ISSN 1725-2466

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 185

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

49o anno
8 agosto 2006


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

II   Atti preparatori

 

Comitato economico e sociale europeo

 

426a Sessione plenaria del 20 aprile 2006

2006/C 185/1

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo — Nanoscienze e nanotecnologie: un piano d'azione per l'Europa 2005-2009

1

2006/C 185/2

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alle seguenti proposte: — Proposta di decisione del Consiglio concernente il programma specifico da attuare mediante azioni dirette dal Centro comune di ricerca nell'ambito del Settimo programma quadro della Comunità europea di attività di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione (2007-2013), — Proposta di decisione del Consiglio concernente il programma specifico Cooperazione recante attuazione del Settimo programma quadro (2007-2013) di attività comunitarie di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione, — Proposta di decisione del Consiglio concernente il programma specifico Idee recante attuazione del Settimo programma quadro (2007-2013) di attività comunitarie di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione, — Proposta di decisione del Consiglio concernente il programma specifico Persone recante attuazione del Settimo programma quadro (2007-2013) della Comunità europea per le attività comunitarie di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione, — Proposta di decisione del Consiglio concernente il programma specifico Capacità recante attuazione del Settimo programma quadro (2007-2013) di attività comunitarie di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione, — Proposta di decisione del Consiglio, concernente il programma specifico da attuare mediante azioni dirette dal Centro comune di ricerca nell'ambito del Settimo programma quadro (2007-2011) della Comunità europea dell'energia atomica (Euratom) di attività di ricerca e formazione nel settore nucleare e — Proposta di decisione del Consiglio, concernente il programma specifico recante attuazione del Settimo programma quadro della Comunità europea dell'energia atomica (Euratom) per le attività di ricerca e formazione nel settore nucleare (2007-2011) COM(2005) 439, 440, 441, 442, 443, 444, 445 def.

10

2006/C 185/3

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce norme comuni per la sicurezza dell'aviazione civile COM(2005) 429 def. — 2005/0191 (COD)

17

2006/C 185/4

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per l'azione comunitaria nel campo della politica per l'ambiente marino (direttiva sulla strategia per l'ambiente marino) COM(2005) 505 def. — 2005/0211 (COD)

20

2006/C 185/5

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La gestione delle trasformazioni industriali nelle regioni transfrontaliere dopo l'allargamento dell'UE

24

2006/C 185/6

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle statistiche comunitarie in materia di migrazioni e di protezione internazionale COM(2005) 375 def. — 2005/0156 (COD)

31

2006/C 185/7

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari COM(2005) 649 def. — 2005/0259 (CNS)

35

2006/C 185/8

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al miglioramento della trasferibilità dei diritti a pensione complementare COM(2005) 507 def. — 2005/0214 (COD)

37

2006/C 185/9

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l'Anno europeo del dialogo interculturale (2008) COM(2005) 467 def. — 2005/0203 (COD)

42

2006/C 185/0

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — La situazione dei disabili nell'Unione europea allargata: il piano d'azione europeo 2006-2007 COM(2005) 604 def.

46

2006/C 185/1

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione — Politica di coesione a sostegno della crescita e dell'occupazione: linee guida della strategia comunitaria per il periodo 2007-2013 COM(2005) 299 def. — SEC(2005) 904

52

2006/C 185/2

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Gli effetti degli accordi internazionali di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra sulle trasformazioni industriali in Europa

62

2006/C 185/3

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Un quadro giuridico per la politica dei consumatori

71

2006/C 185/4

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione — Attuare il programma comunitario di Lisbona: un quadro politico per rafforzare l'industria manifatturiera dell'UE — verso un'impostazione più integrata della politica industriale COM(2005) 474 def.

80

2006/C 185/5

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Lavorare insieme, lavorare meglio: un nuovo quadro per il coordinamento aperto delle politiche di protezione sociale e di integrazione nell'Unione europea COM(2005) 706 def.

87

2006/C 185/6

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante i dati informativi relativi all'ordinante, da allegare ai trasferimenti di fondi COM(2005) 343 def. — 2005/0138 (COD)

92

2006/C 185/7

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Ridurre l'impatto del trasporto aereo sui cambiamenti climatici COM(2005) 459 def.

97

2006/C 185/8

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il quadro istituzionale per la navigazione interna in Europa

101

2006/C 185/9

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1592/2002, del 15 luglio 2002, recante regole comuni nel settore dell'aviazione civile e che istituisce l'Agenzia europea per la sicurezza aerea COM(2005) 579 def. — 2005/0228 (COD)

106

IT

 


II Atti preparatori

Comitato economico e sociale europeo

426a Sessione plenaria del 20 aprile 2006

8.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 185/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo — Nanoscienze e nanotecnologie: un piano d'azione per l'Europa 2005-2009

(2006/C 185/01)

La Commissione europea, in data 7 giugno 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 28 marzo 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore PEZZINI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 20 aprile 2006, nel corso della 426a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 117 voti favorevoli e 4 voti contrari.

1.   Premessa

1.1

Nel suo precedente parere (1), affrontando il tema delle nanoscienze e delle nanotecnologie, il CESE aveva riconosciuto l'opportunità di premettere una semplice legenda, nella quale definire, sinteticamente, i vocaboli maggiormente usati, anche in considerazione del fatto che il parere riguardava una materia in parte nuova, caratterizzata da un lessico spesso poco conosciuto o, comunque, poco utilizzato. Ci sembra dunque opportuno riportare le stesse definizioni, in apertura del presente parere.

1.1.1

Inoltre, dato che nel 2006 accanto al Sesto programma quadro continuano ad essere in vigore molti altri programmi europei, nati all'inizio degli anni 2000, si è pensato di indicare nelle note i programmi principali aventi implicazioni per le N&N, e in particolare quelli che rivestono un'importanza specifica per i nuovi Stati membri, che non hanno avuto l'opportunità di seguirne la nascita e il dibattito sulle finalità, prima del 2004.

1.2   Definizioni  (2)

1.2.1

Nano. Indica la miliardesima parte di un tutto. Nel nostro caso, parlando di dimensioni, utilizziamo «nano» come la miliardesima parte del metro.

1.2.2

Micro. Indica la milionesima parte di un tutto. Nel nostro caso, la milionesima parte del metro.

1.2.3

Nanoscienze. Le nanoscienze rappresentano un nuovo approccio delle scienze tradizionali (chimica, fisica, biologia elettronica, …) nei confronti della struttura fondamentale e del comportamento della materia, a livello di atomi e di molecole. Di fatto, sono le scienze che studiano le potenzialità degli atomi, nelle varie discipline (3).

1.2.4

Nanotecnologie. Sono le tecnologie che consentono di manipolare gli atomi e le molecole, in modo da creare nuove superfici e nuovi oggetti i quali, grazie alla diversa composizione e alla nuova disposizione degli atomi, assumono caratteristiche particolari, utilizzabili nella vita quotidiana (4). Sono quindi le tecnologie del miliardesimo di metro.

1.2.5

Accanto alla definizione sopra riportata, vale la pena riportarne anche un'altra, più pregnante da un punto di vista scientifico. Con il termine nanotecnologia si definisce un approccio multidisciplinare alla creazione di materiali, di dispositivi e di sistemi, attraverso il controllo della materia su scala nanometrica. In nome di tale multidisciplinarità, per sviluppare una qualificazione nelle nanotecnologie, è necessario disporre di un'ampia base di conoscenze nel campo dell'elettronica, della fisica e della chimica.

1.2.6

Nanomeccanica. Le dimensioni di un oggetto cominciano ad essere importanti per determinarne le proprietà quando la loro scala va da un nanometro a qualche decina di nanometri (si tratta di oggetti formati da qualche decina fino a qualche migliaio di atomi). In quest'ambito, un oggetto composto da 100 atomi di ferro ha proprietà fisico-chimiche radicalmente diverse da un altro composto da 200 atomi, anche se entrambi sono fabbricati con gli stessi atomi. Analogamente le proprietà meccaniche ed elettromagnetiche di un solido costituito da nanoparticelle sono radicalmente diverse da quelle di un solido tradizionale di uguale composizione chimica e risentono delle proprietà delle singole unità che lo compongono.

1.2.7

Microelettronica. Branca dell'elettronica che si occupa dello sviluppo di circuiti integrati, realizzati in una «singola regione di semiconduttori», di dimensioni molto ridotte. Ad oggi, la tecnologia microelettronica è in grado di realizzare singoli componenti con dimensioni di circa 0,1 micrometro, ovvero 100 nanometri (5).

1.2.8

Nanoelettronica. Scienza che si occupa dello studio e della produzione di circuiti, realizzati con tecnologie e materiali diversi dal «silicio» e funzionanti con principi sostanzialmente differenti da quelli attuali (6).

1.2.9

La nanoelettronica si avvia a divenire uno dei cardini delle nanotecnologie, così come oggi l'elettronica si ritrova in tutti i settori scientifici e processi industriali (7).

1.2.10

Biomimetica  (8). La scienza che studia le leggi che sono alla base degli assemblaggi molecolari esistenti in natura. La conoscenza di queste leggi potrà consentire di creare nanomotori artificiali basati sugli stessi principi di quelli esistenti in natura (9).

1.3   Conclusioni e raccomandazioni

1.3.1

Il Comitato si rallegra delle proposte presentate dalla Commissione per realizzare da qui al 2009 un piano d'azione in materia di N&N specie in relazione:

alla esigenza di rispettare un tipo di sviluppo sostenibile, competitivo, stabile e duraturo,

alla sensibile accelerazione, a livello mondiale, degli investimenti di R&S nella dimensione nano e nelle sue applicazioni,

alla necessità di analizzare i rischi e le opportunità dell'approccio nanoscala e all'urgenza di una visione diffusa e condivisa sia da parte dei decisori politico-istituzionali, sia dalle parti sociali, sia infine dal grande pubblico e dai media. E ciò per assicurare il successo delle N&N, in considerazione della loro utilità per la salute, per la sicurezza e per la qualità di vita dei cittadini,

alla richiesta di attrezzature e di infrastrutture di alto livello, di reti europee integrate, di banche dati comuni,

alla necessità di preparare risorse umane qualificate nell'ambito scientifico, tecnico e produttivo, nonché quadri industriali, che siano in grado di interagire con il mondo delle nanoscienze e delle nanotecnologie,

alla opportunità di creare un polo europeo di promozione e coordinamento (Focal Point), che si ponga come interlocutore stabile e proattivo, soprattutto tra industria e mondo scientifico, sia all'interno dell'Unione, sia a livello internazionale, al quale affiancare un ufficio operativo.

1.3.1.1

I componenti del Focal Point dovranno possedere profonde e comprovate competenze scientifiche e gestionali, oltre ad un elevato livello di sensibilità al contesto generale in cui si colloca lo sviluppo delle N&N.

1.3.1.2

Anche nel campo delle N&N, «l'attività di R&S sovvenzionata dalla Comunità crea un considerevole valore aggiunto europeo, offre potenzialità decisamente superiori alle capacità dei singoli Stati membri e ha già consentito di realizzare in Europa dei progressi di importanza mondiale» (10). Da qui l'importanza di un Focal Point comunitario, che gestisca questo settore, con chiara individuazione delle responsabilità.

1.3.2

Di fronte alla rivoluzione rappresentata dalle N&N, il Comitato è convinto che è sulle capacità di coordinamento e sulla creazione di una massa critica europea di nanotecnologie, su basi sicure, che si gioca la possibilità dell'Europa di essere all'avanguardia, in un contesto che vede sempre nuovi attori affacciarsi, con aggressività, sul mercato mondiale.

1.3.3

Per il Comitato è fondamentale che l'Unione europea riesca a elaborare un piano d'azione per le N&N, che sappia esprimere un impulso unitario di governance e sappia integrare i livelli comunitario, nazionale e regionale, nel rispetto del principio di sussidiarietà. In particolare tale piano dovrà assicurare:

un dialogo visibile e trasparente con la società civile, che ne assicuri una consapevolezza, basata su valutazioni obiettive dei rischi e delle opportunità delle N&N,

un'attenzione costante alla salvaguardia degli aspetti etici e ambientali, nonché di quelli della salute e della sicurezza dei lavoratori e dei consumatori,

un polo comunitario di riferimento univoco, che sappia assicurare un forte coordinamento tra le diverse politiche e tra i diversi livelli d'azione,

una voce unica, a livello internazionale, per promuovere iniziative in materia di dichiarazioni comuni e codici di condotta, per garantire l'uso responsabile delle N&N, per assicurare la cooperazione nella ricerca scientifica di base,

la lotta al nano-divide (esclusione dallo sviluppo delle conoscenze N&N), da condurre insieme con i paesi meno sviluppati,

la certezza normativa e regolamentare degli sforzi di ricerca, di applicazione e di innovazione sul piano del mercato delle N&N,

un calendario e uno scadenzario delle azioni previste, sia a livello comunitario, sia a livello degli Stati membri, con meccanismi di verifica della loro attuazione con una chiara attribuzione di responsabilità.

1.3.4

Il Comitato chiede che il piano d'azione comunitario sia affiancato da piani d'azione nazionali, che assicurino un coordinamento ed un benchmarking costante delle convergenze e delle sinergie nei diversi ambiti: infrastrutturale, formativo ed educativo, di valutazione dei rischi, di formazione per la tutela della sicurezza del lavoro, di standardizzazione normativa e brevettuale e infine di dialogo con la società civile e, in particolare, con i consumatori.

1.3.5

Il Comitato ritiene che l'industria europea dovrebbe moltiplicare ed accelerare gli sforzi di ricerca e di applicazione delle N&N, portandosi a livelli d'investimento almeno pari a quelli dei suoi concorrenti più avanzati. Ciò può avvenire tramite le azioni seguenti: sviluppo delle piattaforme tecnologiche europee; incentivi alla protezione e alla valorizzazione industriale delle N&N; incoraggiamento ad una formazione mirata dell'imprenditoria minore; sviluppo di network europei per l'innovazione e l'applicazione delle N&N; sostegno alla qualificazione multidisciplinare dei lavoratori e dei quadri tecnici; di «nanotecnologi d'azienda» e di laboratori di prototipazione e di certificazione; creazione di un quadro comune di standardizzazione tecnica e di proprietà intellettuale e industriale.

1.3.6

La relazione biennale sul controllo e sul monitoraggio dell'attuazione del piano d'azione comunitario e della sua coerenza con le altre politiche UE dovrebbe, a parere del Comitato, essere corredata da un quadro di valutazione annuale del rispetto del calendario adottato, ed integrata dai rapporti degli Stati membri sulla realizzazione dei piani d'azione nazionali.

1.3.7

Tale relazione dovrebbe essere presentata, oltre che al PE e al Consiglio, anche al Comitato economico e sociale europeo.

2.   Motivazioni

2.1

Le nanoscienze e le nanotecnologie (N&N) rappresentano un'area in rapida espansione e molto promettente per convertire la ricerca fondamentale in innovazioni di successo. Si tratta di un settore di grande importanza, sia per rafforzare la competitività dell'industria europea nel suo complesso, sia per creare nuovi prodotti e servizi atti a migliorare il benessere e la qualità di vita dei cittadini e la società.

2.2

È ormai convinzione generale degli analisti che i materiali, i prodotti e i servizi basati sulle N&N, potranno generare da qui al 2015 un mercato globale di centinaia di miliardi di euro all'anno (11), a condizione che si sappia trasferire l'eccellenza scientifica in prodotti, processi e servizi commercialmente validi e si sappia evitare — come sottolinea la stessa Commissione (12) — «il ripetersi del paradosso europeo, già verificatosi per altre tecnologie».

2.3

A parere del Comitato a questo fine occorre:

rafforzare e coordinare gli sforzi di ricerca e sviluppo, effettuando maggiori investimenti,

creare infrastrutture dedicate di alto livello,

valutare attentamente i rischi in tutto il ciclo di vita scientifico e applicativo,

mantenere un forte rispetto per i principi etici,

promuovere un contesto favorevole e proattivo nei confronti dell'innovazione in tutto il tessuto economico produttivo, in particolare nelle piccole e medie imprese,

formare risorse umane qualificate,

adattare il regime normativo e dei brevetti,

favorire la partnership tra organismi pubblici e privati.

2.4

Il Comitato ha già avuto modo di pronunciarsi sull'argomento (13), raccomandando, tra l'altro:

lo sviluppo di sforzi congiunti comunitario/nazionale in materia di RST nonché di formazione scientifica e tecnologica con forti interazioni tra industria e mondo accademico; una particolare attenzione verso le applicazioni industriali e multisettoriali; un coordinamento rafforzato delle politiche, delle strutture e delle reti di attori; la salvaguardia degli aspetti etici, ambientali, di salute e di sicurezza; una normazione tecnica adeguata,

un forte legame tra le N&N e la società, per garantire che i risultati della ricerca si traducano in contributi positivi alla competitività dell'economia, alla salute umana, all'ambiente, alla sicurezza e alla qualità di vita dei cittadini,

l'assegnazione di risorse adeguate nel quadro delle prospettive finanziarie 2007-2013 e in particolare nel Settimo programma quadro di ricerca e sviluppo tecnologico (7PQ) e il rafforzamento delle piattaforme tecnologiche europee,

il varo di un piano d'azione comunitario di alto profilo, corredato di una road-map e di un calendario ben definiti, e ispirato ad un approccio integrato con quello degli Stati membri, per coagulare il consenso di tutti gli attori della società civile intorno ad una visione comune,

la realizzazione di infrastrutture europee di alto livello per la ricerca e per il trasferimento tecnologico, orientati all'innovazione e al mercato,

l'ottimizzazione dei regimi di proprietà intellettuale e la creazione a livello europeo di un Nano-IPR Helpdesk per rispondere ai bisogni dei ricercatori, delle imprese e dei centri di ricerca e, soprattutto, a quelli della società civile,

il rafforzamento della cooperazione internazionale, sugli aspetti etici e di rischio, sulla sicurezza e gli standard, sui brevetti e sulla metrologia,

azioni mirate allo sviluppo dei processi industriali relativi alle N&N e alla sensibilizzazione all'uso delle stesse, con l'istituzione di una clearing house europea, per la commercializzazione dei prodotti, il trasferimento tecnologico e lo scambio delle migliori pratiche,

un dialogo costante e fondato su solide basi di divulgazione scientifica con i media e con l'opinione pubblica, per dare ai cittadini la certezza del controllo dei potenziali pericoli per la salute e per l'ambiente e anche per evitare percezioni erronee degli sviluppi nanotecnologici.

2.5   Le N&N nei nuovi Stati membri

2.5.1

Nel corso degli ultimi cinque anni la Commissione europea ha sostenuto con risorse comunitarie circa 30 centri d'eccellenza in relazione alle varie priorità tematiche del Programma quadro di ricerca comunitario: molti di questi centri, attivi nello sviluppo delle N&N (14), sono collegati a università, centri di ricerca e imprese dei nuovi Stati membri.

2.5.2

Il Comitato ritiene importante che nella sua attività il Centro comune di ricerca europeo continui a sviluppare un'azione di sostegno e di stimolo dei centri di eccellenza dei nuovi Stati membri e dei paesi candidati, specie nel settore delle N&N, includendo esplicitamente tale tematica nei suoi programmi di lavoro.

2.5.3

Secondo il Comitato, la Commissione dovrebbe sostenere anche lo sviluppo di network europei, per l'innovazione, l'applicazione e la prototipazione delle N&N, specie per le imprese minori, che costituiscono la stragrande maggioranza del tessuto industriale dell'Europa.

2.5.4

Si dovrebbero, in particolare, prevedere pacchetti di servizi specifici per aiutare gli imprenditori a identificare opportunità e vincoli delle applicazioni N&N, e moltiplicare le iniziative di successo quali Gate2Growth (15) e Minanet (16); si dovrebbero pertanto individuare nuove fonti e modalità di finanziamento di rischio, nonché sistemi di garanzia aggiuntivi a quelli esistenti.

2.5.5

Il Comitato ritiene che anche l'iniziativa comunitaria Phantoms, che è un network di eccellenza sulle nanotecnologie lanciato nel quadro del programma comunitario IST-FET per le tecnologie della società dell'informazione, meriterebbe di essere più sviluppata e dotata di maggiore visibilità.

