercati.

2.7   L'UE ha norme severe in materia, volte a garantire una concorrenza equa a parità di condizioni (level playing field) mentre l'esperienza mostra che nessuna di queste norme si applica a imprese pubbliche dei paesi terzi specie quando esse partecipano ad appalti pubblici - contravvenendo ai principi stessi che sono alla base del mercato interno, con forti danni per l'industria e l'economia europea.

2.8   Il CESE ritiene necessario esaminare come l'UE possa garantire il buon funzionamento del mercato interno anche nei casi in cui le imprese pubbliche di paesi terzi siano ammesse a operare su tale mercato, mantenendo alta la guardia nella lotta al protezionismo, ma contrastando tutte le forme di dumping sociale e ambientale (2), di opacità di costi e prezzi e di sovvenzioni statali, non rispetto delle normative di bilancio e delle regole di libero mercato, nell'interesse dei consumatori, delle imprese e dei contribuenti europei.

2.9   Nell'Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio, gli appalti pubblici sono stati espressamente esclusi dall'obbligo di base sul trattamento nazionale come dagli impegni dell'Accordo generale sul commercio dei servizi: occorre però considerare (3) che entro il 2015, il 90 % della crescita mondiale sarà generato fuori dell'Europa, un terzo del quale solo dalla Cina: nei prossimi anni, avremo bisogno di cogliere l'opportunità offerta dagli elevati livelli di crescita dei paesi terzi, specie nell'Asia orientale e meridionale.

2.10   Se il nostro mercato è già notevolmente aperto, quello dei nostri principali partner commerciali lo è molto meno, soprattutto a livello regionale e locale. Basta considerare qualche esempio in vari continenti:

2.10.1   In CINA, i livelli di apertura del mercato rimangono ancora molto al di sotto delle potenzialità. La Cina, con un PIL pari a EUR 3 573,8 di miliardi nel 2009, ha esportato nello stesso anno nell'UE EUR 227 miliardi di beni e servizi e ne ha importati dall'UE per EUR 99,7 miliardi. Le clausole «buy local» esistono dal 2003, come previsto dall'art. 10 del GPL - Government Procurement Law, mentre nel 2007 tale politica del «Buy Chinese» è stata rafforzata da due decreti che limitano la possibilità di appalti per beni stranieri a quando i prodotti indigeni siano «irragionevolmente» più cari e di minore qualità. Nel 2009 tale norma è stata interpretata rigidamente impedendo ogni residua possibilità, specie per prodotti high-tech e innovativi, mentre uno stretto controllo è stato decretato per appalti di costruzione nei «pacchetti di stimolo interno» 2008 e 2009. Nel novembre 2009, la Cina ha introdotto una «Indigenous Innovation Product Accreditation List» mentre nel 2010 lo State Council ha proposto cambiamenti quanto alle imprese a controllo statale per portare queste ultime ad operare sul solo mercato domestico. Al contempo però ha erogato aiuti di Stato all'industria cinese high-tech per essere più competitiva sui mercati esteri (4).

2.10.1.1   Nel campo degli appalti di lavori, la Cina ha abbandonato un sistema di licenze per il «project management», il «construction management» e altri servizi di costruzione, per sostituirli con un nuovo sistema WFOCE (Wholly Foreign Owned Construction Enterprise) e di JV (joint venture), nel quale le imprese straniere sono di fatto escluse da progetti oggetto di gare d'appalto nazionali (NCB) mentre sono ammesse solo alle rare gare d'appalto internazionali (ICB) per progetti domestici: entrambi i sistemi - WFOCE e JV - devono rispondere al sistema cinese di qualificazione che prevede un capitale nominale almeno 5 volte il valore del progetto, uno staff di personale chiave di almeno 300 membri residenti per almeno un anno in Cina, le referenze di previi lavori eseguiti in Cina e, per le JV, la presa in considerazione del partner con la qualifica più bassa (5).

2.10.1.2   L'offerta attuale da parte cinese nei negoziati OMC nel quadro dell'Accordo sugli appalti pubblici - GPA non include la stragrande maggioranza dei lavori di costruzione suscettibili d'interesse da parte delle imprese europee, né a livello di attività né a livello di stazioni appaltanti.

2.10.1.3   In RUSSIA - che non è parte dell'AAP/OMS - una normativa del ministero per lo Sviluppo economico del dicembre 2008 impone condizioni restrittive per l'accesso ad appalti governativi e municipali accordando una preferenza ai prodotti e servizi nazionali fino ad un 15 % in più del loro valore, mentre sono state adottate nel 2009 misure anti-crisi «Buy Russian».

2.10.2   In BRASILE, la legge sugli appalti pubblici è stata modificata nel luglio 2010 per permettere alle autorità appaltanti di riservare un margine del 25 % ai beni e servizi prodotti interamente o parzialmente in Brasile. Il Brasile ha registrato nel 2009 un PIL di EUR 1 128,5 miliardi (6).

2.10.3   Negli USA, il Congresso ha modificato in senso più accentuato i requisiti «Buy American» dell'American Recovery and Reinvestment Act (ARRA) (7). Il PIL degli USA nel 2009 è stato pari a EUR 10 122,6 miliardi con un export di beni e servizi verso l'UE di circa EUR 286,8 miliardi ed un import dall'UE di EUR 323,8 miliardi, sempre nel 2009 (8).

2.10.4   In GIAPPONE - il 7o maggiore mercato d'export UE con EUR 36 miliardi d'export contro EUR 56,7 d'import nel 2009 - le imprese UE hanno difficoltà d'accesso agli appalti pubblici, malgrado il Giappone sia parte dell'AAP/OMC: solo il 4 % di tutti gli appalti è stato aperto ad imprese UE per circa EUR 22 miliardi (2007) pari a meno dello 0,7 % del PIL giapponese mentre il Giappone ha goduto d'un accesso al mercato pubblico UE per EUR 312 miliardi, pari al 2,5 % del PIL UE (9).

2.10.5   In VIETNAM, è stata varata nell'aprile 2010 una direttiva sull'uso dei prodotti e materiali nazionali e sugli appalti di tali prodotti finanziati con fondi statali. Il Vietnam ha raggiunto nel 2009 un PIL di EUR 66,8 miliardi con un export di beni verso l'UE di EUR 7,8 miliardi ed un import dall'UE EUR 3,8 miliardi.

2.10.6   In AUSTRALIA, due Stati hanno adottato nel 2009 norme sugli appalti pubblici giudicati strategici - sopra i 250 milioni AUS $ - che vengono sottoposti a requisiti del 40 % di prodotti locali (australiani/neozelandesi) nello Stato di Victoria, mentre in quello del Nuovo Galles del Sud viene stabilita una preferenza di prezzo del 20 % cui si aggiungono, secondo i casi, preferenze addizionali dal 2,5 al 5,0 %. L'Australia ha registrato un PIL di EUR 712,8 miliardi nel 2009 con un export di beni e servizi verso l'UE di EUR 14,4 miliardi ed un import di EUR 34,1 miliardi.

2.11   Vi sono invece casi come quello della TURCHIA, dove il sistema degli appalti pubblici è migliorato dopo l'adozione della legge n. 5812 del 2008 che ha allineato le disposizioni interne a quelle comunitarie: gli appalti per forniture di beni, lavori e servizi sono basati su meccanismi aperti di competizione, anche se deve essere perfezionata la trasposizione delle direttive UE con i sistemi di ricorso (10). Gli appalti sopra la soglia UE sono stati nel 2008: EUR 7 303 milioni per i lavori; EUR 8 459 per servizi; EUR 8 042 per beni.

3.   Il quadro normativo attuale

3.1   Attualmente il quadro normativo che regola il mercato degli appalti pubblici per le imprese europee è rappresentato da:

il quadro comunitario di base costituito dalle direttive appalti del 2004: la direttiva 2004/18/CE concernente il coordinamento delle procedure d'appalto pubblico di lavori, forniture e servizi e la direttiva 2004/17/CE che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali insieme con la direttiva 2007/66/CE sulla revisione delle procedure dei bandi di gara d'appalto ed il Codice di best practices per l'accesso delle PMI alle gare d'appalto (11), nonché le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE,

il Trattato che ha introdotto nel diritto primario UE un riconoscimento del diritto all'autonomia regionale e locale con possibilità per le autorità pubbliche di ricorrere a propri strumenti per adempiere alle loro missioni di servizio pubblico, quali varie forme di partenariato pubblico-pubblico,

numerose sentenze della Corte di giustizia UE in materia d'appalti,

lo strumento cardine per l'apertura degli appalti internazionali rappresentato dell'Accordo plurilaterale OMC sugli appalti pubblici - AAP, attualmente in fase di revisione, mentre l'Accordo generale dell'OMC sugli scambi di servizi (GATS) esclude gli appalti pubblici dalle principali disposizioni del GATS sull'accesso ai mercati, salvo mandato di negoziazione multilaterale sugli appalti di servizi dove la Comunità svolge un ruolo trainante per impegni in tema d'accesso al mercato e divieto di discriminazione negli appalti di servizi con norme procedurali comuni in merito agli acquisti,

clausole «appalti» in accordi di libero scambio (ALS), accordi d'associazione (AA), accordi di partenariato e cooperazione (APC), accordi di stabilizzazione e associazione (ASA), accordi di partenariato economico (APE), accordi interinali sugli scambi e sulle questioni commerciali (AI) e accordi di cooperazione commerciale ed economica,

applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni ai partenariati pubblico-privato istituzionalizzati.

4.   Osservazioni

Il CESE considera una carta vincente l'apertura dei sistemi d'appalto di tutti i paesi alla concorrenza internazionale, sulla base dell'Accordo AAP/OMC poiché garantisce reciprocità e simmetria regolamentari e sostanziali e permette di contrastare le misure protezionistiche e le pratiche di concorrenza sleale, nonostante accordi specifici con paesi emergenti.

4.1   Il CESE sottolinea i dati emersi da recenti indicazioni della Commissione che «entro il 2015, il 90 % della crescita mondiale sarà generato fuori dall'Europa, 1/3 del quale dalla sola Cina» (12).

4.2   Il CESE condivide il principio che per sviluppare i propri vantaggi competitivi, l'UE deve «assicurare una difesa più efficace e più strategica dei suoi interessi», rafforzando «la sua credibilità sulla scena mondiale ma anche la longevità e lo sviluppo del modello economico e sociale europeo»: «per essere più credibile, l'Europa deve accrescere il suo potere di negoziazione per migliorare l'accesso ai mercati dei paesi terzi» dato che «l'Unione ha aperto più dell'80 % del suo mercato degli appalti pubblici mentre le altre grandi economie sviluppate non hanno aperto i loro che per un 20 %» (13).

4.3   Secondo il CESE, in tema di appalti pubblici, il quadro regolamentare comunitario attualmente in essere si presenta adeguato - in linea di principio - ed è ritenuto sufficiente per disciplinare il mercato europeo sotto gli aspetti economici, sociali e ambientali. Sfortunatamente vi sono taluni Stati membri che non sfruttano appieno le possibilità offerte da tale quadro regolamentare per assicurare una concorrenza leale e rischiano di aprire i loro mercati senza basi di reciprocità a imprese di Stato di paesi terzi che non rispettano i principi cardine degli appalti internazionali: è però indispensabile che tali regole siano rispettate con rigore, cosi come i principi fondamentali dei Trattati e della Carta dei diritti fondamentali - CDF.

4.4   Il CESE ritiene che la cooperazione pubblico-pubblico non deve creare mercati paralleli che sfuggono alle regole degli appalti pubblici ed escludono gli operatori privati.

4.5   L'UE ha la vocazione di essere un'economia aperta e fautrice del libero scambio offrendo un accesso sicuro sul piano giuridico e non discriminatorio a un ampio numero di appalti; occorre garantire al tempo stesso confidenzialità e trasparenza per promuovere l'innovazione ed un mercato degli appalti pubblici sostenibile che:

privilegi l'offerta economicamente più vantaggiosa rispetto a quella più bassa,

consideri l'intero ciclo di vita dell'opera.

4.6   A parere del CESE, le imprese appaltatrici devono essere messe tutte nelle stesse condizioni di concorrenza di mercato: al riguardo, il CESE solleva dubbi sulle condizioni di partecipazione delle cosiddette «imprese di Stato» di paesi terzi, soprattutto in termini di aiuti di Stato diretti o indiretti vietati, metodo di calcolo dei prezzi, presa in conto precauzionale di costi e rischi. Di fatto il mercato europeo garantisce l'accesso senza garantire adeguatamente dalla concorrenza sleale con forti rischi di possibili dumping sociale e ambientale e di non rispetto del corpus etico dei Trattati e CDF da parte di tali «imprese» di Stato.

4.7   Per il CESE, è necessario:

4.7.1

insistere nei negoziati internazionali e con paesi terzi sul fatto che valori, diritti e principi fondamentali dell'Unione, come stabiliti dal diritto primario dell'Unione sulla base dei Trattati e della CDF devono essere rispettati e sono «non negoziabili».

4.7.2

Parlare con voce unica, forte, coerente e solidale nei negoziati internazionali, evitando azioni nazionali singole che possano danneggiare la posizione negoziale comune e operando un benchmarking delle aperture effettive dei mercati nazionali nei termini e limiti previsti dagli accordi conclusi a livello europeo.

4.7.3

Realizzare un maggior coordinamento tra servizi della Commissione che trattano dei diversi aspetti dei negoziati commerciali, industriali, di cooperazione, in accordo con le norme relative agli appalti a livello multilaterale dell'Accordo AAP 1994 -, negli ALS di nuova generazione, negli accordi di partenariato e cooperazione - APC, o in accordi di associazione - AA nel quadro del partenariato euromediterraneo, con approcci più mirati sugli ostacoli non tariffari e pressioni per l'apertura degli appalti a imprese UE.

4.7.4

Convertire l'Accordo AAP da plurilaterale a multilaterale, con nuove adesioni e misure transitorie in tema di compensazioni, preferenze di prezzo, introduzione di enti o settori e soglie più alte.

4.7.5

Escludere pro tempore dall'AAP gli appalti finanziati con fondi europei per imprese dei paesi che mantengono misure di protezione nazionali, idea che è già avanzata dal CESE in diversi pareri precedenti (14).

4.7.6

Applicare in modo circostanziato i principi di reciprocità e proporzionalità per taluni settori, nelle «Note generali e deroghe alle disposizioni dell'articolo III dell'Appendice I della CE» dell'AAP.

4.7.7

Imporre alle imprese dei paesi terzi le stesse condizioni imposte alle imprese europee sui loro mercati: l'UE non può continuare a fondare i negoziati su reciprocità formali invece che su reciprocità economica effettiva; in caso di squilibri una clausola di salvaguardia sospensiva dell'accordo deve essere prevista.

4.7.8

Che qualora partner commerciali di rilievo beneficino della generale apertura UE, senza reciprocità, l'UE consideri l'introduzione di restrizioni mirate d'accesso a settori degli appalti UE, per spronarli a proporre una reciproca apertura del mercato.

4.7.9

Adottare quanto prima l'iniziativa sulle condizioni di «Accesso delle imprese dei paesi terzi al mercato europeo degli appalti pubblici - MASP» con meccanismi chiari, trasparenti e verificati per un'apertura reciproca dei mercati e garantire un accesso simmetrico ai mercati pubblici nelle economie sviluppate e nelle grandi economie emergenti nei settori contemplati dalla direttiva 2004/17/CE (15) e nel work program 2011 (16).

4.7.10

Avviare una maggiore cooperazione tecnica tra rappresentanti degli Stati membri e Commissione sull'accesso ai mercati e consultazioni più frequenti con rappresentanti dell'industria.

4.7.11

Stabilire stretti controlli, e misure che ne garantiscano l'applicazione reale, dell'assenza di aiuti di Stato diretti o indiretti - considerati vietati nell'UE - soprattutto per i bandi di gara comunitari che beneficiano di finanziamenti comunitari, della BEI, dei fondi strutturali o per le reti europee, con il pieno rispetto di garanzie per standard sociali e ambientali comunitari.

4.7.12

Affinare la banca dati sull'accesso ai mercati della Commissione, con informazioni affidabili e accessibili su bandi di gara e formalità e specifiche tecniche di capitolato che di fatto impediscano la partecipazione nei paesi terzi, fornendo basi statistiche e indicatori d'impatto dei fenomeni distorcenti.

4.7.13

Rafforzare l'approccio basato sulla prevenzione e un sistema di «allarme rapido» sui progetti e/o sul varo di normative di paesi terzi, restrittive in tema d'appalti per consentire l'individuazione e la denuncia internazionale di potenziali ostacoli sin dalla fase iniziale e affrontarli alla fonte con il ricorso sistematico alla procedura di notifica nel quadro dell'Accordo sugli ostacoli tecnici agli scambi.

4.7.14

Introdurre misure a livello UE per le PMI per garantire che le stazioni appaltanti a livello interno ed internazionale sfruttino le potenzialità economiche e innovative delle PMI.

4.7.15

Garantire formazione, informazione e assistenza a partecipanti a bandi di gara internazionali e su mercati terzi, specie ai loro quadri e dirigenti, riconoscendo quanto a difesa commerciale, accesso ai mercati e informazione, le criticità inerenti alle loro dimensioni.

4.7.16

Prevedere modifiche all'art. 55, par. 3, della direttiva 2004/18/CE e all'art. 57, par. 3, della direttiva 2004/17/CE sulle offerte anormalmente basse, in modo da rendere impossibile l'accettazione di offerte presentate da imprese di Stato che non portino la prova che la propria offerta non beneficia di alcun aiuto di Stato, diretto o indiretto, vietato dalle regole comunitarie: un esempio in tal senso di «test di aiuti di Stato» si trova nell'All. 4 della US Millennium Challenge Corporation.

4.7.17

Aggiungere come caso d'esclusione obbligatoria all'art. 45 (17) della direttiva 2004/18/CE e all'art. 54 (18) della direttiva 2004/17/CE, l'infrazione dei diritti di proprietà intellettuale, rispetto ad utilizzo di brevetti o dati tecnici acquisiti fraudolentemente.

4.7.18

Assicurare che i futuri strumenti giuridici europei sulla libera circolazione dei lavoratori dei paesi terzi non incentivino imprese di Stato di paesi terzi che beneficiano di aiuti di Stato vietati.

4.7.19

Assicurare la pubblicazione rapida e circostanziata in una banca dati UE centralizzata, di norme e pratiche restrittive in tema di appalti pubblici, che impediscono alle imprese UE di partecipare efficacemente a gare d'appalto nei paesi terzi, quali: atti legislativi «Buy Local» o con percentuali crescenti di «Local Content» o con «pacchetti di stimolo» per tecnologie e innovazioni locali o per «Economic Recovery» nazionali, che privilegiano i contesti locali e discriminano possibilità d'accesso di imprese di altri paesi.

4.7.20

Rafforzare ulteriormente coerenza e complementarietà tra politiche interne e politica estera dell'UE, dando seguito alle indicazioni del Consiglio europeo del settembre 2010 di «rivedere l'interfaccia tra politica industriale e politica della concorrenza alla luce della globalizzazione e di promuovere condizioni di parità» (19).

Bruxelles, 4 maggio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Cfr. fonte stime della Commissione europea in COM(2010) 612 definitivo.

(2)  Cfr. COM(2010) 612 definitivo.

(3)  Ibidem.

(4)  Una preoccupazione centrale in materia di appalti pubblici e di proprietà intellettuale è la politica di «innovazione nazionale» (indigenous innovation) volta a sostenere le aziende cinesi nel loro movimento verso l'alto nella catena del valore. Il regime per l'innovazione nazionale annunciato per la prima volta nel novembre 2009 ostacola fortemente l'accesso al mercato degli appalti cinese in un ampio ventaglio di settori innovativi, dalla tecnologia verde alle telecomunicazioni (cfr. SEC(2011) 298 definitivo - non disponibile in italiano).

(5)  Cfr. comunicazione CE, documento dell'OMC n. «s/c/w/286», par. 15-19; inoltre l'acquisto di una impresa cinese da parte di una società estera annulla le qualifiche acquisite dall'impresa cinese che deve ripartire da zero.

(6)  2010/7 Modifiche alla legge brasiliana sugli appalti pubblici introducono una clausola «Buy Brazilian» su «base temporanea».

(7)  La legislazione include due nuove disposizioni Buy American: una disposizione vieta che i fondi stanziati da questa legge vengano utilizzati per progetti di costruzione, modifica, manutenzione oppure riparazione di un edificio pubblico o di un'opera pubblica a meno che la totalità del ferro, dell'acciaio e dei beni manufatti impiegati nel progetto non siano prodotti USA; l'altra vieta che i fondi stanziati da questa legge siano usati per l'acquisto da parte della Homeland Security di un elenco dettagliato di prodotti tessili, a meno che questi non siano coltivati e trasformati negli USA.

(8)  Un ulteriore esempio è dato dalla disposizione in base alla quale al governo USA è fatto divieto di effettuare acquisti dalle cosiddette «inverted companies» ovvero imprese originariamente statunitensi che hanno cambiato giurisdizione fiscale per passare al sistema fiscale di un altro paese, disposizione che solleva gravi perplessità sulla sua compatibilità con il GPA dell'OMC. Ne risulta infatti che un'impresa UE stabilita negli USA non può effettuare vendite al governo USA, anche se dovrebbe essere protetta dal GPA.

(9)  Cfr. SEC(2011) 298 definitivo.

(10)  Turkey Public Procurement Assessment 2009 - SIGMA Support for Improvement in Governance and Management. A joint initiative of OECD/EU («Turchia - Valutazione degli appalti pubblici 2009. Sostegno per miglioramenti nella governance e nella gestione. Un'iniziativa congiunta OCSE/UE»).

(11)  Documento di lavoro dei servizi della Commissione SEC(2008) 2193.

(12)  COM(2010) 612 definitivo sez. 1.

(13)  Dichiarazione comune 9.2.11 di Francia, Germania, Spagna, Portogallo, Italia e Polonia per una migliore reciprocità tra UE e i suoi partner commerciali.

(14)  Parere CESE sul tema Gli appalti pubblici internazionali, GU C 224 del 30.8.2008, pag. 32.

(15)  COM(2009) 592 definitivo.

(16)  COM(2010) 612 definitivo e COM(2010) 623 definitivo vol. II pag. 36.

(17)  Art. 45 Situazione personale del candidato o dell'offerente.

(18)  Art. 54 Criteri di selezione qualitativa.

(19)  Cfr. Consiglio Competitività 10 dicembre 2010 - Conclusioni su una politica industriale integrata per l'era della globalizzazione, punto 15.


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

471a sessione plenaria del 4 e 5 maggio 2011

23.7.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 218/38


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni: Una politica industriale integrata per l'era della globalizzazione — Riconoscere il ruolo centrale di concorrenzialità e sostenibilità

COM(2010) 614 definitivo

2011/C 218/07

Relatore: VAN IERSEL

Correlatore: GIBELLIERI

La Commissione europea, in data 28 ottobre 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni: Una politica industriale integrata per l'era della globalizzazione - Riconoscere il ruolo centrale di concorrenzialità e sostenibilità

COM(2010) 614 definitivo

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI), incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 aprile 2011.

Alla sua 471a sessione plenaria, dei giorni 4 e 5 maggio 2011 (seduta del 4 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 119 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie favorevolmente la comunicazione sulla politica industriale quale iniziativa faro nell'ambito della strategia Europa 2020 e condivide decisamente l'approccio olistico e l'interconnessione sempre più stretta tra le politiche dell'UE, nonché il coordinamento approfondito nel settore dell'industria tra l'UE e gli Stati membri, al fine di rendere il settore industriale europeo competitivo e sostenibile nell'economia globale.

1.2

Il CESE sollecita il Consiglio e la Commissione a redigere un elenco di priorità e un calendario sulla base della comunicazione e delle relative conclusioni del Consiglio (1).

1.3

Secondo il CESE, una maggiore interconnessione delle politiche dovrebbe condurre, in un mercato interno pienamente sviluppato nell'ambito di un'economia sociale di mercato, ad approcci integrati attraverso la regolamentazione intelligente, la politica per la R&S e l'innovazione, l'accesso ai finanziamenti, un'economia a bassa intensità energetica e a basse emissioni di carbonio, la politica in settori come l'ambiente, i trasporti, la concorrenza e l'occupazione, il miglioramento delle capacità e delle competenze, il commercio e le questioni correlate, nonché l'accesso alle materie prime.

1.4

L'obiettivo di razionalizzare la pianificazione interna e il coordinamento in seno alle istituzioni dell'UE, e di focalizzare l'attenzione su una più stretta relazione tra l'Unione europea e gli Stati membri, mette il miglioramento della governance al centro della futura politica industriale. Occorre ottimizzare il coordinamento tra gli Stati membri, e anche le regioni e le aree metropolitane dovrebbero far proprio questo obiettivo. In poche parole, i collegamenti sia verticali, sia orizzontali in tutta Europa dovrebbero essere intensificati per rimanere al passo con gli altri continenti.

1.5

Il CESE evidenzia l'importanza delle relazioni annuali della Commissione sul tema delle politiche industriali nazionali che dovrebbero essere orientate verso obiettivi stabiliti congiuntamente. Le relazioni dovrebbero essere discusse apertamente per migliorarne il coordinamento, promuovere le buone prassi e rendere le condizioni di partenza in Europa sempre più uniformi per tutti.

1.6

Il CESE insiste sulla necessità di un livello adeguato di risorse finanziarie pubbliche e private per la competitività e l'innovazione volte a compensare le restrizioni di bilancio. Accoglie inoltre con soddisfazione l'annunciato miglioramento delle condizioni transfrontaliere per i capitali di rischio, così come le proposte relative ai project bond (obbligazioni europee per i progetti) pubblici e privati per investimenti in energia, trasporti e TIC (2). Sarebbe opportuno esaminare la possibilità di project bond per altri settori, come ad esempio i progetti di ricerca e dimostrativi. Anche i fondi strutturali e di coesione dovrebbero incentrarsi sugli obiettivi della politica industriale. Occorre sviluppare idee innovative per attirare i capitali privati verso il settore industriale.

1.7

La politica industriale riguarda tutta la gamma di servizi e settori manifatturieri interconnessi tra loro. I confini tra i vari settori tendono a scomparire, mentre cresce l'importanza delle PMI sia in termini di valore aggiunto che di creazione di posti di lavoro. Questi fattori rendono necessaria una legislazione e/o regolamentazione orizzontali e settoriali intelligenti affiancate da misure di accompagnamento. Si dovrebbe tenere conto della complessità delle reti internazionali e dei processi manifatturieri integrati.

1.8

In ragione degli elementi di complessità e delle molteplici interconnessioni, il CESE sottolinea il bisogno di un impegno (congiunto) da parte dei soggetti interessati del settore pubblico e privato, impegno che dovrebbe esplicarsi in gruppi di alto livello, piattaforme tecnologiche, dialogo sociale e programmi di istruzione.

1.9

Il CESE ribadisce le seguenti priorità:

necessità di legislazione intelligente, stabilità del quadro normativo, valutazioni adeguate ed ex post,

accesso al finanziamento a livello dell'UE: 7PQ/8PQ, PIC (3), BEI e FEI, segnatamente per le PMI,

l'Unione dell'innovazione dovrebbe essere strettamente connessa alla politica industriale, specialmente nel settore delle tecnologie abilitanti fondamentali e dell'industria ad elevata intensità energetica,

dovrebbe essere promosso il coordinamento tra le catene della conoscenza e anche al loro interno (centri di ricerca, università, imprese),

il brevetto europeo rappresenta un banco di prova per la credibilità della politica industriale,

coinvolgimento e partecipazione dei lavoratori,

necessità di istruzione e formazione a tutti i livelli, abbinata alla promozione dell'imprenditorialità per garantire un'occupazione stabile e di alta qualità e stipendi adeguati e sostenibili; necessità di comunicare le buone pratiche,

gli sviluppi dell'economia globale richiedono una politica commerciale attiva e un controllo efficace del mercato, ed esigono un'Europa che parli con una sola voce per garantire condizioni di partenza uniformi per tutti a livello globale,

la realizzazione di un'economia europea a basse emissioni di carbonio ed efficiente sotto il profilo delle risorse dovrebbe presupporre che l'UE esiga il rispetto degli stessi standard da parte dei suoi partner commerciali,

l'accesso alle materie prime e a fonti energetiche differenziate dovrebbe essere salvaguardato.

2.   Introduzione

2.1

Il «nuovo modello» di politica industriale risale all'aprile 2004 (4). All'epoca, dopo un prolungato processo di liberalizzazione e privatizzazione, le concezioni nazionali della politica industriale continuavano a presentare grandi differenze.

2.2

A livello di UE si è attribuita preminenza alle condizioni quadro capaci di valorizzare le industrie. In questo contesto sono stati effettuati studi settoriali.

2.3

Il CESE ha partecipato attivamente a tale evoluzione esprimendo, in una serie di pareri, la sua posizione sul rinnovato interesse, a livello di UE, per alcuni settori e le loro specifiche caratteristiche (5).

2.4

Nel frattempo, il contesto continua a cambiare. In seguito alla crisi economica e finanziaria, la divergenza di opinioni in ordine alla scelta della governance a livello UE, così come le prestazioni industriali divergenti negli Stati membri, influenzano la capacità dell'Europa di reagire alle trasformazioni.

2.5

Parallelamente, sono emersi nuovi temi e sfide sociali, tra cui l'invecchiamento demografico, la tutela del clima e lo sviluppo sostenibile, l'accesso all'energia, l'intensificarsi della globalizzazione, la società digitale e basata sulla conoscenza e i cambiamenti che hanno interessato il mercato del lavoro.

2.6

L'innovazione è all'ordine del giorno ed è promossa sia dalle ricerche e dalle tecnologie attuali, sia dall'aumentata concorrenza sui mercati nazionali ed esteri.

2.7

Nel corso dell'ultimo decennio, la scolarizzazione e la formazione a tutti i livelli sono state indicate, in misura crescente, come prioritarie.

2.8

A dispetto di progressi evidenti, si continuano a constatare la frammentazione del mercato interno e la mancanza di un orientamento preciso, in parte a causa della disparità degli approcci nei confronti delle imprese. La relazione che intercorre tra il completamento del mercato interno e le politiche industriali è troppo spesso ignorata. Il CESE ha già invitato più volte a creare condizioni adeguate, tenendo conto della necessità di stabilire per i settori e le questioni tematiche regole su misura che prendano in considerazione le reti di valori ampiamente ramificate a livello mondiale.

3.   Novità contenute nella comunicazione

3.1

L'oggetto della politica industriale consiste nel mantenimento di un settore manifatturiero forte in Europa e nel rafforzamento della consapevolezza generale da parte della società e delle parti interessate del fatto che l'UE deve valutare e creare le condizioni adeguate per consentire all'industria, manifatturiera e dei servizi, di svilupparsi con successo sui mercati nazionali ed esteri.

3.2

La politica industriale, nello stabilire un quadro di riferimento per una base industriale solida in Europa, che favorisca gli investimenti e la creazione di posti di lavoro, dovrebbe affrontare la sfida posta da incertezze e squilibri crescenti, oltre che dalla concorrenza agguerrita e dalle agende definite da altri attori mondiali.

3.3

La politica industriale è un'iniziativa faro nell'ambito della strategia Europa 2020, accanto ad altri settori altrettanto rilevanti quali l'innovazione, le competenze, il commercio e il mercato unico. L'approccio olistico sottolinea la necessità di coordinare efficacemente tutte le politiche dell'Unione, garantendone la coerenza. Il coordinamento e la coerenza, che comprendono la trasparenza e la visibilità delle politiche dell'UE che li affiancano, devono sostenere il progresso tecnologico e l'innovazione (segnatamente le tecnologie abilitanti fondamentali), la ristrutturazione, la creazione di posti di lavoro di qualità (6) e la presenza europea sui mercati internazionali.

3.4

Un nuovo strumento è offerto dalla proposta della Commissione relativa alla «prova di concorrenzialità» per mezzo di una procedura di valutazione, che deve andare oltre la semplice competitività in termini di prezzo o costi e includere fattori d'investimento e d'innovazione.

3.5

Viene assegnata priorità alla dimensione esterna della politica industriale, spesso trascurata. Lo stesso vale per la maggiore attenzione rivolta all'accesso alle materie prime quale condizione fondamentale per qualunque politica industriale.

3.6

Viene rilanciata l'importanza di un approccio orizzontale integrato, unito ad applicazioni settoriali e ad approcci individuali, della necessità di tenere conto dell'interconnessione tra i settori e dei legami tra le catene di valore e di approvvigionamento (essenziali per le PMI), reti e cluster, nonché dell'impatto dei servizi alle imprese e dell'accesso ai finanziamenti.

3.7

Parallelamente ai processi continui di trasformazione e di ristrutturazione in ampi comparti dell'industria europea, la comunicazione indica nuovi settori dove gli investimenti e l'occupazione sono in aumento, come l'industria spaziale (7), i nuovi servizi di sicurezza e le industrie culturali e creative.

3.8

Secondo il Comitato, importantissima e ambiziosa è la proposta della Commissione, basata sull'articolo 173 del Trattato di Lisbona, di pubblicare relazioni annuali sullo stato e sull'evoluzione delle politiche industriali nazionali che dovrebbero migliorare le analisi comuni e gli approcci e le politiche concordati congiuntamente.

3.9

Il CESE rileva con soddisfazione che il Consiglio Competitività approva pienamente il quadro delle linee d'azione strategiche dell'UE, quadro che renderà più agevole un approccio comune in merito alle priorità. L'aspetto più importante da sottolineare è che il Consiglio ribadisce altresì il bisogno di coordinamento delle politiche industriali degli Stati membri.

4.   Osservazioni generali

4.1

Considerata la situazione pressante, il CESE ritiene che la comunicazione sulla politica industriale e le conclusioni del Consiglio giungano in un momento molto opportuno.

4.2

Il fatto che la politica industriale sia una delle iniziative faro della strategia Europa 2020 dimostra che la Commissione è determinata ad elaborare una strategia coordinata sia a livello UE che negli Stati membri. L'impegno degli Stati membri è essenziale e urgente.

4.3

Il CESE insiste sull'importanza di un settore manifatturiero competitivo e sostenibile in Europa. A tal fine è necessaria una base industriale solida, collegata ai servizi fondamentali per l'industria. Fonti autorevoli mettono in evidenza uno spostamento graduale dell'occupazione dal settore manifatturiero ai servizi collegati all'industria, non solo verso i fattori produttivi intermedi ma anche verso i servizi forniti dagli stessi produttori (8).

4.4

Per plasmare il futuro occorrono politiche forti in settori come energia intelligente, nanotecnologie e scienze della vita, nuovi materiali, servizi alle imprese e media sociali ed è inoltre necessario espandere le TIC. L'Europa non possiede né un'Apple né un Google! La Cina, che sta recuperando terreno velocemente, è già in procinto di superare l'Europa in alcuni settori.

4.5

All'UE occorrono urgentemente una visione e un programma volti a migliorare gli investimenti produttivi e la produttività. Principi comuni ben definiti per un'azione nell'UE e negli Stati membri dovrebbero generare incentivi per programmi di investimento ambiziosi da parte di aziende e autorità pubbliche.

4.6

La politica industriale esige un livello adeguato di finanziamento pubblico e privato. Le riduzioni di bilancio cui si sta procedendo dovrebbero essere compensate da altre risorse finanziarie concordate congiuntamente (9).

4.7

Il CESE ritiene che vi siano tre temi principali che dovranno essere sviluppati ulteriormente nei prossimi anni:

l'interconnessione e l'interazione di un ampio spettro di politiche orizzontali e settoriali dell'UE,

le complesse reti internazionali e i processi produttivi integrati (10) e

la valutazione e il coordinamento rafforzato delle politiche nazionali a livello UE e tra gli Stati membri.

4.8

L'obiettivo di razionalizzare la pianificazione interna e il coordinamento in seno alle istituzioni dell'UE, e di focalizzare l'attenzione su una più stretta relazione tra l'Unione europea e gli Stati membri, mette il miglioramento della governance al centro della futura politica industriale.

4.9

Gli Stati membri sviluppano approcci e obiettivi industriali propri, tuttavia, per garantire il successo del «nuovo modello» di politica industriale dell'UE, il Consiglio dovrebbe elaborare le conclusioni del Consiglio Competitività come base per una cooperazione più stretta.

4.10

Il CESE condivide a pieno l'esigenza di promuovere un approccio olistico e integrato. Una maggiore interconnessione delle politiche è un concetto importante per un'economia sociale di mercato sostenibile in Europa. Ciò dovrebbe condurre a un approccio integrato al futuro industriale dell'Europa in un mercato interno operativo attraverso la regolamentazione intelligente, la politica per la R&S e l'innovazione, l'accesso ai finanziamenti, la politica energetica e di riduzione delle emissioni di carbonio, la politica ambientale, la politica dei trasporti, la politica della concorrenza, il miglioramento delle capacità e delle competenze, la politica commerciale e le questioni correlate, nonché l'accesso alle materie prime. Gli approcci settoriali consentiranno di amplificare le potenzialità. Questi argomenti sono oggetto di comunicazioni separate (11).

4.11

Il CESE è favorevole a una «prova di concorrenzialità» efficace che dovrebbe iniziare su base selettiva.

4.12

Mantenere, o addirittura rafforzare, le risorse finanziarie dell'UE nel settore della R&S è fondamentale. Grandi progetti europei come quelli in campo energetico e la realizzazione di un'infrastruttura paneuropea, cofinanziati da uno o più Stati membri, dovrebbero produrre un effetto leva.

4.13

I cluster industriali emergono in genere nei bacini industriali tradizionali che si sviluppano continuamente grazie a nuovi investimenti, alla tecnologia e all'innovazione, alle catene di valore, alle competenze e capacità, alle reti regionali e internazionali (12). Le regioni avanzate sono la punta di diamante dell'Europa.

4.14

Il CESE ritiene che la combinazione di politiche e azioni a livello UE, unitamente a informazioni più trasparenti e aggiornate in merito agli sviluppi nazionali, contribuirà in modo sostanziale alla realizzazione di un contesto con condizioni di partenza uniformi per tutti e di un mercato interno solido, il fulcro dell'integrazione europea.

4.15

I dati e le analisi sono fondamentali; per questo motivo il CESE elogia il dettagliato lavoro analitico svolto dalla Commissione. Analisi approfondite e dati precisi e comparabili a livello UE sono indispensabili per qualunque politica. Un monitoraggio e una valutazione più rigorosi e lungimiranti richiedono dati affidabili sulle tendenze dinamiche più recenti (13). Si stanno compiendo progressi, tuttavia rimane ancora molto da fare.

4.16

Oltre alle statistiche nazionali, Eurostat svolge un ruolo determinante, e dovrebbe essere dotato dei mezzi adeguati per raccogliere i dati giusti e analizzare tempestivamente le tendenze e le dinamiche in atto a livello europeo e globale. Dovrebbe disporre di strumenti migliori per accedere ai dati. Le informazioni dovrebbero essere disponibili il più rapidamente possibile garantendone la massima completezza.

5.    Governance a livello di Unione europea, approcci orizzontali e specifici: settori e reti del valore

5.1

La combinazione delle attività della Commissione in un unico concetto sottolinea la necessità di una decompartimentazione, al fine di aumentare visibilità ed efficienza.

5.2

La politica industriale resta in una certa misura nazionale. L'elenco dei settori menzionati nella comunicazione in cui l'UE (Commissione, Consiglio, Parlamento europeo) ha la responsabilità di agire o può intervenire è comunque notevole. In quest'ottica, il quadro coerente della strategia Europa 2020 offre promettenti opportunità.

5.3

Il CESE concorda con le intenzioni politiche della Commissione. Tuttavia, il ruolo della Commissione non è sempre definito in modo chiaro, in parte a causa dell'assenza di competenze formali in numerosi ambiti. In alcuni settori, tra cui l'energia, continuano a prevalere gli obiettivi e le procedure nazionali e le competenze della Commissione e degli Stati membri non sono applicate in modo coerente.

5.4

Di conseguenza, l'autorità e l'efficacia del Consiglio Competitività che, insieme alla Commissione, stabilisce gli obiettivi ed è responsabile della regolamentazione di una vasta gamma di materie, andrebbero rafforzate.

5.5

Il CESE invita il Consiglio e la Commissione a elaborare un elenco operativo di priorità con il relativo calendario. Tali priorità devono interessare anche le infrastrutture economiche, quali le reti di trasporto avanzate, le fonti energetiche diversificate e l'accesso a tali fonti, l'agenda digitale e le TIC.

5.6

La dimensione esterna del mercato interno e l'obiettivo di disporre di condizioni uniformi a livello globale richiedono sempre più una politica commerciale attiva e un servizio diplomatico europeo efficace.

5.7

Ancora una volta, l'industria sta vivendo trasformazioni fondamentali trainate dalla R&S e dall'innovazione, dalle modifiche alla regolamentazione e dai mercati internazionali dell'industria e dei servizi. Tali sviluppi interessano tutti i settori. Le priorità definite nei vari programmi di lavoro dell'UE dovrebbero riflettere le tendenze emergenti al fine di garantire le condizioni quadro adatte e includere un'agenda concreta in grado di fornire orientamenti e sicurezza per gli investimenti industriali. Un quadro normativo stabile di lungo periodo è indispensabile.

5.8

La relazione tra politica industriale e mercato unico è di primaria importanza. Il CESE insiste perché, insieme a politiche industriali più specifiche, il processo decisionale relativo all'Atto per il mercato unico ribadisca in modo chiaro il ruolo della Commissione e dell'UE e la necessità di condizioni uniformi a livello europeo.

5.9

Il CESE ribadisce la necessità di mantenere l'obiettivo del 3 % del PIL per la spesa destinata alla R&S. La riduzione delle risorse finanziarie non dovrebbe mettere a repentaglio forze innovative fondamentali.

5.10

Per quanto attiene all'efficienza e al valore aggiunto di politiche e strumenti finanziari, il CESE ha accolto con favore, in vari pareri, la costituzione di gruppi settoriali di alto livello, le piattaforme tecnologiche, la promozione di cluster innovativi e la cooperazione transfrontaliera tra gruppi di ricerca e centri di ricerca, tutti sostenuti da finanziamenti dell'UE; a suo parere sarebbe opportuno sviluppare progetti dimostrativi ed esemplificativi.

5.11

Un progetto riuscito è l'iniziativa sui mercati guida per diminuire gli ostacoli a prodotti e servizi in sei importanti settori (14). Analogamente, l'UE dovrebbe avviare nuovi progetti industriali come, per esempio, i veicoli puliti ed efficienti sul piano energetico, la cattura e stoccaggio del carbonio, le reti paneuropee, le attività spaziali e le tecnologie abilitanti fondamentali.

5.12

Il CESE considera l'adozione del brevetto europeo un banco di prova per la credibilità della politica industriale dell'UE. Nel caso in cui non fosse possibile adottare adesso il brevetto europeo per l'UE nel suo insieme, sarebbe opportuno iniziare per il momento con un numero limitato di paesi.

5.13

In generale, nell'attuale contesto mondiale la tutela dei diritti di proprietà intellettuale è altamente prioritaria.

5.14

Gli approcci delineati specificamente per i diversi settori sono essenziali al fine di conseguire una regolamentazione migliore e più mirata e sviluppare gli strumenti e le misure necessari.

5.15

Ciononostante, la globalizzazione, la frammentazione delle catene di approvvigionamento tra i confini nazionali e la stretta interdipendenza tra i vari attori rendono meno rilevante da un punto di vista politico una visione dell'industria «tradizionale» settore per settore. Ciò non significa negare l'esistenza di problemi molto specifici propri di determinati settori, bensì affrontarli caso per caso, ove necessario, in una prospettiva europea.

5.16

Un approccio settoriale flessibile consente efficienti scambi di opinioni e offre una buona base per l'impegno delle parti interessate, sia pubbliche che private. Oltre alla Commissione e ai funzionari dei governi, tali parti interessate comprendono società, istituti di ricerca, istituti di istruzione superiore, parti sociali, ONG e rappresentanti regionali.

6.   Questioni specifiche di rilievo

6.1

La politica industriale è un concetto globale, con numerosi ambiti correlati e interconnessi.

6.2

L'accesso ai fondi e ai finanziamenti rappresenta una grave strozzatura che deve essere affrontata con urgenza. Il CESE accoglie con soddisfazione l'annunciato miglioramento delle condizioni transfrontaliere per i capitali di rischio così come le proposte relative ai project bond europei pubblici e privati per gli investimenti in energia, trasporti e TIC (15). Sarebbe opportuno esaminare la possibilità di project bond per altre aree, come ad esempio i progetti di ricerca. Occorrerà inoltre considerare ulteriori misure, tra cui i regimi di detrazione fiscale.

6.3

La crisi finanziaria ha colpito in particolare le PMI. Occorre sviluppare idee innovative al fine di mobilitare il capitale privato, come ad esempio il crowd funding (finanziamento collettivo per supportare la realizzazione di progetti). Il CESE propone che la Commissione organizzi tavole rotonde con le parti interessate esterne per esaminare le modalità e gli strumenti diretti a mobilitare il capitale privato per scopi industriali. È necessario tenere conto delle pratiche a livello mondiale e diffondere le idee e le buone pratiche.

6.4

Il CESE raccomanda di sostenere gli sforzi intrapresi non solo dal FEI, ma anche dalla BEI, diretti allo sviluppo di strumenti mirati per favorire la crescita delle PMI europee.

6.5

Il ruolo della BEI è particolarmente importante poiché costituisce un esempio per altri investitori privati e funge da catalizzatore attraendo ulteriori finanziamenti, compresa la promozione di investimenti a lungo termine, necessari per lo sviluppo dei processi innovativi. Nei prestiti della BEI si dovrebbe tenere conto dei criteri sociali e ambientali, con valutazioni ex post dell'impatto della spesa della stessa BEI sull'industria europea in generale e per il conseguimento degli obiettivi UE.

6.6

Per quanto riguarda il 7PQ e l'8PQ, il CESE accoglie favorevolmente l'accresciuta attenzione della Commissione nei confronti di progetti industriali innovativi e della cooperazione (transfrontaliera).

6.7

Attualmente, i finanziamenti per la R&S dell'UE sono orientati alla diffusione e all'approfondimento delle conoscenze. È necessario sostenere i progetti in linea con il punto di vista delle Piattaforme tecnologiche dell'UE e dell'Istituto europeo di innovazione e tecnologia (IET) (16). Il CESE promuove un'ulteriore semplificazione dell'attuazione e ritiene che i finanziamenti dell'UE vadano investiti in maniera mirata al fine di produrre un effetto moltiplicatore sugli investimenti pubblici e/o privati.

6.8

Ciò significa che l'8PQ, insieme alla ricerca di base, deve promuovere anche gli obiettivi di politica industriale. In ogni caso, per i grandi progetti industriali è comunque necessario un coordinamento efficace tra i finanziamenti dell'UE (centralizzati) e i finanziamenti nazionali.

6.9

Lo stesso vale per il CIP, il Programma per la competitività e l'innovazione per le PMI nei settori dell'energia, delle TIC e dell'imprenditorialità.

6.10

Sarebbe opportuno riesaminare lo sviluppo delle regioni monoindustriali, al fine di incoraggiare la diversificazione industriale in modo più efficace. Lo sviluppo sostenibile sarà favorito attraverso finanziamenti dell'UE destinati a progetti a basse emissioni di carbonio e rispettosi dell'ambiente.

6.11

Il rapporto tra innovazione e politica industriale è evidente. L'innovazione è un settore molto vasto che comprende anche questioni di natura non tecnica. A ragione, le iniziative faro nei settori dell'innovazione e della politica industriale condividono in buona parte lo stesso orientamento e gli stessi obiettivi comuni dei partenariati per l'innovazione, accrescendo in questo modo l'efficacia e la visibilità.

6.12

Un'eventuale deindustrializzazione va evitata rafforzando il legame tra innovazione e industria (17), tra l'altro ponendo l'accento sulle «tecnologie abilitanti fondamentali». Bisognerebbe poi migliorare le condizioni per le industrie basate sulla ricerca scientifica.

6.13

La politica per l'innovazione e la ricerca a livello nazionale ed europeo è strettamente connessa alla politica industriale, specialmente alla luce delle riduzioni di bilancio e degli sforzi compiuti in altri continenti. Preoccupa anche la diminuzione e/o la delocalizzazione della spesa delle imprese per la ricerca.

6.14

La conversione dei risultati della ricerca scientifica in prodotti grazie alla tecnologia applicata resta un punto debole in tutta Europa. Mentre la ricerca di base continua ad avere un ruolo fondamentale, il CESE ribadisce la necessità di una transizione efficace, sostenibile e più rapida dal «laboratorio» all'economia reale.

6.15

Gli obiettivi nel processo di transizione verso un'economia a ridotto consumo energetico e a basse emissioni di carbonio possono dischiudere nuove opportunità per l'innovazione sperimentale.

6.16

Dovrebbe essere prioritario migliorare il coordinamento tra le catene della conoscenza e al loro interno, tramite un dialogo tra tutti gli attori interessati del settore pubblico e privato al fine di colmare le lacune e promuovere il valore aggiunto e l'efficacia.

6.17

Le università non svolgono ancora appieno il loro ruolo di parti integranti del triangolo della conoscenza; è necessario porre l'accento su delle reti aperte e transfrontaliere tra università e industria, e l'UE dovrebbe sforzarsi di promuovere questa evoluzione.

6.18

Il capitolo sociale della strategia Europa 2020 tratta vari elementi. La creazione di posti di lavoro attraverso gli investimenti privati, la catena di approvvigionamento e di valore e le PMI è essenziale. Tale obiettivo aumenterebbe, inoltre, l'accettazione della strategia da parte dell'opinione pubblica.

6.19

Occorre favorire il coinvolgimento e la partecipazione dei lavoratori. Il CESE sottolinea la necessità di promuovere un dialogo sociale efficace, insieme a obiettivi e impegni comuni, in quest'epoca caratterizzata da cambiamenti dinamici. Inoltre, è necessario favorire il dialogo sociale onde trovare soluzioni socialmente accettabili e creare un clima di fiducia per la trasformazione dell'economia; si dovrebbe inoltre sensibilizzare maggiormente l'opinione pubblica e rafforzare l'accettazione.

6.20

Gli Stati membri hanno tradizioni diverse in quest'ambito. Secondo il CESE, la partecipazione e il coinvolgimento dei lavoratori dovrebbe avvenire a livello aziendale, regionale, nazionale e dell'UE, al fine di promuovere una visione lungimirante e dare una direzione ai cambiamenti. A livello di Unione europea, i dialoghi sociali settoriali costituiscono uno strumento prezioso che la Commissione dovrebbe continuare a sostenere e, laddove non esistano, a promuovere.

6.21

La scolarizzazione e la formazione a tutti i livelli rientrano tra le priorità. Le analisi del mercato del lavoro (a livello settoriale) dovrebbero fornire la base per la definizione degli orientamenti per i programmi di studio, tenendo conto delle competenze necessarie nel medio e lungo periodo. Occorre superare il divario di genere. In alcuni ambiti quali l'ingegneria e le professioni tecniche, la mancata corrispondenza fra domanda e offerta sul mercato del lavoro è preoccupante. L'imprenditorialità andrebbe incentivata.

6.22

Occorrono orientamenti e diffusione di buone pratiche per definire i programmi di studio per l'istruzione superiore (18). Il CESE invita la Commissione a intensificare il proprio impegno in questo settore.

6.23

Gli sviluppi globali richiedono una politica commerciale europea attiva. La divisione del lavoro tra paesi «ad alto valore» e paesi «a basso valore» si va attenuando. Importanti sviluppi economici e sociali si stanno verificando molto rapidamente, soprattutto in Asia. Pertanto, un contesto in cui le condizioni siano uniformi a livello globale è ancora più rilevante in termini di standard ambientali e sociali, reciprocità di accesso ai mercati, proprietà intellettuale, ecc. (19)

6.24

IL CESE insiste affinché l'intero processo decisionale europeo e la valutazione della futura legislazione tengano conto della prospettiva di un contesto globale in cui le condizioni siano uniformi. Nel contempo, sarebbe opportuno attuare nell'UE un migliore controllo e una vigilanza dei mercati più efficace. Andrebbero rafforzate le competenze dei servizi di controllo doganale.

6.25

Non è possibile ignorare l'importanza della normazione, che costituisce uno strumento importante del mercato unico. Spesso, le aziende americane e cinesi si allineano spontaneamente a tali standard perché sono all'avanguardia a livello mondiale.

6.26

Il CESE sottolinea il legame che intercorre tra la politica industriale e la politica commerciale e le questioni correlate. Le barriere artificiali che ostacolano gli scambi e gli investimenti in altre aree del mondo devono essere combattute. I negoziati che affrontano tali questioni possono andare al di là del quadro dell'OMC e devono essere inseriti in contesti bilaterali, o in altri contesti multilaterali. La dimensione esterna della politica industriale presuppone che l'UE si esprima con una sola voce in ogni consesso economico internazionale (20).

6.27

L'UE deve combattere con decisione le restrizioni di accesso alle materie prime imposte dai partner commerciali. Il CESE accoglie favorevolmente le raccomandazioni per un intervento sui prezzi delle materie prime e per il consolidamento del mercato nel settore estrattivo e ritiene che occorra affrontare il problema delle speculazioni sui mercati delle materie prime.

6.28

Senza pregiudicare gli obiettivi e gli standard UE concordati in materia di energia e clima, gli strumenti politici devono essere esaminati e progettati attentamente in base al loro impatto sulla competitività dell'industria (21). La realizzazione di un'economia efficiente in termini di risorse e a basse emissioni di carbonio in Europa dovrebbe presupporre che l'UE esiga il rispetto dei medesimi standard da parte dei suoi partner commerciali (22). La soluzione preferibile è costituita dagli accordi multilaterali e andrebbero evitate sanzioni commerciali.

6.29

In merito agli standard sociali, il CESE rammenta la dichiarazione dell'OIL del 1998 sulle principali norme in materia di lavoro relative alla discriminazione, al lavoro minorile e al lavoro forzato, oltre che alla libertà delle organizzazioni sindacali e alla contrattazione collettiva (23). Le convenzioni dell'OIL sono più concrete, ma non sono state sottoscritte o attuate da tutta una serie di paesi.

6.30

La responsabilità sociale delle imprese (RSI) deve essere applicata a livello internazionale sulla base delle dichiarazioni dell'OIL e degli orientamenti dell'OCSE, oltre che di altri strumenti internazionali ampiamente riconosciuti (24). Le imprese iniziano a utilizzare la RSI quale etichetta che valorizza la loro immagine.

7.   Relazione tra le politiche industriali nazionali e l'Unione europea

7.1

Nonostante le differenze tra gli Stati, l'economia statunitense ha un unico mercato e un unico governo centrale. Lo stesso vale per la Cina e altri paesi.

7.2

In Europa, al contrario, tutti gli Stati membri hanno le loro forme di politica industriale (25). Si tratta di una trama altamente eterogenea, in ragione di strutture decisionali e tradizioni nazionali divergenti, relazioni specifiche tra il settore privato e il settore pubblico e strutture diverse delle economie e dei vantaggi comparati. Inoltre, l'attuale situazione di crisi potrebbe comportare la tentazione di attuare un protezionismo larvato.

7.3

A causa di tutte queste differenze, negli Stati membri i risultati raggiunti in termini di crescita economica e occupazione variano ampiamente. Il Consiglio auspica che siano presentate relazioni annuali sullo sviluppo della politica industriale nazionale e, considerate le limitate competenze della Commissione in questo settore, si tratta di un compito tutt'altro che agevole.

7.4

Uno dei principali obiettivi della strategia Europa 2020 è quello di una più intensa collaborazione tra l'UE e gli Stati membri. Le relazioni della Commissione possono rappresentare un elemento aggiuntivo della governance dell'UE. La trasparenza, gli esempi d'interventi riusciti e le buone pratiche possono portare a una convergenza positiva dei comportamenti dei governi. Le relazioni dovrebbero favorire in seno al Consiglio discussioni sulle diverse concezioni e sui risultati pratici da esse ottenuti.

7.5

Naturalmente, ogni Stato membro è libero di valorizzare i propri punti di forza e di creare conoscenze e altre infrastrutture, se tali azioni sono conformi alle norme dell'UE. Le piattaforme per discutere delle esperienze possono rafforzare la cooperazione tra gruppi di Stati membri.

7.6

Il monitoraggio e la valutazione delle prestazioni nazionali possono offrire nuove opportunità di collaborazione tra i singoli governi, tra i governi e la Commissione e, naturalmente, tra le imprese, in particolare tenuto conto dell'elevato numero di PMI che stanno acquisendo una dimensione internazionale.

7.7

Vari paesi dispongono di proprie piattaforme di innovazione con obiettivi nazionali. Queste ultime raramente perseguono gli obiettivi comuni europei. Il CESE invita ad esaminare le modalità con cui gli approcci transfrontalieri possono aumentare l'efficacia. Le buone pratiche andrebbero diffuse e discusse.

7.8

Sarebbe opportuno che le relazioni annuali analizzassero la coerenza tra la politica industriale dell'UE e le politiche nazionali. Ultimamente, documenti politici sulla politica industriale nazionale sono pubblicati anche da Stati membri (ad esempio Germania, Francia, Regno Unito, Spagna e Paesi Bassi) (26). Tuttavia, il collegamento con gli obiettivi e le azioni europee continua a essere debole. Il CESE raccomanda che, nella prossima relazione annuale, la Commissione analizzi tali relazioni nazionali in una prospettiva europea.

7.9

Gli scambi di vedute tra gli Stati membri circa le politiche industriali auspicabili si stanno intensificando. Pratiche di questo tipo, così come i risultati operativi, dovrebbero essere diffuse in tutta l'Unione al fine di sostituire con prospettive più ampie le ottiche nazionali ristrette.

7.10

Anche le regioni e le aree metropolitane dovrebbero fare proprio questo obiettivo. Sarebbe opportuno dare loro la possibilità di formare dei cluster e di intensificare la cooperazione tra scuola, centri di conoscenza e industria (ad esempio tramite lo sviluppo di reti settoriali regionali).

7.11

La valutazione della Commissione dovrebbe prendere in esame le prestazioni e le pratiche in ambiti specifici, quali ad esempio gli appalti pubblici (17 % del PIL), settore in cui, secondo le analisi effettuate e contrariamente alle direttive dell'UE, gli obiettivi industriali nazionali sono ancora prevalenti.

7.12

Un caso particolare è quello delle attrezzature militari, comparto spesso trascurato. Le riduzioni di bilancio hanno spesso un effetto negativo sulla spesa militare. Analisi indipendenti devono preparare il terreno per un migliore utilizzo delle risorse.

7.13

In quest'ambito il CESE sottolinea la necessità di eliminare le barriere all'interno dell'UE e, parallelamente, di sviluppare catene di approvvigionamento transfrontaliere competitive. È opportuno favorire le ricadute positive e gli effetti di sviluppo di attività collaterali tra la produzione civile e la produzione militare. Nel contempo, occorre prevedere l'armonizzazione europea delle licenze di esportazione.

7.14

Un altro settore interessante è costituito dalle «imprese di servizi pubblici» dove, sulla base dell'analisi della Commissione, è necessario favorire una maggiore apertura nei confronti della cooperazione transfrontaliera e/o delle buone pratiche.

7.15

Le analisi dell'UE possono consentire di raccogliere dati interessanti sulla qualità di un ampio ventaglio di condizioni negli Stati membri. È necessario incoraggiare la semplificazione delle pratiche amministrative (senza pregiudicare la sicurezza dei prodotti e la tutela dei consumatori) e la riduzione degli oneri finanziari (27). In alcuni settori e paesi tali processi sono già stati avviati.

Bruxelles, 4 maggio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Conclusioni adottate dal Consiglio Competitività il 10 dicembre 2010 (rif. 17838/10). Il 4 febbraio 2011 il Consiglio europeo ha registrato un buon avvio in materia di energia e promozione dell'innovazione.

(2)  Cfr. Analisi annuale della crescita, sezione 9, COM(2011) 11 definitivo.

(3)  Programma quadro e Programma per l'innovazione e la competitività.

(4)  COM(2004) 274 definitivo.

(5)  I relativi pareri del CESE sono consultabili all'indirizzo http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.en.enterprises-and-industry.

(6)  Cfr. il parere del CESE sul tema Luoghi di lavoro innovativi quali fonti di produttività e di lavoro di qualità, adottato il 18 marzo 2011 (non ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale), in particolare il punto 2.6.

(7)  Il CESE sottolinea l'importanza specifica dell'industria spaziale per lo sviluppo di zone isolate e rurali.

(8)  Cfr., tra l'altro, Les secteurs créateurs d'emploi à court-moyen terme après la crise (Centre d'analyse stratégique presso l'Ufficio del primo ministro francese, novembre 2010).

(9)  La Germania ad esempio ha aumentato del 20 % gli stanziamenti per l'innovazione.

(10)  Cfr. il parere del CESE Lo sviluppo della catena del valore e della catena di fornitura (supply chain) nel contesto europeo e mondiale, GU C 168 del 20.7.2007, pag. 1.

(11)  Il primo esempio di applicazione di questo metodo si trova in LeaderSHIP 2015, una strategia per il settore cantieristico europeo lanciata nel 2005.

(12)  Questa posizione è illustrata dagli sviluppi sempre più avanzati in alcune regioni e aree metropolitane di tutta Europa, dove strutture industriali obsolete sono sostituite grazie a investimenti orientati al futuro e a un nuovo dinamismo.

(13)  Il CESE ha già ribadito tale concetto in passato, in una relazione informativa intitolata Analisi settoriale delle delocalizzazioni (2006), che ha messo in luce in modo inconfutabile i difetti nella comparabilità dei dati utilizzati dalla Commissione.

(14)  L'iniziativa sui mercati guida ha individuato i seguenti mercati: eHealth (sanità elettronica), tessili di protezione, costruzione sostenibile, riciclaggio, bioprodotti ed energie rinnovabili.

(15)  Cfr. la nota 2.

(16)  Le prime tre Comunità della conoscenza e dell'innovazione (CCI) sono in corso di realizzazione.

(17)  Cfr., tra l'altro, The de-industrialisation of Europe. There is no more time to lose!, Académie Royale de Belgique, 2010.

(18)  Cfr. il parere del CESE sul tema Università per l'Europa, GU C 128 del 18.5.2010, pag. 48.

(19)  Cfr. la comunicazione sulla politica commerciale, SEC(2010) 1268 definitivo.

(20)  Cfr. i pareri del CESE sul tema L'aspetto esterno della politica industriale europea - La politica commerciale dell'UE tiene in debito conto gli interessi dell'industria europea? (Cfr. pagina 25 della presente Gazzetta ufficiale) e GU C 128 del 18.5.2010, pag. 41.

(21)  Cfr. il parere del CESE L'impatto dello sviluppo dei mercati dell'energia sulle catene del valore industriali in Europa (GU C 77 del 31.3.2009, pag. 88), in particolare il punto 1.6.

(22)  Cfr. il parere del CESE sul tema Gli effetti degli accordi internazionali di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra sulle trasformazioni industriali in Europa (GU C 185 dell'8.8.2006, pag. 62).

(23)  Cfr. la dichiarazione dell'OIL sui principi e i diritti fondamentali nel lavoro (1998).

(24)  Tra l'altro, UN Global Compact e International Financial Reporting Standars (IFRS, Principi internazionali d'informativa finanziaria, tra cui i principi contabili). Anche i Guiding Principles on Business and Human Rights delle Nazioni Unite, elaborati da John Ruggie, costituiscono un documento importante.

(25)  Per un totale di 27 politiche industriali e di innovazione, cifra alquanto esagerata.

(26)  In focus: Germany as a competitive industrial nation (Germania), Feuilles de route des comités stratégiques de filière (Francia), The Growth Agenda (Regno Unito; a breve seguirà un programma dettagliato), Plan Integral de Política Industrial 2020 (Spagna), Naar de top: de hoofdlijnen van het nieuwe bedrijfslevenbeleid (Paesi Bassi).

(27)  Gruppo Stoiber.


