ISSN 1725-2466

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 168

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

50o anno
20 luglio 2007


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

III   Atti preparatori

 

Comitato economico e sociale europeo

 

435a sessione plenaria del 25 e 26 aprile 2007

2007/C 168/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo su: Lo sviluppo della catena del valore e della catena di fornitura (supply chain) nel contesto europeo e mondiale

1

2007/C 168/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo su: Le aree metropolitane europee: implicazioni socioeconomiche per il futuro dell'Unione europea

10

2007/C 168/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo su: L'agenda territoriale

16

2007/C 168/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Relazione della Commissione — Relazione sulla politica di concorrenza 2005 SEC(2006) 761 def.

22

2007/C 168/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per la protezione del suolo e modifica la direttiva 2004/35/CE COM(2006) 232 def. — 2006/0086 (COD)

29

2007/C 168/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito a:

34

2007/C 168/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo — Conseguire la sostenibilità della pesca nell'UE tramite l'applicazione del rendimento massimo sostenibile COM(2006) 360 def.

38

2007/C 168/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che vieta la commercializzazione, l'importazione nella Comunità e l'esportazione fuori della Comunità di pellicce di cane e di gatto e di prodotti che le contengono COM(2006) 684 def. — 2006/0236 (COD)

42

2007/C 168/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al divieto di esportazione e allo stoccaggio in sicurezza del mercurio metallico COM(2006) 636 def. — 2006/0206 (COD)

44

2007/C 168/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Consiglio relativa a orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione COM(2006) 815 def. — 2006/0271 (CNS)

47

2007/C 168/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Verso una politica marittima dell'Unione: una visione europea degli oceani e dei mari COM(2006) 275 def.

50

2007/C 168/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo su: La politica portuale comune nell'UE

57

2007/C 168/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni: La logistica delle merci in Europa — La chiave per una mobilità sostenibile COM(2006) 336 def.

63

2007/C 168/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Revisione intermedia del Programma per la promozione del trasporto marittimo a corto raggio [documento COM(2003) 155 definitivo] COM(2006) 380 def.

68

2007/C 168/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali COM(2006) 569 def. — 2006/0182 (COD)

71

2007/C 168/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 97/67/CE relativa al pieno completamento del mercato interno dei servizi postali comunitari COM(2006) 594 def. — 2006/0196 (COD)

74

2007/C 168/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo su: Trasporti nelle aree urbane e metropolitane

77

2007/C 168/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo su: Promozione del trasporto ciclistico transfrontaliero

86

IT

 


III Atti preparatori

Comitato economico e sociale europeo

435a sessione plenaria del 25 e 26 aprile 2007

20.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 168/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo su: Lo sviluppo della catena del valore e della catena di fornitura (supply chain) nel contesto europeo e mondiale

(2007/C 168/01)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 6 luglio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere su: Lo sviluppo della catena del valore e della catena di fornitura (supply chain) nel contesto europeo e mondiale.

La predetta decisione è stata confermata in data 26 ottobre 2006.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 marzo 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore van IERSEL e dal correlatore GIBELLIERI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 aprile 2007, nel corso della 435a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 130 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni.

Parte I — Conclusioni e raccomandazioni

A.

Il Comitato esorta i responsabili politici a concentrare l'attenzione sul concetto di sviluppo della catena del valore e della catena logistica (supply chain), o meglio su quello di industria organizzata in rete e interazione aziendale, e invoca un approccio interattivo in materia ai livelli comunitario e nazionale.

B.

Questi processi dinamici richiedono adattamento e adattabilità nel gestire tutti gli aspetti dell'attività delle imprese, compresi la definizione e la progettazione dei prodotti, i servizi, il marketing e la gestione delle risorse finanziarie e umane. Tali funzioni sono spesso esternalizzate. Organizzazione in rete significa che, in tutto il mondo, le imprese sviluppano tra di loro una trama di rapporti sempre più fitta e che il settore manifatturiero e quello dei servizi diventano sempre più integrati.

C.

Questa situazione influisce sulle imprese in modo sostanzialmente diverso a seconda delle loro dimensioni, della loro posizione all'interno delle catene e delle reti di fornitura e del settore in cui operano. In genere le grandi imprese multinazionali occupano una buona posizione in tutte le fasi di questo processo. Per contro, i fornitori di dimensioni relative medio-piccole che intervengono in una fase iniziale o intermedia (primo, secondo, terzo … fornitore) incontrano spesso degli ostacoli, come evidenziato nella parte II. Nel presente parere sono contraddistinti dalla sigla I&I, che sta per «iniziali e intermedi» (IIC: initial and intermediate companies, una denominazione coniata espressamente per il presente parere) (1).

D.

La stragrande maggioranza dei posti di lavoro del settore privato si trova in imprese «non molto grandi» (cfr. punto C). Tra queste, quelle più innovative e creative assumono un'importanza decisiva nell'economia organizzata in rete. L'entità di questa evoluzione è così significativa da produrre un impatto considerevole a livello non solo microeconomico ma anche macroeconomico.

E.

Il Comitato ritiene necessario migliorare l'ambiente in cui operano le imprese I&I. Il presente parere (nei capitoli 3 e 4 della parte II) individua le principali sfide e avanza una serie di proposte d'intervento, per esempio:

cambiare atteggiamento nei confronti delle imprese I&I,

migliorare la cooperazione e la fiducia reciproca tra queste imprese,

facilitare l'accesso ai finanziamenti,

ridurre gli effetti di lock-in/lock-out,

far rispettare i diritti di proprietà intellettuale,

contrastare le distorsioni della concorrenza utilizzando gli strumenti di difesa commerciale dell'UE in modo coerente, più efficiente e tempestivo in modo da evitare importazioni sleali,

promuovere le competenze specialistiche e lo spirito imprenditoriale,

attirare nelle imprese I&I giovani qualificati, soprattutto nei diversi rami dell'ingegneria,

attuare la nuova politica industriale europea, in particolare il suo approccio settoriale,

fare un uso ottimale del 7PQ,

adottare una normativa mirata e ridurre la burocrazia.

F.

La mancanza di una definizione consolidata delle imprese I&I rende difficile coglierne appieno l'importanza per i processi di trasformazione industriale e di globalizzazione. Bisognerebbe fare molto di più per accrescere la consapevolezza del ruolo che svolgono. Per attuare alcune o tutte le proposte elencate al punto E, le imprese devono soddisfare una serie di prerequisiti, i responsabili politici devono realizzarne altri, mentre altri prerequisiti vanno soddisfatti da entrambi. In ogni caso, qualsiasi iniziativa di attuazione deve essere effettuata in stretta collaborazione con tutte le parti direttamente interessate. Nella stessa linea, i comitati di dialogo settoriale che operano ai livelli europeo e nazionale dovrebbero poter impartire ai responsabili politici orientamenti credibili e condivisi.

Parte II — Motivazioni

1.   Introduzione

1.1

Dire che la comparsa delle catene di fornitura sia un fenomeno moderno sarebbe sbagliato, dato che esse sono esistite, in una forma o l'altra, fin dalla nascita della produzione organizzata.

1.2

Tuttavia, è giusto osservare che negli ultimi decenni esse sono state al centro di un forte interesse, in conseguenza del contesto aggressivo generato dal progresso tecnologico e dalla globalizzazione e dai loro effetti combinati sui mercati. Questo argomento è trattato diffusamente da innumerevoli pubblicazioni e convegni in ogni parte del mondo. La sequenza lineare convenzionale è stata sostituita da reti complesse e da processi integrati di produzione che spesso coinvolgono più imprese situate in diversi paesi.

1.3

Oggigiorno le catene del valore e di fornitura sono sempre più connesse tra di loro, tanto che in molti settori esiste ormai una vera e propria rete globale. Ciò giustifica l'uso del termine «rete» piuttosto che «catena», poiché il primo designa indubbiamente una realtà più labile di quella indicata dal secondo.

1.4

Le stesse reti di creazione del valore (o, più brevemente, «reti del valore») stanno diventando più globalizzate ed estese. Fa parte di questo processo una rete del valore paneuropea, rafforzata dal recente allargamento dell'UE.

1.5

Oggi ci si rende conto che il miglioramento interno alle singole imprese non è più sufficiente per soddisfare le esigenze delle imprese stesse. Per quanto utili e auspicabili, i vantaggi ottenuti grazie ai programmi di analisi interna alle singole imprese non consentono loro di cogliere le opportunità offerte da un modo di condurre l'attività economica realmente globalizzato. Se vogliono sopravvivere nel mondo di oggi, le imprese devono guardare all'esterno.

1.6

La gestione delle reti e la logistica hanno perciò assunto un posto preminente e le imprese impiegano quantità sempre maggiori di tempo e di denaro per ottimizzare i rendimenti semplificando e coordinando la rete — sempre più complessa — delle attività e dei servizi di fondamentale importanza per le operazioni industriali e commerciali di oggi.

1.7

La natura della responsabilità di gestione e delle competenze specifiche richieste al personale di ogni livello è cambiata drasticamente, in considerazione del fatto che si richiedono decisioni e approcci tali da garantire livelli ottimali di cooperazione tra acquirenti, fornitori e imprese.

1.8

È questa la situazione in cui si trovano oggi ad operare le imprese di ogni tipo, grandi, medie e piccole, malgrado le differenze e l'interazione tra i vari settori. Sembra tuttavia che le grandi multinazionali occupino nei processi attuali una posizione migliore delle imprese I&I (2).

1.9

Nella realtà due terzi dei dipendenti del settore privato in Europa lavorano nelle PMI, molte delle quali sono imprese I&I. Di conseguenza la prosperità di questo tipo di imprese, al di là della dimensione microeconomica, presenta anche un impatto macroeconomico.

1.10

Pur vertendo sul tema dello sviluppo della catena del valore e della catena di fornitura, il presente parere si concentra in particolare sulle imprese I&I innovative (caratterizzate da alta tecnologia e alta qualità) che hanno il potenziale per crescere e operare sulla scena internazionale oppure su quelle già presenti sul mercato globale (3).

1.11

Di conseguenza, si devono sviluppare e migliorare metodi e strumenti per creare un ambiente sano e sostenibile che consenta alle imprese di questo tipo di prosperare e di sfruttare appieno il loro potenziale.

1.12

Sebbene le catene/reti del valore siano diverse da un settore all'altro, si è ritenuto opportuno illustrare l'analisi svolta nel presente parere concentrandosi su un solo settore. L'Allegato 2 presenta quindi un caso di studio relativo al settore automobilistico, che illustra bene alcune delle problematiche in gioco. È stato scelto questo settore perché si distingue per la complessità delle sue catene/reti di fornitura, come dimostra l'Allegato 1.

1.13

Le imprese europee scelgono spesso di esternalizzare una o più fasi delle catene di fornitura. Successivamente importano il prodotto di queste fasi e vi aggiungono valore prima di trasmetterlo a un altro elemento della rete del valore. È importante creare le condizioni per garantire che, nel corso dell'intero processo, il massimo livello possibile di profitti, occupazione e know-how rimanga in Europa. Ciò assume un'importanza cruciale in quanto il know-how è sempre più un fattore di produzione a pieno titolo, che viene trasmesso nelle reti di creazione del valore soprattutto da una finanza che, più che attraversare frontiere, semplicemente non le conosce (4).

1.14

Il presente parere spiega in che modo l'UE può contribuire più efficacemente a mantenere in Europa componenti importanti (a valore aggiunto) della catena di fornitura (5).

2.   Reti del valore e trasformazioni industriali

2.1

Nella società organizzata in rete le trasformazioni industriali sono strettamente legate alla creazione del valore, cosa che attribuisce un ruolo di primo piano a servizi quali la consulenza, l'engineering, la logistica o il marketing. Data la minore integrazione verticale, spesso ormai la creazione del valore nella trasformazione si sposta in capo al fornitore. Il processo diventa tanto più pluridimensionale in quanto molti di questi fornitori fanno anche parte di reti globalizzate, il che crea nuove interdipendenze tra fornitori.

2.2

Ma cosa si intende in realtà con il termine «globale»? Se è evidente il ruolo svolto dagli Stati Uniti e dal Giappone, è vero altresì che negli ultimi decenni hanno fatto irruzione sulla scena globale altre regioni, come i cosiddetti paesi BRIC (Brasile, Russia, India e Cina). Tuttavia, va osservato che questo gruppo si suddivide in due livelli distinti e che è in particolare l'influenza dell'India e della Cina che sta drasticamente riconfigurando il panorama mondiale delle catene di fornitura e della creazione del valore (6).

2.3

Tenuto conto di ciò, l'UE deve accrescere la sua capacità di competere sul piano del valore aggiunto, dato che una concorrenza solo sul piano dei costi non sarebbe realistica né compatibile con i propri valori sociali e di sostenibilità.

2.4

Le catene e le reti di fornitura sono in espansione, in corrispondenza di processi industriali sempre più caratterizzati dalla frammentazione delle linee di produzione e dalla specializzazione dei prodotti grazie alle tecnologie e all'adattamento di questi ultimi alle esigenze della clientela. I produttori possono standardizzare le parti essenziali dei prodotti e, nel contempo, lasciare spazio alla loro personalizzazione: il fenomeno noto come personalizzazione di massa.

2.5

Questi processi sono stimolati dall'interazione tra industria manifatturiera e servizi (7), che a sua volta rende sempre più labili i confini tra i settori secondario e terziario. Le tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) contribuiscono a tale situazione facendo aumentare l'interoperabilità e la prestazione di servizi per via elettronica.

2.6

Le imprese europee dovrebbero tendere a creare reti di fornitura i cui processi abbiano per oggetto un «prodotto esteso» (un sistema di prodotti e servizi) rivolto a mercati di nicchia ad alto valore aggiunto. Gli stessi stabilimenti sono ormai divenuti prodotti complessi commerciabili.

2.7

I nuovi cicli tecnologici pongono un accento ancora maggiore sulla gestione delle risorse umane a tutti i livelli e accentuano l'urgenza della formazione lungo tutto l'arco della vita, indispensabile in quanto componente essenziale della competitività e dell'occupabilità.

2.8

Il ciclo di vita dei prodotti va abbreviandosi e modificandosi, a causa della sempre maggiore interazione tra attività manifatturiera e prestazione di servizi man mano che, in molti settori, la concorrenza e la cooperazione (preconcorrenziale) diventano globali.

2.9

Le trasformazioni in atto influenzano notevolmente la struttura delle imprese e la relazione dinamica tra di esse, esigendo continuamente adattamenti e riorganizzazioni. La specializzazione dei processi produttivi, la personalizzazione dei prodotti e lo sviluppo di servizi connessi alla produzione conducono a una sempre maggiore esternalizzazione. Inversamente, quest'ultima può ulteriormente condurre a fenomeni di specializzazione e decentramento.

2.10

Parallelamente a questi processi si osserva il fenomeno della concentrazione mediante fusioni e acquisizioni; quanto più ci si allontana dal consumatore, tanto più si registrano concentrazione e consolidamento.

2.11

L'esternalizzazione e l' offshoring avvengono su scala mondiale (8). Le economie emergenti dei nuovi Stati membri, così come quelle dei paesi asiatici, sono fortemente coinvolte in questo processo in cui ognuna di loro offre i propri vantaggi sul piano dei costi e il proprio potenziale di mercato. L'Asia sta diventando il centro indiscusso della produzione di beni e della prestazione di servizi a basso costo. In Cina e in India si stanno sviluppando tecnologie indipendenti. Tali processi possono comportare una delocalizzazione di attività accompagnata da effettive perdite di posti di lavoro, cosa che può generare nei lavoratori un sentimento di precarietà, ma d'altra parte la delocalizzazione può anche dare impulso all'occupazione nelle imprese europee (9).

2.12

I complessi sviluppi derivanti dalle innumerevoli operazioni, fusioni e acquisizioni che avvengono in tutto il mondo mostrano che la delocalizzazione, come risultato di trasformazioni delle linee di produzione e di prestazione di servizi, non è un processo lineare o unidirezionale. I costi di produzione costituiscono solo uno degli elementi di uno spettro più ampio di considerazioni, dove nell'equazione entrano una serie di altri fattori che esulano dall'oggetto del presente parere. Essi comprendono: una logistica complessa, elevati costi di trasporto, preoccupazioni ambientali, quadri normativi, tutela della proprietà intellettuale e disponibilità di materie prime, di tecnologie e di competenze specifiche. Tenendo conto di tutti questi fattori, talvolta risulta conveniente ritrasferire la produzione o i servizi in Europa.

2.13

D'altra parte la delocalizzazione può anche riguardare attività innovative e questo comporterebbe per l'Europa una perdita di know-how. Infatti, se nell'Unione europea non si rafforza la base di ricerca e di conoscenza, a lungo termine la delocalizzazione può erodere la capacità di innovazione delle imprese europee. In quest'ottica è significativo il numero crescente degli ingegneri in India e Cina (il 45 % di tutti gli ingegneri nel mondo).

2.14

Inoltre, il fatto che i giovani altamente qualificati stiano lasciando l'Europa o mostrino una preferenza per il lavoro nelle grandi imprese (10) può tradursi in una carenza di personale qualificato nelle imprese I&I europee.

2.15

Le grandi imprese sono spesso in posizione migliore delle imprese I&I per affrontare le sfide descritte. In generale godono di un accesso relativamente facile agli istituti di credito e ai mercati dei capitali, sono coinvolte in interazioni e interoperatività di ogni tipo con altre imprese, hanno accesso a un'ampia gamma di mercati e sono all'avanguardia nel processo di esternalizzazione. Rispetto alle aziende di dimensioni inferiori sono però meno flessibili.

3.   Le sfide per le imprese I&I

3.1

Tutti gli indicatori mostrano che il processo di frammentazione della produzione, di personalizzazione e di creazione di reti globali continuerà. Anche se, nella maggior parte dei settori produttivi, sono le grandi imprese multinazionali a fungere da leader strategici, in molti casi questi processi vedono protagonista un numero sempre maggiore di imprese I&I.

3.2

Le imprese I&I, pur disponendo di un notevole potenziale, talvolta sono costrette ad adottare un approccio a breve termine e in genere fanno molta fatica a penetrare in nuovi mercati, dipendono dalla regolarità delle commesse di alcune grandi imprese loro clienti e non hanno un accesso tanto facile ai mercati dei capitali. Sono inoltre fortemente esposte a rischi di rottura della catena di fornitura legati alle riduzioni dei costi richieste continuamente dai grandi clienti. Nei punti che seguono il Comitato richiama l'attenzione sulle principali sfide che le imprese I&I devono affrontare.

Assumere la mentalità giusta

3.3

In molti casi, il miglioramento delle condizioni quadro delle imprese di dimensioni relativamente medio-piccole è semplicemente una questione di atteggiamento, sia nella società che all'interno delle stesse imprese. Poiché in alcuni Stati membri e in alcune regioni l'atteggiamento nei confronti di queste imprese è più favorevole che altrove, va incoraggiato lo scambio di buone pratiche.

Fiducia reciproca e cooperazione tra le imprese I&I

3.4

Le imprese I&I vanno incoraggiate ad aprirsi alla cooperazione e a sviluppare progetti congiunti. Tale cooperazione e tali progetti possono rafforzare la loro posizione di mercato e aiutare i fornitori nelle trattative con le grandi imprese loro clienti. Inoltre, potrebbero contribuire a compensare gli effetti negativi che subisce un'impresa bloccata all'interno o all'esterno di una rete di fornitura.

3.5

Si dovrebbe incoraggiare l'utilizzo del software «open source» (11) e il libero accesso alle tecnologie e agli standard di engineering. Al riguardo, è molto importante che le imprese I&I interagiscano efficacemente con gli istituti di ricerca.

3.6

A tal fine, nei contesti caratterizzati da un'elevata industrializzazione e dall'uso di alta tecnologia, può risultare molto utile la formazione di «clusters» e di reti intorno alle imprese leader e ai distretti industriali (12), in quanto ciò incoraggerà i progetti di collaborazione tra imprese. Sono cruciali un atteggiamento di apertura nelle università e nei centri di ricerca vicini e l'adozione di un approccio appropriato da parte degli enti locali e regionali. I distretti industriali situati attorno a poli tecnologici, parchi scientifici e università possono arrecare grandi vantaggi alle piccole imprese.

Il contesto finanziario

3.7

Gli istituti di credito e le parti interessate del settore finanziario in genere dovrebbero essere incoraggiati ad adottare un atteggiamento più favorevole nei confronti dell'assunzione del rischio. I dati statistici mostrano che l'approccio al rischio più positivo riscontrabile nel mondo finanziario degli Stati Uniti premia abbondantemente. In ogni caso, in Europa è necessario aprire il mercato dei capitali, tanto più che in molti casi l'onere finanziario dei processi produttivi tende a passare dalle grandi aziende ai piccoli fornitori.

3.8

Nell'industria automobilistica, ad esempio, l'esternalizzazione ha creato a numerose imprese problemi di finanziamento perché il processo di sviluppo e il tempo di ammortamento sono lunghi e spesso durano fino a 3-5 anni e 5-7 anni rispettivamente. Negli Stati Uniti il problema è stato parzialmente risolto agevolando l'accesso al capitale privato, mentre in molti paesi in via di sviluppo si è fatto ricorso a una normativa fiscale molto generosa e ad aiuti di Stato. In Europa le condizioni del settore vanno urgentemente migliorate, in particolare per quanto concerne le imprese I&I e il loro bisogno di finanziare R&S per l'innovazione tecnologica. Oltre alle autorità statali, devono fare la loro parte anche gli istituti di credito (compresa la Banca europea per gli investimenti — BEI, in stretta collaborazione con partner creditizi di tutta Europa) e i fondi di private equity.

3.9

Il Comitato guarda con molto interesse agli orientamenti presentati nella comunicazione della Commissione intitolata Attuare il programma comunitario di Lisbona: Finanziare la crescita delle PMIPromuovere il valore aggiunto europeo  (13). Il collegamento tra istituti finanziari e private equity da una parte e PMI dall'altra deve essere reso più agevole.

Effetti di lock-in/lock-out

3.10

La dipendenza dai grandi clienti è fonte di preoccupazione, in particolare nelle regioni in cui predomina un'unica industria (regioni monoindustriali), quando le imprese I&I sono escluse dalle catene di fornitura («locked out») o bloccate all'interno di queste («locked in»). Nel cooperare con le grandi imprese il fornitore dovrà spesso utilizzare la tecnologia da loro richiesta. Rifornire un solo, grande cliente può di fatto costringere un fornitore a limitarsi a una determinata tecnologia.

3.11

Può accadere lo stesso ai fornitori che vengono esclusi perché non dispongono degli strumenti necessari per accedere ad altri mercati ed inserirsi in altre catene o reti di fornitura.

3.12

Le grandi imprese, tuttavia, non amano dipendere completamente da un unico fornitore, anche se ciò a volte si verifica. In certi casi, infatti, i grandi costruttori automobilistici preferiscono avere un fornitore unico, soprattutto per quanto riguarda il settore della ricerca e dello sviluppo e produzione di nuovi componenti e sistemi destinati al prodotto finale. Lo scenario abituale, però, vede un'aspra concorrenza tra fornitori.

3.13

Si nota che in alcuni casi, principalmente nell'industria automobilistica, i costi dello sviluppo tecnologico sono traslati sul fornitore, a cui si chiede anche di condividere le conoscenze con i suoi concorrenti. Ciò può risultare problematico specialmente per i fornitori non monopolistici.

3.14

Gli effetti di blocco o di esclusione (rispettivamente, lock-in e lock-out effect) rispetto alle catene di fornitura tendono ad aumentare al crescere delle applicazioni delle TIC, anche se l'effetto lock-in/lock-out non riguarda solo le tecnologie dell'informazione. Le licenze sono spesso difficili da ottenere. Da un lato la mancanza di standardizzazione e di interoperabilità, dall'altro lo scarso utilizzo di tecnologia open source ostacolano gli investimenti.

3.15

Anche in questo caso (cfr. punto 3.6), la cooperazione e il clustering possono aiutare a superare le carenze derivanti dai processi descritti, in particolare nelle regioni monoindustriali.

I diritti di proprietà intellettuale (DPI)

3.16

La proprietà intellettuale riveste un'importanza fondamentale (14). La protezione dei DPI rappresenta una sfida particolare per le imprese I&I, molte delle quali sono piccole e medie imprese. Dati i problemi, già segnalati, che queste imprese generalmente incontrano nel finanziare la R&S, non si dovrebbero peggiorare le cose creando una situazione in cui sarebbero i concorrenti a raccogliere i frutti del loro impegno.

3.17

I brevetti svolgono un ruolo cruciale. In numerosi pareri il Comitato ha espresso profonda preoccupazione per i ripetuti falliti tentativi di introdurre il brevetto comunitario, che hanno intaccato la credibilità della politica europea della ricerca e non sono riusciti a ncentivare una ricerca più innovativa e finalizzata a risultati competitivi (15). La mancata soluzione di una questione così importante rende la tutela dell'innovazione molto costosa (in particolare in confronto agli Stati Uniti e al Giappone) e, in effetti, a volte insostenibile per le imprese I&I.

3.18

Il problema dell'elevato costo dei procedimenti di tutela dei DPI è ulteriormente aggravato da una certa inefficacia, spesso determinata dal mancato rispetto delle norme vigenti. Nelle relazioni commerciali con la Cina andrebbe affrontato in via prioritaria il problema della contraffazione, a causa della quale molte imprese ad alta tecnologia non sono disposte ad aumentare i loro investimenti in quel paese o addirittura ritirano gli investimenti già effettuati (16).

3.19

L'Allegato 2 illustra la gravità dell'abuso dei DPI e della contraffazione nel settore dei componenti automobilistici.

Cogliere le nuove opportunità — l'importanza delle competenze e dello spirito imprenditoriale

3.20

Le imprese I&I specializzate hanno delle valide carte da giocare. Il passaggio dalla produzione su larga scala al decentramento e alla personalizzazione di prodotti e servizi offre loro nuove opportunità purché sviluppino anche le competenze necessarie.

3.21

Desta preoccupazione il fatto che, in tutta Europa, la maggior parte dei giovani laureati preferisca lavorare per le grandi imprese. Vi è un chiaro bisogno di incoraggiare a lavorare nelle imprese I&I migliorando le prospettive di carriera dei loro lavoratori. Il problema risulta particolarmente acuto per queste imprese laddove il numero complessivo dei laureati è insufficiente, ad esempio nelle discipline ingegneristiche.

3.22

I sistemi cosiddetti di dual training (doppia formazione, ossia alternanza scuola-lavoro), attualmente utilizzati in alcuni Stati membri come la Germania, l'Austria e il Lussemburgo (nei quali si parla di duale Ausbildung), possono rivelarsi preziosi per le imprese I&I.

3.23

Migliorare le qualifiche e le competenze del personale è essenziale. Le persone stesse, e non solo le imprese, possono contribuire all'innalzamento degli standard (17). Sotto questo aspetto può essere di aiuto il miglioramento dell'ambiente di lavoro. Concezioni moderne nella gestione delle risorse umane, che comprendano il riesame sistematico dei programmi di istruzione e formazione, possono aiutare a creare posti di lavoro. Sono punti che dovranno essere affrontati nel quadro degli approcci settoriali e anche nel dialogo tra le parti sociali.

3.24

Non si darà mai abbastanza importanza non solo alla correlazione diretta fra efficienza del sistema d'istruzione e livello di competenze del personale, ma anche al triangolo istruzione/innovazione/ricerca. A questo proposito la nuova iniziativa europea «Regioni per il cambiamento economico» può essere estremamente utile, in quanto sottolinea la dimensione e l'impatto regionali della ricerca, delle capacità tecnologiche e dei cluster economici (18).

3.25

Perché le imprese I&I possano approfittare pienamente delle opportunità offerte dal miglioramento delle competenze e dalla promozione dell'imprenditorialità, non può essere trascurata l'importanza della dimensione territoriale. La globalizzazione, che implica una sempre maggiore internazionalizzazione, porta con sé l'esigenza di rafforzare in misura corrispondente la prossimità regionale. Ciò potrebbe essere fatto con i seguenti strumenti:

programmazione strategica regionale,

dialogo sociale territoriale,

iniziative dal basso e partnership regionali, alimentate dalla specializzazione di ogni regione,

mobilità dei ricercatori tra imprese e università.

3.26

Lo spirito imprenditoriale è molto importante, come lo sono la creatività e la flessibilità, intesa come capacità di adattarsi rapidamente ai cambiamenti. Spesso, inoltre, le piccole e medie imprese hanno maggiori capacità di quelle grandi per rispondere alle sfide. Questi fattori possono senz'altro aiutarle a trarre vantaggio dalla frammentazione e dalla personalizzazione delle reti (19).

4.   Proposte di intervento

4.1

Per accrescere l'efficienza di una catena del valore e di una catena di fornitura è essenziale creare un contesto economico sano per le imprese I&I. Il Comitato ritiene che vi siano due strumenti principali in grado di sostenere la presenza delle imprese I&I europee nelle reti mondiali: la nuova politica industriale (compreso l'approccio settoriale) e il 7PQ.

La politica industriale

4.2

Le imprese I&I andrebbero coinvolte in maniera più sistematica nel quadro della politica industriale europea. La Commissione e il Consiglio dovrebbero effettuare valutazioni preliminari e più accurate dell'impatto sulle imprese ad alta tecnologia delle normative in preparazione, ad esempio in materia di sviluppo tecnologico e normazione. Troppo spesso per industria si intende solo la grande impresa. Spesso trascurate, le imprese I&I dovrebbero invece essere consultate separatamente.

4.3

Il Comitato sottolinea l'importanza delle TIC per le imprese I&I e approva pienamente gli obiettivi indicati dalla Commissione nella comunicazione Accrescere la fiducia nei mercati elettronici tra imprese  (20).

4.4

La Commissione ha inoltre creato la Rete europea di sostegno all'e-business (European e-Business Support Network - eBSN). Il Comitato approva l'obiettivo principale di questa rete, ossia riunire gli esperti europei di e-business e permettere lo scambio di esperienze e buone prassi.

4.5

Un aspetto essenziale della politica industriale dell'UE è costituito da un dialogo aperto sugli orientamenti e sulle tecnologie del futuro dal punto di vista dei singoli settori produttivi, come previsto nelle piattaforme tecnologiche europee esistenti. Anche se i confini tra i vari settori diventano sempre più labili, in questo contesto un approccio specifico per settori resta senz'altro valido e offre alle imprese I&I vantaggiose opportunità.

4.6

Non si insisterà mai abbastanza sull'importanza dell'innovazione. Il Comitato appoggia la proposta della Commissione di sviluppare mercati propizi all'innovazione lanciando una nuova iniziativa a favore dei mercati-guida, destinata a facilitare la creazione e l'immissione sul mercato di nuovi prodotti e servizi innovativi in settori promettenti (21).

4.7

È importante che le imprese I&I partecipino alle piattaforme tecnologiche. È auspicabile che siano individuati altri modi e mezzi per rimuovere gli ostacoli esistenti nel settore. Bisogna prevedere un programma di ricerca strategico che includa anche le imprese I&I. Tuttavia, la realtà quotidiana delle piattaforme evidenzia anche le debolezze tipiche di molte di queste imprese, quali la mancanza di fiducia reciproca, di tempo, di rappresentanti disponibili e — spesso — di focalizzazione strategica.

4.8

Per definire un programma di ricerca strategico, il gruppo di alto livello Manufuture (22) ha effettuato un'analisi in cui espone idee analoghe sulle trasformazioni concernenti, da un lato, i nuovi prodotti ad elevato valore aggiunto e la combinazione fra attività manifatturiera e prestazione di servizi e, dall'altro, le forme innovative di produzione (23).

4.9

Inoltre, spesso sono gli effetti di blocco e di esclusione rispetto alle catene di fornitura ad ostacolare l'effettiva partecipazione delle imprese alle piattaforme, allorché le imprese I&I — comprese quelle dotate di un notevole potenziale — non sono in grado di partecipare a sistemi interoperabili.

4.10

Il Comitato ritiene che si debba sviluppare per le imprese I&I una visione strategica, che potrebbe aiutarle a superare le difficoltà derivanti dall'essere bloccate nelle catene di fornitura o escluse da queste ultime. Lo scopo dovrebbe essere l'interoperabilità, da conseguire con i seguenti strumenti:

a)

un'iniziativa ad hoc finalizzata alla collaborazione tra i fornitori di software per servire un numero maggiore di clienti;

b)

un prezzo inferiore, o addirittura la gratuità, per gli strumenti necessari a quelle imprese (24), allo scopo di consentire alle imprese I&I di servire un maggior numero di clienti (25).

4.11

Secondo il Comitato, lo stesso scopo potrebbe essere perseguito creando dei forum europei per la cooperazione tra imprese I&I, al fine di mettere in comune la creatività e l'innovazione in tutta Europa.

4.12

Un problema fondamentale è facilitare l'accesso ai mercati finanziari.

4.12.1

Il Comitato ritiene che gli istituti di credito e altri attori finanziari interessati, come i fondi di capitale di rischio (venture capital), dovrebbero essere incoraggiati ad adottare un atteggiamento più favorevole all'assunzione del rischio, ad esempio investendo nelle imprese I&I ad alta tecnologia.

4.12.2

Un esempio specifico consisterebbe nell'agevolare l'accesso delle imprese I&I sia al mercato dei capitali che ai fondi di private equity correggendo i ritardi che possono derivare dai lunghi tempi di sviluppo e ammortamento, che possono essere fonte di problemi. In questo contesto andrebbe potenziato il ruolo della Banca europea per gli investimenti (BEI) e del Fondo europeo per gli investimenti (FEI), in modo da agevolare l'accesso agli strumenti di prestito di rischio, al capitale di rischio e agli schemi di garanzia (26).

4.12.3

Il Comitato è convinto che le istituzioni finanziarie come la BEI possano svolgere un ruolo di sostegno più ampio, soprattutto nell'ambito di consorzi cui partecipino anche le banche locali, le quali conoscono bene le imprese dell'area in cui operano.

4.12.4

In considerazione della nuova politica industriale e dei partenariati industria-ricerca, la BEI sta lavorando a un nuovo strumento finanziario congiunto con la DG RDT, il meccanismo di finanziamento con ripartizione dei rischi (Risk Sharing Finance facility — RSFF). L'obiettivo è migliorare l'accesso al finanziamento del debito, soprattutto per la ricerca privata e le attività correlate con profilo di rischio più alto della media e non coperto dal mercato.

4.13

La politica fiscale è di competenza degli Stati membri. Ciononostante, sarebbe estremamente opportuno discutere a livello dell'UE provvedimenti fiscali idonei a rafforzare la posizione delle aziende europee nelle reti internazionali di fornitura e del valore.

4.14

L'UE deve includere tra gli obiettivi della sua politica commerciale la tutela dei DPI delle piccole e medie imprese, dati i comportamenti spesso scorretti e inaffidabili nei confronti delle imprese europee che si riscontrano nei (grandi) mercati emergenti.

4.15

Le risorse umane sono cruciali. Il sistema scolastico è più che mai un pilastro indispensabile per una crescita sostenuta dell'economia. L'istruzione, la formazione professionale e l'apprendimento permanente sono responsabilità comuni dei singoli individui, delle aziende, delle parti sociali e dei pubblici poteri (27).

4.16

Le discussioni settoriali tra le parti sociali dovrebbero contemplare approcci su misura alla gestione delle risorse umane, comprendenti lo sviluppo di programmi di formazione finalizzati ad attribuire le qualifiche professionali richieste. Esse dovrebbero tener conto anche della dimensione regionale delle trasformazioni industriali e dell'iniziativa europea «Regioni per il cambiamento economico» (28).

7PQ

4.17

Nel 7PQ, collegato agli obiettivi della nuova politica industriale, andrebbe prestata un'attenzione particolare ai legami con le piccole e medie imprese e anche all'uso appropriato del nuovo strumento RSFF sviluppato congiuntamente con la BEI (29). Nei progetti avanzati di TIC finanziati dal 7PQ, la partecipazione delle imprese I&I è fondamentale per consentire alle PMI di entrare a far parte di reti avanzate e della rete di cooperazione.

4.18

Secondo il Comitato, il 7PQ può contribuire alla creazione di una politica dell'innovazione permanente che preveda stretti collegamenti fra i poli di conoscenza (università, centri di ricerca, istituti di formazione professionale) e l'attività industriale. Le catene o reti del valore e di fornitura svolgono un ruolo essenziale per tale politica, dato che il programma quadro mira ad agevolare lo sviluppo di nuovi «prodotti estesi» (detti anche «prodotti/servizi» o «servizi integrati nei prodotti») e di nuovi processi. Lo scopo di tutto ciò è realizzare un unico contesto europeo organizzato in reti economicamente sostenibili. Tale iniziativa favorirà anche le imprese I&I.

4.19

Il Comitato osserva che coinvolgere le piccole e medie imprese in programmi di R&S è difficile a causa della burocrazia. Per queste imprese processi di selezione che, nel migliore dei casi, si protraggono per un anno sono decisamente troppo lunghi.

4.20

È altamente auspicabile porre le basi per lo sviluppo di forti imprese organizzate in rete e munite di strutture trasparenti di interconnessione. Il Comitato ritiene che il 7PQ dovrebbe contribuire a sviluppare sistematicamente progetti e operazioni di rete ottimali in un contesto industriale dinamico e complesso.

4.21

Analogamente, andrebbe incoraggiata la creazione di strutture gestionali di catene logistiche e di catene di fornitura a livello sia strategico che operativo.

4.22

Nel caso dei settori industriali tecnologicamente meno avanzati e che presentano un legame fisico con l'Europa, i programmi di ricerca possono sostenere continui aumenti della produttività e dell'efficienza tali da consentire loro di mantenere un vantaggio competitivo.

4.23

Uno dei molti aspetti di cui le imprese devono tener conto per approfittare appieno dei programmi di ricerca comunitari è l'importanza della creazione di reti appropriate. La cooperazione preconcorrenziale fra imprese può dimostrarsi molto utile, benché non sia ancora entrata a far parte della mentalità delle imprese I&I europee, e ciò vale anche per la promozione di relazioni di cooperazione.

4.24

Di conseguenza, il 7PQ mira a contribuire alla creazione di un'industria organizzata in rete e orientata alla conoscenza che sia basata sugli standard europei, che sono un importante elemento di cooperazione, connessione e interoperabilità.

4.25

Il Comitato ritiene che il 7PQ rappresenti una grande opportunità per accrescere l'efficienza delle reti del valore e di fornitura, e chiede ai soggetti interessati di renderne possibile una piena attuazione. Ciò vale non solo per le tecnologie volte a migliorare la connettività tra le reti (soprattutto TIC), ma anche per altre tecnologie abilitanti come le nanotecnologie.

4.26

Parallelamente agli sviluppi della politica industriale, nell'ambito del 7PQ sono importanti anche i contesti e gli interventi regionali e locali, soprattutto per quanto riguarda la collaborazione tra imprese I&I e grandi imprese, università limitrofe, istituti tecnologici e centri di formazione professionale (30).

Bruxelles, 25 aprile 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Il parere, di conseguenza, non verte sulle piccole e medie imprese secondo la definizione adottata dalla Commissione europea e dalla maggior parte degli Stati membri («PMI»). Le «piccole imprese» di cui si tratta possono essere fornitori che impiegano centinaia di addetti e i fornitori di medie dimensioni possono arrivare a diverse migliaia. Le imprese di queste due categorie sono in posizione iniziale o intermedia nelle catene del valore, in altre parole non sono i produttori/prestatori finali, che di solito hanno dimensioni maggiori. Tali imprese si definiscono quindi non in base a dati aziendali misurabili (fatturato, numero di occupati, ecc.), bensì alla loro posizione all'interno delle catene del valore e di fornitura. Non rientrano nell'oggetto di questo parere, benché intervengano nella prima fase dei processi produttivi, le imprese — generalmente di grandi dimensioni — fornitrici di materie prime.

(2)  Cfr. punto C e nota 1.

(3)  Cfr. nota 1.

(4)  Cfr. su questa linea Ashutosh Sheshabalaya, The Three Rounds of Globalisation («Le tre fasi della globalizzazione»), in «The Globalist» del 19.10.2006

(http://www.theglobalist.com/DBWeb/printStoryId.aspx?StoryId=5687).

(5)  Il contenuto del presente parere si basa su una serie di pareri già adottati o in corso di elaborazione: I servizi e le industrie manifatturiere europee: i processi di interazione e l'impatto su occupazione, competitività e produttività (CCMI/035, CESE 1146/2006, GU C 318 del 23.12.2006); Innovazione: impatto sulle trasformazioni industriali e il ruolo della BEI (CCMI/038, in corso di elaborazione); La governance territoriale delle trasformazioni industriali: il ruolo delle parti sociali e il contributo del programma quadro per l'innovazione e la competitività (CCMI/031, CESE 1144/2006, GU C 318 del 23.12.2006); La politica europea in materia di logistica (TEN/240, CESE 210/2007 non ancora pubblicato nella GU); Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sul rafforzamento della sicurezza della catena logistica (TEN/249, CESE 1580/2006, GU C 325 del 30.12.2006); La grande distribuzione: tendenze e conseguenze per agricoltori e consumatori (NAT/262, CESE 381/2005, GU C 255 del 14.10.2005).

(6)  Ashutosh Sheshabalaya, The Three Rounds of Globalisation («Le tre fasi della globalizzazione»), cit.

(7)  Un argomento diffusamente trattato nel parere del CESE sul tema I servizi e le industrie manifatturiere europee: i processi di interazione e l'impatto su occupazione, competitività e produttività (CCMI/035; CESE 1146/2006; GU C 318 del 23.12.2006).

(8)  Il Comitato ha esaminato in maniera approfondita il fenomeno della delocalizzazione delle imprese, la sua ampiezza e i suoi effetti, nonché le sfide e le opportunità che esso comporta. Il risultato del lavoro svolto sul tema (parere, relazione informativa, studio esterno, relazione sul convegno) è presentato in una pubblicazione intitolata RelocationChallenges and Opportunities (DelocalizzazioneSfide e opportunità). (ISBN: 92-830-0668-2;

http://www.eesc.europa.eu/documents/publications/index_en.asp?culture=EN&id=141&details=1).

(9)  L'Offshoring Research Network, un consorzio transatlantico di sei istituti di ricerca, ha recentemente pubblicato il suo ultimo studio biennale sugli sviluppi della delocalizzazione di imprese. L'Erasmus Strategic Renewal Centre di Rotterdam, che ha condotto la parte della ricerca riguardante le imprese olandesi, ha concluso che, nel 57 % dei casi, il trasferimento di attività non ha avuto alcuna incidenza sul numero degli occupati nelle imprese olandesi, mentre nel 39 % dei casi ne ha comportato la diminuzione e solo nel restante 4 % dei casi ne ha comportato l'aumento. Dalla ricerca risulta che, in media, sono stati creati 37,8 nuovi posti di lavoro nel luogo in cui sono state trasferite le attività e se ne sono perduti 3,5 nei Paesi Bassi. In altri termini, per ogni posto di lavoro perduto nei Paesi Bassi ne sono stati creati 10,8 nella località di destinazione.

(10)  Cfr. punto 3.22.

(11)  Cfr. il recente studio sull'impatto del software «open source» sul settore delle TIC nell'UE, condotto dall'UNU-MERIT per conto della Commissione europea (DG ENTR) e pubblicato il 26.1.2007 (la relazione finale è stata stilata il 20.11.2006).

http://ec.europa.eu/enterprise/ict/policy/doc/2006-11-20-flossimpact.pdf

(12)  Un esempio (fra i molti possibili) è offerto dall'area Eindhoven-Lovanio, dove l'interazione fra università e imprese (imperniata sulla multinazionale leader Philips) crea un contesto particolarmente favorevole per molte PMI ad alta tecnologia.

(13)  COM(2006) 349 def., attualmente all'esame del Comitato nel quadro del proprio parere di iniziativa intitolato Il potenziale delle imprese, specie quello delle PMI (strategia di Lisbona) (INT/324, in corso di elaborazione). Questo parere fa parte dei lavori avviati dal Comitato in seguito alla richiesta rivoltagli dal Consiglio europeo del 23 e 24.3.2006 (punto 12 delle conclusioni della presidenza) di presentare, all'inizio del 2008, una relazione di sintesi a sostegno del partenariato per la crescita e l'occupazione.

(14)  Cfr. il punto 16 dell'Allegato 2, concernente l'uso improprio/la contraffazione di DPI nelle forniture automobilistiche.

(15)  Cfr. i pareri CESE 89/2007 (non ancora pubblicato nella GU), punto 1.1.4, e CESE 729/2006 (GU C 195 del 18.8.2006), punto 3.3.4.

(16)  NRC Handelsblad, un diffuso quotidiano olandese, 4.11.2006.

(17)  Secondo il progetto Knowmove, la conoscenza deve essere individuata, acquisita, conservata, sviluppata e condivisa al fine di accrescere il valore e l'efficacia di un'impresa. Ciò significa che le imprese devono trasformarsi in «organizzazioni mirate all'apprendimento» (learning organizations) e i luoghi di lavoro diventare ambienti in cui si realizza un continuum di lavoro e apprendimento. A tal fine, questo progetto ha sviluppato e testato sul campo degli approcci alla gestione della conoscenza che consentono di mappare, organizzare e conservare le esperienze dei lavoratori anziani e gli esempi di buone pratiche in un «archivio» utilizzabile da tutto il personale dell'impresa.

(Cfr. http://www.clepa.be/htm/main/promo %20banner/CLEPA %20events/maintopics_KnowMove %202 %20Final %20Event.htm, in cui si presenta il convegno Securing Growth, Innovation and Employment in a Changing Automotive Industry («Garantire la crescita, l'innovazione e l'occupazione in un settore automobilistico in evoluzione»), organizzato dalla CLEPA (l'Associazione europea dei fornitori automobilistici) nell'ambito della fase finale di divulgazione del progetto KNOWMOVE).

(18)  Iniziativa riguardante il periodo 2007-2013, adottata l'8.11.2006 dalla Commissione europea nell'ambito dell'obiettivo «Cooperazione territoriale». ( http://ec.europa.eu/regional_policy/cooperation/interregional/ecochange/index_en.cfm).

(19)  Cfr. ad esempio l'opera di Hermann Simon intitolata Hidden ChampionsLessons from 500 of the World's Best Unknown Companies («Campioni nascosti — Lezioni da trarre dalle 500 migliori imprese sconosciute del mondo») — Harvard Business School Press, 1996 — che descrive alcune imprese, perlopiù tedesche, leader mondiali nel rispettivo mercato (come quello delle macchine per l'etichettatura delle bottiglie, dei modellini ferroviari, dell'incenso, del terriccio per vasi o delle bacheche per musei).

(20)  COM(2004) 479 def.

(21)  Cfr. le comunicazioni della Commissione Mettere in pratica la conoscenza: un'ampia strategia dell'innovazione per l'UE (COM(2006) 502 def.), Un'Europa moderna e favorevole all'innovazione (COM(2006) 589 def.) e Riforme economiche e competitività: i messaggi chiave della relazione 2006 sulla competitività europea (COM(2006) 697 def.). La CCMI sta elaborando a sua volta il parere d'iniziativa Innovazione: Impatto delle trasformazioni industriali e ruolo della BEI (CCMI/038).

(22)  «Manufuture» è l'organo esecutivo della omonima piattaforma tecnologica europea, lanciata nel dicembre 2004 per proporre una strategia basata sulla ricerca e l'innovazione che potesse accelerare il ritmo delle trasformazioni industriali in Europa, garantire un'occupazione di elevato valore aggiunto e conquistare una quota di rilievo della produzione manifatturiera mondiale nell'economia del futuro guidata dalla conoscenza. Per maggiori informazioni si rinvia al sito

http://www.manufuture.org/

(23)  Nella sua relazione, pubblicata nel settembre 2006 (e disponibile solo in inglese), il gruppo di alto livello «Manufuture» sostiene che, a causa della domanda di prodotti personalizzati da consegnare in tempi brevi, le imprese devono passare dalla progettazione e vendita di prodotti intesi in senso fisico alla fornitura di un sistema di beni e servizi che, nel loro complesso, siano in grado di soddisfare le esigenze della clientela, riducendo nel contempo anche i costi totali del ciclo di vita e l'impatto ambientale (cfr. punto 4, pag. 15). Sempre secondo la relazione, innovare nella produzione significa adottare nuovi modelli aziendali e nuovi modi di «ingegnerizzazione dei prodotti» nonché acquisire la capacità di trarre vantaggio dalle innovazioni scientifiche e tecnologiche applicabili alla produzione industriale (cfr. la sintesi introduttiva della relazione, pag. 9). Nella produzione «di rete» e integrata, la sequenza lineare convenzionale dei processi produttivi è sostituita da complesse reti di produzione che connettono spesso più imprese situate in paesi diversi (punto 5, pag. 15).

(24)  Un esempio già esistente è Digital Business Eco-systems.

(25)  Due esempi particolarmente riusciti sono la universal diagnostic machine, che rende interoperabili i garage, e il GSM, il cui successo è dovuto al fatto che gli operatori del settore hanno concordato fin dall'inizio i formati di base, gli standard e i metodi di scambio.

(26)  L'accesso ai finanziamenti da parte delle PMI dovrebbe essere agevolato dalle nuove opportunità offerte, rispetto al capitale di rischio e alle garanzie, dal programma Competitività e innovazione (CIP) gestito dal Fondo europeo per gli investimenti (FEI) e dalla nuova iniziativa sviluppata congiuntamente dal FEI e dalla DG REGIO (Jeremie) per migliorare l'accesso ai finanziamenti da parte delle PMI nelle zone ammissibili allo sviluppo regionale.

(27)  I fondi strutturali (soprattutto il Fondo sociale europeo) e i programmi comunitari (come quello per l'apprendimento permanente per il periodo 2007-2013) sostengono un approccio strategico volto al rafforzamento del capitale umano e fisico. Inoltre, il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) mira a fornire un sostegno aggiuntivo alla riqualificazione e alla ricerca di un impiego dei lavoratori licenziati in conseguenza di trasformazioni rilevanti della struttura del commercio mondiale.

(28)  Cfr. nota 18.

(29)  Per sviluppare prodotti finanziari più orientati al rischio, la BEI sta lavorando a un nuovo strumento finanziario congiunto con la Commissione (DG RTD), il meccanismo di finanziamento con ripartizione dei rischi (Risk Sharing Finance facility — RSFF). L'obiettivo è migliorare l'accesso al finanziamento del debito, soprattutto per la ricerca privata e per le attività correlate con un profilo di rischio più alto della media e non coperto facilmente dal mercato. L'RSFF sarà a disposizione dei beneficiari ammissibili a prescindere dalle loro dimensioni e dal loro assetto di proprietà. Questo strumento sosterrà anche iniziative europee per la ricerca come le Infrastrutture di ricerca, le Piattaforme tecnologiche europee (PTE), le Iniziative tecnologiche comuni o i progetti avviati nell'ambito di Eureka.

(30)  Cfr. il parere del Comitato La governance territoriale delle trasformazioni industriali: il ruolo delle parti sociali e il contributo del programma quadro per l'innovazione e la competitività (CCMI/031, CESE 1144/2006, GU C 318 del 23.12.2006), in particolare il capitolo 1 «Conclusioni e raccomandazioni» e il capitolo 4 «L'Approccio territoriale integrato (ATI) e i sistemi di foresight per innovazione e ricerca sul territorio».


20.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 168/10


Parere del Comitato economico e sociale europeo su: Le aree metropolitane europee: implicazioni socioeconomiche per il futuro dell'Unione europea

(2007/C 168/02)

Il 7 novembre 2006 il ministro tedesco dei Trasporti, dei lavori pubblici e dell'urbanistica, a nome della futura presidenza tedesca dell'UE, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere su Le aree metropolitane europee: implicazioni socioeconomiche per il futuro dell'Unione europea.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 20 marzo 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore van IERSEL.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 aprile, nel corso della 435a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere a larga maggioranza,125 voti senza voti contrari e con 5 astensioni:

Il presente parere è il seguito del parere ECO/120 Le aree metropolitane europee: implicazioni socioeconomiche per il futuro dell'Unione  (1). I due pareri costituiscono un insieme coerente.

1.   Conclusioni

1.1

In questi ultimi 50 anni lo spazio europeo è cambiato e la globalizzazione sta accelerando tali trasformazioni con conseguenze notevoli per quei centri di gravità dell'Europa che sono le aree metropolitane (2). Queste ultime sono nella posizione ideale per far fronte alle sfide e cogliere appieno le opportunità che derivano dai cambiamenti.

1.2

Il CESE ritiene opportuno che l'evoluzione delle aree metropolitane e le iniziative nazionali in questo campo formino oggetto di un'analisi e della definizione di orientamenti generali da parte del Consiglio e della Commissione. Un dibattito ben strutturato a livello europeo inquadrerà gli approcci nazionali in una prospettiva comune e ciò potrà anche incoraggiare gli attori regionali.

1.3

Il CESE è dell'avviso che un dibattito meglio strutturato su e tra le aree metropolitane contribuirebbe a incentivare tali regioni perché attuino loro stesse con successo l'agenda di Lisbona e Goteborg, fatto che potrebbe riflettersi nei Programmi nazionali di riforma.

1.4

Il CESE constata che da qualche anno è in corso un dibattito vivace. Il rapporto fra le grandi metropoli e la strategia di Lisbona evidenzia ancor più che in passato le implicazioni socioeconomiche di tali grandi metropoli, e questo è un passo avanti.

1.5

In molti paesi e regioni i poteri pubblici, al pari del settore privato e della società civile, cercano di creare le condizioni necessarie per lo sviluppo sostenibile delle aree metropolitane e di assicurarne la competitività in Europa e nel mondo. In particolare sono degni d'attenzione gli sviluppi osservati in Germania. Studi universitari ed altri effettuati a livello federale contribuiscono a dare un carattere di obiettività alla discussione e conferenze interministeriali sulle aree metropolitane hanno riunito autorità nazionali e regionali.

1.6

La politica urbana della Commissione e il progetto di Agenda territoriale del Consiglio costituiscono un passo avanti e offrono un quadro per una politica urbana ambiziosa. L'Agenda territoriale, pur mettendo in rilievo alcune caratteristiche specifiche delle grandi metropoli, è secondo il CESE, ancora troppo timida per quanto riguarda questo aspetto.

1.7

Anche se le strutture e le impostazioni variano da un paese all'altro, le sfide cui le grandi aree urbane devono far fronte e le loro ambizioni sono in larga misura le stesse.

1.8

I punti deboli di uno sviluppo equilibrato delle aree metropolitane risiedono nella mancanza di identità e nell'assenza di una governance adeguata. Gli organi amministrativi esistenti risalgono molto indietro e impediscono che l'adeguamento avvenga in modo flessibile.

1.9

Per permettere alle aree metropolitane di raggiungere i loro obiettivi sono indispensabili sforzi a vari livelli (nazionale, regionale e urbano); ciò richiede che gli enti decentrati siano dotati di legittimità e promuoverà le iniziative del settore privato e di organismi non governativi.

1.10

Il Comitato constata nuovamente la mancanza di dati socioeconomici e ambientali comparabili su scala europea riguardo alle aree metropolitane. Reputa che un monitoraggio annuale dei risultati delle regioni metropolitane europee dal punto di vista economico, sociale e ambientale, come si dovrebbe fare a livello europeo e nazionale, sia un elemento necessario per conoscere più a fondo la situazione di ciascuna di tali regioni e mobilitare maggiormente i soggetti metropolitani interessati.

2.   Raccomandazioni

2.1

Il CESE auspica che la Commissione prepari un Libro verde sulle aree metropolitane come complemento dell'Agenda territoriale e degli orientamenti strategici per la coesione allo scopo di stimolare il dibattito europeo sulla base di un'analisi obiettiva.

2.2

Il CESE sostiene anche che i problemi e le ambizioni delle grandi metropoli, al pari della conoscenza e delle esperienze maturate negli Stati membri, andrebbero inquadrati in una prospettiva comune ed europea e la diffusione delle buone pratiche assicurata.

2.3

Il CESE giudica necessaria da parte della Commissione l'adozione di una decisione politica con cui si dia ad Eurostat il compito di produrre ogni anno dati affidabili e comparabili su tutte le aree metropolitane dell'Unione europea, assegnandogli stanziamenti supplementari che gli consentano di assolvere questa nuova funzione.

2.4

Affinché Eurostat possa cominciare a svolgere questo compito il più rapidamente possibile, il Comitato suggerisce di commissionare ad ORATE o ad un altro organismo competente uno studio sperimentale che sottoponga a valutazione i diversi metodi utilizzabili per delimitare le aree metropolitane secondo criteri comuni e che proponga un elenco ristretto dei dati immediatamente producibili sulle aree metropolitane con oltre un milione di abitanti per il periodo 1995-2005 sfruttando, in particolare, i dati dettagliati delle indagini europee sulla forza lavoro (3).

3.   Motivazione

3.1

Nel suo parere del 2004, il CESE aveva richiamato l'attenzione sulle implicazioni socioeconomiche delle aree metropolitane (4), a suo giudizio decisamente sottovalutate.

3.2

Tale parere si proponeva di sensibilizzare le istituzioni comunitarie all'aumento costante, e talvolta spettacolare, della concentrazione delle popolazioni e delle attività economiche nelle aree metropolitane in Europa e nel resto del mondo.

3.3

Nel parere del 2004 il CESE invocava l'inserimento dello sviluppo delle metropoli europee nell'agenda comunitaria ed era così uno dei primi ad evidenziare il rapporto diretto fra il ruolo delle metropoli e l'attuazione della strategia di Lisbona. Le aree metropolitane sono i laboratori dell'economia mondiale, i centri propulsivi dell'economia, della creatività e dell'innovazione.

3.4

Al tempo stesso, nelle metropoli si concentrano le sfide principali che l'Europa dovrà affrontare nei prossimi anni, in particolare i fenomeni di povertà, di esclusione sociale e di segregazione spaziale, con le relative conseguenze per l'occupazione e la criminalità (internazionale) (5).

3.5

Il peso e l'influenza delle metropoli sono rafforzati dal moltiplicarsi dei loro scambi reciproci di ogni tipo, a livello sia europeo, sia mondiale. Le reti di cui esse fanno parte contribuiscono ad approfondire l'integrazione europea.

3.6

Nel parere del 2004 il CESE constatava l'assenza di analisi comparative che illustrassero in maniera soddisfacente i punti di forza, i punti deboli, le limitazioni e le opportunità delle aree metropolitane.

3.7

Per questo motivo, nel 2004, il CESE insisteva sulla necessità di definire le aree metropolitane europee e di produrre dati pertinenti e comparabili, compresa la valutazione dei principali indicatori della strategia di Lisbona, per ciascuna metropoli.

3.8

L'economia della conoscenza e la «società in rete» accrescono la capacità delle aree metropolitane di attrarre le persone e le attività economiche. In taluni Stati membri è in corso un acceso dibattito, a livello sia nazionale che regionale, sulla politica da seguire per le grandi metropoli e sulla loro governance. Tali dibattiti sono talvolta seguiti da azioni concrete, sia dall'alto verso il basso che dal basso verso l'alto.

4.   La reazione della Commissione nel 2004

4.1

Nel 2004 il CESE invitava la Commissione a compiere analisi integrate con la partecipazione di tutti i commissari interessati e a presentare relazioni periodiche sulla situazione socioeconomica delle aree metropolitane e sul loro posizionamento nel contesto europeo. In questo modo si renderebbe possibile una valutazione più precisa dei punti di forza e dei punti deboli delle grandi metropoli allo scopo di impostare meglio le politiche e facilitare la diffusione delle buone pratiche.

4.2

La Commissione ha reagito ai suggerimenti del CESE affermando di condividere la duplice constatazione del CESE circa il ruolo chiave delle aree metropolitane per la realizzazione degli obiettivi della strategia di Lisbona e circa l'assenza di dati affidabili e comparabili a livello europeo su queste realtà territoriali (6).

4.3

Malgrado questa convergenza di vedute, la Commissione non ha ancora adottato un approccio più mirato e più integrato per le aree metropolitane. Si sta gradualmente attuando una politica urbana, ma nel suo ambito non vi è distinzione tra «città e aree metropolitane». I dati forniti dagli istituti statistici sono incompleti e non sempre sono comparabili a livello europeo perché prodotti secondo definizioni nazionali.