2.5.6

Il CESE considera inoltre che, con particolare riferimento alla necessità di stimolare maggiormente le attività di ricerca e innovazione nei nuovi Stati membri e nei paesi candidati, si dovrebbero sviluppare delle sinergie agevolate con le iniziative Eureka e COST, nel cui ambito si conducono già in molti di tali paesi attività di N&N.

2.6   Il quadro internazionale

2.6.1

La spesa globale, a livello mondiale, effettuata da governi, imprese e mondo finanziario per la ricerca e per lo sviluppo nel settore N&N è stata stimata, al gennaio 2005, intorno ai 7 miliardi di euro annui (17) (più della metà di provenienza pubblica): di questi, circa il 35 % è speso nel Nord America, il 35 % in Asia, il 28 % in Europa ed il 2 % nel resto del mondo.

2.6.1.1

A livello di spesa pro capite, mentre alla fine degli anni Novanta le differenze di investimento pubblico erano molto ridotte (circa 1 euro negli USA e in Giappone e la metà nell'UE), nel 2005 gli USA spendevano 5 euro pro capite, il Giappone 6,5 euro e l'UE 3,5 euro. Le proiezioni al 2011 danno oltre 9 euro pro capite negli USA e in Giappone e 6,5 euro pro capite nell'UE (18).

2.6.2

La spesa dell'industria, a livello mondiale, si attesta su un importo di oltre 3 miliardi di euro all'anno, di cui il 46 % effettuato da imprese americane, il 36 % da imprese asiatiche, il 17 % da imprese europee e meno dell'1 % da imprese del resto del mondo. Circa 1 500 società hanno annunciato il loro forte impegno nella ricerca e nello sviluppo delle N&N: di queste, l'80 % è rappresentato da imprese start-up, per oltre la metà nordamericane. La copertura da parte dei media su temi nanotecnologici è passata da circa 7 000 articoli all'anno agli attuali 12 000 (19).

2.6.3

Negli USA il governo federale ha investito in un quinquennio, dalla fine del 2000 ad oggi, oltre 4 miliardi di dollari in nanotecnologie. Per il solo 2006, l'amministrazione Bush ha chiesto 1 miliardo di dollari per la ricerca in N&N, nell'ambito delle 11 agenzie federali di ricerca. Come rileva il rapporto 5-Years Assessment on Nanotechnology Initiative 2005, gli Stati Uniti «sono leader riconosciuti a livello mondiale nella R&S in nanotecnologia», con una spesa per investimenti annua, tra pubblico e privato, pari a 3 miliardi di dollari, corrispondenti grosso modo ad un terzo della spesa mondiale.

2.6.3.1

Gli USA si collocano al primo posto anche per numero di imprese start-up, di pubblicazioni e brevetti. A livello federale, si ritiene che la spesa per nuove conoscenze e nuove infrastrutture per le N&N «sia stata appropriata ed ampia, così da permettere, sul lungo termine, una redditività economica sostanziale».

2.6.4

In Giappone, la spesa annua si è attestata nel 2003 su circa 630 milioni di euro, provenienti per il 73 % dal ministero dell'Educazione e per il 21 % dal ministero dell'Economia, commercio e industria. La ricerca si focalizza principalmente sui nanomateriali. In termini di venture capital, per le nanotecnologie, la Mitsui ha deciso di investire quasi 700 milioni di euro per i prossimi quattro anni, mentre il Fondo per le tecnologie critiche destinerà circa 30 milioni di euro alla ricerca N&N (20).

2.6.5

Sempre in Asia, anche Taiwan prevede di investire oltre 600 milioni di euro da qui al 2008, con 800 aziende impegnate nelle N&N; si conta di arrivare nel 2006 a quasi 7 miliardi e mezzo di euro di prodotti, ad una crescita del numero di imprese fino a 1 500 e uno sviluppo di nuovi prodotti fino a 25 miliardi di euro nel 2012, specie in vari settori della nanoelettronica.

2.6.5.1

La premessa indispensabile, perché si realizzi questa espansione, è che vengano regolati i problemi di proprietà intellettuale ed industriale.

2.6.6

Quanto alla Corea del Sud, essa costituisce uno dei primi paesi le cui imprese hanno commercializzato, con successo, prodotti basati su N&N (21). La Corea del Sud, che ha un mercato domestico potenziale per le nanotecnologie stimato intorno ai 2 miliardi di euro, ha varato un programma per le N&N, il Next Generation Core Development Program, con una dotazione di 168 milioni di euro ed ha, tra le priorità, i nanomateriali, i nanocompositi e le bionanotecnologie.

2.6.7

In Australia, negli scorsi anni si sono formate più di 30 società N&N e il loro numero cresce al ritmo del 50 % all'anno. La spesa pubblica e privata in ricerca N&N è di circa 60 milioni di euro all'anno; essa si focalizza principalmente sui nuovi materiali, sulla bionanotecnologia e sulle sue applicazioni mediche e terapeutiche.

2.6.8

Quanto alla Cina, uno studio appena pubblicato a Pechino sugli sviluppi delle nanotecnologie nel periodo dal 2005 al 2010, con proiezioni fino al 2015 (22), mostra come la Cina sia «uno dei leader mondiali in termini di nuova registrazione di imprese nanotecnologiche, di pubblicazioni e di brevetti relativi alle N&N, con un mercato interno di prodotti e sistemi N&N» già stimato intorno ad oltre 4 miliardi e mezzo di euro, destinati a crescere ad oltre 27 miliardi di euro nel 2010 e ad oltre 120 nel 2015 (23).

2.6.9

Il quadro internazionale evidenzia, secondo il CESE, quanto sia importante assicurare un ambiente proattivo, favorevole alla ricerca e innovazione, in tutti i paesi dell'UE per poter partecipare con successo agli investimenti di ricerca e sviluppo nel settore.

3.   Osservazioni

3.1

Il Comitato ha sempre sostenuto la necessità di uno sforzo potenziato, per aumentare in termini assoluti e relativi gli investimenti di R&S in Europa, nell'ambito del processo di realizzazione dell'obiettivo del 3 % di Barcellona. Tenuto conto dei trend internazionali, esso ritiene che tale sforzo sia, in primis, necessario nel settore delle N&N.

3.1.1

Il Comitato ritiene che lo sforzo risulterebbe depotenziato se non fosse inserito in un forte processo di coordinamento europeo dei programmi di ricerca nazionali e regionali di N&N, tra l'altro attraverso i meccanismi ERA-NET ed ERA-NET PLUS (24). A questo sforzo si dovrebbero affiancare azioni di sensibilizzazione e di sostegno dei centri di ricerca, delle industrie, delle università, attraverso i programmi COST (25), FES (26), Eureka (27) e con l'utilizzo dei prestiti BEI.

3.1.2

Il Comitato ritiene che tale coordinamento europeo e tale cooperazione dovrebbero riguardare anche le azioni degli Stati membri intese a sviluppare infrastrutture interdisciplinari e poli di competenza e di eccellenza N&N, al fine anche di un loro collegamento in una rete paneuropea che ne amplifichi le sinergie, evitando duplicazioni inutili.

3.2   A livello comunitario

3.2.1

Il Comitato è convinto che tale piano d'azione comunitario, per essere operativo e credibile, debba essere corredato di un calendario e di uno scadenzario, che rendano più stringenti e verificabili i progressi fatti nei seguenti campi:

aumentare gli investimenti in ricerca, innovazione e formazione nel campo delle N&N, sia a livello comunitario sia a livello degli Stati membri e delle loro regioni, sempre però in presenza di un forte processo di coordinamento europeo da parte della Commissione e con un maggior impegno dell'industria,

istituire in seno al 7PQ un polo europeo di coordinamento, come focal point che funga da interlocutore stabile e proattivo, sia all'interno dell'Unione sia a livello di cooperazione e di dialogo internazionale, con un Centro europeo Nano-Janus (28) dotato di risorse adeguate,

preparare risorse umane qualificate con profili multidisciplinari nell'ambito scientifico, tecnico e produttivo e rafforzare la presenza di quadri industriali sensibili all'approccio N&N,

assicurare l'accettazione ed il successo delle nanoscienze e delle nanotecnologie, attraverso un dialogo visibile e trasparente con la società civile non solo in nome del loro apporto alla competitività europea, ma anche per la loro utilità per la salute, per la sicurezza e per la qualità della vita dei cittadini,

creare, sin dalla fase di concezione dei progetti e delle loro applicazioni, meccanismi di valutazione dei rischi tossicologici ed ecotossicologici e strumenti di formazione adeguati per affrontarli,

sottoporre a dispositivi di sorveglianza etica, come già previsto per il programma quadro, le proposte di ricerca e di finanziamento pubblico, con una rilevazione sistematica delle questioni etiche, suscettibili di manifestarsi, in relazione alle N&N,

salvaguardare il giusto equilibrio tra le necessità di sviluppo sociale, di divulgazione scientifica e di tutela sanitaria e ambientale, da un lato, e, dall'altro, le esigenze di proprietà intellettuale ed industriale.

3.2.2

Il Comitato sostiene con forza un aumento sostanziale degli investimenti in ricerca, innovazione e formazione, nel campo delle N&N, a livello comunitario, parallelamente ed in stretto coordinamento con quello degli Stati membri e delle loro regioni.

3.2.2.1

Il Comitato sottolinea in proposito che, contrariamente a quanto avviene in altri settori di ricerca, il volume di risorse finanziarie dedicate alle N&N della Comunità eguaglia quello degli Stati membri (laddove per la ricerca in generale gli stanziamenti comunitari rappresentano il 4-5 % della spesa globale europea di ricerca, mentre quelli provenienti dagli Stati membri sono pari all'87 %).

3.2.3

Secondo il Comitato, nell'ambito del 7PQ 2007-2013 la priorità tematica dedicata alle N&N dovrebbe avere una dotazione non inferiore al 10 % delle risorse assegnate al programma specifico «Cooperazione».

3.2.3.1

Nel programma «Capacità» si dovrebbe riservare alle PMI uno spazio adeguato per la ricerca e innovazione N&N, e in particolare per i distretti nanotecnologici, le infrastrutture d'eccellenza e il foresight N&N.

3.2.3.2

Nel programma specifico «Persone» la formazione e la mobilità dei ricercatori nell'ambito delle N&N dovrebbero trovare uno spazio appropriato; questo dovrà valere anche per le attività del Centro comune di ricerca, per quanto riguarda la sicurezza e la metronomia, nonché per le prospettive tecnologiche.

3.2.4

Dal canto suo, il Programma quadro per la competitività e l'innovazione dovrebbe poter dedicare, a partire dal 2007 — pur con la dotazione limitata di cui dispone — parte dei suoi interventi alla formazione di una cultura imprenditoriale rivolta alle applicazioni organizzative della ricerca N&N.

3.2.5

Il Comitato sostiene fortemente la creazione di piattaforme tecnologiche europee — sulla scorta di quelle già esistenti sulla nanoelettronica o la nanomedicina: tali piattaforme sono, infatti, strumenti particolarmente atti a promuovere, sulla base di una visione di foresight partecipativo comune, un'attivazione di tutti gli attori pubblici e privati dei vari settori (scientifico, formativo, tecnologico, industriale, finanziario) intorno a progetti ed iniziative comunitarie, nazionali/regionali, o congiunte.

3.2.6

Il Comitato considera fondamentali gli investimenti in educazione e formazione di tipo avanzato. I nuovi programmi comunitari per il dopo 2006 dovrebbero prevedere espressamente delle linee di intervento a sostegno multidisciplinare per le N&N.

3.2.7

La Commissione, dal canto suo, dovrebbe facilitare la valorizzazione industriale attraverso il varo, entro il 2007, nell'ambito del programma di lavoro N&N del PQ-7, di:

un Nano-IPR Helpdesk, come proposto dal CESE nel suo precedente parere sulle N&N,

una clearing house europea per lo scambio di buone prassi e il monitoraggio dei brevetti e delle novità applicative sul mercato globale,

una libreria digitale, come proposto nella comunicazione oggetto del presente parere,

bandi CEN-STAR (29) su progetti di ricerca prenormativa e conormativa tecnica,

azioni pilota di dimostrazione, per l'applicazione industriale delle N&N.

3.2.8

La Commissione dovrebbe rafforzare sin d'ora il dispositivo di sorveglianza etica, per assicurare una rilevazione sistematica delle questioni etiche suscettibili di manifestarsi in relazione alle N&N, specie nel campo della medicina, dell'agroalimentare, della cosmesi.

3.3   A livello degli Stati membri

3.3.1

Il Comitato sottolinea l'importanza che al piano d'azione comunitario corrispondano piani d'azione nazionali, che dovrebbero essere presentati al Parlamento europeo, al Consiglio ed alla Commissione entro il primo semestre del 2006: l'obiettivo è quello di assicurare convergenze e sinergie nel campo infrastrutturale, formativo ed educativo, nonché in quello della standardizzazione normativa e brevettuale, della valutazione rischi e, infine, del dialogo con la società civile, i consumatori e i media.

3.3.2

Gli Stati membri dovrebbero, secondo il Comitato, riservare alle N&N una parte più consistente degli investimenti pubblici e privati di cui dispongono e dovrebbero presentare rapporti regolari al PE ed al Consiglio, in merito ai progressi registrati in tema di investimento e di realizzazione dei piani nazionali.

3.3.3

Tali rapporti dovrebbero essere inseriti nella relazione biennale comunitaria, in particolare con riferimento:

alla predisposizione di un contesto normativo e legislativo favorevole al nuovo ciclo industriale di applicazione delle N&N, alle nuove concezioni di impresa, alle nuove qualifiche ed esigenze formative di imprenditori, lavoratori e tecnici, agli standard, alle certificazioni dei prodotti, e infine al rispetto delle questioni etiche e della trasparenza, soprattutto per quanto riguarda la formazione medico-scientifica, l'accessibilità e le pari opportunità,

all'incentivazione delle applicazioni innovative delle N&N, a livello territoriale, con lo sviluppo di reti di laboratori di prototipazione, di certificazione e di risk assessment, accessibili a tutte le imprese, agli enti, alle università e ai centri di ricerca; a tal fine si dovrebbero attivare misure finanziarie dedicate di start-up e di venture capital, specie nelle regioni della coesione, e andrebbero sviluppati poli informativi, visibili anche al grande pubblico, su rischi e opportunità delle N&N,

all'avvio di azioni per evitare il nano-divide specie nelle aree di intervento dei fondi strutturali e di coesione e nelle realtà insulari e periferiche, prevedendo anche misure volte ad evitare l'esclusione dallo sviluppo N&N dei paesi terzi meno sviluppati.

3.3.4

Occorre, a parere del Comitato, che gli Stati membri svolgano un'azione mirata a salvaguardare un giusto equilibrio tra due esigenze: da una parte, la necessità di cooperazione e di divulgazione scientifica e applicativa, diretta alla tutela sanitaria e a quella ambientale, dall'altra, l'esigenza di protezione del segreto inventivo e della proprietà intellettuale ed industriale.

3.3.5

Secondo il Comitato, anche in tale contesto è possibile rilevare gli inconvenienti che comporta la mancanza di un brevetto comunitario e di una normativa comunitaria uniforme in materia. Questo concerne sia la necessità di sapere cosa è possibile brevettare negli Stati membri, in termini di nuovi ritrovati nel settore delle bio-nanotecnologie, sia la questione dell'accesso semplificato delle parti interessate alle informazioni sui nuovi ritrovati e brevetti.

3.4   A livello internazionale

3.4.1

Il Comitato sottoscrive pienamente gli orientamenti proposti dal piano d'azione per lo sviluppo di una cooperazione e di un dialogo strutturati a livello internazionale. Suggerisce peraltro di completarli con le proposte seguenti:

organizzare, con scadenze regolari, sotto l'egida dell'UE, dei forum internazionali per incrementare le occasioni di dialogo, di scambio e di comunicazione, al fine di rafforzare la «comunità scientifica, industriale ed accademica internazionale»,

sviluppare delle leadership europee, per promuovere delle iniziative in materia di dichiarazioni comuni e di codici di condotta, per l'uso e lo sviluppo responsabile delle N&N,

realizzare nell'UE, entro il 2008, un archivio elettronico delle pubblicazioni scientifiche e tecniche sulle N&N prodotte nel mondo,

inserire, nelle linee della politica europea di cooperazione allo sviluppo, azioni di capacity building degli interlocutori dei paesi in via di sviluppo, e formazione del personale scientifico e di promozione della ricettività alle tecnologie N&N delle competenze locali: tutto questo con l'intento di evitare l'N&N-divide (esclusione dallo sviluppo delle conoscenze N&N),

attivare nel campo delle N&N delle sinergie user-friendly con iniziative europee — come Eureka — e internazionali — come Human Frontiers.

3.5   A livello d'impresa, del lavoro e della società civile

3.5.1

Secondo il Comitato le imprese, e in particolare le PMI, possono beneficiare grandemente delle attività di ricerca nelle N&N e della loro diffusione diretta al trasferimento tecnologico, soprattutto grazie all'integrazione e all'assunzione di tecnologie di efficienza energetica e ambientale, di nanotecnologie informatiche e dei nuovi materiali applicati a processi, prodotti e servizi, di tecnologie nano-bio-info convergenti.

3.5.2

Il Comitato ritiene che l'industria europea dovrebbe moltiplicare ed accelerare gli sforzi nel campo della ricerca e dell'applicazione delle N&N, portandosi a livelli d'investimento almeno pari a quelli dei suoi concorrenti più avanzati: tale sforzo dovrebbe essere fortemente incoraggiato dalla predisposizione di un contesto normativo e legislativo favorevole, sia a livello comunitario che a livello nazionale/regionale.

3.5.3

Il Comitato è convinto che tale approccio, che prevede un intenso coinvolgimento delle imprese, sia essenziale per la ricerca e lo sviluppo e per l'applicazione delle N&N, a condizione che siano previste azioni di sostegno a livello europeo, nazionale/regionale e, soprattutto, a livello congiunto, volte a:

assicurare un'informazione trasparente, semplice e chiara relativa al Nanotechnology Scouting dei risultati della ricerca, applicabili in via permanente e sicura per i lavoratori e i tecnici, i consumatori, l'ambiente e la salute; tali risultati devono essere garantiti da certificazioni di piena accettabilità sociale e di mercato,

sviluppare azioni di formazione mirata ai problemi dell'imprenditoria, specie di quella minore, per una assunzione ed un uso consapevole e responsabile delle N&N, che rispettino i requisiti dei nuovi processi produttivi che le applicano (30),

sostenere azioni di formazione e qualificazione multidisciplinare, del personale tecnico e scientifico, sulla nuova concezione ed organizzazione dell'azienda che applica nuovi processi produttivi nanotecnologici e servizi correlati nei vari settori, e sulle precauzioni necessarie ad eliminare i rischi tossicologici ed ecotossicologici,

prospettare, in modo chiaro e predefinito, opportunità e limiti della proprietà industriale e intellettuale, per garantire un corretto equilibrio tra cooperazione e concorrenza, segreto produttivo e diffusione dei progressi in materia di N&N, pubblicazione e libera circolazione delle nuove conoscenze nella comunità scientifica europea e internazionale e tutela dei diritti della proprietà intellettuale,

facilitare l'accesso delle imprese, specie quelle minori o ubicate in aree insulari e periferiche, agli istituti del CCR (31), ai laboratori di prototipazione e alle infrastrutture di certificazione, misure e prove. Importante sarà anche l'accesso ad organismi nazionali ed europei di normazione tecnica, potenziati ai fini dell'elaborazione di standard riconosciuti ed accettati a livello internazionale,

rafforzare, nell'ambito della BEI, del FEI, del CIP (32) e dei fondi strutturali comunitari, l'accesso delle imprese, specie PMI, ad azioni di sostegno finanziario, di capital start-up e venture capital, nonché ad azioni di promozione di spin-off del mondo accademico, per la creazione di nuove imprese e di nuova occupazione nel campo delle N&N e la realizzazione di reti di acquisizione, produzione e distribuzione di servizi N&N,

incrementare le relazioni tra università, centri di ricerca e imprese, specie PMI, attraverso la creazione di centri di competenza a gestione congiunta per i vari settori applicativi, l'inserimento nelle realtà aziendali di esperti nelle nanotecnologie, l'organizzazione di corsi di formazione mediante le nuove azioni previste dal programma Marie Curie.