23.7.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 218/46


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull'effettiva applicazione della sorveglianza di bilancio nell'area dell'euro

COM(2010) 524 definitivo

2011/C 218/08

Relatore: Vincent FARRUGIA

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 6 dicembre 2010, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 136 e 121 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull'effettiva applicazione della sorveglianza di bilancio nell'area dell'euro

COM(2010) 524 definitivo — 2010/0278 (COD).

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 aprile 2011.

Alla sua 471a sessione plenaria, dei giorni 4 e 5 maggio 2011 (seduta del 5 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 139 voti favorevoli, 10 voti contrari e 33 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) riconosce che sono necessarie riforme del Patto di stabilità e crescita per affrontare i problemi conseguenti alla crisi del 2008, nonché i problemi di vecchia data già evidenti anche prima della crisi. Inoltre il CESE rileva che il Patto di stabilità e crescita non è riuscito a prevenire e a contenere gli squilibri di bilancio che hanno fonti diverse, tra cui gli squilibri macroeconomici e le carenze nelle pratiche e nella regolamentazione del settore bancario e finanziario.

1.2   Il CESE accoglie favorevolmente la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull'effettiva applicazione della sorveglianza di bilancio quale primo passo nella direzione della tanto necessaria riforma, ma al tempo stesso dichiara la necessità di una revisione adeguata degli elementi preventivi e correttivi di questa proposta.

1.3   Il CESE ritiene che le regole di bilancio dovrebbero prendere in attenta considerazione:

la questione della qualità delle attività di bilancio, in termini di rafforzamento del contributo dei meccanismi di entrate e di spesa alla componente dell'offerta nell'economia,

il fatto che il miglior modo di garantire la sostenibilità delle posizioni di bilancio e finanziarie consiste nel privilegiare gli approcci preventivi, piuttosto che quelli correttivi,

il fatto che i meccanismi basati su incentivi hanno molte più probabilità di avere successo di quelli basati soltanto su misure punitive.

Questo punto di vista non sminuisce l'importanza della parte correttiva, che è essenziale per promuovere una disciplina di bilancio.

1.3.1   Si ritiene che questo approccio sia congruente con gli obiettivi della strategia Europa 2020 di una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva.

1.4   Per quanto concerne la parte preventiva e in linea con gli obiettivi indicati nell'Analisi annuale della crescita, il CESE propone che la fissazione di obiettivi numerici per la performance di bilancio sia basata su un sistema duplice con un approccio dall'alto verso il basso e un altro dal basso verso l'alto. L'approccio dall'alto verso il basso sarebbe incentrato sulla fissazione di un obiettivo che determini lo sforzo di risanamento del bilancio necessario per l'intera area dell'euro, mentre l'approccio dal basso verso l'alto implicherebbe la ripartizione di questo sforzo in azioni che spetterebbe ai singoli Stati membri realizzare. Ciò rafforzerebbe, attraverso un approccio formale, gli sforzi della Commissione tesi a focalizzare l'attenzione sulle circostanze specifiche di ciascuno Stato membro nell'applicazione del Patto di stabilità e crescita.

1.5   Nel quadro di questo approccio, le esternalità positive in termini di credibilità che ci si attende da un'unione monetaria possono richiedere che i membri di tale area siano chiamati a realizzare sforzi di risanamento del bilancio coerentemente con la loro dimensione relativa e la loro capacità di compiere questi sforzi.

1.6   Il CESE propone inoltre che l'imposizione di costituire depositi fruttiferi e/o infruttiferi e di ammende sia realizzata in modo che i depositi e le ammende siano direttamente finanziati, innanzitutto, attraverso la correzione delle misure di politica che stanno portando a posizioni di bilancio insostenibili. L'insostenibilità verrebbe determinata attraverso una valutazione degli scostamenti delle voci di entrata e di spesa rispetto al sentiero di convergenza determinato mediante la parte preventiva. Inoltre, il loro valore verrebbe calcolato in rapporto all'entità delle voci di spesa e/o di entrata che possono essere classificate come generatrici dirette dell'insostenibilità della politica di bilancio. Questo approccio favorirebbe il rafforzamento della qualità della politica di bilancio.

1.7   Si propone inoltre che le sanzioni stabilite nel quadro della parte correttiva siano accompagnate da una rigorosa valutazione d'impatto, in modo da monitorare se vi sia un effettivo miglioramento nella qualità della politica di bilancio.

1.8   Per promuovere un equilibrio tra incentivi e misure punitive nella parte correttiva, il CESE propone che lo Stato membro interessato percepisca gli interessi sui depositi infruttiferi quando sia stata raggiunta una riduzione del debito pubblico che è almeno equivalente all'importo degli interessi ed è sostenibile in futuro. Le ammende, invece, sarebbero destinate al meccanismo europeo di stabilità.

1.9   Il CESE ritiene che una corretta riforma della sorveglianza di bilancio rappresenterà una pietra angolare per rafforzare la governance e ripristinare la credibilità nell'area dell'euro.

2.   Effettiva applicazione della sorveglianza di bilancio nell'area dell'euro

2.1   La crisi finanziaria ed economica mondiale del 2008 ha portato a un brusco aumento dei disavanzi di bilancio e del debito, i quali hanno acuito i timori di più lungo termine sulla sostenibilità dei bilanci. I risultati di bilancio non uniformi fatti registrare dagli Stati membri, con la reale possibilità di un'insolvenza sul debito in alcuni casi, associata all'assenza di un sufficiente coordinamento di bilancio e di meccanismi compensativi, rappresentano un'altra grande sfida. Questi timori sono accentuati dalle carenze nel sistema finanziario, nel sistema bancario e nelle infrastrutture di regolamentazione, nonché dalle relative possibilità di insolvenze.

2.2   Il Patto di stabilità e crescita, che è un quadro di regole per il coordinamento delle politiche di bilancio nazionali nell'Unione economica e monetaria, è stato specificamente istituito per garantire la disciplina di bilancio, ma la recente esperienza ha rivelato le persistenti lacune e debolezze nel sistema, le quali potrebbero seriamente compromettere la stabilità dell'euro. Ciò ha stimolato un dibattito sull'importanza della governance economica dell'UE (1), sulla base del quale nel settembre 2010 la Commissione ha presentato un pacchetto legislativo composto di sei comunicazioni. Il pacchetto comprende:

il rafforzamento del Patto di stabilità e crescita per mezzo di una definizione prudente della politica di bilancio (2),

la prevenzione e la correzione di squilibri macroeconomici (3),

la creazione di quadri di bilancio nazionali di qualità (4) e

un'applicazione più rigorosa delle norme (5).

2.3   Il presente parere è specificamente incentrato sull'applicazione delle norme stabilite nella proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull'effettiva applicazione della sorveglianza di bilancio nell'area dell'euro (6). Va inoltre segnalato che il CESE sta attualmente elaborando un parere in merito alla proposta di regolamento sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici (COM(2010) 527 definitivo) (7).

3.   Contesto

3.1   Lo strumento fondamentale per il coordinamento e la sorveglianza della politica di bilancio nell'area dell'euro è il Patto di stabilità e crescita, che attua le disposizioni del Trattato sulla disciplina di bilancio. Il Consiglio europeo del giugno 2010 ha convenuto sull'urgente necessità di rafforzare il coordinamento delle politiche economiche e a tal fine ha deciso di:

(i)

rafforzare sia la parte preventiva che la parte correttiva del Patto di stabilità e crescita, anche con sanzioni, e tenendo debitamente conto della situazione particolare degli Stati membri dell'area dell'euro;

(ii)

attribuire, nella sorveglianza di bilancio, un ruolo molto più preminente al livello e all'andamento del debito e alla sostenibilità complessiva;

(iii)

garantire che tutti gli Stati membri abbiano regole di bilancio nazionali e quadri di bilancio a medio termine in linea con il Patto di stabilità e crescita;

(iv)

assicurare la qualità dei dati statistici.

3.2   Per quanto concerne l'effettiva applicazione della sorveglianza di bilancio nell'area dell'euro, la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio è tesa ad apportare ulteriori modifiche ai regolamenti (CE) n. 1466/97 e (CE) n. 1467/97, che sono alla base del Patto di stabilità e crescita (8). In particolare, il regolamento proposto punta a dare sostanza alla parte preventiva e a rafforzare la parte correttiva del Patto di stabilità e crescita.

3.2.1   In relazione alla parte preventiva, il regolamento proposto stabilisce che l'attuale obiettivo di medio termine indicato nei programmi di stabilità e convergenza e il requisito di convergenza annuale pari allo 0,5 % del PIL verranno mantenuti, ma saranno resi operativi attraverso l'introduzione di un nuovo principio per la definizione di una politica di bilancio prudente. Questo principio, nei termini della proposta, stabilisce che l'incremento annuale della spesa non dovrebbe superare un tasso prudente di crescita a medio termine del PIL, a meno che tale superamento non sia compensato da aumenti delle entrate pubbliche oppure a meno che riduzioni discrezionali delle entrate non siano controbilanciate da tagli della spesa. In caso di scostamenti rispetto a una definizione prudente della politica di bilancio, la Commissione adotterà una raccomandazione sostenuta da un meccanismo volto a garantirne il rispetto, sulla base dell'articolo 136 del Trattato, attraverso l'imposizione dell'obbligo di costituire un deposito fruttifero pari allo 0,2 % del PIL.

3.2.2   La parte correttiva è legata all'obbligo, per gli Stati membri dell'area dell'euro, di evitare disavanzi e un debito eccessivi, in rapporto a una soglia numerica del 3 % del PIL per il disavanzo e del 60 % del PIL per il debito, ma è considerato accettabile anche un sufficiente avvicinamento al criterio del debito.

3.2.2.1   La proposta della Commissione riconosce che privilegiare il saldo di bilancio annuale può portare a dare un'attenzione eccessiva a considerazioni di breve termine e che il debito meriti più considerazione quale indicatore della sostenibilità di bilancio a lungo termine.

3.2.2.2   Nella parte correttiva, il regolamento proposto stabilisce che l'applicazione verrebbe rafforzata attraverso l'introduzione di una nuova serie di sanzioni finanziarie per gli Stati membri dell'area dell'euro, le quali sarebbero applicate in una fase più precoce del processo e secondo un approccio graduale. La costituzione di un deposito infruttifero pari allo 0,2 % del PIL verrebbe imposta al momento della decisione di aprire una procedura per disavanzi eccessivi. In caso di mancato rispetto, il deposito sarà convertito in un'ammenda.

3.2.3   La Commissione propone che gli aspetti operativi della parte preventiva e di quella correttiva siano decisi attraverso una procedura di voto al contrario (reverse voting), in base alla quale la Commissione rivolgerebbe una raccomandazione al Consiglio tesa a imporre a uno Stato membro la costituzione del deposito. Questa raccomandazione sarà applicabile a meno che il Consiglio non decida il contrario con voto a maggioranza qualificata entro dieci giorni dalla presentazione della raccomandazione da parte della Commissione.

3.2.4   Il regolamento proposto dalla Commissione stabilisce che il Consiglio può ridurre l'ammontare del deposito all'unanimità, oppure sulla base di una proposta specifica della Commissione giustificata da circostanze eccezionali o di una richiesta motivata dello Stato membro. Per quel che concerne la parte preventiva, una volta che il Consiglio abbia accertato che lo Stato membro interessato ha affrontato la situazione, il deposito verrà restituito, con gli interessi maturati, allo Stato membro. Nel caso della parte correttiva, il regolamento proposto dalla Commissione stabilisce che il deposito infruttifero verrà restituito dopo la correzione del disavanzo eccessivo, mentre gli interessi maturati sul deposito e le ammende riscosse saranno distribuiti tra gli Stati membri dell'area dell'euro che non presentano un disavanzo eccessivo e che non sono oggetto di una procedura per squilibri eccessivi.

3.2.5   La proposta è avanzata nel quadro di una richiesta più generale di una valutazione macroeconomica più ampia che includa la determinazione degli squilibri strutturali che esercitano un impatto negativo sulla competitività. A questo fine, sono state pubblicate due proposte di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, una sulle misure esecutive per la correzione degli squilibri macroeconomici eccessivi nell'area dell'euro (9) e l'altra sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici (10).

3.3   Un'effettiva sorveglianza di bilancio a livello dell'area dell'euro ha bisogno di essere completata da un'attenzione ai quadri di bilancio nazionali.

3.4   Queste proposte rientrano in una più ampia riforma della governance economica stimolata dagli obiettivi stabiliti nella strategia Europa 2020. Si prevede l'integrazione del coordinamento delle politiche economiche, compresa la sorveglianza della posizione di bilancio mediante il rispetto delle norme di bilancio e delle riforme strutturali, nel «semestre europeo», un periodo di tempo durante il quale le politiche di bilancio e strutturali degli Stati membri saranno passate al vaglio al fine di individuare incoerenze e squilibri emergenti e di rafforzare il coordinamento durante la preparazione delle principali decisioni di bilancio (11).

4.   Osservazioni generali

4.1   Sono necessarie riforme al Patto di stabilità e crescita per affrontare non solo le debolezze che sono divenute evidenti a causa della crisi eccezionale del 2008, ma anche i problemi che erano emersi prima della crisi.

4.2   Per vari anni prima della crisi, infatti, alcuni Stati membri dell'area dell'euro hanno presentato disavanzi di bilancio superiori al valore di riferimento del 3 % e crescenti rapporti debito pubblico/PIL (12). Lo scoppio della crisi economica e finanziaria ha provocato un notevole aggravamento della posizione di bilancio, tale da lasciare prevedere un disavanzo medio nell'area dell'euro pari al 6,3 % del PIL alla fine del 2010, mentre si prevede che il rapporto debito pubblico/PIL raggiunga l'84,1 % (13). Il Patto di stabilità e crescita non era concepito per prevenire tali squilibri, che in molti casi si sono verificati a causa di gravi tensioni nel più vasto contesto macroeconomico e finanziario.

4.3   Ci sono due principali osservazioni di cui occorre tenere conto in rapporto al Patto di stabilità e crescita. La prima riguarda i miglioramenti che possono essere apportati al meccanismo per l'applicazione delle regole. La seconda concerne l'eccessiva dipendenza dal criterio del disavanzo di bilancio associato a una limitata considerazione per il debito. L'applicazione del Patto di stabilità e crescita non ha tenuto conto in misura sufficiente del ciclo economico.

4.3.1   Per quanto attiene al rispetto della normativa, una serie di paesi ha continuato nel corso degli anni a violare i criteri del disavanzo e del debito. L'assenza di sanzioni ha portato a un comportamento di bilancio che non solo ha ignorato la sostenibilità di bilancio a livello di Stato membro, ma non ha neppure tenuto conto dell'impatto di un comportamento di bilancio insostenibile da parte di un solo Stato membro sull'intera unione monetaria. La mancata applicazione delle regole nel passato ha indebolito il Patto di stabilità e crescita e intaccato la sua credibilità.

4.3.1.1   Le riforme della parte preventiva e di quella correttiva del Patto, sostenute da una nuova serie di sanzioni finanziarie più pesanti, dovrebbero affrontare questa carenza. Rimane tuttavia da vedere in quale misura verrà realizzata un'applicazione credibile delle regole.

4.3.1.2   Per un verso, si può affermare che questa volta le conseguenze di un pacchetto inefficace sarebbero enormi. Più che mai, il mercato finanziario mostrerà maggiore cautela nei confronti degli Stati membri dell'area dell'euro e terrà sotto osservazione gli equilibri di bilancio e macroeconomici. Un'applicazione non credibile delle regole sarebbe segno del fallimento del Patto di stabilità e crescita e, di conseguenza, comprometterebbe seriamente la stabilità dell'area dell'euro.

4.3.1.3   Al tempo stesso, bisogna tenere conto del fatto che le proposte per una sorveglianza rafforzata vengono avanzate sulla scia di una crisi senza precedenti nel cui contesto la crescita economica rimane debole. I governi sono dovuti intervenire attraverso iniezioni di capitale nelle banche per impedire il crollo totale del sistema finanziario e anche per contenere i costi economici e sociali della crisi.

4.3.2   Per quanto concerne l'eccessiva dipendenza dal criterio del disavanzo, va notato che la revisione del Patto di stabilità e crescita del 2005 ha cercato di spostare l'attenzione verso i disavanzi strutturali per tenere conto della situazione ciclica di ogni Stato membro. Tale attenzione non ha tuttavia tenuto conto della disciplina di bilancio in un'ottica di lungo termine. Il maggior rilievo dato al criterio del debito affronterà in parte questa carenza.

4.3.2.1   Ad ogni modo, il meccanismo deve tenere conto delle ragioni alla base dell'accumulazione del debito. Il finanziamento con ricorso al debito di progetti di investimenti pubblici in linea capitale con un alto tasso di rendimento economico e sociale non può essere considerato alla stessa stregua del finanziamento della spesa, che produce un basso tasso di rendimento.

4.3.2.2   Inoltre, anche se la riforma dei meccanismi di sorveglianza dovrebbe prendere in considerazione le caratteristiche specifiche di ciascuno Stato membro - come la composizione del debito, i rischi legati alla sua struttura, l'indebitamento del settore privato e le passività connesse all'invecchiamento della popolazione -, è altresì importante operare una distinzione tra debito estero e debito nazionale, nella misura in cui quest'ultimo contribuisce alla stabilità macroeconomica.

4.3.2.3   Un'altra critica al meccanismo di sorveglianza è legata all'accento posto su specifici valori di riferimento, che sono essenzialmente arbitrari (14). Ciononostante, vi è riconoscimento del fatto che l'approccio basato su un valore di riferimento ha pregi importanti in quanto semplifica, è trasparente e facilita la governance.

4.3.2.4   Per un verso, gli scostamenti dei singoli Stati membri da tali valori di riferimento indicano in che misura la convergenza nell'UE sia a tutt'oggi di difficile realizzazione. Una rapida convergenza tra gli Stati membri è auspicabile e la recente attenzione riservata dal Consiglio europeo a questo aspetto è appropriata. D'altro canto, ciò richiede un attento equilibrio, a livello nazionale, tra il necessario impegno a una disciplina di bilancio e le specifiche necessità per la ristrutturazione, l'investimento e la crescita, che possono aver bisogno di essere sostenute attraverso interventi di bilancio.

4.4   È importante ribadire che la sostenibilità di bilancio non può essere presa in considerazione indipendentemente dagli squilibri macroeconomici. Di conseguenza, una sorveglianza macroeconomica più ampia per monitorare la correzione degli squilibri è ampiamente giustificata.

4.5   La spinta alla creazione di quadri di bilancio nazionali a complemento del Patto di stabilità e crescita riposa sul riconoscimento del fatto che la disciplina di bilancio è sì una questione d'interesse comune per gli Stati membri dell'area dell'euro, ma la potestà legislativa in materia di politica bilancio risiede a livello nazionale.

4.5.1   In quale misura possa essere adottato un approccio più decentrato alla disciplina di bilancio può dipendere, da un lato, da cambiamenti rilevanti al Trattato che limitino l'interesse nazionale a favore degli interessi comuni e, dall'altro, anche da un dispositivo più flessibile a livello di accordo dello Stato membro. A meno che non vengano introdotte queste modifiche, l'interesse nazionale può tendere a prevalere sugli interessi comuni, a prescindere dalla validità di questi ultimi (15). È quindi importante considerare il ruolo che le norme sulla responsabilità di bilancio a livello nazionale possono svolgere nel sostenere la disciplina di bilancio, in quanto l'efficace attuazione di tali norme può servire da sprone alla promozione della sostenibilità di bilancio in tutta l'area dell'euro.

5.   Osservazioni specifiche

5.1   Anche se gli obiettivi del regolamento proposto - basati sul rafforzamento del Patto di stabilità e crescita attraverso la creazione di strumenti volti a un'effettiva applicazione delle norme - meritano un plauso, esistono dei dettagli specifici riguardanti la parte preventiva e quella correttiva del Patto che il CESE ritiene debbano essere riconsiderati.

5.2   L'obiettivo di spesa indicato nella parte preventiva, basato su un tasso prudente di crescita a medio termine del PIL, non tiene conto delle differenti voci della spesa pubblica, anche se un obiettivo di spesa totale è utile ai fini della semplicità e per facilitare la governance. Ciò vale anche per le regole di bilancio, che sono incentrate solamente su indicatori generali, come il criterio del disavanzo e quello del debito. Questi criteri non tengono conto della crescita dell'offerta di lungo termine favorita da certe categorie di spesa pubblica, né dello sviluppo qualitativo della spesa di bilancio e dei meccanismi di generazione delle entrate in generale.

5.2.1   Di conseguenza, occorre porre l'accento sulla qualità delle finanze pubbliche attraverso una valutazione della composizione e dell'efficienza della spesa pubblica. Ciò può valere in particolare per gli investimenti in capitale umano attraverso la spesa per l'istruzione e la salute, per la ricerca e lo sviluppo, per l'infrastruttura pubblica e per lo sviluppo istituzionale (16)  (17). Si propone quindi di escludere questo tipo di spesa dal tetto di spesa, specialmente quando esso è rappresentato da spese che sono finanziate da programmi di finanziamento dell'UE e dalle corrispondenti voci di cofinanziamento nazionali. Per preservare la qualità della spesa sociale, potrebbero essere esclusi anche gli elementi non discrezionali dei sussidi di disoccupazione. Inoltre, la realizzazione degli obiettivi di bilancio deve essere pienamente in linea con il raggiungimento degli obiettivi della strategia Europa 2020 incentrati su una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva, i quali potrebbero richiedere maggiori spese pubbliche (18).

5.2.2   Oltre a ciò, affinché il regolamento non sia avvolto nell'incertezza, il CESE propone una definizione chiara dei termini «politica di bilancio prudente», «tasso prudente di crescita a medio termine» e «circostanze eccezionali».

5.3   Il meccanismo per l'applicazione delle regole non dovrebbe essere innescato solamente da scostamenti rispetto ai valori numerici, ma piuttosto da considerazioni più generali: ad esempio, anche le condizioni economiche, politiche e sociali esistenti in uno Stato membro andrebbero considerate. Questa proposta non intende diluire il meccanismo preventivo, ma piuttosto permettere di tener conto di considerazioni specifiche riguardanti gli Stati membri dell'area dell'euro. In effetti, ciò è in linea con il regolamento proposto in materia di squilibri macroeconomici in base al quale, su segnalazione del meccanismo di allerta, viene realizzata un'analisi approfondita sullo Stato membro interessato.

5.4   Il CESE propone inoltre che l'imposizione di costituire depositi fruttiferi e/o infruttiferi e di ammende sia in ogni caso realizzata in modo che i depositi e le ammende siano direttamente finanziati attraverso la correzione delle misure di politica all'origine di una posizione di bilancio imprudente e insostenibile, determinata sulla base degli scostamenti dalle disposizioni della parte preventiva. Inoltre, il loro valore verrebbe calcolato in rapporto all'entità delle voci di spesa e/o di entrata che possono essere classificate come generatrici dirette dell'insostenibilità della politica di bilancio. Un approccio di questo tipo eviterebbe il rischio che i depositi e le ammende fossero finanziati a valere sulla spesa pubblica che genera un alto tasso di rendimento. Pur riconoscendo che l'identificazione di un comportamento insostenibile non è impresa semplice, bisognerebbe compiere degli sforzi per giungere all'elaborazione di definizioni chiare e valide dal punto di vista operativo che possano risultare utili in questo contesto.

5.4.1   Inoltre, è fondamentale che il deposito venga restituito solo dopo che lo Stato interessato abbia assunto l'impegno di devolvere questi fondi a una spesa produttiva. A questo proposito, l'utilizzo di analisi costi/benefici simili a quelle utilizzate nell'allocazione del fondo di coesione e dei fondi strutturali (19) potrebbe essere giustificato.

5.5   Inoltre, bisogna tener debitamente conto delle implicazioni dell'applicazione delle regole, in base alle quali sarebbero imposte la costituzione di un deposito infruttifero e una sanzione in un momento in cui il quadro economico e sociale dello Stato membro interessato può essere considerato vulnerabile. Di conseguenza, qualsiasi raccomandazione che la Commissione avanzi per far scattare la parte correttiva della procedura dovrebbe essere soggetta a una valutazione d'impatto per fornire informazioni sul modo in cui l'applicazione di tale parte condurrà effettivamente a miglioramenti della qualità della politica di bilancio all'interno dei singoli Stati membri interessati e nell'area dell'euro in generale. È importante che l'applicazione non generi più difficoltà di quelle che cerca di risolvere.

5.6   L'articolo 7 del regolamento riguarda la distribuzione degli interessi e delle ammende riscosse dalla Commissione in proporzione alla quota del reddito nazionale lordo degli Stati membri dell'area dell'euro che non sono soggetti a una procedura per disavanzo o squilibrio eccessivi. Al riguardo, il sistema di distribuzione può causare all'interno dell'unione monetaria squilibri maggiori, che possono portare a differenze più ampie tra gli Stati membri dell'area dell'euro contravvenendo ai requisiti dell'unione monetaria.

5.7   Per promuovere un equilibrio tra incentivi e misure punitive nella parte correttiva, il CESE propone che lo Stato membro interessato percepisca gli interessi sui depositi infruttiferi quando sia stata raggiunta una riduzione del debito pubblico che è almeno equivalente all'importo degli interessi ed è sostenibile in futuro. Le ammende, invece, sarebbero destinate al meccanismo europeo di stabilità.

5.8   La premessa alla base di questa proposta è che il Patto di stabilità e crescita dovrebbe servire da incentivo volto a promuovere un comportamento sostenibile, piuttosto che servire da meccanismo strettamente punitivo.

5.9   Anche se si riconosce che l'obiettivo del perseguimento di una fondamentale convergenza economica e di bilancio deve essere basato su obiettivi comuni, si sostiene che un obiettivo unico valido per tutti può aver bisogno di essere applicato in maniera flessibile nello stimare la sostenibilità di bilancio nel brevissimo termine, almeno finché non è stata raggiunta una sufficiente convergenza economica fondamentale tra gli Stati, anche in considerazione del modo asimmetrico in cui il recente episodio recessivo ha influito sui differenti Stati membri.

5.9.1   È inoltre importante creare condizioni quadro grazie alle quali i singoli Stati membri possano beneficiare delle esternalità positive in termini di credibilità che ci si attende dall'esistenza di una grande area monetaria. Si può pertanto ritenere che gli Stati sarebbero chiamati a realizzare sforzi di risanamento del bilancio coerentemente con la loro dimensione relativa all'interno dell'area monetaria e la loro capacità di compiere questi sforzi, in modo che l'obiettivo generale comune per l'area dell'euro sia raggiunto in maniera omogenea. Di questo approccio beneficerebbero direttamente tutti gli Stati attraverso la credibilità economica che si afferma nell'area nel suo insieme e specialmente nella definizione della politica degli Stati con i migliori risultati.

5.9.2   L'efficacia di un approccio di questo tipo dipende fortemente dal meccanismo di sorveglianza proposto dalla Commissione, il quale dovrebbe garantire che gli Stati in ritardo stiano compiendo tutti gli sforzi possibili per raggiungere la convergenza a una velocità ottimale. È anche necessario prestare un'attenzione costante a una corretta misurazione statistica e far sì che le statistiche e le relazioni vengano migliorate in una forma che garantisca la tempestiva disponibilità di dati affidabili.

5.9.3   Di conseguenza il CESE propone che, nel brevissimo termine e fino al raggiungimento di una convergenza economica sufficiente tra i vari Stati membri, venga utilizzato un duplice sistema, con un approccio dall'alto verso il basso e uno dal basso verso l'alto, per rafforzare e completare gli sforzi attualmente in corso tesi a ripristinare la sostenibilità di bilancio nell'area dell'euro attraverso l'introduzione dei necessari elementi di flessibilità in un modo pianificato e ben regolato.

5.9.4   L'approccio dall'alto verso il basso è basato sulla fissazione di un obiettivo per l'intera area che determini lo sforzo di risanamento del bilancio necessario a quel livello. Il raggiungimento di un obiettivo di questo tipo rafforza la credibilità dell'area dell'euro in generale e tutti i singoli Stati ne beneficerebbero. L'approccio dal basso verso l'alto implicherebbe la ripartizione dello sforzo che l'intera area dovrebbe compiere in azioni che spetta ai singoli Stati membri realizzare. La ripartizione terrebbe conto di vari criteri economici oggettivi, come lo stato di sviluppo, il fabbisogno di investimenti, la portata della riforma delle pensioni e delle riforme strutturali, la qualità delle finanze pubbliche e l'efficienza dei sistemi fiscali. Inoltre, questo approccio eviterebbe che un approccio eccessivamente restrittivo al Patto di stabilità e crescita comprometta in modo permanente la crescita nel caso di certi Stati.

5.9.5   Questo approccio da un lato introdurrebbe un elemento di solidarietà giustificabile tra tutti gli Stati membri dell'area dell'euro mentre, dall'altro, costituirebbe un primo passo verso un miglior coordinamento e una migliore integrazione di bilancio. In presenza di una sufficiente convergenza economica fondamentale, la ripartizione dello sforzo tra gli Stati membri secondo un approccio dal basso verso l'alto equivale a una situazione in cui i differenti Stati perseguono obiettivi numerici comuni. Nel frattempo, la necessaria flessibilità non verrebbe più applicata in modo differenziato per Stato - come è spesso successo in passato - su basi apparentemente ad hoc e forse non giustificabili, ma rientrerebbe in un sistema coerente e omogeneo teso a realizzare i necessari sforzi di risanamento del bilancio a livello dell'area dell'euro. Questo approccio potrebbe contribuire molto a sostenere la credibilità nel sistema.

5.9.6   Un approccio di questo tipo è di natura simile a quello adottato nella fissazione degli obiettivi per la strategia Europa 2020, in base alla quale gli Stati membri stabiliscono i propri obiettivi nazionali coerentemente con gli obiettivi generali stabiliti per l'UE. Infatti l'Allegato 1 dell'Analisi annuale della crescita, che presenta obiettivi provvisori che variano in funzione dello Stato membro considerato, fa riferimento al fatto che un elemento importante della strategia consiste nella fissazione, da parte di ogni Stato membro, del rispettivo livello di ambizioni in rapporto agli obiettivi generali della strategia Europa 2020. Da più parti si sostiene che tali obiettivi hanno una maggiore probabilità di essere rispettati, visto il dibattito politico interno necessario per la loro fissazione nel cui ambito gli obiettivi sono stabiliti tenendo conto delle posizioni di partenza e di considerazioni di ordine nazionale. In tale contesto, si può anche proporre di fissare precisi periodi di transizione nel quadro di un calendario realistico di risanamento per gli Stati che hanno bisogno di compiere sforzi di risanamento particolarmente considerevoli.

5.9.7   L'approccio proposto non equivale a una diluizione del meccanismo preventivo presentato nella proposta della Commissione, in quanto è basato sulla convergenza a lungo termine verso gli stessi obiettivi numerici da parte di tutti gli Stati membri dell'area dell'euro. Esso è tuttavia volto a stabilire un quadro formale che giustifichi le differenti velocità di convergenza a livello dei singoli Stati membri dell'area dell'euro, con lo stesso intento degli approcci specifici per ciascuno Stato proposti dalla stessa Commissione. Ciò può anche essere considerato un mezzo importante per rafforzare la credibilità del sistema attraverso la formale inclusione della flessibilità nei piani di convergenza specifici per ciascuno Stato.

5.10   Infine, è importante rilevare che il dialogo sociale ha un ruolo importante da svolgere. A livello nazionale, esso è importante per lo sviluppo di un quadro di politica nazionale incentrato sulla politica di bilancio e sulla sorveglianza macroeconomica. Un dialogo politico e sociale maturo e globale consente di affrontare sfide sociali ed economiche, in particolare quelle a lungo termine come la riforma delle pensioni e la spesa sanitaria. Affinché i governi raggiungano obiettivi quali la sostenibilità di bilancio e l'equilibrio macroeconomico, deve esserci un alto grado di collaborazione e di partenariato sociale, e anche di consenso politico.

5.10.1   Il CESE ha un ruolo importante da svolgere permettendo un dialogo effettivo tra i suoi membri sulla sostenibilità di bilancio. A questo fine, il CESE può avanzare, in stretto coordinamento con i partner del dialogo sociale nazionale, raccomandazioni e proposte di riforme. Come proposto nel parere intitolato Rafforzare il coordinamento delle politiche economiche per la stabilità, la crescita e l'occupazione - Gli strumenti per rafforzare la governance economica dell'UE, il CESE potrebbe organizzare sessioni annuali dedicate alla discussione di raccomandazioni e proposte di riforma. Inoltre il Comitato ha un ruolo da svolgere nel garantire che le parti sociali e le organizzazioni della società civile siano in sintonia con gli obiettivi dell'UE che favoriscono lo sviluppo sociale ed economico.

Bruxelles, 5 maggio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Cfr. parere CESE, GU C 107 del 6.4.2011, pag. 7.

(2)  COM(2010) 522 definitivo e COM(2010) 526 definitivo.

(3)  COM(2010) 527 definitivo.

(4)  COM(2010) 523 definitivo.

(5)  COM(2010) 524 definitivo e COM(2010) 525 definitivo.

(6)  COM(2010) 524 definitivo.

(7)  Parere CESE sugli squilibri macroeconomici. Cfr. pag. 53 della presente Gazzetta ufficiale.

(8)  Questi regolamenti sono stati modificati nel 2005 dal regolamento (CE) n. 1055/2055 e dal regolamento (CE) n. 1056/2005 e completati dalla relazione del Consiglio del 20 marzo 2005 dal titolo Migliorare l'attuazione del Patto di stabilità e crescita.

(9)  COM(2010) 525 definitivo.

(10)  COM(2010) 527 definitivo.

(11)  Il «semestre europeo» è stato lanciato attraverso l'Analisi annuale della crescita pubblicata nel gennaio 2011 (COM(2011) 11 definitivo). L'Analisi annuale della crescita presenta congiuntamente le differenti azioni che sono essenziali per rafforzare la ripresa nel breve termine, oltre a concentrarsi sugli obiettivi della strategia Europa 2020.

(12)  Statistiche di Eurostat, 16 dicembre 2010.

(13)  Commissione europea, Previsioni economiche per l'Europa, autunno 2010.

(14)  Wyplosz, C (2002), Fiscal Discipline in EMU: Rules or Institutions? («Disciplina di bilancio nell'UEM: regole o istituzioni?»), Istituto universitario di alti studi internazionali di Ginevra e Centro di ricerca per la politica economica (CEPR).

(15)  Direzione generale per le politiche interne – Dipartimento tematico A: Politiche economiche e scientifiche, Affari economici e monetari, Sorveglianza multilaterale (Charles Wyplosz).

(16)  Salvador Barrios e Andrea Schaechter, (2008), The Quality of Public Finances and Growth («La qualità delle finanze pubbliche e della crescita»), Economic Papers 337, Commissione europea.

(17)  António Afonso, Werner Ebert, Ludger Schuknecht e Michael Thöne, (2005), Quality of Public Finances and Growth («La qualità delle finanze pubbliche e della crescita»), Working Paper Series n. 438, Banca centrale europea.

(18)  Cfr. parere CESE, GU C 107 del 6.4.2011, pag. 7.

(19)  Commissione europea, DG Politica regionale, Guida all'analisi costi-benefici dei progetti di investimento (giugno 2008).


23.7.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 218/53


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulle misure esecutive per la correzione degli squilibri macroeconomici eccessivi nell'area dell'euro

COM(2010) 525 definitivo — 2010/0279 (COD),

e alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici

COM(2010) 527 definitivo — 2010/0281 (COD)

2011/C 218/09

Relatore: Stefano PALMIERI

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 1o dicembre 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 121, paragrafo 6, e dell'articolo 136 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alle seguenti proposte:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulle misure esecutive per la correzione degli squilibri macroeconomici eccessivi nell'area dell'euro

COM(2010) 525 definitivo — 2010/0279 (COD)

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici

COM(2010) 527 definitivo — 2010/0281 (COD).

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 aprile 2011.

Alla sua 471a sessione plenaria, dei giorni 4 e 5 maggio 2011 (seduta del 5 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 189 voti favorevoli, 2 voti contrari e 11 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie favorevolmente il fatto che la Commissione europea abbia compreso, nel quadro del rafforzamento della governance economica europea, l'esigenza di una maggiore attenzione nel considerare gli squilibri di natura macroeconomica - al pari dei deficit di bilancio pubblico - quali fattori di instabilità economica, finanziaria e sociale delle economie degli Stati membri (SM) dell'Unione europea (UE).

1.2   Il CESE riconosce che l'attuale crisi economica ha in effetti messo a dura prova la tenuta economica, sociale ed anche politica dell'Unione europea, in generale, e dell'Unione economica e monetaria (UEM), in particolare. Ai fini della prevenzione della crisi, non si è rivelato sufficiente considerare solo la dimensione quantitativa della crescita economica di un paese, poiché sarebbe stato necessario valutare anche la qualità della crescita stessa, ossia individuare i fattori macroeconomici alla base della sostenibilità o meno di tale dinamica.

1.3   Il CESE auspica che il rafforzamento della governance economica europea sia realizzato assicurando un'equa attenzione alle esigenze della stabilità e a quelle di una crescita portatrice di nuova occupazione.

1.4   Per tale ragione il CESE auspica che il rafforzamento della governance economica - pietra angolare delle politiche economiche, sociali e di coesione dell'UE - sia effettivamente di supporto per il raggiungimento degli obiettivi fissati con la strategia Europa 2020 e con la nuova politica di coesione europea.

1.5   Il CESE intende contribuire a trovare l'ampia condivisione necessaria per rafforzare efficacemente la governance economica evidenziando, da un lato, alcuni limiti e rischi insiti nell'approccio seguito dalla Commissione e, dall'altro, le importanti potenzialità che ne derivano.

1.6   Se - come ha sottolineato la Commissione (1) - il manifestarsi e il protrarsi di squilibri di carattere macroeconomico entro gli SM sono da imputare a fattori di competitività e se per competitività si intende - seguendo la stessa definizione che ne dà la Commissione - «la capacità di un'economia di garantire su basi sostenibili alla propria popolazione livelli di vita elevati e in crescita e alti tassi d'occupazione» (2), ne deriva - e il CESE ne sottolinea l'esigenza - che occorre considerare un ventaglio più completo di cause economiche, finanziarie e sociali per valutare tali squilibri.

1.7   Per tale ragione il CESE ritiene che lo scoreboard per la valutazione degli squilibri dovrebbe essere composto di indicatori economici, finanziari e sociali. In questo contesto il CESE richiama l'attenzione sulla necessità di prendere in considerazione gli squilibri derivanti da elevate e crescenti diseguaglianze distributive all'interno degli SM, che sono state tra le cause della recente crisi economica e finanziaria (3).

1.8   Le disparità macroeconomiche non sono soltanto la conseguenza dell'unione monetaria ma rappresentano anche il risultato dell'apertura del mercato interno comune. La ripartizione transfrontaliera del lavoro si basa su diversi vantaggi e svantaggi concorrenziali sui rispettivi mercati. Le misure previste non dovrebbero quindi puntare ad un livellamento delle rispettive differenze quando queste derivino da dinamiche del mercato interno e non producono effetti negativi.

1.9   Il CESE sottolinea la necessità, in sede di valutazione degli squilibri macroeconomici, di pervenire ad una corretta ed equa valutazione sia dei fattori di competitività connessi ai prezzi, sia dei fattori di competitività non di prezzo.

1.10   Il CESE auspica che la riflessione sugli indicatori che faranno parte dello scoreboard previsto dalla Commissione sia allargata, in modo da coinvolgere - a livello europeo e nazionale - un ampio numero di attori istituzionali e di organismi di rappresentanza della società civile, tra cui il CESE stesso e il Comitato delle regioni.

1.11   Il CESE ritiene che lo scoreboard proposto dalla Commissione nell'ambito del meccanismo di allerta debba essere essenzialmente considerato come uno strumento di prima valutazione, a causa dei problemi tecnici insiti nell'approccio (fissazione delle soglie di allarme, «peso» da attribuire alle differenti fonti di squilibrio, periodo temporale da considerare). Di conseguenza, esso dovrà comunque essere seguito da una più ampia ed approfondita valutazione economica degli squilibri dello SM in questione.

1.12   Il CESE sottolinea il pericolo di non dare affatto per scontata la relazione tra l'individuazione degli squilibri, l'intervento delle misure correttive e il riequilibrio in tempi sufficientemente ragionevoli. In questo contesto, a far aumentare il lag temporale entrano in gioco: a) le complesse interrelazioni tra obiettivi e strumenti macroeconomici; b) il controllo non diretto degli strumenti da parte dei policy-maker; c) la possibile inefficacia del sistema di sanzioni proposto per i paesi dell'UEM.

1.13   Il CESE sottolinea il rischio che eventuali misure restrittive di riequilibrio possano condurre a favorire politiche pro-cicliche, amplificando e prolungando l'attuale fase di contrazione economica. È persino possibile che il mix di politiche economiche prescritte ai singoli SM, perché necessarie ai fini degli squilibri interni, risulti in realtà inappropriato per l'UE nel suo complesso.

1.14   Il CESE ritiene che - nell'ambito delle misure per prevenire gli squilibri macroeconomici essenzialmente collegati ad esposizioni debitorie eccessive del settore privato - sia stata sottovalutata la capacità di supervisione e di controllo che possono esercitare la Banca centrale europea (BCE), il Sistema europeo delle banche centrali (SEBC), il Comitato europeo per il rischio sistemico e l'Autorità europea di vigilanza bancaria. Per tale ragione il CESE chiede che, nel quadro di un coordinamento tra gli organismi citati, siano poste in essere le condizioni affinché sia garantita l'efficace sorveglianza - diretta o indiretta - sul sistema bancario, insieme ad opportuni interventi di regolazione sul credito i cui criteri (di regolazione) dovranno essere opportunamente definiti.

1.15   Il CESE sottolinea che nel pacchetto normativo per prevenire e correggere gli squilibri macroeconomici manca un'opportuna riflessione sul bilancio dell'UE. Il verificarsi di shock asimmetrici negli SM dell'area dell'euro rende necessario il ricorso a strumenti di riequilibrio del sistema macroeconomico. In questo contesto il CESE richiama l'attenzione sull'opportunità di valutare le potenzialità che presenterebbe un sistema di bilancio più flessibile e con maggiori risorse rispetto a quello attuale. Ciò permetterebbe di effettuare i necessari trasferimenti dalle aree beneficiate dagli shock a quelle danneggiate, sia mediante stabilizzatori automatici, sia tramite il finanziamento di progetti di investimento paneuropei (ad es. attraverso l'emissione di euro-obbligazioni) (4).

1.16   Il CESE ribadisce che un efficace coordinamento delle politiche economiche europee - in grado di trarre una forte legittimità democratica nei cittadini europei - deve necessariamente passare per un ruolo più incisivo da parte del Parlamento europeo (PE), del CESE e del Comitato delle regioni, ossia delle istituzioni rappresentative dei cittadini, delle parti sociali e della società civile (5).

1.17   Il CESE ritiene che il PE possa risultare decisivo nella condivisione del quadro macroeconomico di riferimento, delle priorità nei problemi da affrontare, dell'individuazione delle politiche economiche da attivare. In questo contesto il PE assume il ruolo cardine di luogo dove si concorda - insieme agli altri organi istituzionali europei - una strategia comune che non si limita ad enunciare regole e procedure formali, ma che entra nel dettaglio delle politiche concrete per rafforzare la fiducia e le aspettative dei cittadini europei.

1.18   Il CESE accoglie favorevolmente le conclusioni del Consiglio europeo del 24 e 25 marzo 2011, secondo cui il CESE deve essere coinvolto nell'attuazione del semestre europeo agendo «in stretta cooperazione» al fine di «ampliare la base di titolarità». Il CESE esprime pertanto la sua disponibilità a una piena collaborazione e auspica di poter avviare quanto prima dei colloqui con il Consiglio su questo tema.

1.19   Il CESE - proprio in qualità di forum del dialogo civile - potrebbe attivare una sessione annuale specifica (in autunno) per discutere le raccomandazioni per gli SM attivando un confronto con i rispettivi consigli economici e sociali nazionali, i parlamenti nazionali e il PE, consentendo sia la valutazione delle strategie adottate che la loro diffusione e condivisione a livello nazionale.

1.20   Il CESE auspica che sia sviluppato un uso più intenso del dialogo macroeconomico (MED), in modo da non lasciare la prevenzione e la correzione degli squilibri solamente alla Commissione e ai governi degli SM. Il MED diverrebbe uno strumento per valutare in maniera condivisa, tra governi e parti sociali, la situazione economica a livello dell'UE e gli interventi da attivare, in stretto collegamento con i processi di dialogo sociale e di concertazione a livello nazionale, in modo da rendere coerenti le dinamiche dell'UE nel suo complesso con quelle degli SM.

2.   L'intervento correttivo degli squilibri macroeconomici interni proposto dalla Commissione europea nelle comunicazioni COM(2010) 525 e 527 definitivo

2.1   Il 30 giugno 2010 la Commissione europea ha presentato la comunicazione Rafforzare il coordinamento delle politiche economiche per la stabilità, la crescita e l'occupazione - Gli strumenti per rafforzare la governance economica dell'UE  (6). Con questa comunicazione la Commissione ha inteso proseguire quanto già enunciato nella comunicazione intitolata Rafforzare il coordinamento delle politiche economiche  (7).

2.2   La Commissione e la task force del Presidente VAN ROMPUY, alla luce della crisi finanziaria internazionale, riconoscono che il rispetto dei parametri fissati dal Patto di stabilità e crescita (PSC) - e ulteriormente rafforzati nell'ambito della riforma della governance - non è sufficiente a garantire la stabilità dell'UEM. Anche la presenza di squilibri macroeconomici all'interno degli SM rischia di danneggiare il sistema economico europeo nel suo complesso, contribuendo sia al deterioramento delle finanze pubbliche che allo sviluppo di tensioni sui mercati finanziari.

Su tale base, la Commissione ha presentato il 29 settembre 2010 un pacchetto legislativo composto di sei proposte (8) finalizzate a predisporre un quadro normativo per prevenire e correggere negli SM gli squilibri sia di bilancio (in relazione al PSC) (9) che di carattere macroeconomico. L'oggetto del presente parere riguarda la proposta della Commissione per la sorveglianza degli squilibri macroeconomici, basata sui documenti COM(2010) 525 e 527 definitivo che trattano rispettivamente la procedura per squilibri eccessivi negli SM con sanzioni limitate ai soli paesi dell'UEM e il meccanismo di allerta cui sono soggetti tutti gli SM.

2.3.1   Il meccanismo di allerta per tutti gli SM risulta composto da:

la valutazione periodica dei rischi derivanti dagli squilibri macroeconomici in ciascuno SM, sulla base di un quadro di riferimento composto di indicatori economici e di soglie orientative di attenzione (scoreboard),

l'individuazione, da parte della Commissione, sulla base di una lettura economica e non meccanica dello scoreboard, degli SM per i quali si ritiene sussistano rischi di squilibri, in modo da valutare l'effettiva gravità della situazione,

un'analisi approfondita sulla situazione economica generale degli SM per i quali lo scoreboard appaia particolarmente negativo,

in caso di rischio effettivo, l'eventuale raccomandazione da parte della Commissione allo SM interessato di correggere lo squilibrio, nell'ambito delle altre raccomandazioni di policy previste nel semestre europeo (art. 121, par. 2, del TFUE),

in caso di un serio rischio di squilibrio o - nell'area dell'euro - qualora questo si possa trasmettere agli altri SM mettendo a repentaglio il buon funzionamento dell'UEM, l'eventuale apertura di una procedura per squilibri eccessivi (art. 121, par. 4, del TFUE).

2.3.2   La procedura per squilibri eccessivi richiede la presentazione al Consiglio dell'UE, da parte degli SM, di un piano di azione correttiva. Se le misure correttive sono ritenute adeguate, la procedura viene sospesa finché il piano correttivo concordato viene applicato, ma lo SM dovrà riferire periodicamente al Consiglio Ecofin sui progressi fatti. La procedura viene chiusa solo quando il Consiglio, sulla base di una raccomandazione della Commissione, ritiene che lo squilibrio sia stato ridotto in misura sufficiente da non essere più considerato eccessivo.

2.3.3   Solo per i paesi dell'UEM, in caso di inazione a fronte di squilibri eccessivi, vengono adottate sanzioni (al massimo lo 0,1 % del PIL) quando lo SM, dopo due successive scadenze, non presenta un adeguato piano di azione correttiva oppure non attua le misure previste.

2.4   Lo strumento fondamentale per attivare il meccanismo di allerta sugli squilibri macroeconomici è lo scoreboard proposto dalla Commissione, affiancato da un'analisi specifica della situazione economica degli SM. Le sue caratteristiche sono:

i)

un numero limitato di indicatori per evidenziare squilibri e problemi di competitività;

ii)

soglie di allarme, oltrepassate le quali scatterà lo stato di osservazione;

iii)

l'eventualità di soglie differenziate secondo l'appartenenza o meno all'area dell'euro;

iv)

un carattere «evolutivo», poiché la composizione degli indicatori dovrà adeguarsi, nel tempo, ai mutamenti delle diverse fonti di squilibrio.

2.4.1   Dalle prime elaborazioni della Commissione in merito alla scelta degli indicatori per lo scoreboard  (10), tra tali indicatori sembrerebbero esserci i seguenti, di cui i primi tre sono relativi alla posizione con l'estero e gli ultimi quattro alla situazione interna:

il saldo di parte corrente rispetto al PIL, che riflette la posizione netta creditoria o debitoria rispetto al resto del mondo,

la posizione finanziaria netta con l'estero rispetto al PIL, che rappresenta la controparte in termini di stock del saldo di parte corrente,

la variazione del tasso di cambio reale effettivo basato sul costo per unità di lavoro, che sintetizza la competitività del paese (con valori soglia differenziati per l'area dell'euro),

la variazione del prezzo reale delle case, per controllare l'insorgere di bolle speculative, o in alternativa la variazione della quota del valore aggiunto nel settore immobiliare sul totale,

il debito del settore privato rispetto al PIL, per stimare la vulnerabilità del settore privato a fronte di mutamenti del ciclo economico, dell'inflazione e del tasso d'interesse,

la variazione del credito concesso al settore privato, che rappresenta la controparte in termini di flussi dello stock di indebitamento privato,

il debito pubblico rispetto al PIL, come indicatore tradizionale sullo stato delle finanze degli SM.

3.   La persistenza dei divari di competitività nell'area dell'euro

3.1   La presenza di squilibri macroeconomici interni agli SM è connessa con le persistenti divergenze tra la domanda e l'offerta aggregata negli SM, tali da condurre a surplus o deficit sistematici nei risparmi complessivi di un'economia. Ciò deriva da una molteplicità di fattori che influenzano la domanda e l'offerta aggregata e tende ad influenzare negativamente il funzionamento dell'economia degli SM, dell'UEM e dell'UE nel suo complesso.

3.2   È quindi da accogliere favorevolmente la nuova attenzione con cui la Commissione ritiene di considerare gli squilibri di natura macroeconomica negli SM - al pari dei deficit di bilancio pubblico - come fattori di instabilità economica e finanziaria per l'UE nel suo complesso.

3.3   Dopo oltre un decennio in cui la Commissione, all'interno dell'UEM, aveva posto l'equilibrio dei bilanci pubblici quale oggetto esclusivo della sorveglianza, viene avviato un approccio che permette una valutazione della performance nazionale sicuramente più completa, ed estesa a tutti gli SM. Appare sempre più evidente come non sia sufficiente considerare solo la dimensione quantitativa della crescita economica di un paese, ma occorre anche valutare la qualità della crescita stessa, ossia individuare i fattori macroeconomici alla base della sostenibilità o meno di tale dinamica.

3.4   Con la costituzione dell'UEM si è creduto erroneamente che i divari di competitività tra gli SM sarebbero stati di natura temporanea. L'esperienza dell'euro, oltre a mostrare il carattere persistente di tali divergenze, ha evidenziato come essi minassero le fondamenta della stessa UEM creando posizioni difficilmente sostenibili, come le crisi finanziarie di questi ultimi mesi stanno dimostrando.

3.4.1   In particolare, nel corso del decennio che ha preceduto la crisi economica, si è manifestata una persistente divergenza nella produttività - espressa come tasso di cambio reale effettivo e nella competitività (andamento dell'export) tra i paesi appartenenti all'area dell'euro (Figure 1 e 2 in Allegato) (11). L'eccezionalità di tale situazione non risiede tanto nel suo manifestarsi, quanto nel suo protrarsi nel tempo, poiché nei casi precedenti (anni '70 e '80) le divergenze erano prontamente rientrate attraverso il riallineamento dei tassi di cambio nominali dei paesi interessati.

3.4.2   Tali divergenze hanno prodotto delle ripercussioni sui saldi commerciali degli SM. La bilancia commerciale della Germania e quella del gruppo di paesi «periferici» formato da Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna mostrano un andamento opposto, e i disavanzi sembrerebbero equivalere agli avanzi (12) (Figure 3 e 4 in Allegato). La dinamica non mostra una natura temporanea, anzi le divergenze tendono a crescere a partire dalla costituzione dell'UEM, anche se la crisi del 2008 sembra ridurle.

3.4.3   Il protrarsi delle divergenze nella competitività e nell'export tendono a riflettersi nelle bilance dei pagamenti di parte corrente e nelle posizioni patrimoniali nette verso l'estero (Figure 5 e 6 in Allegato), generando così situazioni difficilmente sostenibili nel medio periodo per alcuni SM dell'area dell'euro.

4.   Nodi critici dell'intervento proposto

4.1   A fronte di tale contesto fortemente problematico, che richiede soluzioni altrettanto forti, permangono tuttavia alcune perplessità in merito all'approccio utilizzato dalla Commissione e, di conseguenza, ai rischi che ne potrebbero derivare.

4.2   Se - come ha sottolineato la Commissione (13) - il manifestarsi e il protrarsi di squilibri interni di carattere macroeconomico sono da imputare a fattori di competitività e se per competitività si intende - seguendo la stessa definizione che ne dà la Commissione - «la capacità di un'economia di garantire su basi sostenibili alla propria popolazione livelli di vita elevati e in crescita e alti tassi d'occupazione» (14), il CESE ritiene che sia opportuno considerare un ampio ventaglio di cause economiche, finanziarie e sociali alla base di tali squilibri macroeconomici e, di conseguenza, di indicatori da inserire nello scoreboard in grado di segnalare i potenziali squilibri macroeconomici.

4.2.1   Tra i fattori di competitività troviamo sia quelli connessi ai prezzi (sintetizzati nel tasso di cambio reale effettivo), sia i fattori non di prezzo altrettanto importanti. In quest'ultimo ambito sono comprese le differenziazioni di prodotto, il contenuto tecnologico dei beni prodotti, la qualità dei prodotti offerti, la qualità dei servizi correlati al prodotto (servizi di assistenza), ecc. Essi rappresentano tutta una serie di elementi determinanti nel definire la competitività di un sistema produttivo che, sebbene difficilmente quantificabili in un unico indicatore, richiederebbero comunque un opportuno sforzo per l'individuazione di variabili adeguate a segnalarne il livello e la dinamica all'interno degli SM dell'UEM.

4.2.2   Dalle prime elaborazioni della Commissione in merito alla scelta degli indicatori, sembrerebbe emergere una sottovalutazione dell'impatto delle disuguaglianze elevate e crescenti entro gli SM nel creare gli squilibri, in un lungo periodo di tempo (almeno gli ultimi venti anni) caratterizzato da forti sperequazioni distributive e retributive. Si fa riferimento in particolare al loro ruolo scatenante della crisi economica e finanziaria, a causa degli squilibri tra l'espansione globale dell'offerta di beni e servizi e il deterioramento nel potere d'acquisto dei consumatori (15).

4.2.3   Il set di indicatori da inserire nello scoreboard dovrebbe essere in grado di individuare quei fattori in grado di generare squilibri nella domanda e nell'offerta aggregata derivanti da fenomeni di natura macroeconomica, finanziaria e sociale. Ad esempio, potrebbe essere utile inserire nello scoreboard: sia l'indice di concentrazione di Gini, che mostra per i paesi mediterranei e anglosassoni valori particolarmente elevati (16) sia la differenza tra la produzione attuale e quella potenziale di un paese (output gap), il che consentirebbe di tener conto del suo ciclo economico.

4.2.4   È auspicabile, quindi, che la riflessione sugli indicatori da inserire nello scoreboard sia allargata in modo da coinvolgere - a livello nazionale ed europeo - il numero più ampio possibile di attori istituzionali e di organismi di rappresentanza organizzata della società civile, tra cui il CESE e il Comitato delle regioni.

4.3   Inoltre, nell'approccio della Commissione il parallelismo tra la governance fiscale e la governance macroeconomica appare debole e poco fondato scientificamente. Mentre, infatti, esistono validi motivi per tenere sotto controllo la politica fiscale degli SM dell'UEM (17), riguardo agli squilibri macroeconomici interni le ragioni e le modalità del coordinamento appaiono molto più controverse, sebbene la procedura di sorveglianza nasca da esigenze concrete (18).

4.3.1   Date le molteplici cause di squilibrio, i fattori da monitorare congiuntamente sono infatti numerosi (scambi con l'estero, costi di produzione, sperequazioni distributive, fattori di produttività di prezzo e non, bolle immobiliari e finanziarie speculative, ecc.) e interagiscono anche con elementi culturali e sociali esterni al sistema produttivo (ad esempio, le preferenze e i comportamenti di consumatori e risparmiatori). Oltre ai problemi di individuazione e scelta di tali fattori, si pone il problema sia di fissare delle soglie di allarme sia di come «pesare» le differenti fonti di squilibrio (19).

4.3.2   A ciò si aggiunga che non è affatto scontata la relazione tra l'individuazione degli squilibri (tramite le soglie di allarme), gli interventi correttivi e il successivo rientro da tali squilibri in tempi ragionevoli. Non è sicuro che l'intervento per garantire il riequilibrio macroeconomico consenta l'individuazione delle risposte di politica economica più adeguate. Decisioni errate, anzi, potrebbero favorire politiche pro-cicliche, amplificando e prolungando l'attuale fase di contrazione economica con interventi restrittivi, quando al contrario sarebbero necessari interventi espansivi a beneficio della domanda. È persino possibile che il mix di politiche economiche prescritte ai singoli SM, perché necessarie ai fini degli squilibri interni, risulti in realtà inappropriato per l'UE nel suo complesso.

4.3.3   Gli indicatori per i quali sembrerebbe propendere la Commissione ai fini della sorveglianza - soprattutto i prezzi e i salari e, quindi, la competitività - dipendono in prima battuta da attori esterni alla sfera pubblica (le imprese e i sindacati) e, quindi, sono controllati solo indirettamente e con ritardi dalla politica economica, tramite incentivi, regolazione della concorrenza e dialogo sociale. Ciò rende tali variabili poco inclini agli automatismi e alla tempestività di intervento, e non a caso la proposta della Commissione richiama la necessità di flessibilità nell'applicazione delle nuove regole e di una loro evoluzione continua.

4.4   Peraltro, nel pacchetto legislativo proposto manca un'opportuna riflessione sulla politica monetaria e creditizia. Un terreno, questo, più fertile dove ricercare un maggiore coordinamento, nell'ambito della supervisione finanziaria e del controllo dell'accumulazione eccessiva di debiti (e, in parallelo, di crediti) nel settore privato (20), e su cui il CESE ha già avanzato alcune proposte (21). Non si accenna affatto al ruolo di stabilità economica che - nel rispetto dell'autonomia statutaria di cui giustamente gode - potrebbe svolgere la Banca centrale europea, insieme al Sistema europeo delle banche centrali e ai neo-istituiti Comitato europeo per il rischio sistemico e Autorità europea di vigilanza bancaria.

4.4.1   Questi ultimi, almeno potenzialmente, appaiono in grado di instaurare una politica europea di sorveglianza del credito più prudente e più vigile rispetto al passato, quando regole e prassi inadeguate hanno permesso gli eccessi e, di conseguenza, portato alla crisi alcuni SM, mettendo a rischio la stabilità dell'intera UEM. Va infatti ricordato che paesi oggi in difficoltà come Irlanda e Spagna rispettavano fino al 2007 i vincoli del PSC, con bilanci in pareggio e basso debito pubblico, mentre sul versante del credito espandevano l'offerta che alimentava il boom edilizio, senza che di questa espansione eccessiva del credito si occupassero le autorità monetarie dell'UE. Tali problemi sono anche legati al ruolo delle agenzie di rating e, in particolare, all'impatto delle loro decisioni sulle finanze pubbliche degli SM e in merito a ciò il CESE ha già espresso la propria preoccupazione (22).

4.4.2   Per tale ragione riteniamo sia opportuna l'attribuzione nell'UE di poteri specifici per la supervisione e la regolamentazione che impediscano espansioni eccessive del credito negli SM, soprattutto nella concessione di mutui ipotecari (23). In un'area finanziaria integrata come quella dell'UEM sarebbe auspicabile che i poteri di supervisione e regolamentazione fossero affidati non alle autorità nazionali, ma a un organismo terzo. Proprio alle nuove autorità finanziarie europee potrebbero essere assegnate competenze e poteri in modo da esercitare efficacemente una sorveglianza - diretta o indiretta - sul sistema bancario, insieme a interventi di regolazione sul credito i cui criteri (di regolazione) dovranno essere opportunamente definiti.

4.5   Infine, nel pacchetto legislativo proposto manca anche una riflessione sul bilancio dell'UE. Il possibile emergere di shock asimmetrici negli SM dell'area dell'euro - ossia variazioni della domanda o dell'offerta positive in alcuni paesi e negative in altri -, non essendo possibile manovrare né il cambio né il tasso di interesse (24), rende necessario utilizzare altri strumenti di aggiustamento del sistema economico. A parte prezzi e salari, generalmente poco flessibili, la teoria economica ritiene che l'unico strumento efficace in tale situazione sia la presenza di un sistema di bilancio più flessibile e con maggiori risorse rispetto all'attuale. Ciò permetterebbe di effettuare trasferimenti dalle aree beneficiate dagli shock a quelle danneggiate, sia mediante gli stabilizzatori automatici, sia tramite il finanziamento di progetti di investimento paneuropei (ad es. attraverso l'emissione di euro-obbligazioni) (25).

4.6   Per contribuire a raggiungere un equilibrio tra incentivi e sanzioni in sede di correzione degli squilibri macroeconomici eccessivi nell'area dell'euro, il CESE raccomanda che le ammende riscosse non vengano distribuite tra gli Stati membri in rapporto alla dimensione del loro reddito nazionale lordo, come propone la Commissione, ma siano destinate al meccanismo europeo di stabilità.

4.7   Anche in questo parere il CESE ribadisce (26) che regole e automatismi rischiano non solo di essere poco efficaci ai fini della prevenzione delle crisi gravi, in quanto derivano quasi sempre da eventi straordinari e imprevedibili, ma anche di peggiorare la situazione. Da un lato, possono ridurre la fiducia verso le istituzioni dell'UE, che agli occhi dei cittadini europei si ritraggono dalle scelte politiche per affidarsi ai «tecnocrati di Bruxelles» - come mostrato dai sondaggi di Eurobarometro (27) -, dall'altro, cristallizzano un approccio tradizionale alla soluzione dei problemi che lascia in secondo piano i temi della crescita, dell'equità sociale e del degrado ambientale, rischiando così di neutralizzare sul nascere le ambizioni della strategia Europa 2020.

4.8   Sembra che la stessa ottica di breve periodo che condiziona le attività finanziarie, e che sembrava essere stata individuata come fattore latente della crisi, si sta ora affacciando come linea guida della politica europea (28). Prevalgono gli interventi «spot» - sia nelle istituzioni dell'UE che in ambito intergovernativo (29) - in risposta a situazioni critiche, che richiedono di mostrarsi rapidi nel decidere, o in parallelo alle evoluzioni dell'opinione pubblica degli SM più cruciali, seguite con apprensione dai politici soprattutto in occasione delle continue scadenze elettorali.