5.   Dibattiti e iniziative a livello nazionale

5.1

Di recente a livello nazionale e regionale sono state intraprese numerose iniziative che evidenziano l'evoluzione delle metropoli. Queste iniziative comportano spesso misure diversificate per sostenere sia uno sviluppo più armonioso delle infrastrutture, dell'assetto del territorio, dell'economia e degli aspetti sociali, sia lo sviluppo delle infrastrutture di trasporto e di telecomunicazioni fra le stesse metropoli. A titolo di esempio, qui di seguito vengono presentate alcune iniziative attuate in diversi paesi. Ovviamente il quadro non è esaustivo.

5.1.1

Dal 1993 in Germania è stato avviato un dibattito approfondito sulle aree metropolitane. Studi e dibattiti a livello universitario hanno cercato di definire in maniera appropriata e obiettiva un elenco delle funzioni svolte dalle grandi metropoli e di individuare queste ultime sulla base di tale lista di criteri.

5.1.1.1

Nell'analisi tedesca si è passati da un approccio tradizionale della mappa nazionale delle città, dei comuni e dei Länder a un approccio diverso, che presenta una nuova mappa della Germania, con nuovi «Leitbilder» (modelli, orientamenti). Sulla base degli orientamenti e dei programmi d'azione in materia di politica di assetto territoriale (risalenti al 1992 e al 1995), che avevano sottolineato l'importanza e i compiti delle aree metropolitane, la Germania presenta 11 regioni metropolitane, in seguito alla decisione della Conferenza interministeriale dei ministri per l'assetto territoriale del governo federale e dei Länder svoltasi il 30 giugno 2006. La prima conferenza su questa materia si è tenuta nel 2003.

5.1.1.2

La mappa delle regioni metropolitane tedesche evidenzia uno squilibrio fra l'attuale organizzazione amministrativa e i limiti geografici delle regioni metropolitane. Ad esempio, la regione metropolitana di Norimberga comprende la città di Norimberga e una serie di comuni urbani e rurali contigui. Altre aree metropolitane, come quelle di Francoforte/Reno/Meno e Amburgo, abbracciano in parte vari Länder, mentre altre ancora, ad esempio Monaco e la Ruhr, appartengono a un unico Land. In numerosi casi, come ad esempio nel settore della cultura, dello sport, della sostenibilità e del paesaggio, vi è già una regionalizzazione tematica. In tutti i casi il territorio comprende città, grandi e piccole, e zone rurali. In tal modo si riesce a delimitare bene il territorio delle aree metropolitane in questione.

5.1.1.3

A livello nazionale non sono state (ancora) previste misure specifiche. Le aree metropolitane sono state invitate a individuare le proprie specificità e a metterle in evidenza. L'obiettivo consiste nello sviluppare le aree metropolitane tedesche come attori autonomi nel contesto europeo e internazionale. Beninteso, le ambizioni di queste zone potranno essere appoggiate da politiche nazionali come quella ferroviaria o aerea.

5.1.1.4

Per sostenere la legittimità di questo nuovo approccio, le aree metropolitane sono invitate a instaurare sistemi di rappresentanza democratica, ciascuna in base alle proprie specificità e alla propria visione. Esse sono libere di definirne le modalità, per esempio mediante elezioni dirette (come nel caso della regione di Stoccarda) o tramite una rappresentanza indiretta delle città e dei comuni (come in quello della regione di Norimberga).

5.1.1.5

Fra gli obiettivi politici da discutere e realizzare nel contesto di tali aree metropolitane (che presentano peraltro caratteristiche diverse) figurano: garantire la massa critica necessaria alla competitività, creare le condizioni per una governance efficace, chiarire la ripartizione delle responsabilità, sviluppare un'organizzazione spaziale policentrica, trovare un equilibrio soddisfacente fra urbanizzazione e protezione degli spazi rurali, sviluppare le infrastrutture di trasporto e assicurare la mobilità, sostenere l'innovazione e i cluster economici, gestire i rischi tecnologici e i rischi naturali, disporre delle risorse necessarie per gli investimenti pubblici, migliorare l'accessibilità internazionale e assicurare la promozione della regione.

5.1.2

In Gran Bretagna l'interesse per lo sviluppo rafforzato delle metropoli risale all'inizio del secolo. Nel 2004 è stata pubblicata una nota governativa sulla competitività delle aree metropolitane diverse da quella londinese (7). L'obiettivo era quello di creare condizioni per accrescere l'autonomia delle «città-regioni» in un contesto internazionale. Ma il processo previsto è stato bloccato, soprattutto a causa dell'esito negativo di un referendum sulla creazione di un'assemblea regionale nella regione di Newcastle.

5.1.2.1

Il dibattito in Gran Bretagna verte attualmente sulla ripartizione delle competenze fra il livello nazionale e il livello regionale da un lato e, dall'altro, fra le città e i comuni delle regioni più popolose, che erano state individuate come future aree metropolitane. L'idea di creare delle «city-regions» (città-regioni) rimane d'attualità. Nonostante l'ambiguità del dibattito in corso, fra breve sarà pubblicato un Libro bianco sull'argomento. Sulla base di criteri riconosciuti si sta inoltre mettendo a punto una nuova organizzazione spaziale, simile a quella tedesca.

5.1.2.2

Occorre distinguere fra decentramento politico e sostegno allo sviluppo delle metropoli. Quest'ultimo è caratterizzato da flessibilità e alleanze fra comuni allo scopo di cogliere le opportunità e affrontare insieme le sfide. Un esempio calzante è quello dello sviluppo nell'Inghilterra settentrionale (Manchester, Liverpool, Leeds, Sheffield, Newcastle e York), vale a dire l'iniziativa con un'impostazione dal basso verso l'alto battezzata «Northern Way». Si tratta di uno sviluppo caratterizzato da una serie di accordi all'interno dell'area metropolitana.

5.1.2.3

Un approccio dall'alto verso il basso che faccia seguito a iniziative locali e regionali è ritenuto indispensabile poiché numerose decisioni strategiche possono essere prese solo di comune accordo. Tali decisioni potranno figurare in tre agende: l'agenda della competitività, intesa ad assicurare il sostegno sia alle regioni più efficienti che a quelle meno efficienti, l'agenda della coesione sociale a favore delle fasce svantaggiate della popolazione e l'agenda dell'ambiente, che comporta le misure destinate soprattutto a migliorare la qualità della vita e a conservare le risorse naturali. Le aree metropolitane sono considerate il livello geografico più idoneo per attuare tali politiche.

5.1.3

In Francia il dibattito in materia è in corso sin dal 1960. Fino a poco tempo fa erano state prese solo pochissime misure concrete perché la dimensione politica del dibattito era stata sottovalutata. Questa mancanza di una dimensione politica è peraltro una caratteristica che si ritrova in tutta Europa.

5.1.3.1

Nel 2004 la DIACT (8) ha lanciato un invito a presentare progetti metropolitani per stimolare la cooperazione fra le grandi città e sostenere lo sviluppo economico delle aree metropolitane. Quindici progetti metropolitani preparati dagli enti locali sono stati selezionati da una commissione giudicatrice composta da direttori dei ministeri interessati e da esperti. Essi sono stati poi finalizzati nel 2006. Nel 2007 per la realizzazione di azioni «strutturanti» saranno varati «contratti metropolitani» che beneficeranno del sostegno finanziario dello Stato. Con questa iniziativa la DIACT riconosce l'importanza delle aree metropolitane come attori chiave della competitività dei territori.

5.1.4

La regionalizzazione avanza sia in Italia che in Spagna. Questo sviluppo, che non interessa direttamente le aree metropolitane, offre comunque nuove opportunità (giuridiche) per la governance delle aree metropolitane.

5.1.4.1

In Italia, nel 1990 una legge ha previsto un approccio dall'alto verso il basso che individuava 14 «città metropolitane». La legge, però, non è stata attuata. Una nuova legge del 1999 ha autorizzato iniziative dal basso verso l'alto per la creazione di «città metropolitane». È stata istituita una sola assemblea, nella regione di Bologna, che raggruppa 20 comuni e dispone di un proprio bilancio. Infine, nel 2001 una riforma costituzionale ha autorizzato l'istituzione di tre «città metropolitane», nelle regioni circostanti Roma, Napoli e Milano. L'attuazione di questa riforma ha conosciuto recentemente un rilancio.

5.1.4.2

In Spagna il dibattito territoriale è condizionato dall'autonomia territoriale. Le «comunità autonome» dispongono di competenze esclusive in questo campo e sono quindi responsabili delle aree metropolitane. Nel contempo, sono in atto un processo di rafforzamento delle grandi città e una prova di forza fra il governo centrale, le comunità autonome e aree metropolitane come Madrid, Barcellona e Valencia. Un modello a parte è quello di Bilbao, che rappresenta un successo sotto il profilo della metropolizzazione, con un partenariato pubblico-privati.

5.1.4.3

Il processo di individuazione delle aree metropolitane non si limita ai grandi paesi né ai paesi in quanto tali. Gli esempi delle aree metropolitane di «Centropa», ossia Vienna-Bratislava-Brno-Györ, regioni situate in quattro paesi diversi (!), e dell'area di Copenaghen-Malmö (Danimarca e Svezia) sono quelli più conosciuti. Entrambe questa aree registrano dei progressi. Nei Paesi Bassi è in corso un dibattito approfondito sulla governance più appropriata per la Randstad (area metropolitana dei Paesi bassi occidentali), allo scopo di eliminare la frammentazione amministrativa che ne blocca lo sviluppo infrastrutturale, spaziale e socioeconomico.

5.1.5

Nei nuovi Stati membri è in atto un'evoluzione paragonabile a quella dei paesi menzionati precedentemente. In Polonia il governo ha individuato un certo numero di aree metropolitane o città-regioni. Ne è un esempio la regione di Katowice, che recentemente ha acquisito uno status specifico di area metropolitana. Tuttavia, lo sviluppo urbano e metropolitano avviene di regola in modo non controllato e conseguentemente arbitrario a causa della mancanza di un'adeguata governance regionale. È per questo che alcune metropoli stanno prendendo come punto di riferimento le pratiche e il know-how di paesi che hanno una tradizione in materia di politiche decentrate.

5.1.6

Nel processo di metropolizzazione sono coinvolte anche le camere di commercio e dell'industria (CCI) in quanto rappresentanti ben visibili e attivi del mondo degli affari a livello locale e regionale, in particolare le camere di commercio delle capitali e delle città-regioni. Esse contribuiscono ovunque a rendere attraenti i loro territori e ad accrescere l'influenza economica culturale dei loro territori, pur tenendo conto delle esigenze della qualità della vita e del rispetto dell'ambiente.

6.   Sviluppi a livello europeo

6.1

A livello dell'UE l'attuazione della strategia di Lisbona è l'obiettivo prioritario della Commissione Barroso. Tutti i commissari sono coinvolti. La DG REGIO ha messo la strategia di Lisbona al centro della «nuova» politica regionale, che punta anzitutto sullo sviluppo urbano.

6.1.1

La strategia di Lisbona e lo sviluppo urbano sono diventati prioritari in tutte le regioni che beneficiano di programmi comunitari. Tali programmi non sono destinati esplicitamente alle aree metropolitane, per le quali uno dei programmi più validi è Urbact (9).

6.1.2

Oltre alla DG Politica regionale, anche altre DG, come la DG Ricerca, la DG Ambiente e la DG Energia e trasporti, gestiscono programmi specifici spesso importanti per le metropoli perché anch'essi s'ispirano più che in passato agli obiettivi di Lisbona. Le aree metropolitane pur non essendone destinatarie dirette in quanto tali, sono anch'esse interessate da tutti i programmi miranti a potenziare l'efficienza delle città.

6.1.3

Nel giugno 2006 un gruppo di lavoro del Consiglio ha pubblicato un primo progetto per un'agenda territoriale (10) che illustra bene le tendenze nell'urbanizzazione della società europea, senza però operare ancora alcuna distinzione chiara fra città e aree metropolitane.

6.2

Vari Consigli informali dei ministri dell'Assetto del territorio sono stati dedicati alle sfide cui devono far fronte le (grandi) città (11). L'assetto territoriale figura tra le competenze che l'attuale Trattato assegna all'Unione europea, a norma del titolo Ambiente, articolo 175, paragrafo 2 (12).

6.3

Il Parlamento europeo  (13) fa presente che «nelle città e negli agglomerati o aree urbane converge il 78 % della popolazione dell'Unione europea» e che esse rappresentano al tempo stesso «un luogo ove si concentrano le difficoltà più complesse» e «un luogo ove si costruisce l'avvenire». Il Parlamento europeo considera che esse siano «attori fondamentali dello sviluppo regionale nonché della realizzazione degli obiettivi di Lisbona e di Göteborg».

6.3.1

Il Parlamento europeo chiede che tutte le DG della Commissione che si occupano direttamente o indirettamente di questioni urbane si coordinino per definire i problemi concreti della realtà urbana in ogni settore d'intervento e per presentare insieme gli impatti positivi delle politiche realizzate. Propone inoltre di creare una task-force interservizi e auspica l'instaurazione di un dialogo territoriale.

6.4

Il Comitato delle regioni richiama con crescente insistenza l'attenzione delle istituzioni europee sulle sfide che le regioni urbane devono affrontare. Alla base delle conclusioni tratte dal Comitato delle regioni vi sono le stesse preoccupazioni e i medesimi principi che ispirano il PE e il CESE.

6.4.1

Il Comitato delle regioni sottolinea la realtà delle «regioni funzionali», e l'importanza di una cooperazione tra partner al di là dei confini amministrativi nazionali, regionali e locali, che andrebbe promossa mediante incentivi specifici da parte delle politiche comunitarie, quali la promozione di progetti di sviluppo strategico di aree estese. A tal fine rivestono particolare importanza la creazione di nuove reti di cooperazione tra aree metropolitane e regioni urbane ed il potenziamento di quelle già esistenti, soprattutto grazie alla cooperazione attualmente in corso mediante l'iniziativa Interreg III, cooperazione che nel periodo 2007-2013 si articolerà attorno all'obiettivo di cooperazione territoriale (14).

6.5

Nelle dichiarazioni del marzo e del settembre 2006 la rete Metrex (15) ha sottolineato che le aree metropolitane vanno definite e riconosciute come componenti chiave dell'agenda territoriale dell'Unione europea. Essa invita a produrre dati sulle aree metropolitane che siano comparabili a livello europeo e chiede alla Commissione di preparare un Libro verde con tre componenti principali: la competitività economica, la coesione sociale e la protezione dell'ambiente. Secondo la rete Metrex, molti dei gravi problemi che l'Europa deve affrontare (come il cambiamento climatico, l'invecchiamento demografico o l'immigrazione) possono essere risolti efficacemente e in maniera integrata solo con il contributo delle metropoli. Metrex ritiene infine che le aree metropolitane possano svolgere un ruolo importante nella realizzazione degli obiettivi di Lisbona, soprattutto per assicurare la competitività dell'Europa sulla scena mondiale.

6.6

In questi ultimi 15 anni il numero delle regioni rappresentate a Bruxelles è aumentato sensibilmente (16). Fra i temi più dibattuti nei loro convegni figurano spesso lo sviluppo e la performance delle aree metropolitane.

6.7

Un gruppo di regioni rappresentate a Bruxelles si è costituito sotto la denominazione «Le regioni di Lisbona».

6.8

In questi ultimi anni, nel quadro del programma ORATE (Osservatorio in rete dell'assetto del territorio europeo) è stato prodotto un gran numero di informazioni, di dati, di indicatori e di rapporti sulle regioni europee. Tuttavia, considerato che i confini amministrativi delle regioni sono molto diversi da quelli delle aree metropolitane, i risultati di questi lavori di grande qualità non forniscono ai responsabili dello sviluppo, dell'assetto e della gestione degli spazi metropolitani le informazioni e le analisi necessarie per definire le politiche più idonee a sfruttare l'intero potenziale disponibile nelle metropoli.

6.9

La DG Politica regionale ed Eurostat hanno lanciato il progetto Audit urbano inteso a fornire indicatori affidabili e comparabili su un certo numero di città (17). Il CESE si rallegra degli sforzi compiuti per produrre dei dati sulle zone urbane. Tuttavia, le caratteristiche delle informazioni messe a disposizione non ne consentono ancora una utilizzazione ampia (18).

7.   Il vivace dibattito in corso

7.1

Il CESE constata che il dibattito sulle aree metropolitane è assai più vivace di alcuni anni fa. I motivi principali sono due: da un lato, il moltiplicarsi del numero delle metropoli nel mondo ha evidenziato che si sta creando una nuova organizzazione urbana a un ritmo molto rapido (19); dall'altro, il riconoscimento del legame esistente fra lo sviluppo economico, sociale ed ambientale delle grandi metropoli e la strategia di Lisbona ha contribuito ad alimentare questo dibattito.

7.2

In tutti gli Stati membri, siano essi grandi o piccoli, più o meno avanzati, sono in corso dibattiti politici e sociali sull'approccio più idoneo da adottare.

7.3

Questi dibattiti si svolgono anzitutto in un contesto nazionale. Detto ciò, in molti casi le autorità riconoscono che la vera dimensione di talune metropoli non è circoscritta al territorio nazionale. Oltre alle aree già citate di Copenaghen-Malmö e di Vienna-Bratislava, è opportuno rammentare le aree identificate dalle autorità francesi: Metz-Lussemburgo-Saarbrücken e Lilla-Courtrai. In tutta l'Unione cresce il numero delle regioni transfrontaliere che potrebbero costituire un'area metropolitana.

7.4

Il CESE constata tuttavia che, nonostante l'intensificarsi del dibattito negli ultimi anni, queste nuove strutture sono nella fase dei primi passi.

7.5

Le città e le aree metropolitane che vogliono affermare la loro importanza a livello europeo e mondiale illustrano per lo più la loro realtà presentando cifre nazionali o regionali, senza rendersi sempre conto della dimensione reale del territorio cui si riferiscono. Ciò è dovuto alla differenza esistente fra l'area metropolitana e la regione o le regioni amministrative a cui essa appartiene.

7.6

Nonostante la diversità degli approcci e delle strutture a livello nazionale e regionale, il CESE constata una convergenza manifesta sulle problematiche. Fra i punti più discussi figurano:

la massa critica di un'area metropolitana, oppure di una «città-regione» o di una rete di città e comuni,

gli equilibri tra gli spazi urbani e gli spazi rurali che formano l'area metropolitana,

le funzioni metropolitane,

l'istruzione e la formazione,

la creatività, la ricerca e l'innovazione,

i cluster e la competitività delle imprese sui mercati internazionali,

la capacità d'attrazione e l'accoglienza degli investimenti internazionali,

le grandi infrastrutture, il loro finanziamento e il partenariato pubblico-privato,

le reti di trasporto e di telecomunicazione che collegano le grandi metropoli in Europa e nel mondo,

l'influenza culturale,

la società multiculturale (immigrazione) e le sfide legate alla povertà e all'esclusione,

l'occupabilità della manodopera e la creazione di posti di lavoro,

la produzione manifatturiera e le attività di servizi ad elevato valore aggiunto,

il cambiamento climatico, la gestione dell'energia, la riduzione del degrado ambientale e la gestione dei rifiuti,

la bonifica e il riassetto delle zone industriali dismesse in seguito alla ristrutturazione delle attività produttive,

la riduzione dell'insicurezza, della criminalità e dei rischi del terrorismo internazionale,

la riduzione delle disparità fra i territori infraregionali e la creazione di un partenariato tra il centro e la periferia,

lo spinoso problema della governance.

7.7

Le popolazioni non sempre hanno la sensazione di appartenere a una metropoli. Alle aree metropolitane europee manca una legittimità politica. Le strutture amministrative tradizionali non sono più sufficienti perché risalgono a cicli storici ormai conclusi, ma i governi nazionali appaiono molto sensibili a atteggiamenti di resistenze nei confronti delle nuove strutture che si riscontrano tra le parti interessate, in particolare a quelli degli enti politici e amministrativi territoriali esistenti. D'altro canto le sfide cui devono far fronte le aree metropolitane sono immense. Per vincerle e per gestire questa evoluzione in modo adeguato, è necessaria quasi ovunque una nuova organizzazione della governance, che abbia l'obiettivo di definire una strategia complessiva.

Bruxelles, 25 aprile 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  GU C 302 del 7.12.2004, pag. 101.

(2)  Va fatta una distinzione tra «metropoli» e «area metropolitana»; generalmente una metropoli è concepita come una città molto grande o un agglomerato urbano, mentre un'area metropolitana è l'insieme di una città molto grande o di città importanti policentriche circondate da altri comuni e da zone rurali. Di conseguenza le aree metropolitane hanno una superficie molto più estesa delle metropoli.

(3)  Un primo esperimento è stato effettuato con successo nel quadro del programma Interreg II C nel 2000, e riguardava 14 aree metropolitane dell'Europa nord-occidentale. A questo proposito si rimanda allo studio Gemaca.

(4)  Parere sul tema Le aree metropolitane europee: implicazioni socioeconomiche per il futuro dell'Unione europeaGU C 302 del 7.12.2004, pag. 101.

(5)  Parere CESE sul tema L'immigrazione nell'UE e le politiche di integrazione: la collaborazione tra le amministrazioni regionali e locali e le organizzazioni della società civileGU C 318 del 23.12.2006, pag. 128.

(6)  Riferimento alla reazione della DG REGIO della Commissione europea in merito al parere d'iniziativa Le aree metropolitane europee: implicazioni socioeconomiche per il futuro dell'Unione europeaGU C 302 del 7.12.2004, pag. 101.

(7)  Competitive Cities: Where Do the Core cities Stand? (per core cities s'intendono le metropoli diverse da Londra, e in particolare quelle del Nord-Ovest del paese).

(8)  DIACT: Délégation Interministérielle à l'Aménagement et à la Compétitivité des Territoires (ex DATAR) (Delegazione interministeriale per l'assetto e la competitività dei territori).

(9)  La Commissione ha in preparazione una guida sulle questioni urbane.

(10)  The Territorial State and Perspectives of the European Union Document, Towards a Stronger European Territorial Cohesion in the Light of the Lisbon and Gothenburg Ambitions, progetto preliminare, 26 giugno 2006.

(11)  Il primo Consiglio informale dei ministri dell'assetto territoriale e degli affari interni ad affrontare a fondo i problemi delle città è stato quello di Rotterdam del novembre 2004, seguito dal Consiglio informale di Lussemburgo del maggio 2005 sullo stato e le prospettive del territorio dell'Unione europea. Il prossimo Consiglio informale si terrà a Lipsia nel maggio 2007.

(12)  

«Articolo 175

1.   Il Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 251 e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni, decide in merito alle azioni che devono essere intraprese dalla Comunità per realizzare gli obiettivi dell'articolo 174.

2.   In deroga alla procedura decisionale di cui al paragrafo 1 e fatto salvo l'articolo 95, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni, adotta:

a)

disposizioni aventi principalmente natura fiscale;

b)

misure aventi incidenza;

sull'assetto territoriale,

sulla gestione quantitativa delle risorse idriche o aventi rapporto diretto o indiretto con la disponibilità delle stesse,

sulla destinazione dei suoli, ad eccezione della gestione dei residui;

c)

misure aventi una sensibile incidenza sulla scelta di uno Stato membro tra diverse fonti di energia e sulla struttura generale dell'approvvigionamento energetico del medesimo.

Il Consiglio, deliberando alle condizioni stabilite nel primo comma, può definire le materie cui è fatto riferimento nel presente paragrafo sulle quali le decisioni devono essere prese a maggioranza qualificata. (…)».

(13)  Parlamento europeo: Risoluzione del 13.10.2005 sulla dimensione urbana nel contesto dell'ampliamento — GU C 233E del 28.9.2006, pag. 127.

(14)  Parere del Comitato delle regioni sul tema La politica di coesione e le città: il contributo delle città e degli agglomerati urbani alla crescita e all'occupazione nelle regioni, GU C 206 del 29.8.2006, pag. 17.

(15)  METREX: The Network of European Metropolitan Regions and Areas, associazione che raggruppa circa 50 grandi regioni urbane.

(16)  È in effetti salito dalle 20 del 1990 alle 199 del 2006.

(17)  In tale contesto, vi è una distinzione fra 3 diversi livelli geografici: il centro città, la zona urbana allargata (LUZ) e il quartiere infraurbano. Secondo i responsabili del progetto, la LUZ corrisponde approssimativamente alla regione urbana funzionale.

(18)  Infatti, relativamente pochi indicatori, in pratica, tengono conto dei dati relativi a tutte le LUZ per un determinato anno. I confini geografici delle LUZ vengono definiti in base a criteri nazionali, il che non garantisce la comparabilità degli indicatori a livello europeo. Inoltre, tali confini finora non sono stati pubblicati. Gli indicatori si riferiscono ad anni passati (quelli più recenti riguardano il 2001). I mezzi messi a disposizione di Eurostat per realizzare questo importante progetto che comprende 27 paesi, 258 città, 260 LUZ e 150 indicatori sono sicuramente di gran lunga insufficienti.

(19)  La popolazione urbana nel mondo supera attualmente i 3 miliardi di persone e oltre 400 metropoli hanno più di un milione di abitanti, mentre un secolo fa non si contavano che 16 città di tali dimensioni.


20.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 168/16


Parere del Comitato economico e sociale europeo su: L'agenda territoriale

(2007/C 168/03)

Il 7 novembre 2006 il ministero dei Trasporti, dei lavori pubblici e dell'urbanistica della Repubblica federale di Germania, a nome della futura presidenza tedesca, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere su: L'agenda territoriale.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 20 marzo 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore PARIZA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 aprile 2007, nel corso della 435a a sessione plenaria, ha adottato all'unanimità il seguente parere.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato ringrazia la presidenza tedesca e si congratula con essa per il lavoro di preparazione e lo sforzo di trasparenza e consultazione esercitato in merito all'agenda territoriale.

1.2

Considera che sia giunto il momento di superare l'attuale fase di coordinamento informale nel Consiglio e passare a una nuova fase di maggiore cooperazione politica. Sulla base del lavoro realizzato e con i nuovi apporti previsti da parte di ESPON/ORATE, è necessario fare un passo avanti nell'integrazione, con un mandato chiaro alla Commissione affinché essa abbia capacità di iniziativa.

1.3

Considera che le discussioni in seno al Consiglio sul tema dell'agenda territoriale dovrebbero dar luogo a precise decisioni politiche; a tal fine è però necessario un maggior coinvolgimento della Commissione europea, che si trova nella situazione migliore per garantire la compatibilità dei differenti approcci dell'Unione europea in materia di coesione territoriale.

1.4

L'obiettivo della coesione territoriale a livello dell'UE impone alla Commissione di dotarsi di un servizio specifico ed efficace, per analizzare la situazione e produrre quindi una diagnosi e delle proposte politiche che diano prova del valore aggiunto di un approccio europeo alla coesione territoriale.

1.5

Il Comitato propone di garantire la continuità al termine della presidenza tedesca. La Commissione dovrebbe analizzare, sintetizzare e mettere in pratica l'agenda territoriale mediante un programma d'azione che rispetti tuttavia le prerogative nazionali e regionali in materia di politiche di assetto del territorio.

1.6

La Quarta relazione sulla coesione, attualmente in corso di elaborazione da parte della Commissione, deve analizzare l'impatto territoriale dei fondi comunitari e stabilire alcune relazioni tra la politica di coesione e gli obiettivi dell'agenda territoriale. Il Comitato reputa che occorra rafforzare i programmi i cooperazione transfrontaliera.

1.7

Alla governance dell'agenda territoriale devono partecipare in maniera equilibrata non solo le varie amministrazioni — locali, regionali, nazionali e comunitaria — che operano sul territorio, ma anche la società civile organizzata, che dev'essere consultata in via preliminare.

1.8

Il CESE propone al Consiglio di ricorrere al metodo di coordinamento aperto per l'agenda territoriale, con dei precisi orientamenti e come primo passo sulla via dell'applicazione a tali questioni del metodo comunitario, una volta adottato il Trattato costituzionale.

1.9

Il CESE auspica una pronta adozione del Trattato costituzionale, il quale sancisce l'obiettivo della coesione territoriale. Propone che il Consiglio informale di Lipsia, sulla base del consenso esistente in merito all'agenda territoriale, raccomandi nelle sue conclusioni l'avvio graduale dell'agenda, invece di segnalarne il carattere non vincolante.

1.10

Invita pertanto la Commissione a proporre al Consiglio di proseguire l'applicazione dell'agenda territoriale sulla base delle disposizioni giuridiche attuali.

2.   Consultazione da parte della presidenza tedesca

2.1

Il 7 novembre 2006 il ministero dei Trasporti, dei lavori pubblici e dell'urbanistica della Repubblica federale di Germania, a nome della futura presidenza tedesca, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere esplorativo sul tema L'agenda territoriale .

2.2

Nel vertice informale sulla coesione territoriale e lo sviluppo urbano che terranno a Lipsia il 24 e 25 maggio 2007, i ministri europei competenti adotteranno un documento di riflessione politica, l'Agenda territoriale dell'UE  (1), basato sulla relazione dal titolo The Territorial State and Perspectives of the European Union  (2) (Stato dei territori e prospettive dell'UE). La relazione analizza le principali sfide che si profilano per l'Unione europea in materia di sviluppo territoriale e indica, con l'ausilio di esempi, come mobilitare meglio il potenziale rappresentato dalla diversità territoriale dell'Europa allo scopo di favorire una crescita economica sostenibile. L'agenda territoriale dell'UE consiste in una serie di raccomandazioni ai fini di una più adeguata considerazione della diversità territoriale e in un certo numero di proposte relative a un programma d'azione in materia di politica dello sviluppo territoriale.

2.3

Sin dal 1995 il CESE si è pronunciato in favore di una maggiore cooperazione nel campo della politica europea di assetto territoriale.

Europa 2000+Cooperazione per lo sviluppo del territorio europeoGU C 133 del 31.5.1995, pag. 4

L'assetto del territorio e la cooperazione interregionale nel MediterraneoGU C 133 del 31.5.1995, pag. 32 + allegato (CES 629/94 fin)

Europa 2000+Cooperazione per lo sviluppo del territorio europeo (supplemento di parere) — GU C 301 del 13.11.1995, pag. 10.

Anche altri, più recenti pareri, prendono posizione in favore di una maggiore integrazione e considerazione della dimensione territoriale dell'integrazione europea:

Le aree metropolitane europee: implicazioni socioeconomiche per il futuro dell'UnioneGU C 302 del 7.12.2004, pag. 101

Strategia tematica sull'ambiente urbanoGU C 318 del 23.12.2006, pag. 86

L'impatto e le conseguenze delle politiche strutturali della coesione nell'Unione europea — CESE 84/2007

L'abitazione e la politica regionale — CESE 407/2007.

3.   L'agenda territoriale: dalla riflessione all'azione

3.1

La prima riunione informale dei ministri incaricati dell'assetto del territorio e delle politiche territoriali in generale si è tenuta a Nantes nel 1989.

3.2

Questo tipo di riunione è organizzata su iniziativa della presidenza di turno dell'UE. Nel 1993, nella riunione di Liegi, è stato deciso di elaborare lo Schema di sviluppo dello spazio europeo (SSSE)  (3), adottato poi nel 1999 a Potsdam, e che rappresenta il quadro di riferimento comune delle riunioni informali dei ministri responsabili dell'assetto del territorio e delle politiche territoriali.

3.3

Nella riunione ministeriale informale sulla coesione territoriale svoltasi a Rotterdam nel novembre 2004, i ministri hanno deciso di inserire nel loro programma politico per il periodo fino al 2007 la preparazione di un documento di sintesi intitolato Stato dei territori e prospettive dell'UE, che costituisce il documento di base dell'agenda territoriale.

3.4

L'agenda territoriale costituisce un quadro strategico che stabilisce le priorità per lo sviluppo territoriale dell'Unione europea. Contribuisce alla crescita economica e allo sviluppo sostenibile grazie al rafforzamento della coesione territoriale. Questa può essere definita come la capacità della politica di coesione di adattarsi alle necessità e caratteristiche specifiche delle sfide e delle opportunità geografiche, pervenendo ad uno sviluppo territoriale equilibrato e sostenibile.

3.5

L'obiettivo della coesione territoriale è stato incluso nell'articolo III-116 del progetto di Trattato costituzionale del 2003, come terza dimensione della coesione economica e sociale. La dimensione territoriale delle politiche comunitarie è altresì analizzata nella Terza relazione intermedia sulla coesione, presentata dalla Commissione nel 2005. Anche gli orientamenti strategici comunitari per la coesione adottati nel 2006 includono la dimensione territoriale della coesione.

3.6

Nella riunione ministeriale informale svoltasi a Lussemburgo nel maggio 2005, i ministri hanno approvato i temi e le priorità dell'agenda territoriale qui di seguito elencati:

promuovere lo sviluppo urbano in base a un modello policentrico,

rafforzare il partenariato tra le città e la campagna,

promuovere cluster transnazionali competitivi e innovatori,

potenziare le reti tecnologiche transeuropee,

promuovere la gestione transeuropea dei rischi,

proteggere gli ecosistemi e le risorse culturali.

3.7

Tra le azioni fondamentali figurano quelle di seguito esposte:

azioni che promuovano politiche comunitarie più coerenti dal punto di vista territoriale,

azioni che forniscano strumenti europei per la coesione territoriale,

azioni che rafforzino la coesione territoriale negli Stati membri,

attività congiunte dei ministri.

4.   La strategia territoriale europea (STE)

4.1

L'STE è un quadro di riferimento comune per i diversi attori dello sviluppo e dell'assetto del territorio (UE, Stati, regioni e altri enti territoriali); essa sostiene la dimensione territoriale di un'Europa policentrica e la necessaria territorializzazione delle politiche settoriali dell'UE. È un'iniziativa intergovernativa, adottata nella riunione interministeriale di Potsdam nel 1999, e non ha un carattere vincolante. In pratica l'STE è stata applicata unicamente in occasione della creazione dell'European Spatial Planning Observation Network — ESPON/ORATE (4) (Osservatorio in rete dell'assetto del territorio europeo).

4.2

Gli obiettivi dell'STE sono i seguenti:

definire a livello dell'UE principi generali di azione per garantire uno sviluppo sostenibile equilibrato del territorio europeo,

contribuire alla coesione economica e sociale che si basa e si realizza concretamente nel territorio,

salvaguardare le basi naturali della vita e del patrimonio culturale,

conseguire una competitività più equilibrata del territorio europeo.

4.3

Vi sono quattro ambiti principali che interagiscono tra loro e esercitano pressioni importanti sullo sviluppo territoriale:

l'evoluzione delle zone urbane. La popolazione europea è per oltre tre quarti insediata nelle città,

l'evoluzione delle zone rurali e di montagna, che costituiscono circa il 75 % del territorio europeo,

i trasporti e la distribuzione delle infrastrutture nel territorio,

la conservazione del patrimonio naturale e culturale.

4.4

Sulla base degli ambiti succitati, l'STE stabilisce i seguenti orientamenti:

uno sviluppo spaziale policentrico,

il rafforzamento del partenariato rurale-urbano,

la parità di accesso alle infrastrutture di trasporto, telecomunicazioni e conoscenza,

una gestione prudente del patrimonio naturale e culturale.

4.5

Ecco alcune delle azioni concrete previste:

integrazione degli orientamenti politici dell'STE nell'attuazione dei fondi strutturali e nella politica di assetto del territorio in ciascuno Stato membro,

sperimentazione della cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale nel quadro di Interreg,

considerazione dell'impatto territoriale di altre politiche settoriali, come quella dei trasporti,

rafforzamento della cooperazione europea in materia di politiche urbane,

istituzione di ESPON/ORATE — Osservatorio in rete dell'assetto del territorio europeo.

4.6   ESPON/ORATE — Osservatorio in rete dell'assetto del territorio europeo

4.6.1

ESPON/ORATE, l'European Spatial Planning Observation Network, è un programma di ricerca applicata nel campo dello sviluppo territoriale finanziato da Interreg e dagli Stati membri. L'obiettivo del programma è quello di fornire ai responsabili istituzionali a livello europeo, nazionale e regionale conoscenze sistematiche sulle tendenze territoriali e sull'impatto delle politiche che interessano le regioni e i territori europei, conoscenze che possono direttamente sostenere la formulazione e l'attuazione delle politiche.

4.6.2

Tutta la ricerca applicata condotta nell'ambito del programma ESPON/ORATE riguarda il territorio di 29 paesi europei, che comprendono i 27 Stati membri dell'UE oltre alla Norvegia e alla Svizzera.

4.6.3

Si prevede un sostanziale ampliamento della dotazione finanziaria, dai 7 milioni di euro per il periodo 2000-2006 ai 34 milioni di euro del nuovo programma ESPON/ORATE 2013 (per il periodo 2007-2013), che potrebbero arrivare a 45 milioni di euro con i contributi nazionali.

5.   Osservazioni

5.1   Base giuridica e metodo comunitario

5.1.1

Per tutte le questioni riguardanti il territorio, il valore aggiunto di un approccio europeo comune è irrinunciabile. L'esperienza acquisita negli ultimi decenni e la necessità di tener conto della dimensione territoriale dell'integrazione europea richiede una progressiva «comunitarizzazione» delle politiche che si riflettono sull'approccio generale al territorio europeo.

5.1.2

L'Unione europea porta avanti numerose politiche comunitarie che agiscono e hanno effetti sul territorio: la politica della concorrenza, le reti transeuropee di trasporto, le telecomunicazioni e l'energia, la politica ambientale, quella agricola, la politica di R&S, la politica regionale, gli investimenti della BEI, ecc. L'UE non dispone però di un approccio comune per integrare, valutare e coordinare le implicazioni di tali politiche sul territorio europeo.

5.1.3

Un approccio generale al territorio europeo richiede obiettivi e orientamenti comuni europei. Il valore aggiunto di tali orientamenti territoriali europei è evidente se si considerano obiettivi come la protezione dell'ambiente, uno sviluppo urbano policentrico e sostenibile, le reti transeuropee, la prevenzione, grazie a piani europei, delle calamità naturali, tecnologiche e dovute al cambiamento climatico.

5.1.4

Si designa come «metodo comunitario» (5) il processo in base al quale la Commissione, di sua iniziativa, o per iniziativa di altri organi comunitari, elabora proposte concrete da presentare per adozione al Consiglio dei ministri, che eventualmente agisce in procedura di codecisione con il Parlamento.

5.1.5

Per alcune politiche il Consiglio ha introdotto il cosiddetto «metodo di coordinamento aperto» che implica una procedura di azione politica meno intensa e rigorosa del metodo comunitario. Il Comitato ritiene che per le questioni riguardanti l'agenda territoriale il metodo di coordinamento aperto possa essere utile come passo preliminare al metodo comunitario. Si potrebbe utilizzare il metodo di coordinamento aperto fino all'adozione del Trattato costituzionale, che una volta in vigore permetterà di ricorrere al metodo comunitario.

5.1.6

Nondimeno, come è stato dimostrato dall'esperienza europea in altri settori, questo sistema è fruttuoso solo quando la Commissione svolge un ruolo molto attivo e quando si lavora con obiettivi e orientamenti molto precisi.

5.1.7

Il Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa menziona la coesione territoriale nel Titolo III, cosa che il CESE considera opportuna. Indipendentemente dall'esito della procedura di ratifica, i seguenti articoli del Trattato attualmente in vigore dovrebbero essere usati come base giuridica per elaborare un approccio comune nei riguardi del territorio europeo, partendo dal presupposto che questa sia materia di competenza dell'Unione europea:

l'articolo 2 del Trattato CE sancisce che la Comunità «ha il compito di promuovere uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche nell'insieme della Comunità»,

l'articolo 16 menziona la coesione sociale e territoriale in relazione con i servizi di interesse economico generale,

l'articolo 71 la cita nel quadro della politica comune dei trasporti,

l'articolo 158 stabilisce che «Per promuovere uno sviluppo armonioso dell'insieme della Comunità, questa sviluppa e prosegue la propria azione intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica e sociale»,

l'articolo 175, paragrafo 2, lettera b), prevede che il Consiglio, su proposta della Commissione, adotterà misure aventi incidenza sull'assetto territoriale.

5.2   Politica regionale

5.2.1

La politica regionale comunitaria è uno strumento cruciale per la coesione economica e sociale, per la convergenza economica e, in generale, per il processo d'integrazione europea.

5.2.2

Il Comitato ha sempre appoggiato questa politica che persegue e riesce a ottenere la riduzione delle disparità tra le regioni europee.

5.2.3

La politica regionale, che è una delle politiche comunitarie di maggior successo, deve continuare a operare tenuto conto delle nuove disparità createsi con il processo di allargamento.

5.2.4

Questa politica non è incompatibile, piuttosto è vero il contrario, con una politica effettiva di coesione territoriale, come quella che si propone l'agenda territoriale, da sviluppare nel prossimo periodo 2007-2013.

5.3   Allargamento

5.3.1

Gli ultimi allargamenti comportano nuove sfide per il territorio europeo: tra il 2004 e il 2007 gli Stati membri sono passati da 15 a 27, la popolazione da 382 a 490 milioni di abitanti, con un aumento del 28 % circa, e il territorio è cresciuto del 34 % circa, da 3,2 a 4,3 milioni di km2. Dato l'aumento delle sue dimensioni e della sua diversificazione diviene urgente definire un quadro d'insieme di tale realtà territoriale e geografica e delle sue possibili evoluzioni.

5.3.2

I due ultimi allargamenti rappresentano una sfida importante, che deve essere analizzata accuratamente dalla Commissione europea.

5.3.3

Il numero delle regioni frontaliere, interne e esterne, è considerevolmente aumentato. Tali regioni rappresentano una sfida e un'opportunità concreta per tradurre il processo di integrazione in realtà tangibili.

5.4   Territorio europeo

5.4.1

Le sfide e i rischi riguardanti il territorio europeo vanno affrontati con un approccio europeo. Il valore aggiunto di una visione d'insieme del territorio europeo è indiscutibile e tale visione d'insieme dovrebbe essere riconosciuta come una necessità strategica chiave.

5.4.2

Vanno segnalate alcune caratteristiche del territorio:

continuo: non conosce frontiere,

limitato: non è rinnovabile,

variegato: non è omogeneo,

stabile: non s'improvvisa,

vulnerabile: non è al riparo da rischi e calamità,

irreversibile: non cambia facilmente di uso.

Il territorio, come struttura fisica e geografica, è, pertanto, d'importanza strategica fondamentale. Le valutazioni di impatto eseguite dalla Commissione devono contenere un approccio territoriale, occorre quindi la collaborazione di ORATE.

5.5   Sistema di governance

5.5.1

L'UE deve dotarsi di un sistema adeguato di governance, che garantisca il debito equilibrio tra i vari livelli di governo territoriale, dato che sul territorio agiscono i governi locali, regionali, nazionali e l'UE. Il principio di sussidiarietà va rispettato, ma assicurando la coerenza e l'approccio olistico, comune e condiviso.

5.5.2

È altresì necessario che la società civile partecipi ai diversi livelli attraverso procedure strutturate di dialogo sociale e civile. In molti Stati membri e in molte regioni europee esistono consigli economici e sociali (o organismi analoghi) che devono essere mobilitati coinvolgendoli attivamente, insieme con le parti sociali e altre organizzazioni della società civile, nei sistemi di consultazione e governance delle questioni territoriali.

6.   L'agenda territoriale: lo stato e le prospettive del territorio dell'Unione europea

6.1

L'agenda territoriale è basata sul documento «Lo stato e le prospettive del territorio dell'UE»; più che un documento di sintesi, questo è un documento in cui le presidenze semestrali che si sono susseguite hanno incorporato diversi contributi. Il documento presenta in 197 punti tutte le sfide che riguardano il territorio e in questo senso costituisce una guida molto utile in base alla quale la Commissione dovrebbe proporre un piano d'azione.

6.2

L'agenda territoriale dovrebbe integrare le strategie territoriali degli Stati membri e tener conto della dimensione territoriale delle altre politiche comunitarie, cercando complementarità e sinergie per giungere a una sintesi europea attraverso degli orientamenti per una strategia territoriale per l'UE, che vengono proposti qui di seguito al punto 8.

6.3

L'agenda territoriale dell'UE deve orientare il suo sviluppo adottando un approccio di sostenibilità economica, sociale e ambientale.

7.   Obiettivi per l'agenda territoriale

7.1   Coesione territoriale

7.1.1

La coesione territoriale persegue l'introduzione di un approccio territoriale europeo che inquadri e renda compatibili le strategie territoriali formulate e applicate dagli Stati membri e dalle regioni.

7.1.2

La coesione territoriale deve concentrarsi sui temi che interessano anzitutto l'assetto del territorio e, in secondo luogo, la pianificazione urbana e regionale. Come aveva segnalato nel 1994 la CEMAT (6)«L'assetto del territorio è lo strumento idoneo per attuare lo sviluppo sostenibile su scala territoriale».

7.1.3

In questo senso occorre lavorare alla chiarificazione concettuale, metodologica e linguistica dell'assetto del territorio. L'assetto del territorio rappresenta un approccio interdisciplinare e costituisce una priorità trasversale che interessa diversi temi e soprattutto l'ambiente, i trasporti e le comunicazioni, la casa e gli insediamenti umani e industriali, ecc.

7.2   Coesione economica e sociale

7.2.1

Nel quadro della strategia di Lisbona, il CESE propone uno sviluppo economico più equilibrato nel territorio europeo, affinché tutti i cittadini e tutti i territori, comprese le regioni caratterizzate da svantaggi naturali e strutturali permanenti, beneficino dello sviluppo (7).

7.2.2

Tutte le politiche europee devono promuovere l'obiettivo della coesione sociale. Il Comitato propone che tra gli obiettivi dell'agenda territoriale siano compresi quelli della coesione sociale, perché il territorio è lo spazio in cui vivono le persone, dove esse trovano le opportunità e sperimentano i problemi.

7.2.3

Uno sviluppo policentrico per le aree urbane e metropolitane e un adeguato rapporto tra queste e le aree periferiche e le aree rurali possono favorire un maggior equilibrio economico e sociale in Europa. Inoltre l'approccio territoriale deve mirare anche agli obiettivi fondamentali della lotta contro la povertà e l'esclusione sociale, dell'integrazione degli immigranti (8), della promozione delle politiche della casa, delle pari opportunità e dello sviluppo dei servizi pubblici di qualità.

7.3   Cambiamento climatico e rischi naturali

7.3.1

Tutti i rapporti più recenti sul cambiamento climatico richiamano l'attenzione sulla gravità del problema. È chiaro che il riscaldamento del pianeta è un dato di fatto, non un'opinione. Molti effetti del cambiamento climatico cominciano a manifestarsi nel territorio. L'assetto del territorio deve raccogliere questa nuova sfida per cercare di attenuare e correggere alcuni degli effetti che il cambiamento climatico provocherà sul territorio.

7.3.2

È necessario elaborare un piano europeo per far fronte ai rischi e alle calamità naturali. Non si tratta di fantascienza: il recente rapporto dell'economista Stern (9) commissionato dal governo britannico, dà la misura di ciò che è in gioco per il pianeta: sarebbe necessario investire almeno l'1 % circa del PIL mondiale nella lotta contro il cambiamento climatico per evitare che i costi globali e i rischi che ne derivano provochino un declino del PIL mondiale del 5 %, calo che potrebbe arrivare fino al 20 % del PIL mondiale se continuano a aumentare, con la stessa progressione di oggi, gli effetti più nocivi del riscaldamento del pianeta.

7.3.3

Il cambiamento climatico può influire negativamente sulla coesione e la competitività, sulla qualità della vita e sullo sviluppo sostenibile entro un periodo più breve di quanto finora previsto, come conferma il rapporto del gruppo di esperti dell'ONU sul cambiamento climatico presentato a Parigi il 2 febbraio 2007. Il CESE propone di tenere conto, nell'assetto del territorio, del cambiamento climatico.

7.3.4

Bisogna tenere in considerazione, tra gli altri, anche i rischi collegati a catastrofi tecnologiche (crisi nucleari, batteriologiche o chimiche) causate da incidenti o attacchi terroristici, e prevedere eventuali sgomberi massicci di popolazione.

7.4   Reti transeuropee

7.4.1

L'idea delle reti transeuropee di trasporto (RTE-T) sorge alla fine degli anni Ottanta, in collegamento con il mercato unico. Perché si potesse parlare di mercato unico e di libera circolazione occorreva che le diverse reti nazionali e regionali di trasporto fossero collegate mediante un sistema europeo di infrastrutture moderne ed efficaci.

7.4.2

Dal 1992 il Trattato dedica il Titolo XV (articoli 154, 155 e 156) alle reti transeuropee. Quindici anni dopo, il bilancio è deludente e addirittura preoccupante. Gli scarsi risultati conseguiti si spiegano in parte con le difficoltà di finanziamento e la mancanza di volontà politica. Il CESE si rammarica del fatto che l'Iniziativa di crescita (10) del 2003, che comprendeva la costruzione di grandi reti transeuropee, sia stata vittima della negligenza e dell'oblio dei governi. Il CESE si chiede in quale misura la mancanza di una visione globale del territorio europeo e delle sue infrastrutture siano alla base dei miseri risultati delle reti transeuropee di trasporto, telecomunicazioni ed energia.

7.4.3

Sottolinea che uno degli obiettivi fondamentali consiste nella possibilità di tutte le persone e di tutti i territori di beneficiare di un livello adeguato di accesso alle reti di trasporto e di connettività. Questo presuppone una rete paneuropea equilibrata e dotata di buoni collegamenti con le città piccole, le aree rurali e le regioni insulari.

7.4.4

Attualmente l'Europa non dispone di una rete adeguata per il trasferimento dell'energia (elettricità, petrolio e gas) ed è una carenza che può portare al collasso dell'attività economica. Ciò comporta, inoltre, una grande disparità di opportunità tra le regioni e i territori che non hanno accesso a tali reti.

7.4.5

Nella politica europea dell'energia è indispensabile tenere in considerazione l'approccio territoriale, sia dal punto di vista di protezione delle risorse naturali, sia da quello della coesione sociale e territoriale.

7.4.6

Analogamente, per lo sviluppo della strategia di Lisbona è necessario che tutti i territori e tutti i cittadini abbiano accesso alla società dell'informazione e alle relative reti, come pure alla circolazione della conoscenza e alla formazione. L'agenda territoriale dell'UE deve dare priorità a questo approccio.

7.5   Tutela dell'ambiente naturale

7.5.1

Solo con un approccio politico comune sul territorio è possibile realizzare l'obiettivo di proteggere l'ambiente fisico e naturale e la biodiversità in Europa. Da questo punto di vista il valore aggiunto europeo è irrinunciabile.

7.5.2

L'agenda territoriale deve porre le basi per una nuova e più efficace politica europea di protezione dell'ambiente naturale e di conservazione della biodiversità (11).

7.6   Patrimonio culturale

7.6.1

L'Europa dispone di un patrimonio culturale di grandissima rilevanza che l'UE deve proteggere. Tutte le regioni d'Europa si caratterizzano per la grande diversità culturale, che è alla base della storia e dell'identità degli europei.

7.6.2

L'agenda territoriale deve favorire la conservazione di questo patrimonio culturale ricco e differenziato, che è, inoltre, un fattore endogeno di sviluppo economico e di coesione sociale.

8.   Orientamenti per una strategia territoriale dell'UE

8.1

Gli orientamenti per una strategia territoriale dell'UE devono perseguire un massimo di efficienza economica, coesione sociale e sostenibilità ambientale, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità.

8.2

Pur senza interferire con le competenze degli Stati membri e delle regioni nel campo dell'assetto territoriale, gli orientamenti per una strategia sostenibile per il territorio comunitario costituiscono un quadro di riferimento per il territorio europeo ed il loro compito è quello di dare contenuto e senso alla coesione territoriale.

8.3

Gli orientamenti per una strategia territoriale finalizzata alla coesione economica, sociale e territoriale dovrebbero perseguire anzitutto:

un approccio europeo per le infrastrutture di trasporto e di comunicazione che renda possibile la realizzazione delle reti transeuropee di trasporto (RTE-T),

un approccio europeo per la politica energetica e, in particolare, per le reti transeuropee dell'energia (RTE-E),

un approccio europeo per la protezione e conservazione dell'ambiente fisico e naturale, con speciale attenzione alla biodiversità naturale e alla ricchezza culturale,

un approccio europeo per la lotta contro gli effetti negativi del cambiamento climatico e per una politica comune contro i rischi e le calamità potenziali sul territorio europeo,

un approccio policentrico e sostenibile alla pianificazione regionale e urbana.

Bruxelles, 25 aprile 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  http://www.bmvbs.de/territorial-agenda

(2)  http://www.bmvbs.de/Anlage/original_978555/The-Territorial-State-and-Perspectives-of-the-European-Union-Document.pdf

(3)  http://europa.eu/scadplus/leg/it/lvb/g24401.htm

(4)  La denominazione iniziale in spagnolo era PEOT (prospettiva europea di assetto territoriale). http://www.espon.eu

(5)  MEMO/02/102 — http://europa.eu/rapid/searchAction.do

(6)  Conferenza europea dei ministri responsabili dell'assetto del territorio del Consiglio d'Europa.

(7)  Parere del CESE Verso una maggiore integrazione delle regioni gravate da svantaggi naturali e strutturali permanenti GU C 221 dell'8.9.2005, pag. 141.

(8)  Parere del CESE L'immigrazione nell'UE e le politiche di integrazione: la collaborazione tra le amministrazioni regionali e locali e le organizzazioni della società civile GU C 318 del 23.12.2006, pag. 128.

(9)  Rapporto STERN — Sir Nicholas Stern — 30.12.2006 — «Stern Review executive summary» — New Economics Foundation.

(10)  Conclusioni del Consiglio europeo di Bruxelles del 12.12.2003, punti 2, 3, 4 e 5.

(11)  Parere del CESE in merito alla Comunicazione della Commissione — Arrestare la perdita di biodiversità entro il 2010e oltreSostenere i servizi ecosistemici per il benessere umano (COM(2006) 216 def.), CESE 205/2007.


20.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 168/22


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Relazione della Commissione — Relazione sulla politica di concorrenza 2005

SEC(2006) 761 def.

(2007/C 168/04)

La Commissione europea, in data 15 giugno 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale in merito alla: Relazione sulla politica di concorrenza 2005.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 27 marzo 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore GARAI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 aprile 2007, nel corso della 435a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 115 voti favorevoli, 40 voti contrari e 12 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il presente parere non poteva coprire tutte le attività della DG Concorrenza (1). Si è potuto affrontare brevemente solo un numero limitato di questioni scelte. Non sono state trattate del tutto le decisioni dei tribunali in materia di antitrust, di fusioni e acquisizioni e di aiuti di Stato, perché il loro studio avrebbe comportato un'analisi approfondita del comportamento delle imprese sul mercato e della percezione che ne hanno le autorità. Tuttavia, dalla relazione in esame emerge chiaramente che l'approccio adottato dalla DG Concorrenza nella gestione dei vari casi e nell'esperimento delle procedure è caratterizzato da una considerevole perseveranza e dalla preoccupazione di trovare delle soluzioni appropriate e funzionali ai problemi in campo. Semmai ci fosse qualcosa da criticare, si potrebbero forse menzionare alcuni settori la cui importanza, ai fini dei requisiti di competitività internazionale descritti nella strategia di Lisbona e nei documenti che la accompagnano, non giustifica l'attenzione loro rivolta dalla Commissione. Per il CESE la relazione di follow up della relazione del 2005 I servizi professionaliProseguire la riforma e il documento di lavoro dei servizi della Commissione dal titolo Progresso degli Stati membri nella revisione e soppressione delle restrizioni della concorrenza nel settore dei servizi professionali costituiscono due esempi di ciò. Il CESE ritiene che la liberalizzazione dei servizi richiesta in nome della strategia di Lisbona debba essere intesa come riguardante anzitutto i servizi con una rilevanza internazionale (infrastrutture, telecomunicazioni, trasporti, ecc.) e molto meno quelle che vengono definite le professioni liberali (in particolare architetti, avvocati, medici, ingegneri, esperti contabili e farmacisti), dal momento che nella maggior parte dei casi queste vengono esercitate nel quadro di microimprese di livello locale e rientrano pertanto, alla luce del principio di sussidiarietà, nelle competenze degli Stati membri (cfr. la sentenza della Corte di giustizia nelle cause C-94/04 e C-202/04, Cipolla-Macrino) (2). Nessuno può negare che taluni vincoli normativi siano necessari per rispondere alle aspettative della società in termini di livello elevato di competenza, esperienza e affidabilità. Il CESE si compiace del fatto che i mercati nazionali delle libere professioni dei vari Stati membri siano stati oggetto di analisi dettagliate che hanno misurato la portata e l'intensità delle restrizioni in vigore. Va tuttavia sottolineato che, oltre agli effetti economici sulla struttura della concorrenza, bisognerebbe analizzare anche le probabili ripercussioni delle liberalizzazioni proposte al livello del tessuto sociale. Ciò tuttavia non esclude dei procedimenti per infrazione alle regole riguardanti le pratiche concordate e gli abusi di posizione dominante, che incombono alle autorità nazionali garanti della concorrenza e che mirano anzitutto a contrastare i tentativi compiuti dalle associazioni professionali per fissare le tariffe.

1.2

Al CESE è stato proposto di avvalersi maggiormente della rilevante competenza ed esperienza professionale delle associazioni e delle organizzazioni della società civile rappresentate al suo interno, per monitorare l'attività della DG Concorrenza e persino analizzare occasionalmente i procedimenti relativi a pratiche concordate, ad abusi di posizione dominante e ad aiuti di Stato, La DG Concorrenza potrebbe contribuire mettendo regolarmente a disposizione del CESE informazioni sui suoi obiettivi politici o sui casi di cui si sta occupando, nei limiti imposti dalle esigenze di riservatezza.

1.3

Andrebbero organizzate riunioni regolari tra i rappresentanti del CESE e il funzionario di contatto incaricato delle questioni dei consumatori presso la DG Concorrenza. Lo scambio di informazioni può contribuire a garantire un dialogo continuo con le associazioni per la protezione dei consumatori. Nel momento in cui la Commissione redigerà un resoconto sulle indagini settoriali (3) della DG Concorrenza riguardanti l'energia (gas ed elettricità) e i servizi finanziari (servizi bancari al dettaglio e servizi assicurativi destinati alle imprese), i loro risultati dovrebbero essere messi a disposizione dei rappresentanti del CESE affinché questi possano esaminarli e commentarli (possibilmente nel quadro di un gruppo di lavoro).

1.4

Il CESE rileva la necessità di realizzare una sintesi dei suoi punti di vista circa le ripercussioni della politica della concorrenza sui valori economici e sociali che formano l'oggetto del suo mandato. In tale prospettiva esso avvierà nell'immediato futuro i lavori per l'elaborazione di un parere che, nello spirito dell'agenda di Lisbona, presenti le nozioni di concorrenza e di competitività, spieghi la loro reale portata ed esponga le loro prevedibili ripercussioni sulle società degli Stati membri.

1.5

Contemporaneamente all'avvio della discussione sull'applicazione dell'articolo 82 del Trattato (abuso di posizione dominante) la DG Concorrenza ha pubblicato uno studio, che è stato oggetto di ampi dibattiti, sui comportamenti di un'impresa in posizione dominante volti a escludere dal mercato i propri concorrenti, danneggiando questi ultimi e la concorrenza in sé. La Commissione si è impegnata a proseguire la propria riflessione occupandosi dello sfruttamento abusivo di una posizione dominante, ossia della questione più sensibile dal punto di vista dei consumatori e dei fornitori (PMI) delle imprese in posizione dominante sul mercato. Il CESE ritiene che la Commissione dovrebbe elaborare sin d'ora il documento di riflessione sui comportamenti che, a norma dell'articolo 82, possono configurarsi come sfruttamento abusivo di posizione dominante. Occorrerebbe quindi organizzare delle discussioni sulla base di tale documento e, una volta che si siano definite adeguatamente le caratteristiche dei due tipi di comportamenti abusivi, ossia esclusione dei concorrenti e abuso di posizione dominante, sarebbe opportuno sintetizzare le conclusioni relative all'interpretazione delle regole sull'abuso di posizione dominante in orientamenti comuni.

2.   Introduzione

2.1

Il libero mercato non sempre permette di conseguire il migliore risultato possibile. Le distorsioni della concorrenza si ripercuotono negativamente sui lavoratori e sui consumatori, come anche sulle imprese e sull'economia in generale. La politica di concorrenza e il diritto della concorrenza sono strumenti che consentono ai governi di stabilire delle regole di mercato eque e di garantirne l'applicazione attraverso disposizioni sostanziali e procedurali di diritto amministrativo.