3.5.4

Il Comitato sottolinea che, specie in campo di N&N, i lavoratori e i quadri tecnici e scientifici rappresentano e debbono continuare a rappresentare il punto di forza delle imprese europee socialmente responsabili.

3.5.4.1

Il Comitato sottolinea, al riguardo, l'importanza di azioni intese ad assicurare ambienti e processi produttivi sicuri, di opportuni interventi formativi delle risorse umane impegnate, specie nei settori della diagnostica e della terapeutica medica, con particolare riguardo agli aspetti di prevenzione e valutazione ex ante dei rischi. Ciò potrà avvenire con l'aiuto di manuali tecnici di condotta, asseverati a livello europeo.

3.5.4.2

L'impatto sui lavoratori della nuova organizzazione del lavoro necessaria per l'applicazione delle N&N a livello delle attività produttive, così come quello delle esigenze formative e di tutela e sicurezza della loro salute, dovrebbero essere oggetto di valutazioni approfondite e di studi, condotti dalla Fondazione europea per le condizioni di vita e di lavoro di Dublino.

3.5.5

Il dialogo europeo sulle N&N con tutte le parti interessate dovrebbe essere formalizzato entro il 2007, tramite la creazione di un organo o forum consultivo, che dovrebbe avere la necessaria visibilità e trasparenza per potersi proporre come interlocutore competente e riconosciuto nei confronti dei media e della società civile.

3.5.6

Le iniziative pilota di successo per la sensibilizzazione dei cittadini dovrebbero essere consolidate entro il 2007, messe in evidenza già in apertura sul portale web«Europa» ed essere pubblicizzate presso le altre istituzioni, e in particolare il PE e il Consiglio. Ad esse dovrà altresì essere assicurata una risonanza internazionale con l'istituzione, nel 2008, del «Premio interdisciplinare N&N», da assegnare annualmente in occasione della «Settimana europea delle N&N».

3.5.7

La Commissione dovrebbe, entro il 2007, impostare delle metodologie asseverate di rilevazione dei rischi d'applicazione e/o di uso di N&N e, entro il primo semestre del 2008, proporre delle linee guida europee in merito.

Bruxelles, 20 aprile 2006

La presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  GU C 157 del 28.6.2005.

(2)  Ibidem.

(3)  Intervista al commissario Busquin (sintesi in IP/04/820 del 29.6.2004).

(4)  Cfr. nota 2.

(5)  Centro di micro e nanoelettronica del Politecnico di Milano, prof. Alessandro Spinelli.

(6)  Ibidem.

(7)  Gli investimenti nella nanoelettronica ammontano oggi a 6 miliardi di euro, ripartiti come segue: 1/3 nella nano e micro, 1/3 nella diagnostica, 1/3 nei materiali (fonte: Commissione europea, DG Ricerca).

(8)  Dal greco mimesis, imitare la natura.

(9)  Ad esempio il movimento autonomo degli spermatozoi.

(10)  GU C 65 del 17.03.2006.

(11)  Cfr. Nanotechnologies and nanosciences, knowledge-based multifunctional materials & new production processes and devices presentato all'«Euronanoforum» svoltosi a Edimburgo nel settembre 2005.

(12)  COM(2005) 243 def. e COM(2005) 24 def.

(13)  (GU C 157 del 28.6.2005).

(14)  Tra i principali centri di eccellenza si possono ricordare i seguenti: il Centro di ricerca molecolare Desmol; il Centro alta pressione ed il Centro Celdis dell'Istituto di fisica dell'Accademia polacca delle scienze; il Centro di ricerca KFKI-CMRC e l'Istituto di ricerca per lo stato solido, la fisica e l'ottica dell'Accademia ungherese delle scienze, il Centro di ricerca e tecnologia dei materiali avanzati (Camart) dell'Istituto di fisica allo stato solido dell'Università della Lettonia.

(15)  L'iniziativa comunitaria Gate2Growth offre un pacchetto di servizi e reti per rendere più rapido e a costi più ridotti l'accesso agli investimenti per nuove imprese innovative tramite reti tematiche paneuropee di investitori ed intermediari, come la rete I-TecNet.

(16)  Minanet è una banca dati accessibile on-line sui progetti di ricerca europei nel campo dei microsistemi e delle nanotecnologie. In essa figurano progetti N&N sviluppati nella Repubblica ceca, in Polonia, Slovacchia, Ungheria, Bulgaria, Lituania, Lettonia, Cipro e Romania.

(17)  Lux Research and Technology Review on Nanotechnology 2005.

(18)  Cfr: http://cordis.europa.eu.int/nanotechnology; Commissione europea, DG Ricerca, Unità G4 (8.12.2005).

(19)  Lux Research and Technology Review on Nanotechnology 2005.

(20)  In termini di investimenti privati in N&N, circa 60 imprese giapponesi spendono approssimativamente 170 milioni di euro all'anno in R&S di nanotecnologie, con incrementi del 20 % dal 2003.

(21)  La società Samsung ha lanciato già dal 2002 una flash memory chip che incorpora 90 componenti nanometriche.

(22)  Beijing Report 2005 on Nanotech Development to 2010-2015.

(23)  La quota di mercato mondiale da parte della Cina sarà, secondo il rapporto sopra indicato, di oltre il 6 % nel 2010 e del 16 % nel 2015. La corsa ai prodotti finiti dipenderà molto dalle convergenze applicative delle nanobiotecnologie, nanoscienze, e dalle ricerche applicative dei tre grandi centri nazionali di ricerca e di oltre 20 istituti di N&N.

(24)  Spazio europeo della ricerca: Cooperazione e coordinamento delle attività nazionali o regionali della ricerca. Il programma ERA-NET, dotato di 148 milioni di euro, prevede bandi di gara ogni sei mesi, fino al 2005, rivolti a progetti che prevedano il coinvolgimento di enti legali di almeno tre Stati membri. Per i prossimi anni è stato lanciato ERA-NET Plus, che rafforza il precedente.

(25)  COST: Organizzazione intergovernativa per la cooperazione in S&T.

(26)  FES: Fondazione europea della scienza.

(27)  Eureka: Iniziativa europea per lo sviluppo delle tecnologie di mercato.

(28)  Cfr. Nanotechnology National Office, istituito nel 2003 negli USA con la legge sullo sviluppo delle nanotecnologie.

(29)  CEN: Comitato europeo di normalizzazione. STAR: Ricerca sulla standardizzazione.

(30)  Il CESE si compiace per le pubblicazioni, cartacee e in CD, edite e divulgate dalla direzione Politiche dell'innovazione della DG Imprese e industria, nonché per i dispositivi pedagogici, rivolti ad un pubblico interessato, ma poco preparato, utilizzati in tali pubblicazioni.

(31)  CCR = Centro comune di ricerca.

(32)  CIP = Programma «Competitività e innovazione» (Cfr. parere CESE INT/270 - Relatori: WALSCHKE e FUSCO).


8.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 185/10


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alle seguenti proposte:

Proposta di decisione del Consiglio concernente il programma specifico da attuare mediante azioni dirette dal Centro comune di ricerca nell'ambito del Settimo programma quadro della Comunità europea di attività di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione (2007-2013),

Proposta di decisione del Consiglio concernente il programma specifico «Cooperazione» recante attuazione del Settimo programma quadro (2007-2013) di attività comunitarie di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione,

Proposta di decisione del Consiglio concernente il programma specifico «Idee» recante attuazione del Settimo programma quadro (2007-2013) di attività comunitarie di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione,

Proposta di decisione del Consiglio concernente il programma specifico «Persone» recante attuazione del Settimo programma quadro (2007-2013) della Comunità europea per le attività comunitarie di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione,

Proposta di decisione del Consiglio concernente il programma specifico «Capacità» recante attuazione del Settimo programma quadro (2007-2013) di attività comunitarie di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione,

Proposta di decisione del Consiglio, concernente il programma specifico da attuare mediante azioni dirette dal Centro comune di ricerca nell'ambito del Settimo programma quadro (2007-2011) della Comunità europea dell'energia atomica (Euratom) di attività di ricerca e formazione nel settore nucleare e

Proposta di decisione del Consiglio, concernente il programma specifico recante attuazione del Settimo programma quadro della Comunità europea dell'energia atomica (Euratom) per le attività di ricerca e formazione nel settore nucleare (2007-2011)

COM(2005) 439, 440, 441, 442, 443, 444, 445 def.

(2006/C 185/02)

Il Consiglio, in data 14 novembre 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 166 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alle proposte summenzionate.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 28 marzo 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore WOLF e dal correlatore PEZZINI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 20 aprile 2006, nel corso della 426a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 132 voti favorevoli e 2 voti contrari.

1.   Sintesi

1.1

Le proposte della Commissione riguardano i contenuti e i temi di ricerca delle sue precedenti proposte relative al Settimo programma quadro per la ricerca e lo sviluppo (2007-2013) e al Settimo programma quadro Euratom (2007-2011), sulle quali il Comitato si è già pronunciato. Il presente parere completa pertanto il parere già formulato in merito ai suddetti programmi quadro.

1.2

Nelle sue precedenti prese di posizione il Comitato aveva raccomandato di «rendere pienamente disponibili gli investimenti urgentemente necessari in materia di ricerca e sviluppo proposti dalla Commissione evitando di sacrificarli o utilizzarli come semplici pedine nelle trattative sul futuro bilancio generale dell'UE».

1.3

L'obiettivo della strategia di Lisbona di fare dell'Europa l'economia basata sulla conoscenza più competitiva al mondo richiede infatti un netto rafforzamento degli investimenti nella ricerca e sviluppo. In questo ambito l'Europa è in concorrenza, a livello mondiale, non solo con paesi quali Stati Uniti, Giappone e Corea, ma anche con Cina, India e Brasile. Gli USA e il Giappone hanno appena decretato che gli investimenti per la ricerca e sviluppo costituiscono una priorità nazionale ai fini del rafforzamento della loro competitività internazionale e hanno stanziato le necessarie risorse. Tenuto conto dei costanti sviluppi in atto a livello internazionale, l'obiettivo stabilito dal Consiglio di Barcellona a sostegno della strategia di Lisbona, e non ancora conseguito, che prevedeva di investire il 3 % del prodotto interno lordo dell'UE in ricerca e sviluppo, rappresenta un bersaglio mobile: raggiungerlo troppo tardi significherebbe in ogni caso restare indietro.

1.4

Considerati il bilancio complessivo dell'UE deciso nel frattempo dal Consiglio e le sue ripercussioni sui fondi destinati alla ricerca, il Comitato conferma la propria raccomandazione di destinare al settore «ricerca e sviluppo» una percentuale nettamente superiore rispetto all'attuale — ovvero l'8 % circa — e di provvedere quanto prima all'aumento dei finanziamenti destinati alla ricerca previsto nella decisione del Consiglio, senza attendere di realizzarlo fra 7 anni.

1.5

Il programma specifico «Cooperazione» è il cardine delle proposte della Commissione. Il Comitato approva la promozione delle tematiche ivi contenute: energia, salute, tecnologie dell'informazione, nanotecnologie, ambiente, trasporti, scienze socioeconomiche e scienze umane, i nuovi temi spazio e sicurezza, ecc. Tale programma viene commentato nel dettaglio nella sezione 4 del presente parere, in cui si propone anche un aumento relativo dei fondi destinati ad ambiti specifici.

1.6

In linea generale il Comitato raccomanda di non prevedere un'allocazione rigida delle risorse finanziarie ai singoli sottoprogrammi, bensì di consentire la massima flessibilità. In tal modo si dovrebbe garantire che la Commissione possa reagire nel corso dell'attuazione dei programmi — con rapidità, e senza dover prender misure politiche — a modifiche delle priorità o a nuove questioni che dovessero emergere nel frattempo, oppure alle ristrutturazioni che dovessero rendersi necessarie per il carattere trasversale di molte tematiche.

1.7

Il Comitato ribadisce il proprio sostegno al programma specifico «Idee». La difficoltà di questo programma risiede, oltre che nella necessità di una dotazione adeguata, anzitutto nella procedura di selezione delle richieste di contributo e nella gestione del programma stesso. Il Comitato si compiace pertanto che questo compito impegnativo venga affidato a un organo autonomo, il Consiglio europeo della ricerca (CER/ERC).

1.8

Il Comitato ha ribadito più volte che per assicurare il successo e la competitività della R&S europea occorre, oltre alle apparecchiature di punta, alle risorse finanziarie e a condizioni adeguate, anche la presenza di un numero sufficiente di scienziati altamente qualificati e creativi. Il programma specifico «Persone» riguarda le misure con cui la Commissione intende avvicinarsi a tale obiettivo. Tali misure vengono approvate appieno dal Comitato, il quale rimanda inoltre alle sue precedenti osservazioni sulla Carta europea dei ricercatori pubblicata dalla Commissione.

1.9

Il programma specifico «Capacità» è un ottimo esempio dei compiti sussidiari della Comunità. Riguarda in particolare quelle infrastrutture di ricerca (grandi apparecchiature, strumenti scientifici, computer, ecc.) il cui costo e utilità superano le capacità di un singolo Stato membro. Ma anche il sottoprogramma «Ricerca a favore delle PMI» del programma specifico «Capacità» risponde positivamente a precedenti raccomandazioni del CESE intese a coinvolgere maggiormente le PMI nel processo di innovazione.

1.10

Il Comitato rimanda infine alla sua precedente raccomandazione di ridurre drasticamente gli adempimenti amministrativi a carico dei proponenti, di semplificare le procedure, e, nel contempo, di assicurare la massima continuità degli strumenti di aiuto e delle procedure di assegnazione.

2.   Introduzione

2.1

Le proposte presentate dalla Commissione, che sono ripartite in sette documenti distinti, completano la proposta della Commissione (1) concernente il Settimo programma quadro di attività comunitarie di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione (2007-2013) e il Settimo programma quadro della Comunità europea dell'energia atomica (Euratom) per le attività di ricerca e formazione nel settore nucleare (2007-2011) e forniscono informazioni particolareggiate sui contenuti e sui temi di ricerca delle misure di aiuto previste.

2.1.1

Di conseguenza, il presente parere del Comitato rappresenta una versione complementare e compatta del parere già adottato in merito alle proposte di decisione concernenti il Settimo programma quadro di attività comunitarie di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione (2007-2013) e il Settimo programma quadro della Comunità europea dell'energia atomica (Euratom) per le attività di ricerca e formazione nel settore nucleare (2007-2011) (2), nonché delle osservazioni e raccomandazioni ivi formulate.

2.1.2

Il presente parere si concentra pertanto essenzialmente sui contenuti della ricerca, non sulle strutture e sugli strumenti previsti. Così, per esempio, non affronta nuovamente l'importante questione dell'ottimizzazione del triangolo dell'innovazione «Ricerca di base, ricerca applicata e sviluppo», né la raccomandazione che anche in futuro i funzionari della Commissione responsabili del programma siano degli esperti con dimestichezza nell'ambito della ricerca e con una conoscenza approfondita del tema oggetto della ricerca, requisito che presuppone anche una sufficiente continuità al livello del personale. Questi punti sono già stati affrontati esaurientemente in precedenti pareri (3).

2.1.3

In questa sede occorre tuttavia affrontare sin d'ora il punto importante della ripartizione delle risorse finanziarie fra i singoli sottoprogrammi. Al riguardo il Comitato aveva già raccomandato di consentire la massima flessibilità, in modo da garantire che nel corso dell'attuazione dei programmi la Commissione possa reagire rapidamente, e senza ulteriori misure politiche, a modifiche delle priorità o nuove problematiche che dovessero emergere nel frattempo, o alle ristrutturazioni che dovessero rendersi necessarie per il carattere trasversale di molte tematiche.

2.2

La Commissione aveva proposto di aumentare gli stanziamenti assegnati ai due programmi quadro portandoli a un totale di 72,7 miliardi di euro (4). Questa cifra rappresenterebbe tuttavia ancora un importo inferiore all'8 % del bilancio complessivo (1025 miliardi di euro) dell'UE proposto per il periodo 2007-2013. Nel parere summenzionato riguardante il Settimo programma quadro di RST il Comitato aveva raccomandato di «rendere pienamente disponibili gli investimenti urgentemente necessari in materia di ricerca e sviluppo proposti dalla Commissione, evitando di sacrificarli o utilizzarli come semplici pedine nelle trattative sul futuro bilancio generale dell'UE».

2.2.1

Il 19 dicembre 2005 il Consiglio europeo ha invece assegnato all'UE un bilancio complessivo di soli 862,4 miliardi di euro (5), per cui anche la dotazione globale destinata alla ricerca potrebbe risultare decisamente inferiore (6) a quella inizialmente proposta dalla Commissione. Tuttavia, «Il Consiglio europeo ritiene che il finanziamento dell'UE a favore della ricerca debba (…) essere accresciuto per far sì che entro il 2013 le risorse disponibili siano circa il 75 % più elevate in termini reali rispetto al 2006» (7). A tale scopo la Commissione formulerà una proposta riveduta, in linea con questa indicazione del Consiglio. Di conseguenza, il processo decisionale politico relativo ai due programmi quadro non si è ancora concluso.

2.2.2

L'obiettivo della strategia di Lisbona di fare dell'Europa l'economia basata sulla conoscenza più competitiva al mondo richiede infatti un netto rafforzamento degli investimenti nella ricerca e sviluppo. In questo ambito l'Europa si trova a competere a livello mondiale non solo con paesi come Stati Uniti, Giappone e Corea, ma anche con Cina, India e Brasile. Gli USA e il Giappone hanno appena decretato che gli investimenti per la ricerca e sviluppo costituiscono una priorità nazionale ai fini del rafforzamento della loro competitività internazionale e hanno stanziato le necessarie risorse. Tenuto conto dei costanti sviluppi a livello internazionale, l'obiettivo stabilito dal Consiglio di Barcellona a sostegno della strategia di Lisbona, e non ancora conseguito, che prevedeva di investire il 3 % del prodotto interno lordo dell'UE in ricerca e sviluppo, rappresenta un bersaglio mobile: raggiungerlo troppo tardi significherebbe in ogni caso restare indietro.

2.3

Vista la situazione, il Comitato ritiene necessario rammentare nuovamente quanto affermato nel suddetto parere, ribadendo che (1) un'attività di ricerca e sviluppo adeguatamente finanziata, efficiente e di eccellenza è base e premessa determinante per l'innovazione, la competitività e il benessere, quindi anche per la crescita culturale e la fornitura di prestazioni sociali, (2) la proposta della Commissione rappresenta un impegno minimo, ancora incrementabile a più lungo termine, per fare in modo che l'Europa, culla della scienza e della tecnica moderne, non comprometta la sua posizione nel settore, bensì la mantenga e la rafforzi e, infine, (3) senza questo contributo, anch'esso a lungo termine, gli obiettivi di Lisbona non potranno essere raggiunti.

2.4

Il Comitato ribadisce inoltre che la cooperazione europea in materia di ricerca e sviluppo è un efficace catalizzatore dell'integrazione e della coesione europea. E questo è un punto di particolare importanza in un momento in cui l'Unione europea si batte per l'accettazione della Costituzione da parte dei cittadini. Investimenti sufficienti nella R&S sono importanti non solo per realizzare gli obiettivi della strategia di Lisbona, ma anche per risolvere i problemi e le questioni d'attualità, ad esempio in settori quali la salute, l'approvvigionamento energetico e l'ambiente.

2.5

Il Comitato ribadisce pertanto la propria raccomandazione di destinare al settore «ricerca e sviluppo» una percentuale nettamente superiore a quella attuale — ovvero l'8 % circa del bilancio totale dell'UE — e di provvedere quanto prima all'aumento dei finanziamenti destinati alla ricerca previsto nella decisione del Consiglio, senza attendere di realizzarlo fra 7 anni.

2.6

Il Comitato ha preso atto della proposta della Commissione (8) di creare un Istituto europeo di tecnologia (EIT). Senza volersi già esprimere in merito alla proposta, il Comitato desidera solo osservare che i costi di tale iniziativa non devono in alcun caso gravare sul bilancio dei cosiddetti «Programmi specifici» esaminati nel presente parere.

2.7

Il Comitato rammenta al tempo stesso anche il suo precedente invito a ridurre drasticamente gli adempimenti amministrativi a carico dei proponenti, a semplificare le procedure, e nel contempo ad assicurare la massima continuità degli strumenti di aiuto e delle procedure di assegnazione. Esso si riserva di prender posizione in maniera più dettagliata a questo proposito quando verranno presentate le proposte della Commissione in merito alle «modalità di partecipazione» (9).