5.   Potenzialità dell'intervento a contrasto degli squilibri macroeconomici

5.1   Un efficace coordinamento delle politiche economiche europee, che non si lascia influenzare dalle dinamiche elettorali e dai repentini mutamenti dell'opinione pubblica, passa per un ruolo più incisivo del Parlamento europeo (PE), del Comitato delle regioni e del CESE, ossia delle istituzioni rappresentative dei cittadini e della società civile. È in essi che il percorso di coordinamento previsto dalla Commissione può trarre una forte legittimità democratica per le procedure preventive e correttive, e può quindi trovare l'ampia condivisione che appare necessaria per la sua efficace applicazione.

5.2   In particolare, nel semestre europeo come è concepito allo stato attuale, al PE viene riservato un ruolo secondario, limitato alla fase iniziale di dibattito e primo orientamento del percorso di coordinamento. Al contrario, potrebbe svolgere un ruolo più utile e più efficace se coordinato con l'attività dei parlamenti nazionali nella fase di discussione e approvazione dei bilanci dei singoli SM. Il PE può anzi risultare decisivo nella condivisione del quadro macroeconomico di riferimento, delle priorità nei problemi da affrontare, dell'individuazione delle politiche economiche da attivare. Può essere il luogo dove si concorda una strategia comune che non si limiti ad enunciare regole e procedure formali, ma che entri nel dettaglio delle politiche concrete per rafforzare la fiducia e le aspettative dei cittadini europei.

5.3   La focalizzazione sugli squilibri competitivi comporta una crescente attenzione alla contrattazione tra i governi, le parti sociali e la società civile, soprattutto nell'area dell'euro, dove gli SM non dispongono più della possibilità di adeguare il tasso di cambio. Le relazioni tra governi, i partner del dialogo sociale (sindacati e associazioni imprenditoriali) e la società civile dovrebbero quindi essere parte integrante della strategia delineata dalla Commissione.

5.4   È in questo quadro che il CESE - nel rispetto del suo ruolo di organismo consultivo delle istituzioni europee - può contribuire al rafforzamento della governance economica dell'UE, in qualità di forum in grado di favorire il dialogo tra le organizzazioni rappresentative della società civile. Il valore aggiunto del CESE è proprio la rappresentanza al suo interno delle organizzazioni che possono sostenere, dopo un'attenta valutazione, il consenso per le politiche economiche negli SM. Ciò permette al CESE di dare un importante contributo nell'impegno e nella responsabilizzazione non solo dei leader politici, ma anche e soprattutto dei cittadini degli SM e del tessuto produttivo, sociale e civile di cui si compone l'UE.

5.4.1   Il CESE potrebbe attivare una sessione annuale specifica per discutere le raccomandazioni e il modo per creare consenso sulle riforme a livello nazionale, tenendo conto dell'impatto sociale delle misure adottate (30). Tale discussione è ipotizzabile in autunno, dopo l'adozione formale delle raccomandazioni per gli SM, e le sue conclusioni sarebbero la base per confrontarsi con i rispettivi consigli economici e sociali nazionali, i parlamenti nazionali e il PE, consentendo sia la valutazione delle strategie adottate che la loro diffusione e condivisione a livello nazionale.

5.5   Occorrerebbe, inoltre, favorire un uso più intenso e funzionale del dialogo macroeconomico (MED). Con un salto di qualità, esso diverrebbe uno strumento per valutare in maniera condivisa, tra governi e parti sociali, la situazione economica a livello dell'UE e gli interventi da attivare, in stretto collegamento con i processi di dialogo sociale e di concertazione a livello nazionale, in modo da rendere coerenti le dinamiche dell'UE con quelle nazionali, nel rispetto delle compatibilità sociali.

5.5.1   La prevenzione e la correzione degli squilibri non può essere lasciata solamente alla Commissione e ai governi degli SM (31). Il processo di formazione dei salari e dei prezzi rappresenta un elemento cruciale nel più ampio meccanismo di monitoraggio degli squilibri macroeconomici: di conseguenza qualsiasi azione politica al riguardo deve tener conto dell'articolo 153, paragrafo 5, del TFUE e coinvolgere le parti sociali a livello sia nazionale che europeo. In questo quadro, il MED a livello europeo può essere rafforzato mediante una struttura e un'organizzazione stabili, e a livello nazionale può essere articolato in maniera migliore con i dialoghi sociali e le istituzioni preposte. I governi nazionali dovrebbero sostenere e incentivare la presenza di imprese e sindacati in questi organismi e le forme di contrattazione collettiva che vi avvengono. A fronte della complessità e dei ritardi nella correzione degli squilibri tramite riforme nazionali, il rafforzamento del MED potrebbe rappresentare uno strumento più efficace, tempestivo e coordinato per mantenere coerenti tra loro le problematiche macroeconomiche e le dinamiche del mercato del lavoro.

Bruxelles, 5 maggio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Commissione europea - DG ECFIN, The impact of the global crisis on competitiveness and current account divergences in the euro area, Quarterly Report on the Euro Area, n. 1/2010.

(2)  COM(2002) 714 definitivo.

(3)  OIL-FMI, The Challenges of Growth, Employment and Social Cohesion («Le sfide della crescita, dell'occupazione e della coesione sociale»), documento di discussione per la conferenza congiunta OIL-FMI, Oslo, 13 settembre 2010 (pagg. 67-73).

(4)  Monti M., A New Strategy for the Single Market. At the Service of Europe's Economy and Society («Una nuova strategia per il mercato unico. Al servizio dell'economia e della società europee»), relazione al Presidente della Commissione europea, maggio 2010. Delors J., Fernandes S., Mermet E., Le semestre européen: un essai à transformer. Notre Europe, Les Brefs, n. 22, febbraio 2011. Amato A., Baldwin R., Gros D., Micossi S., Padoan P., A new political deal for Eurozone sustainable growth: An open letter to the President of the European Council, VoxEU.org, dicembre 2010, disponibile on-line www.voxeu.org/index.php?q=node/5893.

(5)  Dai punti 1.15 a 1.18 sono ribadite le stesse raccomandazioni presenti nel parere ECO/282 in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Rafforzare il coordinamento delle politiche economiche per la stabilità, la crescita e l'occupazione - Gli strumenti per rafforzare la governance economica dell'UE, GU C 107 del 6.4.2011, pag. 7.

(6)  COM(2010) 367 definitivo, parere CESE sul tema Rafforzare il coordinamento delle politiche economiche; GU 2011/C 107/02, pag. 7.

(7)  COM(2010) 250 definitivo.

(8)  Per dettagli si rimanda a:

http://ec.europa.eu/economy_finance/articles/eu_economic_situation/2010-09-eu_economic_governance_proposals_en.htm.

(9)  Parere del CESE sul tema Sorveglianza di bilancio nell'area dell'euro (non ancora pubblicato in GU).

(10)  Commissione europea - DG ECFIN, A structured framework to prevent and correct macroeconomic imbalances: operationalising the alert mechanism («Un quadro strutturato prevenire e correggere gli squilibri macroeconomici: rendere operativo il meccanismo di allerta») e A structured surveillance procedure to prevent and correct harmful macroeconomic imbalances: an explanation of the Commission's proposal of 29 September 2010 («Una procedura di sorveglianza strutturata per prevenire e correggere gli squilibri macroeconomici pregiudizievoli: una spiegazione della proposta della Commissione del 29 settembre 2010»), nota per il Comitato di politica economica e per i membri supplenti del Comitato economico e finanziario, 11 novembre 2010 (cfr. Centro Europa Ricerche - CER, 2011, Vincoli Esteri).

(11)  Commissione europea - DG ECFIN, Surveillance of Intra-Euro-Area Competitiveness and Imbalances («Sorveglianza della competitività e degli squilibri dell'area intraeuro»), European Economy, n. 1/2010.

(12)  Altomonte C., Marzinotto B., Monitoring Macroeconomic Imbalances in Europe: Proposal for a Refined Analytical Framework («Monitorare gli squilibri macroeconomici in Europa: proposta per una quadro analitico perfezionato»), nota per la commissione Problemi economici e monetari del Parlamento europeo, settembre 2010.

(13)  Commissione europea - DG ECFIN, The impact of the global crisis on competitiveness and current account divergences in the euro area, Quarterly Report on the Euro Area, n. 1/2010.

(14)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - La politica industriale in un'Europa allargata (COM(2002) 714 definitivo).

(15)  OIL-FMI, The Challenges of Growth, Employment and Social Cohesion («Le sfide della crescita, dell'occupazione e della coesione sociale»), documento di discussione per la conferenza congiunta OIL-FMI, Oslo, 13 settembre 2010 (pagg. 67-73).

(16)  OCSE, Distribuzione dei redditi e povertà nei paesi OCSE: una crescita diseguale?, ottobre 2008.

(17)  Connessi agli spillover negativi che all'interno di un'unione monetaria vengono causati dai paesi con debito alto nei confronti di quelli virtuosi, tramite il tasso di interesse comune. De Grauwe P., Economics of Monetary Union, Oxford University Press, 2009, capitolo 10 (Economia dell'unione monetaria, Il Mulino, 2009).

(18)  Tabellini G., Reforming the Stability Pact: Focus on financial supervision, VoxEU.org, ottobre 2010, disponibile on-line www.voxeu.org/index.php?q=node/5622.

(19)  Belke A., Reinforcing EU Governance in Times of Crisis: The Commission Proposal and beyond, Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung - DIW, Discussion Papers, Berlino, novembre 2010.

(20)  De Grauwe P., Why a tougher Stability and Growth Pact is a bad idea, VoxEU.org, ottobre 2010, disponibile on-line www.voxeu.com/index.php?q=node/5615. Giavazzi F., Spaventa L., The European Commission's proposals: Empty and useless, VoxEU.org, ottobre 2010, disponibile on-line www.voxeu.org/index.php?q=node/5680. Tabellini G., Reforming the Stability Pact: Focus on financial supervision, VoxEU.org, ottobre 2010, disponibile on-line www.voxeu.org/index.php?q=node/5622.

(21)  Parere del CESE sul tema Le implicazioni della crisi del debito pubblico per la governance dell'UE; GU 2011/C 51/03, pag. 15.

(22)  Pareri del CESE sul tema Agenzie di rating; GU 2009/C 277/25, pag. 117 e sul tema Agenzie di rating del credito; GU 2011/C 54/12, pag. 37.

(23)  Spaventa L., How to prevent excessive current account imbalances, EuroIntelligence, settembre 2010, disponibile on-line http://www.eurointelligence.com/index.php?id=581&tx_ttnews%5Btt_news%5D=2909&tx_ttnews%5BbackPid%5D=901&cHash=b44c8f9ae0.

(24)  Se le variazioni positive e negative si compensano a livello di unione monetaria, allora la banca centrale dell'unione non avrà motivo di intervenire sulla politica monetaria (cfr. De Grauwe P., Economics of Monetary Union, op. cit., cap. 1).

(25)  Monti M., A New Strategy for the Single Market. At the Service of Europe's Economy and Society («Una nuova strategia per il mercato unico. Al servizio dell'economia e della società europee»), relazione al Presidente della Commissione europea, maggio 2010. Delors J., Fernandes S., Mermet E., Le semestre européen: un essai à transformer. Notre Europe, Les Brefs, n. 22, febbraio 2011. Amato A., Baldwin R., Gros D., Micossi S., Padoan P., A new political deal for Eurozone sustainable growth: An open letter to the President of the European Council, VoxEU.org, dicembre 2010, disponibile on-line www.voxeu.org/index.php?q=node/5893.

(26)  Così come è stato detto nel parere del CESE Rafforzare il coordinamento delle politiche economiche GU 2011/C 107/02, pag. 7.

(27)  Il venire meno della fiducia non è tanto nei confronti delle istituzioni dell'UE in sé, quanto in merito all'utilità di far parte dell'UE. Dati di Eurobarometro 73 - Primi risultati, domande QA9a e QA10a.

(28)  Monti M., Europe must buck short-term tendencies, Financial Times, 13 dicembre 2010.

(29)  Si pensi al patto sulla competitività presentato dai governi di Francia e Germania il 4 febbraio 2011.

(30)  Così come è stato proposto nel parere del CESE Rafforzare il coordinamento delle politiche economiche GU C 107 del 6.4.2011, pagg. 7.

(31)  Watt A., Economic Governance in Europe: A Change of Course only after Ramming the Ice, Social Europe Journal, 30 luglio 2010, disponibile on-line www.social-europe.eu/2010/07/economic-governance-in-europe-a-change-of-course-only-after-ramming-the-ice. Watt A., European economic governance: what reforms are to be expected and what are needed, paper for European Alternatives, 2010, disponibile on-line www.euroalter.com/wp-content/uploads/2010/11/Watt-ENG.pdf.


23.7.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 218/61


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro bianco sui sistemi di garanzia nel settore delle assicurazioni

COM(2010) 370 definitivo

2011/C 218/10

Relatore: Joachim WUERMELING

La Commissione europea, in data 29 aprile 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del TFUE, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al:

Libro bianco sui sistemi di garanzia nel settore delle assicurazioni

COM(2010) 370 definitivo.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 aprile 2011.

Alla sua 471a sessione plenaria, dei giorni 4 e 5 maggio 2011 (seduta del 5 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 148 voti favorevoli, 7 voti contrari e 10 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie favorevolmente il Libro bianco della Commissione europea sui sistemi di garanzia nel settore delle assicurazioni (Insurance Guarantee Schemes - IGS) e approva l'iniziativa della Commissione di proporre misure per la protezione dei titolari di polizze assicurative all'interno dell'UE.

1.2   Il CESE sostiene gli sforzi intrapresi dalla Commissione al fine di introdurre norme armonizzate in materia di sistemi di garanzia e appoggia la Commissione nell'intento di elaborare una direttiva europea che stabilisca un elevato livello di tutela nella forma di un'armonizzazione minima, sì da consentire agli ordinamenti nazionali anche di ampliare ulteriormente la portata della tutela. Il sistema di garanzia deve essere introdotto come strumento di ultima istanza (last resort), cui ricorrere solo dopo aver esperito altri strumenti, come ad esempio quelli di vigilanza.

1.3   Al riguardo bisognerebbe tener presente che negli ultimi anni sono stati adottati provvedimenti per la solvibilità delle imprese di assicurazione molto più efficaci che in passato, che introducono misure di vigilanza e requisiti patrimoniali. Il tasso di procedure concorsuali nel settore assicurativo risulta nei fatti esiguo, e grazie a questi nuovi provvedimenti dovrebbe ulteriormente ridursi. Questo elemento dovrebbe essere preso in considerazione nella definizione dei sistemi di garanzia, affinché i costi e i benefici risultino equilibrati tra loro. Il CESE è pertanto favorevole a misure UE che, da un lato, conseguano l'obiettivo di tutelare i consumatori e i lavoratori e, dall'altro, mantengano entro certi limiti le spese per le imprese e gli assicurati.

1.4   Per il CESE è giusto che nel Libro bianco la Commissione abbia sollevato il problema di una copertura illimitata dei sistemi di garanzia. Occorre evitare che imprese di assicurazione solide incontrino delle difficoltà a causa di obblighi di indennizzo illimitati. Pertanto approva che la Commissione ipotizzi, sempre nel Libro bianco, di introdurre limitazioni alle pretese indennitarie.

1.5   In caso di iniziativa legislativa, la Commissione dovrebbe prestare una particolare attenzione alla questione del momento in cui poter far ricorso al sistema di garanzia. Prima di ricorrervi, infatti, bisognerebbe aver esaurito tutte le possibilità di intervento sul piano della vigilanza. Il solo fatto che l'impresa non soddisfi i requisiti patrimoniali di solvibilità fissati dalla direttiva Solvibilità II dovrebbe essere una ragione sufficiente per attivare il sistema di garanzia.

1.6   Per quanto concerne la dotazione finanziaria dei sistemi, il CESE raccomanda di valutare ancora una volta le diverse opzioni sulla base dei risultati del quinto studio d'impatto integrativo sulla solvibilità (QIS 5) previsto dalla direttiva Solvibilità II. Suggerisce pertanto di stabilire in sede UE un determinato livello di protezione, ma di fissare la specifica dotazione sia tenendo conto del rischio a livello nazionale sia in base al rischio del rispettivo ramo assicurativo.

1.7   Per quanto concerne i sistemi di garanzia vigenti negli Stati membri, la normativa europea dovrebbe prescrivere uno standard di protezione adeguatamente elevato. Agli Stati membri può continuare ad essere affidato il compito di definire le singole modalità, ad esempio l'ammontare dettagliato dei contributi, il momento del finanziamento, la decisione relativa al trasferimento del portafoglio o all'indennizzo e l'introduzione di sistemi specifici di garanzia per i singoli rami assicurativi.

2.   Introduzione

2.1   Le assicurazioni coprono i rischi primari dei consumatori, quali le malattie, gli infortuni o la responsabilità civile, e provvedono alle necessità delle persone in età avanzata (1). L'inadempimento da parte delle imprese di assicurazione può condurre alla perdita irreparabile della totalità o di una parte sostanziale dei beni dei consumatori, portandoli addirittura ad una condizione di povertà.

2.1.1   La questione della necessità di un sistema di garanzia si pone in modo diverso nei vari rami assicurativi. Il rischio di perdere il capitale risparmiato è infatti regolarmente presente nel ramo vita, ma non nell'assicurazione contro i danni.

2.1.2   L'assicurazione vita ad accumulo di capitale consente di provvedere a lungo termine alle necessità di chi raggiunge un'età avanzata o dei superstiti. In caso di inadempimento e senza garanzie contro l'insolvenza, una parte essenziale della previdenza privata perderebbe di valore. Nei casi più gravi, sarebbe necessario l'intervento dei sistemi previdenziali pubblici. Per tale motivo, il CESE ritiene che in questo comparto i sistemi di garanzia dovrebbero venire introdotti con la massima urgenza.

2.1.3   Nell'assicurazione danni e responsabilità civile, occorre tutelare gli assicurati il cui diritto all'indennizzo non è stato ancora soddisfatto al momento dell'insolvenza. Per gli altri assicurati, invece, non si pone il problema di un nuovo contratto con un altro assicuratore a condizioni meno vantaggiose, dovute al fatto che l'assicurato nel frattempo è invecchiato e il suo stato di salute è peggiorato. Una copertura assicurativa può di regola essere ottenuta sul mercato a condizioni analoghe.

2.2   Secondo i dati della Commissione (2008), dal 1994 sono risultate insolventi 130 imprese di assicurazione su 5 200. Occorre tuttavia tener presente che tali imprese sono obbligate per legge a mantenere una quota di fondi propri con cui poter soddisfare, in tutto o almeno in parte, le richieste degli assicurati in questi casi.

2.3   Finora, quindi, non era stato giudicato necessario adottare una normativa europea che introducesse garanzie per il raro caso di insolvenza di un'impresa di assicurazione. A dire il vero nel 2001 la Commissione aveva avviato la preparazione di una direttiva in materia, ma il progetto non era stato portato avanti. I regimi collettivi di garanzia non sono abituali nelle economie di mercato, pur essendo stati introdotti molte volte in campo finanziario considerando i rischi particolari che corrono i consumatori.

2.4   In campo bancario esiste fin dal 1994 un sistema europeo di garanzia sui depositi (2) contro il rischio di una «corsa agli sportelli» che avrebbe effetti profondamente destabilizzanti sui mercati finanziari. La relativa disciplina è attualmente in fase di aggiornamento (3). Nel settore assicurativo, tuttavia, esistono rischi diversi da quelli paventati nel settore bancario. In particolare non esistono rischi di «corsa agli sportelli» e neppure necessità di rifinanziamento. Nel campo delle assicurazioni, un sistema di garanzia efficace deve essere configurato in modo strutturalmente diverso che in quello bancario.

2.5   Per tutelare il cliente dalla perdita dei suoi diritti, in campo assicurativo il legislatore ha adottato estesi provvedimenti: vigilanza completa e proattiva, elevati requisiti patrimoniali, norme rigorose in materia di investimenti degli attivi, e tutela dei diritti acquisiti in caso di procedura concorsuale. Con l'attuazione della direttiva Solvibilità II, per l'assicuratore il rischio di problemi finanziari si riduce ulteriormente (4).

2.6   I rischi dell'assicurazione diretta vengono inoltre coperti in particolare dalla riassicurazione, il che riduce ulteriormente il rischio di insolvenza. Raggruppando e diversificando una serie di rischi a livello di riassicurazione si crea un più stretto legame tra gli assicuratori che finisce per garantire una maggiore tutela dei consumatori.

2.7   In conseguenza della crisi finanziaria, la Commissione ha inoltre definito una base europea totalmente nuova per la vigilanza finanziaria. In tale contesto si colloca anche, per il settore assicurativo, l'Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali o professionali (EIOPA).

2.8   Nel corso della crisi finanziaria il settore assicurativo si è mantenuto in linea di massima stabile. Il settore non è stato all'origine della crisi (5), ma è stato colpito dai suoi effetti. Le assicurazioni europee hanno dovuto procedere a rettifiche negative di valore, mentre i tassi di interesse mantenuti bassi con le azioni di salvataggio e la politica monetaria impediscono alle imprese di assicurazione di ottenere i necessari rendimenti dai loro investimenti di capitale. Decozioni eclatanti di imprese del settore, come quelli dell'AIG o, più di recente, dell'AMBAC negli Stati Uniti, non sono da ricondurre all'attività assicurativa tradizionale bensì ad attività di copertura rischi analoghe a quelle bancarie. Tutto ciò potrebbe verificarsi ancora in futuro, soprattutto nel caso di imprese e di gruppi finanziari che svolgono al tempo stesso attività bancaria e assicurativa.

2.9   In 12 Stati membri su 27 esistono già sistemi di garanzia per le imprese di assicurazione (6). Si tratta di regimi molto complessi: in alcuni Stati membri esiste una garanzia solo per determinati comparti. Il grado di copertura del sistema è inoltre variabile. A volte esistono garanzie statali.

2.10   I gruppi assicurativi attivi a livello europeo operano generalmente sui mercati nazionali con filiali nazionali indipendenti che contribuiscono ai rispettivi sistemi nazionali di garanzia. Se una grande impresa europea si trovasse in difficoltà, i sistemi di garanzia nazionali sarebbero di regola sufficienti a proteggere i clienti. Il CESE esorta tuttavia a istituire un sistema di garanzia europeo per le imprese di assicurazione transfrontaliere che intervenga nei casi in cui i sistemi di garanzia nazionali non siano sufficienti.

2.11   I costi derivanti da un sistema di garanzia sono in ultima analisi trasferiti ai titolari di polizza attraverso un aumento dei premi. Il singolo consumatore è sì effettivamente protetto contro l'insolvenza; tuttavia, i costi di tale sistema ricadono sulla totalità dei contraenti.

3.   Osservazioni in merito alla sezione 3 del Libro bianco della Commissione

3.1   Tipologia delle possibili azioni dell'UE (sezione 3.1 del Libro bianco)

I mercati assicurativi nazionali si differenziano notevolmente fra loro per struttura di prodotto e di rischio. Bisognerebbe pertanto optare per lo strumento della direttiva di armonizzazione minima, onde consentire agli Stati membri di tener conto delle specificità normative nazionali in materia di insolvenza, contratti, fiscalità e previdenza nonché di mantenere gli istituti di garanzia esistenti e di provata efficacia nella misura in cui risultino compatibili con le disposizioni della direttiva.

3.2   Livello di accentramento e ruolo dell'IGS (sezione 3.2)

3.2.1   In primo luogo, bisogna già evitare che un'impresa di assicurazione finisca per trovarsi in stato di insolvenza. Per questo è anzitutto necessario creare un sistema efficace di vigilanza. Se ciò non dovesse bastare, si può far ricorso ai sistemi di garanzia.

3.3   Campo di applicazione geografico (sezione 3.3)

La Commissione è giustamente favorevole al principio del paese d'origine. Questo è in armonia con i principi della vigilanza assicurativa europea: conformemente alla direttiva Solvibilità II, la vigilanza su tutte le attività delle imprese di assicurazione stabilite nell'UE avviene nel paese d'origine di queste. Ciò vale anche per le attività esercitate in virtù della libertà di stabilimento tramite filiali non autonome oppure in base alla libera prestazione dei servizi tramite servizi transfrontalieri.

3.4   Polizze coperte (sezione 3.4 del Libro bianco)

3.4.1   Stanti le differenze fra ramo vita e ramo danni, è opportuno creare per questi comparti istituti di garanzia separati. All'interno dei singoli rami il rischio è sostanzialmente omogeneo. Le ragioni a favore di un mutuo intervento sono in questo caso ancora accettabili. È arduo invece giustificare perché, ad esempio, chi assicura un'abitazione debba contribuire ad un sistema di garanzia le cui risorse vengono messe a disposizione per il salvataggio di un'impresa di assicurazione vita. Poiché la questione può dipendere da specificità nazionali, ad esempio dal fatto che in un dato mercato esista o meno l'obbligo di tenere giuridicamente separate le imprese che si occupano dei diversi rami assicurativi, il legislatore europeo dovrebbe in tal caso lasciare libertà di manovra agli Stati membri.

3.4.2   Per quanto concerne l'assicurazione auto, il CESE condivide il parere del CEIOPS (Comitato europeo di vigilanza delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali) e ritiene che questo tipo di assicurazione debba esser incluso della futura direttiva sui sistemi di garanzia, per motivi di chiarezza, equilibrio concorrenziale e maggiore comprensione da parte dei consumatori.

3.4.3   Una protezione per le pensioni aziendali non è prevista nelle proposte della Commissione. Solo i regimi di assicurazione pensionistica aziendali di tipo tradizionale rientrano nel sistema di garanzia. Tuttavia, il CESE ravvisa la necessità di intervenire anche per le altre pensioni aziendali ed è favorevole a che tale questione sia trattata nel quadro delle misure di follow-up del Libro verde sulle pensioni.

3.4.4   La partecipazione adeguata e concreta dei titolari di polizza è un incentivo efficace ad informarsi circa la solidità delle imprese di assicurazione nella misura in cui i consumatori abbiano la possibilità di farlo.

3.4.5   Sarebbe opportuno fissare massimali o stabilire altre forme che limitino le prestazioni del sistema di garanzia, ad esempio soglie minime o franchigie, come propone anche il Ceiops nel proprio parere. In tal modo, i titolari di polizza non dovrebbero essere sopraffatti dall'accumularsi delle limitazioni. Ciò consentirebbe di ridurre sensibilmente l'onere che grava sui sistemi di garanzia, il che si ripercuoterebbe sui costi. Ne trarrebbero vantaggio anche tutti i titolari di polizza, i quali in ultima analisi sostengono questi costi.

3.5   Ammissibilità dei ricorrenti (sezione 3.5 del Libro bianco)

3.5.1   La Commissione ha ragione quando afferma che una garanzia a favore di tutti i soggetti presenti sul mercato avrebbe costi insostenibilmente elevati. Nella prima frase del Libro bianco, i sistemi di garanzia vengono presentati come una misura a tutela dei consumatori. Questo però non significa che la cerchia dei soggetti protetti dovrebbe limitarsi ai consumatori, ma che occorre invece tutelare altri soggetti che in base a diversi ordinamenti giuridici nazionali beneficiano della stessa protezione concessa ai consumatori siano essi titolari di polizza, assicurati o beneficiari.

3.5.2   Gli Stati membri dovrebbero poter escludere sin dall'inizio dall'ambito di applicazione dei sistemi di garanzia le assicurazioni puramente commerciali, ad esempio quelle che coprono i rischi di interruzione dell'attività o quelli legati ai trasporti. Sempre gli Stati membri dovrebbero poter decidere se appare opportuno inserire nell'ambito di applicazione della direttiva le piccole imprese.

3.6   In caso di iniziativa legislativa, la Commissione dovrebbe prestare una particolare attenzione alla questione del momento in cui poter far ricorso al sistema di garanzia e del soggetto incaricato di decidere in materia. La Commissione ritiene che il sistema di garanzia debba intervenire non solo quando un'impresa è già decotta ma anche per prevenirne la decozione. Il CESE ritiene che scendere al di sotto dei requisiti patrimoniali di solvibilità fissati dalla direttiva Solvibilità II sia una ragione sufficiente per attivare il sistema di garanzia in modo da renderlo efficiente e corrispondente alla sua natura e agli obiettivi per i quali è stato concepito.

3.7   Finanziamento (sezione 3.6 del Libro bianco)

3.7.1   Tempistiche del finanziamento (sezione 3.6.1 del Libro bianco)

3.7.1.1   Se sia preferibile optare per un finanziamento ex post, uno ex ante o per un sistema misto è questione dibattuta e controversa: tutti questi sistemi presentano vantaggi e svantaggi.

3.7.1.2   Un finanziamento ex post sottrae meno liquidità al mercato, e ciò, grazie ai costi inferiori, fa abbassare anche i premi per i titolari di polizza. Inoltre, si evita il problema dell'investimento intermedio delle risorse finanziarie raccolte. Con un finanziamento ex post si evita anche di utilizzare una parte di tali risorse per fini amministrativi ancor prima del verificarsi di un caso di insolvenza.

3.7.1.3   Per contro, il finanziamento ex post rende arduo affrontare il problema del rischio morale (moral hazard). Il fatto che gli operatori meno solidi non siano, a causa del loro stato di insolvenza, più presenti sul mercato al momento del finanziamento fa sì che essi non possano più essere chiamati a sostenerne i costi.

3.7.1.4   Il vantaggio del finanziamento ex ante risiede soprattutto nel fatto che i contributi possono essere commisurati al rischio di insolvenza. I partecipanti al mercato che adottano comportamenti commerciali rischiosi sono chiamati a contribuire in misura maggiore. Il finanziamento ex ante comporta anche meno rischi di effetti prociclici rispetto a quello ex post.

3.7.1.5   Perché un sistema di garanzia sia efficace, la questione della tempistica del finanziamento può essere determinante. I vantaggi di un sistema di finanziamento ex nunc superano di gran lunga gli inconvenienti e non ci sono validi motivi per lasciare la decisione in merito agli Stati membri a causa delle tradizioni e delle particolarità nazionali. Ai fini dell'efficacia del sistema è necessario che la direttiva stabilisca una forma unica di finanziamento ex nunc.

3.7.2   Livello-obiettivo (sezione 3.6.2 del Libro bianco)

3.7.2.1   Gli oneri finanziari per i sistemi di garanzia devono essere limitati, come chiede anche il Ceiops nel suo parere. Un obbligo di copertura illimitato renderebbe impossibile calcolare i rischi finanziari per le singole compagnie e condurrebbe a una situazione in cui ogni assicuratore diviene responsabile dell'intero mercato (7). La gestione del rischio da parte delle singole imprese non dipenderebbe più dalle loro proprie decisioni bensì prevalentemente dalla condotta degli operatori concorrenti.

3.7.2.2   La Commissione ha fissato, in primo luogo, un livello-obiettivo per gli IGS dell'1,2 % circa dei premi lordi contabilizzati. Il CESE auspica che le diverse opzioni possano essere ancora una volta verificate sulla base dei dati quantitativi attualmente disponibili in relazione alla direttiva Solvibilità II. In tale contesto, si dovrebbe altresì tener conto del fatto che la direttiva Solvibilità II e altri meccanismi d'intervento sono stati introdotti per garantire una maggiore tutela degli assicurati. È quanto ha sottolineato anche il Ceiops nel suo parere.

3.7.2.3   Nei suoi calcoli, la Commissione parte da una probabilità media di intervento dei sistemi di garanzia dello 0,1 %. Il principio di base, tuttavia, è quello della copertura, attraverso fondi propri, del 100 % dei requisiti patrimoniali di solvibilità. Se in alcuni Stati membri e in taluni comparti i fondi propri superano detti requisiti, il rischio di decozione diminuisce di conseguenza. La direttiva dovrebbe pertanto consentire che i sistemi nazionali di garanzia calcolino il livello in funzione dell'effettivo rischio di esposizione a richieste di indennizzo esistente sui mercati nazionali e nei singoli comparti.

3.7.2.4   Nel Libro bianco la Commissione non affronta la questione della necessità o meno di nuovi contributi al sistema di garanzia in caso di richieste di indennizzo. Al riguardo, tuttavia, vi è bisogno di regole e limiti precisi al fine di escludere una responsabilità illimitata e per consentire alle imprese di conoscere in anticipo i loro obblighi e di provvedervi di conseguenza.

3.7.3   Contributi (sezione 3.6.3 del Libro bianco)

3.7.3.1   La formula relativa al calcolo dei contributi dovrebbe basarsi sui dati disponibili al fine di ridurre i costi amministrativi. Nell'assicurazione vita si potrebbe far riferimento agli attivi disponibili e nell'assicurazione danni all'entità delle riserve tecniche. Un altro criterio potrebbe essere il livello di fondi propri commisurato ai requisiti patrimoniali di solvibilità. Il legislatore europeo dovrebbe fissare la metodologia e permettere agli Stati membri di determinare i dettagli tecnici di detta formula, in modo da consentir loro di tener conto delle specificità nazionali.

3.7.3.2   Prima di fare ricorso ai sistemi di garanzia, le imprese di assicurazione solvibili dovrebbero avere la possibilità, senza aiuti finanziari, di rilevare quelle in difficoltà per assicurarsi il loro portafoglio clienti.

3.8   Trasferimento del portafoglio e/o indennizzo dei sinistri (sezione 3.7 del Libro bianco)

3.8.1   Per i sistemi di garanzia sono disponibili due diverse tecniche: un indennizzo puntuale a favore dell'assicurato oppure la garanzia della continuità della polizza da parte di un istituto di garanzia contro l'insolvenza, previo trasferimento della clientela a quest'ultimo. Questo «trasferimento del portafoglio», ad avviso del CESE, risulta vantaggioso per i titolari delle polizze vita. Nelle assicurazioni contro i danni e gli infortuni, invece, gli indennizzi potrebbero essere sufficienti per tutelare i consumatori. La direttiva europea non dovrebbe tuttavia impedire il ricorso a sistemi più vantaggiosi per i consumatori stessi.

Bruxelles, 5 maggio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  CESE 1164/2010, punto 1.4.

(2)  GU L 135 del 31.5.1994, pag. 5; GU L 84 del 26.3.1997, pag. 22.

(3)  COM(2010) 368 definitivo - 2010/0207 (COD) del 12 luglio 2010.

(4)  GU C 224 del 30.8.2008, pag. 11, punto 3.1.

(5)  CESE 1164/2010, punto 1.3.

(6)  Una rassegna completa di questi sistemi nei paesi dell'OCSE figura nella relazione OCSE n. DAF/AS/WD (2010)20 del 10 novembre 2010.

(7)  CESE 1164/2010, punto 2.7.3.1.


ALLEGATO

al Parere del Comitato economico e sociale europeo

I seguenti emendamenti sono stati respinti nel corso del dibattito, ma hanno ottenuto più di un quarto dei voti espressi (articolo 54, paragrafo 3, del Regolamento interno):

Punto 2.10

Modificare come segue:

I gruppi assicurativi attivi a livello europeo operano generalmente sui mercati nazionali con filiali nazionali indipendenti che contribuiscono ai rispettivi sistemi nazionali di garanzia. Se una grande impresa europea si trovasse in difficoltà, i sistemi di garanzia nazionali sarebbero di regola sufficienti a proteggere i clienti. Il CESE esorta tuttavia a un sistema di garanzia europeo per le imprese di assicurazione transfrontaliere che intervenga nei casi in cui i sistemi di garanzia nazionali non siano sufficienti.

Motivazione

Nella fase attuale un sistema reciproco di salvataggio per le compagnie assicurative su scala europea appare prematuro.

Esito della votazione

Voti favorevoli

:

68

Voti contrari

:

78

Astensioni

:

13


23.7.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 218/66


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione concernente il monitoraggio e la comunicazione dei dati relativi all'immatricolazione delle autovetture nuove

COM(2010) 657 definitivo

2011/C 218/11

Relatore: Mihai MANOLIU

La Commissione europea, in data 10 novembre 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione concernente il monitoraggio e la comunicazione dei dati relativi all'immatricolazione delle autovetture nuove

COM(2010) 657 definitivo.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 aprile 2011.

Alla sua 471a sessione plenaria, dei giorni 4 e 5 maggio 2011 (seduta del 4 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 148 voti favorevoli e 4 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che realizzare la mobilità sostenibile significhi garantire la circolazione di persone e merci in tutta Europa nel modo più efficiente, riducendo le emissioni e risparmiando carburante. Ciò richiede la disponibilità di informazioni e l'accesso al modo o ai modi di trasporto più adeguato/i nonché l'investimento nelle tecnologie, nelle infrastrutture e nei sistemi di gestione atti a favorire una circolazione libera e sostenibile.

1.2

Secondo il Comitato, per promuovere la mobilità sostenibile occorre concepire un quadro normativo che consenta all'industria automobilistica europea di prosperare e di continuare a innovare e a fornire le tecnologie e i veicoli a basse emissioni per un futuro sostenibile.

1.3

Il Comitato sottolinea che il quadro legislativo necessario per raggiungere l'obiettivo medio di emissione per il nuovo parco auto dovrebbe garantire obiettivi di riduzione neutri dal punto di vista della concorrenza, socialmente equi e sostenibili, che rispettino le diverse caratteristiche dei costruttori automobilistici europei ed evitino qualunque distorsione ingiustificata della concorrenza tra i costruttori suddetti.

1.4

Il Comitato è lieto che, «nello spirito di una migliore regolamentazione», la Commissione europea intenda «promuovere un'interazione coerente tra diversi ambiti politici, assicurare la prevedibilità e perseguire la tutela dell'interesse pubblico (ad esempio ambiente e sicurezza), tentando nel contempo di razionalizzare la regolamentazione che si applica a questo settore industriale».

1.5

Il Comitato plaude all'impegno di mettere a punto una strategia globale e alla volontà di integrarvi le varie dimensioni legate allo sviluppo del settore e della sua competitività, come pure di coinvolgere le diverse parti interessate.

1.6

Nel definire norme sulle emissioni, il Comitato reputa che sia importante considerare le implicazioni per i consumatori, i mercati e la competitività dei costruttori, stimolando l'innovazione e riducendo il consumo di energia. È altresì importante garantire la sicurezza di pianificazione ai costruttori automobilistici.

2.   Contesto

2.1

Nel 2010 il mercato delle autovetture nuove nell'UE ha registrato un calo del 5,5 %, con un totale di 13 360 599 nuovi veicoli immatricolati nel corso dell'anno secondo i dati forniti dall'Associazione europea dei costruttori di automobili (ACEA). Su queste cifre ha influito il fatto che molti Stati membri hanno sospeso gli incentivi statali per il rinnovo del parco auto. Nel mese di dicembre le nuove autovetture immatricolate sono state 1 009 638, ossia il 3,2 % in meno rispetto all'anno precedente.

2.2

Il calo registrato nel mese di dicembre (complessivamente – 3,2 %) nella domanda di nuove autovetture è stato particolarmente marcato in Spagna (– 23,9 %), in Italia (– 21,7 %) e nel Regno Unito (– 18 %). In Francia il mercato si è mantenuto piuttosto stabile (– 0,7 %), mentre in Germania ha segnato un incremento del 6,9 %.

2.3

Il segmento delle autovetture comprende una gamma di modelli più ampia che mai. Nuove categorie di veicoli versatili come le station wagon sportive e i crossover station wagon/SUV si contendono quote di mercato con le berline, le coupé, le cabriolet, le due volumi e le station wagon. Queste nuove configurazioni di carrozzeria sono presenti in tutti i segmenti di autovetture, da quelle compatte alle berline di lusso.

2.4

Si tratta di una buona notizia per gli acquirenti, che hanno così maggiori possibilità di scelta in termini di prezzo, come anche di stile e funzionalità. Le scelte dei consumatori hanno un effetto sul volume complessivo di emissioni delle autovetture. I consumatori dovrebbero pertanto essere informati in modo da sapere se le nuove autovetture soddisfano gli obiettivi di riduzione delle emissioni.

2.5

Realizzare la mobilità sostenibile significa garantire che i consumatori abbiano una reale possibilità di scelta, ma anche incoraggiarli ad acquistare il veicolo più adeguato per le loro esigenze ed educarli all'utilizzo delle tecniche di guida ecologica per ridurre le emissioni inquinanti inutili e per risparmiare denaro.

2.6

Per quanto riguarda la costruzione dei veicoli, realizzare la mobilità sostenibile significa individuare materiali più sostenibili, migliorare la logistica nella catena di approvvigionamento per ridurre sprechi ed emissioni inutili, nonché progettare un maggior numero di componenti che possono essere riciclati al termine del loro ciclo di vita.

2.7

Le politiche nazionali devono comprendere anche mezzi più efficaci sotto il profilo dei costi capaci di ridurre le emissioni di CO2, incentivi fiscali coordinati e lo sviluppo di carburanti alternativi e di energie rinnovabili, come anche delle relative infrastrutture.

2.8

Occorre pertanto concepire un nuovo metodo che consenta di tenere adeguatamente conto della riduzione di emissioni di CO2 realizzabile con veicoli a doppia alimentazione (bi-fuel) o ad alimentazione mista (flex-fuel) capaci di funzionare con carburanti alternativi.

2.9

L'industria dovrà compiere ulteriori investimenti nelle tecnologie atte a ridurre le emissioni e nelle tecnologie per la gestione intelligente del traffico, e migliorare ancora l'efficienza dei motori.

2.10

L'UE si è data un programma ambizioso di riduzione delle emissioni di CO2 dei veicoli stradali e molti risultati sono già stati ottenuti. Il regolamento (CE) n. 443/2009, che definisce i livelli di prestazione in materia di emissioni delle autovetture nuove (1), fissa il livello medio delle emissioni di queste ultime a 130 g di CO2/km, obiettivo questo da raggiungere entro il 2015.

2.11

I costruttori automobilistici stanno lavorando per realizzare obiettivi rigorosi di contenimento delle emissioni di CO2 per le autovetture nuove entro il 2012 e si sono dati ulteriori obiettivi di riduzione per il 2020. L'industria parteciperà attivamente al dibattito sui trasporti sostenibili.

2.12

Negli ultimi 20 anni, le emissioni di CO2 generate dalle autovetture e dai veicoli commerciali sono scese drasticamente, facendo registrare un calo del 20 % rispetto al 1995. La Commissione europea ha riconosciuto questo progresso e il fatto che esso sia stato conseguito in primo luogo grazie agli investimenti nelle tecnologie automobilistiche. Per parte sua, il Comitato ritiene che se si vogliono raggiungere ulteriori riduzioni significative si debba guardare oltre queste tecnologie.

2.13

Secondo il Comitato è necessario un approccio integrato che garantisca la competitività e la crescita sostenibile del settore automobilistico per salvaguardarne la produzione in Europa, e che fornisca un quadro efficace per lo sviluppo di veicoli puliti ed efficienti sul piano energetico e l'aggiornamento del loro mercato.

2.14

Gli Stati membri dovrebbero tenere sotto controllo il numero di immatricolazioni al fine di valutare l'impatto sul processo di monitoraggio e il raggiungimento dell'obiettivo di riduzione delle emissioni medie di CO2 fissato dall'UE per il nuovo parco auto secondo il parere del comitato sui cambiamenti climatici.

2.15

Il Comitato ritiene che il perseguimento di obiettivi a livello UE per le autovetture sia necessario al fine di evitare la frammentazione del mercato interno in seguito all'adozione di misure differenti da parte dei diversi Stati membri.

2.16

L'esistenza di obiettivi comuni offre ai costruttori maggiore certezza nella pianificazione e maggiore flessibilità nel soddisfacimento dei requisiti in materia di riduzione delle emissioni di CO2 rispetto a quanto garantirebbero loro obiettivi di riduzione nazionali distinti.

3.   Dati: trasmissione, fonti, gestione e controllo dei dati

3.1

Ai sensi dell'articolo 8 del regolamento (CE) n. 443/2009, ogni anno gli Stati membri sono tenuti a registrare e inviare alla Commissione taluni dati relativi alle autovetture nuove immatricolate nel loro territorio nell'anno precedente (2).

3.2

I dati in questione servono a calcolare l'obiettivo per le emissioni specifiche di CO2 per ciascun costruttore di autovetture nuove e a verificare se i costruttori si attengono a tali obiettivi. A questo riguardo occorre armonizzare le norme sulla raccolta e sulla comunicazione dei dati stessi.

3.3

Per poter valutare pienamente se ciascun costruttore rispetta il suo obiettivo per le emissioni specifiche di CO2 e per acquisire la necessaria esperienza nell'applicazione della normativa, la Commissione ha bisogno di dati dettagliati. Gli Stati membri dovrebbero quindi garantire che tali dati siano registrati e trasmessi alla Commissione.

3.4

I dati utilizzati da ciascuno Stato membro per preparare i dati di monitoraggio aggregati e i dati di monitoraggio dettagliati devono essere basati, indipendentemente dalla loro fonte, sulle informazioni contenute nel certificato di conformità della relativa autovettura.

3.5

Le principali fonti che devono essere utilizzate dagli Stati membri per raccogliere i dati sono rappresentate dai certificati di conformità o dalla documentazione relativa all'omologazione. La carta di circolazione non può però sostituire il certificato di conformità ai fini dell'immatricolazione di un veicolo: essa viene rilasciata solo dopo l'immatricolazione del veicolo stesso.

3.6

È importante che i dati sull'immatricolazione di nuove autovetture siano esatti in modo da poter essere elaborati con efficacia ai fini della definizione dell'obiettivo per le emissioni specifiche. Gli Stati membri dovrebbero registrare e comunicare le informazioni sui veicoli di nuova immatricolazione progettati per l'alimentazione con carburanti alternativi, precisando la percentuale delle relative stazioni di rifornimento situate nel loro territorio.

3.7

Gli Stati membri garantiscono la gestione, la raccolta, il controllo, la verifica e la trasmissione dei dati di monitoraggio aggregati e dei dati di monitoraggio dettagliati.

3.8

I dati devono essere monitorati e registrati in relazione a ciascun costruttore. Pertanto è importante identificare chiaramente il costruttore, distinguendolo dalla marca (cioè dalla denominazione commerciale del costruttore).

Bruxelles, 4 maggio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU L 140 del 5.6.2009, pag. 1.

(2)  Regolamento (UE) n. 1014/2010 della Commissione relativo al monitoraggio e alla comunicazione dei dati relativi all’immatricolazione delle autovetture nuove ai sensi del regolamento (CE) n. 443/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, GU L 293 dell'11.11.2010, pag. 15.


23.7.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 218/69


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 sulla cooperazione tra autorità nazionali responsabili per l'applicazione della normativa che tutela i consumatori

COM(2010) 791 definitivo — 2011/0001 (COD)

2011/C 218/12

Relatore: Bernardo HERNÁNDEZ BATALLER

Il Consiglio, in data 19 gennaio 2011, e il Parlamento europeo, in data 18 gennaio 2011, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 sulla cooperazione tra autorità nazionali responsabili per l'applicazione della normativa che tutela i consumatori

COM(2010) 791 definitivo — 2011/0001 (COD).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 aprile 2011.

Alla sua 471a sessione plenaria, dei giorni 4 e 5 maggio 2011 (seduta del 5 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 104 voti favorevoli, 13 voti contrari e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene la proposta della Commissione e accoglie favorevolmente la sua intenzione di dare alle norme giuridiche dell'Unione maggiore chiarezza, sicurezza e certezza del diritto.

1.2   Tuttavia il CESE si rammarica che la revisione proposta abbia un contenuto così modesto e non abbracci tutti gli aspetti del regolamento che è necessario modificare, alla luce dell'esperienza raccolta dall'entrata in vigore del regolamento (CE) n. 2006/2004.

1.3   Il CESE chiede alla Commissione di tener conto, quando procederà alla prossima revisione del regolamento (CE) n. 2006/2004, delle proposte contenute nel presente documento tese a migliorare il funzionamento dell'attuale cooperazione tra le amministrazioni competenti per la tutela dei consumatori.

2.   Contesto

2.1   Il CESE ha già espresso parere favorevole (1) in merito alla proposta di regolamento (CE) n. 2006/2004, anche se si rammaricava dell'esistenza di determinate lacune che riguardavano in particolare il sistema di assistenza reciproca previsto e il sistema di reciprocità stabilito, le quali potevano dare origine a situazioni pregiudizievoli per il funzionamento del mercato interno.

2.2   Il 27 ottobre 2004 è stato approvato il regolamento (CE) n. 2006/2004 (2) sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell'esecuzione della normativa che tutela i consumatori, secondo i termini essenziali contenuti nella proposta.

3.   La relazione sull'applicazione delle disposizioni

3.1   In data 2 luglio 2009 la Commissione ha presentato una relazione sull'applicazione del regolamento (CE) n. 2006/2004 (3). In questa relazione vengono esaminati il quadro istituzionale e applicativo sorto con la creazione della rete, il funzionamento di tale rete e il quadro di cooperazione. Il CESE ha già deplorato nel suo parere in materia (4) di non essere stato consultato dalla Commissione in merito alla relazione sull'applicazione del regolamento.

3.2   La Commissione ritiene, in conclusione, che la rete non abbia ancora espresso del tutto il suo potenziale e indica che essa deve migliorare l'efficacia del suo funzionamento attraverso una serie di misure che potrebbero successivamente comprendere una revisione del regolamento (CE) n. 2006/2004 per quel che concerne gli aspetti relativi a: le disposizioni di applicazione, l'adozione di un piano annuale d'azione per l'esecuzione della legislazione, le operazioni congiunte come le indagini «a tappeto» o la promozione di un'interpretazione uniforme della legislazione dell'UE, o la definizione dei mezzi più appropriati per dare maggiore visibilità alla rete.

4.   Proposta della Commissione

4.1   La Commissione ha presentato in data 3 gennaio 2011 una proposta di modifica del regolamento (CE) n. 2006/2004 attraverso la quale si prefigge lo scopo di aggiornare i contenuti dell'allegato al regolamento sulla cooperazione per la tutela dei consumatori, così da conformarsi alla recente evoluzione legislativa in materia di tutela dei consumatori.

4.2   L'aggiornamento dell'allegato consiste nell'eliminarne le norme che non sono rilevanti ai fini della cooperazione per la tutela dei consumatori tra le autorità nazionali competenti e nel sostituire i riferimenti a disposizioni obsolete ormai non più in vigore con altri relativi alle nuove disposizioni in tema di tutela dei consumatori.

4.3   Ciò implica, tra le altre cose, l'eliminazione di alcuni riferimenti (come quello alla direttiva sulla pubblicità ingannevole e sulla pubblicità comparativa) (5), oppure la loro sostituzione (come nel caso della direttiva sul credito al consumo, della direttiva sui servizi di media audiovisivi o della direttiva sulla multiproprietà).

5.   Osservazioni generali

5.1   Il CESE accoglie favorevolmente la proposta della Commissione, in quanto ritiene che la chiarezza nella redazione delle norme giuridiche dell'Unione implichi una maggiore sicurezza e certezza del diritto per tutti i cittadini. Il Comitato esprime la sua preoccupazione per la situazione dei lavoratori autonomi e delle piccole imprese, con problemi simili a quelli incontrati dai consumatori che concludono contratti con le grandi imprese, soprattutto con le industrie di rete.

5.2   Il CESE rinnova il suo sostegno alla Commissione affinché incentivi in modo coerente questa cooperazione amministrativa, che il Comitato ritiene necessaria per il buon funzionamento del mercato interno, e riconosce gli sforzi che la Commissione ha realizzato a beneficio della trasparenza con l'adozione della raccomandazione del 1o marzo 2011 che contiene le linee guida per l'applicazione delle norme sulla protezione dei dati nell'ambito del Sistema di cooperazione per la tutela dei consumatori (CPCS) (6).

5.3   Ciononostante, il CESE ritiene che la proposta sia eccessivamente limitata e non affronti molte questioni attualmente irrisolte per quel che concerne la cooperazione tra amministrazioni competenti per la tutela dei consumatori. La Commissione non affronta neanche le questioni che nella sua relazione sull'applicazione del regolamento (CE) n. 2006/2004 considera delle «lacune».

5.3.1   Secondo il CESE, la proposta di modifica avrebbe potuto affrontare qualcuno dei seguenti temi:

5.4   Sorveglianza sistematica del mercato

5.4.1   L'esecuzione di funzioni di sorveglianza e ispezione in rapporto a beni e servizi disciplinati dalla normativa dell'UE richiede una pianificazione congiunta e di livello massimo nella programmazione, in termini sia di calendario che di contenuti, delle azioni che devono essere realizzate in ogni caso dalle autorità competenti per la tutela dei consumatori degli Stati membri. Si ritiene opportuno creare dei meccanismi di verifica equivalenti tesi a garantire il rispetto delle disposizioni sovranazionali attraverso campagne sistematiche di sorveglianza del mercato che permettano di mantenere in qualsiasi momento un livello alto e uniforme di tutela dei consumatori nel quadro del mercato unico.

5.4.2   Questo coordinamento annuale dell'attività ispettiva, specialmente nelle norme di carattere orizzontale, potrebbe essere integrato con iniziative d'informazione e d'indagine di mercato attraverso i corrispondenti screening che uniformerebbero le indagini «a tappeto» che vengono realizzate attualmente.

5.5   Procedura sanzionatoria

5.5.1   Per evitare un effetto frontiera, nell'applicazione di misure correttive nei casi di mancato rispetto della normativa dell'UE in vigore, andrebbe presa in considerazione l'armonizzazione minima dei criteri comuni della procedura sanzionatoria e delle sanzioni che le autorità competenti per la tutela dei consumatori dovrebbero irrogare, per ottenere efficacia e garanzie equivalenti nell'apertura e nella risoluzione di dossier simili relativi a identiche violazioni.

5.6   Il CESE ritiene che le divergenze in aspetti essenziali dei regimi sanzionatori possano condurre all'inosservanza delle disposizioni dell'UE, mettere in grave pericolo la protezione del consumatore e l'integrità del mercato, distorcere la concorrenza nel mercato interno e, in definitiva, minare la fiducia dei consumatori.

5.7   Il CESE ritiene che una maggiore convergenza e un maggior rigore dei regimi sanzionatori siano indispensabili per evitare il rischio di un cattivo funzionamento del mercato unico. A questo scopo propone di definire un insieme minimo di criteri comuni ai fini di un'armonizzazione minima dei regimi sanzionatori nazionali che prevedano:

tipi adeguati di sanzioni amministrative in caso di violazione delle disposizioni fondamentali,

pubblicazione delle sanzioni gravi,

ammende amministrative di importo sufficientemente alto a seconda dell'infrazione commessa,

criteri di cui tener conto nell'applicare le sanzioni,

sanzioni per le persone fisiche e per quelle giuridiche,

possibile introduzione di sanzioni penali per le violazioni più gravi,

adeguati meccanismi a sostegno di un'efficace applicazione delle sanzioni.

5.8   Monitoraggio della qualità di beni e servizi

5.8.1   Un caso particolare nello sviluppo della summenzionata iniziativa Sorveglianza sistematica del mercato è costituito dalla metodologia per il monitoraggio di beni e servizi e le pertinenti determinazioni analitiche, al fine di verificare il rispetto delle relative norme e l'informazione certificata, nonché in particolare gli aspetti legati alla prevenzione e alla garanzia della qualità connessa a tali beni e servizi.

5.8.2   Si tratta di stabilire una procedura comune per il monitoraggio che porti alla convergenza metodologica in questa pratica, nonché alla concezione ed elaborazione di una pianificazione transnazionale che permetta di estendere il campo di monitoraggio con la massima efficienza nell'utilizzo delle risorse messe a disposizione in ogni amministrazione partecipante, nella misura in cui ciò evita doppioni e sovrapposizioni che potrebbero causare indesiderate pressioni differenziali in questo settore.

5.8.3   Oltre a stabilire criteri uniformi di azione nella selezione dei prodotti da monitorare, è anche necessario determinare nella procedura comune gli aspetti relativi all'individuazione dei campioni, la formalizzazione documentale, la realizzazione di esami analitici preliminari, argomentati e dirimenti, nonché tutte le altre fattispecie non contemplate nelle norme di qualità o in qualsiasi altra legislazione in materia.

5.9   È evidente la necessità di quest'iniziativa nel quadro di un mercato globale in cui la commercializzazione transfrontaliera rappresenta sempre di più il modello abituale nella ricerca che i consumatori effettuano per soddisfare i loro desideri e le loro necessità.

5.10   Sicurezza dei prodotti. Sebbene questo sia certamente il settore di cooperazione per eccellenza e, di conseguenza, abbia un livello di sviluppo armonioso più completo, esso presenta tuttora alcune lacune in contrasto con un sistema di scambio rapido di informazioni - denominato comunemente «rete di allerta» - che potrebbe tuttavia essere migliorato in modo complementare all'impiego di mezzi e strumenti per quanto concerne l'individuazione, la gestione e la comunicazione dei rischi, allo stesso modo di quanto previsto per i rischi associati a prodotti alimentari.

5.10.1   In concreto, l'elaborazione periodica di un eurobarometro per l'analisi della percezione che i consumatori hanno del rischio associato a prodotti non alimentari rappresenta indubbiamente un vantaggio al momento di affrontare altri aspetti connessi, compresi quelli relativi all'informazione e all'educazione al consumo a beneficio dei cittadini.

5.10.2   Un'altra misura da proporre in questo settore per dare maggiore efficacia alle attuali reti di allerta consisterebbe nell'integrazione unificatrice di tutte queste reti in un unico strumento che consenta l'interoperabilità, ossia lo scambio di dati indipendentemente dall'origine e dalle fonti sia delle informazioni che degli organismi gestionali competenti (nel settore sanitario, agroalimentare, fiscale, in materia di consumo, ecc.).

5.11   Valutazione di aspetti etici e ambientali nell'autorizzazione per la commercializzazione di beni e servizi. Molto interessante, nonché imprescindibile per la sua attuazione, è l'estensione delle procedure legate alla notifica dei messaggi di allerta summenzionati a prodotti che debbano essere ritirati dal mercato per motivi di carattere ecologico o etico, oppure per qualsiasi altra ragione connessa a pratiche imprenditoriali che sono contrarie alla dignità della persona o che danneggiano l'ambiente in cui esse vengono svolte. Si pensi alle violazioni contemplate nelle convenzioni dell'Organizzazione internazionale del lavoro, al degrado ambientale o all'esaurimento delle risorse naturali, tra le altre cose, sia nella fase di produzione e distribuzione che in quella di commercializzazione e fornitura dei beni e/o prestazione dei servizi corrispondenti.

5.11.1   Particolarmente critica appare, nel contesto di una fabbricazione e manifattura delocalizzata, la mancata conoscenza da parte dei consumatori delle informazioni sull'origine dei prodotti, ossia dove e come sono stati prodotti e qual è l'impatto economico e sociale per la comunità che li fabbrica. Per questo, i consumatori devono poter disporre, nella misura del possibile, di informazioni mediante pagine web o altri mezzi, riguardanti tali argomenti, nonché di informazioni che consentano di non contribuire inconsapevolmente a consumare prodotti derivanti da pratiche illegali. Allo stesso modo, devono essere inserite informazioni che permettano ai consumatori di prendere in considerazione nelle loro decisioni di acquisto altri criteri che vadano al di là di quelli convenzionali relativi a qualità e prezzo, garantendo così che con le sue azioni il consumatore non contribuisca involontariamente al perpetuarsi di pratiche illecite direttamente o indirettamente connesse al prodotto che il consumatore, se avesse avuto accesso all'informazione pertinente, sicuramente non avrebbe più scelto.

5.11.2   Strettamente legati al diritto che il consumatore ha di accedere a un'informazione integrale sui beni offerti - ciò che potrebbe essere denominato «la tracciabilità sociale dei prodotti» - sarebbero sia la salvaguardia della concorrenza che l'adeguamento dei poteri potenzialmente acquisiti dai consumatori e del loro ruolo nel mercato, mediante le scelte che essi compiono liberamente al momento di decidere un acquisto («il tuo acquisto è il tuo voto»).

5.12   Promozione delle buone pratiche imprenditoriali nel quadro del consumo responsabile

5.12.1   La rilevanza e la diffusione che i programmi di responsabilità sociale delle imprese acquisiscono sempre più esigono un ruolo di primo piano per le politiche in materia di consumo, nonché la partecipazione con funzione consultiva dei consumatori nei rapporti di responsabilità delle imprese.

5.12.2   L'adozione di criteri e politiche comuni di promozione rispetto alla verifica dei programmi di responsabilità sociale delle imprese transfrontaliere, per quel che concerne la loro influenza sull'insieme dei consumatori ed utenti nel quadro sovranazionale, deve inoltre essere integrata con meccanismi convincenti volti a riconoscere le buone pratiche, come l'autoregolamentazione, i codici di condotta, i marchi di qualità e qualsiasi altra iniziativa volontaria diretta a far convergere interessi contrapposti.

5.12.3   Queste azioni, inoltre, accrescono la competitività delle imprese nel quadro di un mercato di concorrenza leale che può mettere in moto un circolo virtuoso creando vantaggi per tutti i soggetti che operano in tale mercato (produttori, distributori, consumatori) per mezzo di sinergie che evidenziano che gli antagonismi non sono inevitabili, specialmente nei contesti di reciprocità nell'esercizio delle diverse attività e partendo dal riconoscimento, da parte di consumatori e utenti, del valore aggiunto che ciò implica.

5.12.4   In questa iniziativa bisognerebbe anche tener conto in modo specifico degli aspetti agroambientali, del commercio equo e solidale, degli acquisti responsabili, della sovranità alimentare ecc., nonché di altri aspetti rilevanti nella nostra epoca, come quelli connessi agli organismi geneticamente modificati.

5.13   Azioni collettive

5.14   Le azioni collettive inibitorie sono basate su una regolamentazione dell'UE, che è invece assente per le azioni collettive riparatorie o risarcitorie; a questo proposito il CESE si è più volte pronunciato a favore dell'opportunità di creare un quadro europeo armonizzato che includa anche la possibilità di chiedere risarcimenti per i danni di infima entità.

5.15   In caso di gravi infrazioni, la confisca dei proventi illeciti derivanti da violazioni commesse e i risarcimenti punitivi devono essere concepiti come misure accessorie alla sanzione che le autorità devono imporre e gli importi di tali risarcimenti, come il CESE ha più volte ribadito (7), dovranno essere destinati a un «fondo d'aiuto al ricorso collettivo», che faciliterebbe la promozione di questo tipo di azioni collettive riparatorie da parte delle associazioni di consumatori. D'altro canto, anche le organizzazioni di consumatori e le autorità dovrebbero partecipare alla gestione di questo fondo. A questo riguardo, il CESE (8) ricorda alla Commissione la necessità di adottare una normativa sovranazionale che armonizzi le azioni collettive per poter ottenere un alto livello di protezione degli interessi economici dei consumatori.

5.16   Il CESE ribadisce di essere favorevole a introdurre nel regolamento la possibilità di rafforzare la cooperazione delle autorità con le organizzazioni dei consumatori, in modo che l'autorità nazionale competente possa dare l'incarico ad «altri organismi» di far cessare o di vietare infrazioni intracomunitarie.

5.17   Meccanismi alternativi di composizione delle controversie

5.17.1   La Commissione ha pubblicato un documento di consultazione intitolato Il ricorso a forme alternative di risoluzione delle controversie come strumento per risolvere le controversie relative alle transazioni e alle prassi commerciali nell'Unione europea, in merito al quale il CESE non è stato consultato. Il CESE attende con interesse la proposta della Commissione per esprimere nuovamente il suo punto di vista su questi sistemi complementari di accesso a un'effettiva tutela giurisdizionale.

5.17.2   A questo proposito, per accrescere la fiducia dei consumatori, bisognerebbe riflettere sulla possibilità di creare un «marchio europeo» per le fabbriche o le imprese che aderiscano a questi sistemi.

5.18   Reti e centri di risorse

5.18.1   Occorre promuovere i centri europei attraverso l'introduzione di misure di sviluppo delle attuali reti di cooperazione per incoraggiare le attività di informazione, formazione e istruzione dei consumatori (ad esempio, centri europei del consumatore, pubblicazioni, programmi e progetti, ecc.).