2.2

Nel presentare il parere del CESE sulla relazione vale la pena di ricordare che gli Stati moderni, democratici e con un'economia di mercato dispongono di due importanti tipi di strumenti per influire sull'economia:

la politica industriale, che consente d'influenzare i soggetti presenti sul mercato attraverso agevolazioni fiscali, sussidi e altre misure di sostegno ed equivale a un intervento diretto sull'economia,

la politica di concorrenza (in senso stretto), la quale, oltre a determinare quali pratiche siano da considerare indesiderabili, consente anche l'accesso alle vie legali, e in particolare l'attuazione del diritto, con l'applicazione delle relative sanzioni, per garantire pari condizioni di concorrenza sul mercato.

2.2.1

La DG Concorrenza può far leva su entrambe le politiche: l'applicazione degli articoli 81, 82 e 86 (4) del Trattato CE corrisponde alle funzioni tipiche di un'autorità garante della concorrenza.

2.3

Un'altra importante considerazione consiste nel fatto ampiamente riconosciuto che una concorrenza equa, esente da distorsioni e praticabile tra i vari soggetti presenti sul mercato fornisce probabilmente ai consumatori le migliori garanzie che la qualità e la varietà delle merci siano all'altezza delle loro aspettative. Non si può al contempo dimenticare che i cosiddetti interessi dei consumatori risentono dell'influenza di altri elementi, tra i quali lo stato generale della società e fattori materiali e spirituali o morali, ovvero le carenze in tali campi. Il Comitato economico e sociale europeo (qui di seguito «CESE») inquadra la relazione della DG Concorrenza in un contesto generale e la esamina nell'ottica dei valori inerenti alla propria missione.

3.   Applicazione degli articoli 81 e 82 del Trattato CE

3.1

Quando la Commissione europea esercita i propri poteri di applicazione degli articoli 81 e 82 del Trattato CE in materia di intese e di abusi di posizione dominante (restrizione della concorrenza), il suo intervento è diretto verso le imprese  (5) operanti negli Stati membri, e questo può essere comparato a una competenza quasi giudiziaria, dal momento che essa giudica a posteriori il comportamento delle imprese sul mercato, conformemente alle disposizioni in materia di concorrenza. Questa funzione, che la DG COMP mantiene sin dall'inizio degli anni '60, viene svolta attraverso le decisioni della Commissione, le quali, insieme alle sentenze del Tribunale di prima istanza e della Corte di giustizia delle Comunità europee (in caso di ricorso) hanno costituito, negli ultimi 45 anni, un valido complesso di precedenti che fanno autorità in materia. La giurisprudenza così accumulata via via che sono state adottate le decisioni relative alle situazioni sul mercato costituisce uno degli elementi più importanti dell'acquis comunitario.

3.2

Dalla relazione 2005 si evince che la DG COMP è ben consapevole di ogni aspetto essenziale della competizione economica interna ed esterna all'UE, nonché del compito di garantire la certezza giuridica in questo campo, tanto più che anche le autorità e i giudici nazionali competenti per la concorrenza possono applicare la giurisprudenza essenziale dell'UE. Di conseguenza quelle regole danno gradualmente forma alle prassi giuridiche al livello dell'UE e degli Stati membri.

Per quanto riguarda il 2005, il Comitato desidera formulare talune osservazioni in merito alle iniziative, alle proposte e alle inchieste che seguono:

3.2.1

Il regolamento concernente l'accesso ai documenti della Commissione nelle cause relative ad intese, abusi di posizione dominante e concentrazioni: si tratta sempre di una questione procedurale delicata e la Commissione ne affina costantemente i dettagli. Essa considera importante garantire che le imprese interessate da casi di accordo, di abuso di posizione dominante o di concentrazione abbiano accesso ai documenti che essa elabora, sia sotto forma di documenti scritti che nella versione elettronica. Il nuovo regolamento prende il posto del testo precedente, adottato nel 1997.

3.2.2

L'invito rivolto ai potenziali denuncianti affinché forniscano delle informazioni per contribuire all'applicazione efficace delle regole di concorrenza: è interessante constatare che tale invito è stato pubblicato nella relazione che viene esaminata nel presente parere. Esso rivela le difficoltà connesse alla sorveglianza dei mercati da parte delle autorità competenti in materia di concorrenza: le organizzazioni della società civile e le associazioni professionali vengono invitate a contribuire attivamente (ad esempio raccogliendo informazioni) all'apertura e all'esecuzione di inchieste relative a infrazioni gravi al diritto della concorrenza.

3.2.3

Il documento di riflessione sull'applicazione dell'articolo 82 del Trattato CE (relativo agli abusi di posizione dominante): la DG Concorrenza intendeva promuovere un dibattito tra esperti in merito alle pratiche di esclusione che limitano la concorrenza, alle quali ricorrono le imprese che dispongono di una posizione di mercato tale da poter influenzare il comportamento dei loro concorrenti, ricavandone vantaggi unilaterali. Il documento di riflessione, che servirà da base per i futuri orientamenti, è stato oggetto di oltre 100 contributi, la maggior parte dei quali sottolinea l'esigenza di un'analisi economica dei mercati e degli attori interessati. Non si può negare la pertinenza di questa constatazione, tuttavia molti partecipanti hanno sottolineato che è importante riconoscere il principio secondo cui le imprese efficienti non devono essere ostacolate nell'attuazione della loro strategia di mercato. Ciò significa che invece di vietare rigidamente le pratiche di mercato abusive, questa teoria alla moda sostiene l'opportunità di una maggiore indulgenza (di una rule of reason, ossia di un principio o di una regola che consenta il ricorso ad una valutazione basata sul buon senso) nei confronti delle strategie d'impresa aggressive ma efficaci. Tuttavia, secondo la giurisprudenza europea (6), tale approccio è contrario al punto di vista prevalente a livello europeo, che non tollera le pratiche di mercato abusive miranti a escludere i concorrenti indesiderati (7). Indubbiamente tale dilemma è al centro delle politiche di concorrenza: dove si collocano i limiti che i soggetti decisivi del mercato non devono oltrepassare? Il CESE, volendo difendere gli interessi della società civile (PMI (8), lavoratori, consumatori ecc.) attende con vivo interesse i risultati di questo dibattito.

3.2.4

Gli orientamenti relativi alla valutazione di impatto prevedono che tutte le iniziative legislative e politiche del programma annuale di lavoro della Commissione saranno esaminate alla luce delle loro probabili ripercussioni, positive o negative, sulla concorrenza. Si tratta di un'iniziativa destinata a prevenire «restrizioni alla concorrenza inutili o sproporzionate» sin dalla fase legislativa dell'UE. La considerazione delle probabili incidenze sui mercati (su quali?) rivela fino a che punto sia ancorato nell'approccio della Commissione il concetto di concorrenza «vivace» o «perfetta» (vale a dire equa ed esente da distorsioni). Il CESE ritiene che la nozione di «concorrenza» dovrebbe essere considerata in un senso ben più ampio, dal momento che nel lungo periodo gli interessi dei consumatori, dei lavoratori e delle piccole e medie imprese possono non coincidere con gli interessi immediati di una concorrenza «perfetta» (9).

3.2.5

Libro verde: Le azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie: nel suo recente parere del 26 ottobre 2006, il Comitato ha espresso una valutazione positiva al riguardo. La presentazione da parte della Commissione del Libro verde riguardante le azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie ha suscitato consenso e un ampio dibattito, perché si avverte l'esigenza di far sì che le vittime di pratiche commerciali anticoncorrenziali possano esigere un risarcimento delle perdite subite. Nel suddetto parere il CESE afferma tra l'altro che l'obiettivo è proteggere tutti gli attori coinvolti nel mercato interno. Nel contesto della libera circolazione dei beni è necessario garantire in tutti gli Stati membri un certo grado di uniformità per quanto riguarda i diritti e gli obblighi derivanti dai contratti. D'altronde, per quanto riguarda il commercio transfrontaliero, occorre promuovere un certo grado di armonizzazione tra le legislazioni dei vari Stati.

3.2.5.1

In secondo luogo occorre tener conto delle autorità garanti della concorrenza, a livello europeo e nazionale, che hanno il compito di definire le pratiche commerciali vietate e le relative sanzioni e di comminare tali sanzioni alle imprese che contravvengono alla legislazione.

3.2.6

L'avvio di inchieste settoriali nei settori recentemente liberalizzati del gas e dell'elettricità: esse contribuiranno certamente a chiarire la situazione reale di questi settori, che rivestono grande importanza e hanno una portata considerevole, e per i quali già da molto tempo la liberalizzazione è stata considerata un toccasana. È giunto il momento di procedere ad un esame imparziale dei mercati locali, nazionali e di più vasta scala, per mettere in evidenza varie situazioni di monopolio che hanno conseguenze dannose per i consumatori, i lavoratori e le imprese.

3.2.7

Le comunicazioni elettroniche: i mercati europei delle comunicazioni elettroniche, sempre più integrati, sono caratterizzati da una crescente insoddisfazione. I prezzi all'ingrosso praticati dagli operatori di telefonia mobile per il roaming internazionale sono troppo elevati. Per tale ragione la DG Concorrenza ha avviato delle inchieste basate sui reclami diretti agli operatori. Dalle conclusioni provvisorie risulta che due dei tre principali operatori tedeschi hanno abusato della loro posizione dominante, applicando tariffe sleali ed eccessivamente elevate.

3.2.7.1

Il CESE desidera cogliere l'occasione per segnalare senza mezzi termini che l'espressione «tariffe eccessivamente elevate» e l'idea che la sottende si sono progressivamente infiltrate nell'interpretazione dell'articolo 82 del Trattato CE (10), il cui testo menziona semplicemente l'imposizione di prezzi «non equi», ossia ingiusti o ingiustificati. Finora la Commissione ha rifiutato di indagare e di condannare le pratiche di mercato costituite da rialzi dei prezzi da parte delle imprese in posizione dominante perché non ha voluto definire prezzi «buoni» e «cattivi» (11) (riferiti principalmente ai servizi venduti all'interno dei vari paesi). Tuttavia, gli operatori di telefonia mobile soddisfano una richiesta sempre crescente di servizi di roaming internazionale e i consumatori divengono sempre più sensibili ai relativi prezzi. Essi percepiscono a buon diritto degli aumenti di prezzi anche modesti come «non equi», senza che per questo essi siano «eccessivi». Il CESE attende con interesse le conclusioni e le decisioni della Commissione in merito a questo caso e ad altri simili.

3.2.8

La decisione che condanna l'impresa AstraZeneca ad un'ammenda per utilizzazione abusiva delle procedure e delle regolamentazioni pubbliche: la Commissione ha adottato un nuovo approccio all'interpretazione dell'articolo 82 quando ha condannato AstraZeneca AB e AstraZeneca Plc (AZ) ad un'ammenda di 60 milioni di euro per infrazione alle disposizioni dell'articolo 82 del Trattato CE (e dell'articolo 54 dell'accordo sullo Spazio economico europeo). L'abuso commesso si presenta come segue: al fine di conservare la protezione dei diritti di proprietà intellettuale, che permettevano loro di continuare a vendere i propri prodotti ad un prezzo elevato su numerosi mercati, le due imprese interdipendenti hanno utilizzato abusivamente le procedure e le regolamentazioni, sulla base di un regolamento del Consiglio, e hanno ottenuto un certificato complementare di protezione per il brevetto del loro prodotto contro l'ulcera, il Losec. Esse hanno commesso tale abuso comunicando informazioni ingannevoli alle autorità e agli organi decisionali competenti. In tal modo hanno ottenuto un'estensione della durata del brevetto del Losec, che non ha potuto essere considerato come scaduto. Pertanto il Losec non ha potuto essere classificato tra i farmaci generici, cosa che ha impedito a ditte più piccole di produrlo e di commercializzarlo ad un prezzo ben inferiore a quello praticato da AstraZeneca. Indirettamente il rinvio della data di scadenza del brevetto ha comportato un pregiudizio per i consumatori.

3.2.8.1

La novità di questa procedura per infrazione alle disposizioni comunitarie sulle intese e sugli abusi di posizione dominante sta nel fatto che nella sua decisione la Commissione ha ritenuto che, anche se i concorrenti dispongono di un diritto di ricorso nel quadro della procedura di estensione del brevetto, ciò non esclude l'applicazione dell'articolo 82. Le imprese AstraZeneca occupavano una posizione dominante sui mercati europei (e sugli altri mercati) interessati e l'abuso è stato commesso attraverso procedure avviate in modo fraudolento.

3.2.8.2

Il CESE desidera approfittare di questa occasione per sottolineare che questo tipo di pratica di mercato si inserirebbe molto meglio tra le «pratiche commerciali sleali» (12) che finora non rientrano nelle competenze della DG COMP. In questo caso specifico l'abuso è stato commesso avvalendosi di una posizione dominante, ma in molti altri casi determinate imprese si comportano in modo simile, indipendentemente dal loro potere di mercato, e rimangono impunite. Se si pensa in termini di mercati comunitari integrati, bisogna anche assicurare una migliore tutela dei consumatori e delle imprese concorrenti, che sono in molti casi PMI. La decisione della Commissione nel caso AstraZeneca annuncia dei progressi in questa direzione

3.2.9

La decisione concernente il «fiduciario di controllo» nel precedente caso Microsoft: questo celebre caso ha avuto delle ripercussioni e ha fatto comprendere alle imprese statunitensi che il sistema giuridico europeo assolve il ruolo di custode anche nei confronti dei soggetti di mercato più potenti al di fuori dell'UE. Quest'ultima decisione mostra a che punto la Commissione ricerchi e metta a punto delle soluzioni reciprocamente accettabili, in modo che l'impresa che viola la regolamentazione europea possa rientrare in un quadro di concorrenza normale. La nomina di un fiduciario (13) con il compito di verificare gli sforzi realizzati dal gigante dell'informatica per conformarsi alle misure correttive prescritte dalla decisione è in effetti uno strumento che si ispira alle procedure di controllo delle concentrazioni. Tale nomina riflette la buona volontà della direzione generale della Concorrenza nel quadro di una cooperazione mirante a risolvere il conflitto.

3.2.10

L'avvio di indagini settoriali nei servizi finanziari: il Comitato si compiace delle indagini che sono state avviate sia nel settore delle carte di pagamento e dei servizi bancari al dettaglio (conti correnti e strumenti di finanziamento delle piccole e medie imprese) sia riguardo ad un particolare fenomeno nell'ambito delle assicurazioni destinate alle imprese (cfr. il punto 3.2.10.2).

3.2.10.1

Per quanto riguarda i servizi bancari summenzionati, la concorrenza è indebolita dalla presenza di barriere all'ingresso, dalla mancanza di reali possibilità di scelta e, probabilmente, dall'esistenza di posizioni dominanti.

3.2.10.2

Nel campo delle assicurazioni per le imprese l'inchiesta settoriale esaminerà in particolare «l'ampiezza della cooperazione tra assicuratori e associazioni assicurative in ambiti quali la definizione di condizioni standard (14). Mentre in molti casi tale cooperazione può migliorare l'efficienza, eventuali forme di collaborazione che sono fonte di potenziali distorsioni della concorrenza rischiano di limitare dal lato della domanda la possibilità di negoziare i termini di copertura e inoltre limitare la concorrenza e l'innovazione sul mercato.»

3.2.11

La proposta della Commissione in tema di obblighi nel servizio pubblico e di aggiudicazione di contratti di servizio pubblico nel settore del trasporto di passeggeri per ferrovia, su strada e per via navigabile interna: la proposta riveduta può favorire la partecipazione delle PMI che esercitano un'attività in questo campo, mettendole in una situazione migliore per provvedere a una quota del trasporto locale.

3.2.12

La creazione di una nuova direzione nell'ambito della DG Concorrenza dedicata esclusivamente all'azione di contrasto dei cartelli «hard core»: il CESE accoglie con grande favore i progressi compiuti nell'affrontare in maniera professionale il problema dei cartelli.

3.2.13

Dal 1o maggio 2004, i regolamenti (CE) n. 1/2003 e (CE) n. 773/2004, relativi ai procedimenti per infrazione alle regole comunitarie sui cartelli e sugli abusi di posizione dominante, hanno introdotto un nuovo sistema, inteso ad individuare le intenzioni potenzialmente anticoncorrenziali degli accordi che gli operatori di mercato prevedono di concludere, nonché le potenziali conseguenze di tali accordi. Le imprese non hanno più la possibilità di trasmettere alla Commissione o alle autorità nazionali garanti della concorrenza una notifica riguardante i progetti di contratti relativi ad associazioni fra imprese o a cooperazioni (orizzontali o verticali) per ottenere una posizione preventiva circa l'eventuale natura anticoncorrenziale degli accordi previsti. Ciò significa che invece di ottenere un'esenzione individuale, una lettera amministrativa di archiviazione o un'attestazione negativa dalla direzione generale della Concorrenza, come avveniva anteriormente al 1o maggio 2004, le imprese devono controllare esse stesse tutti gli aspetti dell'accordo previsto per verificare se esso soddisfa per intero o in parte i criteri che definiscono un impatto positivo sui mercati interessati, secondo quanto prevede l'articolo 81, paragrafo 3 (15), del Trattato CE. Tra le condizioni viene specificata quella per cui, se per un certo mercato viene concluso un accordo (il più delle volte relativo a un'associazione tra imprese) che genera dei vantaggi per i partecipanti, una parte di tali vantaggi dev'essere trasferita ai consumatori.

3.2.13.1

Il CESE desidera sottolineare che l'incapacità di soddisfare quest'ultima condizione deve costituire un motivo per considerare anticoncorrenziale una determinata pratica. Nel valutare gli accordi contrari alle disposizioni dell'articolo 81, paragrafo 1, la Commissione dovrebbe considerare come aggravanti tutti gli elementi indicanti che le pratiche messe in atto dalle imprese erano destinate a danneggiare i consumatori.

4.   Controllo delle concentrazioni

4.1

Un'importante funzione della Commissione europea consiste nell'esaminare le strutture di mercato e la posizione dominante che possono essere prevedibilmente generate dalle concentrazioni realizzate da imprese che desiderano raggruppare le loro capacità di sviluppo, di produzione e di commercializzazione per ottenere un potere maggiore e una posizione migliore sul mercato. Si possono considerare alla stregua di concentrazioni non solo le fusioni di imprese, ma anche la costituzione di imprese comuni se i principali poteri decisionali convergono verso una gestione unica e unificata e se i vari partecipanti agiscono sul mercato in questione come un solo soggetto. Tra le finalità delle concentrazioni rientrano in particolare l'aumento dell'efficacia, l'accelerazione dello sviluppo dei prodotti, la riduzione dei costi, nonché il conseguimento di vantaggi in campo gestionale. Tuttavia, dal punto di vista della politica della concorrenza, le concentrazioni possono avere delle ripercussioni negative, perché spesso il raggruppamento di poteri di mercato genera delle posizioni dominanti, con conseguenti seri rischi di abusi. Le fusioni hanno talvolta un impatto negativo. Vari studi hanno dimostrato che non sempre le fusioni promuovono l'efficienza o la crescita e, nel lungo periodo, esse possono addirittura avere un impatto negativo sui profitti e sul valore dell'impresa. Al tempo stesso possono causare considerevoli perdite di posti di lavoro. Pertanto, quando si valuta una fusione, occorre tenere conto degli aspetti occupazionali e di quelli legati alla politica sociale (per esempio i posti di lavoro). Il modo migliore per verificare se la prevista concentrazione può causare una distorsione della concorrenza è di esaminarne le modalità alla luce dell'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato (cfr. nota a piè di pagina 12). Se soddisfa ai criteri ivi contenuti in termini di struttura del mercato e di potere di mercato delle imprese interessate, la concentrazione sarà ritenuta accettabile. Si tratta di un importante punto di connessione fra il controllo delle concentrazioni (che figura essenzialmente tra gli strumenti della politica industriale) e le regole in materia di intese e di abuso di posizione dominante, di cui si avvalgono le autorità per applicare la politica di concorrenza in senso stretto.

4.1.1

Se il volume annuale delle loro vendite oltrepassa una certa soglia all'interno dell'UE e/o a livello mondiale, le imprese sono tenute a notificare alla Commissione europea la loro intenzione formale di costituire un potere di mercato congiunto (una concentrazione); in questo caso la DG Concorrenza esperisce delle procedure di Fase I e di Fase II. Il potere di mercato non costituisce una condizione che rende obbligatoria la notifica: la Commissione valuta se la concentrazione in questione limita o no la concorrenza in misura considerevole, ad esempio attraverso la creazione di una posizione dominante o attraverso un rafforzamento.

4.2

Uno degli obiettivi essenziali del controllo delle concentrazioni (nonché uno dei risultati che ci si attendono da esso) è quello di contribuire alla competitività internazionale dei produttori e dei distributori europei (16). Il problema inerente alla prassi dell'UE è che, attraverso le concentrazioni, le imprese raggiungono una posizione di mercato così forte da poter essere incoraggiate a provocare distorsioni della concorrenza nel mercato comune. Si può osservare che la Commissione si sforza di ridurre questo rischio subordinando la concessione di un'autorizzazione a varie condizioni (si tratta di «misure correttive») quali l'accettazione, da parte dell'impresa, di procedere a dismissioni di beni patrimoniali, alla vendita di diritti di proprietà intellettuale, alla rinuncia alla distribuzione in determinati paesi, ecc. In ogni caso, da uno studio delle convincenti statistiche relative alle concentrazioni, risulta impossibile concludere se:

la totalità o la maggioranza delle concentrazioni effettivamente realizzate e che raggiungono la soglia siano state oggetto di una notifica da parte delle imprese o no,

la DG Concorrenza sia o no in grado di appurare se le imprese che negli anni scorsi hanno concretizzato i loro progetti di concentrazione sulla base di un'autorizzazione abbiano o no abusato del loro potere di mercato accresciuto.

4.3

Nell'ottobre 2005 la DG Concorrenza ha pubblicato uno studio sugli impegni assunti nel quadro dei casi di concentrazione. Esso riporta gli impegni che la Commissione ha richiesto dalle imprese come condizione preliminare per il rilascio di un'autorizzazione (e che hanno la finalità di limitare le presunte pratiche anticoncorrenziali) nonché le relative valutazioni ex post dettagliate. Inoltre, nel 40 % dei casi descritti sono emersi seri problemi irrisolti (trasferimento incompleto delle imprese cedute, definizione inadeguata dei beni patrimoniali da cedere, ecc.). Si può vedere in ciò un segnale dell'esigenza di indagare sul potere di mercato acquisito nei casi di concentrazione autorizzati, in relazione alle pratiche che possono causare limitazioni della concorrenza a norma dell'articolo 82.

5.   Aiuti di Stato

5.1

Uno dei compiti principali della DG Concorrenza è di seguire l'attività degli Stati membri, accertando quali siano le imprese che ricevono un sostegno finanziario dallo Stato e su quali basi. Dal momento che l'Unione europea intende garantire condizioni di concorrenza eque a tutte le imprese che esercitano la loro attività nel mercato interno, la nozione di «aiuti di Stato» è stata accuratamente definita e applicata coerentemente nei riguardi delle politiche industriali pubbliche. Non vengono esaminati solo gli interventi finanziari diretti: la Commissione europea può considerare inaccettabili anche le agevolazioni fiscali e qualsiasi altro vantaggio di cui le imprese beneficiano su base selettiva se comportano distorsioni della concorrenza.

5.2

Nel 2005 la DG Concorrenza si è sforzata di chiarire meglio, nel quadro della sua attività, gli obiettivi e le regole applicabili in materia di aiuti di Stato negli Stati membri dell'UE. Essa intendeva promuovere il successo della strategia di Lisbona, assicurando che gli aiuti venissero utilizzati in maniera da contribuire alla competitività dell'economia europea nel suo insieme. Al fine di migliorare il coordinamento tra le parti in causa (i poteri pubblici, le imprese e le loro organizzazioni) e di orientare i fondi pubblici verso settori dove possano essere utilizzati efficacemente, essa ha lanciato un piano di azione nel settore degli aiuti di Stato (17). I principi direttivi di tale piano non comportano l'abbandono delle pratiche preesistenti, bensì mirano a contribuire all'applicazione di buone prassi, alle quali gli Stati membri potrebbero conformarsi. Alcune osservazioni:

5.2.1

i «buoni» e i «cattivi» esempi citati nella relazione illustrano le varie ragioni per le quali le imprese possono ottenere un aiuto finanziario. Il CESE, beninteso, condivide pienamente l'idea secondo cui occorre «un uso più efficace del denaro pubblico a vantaggio dei cittadini dell'Unione europea in termini di miglioramento dell'efficienza economica, creazione di maggiore crescita e posti di lavoro a lungo termine, miglioramento della coesione sociale e regionale, miglioramento dei servizi di interesse economico generale, sviluppo sostenibile e diversità culturale» (18). Tuttavia, tenuto conto delle cattive condizioni legate alla debolezza delle infrastrutture, del clima imprenditoriale sfavorevole alle piccole e medie imprese e di altre condizioni svantaggiose, in particolare nei nuovi Stati membri, il CESE non può appoggiare l'obiettivo di ridurre gli aiuti di Stato.

5.2.2

Sembra che in vari Stati membri si continui ad attribuire importanza alla creazione di condizioni finanziarie favorevoli per le imprese tradizionali in crisi, e quindi si concedano a tali imprese degli aiuti per sostenerle o favorirne la ristrutturazione. Dal punto di vista occupazionale, il CESE non può criticare questa condotta, ma si possono citare vari casi in cui la stessa Commissione ha espresso dubbi circa l'opportunità a lungo termine degli aiuti destinati a permettere alle imprese salvate dal fallimento di ritrovare l'equilibrio economico.

5.2.3

Conformemente al pacchetto legislativo del luglio 2006 nell'ambito del piano di azione nel settore degli aiuti di Stato, «Le misure garantiranno che le imprese ricevano il sostegno pubblico a copertura di tutti i costi sostenuti, compreso un giusto profitto, durante la realizzazione delle missioni di servizio pubblico definite e affidate loro dalle autorità pubbliche». Nella misura in cui detti provvedimenti possono contribuire a far fronte alle difficoltà finanziarie (molto probabilmente nel caso di PMI di dimensione locale) tali strumenti potrebbero rappresentare dei buon esempi di utilizzazione efficace dei fondi pubblici a beneficio dei cittadini e delle imprese dell'UE.

6.   Funzionamento della rete europea della concorrenza (ECN)

6.1

Il 2005 è stato il primo esercizio completo di attuazione della procedure in materia di pratiche concordate e di abusi di posizione dominante modificate dal regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio. Ciò significa che:

se vi sono conseguenze per il commercio tra gli Stati membri, allora le autorità garanti della concorrenza e i giudici degli Stati membri devono applicare le disposizioni comunitarie sostanziali e la giurisprudenza in materia di pratiche concordate e di abusi di posizione dominante (articoli 81 e 82 del Trattato), che sono direttamente applicabili alle imprese, nonché la giurisprudenza,

contemporaneamente la Commissione ha compiuto degli sforzi per riavviare relazioni continue, strette e reciproche con le singole autorità nazionali garanti della concorrenza, nonché contatti tra di esse per dar vita ad un forum adeguato per esaminare questioni politiche di carattere generale e per disporre degli strumenti adeguati di cooperazione nell'affrontare problemi concreti.

6.2

Dalla relazione cui si riferisce il presente parere risulta chiaramente che il coinvolgimento dei giudici nazionali nell'attuazione del diritto europeo della concorrenza è limitato e che esso rischierà di essere problematico anche nel prossimo futuro. Una delle principali ragioni di questo stato di cose potrebbe essere che gli organi di prima istanza competenti in materia di diritto della concorrenza differiscono da uno Stato membro all'altro. Un'altra ragione è che sinora era disponibile solo il diritto nazionale della concorrenza; malgrado le profonde ripercussioni che l'armonizzazione legislativa ha avuto nei sistemi giuridici degli Stati membri, permangono differenze tra il diritto comunitario e quello nazionale di vari Stati membri. Per il momento sembra che le stesse parti interessate siano poco propense a ricorrere ai tribunali nazionali (19).

6.3

Un'altra ragione, nascosta, è che gli Stati membri non hanno effettivamente accesso alla giurisprudenza europea, la quale costituisce di fatto un'autentica fonte del diritto della concorrenza. Per quanto riguarda il diritto procedurale, esistono delle presentazioni sintetiche delle differenti situazioni procedurali, alle quali si aggiungono riferimenti ai precedenti in materia, ma sinora né la Commissione, né la Corte di giustizia hanno elaborato dei manuali simili riguardo al diritto sostanziale  (20). Se si vuole che i tribunali degli Stati membri applichino più estesamente le disposizioni antitrust comunitarie, occorrerebbe anzitutto raccogliere la giurisprudenza più importante (e più citata) sotto forma di un manuale, che sarebbe integrato da spiegazioni relative ai concetti e alle definizioni, nonché dalle dichiarazioni e dalle conclusioni che figurano nelle sentenze del Tribunale di prima istanza e della Corte di giustizia. Tale raccolta andrebbe naturalmente tradotta in tutte le lingue nazionali e dovrebbe essere regolarmente aggiornata. Il Comitato è convinto che se non si provvederà a redigere e a pubblicare delle raccolte di giurisprudenza in tutte le lingue in uso negli Stati membri e se non si organizzeranno delle misure di formazione sul diritto della concorrenza, in particolare per tutti i giudici nazionali, gli avvocati e gli esperti interessati, non si faranno progressi verso un'applicazione corretta, negli Stati membri, delle disposizioni comunitarie in materia di concorrenza.

6.4

Per quanto riguarda la creazione di una rete che permetta di comunicare e di cooperare con le autorità nazionali garanti della concorrenza, la Commissione (e ovviamente la DG Concorrenza in modo particolare) è riuscita in un tempo relativamente breve a istituire la rete europea della concorrenza su una solida base. I forum e i gruppi di lavoro descritti nella relazione costituiscono i punti nodali di un sistema di cooperazione ben funzionante, attraverso il quale le autorità nazionali della concorrenza entrano spesso in contatto tra loro (anche al livello dei funzionari responsabili dei singoli casi) senza bisogno dell'intermediazione di Bruxelles. Si potrebbe dire che l'integrazione tra servizi ufficiali dell'UE non ha raggiunto un livello così elevato in alcun altro settore.

Bruxelles, 26 aprile 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Al riguardo vale la pena di menzionare l'attività internazionale di tale DG, la quale assolve, in molti campi e per numerosi temi, una funzione di «diplomazia economica applicata» dell'UE.

(2)  GU C 94, del 17.4.2004; GU C 179 del 10.7.2004.

(3)  Cfr. il paragrafo 35 (pag. 24), e il paragrafo 115 (pag. 44) della relazione.

(4)  La Commissione applica l'articolo 86 del Trattato CE agli Stati membri e non alle imprese.

(5)  A tal fine non è necessario che l'impresa in questione si trovi sul territorio di uno Stato membro. Uno dei grandissimi vantaggi del diritto europeo della concorrenza è che esso dà la possibilità di infliggere una sanzione anche in base all'EFFETTO di un comportamento o di un'intesa che restringono il gioco della concorrenza.

(6)  Cfr. punto 341 della sentenza del Tribunale di prima istanza (terza sezione) del 28 febbraio 2002 nella causa Compagnie générale marittime e altri contro la Commissione delle Comunità europee, ECR 2002, pag. II-01011.

(7)  Cfr. la causa AKZO, GU L 374 del 31.12.1985, pag. 1, punti 74-79.

(8)  Queste sono spesso vittima di manovre, impossibili da reprimere, delle imprese dominanti sul mercato.

(9)  Cfr. il parere della Zentralverband Gewerblicher Verbundgruppen e.V. (Federazione generale dei gruppi industriali integrati), Berlino: Stellungnahme zum Diskussionspapier der Kommission zur Anwendung von Art 82 EG auf Behinderungsmissbräuche (Parere sul documento di riflessione della Commissione relativo all'applicazione dell'articolo 82 del Trattato CE alle pratiche di esclusione) del 21.3.2006.

(10)  Cfr. art. 82 del Trattato CE.

(11)  Cfr. Commission practice concerning excessive pricing in Telecommunications (La pratica della Commissione in materia di tariffe eccessivamente elevate nel settore delle telecomunicazioni) Competition policy (Bollettino d'informazione sulla politica della concorrenza), 1998, n. 2, pag. 36.

(12)  Cfr. il considerando 8 della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno.

(13)  Il fiduciario è stato scelto d'accordo con Microsoft, che farà fronte alle relative spese.

(14)  http://europa.eu.int/comm/competition/antitrust/others/sector_inquiries/financial_services/decision_insurance_en.pdf

(15)  Articolo 81, paragrafo 3: Tuttavia, le disposizioni del paragrafo 1 possono essere dichiarate inapplicabili:

a qualsiasi accordo o categoria di accordi fra imprese,

a qualsiasi decisione o categoria di decisioni di associazioni di imprese, e

a qualsiasi pratica concordata o categoria di pratiche concordate che contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico, pur riservando agli utilizzatori una congrua parte dell'utile che ne deriva, ed evitando di:

a)

imporre alle imprese interessate restrizioni che non siano indispensabili per raggiungere tali obiettivi;

b)

dare a tali imprese la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti di cui trattasi.

(16)  Il controllo delle fusioni mira anzitutto a garantire che una concentrazione non provochi restrizioni della concorrenza in una parte importante del mercato comune. Il diritto comunitario della concorrenza non consente ad esempio di autorizzare, col pretesto di rendere più competitiva l'impresa interessata, una fusione tale da limitare la concorrenza nell'UE.

(17)  http://europa.eu.int/comm/competition/state_aid/others/action_plan/

(18)  SEC(2006) 761 def.

(19)  Se le imprese coinvolte in una causa sono registrate in più Stati membri e le pratiche di mercato oggetto della contesa sono state esercitate in paesi differenti possono esservi discussioni già sulla determinazione del tribunale nazionale competente.

(20)  I principali studi legali hanno già raccolto questo genere di testi, ma il loro uso è ovviamente riservato.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Qui di seguito si riportano gli emendamenti che, pur essendo stati respinti durante il dibattito, hanno ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi:

Punto 3.2.10.1

Sopprimere:

3.2.10.1.

Per quanto riguarda i servizi bancari summenzionati, la concorrenza è indebolita dalla presenza di barriere all'ingresso, dalla mancanza di reali possibilità di scelta e, probabilmente, dall'esistenza di posizioni dominanti.

Motivazione di Sartorius

Il punto appare poco chiaro perché non si comprende a quali barriere, possibilità di scelta e posizioni dominanti faccia riferimento. Ciò potrebbe causare confusione, a meno che venga fornita una spiegazione dettagliata e senza generalizzazioni.

Quello bancario è senz'altro uno dei settori più concorrenziali dell'economia europea, cosa di cui beneficiano sia i consumatori che il settore medesimo.

Se ciò che si intende sono gli ostacoli a una maggiore integrazione intraeuropea nel settore dei servizi bancari al dettaglio (retail banking), i principali ostacoli derivano dalla mancata armonizzazione delle normative sulla tutela dei consumatori e sui regimi impositivi. Tale armonizzazione merita particolare attenzione. Un passo importante consisterà nell'avvio dell'Area unica dei pagamenti in euro (AUPE) (Single Euro Payment Area — SEPA), che cambierà radicalmente il settore delle carte di credito e dei pagamenti transfrontalieri.

Motivazione di Pater

Le ragioni per cui si propone di sopprimere il punto sono le seguenti:

il testo non è preciso e di conseguenza può dare l'impressione che il Comitato contesti le barriere naturali all'ingresso del mercato dei servizi bancari che mirano a garantire un adeguato livello di sicurezza,

non è chiaro a cosa si faccia riferimento quando si parla di «mancanza di reali possibilità di scelta», dato che il mercato dei servizi bancari è uno dei settori più competitivi dell'economia europea,

se esistessero casi di posizione dominante (a danno dei clienti), è chiaro che la DG Concorrenza — lodata in oltre 20 occasioni nel parere — prenderebbe immediatamente le misure necessarie per prevenire le conseguenze negative,

il punto in questione si situa al di fuori del filo conduttore del parere, per cui la sua soppressione non creerà complicazioni, anzi renderà il testo del parere più compatto

Motivazione di Burani

L'affermazione che in materia di servizi bancari la concorrenza è «indebolita» è semplicemente non rispondente alla realtà dei fatti, come è facilmente verificabile da chiunque. Non vengono specificati quali, e di quale genere, siano «le barriere all'ingresso», che in ogni caso non esistono (e se esistessero dovrebbero essere indicate). Quanto alla «libertà di scelta», esistono migliaia di banche su tutto il territorio dell'Unione, che si fanno una concorrenza spietata, tanto in materia di qualità di servizi che in materia di tariffe. In materia di «posizioni dominanti», il consumatore ha sempre la scelta fra banche di ogni tipo e dimensione, dalle multinazionali alle banche private e cooperative locali. Se tali posizioni esistessero, le autorità preposte alla concorrenza, tanto nazionali che europee, si sarebbero già da tempo premurate di intervenire: il che finora non è accaduto. L'intero paragrafo ripete dei semplici luoghi comuni, senza apportare alcuna prova o esempio che li convalidi, sui limiti alla libera prestazione dei servizi in materia di appalti di lavori pubblici.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 66

Voti contrari: 71

Astensioni: 25


20.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 168/29


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per la protezione del suolo e modifica la direttiva 2004/35/CE

COM(2006) 232 def. — 2006/0086 (COD)

(2007/C 168/05)

Il Consiglio, in data 10 novembre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 175 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 marzo 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore NILSSON.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 aprile 2007, nel corso della 435a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 118 voti favorevoli, 2 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Sintesi

1.1

Il CESE accoglie con favore la strategia tematica per la protezione del suolo a livello comunitario ed è, in linea di principio, favorevole all'istituzione di una direttiva quadro.

1.2

La strategia deve essere incentrata sulle zone che presentano i problemi più gravi e in cui i terreni coltivabili sono maggiormente minacciati, ad esempio in caso di modifiche nell'utilizzo dei suoli (se i terreni coltivabili sono impiegati per la costruzione di edifici, strade, ecc.), di siti industriali contaminati e di impermeabilizzazione del suolo. La strategia europea deve rispettare il principio di sussidiarietà.

1.3

I costi derivanti dal degrado del suolo devono essere sostenuti da coloro che causano il danno, qualora siano proporzionati, e non a priori dagli utilizzatori dei terreni.

1.4

Se il ricorso allo strumento della direttiva quadro è motivato dall'intenzione di stabilire una base comune, il livello di ambizione degli Stati membri deve essere simile per evitare che la concorrenza risulti falsata.

1.5

Le colture agricole e silvicole basate su pratiche agricole corrette consentono di salvaguardare e migliorare la capacità del suolo.

1.6

L'impiego dei terreni agricoli per la produzione alimentare implica per definizione lo sfruttamento di un terreno naturale, il che significa che un certo impatto è inevitabile.

1.7

Il CESE critica aspramente il fatto che la Commissione non abbia ancora presentato una proposta aggiornata per la nuova direttiva riveduta sui fanghi di depurazione ed esorta la Commissione a presentarla al più presto, dato che si tratta di uno degli elementi principali di una politica per la protezione dei suoli agricoli e la limitazione dell'inquinamento da sostanze nocive.

1.8

Il ripristino dei suoli degradati, ai sensi dell'articolo 1 («Oggetto e campo di applicazione»), deve essere gestito in funzione della situazione specifica, decidendo di volta in volta sul da farsi.

1.9

Una politica settoriale formulata a livello nazionale, in linea con l'articolo 3, non deve falsare la concorrenza tra gli Stati membri.

1.10

Gli obblighi definiti dagli Stati membri ai sensi dell'articolo 4 devono essere ragionevoli e proporzionati.

1.11

L'articolo 12 deve essere formulato diversamente per quanto riguarda l'obbligo di un potenziale acquirente di presentare in determinati casi un rapporto.

1.12

Le sanzioni previste nell'articolo 22 devono essere anch'esse ragionevoli e proporzionate al danno causato. A parere del CESE, è inammissibile che uno stesso danno possa comportare varie sanzioni diverse.

1.13

Le misure di riparazione adottate dall'operatore ai sensi dell'articolo 23 possono essere giustificate soltanto se è l'operatore stesso ad avere causato il danno.

1.14

La creazione di un comitato indipendente di esperti provenienti dal settore pubblico e da quello privato potrebbe agevolare l'attuazione della strategia per la protezione del suolo.

2.   La proposta della Commissione

2.1

Il suolo è un'energia non rinnovabile che in molte zone dell'UE sta subendo un processo di degrado causato da attività umane, come ad esempio le attività industriali, il turismo, lo sviluppo urbano e le infrastrutture nel settore dei trasporti, nonché talune pratiche agricole e silvicole.

2.2

Il suolo è una risorsa di comune interesse per l'UE: non proteggerlo a livello comunitario significa compromettere la sostenibilità e la competitività a lungo termine dell'Europa. Sebbene diverse politiche comunitarie contribuiscano già alla protezione del suolo, non esiste ancora una politica organica in materia. Soltanto nove Stati membri hanno adottato norme specifiche al riguardo, spesso limitate a una minaccia particolare, quale la contaminazione del suolo. Il degrado del suolo ha un grave impatto su altri settori di interesse comune per l'UE, come ad esempio le risorse idriche, la salute umana, i cambiamenti climatici, la tutela della natura e della biodiversità, e la sicurezza alimentare.

2.3

In questo contesto, la Commissione propone una strategia per la protezione del suolo in Europa che viene presentata in una comunicazione ed è accompagnata da una proposta di direttiva quadro e da una valutazione d'impatto. La direttiva quadro stabilisce i principi, gli obiettivi e le azioni comuni della strategia, imponendo agli Stati membri l'adozione di un approccio sistematico per individuare e combattere il degrado del suolo, adottare misure di prevenzione e integrare la protezione del suolo in altre politiche. Essa consente tuttavia una certa flessibilità, in quanto lascia che siano gli Stati membri a stabilire il livello di ambizione, le finalità specifiche e i provvedimenti da adottare per conseguirle. Tale flessibilità è resa necessaria dall'estrema disomogeneità del fenomeno di degrado del suolo nel territorio dell'UE, dove sono stati identificati 320 tipi principali di suoli.

2.4

Agli Stati membri viene fatto obbligo di individuare le zone esposte al rischio di erosione, diminuzione della materia organica, compattazione, salinizzazione e smottamenti, di fissare obiettivi di riduzione del rischio per tali zone e di istituire programmi d'intervento per conseguirli. Essi dovranno inoltre adottare misure volte ad impedire ulteriori contaminazioni, inventariare i siti contaminati presenti sul loro territorio ed elaborare strategie nazionali atte a migliorare la situazione. In caso di vendita di un sito, il venditore o l'acquirente deve fornire all'amministrazione e all'altra parte coinvolta nella compravendita un rapporto sullo stato del suolo per le zone in cui si svolgono o si sono svolte attività potenzialmente contaminanti. Infine, agli Stati membri è fatto obbligo di limitare o attenuare gli effetti dell'impermeabilizzazione, ad esempio tramite il recupero dei siti contaminati e abbandonati.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE accoglie con favore la comunicazione della Commissione Strategia tematica per la protezione del suolo, che fa seguito alla comunicazione del 2002 in materia (1), e la proposta di istituire una direttiva quadro per la protezione del suolo. In un parere di iniziativa sull'utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura (2), già nel 2000 il CESE aveva invitato la Commissione a prevedere requisiti minimi comunitari in materia di protezione del suolo.

3.2

Per quasi quattro anni la Commissione ha portato avanti un processo aperto e di ampio respiro, che ha comportato dibattiti e consultazioni diverse, allo scopo di elaborare una strategia per la protezione del suolo, processo cui anche il CESE ha avuto la possibilità di prendere parte. I commenti espressi nel presente parere si riferiscono innanzitutto alla proposta di direttiva quadro, su cui il Comitato è stato consultato, ma riguardano anche eventualmente la comunicazione della Commissione.

3.3

Il suolo e le sue funzioni sono una risorsa inestimabile per la natura, il ciclo naturale e la sopravvivenza stessa dell'essere umano. Le attività umane influiscono in vari modi sulle funzioni e sull'utilizzo del suolo. Una strategia comunitaria deve essere incentrata sulle zone in cui i terreni coltivabili sono maggiormente minacciati, ad esempio in caso di modifiche nell'utilizzo dei suoli, di siti industriali contaminati, di impermeabilizzazione del terreno e di erosione.

3.4

Il suolo e le sue funzioni, analogamente a numerose altre politiche, sono di volta in volta regolamentati sia dalla legislazione comunitaria che da quella nazionale, come ad esempio dalla direttiva quadro sulle acque, dalla direttiva sui nitrati, dalla legislazione sulle sostanze chimiche, ecc. Alcuni paesi presentano già disposizioni normative diverse in materia di monitoraggio, identificazione e degrado dei suoli: pertanto, per tali paesi la proposta della Commissione non deve comportare peggioramenti, bensì offrire un'adeguata flessibilità.

3.5

La Commissione sottolinea che i costi derivanti dal degrado del suolo non sono sostenuti dagli utilizzatori dei terreni, bensì dalla società o da altri attori. Il CESE desidera mettere in evidenza che la responsabilità di un danno deve essere assunta da colui che lo causa, che non è necessariamente l'utilizzatore del suolo. Spesso quest'ultimo subisce gli effetti dell'inquinamento atmosferico, dell'inquinamento proveniente da altre aree sotto forma di emissioni industriali, delle inondazioni e di altre emissioni inquinanti: in questi casi sono gli utilizzatori dei suoli ad essere esposti ad effetti nocivi di cui non sono assolutamente responsabili.

3.6

Il CESE rileva tuttavia l'insistenza della Commissione sul fatto che gli investimenti mirati alla protezione del suolo debbano essere effettuati alla fonte stessa dell'effetto in questione, il che è naturalmente il modo corretto di agire e conduce a un corretto bilanciamento delle responsabilità. Questo significa inoltre che vengono influenzati anche altri ambiti legislativi, oltre a quelli specifici per il suolo.

3.7

Il CESE sostiene l'adozione di una strategia specifica per la protezione del suolo, sotto forma di direttiva quadro. In questo modo si possono creare le condizioni per una protezione analoga, caratterizzata da regole di base comuni e volta ad affrontare problemi che possono per loro stessa natura essere transfrontalieri. Se si vuole rafforzare veramente la protezione del suolo, tuttavia, questo ambito politico deve essere integrato nella restante legislazione.

3.8

La Commissione precisa inoltre che la relazione tra costi e benefici varierà in funzione del livello di ambizione, nonché del modo in cui saranno sfruttate le possibilità esistenti, ad esempio le disposizioni ambientali nel quadro della politica agricola comune (PAC). Il CESE desidera sottolineare che la corretta e uniforme interpretazione e attuazione della condizionalità da parte degli Stati membri, resa obbligatoria dalla PAC, rimane tuttora un problema insoluto. Se lo scopo di una direttiva quadro è quello di assicurare una base comune per la protezione del suolo e, tra l'altro, evitare che le parti interessate siano sottoposte ad obblighi economici assai diversi tra loro, anche i livelli di ambizione devono essere relativamente simili per evitare che la concorrenza risulti falsata.

3.9

Quale primo esempio di attività che possono acuire il degrado del suolo, la Commissione menziona, tra le altre, pratiche agricole e silvicole inadeguate. Le colture agricole e silvicole basate su pratiche agricole corrette contribuiscono piuttosto a salvaguardare o migliorare la capacità del suolo. Le minacce principali ai terreni agricoli sono, infatti, costituite da modifiche nell'utilizzo del suolo, dall'espansione industriale, dalle infrastrutture di trasporto, dall'inquinamento dell'aria, dall'ozono troposferico e da altri tipi di inquinamento. Sebbene la pianificazione territoriale (assetto urbano) non sia una competenza comunitaria, ma degli Stati membri, occorre tenere conto anche di questi aspetti.

3.10

Le forze di mercato e l'attuale politica agricola hanno inoltre contribuito a intensificare lo sviluppo strutturale e la specializzazione, e a dissociare in larga misura le attività di coltivazione e di allevamento, il che può portare ad una riduzione dell'immissione di materiale organico nel terreno. Con l'introduzione degli aiuti disaccoppiati, la nuova politica agricola comune tende a rafforzare questo fenomeno.

3.11

La Commissione ritiene che l'attività agricola possa avere effetti positivi sulla condizione del suolo se è biologica, estensiva oppure integrata. È, questa, una visione un po' semplicistica: tutto dipende dalle conoscenze e dalle tecniche utilizzate nella gestione del suolo. L'impiego dei terreni agricoli per la produzione alimentare implica per definizione che un terreno naturale venga destinato alla coltivazione. Questo significa che un certo impatto è inevitabile e deve quindi essere accettato se si vogliono produrre derrate alimentari. Gli effetti prodotti sul terreno agricolo dipendono dalle condizioni stagionali e dal clima: questo non comporta tuttavia dover accettare le sostanze fertilizzanti, l'erosione, l'assottigliamento dello strato di humus, ecc. Una normale attività agricola, esercitata con il know-how di cui disponiamo al giorno d'oggi, può invece contribuire a conservare e accrescere la qualità del suolo. Sono pochi gli imprenditori ad avere una prospettiva a così lungo termine, sia in materia di investimenti che di gestione dei terreni, come gli agricoltori e i silvicoltori. Il livello elevato d'informazione degli agricoltori circa la protezione del suolo va integrato e sostenuto introducendo sistemi di consulenza, oltre a misure volontarie e incentivi.

3.12

La Commissione afferma inoltre che la direttiva sulla responsabilità ambientale (3) rafforza la tutela dell'ambiente. Questo è vero ed è corretto; allo stesso tempo va tuttavia sottolineato che il fatto che uno stesso danno possa comportare tre diverse sanzioni (ritiro degli aiuti, sanzioni penali e amministrative), come avviene ora, non può essere compatibile con l'orientamento giuridico prevalente.

3.13

Il CESE sostiene che un utilizzo sostenibile del suolo richiede una strategia comunitaria globale in materia di protezione del suolo.

3.14

L'attuazione della direttiva potrebbe essere rafforzata attraverso la creazione di un gruppo di esperti indipendente in materia di protezione del suolo, costituito da rappresentanti di attori pubblici e privati.

4.   Osservazioni particolari

4.1

Il CESE critica aspramente il fatto che la Commissione non abbia ancora presentato la proposta di revisione della direttiva sull'utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura e sui valori di concentrazione ammissibili di metalli pesanti, su cui sta lavorando da diversi anni. Nella comunicazione sulla protezione del suolo viene menzionato l'obiettivo di presentare infine tale documento nel corso del 2007. La comunicazione del 2002 su una strategia tematica per la protezione del suolo indica che la revisione della direttiva deve essere integrata nella stessa strategia. Questo significa che una delle misure principali volte a rafforzare la protezione del suolo e la sicurezza della produzione alimentare ha subito notevoli ritardi. È pertanto essenziale che la direttiva modificata sull'utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura sia pubblicata contemporaneamente all'adozione della direttiva sulla strategia per la protezione del suolo.

4.1.1

La direttiva attualmente in vigore sui fanghi di depurazione (4) continua ad autorizzare concentrazioni eccessive di metalli pesanti e di altri contaminanti nei fanghi che possono essere sparsi sui terreni agricoli. Il CESE desidera ricordare il proprio parere di iniziativa, adottato già nel 2000, in merito alla Revisione della direttiva 86/278/CEE sull'utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura, in cui richiedeva l'introduzione di requisiti più severi in materia di concentrazioni ammissibili di metalli pesanti. Analogamente, esistono notevoli lacune nelle conoscenze riguardanti il contenuto di altri contaminanti chimici, le loro interazioni, il modo in cui influiscono sul suolo e la sicurezza alimentare quando tali sostanze vengono sparse su terreni coltivati.

4.1.2

Il CESE esprime grave preoccupazione per questa situazione, e segnala uno studio presentato da due ricercatori nella rivista medica «The Lancet» nel novembre del 2006. Pur trattandosi di uno studio isolato, i risultati da esso ottenuti indicano che alcune sostanze inquinanti ben note possono produrre un effetto finora sconosciuto sullo sviluppo del cervello del feto e dei bambini in tenera età. I ricercatori ritengono che questo fenomeno possa essere collegato a gravi malattie quali l'autismo, il disturbo da deficit d'attenzione e iperattività (DDAI) e l'alterazione dello sviluppo. Molte di queste sostanze chimiche sono riscontrabili anche in prodotti per uso domestico, vengono espulse in diversi modi nelle reti fognarie, e le nostre conoscenze sull'impatto che hanno sul suolo, in cui i fanghi di depurazione vengono utilizzati come fertilizzanti, sono ancora troppo lacunose.

4.1.3

Il CESE accoglie con favore il fatto che la Commissione sembri avere abbandonato la propria posizione precedente, in base alla quale, dal punto di vista ambientale, il miglior utilizzo possibile dei fanghi di depurazione sarebbe il loro spargimento sui suoli coltivati: questo è quanto sembra indicare la formulazione utilizzata nella comunicazione sulla strategia tematica sui rifiuti (5). Anche in tale documento, la Commissione conferma la propria intenzione di presentare una proposta di direttiva riveduta sui fanghi di depurazione dopo avere adottato la strategia per la protezione del suolo. Il CESE ritiene tuttavia che la Commissione non avrebbe dovuto subordinare la seconda alla prima, bensì proporre una revisione radicale della direttiva sui valori di concentrazione ammissibili di metalli pesanti e altri inquinanti nei fanghi molto tempo prima, tanto più che, nella sua proposta, la Commissione segnala che ciò è necessario per contenere l'immissione di sostanze pericolose nel suolo.

4.1.4

L'utilizzo dei fanghi in agricoltura e la loro concentrazione di sostanze contaminanti è uno dei temi principali in materia di protezione del suolo e di sicurezza alimentare. Da questo deriva una questione impellente, vale a dire se debbano essere gli utilizzatori dei terreni oppure i produttori di fanghi, ossia le città e i comuni, a rispondere per eventuali danni al terreno. Una versione riveduta della direttiva sui fanghi di depurazione dovrà chiarire le responsabilità in materia, inclusa quella civile.

4.1.5

Una nuova e più sicura legislazione in materia di sostanze chimiche è anch'essa decisiva ai fini della protezione del suolo in generale, e in particolare riguardo al modo in cui la società si sbarazza dei fanghi di depurazione spargendoli sul suolo. Per conseguire il livello auspicato di protezione del suolo è assolutamente indispensabile sostituire le sostanze chimiche pericolose con altre meno nocive.

4.1.6

Il CESE esorta la Commissione a presentare con la massima urgenza la proposta di direttiva riveduta, nonché a effettuare analisi dei rischi per un numero di sostanze maggiore rispetto a quelle previste attualmente dalla direttiva in questione. Questo aspetto dovrebbe costituire una delle componenti principali della strategia di protezione dei suoli agricoli, allo scopo di non accrescere ulteriormente il grado di contaminazione e di garantire livelli adeguati di sicurezza alimentare.

4.2

L'articolo 1 della direttiva per la protezione del suolo indica che le misure adottate devono garantire il ripristino e la bonifica dei suoli degradati ad un livello di funzionalità tale da essere almeno compatibile con l'impiego attuale e l'utilizzo futuro approvato di questa risorsa. Il CESE sostiene questo principio, ma si chiede se sia veramente necessario che nella direttiva quadro si utilizzi il termine «almeno»: la questione dovrebbe essere affrontata in funzione della situazione specifica, decidendo di volta in volta sul da farsi.

4.3

Il CESE ritiene che l'articolo 3, così com'è formulato, consenta agli Stati membri di elaborare una politica settoriale nazionale suscettibile di falsare la concorrenza. È importante che nell'articolo ci si limiti ad un'analisi della situazione, mentre le eventuali misure contemplate devono essere conformi alle esigenze di un mercato interno ben funzionante, con regole comuni e condizioni di concorrenza eque.

4.4

Il CESE reputa inoltre che l'articolo 4 lasci un margine quasi illimitato per gli interventi. Per quanto riguarda i terreni agricoli, il CESE ha osservato nei punti precedenti che la coltivazione comporta per sua natura un impatto sul terreno che varia in funzione di fattori, quali le condizioni stagionali, il clima, ecc., su cui gli utilizzatori del terreno non possono influire. Gli obblighi definiti dagli Stati membri devono essere ragionevoli e proporzionati a questa situazione. Analogamente, deve esservi una certa compatibilità tra le misure adottate dai vari Stati membri, il che è inoltre in linea con le disposizioni dell'articolo 9 riguardante l'adozione di misure proporzionate al fine di preservare le funzioni del suolo.

4.5

L'articolo 12 prevede che in alcuni casi il proprietario del sito o un potenziale acquirente presenti un rapporto sullo stato del suolo. A parere del CESE sarebbe sbagliato che un potenziale acquirente possa essere sottoposto a tale obbligo: date le divergenze tra le legislazioni degli Stati membri è necessaria una certa flessibilità. L'articolo deve pertanto essere formulato in modo diverso.

4.6

L'articolo 17 riguarda la piattaforma volontaria che la Commissione intende creare. Quest'ultima deve adoperarsi al massimo per garantire che l'iniziativa consenta realmente uno scambio di metodi analoghi, in modo tale da giungere ad un approccio comune tale da garantire condizioni neutre di concorrenza. Dato che lo scambio di informazioni avviene su base volontaria, è necessaria una partecipazione attiva anche da parte della Commissione.

4.7

Nell'articolo 22 si afferma che gli Stati membri definiscono le norme in materia di sanzioni. Il CESE ritiene che, ai fini della certezza del diritto, le sanzioni debbano essere ragionevoli e proporzionate al danno causato. È inoltre inammissibile che lo stesso danno possa comportare varie sanzioni diverse.

4.8

Nell'articolo 23 si propone di modificare la direttiva 2004/35/CE affinché le autorità possano richiedere che l'operatore adotti misure di riparazione. Secondo il CESE, questa disposizione può essere valida soltanto se è l'operatore ad avere causato il danno, il che non risulta chiaramente dal testo.

Bruxelles, 25 aprile 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  COM(2002) 179 def.

(2)  CES 1199/2000, GU C 14, 16.1.2001, pagg. 141-150.

(3)  Direttiva 2004/35/CE.

(4)  Direttiva 86/278/CEE.

(5)  COM(2005) 666 def.


ALLEGATO

al Parere del Comitato economico e sociale europeo

Il seguente emendamento, che ha ottenuto oltre un quarto dei voti espressi, è stato respinto nel corso della discussione:

Punto 1.1

Modificare come segue:

Il CESE accoglie con favore la strategia tematica per la protezione del suolo a livello comunitario ed è, in linea di principio, favorevole all'istituzione di una direttiva quadro e sostiene l'obiettivo della proposta della Commissione, vale a dire la protezione e l'uso sostenibile del suolo. Il CESE auspica che la proposta di direttiva quadro tenga pienamente conto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 47

Voti contrari: 54

Astensioni: 13

Essendo stato accolto un emendamento in tal senso, il seguente punto del parere della sezione è stato soppresso, benché oltre un quarto dei votanti si sia espresso a favore del suo mantenimento:

Punto 1.15

Il CESE invita i legislatori nazionali e regionali e la Commissione a valutare in modo sistematico la legislazione esistente in materia di protezione del suolo.

Esito della votazione

Voti favorevoli alla soppressione della frase: 74; Voti contrari: 33; Astensioni: 15


20.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 168/34


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito a:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce una procedura uniforme di autorizzazione per gli additivi, gli enzimi e gli aromi alimentari

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo agli enzimi alimentari e che modifica la direttiva 83/417/CEE del Consiglio, il regolamento (CE) n. 1493/1999 del Consiglio, la direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e la direttiva 2001/112/CE del Consiglio

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo agli aromi e ad alcuni ingredienti alimentari con proprietà aromatizzanti destinati a essere utilizzati nei e sui prodotti alimentari e che modifica il regolamento (CEE) n. 1576/89 del Consiglio, il regolamento (CEE) n. 1601/91 del Consiglio, il regolamento (CE) n. 2232/96 e la direttiva 2000/13/CE

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo agli additivi alimentari

COM(2006) 423 def. — 2006/0143 (COD)

COM(2006) 425 def. — 2006/0144 (COD)

COM(2006) 427 def. — 2006/0147 (COD)

COM(2006) 428 def. — 2006/0145 (COD)

(2007/C 168/06)

Il Consiglio, in data 11 settembre 2006, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 37 e 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta summenzionata.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 marzo 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore PEZZINI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 aprile 2007, nel corso della 435a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 127 voti favorevoli e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato accoglie con favore il pacchetto di proposte su additivi, enzimi ed aromi e sulle procedure comuni di autorizzazione, nella misura in cui questo consente di realizzare un mercato interno efficace e competitivo, nel quale venga garantito un livello elevato di protezione della vita e della salute umana.