3.   Contenuto delle proposte della Commissione  (10)

3.1

Le proposte della Commissione coprono in maniera dettagliata tutti gli ambiti della ricerca e dello sviluppo rientranti nel Settimo programma quadro e nel Programma Euratom — ossia la totalità dei temi, dei contenuti, dei metodi e degli aiuti riguardanti la ricerca. La Commissione prospetta inoltre il tipo di contributo atteso al riguardo dal Centro comune di ricerca. Vengono altresì presentate misure per procurare e potenziare il capitale umano necessario. Complessivamente si tratta di sette documenti della Commissione che illustrano molto dettagliatamente anche gli appositi singoli sottoprogrammi.

3.2

In sintesi l'allocazione delle risorse, in percentuale del bilancio complessivo, si articola come segue:

A — Programma quadro R&S (bilancio complessivo 72 726 mio EUR) 2007-2013

Cooperazione

61,1 %

Idee

16,3 %

Persone

9,8 %

Capacità

10,3 %

Azioni del Centro comune di ricerca al di fuori del settore nucleare

2,5 %

B — Programma quadro Euratom (bilancio complessivo 3 092 mio EUR) 2007-2011

Ricerca sulla fusione

69,8%

Fissione nucleare e radioprotezione

12,8%

Azioni del Centro comune di ricerca nell'ambito nucleare

17,4%

3.3

Il capitolo 3 del parere in merito al Settimo programma quadro di RST (CESE 1484/2005) presenta un quadro dettagliato delle proposte della Commissione.

4.   Osservazioni del Comitato

4.1

Le osservazioni si riferiscono a quanto detto nei capitoli da 4 a 6 del parere summenzionato, relativo al Settimo programma quadro di RST, e per essere comprese presuppongono la conoscenza del testo di tali capitoli.

4.1.1

Il Comitato appoggia l'intento della Commissione di tener conto del carattere trasversale di numerosi elementi dei programmi e di promuovere la multidisciplinarietà mediante approcci interdisciplinari.

4.1.2

Al riguardo il Comitato ha pure cercato di stabilire se sia più opportuno che comparti dei lavori di ricerca rientranti in tali temi trasversali, come le TIC nel settore della medicina, vadano raggruppati nelle TIC oppure vadano trattati nel sottoprogramma specifico «Salute». È giunto alla conclusione che, appunto nel caso delle TIC, una parte proporzionale maggiore delle attività ivi contemplate venga assegnata ai sottoprogrammi specifici, ad esempio «Salute», «Energia», «Trasporti», o eventualmente anche «Scienze socioeconomiche», poiché in tal modo si metterebbero in luce i problemi più «tecnici».

4.1.3

Non è tuttavia possibile fornire una risposta che sia sempre valida. Occorre decidere caso per caso in funzione di due criteri: le maggiori sinergie metodologiche e la possibilità di tener maggiormente conto dei problemi concreti da affrontare. Il Comitato raccomanda ancora una volta «… di prevedere un coordinamento sovraordinato e i collegamenti necessari nella fattispecie».

4.1.4

Il Comitato si compiace altresì della volontà della Commissione di tener conto in maniera flessibile delle nuove necessità, conoscenze e proposte che si vanno man mano delineando, come pure delle esigenze politiche impreviste. Promuovendo e coordinando la ricerca e sviluppo precompetitivi la Commissione contribuirà a rafforzare la competitività dell'UE.

4.2   Cooperazione: la chiave di volta del programma

4.2.1

Salute. Il Comitato sottolinea la necessaria ampiezza dell'approccio, dai preparativi e dalla prevenzione delle epidemie e pandemie alla presa in considerazione dello sviluppo demografico, con tutti i fenomeni di carattere sociale e sanitario connessi e le conseguenze di lungo periodo, comprese la ricerca riguardante l'invecchiamento e quella concernente i disabili (fermo restando che quest'ultima riguarda anche aspetti particolari, ad esempio sociali o tecnici, che vanno ben al di là di quelli sanitari). Il Comitato appoggia l'intento della Commissione di non trascurare lo studio delle malattie meno frequenti. Il programma dovrebbe contemplare tutti gli ambiti scientifici e tecnici connessi — compresi la biotecnologia, la genomica, la ricerca sulle cellule staminali e altri elementi multidisciplinari, senza tralasciare il problema dei necessari standard qualitativi e sociali. Questo interessa sia la ricerca medico-biologica nelle università, nelle cliniche e negli istituti di ricerca che godono di finanziamenti pubblici, sia il rafforzamento della competitività nell'industria medico-farmaceutica europea. Di conseguenza il Comitato raccomanda di approvare il quadro proposto per il programma e sottolinea che la ricerca e sviluppo per la salute rivestono un'importanza prioritaria a livello non solo europeo, ma anche mondiale.

4.2.2

Prodotti alimentari, agricoltura e biotecnologia (la biotecnologia costituisce anche uno strumento importante per il tema della salute [punto 4.2.1]). Il Comitato ritiene che questo programma sia idoneo a creare e/o mantenere una bioeconomia basata sulla conoscenza. L'obiettivo è utilizzare le scienze e le tecnologie biologiche per ottenere prodotti e processi ecologici e competitivi nei settori dell'agricoltura, della pesca, dell'acquacoltura, dell'industria alimentare, della sanità e dell'industria forestale, come anche nei comparti industriali collegati. Se si considera la concorrenza particolarmente serrata con paesi come il Brasile nel settore agricolo, anche questo riveste notevole importanza. Un possibile nuovo comparto di sviluppo potrebbe essere quello della coltivazione di piante che contribuiscono a depurare i suoli contaminati incorporando le sostanze nocive oppure, viceversa, di piante che possono essere utilizzate senza timore perché non assorbono sostanze nocive dai suoli contaminati.

4.2.3

Tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni (TIC). I prodotti e le prestazioni nel settore delle TIC hanno arricchito e rivoluzionato la scienza, la tecnica, l'amministrazione, e persino la vita quotidiana dei singoli cittadini. Sia per la proporzione del suo bilancio che per la molteplicità delle sue funzioni il tema TIC costituisce l'elemento più consistente del programma «Cooperazione», in quanto interviene, o può intervenire, in tutti gli altri ambiti. Esso mira alla messa a punto di prodotti e servizi innovativi, basati sulle TIC, nei settori della scienza, della tecnica, dell'amministrazione e della logistica. Il programma TIC abbraccia tutto un ventaglio di ambiti che vanno dallo sviluppo di nuovi tipi di hardware (in proposito lo sviluppo dei chip presenta, ad esempio, una chiara sovrapposizione con il programma relativo alle nanotecnologie), sistemi di hardware e reti, fino a nuovi strumenti di programmazione. In proposito si dovrebbe anche porre l'accento sulla necessaria accessibilità dei servizi delle TIC per tutte le categorie della popolazione. Il Comitato rammenta anche quanto osservato al riguardo al punto 4.1.2. Di conseguenza, la dotazione di bilancio decisamente ragguardevole del programma TIC risulterà effettivamente giustificata nella misura in cui questo programma continuerà anche in futuro ad assolvere le funzioni summenzionate, segnatamente dando il proprio apporto concreto agli altri programmi.

4.2.4

Nanoscienze, nanotecnologie, materiali e nuove tecnologie di produzione. Anche questo è un settore nuovo, estremamente innovativo (11), sorto da numerose radici e diramazioni della ricerca e della tecnologia fisica e chimica all'incrocio fra ricerca fondamentale e applicata. Esso può offrire prodotti e processi nuovi o perfezionati in numerosi comparti della tecnica. Al tempo stesso è tuttavia così molteplice e ramificato che occorre avere un'ampia visione d'insieme per individuare e sfruttare i punti in comune e le interdipendenze di questa disciplina, che spazia dalla fisica nucleare alla tecnologia dei plasmi, dalla nanomeccanica alla lavorazione dei tessili. Dato che i nanoprocessi avvengono al tempo stesso in una dimensione microscopica difficilmente immaginabile per i non addetti ai lavori, questo tema richiede sin dall'inizio un dialogo costruttivo con i consumatori, sia per individuare ed evitare i pericoli, sia per dissipare timori infondati. Il Comitato approva e appoggia pertanto l'ampio approccio adottato dalla Commissione, che prevede anche iniziative per la trasmissione delle conoscenze.

4.2.5

Energia. Il Comitato ha richiamato più volte l'attenzione sul tema chiave dell'energia e si è già pronunciato in merito a numerosi programmi specifici facendo anche presente la notevole entità della ricerca necessaria (12). Per il medio e lungo termine si profila un grave problema energetico (13), che interessa sia la prevista riduzione delle risorse e il rincaro delle fonti energetiche classiche (petrolio e gas naturale), sia il problema cruciale della sicurezza degli approvvigionamenti europei di queste stesse fonti energetiche, sia gli effetti in molti casi addirittura globali dell'utilizzo dell'energia sull'ambiente, e in particolare sul clima. La soluzione del problema energetico può venire solo da tecnologie perfezionate o nuove, ma contemporaneamente, e per quanto possibile, a buon mercato. La chiave sta nella ricerca energetica, la quale deve includere tutti gli aspetti (14), dal miglior sfruttamento — e stoccaggio! — di fonti energetiche ecocompatibili, fino alle tecniche del risparmio energetico e per un impiego più efficiente dell'energia, inclusi i processi per la riduzione parziale o totale e per lo stoccaggio dei gas a effetto serra. Particolare importanza riveste anche lo sviluppo di centrali elettriche a rendimento elevato. Pur giudicando corrette ed equilibrate le proposte della Commissione al riguardo, il Comitato è molto preoccupato per l'esiguità della quota di bilancio stanziata in questo campo rispetto all'importanza cruciale del compito da affrontare e ne raccomanda un aumento proporzionale.

4.2.6

Ambiente (compresi i cambiamenti climatici). La salvaguardia dell'ambiente riveste un'importanza fondamentale per la qualità della vita e per le condizioni di vita stesse delle generazioni attuali e future. L'obiettivo di individuare e risolvere i problemi in questo campo — siano essi imputabili all'uomo o alla natura — è particolarmente ambizioso, e probabilmente anche imprescindibile. È un compito strettamente legato a problemi che interessano le politiche e i settori di ricerca più svariati: politica economica, energetica, sanitaria e agricola, senza dimenticare i compiti di monitoraggio e, tenuto conto delle implicazioni globali, gli accordi internazionali. Mentre la ricerca ambientale si prefigge maggiormente di identificare — o di riuscire a individuare — i vari problemi e le loro diverse cause, la ricerca delle soluzioni interviene maggiormente in altri ambiti specifici, in particolare in quello energetico, e di questo si dovrebbe tener conto mediante una certa flessibilità di bilancio.

4.2.7

Trasporti (inclusi quelli aerei). I sistemi di trasporto europei costituiscono un fattore essenziale del benessere economico e sociale e della coesione in Europa. Il sottoprogramma Trasporti persegue l'obiettivo di sviluppare sistemi di trasporto e mezzi di trasporto integrati, rispettosi dell'ambiente, intelligenti e sicuri in tutta Europa. Esso implica di conseguenza obiettivi di sviluppo tecnici e logistici concreti che interessano i diversi vettori e sistemi di trasporto. La progettazione/il perfezionamento di modi di trasporto con emissioni e consumi energetici ridotti (aerei, automobili, ecc.) è un compito tecnico-scientifico legato ai sottoprogrammi «Energia» e «Ambiente» nel quale si potrebbero coinvolgere anche le PMI. Uno strumento essenziale a tal fine è costituito dalle apposite piattaforme tecnologiche (ACARE per l'aeronautica e i trasporti aerei, ERRAC per il trasporto ferroviario, Ertrac per il trasporto su strada, Waterborne per la navigazione, la piattaforma idrogeno e le celle a combustibile). L'obiettivo di questo sottoprogramma è molto importante, e merita quindi di essere appoggiato in considerazione sia della rilevanza, anche per i nuovi Stati membri, di una rete di trasporti europea efficiente, sia dell'intensità sempre crescente del traffico complessivo (senza dimenticare l'esigenza, molto attuale, di evitare la congestione del traffico), nonché dell'importanza del sottoprogramma per la competitività europea (e il suo impatto sull'ambiente).

4.2.8   Scienze socioeconomiche e scienze umane

4.2.8.1

Il Comitato ritiene che l'obiettivo di questo programma dovrebbe essere quello di contribuire ad una piena comprensione delle sfide socioeconomiche, giuridiche e culturali complesse e interdipendenti che l'Europa deve affrontare, compresa la questione delle radici storiche e degli elementi comuni dell'Europa, delle sue frontiere e dei paesi confinanti. Un compito particolarmente importante per la cultura e per la formazione di un'identità della Comunità — che riguarda anche i rapporti fra Stati membri e fra cittadini europei — consisterebbe nel giungere ad una descrizione e valutazione comune della storia europea identica per tutti gli Stati membri, nell'utilizzarla come base per l'insegnamento della storia negli Stati membri, nonché nell'incoraggiare le iniziative già intraprese in tal senso.

4.2.8.2

Questo tema riguarda però anche aspetti quali la politica economica, finanziaria e fiscale, la politica in campo scientifico, la crescita, l'occupazione e la competitività, la coesione sociale e la sostenibilità, la qualità della vita, la formazione, i problemi culturali e giuridici, nonché l'interdipendenza mondiale. Esso comprende anche taluni problemi specifici della società moderna come gli sviluppi demografici (fatti, conseguenze, misure), le migrazioni, l'emarginazione sociale, il divario culturale e lo sviluppo di una società della conoscenza. Per rafforzare e mettere in risalto la coerenza di questo sottoprogramma «Scienze socioeconomiche e scienze umane» il Comitato raccomanda anche di inserirvi quella parte del programma «Scienza e società» (previsto nel programma specifico «Capacità») che serve non già alla comunicazione scientifica e alla migliore comprensione fra scienza e società (cfr. anche il punto 4.5.3) bensì allo studio dei rapporti fra scienza e società. Nell'insieme il Comitato attribuisce grande importanza al sottoprogramma «Scienze socioeconomiche e scienze umane», tanto più che ha anche un ruolo decisivo di orientamento per i responsabili politici. Ritiene che andrebbe completato aggiungendovi alcuni dei temi summenzionati e che quindi il bilancio ad esso destinato dovrebbe essere aumentato proporzionalmente.

4.2.9   Sicurezza e spazio

Il Comitato giudica che questi due temi siano importanti, e quindi meritino di essere sostenuti.

4.2.9.1

Gli attacchi terroristici degli ultimi anni hanno sensibilizzato ancor più i cittadini del mondo occidentale sulla necessità di assicurare una sufficiente sicurezza, che richiede un approccio di tipo giuridico, sociale, culturale, ma anche tecnico-scientifico. Il tema della sicurezza e della ricerca in materia non si limita unicamente ad una politica estera e di sicurezza comune, bensì riguarda anche settori come i trasporti, la salute (ad esempio il programma di sicurezza sanitaria dell'UE), la protezione civile (ad esempio i disastri naturali e gli incidenti industriali), l'energia e l'ambiente.

4.2.9.2

Finora i cittadini non sono stati sempre del tutto consapevoli dei prodigiosi progressi nel settore della ricerca e della tecnologia spaziale. Tali progressi sono importanti non solo sul piano geostrategico ma anche per comprendere l'universo: l'osservazione della volta celeste e le informazioni che ne sono derivate, ad esempio riguardo all'orbita dei pianeti, sono state decisive per le scienze naturali moderne. Inoltre, la ricerca e la tecnologia spaziale aprono la strada allo sviluppo di tecniche innovatrici. Il Comitato ritiene che sul programma previsto in materia di ricerca spaziale sia indispensabile una cooperazione equilibrata con le organizzazioni europee esistenti, come l'ESA e l'ESO.

4.3

Idee. Nel promuovere la ricerca in questo campo la Commissione si avventura su un terreno sconosciuto ma fertile, come il Comitato ha sottolineato più volte (15). Sostenendo proposte di ricerca di particolare levatura nella competizione su scala europea — e rinunciando alla condizione sinora usuale della cooperazione transfrontaliera — si consentono livelli di eccellenza visibili e al tempo stesso capaci di attirare scienziati di chiara fama a livello europeo e internazionale: è in questo modo che si crea un terreno particolarmente propizio alle innovazioni. Al riguardo il Comitato ribadisce che per superare la mediocrità occorre anche saper correre il rischio di un insuccesso. La difficoltà di questo programma risiede, oltre che nella necessità di una dotazione adeguata, anzitutto nella procedura di selezione e nella gestione. Il Comitato ritiene pertanto giustificato che questo compito impegnativo venga affidato a un organo autonomo composto di scienziati nominati ad personam, che godano di grande prestigio e si siano distinti per i loro successi: il nuovo Consiglio europeo della ricerca (CER/ERC).

4.4

Persone. Il Comitato ha ribadito più volte (16) che la chiave per una R&S europea di successo e competitiva sta, oltre che nelle apparecchiature di punta e nel finanziamento, nella presenza di un numero sufficiente di scienziati altamente qualificati e creativi. Occorre quindi suscitare l'interesse per la scienza e la tecnica sin dall'infanzia e dall'adolescenza, in modo che un numero sufficiente di giovani particolarmente dotati da questo punto di vista inizi, e porti a termine, gli studi difficili e impegnativi in questi campi.

4.4.1

La funzione chiave delle università quali istituzioni di ricerca e formazione e la situazione insoddisfacente che le caratterizza in Europa erano già state sottolineate dal Comitato nel parere in merito al Settimo programma quadro (17). Si deve anche garantire che la tesi di dottorato necessaria per intraprendere la carriera di ricercatore possa essere redatta in condizioni tecniche e personali adeguate (18). Dopo aver conseguito un'eccellente formazione queste nuove leve hanno poi anche bisogno di maturare un'esperienza a livello internazionale, di operare in un contesto di ricerca attraente — disponendo di un margine di manovra sufficiente -, e anche di beneficiare di contratti e di prospettive di carriera competitivi a livello internazionale. (In merito alla cosiddetta «Carta europea dei ricercatori» il Comitato ha già espresso il proprio parere in parte favorevole e in parte critico (19)).

4.4.2

Fermo restando che nei campi della scienza e della ricerca la mobilità dei ricercatori è indispensabile a livello internazionale, soprattutto fra i paesi più efficienti sotto questo profilo, occorre tuttavia evitare che ciò provochi una fuga dei cervelli a senso unico, e quindi prevedere anche remunerazioni interessanti, in modo da poter attirare in Europa anche scienziati americani di vaglia, il che è attualmente ben difficile. Il Comitato appoggia quindi quest'obiettivo, più volte ribadito dalla Commissione, di predisporre le condizioni generali e gli strumenti necessari e di far sì che gli Stati membri attuino gli strumenti proposti nel programma «Persone» e in parte già disponibili. Dato che per lo spazio europeo della ricerca è inoltre particolarmente importante creare condizioni di mobilità interessanti e rimuovere gli ostacoli, il Comitato si compiace che la Commissione persegua espressamente quest'obiettivo.

4.5

Capacità. Questo programma costituisce un buon esempio dei compiti «sussidiari» della Comunità.

4.5.1

Ciò vale in particolare per l'obiettivo di sviluppare/installare, utilizzare e ottimizzare a livello comunitario quelle infrastrutture di ricerca (grandi apparecchiature, strumenti scientifici, computer, ecc.) il cui costo e utilità superano le capacità di un singolo Stato membro. Al riguardo il Comitato si compiace che, in linea con le sue precedenti raccomandazioni, per la presentazione di progetti in materia, si privilegi un approccio dal basso verso l'alto (bottom-up).

4.5.2

Sono però molto importanti, soprattutto per i nuovi Stati membri e per le PMI, anche gli altri compiti previsti nel quadro del programma specifico «Capacità», ad esempio la «Ricerca a favore delle PMI» e la «Ricerca a favore di associazioni di PMI», nonché le «Regioni della conoscenza» e «Valorizzazione e sviluppo del potenziale di ricerca delle regioni incluse nell'obiettivo di convergenza e nelle regioni più periferiche dell'UE».