5.19   Tracciabilità dei prezzi. In un mercato unico in cui i consumatori hanno le stesse inquietudini e gli stessi problemi e il cui carattere globale può, da un lato, rendere difficile l'accesso a un'informazione veridica e, dall'altro, celare il processo di formazione dei prezzi dei beni, il CESE reputa interessante stabilire un metodo di tracciabilità dei prezzi degli articoli simili e di base che consenta di dare maggiore coesione al mercato unico a beneficio di consumatori e utenti e - soprattutto - maggiore trasparenza, in modo da ripristinare la fiducia dei consumatori, la quale è un indicatore molto efficace della salute economica di un determinato territorio, in questo caso dell'Unione europea.

Bruxelles, 5 maggio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU C 108 del 30.4.2004, pag. 86.

(2)  GU L 364 del 9.12.2004, pag. 1.

(3)  COM(2009) 336 definitivo.

(4)  GU C 18 del 19.1.2011, pag. 100.

(5)  La direttiva 2006/114/CE punta a proteggere gli interessi dei consumatori solo per quanto riguarda la pubblicità comparativa. Nell'allegato del regolamento si includerà solo un riferimento agli articoli pertinenti di tale direttiva.

(6)  Cfr. GU L 57 del 2.3.2011, pag. 44.

(7)  GU 162 del 25.6.2008, pag. 1 e GU C 175 del 28.7.2009, pag. 20.

(8)  GU C 324 del 30.12.2006, pag. 1.


ALLEGATO

al Parere del Comitato economico e sociale europeo

A)   Le seguenti parti del testo del parere della sezione, respinte in seguito all'adozione di emendamenti da parte dell'Assemblea, hanno ottenuto un numero di voti favorevoli al loro mantenimento pari ad almeno un quarto dei voti espressi (articolo 54, paragrafo 4, del Regolamento interno):

5.7

Il CESE ritiene che una maggiore convergenza e un maggior rigore dei regimi sanzionatori siano indispensabili per evitare il rischio di un cattivo funzionamento del mercato unico. A questo scopo propone di definire un insieme minimo di criteri comuni ai fini di un'armonizzazione minima dei regimi sanzionatori nazionali che prevedano:

tipi adeguati di sanzioni amministrative in caso di violazione delle disposizioni fondamentali,

pubblicazione delle sanzioni,

ammende amministrative di importo sufficientemente alto,

sanzioni per le persone fisiche e per quelle giuridiche,

criteri di cui tener conto nell'applicare le sanzioni,

possibile introduzione di sanzioni penali per le violazioni più gravi,

adeguati meccanismi a sostegno di un'efficace applicazione delle sanzioni.

Esito della votazione sull'emendamento:

Voti a favore

:

82

Voti contrari

:

44

Astensioni

:

10

B)   I seguenti emendamenti, che hanno ottenuto almeno un quarto dei voti espressi, sono stati respinti nel corso delle deliberazioni (articolo 54, paragrafo 3, del Regolamento interno):

Punto 5.11.2

Motivazione

Nella pratica è impossibile mettere tutte le informazioni richieste sull'etichetta del prodotto, specie per le PMI. Ciò aggiungerebbe un ulteriore onere (amministrativo) a carico delle PMI produttrici e distributrici di beni e servizi, genererebbe uno svantaggio competitivo e problemi all'atto di importare prodotti dai paesi terzi.

Inoltre sarebbe utile sapere se le organizzazioni dei consumatori abbiano già degli studi sull'uso di tali informazioni da parte dei consumatori e sulla disponibilità dei consumatori a pagare i costi addizionali sostenuti per fornirle.

Esito della votazione:

Voti a favore

:

45

Voti contrari

:

75

Astensioni

:

4

Punto 5.16

Motivazione

Non è accettabile che un'organizzazione che rappresenta una delle parti sia incaricata di far cessare o di vietare infrazioni intracomunitarie.

Esito della votazione:

Voti a favore

:

38

Voti contrari

:

76

Astensioni

:

8


23.7.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 218/74


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa i requisiti tecnici per i bonifici e gli addebiti diretti in euro e che modifica il regolamento (CE) n. 924/2009

COM(2010) 775 definitivo — 2010/0373 (COD)

2011/C 218/13

Relatore: WUERMELING

Il Parlamento europeo, in data 18 gennaio 2011, e il Consiglio, in data 28 gennaio 2011, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa i requisiti tecnici per i bonifici e gli addebiti diretti in euro e che modifica il regolamento (CE) n. 924/2009

COM(2010) 775 definitivo - 2010/0373 (COD).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 aprile 2011.

Alla sua 471a sessione plenaria, dei giorni 4 e 5 maggio 2011 (seduta del 5 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 137 voti favorevoli, 8 voti contrari e 19 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni del Comitato

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene gli sforzi della Commissione europea volti a creare l'area unica dei pagamenti in euro (AUPE). È importante per la realizzazione del mercato interno che si possano effettuare pagamenti in euro da un conto, senza ricorrere al denaro contante, seguendo un'unica procedura valida per tutta l'Europa.

1.2   Il CESE ritiene però necessario modificare in alcuni punti la proposta di regolamento presentata dalla Commissione europea, per consentire una transizione agevole al nuovo sistema nell'interesse di tutte le parti: i consumatori e le imprese in quanto utilizzatori e le banche in quanto fornitori dei servizi.

1.3   I tempi previsti dalla proposta di regolamento per il passaggio vincolante alle procedure di pagamento AUPE sono ritenuti troppo stretti dal CESE. La funzionalità, sicurezza e facilità d'uso del nuovo sistema potranno essere garantite soltanto se tutti gli istituti di credito disporranno di tempo sufficiente per prepararsi. Per i bonifici, il termine di attuazione non dovrebbe essere di uno, ma di tre anni a partire dall'entrata in vigore del regolamento. Per gli addebiti, tale termine dovrebbe essere non di due ma di quattro anni a partire dall'entrata in vigore del regolamento.

1.4   L'autorizzazione della proposta di regolamento per gli atti delegati dovrebbe essere drasticamente ridotta o soppressa, poiché l'adeguamento al progresso tecnico e agli sviluppi del mercato delle disposizioni relative alle procedure di pagamento contenute nel regolamento ha effetti pratici considerevoli. Su questi aspetti deve essere il legislatore a decidere, nel quadro del procedimento legislativo e anche con la partecipazione del CESE.

1.5   Il CESE accoglie con favore il fatto che, in base alla proposta di regolamento, nel futuro le commissioni interbancarie multilaterali per gli addebiti saranno vietate in via di principio. In questo modo si conferiscono chiarezza e trasparenza ai complessi rapporti contrattuali che stanno alla base delle procedure di pagamento, con un beneficio particolare per le piccole e medie imprese.

2.   Contesto del parere

2.1   La realizzazione dell'area unica dei pagamenti in euro rientra fra le priorità della Commissione europea in materia di completamento del mercato interno. Con le nuove procedure europee del bonifico e dell'addebito AUPE, gli utilizzatori degli strumenti di pagamento possono effettuare pagamenti senza uso di contanti a livello nazionale o transfrontaliero ricorrendo a una procedura unica. Ciò facilita i pagamenti, riduce gli oneri amministrativi e risparmia spese a tutte le parti interessate al commercio all'interno dell'UE, dai consumatori alle imprese. Prossimamente, saranno più di 500 milioni i cittadini e più di 20 milioni le imprese che potranno beneficiare delle nuove procedure.

2.2   Le prime essenziali disposizioni quadro relative all'AUPE sono state fissate negli anni scorsi. La direttiva 2007/64/CE relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno ha introdotto condizioni e diritti armonizzati per i clienti dei servizi di pagamento nell'UE, aprendo di fatto il mercato interno di tali servizi. In un primo tempo la varietà dei sistemi dei diversi paesi e la molteplicità delle procedure per i pagamenti nazionali e transfrontalieri sono rimaste immutate, ma è stata predisposta una base giuridica per la creazione di una procedura unica per tutti i pagamenti transfrontalieri.

2.3   Il regolamento (CE) n. 924/2009 relativo ai pagamenti transfrontalieri nella Comunità stabilisce che le commissioni per le operazioni di addebito transfrontaliere siano in principio uguali a quelle applicate alle operazioni nazionali e crea la base per l'infrastruttura dei pagamenti dell'AUPE.

2.4   Il CESE ha elaborato pareri su entrambi i testi (1), apprezzando che, dopo l'introduzione dell'euro, si intendesse creare anche un'area unica dei pagamenti in euro.

2.5   Il bonifico AUPE è disponibile dal 28 gennaio 2008 per il trattamento dei pagamenti da parte delle banche. Dal novembre 2009, i tempi per il trattamento di un bonifico non possono superare i tre giorni lavorativi, e nel 2012 questo termine sarà ridotto a un giorno solo.

2.6   L'addebito AUPE esiste dal 2 novembre 2009. Sono previste due diverse procedure: l'addebito AUPE di base pensato come possibilità generale (SEPA Core Direct Debit) e l'addebito AUPE per le aziende pensato per i pagamenti fra controparti commerciali (SEPA Business to Business Direct Debit). Dal novembre 2010 vige l'obbligo per tutte le banche di accettare gli addebiti AUPE di base.

2.7   L'utilizzo delle procedure di pagamento AUPE è al momento ancora ridotto: all'inizio del 2011, vale a dire a tre anni dall'introduzione, i bonifici AUPE erano ancora circa il 4 % del totale. Se continuerà così ci vorranno ancora oltre 25 anni prima che i benefici dell'AUPE possano dispiegarsi completamente.

2.8   La Commissione europea considera insufficienti i progressi del progetto AUPE conseguiti con l'approccio puramente di mercato e propone misure legislative volte a rendere obbligatorio l'utilizzo degli strumenti di pagamento AUPE: a una certa data, gli strumenti di pagamento nazionali dovranno essere completamente sostituiti da procedure AUPE.

2.9   La Commissione europea ha fatto eseguire delle valutazioni, da cui è risultato che, sul lato dell'offerta, il passaggio alle procedure di pagamento AUPE comporterà per le banche una perdita di 52 miliardi di euro. Secondo tali valutazioni, sul lato della domanda gli utilizzatori beneficeranno invece di prezzi più bassi e di vantaggi operativi.

2.10   La proposta della Commissione del 16 dicembre 2010 prevede pertanto date ultime entro le quali i bonifici e gli addebiti nazionali dovranno cessare a favore dell'utilizzo esclusivo degli strumenti di pagamento AUPE. Dopo l'entrata in vigore del regolamento negli Stati membri che adottano l'euro, le procedure di bonifico nazionali potranno essere impiegate ancora per 12 mesi, le procedure di addebito nazionali per 24.

2.11   Una differenza sostanziale, per i cittadini e le imprese, del bonifico e dell'addebito AUPE rispetto alle procedure nazionali fin qui in uso sta nel fatto che, anche per i pagamenti nazionali, si devono utilizzare i codici IBAN (International Bank Account Number) e BIC (Bank Identifier Code) al posto del codice di avviamento bancario e del numero di conto tradizionali. L'IBAN è un numero di conto bancario internazionale standardizzato che può comportare fino a 34 caratteri. Il BIC è il formato internazionale del codice di avviamento bancario di un istituto di credito, e può comportare fino a 11 caratteri.

3.   Osservazioni generali

3.1   Il CESE accoglie con soddisfazione la proposta della Commissione europea. La proposta di regolamento rappresenta il passo decisivo per realizzare un'area unica dei pagamenti in euro ben funzionante.

3.2   Il mercato interno è uno dei principali motori della crescita economica dell'UE, e l'introduzione dell'euro ha rappresentato un modo importante di avvicinare sempre più gli Stati membri fra di loro. Il CESE di conseguenza ritiene che occorra ora portare a compimento anche il progetto di un sistema di pagamenti unico per tutta l'Europa.

3.3   Secondo il Comitato però la proposta di regolamento è troppo ambiziosa nella fissazione delle date ultime per la cessazione delle procedure di pagamento nazionali. Il punto decisivo è il successo del progetto, non la velocità della sua attuazione. I pagamenti sono una questione assai delicata soprattutto per i consumatori, ma anche per tutti gli altri soggetti economici. Come nel caso dell'introduzione dell'euro occorre adottare tutte le misure possibili, come test, periodi di prova, campagne d'informazione ecc., così da poter escludere eventuali problemi di funzionamento, complicazioni tecniche, disguidi nei pagamenti, smarrimenti di importi trasferiti o simili. Per queste misure è assolutamente indispensabile prevedere il tempo necessario. Per questo il CESE mette in guardia da una fretta esagerata che può compromettere la riuscita del progetto agli occhi dei cittadini. Naturalmente va anche considerato che un periodo di transizione troppo lungo potrebbe causare costi aggiuntivi.

3.4   Al momento non sono ancora state chiarite in via definitiva tutte le questioni aperte per consentire una transizione agevole alle procedure di pagamento AUPE. Al riguardo occorre considerare che molti punti rimasti aperti possono essere affrontati solo a livello nazionale, fra le parti che partecipano al progetto AUPE. Occorre in modo particolare arrivare a un rapporto equilibrato tra offerta e domanda, ossia fra gli interessi delle banche e quelli degli utilizzatori.

3.5   Sia da parte dei consumatori che da parte degli operatori economici si chiede spesso perché per l'AUPE si debba rinunciare alle procedure di pagamento tradizionali. Tutte le parti conoscono bene, grazie a una lunga consuetudine, le procedure nazionali coi loro vecchi numeri di conto e codici di avviamento bancario. Con le nuove procedure AUPE, i bonifici e gli addebiti transfrontalieri vengono certo semplificati, ma tali procedure diventano obbligatorie anche per i pagamenti nazionali, ben più numerosi: alla Commissione europea e alle banche spetta il compito di illustrare meglio i vantaggi, in termini di velocità e di costi, delle nuove procedure di pagamento AUPE.

3.6   La riuscita del progetto AUPE dipende sostanzialmente dalla sua accettazione da parte dei consumatori e degli operatori economici. A tal fine occorre anzitutto diffondere con urgenza la conoscenza degli strumenti di pagamento AUPE e dei loro elementi costitutivi, rappresentati dai codici IBAN e BIC. Occorre cioè una più incisiva campagna d'informazione da parte del settore creditizio: finora non in tutti gli Stati membri è stata sufficiente, col risultato che i requisiti dei nuovi prodotti AUPE non sono conosciuti in modo soddisfacente da ampie fasce di popolazione, e persino da molte piccole e medie imprese.

3.7   Per aumentare la facilità d'uso del codice IBAN, che può comportare fino a 34 caratteri, se ne potrebbero eliminare almeno quattro (spazi vuoti, trattini, nuovi campi). Va considerato che soprattutto i consumatori di età avanzata possono incontrare problemi con le nuove serie di dati e di cifre. Le banche dovrebbero pertanto prestare assistenza ai consumatori, ad esempio mediante opportuni programmi di conversione.

3.8   Occorre inoltre procedere a un numero sufficiente di prove dei nuovi strumenti di pagamento. Ciò non è stato finora possibile per tutti i prodotti AUPE: ad esempio, l'addebito AUPE può essere utilizzato su tutto il territorio solo da quando è entrato in vigore l'obbligo di accettarlo, nel novembre 2010. Soltanto l'applicazione pratica consente alle parti interessate, sia banche che utilizzatori, di riconoscere ed eliminare difficoltà iniziali e problemi pratici. Occorre prevedere tempi tecnici sufficientemente lunghi soprattutto per garantire che le nuove procedure di pagamento AUPE possano essere applicate in modo automatizzato e siano quindi in grado di far fronte a un utilizzo di massa.

3.9   Secondo il CESE, l'introduzione obbligatoria dell'AUPE deve essere accompagnata da misure cautelari sufficienti, e occorre garantire la funzionalità delle procedure in particolare per un'attività di massa. Il pagante, il ricevente e il prestatore di servizi di pagamento devono avere la garanzia che il pagamento si svolga in modo corretto, puntuale e affidabile.

3.10   Va anche considerato che, nel passaggio alle procedure di pagamento AUPE, si pongono problemi attuativi a livello nazionale. Ad esempio in Germania (di gran lunga il primo paese UE per quanto riguarda il ricorso agli addebiti) non è ancora stato chiarito se i mandati di addebito attuali possano essere utilizzati anche per le procedure di addebito AUPE. Occorre trovare quindi una soluzione efficiente e giuridicamente sicura che non causi ingiusti svantaggi né ai consumatori né alle imprese. Non sarebbe infatti proponibile dover scrivere a tutti i clienti e chiedere loro di emettere nuovi mandati, poiché ne risulterebbe un onere sproporzionato in termini amministrativi e di costi. Non sarebbe una soluzione felice neanche per il consumatore, che verrebbe sottoposto a una pioggia di lettere dalle sue controparti contrattuali.

3.11   Serve inoltre, a livello europeo e nazionale, un maggiore coinvolgimento degli utilizzatori nella concezione delle procedure di pagamento. Ciò è vero non soltanto per la fase attuale di attuazione degli strumenti di pagamento AUPE, ma anche e soprattutto nell'ottica di un ulteriore sviluppo delle procedure. Con la fondazione del Consiglio AUPE, la Commissione europea e la Banca centrale europea hanno compiuto un primo passo verso tale maggiore coinvolgimento ma, purtroppo, le associazioni degli utilizzatori presenti in tale organo non rappresentano a sufficienza le parti coinvolte nel progetto AUPE. Sarebbe inoltre importante insediare, sotto l'ala del Consiglio AUPE, un gruppo di esperti paritetico composto da prestatari e utilizzatori dei servizi, che sarebbe incaricato dell'ulteriore elaborazione tecnica delle procedure di pagamento AUPE.

4.   Osservazioni specifiche

4.1   Articolo 5, paragrafi 1 e 2 - Tempi sufficienti per il passaggio all'AUPE

4.1.1   Secondo il CESE, i tempi proposti dalla Commissione europea per il passaggio obbligatorio alle procedure di pagamento AUPE sono troppo stretti: la prima cosa che occorre garantire è che i nuovi prodotti AUPE siano altrettanto efficienti e sicuri delle procedure di pagamento nazionali fin qui utilizzate.

4.1.2   Per i bonifici, il termine di attuazione non dovrebbe essere di uno, ma di tre anni a partire dall'entrata in vigore del regolamento.

4.1.3   Per gli addebiti, tale termine dovrebbe essere non di due ma di quattro anni a partire dall'entrata in vigore del regolamento.

4.1.4   Tempi più ampi sono necessari soprattutto per creare fra i consumatori un clima di fiducia verso le nuove procedure di pagamento AUPE. Occorre aumentare il grado di notorietà dell'AUPE, in particolare per quanto riguarda la conoscenza dei codici IBAN e BIC. Inoltre, vanno fatti conoscere meglio i vantaggi delle procedure di pagamento AUPE. All'atto pratico, i nuovi prodotti devono dimostrarsi efficienti e sicuri. Occorre inoltre risolvere problematiche nazionali come la migrazione dei mandati.

4.1.5   Dal punto di vista delle imprese, i tempi più lunghi sono indispensabili data la necessità di un oneroso adattamento dei processi. Le imprese devono effettuare investimenti aggiuntivi e adattare processi e sistemi operativi, ad esempio adeguando l'intero archivio dei dati sulla clientela ai codici IBAN e BIC. Nel quadro della valutazione d'impatto, la stessa Commissione europea ha osservato che il ciclo abituale degli investimenti per i sistemi IT nelle imprese va dai 3 ai 5 anni.

4.2   Articolo 5, paragrafo 4, in combinato disposto con l'articolo 12 - Esclusione di un passaggio di competenze eccessivo

4.2.1   Secondo il CESE è necessario che anche in futuro le decisioni fondamentali sull'organizzazione dell'AUPE siano adottate dal legislatore europeo con la partecipazione delle istituzioni consultive, come il CESE stesso. Secondo il CESE sarebbe eccessivo conferire alla Commissione europea un'autorizzazione generale sotto forma di atti delegati per effettuare qualunque adeguamento al progresso tecnico e agli sviluppi del mercato. Anche le piccole modifiche delle procedure per qualunque processo di pagamento europeo possono avere notevoli effetti per i consumatori, le imprese e i prestatori di servizi di pagamento, e andrebbero prima discusse approfonditamente e decise nel quadro del processo legislativo ordinario.

4.2.2   L'articolo 290 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) stabilisce che la delega dei poteri per l'adozione di atti delegati è consentita soltanto per integrare o modificare determinati elementi non essenziali dell'atto legislativo.

4.2.3   I requisiti relativi ai bonifici e addebiti elencati nell'allegato della proposta di regolamento sono criteri decisivi per i futuri prodotti AUPE. Ogni modifica minore dei requisiti è in grado di influenzare in modo decisivo i processi tecnici riguardanti sia i prestatari sia gli utilizzatori. Infine, dai requisiti elencati in allegato risulta anche l'obbligo di abolire le procedure nazionali non conformi ai requisiti AUPE. Una modifica dei requisiti senza un sufficiente coinvolgimento del Parlamento europeo e del Consiglio è quindi da rifiutare.

4.3   Articolo 6 - Chiarezza sulla futura struttura dei costi

4.3.1   Il CESE accoglie con favore il fatto che nel futuro le commissioni interbancarie multilaterali per gli addebiti saranno vietate in via di principio. Occorre garantire che le future commissioni sulle procedure di pagamento siano trasparenti e che vengano associate ai servizi effettivamente prestati dalle banche.

4.3.2   La Commissione europea ha sottolineato fin dall'inizio del progetto che le nuove procedure AUPE non potranno essere più costose delle vecchie procedure nazionali. Il CESE è perfettamente d'accordo con questo principio e invita la Commissione ad adottare tutte le misure necessarie affinché i nuovi pagamenti AUPE non vengano resi più costosi dei precedenti pagamenti nazionali attraverso un innalzamento delle tariffe nazionali, al pari di quanto è avvenuto durante l'introduzione dell'euro: in caso contrario, le nuove procedure di pagamento non potranno essere accettate, in particolare da parte dei consumatori. Le commissioni interbancarie multilaterali non sono diffuse in tutti i paesi della zona euro. Pertanto, sarebbe un segnale davvero sbagliato se tali commissioni fossero introdotte per la prima volta in determinati paesi della zona euro insieme alle procedure di pagamento AUPE.

4.3.3   Il Comitato sottolinea inoltre che, per le operazioni dirette cui un prestatore di servizi di pagamento non può dar corso correttamente perché l'ordine di pagamento è stato rigettato, rifiutato, restituito o rinviato (operazioni R), al consumatore va addebitata una commissione interbancaria multilaterale solo in caso di insufficienza di fondi sul conto alla data in cui è dovuto il pagamento dell'addebito diretto. In tutti gli altri casi, tale commissione deve essere corrisposta dal ricevente. Il ricevente, la banca del ricevente o quella del pagante non possono riversare sul pagante le commissioni per le operazioni R non causate da quest'ultimo.

Bruxelles, 5 maggio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU C 318 del 23.12.2006, pag. 51 e GU C 228 del 22.9.2009, pag. 66.


ALLEGATO

al Parere del Comitato economico e sociale europeo

I seguenti emendamenti, che hanno ricevuto più di un quarto dei voti espressi, sono stati respinti nel corso dei dibattimenti.

Nuovo punto 3.11

Inserire un nuovo punto:

Motivazione

La sicurezza di un sistema di pagamenti unico per tutta l'Europa è fondamentale per rafforzare la fiducia dei consumatori nei servizi di pagamento.

Esito della votazione

Voti favorevoli

:

64

Voti contrari

:

74

Astensioni

:

13

Nuovo punto 3.12

Inserire un nuovo punto:

Motivazione

Il nuovo punto viene proposto per conformare il testo all'art. 62 della direttiva sui servizi di pagamento.

Esito della votazione

Voti favorevoli

:

64

Voti contrari

:

83

Astensioni

:

10


23.7.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 218/78


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale

COM(2010) 748 definitivo/2 — 2010/0383 (COD)

2011/C 218/14

Relatore generale: HERNÁNDEZ BATALLER

Il Consiglio, in data 15 febbraio 2011, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 67, paragrafo 4, e 81, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale

COM(2010) 748 definitivo/2 — 2010/0383 (COD).

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo ha incaricato, in data 1o febbraio 2011, la sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 471a sessione plenaria, dei giorni 4 e 5 maggio 2011 (seduta del 5 maggio), ha nominato relatore generale HERNANDEZ BATALLER e ha adottato il seguente parere con 162 voti favorevoli, 1 voto contrario e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie favorevolmente la proposta della Commissione in quanto ritiene che possa raggiungere l'obiettivo di eliminare gli ostacoli giuridici, facilitando in tal modo la vita dei cittadini e delle imprese e rendendo più efficace la protezione giuridica.

1.2   Il CESE invita la Commissione a proseguire la sua azione di eliminazione degli ostacoli giuridici nell'UE, al fine di raggiungere un vero e proprio spazio giuridico europeo, e chiede che vengano prese in considerazione tutte le osservazioni formulate nei suoi diversi pareri in materia.

2.   Introduzione

2.1   Dal 1o marzo 2002, il regolamento (CE) n. 44/2001 sostituisce la Convenzione di Bruxelles e, in generale, tutti gli strumenti bilaterali esistenti tra i diversi Stati membri sull'argomento. Il regolamento, denominato «regolamento Bruxelles I», è attualmente lo strumento giuridico UE più importante in materia di cooperazione giudiziaria civile.

2.2   Nella sostanza, il regolamento (CE) n. 44/2001 consente in alcuni casi di convocare davanti al giudice di uno Stato membro qualsiasi persona fisica o giuridica che sia coinvolta in un procedimento giudiziario transnazionale e che abbia eletto il proprio domicilio in uno Stato diverso da quello in cui è avviato il procedimento nei suoi confronti, favorendo il «criterio di collegamento più vicino».

2.2.1   L'articolo 5 del regolamento prevede che in materia contrattuale, e soprattutto per quanto concerne la compravendita di beni, l'impresa possa essere convenuta nello Stato membro in cui i beni sono stati o avrebbero dovuto essere consegnati.

2.2.2   L'articolo 5 del regolamento enumera pertanto gli ambiti di applicazione della nuova norma (responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, azioni di risarcimento danni, esercizio di succursali e di agenzie, ecc.).

2.2.3   Un'intera sezione del regolamento (la terza) è dedicata alla competenza in materia assicurativa. Il titolare di una polizza può ricorrere al tribunale del suo domicilio per convocare l'assicuratore, anche se quest'ultimo è domiciliato in un altro Stato membro. Se invece è l'assicuratore a intentare la causa contro il titolare di polizza, l'assicurato o il beneficiario, dovrà farlo presso i tribunali dove i convenuti hanno eletto domicilio.

2.3   Tutto il regolamento (CE) n. 44/2001 è una lunga serie di attribuzioni espresse di competenze. A volte viene dedicata una particolare attenzione a taluni gruppi per motivi di tutela e di protezione (contratti con i consumatori, contratti individuali di lavoro). Nonostante tutto, continuano ad essere valide le regole tradizionali di attribuzione della competenza quando si tratta di azioni in campo immobiliare, scioglimento di persone giuridiche, iscrizioni nei pubblici registri o esecuzione delle decisioni.

2.4   Dopo aver dedicato due importanti sezioni all'esecuzione delle decisioni e al riconoscimento dei documenti pubblici di altri Stati membri, il regolamento (CE) n. 44/2001 contiene alla fine una serie di disposizioni transitorie e finali relative, tra l'altro, al legame tra questo nuovo strumento di cooperazione giudiziaria e altre convenzioni più specifiche alle quali possano aver aderito altri Stati membri.

2.5   Il 21 aprile 2009, la Commissione ha adottato una relazione sull'applicazione del regolamento e un Libro verde; su quest'ultimo il CESE ha già elaborato un parere (1) in cui si è detto favorevole ad alcune proposte di riforma avanzate dalla Commissione.

3.   La proposta di regolamento

3.1   L'obiettivo generale della revisione è sviluppare ulteriormente lo spazio europeo di giustizia rimuovendo gli ostacoli che ancora sussistono alla libera circolazione delle decisioni giudiziarie, in linea con il principio del riconoscimento reciproco. L'importanza di tale obiettivo è stata sottolineata dal Consiglio europeo nel programma di Stoccolma (2) del 2009. Più precisamente, la proposta intende agevolare i procedimenti giudiziari transfrontalieri e la libera circolazione delle decisioni nell'Unione europea. La revisione dovrebbe poi contribuire a creare il contesto normativo necessario per la ripresa dell'economia europea.

3.2   Gli elementi della riforma sono i seguenti:

l'abolizione della procedura intermedia per il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni (exequatur), ad eccezione delle decisioni nei casi di diffamazione e di risarcimento collettivo, con varie possibilità volte ad impedire, in circostanze eccezionali, che una decisione pronunciata in uno Stato membro divenga esecutiva in un altro Stato membro;

una serie di formulari standard per agevolare il riconoscimento o l'esecuzione delle decisioni straniere in assenza della procedura di exequatur, e la domanda di riesame ai sensi della procedura a tutela dei diritti della difesa;

l'estensione delle norme sulla competenza previste dal regolamento alle controversie con convenuti dei paesi terzi, compresi i casi in cui la stessa causa è pendente dinanzi a un giudice dell'UE e a un giudice di un paese terzo. Grazie a tale modifica, le norme sulla competenza che tutelano i consumatori, i lavoratori dipendenti e gli assicurati saranno applicabili anche quando il convenuto è domiciliato al di fuori dell'UE;

una maggiore efficacia degli accordi per la scelta del foro competente. Questo prevede le seguenti due modifiche:

nel caso in cui le parti abbiano designato uno o più giudici particolari per risolvere eventuali controversie, la proposta dà la priorità al giudice designato affinché si pronunci sulla sua competenza, a prescindere che sia stato adito per primo o per secondo;

la proposta introduce una norma di conflitto uniforme sulla validità sostanziale dell'accordo di scelta del foro, garantendo così un risultato analogo su tale materia indipendentemente dal giudice adito;

un legame più stretto tra regolamento e arbitrato;

un migliore accesso alla giustizia per determinate controversie specifiche;

la precisazione delle condizioni necessarie alla circolazione dei provvedimenti provvisori nell'UE.

4.   Osservazioni generali

4.1   Il Comitato accoglie molto favorevolmente la proposta della Commissione e sostiene l'adozione di una rifusione dell'attuale regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (regolamento Bruxelles I).

4.2   Come si evince chiaramente dalla proposta della Commissione, si tratta di un'iniziativa necessaria al fine di migliorare il funzionamento dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia e quello del mercato interno. Tale iniziativa, che può essere promossa solo a livello sovranazionale, rappresenta anche un valido strumento giuridico in un contesto globalizzato, che renderà più facili le transazioni commerciali internazionali e attenuerà i conflitti concernenti le relazioni che travalicano l'ambito territoriale dell'UE.

4.2.1   In tale contesto, è opportuno sottolineare che, nel loro complesso, le novità previste dagli strumenti giuridici appositamente proposti e la classificazione di alcune norme e di alcuni principi già applicati nell'UE in questo ambito derivano dalle esperienze che gli operatori giuridici transnazionali, gli esperti e gli organi competenti degli Stati membri hanno trasmesso pubblicamente alla Commissione europea.

4.2.2   In questo senso, oltre a prendere in considerazione in generale il principio di sussidiarietà, conformemente al quale l'azione sovranazionale è giustificata nella misura in cui gli Stati membri non dispongono delle competenze necessarie per modificare unilateralmente taluni aspetti del regolamento Bruxelles I in vigore (ad esempio l'exequatur e le disposizioni in materia di competenza e di coordinamento tra le procedure giudiziarie degli Stati membri tra di loro e tra queste ultime e le procedure di arbitrato) si dà importanza anche alla cosiddetta sussidiarietà funzionale, un elemento integrante del principio di democrazia partecipativa sancito dal TUE in seguito al Trattato di Lisbona. Il CESE si è già espresso a favore di molte delle proposte che vengono attualmente presentate dalla Commissione. (3)

4.3   La proposta raccomanda, in modo realistico e in termini ponderati e flessibili, di apportare una serie di soluzioni tecniche a taluni problemi riscontrati negli anni in cui il regolamento Bruxelles I è stato applicato. In sintesi si tratta delle seguenti soluzioni: eliminare la procedura di exequatur, tranne i casi di diffamazione e le azioni di risarcimento collettivo; applicare il regolamento a controversie in cui sono coinvolti convenuti di paesi terzi; rendere più efficaci gli accordi per la scelta del foro competente, migliorare il legame tra il regolamento e l'arbitrato; classificare le condizioni alle quali i provvedimenti provvisori e cautelari adottati da un organo giurisdizionale di uno Stato membro possono essere applicati in altri Stati membri, migliorare infine l'accesso alla giustizia e il funzionamento di talune procedure pendenti dinanzi ai tribunali interni.

4.3.1   Non esistono ragioni di fondo per escludere le azioni collettive dalla proposta di eliminare l'exequatur e in tal senso la formulazione dell'articolo 37 risulta insoddisfacente. Il CESE si è già espresso in diverse occasioni a favore di una regolamentazione sovranazionale delle azioni collettive. La Commissione dovrebbe riflettere circa un'eventuale modifica dell'articolo 6 del regolamento CE n. 44/2001 al fine di ammettere la concentrazione processuale di azioni di vari attori, sempre che tra le domande esista un nesso così stretto da rendere opportuna una trattazione unica ed una decisione unica onde evitare il rischio, sussistente in caso di trattazione separata, di giungere a decisioni incompatibili.

4.3.2   In quanto all'esclusione della diffamazione, in realtà l'articolo 37, paragrafo 3, lettera a), è più ampio in quanto include le decisioni emesse in un altro Stato membro relative ad obbligazioni extracontrattuali che derivano da violazioni della vita privata e dei diritti della personalità. La Commissione dovrebbe riflettere sulla portata di questa eccezione e sulla possibilità di delimitarla, affinché non risultino esclusi alcuni casi che emergono dalla vita quotidiana dei cittadini.

4.3.3   Al fine di analizzare più a fondo i cambiamenti previsti per quanto concerne gli strumenti e le procedure giudiziarie oggetto della proposta è tuttavia opportuno formulare talune osservazioni affinché la Commissione ne tenga conto in futuro.

4.3.4   Pertanto, in merito all'articolo 58, paragrafo 3, del testo della rifusione del regolamento, che impone al giudice competente di pronunciarsi «senza indugi» in merito al ricorso proposto contro una decisione emessa in merito all'impugnazione presentata a fronte di una dichiarazione di esecutività di una sentenza, si potrebbe precisare ulteriormente la durata massima del termine stabilito, onde evitare ritardi ingiustificati o dilazioni dannose per le parti in causa.

4.3.5   Potrebbe ad esempio essere stabilito il termine di novanta giorni, previsto al secondo paragrafo dello stesso articolo 58 per le decisioni relative ai ricorsi presentati contro un'istanza di esecuzione, oppure un termine intermedio compreso tra le sei settimane previste all'articolo 11, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2201/2003 (relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale) e i già citati novanta giorni.

4.3.6   Allo stesso modo, si potrebbe riformulare il nuovo strumento di cooperazione giudiziaria, previsto all'articolo 31 del testo della rifusione del regolamento, onde potenziare il ruolo dell'organo giurisdizionale competente sul merito e prevenire eventuali azioni in mala fede che ritardino la risoluzione della controversia.

4.3.7   In effetti, il dovere generalizzato di «coordinamento» tra il giudice competente sul merito e il giudice di un altro Stato membro chiamato a prendere provvedimenti provvisori e cautelari, dovere che tale disposizione limita al semplice obbligo, da parte del secondo, d'informarsi su tutte le circostanze relative alla causa (ad esempio l'urgenza del provvedimento richiesto o il possibile rifiuto da parte del giudice competente sul merito che vengano adottate misure analoghe) potrebbe essere completato con un'altra disposizione in cui si stabilisce il carattere eccezionale del ricorso a tali misure oppure si dichiara, in generale, l'incompetenza a favore del giudice che decide sul merito.

4.3.8   Questo inoltre sarebbe del tutto coerente con il ruolo centrale che, per motivi di rapidità e di applicazione del principio di riconoscimento reciproco, la Corte di giustizia assegna all'organo competente sul merito per quanto concerne l'interpretazione di norme collegate, come ad esempio il già citato regolamento (CE) n. 2201/2003.

4.4   Il mantenimento della clausola di ordine pubblico, di cui all'articolo 34, paragrafo 1, dell'attuale regolamento Bruxelles I e all'articolo 48, paragrafo 1, della proposta di rifusione del testo, che vale unicamente nei casi in cui venga eliminato l'exequatur, merita un particolare riferimento. Tale clausola consente all'organo giurisdizionale dello Stato membro adito a tale proposito di non riconoscere le decisioni manifestamente contrarie al proprio ordine pubblico.

4.4.1   Di certo si tratta di una facoltà che potrebbe anche dar luogo a diverse interpretazioni e ad applicazioni discrezionali da parte dei giudici aditi a tale proposito. Però, come dimostra la sua utilizzazione nel periodo in cui il regolamento Bruxelles I è stato in vigore, il rischio resta attualmente assai circoscritto per almeno tre limitazioni giuridiche: i criteri stabiliti al riguardo dalla Corte di giustizia (4), il carattere vincolante della Carta dei diritti fondamentali dell'UE e il consolidamento di un'ampia e nutrita giurisprudenza della stessa Corte di giustizia, che privilegia l'effetto utile del diritto comunitario rispetto alla stessa nozione di ordine pubblico.

4.4.2   Il Comitato invita tuttavia la Commissione europea a prestare particolare attenzione al comportamento degli organi giurisdizionali degli Stati membri, al fine di garantire una corretta applicazione del principio di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie relative alla competenza giurisdizionale per motivi di ordine pubblico.

4.5   La proposta di rifusione del regolamento stabilisce in via marginale, anche se innovativa, una norma per il riconoscimento delle convenzioni arbitrali che designano un giudice di uno Stato membro dell'UE, limitando in tal modo il rischio di forum shopping. Tale norma tuttavia non sembra essere sufficiente.

4.5.1   Dato l'uso sempre più diffuso e crescente di questo tipo di soluzione delle controversie, specie in ambito commerciale, e dato il suo auspicabile sviluppo in altri ambiti essenziali per gli interessi dei cittadini (ad esempio le norme sul consumo o sul lavoro), il CESE invita la Commissione a prevedere, a breve termine, la creazione di uno strumento giuridico sovranazionale per il riconoscimento e l'esecuzione dei lodi arbitrali. Pur lasciando aperta la possibilità di un controllo giudiziale, la proposta oggetto del presente parere esclude espressamente l'arbitrato dal proprio ambito di applicazione (articolo 1, paragrafo 2, lettera d)).

4.6   Al fine di chiarirne il contenuto e accelerare l'adozione delle decisioni giudiziarie, la Commissione potrebbe inoltre promuovere l'elaborazione di una comunicazione o di una guida relativa all'interpretazione dell'articolo 5 della proposta, che praticamente ribadisce i termini dell'articolo del regolamento Bruxelles I attualmente in vigore.

4.6.1   Secondo le due disposizioni, il tribunale competente in materia contrattuale è quello del luogo in cui l'obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere eseguita; nel caso della compravendita di beni, invece, il tribunale competente sarà, salvo diverso accordo tra le parti, quello dello Stato membro in cui i beni sono stati o avrebbero dovuto essere consegnati; nel caso infine della prestazione di servizi, il tribunale competente sarà quello dello Stato membro in cui i servizi sono stati o avrebbero dovuto essere prestati.

4.6.2   La giurisprudenza della Corte di giustizia, che interpreta i concetti di «bene» e di «servizio» in relazione alle libertà del mercato interno, non si applica all'ambito del regolamento Bruxelles I. Di conseguenza, la Corte di giustizia ha sinora risolto le questioni interpretative sulla portata del citato articolo 5 mediante riferimento a talune normative internazionali che non sono vincolanti né per l'UE né per tutti gli Stati membri, e pertanto non sono norme comunemente applicabili ai contratti intracomunitari.

4.7   Paradossalmente, i motivi di rapidità processuale sembrano essere all'origine della nuova formulazione dell'articolo 24, paragrafo 2, della proposta di rifusione, in base al quale l'applicazione dell'articolo 24, paragrafo 1 (che assegna la competenza generale al giudice di uno Stato membro davanti al quale il convenuto è comparso) è condizionata al fatto che la richiesta preveda l'obbligo d'informazione del convenuto circa il suo diritto di eccepire l'incompetenza del giudice e le conseguenze della comparizione. Questa disposizione, facilmente applicabile attraverso l'inserimento di clausole stilistiche, può però pregiudicare i diritti della parte debole di un contratto, tanto più che lo stesso articolo 24, paragrafo 2, ne limita l'applicazione al settore delle assicurazioni, ai contratti conclusi da consumatori e ai contratti individuali di lavoro.

4.7.1   Dato che è il giudice che riceve la richiesta a dover comprovare se al convenuto sia stata trasmessa la necessaria informazione, senza che venga fissato alcun requisito in materia, il Comitato desidera sottolineare la situazione d'incertezza e discrezionalità che comporterebbe l'applicazione di questa misura nei 27 ordinamenti giuridici nazionali dei paesi UE. Di conseguenza, invita la Commissione europea a riconsiderare la formulazione di detta misura al fine di potenziare la posizione giuridica dei consumatori e dei lavoratori e di garantire modelli uniformi di condotta dei tribunali competenti.

Bruxelles, 5 maggio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU C 255 del 22.9.2010, pag. 48.

(2)  Adottato nella riunione del Consiglio europeo del 10-11 dicembre 2009.

(3)  GU C 117 del 26.4.2000, pag. 6.

(4)  Cfr. la sentenza del 28 marzo 2000, causa C-7/98, Krombach, Rec. p. I-01935.


23.7.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 218/82


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 2003/71/CE e 2009/138/CE per quanto riguarda i poteri dell'Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA) e dell'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA)

COM(2011) 8 definitivo — 2011/0006 (COD)

2011/C 218/15

Relatore: Joachim WUERMELING

Il Parlamento europeo, in data 3 febbraio 2011, e il Consiglio europeo, in data 2 marzo 2011, hanno deciso, conformemente al disposto dall'articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 2003/71/CE e 2009/138/CE per quanto riguarda i poteri dell'Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA) e dell'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA)

COM(2011) 8 definitivo — 2011/0006 (COD).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 aprile 2011.

Alla sua 471a sessione plenaria, dei giorni 4 e 5 maggio 2011 (seduta del 5 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 111 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE accoglie con grande favore la proposta di direttiva della Commissione europea che modifica le direttive 2003/71/CE e 2009/138/CE. Il Comitato sostiene gli sforzi della Commissione volti a modificare la vigente normativa settoriale per consentire al Sistema europeo delle autorità di vigilanza finanziaria (ESFS) di funzionare in modo efficiente. Esso ribadisce il suo pieno sostegno alle nuove norme di vigilanza in materia di assicurazione («Solvibilità II»), soprattutto alla luce delle esperienze maturate durante la recente crisi finanziaria.

1.2

La ricerca di solidi standard di solvibilità, tuttavia, deve tener conto della necessità di garantire la capacità dei mercati assicurativi di farsi carico dei rischi dei clienti e di assolvere al loro ruolo di fornitori di finanziamento per le comunità e le imprese di qualsiasi dimensione.

1.3

Il CESE valuta positivamente la modifica supplementare della direttiva Solvibilità II per quanto concerne le norme transitorie, oltre alla proroga di due mesi della data di attuazione.

1.4

Il CESE sottolinea la necessità del principio di transizione dall'attuale sistema (Solvibilità I) al nuovo sistema (Solvibilità II). Occorre agevolare la transizione al nuovo sistema ed evitare turbative di mercato attraverso un approccio che colleghi le misure di vigilanza alle norme transitorie in modo coerente. Il regime Solvibilità II non dovrebbe portare a una concentrazione del mercato, soprattutto per le piccole e medie imprese di assicurazione.

1.5

Le misure transitorie contenute nella proposta in esame dovrebbero consentire un processo di introduzione/eliminazione graduali, che tenga conto della capacità delle imprese di realizzare i cambiamenti. La durata massima fissata per la transizione può essere ridotta dalla Commissione se e quando esistano prove concordanti che lo giustifichino. È evidente che i periodi transitori varieranno a seconda del settore.

1.6

Il calendario di attuazione dovrebbe tenere conto in modo realistico della capacità sia delle autorità di vigilanza che delle imprese di assicurazione, incluse quelle più piccole, di raggiungere gli obiettivi fissati dalla direttiva Solvibilità II. Il CESE esorta la Commissione e l'EIOPA a garantire che il nuovo regime non porti a un sovraccarico di lavoro amministrativo e che esso non sia così complesso da risultare ingestibile, poiché ciò potrebbe avere un impatto negativo sulla qualità del servizio reso ai consumatori.

1.7

Il CESE approva la legittimazione democratica del futuro corpus europeo di norme («unico insieme di norme») per le imprese di assicurazione. La definizione del campo di applicazione appropriato degli standard tecnici dovrebbe essere considerata uno strumento ulteriore per la convergenza in materia di vigilanza finalizzato allo sviluppo di un unico insieme di norme.

1.8

Il CESE ritiene che si debba operare una distinzione netta tra, da un lato, gli aspetti puramente tecnici e, dall'altro, gli aspetti che sono di natura politica e rappresentano una questione di competenza delle istituzioni dell'UE che hanno un mandato politico.

1.9

Tuttavia il CESE sottolinea lo status dell'EIOPA quale organismo autonomo. Nel suo compito di contribuire alla creazione di un unico insieme di norme, l'EIOPA agisce entro i limiti dei mandati fissati dagli organi legislativi con responsabilità politica.

1.10

Il CESE ritiene che il settore assicurativo dovrebbe continuare a offrire ai consumatori pensioni a lungo termine garantite ed esso dovrebbe rimanere un partner affidabile per le prestazioni di vecchiaia. Pertanto, una struttura per scadenza dei tassi d'interesse è indispensabile ai fini del calcolo del patrimonio di solvibilità. Il Comitato raccomanda una soluzione che permetta di garantire che questi prodotti rimangano economicamente sostenibili.

1.11

Il CESE raccomanda inoltre che i metodi utilizzati per tali calcoli non siano considerati soltanto una questione tecnica, ma siano definiti sotto la sorveglianza del Parlamento e del Consiglio, in modo da tener conto delle implicazioni politiche che la definizione di tali metodi può avere per il livello generale di preparazione dei cittadini in rapporto alla crescente speranza di vita e al basso tasso di ricambio generazionale.

1.12

Il CESE evidenzia l'importanza di una costante consultazione delle parti interessate dell'EIOPA, le quali includono i rappresentanti dei sindacati del settore e dei consumatori di servizi finanziari, nonché studiosi in materia di regolamentazione e di vigilanza.

2.   Contesto e osservazioni generali

2.1

Il 19 gennaio 2011 la Commissione ha adottato una proposta di direttiva che modifica le due precedenti direttive relative alle attività nel settore dei servizi finanziari, ossia la direttiva Prospetto e la direttiva Solvibilità II. La proposta è denominata «direttiva Omnibus II», perché è la seconda direttiva che raggruppa varie modifiche alle direttive vigenti al fine di adeguarle alla nuova struttura europea di vigilanza finanziaria.

2.2

La direttiva Solvibilità II disciplina l'accesso e l'esercizio delle attività di assicurazione e di riassicurazione. La riforma - accuratamente preparata - della vigilanza europea nel settore delle assicurazioni è tesa a rafforzare in chiave sostenibile il settore assicurativo e a renderlo più competitivo: i requisiti patrimoniali per le imprese di assicurazione saranno infatti maggiormente basati sul rischio (pilastro I). I requisiti di gestione qualitativa del rischio (pilastro II) e di segnalazione da parte delle imprese assicurative (pilastro III) saranno inoltre modernizzati.

2.3

La direttiva Omnibus II si propone di adeguare le disposizioni europee in materia di vigilanza sulla scia delle conclusioni del gruppo di alto livello presieduto da Jacques de Larosière e della comunicazione della Commissione del maggio 2009, la quale proponeva l'istituzione di un Sistema europeo delle autorità di vigilanza finanziaria (ESFS) consistente in una rete di autorità nazionali di vigilanza finanziaria che lavorino in tandem con le nuove autorità europee di vigilanza.

2.4

Il CESE ha adottato dei pareri (tra cui CESE 100/2010 e CESE 446/2010) sulla nuova architettura di vigilanza, ha espresso il suo sostegno di massima alle riforme e ha sottolineato la necessità di una distinzione tra gli aspetti tecnici e quelli politici, che sono considerati una questione di competenza delle istituzioni dell'UE con un mandato politico. I pareri del Comitato hanno sottolineato la necessità che le nuove autorità mantengano un dialogo con gli organi di rappresentanza dei settori dei servizi finanziari, i sindacati, i consumatori di servizi finanziari e pure con il CESE, in quanto rappresentante della società civile organizzata in Europa.

2.5

Il CESE ha espresso il suo generale sostegno ai lavori della Commissione tesi a dotare le neoistituite autorità dei poteri che permettano loro di definire standard tecnici comuni e di risolvere le divergenze tra autorità nazionali di vigilanza, un obiettivo che la proposta in esame intende realizzare nel settore degli strumenti finanziari, delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali.

2.6

Il CESE plaude agli obiettivi generali della direttiva, segnatamente tutelare tutti i consumatori di servizi finanziari e garantire la stabilità dei mercati attraverso un approccio flessibile, l'impegno al rispetto dei principi di necessità e proporzionalità nel procedere verso la convergenza in materia di vigilanza, nonché l'elaborazione di un unico insieme di norme. Tali obiettivi possono contribuire a fare del mercato unico una realtà sempre più concreta e a mantenere l'Europa in prima linea nella definizione di standard internazionali, senza allentare i rapporti con i mercati internazionali dei servizi finanziari.

2.7

La direttiva Omnibus II modifica principalmente la direttiva Solvibilità II, attribuendo nuovi poteri per l'adozione di standard tecnici vincolanti e allineando le procedure per le misure di esecuzione al Trattato di Lisbona. La proposta include modifiche generali che sono comuni a gran parte della normativa nel settore finanziario, in particolare la direttiva Omnibus I, e necessarie affinché le direttive possano essere applicabili nel contesto delle nuove autorità, per esempio, cambiare il nome da CEIOPS in EIOPA e garantire che esistano i circuiti appropriati per lo scambio di informazioni.

2.8

La direttiva Omnibus II adegua inoltre l'attuale regime dei poteri di esecuzione (livello 2) al Trattato di Lisbona. La direttiva Solvibilità II è entrata in vigore prima del nuovo Trattato, pertanto è necessario trasformare gli attuali mandati di livello 2 in atti delegati, in atti di esecuzione o in standard tecnici di regolamentazione. Andrebbero previste adeguate procedure di controllo.

2.9

La direttiva Solvibilità II introduce anche alcune disposizioni transitorie. Ciò è necessario per consentire una transizione agevole al nuovo regime. Bisogna evitare turbative di mercato e si dovrebbe poter anche tenere conto dell'impatto sulla gamma dei prodotti assicurativi importanti.

3.   Modifiche alla direttiva Solvibilità II

3.1

Nel parere sulla direttiva Solvibilità II (CESE 976/2008), il CESE ha accolto con favore gli importantissimi sforzi profusi per rafforzare il settore assicurativo e per renderlo più competitivo, migliorando l'allocazione del capitale, la gestione dei rischi e la segnalazione. A tal proposito, secondo il CESE, la direttiva Solvibilità II rappresenta anche la giusta risposta alla luce delle esperienze maturate durante la recente crisi finanziaria. Il Comitato sostiene la Commissione nel suo approccio teso a non apportare modifiche sostanziali alla direttiva Solvibilità II. Tuttavia, nei casi in cui l'adeguamento delle misure di esecuzione risulti inappropriato, potrebbero essere necessarie maggiori modifiche in settori specifici con estensione limitata.

3.2

Col passare del tempo, mentre la crisi generata dalla negoziazione di derivati su crediti sollevava preoccupazioni circa la solidità di tutte le attività finanziarie, si è diffuso il timore che la regolazione puntuale degli standard di solvibilità applicabili alle attività di assicurazione potesse essere influenzata da ipotesi ispirate alla tendenza a evitare il più possibile il rischio. Il CESE prende atto delle dichiarazioni rese dalla Commissione per confermare il suo impegno a favore di una visione equilibrata in merito a tali standard. Invita pertanto la Commissione a evitare di creare problemi di volatilità in un settore in cui gli impegni a lungo termine sono la regola.

3.3

Dal lancio del processo di riforma del regime Solvibilità II sono state intraprese diverse serie di studi d'impatto quantitativo, al più recente dei quali - noto come QIS 5 - hanno partecipato circa i due terzi del mercato assicurativo europeo. I risultati sono stati recentemente pubblicati dall'EIOPA e necessitano di un'analisi più approfondita. Attraverso gli studi d'impatto che sono stati realizzati è tuttavia risultato chiaro che i tempi e la portata della migrazione al nuovo regime potrebbero avere pesanti conseguenze in termini di disponibilità e accessibilità economica delle assicurazioni per le comunità, le imprese e le famiglie, nonché in termini di condizioni operative per le imprese di assicurazione.

3.4

Il CESE ribadisce il proprio sostegno a favore dei principi di proporzionalità e flessibilità. Il Comitato ha già osservato che ciò dovrebbe portare a requisiti chiari e adeguati, sebbene l'eterogeneità del mercato assicurativo, sotto il profilo sia delle dimensioni sia della natura delle imprese di assicurazione, meriti di essere tenuta in debita considerazione. Nella fase attuale, il CESE teme che l'attuazione della direttiva Solvibilità II introduca un grado di complessità che le piccole e medie imprese di assicurazione non riusciranno a gestire.

3.5

Un'adeguata progettazione delle norme transitorie della direttiva Solvibilità II e della vigilanza finanziaria a livello dell'UE appare essenziale per garantire la stabilità dei mercati assicurativi. Il raggiungimento di questi obiettivi verrà compromesso se ora non verrà tracciato il percorso nella giusta direzione.

Proroga al 1o gennaio 2013

3.6

Il CESE approva la proroga di due mesi della data di attuazione della direttiva Solvibilità II, che entrerà quindi in vigore il 1o gennaio 2013.

3.7

Il CESE conviene con la Commissione che sia meglio avviare il regime Solvibilità II, con i suoi nuovi requisiti in materia di calcolo, segnalazione e di altro tipo, in concomitanza con il normale inizio dell'esercizio finanziario per la maggior parte delle imprese di assicurazione (1o gennaio), anziché durante l'esercizio, come proposto nella direttiva Solvibilità II (1o novembre). Di conseguenza, anche per le altre date contenute nella direttiva Solvibilità II, soprattutto per quanto concerne le regole transitorie e la clausola di revisione, occorre prorogare i termini di due mesi, come stabilito nella direttiva Omnibus II.

Regime transitorio

3.8

La proposta della Commissione risponde alla richiesta di rendere più agevole la transizione dagli standard rafforzati della direttiva Solvibilità I agli standard della direttiva Solvibilità II, per evitare turbative di mercato. I gruppi con attività sia all'interno che all'esterno dell'UE dovrebbero essere capaci di gestire lo sviluppo delle loro operazioni in modo più efficiente.

3.9

È importante che la transizione riguardi tutti i tre pilastri della direttiva Solvibilità II. Il CESE concorda con la Commissione in merito alla necessità di prevedere regole transitorie per quanto riguarda i calcoli, la governance e la segnalazione. È necessario tenere conto dell'impatto sulla gamma di prodotti assicurativi che sono importanti per i mercati nazionali. Il quinto studio d'impatto quantitativo (QIS5) deve essere considerato una fonte primaria di riflessioni per quanto concerne i requisiti transitori. Esso rivela l'urgente necessità di un concetto di transizione coerente (introduzione/eliminazione graduali), affinché le imprese e le autorità di vigilanza abbiano tempo sufficiente per prepararsi di conseguenza.

3.10

Il CESE raccomanda che venga condotta un'opportuna valutazione su come tali regole transitorie possano essere collegate in modo coerente con le azioni di vigilanza in caso di inosservanza delle nuove regole. Una transizione agevole dovrebbe tener conto degli attuali livelli d'intervento in materia di vigilanza, nonché garantire che la protezione degli assicurati non sia inferiore rispetto a quella attualmente esistente.

3.11

Il CESE raccomanda che la transizione faccia più esplicitamente riferimento agli standard rafforzati della direttiva Solvibilità I quale livello minimo (opzionale).

3.12

Per quanto riguarda la segnalazione, il CESE raccomanda di definire più dettagliatamente non soltanto i metodi, ma anche il contenuto e la tempistica della segnalazione durante il periodo transitorio. Poiché vi sono dubbi in merito a ciò che dovrebbe essere incluso nelle relazioni trimestrali o perfino nella dichiarazione introduttiva, sembra più opportuno consentire un adeguamento agli standard di segnalazione anche dopo il 1o gennaio 2013. Ciò sarà essenziale per le piccole e medie imprese. In particolare, le mutue e altre imprese di assicurazione che non hanno accesso ai mercati azionari non dovrebbero essere obbligate a rispettare gli stessi obblighi in materia di segnalazione delle società internazionali quotate che hanno preparato i documenti contabili sulla base degli IFRS fin dall'inizio, oppure a operare con le stesse scadenze serrate.

Fornire garanzie di lungo termine per le pensioni

3.13

Il CESE ha sottolineato l'importanza di un'assicurazione pensionistica solida e ben gestita e di altre forme di prestazioni di vecchiaia nel quadro dell'invecchiamento della società europea, ultimamente anche nel suo parere sul Libro verde della Commissione Verso sistemi pensionistici adeguati, sostenibili e sicuri in Europa (CESE 72/2011).

3.14

L'elaborazione di politiche sul calcolo del tasso di interesse per le pensioni è d'importanza fondamentale per le condizioni alle quali questa protezione può essere ottenuta dai consumatori. Il Comitato nutre timori in merito alla struttura per scadenza dei tassi d'interesse attualmente oggetto di discussione. Essa porterà probabilmente a un forte calo dell'offerta e un aumento del costo dei prodotti pensionistici.

3.15

A tal proposito, il CESE adotta una posizione critica rispetto al fatto che, secondo la proposta Omnibus II della Commissione, la struttura per scadenza dei tassi d'interesse e il premio per illiquidità non saranno determinati da organi legislativi. La struttura per scadenza dei tassi di interesse e il rischio legato al tasso di interesse determinano il futuro delle prestazioni private di vecchiaia. Una decisione politica così importante non può essere assunta solamente al livello amministrativo dell'EIOPA.

Le sfide per l'EIOPA

3.16

Considerato che sia la proposta in esame che le misure di esecuzione devono essere ancora adottate, il calendario per il lancio effettivo del regime Solvibilità II sembra essere particolarmente impegnativo. Le imprese di assicurazione non possono essere ritenute responsabili per istruzioni che devono essere pubblicate in una fase successiva. Il CESE invita pertanto la Commissione a pubblicare subito tali istruzioni o a concedere ragionevoli tempi di adeguamento.

3.17

Parimenti, il CESE riconosce l'importante carico di lavoro che l'EIOPA si è assunto, soprattutto perché è ancora nel processo di espansione e non ha ancora raggiunto i livelli attesi in termini di organico. Pertanto, il Comitato ritiene che la proposta in esame possa andare al di là delle capacità disponibili e si attende che la Commissione tenga in debita considerazione l'equilibrio delle priorità che bisogna stabilire.

3.18

Il CESE reputa che occorra valutare attentamente se l'EIOPA disporrà delle risorse sufficienti in rapporto ai poteri e ai compiti attribuiti ad essa dalla direttiva Omnibus II, soprattutto per quel che concerne il contributo tecnico e la mediazione vincolante, quando il regime Solvibilità II entrerà in vigore. La proposta secondo cui l'EIOPA dovrebbe elaborare i progetti di misure di esecuzione al più tardi entro il 31 dicembre 2011 sembrerebbe alquanto ambiziosa.

3.19

Il CESE è consapevole del fatto che l'EIOPA è nella fase di espansione dell'organico e delle conoscenze. Il regime transitorio dovrebbe tenere conto delle risorse assegnate all'Autorità al fine di evitare perturbazioni. Le risorse dovrebbero essere in linea con i poteri e i compiti.

3.20

Ciò potrebbe incidere sull'equilibrio dei compiti tra gli organismi di vigilanza degli Stati membri, che dovrebbero svolgere in modo coerente un'attività di vigilanza ordinaria sulle società che rientrano nel loro ambito di competenza, e la nuova Autorità.

3.21

Nello specifico, il CESE ritiene che all'autorità di vigilanza del gruppo debba essere confermato un ruolo di guida nell'approvazione dei modelli interni da applicarsi all'intero gruppo e reputa altresì che la direttiva non debba dar adito ad alcun dubbio sui rispettivi poteri e responsabilità.

3.22

Il CESE ritiene che la Commissione abbia ragione ad esaminare i vari differenti ruoli delle autorità di vigilanza nazionali e della nuova autorità di vigilanza dell'UE in materia di assicurazioni, l'EIOPA. È importante includere in modo adeguato la possibilità, per l'EIOPA, di risolvere controversie in maniera equilibrata nelle materie in cui delle procedure decisionali comuni sono già state previste dalla direttiva Solvibilità II o da altre normative settoriali.

Poteri di esecuzione

3.23

Il CESE reputa che il funzionamento del sistema Lamfalussy di attuazione della normativa finanziaria su diversi livelli giuridici richieda un sistema a cascata coerente per garantire che gli standard tecnici siano basati sulle misure di esecuzione, affinché nessuna questione venga regolamentata senza un fondamento di responsabilità politica, soprattutto per quanto concerne la sussidiarietà, e le misure di esecuzione mantengano un orientamento uniforme e chiaro.

3.24

Il CESE prende atto della proposta della Commissione di introdurre standard tecnici vincolanti (livello 3) nei settori in cui sono già state previste misure di esecuzione (livello 2). Gli standard tecnici vincolanti aggiuntivi dovrebbero avere un campo di applicazione limitato. Sarebbe inoltre auspicabile che il futuro equilibrio tra le istituzioni europee per mezzo della delega di poteri potesse essere caratterizzato da maggiore chiarezza.

3.25

Il CESE reputa che, per garantire la qualità delle norme armonizzate, potrebbe essere di cruciale importanza dare priorità agli standard tecnici vincolanti. Taluni standard tecnici di esecuzione potrebbero non essere necessari fin dall'inizio del regime Solvibilità II e l'EIOPA disporrebbe di più tempo per elaborarli tenendo conto della prassi del settore e delle esperienze delle autorità di vigilanza. Altri standard tecnici di esecuzione potrebbero essere considerati opzionali («è possibile») e dovrebbero essere introdotti soltanto qualora in futuro si presenti una necessità di armonizzazione.

3.26

Bisognerebbe valutare attentamente la portata degli standard tecnici. È opportuno porsi la domanda se la prevista densità normativa sia realmente necessaria a livello europeo in termini di sussidiarietà. In caso di dubbio, per le singole misure di esecuzione (livello 2), non si dovrebbero prevedere standard tecnici aggiuntivi (livello 3); p. es. il livello 3 non sembrerebbe necessario in materia di valutazione interna del rischio e della solvibilità, di classificazione dei fondi propri o dei fondi separati (ring-fenced).

3.27

Le regole a diversi livelli non sarebbero trasparenti e, per giunta, è possibile che vi siano deviazioni nazionali per le stesse materie oggetto di regolamentazione. Ciò implicherebbe una complessità eccessiva, soprattutto per le PMI. Un altro aspetto che va attentamente valutato è la proposta estensione di talune misure di esecuzione sul piano del contenuto.