1.2

Il Comitato ritiene che una serie di regole chiare ed armonizzate sul modo di attuazione delle valutazioni di sicurezza, con tempistiche sicure e prevedibili e costi contenuti, rappresenti una garanzia sia per i consumatori sia per i produttori, specie per quelli di minori dimensioni.

1.3

Il Comitato condivide l'obiettivo di semplificazione della Commissione, volto ad armonizzare i settori degli additivi, degli aromi e degli enzimi ed a promuovere la coerenza fra di essi tramite l'adozione di un'unica procedura comune per la loro approvazione.

1.4

Secondo il Comitato, se la possibilità di ottenere una singola autorizzazione, valida per l'intera UE, può essere di grande vantaggio per il mercato unico nel medio-lungo termine, occorre tuttavia tener presente l'impatto delle nuove regolamentazioni sui prodotti importati.

1.4.1

L'Europa è in continua competizione nel mercato globale, in termini sia di esportazione che di importazione e le norme proposte sono spesso più onerose di quelle previste dal Codex alimentarius, con possibili distorsioni di concorrenza a sfavore delle imprese europee, specie di piccole dimensioni.

1.5

Il Comitato ritiene positiva la procedura proposta, e cioè quella di sottoporre alla comitatologia le modifiche alla lista comunitaria, purché vengano assicurati elevati criteri di trasparenza, un dialogo costante con i produttori e con i consumatori e meccanismi rapidi di innovazione e di sviluppo dei prodotti.

1.6

Il Comitato sostiene il rafforzamento dell'azione dell'AESA/EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare), per una valutazione dei rischi trasparente e fondata su dati scientifici ed argomenti oggettivi a garanzia dei consumatori.

1.7

Il Comitato raccomanda di rafforzare le procedure e di potenziare le risorse umane e finanziarie dell'AESA/EFSA, ai fini di assicurare valutazioni di elevata qualità, trasparenti e indipendenti, nel pieno rispetto dei criteri di confidenzialità.

1.8

Il Comitato ritiene altrettanto opportuno rafforzare d'altro canto anche l'azione di monitoraggio degli Stati membri sul consumo e sull'uso degli additivi, degli enzimi e degli aromi, attraverso metodologie efficaci, che integrino i dati forniti dall'industria.

1.9

Il Comitato è favorevole ad una revisione periodica degli «elenchi positivi» degli additivi, degli enzimi e degli aromi, purché basata su un dialogo costante e strutturato con i consumatori e con i produttori e senza oneri aggiuntivi in termini di costi e di tempi.

2.   Motivazioni

2.1

I progressi scientifici e tecnologici ci consentono di ottenere prodotti alimentari di migliore qualità, grazie, fra l'altro, all'utilizzo di piccole quantità di enzimi, di aromi e di additivi alimentari. Gli stessi progressi ci consentono di evitare un utilizzo improprio di queste sostanze.

2.2

Nel quadro dell'azione svolta per migliorare la normativa comunitaria sulla base del principio «dall'azienda agricola alla tavola», la Commissione aveva annunciato nel Libro bianco sulla sicurezza alimentare, sul quale il Comitato ha avuto modo di pronunciarsi (1), la sua intenzione di aggiornare e di completare la legislazione in vigore in materia di additivi e di aromi, e di emanare disposizioni specifiche riguardanti gli enzimi (azioni 11 e 13 del Libro bianco).

2.3

Il Comitato ha, da sempre, condiviso l'obiettivo di garantire il buon funzionamento del mercato interno, assicurando in pari tempo un livello elevato di protezione della vita e della salute umana, e ha ripetutamente sostenuto la necessità di adottare un approccio globale e integrato in tema di sicurezza alimentare nell'UE.

2.4

Secondo il CESE «La legislazione deve coprire l'intera catena alimentare europea, dai campi alla tavola. Tutti gli anelli della catena devono essere ugualmente validi e la Commissione deve garantire l'effettiva applicazione della normativa comunitaria» (2).

2.5

L'adozione di una procedura comune per l'approvazione degli enzimi, degli aromi e degli additivi rappresenta un elemento chiave e innovativo nel pacchetto delle proposte presentate dalla Commissione. Il Comitato condivide pertanto l'obiettivo di semplificazione della Commissione, volto ad armonizzare questi settori. Ciò consente infatti di evitare una molteplicità di procedure di autorizzazione da parte dei singoli Stati membri, sopprimendo doppi sistemi di autorizzazione e riducendo sensibilmente gli oneri amministrativi e burocratici.

2.6

Per quanto riguarda gli additivi, la legislazione relativa agli additivi alimentari è già stata armonizzata a livello europeo. Attualmente sono circa 330 gli additivi alimentari autorizzati secondo tale legislazione e continuano ad affluire domande di autorizzazione di nuovi additivi o di nuovi impieghi.

2.6.1

Ai fini della valutazione di queste domande, è necessario disporre di dati sufficientemente approfonditi sull'uso e sulle caratteristiche di queste sostanze, soprattutto per le decisioni che si riferiscono alla gestione dei rischi.

2.7

Grazie a questa armonizzazione, prevista per gli aromi e per gli enzimi, le nuove procedure per le autorizzazioni saranno più snelle e si ridurranno sia i costi connessi con l'aggiornamento delle schede tecniche sia le modifiche dell'etichettatura.

2.8

Per quanto concerne gli enzimi, l'attuale incertezza giuridica dovuta alla diversità delle normative nazionali rischia di provocare distorsioni nel mercato degli enzimi alimentari nonché aggravi amministrativi e finanziari nei diversi Stati membri. Inoltre, in mancanza di un intervento di armonizzazione, si manterrebbe una diversità di livelli di protezione a causa delle differenze esistenti tra gli Stati membri in materia di percezione dei rischi, valutazione della sicurezza e regolamentazione degli enzimi alimentari.

2.8.1

Occorre evidenziare che, se da una parte la mancanza di regole armonizzate a livello UE rischia di creare ostacoli alla libera circolazione e al commercio per l'industria produttrice, dall'altra l'armonizzazione sia della valutazione della sicurezza che delle autorizzazioni all'uso degli enzimi alimentari potrà comportare investimenti rilevanti, a causa principalmente del costo delle autorizzazioni, stimato dell'ordine di 150-250.000 euro (3) per enzima.

2.8.2

L'industria degli enzimi alimentari è impegnata a sviluppare in modo costante nuove tecnologie e processi tesi a innovare e migliorare la produzione alimentare; essa non può tuttavia sottovalutare i possibili rischi di natura chimica, in termini di allergie, di tossicità e di attività microbiologica residua. Questi rischi eventuali richiedono una continua valutazione della sicurezza per i consumatori, specie per quanto riguarda gli enzimi provenienti da organismi geneticamente modificati.

2.9

Per quanto attiene alla normativa sugli aromi e su alcuni ingredienti alimentari con proprietà aromatizzanti destinati a essere utilizzati nei e sui prodotti alimentari, sarebbe opportuna una procedura di autorizzazione più efficiente, per agevolare la gestione di un «elenco positivo» contenente circa 2.600 sostanze aromatizzanti destinate a essere impiegate nei o sui prodotti alimentari.

2.9.1

È evidente che l'armonizzazione della normativa sugli aromi potrà conferire all'Unione europea una posizione migliore nei negoziati con i paesi terzi, dal momento che si dovrà procedere all'introduzione degli aromi nel sistema del Codex alimentarius, e ciò anche per evitare una penalizzazione delle imprese europee, specie delle PMI.

2.9.2

Con la creazione di un mercato uniforme e integrato degli aromi nell'UE, l'industria europea sarà in grado di mantenere il suo primato nel settore della produzione e dello sviluppo degli aromi.

2.9.3

D'altro canto non bisogna sottovalutare l'onere aggiuntivo che si renderà necessario per conformarsi alle nuove normative in materia di etichettatura degli aromi.

2.10

Secondo il Comitato, per assicurare una valutazione indipendente, trasparente e di elevata qualità sulla sicurezza degli additivi, degli enzimi e degli aromi, occorre che l'Autorità europea per la sicurezza alimentare sia potenziata con risorse e mezzi e che vengano previste nuove procedure.

2.11

Il passaggio dalle procedure decisionali, basate sulla codecisione con il Parlamento europeo, alle procedure di «comitatologia» con il ricorso a comitati per le autorizzazioni richiede la definizione di criteri chiari e trasparenti per valutare la sicurezza dei benefici previsti per i consumatori.

2.12

Come già sottolineato dal Comitato in precedenti pareri (4), vi è «la necessità di criteri di valutazione, quali l'aumento/declino della fiducia dei consumatori, la gestione delle eventuali crisi alimentari, una più stretta cooperazione tra soggetti interessati (stakeholders) ecc., per poter valutare i progressi in materia di sicurezza alimentare e giudicare se il nuovo sistema sia all'altezza delle aspettative».

3.   La proposta della Commissione

3.1

Il pacchetto di proposte presentato dalla Commissione mira a precisare e chiarire la legislazione esistente in materia di additivi ed aromi alimentari e introduce nuove norme per gli enzimi, oltre a una proposta che mira a creare per tutti e tre i settori procedure comuni per le autorizzazioni, basate sui pareri scientifici espressi dall'Autorità europea per la sicurezza alimentare AESA/EFSA.

3.2

Additivi. Le nuove norme sono intese a semplificare e snellire il sistema di autorizzazione degli additivi alimentari, attualmente disciplinato dalla direttiva 89/107/CEE. Le autorizzazioni per l'inclusione nel nuovo elenco positivo degli additivi sarebbero basate sul quadro di valutazione dei rischi in materia di sicurezza alimentare definito dall'AESA/EFSA, secondo quanto previsto dal regolamento (CE) n. 178/2002. Si propone inoltre una revisione degli aspetti tecnici dell'attuale sistema di autorizzazione e si individuano nuove disposizioni comunitarie armonizzate per gli additivi usati in altri additivi.

3.3

Enzimi. Si propone un nuovo quadro regolamentare per la valutazione, l'approvazione e il controllo degli enzimi per uso alimentare e l'istituzione di un elenco positivo di tutti gli enzimi usati negli alimenti per uno scopo tecnologico, sulla base di un parere scientifico favorevole dell'AESA/EFSA. Si individuano anche disposizioni per l'etichettatura degli enzimi alimentari diversi da quelli utilizzati come coadiuvanti di processo.

3.4

Aromi. È prevista la revisione delle regole generali stabilite dalla direttiva 88/388/CEE, per adeguare le norme agli sviluppi tecnologici e scientifici, con l'approvazione di un nuovo regolamento che stabilisca regole più chiare su:

livelli massimi, consentiti, di alcune sostanze, secondo i pareri dell'AESA/EFSA,

un «elenco comunitario» di aromi e di sostanze di base autorizzate nelle e sulle derrate alimentari

più strette condizioni di utilizzo degli aromi e degli ingredienti alimentari con proprietà aromatizzanti,

regole chiare e uniformi per l'etichettatura.

3.5

Procedura di autorizzazione comune. La proposta suggerisce l'introduzione di una procedura comune unica per l'autorizzazione degli additivi, degli aromi e degli enzimi alimentari basata su una valutazione di sicurezza effettuata dall'AESA/EFSA e sulla gestione dei rischi. L'autorizzazione prevede l'intervento degli Stati membri e della Commissione nel quadro della procedura del comitato di regolamentazione. La proposta affida alla Commissione, sulla base delle valutazioni scientifiche dell'AESA/EFSA, il compito di redigere e di aggiornare diversi «elenchi positivi», uno per ogni categoria di sostanze interessate. L'inclusione di una sostanza in uno di questi elenchi implica che il suo uso è stato autorizzato su un piano generale per tutti gli operatori sul mercato comunitario.

4.   Osservazioni generali

4.1

Il Comitato è sostanzialmente favorevole alle proposte della Commissione, purché venga salvaguardata l'efficacia e la competitività del mercato interno e venga garantito un livello elevato di protezione della vita e della salute umana.

4.2

Il CESE ritiene che lo strumento proposto, il regolamento, rappresenti una garanzia rispetto alla direttiva, che consente interpretazioni differenziate in sede di recepimento della normativa.

4.3

La possibilità di ottenere una singola autorizzazione valida per l'intera Unione europea può sicuramente essere, a parere del Comitato, di grande vantaggio per il mercato unico nel medio-lungo termine.

4.3.1

Occorre però tener presente l'impatto delle nuove regolamentazioni sui prodotti importati ed il fatto che l'Europa è comunque un grande importatore in costante competizione sul mercato globale mentre le norme comunitarie sono più onerose di quelle previste attualmente dal Codex alimentarius: questo dovrebbe quindi essere adeguato per non penalizzare le imprese europee.

4.4

L'opzione accolta dalla Commissione, e cioè quella di sottoporre alla cosiddetta «comitatologia» la procedura di emendamento dell'elenco comunitario, può rappresentare un passo in avanti positivo sia per l'industria che per la società civile, a condizione di essere attuata mantenendo elevati criteri di trasparenza e permettendo, nel contempo, di tenere il passo con l'innovazione e lo sviluppo di nuovi e migliori prodotti, anche in termini di lotta alle allergie.

4.5

Basare la valutazione del rischio su procedure trasparenti, fondate su dati scientifici ed argomenti oggettivi, rappresenta, a parere del Comitato, un fattore positivo dell'azione dell'AESA/EFSA.

4.6

Alle nuove responsabilità affidate all'AESA/EFSA dovrebbe corrispondere, a parere del Comitato, un rafforzamento delle sue procedure e un potenziamento delle sue risorse umane e finanziarie ai fini di assicurare valutazioni di elevata qualità, trasparenti ed indipendenti, nel pieno rispetto dei criteri di confidenzialità.

5.   Osservazioni particolari

5.1   Procedura comune di autorizzazione

5.1.1

Il Comitato ritiene che le misure applicative di cui all'art. 9, inclusi il contenuto, la redazione e la presentazione della domanda, gli accordi per il controllo della validità delle domande ed il tipo di informazioni, debbano essere incluse nel parere dell'AESA/EFSA.

5.1.2

Per quanto concerne l'aggiornamento dell'elenco comunitario, il sistema di autorizzazione dovrebbe avere termini più contenuti, riducendo i tempi dai 9 mesi previsti dalla proposta di regolamentazione della Commissione a 3 mesi, così da permettere di concludere il ciclo di esame ed approvazione, nel suo complesso, in 12 mesi.

5.1.3

Parimenti, la possibilità di cui all'art. 10 di un'estensione, in casi particolari, del periodo di valutazione da parte dell'AESA/EFSA o della Commissione, non dovrebbe essere priva di un termine, ma prevedere invece un tempo massimo, da indicare nel regolamento.

5.1.4

Il Comitato ritiene che nella procedura comune di autorizzazione dovrebbe essere inclusa anche la previsione di revisione periodica e di aggiornamento degli elenchi, limitandone costi e oneri, e sulla base di un dialogo permanente e strutturato con i produttori e con i consumatori.

5.1.5

Il sistema di autorizzazione comunitario non dovrebbe in alcun caso essere usato per giustificare la creazione di barriere tecniche agli scambi; vanno quindi escluse le prove costose e le certificazioni nell'import-export.

5.2   Additivi

5.2.1

Sarebbe opportuno meglio precisare i criteri di individuazione di «ragionevoli necessità tecnologiche» così come di «vantaggi e benefici per il consumatore» di cui all'art. 5.

5.2.2

Per quanto concerne l'etichettatura di cui all'art. 20, occorrerebbe che le indicazioni fossero chiaramente comprensibili e identificabili dal grande pubblico ed uniformi in tutta la Comunità.

5.3   Enzimi

5.3.1

Il Comitato valuta positivamente il fatto che tutti gli enzimi alimentari, con funzione tecnologica, rientrino nel campo d'applicazione del regolamento e che siano sottoposti ad approvazione, per rientrare nella lista positiva comunitaria.

5.3.2

Secondo il Comitato è opportuno anche per gli enzimi, come è stato indicato per gli additivi, inserire tra i criteri di valutazione i «vantaggi e benefici per il consumatore».

5.3.3

Quanto all'etichettatura, il Comitato sottolinea la necessità di chiarezza e di requisiti uniformi, a livello comunitario, senza inutili complessità, sia per i produttori che per i consumatori.

5.3.4

Secondo il Comitato, sarebbe opportuno evitare il mantenimento di liste positive nella legislazione verticale, creando un doppio sistema di autorizzazione per gli stessi enzimi. Le precedenti direttive e regolamenti dovrebbero essere quanto prima modificati, per far riferimento univoco alla nuova regolamentazione proposta.

5.4   Aromi

5.4.1

Sarebbe opportuno, a parere del Comitato, allineare i criteri di valutazione a quelli indicati per gli additivi, includendo i «vantaggi e benefici per il consumatore».

5.4.2

Il Comitato sostiene la necessità di una maggiore chiarezza d'informazione nei riguardi del consumatore, come contenuto nell'art. 14, sulla natura e sull'origine degli aromi usati negli alimenti.

Bruxelles, 25 aprile 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Cfr. parere CES 585/2000, del 26.5.2000, relatore ATAÍDE FERREIRA. (GU C 204 del 18.7.2000)

(2)  Cfr. nota 1.

(3)  Cfr. SEC(2006) 1044, punto 3.3.

(4)  Cfr. parere CESE 404/2001, del 28.3.2001, relatore VERHAEGHE. (GU C 155 del 29.5.2001).


20.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 168/38


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo — Conseguire la sostenibilità della pesca nell'UE tramite l'applicazione del rendimento massimo sostenibile

COM(2006) 360 def.

(2007/C 168/07)

La Commissione, in data 4 luglio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 marzo 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore SARRÓ IPARRAGUIRRE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 aprile 2007, nel corso della 435a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 131 voti favorevoli e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

A giudizio del CESE il nuovo orientamento politico in materia di gestione della pesca comunitaria, basato sul rendimento massimo sostenibile, anche se genera dei benefici nel lungo periodo, può avere ripercussioni economiche e sociali molto gravose per il settore. Si raccomanda pertanto di valutare accuratamente i vantaggi e gli inconvenienti che risulterebbero, in termini economici, sociali e ambientali, dalla sua applicazione.

1.2

Dato che le stime sul rendimento massimo sostenibile delle varie popolazioni ittiche sono molto incerte, il CESE raccomanda alla Commissione di prevedere, nei suoi piani a lungo termine, degli adeguamenti annui ragionevoli, graduali, flessibili e concordati con tutti i settori interessati. Bisognerà quindi interpellare sin dall'inizio i consigli consultivi regionali, il comitato consultivo per la pesca e l'acquacoltura dell'UE e il comitato per il dialogo sociale nella pesca marittima, dando ai loro membri il tempo necessario per valutare con gli organismi o i gruppi interessati di riferimento i termini delle proposte avanzate.

1.3

Il Comitato invita quindi la Commissione a definire con particolare attenzione i tassi annui di mortalità per pesca, con l'obiettivo di ottenere a lungo termine il rendimento massimo sostenibile nell'ambito delle attività di pesca multispecifiche.

1.4

Il CESE non condivide l'argomentazione della Commissione europea, secondo cui questa politica di gestione della pesca consentirà di riportare in equilibrio la bilancia commerciale, dato che il minore approvvigionamento del mercato da parte delle imprese sarà immediatamente compensato da importazioni da paesi terzi. Invita pertanto la Commissione a controllare molto accuratamente tali importazioni nel mercato comunitario.

1.5

Il Comitato ritiene che la Commissione e gli Stati membri debbano tenere conto degli «altri fattori ambientali», che sono menzionati nel presente parere e che incidono anch'essi sull'evoluzione degli ecosistemi marini e raccomanda loro di imporre ai soggetti economici le cui attività hanno un impatto sugli ecosistemi marini restrizioni analoghe a quelle che vengono richieste per il settore della pesca.

1.6

Per quanto riguarda l'adeguamento richiesto per pervenire al rendimento massimo sostenibile, il Comitato ritiene che i due approcci proposti dalla Commissione possano essere complementari e saranno gli Stati membri a dover applicare le misure che giudichino più opportune in funzione degli effetti economici e sociali sui loro settori della pesca. Il CESE esprime la sua preoccupazione per il fatto che il Fondo europeo per la pesca (FEP) non ha una dotazione sufficiente per far fronte all'impatto del nuovo sistema di gestione.

2.   Motivazione

2.1

La comunicazione Conseguire la sostenibilità della pesca nell'UE tramite l'applicazione del rendimento massimo sostenibile  (1), oggetto del presente parere, illustra la posizione della Commissione in merito all'aumento del rendimento economico del settore nel contesto della politica comune della pesca.

2.2

La comunicazione basa tale aumento del rendimento economico sull'eliminazione graduale del sovrasfruttamento delle risorse, partendo dal presupposto che tale eliminazione produrrà vantaggi economici al settore della pesca attraverso la riduzione dei costi, il miglioramento delle catture, l'incremento della redditività della pesca e la riduzione dei rigetti in mare.

2.3

La Commissione ritiene che per raggiungere tali obiettivi sia giunto il momento di gestire diversamente le attività di pesca nella Comunità, cercando attivamente il successo invece di limitarsi a evitare l'insuccesso.

2.4

La comunicazione introduce un nuovo orientamento politico per la gestione della pesca nell'UE, basato sul raggiungimento del rendimento massimo sostenibile degli stock ittici grazie alla definizione di tassi di mortalità a lungo termine.

2.5

Questo nuovo orientamento politico si basa su un impegno politico internazionale, sottoscritto dagli Stati membri nel settembre 2002 al vertice internazionale di Johannesburg sullo sviluppo sostenibile, e che li impegna a «mantenere o riportare gli stock ittici a livelli che consentano di produrre il rendimento massimo sostenibile, con la massima urgenza per gli stock in via di esaurimento e ove possibile entro il 2015».

2.6

Il punto è quindi quello di definire un approccio di gestione a lungo termine, incentrato sullo sfruttamento ottimale del potenziale produttivo delle risorse marine viventi europee. Tale approccio è coerente con il più vasto obiettivo della politica comune della pesca, che cerca di assicurare delle condizioni economiche, sociali e ambientali sostenibili.

2.7

I summenzionati vantaggi economici per il settore della pesca potranno realizzarsi, come prevede la comunicazione, solo imponendo restrizioni maggiori alle attività di pesca durante un periodo transitorio. Nel processo decisionale concernente il ritmo di tale cambiamento dovranno essere coinvolte tutte le parti in causa. Il sostegno finanziario previsto nel quadro del Fondo europeo per la pesca dovrà contribuire ad attenuare le conseguenze sociali ed economiche durante la fase di transizione.

3.   Osservazioni generali

3.1

La proposta della Commissione, relativa ad una politica della pesca basata sul rendimento massimo sostenibile, si fonda sul principio secondo cui l'attività di pesca svolta sinora è stata eccessiva rispetto al potenziale di ricostituzione di alcune popolazioni ittiche.

3.2

Il Comitato, riconoscendo che alcune popolazioni ittiche nelle acque europee si sono drasticamente ridotte negli ultimi 30 anni, soprattutto come conseguenza di un'eccessiva attività di pesca, concorda sull'opportunità di raggiungere livelli di pesca più sostenibili.

3.3

La Commissione ritiene che applicare sistemi di gestione delle popolazioni ittiche basati sul rendimento massimo sostenibile consentirà di evitare un crollo delle popolazioni e renderà anzi possibile lo sviluppo delle popolazioni.

3.4

Il CESE considera corretto tale principio, tenendo conto del fatto che il rendimento massimo sostenibile di una popolazione ittica coincide con la biomassa (quantità di pesci) che può essere catturata senza danneggiare la produzione futura della stessa popolazione. Sostiene, pertanto, pienamente l'applicazione di tale principio come base della politica di gestione della pesca.

3.5

Il Comitato fa tuttavia presente alla Commissione che qualsiasi cambiamento del sistema di gestione comporta dei rischi e che pertanto bisogna valutare molto attentamente i vantaggi e gli inconvenienti.

3.6

La comunicazione presenta in maniera molto particolareggiata i vantaggi, specie di natura ambientale, del sistema di gestione basato sul rendimento massimo sostenibile, ma non esamina i vantaggi e soprattutto gli aspetti negativi di carattere economico e sociale di tale sistema per il settore della pesca.

3.7

Tra i vantaggi segnalati dalla Commissione, il CESE non riconosce quello relativo al riequilibrio della bilancia commerciale che verrebbe determinato da questa politica di gestione della pesca. Infatti il vuoto lasciato dalle imprese di pesca comunitarie che abbandoneranno l'attività nel contesto del raggiungimento del rendimento massimo sostenibile sarà riempito immediatamente da imprese dei paesi terzi, perché il mercato di prodotti ittici è condizionato dalla necessità di un approvvigionamento continuo.

3.8

L'impostazione generale prevista dalla Commissione per il nuovo sistema di gestione consiste in una riduzione della mortalità dovuta alla pesca: per fare in modo che i pesci possano crescere di più e raggiungere un valore e un rendimento superiori al momento della cattura bisogna ridurre la proporzione delle catture rispetto alle popolazioni.

3.9

La comunicazione della Commissione riconosce nondimeno che le popolazioni ittiche sono difficili da misurare e, benché la pesca (cioè la mortalità che ne deriva) costituisca il fattore con maggior impatto sulla salute degli stock, agiscono anche altri fattori, come i cambiamenti climatici e l'abbondanza di novellame.

3.10

La Commissione propone pertanto una strategia a lungo termine di ricostituzione delle popolazioni ittiche, per trovare un equilibrio tra l'attività di pesca e la capacità produttiva delle popolazioni; essa indica che tale obiettivo può essere realizzato gradualmente riducendo il numero di imbarcazioni da pesca o lo sforzo di pesca.

3.11

Per applicare questa strategia in modo da consentire ai pescatori di ottenere il rendimento massimo sostenibile dallo stock è necessario definire il tasso di pesca appropriato per ciascuno stock, ossia la mortalità annua dovuta alla pesca, sulla base del miglior parere scientifico disponibile. Una volta definito tale tasso, il sistema di gestione previsto deve definire il ritmo degli adeguamenti annui necessari per raggiungerlo. Conformemente a quanto prevede la politica comune della pesca, queste decisioni devono essere applicate mediante piani a lungo termine.

3.12

Attualmente la gestione della pesca a livello comunitario si realizza conformemente ai principi di sicurezza e di precauzione per gli stock ittici. I totali ammissibili di catture e le quote di catture stabilite annualmente si basano su relazioni scientifiche attendibili; alle popolazioni ittiche la cui situazione è particolarmente critica vengono applicati i piani di ricostituzione previsti nel quadro della politica comune della pesca, al fine di riportarle a livelli biologici sostenibili.

3.13

Il CESE considera significativo il cambio di sistema di gestione, dato che comporta un obiettivo biologico più ambizioso di quello previsto dal sistema attuale. In occasione di ciascun adeguamento annuale, la modifica introdotta determinerà considerevoli diminuzioni della mortalità per pesca, che richiederanno indubbiamente riduzioni della flotta e dello sforzo di pesca e, di conseguenza, grandi sacrifici per le imprese comunitarie del settore. Il CESE esprime preoccupazione per il fatto che il Fondo europeo per la pesca (FEP) non dispone di una dotazione sufficiente per far fronte ai grandi sacrifici menzionati più sopra. Ciononostante, qualora si realizzassero gli obiettivi previsti, la situazione potrebbe essere molto favorevole per le imprese di pesca che fossero rimaste in attività.

3.14

Nel contesto di tale approccio, il CESE fa presente alla Commissione che la valutazione del rendimento massimo sostenibile dei vari stock ittici è soggetta ad un alto livello di incertezza. Raccomanda pertanto alla Commissione di stabilire adeguamenti annuali ragionevoli nei suoi piani a lungo termine.

3.15

La sfida è quindi quella di trovare forme per aiutare le comunità e le imprese collegate alla pesca a superare senza problemi la fase di adeguamento. Il Comitato ritiene che ciò richiederà misure di sostegno più generose e inventive rispetto a quelle che la Commissione ha proposto sinora. Siffatte misure sono pienamente giustificate in quanto strumenti per garantire la rapida transizione ad un modello di attività di pesca più sostenibile per il futuro.

3.16

In ogni caso il Comitato considera fondamentale che, come prevede la comunicazione, nelle decisioni concernenti i piani a lungo termine, la frequenza della loro applicazione e le relative conseguenze si coinvolgano tutte le parti interessate, grazie a frequenti consultazioni dei consigli consultivi regionali (CCR). Il CESE ritiene inoltre che la consultazione vada estesa al comitato consultivo per la pesca e l'acquacoltura (CCPA) e al comitato per il dialogo sociale nella pesca marittima.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Istituire un sistema di gestione della pesca basato sul rendimento massimo sostenibile presuppone un'analisi, presente nella comunicazione, di un'altra serie di questioni che influsicono direttamente su tale tipo di gestione:

effetti ambientali e loro ripercussioni sul cambiamento degli ecosistemi marini,

applicazione del sistema di gestione alla pesca multispecifica,

gestione dei piani a lungo termine.

4.2

Effetti ambientali e loro ripercussioni sul cambiamento degli ecosistemi marini

4.2.1

La comunicazione della Commissione ammette che esiste un grado elevato di incertezza circa l'evoluzione degli ecosistemi marini in relazione al cambiamento climatico e alla meteorologia, e che questi e altri fattori ambientali possono influire sulle popolazioni ittiche.

4.2.2

Non conoscendo il grado di incidenza di tutti gli effetti ambientali, la Commissione ritiene che in molti casi il fattore più influente sia proprio la pesca, e che tassi di catture inferiori per una determinata popolazione ittica le consentiranno di diventare più resistente ai cambiamenti ecologici.

4.2.3

Nella comunicazione si raccomanda quindi di ridurre le catture a un ritmo costante e sostenibile, in modo che, man mano che si riduce la mortalità per pesca e si ricostituiscono le popolazioni, si ricavino maggiori conoscenze sugli ecosistemi e sul loro potenziale produttivo, che permettano di adeguare nel lungo periodo gli obiettivi di gestione.

4.2.4

Il CESE accetta questo principio, ma a condizione che la mortalità per pesca si riduca ad un ritmo graduale e sostenibile per le specie che lo esigano. La Commissione riconosce che una gestione mirante all'aumento a breve termine di una determinata biomassa di pesci può causare un'instabilità inaccettabile per il settore.

4.2.5

Il Comitato considera tuttavia che sull'evoluzione degli ecosistemi marini incidano anche gli «altri fattori ambientali» che la comunicazione non menziona neanche, come per esempio l'azione dei predatori, l'inquinamento, l'esplorazione e lo sfruttamento di giacimenti di petrolio o di gas, gli impianti eolici siti in mare, l'estrazione di sabbia e ghiaia di origine marina ecc.

4.2.6

Il Comitato chiede alla Commissione e agli Stati membri di imporre agli altri soggetti economici le cui attività influiscono sulla consistenza delle popolazioni ittiche e sui cambiamenti degli ecosistemi marini restrizioni equivalenti a quelle che vengono richieste al settore della pesca.

4.3   Applicazione di un sistema di gestione alla pesca multispecifica

4.3.1

Il settore della pesca multispecifica è quello dove il sistema di gestione della pesca in base al rendimento massimo sostenibile incontra le maggiori difficoltà di applicazione.

4.3.2

Nella comunicazione la Commissione, consapevole di tali difficoltà, non tratta in maniera approfondita il sistema di gestione della pesca multispecifica. Il Comitato ritiene che per questo tipo di pesca occorra intensificare i contatti tra la Commissione, i consigli consultivi regionali e il comitato consultivo per la pesca e l'acquacoltura.

4.3.3

La comunicazione riconosce l'importanza, indiscutibile secondo il Comitato, di mantenere l'equilibrio tra gli ecosistemi marini, considerando che ridurre la pesca di una specie per favorire il rendimento di un'altra è un approccio molto rischioso.

4.3.4

La complessità del sistema consiste nel fatto che la pesca di tutte le specie di un determinato ecosistema dovrebbe adeguarsi, secondo quanto prevede la comunicazione, ad un tasso di catture tale da garantire il rendimento massimo sostenibile a lungo termine. In altre parole, per quanto concerne i tassi di rendimento massimo sostenibile fissati per le diverse popolazioni di un ecosistema coinvolto nella pesca multispecifica, la quota massima di catture nell'ambito dei piani a lungo termine sarà determinata dalla specie per la quale si fissa il tasso di catture a lungo termine più basso per ottenere il rendimento massimo sostenibile.

4.3.5

La comunicazione indica inoltre che per evitare il sovrasfruttamento accidentale di specie che rappresentano catture accessorie, alcune misure aggiuntive come la modifica degli attrezzi di pesca e l'imposizione di divieti per determinate zone o periodi possono divenire componenti indispensabili di taluni piani a lungo termine.

4.3.6

Sebbene questo approccio di gestione sia coerente con l'obiettivo più ampio della politica comune della pesca, la Commissione dovrebbe valutare con grande attenzione i vari tassi applicati per ottenere il rendimento massimo sostenibile e definire insieme con le parti coinvolte nella pesca multispecifica l'impatto economico e sociale dei piani a lungo termine.

4.4   Gestione dei piani a lungo termine

4.4.1   Piani a lungo termine

4.4.1.1

La comunicazione prevede che i piani saranno elaborati dalla Commissione di concerto con i settori coinvolti, basandosi su pareri scientifici imparziali e tenendo accuratamente conto delle ripercussioni economiche, sociali e ambientali delle misure proposte.

4.4.1.2

Tali piani dovranno definire un obiettivo in termini di tasso di pesca e prevedere la maniera di raggiungerlo gradualmente, riducendo gli impatti avversi della pesca sull'ecosistema, includendo nella pesca multispecifica misure tecniche destinate a garantire che le varie popolazioni ittiche vengano pescate in maniera compatibile con i rispettivi obiettivi e la possibilità di sfruttare talune popolazioni a livelli inferiori al rendimento massimo sostenibile allo scopo di far aumentare la produttività di altre specie.

4.4.1.3

Nel caso in cui manchi una base scientifica sufficiente per valutare le azioni necessarie per raggiungere il rendimento massimo sostenibile, i piani a lungo termine saranno orientati ad un approccio precauzionale.

4.4.1.4

Inoltre i piani e i relativi obiettivi saranno sottoposti a revisioni periodiche.

4.4.1.5

Il Comitato ritiene che questo nuovo orientamento politico di gestione della pesca, che potrà avere vantaggi indiscutibili una volta raggiunto il rendimento massimo sostenibile di tutte le popolazioni ittiche, potrebbe avere conseguenze gravi per il settore della pesca che vedrebbe diminuire le sue catture e sarebbe costretto quindi a ridurre le flotte e i posti di lavoro a breve termine, fatto che causerebbe una situazione di fragilità del tessuto economico dei porti.

4.4.1.6

Il Comitato invita quindi la Commissione ad adottare, nelle previste consultazioni con il settore della pesca, una certa flessibilità nello stabilire la cadenza di applicazione dei piani a lungo termine, in modo da permettere ai pescatori di adeguarsi gradualmente al nuovo sistema di gestione.

4.4.1.7

Per quanto riguarda la pesca multispecifica, il Comitato ritiene che la flessibilità debba essere massima nel caso di popolazioni che, essendo in buona salute, possano essere sfruttate pienamente.

4.4.2   Gestire l'adeguamento

4.4.2.1

Una volta elaborati e adottati i piani a lungo termine che stabiliscono gli obiettivi fissati per gli stock, gli Stati membri dovranno decidere il ritmo con cui conseguire tali obiettivi e il modo in cui gestire la transizione.

4.4.2.2

Secondo la comunicazione il cambiamento può essere gestito in due modi.

Ridurre la capacità di pesca (smantellamenti) a quella strettamente necessaria per pescare al livello del tasso di pesca che permette di ottenere il rendimento massimo sostenibile. Questo approccio garantirebbe, in linea generale, una maggior efficienza economica delle flotte che rimarranno in attività, tuttavia al prezzo di una riduzione del numero di imbarcazioni attive e di lavoratori.

Mantenere invariate le dimensioni delle flotte, limitando le capacità di cattura delle imbarcazioni grazie per esempio a una riduzione delle loro dimensioni, della loro potenza, dei loro attrezzi da pesca o eventualmente dei giorni di attività. Questo approccio manterrebbe al livello attuale l'occupazione, al prezzo di inefficienze economiche.

4.4.2.3

Compete ai singoli Stati membri decidere l'approccio o la strategia economica da applicare, mentre la Comunità definirà il quadro di gestione che permetta di eliminare gradualmente il sovrasfruttamento, attraverso l'impiego dello strumento finanziario del Fondo europeo per la pesca.

4.4.2.4

La comunicazione della Commissione propende chiaramente per il primo approccio, basato sulla riduzione di capacità delle flotte nazionali; questa soluzione è più facile da controllare e, stando all'esperienza, comporta un'opposizione sociale e problemi di applicazione minori rispetto alle altre.

4.4.2.5

Il CESE riconosce che la riduzione della capacità delle flotte costituisce il sistema, o approccio, più efficiente per eliminare gradualmente il sovrasfruttamento. Il Comitato ritiene tuttavia che ciascuno Stato membro, in base ad un'analisi delle ricadute economiche e sociali, sceglierà l'approccio che gli sembri più interessante, senza dimenticare che entrambe le opzioni possono essere utilizzate simultaneamente fino a realizzare l'obiettivo del rendimento massimo sostenibile delle popolazioni ittiche.

4.4.2.6

Il CESE si dichiara d'accordo con la proposta di analizzare a livello regionale piuttosto che europeo gli effetti economici e sociali dell'adeguamento, dato che le caratteristiche delle flotte variano da uno Stato membro all'altro.

4.4.2.7

In questo senso i piani a lungo termine avranno come punto di partenza l'attività di pesca, si riferiranno a gruppi di popolazioni che vengono catturate congiuntamente e comprenderanno elementi quali la limitazione della variazione delle possibilità di pesca da un anno all'altro, garantendo così una transizione stabile e graduale.

4.4.2.8

La Commissione ritiene che mettere in atto una serie completa di piani a lungo termine che consentano di raggiungere il rendimento massimo sostenibile richiederà un tempo considerevole. Pertanto la Comunità dovrebbe adottare, con effetto dal 2007, decisioni di gestione che garantiscano che non vi sarà aumento del tasso di pesca per gli stock già sovrasfruttati. Il CESE ritiene che le decisioni che la Commissione europea potrebbe adottare nel 2007 debbano essere oggetto di una consultazione preliminare dei consigli consultivi regionali, del comitato consultivo della pesca e dell'acquacoltura dell'UE e del comitato per il dialogo sociale nella pesca marittima.

Bruxelles, 25 aprile 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  COM(2006) 360 def. del 4.7.2006.


20.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 168/42


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che vieta la commercializzazione, l'importazione nella Comunità e l'esportazione fuori della Comunità di pellicce di cane e di gatto e di prodotti che le contengono

COM(2006) 684 def. — 2006/0236 (COD)

(2007/C 168/08)

Il Consiglio, in data 4 dicembre 2006, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 95 e 133 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 marzo 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore RETUREAU.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 aprile 2007, nel corso della 435a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 128 voti favorevoli, 1 voto contrario e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato concorda con la base giuridica (articolo 95 del Trattato CE) e il tipo di strumento prescelto (regolamento).

1.2

Poiché il Trattato CE non conferisce alla Commissione competenze proprie che le consentano di intervenire contro le crudeltà perpetrate sugli animali, per giunta al di fuori del territorio dell'UE, la Commissione può affrontare il problema soltanto nell'ambito delle sue competenze in materia di commercio e mercato interno delle pellicce, e in ragione della necessità di armonizzare le diverse legislazioni nazionali attualmente in vigore.

1.3

Il Comitato condivide l'idea della Commissione che soltanto il divieto totale potrà dissuadere gli importatori di capi di abbigliamento e di giocattoli dall'introdurre nel territorio dell'Unione elevati quantitativi di pellicce di cane e di gatto e altri prodotti derivati, contrastando in questo modo il traffico su grande scala di pellicce vietate.

1.4

Il Comitato auspica che venga data una definizione giuridica chiara della nozione di «pelliccia», che designi esplicitamente la pelliccia propriamente detta e le sue singole componenti (pelo, pelle), in modo da estendere il divieto a tutti gli usi possibili delle pellicce di cane e gatto.

1.5

Il Comitato insiste sulla necessità di utilizzare metodi di controllo efficaci e di ricorrere alla comitatologia per stabilire le modalità di controllo più accettabili.

2.   Motivazione

2.1

Con la proposta di regolamento in esame, che si fonda sull'articolo 95 del Trattato CE (mercato interno), la Commissione propone di vietare la produzione, l'importazione, l'esportazione e la vendita di pellicce di cane e di gatto nell'Unione europea.

2.2

Il regolamento proposto risponde alle richieste della società civile e del Parlamento europeo e costituisce una delle priorità della presidenza tedesca.

2.3

Pare che soprattutto in Asia cani e gatti vengano allevati e abbattuti in condizioni deplorevoli, e che le loro pellicce vengano poi utilizzate per la produzione di capi di abbigliamento, accessori e giocattoli. Sono state individuate pellicce di questa provenienza nel mercato interno europeo.

2.4

Le pellicce di cane e di gatto vengono generalmente trasformate con trattamenti chimici e tinture, e vendute con denominazioni che ne celano l'origine; è scientificamente difficile identificare l'esatta origine animale delle pellicce così trattate dall'aspetto e dalla struttura o attraverso l'analisi del DNA, poiché questo viene distrutto dal processo di lavorazione. A quanto sembra, soltanto la spettrometria di massa permetterebbe di determinare, attraverso un'analisi comparativa, l'origine esatta dell'animale in questione. I controlli doganali potrebbero quindi risultare estremamente difficili, e ciò spiega in particolare le deroghe previste all'articolo 4 del regolamento in esame.

2.4.1

Tale articolo prevede la possibilità di autorizzare il possesso, per uso personale, di indumenti o oggetti contenenti le pellicce vietate. A giudizio del Comitato invece il possesso, l'uso personale o la detenzione di beni privati di questo tipo in quantità molto limitate dovrebbero essere chiaramente esclusi dal campo d'applicazione del regolamento, al fine di evitare eccessivi oneri burocratici.

2.4.2

La questione del possibile utilizzo di pelli non ottenute da animali allevati espressamente per la produzione di pellicce e dotate di apposite etichette potrebbe essere deferita alla procedura di comitato.

2.5

Dal punto di vista della proporzionalità, il divieto totale di produzione, importazione e commercializzazione costituisce la sola misura possibile, dato il carattere illecito e non dichiarato di tali importazioni e il fatto che i consumatori sono indotti in errore dalla falsa etichettatura di indumenti e oggetti che possono contenere pellicce di cane o di gatto.

2.6

Numerosi Stati membri e taluni paesi terzi hanno già adottato misure proibitive di natura e portata diversa; l'intervento comunitario è giustificato dalla necessità di armonizzare il mercato interno.

2.7

La proposta istituisce un sistema di informazione e monitoraggio per l'identificazione delle pellicce vietate e i metodi impiegati a questo scopo. La comitatologia permetterà di stilare un elenco dei metodi accettabili per effettuare i controlli.

2.7.1

Gli Stati membri dovranno prevedere sanzioni proporzionate e dissuasive.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il Comitato è d'accordo sulla base giuridica e sulla scelta del regolamento: infatti, nel caso dei cani e dei gatti non si può invocare il benessere degli animali, come avviene per il bestiame di allevamento.

3.2

Nella società europea cani e gatti sono diventati animali di compagnia e non vengono allevati per produrre carne o pellicce o per svolgere determinati lavori, ad eccezione di talune razze canine che vengono utilizzate per accompagnare e guidare i disabili o ritrovare persone scomparse, sepolte sotto le macerie o sotto la neve, e per svolgere altri compiti utili a fianco dell'uomo, il che non fa che renderle più care alla gente.

3.3

Poiché il Trattato CE non conferisce alla Commissione competenze proprie che le consentano di intervenire contro le crudeltà perpetrate sugli animali, per giunta al di fuori del territorio dell'UE, la Commissione può affrontare il problema in esame soltanto nell'ambito delle sue competenze in materia di commercio e di armonizzazione del mercato interno delle pellicce e dell'eliminazione degli ostacoli al commercio delle pellicce, in ragione della necessità di armonizzare le diverse legislazioni nazionali esistenti per evitare la frammentazione del mercato.

3.4

Tenuto conto delle serie difficoltà tecniche che comporta l'identificazione delle pellicce di cane e di gatto lavorate, una proposta che si fosse limitata a imporre obblighi di etichettatura sarebbe stata inefficace dal punto di vista pratico. Il Comitato condivide l'idea della Commissione che soltanto il divieto totale potrà dissuadere gli importatori di capi di abbigliamento e di giocattoli dall'introdurre nel territorio dell'Unione elevati quantitativi di pellicce di cane e di gatto e altri prodotti derivati, contrastando in questo modo il traffico su grande scala di pellicce vietate.

3.5

Una volta adottato, il regolamento dovrà essere notificato all'OMC in quanto barriera non tariffaria. Esso è conforme alle regole del commercio internazionale.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Il Comitato auspica che venga data una definizione giuridica chiara della nozione di «pelliccia», che designi esplicitamente la pelliccia propriamente detta e le sue singole componenti (pelo, pelle), in modo da estendere il divieto a tutti gli usi possibili delle pellicce di cane e gatto.

4.2

Il Comitato ritiene opportuno precisare che vanno evitati i controlli doganali sulle persone fisiche alle frontiere interne o esterne dell'UE per oggetti di uso strettamente personale il cui possesso è lecito in quantità molto limitate. Inoltre, lo scambio o la vendita di un capo di abbigliamento o la sua donazione a un'organizzazione di beneficenza non devono essere assimilati alle attività commerciali che rientrano nel campo di applicazione del regolamento in esame.

Bruxelles, 25 aprile 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


20.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 168/44


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al divieto di esportazione e allo stoccaggio in sicurezza del mercurio metallico

COM(2006) 636 def. — 2006/0206 (COD)

(2007/C 168/09)

Il Consiglio, in data 15 novembre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 133 e dell'articolo 175, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 marzo 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore OSBORN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 aprile 2007, nel corso della 435a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 126 voti favorevoli e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo sostiene l'impegno attivo dell'Unione europea nel quadro degli sforzi compiuti a livello internazionale per limitare la produzione e l'uso del mercurio nel mondo e per garantire metodi di stoccaggio e smaltimento sicuri. A tal fine, è importante che l'Europa dia il buon esempio con il proprio approccio al problema del mercurio nell'UE e promuova misure di controllo migliori a livello mondiale.

1.2

Il Comitato appoggia pertanto l'obiettivo generale della proposta specifica formulata dalla Commissione nel progetto di regolamento in esame: vietare le esportazioni di mercurio dall'Europa e imporre uno stoccaggio sicuro delle eccedenze di mercurio in Europa. Il Comitato reputa che il divieto di esportare mercurio metallico dall'Europa e l'obbligo di stoccarlo in sicurezza in attesa dello smaltimento siano particolarmente pertinenti e tempestivi, visto che in Europa si stanno progressivamente abbandonando i processi di lavorazione dei cloro-alcali basati sul mercurio.

1.3

Con lo sguardo al futuro, il Comitato esorta la Commissione a mettere in atto quanto prima gli altri elementi della sua strategia sul mercurio, a definire misure intese a ridurre ulteriormente l'uso del mercurio nei processi e nei prodotti utilizzati in Europa e a garantire che il mercurio presente nei flussi di rifiuti venga smaltito in condizioni di sicurezza.

1.4

Il Comitato reputa che il divieto legale dovrebbe entrare in vigore quanto prima e che, fino a quel momento, la Commissione e le imprese interessate vadano incoraggiate a fare tutto il possibile per ridurre le esportazioni al minimo.

1.5

Il Comitato è favorevole alle modalità di stoccaggio proposte dalla Commissione nel regolamento in esame e reputa che al momento esse costituiscano la migliore soluzione possibile. Le autorità competenti devono sottoporre a valutazioni di sicurezza tutte le infrastrutture di stoccaggio proposte e prevedere un controllo regolare dei siti dopo la loro entrata in funzione. Il Comitato esorta la Commissione a chiedere agli Stati membri relazioni sui progressi compiuti in questo campo e sottolinea la necessità di proporre ulteriori misure, qualora le modalità previste per lo stoccaggio si dimostrassero insoddisfacenti.

2.   Il contesto

2.1

Il mercurio è un componente naturale della terra. La sua concentrazione media nella crosta terrestre è di circa 0,05 mg/kg, con variazioni locali significative. Inoltre, è presente in concentrazioni molto deboli anche in tutta la biosfera. Il suo assorbimento da parte dei vegetali potrebbe anche spiegarne la presenza in combustibili fossili come il carbone, il petrolio e il gas naturale.

2.2

I livelli di mercurio nell'ambiente sono aumentati notevolmente dall'inizio dell'era industriale. La combustione delle fonti fossili ne rilascia notevoli quantità; inoltre, lo si estrae da diversi minerali (soprattutto il cinabro) e lo si utilizza in molteplici applicazioni industriali. Il mercurio proveniente da processi industriali e da prodotti di scarto si diffonde anche nell'ambiente. Le pratiche del passato hanno lasciato in eredità una presenza di mercurio nelle discariche, nei residui minerari, nei siti industriali contaminati, nel suolo e nei sedimenti. Anche le regioni in cui le emissioni di mercurio sono quasi inesistenti, come l'Artico, sono interessate dal fenomeno a causa del trasporto transcontinentale e globale di mercurio.

2.3

Una volta rilasciato nell'ambiente, il mercurio vi rimane e circola, sotto diverse forme, tra aria, acqua, sedimenti, suolo e biota. Può altresì trasformarsi (soprattutto per metabolismo microbico) in metilmercurio, un composto in grado di depositarsi negli organismi (bioaccumulo) e di concentrarsi nelle catene alimentari (bioamplificazione), specialmente in quella acquatica (pesci e mammiferi marini). Il metilmercurio è quindi la sostanza che desta maggiore preoccupazione. Peraltro, quasi tutto il mercurio presente nei pesci è metilmercurio.

2.4

Attualmente il mercurio è presente in vari ambienti naturali e negli alimenti (specialmente nel pesce) in tutto il mondo a livelli nocivi sia per gli esseri umani che per la flora e la fauna. In alcune aree del mondo, comprese alcune zone d'Europa, una percentuale significativa della popolazione umana è esposta al mercurio in misura notevolmente superiore ai livelli di sicurezza. Vi è un ampio consenso internazionale sul fatto che il rilascio di mercurio nell'ambiente vada quanto prima ridotto al minimo e, dove possibile, gradualmente soppresso.

2.5

Nonostante il calo del consumo mondiale di mercurio (la domanda è diminuita di oltre il 50 % rispetto al 1980) e i prezzi bassi, alcuni paesi continuano a estrarre mercurio dalle miniere. In Europa la produzione primaria è ormai cessata, ma il mercurio viene ancora isolato come sottoprodotto di altri processi estrattivi.

2.6

Quantità ingenti di mercurio vengono immesse sul mercato mondiale anche in seguito alla conversione o alla chiusura, in Europa, di impianti di cloro-alcali che utilizzavano il mercurio nei processi di produzione. Questo mercurio residuo viene generalmente venduto a basso prezzo alla società spagnola Miñas de Almadén, la quale a sua volta lo rivende ad altri paesi.

2.7

Nonostante tutti gli sforzi, né l'associazione dei produttori di cloro-alcali (Euro Chlor) né Almadén possono garantire che il mercurio esportato dall'UE in base all'accordo da loro stipulato non contribuisca a far aumentare l'inquinamento globale, poiché il mercurio che lascia gli impianti di Almadén non subisce più alcun controllo. Tale situazione potrebbe quindi incoraggiare un maggior uso del mercurio in processi e prodotti non regolamentati in altri paesi, facendo aumentare le emissioni o i rifiuti contaminati da mercurio. Occorre perciò impedire questo notevole afflusso sul mercato globale di mercurio eccedentario proveniente da processi di lavorazione dei cloro-alcali basati sul mercurio e ormai abbandonati.

3.   Sintesi della proposta della Commissione

3.1

Il 28 gennaio 2005 la Commissione ha adottato la comunicazione al Consiglio e al Parlamento europeo relativa alla strategia comunitaria sul mercurio (COM(2005) 20 def.). In essa erano proposte venti azioni intese ad affrontare tutti gli aspetti del ciclo di vita del mercurio, due delle quali riguardavano l'esportazione e lo stoccaggio di tale metallo.

3.2

La proposta di regolamento relativo al divieto di esportazione e allo stoccaggio in sicurezza del mercurio metallico presentata ora dalla Commissione compie un ulteriore passo avanti. Essa mira infatti a proibire l'esportazione di mercurio metallico dalla Comunità e ad impedirne la reimmissione sul mercato, nonché a garantire che venga conservato in condizioni di sicurezza, conformemente alle azioni 5 e 9 della strategia comunitaria sul mercurio. L'obiettivo fondamentale è limitare che nuove emissioni di mercurio vengano ad aggiungersi allo «stock mondiale» di mercurio già immesso nell'ambiente.

3.3

Il regolamento proposto vieta le esportazioni di mercurio dall'UE a partire dal 1o luglio 2011. A partire dalla medesima data, il mercurio non più utilizzato nell'industria dei cloro-alcali e quello proveniente dalla purificazione del gas naturale o dalla produzione di metalli non ferrosi dovrà essere stoccato in sicurezza.

3.4

La Commissione ha effettuato ampie consultazioni in merito alla proposta in esame e le parti interessate più direttamente, vale a dire la società Miñas de Almadén y Arrayanes (Mayasa), il governo spagnolo e l'industria europea dei cloro-alcali, hanno accettato l'introduzione di un divieto a partire dalla data proposta. La Commissione ha preso atto dell'impegno assunto su base volontaria dal Consiglio europeo delle federazioni dell'industria chimica (CEFIC) per garantire lo stoccaggio sicuro del mercurio proveniente dall'industria dei cloro-alcali a partire dal 1o luglio 2011.

4.   Osservazioni generali

4.1

Il Comitato economico e sociale europeo appoggia fermamente l'obiettivo di fare dell'Europa un leader negli sforzi globali volti a ridurre il rilascio e le emissioni di mercurio nell'ambiente, limitandone la produzione e il consumo ed incoraggiandone la sostituzione con materiali, processi e prodotti più sicuri. Il Comitato reputa che l'applicazione del regolamento REACH faciliterebbe tali sforzi.

4.2

Il Comitato rileva con soddisfazione che nell'Unione europea l'estrazione del mercurio da giacimenti e da minerali grezzi è ormai cessata. Reputa che la Commissione dovrebbe continuare a monitorare questo fenomeno ed essere pronta ad imporre un divieto qualora vi fosse anche solo la minima possibilità di una ripresa dell'estrazione del mercurio in Europa per motivi commerciali. Raccomanda inoltre alla Commissione di prendere in considerazione ulteriori misure intese a scoraggiare la produzione di mercurio come sottoprodotto dell'estrazione di altri minerali e a garantire lo stoccaggio e lo smaltimento sicuri delle eccedenze di mercurio.

4.3

Guardando oltre i confini europei, il Comitato appoggia l'impegno attivo dell'Unione europea nel quadro degli sforzi compiuti a livello internazionale per limitare la produzione e l'uso del mercurio nel mondo e per garantire metodi di stoccaggio e smaltimento sicuri. A tal fine, è importante che l'Europa dia il buon esempio con il proprio approccio al problema del mercurio nell'UE e promuova misure di controllo migliori a livello mondiale.

4.4

In questo contesto, considera opportuni il divieto di esportare mercurio metallico dall'Europa e l'obbligo di stoccarlo in sicurezza in attesa dello smaltimento. Si tratta di due misure particolarmente pertinenti e tempestive, senza le quali il graduale abbandono dei processi di lavorazione dei cloro-alcali basati sul mercurio avrebbe potuto comportare l'immissione di grandi quantità di mercurio eccedentario nel mercato mondiale. Il Comitato appoggia pertanto l'obiettivo generale della proposta specifica formulata dalla Commissione nel progetto di regolamento in esame, cioè vietare le esportazioni di mercurio dall'Europa e imporre uno stoccaggio sicuro delle eccedenze di mercurio in Europa.

4.5

Ciò tuttavia non può bastare. Il Comitato auspica pertanto che la Commissione continui ad adoperarsi per mettere a punto misure intese a ridurre ulteriormente l'uso del mercurio nei processi e nei prodotti utilizzati in Europa e a garantire che il mercurio presente nei flussi di rifiuti venga smaltito in condizioni di sicurezza. Esorta inoltre la Commissione a valutare quali altre misure si possano adottare a livello internazionale per promuovere una migliore gestione del mercurio nel mondo, compresa la negoziazione di misure di cooperazione adeguate per promuovere il trasferimento delle tecnologie di sostituzione del mercurio e soluzioni di cattura e stoccaggio del mercurio, nonché eventualmente un accordo internazionale sulla gestione e il controllo del mercurio.

5.   Osservazioni particolari

5.1

Il Comitato rileva che la proposta in esame riguarda solo le esportazioni di mercurio metallico (art. 1) e reputa che sia assolutamente necessario valutare ulteriormente la possibilità di estendere il divieto ai composti del mercurio e ai prodotti contenenti mercurio, come previsto dall'articolo 5. Sarebbe auspicabile indicare un calendario per questa revisione. Andrebbero altresì prese in considerazione ulteriori misure intese ad imporre la sostituzione del mercurio con materiali meno tossici o meno inquinanti nei prodotti e nei processi utilizzati nell'UE.

5.2

La Commissione aveva proposto inizialmente che il divieto entrasse in vigore nel 2011. Il Parlamento europeo, però, ha raccomandato di anticiparne l'introduzione al 2010 e, dal canto loro, le ONG continuano a fare pressione affinché l'entrata in vigore venga anticipata ulteriormente. Il Comitato reputa che il divieto legale debba entrare in vigore non appena sia ragionevolmente possibile e che fino a quel momento la Commissione e le imprese interessate andrebbero incoraggiate a fare tutto il possibile per ridurre al minimo le esportazioni.

5.3

La Commissione propone (art. 2) che il mercurio derivante da processi ormai abbandonati di lavorazione dei cloro-alcali e dalla purificazione del gas naturale, come pure quello ricavato come sottoprodotto dalle operazioni di estrazione e di fusione di metalli non ferrosi debba essere stoccato secondo modalità sicure. All'articolo 3 si specifica che lo stoccaggio può avvenire in miniere sotterranee di sale oppure in impianti progettati appositamente per lo stoccaggio temporaneo del mercurio metallico. Occorre però dimostrare che tali impianti applicano le pratiche di sicurezza e di gestione previste. Dovrebbe spettare a ciascuno Stato membro creare tali infrastrutture o associarsi ad altri Stati membri che si trovano in condizioni più favorevoli al riguardo. Tali disposizioni, unitamente al divieto di esportazione, intendono garantire che i quantitativi eccedentari di mercurio derivanti da importanti processi industriali vengano ritirati completamente dal mercato e stoccati in condizioni di sicurezza.

5.4

Il Comitato appoggia le summenzionate modalità di stoccaggio in quanto ritiene che al momento esse rappresentino la migliore soluzione possibile. Reputa molto importante che la valutazione d'impatto ambientale e le valutazioni di sicurezza che le autorità competenti devono compiere per ogni infrastruttura di stoccaggio proposta vengano effettuate in modo approfondito e rigoroso e che sia previsto un controllo regolare dei siti dopo la loro entrata in funzione. Il Comitato esorta la Commissione a chiedere agli Stati membri relazioni sui progressi compiuti in questo campo, e ad essere pronta a proporre misure supplementari qualora le modalità previste per lo stoccaggio si dimostrassero insoddisfacenti.

5.5

È importante che gli operatori che hanno utilizzato il mercurio siano tenuti a sostenere i costi relativi allo stoccaggio in condizioni di sicurezza. Il Comitato fa notare che le disposizioni relative allo stoccaggio del mercurio eccedentario derivante dall'abbandono dei processi produttivi utilizzati nell'industria dei cloro-alcali vanno adottate previa consultazione e accordo degli stabilimenti coinvolti. Prende atto inoltre del fatto che Euro Chlor sta mettendo a punto un accordo volontario parallelo al regolamento, che impegna i suoi membri ad utilizzare siti di stoccaggio sicuri. Il Comitato accoglie con favore questa iniziativa proveniente da un'associazione industriale responsabile. Esso conviene sul fatto che si tratti del modo migliore per assicurare un'applicazione efficace, a patto però che questi accordi coinvolgano tutte le industrie interessate e che se ne possa garantire l'attuazione secondo modalità trasparenti e controllabili. Raccomanda pertanto che la Commissione valuti la possibilità di concludere accordi simili con altri importanti produttori industriali di mercurio metallico, come l'industria elettrica e quella di estrazione e di fusione di metalli non ferrosi.