4.5.3

Il sottoprogramma «Scienza e società» è destinato a stimolare l'integrazione armoniosa nel tessuto sociale europeo degli sforzi in campo scientifico e tecnologico — e della politica di ricerca in materia. Ciò implica la capacità di creare, utilizzare e diffondere conoscenza e di produrre innovazioni. Questo sottoprogramma mira pertanto, da un lato, a dare ai cittadini europei un'immagine della ricerca, dei ricercatori e dei risultati della ricerca, obiettivo che il Comitato approva ritenendo che la diffusione del sapere sia un'importante missione culturale che stimola l'innovazione. D'altro canto occorre anche analizzare per quale motivo una parte dei cittadini sia scettica nei confronti della scienza (o di alcuni suoi aspetti), dei suoi metodi e delle sue potenziali ricadute. Il Comitato ritiene che questi studi di tipo essenzialmente sociologico dovrebbero rientrare nel programma specifico «Cooperazione», e più precisamente nel sottoprogramma «Scienze socioeconomiche e scienze umane», ed essere così affrontati nel contesto più ampio della cooperazione europea.

4.6   Programma Euratom

A questo riguardo il Comitato rimanda anzitutto alle osservazioni particolareggiate che ha formulato nel parere sul Settimo programma quadro di R&S e sul Programma Euratom, nonché ai commenti espressi in merito al sottoprogramma specifico «Energia».

4.6.1

Riguardo alla ricerca sulla fusione  (20) occorre ora (i) preparare e realizzare la costruzione di ITER, (ii) compiere tutti i preparativi finalizzati al suo utilizzo — compresi la formazione e l'addestramento del personale scientifico, il coinvolgimento e la mobilitazione del potenziale dei cosiddetti laboratori associati degli Stati membri e una divisione internazionale del lavoro -, (iii) promuovere gli sviluppi tecnologici (in particolare per i materiali e il ciclo dei combustibili) ai fini di DEMO e (iv) studiare e ottimizzare diversi sistemi di confinamento (magnetico). ITER e i successivi sviluppi devono essere basati sulle strutture di ricerca degli Stati membri e da esse sostenuti. Il Comitato appoggia pienamente le proposte della Commissione ritenendole conformi a questi obiettivi e agli impegni assunti a livello internazionale.

4.6.2

Nel settore della fissione nucleare  (21) occorre ora (i) studiare più a fondo e accrescere ulteriormente la sicurezza delle centrali nucleari installate (compito che spetta prevalentemente ai costruttori e ai gestori degli impianti) e (ii) sviluppare nuovi modelli di reattori perfezionati sotto il profilo della sicurezza, dell'efficienza energetica e delle possibilità di gestione/smaltimento delle scorie radioattive. Ciò comprende anche attività di ricerca per la trasformazione dei combustibili esauriti (trasmutazione, riciclo), e inoltre (iii) il problema dello smaltimento finale e della sua accettabilità a livello politico, (iv) il sostegno alle iniziative volte ad evitare la proliferazione delle armi nucleari, nonché (v) l'acquisizione di ulteriori informazioni circa gli effetti biologici di (basse) dosi radioattive (22) e le relative tecniche di misurazione (in particolare la dosimetria per le persone). Sarà importante provvedere alla formazione delle nuove leve, ossia di un numero sufficiente di specialisti per poter assolvere tutti questi compiti in avvenire. Il Comitato esprime preoccupazione per la mancanza di nuove leve e per la perdita di competenze in alcuni Stati membri e invita a riflettere se questi problemi vitali non meritino un'attenzione maggiore in considerazione del prevedibile maggiore utilizzo globale dell'energia nucleare a lungo termine.

4.7   Centro comune di ricerca (CCR)

4.7.1

A giusto titolo il CCR è impegnato nelle attività riguardanti sia il Settimo programma di ricerca e sviluppo (2007-2013) sia il Settimo Programma quadro dell'Euratom (2007-2011). Appunto perché in queste sue attività il CCR fa capo direttamente alla Commissione, e perché ciò costituisce il suo punto di forza per la consulenza politica e la flessibilità negli interventi, occorre garantire che esso ottemperi agli standard elevati e trasparenti richiesti a tutti gli istituti di ricerca degli Stati membri in materia di «valutazione fra pari» (peer-review), concorrenza, procedure di nomina/politica del personale e monitoraggio e che sia ben integrato nella comunità scientifica internazionale. Il Comitato giudica che tale integrazione sia importante anche per le scienze sociali, economiche e umane cui si è accennato più sopra.

4.7.2

Tra i compiti assegnati alla Comunità dal Settimo programma quadro di ricerca e sviluppo (2007-2013) rientra il tema generale dello «sviluppo sostenibile», importante per la Comunità stessa (ad es. protezione ambientale, alimentazione, energia, trasporti, prodotti chimici, decontaminazione). Ciò comprende l'elaborazione di dati di riferimento scientifico-tecnologici per diversi ambiti del monitoraggio sull'ambiente e sull'alimentazione, e rappresenta anche un prezioso contributo al lavoro legislativo della Comunità. L'UE ha anche il compito di provvedere alla definizione e diffusione di dati di riferimento riconosciuti a livello internazionale e di promuovere un sistema di misurazione comune europeo. Ciò potrebbe comprendere il coordinamento — sotto il profilo della divisione del lavoro — degli istituti nazionali di metrologia e standardizzazione, con la contemporanea partecipazione ai loro programmi. Ai fini del mercato interno europeo, e — in generale — dell'integrazione europea, si potrebbe quindi riflettere sull'opportunità di istituire un «Ufficio europeo di normalizzazione» con la partecipazione dei laboratori nazionali competenti, di istituti quali il CEN e il Celenec, delle industrie interessate e del CCR.

4.7.3

È giusto che nell'ambito del Settimo programma Euratom (2007-2011) il CCR appoggi il processo decisionale nel settore nucleare, ivi compresa l'attuazione e il monitoraggio delle strategie in atto e la risposta a nuove esigenze. Il Comitato giudica altresì coerente la scelta di concentrare il programma «nucleare» del CCR su smaltimento dei rifiuti radioattivi, sicurezza e monitoraggio (attività collegate e coordinate con quelle degli Stati membri). Tali ambiti suscitano infatti le preoccupazioni dei cittadini e necessitano di soluzioni adeguate. Il Comitato giudica particolarmente importante sviluppare (ulteriormente) procedure che consentano un monitoraggio ancor più attento della non proliferazione delle armi nucleari e delle relative tecnologie.

Bruxelles, 20 aprile 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  COM(2005) 119 def. - 2005/0043(COD) - 2005/0044 (CNS).

(2)  GU C 65 del 17.3.2006.

(3)  GU C 157 del 28.6.2005 - Parere in merito alla Comunicazione della Commissione: La scienza e la tecnologia, chiavi del futuro dell'Europa - Orientamenti per la politica di sostegno alla ricerca dell'Unione, GU C 65 del 17.3.2006.

(4)  Prezzi 2005 non indicizzati; le cifre variano a seconda del sistema d'indicizzazione utilizzato.

(5)  Prezzi 2005.

(6)  Le stime attuali indicano un importo totale pari a circa 49,5 miliardi di euro (cfr. ad esempio la Frankfurter Allgemeine Zeitung n. 11 del 2006, pag. 14).

(7)  Consiglio dell'Unione europea 15915/05, Cadrefin 268, punto 10, del 19.12.2005.

(8)  Comunicato stampa IP/06/201 del 22.2.2006.

(9)  COM(2005) 705 def.

(10)  Cfr. anche capitolo 3 del parere, GU C 65 del 17.3.2006.

(11)  GU C 157 del 28.6.2005.

(12)  GU C 241 del 7.10.2002; GU C 28 del 3.2.2006; GU C 65 del 17.3.2006.

(13)  Cfr. nota precedente.

(14)  Sul programma Euratom cfr. punto 4.6.

(15)  GU C 110 del 30.4.2004.

(16)  GU C 110 del 30.4.2004, I ricercatori nello spazio europeo della ricerca: una professione, molteplici carriere.

(17)  GU C 65 del 17.3.2006, punto 4.12.2.

(18)  Cfr. fra l'altro il punto 5.6 del parere di cui alla nota 16.

(19)  Punto 4.13.2 del parere GU C 65 del 17.3.2006, e punto 5.1.5 del parere GU C 110 del 30.4.2004.

(20)  GU C 302 del 7.12.2004.

(21)  GU C 133 del 6.6.2003; GU C 110 del 30.4.2004.

(22)  Cfr. per es. la rivista RDT info n. 47 della Commissione europea, gennaio 2006.


8.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 185/17


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce norme comuni per la sicurezza dell'aviazione civile

COM(2005) 429 def. — 2005/0191 (COD)

(2006/C 185/03)

Il Consiglio, in data 16 novembre 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 80, paragrafo 2 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 marzo 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore McDONOGH.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 20 aprile 2006, nel corso della 426a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 134 voti favorevoli e 2 voti contrari.

1.   Raccomandazioni

1.1

Gli Stati membri dovrebbero avere la facoltà, previa valutazione dei rischi, di applicare misure più severe di quelle stabilite dal regolamento, purché finanziate dal bilancio nazionale.

1.2

Ciascuno Stato membro dovrebbe designare un'unica autorità con il compito di coordinare e controllare l'attuazione delle norme di sicurezza.

1.3

Ciascuno Stato membro dovrebbe elaborare un programma nazionale per la sicurezza dell'aviazione civile.

1.4

Per sorvegliare l'applicazione della nuova normativa da parte degli Stati membri, nonché per individuare i punti deboli della sicurezza aerea, la Commissione dovrebbe effettuare delle ispezioni, anche senza preavviso.

1.5

Affinché i passeggeri e i bagagli provenienti da un paese terzo che cambiano aeromobile nel corso del viaggio possano essere dispensati dai controlli all'arrivo (sistema noto come one-stop security) e per consentire ai passeggeri che arrivano su un tale volo di mescolarsi a passeggeri già controllati alla partenza, è opportuno incoraggiare accordi e forme di armonizzazione tra la Comunità e i paesi terzi che riconoscano che le norme di sicurezza da loro applicate sono equivalenti alle norme della Comunità.

1.6

Il Comitato accoglie con favore l'iniziativa della Commissione e appoggia pienamente i principi di fondo della proposta.

1.7

Apprezza inoltre l'introduzione di norme comuni per quanto riguarda la sicurezza degli aeroporti. È importante standardizzare la grande varietà di procedure che si riscontra in Europa.

1.8

Per quanto riguarda la parte 1, il punto 1.2, paragrafo 5, e la parte 11 dell'allegato, alla luce della libertà di movimento dei lavoratori all'interno della Comunità e della disponibilità di lavoratori provenienti da paesi terzi, la Commissione può offrire assistenza alle autorità, agli aeroporti, alle linee aeree nazionali, ecc. nella convalida dei dati personali dei potenziali addetti, onde soddisfare il requisito del controllo dei precedenti personali.

1.9

L'obiettivo delineato all'articolo 1, paragrafo 1, della proposta di regolamento andrebbe modificato per evidenziare che le misure di sicurezza in questione sono intese a proteggere l'aviazione civile contro gli atti di interferenza illecita che ne compromettono la sicurezza. Le disposizioni non interessano invece altri tipi di interferenza illecita, come ad esempio il furto e il contrabbando.

1.10

La Commissione europea dovrebbe elaborare ed attuare una politica globale per il finanziamento delle misure di sicurezza aerea, le quali rientrano nell'obbligo degli Stati membri di proteggere i rispettivi cittadini dalla minaccia del terrorismo.

1.11

Nel regolamento andrebbe previsto un meccanismo per valutare l'impatto sul settore aereo di ogni misura di sicurezza che verrà proposta in futuro. Ciò garantirà che il costo e l'impatto di una data misura non siano sproporzionatamente elevati rispetto alla sua efficienza.

2.   Introduzione

2.1

La proposta legislativa della Commissione ha lo scopo di chiarire il quadro giuridico dell'Unione europea (istituito dal regolamento 2320/2002 attualmente in vigore), fornire una base per un'interpretazione comune degli obblighi internazionali stabiliti dall'Organizzazione internazionale dell'aviazione civile (ICAO), evitare che siano rese pubbliche informazioni sensibili per la sicurezza e porre maggiormente l'accento sulla definizione di obblighi in materia di sicurezza dell'aviazione civile attraverso l'attuazione del regolamento, vale a dire tramite il ricorso alla decisione 1999/468/CE sulle procedure di comitato, la quale istituisce un processo decisionale di tipo legislativo che coinvolge i rappresentanti degli Stati membri dell'UE e la Commissione europea.

2.2

La proposta mira a sostituire il regolamento in vigore e migliorare la normativa poggiando su quattro principi: semplificazione, armonizzazione, chiarezza e innalzamento dei livelli di sicurezza.

3.   Osservazioni generali

3.1

Scopo della proposta in esame è chiarire, semplificare e armonizzare ulteriormente le disposizioni giuridiche per rafforzare la sicurezza globale dell'aviazione civile.

3.2

L'esperienza acquisita in questi anni ha dimostrato che il regolamento in vigore è troppo dettagliato e deve essere semplificato.

3.3

Pur riconoscendo il principio di sussidiarietà, la Commissione ritiene auspicabile una maggiore armonizzazione rispetto a quella che caratterizza oggi i provvedimenti e le procedure in materia di sicurezza.

3.4

Questi hanno comportato la creazione di 25 sistemi nazionali e, di conseguenza, una potenziale distorsione della concorrenza, impedendo all'industria del settore di beneficiare delle libertà del mercato unico.

3.5

Una maggiore armonizzazione è inoltre un elemento indissociabile del concetto di sistema di sicurezza unico (one stop security), in base al quale i passeggeri, i bagagli e le merci in trasferimento o transito non devono essere ricontrollati, perché sussiste la ragionevole certezza che nell'aeroporto di partenza originario sono state osservate le misure di sicurezza di base. Anche questo è un elemento che va a vantaggio di operatori che operano in un mercato fortemente competitivo nonché dei passeggeri.

3.6

La Commissione ritiene che, per migliorare la sicurezza in generale sia fondamentale poter (re)agire tempestivamente di fronte a rischi che evolvono continuamente nel tempo.

3.7

A parere della Commissione non è auspicabile che le misure e procedure di sicurezza siano rese pubbliche nel dettaglio. Questo aspetto può essere risolto inserendo disposizioni operative più circostanziate nelle misure di applicazione. Il Comitato desidera sottolineare quanto sia importante che queste nuove norme comuni tengano conto delle specifiche esigenze delle persone con mobilità ridotta, in linea con le raccomandazioni formulate recentemente dal Comitato in un parere su questo tema. I controlli e le altre misure legate alla sicurezza, seppur legittimi e necessari, possono creare ulteriori barriere e limitare i diritti di queste persone: ciò sarebbe in contrasto con gli sforzi della Commissione per garantire che anche nel trasporto aereo i disabili e le persone con mobilità ridotta godano di pari opportunità rispetto al resto della popolazione.

3.8

La proposta in esame è intesa a sostituire il regolamento (CE) n. 2320/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce norme comuni per la sicurezza dell'aviazione civile.

3.9

Tale regolamento (CE) n. 2320/2002 verrebbe dunque rimpiazzato da uno strumento semplificato e più chiaro contenente una serie di principi generali.

3.10

L'unica competenza aggiuntiva che viene attribuita alla Commissione dal nuovo regolamento riguarda le misure per la sicurezza in volo, cioè aspetti quali l'accesso alla cabina di pilotaggio, i passeggeri potenzialmente pericolosi e gli agenti di sicurezza a bordo (i cosiddetti sky marshal). Il Comitato ritiene che la presenza degli sky marshal vada raccomandata soltanto in circostanze eccezionali.

3.11

L'obbligo di disporre di programmi di sicurezza rispecchia le migliori prassi in vigore nel settore dell'aviazione e, sotto questo profilo, non rappresenta un onere significativo per l'industria o le amministrazioni. I programmi dei vettori comunitari dovrebbero essere approvati dalle autorità dei rispettivi Stati ed essere oggetto di mutuo riconoscimento da parte degli altri Stati membri e delle altre autorità preposte.

3.12

L'articolo 13 prevede che ciascuno Stato membro istituisca delle attività di controllo della conformità mediante un programma nazionale per il controllo della qualità.

3.13

L'articolo 14 consente alla Commissione, tra le altre cose, di effettuare ispezioni presso gli aeroporti comunitari.

3.14

L'articolo 17 sostituisce l'attuale articolo 10 sulla sicurezza dei voli provenienti da paesi terzi. Esso prevede la possibilità per la Commissione di concludere accordi con paesi terzi per evitare di ricontrollare e/o sottoporre ad altre misure di sicurezza passeggeri, bagagli e carichi in transito negli aeroporti comunitari.

3.15

Questo obbiettivo va conseguito istituendo norme e disposizioni comuni per la sicurezza aerea, nonché meccanismi atti a controllarne l'applicazione.

3.16

Il contenuto del regolamento (CE) n. 2320/2002 va rivisto alla luce dell'esperienza maturata nel frattempo ed è opportuno sostituirlo con un nuovo atto legislativo finalizzato a semplificare, armonizzare e chiarire le norme vigenti, nonché a migliorare i livelli di sicurezza.

3.17

Data la necessità di disporre di una maggiore flessibilità nell'adottare misure e procedure di sicurezza per tenere conto dell'evolvere della valutazione dei rischi e consentire l'introduzione di nuove tecnologie, la nuova normativa dovrebbe limitarsi a definire i principi fondamentali delle misure da adottare per proteggere l'aviazione civile dagli atti di interferenza illecita.

3.18

Il nuovo regolamento dovrebbe riguardare le misure di sicurezza che si applicano a bordo degli aeromobili appartenenti a vettori aerei della Comunità o durante il volo di tali aeromobili.

4.   Osservazioni specifiche

Nell'attuazione della normativa sarà opportuno considerare quanto segue:

4.1

È importante definire standard comuni per quanto riguarda gli articoli vietati a bordo, onde evitare confusione e contrasti nei controlli di sicurezza.

4.2

Nell'allegato viene utilizzata l'espressione «controlli a campione continui» senza darne una definizione. Invece tale definizione è essenziale per garantire che questo principio sia interpretato in maniera uniforme in tutta Europa ogniqualvolta viene applicato ai controlli di sicurezza.

4.3

Misure più severe andrebbero introdotte solo in risposta a specifiche minacce terroristiche individuate dalle autorità degli Stati membri tramite valutazione dei rischi. L'introduzione di misure più severe va infatti contro l'obiettivo dell'armonizzazione delle misure di sicurezza aerea nell'Unione e della creazione di una zona di one-stop security. D'ora in avanti qualsiasi ulteriore misura di sicurezza deterrente o preventiva richiesta da uno Stato membro deve essere oggetto di una consultazione completa con l'ente aeroportuale e lo Stato membro interessato dovrà farsi carico dei costi legati a queste misure di sicurezza supplementari, i quali rientrano nell'obbligo di ciascun governo di proteggere i propri cittadini dagli atti terroristici.

4.4

L'uso di posate metalliche, come ad esempio coltelli e forchette, è vietato da alcune compagnie aeree ma consentito da altre: bisognerebbe promuovere la standardizzazione delle regole in materia.

4.5

Forbici, lime per unghie, ecc. sono proibite a bordo, mentre le bottiglie in vetro — che sono armi letali, soprattutto se rotte — non lo sono. Si propone pertanto che a bordo dell'aeromobile siano consentite soltanto bottiglie in plastica, sia che provengano dai negozi duty free che da altra fonte. Le bottiglie in vetro dovranno essere trasportate nella stiva dell'aeromobile insieme ai bagagli. Ciò dovrà essere oggetto di un accordo internazionale che preceda la fase di attuazione.

4.6

È importante che l'attrezzatura di salvataggio come l'estintore e l'ascia antincendio sia conservata in un vano riservato all'equipaggio, fuori dalla portata dei passeggeri.

4.7

Per proteggersi contro eventuali deflagrazioni di ordigni esplosivi le compagnie aeree dovrebbero ove possibile prevedere contenitori blindati per i bagagli, come quelli utilizzati dalla compagnia aerea El Al.

4.8

Le autorità nazionali dovrebbero controllare severamente, nell'interesse della sicurezza, la quantità di bevande alcoliche servita ai passeggeri che può causare incidenti.

4.9

La cabina di pilotaggio è protetta da una porta blindata, ma un eventuale dirottatore potrebbe accedervi dalla toilette, spesso situata accanto alla cabina e separata da questa da una sottile parete: anche quest'ultima dovrebbe quindi essere blindata.