Bruxelles, 5 maggio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


23.7.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 218/87


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni concernente la risposta alla relazione del gruppo di esperti sulla valutazione intermedia del Settimo programma quadro per le attività di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione e alla relazione del gruppo di esperti sulla valutazione intermedia del meccanismo di finanziamento con ripartizione dei rischi

COM(2011) 52 definitivo

2011/C 218/16

Relatore generale: Gerd WOLF

La Commissione europea, in data 9 febbraio 2011, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del TFUE, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni concernente la risposta alla relazione del gruppo di esperti sulla valutazione intermedia del Settimo programma quadro per le attività di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione e alla relazione del gruppo di esperti sulla valutazione intermedia del meccanismo di finanziamento con ripartizione dei rischi

COM(2011) 52 definitivo.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 14 marzo 2011.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 471a sessione plenaria dei giorni 4 e 5 maggio 2011 (seduta del 4 maggio), ha nominato relatore generale WOLF ai sensi dell'articolo 20 e dell'articolo 57, paragrafo 1, del Regolamento interno, e adottato il seguente parere con 118 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato accoglie con favore la relazione del gruppo di esperti e condivide appieno le raccomandazioni in essa formulate; condivide inoltre la posizione adottata in merito nella comunicazione della Commissione, riguardo alla quale però si pronuncia in modo circostanziato.

1.2   Anche in riferimento alla relazione del gruppo di esperti, il Comitato raccomanda in particolare di:

accrescere alquanto la quota del bilancio generale destinata a promuovere la ricerca e l'innovazione, affinché rispecchi fedelmente il rilievo e il peso attribuiti a questo tema nella strategia Europa 2020,

concentrare la ricerca sulle iniziative il cui successo dipende da una cooperazione transnazionale,

garantire la continuità e lo sviluppo della «ricerca in collaborazione» (collaborative research),

includere nella promozione della ricerca anche le grandi infrastrutture,

dare maggior risalto al tema delle «tecnologie abilitanti fondamentali», senza le quali non possiamo raccogliere la sfida della concorrenza mondiale né affrontare le principali questioni sociali,

agevolare, grazie a più stretti collegamenti tra fondi strutturali e programma quadro, una maggiore partecipazione degli Stati membri finora sottorappresentati,

almeno il 20 % della dotazione di bilancio globale del programma dovrebbe essere messo a disposizione dell'R&S di pertinenza del Consiglio europeo della ricerca,

semplificare radicalmente le procedure amministrative, e a tal fine prendere in considerazione la possibilità di una moratoria per i nuovi strumenti.

1.3   Il Comitato esorta gli Stati membri ad adempiere effettivamente il loro «obbligo del 3 %» e, ove possibile sul piano economico, a spingersi ben al di là di tale obiettivo.

1.4   Riguardo alla terminologia scelta nella suddetta relazione per designare le tre categorie di ricerca, il Comitato esprime perplessità quanto all'uso dell'espressione Science for Science («scienza per la scienza») e raccomanda di utilizzare al suo posto l'espressione Science for Knowledge («scienza per la conoscenza»).

1.5   Il Comitato accoglie con favore la posizione della Commissione europea in merito alla relazione del gruppo di esperti sul meccanismo di finanziamento con ripartizione dei rischi, condivide la valutazione di tale relazione e ravvisa nel suddetto meccanismo uno strumento di finanziamento molto utile e atto a favorire l'innovazione.

2.   Comunicazione della Commissione

2.1   In seguito a decisioni del Parlamento europeo e del Consiglio, un gruppo di esperti esterni ha effettuato una valutazione intermedia del Settimo programma quadro di ricerca e sviluppo (7PQ/R&S) (1) formulando con molta chiarezza dieci raccomandazioni di grande rilievo. Da parte sua, la Commissione ha pubblicato una comunicazione in merito alla relazione del gruppo di esperti che costituisce una risposta alle raccomandazioni ivi contenute.

Oggetto del presente parere del Comitato è appunto questa comunicazione e quindi anche la relazione del gruppo di esperti e le raccomandazioni in essa formulate.

2.2   La comunicazione della Commissione presta una particolare attenzione ai seguenti punti sollevati nelle raccomandazioni del gruppo di esperti:

1)

progredire nella realizzazione degli obiettivi dello Spazio europeo della ricerca (SER) e dell'Unione dell'innovazione, integrando la ricerca fondamentale,

2)

concepire e attuare infrastrutture di ricerca di elevata qualità,

3)

mantenere perlomeno stabile il livello di finanziamento,

4)

garantire una strategia di innovazione adeguatamente articolata,

5)

far fare alla semplificazione il salto decisivo necessario,

6)

far sì che le diverse tipologie di misure di finanziamento previste dal 7PQ e dai programmi destinati a succedergli permettano di raggiungere un nuovo equilibrio tra approccio ascendente e approccio discendente nei confronti della ricerca,

7)

riflettere su un'eventuale moratoria per i nuovi strumenti,

8)

adottare ulteriori misure per rafforzare la partecipazione delle donne al 7PQ nel periodo residuo del programma,

9)

aprire la strada ad una maggiore partecipazione degli Stati membri sottorappresentati grazie a collegamenti più adeguati tra i fondi strutturali e il PQ,

10)

aprire il 7PQ alla cooperazione internazionale.

2.3   Queste raccomandazioni del gruppo di esperti riscuotono essenzialmente il consenso della Commissione - la quale ha dichiarato anche di voler prenderle nella dovuta considerazione nel prossimo programma quadro. Al riguardo, tuttavia, la Commissione ha introdotto anche alcuni aggiustamenti, perlopiù piuttosto limitati, e aggiunto dei commenti esplicativi o interpretativi.

3.   Osservazioni generali del Comitato

3.1   Il Comitato dà atto che la relazione del gruppo di esperti e la comunicazione che prende posizione in merito sono alla base del Libro verde (2) in cui la Commissione espone i principi da essa previsti per la promozione futura della ricerca e dell'innovazione. Di conseguenza, questi due documenti assumono un'importanza che va ben al di là della mera valutazione intermedia.

3.2   Il Comitato constata con viva soddisfazione che la maggior parte delle citate raccomandazioni del gruppo di esperti (cfr. punto 2.2) coincide in larga misura con le osservazioni o raccomandazioni da esso già formulate in altri pareri.

3.3   Il Comitato si pronuncia brevemente come segue su alcune delle raccomandazioni del gruppo di esperti commentate dalla Commissione:

3.3.1   Progredire nella realizzazione degli obiettivi dello Spazio europeo della ricerca (SER) e dell'Unione dell'innovazione, integrando la ricerca fondamentale

Il Comitato condivide appieno l'affermazione fatta al riguardo nella relazione del gruppo di esperti, ossia che le iniziative di promozione lanciate dall'UE dovrebbero concentrarsi sui temi nei quali il loro successo dipende dal raggiungimento di una massa critica e dalla cooperazione transnazionale. Ciò, ad avviso del Comitato, vale in particolar modo per la «ricerca in collaborazione», uno strumento efficace che assolve una funzione cruciale - decisiva e integrativa - e occorrerebbe quindi mantenere e sviluppare.

3.3.2   Concepire e attuare infrastrutture di ricerca di elevata qualità

Il Comitato concorda appieno su questo punto, come del resto ha già indicato in alcuni suoi pareri. Dato che le grandi infrastrutture di ricerca superano in genere le capacità di finanziamento e utilizzo dei singoli Stati membri, esse soddisfano la condizione di cui al punto 3.3.1 e dovrebbero quindi ottenere un sostegno affidabile da parte della Commissione nel corso delle fasi di realizzazione e di esercizio.

3.3.3   Mantenere perlomeno stabile il livello di finanziamento

Mentre al riguardo il gruppo di esperti osserva che la quota del bilancio complessivo dell'UE destinata in ultima analisi al 7PQ dovrebbe essere considerata la percentuale minima accettabile - posizione, questa, tuttora condivisibile ad avviso del Comitato -, nella sua comunicazione la Commissione risponde sul punto con una posizione ancora più cauta. Il Comitato manifesta grande preoccupazione per questa tendenza, che contraddice tutte le affermazioni fatte e gli obiettivi fissati finora sulla politica da attuare in relazione alla strategia Europa 2020. Esorta quindi la Commissione stessa e tutti gli attori politici responsabili in materia ad accordare senz'altro agli obiettivi in tema di ricerca e innovazione l'importanza e il peso che ad essi compete nel quadro del bilancio UE e della suddetta strategia.

3.3.4   Garantire una strategia di innovazione adeguatamente articolata

Il Comitato concorda appieno su questo punto, e in proposito rinvia ai suoi pareri INT/545 (3) e INT/571. L'innovazione è un fattore di progresso, crescita, prosperità, sicurezza sociale, competitività internazionale e occupazione. Essa presuppone e favorisce un clima sociale di fiducia negli altri ed in se stessi, che a sua volta può esser fonte di ulteriore progresso e di un dinamismo costruttivo con cui affrontare la concorrenza mondiale. Per diffondersi bene, le innovazioni necessitano di un approccio e di un mercato unico europei che riservino un ruolo chiave allo Spazio europeo della ricerca, abbinato a un efficace programma quadro di R&S.

3.3.5   Far fare alla semplificazione il salto decisivo che essa richiede

Il Comitato concorda appieno su questo punto, e in proposito rinvia al suo parere specifico (4) su questo tema (benché la metafora del «salto quantico» - adoperata in alcune versioni linguistiche - derivi da un'interpretazione scorretta di questo concetto della fisica quantistica). La crescente diversificazione dei vari progetti e dei rispettivi strumenti, con norme e procedure spesso molto diverse, è ormai diventata un problema cruciale per il finanziamento europeo alla ricerca. Una complessità, questa, resa ancora peggiore dalla notevole diversità delle norme di attuazione dei singoli Stati membri e dei rispettivi organismi di erogazione degli aiuti. È quindi necessaria una radicale semplificazione, che includa fra l'altro l'accoglimento delle pratiche contabili correnti degli Stati membri.

3.3.6   Far sì che le diverse tipologie di misure di finanziamento previste dal 7PQ e dai programmi destinati a succedergli permettano di raggiungere un nuovo equilibrio tra approccio ascendente e approccio discendente nei confronti della ricerca

L'affermazione è del tutto condivisibile, se con ciò si intende che occorrerebbe attribuire maggiore importanza all'approccio «ascendente». Mentre gli approcci «discendenti» derivano da una prospettiva strategica dei decisori principali basata sullo stato attuale delle conoscenze, quelli «ascendenti» si avvalgono del potenziale creativo di scienziati e ingegneri che lavorano direttamente sull'oggetto da studiare o da migliorare. Infatti, anche riguardo alle questioni più importanti concernenti grandi sfide sociali come la salute, il clima e l'energia o agli ambiti di applicazione delle tecnologie fondamentali bisognerebbe dare maggior spazio alle idee e alle proposte «dal basso» - ossia a partire dalla comunità scientifica in senso ampio - anziché limitarsi a emanare direttive «dall'alto». La politica in materia di innovazione dovrebbe puntare sulle innovazioni organizzative e portate avanti dai lavoratori nei luoghi di lavoro (5).

3.3.7   Riflettere su un'eventuale moratoria per i nuovi strumenti

Il Comitato concorda su questo punto, come ha già indicato in diversi suoi pareri che affrontano il problema del numero eccessivo e crescente di strumenti, un problema che fra l'altro si ricollega direttamente a quanto osservato al punto 3.3.5. Se al riguardo non fossero ritenute sufficienti le chiare affermazioni fatte nella relazione del gruppo di esperti (6), sarebbe opportuno sottoporre a verifica, in cooperazione con un'ampia gamma di utenti, l'insieme degli strumenti di promozione, per individuare quelli efficaci e poi correggere o snellire quelli meno utili.

3.3.8   Adottare ulteriori misure per rafforzare la partecipazione delle donne al 7PQ nel periodo rimanente di questo programma

Del tutto condivisibile. In primo luogo, per far ciò occorre spronare un maggior numero di donne a intraprendere studi di ambito scientifico e tecnico. In secondo luogo, ciò vale anche per la questione più generale della presenza femminile nelle professioni, tenendo presente che, per quanto riguarda le professioni nel campo della R&S, si pone la questione specifica di offrire opportunità sufficienti di «doppia carriera» (7), il che è tanto più importante alla luce dell'esigenza di garantire la mobilità dei ricercatori.

3.3.9   Aprire la strada ad una maggiore partecipazione degli Stati membri sottorappresentati grazie a collegamenti più adeguati tra i fondi strutturali e il PQ

Del tutto condivisibile. Sul punto si veda anche il parere del Comitato in merito al citato Libro verde della Commissione. Il Comitato condivide in particolare la seguente affermazione contenuta nel Libro verde (8): «Sul lungo termine, l'eccellenza a livello mondiale può prosperare soltanto in un sistema in cui a tutti i ricercatori dell'UE vengano dati i mezzi per conseguire l'eccellenza e, infine, per conquistare posizioni di primo piano. A tal fine è necessario che gli Stati membri perseguano ambiziosi programmi di ammodernamento della loro base di ricerca pubblica e assicurino finanziamenti pubblici. I finanziamenti dell'UE, anche tramite i fondi della politica di coesione, dovrebbero intervenire quando e se necessario per contribuire al conseguimento dell'eccellenza».

3.3.10   Aprire il 7PQ alla cooperazione internazionale

Del tutto condivisibile. Il Comitato si è già espresso in senso favorevole in merito a questo importante aspetto (9). La cooperazione internazionale ha un impatto positivo sul progresso scientifico e tecnico ma anche sulla comprensione tra i popoli. Non si può non riconoscere che in questo campo si sono già ottenuti parecchi risultati. Tuttavia, il successo della cooperazione internazionale dipende anche dall'attrattività del SER e dalle prestazioni delle università e degli istituti di ricerca europei.

3.4   Il Comitato accoglie con favore la posizione della Commissione europea in merito alla relazione del gruppo di esperti sul meccanismo di finanziamento con ripartizione dei rischi, condivide la valutazione di tale relazione e ravvisa nel suddetto meccanismo uno strumento di finanziamento molto utile e atto a favorire l'innovazione. In proposito richiama le richieste da esso formulate - per esempio al punto 4.8 del parere sull'Unione dell'innovazione (10) - riguardo ai capitali di ventura, in particolare ai fini della creazione di nuove imprese.

4.   Osservazioni specifiche

4.1   In questa sezione il Comitato intende trattare alcuni aspetti che a suo avviso nella comunicazione della Commissione non sono emersi con sufficiente chiarezza oppure sono stati affrontati nella relazione del gruppo di esperti e necessitano di alcuni commenti.

4.2   Tecnologie abilitanti fondamentali (key enabling technologies).

All'importanza della leadership europea nello sviluppo delle tecnologie fondamentali ai fini della competitività dell'UE sul mercato mondiale la Commissione ha dedicato un'apposita comunicazione, in merito alla quale il Comitato si è pronunciato con un parere specifico (11). Lo sviluppo e la disponibilità delle tecnologie abilitanti fondamentali sono una precondizione essenziale affinché l'economia europea affronti con successo la competizione globale e si possano risolvere i problemi posti dalle grandi sfide sociali. Nella comunicazione in esame, tuttavia, a questo tema essenziale non è stato attribuito il giusto peso. Il Comitato raccomanda quindi espressamente di accordare maggior peso e maggiore visibilità a questo aspetto nel definire il prossimo (ossia l'ottavo) programma quadro.

4.3   Consiglio europeo della ricerca

Nelle raccomandazioni del gruppo di esperti e nella relativa comunicazione della Commissione non si è prestata sufficiente attenzione al successo, già adesso evidente, della parte «Idee» del programma esaminato e gestito dal Consiglio europeo della ricerca e agli elevati livelli qualitativi dei lavori condotti in tale ambito. Al riguardo il Comitato ribadisce la sua raccomandazione di dedicare a questa parte del programma il 20 % del bilancio dell'8PQ.

4.4   Terminologia

Per affrontare le grandi sfide, il gruppo di esperti raccomanda di strutturare il programma intorno a tre assi fondamentali così formulati:

Science for science («scienza per la scienza»): le priorità sono stabilite dai ricercatori,

Science for competitiveness («scienza per la competitività»): le priorità sono stabilite dalle imprese,

Science for society («scienza per la società»): le priorità sono stabilite dagli attori della società civile.

Il Comitato reputa queste formule molto accurate ed acute; nondimeno, teme che esse non siano in grado di cogliere a sufficienza la complessa relazione tra approccio ascendente e approccio discendente o tra ricerca di base e ricerca applicata. Al riguardo esso rinvia al suo parere INT/571, e in questa sede si limita a sottolineare che in realtà non esiste alcuna «scienza per la scienza», bensì sempre e soltanto una «scienza per la conoscenza». In relazione alle suddette tre categorie proposte dal gruppo di esperti, occorre piuttosto chiedersi se e in che misura le nuove conoscenze di volta in volta attese come risultato di una data ricerca si considerino già a priori rilevanti ai fini della soluzione dei problemi che di volta in volta si presentano.

4.4.1   Il Comitato rinvia inoltre alle osservazioni formulate nel suo parere INT/545 in merito alle innovazioni incrementali e rivoluzionarie; di fatto, proprio le innovazioni rivoluzionarie e pionieristiche non scaturiscono affatto, o solo raramente, dai programmi di ricerca dei settori già esistenti: al contrario, è grazie ad esse che si creano industrie e settori del tutto, nuovi.

4.4.2   Il Comitato raccomanda pertanto, malgrado la pertinenza della terminologia scelta, di riflettere ancora una volta su di essa, così da evitare fraintendimenti che potrebbero condurre a decisioni sbagliate e ad allocazioni errate di risorse.

Bruxelles, 4 maggio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Disponibile online all'indirizzo http://ec.europa.eu/research/evaluations (testo solo in inglese).

(2)  COM(2011) 48 definitivo.

(3)  GU C 132 del 3.5.2011, pag. 39 (L'Unione dell'innovazione).

(4)  GU C 48 del 15.2.2011, pagg. 129-133.

(5)  GU C 132 del 3.5.2011, pag. 22 (Luoghi di lavoro innovativi), punto 2.6.

(6)  Sul punto cfr. la relazione del gruppo di esperti, a partire dal punto 4.3.

(7)  CESE 305/2004 (GU C 110 del 30.4.2004, pag. 3), in particolare al punto 5.5.5.2.

(8)  COM(2011) 52 definitivo.

(9)  Cfr. GU C 306 del 16.12.2009.

(10)  GU C 132 del 3.5.2011, pag. 39 (L'Unione dell'innovazione).

(11)  Cfr. GU C 48 del 15.2.2011, pag. 112.


23.7.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 218/91


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio La politica antiterrorismo dell’UE: principali risultati e sfide future

COM(2010) 386 definitivo

2011/C 218/17

Relatore: Cristian PÎRVULESCU

La Commissione europea, in data 20 luglio 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio La politica antiterrorismo dell’UE: principali risultati e sfide future

COM(2010) 386 definitivo.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 marzo 2011.

Alla sua 471a sessione plenaria, dei giorni 4 e 5 maggio 2011 (seduta del 5 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 167 voti favorevoli, 2 voti contrari e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) richiama l’attenzione, fra le ripercussioni dell’attuale crisi economica, sul maggior rischio di radicalizzazione per quel che concerne sia il terrorismo di matrice religiosa che quello di matrice ideologica. La difesa dei diritti fondamentali deve costituire un criterio fondamentale di valutazione nell’ideazione e nell’attuazione della politica antiterrorismo.

1.2   Il CESE invita a ripensare la componente della prevenzione e ad aggiungere una dimensione che è anteriore e che si riferisce allo sviluppo di un rapporto di cooperazione e alla soluzione tempestiva delle tensioni. Si tratta di una dimensione trasversale legata sia alla politica antiterrorismo che ad altre politiche europee e nazionali, come quelle della gioventù, della cultura, dell’istruzione e della partecipazione politica e civica.

1.3   Il CESE raccomanda l’utilizzazione, nei documenti ufficiali dell’Unione europea e delle agenzie specializzate, del termine «terrorismo dovuto a fanatismo, razzismo e xenofobia» al posto di «terrorismo islamico».

1.4   Il CESE raccomanda che tutte le istituzioni dell’UE e i governi nazionali procedano a ideare le politiche in base a dati qualitativi e quantitativi sulla dinamica del terrorismo. Tenuto conto della varietà del fenomeno, una politica del tipo one size fits all rischia di essere sbagliata dal punto di vista concettuale, nonché costosa e inefficiente dal punto di vista attuativo. Inoltre bisogna applicare il principio di proporzionalità, in modo che la risposta sia proporzionata, in termini di sforzo e costi, alla dimensione delle minacce di questo tipo.

1.5   Il CESE raccomanda che nei documenti strategici sull’antiterrorismo nell’UE, oltre ai quattro settori esaminati (prevenzione, protezione, perseguimento e risposta) e ai loro aspetti trasversali (rispetto dei diritti fondamentali, cooperazione internazionale e partenariati con i paesi terzi, finanziamento), vengano presi in considerazione anche i tipi di terrorismo in funzione delle motivazioni e della frequenza (separatista, di estrema sinistra o di matrice anarchica, di estrema destra, del tipo single issue e basato su motivazioni religiose). Questa strutturazione strategica aiuterà i governi nazionali, le istituzioni dell’UE e gli altri soggetti competenti ad adeguare la loro visione e i loro strumenti alle sfide specifiche dei differenti tipi di terrorismo.

1.6   Il CESE raccomanda che, nel quadro della strategia specifica dell’UE per la lotta contro la radicalizzazione e il reclutamento a fini terroristici, nonché nel corrispondente piano d’azione, vengano incluse misure concrete che mirino a limitare le ineguaglianze e la discriminazione e si prenda spunto, tra l’altro, dai lavori svolti dall’Agenzia europea per i diritti fondamentali.

1.7   Il CESE raccomanda alla Commissione europea e ai governi nazionali di valutare dettagliatamente l’impatto economico che le misure di sicurezza hanno sull’attività degli operatori privati. Il CESE avverte che lo sviluppo di tecnologie costose e il complicarsi delle procedure possono ripercuotersi sull’attività degli agenti economici e su quella dei cittadini.

1.8   Il CESE avverte che l’utilizzo illegale o inappropriato di dati personali (spesso sensibili), associato ai poteri rafforzati delle autorità, può portare alla discriminazione e stigmatizzazione di persone e/o gruppi specifici.

1.9   Per accrescere la credibilità della politica antiterrorismo e l’importanza della problematica del rispetto dei diritti fondamentali, il CESE raccomanda alla Commissione di dare seguito alla richiesta del Parlamento europeo, formulata nella risoluzione del 2007 sul presunto uso dei paesi europei da parte della CIA per il trasporto e la detenzione illegale di prigionieri, di condurre una valutazione della legislazione antiterrorismo a livello degli Stati membri, nonché di altre procedure che potrebbero consentire che vengano commesse azioni di questo genere.

1.10   Il CESE raccomanda che l’Unione europea promuova in modo più deciso il modello di lotta al terrorismo basato su procedure e standard democratici nei paesi in cui la politica antiterrorismo può compromettere la qualità della democrazia e il rispetto dei diritti fondamentali.

2.   Introduzione

2.1   La comunicazione in esame fornisce gli elementi fondamentali per una valutazione politica dell’attuale strategia antiterrorismo dell’UE, come chiesto dal Parlamento europeo, e costituisce un importante passo preparatorio nel quadro della più ampia strategia di sicurezza interna.

2.2   Fare un bilancio dei risultati conseguiti e guardare alle sfide future è ancora più importante dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona e l’adozione di un nuovo programma di lavoro pluriennale e di un piano d’azione nel settore della giustizia, della libertà e della sicurezza (il «programma di Stoccolma»): una valutazione di questo genere è quindi necessaria. La comunicazione porta avanti e completa le misure e iniziative antiterrorismo enucleate nel programma di Stoccolma (1) e nel relativo piano d’azione (2), dove vengono tracciate le grandi linee delle future azioni dell’UE.

2.3   La strategia antiterrorismo dell’Unione europea adottata nel 2005 (3), che continua ad essere il principale quadro di riferimento per l’azione dell’UE in questo campo, si articola intorno a quattro settori: prevenzione, protezione, perseguimento e risposta. Il presente parere segue tale struttura, e per ciascuno dei quattro settori evidenzia alcuni risultati importanti e individua sfide future.

2.4   Il CESE giudica favorevolmente la valutazione integrata della politica antiterrorismo dell’Unione europea e ritiene che ciò rappresenti un passo importante verso l’elaborazione di una visione equilibrata non solo delle minacce terroristiche, ma anche degli strumenti volti a combattere tali minacce.

2.5   Il CESE chiede che la strategia antiterrorismo riveduta, al pari della strategia di sicurezza interna varata di recente, stabilisca obiettivi e strumenti attraverso i quali si eviti che gli imperativi della sicurezza individuale compromettano la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali. Questi ultimi non possono essere sospesi o limitati in nessun caso, in quanto rappresentano la pietra angolare dello Stato di diritto e della società democratica.

2.6   Il CESE ha elaborato in passato due pareri che hanno trattato direttamente la problematica della politica antiterrorismo. Questi due pareri erano incentrati sulla prevenzione e, specialmente, sulla lotta alla radicalizzazione, e in entrambi sono state descritte le linee generali della posizione del Comitato. Tali linee generali saranno rivedute e formulate in modo da contribuire all’adeguamento della politica antiterrorismo alla luce delle nuove tendenze del fenomeno terroristico.

3.   Osservazioni generali

3.1   La crisi economica ha colpito in modo strutturale non soltanto le economie europee, ma anche le relazioni sociali, politiche e culturali di tutto il continente. Essa ha indebolito i legami di solidarietà tra cittadini, gruppi e istituzioni politiche. In tale contesto, la diffidenza e l’intolleranza nei confronti delle minoranze si sono diffuse rapidamente, spingendo queste ultime in una posizione difensiva.

3.2   Il CESE ritiene che la politica antiterrorismo dell’Unione europea rappresenti un settore complesso e delicato in cui l’esigenza di garantire la sicurezza e lo sviluppo delle tecnologie e degli strumenti legislativi va inquadrata all’interno di un solido sistema di difesa dei diritti fondamentali.

3.3   Tenuto conto della varietà del fenomeno terroristico e delle sue cause profonde, il CESE raccomanda che la politica antiterrorismo dell’UE venga completata con una visione dell’integrazione e della cooperazione politica che tolga ogni utilità alle azioni terroristiche. Il consolidamento di obiettivi quali l’inclusione sociale, la lotta alla povertà, la parità di genere e il miglioramento della qualità dei posti di lavoro, specialmente in rapporto alla dimensione sociale della strategia Europa 2020, assume un’immediata rilevanza nel dibattito sulla prevenzione.

3.4   Nell’ultima relazione di Europol si colgono alcuni dati rilevanti per quel che concerne la dinamica del fenomeno terroristico nell’Unione europea (4). Nel 2009 è diminuito il numero degli attacchi terroristici falliti, sventati o compiuti. Rispetto al 2007, gli attacchi sono diminuiti della metà, seguendo una tendenza chiaramente calante.

3.5   È cambiata non solo la frequenza degli attacchi di tipo terroristico, ma anche la loro struttura. Il tipo di attacco terroristico più diffuso nel 2009 è stato quello di matrice separatista (257 attacchi), seguito da quello di estrema sinistra o di matrice anarchica (40 attacchi), di estrema destra (4 attacchi) e del tipo single issue (2 attacchi). Ciò che occorre sottolineare è il fatto che il terrorismo basato su motivazioni religiose, percepito pubblicamente come il tipo di terrorismo più diffuso e pericoloso, è quello più raro, in quanto nel 2009 si è registrato un unico attacco, avvenuto in Italia.

3.6   Il CESE si duole per la perdita di vite umane e per il danneggiamento dei beni materiali imputabili alle attività di tipo terroristico. La dinamica discendente della frequenza degli attacchi terroristici mostra tuttavia che, attraverso una combinazione intelligente e lungimirante di politiche e misure, il fenomeno può essere ridotto. Le politiche antiterrorismo devono trattare specificamente questo fenomeno, in funzione dell’area di diffusione, delle motivazioni, del tipo e delle cause.

3.7   Tenuto conto delle differenze significative tra la percezione pubblica del terrorismo e le sue manifestazioni concrete, il CESE invita i governi e le istituzioni dell’UE a contribuire a una corretta informazione dei cittadini sulle cause, le dimensioni e gli effetti del terrorismo. Il CESE mette in guardia contro i rischi di un’informazione non corretta e parziale su questo fenomeno, così come contro il pericolo di trasformare la minaccia terroristica in un motivo di esclusione sociale, intolleranza e discriminazione. Siccome lo scopo del terrorismo è diffondere la paura, esagerare le dimensioni delle minacce terroristiche può in realtà fare il gioco di coloro che potrebbero compiere questo genere di azioni. D’altro canto, occorre evitare la tendenza allo sviluppo di un «mercato del terrorismo» che giustifichi l’interesse speciale dei differenti soggetti economici e istituzionali nel campo della lotta alle minacce terroristiche.

3.8   Per quel che concerne il perseguimento e la punizione dei reati associati al terrorismo, esiste una dinamica importante. La maggior parte degli arresti è stata realizzata sulla base dell’appartenenza dei sospetti ad organizzazioni di tipo terroristico e non per crimini legati direttamente alla preparazione e al lancio di attacchi. Ciò mostra che le autorità nazionali riescono a stroncare sul nascere l’organizzazione o la realizzazione di attacchi terroristici.

3.9   L’evoluzione e l’utilizzo della tecnologia in questo campo, specialmente della tecnologia relativa al controllo, alla raccolta e alla memorizzazione dei dati, deve essere adeguata in funzione della gravità delle minacce. La politica antiterrorismo non deve trasformarsi in una presenza invasiva nella vita privata dei cittadini. Ciò contribuirebbe a diffondere il sentimento generale di incertezza, non a contenerlo, e potrebbe indebolire la fiducia nell’azione dei governi nazionali e delle istituzioni dell’UE.

3.10   Il CESE ritiene che la società civile europea abbia un ruolo importante nel contenere la diffusione delle minacce terroristiche. La società civile, anche se è molto diversificata in termini di valori, modalità di organizzazione e mezzi di azione promossi, deve essere coinvolta in tutte le dimensioni della politica antiterrorismo e specialmente nella fase di prevenzione. Inoltre la società civile può avere un suo ruolo nella costruzione di un modello di comunicazione, cooperazione e solidarietà che è anteriore alla prevenzione vera e propria, la fase in cui gli individui sono già disposti ad essere coinvolti in azioni di tipo terroristico (5). Il CESE reputa che la maniera più efficace di combattere il terrorismo sia di trattarne le cause, non gli effetti.

3.11   Il CESE crede che la società civile europea abbia la capacità di mettere in relazione i cittadini, i governi nazionali e locali, e le comunità e i gruppi che possono sostenere azioni terroristiche. La società civile può rivestire un ruolo specifico, complementare agli interventi pubblici, contribuendo con strumenti e programmi specifici (ad esempio, mediazione, istruzione).

4.   Osservazioni specifiche

Principali risultati dell’UE e sfide future

4.1   Prevenzione

4.1.1   Il CESE accoglie con soddisfazione il riorientamento strategico dell’ultimo periodo verso il settore della prevenzione. Attraverso il programma di Stoccolma, nei prossimi cinque anni questo settore sarà consolidato per quel che concerne non solo la ricerca in materia di sicurezza, ma anche gli aspetti politici e sociali. Inoltre il CESE accoglie con favore il fatto che venga trattato come una priorità il possibile utilizzo di Internet a scopi terroristici (per comunicare, raccogliere fondi, addestrare, reclutare e fare propaganda). Il controllo delle comunicazioni non deve però trasformarsi in uno strumento che può condizionare la vita privata dei cittadini.

4.1.2   Il CESE ha sostenuto l’iniziativa di elaborare una strategia specifica dell’UE volta a combattere la radicalizzazione e il reclutamento a fini terroristici (6). Questa strategia ha tre obiettivi: smantellare le attività delle reti e degli individui che spingono persone verso il terrorismo; fare in modo che la voce dell’opinione maggioritaria prevalga su quella dell’estremismo; promuovere la democrazia, la sicurezza, la giustizia e le opportunità per tutti. Il CESE attende con interesse i risultati delle valutazioni intermedie relative all’attuazione della strategia e si dichiara pronto a contribuire all’adeguamento della strategia alla luce dei risultati ottenuti. Sottolinea tuttavia che nell’ultimo piano d’azione antiterrorismo non sono previste azioni nella sezione Target inequalities and discrimination where these exist within the EU and promote long-term integration where appropriate («Combattere le ineguaglianze e la discriminazione laddove esistono nell’UE e promuovere l’integrazione a lungo termine ove opportuno») (7).

4.1.3   Sebbene l’attenzione accordata alla prevenzione sia accolta con favore, essa continua a non trattare nel modo opportuno le cause del terrorismo. Come il CESE ha indicato in precedenza, «è possibile spiegare molte delle derive terroristiche come punto d’arrivo di processi di disaffezione, di radicalizzazione e di reclutamento che si alimentano delle disuguaglianze orizzontali tra gruppi presenti nello stesso territorio, di fenomeni di esclusione e discriminazione (sociale, politica o economica)» (8). Pertanto il Comitato propone di intensificare il dialogo allo scopo di individuare delle risposte di natura politica allo sviluppo del fenomeno terroristico. Queste risposte dovrebbero ripensare le relazioni politiche, istituzionali, sociali ed economiche a livello degli Stati membri e devono perseguire l’effettiva conciliazione di tensioni di vecchia data.

4.1.4   Il CESE accoglie favorevolmente la creazione da parte della Commissione europea, nel 2008, della rete europea di esperti in materia di radicalizzazione (ENER), in quanto ritiene che un contributo istituzionalizzato che prenda in considerazione le specificità di ogni società e il tipo di atto terroristico possa aiutare ad adeguare le politiche dell’UE e degli Stati membri in questo campo.

4.1.5   Tenuto conto che la maggior parte degli atti di terrorismo compiuti nell’Unione europea ha radici storiche ed è riferibile alla problematica separatista, il CESE crede che, nel dibattito europeo, debba essere coinvolto in misura maggiore il Comitato delle regioni, l’istituzione dell’UE che raccoglie i rappresentanti del livello regionale e locale, con cui è più che disposto ad avviare un dialogo.

4.1.6   Il CESE giudica positivamente l’intenzione della Commissione di presentare una comunicazione sulle buone pratiche degli Stati membri in materia di lotta alla radicalizzazione e al reclutamento per scopi terroristici. Raccomanda che in questa prossima comunicazione la Commissione tenga conto delle conclusioni e raccomandazioni formulate nel parere sul ruolo dell’UE nel processo di pace in Irlanda del Nord (9). Le buone pratiche individuate aiuteranno tutti i soggetti competenti a comprendere meglio i differenti tipi di terrorismo, in funzione delle loro motivazioni e della loro frequenza. Ciò rappresenta un passo avanti nell’elaborazione di politiche specifiche per ogni Stato membro e per ogni tipo di minaccia terroristica.

4.2   Protezione

4.2.1   Il CESE accoglie con favore gli sforzi della Commissione europea, degli Stati membri, della comunità scientifica e del settore privato tesi a proteggere la vita dei cittadini e l’integrità delle infrastrutture. Questo settore, che comprende attività quali la valutazione delle minacce a livello dell’UE, la sicurezza della catena di approvvigionamento, la protezione delle infrastrutture critiche, la sicurezza dei trasporti e i controlli alle frontiere, nonché la ricerca in materia di sicurezza, è il più complesso e costoso. Lo sviluppo dei sistemi di protezione deve tuttavia essere proporzionale alla dimensione delle minacce e adattato ai differenti tipi di terrorismo.

4.2.2   La sicurezza dei trasporti sul territorio degli Stati membri è un settore cruciale. Il mercato interno si basa sulla libera circolazione delle merci, del capitale, dei servizi e delle persone. La mobilità dei cittadini degli Stati membri all’interno e all’esterno delle frontiere nazionali rappresenta una componente importante delle economie e degli stili di vita europei. La mobilità facilita la conoscenza reciproca, la comunicazione e la tolleranza. Il CESE reputa che la sicurezza dei trasporti, in tutte le sue componenti, meriti una notevole attenzione da parte delle istituzioni dell’UE e dei governi nazionali.

4.2.3   Il CESE sottolinea gli sforzi della comunità scientifica in materia di sicurezza tesi a sviluppare tecnologie che proteggano l’integrità delle persone e delle infrastrutture. La comunità scientifica deve tuttavia essere consapevole dell’impatto che la tecnologia può avere sulla vita e sulla sfera privata delle persone. Essa deve garantire che la tecnologia non possa essere utilizzata abusivamente o in un modo che intacchi la dignità e i diritti delle persone.

4.2.4   Il CESE accoglie favorevolmente la cooperazione con il settore privato, ad esempio il comparto delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) o l’industria chimica, nella lotta alle minacce terroristiche. Inoltre, si rallegra per l’apertura degli operatori privati di trasporto nei confronti del rafforzamento delle misure di sicurezza, la cui applicazione potrebbe causare loro delle perdite. A questo riguardo, il CESE raccomanda con forza alla Commissione europea e ai governi nazionali di valutare dettagliatamente l’impatto economico che le misure di sicurezza hanno sull’attività degli operatori privati. Il CESE avverte che lo sviluppo di tecnologie costose e il complicarsi delle procedure possono ripercuotersi sull’attività degli agenti economici e su quella dei cittadini.

4.2.5   Tenuto conto che a livello europeo molte attività legate alla protezione dei trasporti di persone sono realizzate in cooperazione con agenti privati, è necessario che questi partecipino ai programmi di formazione e informazione in modo che le procedure di sicurezza non rechino pregiudizio alla sicurezza e alla dignità dei passeggeri.

4.3   Perseguimento

4.3.1   Il CESE accoglie favorevolmente le recenti opportune evoluzioni di questo settore, che comprende aspetti come la raccolta e l’analisi delle informazioni, le misure per impedire gli spostamenti e le attività dei terroristi, la cooperazione giudiziaria e di polizia, nonché la lotta al finanziamento del terrorismo. In questo settore tutti i soggetti competenti possono dare prova di una propria visione nel delineare le risposte alle minacce terroristiche, in funzione del tipo di minaccia.

4.3.2   Il CESE reputa che al successo della lotta contro le minacce terroristiche contribuisca la cooperazione bilaterale sia tra le autorità nazionali che tra queste e le agenzie europee specializzate. È tuttavia necessario richiamare l’attenzione sulle questioni delicate legate alla raccolta e all’utilizzo di informazioni a carattere privato. La tutela del diritto alla vita privata deve essere una preoccupazione costante nel quadro degli sforzi tesi a combattere il terrorismo. Come è stato indicato dal Garante europeo della protezione dei dati (GEPD), l’utilizzo illegale o inappropriato di dati personali (spesso sensibili), associato ai poteri rafforzati delle autorità, può portare alla discriminazione e stigmatizzazione di persone e/o gruppi specifici (10).

4.3.3   Arginare il finanziamento dei terroristi è un aspetto importante della politica antiterrorismo. Il CESE rileva le modifiche nella legislazione dell’UE relativa alla stesura di elenchi di persone ed entità legate al terrorismo in modo che siano rispettati i diritti fondamentali. Il CESE reputa che le procedure sanzionatorie contro dei privati, come il blocco dei beni, debbano essere corrette, chiare e trasparenti. Le persone sospettate devono avere la possibilità di difendersi e di impugnare le decisioni delle autorità.

4.3.4   Il CESE concorda che la trasparenza, il buongoverno e la responsabilità sono essenziali per le ONG. Procedure volontarie a livello europeo potrebbero aiutare, ma non dovrebbero condurre alla creazione di un nuovo fascio di regole (che introduca ostacoli normativi e/o finanziari irrealistici) in contraddizione con la legislazione degli Stati membri e che potrebbe ripercuotersi sulla capacità del settore o sull’impegno dei cittadini a lavorare a sostegno dei beneficiari delle attività delle ONG. Il CESE è pronto a cooperare per trovare delle soluzioni volte alla creazione di una strategia comune della politica antiterrorismo e nell’interesse del diritto e del desiderio dei cittadini di organizzarsi in associazioni indipendenti, un diritto fondamentale che deve essere rispettato.

4.4   Risposta

4.4.1   Il CESE giudica positivamente le recenti evoluzioni in questo settore, che comprende il rafforzamento della capacità civile di rispondere e far fronte alle conseguenze di un attentato terroristico, i sistemi di allarme rapido, la gestione delle crisi in generale e l’assistenza alle vittime del terrorismo. Il CESE reputa che gli Stati membri debbano rafforzare le proprie capacità di risposta puntando alla protezione efficiente della vita e della sicurezza umana nelle situazioni critiche.

4.4.2   Il CESE accoglie favorevolmente gli sforzi tesi a limitare l’accesso a materiali chimici, biologici, radioattivi e nucleari che possono essere utilizzati a scopi terroristici. L’attuazione del piano d’azione CBRN dell’UE, che prevede 130 azioni specifiche in materia di prevenzione, rilevamento e reazione a incidenti CBRN, deve essere perseguita in via prioritaria, tenendo tuttavia conto degli effetti che le misure proposte possono avere sul settore economico interessato. Sono necessarie estese consultazioni con i rappresentanti del settore.

4.4.3   Il CESE si compiace inoltre per gli sforzi profusi dalla Commissione europea nell’assistenza alle vittime del terrorismo, attraverso un finanziamento di circa 5 milioni di euro per aiutare queste persone e il sostegno dato a una rete di associazioni delle vittime del terrorismo. Il CESE ritiene che questo sostegno debba proseguire ed essere migliorato.

Questioni orizzontali

4.5   Rispetto dei diritti fondamentali

4.5.1   Il CESE giudica positivamente il fatto che il rispetto dei diritti fondamentali venga trattato come una priorità orizzontale. Ciononostante, l’impegno della Commissione in materia di rispetto dei diritti fondamentali deve essere accompagnato da un impegno analogo dei governi nazionali. Inoltre, la tutela dei diritti fondamentali non deve limitarsi alla fase di ideazione ed elaborazione degli strumenti, ma deve includere anche la loro attuazione.

4.5.2   Il sistema europeo di difesa dei diritti umani è solido dal punto di vista giuridico e di ciò si deve tenere conto in misura maggiore nelle comunicazioni e nelle azioni della Commissione. Gli strumenti specifici devono essere utilizzati dai governi nazionali con maggiore determinazione. Gli impegni politici devono trovare riscontro nella pratica dei governi. Le pratiche che permettono o dispongono la tortura sul territorio degli Stati membri vanno sanzionate ed eliminate in modo definitivo. Occorre rispettare il principio di non respingimento. Le pratiche discriminatorie espressamente identificate e sanzionate nella legislazione internazionale, europea e nazionale devono essere perseguite e combattute.

4.5.3   Il CESE invita la Commissione ad individuare i meccanismi decisionali e di feedback più rapidi per quel che concerne il rispetto dei diritti fondamentali nel quadro della politica antiterrorismo. A questo scopo è possibile mobilitare ulteriormente il potenziale della società civile europea, essenzialmente preoccupata di proteggere i diritti e le libertà dei cittadini.

4.6   Cooperazione internazionale e partenariati con i paesi terzi

4.6.1   Il terrorismo, soprattutto quello di matrice religiosa, presenta un’importante dimensione internazionale. L’Unione europea deve cooperare con altri paesi allo scopo di contenere le minacce terroristiche anche se, come si è mostrato più sopra, essa non è più uno dei bersagli preferiti di questi tipi di minacce.

4.6.2   L’Unione europea deve promuovere, nelle relazioni con i paesi terzi, procedure e standard democratici nella lotta al terrorismo. Nell’UE esistono molteplici sistemi per garantire e promuovere realmente i diritti umani. In numerosi paesi terzi, tuttavia, la politica antiterrorismo può essere fuorviata e compromettere sia la qualità della democrazia che la difesa dei diritti fondamentali.

4.7   Finanziamento

4.7.1   Il CESE giudica un fatto positivo l’esistenza del programma Sicurezza e tutela delle libertà, che comprende il programma specifico per la prevenzione, la preparazione e la gestione delle conseguenze del terrorismo. La quota delle spese per ogni settore all’interno della strategia (prevenzione, protezione, perseguimento e risposta) deve essere riequilibrata e l’impegno politico in rapporto alla prevenzione deve essere accompagnato da opportuni stanziamenti di bilancio. Inoltre bisogna accordare un’attenzione maggiore ai rapporti tra pubblico e privato nella lotta alle minacce terroristiche. Il CESE attende con interesse i risultati della valutazione intermedia del programma suindicato e si augura che i fondi disponibili siano stati di facile accesso e che il loro impiego abbia permesso di raggiungere i risultati prefissi.

5.   Prospettive

5.1   Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il coordinamento tra gli Stati membri può essere approfondito anche in materia di politica antiterrorismo. Inoltre, per mezzo del Trattato vengono estese le responsabilità dell’Unione europea in materia di rispetto dei diritti umani. È quindi possibile costruire una politica antiterrorismo che includa in tutte le sue fasi, compresa quella dell’attuazione, le procedure e gli standard più avanzati in rapporto al rispetto dei diritti umani. Il CESE ritiene che la politica antiterrorismo debba essere adeguata in funzione dell’evoluzione concreta del fenomeno e che il fulcro di tale politica debba assolutamente risiedere nella prevenzione, intesa in senso ampio, come processo attraverso il quale le cause di ordine sociale, politico ed economico del terrorismo vengono trattate in modo diretto.

Bruxelles, 5 maggio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU C 115 del 4.5.2010, pag. 1.

(2)  COM(2010) 171 definitivo del 20 aprile 2010.

(3)  Doc. 14469/4/05 del 30 novembre 2005.

(4)  Cfr. la relazione di Europol del 2010 sulla situazione e l’evoluzione del terrorismo nell’UE («TE-SAT 2010 - EU Terrorism Situation and Trend Report»), consultabile al seguente indirizzo web: http://www.europol.europa.eu/publications/EU_Terrorism_Situation_and_Trend_Report_TE-SAT/Tesat2010.pdf.

(5)  GU C 128 del 18.5.2010, pag. 80.

(6)  La Strategia riveduta dell’UE volta a combattere la radicalizzazione e il reclutamento nelle fila del terrorismo è stata redatta nel novembre 2008 (doc. 15175/08 del Consiglio).

(7)  Consiglio dell’Unione europea: EU Action Plan on combating terrorism («Piano d’azione dell’UE sulla lotta al terrorismo»), Bruxelles, 17 gennaio 2011.

(8)  GU C 211 del 19.8.2008, pag. 61.

(9)  Parere CESE sul tema Il ruolo dell’UE nel processo di pace in Irlanda del Nord, del 23 ottobre 2008, GU C 100 del 30.4.2009, pag. 100.

(10)  Parere del Garante europeo della protezione dei dati, intitolato La politica antiterrorismo dell’UE: principali risultati e sfide future, sulla comunicazione in materia della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio, e contributo di Giovanni Buttarelli - intitolato Counter-Terrorism Policy and Data Protection («Politica antiterrorismo e protezione dei dati») - a un’audizione del CESE tenutasi il 9 febbraio 2011.


23.7.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 218/97


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi per motivi di lavoro stagionale

COM(2010) 379 definitivo — 2010/0210 (COD)

2011/C 218/18

Relatrice: Christa SCHWENG

Il Consiglio, in data 29 settembre 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi per motivi di lavoro stagionale

COM(2010) 379 definitivo — 2010/0210 (COD).

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 marzo 2011.

Alla sua 471a sessione plenaria, dei giorni 4 e 5 maggio 2011 (seduta del 4 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 165 voti favorevoli, 3 voti contrari e 9 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato apprezza la proposta di direttiva, che si inserisce tra gli sforzi compiuti a livello europeo per elaborare un approccio globale all'immigrazione legale. Tale proposta può contribuire a coprire il superiore fabbisogno di manodopera che si manifesta in determinati periodi dell'anno e che non può essere soddisfatto con la manodopera potenzialmente disponibile a livello nazionale. Nel contempo, la proposta dà un contributo considerevole alla lotta contro l'immigrazione illegale.

1.2

Il Comitato accoglie con particolare favore le procedure di ammissione semplificate e accelerate, essendo il lavoro stagionale per sua stessa natura caratterizzato da attività con scadenza temporale definita e dovendo le imprese far fronte al problema della carenza di manodopera proprio in tali periodi.

1.3

Il Comitato appoggia inoltre la disposizione che prevede siano gli Stati membri a decidere dell'utilizzazione di qualsiasi verifica del mercato del lavoro. In questo contesto, il Comitato raccomanda di coinvolgere le parti sociali in tutte le misure relative all'ingresso dei cittadini di paesi terzi in qualità di lavoratori stagionali.

1.4

Il Comitato esorta il Consiglio, la Commissione e il Parlamento europeo a riesaminare le disposizioni che disciplinano la durata massima del soggiorno, in quanto la durata di sei mesi per anno civile non corrisponde alle esigenze delle imprese, come nel caso dei paesi con due periodi di lavoro stagionale. Per questo motivo, il Comitato propone che, in casi giustificati, possano essere stabilite a livello nazionale eccezioni alla durata massima del soggiorno, in stretto coordinamento con le parti sociali. In tale contesto, occorre assicurare che il carattere stagionale del contratto di impiego e le relative possibilità di controllo non vengano aggirati.

1.5

Il Comitato invita a inserire nel testo della direttiva disposizioni chiare circa i settori in cui è possibile svolgere attività stagionali. Le eventuali eccezioni devono poter essere stabilite a livello nazionale in stretto coordinamento con le parti sociali.

1.6

Il Comitato fa notare che l'accesso al mercato del lavoro dello Stato membro interessato concesso ai lavoratori stagionali è limitato nel tempo. In base al principio «lex loci laboris», i lavoratori stagionali sono quindi da equiparare, dal punto di vista del diritto del lavoro, ai lavoratori dello Stato ospitante, indipendentemente dal fatto che i diritti da questo garantiti siano previsti da leggi o da contratti collettivi di applicazione generale o regionali. L'equiparazione per quanto riguarda la sicurezza sociale dovrebbe però essere subordinata all'esistenza di accordi bilaterali in materia.

2.   Introduzione e contenuto della proposta di direttiva

2.1

Nell'ambito della comunicazione Piano d'azione sull'immigrazione legale  (1), la Commissione aveva previsto l'adozione di cinque proposte legislative sull'immigrazione per motivi di lavoro tra il 2007 e il 2009, tra le quali una proposta di direttiva sulle condizioni di ingresso e soggiorno dei lavoratori stagionali. Il programma di Stoccolma, adottato dal Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre 2009, ha ribadito l'impegno della Commissione e del Consiglio a portare avanti l'attuazione del Piano d'azione sull'immigrazione legale.

2.2

La Commissione ha presentato la propria proposta (2) il 13 luglio 2010, motivandola con i bisogni in materia di lavoro stagionale riscontrati negli Stati membri, a fronte dei quali vi è sempre meno disponibilità di forza lavoro interna all'Unione. Nonostante l'aumento della domanda di lavoratori altamente qualificati nell'UE, nei settori tradizionali il fabbisogno strutturale di lavoratori poco qualificati continuerà ad aumentare. Secondo la Commissione è inoltre dimostrato che i lavoratori stagionali provenienti da determinati paesi terzi sono sfruttati e lavorano in condizioni non rispondenti alle norme e tali da minacciarne la salute e la sicurezza.

2.3

Nel corso delle consultazioni relative alla preparazione della proposta di direttiva è emersa la necessità di norme comuni a livello dell'UE che disciplinino le condizioni di ammissione per alcune categorie fondamentali di immigrati economici, soprattutto i lavoratori altamente qualificati nell'ambito di trasferimenti intrasocietari e i lavoratori stagionali. Tali condizioni di ammissione devono essere formulate in modo tale da risultare il più possibile semplici, flessibili e non burocratiche.

2.4

La proposta della Commissione prevede una procedura semplificata per l'ammissione dei lavoratori stagionali cittadini di paesi terzi basata su definizioni e criteri comuni. A determinate condizioni, i lavoratori stagionali ricevono un documento combinato che comprende il permesso di lavoro e di soggiorno e li autorizza a soggiornare per sei mesi per anno civile. Gli Stati membri possono anche rilasciare un permesso di lavoro multistagionale per un periodo massimo di tre anni o prevedere una procedura di reingresso semplificata per stagioni consecutive. Le condizioni di lavoro dei lavoratori stagionali sono chiaramente definite e prevedono la parità di trattamento rispetto ai cittadini dello Stato membro d'accoglienza per quanto riguarda determinati diritti.

3.   Osservazioni generali

3.1

Secondo la valutazione d'impatto della Commissione, il volume del lavoro stagionale svolto da cittadini di paesi terzi all'interno dell'Unione europea varia in maniera considerevole, dai 919 lavoratori stagionali ammessi in Ungheria ai 3 860 della Francia, ai 7 552 della Svezia fino ai 24 838 della Spagna (dati del 2008). In molti Stati membri i lavoratori stagionali svolgono lavori poco qualificati in settori come l'agricoltura (60 % della manodopera stagionale in Italia e 20 % della manodopera stagionale in Grecia) e il turismo (in Spagna i permessi di lavoro rilasciati per impieghi nel settore alberghiero e della ristorazione hanno raggiunto il 13 % del totale dei permessi di lavoro del 2003). Alcune regioni dell'Austria si affidano alle prestazioni dei lavoratori stagionali: per la stagione invernale 2008-2009 è stata fissata una quota di 8 000 unità.

3.2

Il Comitato ha già emesso numerosi pareri in merito all'uniformità delle condizioni di ammissione dei cittadini di paesi terzi. Nell'ambito della consultazione lanciata con il Libro verde sulla migrazione economica (3), il Comitato si è pronunciato a favore della fissazione di disposizioni specifiche per i lavoratori stagionali, esigendo nel contempo il requisito del contratto di lavoro.

3.3

La Commissione ha scelto come base giuridica l'articolo 79, paragrafo 2, lettere a) e b). Il Comitato è dell'avviso che la proposta di direttiva avrebbe potuto fondarsi anche sull'articolo 153, dato che si disciplinano altresì le condizioni di lavoro e di occupazione. In questo modo, sarebbe stato necessario consultare anche le parti sociali. Il Comitato è tuttavia consapevole del fatto che, conformemente alla giurisprudenza costante della Corte di giustizia, una proposta di direttiva che persegua una duplice finalità, dove una di queste è identificabile come principale o preponderante, deve fondarsi sulla base giuridica richiesta da tale finalità principale o preponderante.

3.4

Una procedura unica a livello UE per il rilascio del permesso di soggiorno e di lavoro ai cittadini di paesi terzi per motivi di lavoro stagionale contribuirebbe in maniera sostanziale a coprire i picchi di domanda di lavoro in determinati periodi dell'anno. Le imprese hanno bisogno adesso, e avranno bisogno anche in futuro, sia di lavoratori poco qualificati, sia di lavoratori con qualifiche più elevate. Nonostante l'aumento della disoccupazione per via della crisi, spesso in alcuni paesi, settori e professioni è difficile trovare lavoratori dell'UE per soddisfare la domanda di lavoro stagionale.

3.5

Il Comitato rammenta che i lavoratori europei che svolgono la propria attività in un paese diverso da quello di origine, indipendentemente se in qualità di lavoratori mobili o stagionali, sono soggetti sia alla legislazione europea, sia a quella nazionale del paese ospitante. La direttiva relativa ai lavoratori stagionali provenienti da paesi terzi non deve comportare la creazione di una categoria speciale di lavoratori. Il diritto del lavoro del paese in cui si svolge la prestazione deve essere applicato in tutte le sue parti.

3.6

Secondo il Comitato, una procedura unica a livello UE può inoltre contribuire a creare occupazione legale per i lavoratori stagionali e a impedire lo sfruttamento di cui sono vittime in alcune regioni. In questo contesto occorre prendere in considerazione anche la direttiva 2009/52/CE (4) (c.d. «direttiva sanzioni») che obbliga i datori di lavoro ad accertarsi che il lavoratore sia in possesso di un permesso di soggiorno regolare e commina sanzioni in caso di violazioni. Un eventuale soggiorno illegale di cittadini di paesi terzi dopo la scadenza del permesso di soggiorno viene evitato con l'applicazione della direttiva 2008/115/CE («direttiva rimpatri»), la quale prevede che al soggiorno illegale di cittadini di paesi terzi si deve porre fine attraverso una procedura trasparente ed equa nel cui ambito si dia priorità al rimpatrio volontario rispetto a quello forzato.

3.7

Proprio in relazione alla proposta di direttiva in discorso (5), sette parlamenti nazionali hanno condotto una serie di esami approfonditi in ordine al rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità; queste valutazioni hanno dato luogo a critiche che hanno investito tra l'altro la durata del diritto di soggiorno e la questione dell'alloggio.

3.8

Al fine di tenere conto delle preoccupazioni espresse dai parlamenti nazionali in merito al rispetto del principio di sussidiarietà, il Comitato propone che la durata del titolo di soggiorno venga stabilita a livello nazionale a seconda della situazione di ciascun paese. In questo modo, anche gli Stati membri che presentano una forte domanda di lavoratori stagionali sia nella stagione invernale che nella stagione estiva potrebbero mantenere le disposizioni applicate fino ad ora.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Il Comitato fa presente che la portata delle definizioni di «lavoratore stagionale» e «attività soggetta al ritmo delle stagioni» è ampia, e consente così agli Stati membri di decidere quali settori qualificare come stagionali. Questo aspetto non è completamente coerente con il considerando 10, nel quale si afferma chiaramente che le attività soggette al ritmo delle stagioni sono tipiche di settori come l'agricoltura, nel periodo in cui si pianta o si raccoglie, e il turismo, nel periodo delle vacanze. La direttiva dovrebbe quindi definire mediante disposizioni chiare i settori in cui è possibile svolgere attività stagionali. Le eventuali eccezioni devono poter essere stabilite a livello nazionale in stretto coordinamento con le parti sociali.

4.2

Il requisito per cui nelle attività soggette al ritmo delle stagioni il fabbisogno di manodopera deve essere decisamente superiore a quello che si registra per le attività ordinarie solleva questioni interpretative, provocando incertezza giuridica. Secondo il Comitato, ci si dovrebbe riferire a un «aumento sostanziale» o a un «aumento» del fabbisogno di manodopera. Spetterebbe poi alle autorità, di concerto con le parti sociali, decidere se si sia o meno in presenza di un tale «aumento (sostanziale)».

4.3

Il Comitato valuta favorevolmente la disposizione secondo cui il rilascio del titolo combinato per i lavoratori stagionali è subordinato alla presentazione di un contratto di lavoro a tempo determinato valido o di un'offerta vincolante di lavoro indicante la retribuzione e le ore di lavoro. In tal modo le autorità che rilasciano il titolo di soggiorno sono in grado di esaminare le basi contrattuali per l'impiego di cittadini di paesi terzi. Allo stesso tempo si garantisce così il rispetto delle norme nazionali di diritto del lavoro.

4.4

Tra i vari motivi per respingere una domanda di ammissione si annovera il fatto che il datore di lavoro sia stato oggetto di sanzioni «a causa di lavoro non dichiarato e/o occupazione illegale». Il Comitato condanna nella maniera più assoluta il lavoro non dichiarato, ma fa presente che questo motivo di rigetto della domanda potrebbe essere interpretato nel senso che anche violazioni di modesta entità determinerebbero una situazione in cui le domande verrebbero respinte in modo permanente. A fini di certezza giuridica e seguendo un'impostazione simile a quella della direttiva sanzioni, si dovrebbe chiarire che questo motivo di rigetto della domanda può essere fatto valere solo per un determinato periodo di tempo, proporzionale alla gravità dell'infrazione, dopo che è stata inflitta la sanzione.

4.5

Il Comitato apprezza il fatto che gli Stati membri che lo desiderano possano procedere a verifiche del mercato del lavoro, e valuta positivamente anche la possibilità di respingere una domanda in base ai volumi di ingresso. Tuttavia, le analisi del mercato del lavoro e la fissazione dei volumi d'ingresso dovrebbero essere effettuate con la partecipazione delle parti sociali e delle agenzie per l'impiego dello Stato membro in questione. La fissazione dei volumi dovrebbe avvenire in modo tale da non allungare eccessivamente le procedure per il rilascio di titoli individuali.

4.6

A parere del Comitato, la durata del soggiorno prevista dall'articolo 11, secondo cui i lavoratori stagionali sono autorizzati a soggiornare per un periodo massimo di sei mesi per anno civile, non è sufficientemente flessibile e potrebbe essere contraria al principio di sussidiarietà: per permettere agli Stati membri con due periodi di lavoro stagionale di impiegare per entrambi manodopera proveniente da paesi terzi, gli Stati membri dovrebbero avere la possibilità di prevedere eccezioni alla durata massima dei permessi di soggiorno e di lavoro per i lavoratori stagionali in un determinato periodo di tempo. Ciò dovrebbe avvenire in stretto coordinamento con le parti sociali. In tale contesto, occorre assicurare che il carattere stagionale del contratto di impiego e le relative possibilità di controllo non vengano aggirati.

4.7

Il riferimento all'anno civile non è conforme alla prassi e ignora le zone turistiche caratterizzate da una stagione invernale e da una estiva. Applicando questo criterio, i datori di lavoro e i lavoratori sarebbero costretti a presentare una nuova domanda nel corso del rapporto di lavoro.

4.8

Secondo il Comitato, anche l'articolo 11, paragrafo 2, che autorizza i lavoratori stagionali «entro il periodo di cui al paragrafo 1 (…) a prolungare il contratto o farsi assumere in qualità di lavoratori stagionali da un altro datore di lavoro» è formulato in modo impreciso e solleva ulteriori interrogativi: con l'espressione «il periodo di cui al paragrafo 1» si intende l'anno civile o si fa invece riferimento ai sei mesi? Questa norma consente ad esempio a un lavoratore stagionale di prolungare il proprio permesso di soggiorno a 11 mesi per anno civile?

4.9

Il Comitato propone che la possibilità di cambiare datore di lavoro venga prevista soltanto a certe condizioni e tenendo in considerazione la legislazione nazionale dei diversi paesi, dato che i lavoratori stagionali sono di norma impiegati per coprire il fabbisogno di manodopera di un determinato datore di lavoro, fabbisogno che coincide anche con la durata del permesso di soggiorno. La variazione dovrebbe essere in ogni caso comunicata alle autorità onde consentire i controlli.

4.10

Per quanto concerne l'agevolazione del reingresso, la valutazione del Comitato è sostanzialmente positiva, poiché la relativa disposizione consente al datore di lavoro di reimpiegare i lavoratori stagionali delle cui prestazioni è rimasto soddisfatto. In base alla proposta di direttiva, ai datori di lavoro che non hanno rispettato gli obblighi derivanti dal contratto di lavoro e sono stati di conseguenza sanzionati non è consentito introdurre richieste di impiego di lavoratori stagionali. Onde evitare che, in seguito anche a violazioni di lieve entità, diventi impossibile richiedere lavoratori stagionali, occorrerebbe stabilire se le sanzioni siano state inflitte in conseguenza di violazioni di disposizioni di diritto del lavoro fondamentali.

4.11

Alla rubrica «Garanzie procedurali» la direttiva prevede che gli Stati membri adottino una decisione sulla domanda e la notifichino al richiedente entro 30 giorni. In linea di massima, il Comitato ritiene positiva la fissazione di un termine per la decisione, ma sottolinea che entro tale termine le autorità competenti devono comunque avere la possibilità di verificare le informazioni fornite.

4.12

In relazione al disposto dell'articolo 14, secondo cui il datore di lavoro deve fornire prove del fatto che i lavoratori stagionali beneficeranno di un alloggio che garantisce loro uno standard di vita adeguato, è lecito chiedersi se il datore di lavoro sia anche obbligato a mettere effettivamente a disposizione l'alloggio. Se questa interpretazione dovesse risultare corretta, secondo il Comitato una situazione del genere sarebbe difforme dalla prassi. Nel caso in cui il datore di lavoro fornisca un alloggio, questo deve essere reso accessibile alle autorità competenti per consentire loro di effettuare ispezioni.

4.13

Il Comitato fa notare che l'accesso al mercato del lavoro dello Stato membro interessato concesso ai lavoratori stagionali è limitato nel tempo. In base al principio «lex loci laboris», i lavoratori stagionali sono quindi da equiparare, dal punto di vista del diritto del lavoro, ai lavoratori dello Stato ospitante, indipendentemente dal fatto che i diritti da questo garantiti siano previsti da leggi o da contratti collettivi di applicazione generale o regionali. Pertanto, il Comitato ritiene che dovrebbe essere eliminato il riferimento di cui all'articolo 16, primo comma, punto 1, ai contratti collettivi di applicazione generale e alle loro definizioni.