5.6

Il Comitato sottolinea che il controllo e l'attuazione delle nuove disposizioni saranno elementi di particolare importanza. Imporre un obbligo di stoccaggio e smaltimento per il mercurio trasformerà di fatto questa sostanza da bene economico commerciabile in un onere che comporta dei costi per chi ne è in possesso. In queste circostanze gli operatori privi di scrupoli saranno tentati di eludere i circuiti regolari di smaltimento del mercurio e di convogliarlo verso discariche abusive. Per evitare tali spiacevoli sviluppi saranno necessarie una registrazione e una supervisione rigorose.

5.7

Il Comitato esorta la Commissione a valutare l'ipotesi di prevedere azioni supplementari per attuare con urgenza anche altri elementi della strategia sul mercurio. In particolare, reputa importante che si incoraggi quanto prima la graduale soppressione dell'uso del mercurio nei prodotti di illuminazione, in gioielleria, in odontoiatria e nei cosmetici, accelerando l'introduzione di misure intese a ridurre o eliminare le emissioni di mercurio dei grandi impianti di combustione, dei crematori e di altre importanti fonti di inquinamento atmosferico da mercurio. Potrebbero essere necessarie anche altre misure per garantire che quantità significative di mercurio eventualmente riscontrate in altri flussi di rifiuti siano catturate per essere poi stoccate o smaltite, anziché essere lasciate libere di diffondersi e inquinare l'ambiente circostante. Ovviamente, tutte queste ulteriori misure andrebbero valutate fino in fondo sia per quanto riguarda il contributo di ciascuna attività al problema generale del mercurio sia sotto il profilo dei costi e dell'impatto delle soluzioni proposte.

Bruxelles, 25 aprile 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


20.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 168/47


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Consiglio relativa a orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione

COM(2006) 815 def. — 2006/0271 (CNS)

(2007/C 168/10)

Il Consiglio, in data 12 gennaio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 marzo 2007, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice O'NEILL.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 aprile 2007, nel corso della 435a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 129 voti favorevoli, 4 voti contrari e nessuna astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Ai sensi dell'articolo 128, paragrafo 2, del Trattato, se si vogliono mantenere gli attuali orientamenti in materia di occupazione occorre che essi siano confermati tramite una decisione adottata dal Consiglio previa consultazione del Parlamento europeo, del Comitato delle regioni e del Comitato economico e sociale europeo.

1.2

Il CESE approva la proposta di mantenere per il 2007 gli orientamenti in materia di occupazione fissati nel quadro del periodo 2005-2007, purché si tengano presenti gli ambiti specifici in merito ai quali sono state espresse preoccupazioni e formulate raccomandazioni.

1.3

Il Comitato raccomanda vivamente una diffusione ampia e tempestiva del calendario e della procedura da seguire a tutte le parti interessate, al fine di ottimizzare l'utilità del processo, basarsi sulla disponibilità dei partecipanti e coinvolgerli al massimo, dando loro anche il tempo sufficiente per reagire a livello dell'UE e a livello nazionale nella fase della definizione.

1.4

Il Comitato raccomanda di dare maggiore risalto, nei nuovi orientamenti in materia di occupazione, all'inserimento delle persone con esigenze speciali, tramite la definizione di obiettivi concreti e un più ampio riconoscimento delle esigenze della politica sociale. Il Comitato sottolinea l'importanza della partecipazione, sin dalle primissime fasi, delle parti sociali e della società civile alla definizione degli orientamenti da parte della Commissione e la necessità di essere consultato sul documento finale.

1.5

Si raccomanda alla Commissione di iniziare immediatamente a collaborare con il Comitato alla definizione degli orientamenti per l'occupazione, avviando contatti formali e informali al fine di adottare un approccio proattivo alla messa a punto degli orientamenti per i prossimi tre anni.

1.6

Il Comitato invita l'UE e gli Stati membri a fissare nei nuovi orientamenti obiettivi molto più ambiziosi e quantificabili che possano anche essere sottoposti ad un'analisi comparativa, e raccomanda che alla Commissione vengano conferite maggiori competenze di applicazione.

1.7

Il Comitato raccomanda che in tutti gli Stati membri vengano messi a disposizione adeguati sistemi nel campo delle TIC per migliorare la raccolta dei dati e facilitare il monitoraggio e la valutazione sia da parte degli Stati membri che della Commissione.

1.8

Il Comitato continua a raccomandare che i Programmi nazionali di riforma contengano indicazioni più concrete e definite di obiettivi, calendari, costi e disposizioni finanziarie.

2.   La proposta di decisione della Commissione

2.1

All'inizio del 2007 la Commissione ha trasmesso al Comitato una proposta elaborata nel quadro del processo di consultazione destinato a verificare la validità degli «Orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione» relativi al 2007, che devono essere confermati mediante decisione del Consiglio.

2.2

La Commissione propone che gli orientamenti in materia di occupazione per il periodo 2005-2008 (1) in base all'articolo 128 del Trattato siano mantenuti per il 2007 e che gli Stati membri tengano conto di tali orientamenti nelle politiche a favore dell'occupazione (2).

2.3

Proponendo la decisione in esame la Commissione tiene conto della nuova strategia di Lisbona in vigore dal 2005. Questa si fonda su un nuovo ciclo di governance comprendente un pacchetto di orientamenti integrati, validi fino al 2008, i quali contemplano la dimensione economica, quella sociale e quella ambientale.

2.4

Agli Stati membri è stato chiesto di elaborare dei Programmi nazionali di riforma che vengono poi valutati dalla Commissione. Nella relazione di quest'anno, procedendo all'esame di tali programmi, la Commissione ha evidenziato i progressi compiuti da ciascuno Stato membro nell'applicare gli orientamenti, e ha formulato le conclusioni che hanno ispirato la proposta di mantenere gli stessi orientamenti.

3.   Precedenti osservazioni del Comitato

Il Comitato ha formulato delle osservazioni sugli orientamenti in due precedenti pareri (3), esprimendo particolare preoccupazione per i seguenti aspetti:

le scadenze per la definizione e l'adozione degli orientamenti, molto ravvicinate nel tempo, non hanno permesso di tenere, su un tema così importante per i cittadini europei, un vero dibattito cui partecipasse tutta una serie di parti interessate sia a livello dell'UE sia a livello nazionale: ciò ha avuto un impatto sui processi democratici relativi alla definizione dei programmi nazionali,

dato che nell'ambito degli orientamenti attuali si mette l'accento sulla facoltà degli Stati di stabilire i loro propri obiettivi, persistono i timori che le misure in materia di occupazione non possano più essere giudicate rispetto a obiettivi specifici e quantificabili, come era invece previsto nei programmi precedenti. Tale scelta ha fatto sì che i programmi nazionali di riforma risultassero meno ambiziosi in materia di politica occupazionale e di diritti e doveri dei lavoratori,

occorre prestare un'attenzione molto maggiore all'inserimento dei giovani nel mercato del lavoro, soprattutto per assicurare loro una prima occupazione con prospettive future,

bisogna continuare a concentrare l'attenzione sulla lotta alle discriminazioni legate all'età, alle disabilità o alle origini etniche,

il passaggio ad un'economia della conoscenza richiede un approccio molto più rigoroso e mirato alla formazione professionale e continua per consentire un rapido adattamento alle nuove tecnologie, una ristrutturazione della base industriale e l'acquisizione da parte dei singoli di competenze trasferibili,

è opportuna una maggiore coerenza nell'integrare gli investimenti nella ricerca, nello sviluppo e nell'innovazione, sia per stimolare l'economia sia per favorire la creazione di nuovi posti di lavoro,

non è stata prestata un'attenzione sufficiente alla tematica della parità di genere e alla necessità di conciliare impegni professionali e vita familiare,

occorre prestare maggiore attenzione all'impatto dei cambiamenti demografici e alla sfida costituita dall'invecchiamento della forza lavoro,

è necessario rafforzare e monitorare l'attuazione delle politiche in materia di immigrazione e tener conto del loro impatto sulla pianificazione del mercato del lavoro a livello nazionale,

è importante disporre di finanziamenti adeguati a livello nazionale ed europeo per poter attuare le misure di politica occupazionale.

4.   Osservazioni di carattere generale

4.1

In precedenti pareri il Comitato ha accolto con favore l'adozione degli orientamenti integrati 2005-2008 e desidera ora ribadire che, per garantire il conseguimento degli obiettivi previsti, gli Stati membri devono assumersi interamente le loro responsabilità e mettere in pratica a livello nazionale le priorità concordate. Bisogna sottolineare con forza l'importanza di assicurare un'effettiva partecipazione di tutte le parti sociali e della società civile a tutte le fasi della definizione e dell'attuazione.

4.2

Il Comitato riconosce che sono stati compiuti dei progressi per quanto riguarda la crescita economica nell'UE a 25 e le misure specifiche per l'occupazione (4), ma ribadisce la propria inquietudine per le persistenti disparità nell'attuazione delle diverse misure all'interno degli Stati membri e tra di loro. Continua a ritenere che la questione non venga considerata sufficientemente urgente e prioritaria perché si possano ottenere dei cambiamenti significativi.

4.3

Il Comitato vorrebbe che la Commissione assumesse un ruolo più forte nel definire gli obiettivi a livello europeo e nazionale e nel monitorare e valutare i progressi compiuti: in questo modo si aumenterebbe l'impatto e il valore delle relazioni annuali relative ai programmi nazionali di riforma di ogni Stato membro.

4.4

Il Comitato accoglie con favore le proposte della Commissione che prevedono di utilizzare finanziamenti provenienti dai fondi strutturali, dal Fondo sociale europeo e dal Fondo di adeguamento alla globalizzazione per sostenere l'attuazione degli orientamenti a favore dell'occupazione. Il Comitato ribadisce l'importanza di mettere a disposizione finanziamenti adeguati a livello europeo e nazionale per dare la priorità alle iniziative in materia di occupazione.

4.5

Il Comitato, nel ribadire le proprie preoccupazioni per gli scarsi progressi compiuti, auspica che nel quadro degli orientamenti a favore dell'occupazione 2008-2010 vengano adottate misure e modifiche che riflettano la necessità di miglioramenti.

5.   Settori che continuano a destare preoccupazioni

Negli orientamenti per la crescita e l'occupazione del 2005 erano stati evidenziati dei settori specifici in cui occorreva apportare dei miglioramenti. Il Comitato continua a temere che tutta una serie di obiettivi continui a rimanere fuori portata e che a livello nazionale non venga data la giusta priorità a tali azioni, e auspica che nei nuovi orientamenti da pubblicare nel 2008 vengano introdotte varie misure intese a colmare queste lacune.

È poco probabile che l'obiettivo complessivo di un tasso di attività del 70 % venga raggiunto nei tempi previsti. D'altro canto, se il tasso di attività delle donne avrà raggiunto il 60 % proposto, sarà perché esso comprende posti di lavoro a tempo parziale, flessibili e temporanei.

Non verrà nemmeno realizzato l'obiettivo del tasso di occupazione del 50 % stabilito per i lavoratori anziani (di età compresa fra i 45 e i 65 anni secondo la definizione della Commissione), anche se sono stati compiuti progressi in materia.

L'inserimento delle persone con disabilità o esigenze speciali nel mercato del lavoro e lo sviluppo di strategie in tal senso continuano ad essere modesti.

Il livello della disoccupazione giovanile (che continua ad aggravarsi) desta costante preoccupazione, e si teme che non vengano adottate misure atte a porvi rimedio.

Un grave problema è quello del rapporto tra l'istruzione e il moderno mercato del lavoro: questo perché scarseggiano le competenze di base e intermedie e vi è uno squilibrio tra competenze e qualifiche da un lato ed esigenze del mercato del lavoro dall'altro.

Persistono forti dubbi quanto all'efficacia dell'attuazione delle misure a favore della formazione professionale e dell'istruzione permanente nonché all'impegno effettivo di sostenerle finanziariamente da parte del settore pubblico o privato.

Continua ad essere riservata un'importanza insufficiente all'apprendimento permanente in tutte le fasce di età, ma in particolare per quanto riguarda i lavoratori anziani. Tale lacuna desta particolare preoccupazione poiché incide sulla capacità di adattamento della forza lavoro.

Permane il problema dell'integrazione negli Stati membri dei lavoratori migranti che colmano degli importanti deficit di competenze registrati nel mercato del lavoro.

Pur sostenendo la mobilità dei lavoratori negli Stati membri, il Comitato esprime preoccupazione per l'impatto che il trasferimento di lavoratori qualificati e l'«esodo delle competenze» da un paese dell'UE a un altro produce sul paese d'origine. Occorre monitorare tale impatto e adoperarsi affinché venga mantenuta la giusta proporzione di forza lavoro competente e qualificata al fine di garantire la sostenibilità.

L'impatto sulle opportunità di lavoro a livello locale va esaminato per verificare le ragioni per cui i disoccupati non sono interessati ai posti di lavoro «locali».

L'obiettivo di un'economia della conoscenza basata sulla ricerca e sull'innovazione è ancora lontano.

Gli Stati membri riservano ancora una scarsa attenzione all'approccio integrato basato sul «ciclo di vita». Il Comitato esorta gli Stati membri a continuare a promuovere la compatibilità fra vita familiare e lavorativa. È un compito che interessa l'intera società: in particolare, la creazione di strutture per la custodia dei bambini consente di conciliare impegni familiari e professionali e permette alle donne di restare nel mercato del lavoro, oppure di ritornarvi rapidamente dopo un'interruzione (5).

Gli Stati membri devono procedere nella definizione di strategie intese a migliorare l'adattabilità dei lavoratori e delle imprese, in particolare sfruttando le potenzialità del concetto di flessicurezza  (6).

Non sono stati ancora affrontati taluni problemi concernenti l'impatto del «lavoro nero» (lavoro irregolare) sugli Stati membri e sui singoli.

In taluni Stati membri non è stato ancora adottato e attuato il calendario dei lavori riguardanti l'agenda «un lavoro dignitoso per tutti» (7) e i principi relativi alla qualità del lavoro (8).

Rispetto alla media registrata negli Stati Uniti la produttività europea rimane modesta, e questo fenomeno è correlato al tasso e al livello degli investimenti nelle risorse umane e nelle idee.

Per quanto gli investimenti pubblici nell'Unione europea siano ad un livello simile a quello statunitense, quelli privati sono decisamente inferiori.

6.   Azioni intraprese dalla Commissione

6.1

La Commissione, dopo aver ricevuto le relazioni annuali degli Stati membri, ha proceduto a un riesame concretizzatosi nella comunicazione intitolata Attuazione della strategia di Lisbona rinnovata per la crescita e l'occupazioneUn anno di realizzazioni, la quale ripercorre i progressi compiuti sinora. Quest'anno tale documento contiene un allegato particolareggiato che espone le iniziative specifiche che ciascuno Stato membro deve intraprendere. Tale iniziativa, che è fondamentale per contribuire alla valutazione dell'impatto complessivo degli orientamenti, non fa che confermare la preoccupazione del Comitato secondo cui questi temi non sono considerati urgenti e non vengono attuati in modo uniforme. La Commissione deve avere maggiori poteri nel definire gli obiettivi quantificabili, coordinare le attività e imporre la realizzazione dei progressi.

6.2

Il Comitato si compiace della valutazione d'impatto che la Commissione propone di compiere, in collaborazione con una serie di agenzie, in merito al programma triennale per misurarne l'efficacia e influire sulla definizione dei nuovi orientamenti per l'occupazione 2008-2010.

6.3

Il Comitato accoglie inoltre con favore l'idea di lanciare un processo di consultazione sui nuovi orientamenti per l'occupazione dopo che la Commissione avrà pubblicato nel dicembre 2007 il suo progetto in materia con l'obiettivo di presentare la proposta definitiva per adozione al Consiglio nel giugno 2008. Il Comitato sottolinea l'importanza di consultare e di coinvolgere quanto prima gli Stati membri e tutti i soggetti interessati durante tale processo, a livello sia europeo che nazionale.

6.4

Il Comitato ritiene molto importante poter esaminare la suddetta «valutazione d'impatto» al più presto nel corso del 2007, per prendere conoscenza del contenuto, ricevere informazioni e reagire in maniera proattiva in modo da poter influire sullo sviluppo degli orientamenti e sulla definizione dei programmi nazionali.

Bruxelles, 25 aprile 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  COM(2005) 141 def.: Orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione (2005-2008).

(2)  COM(2006) 815 def.: Proposta di decisione del Consiglio relativa a orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione.

(3)  Parere del CESE in merito alla Proposta di decisione del Consiglio sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione (relatore: MALOSSE), GU C 286 del 17.11.2005, e parere del CESE in merito alla Proposta di decisione del Consiglio relativa a orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione (relatore: GREIF), GU C 195 del 18.8.2006.

(4)  COM(2006) 816 def.: Attuazione della strategia di Lisbona rinnovata per la crescita e l'occupazione «Un anno di realizzazioni».

(5)  Parere del CESE in merito alla Proposta di decisione del Consiglio sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione (relatore: MALOSSE), GU C 286 del 17.11.2005, punto 3.2.3, pag. 41.

(6)  Parere del CESE sul tema Flessicurezza: il caso della Danimarca (relatrice: VIUM), GU C 195 del 18.8.2006.

(7)  Parere del CESE sul tema Promuovere la possibilità di un lavoro dignitoso per tutti, 17.1.2007 (CESE 92/2007), relatore: ETTY.

(8)  COM(2003) 728 def.: Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniMigliorare la qualità del lavoro: un'analisi degli ultimi progressi.


20.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 168/50


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Verso una politica marittima dell'Unione: una visione europea degli oceani e dei mari

COM(2006) 275 def.

(2007/C 168/11)

La Commissione europea, in data 7 giugno 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 marzo 2007, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice BREDIMA-SAVOPOULOU e dai correlatori CHAGAS e NILSSON.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 aprile 2007, nel corso della 435a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 157 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Libro verde in oggetto elabora una nuova concezione del mare nell'UE e in quanto tale è da accogliere positivamente. Per la prima volta, infatti, viene rovesciata la prospettiva terrestre delle politiche comunitarie. Il messaggio simbolico del Libro verde, secondo cui l'Europa è ed è stata soprattutto un continente marittimo, segna una svolta nell'atteggiamento dell'UE nei confronti del mare.

1.2

Il Libro verde promuove un approccio organico, strategico e intersettoriale agli oceani. L'idea di sostituire alla frammentazione una visione globale merita ampio sostegno.

1.3

Gli elementi positivi del Libro verde superano di gran lunga gli aspetti potenzialmente negativi. Pur appoggiando la maggior parte delle proposte in esso contenute (riguardanti la pesca, i porti, la cantieristica navale, il trasporto marittimo, le regioni costiere, l'energia offshore, la R&S, l'ambiente, il turismo e la biotecnologia «blu»), il CESE desidera formulare alcune osservazioni specifiche.

1.4

Il Comitato approva il riconoscimento, da parte del Libro verde, del ruolo essenziale svolto dai servizi marittimi e dai porti dell'UE in un'economia globale, come pure l'affermazione del carattere internazionale del trasporto marittimo e della conseguente necessità di regole condivise a livello mondiale. L'UE deve intervenire con azioni positive per rovesciare l'immagine negativa che l'opinione pubblica ha del trasporto marittimo e far sì che il contributo alla società di questo settore e di chi vi lavora sia debitamente apprezzato. Il CESE concorda nel ritenere che gli Stati membri debbano ratificare tempestivamente le maggiori convenzioni internazionali (OMI e OIL) e garantirne un'adeguata applicazione.

1.5

I cluster marittimi dovrebbero occupare una posizione centrale nella futura politica marittima dell'Unione. Il CESE ritiene che l'UE debba commissionare uno studio volto a definire e comparare i cluster europei con quelli di altre zone del mondo. I cluster marittimi europei contribuiranno a mantenere vivo il know-how dell'UE in questo settore.

1.6

Una politica marittima integrata deve porsi come obiettivo centrale il potenziamento degli investimenti nell'istruzione e nella formazione marittima per poter garantire servizi sicuri, efficienti e di elevata qualità. La potenziale carenza di marittimi qualificati presenta conseguenze allarmanti per l'infrastruttura della sicurezza marina, e la situazione è destinata ad aggravarsi a meno che non vi sia uno sforzo concertato da parte dell'UE e dei governi degli Stati membri. Senza un'adeguata disponibilità di personale qualificato, l'Europa perderà progressivamente le conoscenze e l'esperienza necessaria per l'espletamento di attività marittime cruciali ai fini della sicurezza (ispezioni delle navi, rilevamenti, aspetti giuridici e assicurativi, servizi di traffico marittimo, salvataggio, guardia costiera e pilotaggio). Interi cluster marittimi potrebbero inoltre disgregarsi o trasferirsi in altre regioni.

1.7

Il CESE nota che pescatori e lavoratori marittimi sono esclusi da molti aspetti della legislazione sociale europea (ad esempio, le direttive sui licenziamenti collettivi (1), sui trasferimenti di imprese (2), sull'informazione e la consultazione dei lavoratori (3) e sul distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi (4)). Qualunque siano le ragioni di tale esclusione, è importante mettere fine, ove necessario, alla discriminazione che ne consegue. Il CESE invita perciò la Commissione a riconsiderare tale esclusione in stretta concertazione con le parti sociali.

1.8

Il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici che ne derivano lasciano intravedere scenari come la scomparsa di intere isole, l'inondazione di aree costiere, il depauperamento delle risorse ittiche, l'estinzione di taluni microrganismi marini, con le relative conseguenze sulla catena alimentare, e un possibile innalzamento del livello del mare di 7 metri entro il 2050. Il CESE esorta la Commissione ad affrontare questo problema generale nelle appropriate sedi internazionali e ad adottare essa stessa da subito un approccio ambientale integrato per tutte le sue azioni, non solo quelle dedicate al mondo marittimo, ma tutte quelle che formano oggetto di proposta al Parlamento e al Consiglio.

1.9

Il CESE è dell'avviso che la lotta alle emissioni atmosferiche possa provocare conseguenze indesiderate e incongruenze tra le diverse politiche. L'inquinamento atmosferico è un tema complesso e la riduzione di una determinata sostanza inquinante può incidere negativamente su altri inquinanti, ad esempio i gas a effetto serra. A giudizio del CESE la soluzione migliore consisterebbe nell'adottare un approccio internazionale globale finalizzato a un miglioramento generale dell'ambiente sul lungo periodo.

1.10

Il CESE osserva che, in mancanza di un migliore combustibile di bordo, l'industria marittima è costretta a utilizzare il gasolio di pessima qualità prodotto dalle raffinerie. Invita perciò la Commissione a esaminare la qualità dei combustibili di bordo per favorire una svolta sulla questione delle emissioni atmosferiche prodotte dalle navi.

1.11

Il CESE prende atto che l'idea di uno «spazio marittimo europeo comune» si riferisce unicamente a uno spazio marittimo virtuale caratterizzato dalla semplificazione delle formalità amministrative e doganali per i servizi marittimi intracomunitari, i quali risultano così assoggettati a un regime analogo a quello in vigore nel mercato interno per il trasporto stradale e ferroviario. Una volta che la Commissione abbia chiarito certi aspetti e li abbia esposti con chiarezza nella comunicazione, questo approccio può essere sostenuto dal CESE purché rispetti nelle acque internazionali la Convenzione ONU sul diritto del mare (Unclos) e le convenzioni dell'OMI, compresi la libertà di navigazione e il diritto di passaggio inoffensivo all'interno della zona economica esclusiva (ZEE).

1.12

Il CESE raccomanda vivamente la creazione di «Stati costieri di qualità», che rappresentano attualmente l'anello mancante della catena della qualità. Tali Stati dovrebbero fornire servizi essenziali alle navi: impianti adeguati di raccolta dei rifiuti, luoghi di rifugio per le navi in pericolo, diritto di passaggio inoffensivo, equo trattamento dei lavoratori marittimi e assistenza alla navigazione. Questo concetto dovrebbe essere discusso dall'UE in seno all'OMI al fine di mettere a punto criteri misurabili per valutare le prestazioni degli Stati costieri.

1.13

Il CESE apprezza il riconoscimento, da parte del Libro verde, del proprio possibile ruolo nell'attuazione della politica marittima, compresa la pianificazione del territorio. Il Comitato può altresì contribuire a promuovere l'identità e il patrimonio culturale marittimo dell'UE e a sensibilizzare l'opinione pubblica al problema del riscaldamento globale.

1.14

Il Libro verde rappresenta il primo tentativo, nella definizione delle politiche europee, di spostare l'attenzione dalla terra al mare. Il CESE si congratula con la Commissione per avere così ristabilito l'equilibrio e afferma, parafrasando la frase di Temistocle «Avremo una terra e una patria fintanto che avremo navi e mari», che l'Europa avrà un futuro fintanto che avrà navi e mari.

1.15

Il CESE chiede alla Commissione di essere consultato sul piano d'azione che verrà elaborato sulla base del Libro verde.

2.   Introduzione

2.1

In un arco di vita di cinquant'anni l'UE ha elaborato numerose politiche che interessano il mare: politiche in materia di trasporti marittimi, porti, cantieristica navale, pesca, ambiente marino, regioni costiere e energia offshore. Queste politiche sono però state sviluppate separatamente, senza massimizzarne le sinergie. Ora però è giunto il momento di riunirle e di formulare una nuova, più ampia visione del futuro.

2.2

Il 7 giugno 2006 la Commissione europea ha pubblicato il Libro verde Verso una politica marittima dell'Unione: una visione europea degli oceani e dei mari. Questa iniziativa del Presidente Barroso va vista nel contesto degli obiettivi strategici della Commissione per il periodo 2005-2009, obiettivi che hanno evidenziato l'esigenza di una politica marittima onnicomprensiva volta a promuovere la prosperità dell'economia marittima e a sviluppare tutto il potenziale delle attività marittime in modo ecologicamente sostenibile. Il commissario Borg è stato incaricato di dirigere una task force di commissari appositamente creata sulla politica marittima.

2.3

Il Libro verde solleva interrogativi cruciali in svariati campi, utilizzando un approccio organico integrato che consente di stabilire collegamenti fra i vari settori. Questo documento, che è già di per sé il frutto di un processo di consultazione con le parti interessate, ha avviato a sua volta uno dei più vasti processi di consultazione nella storia dell'UE, in cui si chiede direttamente ai cittadini come vogliono affrontare le questioni che riguardano i mari e gli oceani.

2.4

Dall'inizio degli anni Ottanta, il CESE ha seguito da vicino la strada intrapresa dall'UE per definire le varie politiche settoriali, contribuendo alla loro formulazione con una serie di pareri coerenti. Esso condivide ora l'idea della Commissione secondo cui occorre una nuova visione strategica per il futuro.

3.   Osservazioni generali

3.1   Il contesto

3.1.1

Il Libro verde elabora una nuova concezione dei mari nell'UE e in quanto tale è da accogliere positivamente. Il suo sottotitolo («È assurdo definire 'Terra' un pianeta composto per lo più da oceani») è significativo e rivelatore delle intenzioni perseguite dalla Commissione con questo documento, dove per la prima volta si rovescia la prospettiva terrestre delle politiche comunitarie. L'aspetto più importante del Libro verde è il suo messaggio simbolico: il fatto cioè che l'Europa è innanzitutto un continente marittimo. L'UE possiede una ricca cultura marittima che non può essere dimenticata. Fin dall'antichità l'Europa è stata la culla di numerose civiltà marinare: i Greci, gli Italiani, gli Spagnoli, i Britannici, i Portoghesi, i popoli scandinavi (Vichinghi), i Tedeschi (Lega anseatica) e gli Olandesi. Oggi, la Grecia, Cipro e Malta sono tra i primi dieci paesi al mondo per numero di iscrizioni nei rispettivi registri navali.

3.1.2

Il Libro verde giunge in un momento di profondi cambiamenti strutturali nell'andamento degli scambi marittimi mondiali, caratterizzato da un lato dall'avvento di navi gigantesche, di porti e terminali enormi, di una logistica moderna, di un commercio senza supporto cartaceo e dal continuo sviluppo delle navi portacontainer cellulari; dall'altro, dall'incremento delle formalità che gli equipaggi devono sbrigare nei porti in tempi record, dall'intensificarsi della pirateria moderna e del terrorismo e da crescenti pressioni sulle imprese perché adottino pratiche di responsabilità sociale. La globalizzazione, con tutte le sue conseguenze positive e negative, si manifesta in modo evidente in questo settore.

3.1.3

Il Libro verde va inoltre visto nel contesto dell'emergere delle nuove potenze commerciali (i cosiddetti BRIC: Brasile, Russia, India e Cina), dello stallo dei negoziati dell'OMC e del fatto che il 40 % della flotta mondiale appartenga ormai ai paesi dell'area del Pacifico e un altro 40 % ai paesi europei. L'intero dibattito si svolge in una fase segnata dal rincaro del petrolio, da discussioni continue sulla sicurezza degli approvvigionamenti energetici e sulle fonti di energia alternative e da timori legati al riscaldamento globale.

3.1.4

Il tema del mare abbraccia molteplici aspetti e attività umane (pesca, ambiente, trasporti, R&S, esplorazione del fondo marino, energia, cantieristica navale, porti, turismo). Il Libro verde esamina le complesse interrelazioni tra attività marine e marittime, propugnando un modo più integrato di fare politica.

3.2   Aspetti economici

3.2.1

Il CESE plaude alla maggiore importanza che il Libro verde attribuisce alla dimensione marittima dell'Europa, cosa che segna una svolta nel modo in cui l'UE guarda al mare. Il Libro verde sottolinea il ruolo essenziale che i servizi di trasporto marittimo svolgono ai fini dell'economia europea, della vita quotidiana e del benessere dei cittadini europei, spesso senza che questi ne siano consapevoli. Il CESE condivide l'affermazione relativa alla competitività internazionale delle attività marittime e dei porti nell'era della globalizzazione, come pure la necessità di stabilire condizioni di concorrenza eque nel mercato mondiale. Il trasporto marittimo e i porti vengono riconosciuti come elementi chiave delle catene logistiche che collegano il mercato unico all'economia mondiale. Questi settori sono in realtà leader mondiali, non industrie sul viale del tramonto e sono entrambi elementi chiave della strategia di Lisbona, volta a fare dell'Europa la potenza commerciale più competitiva al mondo. Il CESE osserva che recentemente la cantieristica navale europea ha registrato grandi successi in alcune categorie navali specializzate.

3.2.2

Il Libro verde inciderà inoltre positivamente sull'immagine del trasporto marittimo e sullo sviluppo di cluster marittimi che, essendo i più grandi al mondo, dovrebbero occupare un posto centrale nella futura politica marittima dell'Unione. Il CESE ritiene che l'UE debba commissionare uno studio volto a definire e comparare i cluster marittimi europei con quelli di altre zone del mondo. I cluster marittimi europei saranno un modo per mantenere vivo il know-how dell'Unione in questo settore.

3.2.3

L'UE dovrebbe stimolare iniziative volte a infondere nei cittadini un'immagine positiva del trasporto marittimo e dei porti. Bisognerebbe in particolare affrontare il problema della congestione dei porti e delle altre strozzature che limitano l'efficienza dei servizi, e investire nei porti e nei collegamenti con l'entroterra al fine di dotare l'Europa di catene logistiche efficienti e ininterrotte. Un sistema di trasporto europeo integrato dovrebbe consentire di valorizzare ulteriormente la crescita conosciuta nell'ultimo decennio dal trasporto marittimo a corto raggio.

3.2.4

Pur riconoscendo che quasi il 90 % del commercio estero dell'UE si svolge via mare, che il commercio intracomunitario rappresenta più del 40 % del totale e che oltre il 40 % della flotta mercantile mondiale è controllata da persone residenti in Europa, il Libro verde pone l'accento esclusivamente sul trasporto marittimo a corto raggio e sul concetto delle «autostrade del mare». Eppure, non bisognerebbe sottovalutare la crescente partecipazione dei servizi marittimi europei alle attività commerciali tra paesi terzi e altri continenti.

3.3   Aspetti sociali

3.3.1

La globalizzazione comporta alcune sfide specifiche per quanto riguarda l'occupazione nel comparto marittimo. Il CESE dà pienamente atto dell'importanza di mantenere vivo il know-how europeo in questo settore: ciò è essenziale sia per il comparto stesso che per il mantenimento dei cluster marittimi, i quali sono fondamentali per gli interessi economici e sociali della Comunità. Le numerose azioni attualmente in corso a livello tanto nazionale quanto comunitario e internazionale possono essere utilmente sfruttate in questo senso e le parti sociali hanno un importante ruolo da svolgere in tale ambito. Insieme esse possono apportare un contributo di rilievo al potenziamento del know-how marittimo europeo e delle opportunità occupazionali dei lavoratori marittimi europei. Il CESE esorta la Commissione a fare fronte comune con gli Stati membri per sensibilizzare i cittadini e migliorare l'immagine del comparto e dei lavoratori marittimi.

3.3.2

Una politica marittima integrata deve essere incentrata sul potenziamento degli investimenti nell'istruzione e nella formazione per poter garantire servizi sicuri, efficienti e di elevata qualità. La potenziale carenza di marittimi qualificati presenta conseguenze allarmanti per l'infrastruttura della sicurezza marina, e la situazione è destinata ad aggravarsi a meno che non vi sia uno sforzo concertato da parte dell'UE e dei governi degli Stati membri. Senza un'adeguata disponibilità di personale qualificato, l'Europa perderà progressivamente le conoscenze e l'esperienza necessaria per l'espletamento di attività marittime fondamentali ai fini della sicurezza (ispezioni delle navi, rilevamenti, aspetti giuridici e assicurativi, servizi di traffico marittimo, salvataggio, guardia costiera e pilotaggio). Interi cluster marittimi potrebbero inoltre disgregarsi o trasferirsi in altre regioni.

3.3.3

Le possibilità per gli ex marittimi di trovare impiego a terra costituiscono un importante elemento di richiamo per questo tipo di carriera. Il progetto relativo al piano di carriera dell'Associazione armatori della Comunità europea (European Community Shipowners Association — ECSA) e della Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (European Transport Workers Federation — ETF) sarebbe utile per illustrare le possibili prospettive di carriera della gente di mare, al fine di aumentare l'attrattiva della professione marittima. Questo approccio andrebbe promosso e applicato a livello nazionale.

3.3.4

Un quadro comunitario adeguato, tale da promuovere il know-how e la formazione marittima europea, avrà effetti positivi sull'intero complesso dei cluster marittimi (5). Occorre intervenire per sostenere maggiormente la formazione dei marinai semplici che vogliono diventare ufficiali e gli investimenti negli istituti nautici (istruzione e formazione marittima) in tutta l'UE, onde garantire una formazione che sia conforme alle migliori pratiche e fornisca un insieme di competenze in linea con lo sviluppo tecnologico (es., l'e-navigation).

3.3.5

La Convenzione dell'OIL sulle norme del lavoro marittimo (2006) (6), adottata all'unanimità e che sostituisce 30 importanti convenzioni della medesima organizzazione, fornirà una base solida, completa e globale alle norme sul lavoro marittimo. Il CESE sostiene i negoziati in corso tra le parti sociali dell'UE per trasporre tale convenzione nel diritto comunitario tramite un accordo tra le parti sociali che tenga conto della clausola di inderogabilità in peius compresa nella convenzione dell'OIL. La futura politica marittima dell'Unione dovrebbe esigere dagli Stati membri la ratifica e l'attuazione della Convenzione sulle norme del lavoro marittimo, che costituisce la carta dei diritti dei lavoratori del settore. Analogamente la Commissione viene esortata a sviluppare tutti i possibili contatti per assicurare che, dopo il fallito tentativo del 2005, nel 2007 venga finalmente adottata la convenzione dell'OIL sulle condizioni di lavoro a bordo dei pescherecci.

3.3.6

Il CESE reputa che vi sia il margine per migliorare l'immagine generale dell'attività e della professione marittima attraverso apposite campagne, concepite in funzione delle diverse situazioni nazionali. Anche il CESE può dare il suo contributo alla promozione dell'identità e del patrimonio culturale marittimo europeo, mentre l'istituzione di una Giornata marittima europea o di una Giornata europea dei mari in occasione dell'Anno europeo del dialogo interculturale (7) potrebbe concorrere a sensibilizzare gli europei all'importanza del comparto marittimo.

3.3.7

Ulteriore esame merita l'idea di creare programmi di formazione finanziati dalle diverse parti coinvolte nei cluster marittimi, per assicurare il mantenimento di un'offerta adeguata di know-how marittimo che possa poi essere utilizzato nelle attività terrestri correlate.

3.3.8

Il CESE deplora che il Libro verde non tratti gli aspetti sociali riguardanti i lavoratori che svolgono attività di mare diverse dai trasporti e dalla pesca. Esorta la Commissione ad esaminare le problematiche sociali di altre attività del settore, ad esempio la cantieristica, il pilotaggio, i porti, l'energia e l'esplorazione del fondo marino.

3.4   Aspetti ambientali

3.4.1

Il CESE condivide l'idea espressa nel Libro verde che per migliorare la competitività e l'occupazione in Europa è essenziale preservare le risorse marine europee. Esprime preoccupazione per la crescente minaccia posta all'ambiente marino dalle attività umane e dalle catastrofi naturali. La protezione del mare rappresenta una condizione imprescindibile per la sostenibilità a lungo termine del nostro pianeta. Il CESE ritiene che un approccio intersettoriale integrato possa fornire un importante strumento per consentire a tutti i soggetti interessati di contribuire a una gestione sostenibile dell'ambiente naturale, massimizzando le sinergie tra i sottosettori.

3.4.2

La diversità biologica dell'ambiente marino deve essere salvaguardata per mezzo di politiche comunitarie coerenti che responsabilizzino tutti i soggetti interessati. Si invita la Commissione a intraprendere uno studio che consenta di appurare in termini scientifici in che modo l'ambiente marino e la diversità biologica possono contribuire al miglioramento della vita umana. La soluzione migliore consiste nell'adozione di un approccio organico che sia globalmente benefico per l'ambiente sul lungo periodo.

3.4.3

Nel quadro di un tale approccio, il CESE invita la Commissione ad affrontare il problema dell'inquinamento da fonti terrestri (attività industriali, urbane e rurali), che rappresenta l'80 % dell'inquinamento totale dei mari. Il Libro verde sembra inoltre ignorare l'importante contributo dato all'inquinamento dalle imbarcazioni da diporto, problema, questo, che va affrontato con urgenza. Il CESE ritiene che l'UE debba definire una politica di lotta contro il traffico marittimo di rifiuti tossici (esportazione verso paesi terzi). Sia l'attuazione della Convenzione HNS che la direttiva sul monitoraggio delle navi e la proposta di direttiva per la tutela penale dell'ambiente vanno in questa direzione.

3.4.4

Una delle conseguenze indesiderate e delle incongruenze tra le diverse politiche riguarda la lotta alle emissioni atmosferiche. Nel luglio 2006 il G8 ha ravvisato nelle emissioni atmosferiche dei trasporti un'area prioritaria di intervento per affrontare il problema del riscaldamento globale. La recente comunicazione Limitare il surriscaldamento dovuto ai cambiamenti climatici a +2 gradi CelsiusLa via da percorrere fino al 2020 e oltre  (8) prevede precise limitazioni alle emissioni dei trasporti e dei gas a effetto serra. L'inquinamento atmosferico è un problema complesso e la riduzione delle emissioni di una data sostanza inquinante può incidere negativamente su altri inquinanti, ad esempio i gas a effetto serra. Pur sostenendo la riduzione delle emissioni di CO2 prodotte dalle navi, il CESE evidenzia che essa avrà scarso impatto a meno che non vi sia un'equivalente riduzione delle emissioni dovute alle attività terrestri, di gran lunga le principali responsabili del riscaldamento globale. In base al rapporto Stern, recentemente pubblicato nel Regno Unito (9), dai trasporti proviene appena il 14 % delle emissioni di gas a effetto serra, mentre le emissioni del trasporto marittimo e ferroviario rappresentano l'1,75 % delle emissioni mondiali.

3.4.5

In una serie di pareri precedenti, il CESE ha sottolineato che gli Stati membri dovrebbero ratificare tempestivamente le convenzioni internazionali sulla sicurezza marittima e la protezione ambientale e garantirne la corretta applicazione. Benché il trasporto marittimo sia il sistema di trasporto più efficiente dal punto di vista energetico e il più rispettoso dell'ambiente, il CESE sostiene l'idea prevalente su scala internazionale, secondo cui i limiti alle emissioni atmosferiche vanno abbassati ulteriormente rispetto ai livelli recentemente resi vincolanti dall'allegato VI della Convenzione Marpol (10). Le misure per ridurre le emissioni marittime devono essere economicamente efficaci e non tradursi in uno spostamento del trasporto marittimo europeo verso modi di trasporto ecologicamente meno sostenibili. L'UE dovrebbe inoltre promuovere, previa consultazione delle parti sociali, una politica volta a creare dei cantieri per lo smantellamento delle navi (sia mercantili che militari) che hanno concluso il loro ciclo di vita.

3.4.6

Il CESE sostiene l'obiettivo della strategia tematica per la protezione e la conservazione dell'ambiente marino. Dal punto di vista ambientale potrebbe essere opportuno suddividere la zona marina dell'UE in più regioni per stabilire le esigenze di ognuna (pianificazione dello spazio marino), riconoscendo così che ciò che è necessario o migliore per una regione non lo è necessariamente per un'altra. Il CESE apprezza il riconoscimento, da parte della Commissione, del proprio ruolo di forum per lo scambio di idee sull'applicazione dei principi generali della politica marittima, compresa la pianificazione del territorio.

4.   Osservazioni specifiche

4.1   Legiferare meglio

4.1.1

Il Comitato plaude al riconoscimento dell'esigenza di legiferare meglio per evitare incongruenze tra le politiche comuni (ad esempio, tra i trasporti e l'ambiente o tra i trasporti e la concorrenza), come pure all'intento della Commissione di adoperarsi per creare condizioni di concorrenza internazionale eque sul piano normativo e applicativo. Merita inoltre sostegno l'idea dell'autoregolamentazione come strumento integrativo rispetto alla legislazione.

4.1.2

Il CESE appoggia pienamente la linea adottata dal Libro verde, che limita l'intervento dell'UE ai soli casi in cui esso apporta un valore aggiunto. L'UE è stata stigmatizzata per la sua tendenza a «europeizzare» diverse questioni che possono essere affrontate adeguatamente a livello nazionale o internazionale. Nel contesto di una migliore attività legislativa, questa critica va tenuta in seria considerazione in sede di elaborazione delle politiche future.

4.2   Relazioni esterne

4.2.1

Riguardo alla proposta di una futura partecipazione dell'UE alle organizzazioni marittime internazionali come soggetto a sé stante e parallelamente agli Stati membri, l'apporto degli Stati membri in termini di know-how alle organizzazioni internazionali (come l'OMI o l'OIL) gode di ampio credito e, anziché ridurlo, andrebbe intensificato. Al momento esiste il margine per un rafforzamento della cooperazione e del coordinamento tra gli Stati membri dell'UE nel contesto delle organizzazioni internazionali. Il CESE sostiene l'obiettivo di far sì che la Commissione possa far pressione nei riguardi dei paesi terzi perché applichino e ratifichino le principali convenzioni marittime internazionali (es.: la Convenzione Bunker Oil, la Convenzione HNS e la Convenzione LLMC del 1996).

4.2.2

Una politica delle relazioni marittime esterne che sia allo stesso tempo efficace ed efficiente deve vegliare a garantire un buon quadro operativo internazionale per i servizi di trasporto marittimo. I negoziati dell'OMC sui servizi (GATS) sono stati importanti per garantire l'accesso al mercato. L'accordo di sospensione (che impedisce l'adozione di nuove misure marittime protezionistiche da parte degli Stati membri dell'OMC) dovrebbe rimanere in vigore nonostante l'interruzione dei negoziati del ciclo di Doha. L'accordo marittimo bilaterale con la Cina ha stabilito un quadro operativo favorevole allo sviluppo di relazioni costruttive con questo paese, per cui converrebbe concluderne uno analogo anche con l'India.

4.2.3

Il Libro verde sostiene la necessità di sviluppare ulteriormente il sistema giuridico basato sulla Convenzione Unclos (11) per far fronte a nuove sfide. Il CESE ritiene che tale convenzione rifletta un delicato equilibrio di interessi che non dovrebbe essere turbato, in particolare per quanto riguarda i concetti di «libertà di navigazione» e di «diritto di passaggio inoffensivo» all'interno della zona economica esclusiva (ZEE). Altri Stati costieri potrebbero infatti prendere spunto per negare la «libertà di navigazione» per scopi meno benevoli e ciò potrebbe incidere gravemente sul commercio marittimo in alcune delle vie d'acqua strategicamente più importanti al mondo.

4.3   Lo spazio marittimo europeo comune

4.3.1

L'idea di considerare l'UE come un'entità unica a fini doganali e amministrativi non può che essere apprezzata, purché rispetti nelle acque internazionali la Convenzione ONU sul diritto del mare (Unclos) e le convenzioni dell'OMI, compresi la libertà di navigazione e il il diritto di passaggio inoffensivo all'interno della zona economica esclusiva (ZEE). Il CESE prende atto che l'idea di uno «spazio marittimo europeo comune» si riferisce unicamente a uno spazio marittimo virtuale caratterizzato dalla semplificazione delle formalità amministrative e doganali per i servizi marittimi intracomunitari, i quali risultano così assoggettati a un regime analogo a quello in vigore nel mercato interno per il trasporto stradale e ferroviario o per la navigazione interna. Una volta che la Commissione abbia chiarito certi aspetti e li abbia esposti con chiarezza nella comunicazione, questo approccio può essere sostenuto dal CESE (12).

4.4   L'ambiente marino

4.4.1

La questione della qualità dell'aria a livello locale e regionale dovrebbe essere affrontata attraverso i meccanismi della Convenzione Marpol, tramite l'eventuale creazione di zone aggiuntive di controllo delle emissioni di zolfo (SECA). Il carburante a basso contenuto di zolfo richiede ulteriori investimenti nelle raffinerie e un apporto di energia per la rimozione dello zolfo che potrebbe far aumentare le emissioni di CO2 e contribuire al riscaldamento globale. Oltre a ciò, applicare una molteplicità di livelli diversi di controllo delle emissioni nelle varie zone e porti del mondo non è una soluzione praticabile.

4.4.2

Per quanto riguarda l'inquinamento atmosferico provocato dalle navi, l'affermazione secondo cui «nel 2020 le emissioni di NOx prodotte dalle navi supereranno quelle complessivamente derivanti da tutte le fonti terrestri» è opinabile. Il CESE invita la Commissione a tener conto delle ripercussioni dei cambiamenti climatici sulla navigazione e ad esaminare le rotte delle navi nell'Artico.

4.4.3

La protezione dell'ambiente marino e della biodiversità nelle acque situate oltre le giurisdizioni nazionali è diventata un tema prioritario per la comunità internazionale. In questo contesto va chiarita la relazione tra la Convenzione Unclos e la Convenzione sulla biodiversità. L'UE e gli Stati membri dovrebbero partecipare attivamente alla valutazione dell'ambiente marino mondiale effettuata sotto l'egida dell'ONU.

4.4.4

La Commissione ha proposto una strategia ambientale a lungo termine per la depurazione e la protezione del Mediterraneo. Questo ecosistema unico al mondo si sta deteriorando con l'intensificarsi delle pressioni ambientali che minacciano la salute delle persone e le attività economiche dipendenti dal mare. Meritano del pari speciale attenzione il Mar Baltico e il Mar Nero, due mari praticamente chiusi, per via delle grandi quantità di petrolio proveniente dalla Russia che vi transitano, dell'aumento complessivo del traffico e dell'eutrofizzazione causata da sostanze di origine terrestre o fluviale. È inoltre in corso un delicato dibattito sull'impatto ambientale del proposto oleodotto germano-russo nel Mar Baltico. I problemi di cui sopra sono aggravati dalle attività delle navi militari, che esulano dal campo d'applicazione delle norme comunitarie e le cui attività sono sempre più dannose all'ambiente e al turismo.

4.5   La pesca

4.5.1

Il settore della pesca (13) è fortemente legato all'esistenza di un ambiente marittimo sostenibile. Il suo futuro presuppone un ecosistema marittimo che funzioni in modo ottimale dal punto di vista biologico, economico e sociale.

4.5.2

Il Codice di condotta della FAO per una pesca responsabile potrebbe servire da riferimento a tutte le amministrazioni responsabili della pesca. Il comparto alieutico deve mettere a punto strumenti (ad esempio attrezzi e arnesi da pesca) più selettivi, in grado di ridurre i danni al fondo marino. Nel quadro di un approccio integrato occorre creare zone marittime protette per salvare i biotopi dalla minaccia della pesca illegale o incontrollata e disporre di migliori statistiche sulle catture effettuate. Una migliore pianificazione del territorio potrebbe contribuire a sviluppare il turismo marino, proteggere le zone di pesca, favorire lo sviluppo regionale e incrementare l'occupazione nel settore marittimo all'interno delle aree rurali.

4.6   La guardia costiera europea

4.6.1

Il CESE si interroga sul valore aggiunto che potrebbe apportare, in questa fase, l'idea di una guardia costiera europea. Lo studio di fattibilità che sarà presentato prossimamente fornirà valide informazioni sulla posizione della Commissione al riguardo. Tenuto conto delle differenze esistenti tra le strutture, le funzioni e le competenze dei diversi organismi nazionali degli Stati membri, il CESE ritiene che gli obiettivi auspicati si possano ottenere anche tramite una cooperazione rafforzata tra le autorità competenti degli Stati membri, in particolare per quanto riguarda la sicurezza, l'immigrazione clandestina, il traffico illecito e le indagini comuni sugli incidenti.

4.7   Il registro europeo

4.7.1

Desta inoltre preoccupazione la proposta di creare un registro europeo complementare e facoltativo (ad esempio EUROS). Per quanto allettante sia l'idea di adottare la bandiera dell'UE come simbolo dell'unità e dell'eccellenza europea, sarebbe prematuro farlo prima di aver proceduto all'armonizzazione delle politiche economiche, fiscali e sociali degli Stati membri. Una tale proposta potrebbe essere vista come il coronamento di un processo di armonizzazione generale da compiersi in un futuro lontano, che per il momento non si profila ancora all'orizzonte. Inoltre, l'uso dell'espressione «registro europeo complementare» è fuorviante e induce a chiedersi quali altri vantaggi possa apportare un tale registro rispetto a quelli nazionali, in virtù degli orientamenti comunitari. Le misure positive e gli altri incentivi potrebbero essere razionalizzati attraverso tali orientamenti ed essere messi a disposizione di tutti i registri nazionali. Comunque sia, la creazione di uno specifico registro comunitario dovrebbe procedere di pari passo con il riconoscimento ed il rafforzamento del diritto sociale europeo applicabile a tale nuovo registro.

4.8   Stati costieri di qualità

4.8.1

Il CESE raccomanda fortemente la creazione di Stati costieri «di qualità», i quali rappresentano al momento l'anello mancante della catena della qualità, e che dovrebbero fornire servizi essenziali alle navi. Uno Stato costiero di qualità è quello, ad esempio, che adempie gli obblighi internazionali ratificando e attuando le convenzioni internazionali sottoscritte, ottempera agli orientamenti dell'OMI/OIL sull'equo trattamento dei marittimi, fornisce adeguate strutture di raccolta dei rifiuti, provvede alla manutenzione delle sue strutture di assistenza alla navigazione e all'aggiornamento delle carte nautiche, fornisce rifugio alle navi in pericolo (anziché rischiare una catastrofe ambientale negando l'accesso alle sue strutture), garantisce che sia fatto il necessario per facilitare il passaggio inoffensivo delle navi nelle sue acque e offre incentivi per indurre le navi di qualità a fare scalo nei suoi porti o a navigare nelle sue acque. Purtroppo alcuni paesi costieri appaiono in generale poco inclini ad assumere questo importante ruolo.

4.8.2

Il Libro verde offre l'opportunità di sviluppare criteri misurabili e «migliori pratiche» a uso degli Stati costieri. Questo concetto dovrebbe essere discusso dagli Stati membri dell'UE all'interno dell'OMI al fine di mettere a punto criteri misurabili per valutare le prestazioni degli Stati costieri.

4.8.3

Il CESE sostiene la proposta del Comitato delle regioni (14) di istituire un Fondo costiero e insulare europeo che copra più attività marittime.

4.9   Il turismo costiero

4.9.1

Il CESE osserva che l'Europa è la prima meta turistica al mondo, per cui sostiene l'idea di sviluppare un turismo alternativo di qualità nelle zone costiere d'Europa. Il Libro verde riconosce che il turismo sostenibile permetterà di differenziare i servizi turistici allo scopo di decongestionare le zone costiere, fornire fonti di reddito alternative ai pescatori e sviluppare attività volte alla conservazione del patrimonio culturale. Il CESE non può che plaudere a queste iniziative.

4.10   Affari sociali

4.10.1

Il CESE nota che pescatori e lavoratori marittimi sono esclusi dalla legislazione sociale europea con riguardo alle seguenti direttive: direttiva sui licenziamenti collettivi, direttiva sui trasferimenti di imprese, direttiva sull'informazione e la consultazione dei lavoratori, direttiva sul distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi. Questa esclusione era giustificata in origine dal fatto che la legislazione sociale era principalmente concepita per le attività terrestri, piuttosto che per le specificità dell'attività marittima. Il CESE invita la Commissione a riconsiderare tale esclusione in stretta concertazione con le parti sociali.

4.11   Accordi in materia di fermo

4.11.1

La crescente importanza dei temi della sicurezza ha indotto diversi Stati membri dell'UE a concludere accordi bilaterali con paesi terzi in materia di fermo. Il CESE ritiene auspicabile che gli Stati membri dell'UE adottino un approccio coordinato rispetto a tali iniziative e una visione coordinata della divisione del lavoro tra loro, come pure tra le rispettive flotte, nell'applicazione delle relative norme. Un'alternativa potrebbe essere che gli Stati membri dell'Unione ratifichino in tempi brevi i Protocolli sulla soppressione degli atti illeciti, i quali hanno obiettivi analoghi a quelli dell'Iniziativa di sicurezza contro la proliferazione, ma prevedono solide garanzie per la tutela degli interessi commerciali legittimi degli operatori marittimi e dei diritti umani della gente di mare.

Bruxelles, 26 aprile 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Direttiva 98/59/CE del Consiglio del 20 luglio 1998 concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi (GU L 225 del 12.8.1998, pag. 16).

(2)  Direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti (GU L 82 del 22.3.2001, pag. 16).

(3)  Direttiva 2002/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 marzo 2002, che istituisce un quadro generale relativo all'informazione e alla consultazione dei lavoratori — Dichiarazione congiunta del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione sulla rappresentanza dei lavoratori (GU L 80 del 23.3.2002, pag. 29).

(4)  Direttiva 96/71/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 1996 relativa al distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi (GU L 18 del 21.1.1997, pag. 1).

(5)  In base a uno studio realizzato dalla BIMCO/ISF (Baltic and International Maritime Conference / International Shipping Federation), l'età degli ufficiali nei paesi marittimi tradizionali continua ad aumentare malgrado non vi siano indicazioni di un calo della domanda dei servizi da essi assicurati.

(6)  http://www.ilo.org/public/english/standards/norm/mlc2006/index.htm.

(7)  Un documento della presidenza britannica del dicembre 2005 riferisce su molteplici iniziative innovative adottate in materia in tutta l'UE e accenna all'opportunità di porre maggiormente l'accento sullo scambio delle migliori pratiche.

(8)  COM(2007) 2 def.; parere del CESE Come far fronte alle sfide del cambiamento climaticoIl ruolo della società civile (NAT/310) del 14 settembre 2006; parere del CESE Lo sviluppo sostenibile nell'agricoltura, nella silvicoltura e nella pescaLe sfide del cambiamento climatico (NAT/276), del 18 gennaio 2006.

(9)  http://www.hm-treasury.gov.uk/independent_reviews/stern_review_economics_climate_change/stern_review_report.cfm.

Il rapporto Stern stima il costo dell'inazione al 5-20 % del PIL.

(10)  Convenzione internazionale sulla prevenzione dell'inquinamento causato da navi del 1973, modificata dal relativo protocollo del 1978 (Marpol 73/78), cfr.:

http://www.imo.org/Conventions/contents.asp?doc_id=678&topic_id=258

(11)  http://www.un.org/Depts/los/convention_agreements/convention_overview_convention.htm

(12)  Cfr. il parere del CESE sul tema La politica portuale comune nell'UE GU C 325 del 30.12.2006 (TEN/258).

(13)  Cfr. i pareri del CESE sulla sostenibilità della pesca nell'UE (NAT/333), sul miglioramento della situazione economica dell'industria della pesca (NAT/316) del 25 settembre 2006, e sull'attuazione della politica comune della pesca e il diritto del mare (NAT/280) del 16 dicembre 2005, GU C 318 del 23.12.2006 e GU C 65 del 13.3.2005.

(14)  Cfr. parere del CdR 258/2006 fin (13.2.2007).


20.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 168/57


Parere del Comitato economico e sociale europeo su: La politica portuale comune nell'UE

(2007/C 168/12)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 6 luglio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere su: La politica portuale comune nell'UE.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 marzo 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore SIMONS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 aprile 2007, nel corso della 435a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 137 voti favorevoli, 2 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1

Il presente parere d'iniziativa si concentra su aspetti della politica portuale europea sui quali le parti interessate dovrebbero poter raggiungere un consenso. Per questo motivo esso viene elaborato in stretta consultazione con le organizzazioni del settore portuale, che sono state invitate a manifestare il loro punto di vista durante due audizioni pubbliche svoltesi il 20 novembre 2006 e il 20 febbraio 2007 (1).

1.2

Le audizioni hanno confermato che una politica portuale comune nell'UE dovrebbe perseguire i seguenti obiettivi:

a)

assicurare lo sviluppo sostenibile della capacità dei porti e delle strutture connesse;

b)

predisporre un quadro chiaro e trasparente per il finanziamento degli investimenti nei porti;

c)

chiarire le procedure relative all'accesso al mercato dei servizi portuali;

d)

rimuovere le strozzature operative che ostacolano l'efficienza dei porti;

e)

promuovere condizioni e ambienti di lavoro favorevoli e sicuri, e instaurare relazioni di lavoro costruttive nei porti;

f)

promuovere la competitività globale e una percezione positiva dei porti.

1.3

Questi temi coincidono in larga misura con quelli presentati dalla Commissione europea nel processo di consultazione su una futura politica portuale europea, che è stato avviato dopo il ritiro delle due proposte di direttiva sull'accesso al mercato dei servizi portuali (2) e che dovrebbe concludersi entro il giugno 2007.

1.4

Il dibattito sulla direttiva riguardante l'accesso al mercato dei servizi portuali ha già offerto ampie informazioni su temi come il finanziamento dei porti e le procedure di accesso al mercato dei servizi portuali. I progressi compiuti in questi ambiti dovrebbero pertanto portare a risultati tangibili a breve scadenza.

1.5

Le strozzature operative, e in particolare quelle riguardanti le procedure amministrative e i collegamenti con l'hinterland, possono essere affrontate nel contesto di iniziative già avviate, quali i programmi per l'ammodernamento delle dogane, la liberalizzazione delle ferrovie e la navigazione interna (NAIADES). È una problematica che rientra anche nel contesto più ampio del riesame intermedio del Libro bianco sui trasporti (3) e della Comunicazione della Commissione sulla logistica (4).

1.6

L'Unione europea può favorire un livello elevato di affidabilità e sicurezza nei porti europei, offrendo un adeguato sostegno (finanziario) ai programmi d'istruzione e di formazione e assicurando l'effettiva applicazione della legislazione vigente in materia di sicurezza.

1.7

Grande importanza riveste lo sviluppo di una buona politica sociale nei porti. Essa deve essere messa a punto in stretta cooperazione con le parti sociali, che ne sono i principali responsabili. Importanti strumenti per una buona politica sociale che sia al servizio delle autorità nazionali e delle parti sociali sono le convenzioni OIL sul lavoro nei porti, che tra l'altro possono prestare anche un significativo contributo alla creazione di un contesto omogeneo (level playing field). La Commissione deve incoraggiare gli Stati membri a ratificare queste convenzioni.