4.10

All'articolo 11 vanno inseriti anche gli agenti delle compagnie aeree e della manutenzione, che spesso provvedono alla sicurezza.

4.11

Per quanto riguarda la parte 11 dell'allegato, tutti gli istruttori in materia di sicurezza dovrebbero venire addestrati utilizzando strutture concordate, ad esempio l'EASTI (European Air Security Training Institute, istituto di addestramento alla sicurezza aerea) per consentire una presentazione standard dei moduli di addestramento alla sicurezza dell'ICAO. Gli Stati membri dovrebbero avere l'obbligo di istituire programmi nazionali di addestramento con istruttori formati dall'EASTI.

4.12

Quanto alla parte 4 dell'allegato, punto 4.3, (visto inter alia l'aumento del numero di rifugiati) bisognerebbe chiedere alle autorità nazionali di fissare un periodo minimo di notifica per consentire alle compagnie aeree/all'aeroporto/al personale di bordo di prepararsi a trasportare passeggeri potenzialmente pericolosi mediante un normale volo di linea.

Bruxelles, 20 aprile 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


8.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 185/20


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per l'azione comunitaria nel campo della politica per l'ambiente marino (direttiva sulla strategia per l'ambiente marino)

COM(2005) 505 def. — 2005/0211 (COD)

(2006/C 185/04)

Il Consiglio, in data 29 novembre 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 175 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 marzo 2006, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SÁNCHEZ MIGUEL.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 20 aprile 2006, nel corso della 426a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 137 voti favorevoli e 3 astensioni:

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato apprezza la proposta di direttiva che forma parte della strategia tematica per la protezione e la conservazione dell'ambiente marino, ritenendo che possa integrare e coordinare alcune delle disposizioni giuridiche già esistenti, in particolare per quanto riguarda la metodologia d'intervento nell'ambiente, analoga a quella stabilita dalla direttiva quadro in materia di acque.

1.2

Ciononostante, il Comitato, mantenendo una posizione critica, ritiene che tale proposta di direttiva sia necessaria, ma non sufficiente. Lo stato dei nostri mari ed oceani è talmente degradato da richiedere azioni più coercitive, al fine di mettere in pratica e controllare il rispetto delle misure già in vigore. La proposta inoltre prevede solo un intervento parziale sullo stato dell'ambiente. Per tale motivo, il CESE considera che una direttiva quadro sarebbe più adeguata al compito di integrare e sviluppare successivamente in estensione e profondità gli aspetti non inclusi nella direttiva all'esame.

1.3

Il fatto che non si creino nuovi strumenti legislativi o di gestione, e si utilizzino invece quelli già esistenti, evita agli Stati membri nuovi costi di finanziamento e soprattutto una maggiore burocrazia e consente di integrare i sistemi previsti in materia di partecipazione e di consultazione dei cittadini e delle parti interessate, sistemi importantissimi per un maggiore coinvolgimento della società civile nei temi ambientali.

1.4

Il CESE desidera formulare alcune raccomandazioni, che giudica necessarie per migliorare il contenuto della direttiva proposta, affinché la Commissione possa prenderle in considerazione come contributo da parte della società civile interessata.

1.4.1

Innanzi tutto, è opportuno chiarire e potenziare la funzione di coordinamento e controllo della Commissione rispetto alle autorità regionali che devono valutare e programmare gli obiettivi e le misure applicabili all'ambiente marino di cui sono responsabili, affinché in tutte le regioni costiere le azioni siano caratterizzate da uniformità ed equilibrio. Non bisogna infatti dimenticare il carattere transfrontaliero dei nostri mari ed oceani e inoltre un coordinamento centrale permetterebbe anche di agire su paesi terzi nei confronti dei quali l'azione comunitaria è possibile, soprattutto quelli cui ci legano accordi internazionali.

1.4.2

Per quanto concerne le definizioni elaborate in base a descrittori qualitativi generici, in particolare la definizione del buono stato ecologico, il Comitato giudica necessario includere anche criteri descrittivi quantitativi, come si è fatto per le acque continentali nella direttiva quadro sulle acque, dato che il fattore quantità è determinante per il buono stato delle acque marine. Come segnalato al punto 5.5, gli obiettivi ambientali dovrebbero essere, come minimo, quelli contenuti nella Comunicazione, in quanto definirli così genericamente come si fa nella proposta di direttiva può incidere negativamente sulla loro efficacia.

1.4.3

L'individuazione di zone speciali, così definite in quanto non vi è possibile conseguire gli obiettivi ambientali, può generare abusi all'atto della sua applicazione, a causa della redazione così ambigua. Il CESE propone dunque di definire con la massima chiarezza e rigore le ragioni della specificità di tali zone, nonché le procedure per l'approvazione da parte della Commissione del loro status.

1.5

Il Comitato desidera infine sottolineare due aspetti che rivestono grande importanza al fine di rendere efficace l'applicazione degli obiettivi proposti. Il primo è l'attuazione immediata di tutte le misure che sono state adottate in precedenza e che hanno un'incidenza sull'ambiente marino, ad esempio quelle previste dai pacchetti ERIKA I e II e III, e in particolare quelle concernenti i porti di accoglienza, la rete europea di monitoraggio del traffico marittimo, la creazione di un sistema di revisione da parte degli Stati per quanto concerne l'immatricolazione delle navi, la ricerca e l'inventario dei rifiuti (tra cui bombe, contenitori di prodotti radioattivi), ecc.

1.5.1

Il secondo aspetto da ricordare ed applicare è quello relativo alla ricerca sull'ambiente marino, in modo da consentire, attraverso una maggiore e migliore conoscenza, di chiarire gli obiettivi e di stabilire i programmi di misure necessarie per ripristinare il buono stato ecologico. A tale proposito, è necessaria una maggiore partecipazione ai programmi quadro della Comunità in materia di ricerca.

2.   Motivazione

2.1

La Commissione ha presentato nel 2002 (1) una comunicazione che è alla base della proposta di direttiva in esame e in cui si definiva la strategia per la protezione e la conservazione dell'ambiente marino dal punto di vista ambientale, al fine di promuovere l'uso sostenibile dei mari e la conservazione degli ecosistemi marini. Il sesto programma d'azione per l'ambiente faceva già riferimento alla necessità di stabilire i mezzi per la protezione e la conservazione dell'ambiente marino e metteva in evidenza il fatto che l'obiettivo di un uso sostenibile dei mari e degli oceani europei non può essere raggiunto con interventi singoli. Un'azione rapida è diventata quanto mai urgente, dato che molti dei pericoli previsti nel sesto programma sono divenuti realtà e si presentano con una gravità superiore alle peggiori aspettative (2).

2.2

La strategia proposta nella comunicazione citata partiva dalla situazione dell'ambiente marino europeo, fortemente degradato, che subiva gli effetti dei cambiamenti climatici, dell'inquinamento con sostanze pericolose, della pesca commerciale, dell'eutrofizzazione e di un nuovo pericolo, vale a dire l'introduzione di specie esogene. Aggiungendo a questi problemi, gli ostacoli di carattere istituzionale, come la competenza esclusiva degli Stati membri sulle loro acque territoriali, l'esistenza di convenzioni internazionali che hanno un'incidenza anche sui paesi terzi, e numerosi accordi a livello mondiale (3) di difficile applicazione e controllo, è chiara la necessità di dare un contenuto a questa strategia nonostante tutti gli ostacoli evidenziati.

2.3

Contemporaneamente alla proposta di direttiva in esame è stata presentata un'altra comunicazione (4) su cui il CESE non è stato consultato e in cui si annuncia la prossima presentazione di un Libro verde sulla strategia per l'ambiente marino. Si ritiene che la Commissione dovrebbe tener presente il contenuto e le osservazioni dei pareri del Comitato e a tal fine il metodo più indicato sarebbe una nuova consultazione in cui verrebbero integrate le nostre conoscenze e i nostri pareri sulle politiche che hanno un impatto sull'ambiente marino (pesca, trasporti, idrocarburi, ecc.). Il Comitato come rappresentante della società civile è interessato a esprimersi.

3.   Sintesi delle proposte

3.1

La proposta di direttiva all'esame prevede uno strumento destinato ad applicare la strategia per la conservazione e la protezione dell'ambiente marino. Essa tiene inoltre conto delle convenzioni internazionali, in particolare quelle sottoscritte dalla Commissione e dagli Stati membri nel quadro delle Nazioni Unite (5), e delle convenzioni regionali (6), contribuendo all'osservanza degli obblighi in esse contenuti.

3.2

La proposta di direttiva è divisa in cinque capi. Il primo stabilisce le disposizioni generali, in cui vengono definiti l'oggetto (articolo 1), il campo di applicazione (articolo 2), le regioni e sottoregioni marine (articolo 3), le strategie per la protezione dell'ambiente marino (articolo 4), le norme relative al coordinamento e alla cooperazione tra gli Stati membri (articolo 5) e le autorità competenti (articolo 6).

3.3

Di questo primo capo è opportuno mettere in risalto il disposto dell'articolo 4, relativo alla strategia che gli Stati membri devono elaborare per proteggere l'ambiente marino di ciascuna regione e che deve avere un contenuto minimo riguardante:

la valutazione iniziale dello stato ecologico delle acque e dell'impatto ambientale esercitato dalle attività umane,

la definizione del «buono stato ecologico» delle acque,

la definizione di una serie di obiettivi ambientali,

l'elaborazione e l'attuazione di un programma per la valutazione continua e l'aggiornamento degli obiettivi.

La proposta prevede anche l'elaborazione, entro il 2016, di un programma di misure finalizzate al conseguimento di un buono stato ecologico dei mari e degli oceani.

3.4

Ai capi II e III vengono presentate le strategie per la protezione dell'ambiente marino. Il capo II definisce le disposizioni per la preparazione di dette strategie mentre il capo III tratta i programmi di misure.

3.4.1

Le disposizioni relative alla preparazione delle strategie partono dall'obbligo, da parte degli Stati membri, di effettuare una valutazione iniziale delle loro acque marine (articolo 7) comprendente diversi elementi, tra cui l'analisi economica e sociale del loro utilizzo e il costo del degrado marino. La proposta definisce il «buono stato ecologico» (articolo 8 e allegato II) e gli obiettivi ambientali (articolo 9 e allegato III). Infine stabilisce le modalità di elaborazione dei programmi di monitoraggio (articolo 10 e allegati II e IV) e quelle di approvazione (articolo 11).

3.4.2

Il capo III illustra i programmi di misure che gli Stati membri devono elaborare per ciascuna delle regioni marine interessate (articolo 12 e allegato V) al fine di ottenere il buono stato ecologico e in funzione della valutazione iniziale. I programmi devono essere comunicati alla Commissione (articolo 14) per essere in seguito approvati (articolo 15). All'articolo 13 figurano misure ad hoc per le zone speciali.

3.5

Il capo IV presenta norme concernenti l'aggiornamento delle strategie per ciascuna regione marina (articolo 16) e prevede relazioni intermedie con cadenza triennale (articolo 17). Un riferimento particolare merita il contenuto dell'articolo 18 in cui vengono stabilite le norme relative alla consultazione e all'informazione al pubblico, conformemente alla direttiva 2003/35/CE. La proposta stabilisce inoltre l'obbligo, da parte della Commissione, di elaborare relazioni di valutazione sull'attuazione della direttiva (articolo 19), il cui contenuto dovrà essere riveduto 15 anni dopo la sua entrata in vigore.

3.6

L'ultimo capo, il quinto, contiene disposizioni tecniche, concernenti in particolare gli allegati alla direttiva (articolo 21) e il comitato che assiste la Commissione in questo compito (articolo 22).

4.   Osservazioni in merito alla proposta

4.1

L'attuale proposta di direttiva va esaminata in relazione alla succitata «Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo — Verso una strategia per la protezione e la conservazione dell'ambiente marino» (per un esame più ampio della comunicazione, cfr. il parere CESE 578/2003). I punti più importanti della comunicazione sono i seguenti:

da un lato, le politiche dei singoli Stati membri non producono gli auspicati effetti di miglioramento dell'ambiente marino, dall'altro, lo stato dei mari comunitari si deteriora sempre di più,

gli Stati non effettuano un efficace monitoraggio dello stato delle acque marine,

le conoscenze scientifiche dell'ambiente marino sono insufficienti e richiedono un maggiore impegno a livello di ricerca,

la definizione di elementi ed obiettivi collegati alla necessità di una strategia per la protezione ed il recupero dell'ambiente marino è soddisfacente e si traduce in 23 possibili azioni.

4.2

Nel suo parere sulla comunicazione, il CESE afferma quanto segue:

a)

la comunicazione è un passo avanti verso l'adozione di misure volte a proteggere e a recuperare l'ambiente marino;

b)

manca tuttavia una metodologia d'intervento chiara ed efficace, analoga a quella prevista dalla direttiva quadro in materia di acque;

c)

tale metodologia, basata sugli ecosistemi, dovrebbe comprendere una definizione di «buono stato delle acque», una suddivisione dell'ambiente marino in zone, una definizione di criteri e meccanismi per il coordinamento tra le autorità, ecc.

4.3

Da questo punto di vista, la proposta di direttiva attualmente all'esame ha in un certo qual modo recepito e integrato alcuni elementi significativi del parere del CESE e ha stabilito una metodologia d'intervento analoga a quella della direttiva quadro in materia di acque, ma con sostanziali differenze quanto al ruolo della Commissione e degli Stati membri e all'articolazione dei suoi diversi elementi. Tuttavia, non sono state sufficientemente esplicate le ragioni e l'utilità di tali differenze, soprattutto poiché sussistono notevoli contraddizioni. Ad esempio:

a)

nella comunicazione si constata l'inefficienza delle politiche dei singoli paesi e del quadro comunitario, questo sistema d'azione viene mantenuto nella proposta di direttiva all'esame;

b)

la comunicazione fornisce una definizione esaustiva di elementi, obiettivi ed azioni, solo in parte corrispondente a quella della proposta di direttiva all'esame.

4.4

Il CESE giudica la proposta di direttiva all'esame:

a)

necessaria, ma non sufficiente per recuperare e proteggere l'ambiente marino dell'Unione europea, che va al di là delle acque marittime che rientrano nella giurisdizione degli Stati membri;

b)

un buon punto di partenza che deve essere modificato in alcuni aspetti significativi;

c)

parziale, rendendo quindi necessari nuovi sviluppi «a posteriori» da integrare in essa affinché diventi, a tutti gli effetti, una direttiva quadro dotata della necessaria estensione e profondità.

4.5

L'applicazione della direttiva spetta quasi totalmente agli Stati membri. La Commissione orienta le azioni, riceve le informazioni da parte degli Stati e approva o respinge le definizioni di stato ecologico, gli obiettivi e gli indicatori ambientali, il piano di supervisione e il programma di misure concernenti le zone speciali, mutatis mutandis.

4.6

La direttiva non crea nuovi strumenti legislativi o di gestione in quanto utilizza quelli già esistenti nel diritto comunitario e negli accordi internazionali sottoscritti dall'Unione europea.

4.7

La direttiva infine precisa la forma in cui, attraverso gli Stati membri, si esercita la partecipazione dei cittadini e delle parti interessate.

5.   Osservazioni specifiche

5.1

L'esperienza derivante dagli interventi e dall'applicazione delle più ambiziose disposizioni europee negli Stati membri (direttiva quadro in materia di acque, prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento), mostra che la Commissione deve svolgere un ruolo attivo non solo nel monitoraggio ma anche nell'opera di coordinamento e accentramento delle attività volte a offrire sostegno agli Stati, nel rispetto nel principio di sussidiarietà. A tal fine, la Commissione dovrebbe organizzare e presiedere un forum delle autorità competenti delle varie regioni e sottoregioni marittime, che conti con la presenza delle parti interessate, degli istituti scientifici che si sono distinti in questo campo e delle autorità responsabili per la politica della pesca e per le sostanze radioattive.

5.2

In questa stessa ottica, la proposta di direttiva, oltre a prevedere i requisiti di informazione e approvazione della proposta di valutazione iniziale, il buono stato ecologico, gli obiettivi ambientali, il programma di monitoraggio e il programma di misure (incluse quelle ad hoc per le zone speciali), dovrebbe definire una procedura d'intervento e fissare un termine per trattare le eventuali obiezioni. Tale procedura, nella quale è opportuno coinvolgere le parti interessate e i cittadini, dovrebbe contenere incentivi adeguati.

5.3

L'Allegato II descrive la valutazione iniziale. Nella tabella «pressioni e impatti» bisognerebbe definire, conformemente alla comunicazione precedente alla proposta di direttiva, le cause legate all'attività umana e metterle in relazione con tali impatti e pressioni e con gli elementi e gli obiettivi della protezione dell'ambiente marino, al fine di stabilire un adeguato collegamento con le azioni e le politiche della strategia.

5.4

La definizione di «buono stato ecologico» e di «stato ecologico delle acque marine» è basata su «descrittori qualitativi generici, criteri e norme». Bisognerebbe includere anche descrittori quantitativi dato che alcune variabili che fanno riferimento sia alla valutazione iniziale sia al buono stato ecologico richiedono descrittori di questo genere. Inoltre, per controllare le variabili incluse nei programmi di monitoraggio è necessario disporre di parametri di riferimento quantitativi (ad esempio la densità del fitoplancton).

5.5

L'articolo 9 e l'allegato III definiscono gli obiettivi ambientali con l'ausilio di criteri troppo generici. Sarebbe opportuno determinare i seguenti elementi ed obiettivi minimi che dovrebbero integrare il contenuto della comunicazione:

deterioramento della biodiversità e distruzione degli habitat,

sostanze pericolose,

eutrofizzazione,

sostanze radioattive (radionuclidi),

inquinamento cronico da idrocarburi,

residui e rifiuti,

trasporti marittimi,

salute e ambiente,

cambiamenti climatici.

5.6

Il programma di misure (articolo 12 e allegato IV) deve includere, come minimo, gli obblighi previsti dalla legislazione europea, in particolare quella relativa alle acque costiere il cui programma d'azione cerca di evitare i danni provocati dalle diverse fonti di inquinamento elencate al punto precedente. Dovrebbero esservi inclusi inoltre gli obblighi derivanti dagli accordi e dalle convenzioni internazionali e le misure «ad hoc» destinate a contrastare il degrado dell'ambiente marino nelle «zone speciali». Questa formulazione avrebbe il pregio di integrare in un unico strumento tutte le misure e le azioni contenute in diverse disposizioni e norme giuridiche, facilitandone in tal modo l'osservanza.

5.6.1

Bisogna tuttavia evitare che l'elaborazione di questi programmi di misure si limiti a tale aspetto in quanto, come già evidenziato, ciò non è bastato ad evitare il degrado dell'ambiente marino e quindi difficilmente basterà a conseguire l'obiettivo del buono stato ecologico delle acque marine. In questo senso, un elemento importante da prendere in considerazione sarebbe la diffusione periodica delle buone pratiche in campo ecotecnologico (interventi di pulizia ecologica, detersivi senza fosfati, zone tampone e restrizioni applicabili nelle zone litoranee) nei paesi costieri.

5.7

La proposta di direttiva consente agli Stati membri di individuare zone speciali in cui gli obiettivi ambientali non possono essere raggiunti per i seguenti motivi:

azione od inazione di un altro Stato membro o di un paese terzo,

cause naturali o forza maggiore,

modifiche o alterazioni delle caratteristiche fisiche indotte da «provvedimenti adottati per ragioni imperative di interesse generale».

5.7.1

Questa formulazione è talmente ambigua da poter consentire abusi nella sua applicazione. È quindi necessario:

1.

definire queste cause con la massima precisione e rigore, attraverso:

l'elaborazione di un elenco delle azioni e delle inazioni da parte di altri Stati che possano incidere sul processo di conseguimento degli obiettivi ambientali,

la precisazione dei fenomeni considerati cause naturali e dei criteri in base ai quali si determina una causa di forza maggiore,

la fissazione dei criteri per la definizione del concetto di «interesse generale»;

2.

stabilire procedure di approvazione di tali eccezioni da parte della Commissione con la partecipazione delle parti interessate e dei cittadini.

5.8

In ordine agli aspetti di coordinamento e cooperazione, occorre tener conto di tutti i paesi terzi che si affacciano sui nostri mari e oceani, e non solo di quelli che sono parti di accordi internazionali, in modo da incoraggiarne la collaborazione con l'obiettivo di conseguire buoni risultati ambientali.