4.14

La disposizione secondo cui il lavoratore stagionale è da equipararsi al lavoratore nazionale per quanto riguarda alcuni settori della sicurezza sociale - almeno quelli concernenti pensioni, prestazioni di pensionamento anticipato, prestazioni per i superstiti, prestazioni di disoccupazione e prestazioni familiari - dovrebbe essere fondamentalmente subordinata all'esistenza di accordi bilaterali in materia. L'obbligo di versare i contributi per la sicurezza sociale in un determinato Stato dovrebbe tuttavia comportare, per questa categoria di persone, il diritto alle corrispondenti prestazioni.

4.15

Gli Stati membri dovrebbero inoltre essere incoraggiati a garantire alle loro autorità di controllo (ad esempio agli ispettori del lavoro) le risorse necessarie e la formazione adeguata affinché possano svolgere il loro compito nel rispetto dei diritti fondamentali.

4.16

Oltre alle autorità, anche le parti sociali nazionali sono attori importanti nel corrispondente mercato del lavoro. È quindi opportuno che le decisioni riguardanti i settori in cui il lavoro stagionale è ammesso, le verifiche del mercato del lavoro e il controllo del rispetto delle disposizioni del contratto di lavoro siano prese in stretta concertazione con le parti sociali.

Bruxelles, 4 maggio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  COM(2005) 669 definitivo.

(2)  COM(2010) 379 definitivo.

(3)  GU C 286 del 17.11.2005, pag. 20.

(4)  Direttiva 2009/52/CE, GU L 168 del 30.6.2009, pag. 24.

(5)  http://www.ipex.eu/ipex/cms/home/Documents/dossier_COD20100210.


23.7.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 218/101


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi nell'ambito di trasferimenti intrasocietari

COM(2010) 378 definitivo — 2010/0209 (COD)

2011/C 218/19

Relatore: Oliver RÖPKE

Il Consiglio, in data 29 settembre 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi nell'ambito di trasferimenti intrasocietari

COM(2010) 378 definitivo — 2010/0209 (COD).

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 marzo 2011.

Alla sua 471a sessione plenaria, dei giorni 4 e 5 maggio 2011 (seduta del 4 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 152 voti favorevoli, 2 voti contrari e 6 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) apprezza gli sforzi della Commissione europea volti a creare, grazie alla proposta di direttiva sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi nell'ambito di trasferimenti intrasocietari, condizioni di ammissione trasparenti e armonizzate per questo gruppo di lavoratori temporaneamente distaccati.

1.2   Il CESE ha tuttavia espresso serie preoccupazioni in merito a una parte del contenuto della proposta di direttiva e all'approccio adottato dalla Commissione europea nei confronti delle parti sociali europee prima della proposta.

1.3   Il Comitato si rammarica per la scelta dell'articolo 79 del TFUE quale unica base giuridica per la direttiva, sebbene quest'ultima contenga importanti disposizioni relative allo status di manager, specialisti e laureati in tirocinio e sia pertanto destinata ad avere notevoli ripercussioni sul mercato del lavoro degli Stati membri. Per questo motivo, prima di presentare una vera e propria proposta di direttiva, la Commissione avrebbe dovuto consultare formalmente le parti sociali come prevede l'articolo 154 del TFUE. La consultazione non solo avrebbe messo in risalto la volontà, espressa nel Trattato di Lisbona, di rafforzare il ruolo del dialogo sociale nell'UE, ma avrebbe anche e soprattutto offerto l'opportunità di dirimere già a monte, tra le parti sociali, alcune delle questioni attualmente controverse.

1.4   La proposta di direttiva, che definisce le condizioni di ingresso di cittadini di paesi terzi e dei loro familiari nell'ambito di trasferimenti intrasocietari, non riguarda soltanto un numero relativamente limitato di manager, ma anche specialisti e laureati in tirocinio. Tuttavia, ad avviso del Comitato, una direttiva dedicata esclusivamente ai manager avrebbe consentito di trattare in maniera più adeguata lo status particolare di questo gruppo di persone rispondendo meglio alle loro esigenze. Stanti tali premesse, si rivela ancora più importante, per tutti i lavoratori rientranti nell'ambito di applicazione della direttiva, assicurare il rispetto del principio di parità di trattamento e di non discriminazione per quanto riguarda la retribuzione e le condizioni di lavoro, ed evitare un'applicazione abusiva della direttiva.

1.5   Il CESE propone pertanto che, ai lavoratori interessati da un trasferimento intrasocietario, si assicuri un trattamento uguale a quello garantito ai lavoratori del paese ospitante o al personale permanente, non solo in materia di retribuzione ma anche di condizioni di lavoro in generale. Questa parità di trattamento non può limitarsi ai contratti collettivi di applicazione generale, ma deve valere anche per tutte le disposizioni di legge e per tutte le clausole degli altri contratti collettivi, compresi quelli aziendali. Ad avviso del CESE, il ricongiungimento familiare dovrebbe essere disciplinato in maniera analoga a quanto disposto dalla direttiva «Carta blu» (direttiva 2009/50/CE).

1.6   Il momento della pubblicazione della proposta di direttiva in esame coincide con la più grande crisi economica e finanziaria della storia dell'UE. Alcuni Stati membri sono ancora ben lontani dal far registrare una ripresa economica e presentano tassi di disoccupazione così elevati da lasciar prevedere un incremento dei flussi migratori anche all'interno dell'UE. Nella sua analisi annuale della crescita per il 2011 (1), la Commissione europea fa espresso riferimento al rischio che un'incipiente ripresa economica possa non essere accompagnata dalla dinamica necessaria per la creazione di posti di lavoro, per cui si rende necessario accrescere il tasso d'impiego, ancora relativamente limitato, del potenziale di manodopera disponibile all'interno dell'UE. D'altra parte, però, il CESE fa osservare, in linea con l'ultima relazione comune sull'occupazione (2010), che in taluni Stati membri e per talune categorie professionali si continua a registrare una scarsità di manodopera.

1.7   I lavoratori interessati sono distaccati anche dai paesi terzi in cui i livelli delle retribuzioni e della protezione sociale sono molto inferiori a quelli dell'UE. Per questo motivo è necessario garantire un controllo efficace dell'applicazione della direttiva, evitando così alle imprese oneri burocratici superflui. A tal fine, in collaborazione con gli Stati membri, la Commissione europea sta elaborando un sistema di scambio elettronico per semplificare la cooperazione amministrativa transfrontaliera nell'ambito della direttiva relativa al distacco dei lavoratori (direttiva 96/71/CE). Un sistema di questo tipo dovrebbe comprendere anche i casi di trasferimenti intrasocietari dei cittadini di paesi terzi.

1.8   Il CESE ritiene che sarebbe necessario formulare con maggiore chiarezza le definizioni di «manager», «specialista» e «laureato in tirocinio», al fine sia di offrire alle imprese interessate una maggiore certezza giuridica sia di garantire che esse non vadano al di là degli impegni assunti dall'UE nell'ambito dell'accordo GATS e degli accordi bilaterali con paesi terzi. Le definizioni dovrebbero essere formulate in modo tale da individuare in maniera precisa ciascuna delle tre categorie di lavoratori altamente qualificati di cui la direttiva dovrebbe disciplinare il trasferimento.

1.9   Il CESE reputa che, se si prenderanno in considerazione le esigenze illustrate in questa sede, la direttiva potrebbe effettivamente contribuire ad agevolare i trasferimenti intrasocietari di know-how nell'UE e a rafforzare la competitività dell'Unione.

2.   La proposta di direttiva

2.1   La direttiva in esame è intesa ad agevolare, per i gruppi di imprese composti da entità stabilite sia all'interno che all'esterno dell'UE, il trasferimento di lavoratori cittadini di paesi terzi da un'impresa con sede in un paese terzo a succursali o filiali stabilite in uno Stato membro dell'UE. Questo tipo di trasferimento dovrebbe essere possibile per i manager, gli specialisti e i laureati in tirocinio.

2.2   Per «manager» si intende la persona che occupa una carica elevata preposta direttamente alla direzione dell’entità ospitante sotto la supervisione generale o la direzione del consiglio d'amministrazione o degli azionisti della società o dei loro equivalenti.

2.3   Per «specialista» si intende la persona in possesso di conoscenze non comuni indispensabili all'entità ospitante, tenuto conto non solo delle conoscenze specificamente necessarie per quest'ultima, ma anche dell'eventuale possesso di una qualifica elevata per un tipo di lavoro o di attività che richiede una preparazione tecnica specifica.

2.4   Per «laureato in tirocinio» si intende il titolare di un titolo di studio di livello universitario che attesti il completamento di un corso di studi della durata di almeno tre anni, trasferito in una società per accrescere le proprie conoscenze ed esperienze, in vista di occuparvi un posto dirigenziale.

2.5   La direttiva non si applica ai ricercatori, per i quali esiste una direttiva specifica (direttiva 2005/71/CE).

2.6   Gli Stati membri possono esigere che il lavoratore distaccato presenti un contratto di lavoro con il gruppo di imprese per un periodo di almeno 12 mesi immediatamente precedente al trasferimento, e possono inoltre fissare un numero massimo di persone cui può essere rilasciata l'autorizzazione al trasferimento. La durata massima del distacco è limitata a tre anni per i manager e gli esperti e a un anno per i laureati in tirocinio.

2.7   Una procedura di ammissione accelerata e un titolo combinato comprendente il permesso di soggiorno e il permesso di lavoro dovrebbero rendere più attraenti i trasferimenti di questo tipo.

2.8   I lavoratori trasferiti sono altresì autorizzati a lavorare in qualsiasi altra entità stabilita in un altro Stato membro e appartenente allo stesso gruppo di imprese, nonché nei siti dei clienti dell'entità ospitante negli altri Stati membri, purché la durata del trasferimento in un altro Stato membro non sia superiore a 12 mesi. Esistono tuttavia eccezioni a questa norma.

2.9   Gli accordi in materia di retribuzione minima e i contratti collettivi dello Stato di destinazione devono essere rispettati. La proposta menziona inoltre diritti quali la libertà di associazione, la possibilità di aderire e partecipare ad organizzazioni sindacali e datoriali, il riconoscimento dei diplomi secondo le procedure nazionali applicabili e l'accesso a beni e servizi nonché ai sistemi di sicurezza sociale. Non si prevede tuttavia l'applicazione dell'intera normativa in materia di lavoro e di sicurezza sociale dello Stato di destinazione.

3.   Introduzione

3.1   A partire dal Trattato di Amsterdam, la politica in materia di immigrazione rientra in parte nella competenza dell'UE. Sia il Consiglio europeo che il Consiglio dell'UE hanno sollecitato a più riprese la definizione di una politica in materia (conclusioni del Consiglio di Tampere del 1999, Programma dell'Aia del 2004, Programma di Stoccolma del 2009 e Patto sull'immigrazione e l'asilo).

3.2   In seguito a una consultazione pubblica in forma di Libro verde, nel 2005 la Commissione europea ha presentato un «Piano d'azione sull'immigrazione legale», in cui formulava diverse proposte di direttiva concernenti la migrazione per motivi di lavoro. Una direttiva (2) sulla migrazione dei lavoratori altamente qualificati (direttiva «Carta blu») è già stata adottata dal Consiglio il 25 maggio 2009, mentre la direttiva sul «permesso unico» è ancora oggetto di negoziati presso il Consiglio e il Parlamento europeo. Parallelamente alla proposta in esame, la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva sul lavoro stagionale.

3.2.1   In origine la Commissione aveva presentato, già nel 2001, una proposta di direttiva orizzontale concernente tutte le forme di migrazione per motivi di lavoro. Tuttavia, essendosi rivelato impossibile realizzare uno strumento giuridico orizzontale, la Commissione ha poi deciso di adottare un approccio settoriale.

3.3   Il 13 luglio 2010 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva sui trasferimenti intrasocietari, con l'obiettivo di armonizzare in tutta l'UE le norme che disciplinano l'accesso dei lavoratori cittadini di paesi terzi trasferiti da un'impresa stabilita fuori dall'UE a un'impresa dello stesso gruppo con sede all'interno dell'Unione.

3.4   Il progetto di direttiva contiene disposizioni applicabili ai lavoratori cittadini e residenti di un paese terzo, titolari di un contratto di lavoro alle dipendenze di un'impresa appartenente a un gruppo stabilito in tale paese, trasferiti da quest'ultima e inviati a un'altra impresa dello stesso gruppo stabilita in uno Stato membro dell'UE.

3.5   Nella relazione introduttiva la Commissione europea afferma che la direttiva prevista dovrebbe contribuire a realizzare gli obiettivi della strategia Europa 2020. Grazie alla creazione di condizioni trasparenti e armonizzate per i trasferimenti intrasocietari, dovrebbe essere possibile rispondere rapidamente alle esigenze dei gruppi multinazionali che intendano trasferire al loro interno, da un'entità a un'altra, manager e specialisti provenienti da paesi terzi. Per quanto riguarda i laureati in tirocinio, il trasferimento dovrebbe prepararli a occupare un posto dirigenziale all'interno del gruppo di imprese. La Commissione è convinta che la direttiva proposta permetterà di eliminare gli ostacoli amministrativi superflui proteggendo nel contempo i diritti dei lavoratori e offrendo garanzie sufficienti anche durante i periodi di crisi economica.

3.6   Fondamentalmente, l'obiettivo di una politica europea dell'immigrazione dovrebbe essere, da un lato, quello di attrarre i «cervelli migliori» e, dall'altro, quello di assicurarsi che le norme di diritto del lavoro e della previdenza sociale non vengano eluse, anche grazie all'adozione di misure di controllo appropriate. Sebbene la finalità principale della direttiva in esame non sia la migrazione sostenibile, questo aspetto dovrebbe comunque essere preso in considerazione.

3.7   La promozione di questa mobilità transnazionale esige un ambiente concorrenziale leale e il rispetto dei diritti dei lavoratori, compresa la creazione di uno status giuridico sicuro per il personale interessato da un trasferimento intrasocietario. La proposta garantisce anche alcuni diritti ai lavoratori trasferiti all'interno di un gruppo, ad esempio il pagamento della retribuzione fissata dai contratti collettivi dello Stato di destinazione, pur non prevedendo l'applicazione della legislazione del lavoro nel suo complesso. Se è vero che i manager percepiscono in genere una retribuzione più elevata rispetto a quella minima, questa non è la regola per gli specialisti e i laureati in tirocinio.

3.8   Nel parere in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati  (3), il CESE ha osservato che le disposizioni relative all'ammissione dei lavoratori migranti dipendono tra l'altro dall'evoluzione del mercato del lavoro e che compete pertanto alle autorità nazionali avviare un dialogo in materia con le parti sociali. Allo stesso modo, nel parere in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano legalmente in uno Stato membro  (4), il CESE ha sostenuto che ogni Stato membro può fissare i criteri di ammissione di concerto con le parti sociali.

3.9   Nel parere sul tema «Integrazione dei lavoratori immigrati» (5), il CESE ha affermato che l'integrazione sul luogo di lavoro in condizioni di pari opportunità e pari trattamento rappresenta una sfida per le parti sociali e che queste devono incoraggiare tale integrazione nell'ambito della contrattazione collettiva e del dialogo sociale, anche a livello europeo.

3.10   Come emerge con chiarezza dai punti precedenti, il CESE è convinto che sia necessario coinvolgere le parti sociali nell'elaborazione della normativa sia a livello degli Stati membri che a livello europeo.

3.11   Nel contesto dei trasferimenti intrasocietari occorre esaminare, con riferimento alla questione della outward mobility, le condizioni in presenza delle quali è possibile effettuare il trasferimento di lavoratori cittadini dell'UE verso paesi terzi. In particolare, bisognerebbe assicurarsi che la direttiva proposta non comprometta la capacità dell'Unione di ottenere impegni reciproci nell'ambito della modalità 4 del GATS o di accordi bilaterali. Ciò è particolarmente importante per settori come quello dell'edilizia, che finora non forma oggetto di alcun «vincolo» ai sensi del GATS.

4.   Osservazioni generali

4.1   La proposta di direttiva ha provocato reazioni estremamente diverse tra le parti sociali. Businesseurope, ad esempio, sostanzialmente approva la proposta, che a suo avviso contribuisce a migliorare la trasparenza e a semplificare le procedure di ammissione per i lavoratori interessati da un trasferimento intrasocietario. Tuttavia, anch'essa critica determinate disposizioni della proposta, in particolare la possibilità di richiedere fino a 12 mesi di periodo minimo di impiego nell'impresa di origine prima del trasferimento. Businesseurope ritiene inoltre che le restrizioni imposte agli Stati membri per quanto riguarda l'applicazione di disposizioni più favorevoli potrebbero provocare un peggioramento delle disposizioni nazionali attualmente in vigore.

4.2   Per contro, la Confederazione europea dei sindacati (CES) esprime serie riserve in merito alla proposta di direttiva, e chiede alla Commissione di ritirarla. Essa critica la scelta dell'articolo 79 del TFUE come unica base giuridica della direttiva, benché quest'ultima (come nel caso della direttiva sul lavoro stagionale) sia destinata a produrre effetti non trascurabili sul mercato del lavoro negli Stati membri. Secondo la CES, tali proposte dovrebbero formare oggetto di consultazione tra le parti sociali, conformemente all'articolo 154 del TFUE. Ritiene inoltre che la proposta non garantisca la parità di trattamento dei lavoratori interessati da un trasferimento intrasocietario e non preveda né meccanismi di controllo né sanzioni in caso di violazione delle disposizioni.

4.3   In materia di politica dell'immigrazione, questo approccio della Commissione rappresenta almeno in parte un corollario del concetto di «migrazione circolare»; ad ogni modo, si tratta di un concetto di migrazione transitoria, temporanea, spesso giudicato fallimentare in termini di politica d'integrazione e del mercato del lavoro. Se in Europa dovessimo affrontare una situazione di carenza a lungo termine di personale qualificato e giovane in taluni paesi, settori e professioni, occorrerebbe colmare la lacuna innanzitutto per mezzo di un'offensiva di qualificazione intraeuropea e avvalendosi della libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'UE. Solo in seguito si dovrebbe prevedere il ricorso all'immigrazione controllata di manodopera, cui progressivamente si concederebbero sempre più diritti e una forma più stabile di soggiorno.

4.4   Al contrario, altri vedono il concetto di migrazione temporanea o circolare come una misura appropriata che consente di promuovere in un primo momento l'afflusso verso l'Europa di lavoratori altamente qualificati, i quali in seguito potranno sfruttare nel loro paese d'origine l’esperienza acquisita. Nel contempo, in un contesto di concorrenza mondiale per i «cervelli migliori», l'Europa può creare in questo modo delle condizioni di partenza uguali a quelle dei suoi concorrenti.

4.5   In passato, applicazioni specifiche dell'approccio della «migrazione temporanea» si sono già dimostrate fallimentari in alcuni Stati membri, dove, confidando nel fatto che si trattasse di una migrazione a breve termine, non si è investito nelle misure di integrazione: un fallimento, questo, cui non è stato tuttora possibile rimediare se non in parte.

4.6   Nel 2007 la Commissione europea ha pubblicato un'importante comunicazione sulla migrazione circolare e i partenariati tra l'Unione europea e i paesi terzi (6) che illustrava i vantaggi di questo concetto ma ne indicava anche le specificità. Il CESE ha contribuito al relativo dibattito in maniera obiettiva, con un parere d'iniziativa (7) in cui riconosce la possibile utilità delle procedure di ammissione temporanea e reputa che la rigidità della normativa vigente in Europa rappresenti un grave ostacolo alla migrazione circolare.

4.7   Un aspetto connesso è ovviamente quello del ricongiungimento familiare, che assume un'importanza ancora maggiore quando una migrazione temporanea si protrae per diversi anni o si trasforma in migrazione permanente. Per questo motivo, il ricongiungimento familiare dovrebbe essere disciplinato in maniera analoga a quanto disposto dalla direttiva «Carta blu» (2009/50/CE).

4.8   Non da ultimo, il CESE sottolinea in molti dei suoi pareri l'importanza fondamentale dell'integrazione (8).

4.9   L'UE e le autorità dei singoli Stati membri devono cooperare nella promozione della politica di integrazione. Recentemente, il CESE ha ribadito (9) che la politica comune di immigrazione deve tenere conto dell'integrazione, un processo sociale bidirezionale di reciproco adattamento tra migranti e società di accoglienza, che deve essere favorito nell'Unione europea attraverso una buona gestione a livello nazionale, regionale e locale. Nel suo parere sul tema L'integrazione e l'agenda sociale  (10), il CESE propone che si strutturi un processo di incorporazione sistematica (mainstreaming) dell'integrazione nei diversi strumenti politici, legislativi e finanziari dell'UE, per promuovere, insieme all'integrazione, la parità di trattamento e la non discriminazione.

4.10   La proposta di direttiva in esame è tuttavia in contraddizione con tale volontà di integrazione poiché, confidando nel carattere temporaneo della migrazione, le misure di integrazione potrebbero essere omesse.

4.11   Al fine di evitare una concorrenza sleale, i lavoratori distaccati nell'ambito di trasferimenti intrasocietari devono beneficiare almeno delle stesse condizioni di lavoro del personale permanente del gruppo. Tutto ciò non può limitarsi soltanto alla retribuzione minima, ma deve valere anche per l'intera legislazione del lavoro vigente nel paese di destinazione. In altri termini, il diritto del lavoro dello Stato membro di accoglienza deve quindi essere applicato in tutte le sue parti.

4.12   Nel parere relativo al Libro verde sull'approccio dell'Unione europea alla gestione della migrazione economica  (11), il CESE afferma in merito ai diritti che «il punto di partenza della discussione deve essere il principio della non discriminazione. Il lavoratore migrante, indipendentemente dal periodo di tempo per il quale ha ricevuto i permessi di soggiorno e di lavoro, deve fruire dei medesimi diritti economici, occupazionali e sociali di tutti gli altri lavoratori».

4.13   Nel parere in merito alla direttiva sul Rilascio di un permesso unico  (12), il CESE sottolinea il ruolo delle parti sociali ai fini della promozione della parità di diritti sul lavoro a vari livelli (di impresa, di settore, nazionale, europeo). Tra i contributi fondamentali al riguardo va menzionato anche quello dei comitati aziendali europei, visto che in definitiva la proposta in esame tratta principalmente di grandi gruppi di imprese composti da numerose entità.

4.14   Un’importanza particolare assume al riguardo il controllo dell'osservanza delle norme. Nel parere in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che introduce sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente nell'UE  (13), il CESE ha fatto presente che tale controllo non sarà un compito facile poiché le autorità ad esso preposte non dispongono di un numero sufficiente di personale qualificato, vi sono difficoltà nella ripartizione delle responsabilità tra i diversi organi interessati, e le imprese da sottoporre ai controlli sono molto numerose. Gli Stati membri devono perciò assicurarsi che le autorità di controllo dispongano delle risorse necessarie per poter assolvere il proprio compito in maniera efficace.

4.15   Il campo di applicazione della direttiva è definito in modo troppo vago: occorre in particolare circoscrivere con precisione la definizione di «specialista» onde evitare che, di fatto, tutti i lavoratori di un gruppo di imprese possano lavorare fino a tre anni nell’entità ospitante stabilita in un determinato Stato membro. Allo stesso modo, è necessario analizzare la definizione di «laureato in tirocinio», in modo che possano effettivamente essere distaccate con questo titolo soltanto le persone che si stiano preparando ad assumere posizioni dirigenziali ben precise. La formulazione dovrebbe tenere conto dell'offerta presentata nel 2005 dall'UE nell'ambito del GATS.

4.16   La possibilità di escludere determinati settori dall'ambito di applicazione della direttiva dovrebbe essere considerata soltanto laddove questo sia richiesto di comune accordo sia dai datori di lavoro che dai sindacati del settore interessato.

4.17   Nel caso di trasferimenti effettuati da uno Stato membro a un altro, esistono problemi concreti riguardo al pagamento della retribuzione cui ha diritto il lavoratore. Le riserve espresse regolarmente in materia di dumping salariale nel contesto dei trasferimenti da altri Stati membri (nell’ambito della direttiva sul distacco dei lavoratori) valgono anche nel campo di applicazione della proposta in esame. Il Comitato economico e sociale europeo sottolinea in particolare, nel suo parere sul Distacco dei lavoratori (14), che l’insufficienza delle possibilità di controllo potrebbe essere fonte di problemi.

5.   Osservazioni specifiche

5.1   La definizione di «specialista» è poco chiara e potrebbe essere applicata a quasi tutti i contratti di lavoro poiché si richiede soltanto di disporre di «conoscenze non comuni indispensabili all'entità ospitante». Inoltre, la definizione fornita («persona in possesso di conoscenze non comuni indispensabili all'entità ospitante, tenuto conto non solo delle conoscenze specificamente necessarie per l'entità ospitante, ma anche dell'eventuale possesso di una qualifica elevata per un tipo di lavoro o di attività che richiede una preparazione tecnica specifica») è molto più ampia di quella contenuta nella parte dell'accordo GATS in cui si fissano gli impegni assunti dall’UE, nella quale non viene richiesta alcuna conoscenza «fuori dal comune». In questo modo, qualsiasi specialista può essere trasferito e il rischio di pressioni salariali aumenta pertanto in maniera considerevole.

5.2   Anche se attualmente sono soprattutto le grandi imprese multinazionali ad avvalersi dei trasferimenti intrasocietari, sarebbe opportuno, al fine di evitare possibili casi di abuso, fissare dei requisiti minimi per l'entità ospitante, che dovrebbe avere determinate dimensioni e occupare in particolare un certo numero di lavoratori. Ciò al fine di evitare che, tramite i trasferimenti intrasocietari, nascano imprese unipersonali composte dallo specialista o dal manager distaccato.

5.3   Bisognerebbe inoltre garantire che le imprese fornitrici di lavoro temporaneo (appartenenti al gruppo) non trasferiscano i loro «prestatori di servizi» nelle entità ospitanti.

5.4   La proposta di direttiva prevede che gli Stati membri possano rifiutare una richiesta di autorizzazione a trasferimenti intrasocietari laddove il datore di lavoro o l’entità ospitante siano stati sanzionati conformemente alla legislazione nazionale per lavoro non dichiarato od occupazione illegale. Tale disposizione dovrebbe essere estesa ai casi di retribuzione inferiore a quella prevista dai contratti collettivi. Ai sensi del principio di proporzionalità, i datori di lavoro dovrebbero essere esclusi dalla possibilità di presentare tale richiesta soltanto temporaneamente, e non permanentemente come previsto nella proposta. Inoltre, è necessario poter operare una distinzione in base alla gravità dell'infrazione.

5.5   Neppure la mera possibilità di un ritorno nell’impresa stabilita nello Stato di distacco pare essere sufficiente: si dovrebbe piuttosto prevedere un rapporto contrattuale che prosegua anche dopo la fine del trasferimento, onde assicurarsi che il lavoratore non venga assunto semplicemente ai fini del distacco.

5.6   La proposta in esame prevede soltanto il rispetto delle disposizioni di diritto interno in materia di retribuzione. Tuttavia, in un settore sensibile come quello dei trasferimenti intrasocietari, occorrerebbe inserire nella direttiva il principio per cui le disposizioni in materia di occupazione (sia di natura legislativa, sia a livello di contratti collettivi) del paese di destinazione vanno applicate nella loro integralità anche ai lavoratori interessati da un trasferimento all'interno della società e garantire che l'entità di origine e/o quella di destinazione si impegnino, prima del trasferimento, a rispettare tali disposizioni. È essenziale evitare i rapporti di lavoro precari così come ogni tipo di differenza rispetto al personale permanente.

5.7   La disposizione di cui all'articolo 16 comporta di fatto la conseguenza di attribuire a uno Stato membro la competenza di concedere permessi di soggiorno e di lavoro anche nel territorio di altri Stati membri. Sul piano giuridico, tuttavia, le autorità dei singoli Stati membri non sono abilitate a rilasciare tali permessi e autorizzazioni. Nemmeno l'UE può trasferire questa competenza, dato che la concessione di permessi di soggiorno o di lavoro per i singoli Stati membri non rientra tra le sue competenze. Inoltre non è prevista alcuna possibilità per il secondo Stato membro di verificare in qualche modo il permesso di lavoro concesso congiuntamente al permesso di soggiorno nel primo Stato membro. Occorre pertanto precisare che un permesso è valido esclusivamente nello Stato membro che lo abbia rilasciato.

5.8   Attualmente non è ancora stato chiarito quale sistema debba essere applicato nel caso di un ulteriore trasferimento in un secondo Stato membro, poiché in tal caso si tratterebbe di un distacco da uno Stato membro a un altro. Ad ogni modo, sarà necessario prevedere delle procedure specifiche di cooperazione amministrativa tra gli Stati membri.

5.9   La proposta prevede l'introduzione di procedure semplificate. Tuttavia, non è chiaro in cosa consisterà concretamente tale semplificazione. Una procedura accelerata (fast track procedure) non può comunque andare a discapito di un esame approfondito della richiesta. È necessario continuare a garantire alle autorità la possibilità di esaminare con attenzione e senza indugio ogni singolo caso, in particolare per quanto riguarda la remunerazione.

5.10   I trasferimenti possono avere una durata massima di tre anni. Per i trasferimenti di tale durata non si può più parlare di occupazione intrasocietaria destinata a coprire i bisogni a breve termine del gruppo. I lavoratori distaccati devono essere integrati normalmente nell'azienda del paese di destinazione. Per questo motivo è necessario applicare nella sua integralità la legislazione in materia di lavoro e sicurezza sociale del paese di destinazione.

5.11   In numerosi settori, i trasferimenti di tre anni superano la durata abituale dei rapporti di lavoro. Tuttavia, trattandosi di immigrazione di lavoratori altamente qualificati, è già stata adottata la direttiva quadro 2009/50/CE (direttiva «Carta blu»).

5.12   Nemmeno la fissazione della retribuzione minima può impedire sistematicamente il dumping salariale. Nel caso in cui un lavoratore sia «trasferito ulteriormente» in un secondo Stato membro, la proposta prevede che vengano applicate le condizioni prevalenti dello Stato che ha autorizzato l'ammissione. Nel caso di ulteriori trasferimenti, ciò comporterebbe l'applicazione della retribuzione minima dello Stato che ha autorizzato l'ammissione e non di quella del paese in cui si presta effettivamente la propria attività, che tuttavia potrebbe rivelarsi più elevata. Occorre pertanto specificare che la retribuzione minima corrisposta deve coincidere con quella in vigore nello Stato in cui si svolge effettivamente la propria prestazione professionale. È altresì necessario garantire l'applicazione dell'insieme delle disposizioni contenute nei contratti collettivi così come il principio della parità di trattamento.

5.13   La proposta di direttiva in esame non prevede alcuna possibilità di ricorso del lavoratore distaccato nei confronti del datore di lavoro dinanzi a un giudice all'interno dell'Unione europea. Per i lavoratori provenienti da paesi terzi, la giurisdizione competente in caso, ad esempio, di remunerazione fissata dalle convenzioni collettive dello Stato di destinazione, si situerebbe normalmente nello Stato di provenienza e non nello Stato membro in questione. Per il lavoratore interessato da trasferimento intrasocietario che desideri far valere le proprie legittime pretese ne deriverebbero delle difficoltà inaccettabili, quando invece l'accesso alla giustizia rappresenta uno dei principi fondamentali di una società democratica e deve pertanto poter aver luogo nel paese di destinazione del lavoratore distaccato.

5.14   Il CESE sollecita il Parlamento europeo e il Consiglio a lavorare per correggere nel futuro iter legislativo le lacune riscontrate nella presente proposta di direttiva allo scopo di garantire che essa contribuisca effettivamente a facilitare i necessari trasferimenti intrasocietari di know-how verso l'UE.

Bruxelles, 4 maggio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  COM(2011) 11 definitivo, 12 gennaio 2011.

(2)  COM(2007) 637 definitivo e 638 definitivo, 23 ottobre 2007.

(3)  GU C 27 del 3.2.2009, pag. 108.

(4)  GU C 27 del 3.2.2009, pag. 114.

(5)  GU C 354 del 28.12.2010, pag. 16.

(6)  COM(2007) 248 definitivo.

(7)  GU C 44 del 16.2.2008, pag. 91.

(8)  Cfr. i seguenti pareri del CESE: GU C 125 del 27.5.2002, pag. 112; GU C 80 del 30.3.2004, pag. 92; GU C 318 del 23.12.2006, pag. 128; GU C 347 del 18.12.2010, pag. 19; GU C 354 del 28.12.2010, pag. 16; parere del CESE sul tema Le nuove sfide dell'integrazione (relatore: PARIZA CASTAÑOS).

(9)  GU C 48 del 15.2.2011, pag. 6.

(10)  GU C 347 del 18.12.2010, pag. 19.

(11)  GU C 286 del 17.11.2005, pag. 20.

(12)  Cfr. nota 4.

(13)  GU C 204 del 9.8.2008, pag. 70.

(14)  GU C 224 del 30.8.2008, pag. 95.


23.7.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 218/107


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'uso dei dati del codice di prenotazione a fini di prevenzione, accertamento, indagine e azione penale nei confronti dei reati di terrorismo e dei reati gravi

COM(2011) 32 definitivo — 2011/0023 (COD)

2011/C 218/20

Relatore generale: RODRÍGUEZ GARCÍA CARO

Il Consiglio, in data 2 marzo 2011, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'uso dei dati del codice di prenotazione a fini di prevenzione, accertamento, indagine e azione penale nei confronti dei reati di terrorismo e dei reati gravi

COM(2011) 32 definitivo - 2011/0023 (COD).

L'Ufficio di presidenza del Comitato, in data 14 marzo 2011, ha incaricato la sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza di preparare i lavori del Comitato in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 471a sessione plenaria del 4 e 5 maggio 2011 (seduta del 5 maggio), ha nominato RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO relatore generale e ha adottato il seguente parere con 80 voti favorevoli, 2 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1   Fatte salve le riserve espresse nel presente documento, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la proposta di direttiva in oggetto. Esprime preoccupazione per il riproporsi di una divergenza tra sicurezza e libertà - incremento della sicurezza ma limitazione del diritto dei cittadini alla tutela dei dati personali - che non deve in alcun caso contraddire i principi generali su cui si basano i diritti umani fondamentali.

1.2   Il CESE condivide il giudizio comune espresso dal Garante europeo della protezione dei dati, dal gruppo di lavoro articolo 29 sulla protezione dei dati, dall'Agenzia dell'Unione europea dei diritti fondamentali e dal Parlamento europeo. Ritiene inoltre che la proposta non dimostri adeguatamente l'esigenza di utilizzare in maniera generalizzata e indiscriminata i dati personali di tutti i cittadini che prendono un volo internazionale e considera quindi sproporzionate le misure previste.

1.3   Il CESE condivide in particolare la proposta formulata dal Garante europeo della protezione dei dati nel suo ultimo parere sulla proposta: i dati personali dei passeggeri non vanno utilizzati in maniera sistematica e indiscriminata, bensì caso per caso.

1.4   Il CESE ritiene che un'unica unità centralizzata di informazione sui passeggeri, piuttosto che le varie unità nazionali previste dalla proposta, possa risultare meno costosa per le compagnie aeree e per gli Stati stessi, e consentire una supervisione e un controllo migliori sui dati personali, evitandone la trasmissione ripetuta.

2.   Introduzione alla proposta di direttiva

2.1   L'obiettivo della proposta è regolare la trasmissione, da parte delle compagnie aeree, dei dati personali (PNR, Passenger Name Record - dati del codice di prenotazione) dei passeggeri dei voli internazionali diretti verso gli Stati membri o in partenza da essi, nonché il trattamento di tali dati e il loro scambio tra Stati membri e con paesi terzi. La proposta è intesa ad armonizzare le disposizioni degli Stati membri in materia di protezione dei dati, in vista dell'impiego dei PNR nella lotta contro il terrorismo (1) e i reati gravi (2) come definiti dalla legislazione comunitaria.

2.2   La proposta verte sulle modalità di utilizzazione dei dati PNR da parte degli Stati membri, sui dati che devono essere raccolti, sulle finalità per cui possono essere utilizzati, sulla loro trasmissione tra unità d'informazione sui passeggeri dei vari Stati e sulle condizioni tecniche della loro trasmissione. Per svolgere tali funzioni è stata scelta l'opzione di un sistema decentrato di raccolta e trattamento dei dati PNR da parte di ciascuno Stato.

3.   Osservazioni generali

3.1   Il CESE è l'interlocutore adatto per trasmettere il punto di vista della società civile organizzata, di cui costituisce il legittimo rappresentante. Esso si compiace pertanto del fatto che il Consiglio lo abbia consultato in via facoltativa in merito alla proposta in esame.

3.2   Tale proposta può essere considerata come un'armonizzazione ex ante della pertinente legislazione degli Stati membri, dato che la maggior parte di essi non ha disposizioni specifiche sull'uso dei dati PNR per gli scopi indicati nella proposta stessa. Il CESE considera pertanto opportuno elaborare un quadro giuridico comune cui le legislazioni degli Stati membri si dovranno adeguare, affinché i suddetti dati siano tutelati allo stesso modo in tutta l'Unione.

3.3   Secondo quanto indica la proposta, la normativa consentirà di trattare e di analizzare un ampio ventaglio di dati di milioni di cittadini che non hanno mai commesso e non commetteranno mai un delitto del genere di quelli previsti dalla direttiva. Pertanto, al fine di identificare i profili di criminali pericolosi, si utilizzeranno dati di persone assolutamente normali. A giudizio del CESE ci troviamo di fronte a un'alternativa tra sicurezza e libertà, ossia tra l'aumento della sicurezza e la tutela dei dati personali.

3.4   Dato il lungo iter della proposta, le principali parti in causa hanno potuto formulare a più riprese opinioni qualificate e molto differenti. Da quando, nel 2007, la Commissione ha adottato la Proposta di decisione quadro del Consiglio sull'uso dei dati PNR, che costituisce l'antecedente della proposta di direttiva in esame, hanno preso posizione il Garante europeo della protezione dei dati (3) (il quale ha tra l'altro formulato nel marzo di quest'anno un parere sul nuovo testo), il gruppo di lavoro articolo 29 sulla protezione dei dati (4) (che ha preso anch'esso posizione nell'aprile di quest'anno), l'Agenzia dell'Unione europea dei diritti fondamentali e il Parlamento europeo. Quest'ultimo aveva già formulato una risoluzione (5) sulla proposta del 2007 e adesso, conformemente al disposto del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, partecipa all'iter legislativo dell'attuale proposta.

3.5   Il CESE condivide il giudizio comune di tutti i suddetti interlocutori qualificati. Esso ritiene inoltre che la proposta non comprovi in misura sufficiente l'esigenza di utilizzare in maniera generalizzata e indiscriminata i dati PNR di tutti i cittadini che effettuano voli internazionali e, di conseguenza, considera sproporzionata la misura di cui si prevede l'adozione, in particolare quando nella motivazione e nel contenuto della proposta viene riconosciuto che «a livello UE, non sono disponibili statistiche dettagliate che indichino in quale misura tali dati contribuiscono a prevenire, accertare, indagare e perseguire i reati gravi e il terrorismo» (6). Per tale ragione il CESE condivide in particolare la proposta formulata dal Garante europeo della protezione dei dati: non utilizzare i dati personali dei passeggeri in maniera sistematica e indiscriminata, bensì caso per caso.

3.6   Conformemente a quanto detto più in alto, e in linea con i pareri adottati dal CESE in precedenza, occorre ribadire la raccomandazione formulata dal CESE nel parere in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio - Uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia al servizio dei cittadini  (7): «Le politiche di sicurezza non devono pregiudicare i valori fondamentali (diritti umani e libertà pubbliche) e i principi democratici (Stato di diritto) condivisi in tutta l'Unione. La libertà personale non deve essere ridotta col pretesto della sicurezza collettiva e dello Stato. Alcune proposte politiche ripetono un errore già commesso in epoche precedenti: sacrificare la libertà per migliorare la sicurezza».

3.7   In ogni caso il testo che sarà adottato al termine dell'iter legislativo dovrà garantire il massimo di riservatezza e di tutela dei dati PNR, rispettando i principi enunciati dalla decisione quadro 2008/977/GAI del Consiglio sulla protezione dei dati personali trattati nell’ambito della cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale (8) e dalla direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (9). L'eccezionalità della norma non può in alcun caso comportare una violazione dei principi generali su cui si fondano i diritti umani fondamentali.

3.8   Tuttavia, fermo restando che la proposta in esame si riferisce ad un'utilizzazione certamente eccezionale dei dati personali, il CESE ritiene che le disposizioni di maggiore eccezionalità, contenute negli articoli 6 e 7, dovrebbero essere ridotte al minimo, per evitare un ricorso abusivo alla suddetta eccezionalità, e che le richieste di dati debbano essere sempre motivate in base alle disposizioni generali di cui agli articoli 4 e 5 della proposta.

3.9   Al fine di garantire che i dati siano utilizzati esclusivamente per le finalità previste nella proposta e che si possa sapere in ogni momento chi accede alle banche dati PNR o ai dati già trattati, occorrerebbe che la proposta sancisse l'obbligo di istituire un sistema di tracciabilità atto a consentire di identificare l'agente o l'autorità che ha avuto accesso ai dati e di accertare quali operazioni esso abbia effettuato con detti dati.

4.   Osservazioni specifiche

4.1   Riguardo all'articolo 3:

Non si capisce cosa significhi, in un mondo globalizzato, il considerando (18) della proposta, a meno che non si tratti della giustificazione dell'opzione scelta nell'articolo 3, l'adozione di un modello decentrato. A giudizio del CESE tale modello può fare aumentare i costi a carico delle compagnie aeree, che dovranno trasmettere i dati alle unità di tutti gli Stati in cui fa scalo il volo internazionale. L'articolo consente inoltre il trattamento e la trasmissione dei dati personali da parte di varie unità. Non sembra che tale sistema sia molto compatibile con i criteri di efficacia e di efficienza che tutti dovremmo perseguire.

4.2   Riguardo all'articolo 4, paragrafo 1:

Il CESE propone di aggiungere la seguente frase alla fine del paragrafo 1: «… e avvisa la compagnia aerea affinché questa non li trasmetta ulteriormente». Perché riteniamo che una volta accertata l'anomalia occorra dare immediatamente istruzioni per correggerla.

4.3   Riguardo agli articoli 4, paragrafo 4, e 5, paragrafo 4:

Il CESE ritiene che vi sia un'incongruenza tra questi due paragrafi. L'articolo 4, paragrafo 4, stabilisce che l'unità di informazione sui passeggeri di uno Stato membro trasferisce i dati trattati alle autorità competenti caso per caso. Tuttavia l'articolo 5, paragrafo 4, dispone che le autorità competenti possono sottoporre a ulteriore trattamento i dati PNR e i risultati del loro trattamento ricevuti dall'unità d'informazione sui passeggeri. Il CESE ritiene che tale evidente contraddizione debba essere corretta o adeguatamente chiarita affinché non si presti ad interpretazioni.

4.4   Riguardo all'articolo 6, paragrafo 1:

Analogamente a quanto detto a proposito dell'articolo 4, paragrafo 1, il CESE ritiene che tale sistema di trasmissione di dati a differenti unità d'informazione sui passeggeri accresca le formalità amministrative a carico delle compagnie aeree, proprio mentre si chiede la riduzione di tali formalità, e incrementi i loro costi di gestione, cosa che potrebbe ripercuotersi sui consumatori attraverso il prezzo finale dei biglietti.

4.5   Riguardo all'articolo 6, paragrafo 2:

Dal punto di vista della sicurezza e della protezione dei dati personali, il CESE ritiene che la trasmissione «… con un altro mezzo appropriato» in caso di guasto dei mezzi elettronici di invio, non costituisca la modalità più appropriata. Chiede pertanto che vengano specificati in maniera più chiara i mezzi che si possono utilizzare.

4.6   Riguardo all'articolo 6, paragrafo 3:

Il CESE ritiene che la prima parte del paragrafo potrebbe essere formulata in maniera più pertinente eliminando la parola «… possono», in modo che l'applicazione dell'articolo non rimanga affidata alla discrezionalità di ciascuno Stato. Pertanto l'inizio del paragrafo dovrebbe recitare «Gli Stati membri consentono ai vettori …».

4.7   Riguardo all'articolo 6, paragrafo 4, e all'articolo 7:

A giudizio del CESE il paragrafo 4 dell'articolo 6 e l'intero articolo 7 prevedono una serie di eccezioni di portata via via maggiore, che si distaccano dalla comunicazione di dati «caso per caso» prevista dall'articolo 4, paragrafo 4, e prevedono una comunicazione quasi generale, nel cui contesto tutti hanno diritto a trasmettere e a ricevere i dati personali dei passeggeri. L'articolo 7 costituisce una raccolta di eccezioni alla regola.

4.8   Riguardo all'articolo 8:

Per evitare di giungere all'eccezione massima, ossia il trasferimento di dati a paesi terzi che, a loro volta, possono trasferirli ad altri paesi terzi, questo articolo dovrebbe stabilire che tale trasferimento può essere effettuato solo dopo che i dati siano stati trattati dall'unità d'informazione sui passeggeri o dall'autorità competente dello Stato membro che li trasmette a un paese terzo, e sempre caso per caso.

4.9   Riguardo all'articolo 11, paragrafo 3:

Per le ragioni già esposte in riferimento all'articolo 4, paragrafo 1, il CESE propone di aggiungere la seguente frase alla fine del paragrafo 3: «… e avvisa la compagnia aerea affinché questa non li trasmetta ulteriormente».

4.10   Riguardo all'articolo 11, paragrafo 4:

Il sistema di tracciabilità proposto dal CESE al punto 3.9 del presente parere, rivolto a garantire che l'identità di chi accede in ogni momento alle informazioni rimanga registrata, può trovare la sua logica collocazione in questo articolo.

Bruxelles, 5 maggio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU L 164 del 22.6.2002, pag. 3.

(2)  GU L 190 del 18.7.2002, pag. 1.

(3)  GU C 110 dell'1.5.2008.

(4)  Parere CESE n. 145 del 5 dicembre 2007 e parere CESE n. 10 del 5 aprile 2011.

(5)  P6_TA(2008)0561.

(6)  COM(2011) 32 definitivo, pag. 6.

(7)  Parere in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio - Uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia al servizio dei cittadini, GU C 128 del 18.5.2010, pag. 80.

(8)  GU L 350 del 30.12.2008, pag. 60.

(9)  GU L 281 del 23.11.1995, pag. 31.


23.7.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 218/110


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica al regolamento (CE) n. 1234/2007 per quanto riguarda i rapporti contrattuali nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari

COM(2010) 728 definitivo — 2010/0362 (COD)

2011/C 218/21

Relatrice: Dilyana SLAVOVA

Il Consiglio, in data 22 dicembre 2010, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 42 e 43, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica al regolamento (CE) n. 1234/2007 per quanto riguarda i rapporti contrattuali nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari

COM(2010) 728 definitivo — 2010/0362 (COD).

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 aprile 2011.

Alla sua 471a sessione plenaria, dei giorni 4 e 5 maggio 2011 (seduta del 4 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 150 voti favorevoli, 3 voti contrari e 13 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) osserva che la crisi del 2007-2009 ha sottoposto il settore lattiero-caseario, e in particolare i produttori, a una forte pressione.

1.2

Il CESE constata che nella filiera lattiero-casearia si registrano degli squilibri, in particolare tra il settore della vendita al dettaglio, da un lato, e quelli della produzione e della trasformazione, dall'altro: tale squilibrio specifico costituisce un ostacolo ad una più equa ripartizione del valore aggiunto dei prodotti tra i produttori di latte. Il Comitato raccomanda alla Commissione di adottare misure che garantiscano la trasparenza nell'intera filiera (produzione - trasformazione - distribuzione - dettaglio).

1.3

Il CESE si compiace del fatto che la Commissione tenga conto delle raccomandazioni formulate dal gruppo di esperti di alto livello sul latte (GAL) e stia rispondendo prontamente alle sfide cui deve far fronte il settore.

1.4

Il CESE è convinto che la massima efficienza della filiera lattiero-casearia sia nell'interesse di tutte le parti interessate e sottolinea che l'equa ripartizione del valore aggiunto su tutta la filiera, in particolare accrescendo il potere contrattuale dei produttori, contribuirà ad aumentarne l'efficienza, la competitività e la sostenibilità complessive.

1.5

Il CESE ritiene che i quattro elementi su cui verte la proposta in esame: rapporti contrattuali, potere contrattuale dei produttori, organizzazioni interprofessionali e trasparenza, siano strettamente connessi e interdipendenti e debbano quindi essere affrontati congiuntamente.

1.6

Il CESE riconosce che la struttura della produzione lattiero-casearia può essere molto diversa tra Stati membri e conviene quindi che il ricorso ai contratti dovrebbe avvenire su base volontaria. Tuttavia, gli Stati membri dovrebbero in linea di massima poter rendere obbligatorio l'uso di questi contratti nel loro territorio, tenendo conto della necessità di salvaguardare l'adeguato funzionamento del mercato interno. È di fondamentale importanza sottolineare che questa proposta non può essere applicata alle cooperative, e attirare l'attenzione sulle migliori pratiche introdotte già da tempo in alcuni Stati membri.

1.7

Il CESE conviene che tali contratti dovrebbero comprendere almeno i seguenti quattro elementi fondamentali, da negoziare liberamente tra le parti: 1) il prezzo da pagare/la formula di calcolo del prezzo alla consegna, 2) il volume, 3) il calendario di consegna nel corso della campagna e 4) la durata del contratto.

1.8

Il CESE auspica che si costituiscano organizzazioni dei produttori e organizzazioni interprofessionali, specie in alcuni nuovi Stati membri dove il settore lattiero-caseario è frammentato e dispone di pochissimo potere contrattuale. Il CESE osserva che le organizzazioni del settore ortofrutticolo che rafforzano i legami tra i differenti soggetti interessati all'interno dei vari comparti forniscono un valore aggiunto, perché possono migliorare la conoscenza e la trasparenza della produzione e dei mercati; ritiene che uno sviluppo analogo potrebbe migliorare il funzionamento complessivo della filiera lattiero-casearia.

1.9

Il CESE reputa che occorra chiarire e sviluppare ulteriormente l'applicazione delle regole di concorrenza dell'UE nel settore lattiero-caseario, per consentire alle organizzazioni di produttori primari di beneficiare di un maggiore potere di contrattazione.

1.10

Il CESE sottolinea che una maggiore trasparenza può aiutare la filiera lattiero-casearia a funzionare in maniera più regolare, a vantaggio di tutti i soggetti coinvolti. In tale contesto accoglie con favore le raccomandazioni rivolte dal GAL alla Commissione per garantire che la trasparenza non distorca la concorrenza nel mercato interno.

1.11

Il CESE esprime apprezzamento per il lavoro svolto dalla Commissione, ma mette anche l'accento sul fatto che la proposta non sarà in grado di risolvere tutti i problemi del settore lattiero-caseario.

2.   Introduzione

2.1

La produzione di latte è di fondamentale importanza nell'UE, non solo da un punto di vista economico, dato il fatturato e il numero di posti di lavoro che comporta, ma anche per il suo ruolo in termini di uso del territorio e di protezione dell'ambiente. In numerose regioni, specialmente quelle montane o svantaggiate, questa è anche una delle poche attività produttive che si possono effettivamente sviluppare e mantenere in vita.

2.2

Il settore lattiero-caseario svolge un ruolo essenziale ai fini della qualità della vita in Europa attraverso il suo contributo alla salute e a un'alimentazione responsabile e sana per i consumatori, come pure per via della sua importanza economica per lo sviluppo rurale e la sostenibilità ambientale.

2.3

I settori della produzione e della trasformazione presentano notevoli differenze da uno Stato membro all'altro. Altrettanto vale per le strutture della produzione e della trasformazione, caratterizzate, a un estremo, da un'organizzazione prevalentemente cooperativa, in cui la cooperativa provvede anche alla trasformazione, e all'altro estremo, da un gran numero di produttori autonomi e di aziende private di trasformazione. In previsione del 2015, anche nei contesti meglio organizzati i produttori dovranno essere in grado di prepararsi adeguatamente alla nuova situazione di mercato in cui si troveranno una volta abolite le quote. Vale la pena di notare che, poiché le autorità nazionali e dell'UE si stanno ritirando dalla gestione della produzione, gli operatori del settore dovranno fare fronte a circostanze e a responsabilità del tutto nuove. In tali circostanze i produttori hanno bisogno della certezza di poter ottenere un prezzo equo dal mercato.

3.   Contesto

3.1

Nell'ottobre 2009, considerata la difficile situazione del mercato lattiero, è stato istituito il GAL, per discutere accordi a medio e a lungo termine per il settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, nonché per predisporre un quadro normativo e per contribuire a stabilizzare il mercato e il reddito dei produttori.

3.2

Il GAL ha ricevuto contributi scritti e orali da parte dei maggiori gruppi di interesse europei della filiera lattiero-casearia, in rappresentanza di agricoltori, imprese di trasformazione di prodotti lattiero-caseari, commercianti del settore, dettaglianti e consumatori. Altri contributi sono pervenuti dagli esperti del mondo accademico invitati a pronunciarsi, da rappresentanti di paesi terzi, dalle autorità nazionali della concorrenza e dalla Commissione.

3.3

Il 26 marzo 2010 si è tenuto un convegno di parti in causa del settore lattiero-caseario, che ha consentito ad una più ampia schiera di soggetti attivi nella filiera di esprimere le loro opinioni. Il 15 giugno 2010 il GAL ha consegnato la sua relazione, che conteneva un'analisi della situazione attuale del settore lattiero-caseario e una serie di raccomandazioni.

3.4

Il GAL ha riscontrato grandi squilibri nella filiera (produttori - aziende di trasformazione - distribuzione - dettaglianti) e una distribuzione diseguale del valore aggiunto. Questa situazione è determinata da una mancanza di trasparenza, da rigidità e da problemi di trasmissione dei prezzi lungo la filiera.

3.5

La relazione e le raccomandazioni presentate dal GAL sono state esaminate dal Consiglio e le conclusioni della presidenza sono state adottate nella riunione del 27 settembre 2010. In tali conclusioni la Commissione è invitata a presentare entro la fine dell'anno una risposta alle prime quattro raccomandazioni del GAL, riguardanti i rapporti contrattuali, il potere contrattuale dei produttori, le organizzazioni interprofessionali e la trasparenza.

3.6

La proposta in esame affronta tutti e quattro gli elementi (rapporti contrattuali, potere contrattuale dei produttori, organizzazioni interprofessionali e trasparenza) nella misura in cui le disposizioni vigenti che li riguardano richiedono una modifica.

3.7

Per quanto riguarda i rapporti tra produttori e latterie, la concentrazione a livello dell'offerta è spesso molto minore che a livello della trasformazione, il che comporta uno squilibrio di potere contrattuale tra questi due livelli. La proposta prevede il ricorso opzionale a contratti per la consegna di latte crudo, che dovrebbero essere stipulati in anticipo, per iscritto, tra gli agricoltori e le latterie, e in cui dovrebbero essere precisati alcuni elementi chiave, come il prezzo, i tempi e il volume delle consegne, nonché la durata del contratto. Gli Stati membri hanno la facoltà di rendere obbligatorio l'uso di questi contratti sul proprio territorio. Le cooperative, per la loro specifica natura, non sono obbligate a utilizzare i contratti, purché il loro statuto contenga disposizioni analoghe.

3.8

Al fine di riequilibrare il potere contrattuale nella filiera, la proposta prevede che i produttori possano negoziare i contratti collettivamente, attraverso le proprie organizzazioni. Grazie ad adeguate limitazioni quantitative del volume di tale contrattazione, altresì previste nella proposta, i produttori dovrebbero trovarsi in condizioni di parità con le principali latterie, mentre verrà garantito un livello sufficiente di concorrenza nella fornitura di latte crudo. I limiti sono fissati al 3,5 % della produzione complessiva dell'UE e al 33 % della produzione nazionale, con specifiche misure di tutela per evitare pregiudizi gravi, in particolare alle PMI. È opportuno che tali organizzazioni di produttori possano beneficiare di un riconoscimento ai sensi dell'articolo 122 del regolamento (CE) n. 1234/2007. Occorre poi conferire alla Commissione il potere di adottare atti delegati ai sensi dell'articolo 290 del TFUE per quanto riguarda le condizioni di riconoscimento dei gruppi di organizzazioni di produttori.

3.9

La proposta contiene inoltre specifiche disposizioni dell'UE per le organizzazioni interprofessionali che interessano tutti i comparti della filiera. Tali organizzazioni possono svolgere un ruolo utile nella ricerca, nel miglioramento della qualità e nella promozione e diffusione delle buone pratiche in materia di produzione e di trasformazione.

3.10

Si propone di applicare al settore lattiero-caseario le disposizioni vigenti per le organizzazioni interprofessionali nel settore ortofrutticolo, con le opportune modifiche.

3.11

Le organizzazioni interprofessionali contribuirebbero così a migliorare la conoscenza e la trasparenza della produzione e del mercato, in particolare grazie alla pubblicazione di dati statistici sui prezzi, sul volume e sulla durata dei contratti conclusi per la consegna di latte crudo e alla realizzazione di analisi sulle prospettive di sviluppo del mercato a livello regionale o nazionale.

3.12

La proposta conferisce alla Commissione il potere di adottare atti delegati ai sensi dell'articolo 290 del TFUE al fine di integrare o modificare determinati elementi non essenziali previsti dal regolamento. Occorre definire gli elementi per i quali può essere esercitato tale potere, nonché le condizioni cui deve essere soggetta tale delega.

3.13

Per garantire un'applicazione uniforme, in tutti gli Stati membri, delle misure stabilite dal regolamento, occorre conferire alla Commissione il potere di adottare atti di esecuzione ai sensi dell'articolo 291 del TFUE.

4.   Osservazioni generali

4.1

La proposta mira a rafforzare la posizione dei produttori nella filiera lattiero-casearia e a preparare il settore ad un futuro più orientato al mercato e più sostenibile.

4.2

Essa introduce contratti scritti tra le aziende di produzione di latte e quelle di trasformazione, prevede la possibilità che le organizzazioni di produttori negozino collettivamente i termini dei contratti in modo da riequilibrare i poteri contrattuali tra i produttori e le principali imprese di trasformazione, e stabilisce specifiche disposizioni dell'UE per le organizzazioni interprofessionali, nonché misure rivolte ad accrescere la trasparenza del mercato. Le misure proposte dovrebbero rimanere in vigore fino al 2020, con due revisioni intermedie. Grazie ad opportuni limiti quantitativi per le contrattazioni collettive e ad altre specifiche misure di salvaguardia si dovrebbe realizzare l'obiettivo di rafforzare il potere contrattuale dei produttori di latte tutelando al tempo stesso la concorrenza e gli interessi delle PMI.

4.3

Ciascuno Stato membro può stabilire il proprio approccio in materia di relazioni contrattuali. Ciascuno Stato membro è libero di stabilire, nell'ambito del proprio diritto contrattuale, se rendere obbligatorio il ricorso a contratti tra produttori e imprese di trasformazione. Vista la diversità delle situazioni esistenti nell'Unione a tale riguardo, ai fini della sussidiarietà è opportuno che una decisione del genere rimanga di competenza degli Stati membri.

4.4

Il CESE riconosce l'esigenza di rafforzare il potere contrattuale dei produttori, ma osserva che bisogna anche tenere conto delle differenti situazioni e caratteristiche nazionali.

4.5

Il CESE ritiene che la delega relativa agli atti delegati debba essere conferita per un periodo stabilito (mandato). Inoltre, il ricorso agli atti delegati dovrebbe essere limitato alle materie in merito alle quali occorre decidere rapidamente.

4.6

Nei casi in cui sarebbe meglio che gli Stati membri armonizzino la loro attuazione, si dovrebbe ricorrere ad atti di esecuzione.

4.7

Il CESE crede fermamente nella consultazione delle parti in causa durante la fase preparatoria della legislazione dell'UE. È quindi importante che, nel quadro degli sforzi rivolti a regolare un mercato volatile come quello lattiero-caseario, vengano consultati gli esperti degli Stati membri. A tale proposito, è molto importante fare in modo che tale volatilità non arrechi danni irreversibili ai produttori lattiero-caseari dell'Unione. In questo contesto, è chiaro che bisognerà considerare una ripartizione più trasparente ed equa del valore aggiunto tra i soggetti di mercato e in particolare l'esigenza di garantire ai produttori un potere contrattuale maggiore.

4.8

In alcuni Stati membri sono attualmente presenti organizzazioni interprofessionali, che svolgono il loro ruolo nel rispetto della normativa dell'Unione. La loro efficienza è limitata dagli squilibri della filiera lattiero-casearia.

4.9

È chiaro tuttavia che le proposte della Commissione non risolverebbero tutti i problemi del mercato del latte e non sono applicabili alle cooperative, dalle quali proviene circa il 58 % del latte prodotto. Il CESE si rammarica che le proposte in esame non includano né l'industria lattiero-casearia, né la grande distribuzione, sebbene entrambe svolgano un ruolo determinante per l'equilibrio del mercato lattiero-caseario e la formazione dei prezzi.

4.10

Il CESE ritiene che, in base alla struttura del settore lattiero-caseario a livello nazionale e soprattutto negli Stati membri più piccoli, i limiti previsti potrebbero rivelarsi troppo restrittivi. Il CESE invita la Commissione europea a permettere, in casi eccezionali, il raggruppamento di tutti i produttori che riforniscono una stessa latteria, consentendo la costituzione di raggruppamenti di produttori in base alle dimensioni dell'acquirente.

4.11

Poiché la Commissione prevede di cedere la responsabilità di gestire la produzione di latte agli operatori del settore, è essenziale che questi ultimi dispongano di informazioni quanto più possibile complete e aggiornate sugli sviluppi del mercato, il quale a sua volta deve essere trasparente. Il CESE considera quindi fondamentale che venga istituito a livello europeo un efficace strumento di monitoraggio, come presupposto di un adeguato grado di orientamento della produzione.

4.12

Infine le nuove circostanze rendono essenziale mantenere degli strumenti di gestione del mercato (ad esempio: interventi, ammasso privato, restituzioni all'esportazione), che devono essere da un lato efficaci e dall'altro rapidi e di facile applicazione.

5.   Osservazioni particolari

5.1

Il CESE riconosce lo speciale sforzo compiuto dalla Commissione con la presentazione al Parlamento europeo e al Consiglio della proposta di regolamento recante modifica al regolamento (CE) n. 1234/2007 per quanto riguarda i rapporti contrattuali nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari. Considera tale presentazione utile e tempestiva, nella prospettiva di far fronte alle principali sfide che incombono su questo specifico settore agricolo.

5.2

Il Comitato sottolinea tuttavia che la proposta non sarà in grado di risolvere tutti i problemi del settore. Per rendere ancora più regolare il funzionamento dell'intera filiera lattiero-casearia (produttori - aziende di trasformazione - distributori - dettaglianti) occorrerebbe garantirne la trasparenza mediante un'azione di monitoraggio.

5.3

Per il successo del settore lattiero-caseario al di là del 2015 occorrerà una produzione di latte molto efficiente da parte di unità della giusta dimensione economica, e un capitale umano di livello elevato. È quindi necessario proseguire gli sforzi di ristrutturazione, sia nelle aziende agricole che nelle latterie. Per i produttori è essenziale avere accesso a latterie funzionali, competitive e innovative, in grado di sfruttare al meglio le opportunità di mercato. Bisogna dedicare particolare attenzione alle zone svantaggiate, nelle quali le latterie devono spesso far fronte a circostanze geografiche meno favorevoli e sono quindi comparativamente sfavorite. In tale contesto occorre insistere su una produzione regionale trasparente ed efficiente, che garantisca un impatto ambientale contenuto, l'informazione dei consumatori e la qualità, riducendo il numero di intermediari. Il settore lattiero-caseario, nel complesso, dovrebbe concentrarsi sulla realizzazione di prodotti di alta qualità e con un elevato valore aggiunto, per i quali esistono un mercato interno in crescita e buone opportunità di esportazione.