1.8

L'UE può inoltre incoraggiare i giovani a impegnarsi in una carriera professionale nei porti adottando interventi analoghi a quelli intrapresi a favore della navigazione marittima. Una formazione nautica di alto livello contribuirà a garantire in futuro un numero sufficiente di ottimi piloti, capitani di porto e altri operatori professionali del settore portuale.

1.9

Inoltre un dialogo sociale europeo per i porti marittimi può apportare un valore aggiunto, a condizione che le organizzazioni europee rappresentative degli stakeholder si accordino su un'agenda di interesse comune.

1.10

Un dibattito di fondo sullo sviluppo sostenibile dei porti è vitale per la definizione di una politica portuale europea. I porti hanno una grande responsabilità sotto il profilo degli standard ambientali e dovrebbero essere incoraggiati a compiere ulteriori investimenti in questo campo. Nel frattempo è tuttavia risultato chiaro che i problemi sono imputabili in larga misura anche all'ambiguità della legislazione ambientale dell'UE.

1.11

Occorrerà un esame più approfondito per stabilire se programmi di assetto territoriale possano contribuire a creare una maggiore certezza giuridica e maggiori opportunità di sviluppo portuale. Al tempo stesso si deve riconoscere che i porti sono frequentemente ubicati vicino ad aree importanti sotto il profilo della conservazione della natura che devono essere preservate e di cui si deve tener conto nel considerare lo sviluppo portuale.

1.12

Al CESE sembra di capire che il concetto di «spazio comune marittimo europeo» contenuto nel Libro verde sulla politica marittima dell'UE si riferisca ad uno spazio marittimo virtuale. Se ciò corrisponde effettivamente alla visione della Commissione e se quest'ultima lo esprime chiaramente, il Comitato può approvare il concetto, a condizione che rispetti nelle acque internazionali (alto mare) la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) e la Convenzione OMI compresa la «libertà di navigazione» e il «diritto di passaggio inoffensivo» all'interno della zona economica esclusiva.

1.13

Infine, l'UE dovrebbe sostenere il mantenimento della competitività dei porti dell'UE nel contesto globale, e incoraggiare iniziative dirette a ristabilire una percezione positiva dei porti, in modo da suscitare un ampio sostegno da parte dell'opinione pubblica. Ciò richiede un approccio innovativo che tenga conto del potenziale culturale, turistico e ricreativo delle città portuali.

1.14

Una politica portuale europea non presuppone necessariamente una nuova produzione legislativa. In particolare, la cosiddetta soft law  (5) può costituire un'alternativa valida sia alla legislazione sia ad un approccio caso per caso.

1.15

In linea generale, una politica portuale europea dovrebbe astenersi da un interventismo inutile, concentrandosi invece sui seguenti punti: a) applicare le norme del Trattato laddove necessario, b) assicurare che i porti adempiano adeguatamente al loro ruolo pubblico, c) incoraggiare comportamenti attenti al mercato e d) promuovere un'immagine pubblica positiva del settore. Ove necessario occorrerà rivedere quegli aspetti della vigente legislazione dell'UE che ostacolano lo sviluppo sano e sostenibile dei porti marittimi.

2.   Le sfide con cui devono misurarsi i porti marittimi europei

2.1

La principale critica mossa alla proposta di direttiva sui servizi portuali era che non teneva conto degli sviluppi del mercato e delle sfide che essi rappresentavano per i porti europei, che cercava di imporre un unico modello valido per tutti in materia di gestione dei porti e che ignorava la componente sociale dei porti. Sono tutti aspetti che non dovranno essere trascurati quando si procederà a un'analisi più esauriente della politica portuale comune (6).

2.2

I porti marittimi costituiscono uno dei principali vettori di crescita nel settore dei trasporti dell'economia europea e ciò vale in particolare per il traffico di container. In varie regioni europee la loro capacità fa tuttavia difetto, provocando seri problemi di congestione (7).

2.3

Ciò impone di utilizzare in modo ottimale le attrezzature portuali esistenti e di sviluppare nuove capacità portuali (8) laddove necessario. Analogamente occorre garantire ai porti vie di accesso marittimo ottimali (dragaggio), e sviluppare infrastrutture nell'hinterland. Per ovvie ragioni i porti possono essere ubicati solo nelle regioni costiere, estuari compresi, dove lo spazio è oggetto di una concorrenza feroce. I porti sono consapevoli del loro impatto sull'ambiente e negli anni passati hanno compiuto notevoli investimenti per raggiungere elevati standard di qualità ambientale. Ciò tuttavia non impedisce che i porti marittimi incontrino resistenze da parte delle amministrazioni cittadine e delle comunità locali, che tendono a concentrarsi sulle esternalità negative dei porti e non sono sempre consapevoli del valore aggiunto e degli aspetti positivi ad essi legati. Per di più l'incertezza giuridica generata dalla legislazione dell'UE sulla conservazione della natura è fonte di ulteriori tensioni nell'attuazione di progetti fondamentali di sviluppo portuale provocando gravi ritardi.

2.4

Lo sviluppo della capacità portuale richiede forti investimenti, e le limitazioni imposte ai bilanci pubblici rendono indispensabile ricorrere ai capitali privati per finanziare le infrastrutture e le sovrastrutture portuali, richiedendo un impegno di lungo periodo degli investitori privati nei porti.

2.5

Oltre che da una forte crescita, il settore portuale europeo è anche caratterizzato da processi di globalizzazione e di consolidamento. I porti marittimi europei operano con spedizionieri appartenenti a gruppi internazionali e sono inoltre sorti grandi gruppi di operatori di terminal che attualmente offrono i loro servizi in numerosi porti europei (9).

2.6

La concorrenza fra i porti europei dovrebbe concentrarsi sulle catene logistiche (10). La tradizionale divisione dei compiti all'interno della catena logistica è sempre meno netta a causa delle strategie d'integrazione verticale. I porti europei si trovano a competere sempre più spesso con operatori all'interno delle catene di fornitura e sono diventati la sede naturale di servizi logistici. I porti marittimi hanno bisogno che tutti i modi di trasporto funzionino in modo ottimale.

2.7

Dato che i porti marittimi sono snodi intermodali, la loro efficienza dipende molto dall'efficienza dei servizi offerti sia nell'hinterland, sia nelle zone costiere. I porti marittimi sono inoltre località ideali per effettuare controlli di frontiera sulla sicurezza delle navi, la sicurezza in generale, questioni doganali, la salute pubblica, la qualità ambientale, le prestazioni sociali, le condizioni a bordo, ecc. Molti di questi controlli sono propri del settore marittimo e non sono sempre coordinati e armonizzati adeguatamente.

2.8

Per effetto degli sviluppi testé illustrati, in molti casi gli enti di gestione dei porti stanno rivedendo il loro ruolo tradizionale di autorità portuale nel quadro dei processi di riforma.

3.   Temi per una politica portuale comune nell'UE

3.1

Come precedentemente indicato, la politica portuale comune dell'UE dovrebbe anzitutto perseguire l'obiettivo di stimolare la crescita sostenibile, creare un clima favorevole agli investimenti nei porti, accrescere la certezza normativa, ottimizzare l'integrazione dei porti nella catena di fornitura, rafforzare la competitività globale, nonché assicurare una politica sociale valida e rapporti di lavoro costruttivi, in modo che questi aspetti contribuiscano a un'immagine positiva dei porti, rendendoli attraenti come luoghi di lavoro.

3.2

Quest'obiettivo generale può essere suddiviso in sei aree tematiche, riconosciute anche dalla Commissione europea:

a)

assicurare lo sviluppo sostenibile dei porti e delle strutture connesse;

b)

creare un quadro normativo chiaro e trasparente per il finanziamento degli investimenti portuali;

c)

chiarire le procedure per l'accesso al mercato dei servizi portuali;

d)

rimuovere le strozzature operative che ostacolano l'efficienza dei porti;

e)

favorire un funzionamento operativo sicuro e affidabile e condizioni di lavoro ottimali nei porti;

f)

promuovere la competitività globale e una percezione positiva dei porti.

I capitoli che seguono approfondiscono queste aree tematiche.

4.   Assicurare lo sviluppo sostenibile della capacità dei porti e delle strutture connesse

4.1

I porti sono spesso ubicati in prossimità di aree di notevole importanza e significato per la conservazione della natura. Conciliare valori ecologici ed economici si è rivelato essere per molti porti un difficile esercizio di apprendimento, che spesso è sfociato in situazioni conflittuali. I porti marittimi europei hanno tuttavia compiuto notevoli progressi per raggiungere elevati standard di qualità ambientale e migliorare la gestione ambientale (11), e nel corso degli anni sono riusciti a sviluppare accordi costruttivi con ONG e stakeholder locali che hanno portato a soluzioni vincenti sia per l'ambiente naturale che per i porti.

4.2

Le incertezze giuridiche legate all'applicazione della legislazione relativa alla conservazione della natura continuano tuttavia a causare notevoli ritardi a molti progetti. Si riconosce in generale che questi ritardi sono dovuti in larga misura alle ambiguità della legislazione UE vigente in materia, fra cui le direttive riguardanti gli uccelli selvatici e gli habitat naturali e la direttiva quadro sull'acqua. La definizione di concetti essenziali resta vaga (12) dando luogo a interpretazioni divergenti nei vari Stati membri.

4.3

La Commissione può contribuire a porre rimedio a questa situazione fornendo indicazioni su come interpretare la legislazione in vigore. Al tempo stesso dovrebbe invitare i porti marittimi europei ad assumersi le proprie responsabilità nel campo della gestione ambientale, per esempio incoraggiando la diffusione delle migliori pratiche attraverso iniziative, come Ecoports (13), imperniate su singoli settori.

4.4

Tuttavia anche la scarsa attenzione prestata ai fattori economici e i conflitti con i regimi giuridici preesistenti, applicabili a zone designate per lo sviluppo portuale dallo stesso quadro normativo, sono fonte di notevoli problemi. Lo sviluppo sostenibile comporta un equilibrio fra esigenze economiche, sociali ed ambientali, equilibrio che attualmente non è stato ancora del tutto raggiunto.

4.5

Le lacune di fondo dell'attuale legislazione ambientale dell'UE sono state evidenziate in uno studio recente, patrocinato dalla Commissione europea nel quadro del suo progetto Piattaforma per il coordinamento dei trasporti marittimi (MTCP) (14). Lo studio elenca anche una serie di raccomandazioni concrete sulle politiche da seguire per accrescere la sicurezza giuridica dei progetti di sviluppo portuale, compresa la creazione di una rete coerente di zone strategiche per lo sviluppo portuale.

4.6

Nel suo recente Libro verde sulla politica marittima (15) la Commissione europea introduce l'idea di pianificazione spaziale delle attività marittime (16), che, insieme a una gestione integrata delle zone costiere, a quanto sembra nelle acque territoriali, mira a controllare la concorrenza crescente fra attività marittime per l'utilizzazione delle acque costiere europee e a offrire una maggiore certezza giuridica.

4.6.1

L'idea di considerare l'UE come un unico Stato ai fini doganali e amministrativi non può che essere accolta con favore, a condizione che nelle acque internazionali (alto mare) essa rispetti la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) e la Convenzione OMI, compresa la «libertà di navigazione» e il «diritto di passaggio inoffensivo» all'interno della zona economica esclusiva. Al CESE sembra di capire che il concetto di «spazio comune marittimo europeo» contenuto nel Libro verde sulla politica marittima dell'UE si riferisca ad uno spazio marittimo virtuale caratterizzato da una semplificazione delle formalità amministrative e doganali per i servizi marittimi intracomunitari, che saranno assoggettati ad un regime analogo a quello in vigore nel mercato interno per i trasporti stradali, ferroviari o la navigazione interna. Se ciò corrisponde effettivamente alla visione della Commissione e se quest'ultima lo esprime chiaramente, il Comitato può approvare l'idea (17).

4.7

Infine, l'attuale approccio relativo ai porti marittimi nel contesto delle Reti transeuropee di trasporto (TEN-T) potrebbe essere riveduto per garantire un maggiore sostegno europeo a progetti per infrastrutture vitali nell'hinterland che risultino importanti per i porti. I progetti che presentano un interesse comune nel quadro delle TEN-T possono essere considerati di rilevante interesse pubblico sotto il profilo della normativa ambientale (18), dato che i progetti TEN-T soddisfano già criteri ambientali.

4.8

Le soluzioni illustrate sopra non dovrebbero tuttavia tradursi in una pianificazione centralizzata dei porti a livello dell'UE, né sfociare in politiche rigorose di pianificazione dei porti a livello nazionale. Sostanzialmente dovrebbero promuovere il principio «dal basso verso l'alto», in base al quale le proposte relative a progetti andrebbero definite dall'ente di gestione del porto di concerto, a seconda dei casi, con gli enti regionali o nazionali e tenendo conto di valutazioni economiche obiettive che rispondono a standard metodologici comuni e rispettano il quadro normativo applicabile.

5.   Creare un quadro normativo chiaro e trasparente per il finanziamento degli investimenti portuali

5.1

I cospicui investimenti necessari per i porti marittimi presuppongono un chiaro quadro normativo in materia finanziaria a livello dell'Unione europea. In particolare occorre assicurare la certezza normativa sulle condizioni per la concessione di finanziamenti pubblici nei porti evitando al tempo stesso distorsioni di concorrenza. Le opinioni convergono nel ritenere che il sistema migliore per realizzare questo obiettivo consisterebbe in linee guida sugli aiuti di Stato.

5.2

Esse dovrebbero soprattutto servire a chiarire le disposizioni del Trattato UE sugli aiuti di Stato (segnatamente gli articoli 73, 86, 87 e 88) applicabili ai porti. Dovrebbero indicare in quali casi un finanziamento vada considerato come un aiuto di Stato e debba essere notificato alla Commissione in vista di un suo esame. Se tale aiuto soddisfa i criteri di esenzione previsti dal Trattato, la Commissione potrà dichiararlo compatibile col Trattato stesso.

5.3

Si ammette generalmente che il finanziamento pubblico delle attività e degli investimenti indicati qui di seguito non vada considerato come aiuto di Stato, e che pertanto gli Stati membri non debbano notificare tali progetti di finanziamento alla Commissione:

a)

fornitura e gestione (compresa la manutenzione) delle infrastrutture, situate al di fuori della zona portuale, che collegano il porto alle vie di accesso terrestri e marittime. La manutenzione delle vie di accesso marittime comprende le operazioni di dragaggio e i servizi rompighiaccio per mantenere aperte tali vie;

b)

compensazione per le attività dell'ente di gestione del porto che non sono di natura economica e che normalmente rientrano nelle normali competenze dell'ente di gestione del porto per l'esercizio delle sue prerogative ufficiali in quanto pubblica autorità sia all'interno che all'esterno del porto.

5.4

La fornitura e la gestione delle infrastrutture portuali costituiscono tuttavia una problematica più complessa. In proposito si può distinguere tra, da un lato, le infrastrutture di accesso e di protezione e, dall'altro, le infrastrutture portuali interne. Le prime possono essere definite come tutte quelle infrastrutture che consentono l'accesso al porto via terra e via mare, ivi compreso l'accesso marittimo e le opere di protezione, i collegamenti terrestri ai servizi pubblici di trasporto e le infrastrutture per i servizi necessari nella zona portuale. Le infrastrutture portuali interne possono invece essere definite come tutti quegli edifici civili della zona portuale che servono ad agevolare la fornitura di servizi per le navi e per i cargo.

5.5

Un fattore importante in tale ambito consiste nello stabilire se l'infrastruttura portuale sia nell'interesse generale del porto stesso, oppure sia specificamente riservata ad un utente od operatore particolare. Le linee guida dovrebbero introdurre una distinzione utile ai fini pratici.

5.6

Vi è un consenso sugli aiuti pubblici concessi per la creazione e la gestione delle sovrastrutture portuali, ad es. i dispositivi di superficie, gli edifici e le attrezzature mobili e fisse necessarie per la prestazione dei servizi. Il finanziamento pubblico in questi ambiti viene generalmente considerato aiuto di Stato.

5.7

Ammettendo che sia possibile operare una distinzione chiara fra investimenti e attività, a prescindere dal fatto che essi beneficino o meno di finanziamenti nel quadro delle disposizioni sugli aiuti di Stato, sembra logico seguire il principio secondo cui l'ente di gestione del porto dovrebbe godere di piena autonomia finanziaria per ripercuotere sugli utenti il costo degli investimenti e delle attività che non beneficiano di aiuti di Stato ammissibili.

5.8

Analogamente, la direttiva sulla trasparenza (19) dovrebbe essere modificata in modo tale da essere applicabile a tutti i porti. In questo modo gli enti di gestione dei porti sarebbero tenuti a indicare i flussi dei finanziamenti pubblici nella loro contabilità e a tenere bilanci distinti qualora forniscano sia servizi di pubblico interesse che normali servizi di natura economica. Quest'ultimo punto è particolarmente importante, data la possibilità di ottenere finanziamenti pubblici in compensazione degli obblighi di servizio pubblico.

6.   Chiarire le procedure riguardanti l'accesso al mercato dei servizi portuali

6.1

Alla luce delle esperienze relative alle due proposte legislative della Commissione europea sull'accesso al mercato dei servizi portuali, può essere utile fornire linee guida sulla base del quadro normativo vigente nell'UE ed esaminare quali strumenti potrebbero essere utili ai porti e come dovrebbero essere applicati.

6.2

Per numerosi porti, anziché disposizioni legislative, sarebbero molto utili linee guida o raccomandazioni sull'uso delle procedure di selezione, quali gare d'appalto e altri strumenti accettabili, le condizioni per le concessioni e il leasing fondiario, ecc.

6.3

Tali linee guida possono essere anche utili per chiarire lo status giuridico di quei servizi (per es. alcuni aspetti del compito di pilotaggio) che fungono da servizi pubblici, per esempio per la sicurezza generale dei porti.

7.   Rimuovere le strozzature operative che ostacolano l'efficienza dei porti

7.1

Oltre ai problemi strutturali relativi alla mancanza di un'adeguata capacità infrastrutturale, già citati sopra, vengono spesso segnalate strozzature di carattere più operativo che ostacolano l'efficienza dei porti. In generale, esse emergono (a) nella burocrazia amministrativa, nei controlli e nelle ispezioni e (b) per le inefficienze nei trasporti da e verso l'hinterland.

7.2

C'è una convergenza di vedute sulla necessità che l'UE compia ulteriori progressi nella modernizzazione delle dogane (20) e faccia in modo che le sue politiche riguardanti le dogane, la sicurezza marittima, la sicurezza in generale, la salute pubblica e la qualità ambientale siano adeguatamente coordinate e armonizzate e non trasferiscano indebitamente ai porti delle competenze che spettano ai pubblici poteri.

7.3

L'idea di uno «spazio marittimo comune» suggerita dalla Commissione potrebbe contribuire ad assicurare che sotto il profilo delle procedure amministrative e doganali i servizi di trasporto marittimo a corto raggio ricevano un trattamento più in linea con quello riservato ai trasporti terrestri, non dovrebbe tentare di introdurre nelle acque internazionali dell'UE (alto mare) restrizioni legislative che contraddicono il principio della libertà di navigazione e il diritto di passaggio inoffensivo o impongono restrizioni non compatibili con le norme e regolamentazioni internazionali. L'idea di considerare l'UE come un unico Stato ai fini amministrativi e doganali è senz'altro ben accetta. Al CESE sembra di capire che il concetto di «spazio marittimo comune europeo» si riferisca ad uno spazio marittimo virtuale caratterizzato da una semplificazione delle formalità amministrative e doganali per i servizi marittimi intracomunitari che verranno assoggettati ad un regime simile a quello dei trasporti stradali o ferroviari nel mercato interno.

7.4

Inoltre, la Commissione dovrebbe intensificare gli sforzi per rimuovere le strozzature rimaste nell'entroterra attuando il programma NAIADES per la navigazione interna, i «pacchetti ferroviari» e le politiche per l'efficienza del trasporto stradale. Si tratta peraltro di modi di trasporto per i quali la politica sociale non va dimenticata, né deve formare solo oggetto di attenzione minima, cosa che, ad esempio, è purtroppo avvenuta in documenti recenti della Commissione sulla navigazione interna (Riesame intermedio del Libro bianco sui trasporti; Programma NAIADES).

8.   Promuovere condizioni di lavoro corrette e sicure nonché rapporti di lavoro costruttivi nei porti europei

8.1

L'efficacia delle attività portuali dipende da elementi quali l'affidabilità e la sicurezza che, malgrado i progressi tecnologici, sono determinati in larga misura dal fattore umano. Di qui la necessità di disporre, nei porti, di una forza lavoro qualificata e ben formata in grado di fornire tutti i servizi e di effettuare tutti i compiti sia a terra che a bordo delle navi. Questa esigenza vale indipendentemente dal regime di proprietà — pubblico o privato — dei porti e dei fornitori dei servizi portuali.

8.2

Un ruolo importante ai fini della realizzazione e del mantenimento di tali competenze spetta alle parti sociali. È quindi opportuno che al livello europeo la Commissione ne sostenga gli sforzi facilitando il dialogo sociale.

8.3

I porti europei hanno la responsabilità di mantenere elevati standard di affidabilità e di sicurezza. L'Unione europea può favorirli offrendo un adeguato sostegno (finanziario) a programmi di istruzione e formazione e assicurando l'effettiva applicazione della legislazione vigente in materia di sicurezza. L'Unione europea può inoltre incoraggiare i giovani a impegnarsi in una carriera professionale nei porti, adottando interventi analoghi a quelli intrapresi per attirare i giovani verso le professioni marittime. Quest'ultimo fattore ha un impatto anche sul lavoro nei porti. Una formazione nautica di alto livello contribuirà a garantire in futuro un numero sufficiente di ottimi piloti, capitani di porto e altri operatori professionali del settore portuale.

8.4

Per una buona politica portuale è essenziale mantenere relazioni industriali costruttive. Anche in questo ambito la Commissione deve creare condizioni quadro favorevoli in stretta concertazione con i governi degli Stati membri.

8.4.1

In quest'ottica la Commissione dovrebbe pronunciarsi in merito alla compatibilità delle convenzioni 137 e 152 dell'OIL sul lavoro nei porti con i principi del Trattato e con l'acquis comunitario, prima di chiedere agli Stati membri di ratificarle.

8.5

Per creare condizioni di lavoro ottimali nei porti e un clima sociale positivo in generale, è essenziale un adeguato dialogo sociale. Tale dialogo esiste nella maggior parte dei porti europei e dovrebbe essere introdotto laddove non esiste ancora. Se le organizzazioni europee rappresentative degli stakeholder si accordano su un'agenda comune, tale dialogo può anche creare un valore aggiunto a livello europeo.

9.   Promuovere la competitività globale e ristabilire una percezione positiva dei porti

9.1

Data l'importanza vitale dei porti per l'Europa, l'Unione europea ha il compito di promuovere la competitività globale e un'immagine positiva del settore portuale, anzitutto affrontando i problemi sopraelencati, ma anche attuando gli interventi specifici citati nel presente capitolo.

9.2

Attraverso la sua politica in materia di relazioni esterne l'UE dovrebbe prestare un'attenzione particolare ai casi di concorrenza sleale da parte di porti situati in paesi terzi limitrofi, specie nelle zone del Mar Baltico, del Mar Nero e del Mediterraneo.

9.3

L'Unione europea dovrebbe anche ristabilire una percezione positiva dei porti fra i cittadini europei, evidenziando il valore aggiunto che essi offrono per il commercio, il benessere, la coesione e la cultura in Europa, in modo da indurre un atteggiamento più favorevole dell'opinione pubblica nei confronti dei porti europei.

9.4

Infine, l'UE può stimolare la cooperazione e lo scambio di buone pratiche e di innovazioni fra i porti appoggiando progetti di ricerca pragmatici, non teorici e promossi dall'industria.

Bruxelles, 26 aprile 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Alle audizioni sono state invitate le seguenti organizzazioni:

European Association for Forwarding, Transport, Logistic and Customs Services (CLECAT), European Community Shipowners' Association (ECSA), European Community Association of Ship Brokers and Agents (ECASBA) [Associazione Europea degli Agenti Marittimi], European Shippers' Council (ESC) [Consiglio Europeo degli Spedizionieri], Association of European Chambers of Commerce and Industry (EUROCHAMBRES) [Associazione delle Camere di Commercio europee], European Maritime Pilots' Association (EMPA) [Associazione europea dei piloti marittimi], European Boatmen's Association (EBA) [Associazione europea della nautica da diporto], European Tugowners Association (ETA), European Transport Workers' Federation (ETF) [Federazione europea dei lavoratori dei trasporti], International Docker's Council (IDC) [Organizzazione mondiale dei lavoratori portuali], European Sea Ports Organisation (ESPO) [Organizzazione europea dei porti marittimi], European Federation of Inland Ports (EFIP) [Federazione europea dei porti interni], Federation of European Private Port Operators (FEPORT) [Federazione europea degli operatori portuali privati] European Harbour Masters'committee (EHMC) [Comitato europeo dei capitani di porto]., Federation of European Tank Storage Associations (FETSA) [Federazione Europea Costieristi Indipendenti], EUROGATE GmbH dco KgaA, KG e Federal Association of German Seaport Operators [Associazione federale degli operatori portuali tedeschi].

(2)  Cfr. i seguenti due pareri del CESE sull'argomento: Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'accesso al mercato dei servizi portuali (GU C 48 del 21.2.2002, pagg. 122-129) e Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'accesso al mercato dei servizi portuali (COM(2004) 654 def. — 2004/0240 (COD)), GU C 294 del 25.11.2005, pagg. 25-32.

Cfr. inoltre il parere del CESE in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sulla formazione professionale e l'arruolamento della gente di mare (GU C 80 del 3.4.2002, pagg. 9-14) e il parere del CESE sul tema La futura accessibilità dell'Europa via mare: anticipare gli sviluppi (GU C 157 del 28.6.2005 pagg. 141-146,).

(3)  Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo — Mantenere l'Europa in movimento — Una mobilità sostenibile per il nostro continente — Riesame intermedio del Libro bianco sui trasporti pubblicato nel 2001 dalla Commissione europea, COM(2006) 314 def.

(4)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — La logistica delle merci in EuropaLa chiave per una mobilità sostenibile, COM(2006) 336 def.

(5)  Per soft law si intendono regole di comportamento previste da strumenti che non sono giuridicamente vincolanti ma che possono avere effetti giuridici indiretti e sono destinati a produrre effetti pratici: si tratta ad esempio di comunicazioni interpretative, linee guida e codici di comportamento.

(6)  Per un quadro più completo degli sviluppi del mercato e delle sfide che essi comportano cfr. ESPO e ITIMMA, Factual Report on the European Port Sector, 2004.

(7)  Per un'analisi recente cfr.: Ocean Shipping Consultants, The European and Mediterranean Container port Markets to 2015, 2006.

(8)  Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La futura accessibilità dell'Europa via mare: anticipare gli sviluppi, GU C 157 del 28.6.2005, pagg. 141-146.

(9)  Ciò avviene soprattutto nel settore del trasporto containerizzato, in cui già nel 2002 il 70 % del mercato era controllato da sei grandi operatori (ESPO e ITIMMA, pag. 38), ma il fenomeno è presente anche nei settori delle rinfuse e delle merci varie.

(10)  Per maggiori dettagli cfr. il parere TEN/262 del CESE in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni La logistica delle merci in Europala chiave per una mobilità sostenibile, COM(2006) 336 def.

(11)  Per un quadro d'insieme cfr. per es. ESPO Environmental Survey 2004Review of European Performance in Port Environmental Management

(12)  Ad esempio, la direttiva europea riguardante la conservazione degli uccelli selvatici e la direttiva Habitat danno luogo a interpretazioni divergenti circa le valutazioni appropriate, gli accordi preesistenti, l'analisi delle alternative, i cosiddetti «motivi imperativi di rilevante interesse pubblico», gli obblighi di compensazione, ecc.

(13)  Il progetto Ecoports sostenuto dalla Commissione è durato fino al 2005 e ha incoraggiato i responsabili dei porti all'autoregolamentazione in materia ambientale. Questo tipo di lavoro viene ora svolto dalla Ecoports Foundation (www.ecoports.com)

(14)  E. Van Hoydonk, Rapporto della MTCP (Maritime Transport Coordination Platform) riguardante l'impatto della legislazione UE sulle vie navigabili e sui porti, 2006.

(15)  Libro verde Verso una politica marittima dell'Unione: una visione europea degli oceani e dei mari, COM(2006) 275 def.

(16)  Secondo il Libro verde, la pianificazione spaziale delle attività marittime ha un ruolo chiave nel ridurre la vulnerabilità delle aree marittime e costiere. Un sistema globale di pianificazione spaziale potrebbe contribuire alla definizione di un ambiente normativo stabile per i settori in cui vanno fatti consistenti investimenti che incidono sull'insediamento delle attività economiche. Coordinare tutte le attività marittime mediante una pianificazione dello spazio marittimo potrebbe contribuire a garantire uno sviluppo sostenibile delle regioni costiere sotto il profilo economico ed ambientale.

(17)  Cfr. TEN/255 Parere in merito al Libro verde Verso una politica marittima dell'Unione: una visione europea degli oceani e dei mari (GU C 93 del 27.4. 2007).

(18)  Come raccomandato nel summenzionato rapporto della MTCP.

(19)  Direttiva 1980/723/CEE, modificata dalla direttiva 2000/52/CE.

(20)  Sono state presentate varie proposte intese ad ammodernare le dogane, fra cui due proposte legislative per la revisione del Codice doganale e il Programma d'azione Dogana 2013:

http://ec.europa.eu/taxation_customs/customs/policy_issues/customs_strategy/index_en.htm


20.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 168/63


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni: La logistica delle merci in Europa — La chiave per una mobilità sostenibile

COM(2006) 336 def.

(2007/C 168/13)

La Commissione, in data 28 giugno 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 marzo 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore BARBADILLO LÓPEZ.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 aprile 2007, nel corso della 435a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 150 voti favorevoli, 2 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Un settore dei trasporti efficiente è un requisito indispensabile per il mantenimento e il rafforzamento della competitività dell'Europa. Il trasporto di merci è considerato il fattore trainante degli scambi commerciali e della prosperità. In considerazione di tutto ciò è necessaria una gestione moderna dei complessi flussi di trasporto per raggiungere un grado elevato di efficacia e realizzare la cooperazione tra i differenti modi.

1.2

La logistica, oltre a favorire il miglioramento delle condizioni ambientali e l'efficienza energetica, riveste un ruolo essenziale ai fini di una mobilità sostenibile contribuendo ad un trasporto merci più efficiente, efficace e competitivo. La logistica non può essere considerata come un sistema di controllo e gestione della catena di trasporto, ma, grazie all'applicazione di soluzioni logistiche avanzate, è effettivamente possibile pianificare, gestire, controllare ed attivare delle catene di trasporto unimodali e multimodali.

1.3

Le infrastrutture costituiscono la rete fisica necessaria per lo sviluppo del mercato interno dei trasporti. Per ottimizzarle bisogna rispondere a due sfide: ridurre la congestione e accrescere l'accessibilità mobilitando tutte le fonti di finanziamento. Un impiego efficiente e razionale delle infrastrutture è una garanzia per la realizzazione della mobilità sostenibile. Tuttavia, tutte le misure volte a razionalizzare l'uso dell'infrastruttura dovrebbero comprendere anche misure di carattere logistico relative al trasporto privato di passeggeri. La chiave di una mobilità sostenibile non risiede infatti esclusivamente nel trasporto di merci.

1.4

Sia dal lato dell'offerta che da quello della domanda vengono adoperati strumenti logistici per ottimizzare il trasporto, rendere più efficienti e funzionali le operazioni commerciali e minimizzare i percorsi a vuoto.

1.5

La logistica dei trasporti esige lavoratori e gestori competenti e ben preparati, con una formazione specifica e in grado di rispettare le norme di sicurezza e salute; per questo motivo si dovranno concepire piani di formazione, sia di base che superiore, in logistica con la partecipazione attiva delle parti sociali.

1.6

I trasporti sono responsabili di un consumo rilevante di combustibili fossili ed è quindi prioritario ridurre la dipendenza da tali combustibili, diminuendo le emissioni di CO2. A tal fine occorre elaborare un programma specifico di ricerca, sviluppo e innovazione nel settore dei trasporti, adeguatamente finanziato e in grado di aumentare il ricorso ad energie alternative; bisogna inoltre applicare, specialmente in campo fiscale, una politica di differenziazione che favorisca l'adozione e l'impiego di nuove tecnologie rispettose dell'ambiente.

1.7

La logistica va considerata come un'attività commerciale svolta dal settore dei trasporti, mentre alle autorità compete creare condizioni adeguate affinché il traffico di merci si svolga in maniera efficiente, funzionale e competitiva.

1.8

Tenuto conto di quanto è avvenuto nel trasporto marittimo a corto raggio, in cui la partecipazione del settore all'individuazione e all'eliminazione delle strozzature ha costituito un successo, si dovrebbe estendere tale prassi agli altri modi di trasporto, per ottenere risultati analoghi.

1.9

Le nuove tecnologie, e in special modo il sistema di navigazione satellitare Galileo, che offrirà soluzioni per il monitoraggio e la ricerca delle merci, contribuiscono fortemente allo sviluppo di una logistica moderna ed efficace. Gli sviluppi tecnologici non devono però convertirsi in ostacoli al commercio; essi devono essere interoperabili in tutta l'UE e accessibili alle PMI. Le attività di ricerca, sviluppo e innovazione devono costituire una priorità del Settimo programma quadro, perché l'innovazione tecnologica può aprire nuove prospettive al settore.

1.10

Le statistiche relative alla logistica dei trasporti devono coprire in maniera approfondita tutti i modi e le attività di trasporto, onde fornire una visione affidabile della situazione e della sua evoluzione.

1.11

Bisogna risolvere i problemi relativi all'interoperabilità del trasporto ferroviario, per poter creare una rete dedicata al trasporto merci, e migliorare i sistemi di gestione, per aumentare l'efficienza di tale modo di trasporto, la sua funzionalità e la sua competitività con gli altri modi.

1.12

I parametri di qualità e gli sportelli unici amministrativi contribuiranno allo sviluppo della logistica dei trasporti nell'UE, giacché da un lato la misurazione della qualità a livello europeo permetterà di valutare più uniformemente l'efficienza della logistica, e dall'altro l'esecuzione coordinata e unificata delle formalità amministrative snellirà le procedure doganali.

1.13

Per realizzare gli obiettivi che ci si è prefissi è indispensabile la partecipazione di tutti i modi di trasporto all'elaborazione del futuro piano di azione della Commissione.

2.   Introduzione

2.1

La logistica, oltre a favorire il miglioramento delle condizioni ambientali e l'efficienza energetica, riveste un ruolo essenziale ai fini di una mobilità sostenibile contribuendo ad un trasporto merci più efficiente e efficace.

2.2

Nella valutazione intermedia del libro bianco del 2001, la Commissione riconosce implicitamente l'importanza del settore del trasporto di merci come elemento trainante degli scambi commerciali e della prosperità economica dell'UE.

2.3

L'esperienza maturata tra la pubblicazione del libro bianco nel 2001 e la sua revisione intermedia nell'estate 2006 ha mostrato che non si può prescindere dai trasporti su strada e che tutti i tentativi di trasferire il traffico verso altri modi di trasporto hanno avuto scarsissimo successo.

2.4

Lo sviluppo socioeconomico dell'UE dipende in grande misura dalla capacità di movimento delle persone e delle merci, pur nel quadro della salvaguardia dell'ambiente. Non si può parlare di sviluppo senza tenere conto dell'esigenza di creare e mantenere una rete di infrastrutture adeguata alle crescenti esigenze dell'UE.

2.5

La mobilità sostenibile può essere garantita soprattutto attraverso un impiego razionale ed efficiente delle reti per il trasporto sia di passeggeri che di merci.

2.6

Il trasporto di merci svolge un ruolo essenziale nel garantire la mobilità sostenibile. Mentre è indubbio che la rapida crescita del trasporto di merci contribuisca allo sviluppo economico e all'occupazione, non sembra altrettanto certo che la congestione del traffico, gli incidenti, il rumore, l'inquinamento, la maggiore dipendenza dai combustibili fossili importati e lo spreco di energia siano provocati soltanto dal trasporto di merci.

2.7

Pertanto qualsiasi azione volta a razionalizzare l'uso delle infrastrutture dovrebbe naturalmente includere misure logistiche relative al trasporto privato di passeggeri, che favoriscano il ricorso al trasporto collettivo, in modo naturale. La chiave di una mobilità sostenibile non risiede infatti esclusivamente nel trasporto di merci.

2.8

D'altro canto, è dimostrato che la domanda di trasporti su strada non è arbitraria, ma dipende dal fatto che tale modo ha dato prova di essere il più rapido, flessibile ed efficiente e, malgrado, il tentativo di trasferire una parte del traffico stradale verso il trasporto ferroviario e marittimo, i risultati sono stati tutt'altro che positivi, tranne che nei casi del trasporto marittimo a corto raggio e di quello fluviale.

2.9

Sembra poco corretta l'ipotesi che tanto i fornitori quanto i richiedenti di servizi di trasporto non abbiano ancora utilizzato gli strumenti logistici di ottimizzazione dei modi e dei mezzi di trasporto necessari per accrescere l'efficacia e l'efficienza delle loro operazioni. Tuttavia le soluzioni logistiche avanzate contribuiranno all'efficienza dei vari modi di trasporto e delle loro combinazioni.

2.10

Se vogliamo che una politica di combinazione dei modi di trasporto si delinei spontaneamente sulla base del convincimento di coloro che domandano servizi di trasporto, occorre che a medio e lungo termine alcuni modi divengano molto più operativi e competitivi. Bisogna correggere le inefficienze di alcuni modi di trasporto perché essi raggiungano un maggior grado di competitività e accrescano la loro quota nella ripartizione tra i vari modi.

2.11

Le flotte di trasporto ottimizzano la quota di chilometri percorsi con un carico, riducendo attualmente i tragitti a vuoto al minimo necessario per l'operatività quotidiana.

2.12

Lo squilibrio esistente nell'offerta di carichi tra i punti di origine e di destinazione delle merci è destinato a rimanere un problema di difficile soluzione anche applicando soluzioni logistiche avanzate, perché vi sarà sempre una differenza quantitativa tra le merci in arrivo e quelle in partenza, indipendentemente dalle soluzioni di trasporto adottate. Nessun modo di trasporto può fare a meno di cercare un carico per il viaggio di ritorno.

2.13

In materia di modi di trasporto più rispettosi dell'ambiente, in linea con il piano d'azione della Commissione per l'efficienza energetica (1), va ricordato che negli studi della Commissione sui trasporti e l'ambiente manca una distinzione all'interno del trasporto stradale, tra trasporto pubblico e quello privato, per esemplificare le conseguenze negative in termini, tra l'altro, di congestione, inquinamento e consumo energetico, derivanti principalmente dall'uso intensivo e senza limitazioni dell'automobile.

2.14

L'integrazione della logistica nella politica dei trasporti non costituisce una novità. Gli importanti progressi dell'attività logistica sono favoriti essenzialmente dall'adeguamento delle imprese di trasporto tradizionali alle esigenze del mercato. Tali grandi progressi si devono essenzialmente alla capacità di adattamento e alla flessibilità delle imprese di trasporto nell'integrare esternalità che hanno origine in altri settori produttivi.

2.15

Gli operatori dei trasporti e i loro clienti sono i primi ad applicare misure di sostegno logistico. La logistica non può essere considerata un sistema di controllo e gestione della catena di trasporto, perché sono le imprese che, con le loro decisioni e azioni, attuano misure logistiche nel quadro delle loro relazioni commerciali.

2.16

Molto spesso si tende ad esagerare il valore del settore logistico attribuendogli fatturati milionari in quanto attività separata, senza tenere conto del fatto che la maggior parte di tale fatturato corrisponde al trasporto e alle relative attività ausiliari, ossia al settore che effettua gli investimenti fissi, che sostiene i costi fissi e che movimenta le merci.

2.17

La Commissione e il Parlamento potranno offrire un valore aggiunto allo sviluppo della logistica dei trasporti di merci in Europa se riusciranno a creare un quadro operativo senza attriti tra i vari modi di trasporto. Queste istituzioni devono creare condizioni favorevoli di ravvicinamento tra i vari modi di trasporto, evitando di adottare misure che penalizzino l'uno o l'altro di essi.

3.   Osservazioni generali

3.1

Come si è già affermato in altre occasioni, il punto chiave della revisione intermedia del Libro bianco consiste nella comodalità, ossia nell'impiego efficiente, separato o combinato, dei vari modi di trasporto, che dà le migliori garanzie di poter realizzare, a un tempo, un livello elevato di mobilità e di protezione dell'ambiente.

3.2

Il CESE si compiace del richiamo, contenuto nella comunicazione, all'esigenza di realizzare un elevato livello di complementarità tra i vari modi di trasporto, nel quadro di un sistema europeo efficace e privo di lacune, che garantisca agli utenti i migliori servizi di trasporto possibili. Ritiene tuttavia prematuro affermare che oggi, dati gli attuali sistemi di produzione, esistono alternative competitive al trasporto di merci su strada; ciò è sostenibile solo in riferimento a determinati itinerari.

3.3

Inoltre, il CESE trova ragionevole che lo sviluppo della logistica del trasporto di merci sia anzitutto un'attività commerciale da portare avanti da parte del settore stesso, mentre alle autorità spetta un ruolo da svolgere nella creazione di un quadro adeguato, lasciando nelle mani delle imprese il funzionamento interno della logistica commerciale.

3.4

Il CESE reputa che l'introduzione di una dimensione logistica nella politica dei trasporti debba avvenire nel dovuto rispetto dei differenti modi di trasporto e che le considerazioni in materia di logistica vadano intese semplicemente come uno dei fattori che informano le decisioni.

3.5

Considera inoltre che grazie ad una corretta complementarità tra i modi di trasporto e all'applicazione di soluzioni logistiche avanzate sia effettivamente possibile pianificare, gestire, controllare ed attivare delle catene di trasporto unimodali e multimodali.

3.6

La Commissione dovrebbe insistere maggiormente affinché ciascun modo di trasporto compia uno sforzo per ottimizzare la propria efficacia ed efficienza. Bisogna quindi rafforzare il trasporto marittimo e quello ferroviario, in un'ottica di competitività piuttosto che di deregolamentazione di questi settori o di penalizzazione di altri modi di trasporto. Il trasporto su strada va considerato un alleato insostituibile degli altri modi, se si potenzia il coordinamento e l'intermodalità e si adottano le misure necessarie perché possa continuare a prestare i propri servizi con livelli adeguati di flessibilità e di prezzi.

3.7

La politica deve puntare sulla qualità, la sicurezza, la compatibilità ambientale, l'efficacia e l'efficienza del trasporto, garantendo all'utente la libertà di scegliere il modo di trasporto più adeguato alle sue esigenze.

3.8

Come rileva la comunicazione della Commissione, si può constatare che negli ultimi anni si sono affermate tendenze interessanti, come quella di esternalizzare l'attività logistica, e che la cooperazione tra spedizionieri e prestatori di servizi si accompagna ad un alto livello di integrazione delle strutture organizzative e dei supporti informatici.

4.   Settori di intervento

4.1   Individuare ed eliminare le strozzature

4.1.1

Il CESE reputa che per individuare ed eliminare le strozzature siano fondamentali da un lato la partecipazione dei soggetti coinvolti e dall'altro la condivisione delle conoscenze, la diffusione delle buone pratiche e la collaborazione nella definizione delle politiche.

4.1.2

Se è vero che si è riusciti a individuare e a gestire con successo le strozzature presenti nei trasporti marittimi a corto raggio, è anche vero che manca ancora, come viene riconosciuto nella comunicazione, una visione complessiva degli ostacoli concreti allo sviluppo della logistica dei trasporti di merci in Europa.

4.1.3

Analogamente si constata una serie di elementi che incidono direttamente sul settore del trasporto di merci su strada, limitandone l'operatività e si rileva la mancanza di una legislazione armonizzata in vari ambiti importanti per creare un mercato caratterizzato da una concorrenza leale nell'UE allargata.

4.2   Tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC)

4.2.1

I sistemi di trasporto intelligenti contribuiscono ad un uso più efficiente e razionale delle infrastrutture, e quindi a ridurre gli incidenti e la congestione e a proteggere l'ambiente.

4.2.2

Il sistema europeo di navigazione satellitare Galileo sarà operativo dal 2010 e offrirà applicazioni utili per tutti i modi di trasporto, come il rilevamento e la localizzazione delle merci, la «automobile intelligente» (2), la promozione di nuove tecnologie nei veicoli, il programma SESAR, destinato a migliorare la gestione del traffico aereo nel cielo unico europeo, il sistema ERTMS (European Rail Traffic Management System), che incrementerà l'interoperabilità tra le reti ferroviarie nazionali. Tutti avranno ripercussioni positive sulla logistica.

4.2.3

Sembra ragionevole ritenere che per garantire l'integrità del mercato unico è importante che le soluzioni tecnologiche prescelte non diventino delle barriere per gli scambi, ma che anzi si sviluppino in tutta l'UE sulla base di standard interoperabili. Per migliorare l'efficienza della logistica sono necessari standard comuni ampiamente accettati da fabbricanti e operatori così come sinergie fra i vari sistemi.

4.2.4

Occorre tuttavia tenere sotto controllo i costi di avviamento per le PMI, in termini tanto di tecnologia quando di software, ed evitare che divengano un ostacolo alla loro piena partecipazione al mercato.

4.2.5

Il CESE condivide l'affermazione secondo cui la logistica del trasporto merci deve continuare a essere una priorità per la ricerca nell'ambito del Settimo programma quadro, visto che l'innovazione tecnologica può aprire nuove strade al settore.

4.3   Formazione nel settore logistico

4.3.1

Il CESE ritiene che la formazione non debba limitarsi alla logistica dei trasporti, ma che bisognerà ampliarne la portata portandola sul terreno dei trasporti e della logistica come materie differenti e complementari.

4.3.2

Sarebbe utile definire chiaramente quali siano le competenze in materia di logistica; a tutt'oggi mancano infatti dati statistici e definizioni chiare in questo campo. In tale contesto un ruolo importante incombe alle parti sociali, tra l'altro per consentire la creazione di un adeguato quadro formativo.

4.4   Dati statistici

4.4.1

Il CESE conviene sul fatto che non ci si può accontentare di un quadro statistico limitato della logistica, ma occorre invece penetrare a fondo nel campo di attività dei vari modi di trasporto e delle loro attività ausiliarie.

4.4.2

È utile avere un'immagine affidabile della situazione della logistica e della sua evoluzione nel tempo, ma senza dimenticare il versante del trasporto e dello stoccaggio. Il programma statistico comunitario 2008-2012 (3), segnala che uno degli aspetti da migliorare nelle statistiche dell'UE è la compartimentazione per modi di trasporto, specie per quanto riguarda il trasporto su strada.

4.5   Uso dell'infrastruttura

4.5.1

La qualità delle infrastrutture è un elemento fondamentale della logistica del trasporto merci.

4.5.2

Il CESE ribadisce che lo sviluppo socioeconomico dell'UE dipende in grande misura dalla mobilità delle persone e delle merci.

4.5.3

Le Reti transeuropee dei trasporti sono un elemento indispensabile per lo sviluppo del mercato interno dei trasporti, però la loro situazione di partenza differisce da uno Stato membro all'altro. Fatta questa premessa, va tenuto conto anche del fatto che non tutte le Reti transeuropee soffrono di congestione e che, di conseguenza, anche i problemi cui occorre far fronte sono differenti.

4.5.4

Il CESE condivide il giudizio secondo cui le catene logistiche co-modali possono aiutare a decongestionare taluni corridoi, ottimizzando l'uso dell'infrastruttura, sia unimodale che multimodale, da parte degli altri modi di trasporto.

4.5.5

Ritiene che vada tenuto conto della situazione periferica e ultraperiferica di talune regioni e Stati. Per garantire a tali zone una copertura adeguata occorre rendere meno rigide le scadenze e aumentare gli stanziamenti comunitari destinati alla costruzione delle reti transeuropee, tra cui assumono particolare rilievo quelle attraverso i Pirenei e le Alpi. Grazie ad una maggiore accessibilità complessiva miglioreranno le prospettive di sviluppo regionale e di conseguenza la competitività.

4.5.6

Insieme all'aumento degli stanziamenti, l'Unione deve prevedere la promozione di un sistema di finanziamento misto per la costruzione e la manutenzione delle infrastrutture, creando un quadro di stabilità e garanzie giuridiche per la partecipazione di capitali privati, con la condizione che le politiche tariffarie siano rispettose degli interessi di tutti gli utenti.

4.5.7

Le strozzature dovute alla mancanza di un'infrastruttura adeguata, o all'uso improprio dell'infrastruttura, devono essere corrette.

4.6   Qualità del servizio

4.6.1   Riconoscimento della qualità

4.6.1.1

L'introduzione di parametri di riferimento per la logistica del trasporto di merci allo scopo di valutare e controllare la qualità dei servizi a livello europeo, può essere utile per il settore, a condizione che rimanga uno strumento di comparazione utilizzabile dalle imprese e dagli utenti.

4.6.1.2

In effetti l'introduzione di una serie di parametri di riferimento europei favorirebbe l'uniformità al momento di valutare l'efficacia della logistica.

4.6.1.3

Il CESE ritiene tuttavia che l'introduzione di nuove etichette di qualità non dovrebbe comportare per il settore nuovi adempimenti burocratici e ulteriori costi superflui.

4.6.2   Una rete per i servizi ferroviari di trasporto merci

4.6.2.1

Il CESE condivide il giudizio secondo cui lo sviluppo di una rete ferroviaria orientata al trasporto merci, e dunque la realizzazione di corridoi dedicati a tale trasporto, pur migliorando la situazione, non basterebbe di per sé a rimediare alla mancanza di affidabilità ed efficienza dei servizi ferroviari, dovuta, fra l'altro, a un livello insufficiente di interoperabilità tecnica e amministrativa.

4.7   Promozione e semplificazione delle catene multimodali

4.7.1   Sportello unico amministrativo e «Spazio comune marittimo europeo»

4.7.1.1

Il CESE accoglie con favore l'istituzione di «sportelli unici amministrativi» per i flussi logistici, in particolare quelli multimodali, dove tutte le formalità doganali (e di altro tipo) sono espletate secondo criteri coordinati.

4.7.2   Promozione multimodale

4.7.2.1

Il CESE si compiace del fatto che venga sviluppata la rete di centri di promozione del trasporto marittimo a corto raggio e che in tale contesto si tenga conto anche della promozione di soluzioni logistiche multimodali nella catena dei trasporti.

4.7.3   Responsabilità multimodale

4.7.3.1

Il CESE ritiene che, indipendentemente dalla soluzione che sarà data alla questione della responsabilità multimodale in Europa, la Commissione potrebbe considerare il valore aggiunto derivante dall'adozione di un documento di trasporto standardizzato per le operazioni di trasporto multimodale.

4.8   Norme di carico

4.8.1

L'iniziativa con cui la Commissione ha proposto norme comuni europee per le unità di carico intermodali nel trasporto all'interno della Comunità (4), costituisce un'armonizzazione della situazione attuale per quanto riguarda il peso e le dimensioni delle unità di carico, ma occorrerà tener conto delle attuali caratteristiche delle reti di trasporto e dell'esigenza di salvaguardare la sicurezza.

5.   La via da seguire

5.1

Il piano di azione per la logistica del trasporto merci, che sarà elaborato nel corso del 2007, dovrà tenere conto delle proposte provenienti dai vari modi di trasporto interessati, e ciò prima di eventuali iniziative normative da parte della Commissione.

Bruxelles, 26 aprile 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  COM(2006) 545 def.: Comunicazione della CommissionePiano d'azione per l'efficienza energetica: concretizzare le potenzialità.

(2)  Comunicazione sull'iniziativa «automobile intelligente» — Sensibilizzazione all'uso delle TIC per dei veicoli più intelligenti, più sicuri e più puliti — COM(2006) 59 def.

(3)  COM(2006) 687 def. Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al programma statistico comunitario 2008–2012.

(4)  COM(2003) 155 def., modificato da COM(2004) 361 def.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Qui di seguito figura un punto del parere che è stato soppresso conformemente ad un emendamento adottato dall'Assemblea, ma per il cui mantenimento si sono espressi oltre un quarto dei votanti.

Punto 4.5.8

Il CESE propone di sostituire le restrizioni temporanee alla circolazione stradale da parte delle autorità nazionali con restrizioni coordinate a livello comunitario. A tal fine è necessaria l'adozione di una normativa comunitaria, accompagnata dalla definizione di una rete stradale transeuropea minima che, rimanendo esente da tali restrizioni garantisca un trasporto di merci su strada senza interruzioni, vegliando nel contempo alla compatibilità con le esigenze degli utenti di altre reti diversi dai trasportatori.

Esito della votazione:

93 voti favorevoli alla soppressione del punto,

49 voti contrari e

10 astensioni.


20.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 168/68


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Revisione intermedia del Programma per la promozione del trasporto marittimo a corto raggio [documento COM(2003) 155 definitivo]

COM(2006) 380 def.

(2007/C 168/14)

La Commissione europea, in data 13 luglio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 marzo 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore CHAGAS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 aprile 2007, nel corso della 435a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 108 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1

Il CESE ha più volte sostenuto le misure volte a promuovere lo sviluppo del trasporto marittimo a corto raggio, in considerazione del suo potenziale di crescita (creazione di posti di lavoro) e come opzione alternativa ad altri modi di trasporto meno rispettosi dell'ambiente, perché contribuisce alla riduzione della congestione del traffico, degli incidenti e dell'inquinamento acustico e atmosferico.

1.2

Nel parere in merito al programma presentato nel 2003, il CESE ha sottolineato la necessità di valorizzare il ruolo dei corrispondenti (focal points) in quanto elementi di contatto col settore in grado di facilitare l'integrazione in un sistema logistico multimodale. Il CESE invoca dagli Stati membri e dalle parti sociali uno sforzo maggiore ai fini di uno sviluppo della rete dei corrispondenti.

1.3

È urgente che la Commissione e gli Stati membri si assumano la responsabilità di creare le condizioni per lo sviluppo dei diversi modi di trasporto, non solo garantendo le infrastrutture per agevolare l'intermodalità ma anche ovviando alla mancanza di una vera cooperazione complementare, nel senso di una sostenibilità non solo economica ma anche sociale e ambientale, lacuna che il settore non ha saputo colmare.

1.4

Per quanto concerne le azioni proposte nel programma per la promozione del trasporto marittimo a corto raggio, adottato nel 2003, il CESE prende atto dei progressi realizzati e chiede una rapida attuazione delle altre azioni previste, in particolare l'eliminazione degli ostacoli individuati. Lo sviluppo dei corrispondenti e l'estensione della loro sfera d'azione in modo da incorporare la multimodalità terrestre e la logistica connessa, possono contribuire al raggiungimento dei risultati auspicati.

1.5

A parere del CESE la comunicazione in esame dovrebbe far riferimento alla creazione di uno «spazio marittimo comune comunitario», passo che potrebbe contribuire in modo decisivo a dare al trasporto marittimo a corto raggio un posto di rilievo nel trasporto di merci intracomunitario. È del tutto ragionevole che il traffico marittimo tra porti comunitari cominci a essere trattato come traffico interno e non internazionale, con vantaggi evidenti in termini di semplificazione delle procedure doganali.

2.   Antecedenti

2.1

Nel 2003, la Commissione europea ha adottato un programma di promozione del trasporto marittimo a corto raggio (1), rispondendo ad una richiesta rivolta dal Consiglio dei ministri dei Trasporti alla stessa Commissione e agli Stati membri, al fine di assicurare non soltanto lo sviluppo di questo settore, ma anche garantirne l'effettiva integrazione nelle catene intermodali di trasporto esistenti.

2.2

Il programma comprendeva 14 azioni, di cui 5 azioni legislative, 4 tecniche e 5 operative, a loro volta suddivise in misure concrete e con un calendario preciso di attuazione.

2.3

Nel parere (2) adottato su questo argomento, il CESE ha richiamato l'attenzione sul «rispetto rigoroso delle scadenze proposte dalla Commissione nella comunicazione» e ha affermato che «se non si porrà rimedio ad alcune delle strozzature esistenti, il trasporto marittimo a corto raggio non potrà evolvere verso l'intermodalità».

3.   La comunicazione della Commissione

3.1

La comunicazione adottata ora dalla Commissione procede a una valutazione dello stato di attuazione delle misure proposte nel programma del 2003, analizzando i progressi effettuati fino ad oggi grazie ad esse e proponendo linee d'azione per il futuro.

3.2   Azioni legislative

direttiva sulle formalità di dichiarazione delle navi in arrivo e/o in partenza da porti degli Stati membri (IMO-FAL (3)): il recepimento della direttiva negli ordinamenti nazionali è ormai quasi completato,

il programma di sovvenzioni Marco Polo (individuazione delle autostrade del mare come una nuova azione specifica nel cui quadro si definisce il concetto di «autostrade del mare»; le prime autostrade del mare saranno operative nel 2010) è stato completato per metà,

si è ancora in attesa dell'adozione finale della proposta di direttiva sulle unità di carico intermodali presentata dalla Commissione,

la direttiva 2005/33/CE introduce miglioramenti nelle prestazioni ambientali del trasporto marittimo, soprattutto per quanto riguarda le emissioni di SOx, di NOx e di particolato.

3.3   Azioni tecniche

guida delle procedure doganali applicabili al trasporto marittimo a corto raggio. L'azione è stata portata a termine,

individuazione ed eliminazione degli ostacoli all'espansione del trasporto marittimo a corto raggio (ad esempio eliminazione degli ostacoli amministrativi). L'azione è stata realizzata per metà,

ravvicinamento delle prassi nazionali e informatizzazione delle procedure doganali comunitarie. Il nuovo sistema di transito informatizzato (NCTS — New Computerised Transit System) è operativo dal 2003. L'azione è stata completata per metà,

ricerca e sviluppo tecnologico. La Rete tematica del trasporto marittimo a corto raggio (Realise) ha terminato i suoi lavori alla fine del 2005. L'azione è stata realizzata per metà.

3.4   Azioni operative

sportelli amministrativi unici. L'azione è stata realizzata per oltre la metà,

corrispondenti per il trasporto marittimo a corto raggio (si tratta dei rappresentanti delle amministrazioni marittime nazionali consultati dalla Commissione). L'azione è stata realizzata per oltre la metà,

centri di promozione del trasporto marittimo a corto raggio. Questi centri offrono una consulenza neutrale e imparziale sull'utilizzo del trasporto marittimo a corto raggio. L'azione è stata realizzata per oltre la metà. Si continuerà ad ampliare l'ambito geografico d'azione di tali centri per garantire almeno la loro sicurezza finanziaria,

miglioramento dell'immagine del trasporto marittimo a corto raggio (ad esempio attraverso la European Shortsea Network): l'azione è stata realizzata per oltre la metà,

informazioni statistiche. Eurostat sta procedendo a dei test su un primo strumento di misurazione, per consentire paragoni coerenti tra i vari modi di trasporto. La tabella di conversione attualmente disponibile dovrà essere perfezionata.

3.5

Giungendo alla conclusione che le azioni proposte erano quelle necessarie, la Commissione ritiene necessario in alcuni casi fissare nuovi obiettivi e nuove scadenze. Per altri casi, cerca di precisare meglio o di ampliare gli obiettivi da perseguire. La Commissione mette inoltre in risalto la necessità di integrare meglio i porti comunitari nella catena logistica.

4.   Osservazioni generali

4.1

Il CESE ha più volte sostenuto le misure volte a promuovere lo sviluppo del trasporto marittimo a corto raggio, in considerazione del suo potenziale di crescita (creazione di posti di lavoro) e in quanto alternativa ad altri modi di trasporto meno rispettosi dell'ambiente, poiché esso contribuisce a ridurre la congestione del traffico e gli incidenti e l'inquinamento acustico e atmosferico.

4.2

I vari programmi adottati e le misure di promozione del trasporto marittimo a corto raggio hanno permesso di conseguire risultati importanti, che si traducono, da un lato, in una crescita media annua del 3,2 % dal 2000 (8,8 % per il trasporto merci in container) e dall'altro nell'eliminazione di un notevole numero di ostacoli che frenano l'ulteriore sviluppo del settore: dei 161 ostacoli iniziali ne restano infatti soltanto 35. Si deve supporre che in questa cifra siano inclusi quelli che sono più difficili da eliminare, ragion per cui è necessario proseguire su questa strada con determinazione.