5.9

La proposta di direttiva prevede infine la partecipazione delle parti interessate e dei cittadini attraverso i canali nazionali esistenti. Questi ultimi vengono però messi in discussione in numerosi paesi, talvolta per la loro mancanza di trasparenza, talaltra per il ritardo con cui rispondono alle richieste, in altri casi ancora per l'atteggiamento ambiguo che hanno nei confronti delle organizzazioni delle «parti interessate», ecc. La Commissione dovrebbe pertanto definire una procedura agile ed efficace per convogliare i reclami o le denunce delle parti interessate e dei cittadini in generale, per trattare tali reclami e denunce e per garantire i diritti d'informazione, consultazione e partecipazione di tali soggetti. In questo senso, come già affermato precedentemente, il criterio mutatis mutandis dovrebbe essere eliminato dal sistema di approvazione.

Bruxelles, 20 aprile 2006

La presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo - Verso una strategia per la protezione e la conservazione dell'ambiente marino (COM(2002) 539 def.).

(2)  Per ulteriori informazioni, cfr. il parere GU C 133 del 6.6.2003 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo - Verso una strategia per la protezione e la conservazione dell'ambiente marino (relatrice: Maria Candelas SÁNCHEZ MIGUEL).

(3)  Nelle conclusioni del Vertice di Johannesburg (26 agosto-4 settembre 2002) figurano, ai capitoli I-IV, accordi relativi a mari ed oceani, attività di pesca, inquinamento dei mari e ricerca. Cfr. parere GU C 133 del 6.6.2003.

(4)  COM(2005) 505 def. del 24.10.2005.

(5)  Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (CNUDM), approvata dal Consiglio il 23 marzo 1998 (Decisione 98/392/CE).

(6)  Convenzione sulla protezione dell'ambiente marino della zona del Mar Baltico (Decisione 94/157/CE), Convenzione per la protezione dell'ambiente marino dell'Atlantico nord-orientale (Decisione 98/249/CE), Convenzione per la protezione del Mare Mediterraneo dall'inquinamento (Decisione 77/585/CEE, modificata nel 1995).


8.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 185/24


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La gestione delle trasformazioni industriali nelle regioni transfrontaliere dopo l'allargamento dell'UE

(2006/C 185/05)

La futura presidenza austriaca del Consiglio dell'Unione europea, in data 20 luglio 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'art. 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema: La gestione delle trasformazioni industriali nelle regioni transfrontaliere dopo l'allargamento dell'UE

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 marzo 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore KRZAKLEWSKI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 21 aprile 2006, nel corso della 426a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 69 voti favorevoli, 2 voti contrari e 5 astensioni.

Parte prima — Sintesi delle conclusioni e delle raccomandazioni del Comitato

Il governo austriaco ha chiesto ufficialmente alla commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI) di elaborare un parere esplorativo sul tema Trasformazioni industriali e allargamento dell'UE: prospettive ed effetti nelle regioni frontaliere.

Il Comitato economico e sociale europeo ritiene che, nel corso del semestre di presidenza austriaca, sia importante dare una definizione precisa e distinta di ciò che si intende per «regione» in un contesto transfrontaliero e industriale. Andrebbero considerate a parte le regioni confinanti con paesi extracomunitari e si dovrebbe tener conto dell'eventuale status di paese candidato del paese confinante.

È importante non solo capire come si possano distinguere gli effetti dei cambiamenti intervenuti in queste regioni negli anni '90 da quelli derivanti dall'adesione all'UE, ma anche valutare l'efficacia degli strumenti comunitari impiegati in queste regioni prima e dopo l'adesione e accertare il ritardo con cui le politiche europee sono state applicate rispetto agli altri paesi.

Il Comitato rileva che un fattore molto importante, forse decisivo, che ha influenzato e continua ad influenzare la gestione e l'evoluzione della politica industriale nelle regioni transfrontaliere dell'Europa allargata è la capacità dei gruppi di interesse di accedere alle risorse dei fondi strutturali europei. È quindi assolutamente indispensabile un ampliamento del loro ruolo in queste regioni. La proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un gruppo europeo di cooperazione transfrontaliera (GECT) offre una nuova opportunità in questo ambito. Il Comitato sottolinea in modo particolare la necessità di includere nella composizione del GECT i gruppi di interesse socioeconomici e le altre organizzazioni interessate della società civile, in particolare gli istituti di istruzione. La costituzione di persone giuridiche come i GECT potrebbe incentivare la cooperazione transfrontaliera, dare alle regioni coinvolte un più forte senso di identità e indurle ad armonizzare le rispettive normative.

A giudizio del Comitato lo sviluppo del mercato del lavoro in tali regioni è un fattore che incide sulle trasformazioni industriali e che non va sottovalutato. Attualmente permangono ostacoli temporanei alla mobilità transfrontaliera dei lavoratori nell'UE. Il Comitato invita gli Stati membri dell'UE a prendere seriamente in considerazione la possibilità di abbreviare i periodi transitori. Per tali decisioni occorre coinvolgere e consultare le parti sociali a tutti i livelli. Riguardo agli altri strumenti di politica industriale, il Comitato sottolinea l'importanza della possibile introduzione di una base imponibile comune e consolidata per le persone giuridiche.

Nel presente parere il Comitato sottolinea più volte il ruolo di primo piano che possono avere il dialogo sociale e l'impegno della società civile per la gestione della politica industriale nelle regioni in questione, nell'ambito sia dell'applicazione di politiche industriali dinamiche, sia della ricerca di soluzioni ai problemi che gravano sui rapporti reciproci tra nazionalità, gruppi etnici e culturali diversi.

Parte seconda — Argomenti a sostegno del parere

1.   Introduzione

1.1

Poco prima di assumere la presidenza di turno dell'UE, il governo austriaco ha chiesto ufficialmente alla commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI) di elaborare un parere esplorativo sul tema Trasformazioni industriali e allargamento dell'UE: prospettive ed effetti nelle regioni frontaliere. Per definizione, un parere esplorativo viene formulato prima dell'adozione di una proposta o dell'assunzione di una decisione politica da parte di un organo decisionale europeo.

1.2

In molte regioni dell'Europa centrorientale il passaggio all'economia di mercato e il recepimento delle norme europee sul mercato interno e sulla concorrenza ha messo in moto una nuova dinamica. L'adesione dei nuovi Stati membri dell'Europa centrorientale ha avvicinato le regioni frontaliere tra di loro, in molti casi rinnovando legami commerciali e imprenditoriali preesistenti. Questa nuova dinamica, però, ha anche sollevato alcuni problemi in relazione soprattutto al mercato del lavoro e rivelato le carenze infrastrutturali delle aree frontaliere che cooperano fra di loro.

1.3

Per esaminare più da vicino i cambiamenti industriali in atto nelle regioni transfrontaliere dell'UE allargata e raccogliere i dati necessari all'elaborazione del parere, la CCMI e l'Osservatorio europeo del cambiamento (EMCC) hanno organizzato un seminario, svoltosi il 17-18 ottobre 2005 a Bratislava. A questo seminario, ospitato dalla regione transfrontaliera Centrope, hanno partecipato membri della CCMI, esperti ed esponenti delle parti sociali austriache, slovacche e ungheresi.

2.   Osservazioni generali — Punto della situazione nelle regioni transfrontaliere dell'UE allargata

2.1

Oggi il 33 % circa della popolazione dell'UE abita in regioni frontaliere, la cui superficie copre attualmente più o meno il 40 % della superficie totale europea (1).

2.2

Dalla firma del Trattato CECA, i confini dell'UE hanno costantemente subito dei cambiamenti che sembrano destinati a continuare nel medio periodo. I processi che ne derivano costringono l'UE ad aggiornare sistematicamente la sua politica per le regioni frontaliere.

2.2.1

Le regioni frontaliere dei paesi candidati che confinano con l'UE iniziano a cooperare con le regioni limitrofe più periferiche dell'UE già prima dell'adesione, nel quadro dell'armonizzazione delle normative e dei loro sistemi socioeconomici.

2.2.2

La «cortina di ferro» costituiva un esempio di frontiera sui generis. Oggi gran parte di essa è ormai compresa entro i confini dell'UE a 25. Nel 1989, al momento del crollo del muro di Berlino e nove anni dopo la rivoluzione di Solidarnosc, nelle aree situate in prossimità del confine che aveva separato i paesi dell'ex blocco sovietico dal resto dell'Europa, in particolare nella cosiddetta «terra di nessuno», praticamente non esistevano infrastrutture. Ancora oggi è un problema lontano dall'essere risolto, malgrado i notevoli progressi conseguiti nel superare le conseguenze delle decisioni politiche che hanno portato a questo stato di cose.

2.2.3

Un altro singolare confine dell'UE è il Mar Mediterraneo. Una politica di cooperazione tra l'UE e i paesi mediterranei esiste da molto tempo, ma ultimamente gli sviluppi internazionali l'hanno estromessa dal novero delle priorità dell'UE.

2.3

Diverse iniziative transfrontaliere (per es. le Euroregioni) sono sorte nelle regioni frontaliere dei nuovi Stati membri già prima dell'adesione, come nuova forma di cooperazione transfrontaliera basata su accordi tra le zone frontaliere di paesi confinanti. Non è stato necessario disciplinare il funzionamento delle Euroregioni tramite accordi intergovernativi, perché si tratta di iniziative basate sulle libere decisioni degli enti locali e regionali e dei gruppi di interesse locali. Scopo della cooperazione nel quadro delle Euroregioni è risolvere insieme i problemi comuni, a prescindere dai confini politici, e dar vita a una cooperazione economica nei settori delle comunicazioni e dell'ambiente.

2.4

In pratica, a partire dagli anni '90, la politica di cooperazione interregionale dell'UE si è esplicata principalmente nell'ambito dei successivi programmi Interreg. Anche il Comitato si è occupato di alcuni suoi aspetti e ha formulato pareri sulla cooperazione interregionale, basati tra l'altro sulle esperienze della regione mediterranea e dalla zona del Mar Baltico (2)  (3)  (4).

2.4.1

Il Comitato ha stabilito che la cooperazione interregionale che usufruisce di fondi comunitari può essere classificata in base a diversi criteri:

a)

tipo di unità territoriale: regione, grande città, distretto locale subregionale;

b)

categoria spaziale: regioni adiacenti/non adiacenti (cooperazione transfrontaliera o transnazionale);

c)

zona geografica: cooperazione all'interno dell'UE o tra regioni dell'UE e regioni confinanti di paesi non membri;

d)

livello di cooperazione, ad esempio:

messa in comune di esperienze, creazione di reti per il trasferimento di know-how,

pianificazione territoriale,

progetti comuni volti ad attrarre investimenti nelle infrastrutture e in altri settori.

2.4.2

Nei suoi pareri riguardanti Interreg, il Comitato afferma che negli anni '90 i collegamenti tra i vari tipi di cooperazione erano piuttosto limitati. L'attività di cooperazione, per esempio, era attiva solo a certi livelli ed era ristretta a determinate categorie spaziali e zone geografiche.

2.4.3

Un valido risultato ottenuto dall'UE nelle regioni transfrontaliere della Francia, del Belgio, della Germania e del Lussemburgo, tutte oggetto di intensa ristrutturazione, è l'applicazione di metodologie che hanno permesso di contrastare lo spopolamento di queste zone e di evitare che si trasformassero in veri e propri «deserti postindustriali». Le risorse e le misure previste dal Trattato CECA hanno contribuito in modo significativo al risultato del processo di ristrutturazione.

2.5

Attualmente sono in corso in Europa circa 180 iniziative transfrontaliere, la maggior parte delle quali sono strumenti rivolti ad attenuare gli svantaggi derivanti dall'esistenza di una frontiera in attività. Il territorio dei nuovi Stati membri dell'UE è interessato da 32 Euroregioni, il che dimostra che sono stati molto attivi nel sostenere il principio della cooperazione transfrontaliera.

2.6

La maggior parte delle 32 regioni transfrontaliere, comprendenti territori dei «nuovi» e dei «vecchi» Stati membri, non ha mai visto nascere iniziative direttamente legate alla politica industriale, anche se molti dei progetti congiunti hanno un legame indiretto con il settore.

2.7

In genere le nuove iniziative di politica industriale sono sorte nelle regioni transfrontaliere vicine ad aree metropolitane (per es. nel triangolo Vienna-Budapest-Bratislava) o in quelle il cui territorio comprende poli industriali o agglomerati di grandi città prive di caratteristiche metropolitane (regione di Katowice e Ostrava, nella zona al confine tra Repubblica ceca e Polonia).

2.7.1

Un nuovo e interessante esempio di trasformazione industriale viene dal Friuli-Venezia Giulia, al confine tra Italia e Slovenia, che ha fatto registrare una ripresa dell'attività manifatturiera, soprattutto nel settore del mobile, nelle fasi che hanno preceduto e seguito l'allargamento dell'UE.

3.   Osservazioni specifiche

3.1   Principali caratteristiche delle regioni transfrontaliere nell'UE allargata

3.1.1

Le caratteristiche delle regioni transfrontaliere in cui una politica industriale è in corso di sviluppo, esposte nel presente parere, sono state identificate essenzialmente sulla base di rilievi effettuati nella regione Centrope (5).

3.1.1.1

La regione in oggetto comprende territori appartenenti a tre nuovi Stati membri e ad uno dei «vecchi» Stati membri dell'UE a 15 (in Austria: Vienna, Austria Inferiore e Burgenland; nella Repubblica ceca: Moravia meridionale; in Slovacchia: Bratislava e Trnava; in Ungheria: Györ-Moson-Sopron e Vas). Nella regione rientrano, al tempo stesso, aree che soffrono dei problemi tipici delle regioni periferiche e aree centrali urbane ad esse adiacenti ed economicamente dinamiche.

3.1.1.2

Negli anni '90 la regione ha subito una profonda ristrutturazione che, almeno in alcune aree, ha attirato investimenti. Ciò ha comportato spostamenti nel mercato del lavoro, per cui molti lavoratori anziani hanno abbandonato il mercato occupazionale; in seguito però, l'arrivo degli investimenti ha fatto registrare — anche se non sempre nello stesso posto — un risveglio della domanda di forza lavoro.

3.1.1.3

Nella regione compresa tra l'Austria, la Repubblica ceca, la Slovacchia e l'Ungheria, l'allargamento dell'UE ha riunito mercati regionali del lavoro molto eterogenei, la cui integrazione rappresenta una sfida. La migrazione di imprese e di forza lavoro verso le città e le carenza delle infrastrutture (di trasporto) continuano a minare la struttura del mercato occupazionale, al pari delle differenze salariali tra l'Austria ed i nuovi Stati membri e la prevista mancanza di personale specializzato.

3.1.1.4

Oggi si assiste ai primi segni della comparsa di reti produttive transfrontaliere, grazie anche allo sviluppo delle infrastrutture di trasporto che ha richiesto investimenti sostanziali. Ciò, a sua volta, ha indotto a colmare le lacune ancora esistenti e a ristabilire vecchi legami.

3.1.2

In regioni come questa gli investimenti esteri ed interni danno un impulso fondamentale alle trasformazioni industriali, anche nelle piccole e medie imprese. Nei paesi in cui, prima dell'adesione, sono state create «zone economiche speciali» o «zone industriali», la maggior parte degli investimenti è stata convogliata verso zone che raramente corrispondevano a regioni transfrontaliere (cfr. parere CESE CCMI/025). Ciò contribuisce a spiegare perché una nuova politica industriale abbia visto la luce in così poche regioni di cooperazione transfrontaliera.

3.1.2.1

La crescita è stata trainata soprattutto dagli investimenti nel recupero di siti dismessi (brown-field), nell'insediamento di nuovi impianti industriali (green-field) e nella delocalizzazione di imprese. Gli investimenti sono stati stimolati, fra le altre cose, dall'individuazione di nuovi mercati, dalle differenze nella tassazione delle imprese, dai forti divari salariali e dagli aiuti di Stato, tutti fattori che hanno sorretto il processo di ristrutturazione e contribuito alla crescita dell'economia.

3.1.2.2

Hanno inoltre concorso ad attrarre dipendenti con qualifiche medio-alte e determinato una riduzione del costo del lavoro e dei costi non riconducibili al personale. Ha fatto registrare un netto incremento la domanda di macchinisti, montatori, periti meccanici, saldatori, ingegneri meccanici e specialisti dell'informatica, una tendenza che si delinea sempre più chiaramente in tutti i comparti manifatturieri dell'UE.

3.1.2.3

Questi interventi hanno insomma portato al miglioramento delle competenze gestionali e generato una politica delle risorse umane nonché relazioni industriali funzionanti. Hanno inoltre consentito di ricavare fondi da reinvestire e contribuito a stabilire legami con i mercati dei fornitori e dei clienti.

3.1.2.4

Il flusso di investimenti non ha interessato solo le grandi imprese europee, ma anche piccole e medie imprese e imprese extracomunitarie. Questi soggetti hanno concentrato gli investimenti, generato effetti di moltiplicazione, avviato contatti con le imprese locali e stabilito legami con le imprese nazionali e le filiali estere.

3.1.3

Un'analisi delle trasformazioni industriali di carattere strutturale che si stanno verificando nelle regioni transfrontaliere in oggetto rivela che, in genere, in queste zone viene applicato un metodo a fasi o «step by step».

3.1.3.1

Nella prima fase si intraprende un'attività manifatturiera ad alta intensità di lavoro, facendo assegnamento su lavoratori poco qualificati; nella seconda fase, invece, si passa all'impiego di lavoratori più qualificati e servizi più sofisticati. Nei casi in cui la prima fase ha avuto esito positivo ci si adopera per appaltare determinate attività all'esterno — ma sempre nella regione — alla ricerca di un costo del lavoro inferiore.

3.1.3.2

Le fusioni strutturali bidirezionali hanno avuto un notevole impatto sulle questioni strutturali che accompagnano queste trasformazioni industriali. Le fusioni verso l'alto (società estere all'interno e all'esterno della regione) o verso il basso (in ambito locale) sono state motivate dalla volontà di acquisire un vantaggio concorrenziale all'interno di una data rete o regione.

3.1.3.3

In altri casi si sono adottati approcci più rischiosi (sulla base del «principio della palla di neve»), che hanno indotto a stabilire legami più forti. Le «enclavi» di aziende in espansione, frutto di questo processo, si sono contraddistinte per la facilità con cui è stato possibile «innestarle» su altre, nuove aziende.

3.1.3.4

Un fenomeno sempre più comune nelle regioni transfrontaliere, anche nei nuovi Stati membri, è la costituzione di nuove filiali societarie da parte di dinamici investitori che, in una data regione, sono passati alla seconda fase di sviluppo. In queste regioni la politica industriale riceve impulsi anche dalle reti aziendali, che spesso hanno carattere internazionale e si occupano per esempio della gestione interattiva delle risorse umane al di là dei confini.

3.2   Fattori di crescita e integrazione che accompagnano le trasformazioni industriali nelle regioni transfrontaliere

3.2.1

Una delle sfide per la politica industriale è rappresentata dal ricorso all'incentivazione diretta e dalla creazione di un'asimmetria tra le aziende. Nell'applicare questa asimmetria incontrano maggiori difficoltà le aziende che integrano nella propria rete piccole e medie imprese.

3.2.1.1

Come rileva R. Pedersini nella sua presentazione (cfr. nota 5), nel prossimo futuro si ricorrerà alla limitazione del ciclo vitale di un'azienda ad un orizzonte temporale medio, il che comporterà sicuramente ripercussioni sul piano sociale, e dovrà essere applicato insieme a idonei meccanismi di garanzia istituiti per mezzo del dialogo socioeconomico.

3.2.2

Una sfida di grande rilievo per lo sviluppo complessivo dell'Unione europea e per il futuro della politica industriale su tutto il suo territorio, ma in particolare nelle regioni transfrontaliere, è rappresentata dalle differenze nella tassazione delle imprese, in particolare per quanto riguarda l'imposta sulle società (6).

3.2.2.1

È fondamentale decidere se sia opportuno o meno armonizzare l'imposta sulle società e stabilire in che modo se ne debba calcolare la base imponibile, cioè in funzione del luogo in cui si trova la sede sociale (HST — Home State Taxation) oppure della base imponibile comune e consolidata per le società (CCCTB — Common Corporate Consolidated Tax Base).