5.4

Il CESE ritiene che gli Stati membri interessati possano emanare dei regolamenti per migliorare e stabilizzare il funzionamento del mercato dei prodotti lattiero-caseari commercializzati con le diciture di «denominazione d'origine protetta» o «indicazione geografica protetta» ai sensi del regolamento (CE) n. 510/2006.

5.5

Tra i settori lattiero-caseari degli Stati membri ci sono differenze maggiori di quelle che caratterizzano altri settori agricoli dell'UE, pertanto ci dovrebbe essere una maggiore flessibilità nell'attuazione delle politiche dell'UE. Il CESE prevede che sarà necessario attuare misure specifiche destinate alle aziende di produzione e di trasformazione del latte allo scopo di ristrutturare e modernizzare il settore lattiero-caseario negli Stati membri.

5.6

Il CESE invita la Commissione a reagire alle crisi con maggiore rapidità e flessibilità. Nel 2011 il mercato lattiero-caseario è estremamente volatile, in conseguenza delle sfide climatiche, ed è possibile che si ripeta il ciclo di crisi del periodo 2007-2009. Il CESE chiede pertanto che la Commissione prosegua il lavoro di monitoraggio delle dinamiche in corso nel settore lattiero-caseario al fine di prevenire, nella misura del possibile, una futura e devastante crisi di questa industria.

Bruxelles, 4 maggio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


23.7.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 218/114


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sui regimi di qualità dei prodotti agricoli

COM(2010) 733 definitivo — 2010/0353 (COD)

2011/C 218/22

Relatore: José María ESPUNY MOYANO

Il Parlamento europeo e il Consiglio, rispettivamente in data 18 e 27 gennaio 2011, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 43, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sui regimi di qualità dei prodotti agricoli

COM(2010) 733 definitivo — 2010/0353 (COD).

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 aprile 2011.

Alla sua 471a sessione plenaria, dei giorni 4 e 5 maggio 2011 (seduta del 5 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 82 voti favorevoli e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) appoggia l'iniziativa della Commissione europea di raccogliere nel pacchetto qualità tutta la normativa europea sulla qualità dei prodotti agricoli. In questo modo si ottiene una politica globale più coerente in questa materia e si contribuisce a compiere un primo passo verso la costruzione di un settore agroalimentare europeo più forte e dinamico. Il Comitato sostiene che è importante accrescere la qualità e il valore aggiunto dei prodotti europei e ampliare le informazioni fornite al consumatore, migliorando gli strumenti e le disposizioni dell'Unione in questo campo.

1.2   Il CESE valuta positivamente i regimi di qualità esistenti a livello dell'UE (denominazione di origine protetta, indicazione geografica protetta e specialità tradizionale garantita) e riconosce che rappresentano delle iniziative eccellenti per promuovere i prodotti europei. Il fatto che determinati prodotti beneficino di queste certificazioni conferisce, secondo il CESE, un valore reale alla loro zona di produzione, all'agricoltore e al produttore, recando vantaggio anche al consumatore finale. Inoltre, il CESE condivide il punto di vista della Commissione secondo il quale tali regimi di qualità contribuiscono alla politica di sviluppo rurale. Ciononostante, il CESE desidera ricordare che è importante che il riconoscimento della qualità dei prodotti europei e del loro modello di produzione avvenga non solo nel mercato interno, ma anche - e soprattutto - nel mercato esterno; considera altresì importante che tale qualità venga promossa e chiede rigore nel riconoscimento e nel controllo della commercializzazione dei prodotti agroalimentari a tutti i livelli (1).

1.3   Il CESE esprime soddisfazione per il mantenimento della differenziazione tra il regime di qualità della denominazione di origine protetta (DOP) e quello dell'indicazione geografica protetta (IGP), sebbene ritenga che le definizioni proposte siano meno chiare di quelle incluse nel regolamento (CE) n. 510/2006. D'altro canto, deplora che il nuovo testo non distingua le tre fasi produttive (produzione dell'agricoltura o dell'allevamento - trasformazione - condizionamento) e faccia riferimento unicamente alla fase di produzione.

1.4   Per quel che concerne i requisiti per la certificazione di un prodotto come specialità tradizionale garantita (STG), il CESE ritiene che la tradizione di un determinato prodotto debba essere associata, oltre che a un arco di tempo come stabilito nella proposta, ad altri parametri, come le caratteristiche peculiari della materia prima, del modo di produzione o di trasformazione, la cultura della zona, nonché altre qualità e altri fattori. Inoltre le STG sono in continua evoluzione; pertanto il CESE non condivide l'idea che il numero di anni sia il parametro fondamentale per poter includere un prodotto in questa categoria.

1.5   Il CESE ritiene che limitare il regime delle STG alle sole registrazioni con riserva di nome possa non solo ridurre significativamente il numero delle registrazioni ma anche eliminare uno strumento che premia la diversità e chi sceglie di produrre un determinato alimento nel rispetto della tradizione. A tale riguardo, il CESE propone che, allo scadere del periodo transitorio, la Commissione proponga un sistema che permetta il mantenimento delle STG registrate senza riserva di nome prima dell'entrata in vigore del presente regolamento.

1.6   Per quanto riguarda le indicazioni facoltative di qualità, il CESE invita a riconsiderare l'opzione di includere e riconoscere i prodotti di montagna (2).

1.7   In futuro il concetto di qualità dovrebbe essere concepito in modo più ampio: il consumatore dovrebbe esser messo in condizione di scegliere meglio tra diverse forme di allevamento, come già accade per le uova. Quanto suggerito dalla pubblicità presente sugli imballaggi (ad es. le immagini di mucche al pascolo o indicazioni come «latte alpino») dovrebbe corrispondere all'effettivo contenuto del prodotto. Il CESE si aspetta dalla Commissione proposte concrete in questo senso.

1.8   Il CESE esorta la Commissione a proporre le misure di monitoraggio opportune per facilitare il rispetto dei requisiti tecnici derivanti dalla partecipazione ai regimi di qualità dell'Unione.

1.9   In rapporto alle norme supplementari che la Commissione propone quale complemento dei disciplinari relativi all'uso del marchio DOP o di quello IGP, oltre che delle indicazioni facoltative di qualità, il CESE concorda nel ritenere che tali norme debbano essere adottate mediante atti delegati.

1.10   Per quanto riguarda l'indicazione del luogo di coltivazione e/o di origine dei prodotti dell'agricoltura e dell'allevamento, stabilita dalle norme di commercializzazione, il CESE invita a realizzare un'analisi dei costi e dei benefici nelle valutazioni d'impatto previste per ogni caso. D'altro canto, si sta valutando l'obbligo di indicazione dell'origine per certi prodotti agroalimentari anche nella proposta di regolamento sulla fornitura di informazioni alimentari ai consumatori, e negli ultimi documenti in materia si tiene già conto della necessità di una valutazione d'impatto caso per caso. Il CESE esorta a continuare a lavorare per definire i due pacchetti normativi e garantirne la coerenza, in modo da evitare una loro possibile sovrapposizione.

1.11   In rapporto agli orientamenti sull'etichettatura dei prodotti alimentari che utilizzano come ingredienti prodotti a denominazione di origine protetta (DOP) o a indicazione geografica protetta (IGP), nonché agli orientamenti sulle migliori pratiche riguardo ai regimi facoltativi di certificazione, il CESE sottolinea l'importanza di queste iniziative e invita a promuoverne il rispetto.

2.   Sintesi della comunicazione

2.1   Il pacchetto qualità ha l'obiettivo di migliorare sia le disposizioni dell'Unione europea relative alla qualità dei prodotti agricoli che il funzionamento dei regimi di certificazione nazionali e privati, allo scopo di renderli più semplici, trasparenti e facili da capire, più adattabili all'innovazione e meno gravosi per i produttori e per le amministrazioni.

2.2   Nel 2009 la Commissione ha pubblicato la comunicazione sulla politica di qualità dei prodotti agricoli (COM(2009) 234 definitivo) i cui orientamenti strategici erano:

migliorare la comunicazione tra produttori, acquirenti e consumatori sulle qualità dei prodotti agricoli,

rendere più coerenti gli strumenti utilizzati nella politica di qualità dei prodotti agricoli dell'Unione europea,

ridurre il livello di complessità per rendere più facile, per gli agricoltori, i produttori e i consumatori, l'utilizzo e la comprensione dei diversi regimi e dei requisiti di etichettatura.

2.3   Il pacchetto qualità comprende:

2.3.1

una proposta di regolamento tesa a semplificare la gestione dei regimi di qualità riunendo questi ultimi in un unico strumento normativo. Questo regolamento garantisce la coerenza tra i diversi strumenti e rende i regimi di più facile comprensione per le parti interessate;

2.3.2

una proposta di regolamento sulle norme di commercializzazione tesa ad aumentare la trasparenza e a semplificare le procedure applicabili;

2.3.3

orientamenti che stabiliscono le migliori pratiche riguardo ai regimi facoltativi di certificazione per i prodotti agricoli e alimentari;

2.3.4

orientamenti sull'etichettatura dei prodotti alimentari che utilizzano come ingredienti prodotti a denominazione di origine protetta (DOP) o a indicazione geografica protetta (IGP).

2.4   Denominazioni di origine e indicazioni geografiche

La proposta mantiene e rafforza il regime di qualità dei prodotti agricoli e alimentari senza pregiudizio dei regimi che regolano le indicazioni geografiche dei vini, delle bevande aromatizzate e di quelle alcoliche. Inoltre, l'attuale procedura di registrazione anticipa le scadenze previste, introduce una serie di norme minime comuni sui controlli ufficiali e mantiene il campo di applicazione del regolamento (prodotti destinati al consumo umano e altri prodotti).

2.5   Specialità tradizionali garantite

Viene mantenuto il regime della riserva d'uso, ma è eliminata la possibilità di registrare denominazioni senza riserva d'uso. Viene semplificato il regime di registrazione, il criterio della tradizione è esteso a 50 anni e il regime è limitato ai piatti pronti e ai prodotti trasformati.

2.6   Indicazioni facoltative di qualità

La proposta è tesa ad includere le indicazioni facoltative di qualità nel regolamento, in quanto presentano attributi che implicano valore aggiunto, e a sostenere alcune specifiche norme di commercializzazione (carni di volatili da cortile allevati in libertà, miele di origine floreale, olio di oliva di prima spremitura a freddo), con un adattamento al quadro legislativo del Trattato sul funzionamento dell'UE.

2.7   Norme di commercializzazione

La proposta prevede, come regola generale, che la Commissione adotti le norme di commercializzazione attraverso atti delegati. Viene stabilita, per tutti i settori, una base giuridica che obbligherà a indicare nell'etichetta il luogo di produzione, conformemente alla specificità di ogni settore. Verrà condotto uno studio caso per caso, a cominciare dal settore del latte.

2.8   Principio di sussidiarietà

Verranno introdotte disposizioni con lo scopo di garantire che le denominazioni e le indicazioni che comprovano il valore aggiunto dei regimi godano dello stesso livello di protezione in tutti gli Stati membri dell'UE, per evitare di indurre in errore il consumatore o di ostacolare il commercio all'interno dell'Unione. La determinazione efficiente ed efficace dei relativi diritti sarà realizzata a livello dell'UE, mentre l'inoltro e l'esame delle richieste saranno effettuati a livello nazionale, dove possono essere trattate con maggiore efficienza ed efficacia.

2.9   Principio di proporzionalità

Allo scopo di garantire la credibilità dei regimi di qualità e l'effettivo rispetto delle relative condizioni, i produttori devono impegnarsi a farsi carico degli oneri e dell'obbligo di qualità di tali regimi e, al tempo stesso, avranno diritto ad accedere al regime che desiderano. Queste condizioni di partecipazione e di controllo saranno proporzionali alla garanzia, per assicurare la qualità corrispondente.

3.   Osservazioni generali

3.1   Il pacchetto qualità stabilisce per la prima volta una politica globale per i regimi dell'UE e per le indicazioni di qualità che implicano un valore aggiunto dei prodotti agricoli, oltre alle norme di commercializzazione. Esso include anche due orientamenti sui regimi facoltativi di certificazione e sull'utilizzo di prodotti a denominazione di origine protetta (DOP) o a indicazione geografica protetta (IGP) come ingredienti. Il CESE esprime apprezzamento per gli sforzi compiuti dalla Commissione negli ultimi tre anni per creare questo ambizioso regime unico a partire dai numerosi testi legislativi esistenti, che erano stati elaborati, settore per settore, in modo frammentario.

3.2   La Commissione sostiene che il punto di forza della produzione agroalimentare europea risiede nella sua diversità, nelle conoscenze specialistiche dei produttori, nonché nella terra e nei territori di produzione. Il CESE esprime compiacimento per questa considerazione. Inoltre appoggia l'idea che i regimi di qualità dell'UE promuovano la diversificazione della produzione, tutelino contro l'uso scorretto o l'imitazione dei prodotti e aiutino i consumatori a conoscere le proprietà e gli attributi dei prodotti. Il CESE sostiene l'approccio secondo il quale i diversi regimi di qualità rappresentano delle eccellenti iniziative per promuovere i prodotti europei. Tuttavia ricorda che è importante che il riconoscimento delle qualità di questi prodotti avvenga a livello internazionale. Affinché l'agricoltura e l'industria di trasformazione alimentare europee possano essere mantenute e sviluppate non è sufficiente una sensibilizzazione alla qualità europea nel mercato interno, ma è necessario anche promuoverla in altri mercati. In quest'ottica, il CESE sottolinea l'importanza di difendere il modello di produzione europeo e la necessità di una parità di condizioni nella commercializzazione dei prodotti dell'UE e di quelli provenienti da paesi terzi per quel che concerne la qualità, la salute, l'ambiente e il benessere degli animali, come ha già riconosciuto la presidenza del Consiglio nelle sue conclusioni sulla comunicazione della Commissione europea La PAC verso il 2020.

3.3   I regimi di qualità dei prodotti agricoli conferiscono un valore aggiunto alla regione in cui questi prodotti sono coltivati e contribuiscono alla sfida per il mantenimento della diversità e l'aumento della competitività delle attività agricole e di trasformazione. In questo modo promuovono il raggiungimento degli obiettivi delle politiche di sviluppo rurale, un aspetto di cui tiene conto la comunicazione della Commissione La PAC verso il 2020 (COM(2010) 672 definitivo). Il CESE ritiene meritevole di plauso questa coerenza tra le due politiche e raccomanda che il regolamento in esame sui regimi di qualità dei prodotti agricoli sia in linea anche con le priorità di altre politiche, ad esempio la strategia Europa 2020 (creazione di valore, stimolo dell'innovazione, miglioramento della competitività della produzione, rispetto dell'ambiente, utilizzo efficiente delle risorse, ecc.). Al tempo stesso, raccomanda che il regolamento sia in sintonia con le sfide del mercato unico (crescita forte, sostenibile ed equa delle imprese e miglior funzionamento del mercato interno), oltre che con gli obiettivi delle politiche in materia di protezione e informazione dei consumatori, concorrenza e mercato estero.

3.4   Per quanto concerne gli orientamenti sull'etichettatura dei prodotti alimentari che utilizzano come ingredienti prodotti a denominazione di origine protetta (DOP) o a indicazione geografica protetta (IGP) (2010/C 341/03, GU C 341 del 16.12.2010, pag. 3), il CESE sottolinea l'importanza di questa iniziativa e invita a promuoverne il rispetto.

3.5   Il CESE accoglie inoltre con soddisfazione la proposta della Commissione in merito agli orientamenti sulle migliori pratiche riguardo ai regimi facoltativi di certificazione (2010/C 341/04, GU C 341 del 16.12.2010, pag. 5). In questi ultimi anni si è registrata una crescita della vendita di prodotti agricoli con etichette non regolamentari e ciò ha portato a prendere in esame requisiti etici, sociali e ambientali. Al tempo stesso, come indica la Commissione, è necessario aumentare l'affidabilità, la trasparenza e la chiarezza negli accordi della catena di approvvigionamento. Il CESE ha invitato la Commissione a elaborare questi orientamenti (3) e per tale motivo esorta tutte le organizzazioni che attualmente operano con sistemi di certificazione per i prodotti agricoli a rivedere le loro procedure per raggiungere un alto grado di conformità con gli orientamenti sulle migliori pratiche.

4.   Osservazioni specifiche

4.1   Denominazioni di origine protetta (DOP) e indicazioni geografiche protette (IGP)

4.1.1   Il CESE rileva con soddisfazione che sono stati salvaguardati questi due regimi di qualità, ma deplora che non sia stato mantenuto il riferimento alle tre fasi di produzione (produzione dell'agricoltura o dell'allevamento - trasformazione - condizionamento) nella nuova proposta di definizione.

4.1.2   Il CESE riconosce il contributo di questi prodotti agricoli al mantenimento dei metodi tradizionali di produzione, nonché alla salvaguardia dell'ambiente, cosa che va a beneficio non solo dei produttori e trasformatori ma anche dei consumatori. Il riconoscimento di questi sistemi di qualità contribuisce inoltre allo sviluppo rurale dell'area interessata, trattenendo la popolazione nel territorio, migliorandone condizioni e qualità di vita, consolidando e favorendo le opportunità di occupazione e l'attività imprenditoriale, oltre a promuovere un utilizzo proficuo delle risorse naturali.

4.1.3   Per poter utilizzare il marchio DOP o quello IGP, i produttori devono rispettare un disciplinare. Secondo quanto stabilito nella proposta, e per garantire che tale disciplinare contenga informazioni concise e pertinenti, la Commissione potrà aggiungere norme supplementari mediante atti delegati. Per quanto riguarda le indicazioni geografiche protette, il CESE si dice dell'avviso che qualora il luogo di produzione del prodotto agricolo impiegato sia diverso da quello di origine dell'alimento trasformato, questo debba essere indicato in etichetta.

4.1.4   Il CESE appoggia e sostiene l'idea che siano gli Stati membri a dover agire, per via amministrativa o giudiziaria, per prevenire o evitare qualsiasi uso illegale dei marchi DOP o IGP, anche su richiesta di un gruppo di produttori.

4.2   Specialità tradizionali garantite

4.2.1   Il CESE valuta positivamente che le specialità tradizionali garantite (STG) siano state mantenute come uno dei regimi di qualità di certi prodotti, in quanto esse rappresentano l'unica forma di riconoscimento dei prodotti originari e tradizionali di uno Stato membro.

4.2.2   Per quel che concerne i requisiti per la certificazione di un prodotto come specialità tradizionale garantita (STG), il CESE ritiene che limitare il regime delle STG alle sole registrazioni con riserva di nome possa non solo ridurre significativamente il numero delle registrazioni ma anche eliminare uno strumento che premia la diversità e chi sceglie di produrre un determinato alimento nel rispetto della tradizione. A tale riguardo, il CESE propone che, allo scadere del periodo transitorio, la Commissione proponga un sistema che permetta il mantenimento delle STG registrate senza riserva di nome prima dell'entrata in vigore del presente regolamento. D'altro canto la tradizione di un determinato prodotto dev'essere associata, oltre a un arco di tempo, come stabilito nella proposta, ad altri parametri, come le caratteristiche peculiari della materia prima, del modo di produzione o di trasformazione, la cultura della zona, nonché altre qualità e altri fattori. Il CESE propone pertanto che, per identificare un prodotto come STG, l'unico parametro applicabile non sia quello di un numero determinato di anni.

4.3   Indicazioni e simboli del regime di qualità e ruolo dei produttori

4.3.1   Lo proposta di regolamento stabilisce che i gruppi di produttori possono contribuire a garantire la qualità dei loro prodotti sul mercato, realizzare attività di informazione e promozione, garantire la conformità dei prodotti al relativo disciplinare e adottare misure che permettano di migliorare il funzionamento dei regimi. Il CESE esprime sostegno ed apprezzamento per questo miglioramento nel regime, che rafforza e chiarisce il ruolo di questi gruppi, ed è favorevole a un maggiore coinvolgimento dei gruppi sia per quanto riguarda la gestione dell'offerta sul mercato sia per quanto attiene all'utilizzo delle DOP ed IGP quali ingredienti. Ciononostante chiede che questa facoltà non vada contro le disposizioni specifiche che il regolamento (CE) n. 1234/2007 stabilisce per le organizzazioni di produttori e le organizzazioni interprofessionali. D'altro canto, il CESE esprime soddisfazione per il fatto che gli operatori che preparano, immagazzinano o commercializzano DOP, IGP o STG siano soggetti a un controllo ufficiale.

4.4   Ulteriori indicazioni per una più ampia politica della qualità

4.4.1   Il CESE ritiene che in futuro, in tema di qualità, dovrebbero anche essere formulate dichiarazioni più concrete, ad es. per quanto riguarda le condizioni in cui sono tenuti gli animali (allevamento all'aperto, su strame ecc.). Questo tipo di differenziazione appare opportuna affinché il consumatore possa distinguere meglio tra forme di produzione diverse, e appare necessario anche per distinguere le modalità della produzione industriale da quelle della produzione contadina. Come esempio positivo in proposito si può citare l'etichettatura delle uova, già realizzata: la Commissione è invitata ad elaborare proposte anche per gli altri tipi di allevamento.

4.4.2   Oggi inoltre è consentito apporre sugli imballaggi indicazioni tali da suggerire un certo tipo di qualità senza che questa si debba effettivamente ritrovare nel prodotto. Ad esempio, sulle confezioni del latte vengono mostrate immagini di mucche al pascolo senza alcuna garanzia che il latte sia stato prodotto davvero da bovini allevati all'aperto; ancora, il prodotto può essere commercializzato come latte alpino anche se viene, ad esempio, dall'Ungheria anziché dalle Alpi. Lo stesso accade per il prosciutto della Foresta nera, nonostante che in tale regione si svolga praticamente solo il processo di affumicatura, e non la produzione della carne. Il CESE considera tali pratiche ingannevoli, in quanto fanno pensare a una qualità che effettivamente non esiste, traendo così in inganno il consumatore. Il CESE vorrebbe vedere nelle proposte della Commissione indicazioni chiare quanto al modo di arrestare tali pratiche.

4.5   Procedura di domanda e di registrazione

4.5.1   La Commissione presenta alcune proposte tese ad abbreviare la procedura di registrazione e il CESE è favorevole, in quanto esse possono produrre certi miglioramenti. Ciononostante, in rapporto alla soppressione della pubblicazione mensile delle domande, il CESE invita a prendere in considerazione il mantenimento di tale pubblicazione mensile, allo scopo di facilitare il monitoraggio di tali domande, tenuto altresì conto della proposta di ridurre il periodo previsto per l'opposizione a soli due mesi.

4.5.2   D'altro canto, per quanto riguarda la garanzia che le denominazioni generiche non possano essere registrate come DOP o IGP, il CESE ritiene che la proposta dovrebbe essere rafforzata con un'adeguata valutazione a livello nazionale ed europeo.

Bruxelles, 5 maggio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU C 18 del 19.1.2011, pag. 1, Rafforzare il modello agroalimentare europeo e GU C 18 del 19.1.2011, pag. 5, Il modello agricolo comunitario: qualità della produzione e comunicazione ai consumatori come elementi di competitività.

(2)  GU C 120 del 16.5.2008, pag. 47, Le prospettive dell'agricoltura nelle aree con svantaggi naturali specifici (regioni montane, insulari e ultraperiferiche).

(3)  GU C 28 del 3.2.2006, pag. 72, Commercio etico e programmi di garanzia per i consumatori.


23.7.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 218/118


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1234/2007 del Consiglio in ordine alle norme di commercializzazione

COM(2010) 738 definitivo — 2010/0354 (COD)

2011/C 218/23

Relatore: Antonio POLICA

Il Parlamento europeo, in data 27 gennaio 2011, e il Consiglio, in data 18 gennaio 2011, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 43, paragrafo 2, e per il titolo II anche dell'articolo 118, primo comma, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1234/2007 del Consiglio in ordine alle norme di commercializzazione

COM(2010) 738 definitivo — 2010/0354 (COD).

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 aprile 2011.

Alla sua 471a sessione plenaria, dei giorni 4 e 5 maggio 2011 (seduta del 4 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 152 voti favorevoli, 5 voti contrari e 10 astensioni.

1.   Sintesi delle osservazioni e raccomandazioni del Comitato

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) valuta positivamente la proposta della Commissione volta a istituire una politica di qualità dei prodotti agricoli coerente e finalizzata ad aiutare gli agricoltori a comunicare meglio le qualità, le caratteristiche e le proprietà dei loro prodotti e a garantire un'adeguata informazione dei consumatori. Inoltre il Comitato è convinto che il pacchetto qualità possa contribuire ad aumentare le opportunità d'occupazione e d'impresa nelle zone rurali contrastandone lo spopolamento, contribuendo al mantenimento delle specificità culturali, al miglioramento del rapporto tra uomo e ambiente e a una più corretta gestione delle risorse naturali.

1.2   Il Comitato è favorevole al miglioramento dei sistemi di specificità agroalimentare (denominazioni d'origine, indicazioni geografiche protette, specialità tradizionali garantite), in modo da semplificarne e razionalizzarne i requisiti rafforzandone il modello. Il Comitato auspica, altresì, che ne sia rafforzata la tutela contro le pratiche commerciali sleali e ritiene che l'applicazione generalizzata di norme di commercializzazione possa contribuire a questo miglioramento.

1.3   Il CESE, come evidenziato anche in precedenti pareri (1), ritiene che la tracciabilità, intesa come possibilità di seguire un prodotto nella filiera dalla produzione alla vendita, sia un importante strumento in grado di permettere un'efficace attuazione di tutte le indicazioni che si adotteranno una volta introdotte specifiche norme di commercializzazione. Non si ritengono sufficienti le sole indicazioni evidenziate in etichetta, ma dovrà essere garantita la possibilità di un riscontro oggettivo di quanto in esse è riportato.

1.4   Oltre a garantire la veridicità delle informazioni, attraverso efficaci strumenti di tracciabilità, occorre anche aumentarne ed implementarne l'efficacia, trasferendo sull'etichetta informazioni chiare, complete e comprensibili, trovando il giusto equilibrio tra il diritto alla completa informazione del consumatore e la materiale leggibilità, dovuta alle dimensioni dei caratteri di stampa, evitando un eccesso di complessità, tecnicismo o lunghezza che potrebbe disorientarlo o dissuaderlo dalla lettura.

1.5   Per garantire l'adeguatezza e l'efficacia dei controlli, si raccomanda che anche le fatture e in generale tutta la documentazione che accompagna i prodotti, rechi le informazioni di base contenute nelle norme di commercializzazione dello specifico settore o prodotto. Particolare attenzione deve essere prestata ai prodotti di paesi terzi importati nell'Unione, al fine di contrastare e scoraggiare pratiche commerciali sleali (2).

1.6   La rete di controlli, necessari per verificare la conformità dei prodotti alle disposizioni stabilite e da stabilire e per applicare le sanzioni amministrative appropriate nel caso di violazioni alle norme di commercializzazione, dovrebbe essere accompagnata da sforzi e iniziative per responsabilizzare maggiormente i soggetti del settore e rafforzare una sempre più generalizzata cultura del rispetto delle regole.

1.7   Il Comitato comprende che la previsione di utilizzare lo strumento degli atti delegati per disciplinare la materia delle norme di commercializzazione è coerente con l'approccio di semplificazione normativa introdotto nel Trattato di Lisbona, conforme a quanto previsto dall'articolo 290 del TFUE e in linea con l'approccio adottato fin qui dalla Commissione e accettato in situazioni analoghe dal Comitato (3). Si raccomanda, tuttavia, un uso attento di detto strumento, che, se non accompagnato dalla necessaria selettività e specificità, potrebbe portare turbativa ai settori già adesso disciplinati da precise norme di commercializzazione, primo tra tutti quello dei «prodotti ortofrutticoli allo stato fresco» (4).

1.8   Per quanto attiene alle informazioni da riportare obbligatoriamente in etichetta, è sicuramente positiva l'introduzione di una base giuridica che imponga l'obbligo, in tutti i settori, di indicare il «luogo di produzione» (5), rispondendo alle aspettative di trasparenza e informazione dei consumatori, evitando così altri riferimenti potenzialmente fuorvianti. Per contro, appare poco coerente la previsione di un «livello geografico adeguato» da determinare caso per caso. Sarebbe preferibile, piuttosto, come in parte già auspicato in passato dal Comitato (6), riportare in etichetta il «luogo di produzione» inteso come il luogo di coltivazione o allevamento, ossia il paese dal quale proviene il prodotto agricolo non trasformato o utilizzato nella preparazione di un alimento.

1.9   Il Parlamento ed il Consiglio hanno chiaramente espresso la volontà di regolamentare e dare protezione normativa ai prodotti fondamentali per l'alimentazione dei cittadini europei: a questo proposito l'Unione ha già fatto molto in passato e possiede le più ampie competenze tecnico/giuridiche per poterlo fare ancora. In particolare, il Comitato è contrario all'adeguamento automatico a norme di commercializzazione pertinenti adottate da organizzazioni internazionali (7) senza una preventiva analisi e valutazione al fine di stabilirne l'efficacia e la coerenza con il nuovo quadro normativo.

1.10   Il Comitato condivide il principio di proporzionalità contenuto nei principi giuridici della proposta, ma è preoccupato che la sua applicazione, nell'ambito delle indicazioni facoltative di qualità, possa introdurre controlli meno vincolanti e portare ad un decadimento del livello di osservanza delle norme stesse. L'obiettivo da perseguire dovrebbe essere quello di semplificare e ridurre la burocrazia, mantenendo al tempo stesso un adeguato sistema di controlli a tutela dei consumatori.

1.11   Le misure contenute nella proposta avrebbero un'efficacia maggiore se fossero oggetto di ampia divulgazione, rivolta ai consumatori direttamente e attraverso le loro associazioni di categoria. I mass media, infatti, sono ampiamente utilizzati per stimolare le vendite, ma non a sufficienza per rendere i cittadini dell'Unione più informati sulle norme che li tutelano e più consapevoli delle loro scelte al momento dell'acquisto.

2.   Introduzione - Il documento della Commissione

2.1   Il pacchetto qualità ha l'obiettivo di migliorare sia le disposizioni dell'Unione europea relative alla qualità dei prodotti agricoli che il funzionamento dei regimi di certificazione nazionali e privati, allo scopo di renderli più semplici, trasparenti e facili da capire, più adattabili all'innovazione e meno gravosi per i produttori e per le amministrazioni.

2.1.1   Il pacchetto qualità si articola in sintonia con le altre politiche dell'Unione. La recente comunicazione della Commissione sulla PAC dopo il 2013 ha, infatti, individuato, tra le altre, l'esigenza di mantenere la diversificazione delle attività agricole nelle zone rurali e di rafforzare la competitività. Anche la comunicazione Europa 2020: strategia per una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva, nel delineare le priorità dell'Unione, evidenzia come strategico l'obiettivo di promuovere una maggior competitività dell'economia, tenuto conto che la competitività dell'agricoltura europea ha nella qualità uno dei suoi punti di forza.

2.2   Nel 2009 la Commissione ha pubblicato la comunicazione sulla politica di qualità dei prodotti agricoli (COM(2009) 234 definitivo), i cui orientamenti strategici erano:

migliorare la comunicazione tra produttori, acquirenti e consumatori sulle qualità dei prodotti agricoli,

rendere più coerenti gli strumenti utilizzati nella politica di qualità dei prodotti agricoli dell'Unione europea,

ridurre il livello di complessità per rendere più facile, per gli agricoltori, i produttori e i consumatori, l'utilizzo e la comprensione dei diversi regimi e dei requisiti di etichettatura.

2.3   Il pacchetto qualità comprende:

2.3.1

una proposta di regolamento tesa a semplificare la gestione dei regimi di qualità riunendoli in un unico strumento normativo. Questo regolamento garantisce la coerenza tra i diversi strumenti e rende i regimi di più facile comprensione per le parti interessate;

2.3.2

una proposta di regolamento sulle norme di commercializzazione tesa ad aumentare la trasparenza e a semplificare le procedure applicabili;

2.3.3

orientamenti che stabiliscono le buone pratiche per l'elaborazione e il funzionamento dei regimi di certificazione relativi ai prodotti agricoli e alimentari;

2.3.4

orientamenti sull'etichettatura dei prodotti alimentari ottenuti da ingredienti a denominazione di origine protetta (DOP) e a indicazione geografica protetta (IGP).

2.4   Denominazioni di origine e indicazioni geografiche:

la proposta mantiene e rafforza il regime di qualità dei prodotti agricoli e alimentari, ad esclusione dei regimi che regolano le indicazioni geografiche dei vini, delle bevande aromatizzate e di quelle alcoliche. Inoltre, l'attuale procedura di registrazione anticipa le scadenze previste, introduce una serie di norme minime comuni sui controlli ufficiali e mantiene il campo di applicazione del regolamento (prodotti destinati al consumo umano e altri prodotti).

2.5   Specialità tradizionali garantite:

viene mantenuto il regime della riserva d'uso, ma è eliminata la possibilità di registrare denominazioni senza riserva d'uso. Viene semplificato il regime di registrazione, il criterio della tradizione è esteso a 50 anni e il regime è limitato ai piatti pronti e ai prodotti trasformati.

2.6   Indicazioni facoltative di qualità:

la proposta è tesa ad includere le indicazioni facoltative di qualità nel regolamento, in quanto presentano attributi che implicano valore aggiunto, e a sostenere alcune specifiche norme di commercializzazione (carni di volatili da cortile allevati in libertà, miele di origine floreale, olio di oliva di prima spremitura a freddo), con un adattamento al quadro legislativo del Trattato sul funzionamento dell'UE.

2.7   Norme di commercializzazione:

la proposta prevede, come regola generale, che la Commissione adotti le norme di commercializzazione attraverso atti delegati. Viene stabilita, per tutti i settori, una base giuridica che obbligherà a indicare nell'etichetta il luogo di produzione, al livello geografico adeguato, conformemente alla specificità di ogni settore. Verrà condotto uno studio caso per caso, a cominciare dal settore del latte.

2.8   La proposta prevede di affidare la supervisione di tutti i regimi alle autorità nazionali competenti: la supervisione delle attività di controllo dei singoli Stati membri, inoltre, dovrà esercitarsi al livello più alto possibile, ovvero a livello dell'Unione, per sostenere l'affidabilità della normativa applicabile ai prodotti alimentari in tutta l'Unione europea, in linea con i principi sanciti dal suddetto regolamento.

3.   Osservazioni generali

3.1   La proposta della Commissione, volta ad offrire ai produttori gli strumenti giusti per comunicare e ai consumatori le caratteristiche e le modalità di produzione dei prodotti, tutelandoli da pratiche commerciali sleali, costituisce un passo importante in una linea di decisioni riguardanti la qualità.

3.2   La tracciabilità è uno strumento importante per seguire un prodotto nella filiera e che contribuisce, parallelamente alle informazioni riportate in etichetta, a fornire al consumatore informazioni chiare, complete e comprensibili sul prodotto commercializzato. Lo strumento della tracciabilità, quindi, sarà l'insieme di certificazioni, registrazioni e documentazione commerciale comprovanti processi e trasferimenti, custodite da tutti i soggetti della filiera ed esibite a eventuale richiesta degli organismi di controllo.

3.3   La proposta prevede che gli Stati membri procedano a controlli, in base ad un'analisi di rischio, per verificare la conformità dei prodotti alle disposizioni stabilite e da stabilire e applichino le sanzioni amministrative appropriate. Il Comitato raccomanda di favorire il mantenimento di un'efficace rete di controlli, ampliando ed implementando le competenze delle rispettive autorità di controllo nazionali che già oggi si occupano del rispetto delle norme di commercializzazione in quei settori che le prevedono.

3.4   Parallelamente all'attività di vigilanza mediante un sistema di controlli, anche mediante l'utilizzo di analisi, si raccomandano sforzi ed iniziative per responsabilizzare maggiormente i soggetti del settore e per rafforzare una sempre più generalizzata cultura del rispetto delle regole.

3.5   Per quanto riguarda i riferimenti al «luogo di produzione», da riportare obbligatoriamente in etichetta, la proposta presenta un'eccessiva genericità, prevedendo un «livello geografico adeguato» da determinare caso per caso. Infatti, se fosse mantenuto questo parametro, potrebbe verificarsi il caso limite di un alimento che in etichetta riporti solo un generico «prodotto nella UE»: il che escluderebbe la provenienza da paesi terzi, ma sicuramente non sarebbe in linea con il lodevole sforzo di informazione e trasparenza a favore dei consumatori di cui le nascenti norme di commercializzazione sono portatrici.

3.6   Il ricorso all'utilizzo generalizzato dello strumento degli atti delegati, così come contenuto nella proposta di modifica/integrazione delle norme di commercializzazione esistenti e di quelle da approvare non consente, al momento, di valutare con sufficiente grado di approfondimento la disciplina nel suo complesso. È sicuramente positivo che siano stati tracciati con precisione i contenuti generali delle future norme di commercializzazione, stabilendo fin da ora un quadro di dati, informazioni ed indicazioni omnicomprensive di tutti i processi, le manipolazioni ed i trasporti che hanno riguardato il prodotto offerto per la vendita. Tuttavia, alla valutazione sicuramente positiva sulla loro applicabilità, corroborata dalle valutazioni di impatto effettuate, non può ancora far riscontro quella sulla loro reale applicazione e soprattutto sulla loro efficacia, per categoria o per prodotto. Detta valutazione potrà essere effettuata solo dopo che le norme saranno concretamente applicate.

3.7   Le proposte incluse nel pacchetto qualità rientrano in un unico progetto di qualità integrale. Ciò significa che i vari strumenti devono essere considerati complementari tra loro e operare in piena sinergia. Sarà, pertanto, necessario vigilare che una qualsiasi modifica apportata ad uno di tali strumenti non porti ripercussioni negative o indesiderate sugli altri.

4.   Osservazioni particolari

4.1   Relativamente alla realizzazione dell'obiettivo della politica di qualità appare incoerente la previsione dell'art. 112 ter, terzo comma, che considera a priori conforme alla norma di commercializzazione generale il prodotto destinato alla commercializzazione conforme a una norma pertinente in vigore e adottata da una delle organizzazioni internazionali elencate nell'allegato XII ter. Il Comitato è pertanto contrario a tale disposizione, che non consente alcun esame effettivo della conformità sostanziale al rispetto delle norme di commercializzazione, generali e specifiche, considerate essenziali per la tutela dei cittadini europei e della concorrenza.

4.2   Le deroghe previste dall'articolo 112 duodecies non sembrano accompagnate da sufficienti spiegazioni sui motivi per i quali le autorità nazionali possono derogare o lasciare in vigore disposizioni nazionali, con particolare riferimento ai grassi da spalmare ed alle pratiche enologiche. Tuttavia, qualora la ratio sia quella di cristallizzare quanto già avviene attualmente e allo scopo di impedire il proliferare di ulteriori regimi in deroga alle nascenti norme di commercializzazione, il Comitato concorda con la scelta ma ne chiede una esplicitazione nel testo della proposta per chiarezza e a conferma di questa interpretazione.

4.3   Nella proposta del Parlamento e del Consiglio di modifica al regolamento (CE) n. 1234/2007 viene inserita la previsione che consente alla Commissione di adottare, utilizzando lo strumento normativo degli atti delegati, specifiche norme di commercializzazione per tutti i prodotti elencati nell'Allegato I della proposta stessa, oltre che per alcol etilico di produzione agricola. Si raccomanda adeguata attenzione nell'uso degli stessi, che se non accompagnati dalla necessaria specificità, potrebbero portare turbativa ai settori già adesso disciplinati da precise norme di commercializzazione, primo tra tutti quello dei «prodotti ortofrutticoli allo stato fresco».

4.4   Si evidenzia infine che, stante la complessità delle abrogazioni e sostituzioni apportate all'originario regolamento (CE) n. 1234/2007, di esse si dia evidenza con particolare precisione, facilitandone così la lettura e la comprensione agli utenti finali, primariamente produttori e consumatori e agevolandone in tal modo una corretta ed uniforme applicazione.

Bruxelles, 4 maggio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU C 18 del 19.1.2011, pagg. 5-10 Il modello agricolo comunitario: qualità della produzione e comunicazione ai consumatori come elementi di competitività.

(2)  GU C 100 del 30.4.2009, pagg. 60-64 La sicurezza sanitaria delle importazioni agricole e alimentari.

(3)  NAT/489 Sostegno allo sviluppo rurale da parte del FEASR - Sostegno diretto agli agricoltori nell'ambito della PAC.

(4)  Regolamento (CE) n. 1580/2007, così come modificato dal regolamento (CE) n. 1221/2008 della Commissione.

(5)  COM(2010) 738 definitivo — art. 112 sexies, par. 3, lettera c).

(6)  GU C 77 del 31.3.2009, pag. 81, punto 1.3 e NAT/449 punto 5.5.18 - GU C 354 del 28.12.2010, pag. 35.

(7)  COM(2010) 738 definitivo — art. 112 ter, par. 3 e allegato XII ter.


23.7.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 218/122


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 834/2007 relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici

COM(2010) 759 definitivo — 2010/0364 (COD)

2011/C 218/24

Relatore: Richard ADAMS

Il Consiglio, in data 27 gennaio 2011, e il Parlamento europeo, in data 18 gennaio 2011, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 43 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 834/2007 relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici

COM(2010) 759 definitivo — 2010/0364 (COD).

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 aprile 2011.

Alla sua 471a sessione plenaria, dei giorni 4 e 5 maggio 2011 (seduta del 4 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 156 voti favorevoli, 6 voti contrari e 10 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si compiace che la Commissione approfitti della revisione dei regolamenti interessati dall'entrata in vigore del Trattato di Lisbona al fine di inserire alcune misure di semplificazione. Tuttavia, tali misure riguardano principalmente gli aspetti amministrativi, mentre persiste la necessità di semplificare in generale i regolamenti per gli agricoltori e i produttori biologici.

1.2

Il Comitato sottolinea di aver presentato recentemente osservazioni dettagliate relative alle implicazioni dell'allineamento dei poteri delegati e delle competenze di esecuzione della Commissione nel suo parere sul tema Sostegno allo sviluppo rurale da parte del FEASR (CESE 357/2011) e in questa proposta approva l'approccio a tali poteri delineato dalla Commissione.

1.3

Il CESE ritiene che vada mantenuto il ruolo dei gruppi che forniscono consulenza alla Commissione nell'attuazione delle disposizioni, in particolare il contributo delle organizzazioni non governative e delle parti in causa.

1.4

Il CESE ritiene che il nuovo logo europeo di produzione biologica dovrebbe essere differenziato attraverso una colorazione diversa quando il luogo di origine dei prodotti non è l'UE.

2.   Contesto del parere

2.1

L'oggetto del presente parere è il documento COM(2010) 759 definitivo, una proposta di regolamento recante modifica del regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio relativo alla produzione biologica e all'etichettatura dei prodotti biologici. L'obiettivo di tale regolamento è allineare le competenze di esecuzione conferite alla Commissione dal regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio sullo stesso tema alla differenziazione tra poteri delegati e competenze di esecuzione della Commissione, introdotta dagli articoli 290 e 291 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE).

2.2

Gli articoli 290 e 291 del TFUE introducono modifiche alle procedure decisionali tra Commissione europea, Consiglio e Parlamento europeo per quanto riguarda le condizioni di attuazione degli atti legislativi dell'UE.

2.3

Il regolamento in oggetto riguarda per lo più modifiche di modesta entità al precedente regolamento, e in particolare introduce riferimenti a sette nuovi articoli (da 38 bis a 38 octies), contenenti «definizioni specifiche collegate al suo ambito d'applicazione», nel quadro dei poteri delegati.

2.4

Tra gli argomenti specifici trattati figurano le norme di produzione, come i requisiti previsti per gli operatori e l'autorizzazione di prodotti e sostanze; il logo di produzione biologica dell'UE; le questioni riguardanti i sistemi di controllo, per esempio l'audit degli organismi e delle autorità di controllo.

3.   Osservazioni particolari

3.1

Sebbene il regolamento abbia una portata limitata e sia essenzialmente di natura tecnica, per comprendere l'attuale situazione della produzione biologica nel quadro della politica agricola comune occorre una breve introduzione. La definizione di «agricoltura biologica» si è sviluppata solo quando le moderne tecniche agricole hanno iniziato a sostituire in grande misura i sistemi tradizionali. Essa viene attualmente considerata come una forma di agricoltura che ricorre principalmente alla rotazione delle colture, alla fertilizzazione mediante residui vegetali, al compostaggio e al controllo biologico dei parassiti per mantenere la produttività del terreno e tenere sotto controllo i parassiti. Tale modalità di coltivazione esclude o limita rigorosamente l'uso di fertilizzanti artificiali, di pesticidi (tra cui figurano i diserbanti, gli insetticidi e i fungicidi), i regolatori della crescita delle piante compresi gli ormoni, gli antibiotici destinati al bestiame, gli additivi alimentari e gli organismi geneticamente modificati.

3.2

I modelli di produzione biologica erano radicati nei principi ecologici, nelle tradizioni locali, regionali e nazionali e, in certa misura, nei valori filosofici. Ne sono risultati numerosi approcci differenti in Europa. Nei primi anni '70, in risposta al processo di «europeizzazione» e a un aumento dell'interesse e della domanda, le numerose organizzazioni di controllo dell'agricoltura biologica nazionali e volontarie hanno cominciato a cercare un terreno comune. Negli anni '80, in risposta alla domanda proveniente dai consumatori, dagli agricoltori, dal settore della trasformazione e da quello della vendita al dettaglio, la Commissione ha iniziato a elaborare delle regole di armonizzazione della produzione biologica nel quadro della politica agricola comune. Ne sono risultate regolamentazioni concernenti le piante (1991) (1) e il bestiame (1999) (2).

3.3

Nondimeno l'intensità dei continui cambiamenti della filosofia e dell'approccio biologici, insieme con l'entrata in scena di produttori globali, hanno richiesto un adeguamento, una modifica e uno sviluppo costanti dei regolamenti dell'UE (3). L'esempio più recente di tale sviluppo è stata l'adozione, nel 2010, di un nuovo logo europeo di produzione biologica e della relativa regolamentazione di sostegno (4).

3.4

Attualmente le disposizioni in materia di produzione biologica prevedono uno standard di base uniforme per tutti gli operatori. Con circa il 5 % della superficie coltivata dell'Unione europea destinata a tale produzione e un fatturato di 18 miliardi di euro per i prodotti provvisti di certificazione (5), si tratta di un segmento importante del mercato. Accanto all'etichetta dell'UE possono figurare marchi privati accreditati di enti nazionali di controllo riconosciuti, i quali indicano al consumatore che sono stati applicati criteri aggiuntivi. Il CESE osserva che l'attuale regolamento propone delle modifiche miranti a semplificare la legislazione, che sono di portata limitata e di natura tecnica.

3.5

Il CESE ha espresso in dettaglio i propri punti di vista sulle implicazioni a più vasto raggio degli articoli 290 e 291 del TFUE nel recente parere CESE 357/2011 sul tema Sostegno allo sviluppo rurale da parte del FEASR.

3.6

Nella presente occasione, e nel quadro di un continuo processo rivolto a consolidare la normativa in materia di prodotti biologici, il CESE sostiene l'approccio ai poteri delegati e di attuazione delineato dalla Commissione nel regolamento proposto. Nondimeno desidera fare le seguenti osservazioni.

3.7

Andrebbe mantenuto il ruolo dei gruppi che forniscono consulenza alla Commissione nell'attuazione delle disposizioni, in particolare il contributo delle organizzazioni non governative e delle parti in causa. La produzione e la commercializzazione di prodotti biologici continuano a costituire un settore complesso, che trarrà vantaggio da un'ampia rappresentanza di interessi.

3.8

Il nuovo logo europeo di produzione biologica diventa obbligatorio l'anno prossimo. La proposta di estenderne l'uso ai prodotti controllati importati da paesi terzi andrebbe riveduta, considerando la possibilità di differenziare il logo, eventualmente attraverso una colorazione differente, per indicare che il prodotto proviene da fuori dell'UE.

Bruxelles, 4 maggio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Regolamento (CEE) n. 2092/91.

(2)  Regolamento (CE) n. 1804/1999.

(3)  La Federazione internazionale dei movimenti per l'agricoltura biologica (IFOAM) conta oltre 750 membri in 115 paesi.

(4)  Regolamento (UE) n. 271/2010 della Commissione.

(5)  Dati riferiti al 2009.


23.7.2011   

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C 218/124


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento (UE) n. …/… del Parlamento europeo e del Consiglio del … recante modifica del regolamento (CE) n. 1290/2005 del Consiglio relativo al finanziamento della politica agricola comune e abrogazione dei regolamenti (CE) n. 165/94 e (CE) n. 78/2008 del Consiglio

COM(2010) 745 definitivo — 2010/0365 (COD)

2011/C 218/25

Relatore: Seppo KALLIO

Il Parlamento europeo e il Consiglio, in data 18 gennaio 2011, hanno deciso, conformemente al disposto degli articoli 42, 43, paragrafo 2, e 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento (UE) n. …/… del Parlamento europeo e del Consiglio del … recante modifica del regolamento (CE) n. 1290/2005 del Consiglio relativo al finanziamento della politica agricola comune e abrogazione dei regolamenti (CE) n. 165/94 e (CE) n. 78/2008 del Consiglio

COM(2010) 745 definitivo — 2010/0365 (COD).

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 aprile 2011.

Alla sua 471a sessione plenaria, dei giorni 4 e 5 maggio 2011 (seduta del 4 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 150 voti favorevoli, 6 voti contrari e 9 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sottolinea che la politica agricola comune e la sua buona gestione sono importanti per tutta la filiera alimentare e per gli agricoltori. Molto spesso gli agricoltori risentono l'onere derivante dalle complesse e gravose procedure amministrative della politica agricola comune. Se la proposta di revisione e di semplificazione in esame migliora l'efficacia amministrativa e le possibilità di intervento delle autorità, si tratta di una proposta giustificata.

1.2

Il CESE richiama l'attenzione in particolare sul fatto che una parte delle nuove competenze potrebbe comportare per gli Stati membri un aumento delle spese amministrative per l'attività degli organismi pagatori e delle autorità di certificazione. Nel quadro dell'applicazione della proposta occorrerebbe evitare il verificarsi di tale problema.

1.3

Il CESE ritiene indispensabile che venga chiarito meglio quale sarà la portata del potere di adottare atti delegati. Le relative disposizioni devono essere specificate in maniera più chiara e più esatta di quanto avvenga nella proposta della Commissione.

1.4

Il CESE reputa importante che nel regolamento di base siano presenti le disposizioni essenziali che costituiscono gli orientamenti fondamentali della politica agricola. Per il resto i poteri possono essere trasferiti alla Commissione. La portata dei poteri di attuazione nel quadro della politica agricola dev'essere particolarmente ampia affinché la relativa gestione possa funzionare in maniera efficace.

1.5

Il CESE ritiene indispensabile che la Commissione preveda ampie possibilità di consultazione degli esperti nazionali degli Stati membri quando emana atti delegati. Grazie a una procedura aperta e ampia di consultazione si possono limitare le incertezze e i dubbi che sono emersi nel quadro della preparazione della riforma. Gli Stati membri devono avere sufficienti possibilità di intervento nel quadro della preparazione delle disposizioni specifiche.

1.6

Il CESE si attende che le modifiche proposte del regolamento conferiscano efficacia al finanziamento e alla gestione della politica agricola comune, il che rappresenterebbe anche una semplificazione e una riduzione delle procedure burocratiche eccessive. Suscita rammarico il fatto che la comprensione e l'interpretazione dei regolamenti concernenti il finanziamento risultino realmente difficili senza l'aiuto di esperti. Per tale ragione occorre proseguire e rafforzare il processo di semplificazione.

2.   Osservazioni generali

2.1

L'articolo 290 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea stabilisce che un atto legislativo può delegare alla Commissione il potere di adottare atti non legislativi di portata generale che integrano e modificano determinati elementi non essenziali dell'atto legislativo.

2.2

Conformemente all'articolo 291 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea un atto legislativo conferisce competenze di esecuzione alla Commissione allorché sono necessarie condizioni uniformi di esecuzione degli atti giuridicamente vincolanti dell'Unione.

2.3

L'obiettivo della proposta della Commissione è fare in modo che le venga conferito, mediante un atto legislativo, il potere di emanare atti delegati (articolo 290 TFUE) o atti di esecuzione (articolo 291 TFUE) in merito a determinate questioni. Il potere della Commissione di decidere in base ad atti delegati in merito a singole questioni viene definito nel quadro di un regolamento legislativo di base. Nell'adozione degli atti delegati la Commissione consulta gli esperti degli Stati membri, ma in merito a tali questioni non è previsto il ricorso alla procedura di comitato. La Commissione tuttavia segue la procedura di comitato nell'adozione delle misure di esecuzione, in questo caso gli esperti degli Stati membri hanno la possibilità di esprimere osservazioni e di votare formalmente le disposizioni proposte.

2.4

L'obiettivo della proposta della Commissione è procedere a una semplificazione abrogando due regolamenti del Consiglio. Le disposizioni attualmente contenute in tali due regolamenti sarebbero trasferite al regolamento proposto. Al tempo stesso si persegue una riduzione degli oneri amministrativi a carico degli Stati membri attraverso una semplificazione delle procedure di recupero.

3.   Osservazioni particolari

3.1

Tradizionalmente la Commissione ha avuto ampie competenze nel campo della politica agricola. Essa propone adesso che le regole relative alla sorveglianza, alla gestione e a specifici obblighi vengano emanate come atti delegati. Già con il sistema attuale l'interpretazione e l'applicazione a livello nazionale dei regimi di pagamento, di registrazione contabile e di sorveglianza delle sovvenzioni nel settore agricolo sono state talvolta difficili. Vi è motivo di chiedersi se gli atti delegati creino condizioni operative migliori per la gestione finanziaria. Vi è anche il rischio che il ricorso agli atti delegati possa comportare per gli Stati membri costi aggiuntivi nella gestione e nella verifica degli aiuti.

3.2

La proposta della Commissione contiene più di dieci punti nei quali vengono conferiti i poteri di adottare atti delegati. Tali poteri riguarderebbero fra l'altro gli obblighi degli uffici pagatori e le procedure di adozione, nonché la nomina delle autorità di certificazione, la sana gestione degli stanziamenti e la pubblicazione di dati sul sostegno. Sorgono numerose questioni in merito alla specifica natura dei poteri delegati e ai limiti della discrezionalità conferita alla Commissione. I poteri proposti risultano eccessivamente ampi e generali.

3.3

Appare in particolare indispensabile definire in maniera più precisa le competenze delle autorità di certificazione, perché la proposta non deve comportare una estensione di tali competenze.

3.4

La proposta contiene inoltre vari punti concernenti i poteri di adottare disposizioni di attuazione. Tali poteri riguardano il rispetto della disciplina di bilancio, le disposizioni in merito alla presentazione di documenti alla Commissione e la liquidazione dei conti. L'oggetto di tali poteri sembra essere definito meglio che nel caso degli atti delegati.

Bruxelles, 4 maggio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


23.7.2011   

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C 218/126


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) del Consiglio n. 485/2008 relativo ai controlli, da parte degli Stati membri, delle operazioni che rientrano nel sistema di finanziamento del Fondo europeo agricolo di garanzia

COM(2010) 761 definitivo — 2010/0366 (COD)

2011/C 218/26

Relatore unico: Nikolaos LIOLIOS

Il Consiglio, in data 1o febbraio 2011, e il Parlamento europeo, in data 18 gennaio 2011, hanno deciso, conformemente al disposto degli articoli 42, 43, paragrafo 2, e 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) del Consiglio n. 485/2008 relativo ai controlli, da parte degli Stati membri, delle operazioni che rientrano nel sistema di finanziamento del Fondo europeo agricolo di garanzia

COM(2010) 761 definitivo — 2010/0366 (COD).

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 aprile 2011.

Alla sua 471a sessione plenaria, dei giorni 4 e 5 maggio 2011 (seduta del 4 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 149 voti favorevoli, 3 voti contrari e 13 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Con l'obiettivo di armonizzare con il Trattato di Lisbona il regolamento (CE) n. 485/2008 del Consiglio relativo ai controlli, da parte degli Stati membri, delle operazioni che rientrano nel sistema di finanziamento del Fondo europeo agricolo di garanzia, si propone di allineare le competenze di esecuzione conferite alla Commissione da detto regolamento con la differenziazione tra poteri delegati e competenze di esecuzione della Commissione introdotta dagli articoli 290 e 291 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE).

1.2

Il Comitato economico e sociale europeo è favorevole ad attuare procedure di consultazione con le parti interessate e a ricorrere al parere di esperti in fase di elaborazione degli atti dell'Unione europea.

1.3

Quanto all'allineamento del regolamento (CE) n. 485/2008 con l'articolo 290 del TFUE, il CESE ritiene che la proposta della Commissione soddisfi i limiti sostanziali posti dal legislatore, per la delega di poteri, all'articolo 290, paragrafo 1, secondo comma, del TFUE. La proposta della Commissione relativa al nuovo contenuto della seconda frase dell'articolo 1, paragrafo 2, del regolamento delimita esplicitamente gli obiettivi, il contenuto e la portata della delega di potere.

1.4

Al contrario, il CESE ritiene che la Commissione non rispetti i limiti temporali posti dal legislatore per la delega di poteri all'articolo 290, paragrafo 1, secondo comma, del TFUE. La proposta formulata dalla Commissione all'articolo 13 bis del nuovo regolamento, secondo la quale il potere di adottare gli atti delegati è conferito alla Commissione per un periodo di tempo indeterminato va oltre quanto prescritto dal legislatore riguardo alla chiara definizione della durata della delega di potere; risulta quindi in contraddizione con il principio di proporzionalità e solleva interrogativi rispetto al principio di legittimità. Il CESE ritiene che la durata della delega di potere conferita alla Commissione debba essere chiaramente limitata ad un periodo di tempo ben definito.

1.5

Il CESE è favorevole a ridurre il termine entro il quale il Parlamento europeo e il Consiglio possono sollevare obiezioni a un atto delegato, portandolo da tre mesi, secondo il sistema vigente, a due mesi, purché la proroga del termine passi a due mesi.

1.6

Il CESE esprime riserve riguardo alla valutazione delle disposizioni che riguardano le competenze di esecuzione della Commissione, quali risultano dall'articolo 13 quinquies proposto. L'articolo in esame rimanda al regolamento (CE) n. 1290/2005 (1), che è attualmente in corso di modifica (2). Il contenuto del regolamento (CE) n. 1290/2005, pur di enorme importanza per il regolamento (CE) n. 485/2008, non è noto (3). Tenuto conto, però, del fatto che l'articolo del regolamento (CE) n. 1290/2005 modificato rimanda a sua volta alla nuova procedura di comitato, prevista dal nuovo regolamento (UE) n. 182/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, che stabilisce le regole e i principi generali relativi alle modalità di controllo da parte degli Stati membri dell'esercizio delle competenze di esecuzione attribuite alla Commissione (4), e visto che detta procedura semplifica il regime precedentemente in vigore, secondo l'avviso del CESE il nuovo articolo 13 quinquies proposto non suscita problemi di applicazione.

2.   Contesto generale del parere

2.1

Nella proposta di modifica del regolamento in esame, la Commissione sostiene che i poteri di esecuzione conferiti alla Commissione dal regolamento (CE) n. 485/2008 del Consiglio devono essere adattati alla differenziazione tra poteri delegati e competenze di esecuzione della Commissione introdotta dagli articoli 290 e 291 del TFUE.

2.2

Il nuovo articolo 291 del TFUE si basa sui precedenti articoli 202, terzo trattino, e 211, quarto trattino, del Trattato che istituisce la Comunità europea, che conferivano alla Commissione o, in determinati casi, al Consiglio il potere di esercitare delle competenze di esecuzione. L'articolo 290 del TFUE, al contrario, conferisce alla Commissione un nuovo potere: quello di adottare atti non legislativi di portata generale che integrano o modificano determinati elementi non essenziali di un atto legislativo. L'articolo 291 del TFUE disciplina l'esercizio delle competenze di esecuzione attribuite alla Commissione o, in casi specifici, al Consiglio.

2.3

Nella proposta della Commissione l'allineamento del regolamento (CE) n. 485/2008 con l'articolo 290 del TFUE trova riscontro in particolare nel nuovo articolo 1, paragrafo 2, e nei due nuovi articoli 13 bis, ter e quater del regolamento proposto. L'allineamento con l'articolo 291 del TFUE trova invece maggior riscontro nel nuovo articolo 13 quinquies.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il Comitato economico e sociale europeo è favorevole ad attuare procedure di consultazione con le parti interessate e a ricorrere al parere di esperti in fase di elaborazione degli atti dell'Unione europea. Secondo il CESE, queste procedure sono particolarmente importanti per l'attuale proposta di armonizzazione del regolamento (CE) n. 485/2008 con il Trattato di Lisbona, poiché le modifiche con finalità semplificative non hanno né portata limitata né carattere puramente tecnico. Esse riguardano il settore dell'agricoltura che, essendo oggetto di competenza concorrente tra l'UE e gli Stati membri (cfr. articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, lettera d) del TFUE), nonché soggetto alle condizioni di cui all'articolo 43 del TFUE, costituisce un settore particolarmente sensibile.

3.2

Quanto all'allineamento delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione dal regolamento (CE) n. 485/2008 con la differenziazione tra poteri delegati e competenze di esecuzione della Commissione, deve risultare netta la distinzione tra gli atti «quasi legislativi» di cui al'articolo 290 e gli atti di esecuzione di cui all'articolo 291 del TFUE. Nella propria comunicazione sull'attuazione dell'articolo 290 del TFUE (5), la Commissione osserva che il legislatore conferisce alla Commissione il potere di adottare atti delegati a fini di maggiore efficacia. Così facendo, le consente di completare o modificare l'opera del legislatore. Una delega del genere è sempre facoltativa e deve adempiere le condizioni poste dal Trattato. L'articolo 291 del TFUE consente invece alla Commissione di adottare atti di esecuzione - di natura non legislativa. L'esecuzione e l'attuazione degli atti giuridicamente vincolanti dell'Unione spettano [ai sensi dell'articolo 291, paragrafo 1, del TFUE associato all'articolo 4, paragrafo 3, del Trattato sull'Unione europea (TUE)] agli Stati membri,. Nell'esecuzione e attuazione degli atti giuridicamente vincolanti dell'Unione, essi esercitano una competenza propria, non una competenza dell'Unione. Questo potere degli Stati membri può essere limitato solo se l'esecuzione degli atti giuridicamente vincolanti dell'Unione richiede condizioni uniformi. Soltanto in questo caso la Commissione esercita la competenza di esecuzione conferitale dall'articolo 291 del TFUE, che nella fattispecie è obbligatoria (6).

3.3

Nel conferire alla Commissione il potere di adottare atti delegati, il legislatore deve caso per caso limitare l'ambito di esercizio di tale competenza. Ai sensi dell'articolo 290, paragrafo 1, secondo comma, del TFUE il legislatore deve delimitare esplicitamente gli obiettivi, il contenuto, la portata e la durata della delega di potere. Si definiscono così due tipi di limiti della delega di potere: i limiti sostanziali e quelli temporali (7).

3.4

Nella fattispecie occorre stabilire se il legislatore rispetta, nel regolamento in esame, i limiti sostanziali e temporali previsti.

3.5

I limiti sostanziali della delega di potere, definiti all'articolo 1, paragrafo 2, della proposta di regolamento, riguardano la stesura da parte della Commissione di un elenco di misure che, per loro natura, non si prestano ad una verifica a posteriori mediante il controllo di documenti commerciali, e alle quali non si applica il regolamento.

3.6

La delega di potere in oggetto è effettivamente chiara e delimitata. Non va contro l'articolo 290 del TFUE, ma riguarda di fatto elementi non essenziali di un atto legislativo e i suoi obiettivi, il suo contenuto e la sua portata sono sufficientemente delimitati.