4.3

Nella riunione dell'11 dicembre 2006, il Consiglio ha adottato una serie di conclusioni relative alla comunicazione della Commissione e un certo numero di raccomandazioni concernenti il quadro legislativo, il potenziamento dello sviluppo e della promozione del trasporto marittimo a corto raggio e la cooperazione tra gli Stati membri e la Commissione. Il Consiglio ha inoltre appoggiato in generale le misure proposte nella revisione intermedia.

4.4

Nel valutare i risultati del programma circa tre anni dopo la sua adozione, la Commissione afferma che esso «è stato realizzato per più della metà». Sottolinea comunque la necessità di «integrare il trasporto marittimo a corto raggio nella catena logistica degli approvvigionamenti». Una parte significativa delle misure proposte, tuttavia, avrebbe dovuto essere già stata portata a termine. Un esempio di questo ritardo è l'azione 14 relativa alle informazioni statistiche, già proposta in una comunicazione del 1992. Solo adesso Eurostat sta procedendo a dei test su un primo strumento di misurazione.

4.5

Nel suo parere (4) in merito al programma presentato nel 2003, il CESE aveva sottolineato la necessità di valorizzare il ruolo dei corrispondenti (focal points) in quanto rappresentano elementi di contatto col settore in grado di facilitare l'integrazione in un sistema logistico multimodale. Il CESE chiede un maggiore impegno da parte degli Stati membri e degli interlocutori sociali per lo sviluppo della reti di corrispondenti.

4.6

Nonostante la formulazione usata dalla Commissione, che fa riferimento a una supposta «catena logistica multimodale» non è chiaro se si possa dire che essa esiste. La somma di diversi sistemi logistici e di reti intermodali non può essere considerata di per sé una catena multimodale. La mancanza di coordinamento e cooperazione tra i diversi segmenti di trasporto è certamente il principale ostacolo alla creazione e allo sviluppo di una politica comunitaria dei trasporti coerente e sostenibile.

4.7

È urgente che la Commissione e gli Stati membri si assumano la responsabilità di creare le condizioni per lo sviluppo dei diversi modi di trasporto, non solo assicurando le infrastrutture che agevolano l'intermodalità ma anche ovviando alla mancanza di una vera cooperazione complementare, nel senso di una sostenibilità non solo economica ma anche sociale e ambientale, lacuna che il settore non ha saputo colmare

5.   Osservazioni particolari

5.1   Azioni legislative

5.1.1

Delle misure proposte, solo l'introduzione delle nuove unità di carico intermodali europee non è stata realizzata. La proposta ha sollevato notevoli riserve da parte di diversi operatori economici i quali ritengono che l'adozione di nuovi modelli per le unità di carico debba avvenire a livello internazionale e non soltanto europeo. Anche il CESE ha espresso una serie di preoccupazioni che richiedono una risposta adeguata. La Commissione ha recentemente rilanciato il dibattito su questa proposta e pare che la sua riformulazione, volta ad assicurare che l'introduzione di un nuovo modello di container non implicherà necessariamente modifiche ai modelli già esistenti, potrebbe rispondere ad alcune delle preoccupazioni che sono state espresse.

5.1.2

Il programma Marco Polo dovrà continuare a svolgere un ruolo importante nel finanziamento e nello sviluppo di nuove linee o di quelle già esistenti. L'introduzione delle autostrade del mare come nuova azione specifica potrà contribuire alla loro realizzazione. Sussistono tuttavia dei dubbi circa il concetto stesso di autostrade del mare. Se da un lato va sostenuta l'idea di non limitarne l'applicazione alle reti transeuropee di trasporto, è necessario dall'altro che la loro introduzione avvenga nella trasparenza e non dia luogo a distorsioni della concorrenza.

5.1.3

In termini di performance ambientali, gli sforzi dell'industria hanno dato risultati positivi. È tuttavia necessario continuare a migliorare tali performance, a prescindere dai termini di paragone con altri modi di trasporto. Gli investimenti nella ricerca e nello sviluppo di carburanti e motori più puliti devono essere potenziati e incentivati. La legislazione comunitaria in materia dovrebbe essere rivista in funzione degli eventuali sviluppi futuri. Si deve inoltre investire nella modernizzazione di alcuni segmenti della flotta comunitaria.

5.1.4

Il CESE si chiede come mai la comunicazione all'esame non contenga un riferimento alla creazione di uno «spazio marittimo comune», già presente in altri documenti, quali il Libro verde per una politica marittima dell'Unione, la revisione intermedia del Libro bianco del 2001 o la comunicazione sulla logistica delle merci. Questo passo potrebbe contribuire notevolmente a dare al trasporto marittimo a corto raggio un posto di rilievo nel trasporto intracomunitario di merci. È ragionevole che il trasporto marittimo tra i porti della Comunità venga trattato come traffico interno e non internazionale, con vantaggi evidenti in termini di semplificazione delle procedure doganali.

5.2   Azioni tecniche

5.2.1

Per quanto concerne le misure tecniche proposte, il CESE prende atto dei progressi compiuti e incoraggia la Commissione e gli Stati membri a proseguirne l'applicazione. È particolarmente importante che i gruppi di contatto delle diverse amministrazioni proseguano i loro lavori al fine di trovare soluzioni comuni per eliminare gli ostacoli ancora esistenti.

5.3   Azioni operative

5.3.1

Tra le conclusioni della Commissione relative all'applicazione di tali misure emerge in particolare la volontà di estendere la sfera di attività dei centri di promozione del trasporto marittimo a corto raggio, in modo da includere i servizi multimodali terrestri e quelli logistici connessi. È essenziale approfondire e promuovere la cooperazione tra i diversi segmenti della logistica.

5.3.2

Analogamente, i corrispondenti possono contribuire alla ricerca di soluzioni a livello locale e regionale per eliminare gli ostacoli che impediscono migliori risultati del trasporto marittimo a corto raggio. Occorre incoraggiare il coinvolgimento sia delle parti sociali sia del Forum delle industrie marittime (FIM).

5.3.3

È importante disporre di informazioni statistiche affidabili, armonizzate e complete. Come già sottolineato in precedenza, questa necessità è già stata messa in risalto in una comunicazione del 1992. Il CESE riconosce i progressi fatti segnare negli ultimi tempi e chiede alla Commissione e agli Stati membri di dedicare una maggiore attenzione a questo tema.

Bruxelles, 25 aprile 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  COM(2003) 155 def.

(2)  CESE 1398/2003, relatore E. CHAGAS (GU C 32 del 5.2.2004).

(3)  International Maritime Organisation's Facilitation Forms.

(4)  Cfr. nota 2.


20.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 168/71


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali

COM(2006) 569 def. — 2006/0182 (COD)

(2007/C 168/15)

Il Consiglio, in data 10 novembre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 71, paragrafo 1, lettera c), del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 marzo 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore SIMONS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 aprile 2007, nel corso della 435a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere all'unanimità.

1.   Conclusioni

1.1

Il Comitato accoglie con favore l'iniziativa della Commissione intesa a dare corpo al terzo pilastro della politica di sicurezza dei trasporti, cioè la gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali. Accanto alle misure focalizzate sui conducenti e a quelle volte a migliorare la sicurezza dei veicoli, la proposta di direttiva mira ad aggiungere dei provvedimenti che integrino la sicurezza in tutte le fasi della pianificazione, della progettazione e del funzionamento delle infrastrutture stradali nella rete transeuropea (TEN). Sotto il profilo della sicurezza stradale, tutti questi aspetti rivestono pari importanza.

1.2

Pur essendo consapevole del fatto che i provvedimenti relativi alle infrastrutture, laddove queste ultime siano già ben sviluppate, avranno generalmente un impatto inferiore rispetto a quello dei provvedimenti relativi ai conducenti o ai veicoli, il Comitato è convinto della necessità di usare, anche in questo campo, tutti i mezzi disponibili per migliorare la sicurezza dei trasporti e per ridurre il numero delle vittime di incidenti stradali.

1.3

Secondo il Comitato, le misure proposte per il terzo pilastro della politica di sicurezza dei trasporti non dovrebbero limitarsi alla rete stradale TEN degli Stati membri: esse dovrebbero invece essere estese a tutti i collegamenti stradali nelle zone extraurbane dove si constatano numerosi incidenti. Visto che l'obiettivo è quello di ridurre quanto più possibile il numero delle vittime di incidenti, e appurato che i risultati migliori in tal senso (riducendo ad esempio il numero annuale delle vittime non già di 600, bensì di 1.300 unità) si otterrebbero proprio sulle infrastrutture stradali diverse dalle TEN, ci si aspetterebbe che la Commissione prestasse un'attenzione di gran lunga maggiore a questo aspetto. Secondo il Comitato, l'articolo 71, paragrafo 1, lettera c), del Trattato CE offre una base adeguata al riguardo.

1.4

Il Comitato invita quindi gli Stati membri ad accettare l'estensione del campo d'applicazione della proposta a tutte le strade extraurbane.

1.5

Come strumento giuridico la Commissione propone una direttiva. Da parte sua il Comitato ritiene che, sotto il profilo dell'efficacia delle misure proposte, una direttiva non potrà conseguire i risultati auspicati: si tratta infatti di uno strumento che lascia troppa libertà agli Stati membri, rendendo impossibile l'applicazione uniforme. Visto l'obiettivo della Commissione di dimezzare entro il 2010 il numero di vittime di incidenti mortali rispetto al 2000, il Comitato ritiene necessario che essa ricorra ad uno strumento giuridico più vincolante di una semplice direttiva, le cui disposizioni vengano rispettate da tutte le parti in causa, pubbliche e private.

1.6

L'obbligo di rispettare il principio di sussidiarietà nel quadro della base giuridica di cui al punto 1.3 non costituisce affatto un ostacolo. Nel caso in esame, infatti, l'intervento dell'Unione europea è reso indispensabile dall'assoluta necessità di un'applicazione uniforme.

1.7

Il Comitato rammenta inoltre l'importanza di analizzare le cause degli incidenti stradali: solo così sarà possibile stabilire fino a che punto la conformazione delle infrastrutture stradali sia causa di incidenti, e quindi adottare misure efficaci.

2.   Introduzione

2.1

Fino agli anni '90 del secolo scorso gli incidenti stradali venivano considerati come un fenomeno legato alla mobilità tipica del nostro modello sociale e del nostro sistema economico.

2.2

Anche il ruolo dell'UE era limitato. In mancanza di competenze chiaramente definite, essa poteva fare ben poco al di là dell'adozione di direttive intese a migliorare la sicurezza degli autoveicoli intervenendo soprattutto sulle norme tecniche (uso obbligatorio delle cinture di sicurezza, limitatori di velocità per i camion, ecc.).

2.3

L'inizio del 21o secolo ha invece visto una svolta nella mentalità. Diversi studi hanno dimostrato che la sicurezza dei trasporti è una delle preoccupazioni prioritarie dei cittadini europei. Ciò vale soprattutto per il traffico su strada, il modo di trasporto che provoca il maggior numero di vittime.

2.4

Nel 2000 nell'Unione europea — allora composta da 15 Stati — oltre 40.000 persone hanno perso la vita a causa di incidenti stradali, e oltre 1,7 milioni sono rimaste ferite. I costi diretti misurabili degli incidenti stradali ammontano a 45 miliardi di euro annui, mentre i costi indiretti, inclusi i danni fisici e psichici per le vittime e le loro famiglie, sono pari a circa 160 miliardi di euro l'anno.

2.5

Con il Trattato di Maastricht l'UE ha sì ottenuto strumenti giuridici più idonei per intervenire nel campo della sicurezza dei trasporti, ma una vera e propria politica comunitaria in materia rimane ostacolata dal principio di sussidiarietà.

2.6

Il Libro bianco del 2001 La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte, e la comunicazione del giugno 2003 su un programma d'azione europeo per la sicurezza stradale prestano grande attenzione alle norme intese a migliorare la sicurezza dei trasporti. Accanto alle misure relative ai conducenti e a quelle relative ai veicoli, le misure riguardanti le infrastrutture fisiche sono infatti il terzo pilastro della sicurezza dei trasporti.

2.7

Nel campo della sicurezza delle infrastrutture stradali ancora non sono state varate iniziative a livello europeo. Le strade dotate di sistemi di gestione e di controllo del traffico basati sulle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) sono diventate più sicure, ma non tutte le strade dispongono di tali sistemi.

2.8

Si deve quindi fare ancora molto per migliorare la sicurezza delle infrastrutture fisiche. Le autorità nazionali tendono però a ridurre le risorse finanziarie destinate alle infrastrutture stradali, mentre gli utenti delle strade attribuiscono sempre più importanza alla qualità e alla sicurezza delle strade.

2.9

Per questi motivi con la direttiva proposta la Commissione mira a integrare la sicurezza in tutte le fasi della pianificazione, della progettazione e del funzionamento delle infrastrutture delle TEN-T e intende introdurre, accanto ad una valutazione dell'impatto sull'economia e sull'ambiente, anche una valutazione dell'impatto sulla sicurezza stradale.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1

Come già affermato nel parere del 10 dicembre 2003 in merito alla comunicazione della Commissione dal titolo Programma d'azione europeo per la sicurezza stradaleDimezzare il numero di vittime della strada nell'Unione europea entro il 2010: una responsabilità condivisa, il Comitato ritiene alquanto ambizioso l'obiettivo della Commissione di dimezzare entro il 2010 il numero di morti per incidenti stradali rispetto al 2000 (portandolo cioè da 40.000 a 25.000).

3.2

Questo suo giudizio trova conferma nel fatto che nel 2005 i morti sulle strade europee erano ancora 41.500, nonostante le numerose misure destinate sia ai conducenti che ai veicoli introdotte nel frattempo a livello europeo per migliorare la sicurezza stradale. Giudicando assolutamente prioritario impedire incidenti stradali che provochino vittime, il Comitato si aspetta dalla Commissione interventi ben più incisivi in proposito, ad esempio lanciando un'imponente campagna a livello europeo a favore della sicurezza stradale, e raccomandando agli Stati membri strumenti più decisi per ridurre il numero di vittime della strada.

3.3

Il Comitato ritiene che le misure comunitarie più efficaci ai fini della sicurezza dei trasporti siano quelle rivolte ai conducenti e ai veicoli. Quelle che invece riguardano le infrastrutture stradali — cioè il terzo pilastro della politica di sicurezza dei trasporti — sono, a suo avviso, meno efficaci, e avranno pertanto un impatto inferiore sulla diminuzione del numero delle vittime sulle strade, a seconda delle peculiarità specifiche dei singoli Stati membri. Il Comitato ritiene tuttavia necessario utilizzare tutti i mezzi possibili per ridurre il numero delle vittime, ad esempio introducendo standard relativi alla conformazione delle infrastrutture stradali e alla segnaletica negli Stati UE.

3.4

L'idea del Comitato circa le conseguenze della proposta di direttiva viene confermata dalla valutazione dell'impatto della proposta stessa, effettuata nel 2003 dalla rete tematica Rosebud. Stando alle sue conclusioni, si può ragionevolmente prevedere che l'applicazione della direttiva sulla sicurezza delle infrastrutture alle strade della rete transeuropea permetterà di ridurre ogni anno il numero di morti di oltre 600 e quello dei feriti di oltre 7.000 unità. Se questa direttiva fosse tuttavia applicabile anche a tutte le strade extraurbane, il numero annuo delle vittime diminuirebbe di circa 1.300, con un risparmio di 5 miliardi di euro l'anno.

3.5

Il Comitato ritiene che l'art. 71, par. 1, lettera c), del Trattato CE offra una buona base giuridica al riguardo. Invita pertanto gli Stati membri ad acconsentire all'estensione del campo d'applicazione della proposta a tutte le strade extraurbane.

3.6

La proposta di direttiva contiene un insieme minimo di elementi che la Commissione giudica necessari a rafforzare la sicurezza e a diffondere le procedure rivelatesi più efficaci. A questo proposito la Commissione menziona le seguenti quattro procedure, centrali nel sistema di gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali: le valutazioni d'impatto sulla sicurezza, gli audit di sicurezza, l'individuazione dei tratti stradali ad alto rischio (i cosiddetti «punti critici») e le ispezioni di sicurezza effettuate nell'ambito della regolare manutenzione stradale. Il Comitato esprime perplessità sull'efficacia di misure proposte sotto forma di direttiva: è infatti escluso che le suddette quattro procedure possano essere applicate in maniera uniforme in tutti i paesi dell'UE.

3.7

La Commissione, da parte sua, ritiene che la direttiva sia lo strumento più adatto a garantire l'equilibrio tra l'esigenza di migliorare la sicurezza, quella di limitare i costi amministrativi e quella di rispettare le diverse pratiche, valori e norme esistenti nei diversi Stati membri. Il Comitato non condivide però questo punto di vista, per i motivi illustrati ai punti 3.4 e 3.5 del presente documento.

3.8

Una direttiva non sortirà l'effetto auspicato perché si tratta di uno strumento che lascia troppa libertà agli Stati membri, rendendo impossibile l'applicazione uniforme. Visto l'obiettivo della Commissione di dimezzare entro il 2010 il numero di vittime di incidenti mortali rispetto al 2000, il Comitato ritiene necessario che essa ricorra ad uno strumento giuridico più vincolante di una semplice direttiva, le cui disposizioni vengano rispettate da tutte le parti in causa, pubbliche e private.

3.9

Secondo la Commissione le proposte avanzate nella proposta di direttiva comporteranno solo un aumento marginale dei costi, che sarà rapidamente ammortizzato grazie alle economie derivanti dal minor numero d'incidenti. Il Comitato si chiede su cosa si basi questa idea della Commissione.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Il Comitato ritiene che le misure proposte per il terzo pilastro della politica di sicurezza dei trasporti (infrastrutture stradali), analogamente a quelle relative ai primi due pilastri (veicoli e conducenti), dovrebbero non già limitarsi alla rete stradale TEN, bensì essere estese a tutte le strade extraurbane, dove si constatano numerosi incidenti.

4.2

Questo è, tra l'altro, solo uno dei risultati emersi dalla consultazione pubblica su Internet svoltasi tra il 12 aprile e il 19 maggio 2006. In tale occasione da molte parti si è proposto di estendere le disposizioni della direttiva anche a strade non rientranti nella rete stradale transeuropea perché è proprio su queste strade che si potrebbe salvare il maggior numero di vite umane.

4.3

La proposta di direttiva stabilisce le procedure relative alle valutazioni d'impatto sulla sicurezza, agli audit di sicurezza e alle ispezioni di sicurezza delle strade. Ciascuno Stato membro dovrà basarsi sui criteri e sugli elementi elencati negli allegati per fornire in maniera uniforme le informazioni richieste. Secondo il Comitato, però, il margine di manovra lasciato agli Stati membri da uno strumento quale una direttiva è troppo ampio per consentire un raffronto efficace degli effetti della direttiva stessa.

4.4

Ad esempio, per la valutazione d'impatto sulla sicurezza stradale, l'allegato I della direttiva elenca una serie di elementi e componenti di cui gli Stati membri dovrebbero tenere conto nell'effettuare la valutazione. Questo elenco lascia agli Stati membri un tale margine di discrezionalità da rendere molto difficile la comparabilità dei dati.

4.5

Lo stesso vale per i criteri indicati nell'allegato II alla direttiva, che si riferiscono agli audit di sicurezza delle strade. Anche in questo caso si lascia agli Stati membri un ampio margine di interpretazione.

4.6

Lo stesso problema si pone per le ispezioni di sicurezza, con la complicazione che, stando all'allegato III della direttiva, uno degli elementi che devono figurare nelle relazioni dell'équipe di ispezione è «l'esame delle relazioni di incidente». Il Comitato ritiene che a dover essere esaminate non siano tanto le relazioni sugli incidenti, quanto piuttosto le loro cause. Purtroppo questo elemento non è citato neanche nell'articolo 7 della proposta di direttiva, e nemmeno nell'allegato IV, il quale precisa i dati che devono figurare nelle relazioni di incidente.

4.7

Come già affermato dal Comitato nel parere del 10 dicembre 2003 in merito alla comunicazione della Commissione dal titolo Programma d'azione europeo per la sicurezza stradaleDimezzare il numero di vittime della strada nell'Unione europea entro il 2010: una responsabilità condivisa, un'analisi più precisa dei «tratti stradali ad alto rischio», corredata da un'analisi delle cause degli incidenti per ciascuno di questi, fornirebbe molte informazioni preziose. Nello stesso parere il Comitato ricorda inoltre il lavoro dell'organizzazione EuroRAP (European Road Assessment Programme), che diffonde una carta stradale di vari paesi europei, predisposta in base al numero degli incidenti verificatisi, in cui è indicato il grado di pericolosità delle diverse strade.

4.8

Il Comitato raccomanda alla Commissione di completare la proposta precisando che lungo le strade principali gli Stati membri dovranno aumentare il numero dei parcheggi per tutti gli utenti, compresi i disabili. Sarà opportuno garantire la sicurezza di tali parcheggi, altrimenti i conducenti saranno indotti a proseguire il viaggio violando le norme relative al tempo di guida e di riposo, e quindi compromettendo la sicurezza stradale.

4.9

Il CESE sottolinea che un aspetto al quale non viene dedicata sufficiente attenzione è l'illuminazione stradale, e auspica che su questo punto gli Stati membri armonizzino le rispettive politiche, migliorando così la sicurezza sulle strade.

4.10

Il Comitato desidera infine segnalare alla Commissione che una rappresentazione grafica da parte degli Stati membri dei cosiddetti «punti critici», ossia dei tratti stradali ad alto rischio d'incidenti, può rivelarsi importante per sensibilizzare gli utenti della strada.

Bruxelles, 26 aprile 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


20.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 168/74


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 97/67/CE relativa al pieno completamento del mercato interno dei servizi postali comunitari

COM(2006) 594 def. — 2006/0196 (COD)

(2007/C 168/16)

Il Consiglio, in data 1o dicembre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 47, paragrafo 2, e degli articoli 55 e 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 marzo 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore HENCKS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 aprile 2007, nel corso della 435a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 131 voti favorevoli, 26 voti contrari e 8 astensioni:

1.   Raccomandazioni

1.1

Con la proposta di direttiva in esame, la Commissione intende procedere, il 1o gennaio 2009, alla fase finale dell'apertura del mercato postale, mantenendo i principali aspetti del servizio universale ai livelli attuali in tutti gli Stati membri dell'Unione e abolendo i diritti esclusivi (settore riservato) volti a finanziare il servizio universale stesso.

1.2

Il problema principale relativo alla definizione di quest'ultima fase consiste nello stabilire la procedura da seguire per mantenere un settore postale efficiente e competitivo, che continui ad offrire ai privati e alle imprese europei un servizio universale di alta qualità a prezzi accessibili, a tutto vantaggio della competitività dell'economia, delle esigenze dei cittadini (indipendentemente dalla loro posizione geografica, situazione finanziaria o da altre condizioni), dell'occupazione e dello sviluppo sostenibile.

1.3

Il CESE ritiene che gli elementi forniti dalla Commissione a sostegno del progetto non consentano di garantire, con l'indispensabile sicurezza, il finanziamento sostenibile del servizio universale in ciascuno degli Stati membri, in particolare quelli che versano in difficili condizioni di geografia fisica e antropica, e non possano quindi impedire oggi il finanziamento attraverso un settore riservato che ha già dimostrato la propria efficacia e la propria equità in numerosi Stati membri.

1.4

Il CESE non può accettare che i costi netti residui del servizio universale vengano compensati mediante l'introduzione di un diritto a carico degli utenti, di un aumento delle tariffe o di sovvenzioni pubbliche, mentre il servizio riservato non comporta attualmente costi specifici per gli utenti/contribuenti.

1.5

Il CESE non è convinto, allo stadio attuale, né della bontà del sistema pay or play, secondo il quale ciascun operatore ha un obbligo di servizio universale da cui può esimersi partecipando al finanziamento di tale servizio, né dell'opportunità di ricorrere a un fondo di compensazione.

1.6

La Commissione deve precisare il quadro in cui potrebbe proseguire la liberalizzazione dei servizi postali: si tratta di una premessa indispensabile per la soppressione del settore riservato, necessario al finanziamento del servizio universale.

1.7

Date tutte le incertezze e i rischi che gravano su un'apertura totale del mercato postale, la scadenza dell'1.1.2009 appare irrealistica, tanto più che gli operatori postali operanti negli Stati che hanno aderito all'Unione nel 2004 non disporrebbero di tempo sufficiente per adeguarsi alle nuove condizioni.

1.8

Il CESE chiede quanto segue:

che venga prorogata la direttiva attuale,

che l'eventuale liberalizzazione completa del settore postale sia prevista per l'1.1.2012 e subordinata alla condizione che per allora vengano formulate, in stretta concertazione con tutte le parti interessate, proposte di finanziamento credibili che apportino un valore aggiunto rispetto al settore riservato,

che siano inseriti nel servizio universale gli specifici invii postali effettuati dagli utenti non vedenti o ipovedenti e dalle loro organizzazioni o a loro destinati.

2.   Introduzione

2.1

I servizi postali rivestono un'importanza sociale ed economica considerevole per la coesione economica, sociale e territoriale dell'UE e per l'attuazione della strategia di Lisbona. Essi hanno un'incidenza diretta sui legami sociali e sui diritti fondamentali dei cittadini, come pure sulla creazione di un tessuto sociale, sulla solidarietà tra i popoli e i territori, sulla competitività dell'economia europea e infine sullo sviluppo sostenibile.

2.2

Secondo stime della Commissione, nell'UE i servizi postali effettuano 135 miliardi di invii l'anno per un volume d'affari di circa 88 miliardi di euro, vale a dire approssimativamente l'1 % del prodotto interno lordo (PIL) della Comunità. Due terzi di questo volume d'affari sono generati dai servizi di recapito della corrispondenza, mentre il resto proviene dai servizi di spedizione di pacchi e di corriere espresso, e da servizi accessori.

2.3

Un servizio postale universale che garantisca a tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro posizione geografica, situazione finanziaria o da altre condizioni, l'accesso a servizi postali di qualità, affidabili e a prezzi accessibili, è una componente essenziale del modello sociale europeo e della strategia di Lisbona. Un servizio universale di alta qualità è una necessità sia per i cittadini sia per gli attori economici, che sono i principali clienti dei servizi postali e devono essere certi che ciascuna lettera e ciascun pacco saranno recapitati ai rispettivi destinatari a prescindere dalla loro ubicazione e dalle loro caratteristiche.

2.4

Le riforme, gli sviluppi tecnologici e l'intensificarsi dell'automazione nel settore postale hanno portato a sostanziali miglioramenti della qualità, a un aumento dell'efficienza e a una maggiore considerazione delle esigenze dei clienti.

2.5

A dispetto delle previsioni pessimistiche, secondo le quali i servizi postali costituiscono un mercato in continuo declino, queste evoluzioni dimostrano il potenziale di crescita che gli operatori ravvisano nello sviluppo di nuovi servizi, come gli acquisti a domicilio, il commercio elettronico e la posta ibrida.

2.6

Contrariamente alle altre industrie di rete, il lavoro postale, specie la distribuzione, continua ad essere caratterizzato da una forte manualità e dal contatto con il pubblico. Il settore costituisce un'importante fonte di occupazione: nell'Unione europea si calcola che oltre 5 milioni di posti di lavoro dipendono direttamente da questo comparto o vi sono strettamente collegati. La manodopera, che generalmente costituisce un costo fisso e rappresenta la maggior parte (+/-80 %) dei costi complessivi, è particolarmente esposta a eventuali misure di razionalizzazione finalizzate alla liberalizzazione e al miglioramento della competitività.

2.7

Infine, il CESE desidera segnalare che i sondaggi periodici dell'Eurobarometro evidenziano la soddisfazione generale della grande maggioranza degli utenti riguardo alla qualità dei servizi postali.

3.   Antecedenti

3.1

Promossa dal Libro verde dell'11 giugno 1992 sullo sviluppo del mercato unico dei servizi postali e dalla comunicazione del 2 giugno 1993 intitolata «Linee direttrici per lo sviluppo dei servizi postali comunitari», la liberalizzazione progressiva e controllata del settore postale ha avuto inizio, quasi dieci anni or sono, con la direttiva 97/67/CE, la cosiddetta «direttiva postale».

3.2

La direttiva postale, che scadrà il 31.12.2008, definisce una serie di regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali, riguardanti:

il servizio universale,

il settore riservato (monopolio),

i principi tariffari e la trasparenza contabile per i fornitori del servizio universale,

le norme di qualità,

l'armonizzazione delle norme tecniche,

la creazione di autorità nazionali indipendenti di regolamentazione.

3.3   Il servizio universale

3.3.1

Secondo questa direttiva, gli Stati membri hanno l'obbligo di assicurare a tutti gli utenti un servizio universale ad un prezzo accessibile, garantendo per tutti i giorni lavorativi, e come minimo cinque giorni a settimana, in tutti i punti del territorio, almeno:

la raccolta, lo smistamento, il trasporto e la distribuzione degli invii postali fino a 2 kg e dei pacchi postali fino a 10 kg,

i servizi relativi agli invii raccomandati e a quelli con valore dichiarato,

la presenza di adeguati punti di accesso al servizio postale su tutto il territorio.

3.3.2

Le regole comunitarie garantiscono così a ciascun abitante dell'Unione europea un effettivo servizio di comunicazione, indipendentemente dalle caratteristiche di geografia fisica e antropica del territorio in cui vive.

3.3.3

Il servizio universale su definito, che comprende sia i servizi nazionali che quelli transfrontalieri, deve rispettare le norme di qualità stabilite dagli Stati membri (per i servizi nazionali), dal Parlamento e dal Consiglio (per i servizi transfrontalieri comunitari), e riguardanti in particolare i tempi di inoltro e la regolarità e affidabilità dei servizi.

3.4   Il settore riservato

3.4.1

Se uno Stato membro ritiene che gli obblighi di servizio universale rappresentino un onere finanziario non equo per il fornitore di detto servizio, può riservare a quest'ultimo il monopolio della raccolta, dello smistamento, del trasporto e della distribuzione degli invii di corrispondenza interna, e, nella misura necessaria al mantenimento del servizio universale, della posta transfrontaliera e della pubblicità diretta per corrispondenza nei limiti seguenti:

di peso fino a 50 grammi (o il cui costo di affrancatura non è superiore a due volte e mezzo la tariffa pubblica applicabile a un invio di corrispondenza nella prima categoria di peso della categoria più rapida).

4.   Il progetto di direttiva della Commissione

4.1

Lo studio prospettivo affidato dalla Commissione a un consulente internazionale (1) conclude che il completamento del mercato interno, entro il 2009, per i servizi postali in tutti gli Stati membri è compatibile con il mantenimento di un servizio universale di alta qualità. Nello studio si precisa tuttavia che il mantenimento del servizio universale comporta dei rischi che renderanno necessario adottare apposite misure di «accompagnamento» nella maggior parte degli Stati membri.

4.2

Il progetto di direttiva in esame prevede l'apertura totale del mercato postale entro il 1o gennaio 2009, pur salvaguardando il livello attuale comune di servizio universale nei suoi principali aspetti per tutti gli utenti e in tutti gli Stati membri dell'Unione.

4.3

Dal 1o gennaio 2009 gli Stati membri non sarebbero più autorizzati a concedere diritti esclusivi o speciali (settore riservato) per la creazione e la fornitura di servizi postali.

4.4

Gli Stati membri non sarebbero più necessariamente tenuti a nominare uno o più prestatori del servizio universale, ma potrebbero affidare la fornitura di tale servizio, per un periodo di tempo limitato, alle forze del mercato. Spetterà agli Stati membri individuare le regioni o i servizi specifici in cui il servizio universale non può essere garantito dalle forze del mercato e assicurare la fornitura di tali servizi a prezzi convenienti mediante appalti pubblici.

4.5

Qualora la prestazione del servizio universale richieda un finanziamento esterno, gli Stati membri potrebbero scegliere tra le seguenti opzioni:

il ricorso a procedure di appalto pubblico,

la compensazione pubblica tramite sovvenzioni statali dirette,

un fondo di compensazione finanziato attraverso un'imposta a carico dei fornitori e/o degli utenti dei servizi,

un meccanismo di tipo play or pay che colleghi la concessione delle autorizzazioni al rispetto di obblighi di servizio universale o al finanziamento di un fondo di compensazione.

4.6

La direttiva in esame introduce inoltre una nuova disposizione che obbliga gli Stati membri a valutare la necessità di garantire condizioni di accesso trasparenti e non discriminatorie per tutti gli operatori alle strutture postali e ai servizi seguenti: sistema di codice di avviamento postale, base dati di indirizzi, cassette postali, cassette di raccolta e recapito, informazioni sui cambiamenti di indirizzo, servizio di riavviamento di un invio, servizio di rinvio al mittente. L'accesso a valle alle parti della rete relative allo smistamento e al recapito non è disciplinato dalle disposizioni suddette.

5.   Osservazioni generali

5.1

Il CESE ha sempre apprezzato il fatto che, al contrario di altri settori, la liberalizzazione dei servizi postali non sia stata effettuata in modo forzoso, bensì, finora, in maniera graduale e controllata. Si compiace che il progetto confermi i principali aspetti del servizio universale garantito a ogni utente. Chiede tuttavia che sia inserita nel servizio universale anche la gratuità degli specifici invii postali effettuati dagli utenti non vedenti o ipovedenti o a questi destinati.

5.2

Secondo la Commissione, il problema principale relativo alla definizione dell'ultima fase dell'apertura totale del mercato postale nell'Unione consiste nel definire la procedura da seguire per ottenere un settore postale comunitario competitivo ed efficiente che continui ad offrire ai privati e alle imprese europei un servizio di alta qualità a prezzi accessibili.

5.3

Il CESE ritiene invece che gli elementi forniti dalla Commissione a sostegno del proprio progetto non consentano di garantire, con l'indispensabile sicurezza, il finanziamento sostenibile del servizio universale in ciascuno degli Stati membri, in particolare quelli in difficili condizioni di geografia fisica e antropica, e non possano quindi impedire oggi il finanziamento attraverso un settore riservato che ha già dimostrato la propria efficacia e la propria equità in numerosi Stati membri.

5.4

Il CESE non può accettare che i costi netti residui del servizio universale vengano compensati mediante l'introduzione di un diritto a carico degli utenti o di un aumento delle tariffe, oppure finanziati tramite sovvenzioni pubbliche, mentre il servizio universale in quanto tale non comporta attualmente costi specifici per gli utenti/contribuenti.

5.5

Il CESE non è convinto, allo stadio attuale, della bontà del sistema pay or play, secondo il quale ciascun operatore ha un obbligo di servizio universale, da cui può esimersi partecipando al finanziamento di tale servizio. Questo tipo di sistema è stato testato nella pratica soltanto in Finlandia, senza registrare risultati significativi. Analogamente, appare inappropriato anche Il ricorso a un fondo di compensazione: tale sistema è stato infatti sperimentato in un unico Stato membro, l'Italia, dove si è rivelato un insuccesso.

5.6

Altrettanto dicasi per il finanziamento del servizio universale mediante sovvenzioni pubbliche, in quanto ciò equivale a gravare sulle finanze pubbliche, peraltro già sotto pressione, e quindi a scaricare ancora una volta i costi sugli utenti/contribuenti.

5.7

Infine, il CESE segnala che non è stata analizzata né la fattibilità né l'efficacia delle proposte di finanziamento alternative presentate dalla Commissione. Applicare queste proposte in tali condizioni esporrebbe gli Stati membri al rischio di ritrovarsi in una situazione senza uscita in cui il mercato sia completamente liberalizzato e il servizio universale non più garantito.

5.8

Prima di procedere a una nuova fase del processo di liberalizzazione, sarà pertanto necessario definire delle regole e un quadro di riferimento chiaro e stabile. Il settore riservato potrà essere eventualmente abolito soltanto dopo la creazione di tale quadro, che deve prevedere, in particolare, misure realmente efficaci e sostenibili di finanziamento del servizio universale, da individuare e analizzare chiaramente Stato per Stato. È, questa, una premessa indispensabile per procedere alla soppressione dell'unico metodo di finanziamento che si sia finora dimostrato efficace, vale a dire un settore riservato appropriato.

5.9

Da una decina d'anni nel settore postale si è assistito a una diminuzione dei posti di lavoro di decine di migliaia di unità (lo 0,7 %, secondo la Commissione) e alla sostituzione di numerosi altri posti con impieghi precari o di bassa qualità sia nei centri di smistamento che nei servizi di recapito o negli uffici postali.

5.10

Sebbene questa evoluzione sia in parte riconducibile a una serie di fattori, come le nuove tecnologie e la concorrenza di altri mezzi di comunicazione (ad es., le comunicazioni elettroniche), una delle cause principali del fenomeno resta l'apertura del mercato.

5.11

Pertanto, l'affermazione della Commissione secondo cui il completamento del mercato interno dei servizi postali consentirà, grazie a una concorrenza più intensa, di sbloccare un potenziale di occupazione in grado di compensare i posti di lavoro soppressi presso gli operatori tradizionali, rimane da dimostrare.

5.12

Per quanto riguarda il potenziale di crescita del settore, nel progetto non figura nessun'altra proposta oltre a quella di contrastare il declino apparentemente irreversibile dei servizi postali tradizionali, invece di adattare questi ultimi alle necessità di comunicazione legate alla strategia di Lisbona e alla società della conoscenza e di esaminarne gli effetti in termini di efficienza energetica.

5.13

Le proposte della Commissione lasciano essenzialmente agli Stati membri il compito di regolamentare la materia, al punto che il mercato interno dei servizi postali della Comunità si riassumerà alla fin fine nella giustapposizione di 27 organizzazioni e mercati nazionali, senza alcuna coesione comunitaria. Il CESE ribadisce il suo sostegno alla realizzazione di un servizio postale comunitario, con norme valide per l'intera UE sia in materia di concorrenza che di fornitura del servizio universale.

5.14

Date tutte le incertezze e i rischi che gravano su un'apertura totale del mercato postale, il CESE non potrà accettare che venga fissata sin d'ora la scadenza dell'1.1.2009, tanto più che gli operatori postali operanti negli Stati che hanno aderito all'Unione nel 2004 non disporrebbero di tempo sufficiente per adeguarsi alle nuove condizioni.

5.15

Il CESE chiede che venga prorogata la direttiva attuale e che l'eventuale liberalizzazione completa del settore postale sia prevista per l'1.1.2012 e subordinata alla condizione che per allora vengano formulate, in stretta concertazione con tutte le parti interessate, proposte di finanziamento credibili che apportino un valore aggiunto rispetto al settore riservato.

Bruxelles, 26 aprile 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  The Impact on Universal Service of the Full Market Accomplishment of the Postal Internal Market in 2009 («L'impatto sul servizio universale del pieno completamento del mercato postale interno nel 2009»), PricewaterhouseCoopers.


20.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 168/77


Parere del Comitato economico e sociale europeo su: Trasporti nelle aree urbane e metropolitane

(2007/C 168/17)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 19 gennaio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sulla proposta di cui sopra.

Il 7 novembre 2006, poco prima della conclusione dei lavori su questo parere d'iniziativa, la presidenza tedesca ha chiesto al Comitato di elaborare un parere esplorativo su:Trasporti nelle aree urbane e metropolitane.

L'Ufficio di presidenza del CESE ha deciso che delle 12 questioni sollevate dalla presidenza tedesca, cinque dovessero essere trattate dalla sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione. La sezione, a sua volta, ha ritenuto utile incorporare tali aspetti nei lavori in corso sul parere Trasporto pubblico urbano e trasporto ferroviario a breve distanza di passeggeri in Europa, soprattutto nei nuovi Stati membri, arricchendolo così di nuovi contenuti.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 marzo 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore RIBBE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 aprile 2007, nel corso della 435a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 106 voti favorevoli, 2 voti contrari e 30 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE osserva con grande preoccupazione il forte calo dell'incidenza del trasporto pubblico a breve distanza di passeggeri sul volume totale dei trasporti urbani, che, nel complesso, appare in forte crescita. Tale calo non si limita all'UE a 15, ma riguarda anche i nuovi Stati membri, dove procede con grande rapidità.

1.2

La pressione sempre più forte che il traffico, soprattutto quello automobilistico, esercita sulle città, provoca numerosi problemi, per la maggior parte ancora irrisolti. Per invertire questa tendenza è pertanto necessaria un'azione concertata da parte della Commissione, degli Stati membri e dei comuni.

1.3

Il 40 % di tutte le emissioni di gas a effetto serra provocate dai trasporti viene prodotto in Europa. La politica di trasporto urbano ha quindi ripercussioni che vanno molto al di là dei limiti spaziali delle stesse città.

1.4

Per migliorare la qualità della vita e la tutela dell'ambiente nelle città, nonché per conseguire gli obiettivi di tutela del clima e per migliorare l'efficienza energetica, il CESE ritiene necessario intervenire su due piani: in primo luogo impedire che si generi traffico, o almeno far sì che questo fenomeno sia ridotto al minimo, come presupposto principale di qualsiasi politica di pianificazione urbanistica e dei trasporti, e in secondo luogo, soddisfare — o essere in grado di soddisfare — le necessità di mobilità quanto più possibile attraverso modi di trasporto rispettosi dell'ambiente (trasporto pubblico urbano, spostamenti in bicicletta o a piedi).

1.5

Le città devono rimanere vivibili, non può esistere una città fatta per l'automobile. I tempi in cui si potevano sostenere contemporaneamente tutti i modi di trasporto sono finiti, non essendovi più né fondi né spazio sufficienti. Per questo motivo il CESE fa appello agli enti locali, ai governi nazionali e alla Commissione affinché essi tengano conto di questo principio in tutti i loro regolamenti e programmi di aiuti.

1.6

In futuro, la pianificazione urbana ed edilizia effettuata dagli enti locali dovrà impedire l'ulteriore espansione urbana incontrollata e la separazione funzionale delle diverse zone della città, al fine di evitare di generare nuovo traffico. A questo scopo sarebbe opportuno avvalersi anche di strumenti sovraordinati di pianificazione nazionale e regionale, per evitare fin dall'inizio, e in maniera coordinata con lo sviluppo edilizio, l'aumento del traffico tra le città e le aree circostanti.

1.7

Il Comitato chiede inoltre di definire con chiarezza la gerarchia degli obiettivi e di dare priorità — rispetto alle infrastrutture per le auto — ai trasporti pubblici urbani e agli spostamenti in bicicletta e a piedi. Solo così sarà possibile migliorare di nuovo la qualità della vita nelle metropoli, nonché le loro condizioni abitative e ambientali.

1.8

Il Comitato vede quindi nel potenziamento dei servizi di trasporto pubblico un importante campo d'azione per la Commissione, il Parlamento, i governi regionali e i comuni, per diversi motivi: la necessità di salvaguardare la salute e l'ambiente, quella di garantire una mobilità di base e quella di garantire servizi sociali essenziali a tutti i gruppi della popolazione, in particolare i portatori di handicap.

1.9

Se si vogliono evitare altre ripercussioni negative sulla qualità della vita e l'ambiente, ai sistemi pubblici di trasporto di passeggeri deve assegnarsi una più elevata priorità nel quadro di una politica integrata dei trasporti. Questa constatazione della Commissione europea, formulata quasi 10 anni fa nella comunicazione dal titolo Sviluppare la rete dei cittadini  (1), finora ha purtroppo avuto scarsa influenza concreta sulla politica in materia. Il CESE si trova purtroppo a dover constatare la grande discrepanza tra le molte affermazioni a favore del trasporto pubblico a breve distanza e la realtà politica.

1.10

Il CESE chiede alla Commissione, nel quadro dell'annunciato Libro verde sui trasporti urbani, di presentare un pacchetto di misure politiche adeguate, nel quale vengano esposti con chiarezza linee direttrici e programmi che vadano nella direzione degli obiettivi desiderati e riesaminino le ragioni per cui molte delle buone intenzioni della «rete dei cittadini» non hanno trovato attuazione pratica.

1.11

Gli Stati membri dovrebbero sentirsi tenuti a contribuire anche finanziariamente alle prestazioni sociali che essi richiedono alle imprese di trasporto (tariffe ridotte per i ragazzi che frequentano le scuole, per i pensionati, le persone disabili ecc.), e ad appoggiare i progetti di investimento dei comuni. Come indicato nella «Strategia tematica sull'ambiente urbano», i comuni dovrebbero elaborare piani per il trasporto urbano sostenibile, con l'obiettivo vincolante di indurre il passaggio (modal shift) a modi di trasporto rispettosi dell'ambiente (trasporto pubblico urbano, spostamenti a piedi e in bicicletta) e in grado di soddisfare i requisiti minimi europei (che ancora non sono stati stabiliti). Questi piani dovrebbero includere, tra gli altri, un obiettivo quantitativo di aumento della quota dei trasporti pubblici urbani e degli spostamenti a piedi e in bicicletta sui trasporti complessivi. I comuni che non predispongono tali piani dovrebbero essere esclusi dagli aiuti comunitari.

1.12

Anche ai fini del rispetto delle norme e dei valori limite stabiliti dall'UE per la qualità dell'aria nelle città e nell'ottica della riduzione delle polveri sottili e dell'inquinamento acustico, è necessario dare priorità allo sviluppo di un sistema di trasporto pubblico attraente, che preveda nuovi sistemi tecnologici di informazione e offerta (quali l'acquisto di biglietti attraverso i cellulari, o servizi di autobus e taxi su chiamata telefonica) e servizi di consulenza e marketing sulla mobilità. È urgente migliorare l'uso combinato di diversi mezzi di trasporto quali l'autobus, il treno e la bicicletta, nonché migliorare la sincronizzazione degli orari.

1.13

Il CESE raccomanda alla Commissione, al Consiglio e in particolare al Comitato delle regioni di effettuare uno studio che analizzi i fattori che hanno permesso ad alcune città di ottenere risultati positivi nello sviluppo di un sistema di trasporto urbano sostenibile, mentre in molte altre continuano a manifestarsi sviluppi negativi. Il CESE è convinto che non si tratti soltanto di questioni finanziarie, ma anche, e in grandissima misura, di un problema di coscienza politica e collegato alle decisioni in materia di politica abitativa e dei trasporti prese dai responsabili istituzionali. Lavorare su questo aspetto è almeno tanto importante quanto raccogliere e diffondere le buone pratiche, come è avvenuto, ad esempio, nel caso del progetto Civitas dell'UE.

2.   Elementi principali e antefatto del parere

2.1

Negli ultimi anni il traffico sia all'interno che all'esterno delle città è notevolmente cresciuto e si è prodotto un drastico cambiamento del cosiddetto modal split: il numero degli spostamenti in macchina è costantemente aumentato, mentre quello degli spostamenti effettuati con i trasporti pubblici è invece costantemente diminuito, in termini sia assoluti che relativi. Ciò vale per la maggioranza assoluta delle grandi città e degli agglomerati urbani in tutta l'Europa. Nel prosieguo del documento con «trasporto pubblico/mezzi di trasporto pubblici» si designerà il trasporto in autobus, treno o tram, pianificato per incarico dei poteri pubblici o da essi delegato e effettuato da imprese private, comunali o statali.

2.2

Dagli anni '50 agli anni '90 la strategia in materia di trasporti della maggior parte dei paesi dell'Europa occidentale e di molti comuni si è concretizzata quasi esclusivamente nello sviluppo delle infrastrutture stradali e dell'uso delle auto, mentre il settore dei trasporti pubblici ha spesso subito tagli significativi. Molti altri fattori, quali ad esempio la differenza tra i prezzi dei terreni nelle aree urbane e in quelle rurali, una pianificazione territoriale e regionale sbagliata, la normativa fiscale e le decisioni riguardanti l'ubicazione delle aziende (zone di attività economica e commerciali alle periferie delle città), hanno fatto aumentare il traffico e allungato le distanze percorse tra il luogo di lavoro, le scuole, i servizi e i luoghi di svago.

2.3

Le conseguenze di tutto ciò sono molteplici, sotto il profilo sia sociale ed economico, sia sanitario e ambientale: numerosi posti di lavoro sono andati perduti, coloro che non sono in condizione di acquistare un'auto propria o che hanno scelto di non farlo trovano sempre più difficile spostarsi, in molte città europee le persone disabili sono molto spesso escluse dall'uso dei trasporti pubblici, e i danni ambientali — basti pensare al cambiamento climatico — sono divenuti inaccettabili, e minacciano di avere gravi conseguenze sia sull'ambiente che sull'economia.

2.4

Questa situazione è particolarmente sentita ed evidente in molte grandi città e aree metropolitane, dove le condizioni di vita si sono deteriorate a causa del traffico sempre più intenso. Gli abitanti si lamentano dell'inquinamento acustico e atmosferico, e aree molto estese sono state sacrificate alle automobili e alle infrastrutture ad esse necessarie, a scapito della qualità abitativa e della qualità della vita. Il CESE ricorda che circa l'80 % degli europei vive in aree urbane: il numero di persone coinvolte è quindi molto elevato. Anche gli autisti sono insoddisfatti: gli ingorghi sono diventati parte della vita quotidiana e i parcheggi sono difficili da trovare, per menzionare solo due delle situazioni più frequenti.

2.5

Il 40 % di tutte le emissioni di gas ad effetto serra dovuto ai trasporti viene prodotto nelle città europee (2), ed è legato soprattutto all'uso dell'auto. Nelle ore di punta, cioè quando nelle aree urbane si verificano i maggiori problemi di circolazione, il trasporto pubblico urbano è, dal punto di vista energetico, 10 volte più efficiente (e quindi meno produttore di emissioni) rispetto all'automobile (3). Di conseguenza il passaggio dall'autovettura ai trasporti pubblici urbani e agli spostamenti a piedi o in bicicletta, potrebbe alleviare notevolmente il problema delle emissioni. Gli Stati membri e l'UE potranno far fronte all'impegno da essi sottoscritto di ridurre le emissioni in linea con il protocollo di Kyoto — e oltre — solo se faranno progressi per quanto riguarda le misure per evitare il traffico e realizzare il modal shift dal trasporto automobilistico privato al trasporto pubblico.

2.6

Negli ultimi anni sono stati elaborati numerosissimi documenti ufficiali e studi scientifici, la maggior parte dei quali sostiene la stessa cosa: le città devono restare vivibili. Quindi, non può né deve esistere una città fatta per le automobili, ferma restando l'importanza dell'auto nella società moderna. I pilastri della moderna pianificazione del trasporto urbano dovrebbero invece essere i mezzi di trasporto pubblici e il trasporto privato rispettoso dell'ambiente (ad esempio gli spostamenti in bicicletta o a piedi).

2.7

Un sistema di trasporto europeo ben funzionante presuppone un trasporto di passeggeri locale e regionale attraente e rispettoso dell'ambiente. Questo contribuisce alla crescita economica e all'occupazione e riduce il traffico. Grazie a un minor consumo di energia, a un minore inquinamento acustico e a una riduzione delle emissioni nocive contribuisce inoltre alla rigenerazione dell'ambiente. Fa diminuire l'esclusione sociale, nel senso in cui dà alle persone la possibilità di raggiungere, anche senza bisogno di usare l'automobile, il posto di lavoro, la scuola, i negozi, le strutture mediche e del tempo libero, tenendo presente che sono le donne, i giovani, le persone anziane, i disoccupati e le persone disabili che dipendono dai mezzi pubblici. Un trasporto passeggeri attraente e compatibile con l'ambiente è di fondamentale importanze nelle aree urbane. Questa era la posizione della Commissione esposta nella comunicazione Sviluppare la rete dei cittadini  (4), risalente a quasi 10 anni fa. Queste affermazioni sintetizzano tutto ciò che c'è da dire, sotto il profilo politico, su questo argomento. All'epoca della sua pubblicazione, la comunicazione ottenne l'approvazione del CESE, che ribadisce oggi il suo appoggio alle argomentazioni esposte in quel documento, riconoscendo espressamente la grande importanza del trasporto pubblico urbano e dei modi di trasporto a emissioni zero.

2.8

In realtà, però, è cambiato ben poco. Al contrario, la tendenza a costruire strade e a privilegiare l'auto, che perdura da decenni, ha spesso portato allo sviluppo, dentro e fuori le città, di strutture fisiche ed economiche adattate al massimo al trasporto automobilistico o addirittura costruite in funzione di esso, che sarebbero difficili da cambiare. È proprio a causa di queste strutture, ormai saldamente insediate sul territorio (e che adesso stanno emergendo anche nei nuovi Stati membri), ma anche a causa dell'assenza di una reale volontà politica di introdurre cambiamenti strutturali nel settore dei trasporti (5), che si profila la sfida, finora non raccolta, di arrestare o addirittura invertire le tendenze negative. L'inversione di tendenza osservata in molte piccole città (ad esempio Friburgo e Münster in Germania e Delft in Olanda) grazie ad una politica dei trasporti chiara e basata su misure «push and pull» (misure dissuasive e incentivi) dimostra comunque che la politica può influenzare gli sviluppi in corso e dare loro una nuova direzione.

2.9

Nella comunicazione Sviluppare la rete dei cittadini  (6), la Commissione si è dichiarata intenzionata a dare priorità allo sviluppo del trasporto pubblico urbano e del trasporto ferroviario a breve distanza, segnalando addirittura la necessità di introdurre una strategia «push and pull» deliberatamente tesa ad eliminare le auto dai centri urbani e a promuovere con decisione l'uso dei mezzi pubblici urbani. Alla luce degli sviluppi attuali, che presumibilmente continueranno, si deve concludere che la Commissione non ha avuto grande successo nella fase di attuazione di tali obiettivi. Il CESE deplora profondamente il fatto che la dimensione politica non sia riuscita ad andare molto al di là di dichiarazioni di intenti, progetti di ricerca e progetti pilota.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1   L'attuale situazione dei trasporti pubblici nei nuovi Stati membri

3.1.1

Rispetto all'Europa occidentale, molti dei paesi dell'Europa centrale e orientale (PECO) godono oggi di una situazione più favorevole per gestire il traffico in maniera ecologicamente e socialmente sostenibile. Per ragioni storiche e politiche, nei PECO il settore dei trasporti si è sviluppato in maniera diversa rispetto ai paesi dell'Europa occidentale. Per molto tempo i passeggeri che usavano i trasporti pubblici sono stati nettamente più numerosi rispetto a quelli che facevano uso della macchina, sia nel trasporto urbano e regionale che in quello su lunga distanza.

3.1.2

Benché dopo la caduta della cortina di ferro si sia manifestata una fortissima tendenza a seguire il modello di sviluppo dell'Europa occidentale, oggi diversi indicatori ambientali relativi all'uso del suolo e ai trasporti dimostrano che i PECO sono tuttora in una situazione migliore rispetto ai paesi dell'Europa occidentale.

3.1.3

Ciononostante, le tendenze che caratterizzano il settore dei trasporti nei PECO sono, al momento, particolarmente inquietanti. La percentuale di proprietari di autoveicoli è in costante aumento, mentre l'espansione urbana e quella suburbana, le quali hanno a loro volta un effetto negativo sui trasporti pubblici e sulla conservazione dei centri delle città, stanno assumendo proporzioni allarmanti. A questo riguardo il CESE ritiene indispensabile che gli enti locali, gli Stati membri, la Commissione e il Parlamento europeo agiscano per contrastare tale tendenza anche nei PECO.

3.1.4

La politica dei trasporti perseguita dai governi dei PECO è incentrata soprattutto sulla costruzione di nuove autostrade e strade a scorrimento veloce. Nel caso dei trasporti urbani, si osserva che la maggior parte dei governi centrali si sono completamente ritirati dal trasporto pubblico locale, che una volta era centralizzato e gestito dallo Stato e si sentono completamente esonerati da qualsiasi responsabilità in materia. In numerosi PECO non esistono gli aiuti agli investimenti presenti ad esempio in Germania, dove, nel quadro della legge sul finanziamento dei trasporti comunali, il governo federale, attingendo al proprio bilancio, aiuta gli enti locali a sviluppare i trasporti pubblici e a renderli più attraenti. Il CESE ritiene utile sviluppare tali sistemi di sostegno. Inoltre, rispetto all'UE a 15, molti dei PECO sono anche in grave ritardo, sempre per quanto riguarda i trasporti pubblici, nei servizi di orientamento agli utenti, nel comfort, nei servizi di informazione e nel marketing, lacuna che deve essere colmata.

3.1.5

Nell'assegnazione degli scarsi finanziamenti messi a disposizione dall'UE per il trasporto pubblico urbano, ad esempio nel quadro del Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) si manifestano ulteriori difficoltà. Se, da un lato, spesso sono i governi centrali a stabilire le «loro» priorità e a presentarle a Bruxelles nel quadro dei loro programmi operativi, dall'altro è vero che tali priorità non sono necessariamente coincidenti con quelle dei comuni. Inoltre al gruppo di studio è stato assicurato da fonti attendibili che le procedure di richiesta di finanziamento sono molto più difficili e complesse in caso di progetti relativi al trasporto pubblico urbano e al trasporto ferroviario di passeggeri a breve distanza piuttosto che per gli investimenti nella costruzione di strade. I progetti di trasporto pubblici urbani poi, oltre ad essere poco numerosi, si trovano talvolta, nel caso di grandi progetti, a competere tra loro: ad esempio la costruzione di una rete della metropolitana può essere in concorrenza con il potenziamento delle reti di tram e autobus esistenti, che ha costi molto più bassi.

3.1.6

Visto che i finanziamenti pubblici diventano sempre più scarsi, il CESE ritiene che anche per i trasporti pubblici sia necessario tener conto del rapporto costi-benefici, e usare i fondi in modo tale da garantire la massima offerta possibile di opzioni di trasporto interessanti, con numerose fermate, una rete di percorsi capillare e buone coincidenze tra le reti urbane e regionali. I tram, quasi altrettanto efficienti delle metropolitane, richiedono solo il 10 % dell'investimento rispetto a queste ultime e hanno costi di manutenzione inferiori. L'errore di molte città dell'Europa occidentale (quale, ad esempio Nantes, in Francia), che hanno smantellato un ottimo sistema di tram e filobus, e stanno adesso investendo milioni di euro per ripristinare i tram e risolvere i loro problemi di traffico, non devono essere ripetuti nei PECO.

3.1.7

Gli sviluppi descritti per i PECO sono quindi sempre più simili a quelli che nell'Europa a 15 sono stati da anni riconosciuti irresponsabili e non sostenibili.

3.2   Il trasporto urbano negli ultimi decenni

3.2.1

Gli ultimi decenni hanno visto profondi cambiamenti, che nelle città hanno fatto sì che i servizi di trasporto pubblico di passeggeri a breve distanza subissero una più forte pressione concorrenziale.

Già da tempo l'automobile non è più un prodotto di lusso, ma un bene di consumo generalmente accessibile e sempre più confortevole. Il CESE fa tuttavia osservare che nell'UE il 40 % delle famiglie non possiede un'auto e non desidera averla.

Intorno all'automobile e ai settori economici ad essa legati si è costituita una lobby molto influente.

Muoversi in automobile è estremamente comodo: quasi sempre disponibile, consente di arrivare direttamente a destinazione, evitando le «coincidenze». Nelle auto, sempre più spesso attrezzate di aria condizionata, non si è quasi per niente esposti a condizionamenti climatici. L'automobile offre dunque numerosi vantaggi e comodità rispetto ai servizi di trasporto pubblico di passeggeri a breve distanza.

La suddivisione funzionale delle zone urbane ha senza alcun dubbio contribuito all'aumento del traffico: si vive in un quartiere (o addirittura in un comune limitrofo), si lavora in un altro, si fanno le spese altrove e si passa il proprio tempo libero in un altro ancora. La costruzione di centri commerciali alla periferia delle città esemplifica perfettamente questa tendenza.

Per molto tempo nelle città sono stati effettuati investimenti cospicui per soddisfare le crescenti esigenze del traffico automobilistico: le strade sono state allargate, sono stati costruiti parcheggi e realizzati sistemi tecnici per potere far fronte al continuo aumento del traffico.

Inoltre, in numerose grandi città (come Amburgo, Berlino Ovest o Nantes), i tram sono scomparsi. Numerose metropoli hanno prestato scarsa attenzione ai sistemi di trasporto pubblico urbano, trascurando quasi del tutto le esigenze dei ciclisti e dei pedoni.

Nella maggior parte delle città, gli investimenti nei servizi di trasporto pubblico locale e nelle infrastrutture destinate ai ciclisti ed ai pedoni sono stati nettamente insufficienti per permettere lo sviluppo di una valida alternativa all'automobile.

Spesso le interconnessioni e il coordinamento tra il sistema di trasporto pubblico urbano e quello regionale non sono sufficienti, e in molte grandi città mancano i collegamenti tangenziali: di conseguenza, lo spostamento tra le aree periferiche e i diversi quartieri della città effettuato con i trasporti pubblici comporta necessariamente l'attraversamento del centro della città, e quindi, a causa della sua durata, non è interessante rispetto all'uso dell'auto.