3.7

Quanto ai limiti temporali della delega, la Commissione propone all'articolo 13, lettera a) del regolamento che «il potere di adottare gli atti delegati di cui al presente regolamento [sia] conferito alla Commissione per un periodo di tempo indeterminato». Tale proposta contrasta, in primo luogo, con l'articolo 290, paragrafo 1, secondo comma, del TFUE a norma del quale gli atti legislativi delimitano esplicitamente, tra l'altro, la durata della delega di potere.

3.8

Come risulta dalla comunicazione della Commissione sull'attuazione dell'articolo 290 del TFUE (8) la proposta è motivata dal «parere che una disposizione del genere non sancisca la pratica delle cosiddette “clausole di estinzione” (sunset clauses) le quali, se figurano in un atto legislativo, pongono automaticamente un termine ai poteri conferiti alla Commissione, obbligandola in pratica a presentare una nuova proposta legislativa non appena il termine fissato dal legislatore sia giunto a scadenza. L'articolo 290 esige anzitutto che i poteri delegati vengano disciplinati in modo chiaro e prevedibile; esso non impone invece che la Commissione sia soggetta a termini ultimativi». Per questo motivo la Commissione ritiene che le deleghe di potere debbano essere in linea di principio a tempo indeterminato. A corroborare ulteriormente questa posizione la Commissione ricorda che, ai sensi dell'articolo 290, paragrafo 2, lettera a) del TFUE il Parlamento europeo o il Consiglio possono decidere di revocare la delega: «Giuridicamente, una revoca genera effetti identici a quelli di una clausola di estinzione; entrambe pongono un termine ai poteri conferiti alla Commissione, alla quale spetta - ove ciò risulti utile e necessario - presentare in un secondo tempo una proposta legislativa. In altre parole, se in determinati settori il legislatore reputa necessario evitare che la delega di potere si trasformi in mandato perpetuo, può riservarsi il diritto di revoca, il quale peraltro può rivelarsi molto più elastico, in sede di applicazione, di una clausola di estinzione automatica».

3.9

Nell'allegato alla comunicazione, la Commissione prevede alcuni modelli di attuazione del nuovo articolo del Trattato. Quanto ai limiti temporali della delega di potere, la Commissione propone una durata indeterminata o la definizione di un periodo di validità della delega che, in caso di revoca da parte del Parlamento europeo o del Consiglio, viene automaticamente prorogata per un periodo di identica durata (9).

3.10

La delega di durata indeterminata alla Commissione per l'adozione di atti delegati non comporta in alcun caso una chiara definizione della durata della delega di potere. Il Trattato richiede espressamente una chiara definizione della durata della delega di potere per consentire il controllo pratico ed efficace della Commissione da parte del legislatore. Il diritto di revoca della delega di potere da parte del Parlamento europeo o del Consiglio, ai sensi dell'articolo 290, paragrafo 2, primo comma, del TFUE non può sostituire il dispositivo del legislatore che prevede una chiara definizione della durata della delega. Il diritto di revoca costituisce infatti una clausola aggiuntiva di salvaguardia a tutela dei diritti del legislatore. Il conferimento alla Commissione di una delega di potere di durata indeterminata comporta un superamento dei limiti temporali della delega di potere previsti all'articolo 290 del TFUE, nonché delle competenze della Commissione.

3.11

Ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 2, lettera d), del TFUE, l'agricoltura è oggetto di competenza concorrente tra l'UE e gli Stati membri. Ciò significa che, qualora l'Unione prenda l'iniziativa di legiferare, dovrà comunque farlo nel rispetto del principio di sussidiarietà (cfr. articolo 5, paragrafo 3, del TUE). La proposta di regolamento emendato riguarda i controlli, l'assistenza e la cooperazione tra gli Stati membri e la Commissione per quanto attiene alle operazioni che rientrano nel sistema di finanziamento del Fondo europeo agricolo di garanzia. L'adozione di un regolamento da parte dell'Unione è giustificata dalla necessità di un approccio comune in questo settore, che sia uniforme a livello europeo. In virtù del principio di proporzionalità (cfr. articolo 5, paragrafo 4, del TUE), il contenuto e la forma dell'azione dell'Unione devono limitarsi a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei Trattati. Il conferimento alla Commissione, per una durata indeterminata, del potere di adottare gli atti delegati contravviene all'esigenza di stabilire, per la delega, una durata delimitata onde consentire un controllo regolare ed efficace dell'operato della Commissione nell'adozione di atti «quasi legislativi». Ciò costituisce di conseguenza un aggiramento del principio di proporzionalità e, di conseguenza, di quello di sussidiarietà, e potrebbe quindi essere oggetto di denuncia presso la Corte di giustizia dell'Unione europea per violazione del principio di sussidiarietà ai sensi dell'articolo 8 del protocollo (n. 2) sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità (10).

3.12

La delega di poteri alla Commissione per l'adozione di atti delegati influisce, peraltro, sulla separazione dei poteri. Gli organi legislativi dell'Unione sono il Parlamento europeo e il Consiglio: il potere di adottare atti «quasi legislativi» viene conferito alla Commissione, che detiene il potere esecutivo, a titolo derogatorio. Quanto alle questioni di legittimazione democratica fondamentale che si pongono in questo caso, va rispettato il legislatore quando dispone che occorre delimitare esplicitamente gli obiettivi, il contenuto, la portata e la durata della delega di potere. Del resto, dal momento che l'articolo 290 non prevede, al contrario dell'articolo 291, paragrafo 3, del TFUE, un regime di controllo degli atti delegati della Commissione, il diritto di controllo da parte del Parlamento europeo e del Consiglio deve restare inalterato.

3.13

La proposta dalla Commissione di un rinnovo automatico della delega di potere ad essa conferita, formulata in alternativa alla delega di potere di durata indeterminata, costituirebbe una minaccia altrettanto grave al diritto primario dell'Unione.

3.14

Concludendo, il conferimento di una delega di potere di durata indeterminata alla Commissione per l'adozione di atti delegati non costituisce un corretto allineamento con l'articolo 290 del TFUE. Il diritto di revoca della delega di potere da parte del Consiglio o del Parlamento europeo non ha la stessa funzione della delimitazione precisa della durata della delega, che è quella di consentire al legislatore di esercitare un controllo regolare ed efficace sugli atti «quasi legislativi» della Commissione. La Commissione, quando adotta degli atti delegati, non esercita una competenza propria, ma una competenza del potere legislativo. Non si può limitare il diritto dell'organo competente, in questo caso il legislatore, di esercitare un controllo regolare ed efficace sulla Commissione. È inoltre opportuno respingere la proposta della Commissione di conferirle una delega di potere di durata indeterminata ai fini dell'adozione di atti delegati in quanto l'agricoltura è oggetto di competenza concorrente tra l'UE e gli Stati membri e quindi qualunque atto legislativo dell'Unione in questo ambito deve essere conforme al principio di sussidiarietà e di proporzionalità.

3.15

Quanto al termine dei due mesi dalla data di notifica introdotto dal nuovo articolo 13, lettera c), del regolamento emendato, termine entro il quale il Parlamento europeo e il Consiglio possono sollevare obiezioni, esso costituisce un passo indietro rispetto ai tre mesi applicati finora. Nell'ottica di accelerare la procedura e renderla più efficace, il CESE non si oppone al fatto di abbreviare il termine, purché esso possa essere prorogato di due mesi.

3.16

L'articolo 13 quinquies della proposta di regolamento riguarda l'applicazione dell'articolo 291 del TFUE ed è conforme al suo contenuto. Sarà anche in applicazione il nuovo regolamento (UE) n. 182/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, che stabilisce le regole e i principi generali relativi alle modalità di controllo da parte degli Stati membri dell'esercizio delle competenze di esecuzione attribuite alla Commissione (11). Esso semplifica la precedente procedura di comitato, in quanto prevede solo due opzioni: la procedura consultiva e quella d'esame.

4.   Osservazioni particolari

4.1

Il CESE fa osservare di essere stato chiamato ad emettere un parere su temi che non sono ancora ben definiti. A titolo di esempio, nel quarto considerando della proposta della Commissione si fa riferimento all'articolo 41 ter, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1290/2005 del Consiglio, del 21 giugno 2005, relativo al finanziamento della politica agricola comune, e nel'articolo 13 quinquies della proposta si cita l'articolo 42 quater, secondo paragrafo, dello stesso regolamento (CE) n. 1290/2005 (12), quando tale regolamento non contiene né l'articolo 41 ter né l'articolo 42 quater.

4.2

La Commissione ha presentato una proposta di modifica del regolamento (CE) n. 1290/2005 (13) ma la procedura di adozione non è stata ancora completata. La proposta non è stata ancora adottata né dal Consiglio dell'Unione europea né dal Parlamento europeo, e anche qualora in futuro venisse adottata, gli articoli 41 ter e 42 quater faranno riferimento al nuovo contenuto del regolamento (CE) 1290/2005, il quale avrà una numerazione differente. D'altronde, al punto 26 della proposta della Commissione l'articolo 41 risulta soppresso e non esiste quindi un articolo 41 ter. Suscita pertanto stupore che la Commissione porti avanti la procedura di modifica del regolamento (CE) n. 485/2008 quando si ignora sostanzialmente il documento su cui si basa tale proposta in termini di contenuto, vale a dire il regolamento (CE) n. 1290/2005.

Bruxelles, 4 maggio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Regolamento (CE) n. 1290/2005 del Consiglio, del 21 giugno 2005, relativo al finanziamento della politica agricola comune (GU L 209 dell'11.8.2005, pag. 1).

(2)  Proposta di regolamento (UE) n. xxx/xxx del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1290/2005 del Consiglio relativo al finanziamento della politica agricola comune e abrogazione dei regolamenti (CE) n. 165/94 e (CE) n. 78/2008 del Consiglio, COM(2010) 745 definitivo.

(3)  Cfr. punto 4.2.

(4)  GU L 55 del 28.2.2011, pag. 13. Il regolamento in questione abroga la decisione 1999/468/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, recante modalità per l'esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione (GU L 184 del 17.7.1999, pag. 23).

(5)  COM(2009) 673 definitivo.

(6)  COM(2009) 673 definitivo, pag. 3 e seguenti.

(7)  È quanto osserva anche la Commissione nel documento COM(2009) 673 definitivo, pag. 5 e seguenti.

(8)  COM(2009) 673 definitivo, pag. 5 e seguenti.

(9)  Articolo A, COM(2009) 673 definitivo, pag. 13.

(10)  GU C 83 del 30.3.2010, pag. 206.

(11)  GU L 55 del 28.2.2011, pag. 13. Il regolamento in questione abroga la decisione 1999/468/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, recante modalità per l'esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione (GU L 184 del 17.7.1999, pag. 23).

(12)  GU L 209 dell'11.8.2005, pag. 1.

(13)  Proposta di regolamento (UE) n. xxx/xxx del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1290/2005 del Consiglio relativo al finanziamento della politica agricola comune e abrogazione dei regolamenti (CE) n. 165/94 e (CE) n. 78/2008 del Consiglio, COM(2010) 745 definitivo.


23.7.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 218/130


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa agli attacchi contro i sistemi di informazione, e che abroga la decisione quadro 2005/222/GAI del Consiglio

COM(2010) 517 definitivo — 2010/0273 (COD)

2011/C 218/27

Relatore generale: MORGAN

Il Consiglio, in data 20 gennaio 2011, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa agli attacchi contro i sistemi di informazione, e che abroga la decisione quadro 2005/222/GAI del Consiglio

COM(2010) 517 definitivo — 2010/0273 (COD).

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 15 febbraio 2011, ha incaricato la sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori (articolo 59 del Regolamento interno), il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 471a sessione plenaria dei giorni 4 e 5 maggio 2011 (seduta del 4 maggio), ha nominato relatore generale MORGAN e ha adottato il seguente parere con 173 voti favorevoli, 1 voto contrario e 7 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la comunicazione della Commissione sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa agli attacchi contro i sistemi di informazione. Condivide altresì le forti preoccupazioni della Commissione riguardo alla portata del fenomeno della criminalità informatica in Europa e al danno reale e potenziale causato tanto all'economia quanto al benessere dei cittadini da questa minaccia in costante crescita.

1.2

Il Comitato condivide inoltre la delusione della Commissione per il fatto che sinora soltanto 17 dei 27 Stati membri hanno ratificato la convenzione del Consiglio d'Europa sulla criminalità informatica (1), e invita i rimanenti dieci Stati membri (2) (Austria, Belgio, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Polonia, Regno Unito, Repubblica ceca e Svezia) a provvedere quanto prima alla ratifica.

1.3

Il Comitato concorda con la Commissione sull'urgenza di adottare una direttiva per aggiornare le definizioni dei reati connessi con gli attacchi contro i sistemi di informazione e per intensificare il coordinamento e la cooperazione in materia penale nell'UE, azioni necessarie ad affrontare efficacemente questo grave problema.

1.4

Data l'urgenza di un intervento normativo che riguardi in modo specifico gli attacchi contro i sistemi di informazione, il Comitato condivide la decisione della Commissione di avvalersi dello strumento della direttiva, integrato da misure non legislative mirate a questo aspetto particolare della criminalità informatica.

1.5

Tuttavia, come già affermato in un precedente parere (3), il Comitato auspica che la Commissione proceda in parallelo con l'elaborazione di una normativa globale dell'UE in materia di criminalità informatica. Il CESE ritiene che un quadro globale sia essenziale per il successo dell'agenda digitale e della strategia Europa 2020 (4). Oltre ad essere incentrato sulle attività di contrasto dei reati e sulle relative sanzioni, tale quadro dovrebbe anche integrare le questioni della prevenzione e del rilevamento dei reati, così come dell'educazione, nel campo della criminalità informatica.

1.6

Il CESE auspica di poter esaminare, al momento opportuno, delle proposte formulate dalla Commissione per un quadro d'azione globale sul tema generale della sicurezza di Internet. Nell'orizzonte temporale del prossimo decennio - quando la maggioranza della popolazione utilizzerà Internet, da cui dipenderanno anche quasi tutte le attività sia sociali che economiche - non è concepibile che l'impiego di questo strumento potrà ancora essere affidato all'attuale approccio non strutturato e casuale, soprattutto se si considera che il valore economico futuro di Internet sarà incalcolabile. Dovranno essere affrontati molteplici aspetti che comportano altre sfide, tra cui la sicurezza e la riservatezza dei dati personali, nonché il problema della criminalità informatica. Nel campo della sicurezza aerea esiste un'autorità centrale di controllo che stabilisce le norme di sicurezza degli aeromobili, degli aeroporti e delle compagnie aeree. È giunto il momento di creare un'autorità simile con il compito di definire delle norme per dispositivi terminali assolutamente sicuri (personal computer, tablet computer o i-Pad, i-Phone), così come in materia di sicurezza della rete, dei siti Internet e dei dati. La configurazione materiale di Internet è un fattore chiave nella difesa contro la criminalità informatica. Nel prossimo futuro l'UE avrà bisogno di un'autorità di regolamentazione e di controllo di Internet.

1.7

Poiché la proposta di direttiva pone l'accento soprattutto sulla definizione dei reati e delle pene previste per i loro autori, il CESE chiede che la stessa attenzione sia dedicata alla prevenzione grazie al miglioramento delle misure di sicurezza. I fabbricanti di apparecchiature informatiche dovrebbero rispettare delle norme per la produzione di dispositivi assolutamente sicuri. Non è infatti accettabile che la sicurezza dei dispositivi, e di conseguenza della rete, dipenda interamente dall'arbitrio dei loro proprietari. Si dovrebbe esaminare la possibilità di introdurre un sistema di carta d'identità elettronica a livello europeo, da mettere a punto tuttavia dopo aver attentamente riflettuto a come evitare qualsiasi violazione della privacy; si dovrebbe inoltre dare il via all'utilizzo a pieno regime delle capacità offerte dal protocollo IPv6 in materia di sicurezza, mentre l'insegnamento ai cittadini della sicurezza informatica personale, compresa quella dei dati, dovrebbe essere un elemento fondamentale di qualunque programma educativo di alfabetizzazione digitale. La Commissione dovrebbe fare riferimento ai precedenti pareri elaborati dal Comitato su questi temi (5).

1.8

Il Comitato nota con soddisfazione che la proposta di direttiva dedica un'attenzione adeguata agli attacchi realizzati utilizzando le botnet  (6), ivi compresi gli attacchi di tipo «negazione di servizio» (denial-of-service) (7). Il CESE ritiene inoltre che la direttiva agevolerà le autorità nell'attività di contrasto della criminalità informatica che sfrutta l'interconnettività internazionale delle reti, nonché nell'azione giudiziaria contro chi commette reati al riparo dell'anonimato garantito dai sofisticati strumenti informatici esistenti.

1.9

Il Comitato è altresì soddisfatto dell'elenco di reati contemplati dalla direttiva, in particolare dell'introduzione del reato di «intercettazione illecita» e della spiegazione chiara in merito agli «strumenti utilizzati per commettere i reati».

1.10

Tuttavia, considerando l'importanza della fiducia e della sicurezza per l'economia digitale, e gli enormi costi causati ogni anno dalla criminalità informatica (8), il Comitato propone che la direttiva preveda pene di severità proporzionata alla gravità dei reati, in modo da avere una funzione realisticamente dissuasiva nei confronti dei criminali. La direttiva proposta stabilisce un minimo di 2 o 5 anni di reclusione (5 anni in presenza di circostanze aggravanti). Il CESE propone che le pene inflitte siano proporzionate alla gravità del reato commesso.

1.11

Il CESE ritiene che si debba cogliere l'occasione per introdurre pene più severe e inviare così un messaggio chiaro tanto ai criminali quanto ai cittadini onesti che chiedono di essere rassicurati. Nel Regno Unito, per esempio, si applicano pene detentive fino a un massimo di 10 anni per attacchi di vasta portata ai sistemi di informazione (9), e le autorità estoni hanno inasprito le pene, che ora arrivano a un massimo di 25 anni di reclusione per attacchi su vasta scala di stampo terroristico (10).

1.12

Il Comitato plaude alla proposta della Commissione di affiancare alla direttiva misure non legislative atte a promuovere ulteriori azioni coordinate a livello di UE e una più efficace attuazione, e intende inoltre mettere l'accento sull'esigenza di estendere il coordinamento e di instaurare una stretta cooperazione con l'insieme dei paesi EFTA/AELS e con la NATO.

1.13

Il Comitato appoggia pienamente le proposte relative a programmi di formazione e alle raccomandazioni di migliori pratiche finalizzate a rendere più efficace la rete di punti di contatto 24/7 esistenti per le autorità di contrasto.

1.14

Oltre alle misure non legislative citate nella proposta, il Comitato invita la Commissione a destinare in particolare dei fondi di R&S allo sviluppo di sistemi di rilevamento e reazione rapida per affrontare gli attacchi ai sistemi di informazione. Le tecnologie più avanzate in materia di cloud computing  (11) e grid computing  (12) possono offrire all'Europa una maggiore protezione contro un gran numero di minacce alla sua sicurezza.

1.15

Il CESE suggerisce che l'ENISA promuova un programma mirato di sviluppo delle competenze per rafforzare, oltre alle capacità delle autorità di contrasto, anche l'industria europea della sicurezza delle TIC (13).

1.16

Al fine di rafforzare le difese dell'Europa contro gli attacchi informatici, il Comitato insiste sull'importanza di mettere a punto i partenariati pubblico-privati europei per la resilienza (EP3R) e di integrarli nei lavori dell'Agenzia europea per la sicurezza delle reti e dell'informazione (ENISA) e del gruppo europeo governativo dei gruppi di pronto intervento informatico (Computer Emergency Response Team - CERT) (EGC).

1.17

È opportuno promuovere una forte industria europea della sicurezza dell'informazione per competere con l'industria statunitense del settore, che è molto competente e ben finanziata (14). Dovrebbero quindi aumentare significativamente gli investimenti nella R&S e nell'educazione in materia di sicurezza informatica.

1.18

Il Comitato prende atto delle disposizioni contenute nei protocolli allegati al Trattato, che consentono al Regno Unito, all'Irlanda e alla Danimarca di non attuare la direttiva proposta. Nonostante queste esenzioni, tuttavia, il CESE invita i suddetti Stati membri ad attenersi, nella misura del possibile, alle disposizioni della direttiva, per evitare che i criminali possano sfruttare eventuali lacune normative nell'Unione europea.

2.   Introduzione

2.1

Oggi la ricchezza e la qualità della vita in Europa dipendono in ampia misura dai sistemi di informazione, ed è importante che a questa crescente dipendenza corrispondano misure di sicurezza sempre più sofisticate e una legislazione forte che possano proteggere i sistemi di informazione dagli attacchi.

2.2

Internet è la piattaforma centrale della società digitale. Il contrasto delle minacce alla sicurezza dei sistemi di informazione è vitale per lo sviluppo della società e dell'economia digitale. Gran parte dell'infrastruttura critica di informazione dell'Europa si affida a Internet, che è alla base delle piattaforme di informazione e comunicazione necessarie all'erogazione di beni e servizi essenziali. Oggi gli attacchi ai sistemi di informazione - governativi, finanziari, previdenziali o necessari a infrastrutture essenziali come energia elettrica, acqua, trasporti, servizi sanitari e servizi d'emergenza - rappresentano un grave problema.

2.3

L'architettura di Internet si basa sull'interconnessione di milioni di computer, con una distribuzione del trattamento dati, delle comunicazioni e del controllo su scala globale. Questo tipo di architettura distribuita è essenziale per la stabilità e la resilienza di Internet, perché consente di recuperare rapidamente i flussi di traffico ogniqualvolta si verifica un problema. Essa comporta tuttavia il rischio di attacchi su vasta scala, che possono essere lanciati dalla periferia della rete, ad esempio utilizzando le botnet, da qualsiasi malintenzionato con conoscenze informatiche di base.

2.4

Gli sviluppi delle tecnologie informatiche hanno aggravato questi problemi rendendo più semplice produrre e diffondere strumenti come i malware  (15) e le botnet garantendo nel contempo l'anonimato agli autori del reato e facendo in modo che sia molto difficile risalire ad essi grazie alla confusione creata tra le diverse giurisdizioni competenti. Data la difficoltà nel promuovere l'azione penale contro questi reati, la criminalità organizzata può ottenere profitti consistenti con rischi minimi.

2.5

Secondo uno studio presentato nel 2009 al Forum economico mondiale (16), il costo globale della criminalità informatica è di 1000 miliardi di dollari l'anno, ed è in rapido aumento. Una recente relazione (17) preparata per il governo britannico stima che soltanto nel Regno Unito il costo annuo si aggiri sui 27 miliardi di sterline. L'elevato costo di questa attività criminale giustifica un'azione forte, una rigorosa attuazione e pene severe per i trasgressori.

2.6

Come indicato nel documento di lavoro della Commissione (18) allegato alla proposta di direttiva, il potenziale distruttivo degli attacchi ai sistemi di informazione viene sfruttato dalla criminalità organizzata e da governi ostili. Gli attacchi eseguiti utilizzando le botnet possono essere molto pericolosi per l'intero paese preso di mira, e possono essere utilizzati da terroristi o da altri soggetti per esercitare pressioni sui governi.

2.7

L'attacco che ha colpito l'Estonia nell'aprile-maggio del 2007 ha dimostrato pienamente la gravità del problema: parti importanti dell'infrastruttura di informazione critica del governo e del settore privato sono state rese inutilizzabili per diversi giorni da attacchi su vasta scala, con un costo stimato tra i 19 e i 28 milioni di euro e un notevole danno politico. Anche la Lituania e la Georgia sono state oggetto di analoghi attacchi.

2.8

Le reti di comunicazione globali implicano un alto livello di interconnettività transfrontaliera. È essenziale che tutti i 27 Stati membri agiscano collettivamente e in modo concertato per contrastare la criminalità informatica e in particolare gli attacchi ai sistemi di informazione. Questa interdipendenza internazionale impone all'UE di dotarsi di una politica integrata per proteggere i suddetti sistemi e per perseguire i responsabili.

2.9

Nel suo parere del 2007 sulla comunicazione della Commissione europea Una strategia per una società dell'informazione sicura  (19), il CESE ha auspicato l'introduzione di una normativa UE esaustiva in materia di criminalità informatica. Detto quadro normativo dovrebbe applicarsi non solo agli attacchi contro i sistemi di informazione, ma anche alla criminalità informatica finanziaria, ai contenuti illegali di Internet, alla raccolta, conservazione e trasferimento di prove elettroniche, e includere norme più dettagliate sulla competenza giurisdizionale.

2.10

Il Comitato riconosce che è molto difficile formulare un quadro esaustivo, anche per l'assenza di un consenso politico (20) e per i problemi derivanti dalle notevoli differenze tra gli Stati membri in materia di ammissibilità delle prove elettroniche nei procedimenti giudiziari. Detto quadro consentirebbe tuttavia di sfruttare al massimo tutti gli strumenti, sia legislativi che non legislativi, per affrontare la vasta gamma di problemi posti dalla criminalità informatica, nonché di strutturare il quadro penale, rafforzando al tempo stesso la cooperazione tra gli Stati membri in materia di attuazione. Il Comitato esorta quindi la Commissione a continuare il suo lavoro per l'introduzione di un quadro giuridico completo in materia di criminalità informatica.

2.11

Il contrasto di questo tipo di reati richiede competenze speciali. Il parere del CESE sulla proposta di regolamento riguardante l'ENISA (21) ha messo in risalto l'importanza della formazione del personale delle autorità di contrasto. Il Comitato è soddisfatto dei passi avanti compiuti dalla Commissione verso l'istituzione di una piattaforma di formazione sulla criminalità informatica che coinvolga sia le autorità di contrasto che il settore privato, come proposto nella comunicazione COM(2007) 267 definitivo (22).

2.12

Alla sicurezza informatica nell'UE sono direttamente interessati anche tutti i cittadini, dato che la loro vita potrebbe dipendere da servizi vitali. Questi stessi cittadini hanno la responsabilità di proteggere la propria connessione ad Internet da eventuali attacchi, nella misura del possibile. Una responsabilità ancora maggiore ricade sui fornitori della tecnologia e dei servizi TIC che mettono a disposizione i sistemi di informazione.

2.13

È fondamentale che tutte le parti interessate siano adeguatamente informate in merito alla sicurezza informatica, e l'Europa dovrebbe dotarsi di un gran numero di esperti qualificati in questo campo.

2.14

È opportuno promuovere una forte industria europea della sicurezza dell'informazione per competere con l'industria statunitense del settore, che è molto competente e ben finanziata (23). Dovrebbero quindi aumentare significativamente gli investimenti nella R&S e nell'educazione in materia di sicurezza informatica.

3.   Contenuto della proposta di direttiva

3.1

La proposta è volta a sostituire la decisione quadro 2005/222/GAI del Consiglio, del 24 febbraio 2005, relativa agli attacchi contro i sistemi di informazione (24). Come specificato nei suoi considerando, la decisione quadro rispondeva all'obiettivo di migliorare la cooperazione tra le autorità giudiziarie e le altre autorità competenti degli Stati membri, compresi la polizia e gli altri servizi specializzati incaricati dell'applicazione della legge, mediante il ravvicinamento delle legislazioni penali degli Stati membri nel settore degli attacchi contro i sistemi di informazione. La decisione quadro ha così creato una legislazione europea per trattare reati quali l'accesso illecito a sistemi di informazione, l'interferenza illecita per quanto riguarda i sistemi e l'interferenza illecita per quanto riguarda i dati, così come specifiche norme sulla responsabilità delle persone giuridiche, sulla competenza giurisdizionale e sullo scambio di informazioni. Gli Stati membri erano tenuti ad adottare le misure necessarie per conformarsi alle disposizioni della decisione quadro entro il 16 marzo 2007.

3.2

Il 14 luglio 2008 la Commissione ha pubblicato una relazione sull'attuazione della decisione quadro (25). Nelle conclusioni si affermava che: «I recenti attacchi perpetrati in Europa dall'adozione della decisione quadro hanno evidenziato l'emergere di varie minacce, in particolare gli attacchi massicci simultanei contro i sistemi di informazione e l'uso crescente delle botnet a fini criminali». Questi attacchi non erano al centro dell'attenzione al momento dell'adozione della decisione quadro.

3.3

La proposta tiene conto dei nuovi metodi utilizzati per commettere reati informatici, specialmente l'uso delle botnet  (26). Rintracciare gli autori di tali reati è molto difficile, poiché i computer che fanno parte della botnet e che effettuano gli attacchi possono trovarsi in un luogo diverso da quello in cui è localizzato l'autore del reato.

3.4

Gli attacchi lanciati da una botnet sono spesso eseguiti su vasta scala: sono cioè effettuati con strumenti che colpiscono un gran numero di sistemi d'informazione (computer), oppure sono attacchi che causano danni ingenti, in termini ad esempio di perturbazione dei servizi di sistema, costi finanziari, perdita di dati personali, ecc. Il danno causato dagli attacchi su vasta scala ha un impatto notevole sul funzionamento del bersaglio e/o colpisce anche il suo ambiente di lavoro. In tale contesto, si intende con big botnet una rete in grado di provocare danni gravi. È difficile definire le botnet in termini di dimensioni, ma si stima che le più grosse di cui si abbia testimonianza contino fra 40 000 e 100 000 connessioni (cioè computer infettati) per periodo di 24 ore (27).

3.5

La decisione quadro presenta una serie di lacune, conseguenza di un incremento costante nella portata e nel numero dei reati (attacchi informatici). Essa in effetti ravvicina le legislazioni solo per quanto riguarda un numero limitato di reati, ma non affronta pienamente la potenziale minaccia posta alla società dagli attacchi su vasta scala, né la questione della gravità dei reati e delle sanzioni applicabili.

3.6

L'obiettivo della direttiva è ravvicinare le legislazioni penali degli Stati membri nel settore degli attacchi contro i sistemi di informazione e migliorare la cooperazione fra le autorità giudiziarie e le altre autorità competenti degli Stati membri, compresi la polizia e gli altri servizi specializzati incaricati dell'applicazione della legge.

3.7

Gli attacchi ai danni dei sistemi di informazione, in particolare ad opera della criminalità organizzata, sono una minaccia crescente, e la preoccupazione per la possibilità di attacchi terroristici o di matrice politica contro sistemi di informazione che fanno parte dell'infrastruttura critica degli Stati membri e dell'Unione è in aumento. Ciò costituisce una minaccia per la creazione di una società dell'informazione sicura e di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, e richiede pertanto una risposta a livello di Unione europea.

3.8

Si registra chiaramente una tendenza a perpetrare attacchi su vasta scala sempre più pericolosi e ricorrenti contro sistemi di informazione critici per lo Stato o per particolari funzioni del settore pubblico o privato. Questa tendenza va di pari passo con lo sviluppo di strumenti sempre più sofisticati che possono essere usati dai criminali per lanciare attacchi informatici di vario tipo.

3.9

Per garantire un approccio coerente degli Stati membri nell'applicazione della presente direttiva è importante avere, in questo settore, definizioni comuni, in particolare quelle inerenti ai sistemi di informazione e ai dati informatici.

3.10

È necessario giungere ad un approccio comune nei confronti degli elementi costitutivi dei reati, mediante l'introduzione dei reati comuni di accesso illecito a sistemi di informazione, di interferenza illecita per quanto riguarda i sistemi, di interferenza illecita per quanto riguarda i dati, e di intercettazione illecita.

3.11

È necessario che gli Stati membri prevedano sanzioni per gli attacchi ai danni di sistemi di informazione, e che le sanzioni previste siano efficaci, proporzionate e dissuasive.

3.12

Pur abrogando la decisione quadro 2005/222/GAI, la direttiva ne manterrà le attuali disposizioni e includerà i nuovi elementi esposti in appresso:

(a)

definisce come reato la fabbricazione, la vendita, l'approvvigionamento per l'uso, l'importazione, la distribuzione o la messa a disposizione in altro modo di dispositivi/strumenti usati con l'intento di commettere i reati;

(b)

prevede circostanze aggravanti:

il carattere su vasta scala degli attacchi. Le botnet o strumenti simili sarebbero combattuti introducendo una nuova circostanza aggravante: il fatto di creare una botnet o uno strumento simile verrebbe a costituire un fattore aggravante nell'ambito della commissione dei reati elencati nell'attuale decisione quadro,

il fatto di perpetrare tali attacchi celando la vera identità dell'autore e arrecando pregiudizio al legittimo proprietario dell'identità;

(c)

introduce la fattispecie di reato di «intercettazione illecita»;

(d)

introduce misure volte a migliorare la cooperazione giudiziaria in materia penale a livello europeo rafforzando l'esistente struttura dei punti di contatto 24/7 (28);

(e)

risponde alla necessità di disporre di statistiche sulla criminalità informatica, ivi compresi i reati contemplati dall'attuale decisione quadro e il nuovo reato di «intercettazione illecita»;

(f)

nelle definizioni dei reati di cui agli articoli 3, 4 e 5 (accesso illecito a sistemi di informazione, interferenza illecita per quanto riguarda i sistemi e intercettazione illecita), contiene una disposizione che permette, col recepimento della direttiva nel diritto nazionale, di perseguire penalmente solo i «casi gravi».

Bruxelles, 4 maggio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Convenzione del Consiglio d'Europa sulla criminalità informatica, Budapest, 23 novembre 2001, STCE n. 185.

(2)  http://conventions.coe.int/Treaty/Commun/ChercheSig.asp?NT=185&CM=&DF=&CL=ENG.

(3)  Parere del CESE sul tema Società dell'informazione sicura, GU C 97 del 28.4.2007, pag. 21 (TEN/254).

(4)  COM(2010) 245 definitivo, COM(2010) 2020 definitivo.

(5)  Si vedano i seguenti pareri del CESE: Società dell'informazione sicura, GU C 97 del 28.4.2007, pag. 21 (TEN/254); Far progredire Internet, GU C 175 del 28.7.2009, pag. 92 (TEN/351); Proteggere le infrastrutture critiche informatizzate, GU C 255 del 22.9.2010, pag. 98 (TEN/395); Un'agenda digitale europea, GU C 54 del 19.2.2011, pag. 58 (TEN/426); «Nuovo» regolamento ENISA, non ancora pubblicato nella GU (TEN/436); La rivoluzione del cloud computing, in fase di elaborazione (TEN/452); Migliorare l'alfabetizzazione, le competenze e l'inclusione digitali, non ancora pubblicato nella GU (TEN/453).

(6)  Il termine botnet indica una rete di computer infettati da software maligni (virus informatici). Una tale rete di computer compromessi («zombie») può essere attivata per eseguire azioni specifiche, ad esempio attacchi ai sistemi d'informazione (attacchi informatici). Questi «zombie» possono essere controllati - spesso ad insaputa dei loro utilizzatori - da un altro computer. Rintracciare i responsabili risulta difficile, poiché i computer che fanno parte della botnet e che effettuano gli attacchi possono trovarsi in un luogo diverso da quello in cui è localizzato l'autore del reato.

(7)  Si tratta di azioni volte a negare l'accesso a una risorsa informatica (per esempio un sito web o un servizio online), che risulterà «non disponibile» agli utenti che tentino di utilizzarla. Attacchi di questo tipo, per esempio, possono rendere inattivo un sistema di pagamento online, causando così un danno ai suoi utenti.

(8)  Secondo uno studio presentato nel 2009 al Forum economico mondiale, il costo globale della criminalità informatica è di 1 000 miliardi di dollari l'anno, ed è in rapido aumento. Cfr. i punti 2.5 e 2.7 del presente parere.

(9)  http://www.legislation.gov.uk/ukpga/2006/48/contents

(10)  SEC(2010) 1122 definitivo - Documento di lavoro dei servizi della Commissione - Valutazione d'impatto (disponibile solo in lingua inglese), documento che accompagna la Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa agli attacchi contro i sistemi di informazione.

(11)  Per cloud computing s'intende la distribuzione in remoto su Internet di risorse informatiche, su richiesta o automaticamente. L'utente dei servizi di cloud computing, presentati in modo semplice e facilmente comprensibile, non ha bisogno di disporre di competenze particolari su come vengono fornite le risorse informatiche. Grazie a questa tecnologia, gli antivirus e i software per la sicurezza di Internet più avanzati potrebbero essere distribuiti agli utenti finali - cioè a tutti gli utilizzatori provvisti di una connessione Internet in Europa - attraverso una piattaforma cloud (in remoto); rendendo così meno necessario per gli utenti provvedere in prima persona alla protezione dei propri sistemi informatici.

(12)  Con grid computing s'intende una forma di distribuzione di risorse informatiche basata su un «super computer virtuale» composto da un gran numero di computer più o meno accoppiati e collegati in una rete e in grado di elaborare tutti insieme una grande quantità di dati. Le tecnologie di grid computing possono offrire una piattaforma a sistemi di analisi e di risposta in tempo reale ad attacchi informatici.

(13)  Cfr. il parere del CESE «Nuovo» regolamento ENISA, non ancora pubblicato nella GU (TEN/436).

(14)  Le cifre ufficiali della Casa Bianca mostrano che nel 2010 il governo USA ha speso per la ricerca, lo sviluppo e l'educazione in materia di sicurezza informatica 407 milioni di dollari, che propone di portare a 548 milioni nell'anno fiscale 2012. http://www.whitehouse.gov/sites/default/files/microsites/ostp/FY12-slides.pdf

(15)  Malware, abbreviazione di malicious software (software maligno), è un software concepito per accedere ad un computer o sistema informatico senza il consenso informato del proprietario e a sua insaputa.

(16)  Unsecured Economies: Protecting Vital Information (Economie non sicure: la protezione delle informazioni vitali), elaborato per conto di McAfee dai ricercatori del Centre for Education and Research in Information Assurance and Security della Purdue University.

(17)  http://www.cabinetoffice.gov.uk/resource-library/cost-of-cyber-crime.

(18)  SEC(2010) 1122 final.

(19)  Parere del CESE sul tema Società dell'informazione sicura, GU C 97 del 28.4.2007, pag. 21 (TEN/254).

(20)  SEC(2010) 1122 final, Valutazione d'impatto per il COM(2010) 517 definitivo (disponibile solo in lingua inglese).

(21)  Parere del CESE sul tema «Nuovo» regolamento ENISA, non ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale (TEN/436).

(22)  COM(2007) 267 definitivo, Verso una politica generale di lotta contro la cibercriminalità.

(23)  Le cifre ufficiali della Casa Bianca mostrano che nel 2010 il governo USA ha speso per la ricerca, lo sviluppo e l'educazione in materia di sicurezza informatica 407 milioni di dollari, che propone di portare a 548 milioni nell'anno fiscale 2012: http://www.whitehouse.gov/sites/default/files/microsites/ostp/FY12-slides.pdf

(24)  GU L 69 del 16.3.2005, pag. 68.

(25)  Relazione della Commissione al Consiglio ai sensi dell'articolo 12 della decisione quadro del Consiglio del 24 febbraio 2005 relativa agli attacchi contro i sistemi di informazione (COM(2008) 448 definitivo).

(26)  Cfr. la nota 6.

(27)  Il numero di connessioni su 24 ore è l'unità di misura comunemente usata per stimare la dimensione delle botnet.

(28)  Introdotta dalla Convenzione e dalla decisione quadro 2005/222/GAI relativa agli attacchi contro i sistemi di informazione.


23.7.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 218/135


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Consiglio concernente la gestione del combustibile esaurito e dei residui radioattivi

COM(2010) 618 definitivo

2011/C 218/28

Relatore: ADAMS

La Commissione europea, in data 1o febbraio 2011, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Consiglio concernente la gestione del combustibile esaurito e dei residui radioattivi

COM(2010) 618 definitivo.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 29 marzo 2011.

Alla sua 471a sessione plenaria, dei giorni 4 e 5 maggio 2011 (seduta del 4 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 146 voti favorevoli, 7 voti contrari e 8 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Conclusioni

1.2   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore questa direttiva, in fase di elaborazione da oltre dieci anni, che considera un concreto passo avanti verso la gestione programmata dei notevoli quantitativi di residui radioattivi esistenti nell'UE nel rispetto di standard minimi.

1.3   È incoraggiante il fatto che venga posto l'accento sulla trasparenza e l'impegno pubblico; inoltre, la necessità di prevedere sia i costi che i finanziamenti delle proposte consentirà di disporre di un importante strumento analitico. Per la prima volta, diverranno giuridicamente vincolanti e applicabili nell'Unione europea degli standard di sicurezza internazionali. L'UE dovrebbe collaborare con i paesi limitrofi e incoraggiarli ad adottare standard di sicurezza analoghi.

1.4   Il percorso evolutivo della direttiva non è stato tuttavia semplice. I limiti alla certezza scientifica restano in discussione e la difficoltà di prevedere gli scenari politici e sociali a lungo termine è chiara a tutti.

1.4.1   Sebbene esista un ampio consenso scientifico sulla validità sotto il profilo tecnico generale dello smaltimento geologico in profondità, prosegue il dibattito sul grado di certezza scientifica o sull'opportunità di alcune pratiche. È improbabile che questo dibattito possa concludersi lasciando soddisfatte tutte le parti interessate, a causa della natura intrinseca dei residui radioattivi ad alta attività, della loro interazione con l'ambiente immediato e dei periodi geologici interessati. È evidente che le attuali soluzioni di «stoccaggio» (temporaneo o a medio termine) non sono sostenibili nel medio termine e ciò rafforza la necessità di un intervento.

1.4.2   Si continua inoltre a discutere in maniera vivace, ma senza tuttavia giungere ad alcuna conclusione, su cosa debba intendersi per adeguato livello di sicurezza e rischio. Che cosa significa in concreto attribuire la massima priorità alla sicurezza umana e ambientale? In pratica la sicurezza verrà dimostrata con una combinazione di argomentazioni di tipo qualitativo e quantitativo, finalizzate a minimizzare le incertezze nel quadro del processo decisionale nazionale.

1.4.3   La fiducia nelle proiezioni in materia di coerenza politica e istituzionale e la competenza di qualsiasi sistema di gestione finiscono logicamente per diminuire man mano che si allungano i tempi. Pertanto la sicurezza «passiva» diviene un elemento importante che deve risultare efficace anche quando nel corso del tempo i depositi di rifiuti cessano di essere monitorati e finiscono per essere dimenticati.

1.4.4   Il mantenimento del contributo e lo sviluppo dell'energia nucleare basata sulla fissione nel quadro del mix energetico degli Stati membri dipende in parte dal consenso dell'opinione pubblica e dalla sostenibilità finanziaria.

Il dibattito sull'utilizzo o sviluppo dell'energia nucleare distoglie notevolmente l'attenzione dalla risoluzione immediata e urgente del problema dell'accumulo dei residui radioattivi, soprattutto perché i programmi di disattivazione delle centrali nucleari attualmente in corso di svolgimento contribuiranno ad aggravare il problema. L'atteggiamento dell'opinione pubblica varia considerevolmente all'interno dell'UE anche se la maggior parte degli europei crede che sarebbe utile disporre di uno strumento UE per la gestione dei residui radioattivi (Attitudes towards radioactive waste («L'atteggiamento dei cittadini nei confronti dei residui radioattivi»), indagine Eurobarometro, giugno 2008).

1.5   Il Comitato si impegna quindi ad affrontare in maniera costruttiva l'ambivalenza dell'opinione pubblica e presenta una serie di raccomandazioni pertinenti intese a rafforzare la determinazione della Commissione a trovare una soluzione.

1.6   Raccomandazioni

1.6.1   Il Comitato invita la Commissione, il Parlamento e il Consiglio a tenere pienamente conto delle osservazioni, dei consigli e delle raccomandazioni specifiche formulate nelle sezioni 4 e 5 del presente parere. Più in generale raccomanda altresì che:

gli Stati membri riconoscano l'importanza prioritaria della sicurezza nelle disposizioni della direttiva e procedano con urgenza e in maniera coerente alla sua trasposizione nel diritto nazionale, per far fronte al problema immediato dell'accumulo dei residui radioattivi,

i governi, l'industria nucleare e le comunità scientifiche interessate compiano maggiori sforzi per fornire all'opinione pubblica in generale ulteriori informazioni (dettagliate, trasparenti e basate su una valutazione dei rischi) sulle opzioni relative alla gestione dei residui radioattivi.

2.   Introduzione

2.1   A seguito dell'impatto del terremoto e dello tsunami sui quattro reattori di Fukushima, nel Nord del Giappone, la questione della sicurezza nucleare è attualmente fonte di grande attenzione e preoccupazione. Le condizioni di funzionamento sicure e le misure di precauzione per le centrali nucleari europee sono regolate dalla direttiva sulla sicurezza nucleare (cfr. punto 5.6) e dalle autorità nazionali degli Stati membri. Il 21 marzo, gli Stati membri hanno deciso di migliorare la cooperazione tra le loro rispettive autorità di regolamentazione nucleare e di richiedere al Gruppo dei regolatori europei in materia di sicurezza nucleare (ENSREG) di definire le modalità per i test di resistenza proposti (valutazioni globali dei rischi e della sicurezza) per tutte le centrali nucleari dell'UE. In considerazione delle profonde preoccupazioni espresse dall'opinione pubblica a seguito del gravissimo incidente avvenuto nella centrale nucleare di Fukushima Daiichi, il Comitato, per ragioni di urgenza e trasparenza, si impegnerà a partecipare appieno al dialogo con la società civile su questo e altri temi correlati, in particolare grazie a un riorientamento attivo del gruppo di lavoro sulla trasparenza dell'ENEF (Forum europeo sull'energia nucleare), che il CESE attualmente presiede e alla partecipazione ai gruppi di lavoro sui rischi e le opportunità.

2.2   Da un punto di vista tecnico, le conseguenze dell'incidente di Fukushima devono essere ancora pienamente analizzate, come pure la sua incidenza diretta sulla direttiva sui residui radioattivi, oggetto del presente parere; tuttavia, esso ha comprensibilmente accresciuto la preoccupazione e la consapevolezza dell'opinione pubblica in materia di sicurezza nucleare e può, secondo il Comitato, svolgere un ruolo importante nell'ambito del dialogo attualmente in corso.

2.3   Nell'Unione europea vi sono 143 centrali elettriche nucleari (reattori) in funzione in 14 Stati membri (situazione al novembre 2010). Esistono poi alcune centrali che sono state chiuse e altri impianti nucleari, come gli impianti di ritrattamento del combustibile esaurito, che generano residui radioattivi. Ogni anno l'UE produce in media 280 metri cubi di residui ad alta attività, 3 600 t di metalli pesanti di combustibile esaurito e 5 100 metri cubi di residui radioattivi a lunga vita per i quali non esistono canali di smaltimento (Sesta relazione sulla situazione della gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile esaurito nell'Unione europea, SEC(2008) 2416); vengono inoltre prodotti residui a più bassa attività, la maggior parte dei quali è smaltita regolarmente. I residui ad alta attività (HLW) sono altamente radioattivi, contengono radionuclidi a vita lunga e generano una quantità notevole di calore. Rappresentano il 10 % del volume dei residui radioattivi generati, contengono circa il 99 % della radioattività totale e comprendono prodotti di fissione e combustibile esaurito.

2.4   Questi residui sono prodotti attraverso il ritrattamento del combustibile nucleare esaurito e del combustibile esaurito soggetto allo smaltimento diretto, nonché attraverso le operazioni condotte regolarmente nelle centrali elettriche nucleari e le operazioni di disattivazione degli impianti. È inoltre prevista la realizzazione di molte altre centrali elettriche nucleari, alcune delle quali in Stati membri senza alcuna precedente esperienza in materia di produzione di energia nucleare. Se i residui che ne deriveranno, e che in alcuni casi continuano a rappresentare una minaccia per decine di millenni, non saranno adeguatamente gestiti e sorvegliati, vi saranno gravi rischi per la salute e la sicurezza. I residui radioattivi contengono per loro natura isotopi di elementi che subiscono un processo di decadimento radioattivo, rilasciando radiazioni ionizzanti potenzialmente nocive per l'uomo e per l'ambiente.

2.5   Le decisioni adottate in questo secolo avranno ripercussioni tra un centinaio di secoli. La direttiva, pur concentrandosi sui residui del ciclo del combustibile nucleare, prende in esame anche il problema dei residui radioattivi generati nel settore della ricerca, della medicina e dell'industria. A seguito dell'aumento della produzione di energia elettrica da centrali nucleari, i residui ad alta attività sono cresciuti mediamente dell'1,5 % all'anno tra il 2000 e il 2005 e continuano ad aumentare con la disattivazione delle installazioni nucleari più vecchie. Alla fine del 2004, si stimavano stoccati in Europa 220 000 m3 di residui ad attività bassa e intermedia (LILW) a vita lunga, 7 000 m3 di residui ad alta attività e 38 000 t di metalli pesanti di combustibile esaurito (si tratta di dati incerti poiché nei paesi di ritrattamento, come il Regno Unito e la Francia, il combustibile nucleare esaurito e il plutonio e uranio ritrattati non sono attualmente classificati come residui radioattivi, perché il combustibile esaurito è un materiale riciclabile e l'uranio e il plutonio ritrattati potrebbero essere utilizzati per produrre combustibile fresco).

2.6   Sono trascorsi 54 anni da quanto è entrata in funzione la prima centrale nucleare commerciale. E durante tutti questi anni il dibattito sulla gestione dei residui non si è mai interrotto. Un aspetto sul quale esiste un consenso generale riguarda lo stoccaggio a lungo termine temporaneo che viene considerato appropriato come prima fase di qualsiasi soluzione. Attualmente nell'UE non esistono ancora depositi definitivi per i residui a più alta attività, sebbene Svezia, Finlandia e Francia prevedano di rendere operativi tali depositi entro il 2025. L'obiettivo è progettare e realizzare strutture in grado di garantire la messa in sicurezza a lungo termine attraverso sistemi di protezione a sicurezza passiva, consistenti in barriere geologiche artificiali stabili, in modo che, dopo la chiusura di un impianto, non si debba più fare affidamento sul monitoraggio, sull'intervento umano o sui controlli istituzionali. Nella maggior parte degli Stati non esiste nessuna politica definitiva in materia di combustibile esaurito (oppure rimane inattuata) ma soltanto accordi che assicurano un lungo e sicuro periodo di stoccaggio (fino a 100 anni) (Sesta relazione sulla situazione della gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile esaurito nell'Unione europea, SEC(2008) 2416).

2.7   Il 93 % dei cittadini europei ravvisa un urgente bisogno di trovare una soluzione al problema della gestione dei residui radioattivi, piuttosto che lasciarlo in eredità alle future generazioni. La grande maggioranza dei cittadini europei in tutti gli Stati è d'accordo sul fatto che l'UE dovrebbe armonizzare gli standard ed essere in grado di monitorare le pratiche nazionali (Attitudes towards radioactive waste («L'atteggiamento dei cittadini nei confronti dei residui radioattivi»), indagine Eurobarometro, giugno 2008).

2.8   L'attuale legislazione UE viene giudicata inadeguata. La direttiva 2009/71/Euratom ha già istituito un quadro comunitario per la sicurezza nucleare degli impianti nucleari, sostenuto da tutti e 27 gli Stati membri e la direttiva sulla gestione dei residui radioattivi (COM(2010) 618 definitivo) rappresenta la logica tappa successiva.

2.9   Il mix energetico di ciascuno Stato membro e le sue scelte riguardo all'utilizzo dell'energia nucleare sono aspetti che rientrano tra le competenze nazionali e non vengono quindi affrontati dalla presente direttiva. Tuttavia il problema dei residui nucleari non può essere scisso dall'utilizzo dell'energia nucleare: i residui esistono in quantitativi rilevanti e rappresentano una potenziale grave minaccia a livello transnazionale e a lungo termine. Anche se le operazioni delle centrali nucleari venissero interrotte oggi, dovremmo comunque gestire i residui già esistenti. È nell'interesse di tutti i cittadini dell'UE che i residui radioattivi vengano smaltiti nel modo più sicuro possibile. È in questo scenario che la Commissione ha proposto una direttiva che stabilisce un quadro comunitario al fine di garantire una gestione responsabile del combustibile esaurito e dei residui radioattivi.

2.10   Il Comitato ha affrontato la questione l'ultima volta nel 2003 (1), sottolineando la necessità di agire con urgenza tenuto conto dell'allargamento e l'importanza del principio «chi inquina paga». La direttiva proposta, che formava oggetto del parere del 2003, non è stata approvata in quanto gli Stati membri hanno ritenuto alcuni aspetti troppo prescrittivi e hanno chiesto ancora tempo per riflettere.

3.   Sintesi della proposta di direttiva

3.1   Gli Stati membri, non oltre quattro anni a decorrere dall'entrata in vigore della direttiva, elaborano e presentano piani nazionali nei quali vengono indicati la sede attuale dei residui e i piani per la loro gestione e smaltimento.

3.2   Viene introdotto un quadro giuridicamente vincolante ed esecutivo per garantire l'attuazione da parte di tutti gli Stati membri degli standard comuni sviluppati dall'Agenzia internazionale dell'energia atomica (AIEA) per tutte le fasi della gestione del combustibile esaurito e dei residui radioattivi, fino allo smaltimento finale.

3.3   I programmi nazionali contengono: un inventario dei residui radioattivi, piani di gestione dalla produzione fino allo smaltimento, piani per la fase post-chiusura di un impianto di smaltimento, una descrizione delle attività di ricerca e sviluppo, le tappe più significative e gli orizzonti temporali relativi all'attuazione, la descrizione di tutte le attività necessarie al fine di mettere in atto soluzioni per lo smaltimento, la valutazione dei costi e i sistemi di finanziamento scelti. La direttiva non indica alcuna preferenza per una particolare forma di smaltimento.

3.4   La proposta di direttiva contiene un articolo sulla trasparenza inteso ad assicurare che le informazioni siano rese disponibili alla popolazione e che i cittadini abbiano occasioni di effettiva partecipazione ai processi decisionali concernenti alcuni aspetti della gestione dei residui radioattivi.

3.5   Gli Stati membri trasmettono alla Commissione una relazione sull'attuazione della direttiva e, successivamente, la Commissione presenta al Consiglio e al Parlamento europeo una relazione sui progressi realizzati. Gli Stati membri invitano inoltre a revisioni inter pares internazionali dei loro programmi e i risultati di tali riesami sono altresì trasmessi agli Stati membri e alla Commissione.

4.   Osservazioni generali

4.1   Nel presente parere il Comitato affronta in primo luogo il problema concreto e urgente dell'esistenza e della continua produzione di residui radioattivi. La maggior parte di questi residui (oltre il 90 %) deriva dalle attività associate con la produzione di energia nucleare. La possibilità di scegliere o di espandere l'energia nucleare nell'ambito del mix energetico spetta ai singoli Stati membri ma le implicazioni a lungo termine della gestione dei conseguenti residui possono avere ripercussioni a livello transnazionale (e transgenerazionale).

4.2   L'opinione pubblica relativa all'energia nucleare nei paesi dotati di centrali nucleari sarebbe notevolmente influenzata (a favore della produzione di energia nucleare) se si fornisse una rassicurazione riguardo all'esistenza di una soluzione sicura e permanente per la gestione dei residui radioattivi (Attitudes towards radioactive waste («L'atteggiamento dei cittadini nei confronti dei residui radioattivi»), indagine Eurobarometro, giugno 2008). I principali ostacoli a tale rassicurazione sono: il pericolo a lungo termine dei residui ad alta attività, i dubbi in merito alla sicurezza dello smaltimento geologico in profondità e al fatto che il rischio associato a tali siti venga conservato nella memoria pubblica per le generazioni future, e l'incertezza riguardo alla validità di altri metodi di smaltimento.

4.3   Tenuto conto dei lenti progressi in alcuni Stati membri sulle proposte concernenti la gestione a lungo termine dei residui radioattivi, la proposta di direttiva, che è in fase di elaborazione da diversi anni, dovrebbe contribuire a stimolare la formulazione di programmi nazionali di gestione a livello generale. Esistono attualmente validi modelli metodologici che possono essere utilizzati come riferimento. La proposta di direttiva mira a rendere giuridicamente vincolanti ed esecutivi, attraverso il diritto dell'UE, gli aspetti chiave degli standard definiti sotto l'egida dell'AIEA, un approccio questo che il Comitato accoglie con favore.

4.4   L'UE dispone già di un ampio corpus legislativo in materia di rifiuti, compresi i rifiuti pericolosi (2). Sebbene la direttiva chiarisca che le sue disposizioni non si basano su tale corpus ma su una base giuridica diversa, il capo 3 del Trattato Euratom, sarebbe comunque opportuno che nei considerando della proposta di direttiva venissero sostenuti i principi sanciti nella normativa vigente in materia di rifiuti pericolosi.

4.5   Al principio del «chi inquina paga» è stato associato l'obbligo, meno rigoroso, di assicurare la disponibilità di adeguate risorse finanziarie per le proposte concernenti la gestione dei residui, «tenendo nel debito conto la responsabilità dei produttori di residui radioattivi». Possono pertanto sorgere alcuni interrogativi riguardo alle sovvenzioni pubbliche trasversali e conseguentemente alla concorrenza sul mercato energetico. Il Comitato raccomanda pertanto che nella direttiva si affermi in maniera inequivoca che il finanziamento della gestione dei rifiuti deve basarsi sul rispetto del principio del «chi inquina paga» (in questo caso l'impresa che genera i rifiuti radioattivi tramite l'utilizzo dei reattori nucleari), tranne che in casi di forza maggiore, quando potrebbe rivelarsi necessario l'intervento dello Stato.

4.6   Il Comitato osserva che le disposizioni della direttiva si applicano esclusivamente ai residui radioattivi civili. In alcuni paesi sono state mobilitate ingenti risorse per la gestione dei residui radioattivi militari. È evidente che i programmi congiunti militari/civili hanno implicazioni aggiuntive sotto il profilo della sicurezza. Tuttavia, poiché la gestione dei residui radioattivi non civili può assorbire consistenti risorse tecnologiche e finanziarie, nonché la capacità di smaltimento in alcuni Stati membri, converrebbe stabilire collegamenti più precisi con questa direttiva.

5.   Osservazioni specifiche

5.1   I residui radioattivi sono stati specificamente esclusi dalle direttive UE sui rifiuti (3), anche se queste ultime contengono molti validi principi di cui dovrebbe essere tenuto conto. Il Comitato suggerisce pertanto che la presente direttiva, nei propri considerando, faccia riferimento specifico alla direttiva sui rifiuti pericolosi (91/689/CEE) e affermi di essere complementare a quest'ultima.

5.2   Il Comitato ritiene che la clausola dell'articolo 2 che esclude gli «scarichi autorizzati» dovrebbe in realtà includerli. Attualmente non esiste alcuna coerenza a livello UE sulla regolamentazione di tali scarichi che, a causa della divergenza di interpretazioni, rimangono quindi motivo di controversie tra gli Stati membri (ad esempio tra il Regno Unito e l'Irlanda per quanto riguarda gli scarichi nel Mare d'Irlanda.).

5.3   Il Comitato ha sempre sostenuto la prevenzione dei rifiuti auspicata dall'UE e indicata come priorità dalla direttiva relativa ai rifiuti (2006/12/CE). Come avviene con molte attività industriali, anche con la produzione di energia nucleare vengono generati consistenti quantitativi di rifiuti pericolosi. Gli Stati membri sono attualmente divisi riguardo alla possibilità di trovare alternative all'energia nucleare che siano sostenibili sotto il profilo economico, sociale e ambientale e quindi riguardo al fatto che sia inevitabile continuare a produrre residui radioattivi. Per risolvere questo dilemma - e poiché la maggioranza dei membri del CESE condivide l'idea che il nucleare dovrà svolgere un ruolo attivo nella transizione dell'Europa verso un'economia a basse emissioni di carbonio - il Comitato suggerisce che la direttiva esprima una preferenza per tentare di eliminare la maggior parte dei residui radioattivi alla fonte, man mano che vengono sviluppate alternative migliori e sostenibili.

5.4   L'articolo 3, paragrafo 3, della proposta di direttiva definisce lo smaltimento come «il deposito del combustibile esaurito o dei residui radioattivi in un impianto autorizzato senza l'intenzione di recuperarli». Il Comitato riconosce che esistono opinioni contrastanti in materia di reversibilità e possibilità di recupero dei rifiuti. Il CESE ritiene che nello sviluppo dei concetti di «smaltimento» non dovrebbero essere escluse la reversibilità e la possibilità di recupero dei rifiuti, nel rispetto delle disposizioni della rispettiva argomentazione per la giustificazione della sicurezza.

5.5   L'articolo 4, paragrafo 3, stabilisce che i residui radioattivi sono smaltiti nello Stato membro in cui sono stati prodotti, a meno che non siano conclusi accordi tra Stati membri al fine di utilizzare congiuntamente gli impianti di smaltimento presenti sul territorio di uno di essi. Il CESE raccomanda di avvalersi ampiamente di questa opzione per utilizzare al meglio i siti di stoccaggio particolarmente adatti a questo uso. Il Comitato condivide questo approccio esplicito che consiste sia nel gestire i residui radioattivi prodotti dagli Stati membri esclusivamente nell'UE sia nell'opportunità di sviluppare impianti condivisi. È stato osservato che ciò non esclude la possibilità di rimpatrio dei rifiuti ritrattati derivanti dal ritrattamento del combustibile esaurito nei paesi di origine al di fuori dell'UE. Tuttavia, per fugare ogni dubbio, si suggerisce di rendere questo punto esplicito nella relazione introduttiva o nei considerando.

5.6   Il Comitato si chiede se un'autovalutazione ogni 10 anni da parte degli Stati membri dei loro programmi, unitamente a una revisione inter pares internazionale (articolo 16), possa offrire l'opportunità di consolidare pienamente le conoscenze e le buone pratiche, e assicurare un adeguato livello di oggettività, di rigore e di analisi indipendente. Gli ingenti costi associati alle relazioni verranno sostenuti dagli Stati membri e, a tempo debito, secondo il Comitato, dovrebbe essere creato un organismo di sorveglianza incaricato di vigilare sulla gestione dei residui radioattivi nell'UE. Ciò consentirebbe non solo di migliorare le norme redazionali delle relazioni e le buone pratiche ma anche di disporre di un efficiente meccanismo per la condivisione dei costi, e di rafforzare la direttiva sulla sicurezza nucleare (4).

5.7   Il CESE si compiace espressamente per il fatto che la Commissione intende altresì continuare a sostenere la ricerca in materia di smaltimento geologico dei residui radioattivi e il coordinamento della ricerca nell'insieme dell'UE. Sottolinea che questi programmi dovrebbero essere promossi in maniera adeguata e su ampia scala e invita gli Stati membri ad affrontare la questione nei loro programmi di ricerca nazionali e attraverso ricerche svolte in collaborazione mediante i programmi quadro di R&S della Commissione.

Bruxelles, 4 maggio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU C 133 del 6.6.2003, pag. 70.

(2)  GU L 377 del 31.12.1991, pag. 20.

(3)  GU L 312 del 22.11.2008, pag. 3.

(4)  GU L 172 del 2.7.2009, pag. 18.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Il seguente punto del parere della sezione è stato modificato in seguito all'adozione di un emendamento da parte dell'Assemblea, ma il suo mantenimento nella forma originaria ha ottenuto almeno un quarto dei voti espressi.

Punto 5.5

L'articolo 4, paragrafo 3, stabilisce che i residui radioattivi sono smaltiti nello Stato membro in cui sono stati prodotti, a meno che non siano conclusi accordi tra Stati membri al fine di utilizzare gli impianti di smaltimento presenti sul territorio di uno di essi. Il Comitato condivide questo approccio esplicito che consiste sia nel gestire i residui radioattivi prodotti dagli Stati membri esclusivamente nell'UE sia nell'opportunità di sviluppare impianti condivisi. È stato osservato che ciò non esclude la possibilità di rimpatrio dei rifiuti ritrattati derivanti dal ritrattamento del combustibile esaurito nei paesi di origine al di fuori dell'UE. Tuttavia, per fugare ogni dubbio, si suggerisce di rendere questo punto esplicito nella relazione introduttiva o nei considerando.

Esito della votazione

Voti favorevoli

:

67

Voti contrari

:

57

Astensioni

:

26