3.2.2

Ovviamente anche il CESE è consapevole che non esistono modelli validi ovunque e applicabili nello stesso modo in tutte le città europee. La situazione si è evoluta in maniera differente nelle diverse città e regioni. Alcune città infatti da molti anni, e addirittura decenni, hanno prestato — e prestano tuttora — particolare attenzione a promuovere i servizi di trasporto pubblico urbano e la circolazione delle biciclette e dei pedoni. È quindi sorprendente osservare che le infrastrutture riservate alle biciclette a Bruxelles sono diverse, ad esempio, da quelle di Amsterdam o di Münster, e altrettanto diverse sono le percentuali di biciclette rispetto al totale dei mezzi di trasporto. Friburgo, Mulhouse e, recentemente, Parigi hanno creato, insieme ad altre città, nuove linee di tram, incoraggiando così numerosi automobilisti a servirsene.

3.2.3

Nei nuovi Stati membri esistono anche alcuni esempi positivi di comuni che hanno saputo superare la «svolta» e hanno valorizzato, con successo, i servizi di trasporto pubblico urbano. Uno di questi è costituito indubbiamente dalla città di Cracovia (Polonia) (7). La visita che il gruppo di studio responsabile dell'elaborazione del presente parere ha effettuato a Cracovia lo ha confermato in maniera molto convincente. Esperti indipendenti di pianificazione del traffico e gruppi ambientalisti hanno convinto l'amministrazione della città a modernizzare e migliorare i servizi di trasporto pubblico locale, nonostante la scarsità di risorse finanziarie. Tra i risultati raggiunti figurano il mantenimento, la modernizzazione e addirittura il parziale sviluppo di una rete di tram eccezionalmente capillare, l'acquisto di nuovi tram, la modernizzazione del parco autobus e delle fermate, il lancio di un sistema di precedenze ai semafori per i trasporti pubblici locali, la creazione di corsie preferenziali per gli autobus e per i tram, ma anche una coerente ristrutturazione e il parziale riorientamento dell'amministrazione e della gestione dei servizi di trasporto pubblico urbano. Il recupero dei costi è praticamente pari al 90 %, cioè ben superiore al consueto, e potrebbe essere ulteriormente migliorato se l'azienda comunale di trasporti non soffrisse di grossi disavanzi nelle entrate a causa di una decisione governativa che stabilisce una riduzione delle tariffe per alcuni gruppi di utenti (quali ad esempio gli scolari, gli studenti, i pensionati, le persone disabili, ecc.), senza peraltro compensare le conseguenti perdite di introiti.

3.2.4

Ovviamente il CESE non è contrario alle tariffe ridotte per i gruppi di utenti di cui sopra, ma ritiene che i costi che ne derivano non dovrebbero ricadere sulle imprese di trasporti.

3.2.5

L'analisi dell'esempio positivo di Cracovia mette tuttavia in luce anche i problemi con cui devono confrontarsi non solo i comuni, ma anche le aziende che gestiscono i servizi di trasporto pubblico urbano: la frequente scarsa consapevolezza degli ambienti politici (purtroppo a tutti i livelli gerarchici), lo status sociale dei mezzi di trasporto (automobile = moderno; trasporti pubblici urbani = fuori moda, destinati a chi non dispone di risorse finanziarie sufficienti per permettersi un'auto), la mancata presa in considerazione delle conseguenze dello sviluppo urbano per i trasporti da un punto di vista tecnico, l'insufficiente coordinamento tra il trasporto urbano ed extraurbano.

3.2.6

In alcune città si sono manifestati chiari segni di un cambiamento di mentalità, almeno parziale, e si è investito su modi di trasporto più rispettosi dell'ambiente, cosa di cui il CESE si compiace. Il Comitato ritiene importante precisare che, data la scarsità delle risorse finanziarie e le conseguenze altamente negative del traffico nei centri delle città, l'epoca in cui tutti i tipi di trasporto venivano incentivati deve considerarsi finita. In linea con le idee avanzate quasi dieci anni fa nel documento Sviluppare la rete dei cittadini, il ruolo dell'automobile nelle città deve essere ridimensionato. Ciò richiederà non solo enormi sforzi per rendere più attraenti i servizi di trasporto pubblico urbano e le infrastrutture destinate alle biciclette ed ai pedoni, ma anche misure che scoraggino l'uso dell'auto. Infatti, vista la mancanza sia di mezzi finanziari che di spazio fisico, non è possibile sviluppare contemporaneamente le infrastrutture destinate alle auto e i servizi di trasporto pubblico urbano.

3.2.7

La qualità della vita e dell'ambiente nelle aree metropolitane potrà dunque essere migliorata soltanto stabilendo una gerarchia degli obiettivi e dando la priorità ai trasporti pubblici urbani e agli spostamenti in bicicletta e a piedi piuttosto che alle infrastrutture destinate alle auto. È pertanto necessario, sia prima delle decisioni relative alla pianificazione territoriale sia prima di quelle relative a nuovi servizi di trasporto, tener conto degli interessi dei servizi di trasporto pubblico nel processo di programmazione e decisione politica a nella fase di finanziamento.

3.2.8

La varietà delle misure che i comuni dovrebbero applicare è tale che non è possibile elencarle tutte in un parere del CESE, che si prefigge un altro obiettivo. Per rendere più attraenti i servizi di trasporto pubblico urbano non ci si può limitare a migliorare la qualità e la quantità dei servizi in termini di frequenza, rapidità, pulizia, sicurezza, informazione ecc.: anche la disponibilità e l'accessibilità (soprattutto per i disabili, le madri con bambini ecc.) devono diventare un presupposto imprescindibile della pianificazione. La disponibilità, in particolare, deve essere vista nella prospettiva della creazione di possibilità interessanti di passaggio da un mezzo di trasporto all'altro, per garantire a tutti gli utenti la continuità degli spostamenti da un luogo all'altro. Anche tariffe ragionevoli hanno un ruolo importante nella scelta del tipo di trasporto. Sarebbe opportuno dare ai responsabili politici suggerimenti ancora più pratici e concreti su come migliorare la qualità dei servizi. La diminuzione del numero dei parcheggi nei centri città (e il conseguente aumento delle tariffe), l'aumento del numero di parcheggi (a tariffe inferiori) ai capolinea delle linee ferrotranviarie a breve percorrenza, la creazione di corsie preferenziali per autobus e tram (che ovviamente riducono — anzi, «devono» ridurre — lo spazio disponibile per le auto) sono altre misure che contribuirebbero al «modal shift» (per quanto riguarda la riduzione dello spazio da destinare ai parcheggi, è necessario garantire, già in fase di pianificazione, la disponibilità di posti destinati a coloro che soffrono di mobilità gravemente ridotta, che per muoversi hanno bisogno di una macchina specificamente attrezzata). Londra e Stoccolma (dopo un referendum!) hanno iniziato ad imporre una tassa agli automobilisti che vogliono recarsi in centro (o accedere a determinate strade), con buoni risultati. A Madrid e in altre grandi città europee, tale provvedimento è attualmente in corso di sperimentazione.

3.2.9

A Londra ad esempio le entrate provenienti dal cosiddetto «pedaggio urbano» vengono investite per la maggior parte nel sistema di autobus della città. Questa misura, da sola, ha consentito di migliorare notevolmente i trasporti pubblici e di diminuire nettamente le emissioni di gas a effetto serra (-10 %), il consumo di energia (-20 %) e le emissioni di ossido di azoto e di particelle (-16 %) (8).

3.2.10

Tuttavia, nonostante questi buoni esempi e nonostante gli esempi di buone pratiche, tra l'altro incoraggiati e documentati nel progetto Civitas dell'UE, la tendenza generale purtroppo non va ancora nella direzione di una politica dei trasporti urbani veramente innovativa. E nei paesi dell'Europa centrale e orientale vengono adesso ripetuti tutti gli errori che hanno portato alle gravi conseguenze che si osservano ogni giorno nelle città occidentali.

3.2.11

Secondo il CESE il presupposto di qualsiasi politica in materia di urbanistica e di trasporti consiste nell'impedire che si generi traffico o che questo sia limitato al minimo. In secondo luogo è indispensabile soddisfare — o essere in grado di soddisfare — le necessità di mobilità avvalendosi quanto più possibile di modi di trasporto rispettosi dell'ambiente (trasporto pubblico urbano, spostamenti in bicicletta o a piedi).

3.2.12

A tale scopo è necessario combinare opportunamente le misure di pianificazione e di organizzazione, e prendere adeguate decisioni in materia di investimenti. Le esperienze di numerose città europee hanno dimostrato che una pianificazione sostenibile del traffico urbano può funzionare, e che può migliorare le condizioni di vita senza per questo indebolire il potenziale economico delle città. In molti casi però tali misure ancora non sono state introdotte, vista la mancanza di know-how oppure per priorità politiche diverse.

3.2.13

Il CESE raccomanda alla Commissione e al Consiglio, ma anche — e in particolare — al Comitato delle regioni, di esaminare quali sono stati i fattori che hanno consentito ad alcune città di registrare risultati positivi nel campo dello sviluppo di un sistema di trasporti urbani rispettosi dell'ambiente, e perché invece in numerose città continuano a manifestarsi sviluppi negativi. Il CESE è convinto che non si tratti solo di questioni finanziarie, ma anche, e in grandissima parte, di problemi legati alla coscienza politica e alle decisioni assunte dai responsabili istituzionali in materia di trasporti e politica abitativa. Lavorare su questi elementi è almeno tanto importante quanto raccogliere e diffondere esempi di buone pratiche.

3.3   Le questioni sollevate dalla presidenza tedesca

3.3.1   Coordinare la pianificazione delle infrastrutture di trasporto e abitative: come conciliare lo sviluppo dell'edilizia abitativa e quello della rete di trasporti pubblici urbani?

3.3.1.1

È indubbio che nella maggior parte dei casi è necessario un migliore coordinamento già in fase di pianificazione. È chiaro — e noto da molto tempo — che i trasporti e l'edilizia abitativa si condizionano a vicenda. La pianificazione dell'uso del territorio e la pianificazione edilizia, che rientrano tra le principali responsabilità dei comuni, sono quindi elementi che determineranno in maniera decisiva la dimensione e la natura dei futuri sistemi di trasporto. Un migliore coordinamento tra la pianificazione nazionale e quella regionale dovrebbe, in futuro, promuovere uno sviluppo dell'urbanizzazione più orientato verso gli obiettivi di evitare l'aumento del traffico e di impedire l'espansione urbana incontrollata e lo sviluppo di zone commerciali e attività economiche nelle periferie, a scapito dei centri cittadini.

3.3.1.2

Il fatto che le zone residenziali e le zone dove si svolgono le attività economiche, nuove e già esistenti, siano collegate da sistemi di trasporti pubblici urbani efficienti, migliora nettamente la loro capacità di attrazione, come dimostrano i cambiamenti dei prezzi dei terreni. Al di là di questo, tali collegamenti sono anche necessari per evitare un eccessivo inquinamento ambientale.

3.3.1.3

Per il CESE è indubbio che non solo le regioni metropolitane, ma anche tutte le città, dovrebbero in futuro prestare più attenzione allo sviluppo urbano «interno» molto più di quanto fatto finora, utilizzando cioè soprattutto le superfici «interne» alle città prima di sfruttare nuove superfici ubicate nelle zone periferiche ed esterne. Questo punto di vista corrisponde agli obiettivi della strategia tematica di protezione del territorio nell'UE.

3.3.1.4

È inoltre necessario che le zone destinate all'edilizia abitativa siano poco generatrici di traffico, concentrate, multifunzionali e dotate di aree commerciali e di aree destinate alle attività economiche. Per riconquistare spazi di vita urbani è poi necessario accettare e incoraggiare una mobilità in auto nettamente rallentata, adattata agli altri modi di trasporto. A tal fine è necessario creare ampie zone a traffico rallentato, zone pedonali e strade ricreative dove i pedoni e le biciclette abbiano la precedenza rispetto ai veicoli a motore. La riqualificazione di quartieri urbani dal punto di vista sociale e culturale, con offerte decentrate di esercizi commerciali e attività per il tempo libero, ha effetti particolarmente positivi sulla riduzione del traffico.

3.3.2   Garantire servizi di trasporto pubblico urbano efficaci ed attraenti, con l'obiettivo di alleggerire le zone urbane dalla pressione dei trasporti privati (organizzazione del mercato, finanziamento, soddisfazione degli utenti)

3.3.2.1

Liberare le zone urbane dalla pressione del traffico individuale presuppone trasporti pubblici urbani efficienti e attraenti. «Efficienti e attraenti» significa che, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, l'offerta deve essere concepita in modo tale da rendere l'uso di questi trasporti pubblici quanto più semplice e gradevole possibile.

3.3.2.2

In un parere di questo tipo, il CESE non può prefiggersi il compito di elencare tutte le misure necessarie in materia di organizzazione del mercato, finanziamento e soddisfazione degli utenti. È comunque chiaro che il grado di attrazione dei modi di trasporto non si definisce solo in funzione del volume e della qualità dell'offerta, ma anche in funzione del prezzo. L'internalizzazione dei costi esterni nel settore dei trasporti, spesso annunciata a livello politico, aiuterebbe senz'altro a migliorare la posizione concorrenziale dei trasporti pubblici locali.

3.3.2.3

Gli utenti torneranno a usare frequentemente i trasporti pubblici urbani invece dell'auto solo in presenza di un'offerta vantaggiosa, un'offerta cioè di elevato valore qualitativo a un prezzo adeguato. L'unico modo per conseguire questo obiettivo consiste nel migliorare costantemente l'efficienza del trasporto pubblico urbano. Un buon risultato in tal senso consentirebbe anche di migliorare il recupero dei costi. Il pieno recupero dei costi di investimento e dei costi operativi attraverso la vendita dei biglietti non può però essere un obiettivo politico: un calcolo dei costi effettuato con criteri puramente «aziendali» non riflette infatti l'internalizzazione dei costi esterni dei trasporti urbani. Per questo motivo il CESE ritiene estremamente importante che i responsabili politici calcolino in maniera realistica i costi di trasporto, di cui fa inevitabilmente parte l'internalizzazione dei costi esterni. L'internalizzazione dei costi esterni nell'ambito dei trasporti, spesso oggetto di annunci politici, contribuirà indubbiamente a migliorare la posizione competitiva del trasporto pubblico urbano.

3.3.2.4

Le decisioni statali o nazionali relative alle infrastrutture (ad esempio le strade a lunga percorrenza, utilizzate per il trasporto locale e regionale in concorrenza ai trasporti pubblici urbani), le norme fiscali (forfait chilometrico per le auto, tassa sul carburante, tassa ecologica per il finanziamento dei trasporti pubblici ecc.) e la politica di aiuti dell'UE (ad esempio nel quadro delle reti transeuropee) influiscono fortemente sulla scelta del modo di trasporto e quindi sulla possibilità di creare trasporti pubblici locali finanziabili e nel contempo orientati verso il cliente, che dispongano cioè di una rete capillare e offrano buoni orari.

3.3.2.5

Per garantire trasporti pubblici locali efficienti e attraenti, e nel contempo alleggerire le aree metropolitane dai trasporti privati motorizzati e dal trasporto di merci su strada (e non dagli spostamenti individuali in bicicletta o a piedi, che devono invece essere incoraggiati) è necessaria una pianificazione del territorio e della circolazione ben integrata, che comprenda tutti i modi di trasporto e tenga conto dei loro obiettivi, valutandoli in un contesto regionale (incluse le zone periferiche). Dopo avere stabilito una gerarchia di obiettivi e definito le strategie per realizzarli, si dovranno poi applicare misure molto differenziate, nel quadro di un processo politico e di comunicazione. A tal fine è importante integrare le competenze in materia di pianificazione con quelle in materia di finanziamenti. È inoltre necessario che le zone destinate all'edilizia abitativa siano poco generatrici di traffico, concentrate, multifunzionali e dotate di aree commerciali e aree destinate alle attività economiche. Per riconquistare spazi di vita urbani è poi necessario accettare e incoraggiare una mobilità più lenta.

3.3.2.6

Allo scopo di strutturare in modo interessante e pratico il collegamento del traffico privato proveniente dalle zone rurali e di quello a più lunga distanza con la rete del trasporto pubblico urbano si dovrebbero creare (cfr. anche il punto 3.2.8), vicino a terminal di trasporto periferici adatti, infrastrutture di parcheggio ben attrezzate, economiche e comode («Park and Ride»).

3.3.2.7

Come misura guida per ridurre il traffico e spostarlo verso altri modi di trasporto, il CESE chiede anche la progressiva armonizzazione verso l'alto della tassazione dei carburanti, per creare condizioni di concorrenza uniformi e fonti di finanziamento per i trasporti pubblici urbani.

3.3.3   Promozione degli spostamenti in bicicletta e a piedi

3.3.3.1

In rapporto al numero dei percorsi (e non alla loro lunghezza) uno spostamento su tre viene effettuato esclusivamente a piedi o in bicicletta, cosa che non lascia dubbi sulla grande importanza degli spostamenti in bicicletta e a piedi nelle città europee. D'altra parte però oltre la metà dei percorsi di meno di cinque chilometri continua ad essere effettuata in auto, benché si tratti di distanze per le quali la bicicletta spesso sarebbe il mezzo di trasporto più rapido. Una migliore accessibilità delle fermate dei mezzi pubblici urbani e maggiori possibilità di parcheggio o trasporto della bicicletta consentirebbero di percorrere distanze più lunghe avvalendosi di modi di trasporto ecologici e modificando la distribuzione dei modi di trasporto nelle città (modal split). (La questione relativa a come si possono promuovere gli spostamenti transfrontalieri in bicicletta a livello europeo viene affrontata separatamente, nel parere esplorativo Promozione del trasporto ciclistico transfrontaliero TEN/277, R/CESE 148/2007).

3.3.3.2

Come mezzo di trasporto pubblico, la Citybike offre la possibilità di spostarsi in bicicletta in tutta la città. Le Citybike sono noleggiabili in città presso apposite stazioni pubbliche, e devono essere restituite in una qualsiasi di tali stazioni. Si richiede solo un'iscrizione, ad esempio, mediante carta di credito. La tariffa per l'utilizzazione della bicicletta deve essere molto conveniente.

3.3.3.3

Oltre ad essere estremamente rispettosi dell'ambiente, gli spostamenti a piedi e in bicicletta sono anche molto sani. Nella nostra società, nella quale oltretutto la mancanza di movimento fisico provoca spese sanitarie elevate, sarebbe auspicabile, anche per ragioni di politica sanitaria, promuovere gli spostamenti in bicicletta e a piedi.

3.3.3.4

È evidente che per fare ciò devono essere disponibili infrastrutture adeguate e di qualità elevata. Per quanto riguarda la bicicletta, tra le infrastrutture si annoverano non solo le piste ciclabili in città, ma anche i parcheggi custoditi e altri servizi (ad esempio la possibilità di trasportare la bicicletta nei mezzi pubblici urbani e nei treni). In Europa il migliore esempio in materia di sviluppo di infrastrutture per le biciclette è probabilmente rappresentato dall'Olanda. Per questo motivo non si tratta tanto di stabilire cosa possano fare i comuni, ma piuttosto di capire perché essi ancora non usano né applicano le possibilità di cui dispongono, relativamente poco costose, per rendere più interessanti gli spostamenti a piedi e in bicicletta.

3.3.3.5

È proprio nelle aree metropolitane, dove è necessario migliorare la qualità della vita e l'abitabilità, e dove si sono riscontrati ritardi nell'applicazione delle direttive europee sulla qualità dell'aria e sull'inquinamento acustico, che la promozione degli spostamenti a piedi e in bicicletta riveste particolare importanza. Raffrontando i valori della distribuzione dei modi di trasporto (modal split) nelle grandi città e aree metropolitane europee, si osserva chiaramente che i fattori decisivi per aumentare la percentuale d'uso di questo modo di trasporto negli spostamenti quotidiani sono il grado di attrazione delle infrastrutture disponibili e le misure di accompagnamento incentrate sulla sua promozione e sulla sua immagine: spazi liberi da auto e a traffico limitato, reti capillari, precedenza agli incroci e ai semafori, marciapiedi più ampi, segnaletica, possibilità di sostare e riposare, stazioni e installazioni per il parcheggio delle biciclette, campagne pubblicitarie (giornate «a scuola a piedi», concorsi per pendolari «a lavoro in bicicletta», giornate senza auto, possibilità di trasportare le biciclette nei mezzi pubblici urbani). Sarebbe inoltre opportuno che vi fosse una figura istituzionale responsabile delle piste ciclabili e dei marciapiedi.

3.3.4   Impiego di moderne tecniche di informazione, comunicazione e gestione

3.3.4.1

La telematica dei trasporti può contribuire a spostare il traffico verso i trasporti pubblici urbani e a migliorare lo sfruttamento delle capacità disponibili. Ciò determina una maggiore sicurezza dei trasporti e una minore pressione sull'ambiente. Ciononostante, lo sviluppo e l'applicazione della telematica dei trasporti finora non si sono concentrati né sulle pressioni ambientali né sul passaggio ai trasporti pubblici urbani. Il CESE osserva con preoccupazione che i milioni di euro destinati a promuovere il settore e a finanziare la ricerca e lo sviluppo in materia, hanno avuto come risultato la «fluidificazione» del traffico automobilistico, piuttosto che la sua riduzione, e quindi non hanno assolutamente alleviato la pressione sull'ambiente. Analogamente, l'aumento della capacità del trasporto su strada, attraverso un flusso di traffico più omogeneo, non ha comportato la rinuncia alla costruzione di nuove strade o all'estensione della rete stradale esistente. La deviazione del traffico automobilistico verso il trasporto pubblico urbano in caso di congestione non contribuisce ad un uso più equilibrato dei sistemi di trasporto pubblico, e per questo, dal punto di vista del trasporto pubblico urbano, può addirittura essere controproducente.

3.3.4.2

Il CESE si pronuncia a favore di un uso prioritario della telematica dei trasporti nell'ambito del trasporto pubblico urbano, allo scopo di fornire maggiori informazioni sul traffico e per i viaggiatori. Ritiene inoltre possibile utilizzare la telematica nel quadro della gestione dei flussi di traffico e della logistica urbana (evitare spostamenti di veicoli vuoti, raggruppare spostamenti singoli). Nel quadro di una pianificazione integrata del traffico, occorrerebbe inoltre sfruttare l'aumento dell'efficienza generato dai sistemi telematici per evitare la costruzione di infrastrutture stradali e l'ampliamento di quelle esistenti. In generale l'applicazione della telematica nell'ambito dei trasporti ha senso solo quando serve per ottenere una vera riduzione degli spostamenti effettuati con l'automobile privata e con i veicoli a motore.

3.3.5   Riduzione del deterioramento ambientale nelle città

3.3.5.1

L'inquinamento urbano provocato dal traffico e dalla congestione del traffico (polveri sottili, inquinamento acustico e uso del suolo) può essere ridotto solo grazie alle misure proposte per una prioritarizzazione della combinazione dei modi di trasporto rispettosi dell'ambiente (spostamenti a piedi e in bicicletta, uso del trasporto pubblico). L'introduzione di tali misure consentirebbe anche di applicare le direttive comunitarie in materia di protezione della salute e aumento del grado di attrazione delle città. Le misure tecniche (ad esempio i filtri di particelle), pur importanti e utili sotto molti aspetti, non possono, da sole, ridurre l'inquinamento dell'ambiente urbano. Gli enti locali non potranno sottrarsi all'obbligo di introdurre modifiche nella loro politica strutturale sui trasporti.

4.   Che cosa fare?

Il trasporto pubblico urbano potrà svilupparsi vantaggiosamente solo se la Commissione, gli Stati membri e gli enti locali, nel quadro di un'azione concertata, metteranno a punto una politica attiva intesa a favorire i mezzi di trasporto pubblico, nel cui quadro rientra anche la messa in discussione del ruolo dominante dell'automobile.

Azioni a livello UE

4.1

La Commissione viene invitata a rivedere le norme che regolano la distribuzione degli aiuti finanziari destinati alle misure di sviluppo regionale. Analogamente a quanto previsto per il Fondo di coesione, il CESE propone che anche nel caso del FESR una quota più alta degli investimenti previsti per i progetti relativi ai trasporti sia destinata obbligatoriamente a investimenti in progetti nel settore dei trasporti pubblici.

4.2

Fino a quando i costi generati dal trasporto privato con veicoli a motore non saranno coperti dai pedaggi stradali e da altri oneri finanziari, non è giustificato chiedere una piena compensazione dei costi generati dalla gestione delle infrastrutture ferroviarie.

4.3

L'internalizzazione dei costi esterni nel settore dei trasporti, come l'orientamento della scelta dei mezzi di trasporto attraverso la modulazione dei prezzi (tasse sugli autoveicoli, tasse sul carburante, tariffe dei parcheggi e pedaggi autostradali) sono condizioni necessarie per frenare la tendenza negativa che colpisce il trasporto pubblico e ottenere un'inversione di tendenza volta a ampliare l'offerta e i collegamenti, a incrementare la domanda e migliorare il grado di copertura dei costi del trasporto pubblico. In diverse occasioni il CESE si è pronunciato a favore dell'internalizzazione dei costi esterni, e la Commissione si è più volte dichiarata d'accordo. Nonostante tutto questo, non è cambiato niente. La Commissione viene invitata ad esprimere la sua posizione nell'imminente Libro verde sui trasporti urbani e a passare quanto prima all'azione.

4.4

Il CESE chiede alla Commissione di mettere a punto un programma UE, simile al programma Marco Polo, inteso a promuovere concretamente il passaggio dal trasporto automobilistico privato ai trasporti pubblici e grazie al quale possano essere finanziati anche progetti pilota innovativi per il trasporto di passeggeri locale e regionale, soprattutto nei PECO. Nei tragitti caratterizzati da un forte (e ancora non sfruttato) potenziale di utenti, tali progetti pilota dovrebbero prevedere anche la modernizzazione delle infrastrutture (incluse, laddove ciò sia ragionevole, nuove costruzioni), la modernizzazione del parco veicoli, l'introduzione di orari interessanti e l'offerta di collegamenti ottimali con gli altri trasporti pubblici regionali e a breve distanza. Tali iniziative dovrebbero essere appoggiate anche per le città.

4.5

Altrettanto opportuno sarebbe un programma comunitario di aiuti concreti in materia di mobilità e sviluppo urbanistico e pianificazione regionale. Grazie a questo programma sarebbe possibile promuovere progetti sperimentali che non comportino un'espansione urbana incontrollata, ma che invece favoriscano i nuclei residenziali esistenti e un sistema graduato di aree centrali, e definiscano assi di urbanizzazione che possano anche poi essere accessibili mediante un attraente sistema di trasporto pubblico urbano e trasporto ferroviario a breve distanza di passeggeri.

4.6

Per migliorare le basi statistiche il CESE raccomanda inoltre l'obbligo di notifica, per i singoli paesi, di alcuni parametri relativi al trasporto pubblico, nonché la diffusione sistematica di esempi di buone prassi nel settore del trasporto pubblico. A tale scopo una buona base è rappresentata dal servizio ELTIS (European Local Transport Information Service) e dal suo sito internet (www.eltis.org), un'iniziativa della Commissione. Gli esempi relativi alle singole misure citati in questo sito dovrebbero essere completati sistematicamente, soprattutto sulla base degli esempi dei nuovi Stati membri e dei paesi candidati all'adesione.

4.7

La Commissione europea e il Consiglio dovrebbero esaminare la possibilità di imporre agli enti locali l'obbligo di elaborare piani di trasporto urbano sostenibili, con l'obiettivo vincolante di passare a modi di trasporto ecologici (trasporti pubblici urbani, spostamenti in bicicletta o a piedi). Tali piani dovrebbero adattarsi ad una serie di requisiti minimi a livello europeo, ancora da stabilire. I comuni che non elaboreranno tali piani dovrebbero restare esclusi dagli aiuti finanziari provenienti dai fondi comunitari.

A livello di Stati membri

4.8

Il CESE chiede ai nuovi Stati membri di assumersi le proprie responsabilità in materia di trasporto pubblico urbano e trasporto ferroviario a breve distanza di passeggeri e di appoggiarli, ad esempio attraverso leggi di finanziamento dei trasporti comunali. Essi non possono quindi abbandonare a se stessi i comuni per quanto riguarda gli aspetti finanziari o organizzativi.

4.9

Le imprese non possono trovarsi costrette a dover sostenere gli oneri finanziari derivanti da decisioni di politica sociale perfettamente giustificate (ad esempio riduzioni tariffarie per gruppi della popolazione socialmente svantaggiati). Il CESE ravvisa in questo campo un comportamento irresponsabile da parte dei governi nei confronti dei trasporti pubblici urbani.

4.10

Gli Stati membri dovrebbero sentirsi tenuti a contribuire anche finanziariamente alle prestazioni sociali che essi impongono alle imprese di trasporti (ad esempio: biglietti a tariffa ridotta per scolari, studenti, pensionati, persone disabili ecc.).

4.11

Gli Stati membri dovrebbero promuovere l'internalizzazione dei costi esterni del trasporto privato motorizzato, e, grazie alle entrate così generate, potenziare l'offerta di trasporto pubblico e promuovere una nuova ripartizione tra modi di trasporto.

4.12

Gli Stati membri dovrebbero cercare, eventualmente insieme con la Commissione europea, di diffondere quanto più possibile gli esempi di buone pratiche relative agli sviluppi positivi del trasporto pubblico urbano. Al trasporto pubblico urbano mancano sì i fondi, ma non solo: senza consapevolezza né idee, e senza analisi comparative, spesso, pur disponendo di fondi, non si raggiunge nessun risultato.

A livello di comuni

4.13

Per garantire un trasporto pubblico urbano efficiente e attraente, e per alleviare la pressione che il trasporto privato motorizzato e il trasporto di merci su strada esercitano sulle aree metropolitane, è necessaria una pianificazione territoriale e dei trasporti ben integrata diretta da una parte ad evitare il traffico e dall'altra a promuovere modi di trasporto rispettosi dell'ambiente. A questo scopo si deve tener conto in primo luogo delle tipologie e degli obiettivi di ciascuno dei modi di trasporto, e valorizzare i collegamenti regionali con le aree periferiche.

4.14

Dopo aver stabilito insieme una gerarchia di obiettivi e averne studiato le rispettive strategie, i comuni dovranno procedere all'applicazione di misure diverse, nel quadro di un processo politico e di comunicazione.

4.15

Gli enti locali dovrebbero prefiggersi obiettivi chiari su come e quanto aumentare la percentuale d'uso dei trasporti pubblici urbani e del ricorso alla combinazione di mezzi di trasporto rispettosi dell'ambiente (spostamenti a piedi e in bicicletta) e ridurre in tal modo la percentuale assoluta del trasporto automobilistico individuale. A questo scopo è importante integrare le competenze di pianificazione e quelle di finanziamento.

4.16

Una pianificazione lungimirante del trasporto pubblico come parte integrante dei servizi comunali di interesse generale deve includere anche una politica di gestione dei suoli, in vista della costruzione, ad esempio, di tracciati e stazioni per i mezzi pubblici.

4.17

Affinché i trasporti pubblici abbiano successo, è di grande importanza la partecipazione dei cittadini e dei gruppi di utenti ai processi di pianificazione. Per questo motivo il CESE raccomanda agli enti locali e regionali di coinvolgere ampiamente i cittadini nello sviluppo dei loro sistemi di trasporto pubblico a breve distanza.

Bruxelles, 25 aprile 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Sviluppare la rete dei cittadini: perché è importante un trasporto passeggeri regionale e locale di buona qualità e come la Commissione europea sta contribuendo alla realizzazione di questo obiettivo, COM(1998) 431 def. del 10.7.1998.

(2)  DG TEN Roadmap 2006/TREN/029.

(3)  Cfr. UITP (Union internationale des transports publics — Organizzazione mondiale delle autorità e degli operatori dei trasporti pubblici): «The role of public transport to reduce Green House Gas emissions and improve energy efficiency», marzo 2006 (Il ruolo del trasporto pubblico locale di passeggeri nella riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e nel miglioramento dell'efficienza energetica — NdT: il documento non è disponibile in italiano).

(4)  COM(1998) 431 def. del 10.7.1998.

(5)  Anche in considerazione dell'importanza dell'industria automobilistica nell'economia generale dell'UE.

(6)  v. COM(1998) 431 def.

(7)  Gli interventi sono stati finanziati con l'aiuto del progetto Caravel, nel quadro dell'iniziativa Civitas della Commissione europea

(8)  v. UITP (FN2).


20.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 168/86


Parere del Comitato economico e sociale europeo su: Promozione del trasporto ciclistico transfrontaliero

(2007/C 168/18)

Con lettera datata 7 novembre 2006, nel quadro dei lavori previsti per il semestre di presidenza tedesca del Consiglio UE, il ministero tedesco dei Trasporti ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di elaborare un parere su: Promozione del trasporto ciclistico transfrontaliero.

Il 21 novembre 2006 il Comitato economico e sociale europeo ha deciso di incaricare la sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 aprile 2007, nel corso della 435a sessione plenaria, ha nominato relatore generale Jan SIMONS e ha adottato il seguente parere con 128 voti favorevoli, 2 voti contrari e 8 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1

Non disponiamo (ancora) di una politica ciclistica a livello europeo, anche se la Commissione europea, mediante programmi di aiuti, appoggia la ricerca, lo sviluppo e la realizzazione di progetti nel quadro di una politica intesa a favorire la mobilità e un uso dell'energia sostenibili.

1.2

Il CESE raccomanda, da un punto di vista generale, di integrare l'uso della bicicletta nella politica dei trasporti e delle infrastrutture, e, da un punto di vista specifico, di prestare particolare attenzione a questo modo di trasporto nell'imminente Libro verde sui trasporti urbani.

1.3

Tutti i treni europei, inclusi quelli per i collegamenti internazionali ad alta velocità, dovranno disporre di un locale destinato (fra l'altro) alle biciclette dei passeggeri.

1.4

Devono essere definiti i requisiti minimi cui dovranno soddisfare le infrastrutture ciclistiche predisposte con il concorso di finanziamenti europei.

1.5

Il CESE raccomanda di prevedere anche stanziamenti europei per aiutare la creazione d'infrastrutture ciclistiche e la loro manutenzione. Queste infrastrutture hanno già dimostrato la loro evidente utilità pratica nelle città e nei paesi europei che già ne dispongono.

1.6

È necessario che la Commissione europea appoggi — o continui ad appoggiare — gli scambi di conoscenze e di buone pratiche e le azioni di sensibilizzazione volte a promuovere l'uso della bicicletta, e imponga l'obbligo d'integrare la politica ciclistica (ad esempio l'intermodalità bicicletta-trasporti pubblici) in tutti i progetti nel settore dei trasporti che beneficiano di aiuti della Commissione europea.

1.7

È inoltre necessario incoraggiare, anche a livello europeo, la definizione e l'applicazione di norme di sicurezza adeguate, a vantaggio sia del ciclista e del suo mezzo di trasporto, sia delle infrastrutture ciclistiche e degli altri modi di trasporto.

1.8

La politica ciclistica dovrà essere integrata anche nell'ulteriore sviluppo delle politiche europee in materia di pianificazione territoriale (compresa la politica urbanistica), ambiente, economia, salute, nonché istruzione e formazione.

1.9

La Commissione europea dovrebbe provvedere ad una buona organizzazione del monitoraggio e della rilevazione dei dati sul trasporto ciclistico e promuovere l'armonizzazione dei metodi di rilevazione.

1.10

La Commissione europea deve mantenere gli aiuti alla creazione dei collegamenti ciclabili EuroVelo in modo che sia possibile realizzare una rete completa di percorsi per ciclisti a livello europeo, simile alla TEN (TransEuropeanNetwork).

1.11

È auspicabile che ad un organo europeo sovvenzionato dalla Commissione europea vengano affidati i compiti di coordinamento e di segreteria per la rete ciclabile EuroVelo: esso dovrebbe vigilare affinché, una volta portati a termine i progetti relativi ai vari collegamenti ciclabili EuroVelo, a livello centrale si provveda alla costante manutenzione delle infrastrutture e alla diffusione delle informazioni ai ciclisti.

2.   Introduzione

2.1

Nel quadro della presidenza tedesca del Consiglio dell'UE, il ministero tedesco dei Trasporti ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere esplorativo sul trasporto ciclistico transfrontaliero e ha indicato tre temi specifici da approfondire.

2.2

Il presente parere esplorativo esamina in primo luogo lo stato di avanzamento della politica ciclistica nell'UE (tema n. 3 indicato dal ministero), evidenziando il ruolo della bicicletta come modo di trasporto di uso quotidiano. Si studierà poi come migliorare le infrastrutture ciclistiche transfontaliere (tema n. 2) e come organizzare la cooperazione europea in materia di potenziamento dell'apposita rete stradale (tema n. 1). Per gli ultimi due temi riveste un ruolo fondamentale il turismo ciclistico.

3.   La politica ciclistica nell'UE

3.1

Finora l'UE non ha mai avuto una propria politica ciclistica autonoma nel vero senso della parola. In passato la bicicletta è arrivata alla ribalta europea soprattutto nel quadro della problematica ambientale, dopo le pressioni esercitate soprattutto dagli ambientalisti per ottenere una migliore politica ciclistica a causa degli svantaggi derivanti dall'intensificarsi del traffico automobilistico. È così che nel 1999 l'allora commissario Ritt Bjerregaard, con un programma in 12 punti (1), ha invitato gli enti locali europei a elaborare una politica che incoraggiasse l'uso della bicicletta.

3.2

Il Libro bianco sui trasporti del 2001 e il riesame intermedio del 2006 sono incentrati su altri modi di trasporto. Il Parlamento europeo (2) ha reagito al Libro bianco invitando la Commissione europea ad investire di più sull'accessibilità dei trasporti pubblici per i ciclisti.

3.3

Nel discorso tenuto alla conferenza Euro-Velo-City svoltasi nel 2005 a Dublino, l'attuale commissario responsabile dei trasporti, Jacques Barrot, ha sottolineato che, a prescindere dal principio di sussidiarietà, l'UE deve attivarsi nel promuovere l'uso della bicicletta in Europa. Le biciclette possono infatti svolgere un ruolo più importante per il conseguimento dell'obiettivo perseguito dall'UE, quello cioè di realizzare un nuovo equilibrio tra i modi di trasporto. Il commissario Barrot ritiene che il ruolo più adeguato per la Commissione europea consista nel rendere disponibili programmi di aiuti, migliorare la sicurezza dei trasporti, informare i responsabili delle decisioni politiche e promuovere la cooperazione.

3.4

Nel quadro della ricerca e sviluppo la Commissione europea appoggia l'iniziativa Civitas (City Vitality Sustainability). Sinora in 36 città appartenenti a 17 paesi diversi sono state realizzate azioni finalizzate a un sistema di trasporti urbani più sostenibile. Una delle 8 categorie di soluzioni integrali messe a punto concerne il miglioramento dello stile di vita attraverso un minor utilizzo dell'automobile e, ad esempio, un impiego più intenso della bicicletta (3). Nel suo Intelligent-Energy Europe Programme la Commissione europea appoggia i progetti STEER, destinati a promuovere un impiego sostenibile dell'energia nel traffico e nei trasporti. Due progetti in tale contesto riguardano lo scambio di conoscenze in materia di politiche ciclistiche (4).

3.5

Nel Libro verde Promuovere le diete sane e l'attività fisica: una dimensione europea nella prevenzione di sovrappeso, obesità e malattie croniche  (5) la Commissione europea invita a presentare osservazioni sui possibili interventi pubblici per assicurare che l'esercizio fisico giornaliero venga integrato nella routine quotidiana e sul tipo di provvedimenti necessari — ad esempio in materia di allestimento di quartieri residenziali — per promuovere ambienti propizi allo svolgimento dell'attività fisica.

3.6

Molte risposte a queste domande sono già state messe a punto nel quadro del mondo ciclistico. Gli esperti associano sempre più spesso la bicicletta con la problematica della salute, non solo perché il suo uso può contribuire alla quantità quotidiana di movimento sano, ma anche perché, nel quadro della politica ambientale, esso può contribuire a ridurre le polveri sottili nelle aree urbane. L'uso della bicicletta viene però minacciato dalla cattiva immagine della qualità dell'aria nelle zone urbane.

3.7

Con lo sviluppo di una gestione sempre più integrale della mobilità, è cresciuta anche l'attenzione ai vantaggi che la bicicletta offre per alleviare i problemi del traffico. Oltre al traffico automobilistico quotidiano casa-lavoro, anche quello di tipo sociale-ricreativo sembra contribuire sensibilmente alle congestioni stradali, tra l'altro a causa delle dimensioni crescenti delle strutture pubbliche e degli esercizi privati e pubblici (basti pensare alle fusioni degli ospedali o ai grandi centri commerciali alle periferie delle città) e del conseguente aumento delle distanze. La scelta della bicicletta rischia quindi di diventare meno attraente.

3.8

Un problema molto frequente è che la creazione o l'ampliamento delle infrastrutture per il trasporto terrestre portano all'attraversamento delle piste ciclabili esistenti o progettate, presentando ostacoli o persino barriere insormontabili per i ciclisti, anche per quelli che usano la bicicletta a scopo ricreativo, che rimangono bloccati dalle grandi infrastrutture di trasporto nei rispettivi quartieri o città. Si dovrebbe prestare attenzione a questo problema e trovare soluzioni per i nuovi progetti infrastrutturali, soprattutto quelli destinati alle auto e ai treni. Nella progettazione di infrastrutture di questo tipo sarebbe opportuno prevedere anche una pista ciclabile, laddove ciò risulti tecnicamente realizzabile.

3.9

A questo proposito si deve anche ricordare che per le infrastrutture ciclistiche create grazie agli aiuti europei sarebbe opportuno introdurre strumenti quali gli standard minimi di qualità. Per instaurare nei centri urbani un clima gradevole che invogli a rimanervi, le città creano, come incentivo, infrastrutture ciclistiche di qualità, confortevoli e sicure, tra cui percorsi ciclabili e parcheggi per le biciclette nei centri cittadini.

3.10

In Europa l'Olanda è «il» paese dei ciclisti per eccellenza, e viene quindi visto come un modello. Questa reputazione è dovuta non solo al fatto che l'Olanda vanta la maggiore mobilità ciclistica in Europa, ma anche al cosiddetto «Masterplan Fiets» (piano generale per la bicicletta) (1990-1997). Altri paesi europei hanno seguito l'esempio dell'Olanda, convincendosi della necessità che le autorità nazionali prestino attenzione e impegno (anche finanziario) allo sviluppo di una buona politica ciclistica.

3.11

Pensando in termini di «spostamenti», il «Masterplan Fiets» olandese ha dimostrato chiaramente che una politica ciclistica efficace deve non solo occuparsi della qualità delle piste ciclabili (comfort, velocità e sicurezza), ma anche pensare a parcheggi per le biciclette confortevoli e sicuri nelle abitazioni o in loro prossimità, nonché ai cosiddetti «parcheggi scambiatori» in corrispondenza delle stazioni, dei punti di snodo dei trasporti pubblici, delle fermate degli autobus e dei capolinea/delle destinazioni finali.

3.12

Alcuni anni fa la Conferenza europea dei ministri dei Trasporti (ECMT) ha commissionato uno studio sulla politica nazionale dei trasporti nei propri Stati aderenti (6). Questo studio evidenzia che solo alcuni paesi non dispongono di una politica specifica per l'uso delle biciclette (7). Le politiche nazionali dei vari paesi hanno peraltro, ovviamente, portata, status e impatto diversi. Secondo la ECMT, in Europa gli spostamenti in bicicletta sono in media il 5 % del totale. Paesi come la Danimarca (18 %) e l'Olanda (27 %) dimostrano tuttavia che è possibile raggiungere una percentuale nettamente superiore (8).

3.13

Queste differenze a livello nazionale, confermate da quelle a livello locale, dimostrano che l'uso della bicicletta può essere influenzato dall'intervento pubblico. Il potenziale di crescita consiste soprattutto nel passaggio dall'auto individuale alla bicicletta per gli spostamenti inferiori ai 5-8 km. In Europa l'auto viene ancora usata per questi spostamenti brevi in oltre il 50 % dei casi. L'auto continua ad essere utilizzata nel 30 % dei casi perfino su distanze inferiori ai 2 km (9).

3.14

Pur mirando soprattutto a promuovere l'uso della bicicletta per questi spostamenti brevi, la politica ciclistica presta attenzione anche alle distanze più lunghe, contemplando percorsi ciclistici superveloci e scorrevoli nelle grandi aree urbane.

3.15

Il potenziale di crescita per l'uso della bicicletta sulle brevi distanze costituisce la base per calcolare il possibile contributo di una buona politica ciclistica alla lotta contro il cambiamento climatico. Secondo studi recenti, ad esempio, in Olanda gli spostamenti brevi in auto (inferiori cioè ai 7,5 km) incidono per il 6 % sulle emissioni totali del traffico automobilistico (10).

3.16

Indipendentemente dal fatto che sia di proprietà, presa in prestito o noleggiata, la bicicletta può inoltre contribuire ad un uso maggiore dei trasporti pubblici: essa allarga infatti il raggio entro il quale i viaggiatori possono raggiungere una fermata in pochi minuti senza utilizzare l'auto, partendo dalle stazioni, dalle fermate degli autobus e dal proprio domicilio, e viceversa.

3.17

Le differenze tra i vari paesi europei per quanto riguarda l'uso della bicicletta rispetto al numero di spostamenti non si spiegano solo con le specificità sociali, geografiche, climatiche e culturali, benché anch'esse abbiano ovviamente la loro importanza (11). Nei paesi caratterizzati da un uso esteso della bicicletta un fattore rilevante sembra essere il ruolo delle associazioni attive nella promozione di una buona politica ciclistica. Spesso sono proprio queste associazioni a promuovere le iniziative per la messa a punto di piani generali a livello nazionale.

3.18

Il monitoraggio e la valutazione della politica ciclistica a livello europeo vengono purtroppo ostacolati dalla mancanza di dati statistici effettivamente utilizzabili e accessibili. Non solo le associazioni, ma anche la ECMT chiedono una migliore raccolta dei dati sulla politica ciclistica e sull'uso della bicicletta (12) (cfr. nota a piè pagina n. 9). La mancata inclusione di importanti statistiche sull'uso della bicicletta nello Statistical pocketbookEU Energy and transport in Figures ha suscitato grande perplessità.

3.19

Mentre i sistemi di navigazione GPS per le auto sono diventati abbastanza comuni, la disponibilità di sistemi GPS che includano tutte le piste e gli altri collegamenti ciclabili è più difficile perché per lo più le carte digitali non le contemplano o non le riportano. Le piste e i percorsi ciclabili devono dunque essere ancora censiti e digitalizzati. Nei paesi in cui l'uso delle biciclette è più frequente si sta invece facendo molto, ad esempio offrendo su Internet dei planner con possibili itinerari su piste e percorsi ciclabili (13).

3.20

Si stima che in Europa il settore che produce biciclette e componenti e pezzi di ricambio per biciclette abbia un fatturato di 8.500.000.000 di euro e dia (direttamente o indirettamente) lavoro a 130.000 persone, cui si aggiungono oltre 25.000 fra rivenditori, distributori e loro dipendenti (14), escluso il settore della ricerca tecnologica di punta. Ė d'altra parte vero che l'importanza economica del cicloturismo è in crescita, soprattutto nelle zone economicamente deboli, a vantaggio dei piccoli esercizi commerciali situati lungo le strade a lunga percorrenza (15).

3.21

Una politica ciclistica a livello europeo ancora non esiste. La Commissione europea ha annunciato che il Libro verde sui trasporti urbani, attualmente in preparazione, tratterà anche questo modo di trasporto. Inserire nel Libro verde la bicicletta in quanto importante mezzo di trasporto urbano sarà l'occasione giusta per compensare l'assenza di una politica europea specifica sull'argomento e la mancata integrazione di questo modo di trasporto nelle altre politiche.

3.22

Il parere esplorativo sul tema Trasporti nelle aree urbane e metropolitane (TEN/276, CESE 273/2007), oltre a promuovere gli spostamenti a piedi e in bicicletta (punto 3.3.3), affronta anche il coordinamento della pianificazione delle infrastrutture di trasporto e abitative (punto 3.3). La politica ciclistica dovrà essere integrata nella politica urbanistica.

4.   Miglioramento delle infrastrutture ciclistiche transfrontaliere

4.1

Nel trasporto ciclistico transfrontaliero europeo i problemi sorgono anzitutto quando i ciclisti desiderano portare la propria bicicletta all'estero utilizzando i treni internazionali ad alta velocità. Per i «cicloturisti» questi treni sono un'infrastruttura molto importante: il problema, però, è che attualmente in gran parte dell'Europa non vi si possono trasportare le biciclette.

4.2

Mentre il turismo ciclistico cresce e viene promosso dall'UE e dalle amministrazioni nazionali e regionali come forma di turismo sostenibile e importante soprattutto per le regioni economicamente più deboli, i «cicloturisti» si scontrano con gravi limitazioni se vogliono scegliere il treno come mezzo di trasporto verso la regione dove intendono trascorrere le vacanze o dalla quale vogliono iniziare la loro vacanza internazionale in bicicletta. Se il trasporto delle biciclette dei turisti non sembra presentare alcun problema per le compagnie aeree, ed è agevole sui traghetti (benché le piste e i percorsi ciclabili e la segnaletica per i ciclisti da e verso i porti non siano sempre sufficienti), come già si è fatto presente, le amministrazioni ferroviarie vi si oppongono nel caso dei treni internazionali ad alta velocità.

4.3

Dopo che, nel gennaio 2007 (16), il Parlamento europeo ha votato a grande maggioranza la disposizione che prevede l'obbligo di predisporre in ogni treno europeo uno «spazio polivalente appositamente previsto per (…) sedie a rotelle, biciclette e attrezzature sportive», si profila ora una soluzione al problema nel trasporto ciclistico transfrontaliero. È opportuno che tutti i treni europei, quindi anche quelli internazionali ad alta velocità, dispongano di un locale adibito al trasporto delle biciclette dei passeggeri.

4.4

I livelli di sicurezza di cui godono i ciclisti variano molto a seconda degli Stati membri. Ciò è imputabile soprattutto alla carenza d'infrastrutture ciclistiche in paesi dove i ciclisti sono costretti a circolare su carreggiate dove transitano autoveicoli, anche pesanti, a 50 o 80 km all'ora, o persino a velocità superiori, cosa che scoraggia l'uso della bicicletta. È necessario incoraggiare, anche a livello europeo, la definizione e l'applicazione di norme di sicurezza adeguate sia per i ciclisti e i loro mezzi di trasporto, sia per le infrastrutture ciclistiche e gli altri modi di trasporto.

4.5

Peraltro, quando anche ve ne siano, le infrastrutture ciclistiche possono presentare una qualità variabile. E i cicloturisti viaggiano meno nei paesi che considerano poco sicuri quando nel loro paese sono abituati a infrastrutture più sicure. È opportuno pervenire a requisiti qualitativi minimi (ad esempio riguardo alla larghezza delle piste ciclabili — anche per le biciclette diverse da quelle standard (17) — e alla segnaletica) per le infrastrutture ciclistiche create con il concorso di sovvenzioni europee. Inoltre, occorre prevedere stanziamenti per contributi alla creazione di tali infrastrutture ciclistiche, la cui utilità è già dimostrata nelle città e nei paesi europei.

4.6

Per quanto la proporzione dei percorsi effettuati in bicicletta nelle diverse città e paesi europei vari sensibilmente anche per effetto delle differenze sociali, geografiche, climatiche e culturali, la diversa intensità dell'uso della bicicletta è soprattutto imputabile alla varietà delle politiche dei trasporti. Di qui la grande importanza degli scambi di conoscenze e di buone pratiche e delle campagne di sensibilizzazione. Si raccomanda che la Commissione europea sovvenzioni e continui a sovvenzionare tali iniziative, e renda obbligatorio integrare la politica ciclistica (ad esempio l'intermodalità fra bicicletta e trasporti pubblici) in tutti i progetti nel settore dei trasporti che beneficiano degli aiuti della Commissione europea.

4.7

L'impiego della bicicletta coinvolge da vicino l'individuo, e in quanto parte di uno stile di vita sano e sostenibile è utile integrare la politica ciclistica anche in politiche diverse da quella dei trasporti. Si raccomanda dunque di tenerla presente nell'ulteriore sviluppo delle politiche europee, non solo per la politica dei trasporti e delle infrastrutture, ma anche in materia di pianificazione territoriale (compresa la politica urbanistica), ambiente, economia, salute, istruzione e formazione. È altresì opportuno che la Commissione europea organizzi a dovere il monitoraggio e la rilevazione dei dati sull'uso della bicicletta in Europa e promuova l'armonizzazione dei metodi d'indagine.

5.   Cooperazione europea nell'ampliamento della rete EuroVelo

5.1

EuroVelo è un progetto lanciato nel 1995 dalla ECF (European Cyclists' Federation: Federazione europea dei ciclisti) (18) con l'obiettivo di sviluppare 12 percorsi ciclistici internazionali di lunga percorrenza, sia negli Stati membri che al di fuori di essi, per una lunghezza totale di 66.000 km. Tali percorsi sono in gran parte basati su percorsi preesistenti a livello locale e regionale. La prospettiva continentale del progetto, con la visione di una rete paneuropea di piste ciclabili, è sembrata presentare un forte valore aggiunto sin dall'inizio del progetto.

5.2

Il progetto ha indotto le autorità locali, regionali e nazionali a collaborare per predisporre percorsi ciclistici internazionali di lunga distanza. Lo scorso anno è stato inaugurato il cosiddetto EuroVelo 6 Atlantic OceanBlack Sea. Nella realizzazione di questi percorsi hanno avuto un ruolo importante i fondi Interreg. Ciò vale anche per la cosiddetta North Sea Cycle Route, ultimata a fine 2006 come progetto Interreg e identificata dalla ECF come EuroVelo 12.

5.3

L'idea ispiratrice di EuroVelo è quella di creare una rete TransEuropeanCyclerouteNetwork riconosciuta e di provvedere alla sua manutenzione, analogamente a quanto avviene nel caso delle TEN (TransEuropeanNetwork) per le reti ferroviarie e stradali. Ciò è chiaramente auspicabile non tanto per la politica europea dei trasporti, quanto piuttosto per il turismo e lo sviluppo delle regioni europee. Oltre ai compiti consistenti nella gestione e nel coordinamento costanti delle piste e nella divulgazione d'informazioni al riguardo, c'è anche quello, altrettanto impegnativo, dell'ulteriore potenziamento della rete delle piste e dei percorsi ciclabili. Le linee guida pubblicate nel 2002 su tutti gli aspetti importanti della creazione di una rete ciclabile EuroVelo si sono rivelati molto utili per prevenire disinvestimenti. Si raccomanda che la Commissione europea prosegua gli aiuti alla creazione dei collegamenti ciclabili EuroVelo Route in modo da poter realizzare una rete ciclabile completa a livello europeo, cioè, in sostanza una TEN per i ciclisti.

5.4

Le discussioni tra i partner del North Sea Cycle Group su come garantire, in futuro, la continuità del percorso, il suo marketing e la cooperazione tra i numerosi partecipanti al progetto (circa 70 regioni di 8 paesi) non ha ancora portato a una soluzione. Si tratta di un problema importante anche per altri percorsi internazionali su lunghe distanze, realizzati mediante il finanziamento di progetti (spesso per il 50 % con fondi europei), che attende tuttora una soluzione per il coordinamento della cooperazione e del marketing comune.

5.5

Una possibile soluzione, già esaminata a fondo, è far sì che la gestione, il coordinamento, il monitoraggio dei percorsi (dopo la realizzazione degli opportuni lavori strutturali) e la segnaletica vengano seguiti da un'organizzazione europea come la EFC (European Cyclists' Federation), sul modello delle organizzazioni a livello nazionale. Secondo la ECF, una volta che la rete verrà completata, sarà importante garantirne una buona manutenzione nel tempo, e questo è un problema che va affrontato a livello internazionale, cioè europeo. È auspicabile che i compiti di coordinamento e di segreteria per la rete ciclabile EuroVelo vengano affidati ad un organo europeo sovvenzionato dalla Commissione: esso dovrebbe vigilare affinché, una volta portati a termine i progetti relativi ai vari collegamenti ciclabili EuroVelo, a livello centrale si provveda alla costante manutenzione delle infrastrutture (e della relativa segnaletica) e alla diffusione delle informazioni ai ciclisti (comprese quelle per ottenere aiuto in caso di guasto, infortunio o incidente). Come per numerose altre iniziative europee ciò richiederà un sostegno finanziario da parte dell'UE.

5.6

La stessa ECF, nonostante l'esiguità dei mezzi a sua disposizione, ha rafforzato il proprio impegno a favore del progetto EuroVelo, con l'intento di mettere a punto e concretizzare una soluzione a questo problema. In tale contesto essa collabora all'ulteriore sviluppo di una segnaletica sì univoca, ma adattabile e applicabile in tutti i paesi interessati al progetto EuroVelo 6, e si adopera per ottenere il riconoscimento di questo sistema di segnaletica da parte dell'UNECE (Commissione economica per l'Europa delle Nazioni Unite) (19). È opportuno riconoscere ufficialmente l'uso della segnaletica della ECF messa a punto dal gruppo partecipante a EuroVelo 6 e promuoverne l'applicazione.

Bruxelles, 25 aprile 2007

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Commissione europea, DG XI: Cycling: the way ahead for towns and cities, Lussemburgo, 1999.

(2)  Risoluzione del 12 febbraio 2003 — Commissione per la politica regionale, i trasporti e il turismo, Relatore: Juan de Dios Izquierdo Collado, 9 dicembre 2002, Relazione sul Libro bianco della Commissione «La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte», FINALE A5-0444/2002; http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//NONSGML+REPORT+A5-2002-0444+0+DOC+WORD+V0//IT&language=IT

(3)  Cfr. ad esempio: www.civitas-initiative.org

(4)  Cfr.: http://ec.europa.eu/energy/intelligent/projects/steer_en.htm#policy

(5)  COM(2005) 637 def.

(6)  ECMT, National Policies to Promote Cycling, (Implementing sustainable urban travel policies: moving ahead), pubblicazione OCSE, 2004.

(7)  ECMT, National Policies to Promote Cycling, pag. 43.

(8)  ECMT, National Policies to Promote Cycling, pag. 20.

(9)  ECMT, National Policies to Promote Cycling, pag. 24.

(10)  Cfr. http://www.fietsersbond.nl/urlsearchresults.asp?itemnumber=1

(11)  Negli ultimi anni in Olanda sono state effettuate ricerche sul fatto che in media i residenti in Olanda immigrati, ad esempio, dal Marocco (anche quelli di seconda generazione) fanno un uso della bicicletta nettamente inferiore rispetto agli olandesi autoctoni. Cfr. Het fietsgebruik van allochtonen nader belicht (Uso della bicicletta da parte degli alloctoni), pubblicazione Fietsberaad, numero 11a, novembre 2006, cfr.: http://www.fietsberaad.nl.

(12)  Cfr. ECMT, National Policies to Promote Cycling, pag. 24.

(13)  Cfr. per esempio: www.radroutenplaner.nrw.de e http://www.fietsersbond.nl/fietsrouteplanner

(14)  Stando a una valutazione effettuata per il 2003 da Colibi (Comité de Liaison des Fabricants Européens de Bicyclettes — Federazione dell'industria ciclistica europea) e Coliped (Comité de Liaison des Fabricants de Pièces et Equipements de Deux-roues des pays de la C.E. — organismo che rappresenta più di 190 produttori di parti ed accessori due ruote in nove paesi europei).

(15)  Fonte: presentazione tenuta da Les Lumsdon alla conferenza conclusiva della North Sea Cycle Route il 9 novembre 2006, sul tema Turismo, sviluppo economico e aiuti europei. Cfr.: http://www.northsea-cycle.com e http://www.uclan.ac.uk/facs/lbs/research/institutes_and_centres/transport/docs/Northseacycleconf.doc

(16)  Cfr. http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P6-TA-2007-0005+0+DOC+XML+V0//EN

(17)  Ad esempio i tandem, i furgoncini a triciclo, le biciclette reclinate aerodinamiche e i tricicli con tettuccio.

(18)  Cfr. http://www.ecf.com/14 _1

(19)  Cfr. http://www.unece.org/trans/main/welcwp1.html