3.2.2.2

Il primo dei due regimi, pur ponendo fine all'applicazione di legislazioni diverse per calcolare la base imponibile nelle regioni transfrontaliere, è quello che comporta rischi maggiori (7).

3.2.2.3

Ricorrere alla seconda opzione vorrà dire che tutte le imprese che operano anche oltre confine applicheranno principi uniformi per calcolare la propria base imponibile (8), a prescindere dal paese in cui hanno la sede sociale. Questo metodo, inoltre, non richiederà nessuna modifica delle norme nazionali in vigore, ma solo il consenso alla produzione di norme supplementari paneuropee applicabili alle imprese che operano in più paesi.

3.2.2.4

Uno degli svantaggi della seconda opzione è il rischio che due imprese della stessa nazionalità, analoghe per prospettive e presenza sul mercato interno, impieghino metodi diversi per calcolare la propria base imponibile.

3.2.3

Tra i principali fattori che incidono sull'evoluzione della politica industriale in queste regioni vi sono le condizioni e la rapidità di sviluppo attuali delle infrastrutture di trasporto, sia al loro interno che lungo i corridoi di accesso. È pertanto necessario non solo investire intensamente nella costruzione e nell'ammodernamento della loro rete di trasporto, ma anche dar vita a progetti di trasporto congiunti da gestire con criteri attuali mettendo a profitto innovazioni e ricerca scientifica.

4.   Conclusioni e raccomandazioni

4.1

Il concetto di regione transfrontaliera dotata di una nuova politica industriale operativa è estremamente complesso, sia in termini generali che in rapporto a situazioni e località specifiche. Il Comitato ritiene pertanto che, nel corso del semestre di presidenza austriaca, sia importante dare una definizione precisa e distinta di ciò che si intende per «regione» in un contesto transfrontaliero e industriale. Questa definizione dovrebbe considerare a parte le regioni confinanti con paesi extracomunitari e tener conto dell'eventuale status di paese candidato del paese confinante.

4.1.1

Nel caso delle regioni dei nuovi Stati membri e di quelle confinanti con paesi della «vecchia» UE, è importante capire non solo come si possano distinguere gli effetti dei cambiamenti intervenuti in queste regioni negli anni '90 da quelli derivanti dall'adesione all'UE, ma anche valutare l'efficacia degli strumenti comunitari impiegati in queste regioni prima e dopo l'adesione.

4.1.2

I lavori della nuova presidenza di turno, in collaborazione con il CESE, dovrebbero dare risposta anche alle seguenti domande.

Gli strumenti comunitari applicati nelle regioni transfrontaliere, direttamente o indirettamente, sono inadeguati rispetto alle necessità di queste regioni e, di conseguenza, di quelle dell'UE nel suo insieme?

Come avvalersi in modo ottimale dell'armonia tra datori di lavoro e sindacati che sembra caratterizzare molte iniziative economiche nelle regioni transfrontaliere?

Che fare per scongiurare la minaccia imminente della doppia delocalizzazione (prima dalle regioni transfrontaliere ai paesi dell'Europa orientale e poi verso l'Asia)?

Dati gli interventi in atto in molte regioni transfrontaliere per contrastare gli effetti del ritardo di sviluppo (di origine storica o dovuto all'incapacità delle politiche europee di tenere il passo con le necessità di queste regioni), non sarebbe opportuno anticipare l'introduzione di alcuni strumenti europei? E considerarla come un'occasione per verificare tali politiche nella pratica e come iniziativa pilota?

4.2

Dato il tipico approccio delle regioni transfrontaliere dell'UE allargata, caratterizzato da:

impegno per minimizzare il costo del lavoro,

delocalizzazione dinamica delle imprese,

sforzi intesi a limitare ad un orizzonte temporale medio il ciclo vitale previsto delle aziende,

variazioni dinamiche della struttura occupazionale dovute all'uso del metodo a fasi («step by step»),

il Comitato ritiene fondamentale garantire la coesione sociale, evitando nel contempo una concorrenza «al ribasso» in materia di norme occupazionali e sociali. Per questo motivo è necessario fare in modo che questi processi prevedano l'utilizzo, nelle relazioni industriali, di strumenti moderni istituiti nell'ambito dell'UE, soprattutto in materia di dialogo sociale o di dialogo con i gruppi di interesse.

4.2.1

Poiché le regioni transfrontaliere sono caratterizzate da difficoltà sul mercato del lavoro, dovute alle negligenze del passato, alle ristrutturazioni e alle variazioni dinamiche frutto dell'applicazione di una specifica politica industriale, il Comitato propone di applicare a queste regioni, per periodi determinati, gli stessi meccanismi di sostegno all'occupazione già ampiamente usati in passato nell'UE, compresa l'erogazione di sussidi alle società che creano posti di lavoro permanenti.

4.2.2

Quest'impostazione dovrebbe poggiare su garanzie formali volte a prevenire eventuali sprechi di denaro pubblico e ad assicurare che i posti così creati siano davvero nuovi e abbiano carattere permanente. Queste garanzie sono descritte in dettaglio nelle direttive modificate dell'UE sugli appalti pubblici.

4.2.3

In particolare, non dovrebbero poter usufruire di aiuti di Stato o del sostegno dei fondi strutturali le imprese che, una volta ricevuto un contributo, abbiano trasferito i corrispondenti posti di lavoro o, in seguito a delocalizzazione, licenziato lavoratori assunti nella sede originaria senza rispettare le normative nazionali e internazionali.

4.3

Il Comitato rileva che un fattore molto importante, forse decisivo, che ha influenzato e continua ad influenzare la gestione e l'evoluzione della politica industriale nelle regioni transfrontaliere dell'Europa allargata è la capacità dei gruppi di interesse di accedere alle risorse dei fondi strutturali europei. Ampliare il ruolo dei fondi strutturali in queste regioni è assolutamente cruciale, sia per attenuare gli effetti degli intensi processi di transizione in atto, sia per aiutarle ad adattarsi alla dinamicità delle politiche applicate.

4.3.1

In base a queste premesse il Comitato, con riferimento al suo parere (9) sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'istituzione di un gruppo europeo di cooperazione transfrontaliera (GECT), sottolinea in particolare la necessità di integrare come segue le disposizioni del regolamento inerenti all'obiettivo e alla composizione del GECT: «gli attori economici e sociali e le altre organizzazioni della società civile interessate».

4.3.1.1

Alle persone giuridiche costituite nel quadro dei GECT o di altre normative sui fondi strutturali andrebbero affidati il coordinamento delle varie fonti di finanziamento nonché la preparazione e la realizzazione di progetti a sostegno della politica industriale nella regione in oggetto. I finanziamenti sarebbero accessibili agli esponenti delle varie parti interessate della regione. La costituzione di persone giuridiche come queste potrebbe incentivare la cooperazione transfrontaliera, dare alle regioni coinvolte un più forte senso di identità e rafforzare la loro intenzione di armonizzare le rispettive normative.

4.3.2

Nel concepire ed eseguire progetti che usufruiscono del sostegno dei fondi strutturali, si dovrebbe cogliere l'occasione per combinare fonti di finanziamento pubbliche e risorse di investitori privati, senza che le quote di origine pubblica siano classificate come aiuti proibiti. Il criterio sarebbe il vantaggio che ne trae non l'impresa ma la regione, attraverso la creazione di posti di lavoro, lo sviluppo di infrastrutture e la maggiore produttività dell'economia.

4.4

A giudizio del Comitato lo sviluppo del mercato del lavoro nelle regioni interessate rappresenta un fattore non trascurabile per le trasformazioni industriali. Attualmente permangono ostacoli temporanei alla mobilità transfrontaliera dei lavoratori nell'UE. Il Comitato invita pertanto gli Stati membri a prendere seriamente in considerazione la possibilità di abbreviare i periodi transitori. A questo scopo è necessario coinvolgere e consultare adeguatamente le parti sociali a tutti i livelli interessati.

4.4.1

Nel promuovere il miglioramento delle condizioni per la mobilità dei lavoratori nelle regioni transfrontaliere, non si dovrebbe dimenticare il rischio che possano sorgere tensioni tra nazionalità ed etnie diverse. Le peculiarità e le esperienze di regioni in cui diverse culture e nazionalità interagiscono da molto tempo dovrebbero consentire di alleviare e risolvere questi delicati problemi più efficacemente che altrove. Anche il dialogo sociale e l'impegno della società civile possono avere un ruolo di primo piano nel risolvere i problemi legati ai rapporti reciproci tra nazionalità, gruppi etnici e culturali diversi (10).

4.5

Le attività legate alle trasformazioni strutturali dinamiche nelle regioni transfrontaliere dovrebbero essere oggetto di valutazioni da parte di esperti e di ricerche accademiche, da avviare sotto gli auspici delle successive presidenze di turno dell'UE. In questo campo, infatti, le iniziative spontanee potrebbero rivelarsi inefficaci o perfino destabilizzanti.

Bruxelles, 21 aprile 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  A. ZÖLNER: intervento alla 216a sessione della Commissione Affari esteri del Senato della Repubblica di Polonia; Varsavia, 26.10.2004

(2)  GU C 133 del 31.5.1995.

(3)  GU C 39 del 12.2.1996.

(4)  GU C 39 del 12.2.1996.

(5)  Seminario congiunto CCMI/EMCC, Bratislava, 17-18.10.2005; presentazioni di Roberto PEDERSINI, Klára FÓTI e altri.

(6)  COM(2005) 532 def.

(7)  Rafał LIPNIEWICZ: Jeden system dla wszystkich przedsiębiorców (Un sistema unico per tutte le imprese), Rzeczpospolita, 27.7.2004, n. 174.

(8)  Ibidem.

(9)  GU C 234 del 22.9.2005.

(10)  Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro - Report on Regional Social Capital in Europe (Rapporto sul capitale sociale regionale in Europa) - 2005.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

I seguenti emendamenti, pur avendo ottenuto almeno un quarto dei voti espressi, sono stati respinti durante il dibattito:

Punto 3.2.2.1

Sopprimere quanto segue:

È fondamentale decidere se sia opportuno o meno armonizzare l'imposta sulle società e stabilire in che modo se ne debba calcolare la base imponibile., cioè in funzione del luogo in cui si trova la sede sociale (HST — Home State Taxation) oppure della base imponibile comune e consolidata per le società (CCCTB — Common Corporate Consolidated Tax Base).

Punto 3.2.2.2

Sopprimere l'intero punto.

Punto 3.2.2.3

Sopprimere l'intero punto.

Punto 3.2.2.4

Sopprimere l'intero punto.

Motivazione

Nell'ambito del testo in esame non ha senso discutere le possibili soluzioni di politica tributaria. Tra l'altro non rientra neanche nelle finalità del parere.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 20

Voti contrari: 50

Astensioni: 3


8.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 185/31


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle statistiche comunitarie in materia di migrazioni e di protezione internazionale

COM(2005) 375 def. — 2005/0156 (COD)

(2006/C 185/06)

Il Consiglio, in data 15 novembre 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 febbraio 2006, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SCIBERRAS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 20 aprile 2006, nel corso della 426a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 131 voti favorevoli e 3 astensioni:

1.   Introduzione

1.1

Il Trattato di Amsterdam, entrato in vigore nel 1999, annovera tra i suoi obiettivi quello di «conservare e sviluppare l'Unione quale spazio di libertà, sicurezza e giustizia in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l'asilo, l'immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest'ultima» (1).

1.2

Il Trattato di Amsterdam costituisce un'autentica pietra miliare in quanto trasferisce la politica di migrazione dal terzo pilastro dell'Unione europea, basato sulla cooperazione tra i governi, al primo, in cui le politiche vengono promosse dalla Commissione europea. Il 1o maggio 2004 segna anche l'inizio di una nuova fase nel campo della politica di migrazione dei 25 Stati membri, giacché accelera ulteriormente il graduale passaggio da una politica nazionale a una politica comune.

1.3

Il 17 dicembre 2005, la presidenza britannica ha inoltre concluso con successo un accordo sulle prospettive finanziarie 2007-2013, cioè il quadro finanziario dell'Unione per il prossimo periodo (2).

1.4

Nel capitolo «Cittadinanza, libertà, sicurezza e giustizia», che affronta il tema della sicurezza dei cittadini che vivono nei 25 Stati membri dell'UE, si indicano gli stanziamenti previsti per diverse iniziative in settori quali la protezione alle frontiere. La spesa relativa a questo capitolo dovrebbe aumentare in maniera significativa nei prossimi otto anni. Tuttavia, esistono anche iniziative nel campo delle politiche sociali che si traducono in progetti come il Fondo europeo per i rifugiati e il Fondo europeo per l'integrazione dei cittadini dei paesi terzi, finalizzati a migliorare i servizi forniti alle popolazioni di immigrati negli Stati membri.

1.5

Il Consiglio europeo di Salonicco del 2003 ha anche sottolineato l'esigenza di ricercare «mezzi legali per l'ingresso di cittadini di paesi terzi nell'Unione, tenendo conto delle capacità ricettive degli Stati membri» (3).

1.6

Le decisioni in materia, e in particolare la valutazione della capacità ricettiva dei singoli Stati membri, devono tenere conto non solo del numero di abitanti, della superficie e della situazione economica di ciascun paese, ma anche della popolazione immigrata esistente e dei flussi migratori del momento. Questi ultimi a loro volta non possono essere valutati correttamente senza un'armonizzazione dei metadati statistici (cioè le norme per la raccolta dei dati) tra i vari Stati membri. Tale armonizzazione è infatti necessaria per assicurare la coerenza interna delle statistiche su scala comunitaria.

1.7

La mancanza di armonizzazione delle statistiche è in parte il prodotto delle diverse definizioni date al concetto di migrazione. Tali divergenze possono essere a loro volta dovute a disparità nella legislazione in materia, ma anche a una serie di inadeguatezze e lacune nella raccolta dei dati, le quali ostacolano l'avvio e lo sviluppo di una graduale armonizzazione.

1.8

Inoltre, l'immigrazione illegale e il lavoro non dichiarato sono fenomeni comuni e in aumento, dovuti in parte alle restrizioni imposte ai canali di migrazione legale. Quello della migrazione clandestina è un settore in cui le rilevazioni statistiche possono risultare ancor meno accurate. In questo caso, la portata e il metodo dei calcoli statistici possono variare in modo particolare tra le varie autorità nazionali, il che rende quanto mai essenziale un'armonizzazione dei metadati tra gli Stati membri. Negli Stati Uniti, ad esempio, l'incompletezza dei dati sulla presenza di immigrati illegali ha dato luogo a un dibattito sull'opportunità di adeguare i risultati dei censimenti in base ai dati sui residenti non dichiarati, raccolti mediante tecniche di campionamento. Oltre alle tecniche di campionamento, vi sono anche altri metodi per la raccolta di dati statistici: in Francia, ad esempio, tale operazione vede il coinvolgimento delle autorità locali.

1.9

Il progetto di Trattato costituzionale riconosce il «diritto degli Stati membri di determinare il volume di ingresso nel loro territorio dei cittadini provenienti da paesi terzi, allo scopo di cercarvi un lavoro subordinato o autonomo» (4). Il CESE ha espresso il giudizio che tale obbligo costituzionale non impedisce all'Unione di raggiungere un elevato livello di armonizzazione legislativa per l'ingresso degli immigrati. Il Comitato ha inoltre sottolineato la necessità di una politica comunitaria attiva in questo campo e di una normativa armonizzata (5).

1.10

L'ulteriore sviluppo del quadro giuridico in materia di immigrazione si giustifica in parte con la realtà demografica e con il perseguimento della strategia di Lisbona. Il CESE ha osservato che «le tendenze demografiche nell'Unione e la strategia di Lisbona indicano la necessità per l'Europa di disporre di politiche attive per l'ammissione dei migranti per motivi economici. […] Sebbene ciascun paese abbia esigenze e caratteristiche a sé stanti, l'apertura di canali riservati alla migrazione per motivi economici è una necessità che accomuna tutti gli Stati membri» (6). L'Unione europea e gli Stati membri hanno bisogno di norme che autorizzino la manodopera a immigrare attraverso canali legali e trasparenti. Il Comitato ammette che tale approccio, in cui l'accento è soprattutto sull'aspetto economico della migrazione, è in sé riduttivo, e riconosce che gli Stati membri devono adottare politiche attive anche per la migrazione dovuta a motivi diversi da quello economico.

1.11

Un importante flusso migratorio comporta inoltre problemi di adeguamento nei paesi di accoglienza, data la pressione esercitata sui pubblici servizi, e possibili conseguenze sul mercato del lavoro. Tali conseguenze variano in funzione della capacità di assorbimento dei paesi di accoglienza. Per tenere informata la pubblica opinione sulle implicazioni dei flussi migratori occorrono dati statistici accurati e coerenti in tutti gli Stati membri. La disponibilità di dati statistici precisi può anche contribuire a combattere le eventuali tendenze xenofobe insite nell'opinione pubblica ed espresse con affermazioni del tipo «gli immigrati tolgono il lavoro ai locali» e «ci stanno invadendo».

1.12

La presenza di dati statistici attendibili può favorire un quadro giuridico comune, il che contribuirebbe a sua volta alla tutela dei diritti dei migranti. Il Comitato incoraggia la Commissione a sottolineare l'importanza di una raccolta e di una lettura accurata di tali dati, onde evitare interpretazioni erronee.

1.13

Dato che i lavoratori migranti rappresentano una parte importante della forza lavoro, nel perseguire l'obiettivo della mobilità del mercato del lavoro nell'UE bisogna tenere conto degli effetti delle restrizioni imposte alla circolazione tra Stati membri e della rilocalizzazione dei lavoratori migranti in provenienza da paesi extracomunitari. Un regolare flusso all'interno dell'UE ridurrebbe inoltre le difficoltà di adeguamento per le società di accoglienza con capacità di assorbimento più limitate.

1.14

Il Comitato parte dal presupposto che, per garantire il rispetto dei diritti umani e la protezione della dignità umana di ciascun individuo, tutti i processi di raccolta e/o trattamento di dati personali per motivi statistici o per altri usi ufficiali andrebbero protetti in particolar modo da eventuali sviamenti di procedura o altre violazioni.

2.   L'importanza dei dati statistici all'interno di un quadro giuridico

2.1

Le informazioni statistiche che rispecchiano la situazione politica, sociale ed economica, oltre che l'atteggiamento globale degli Stati membri sulla questione della migrazione, possono influenzare e aiutare la formulazione, l'analisi e il riesame delle politiche vigenti in tali paesi.

2.2

La disponibilità di dati statistici accurati è molto importante per tracciare un quadro preciso delle popolazioni di migranti negli Stati dell'UE, precisandone tra l'altro le dimensioni e altre caratteristiche demografiche. Il Comitato esorta la Commissione a sottolineare questa esigenza, di modo che gli Stati membri ne riconoscano l'importanza e destinino maggiori risorse a tal fine.

3.   Dati relativi all'immigrazione

3.1

È opportuno tenere presente alcune caratteristiche dei flussi migratori. Anzitutto, nella ricerca di migliori condizioni di vita predomina la direzione Est-Ovest. In secondo luogo, nei nuovi Stati membri dell'UE aumentano gli immigrati provenienti dai paesi extracomunitari, attratti ovviamente dai potenziali vantaggi di un'adesione all'UE di tali paesi e dalla possibilità di usarli come prima tappa verso l'Occidente. L'informazione statistica sui modelli migratori è un elemento essenziale attraverso il quale gli Stati membri possono analizzare i flussi migratori passati e presenti, prevedere quelli futuri e accertarne l'impatto e il potenziale sul piano demografico, sociale ed economico, il che servirà a calibrare le politiche in tali settori.

4.   I vantaggi legati ai dati statistici

4.1

La maggior parte degli Stati membri ha elaborato statistiche approfondite sui paesi di origine dei richiedenti asilo. Servono tuttavia statistiche ancora più accurate basate su criteri comuni ai vari Stati membri in vista di futuri confronti a livello transnazionale.

4.2

Il quadro comune per la raccolta e l'elaborazione dei dati statistici, previsto dalla proposta di regolamento, è particolarmente necessario per quei paesi in cui non esistono banche dati centralizzate in materia di immigrazione e asilo, e in cui ogni autorità dispone di banche dati proprie.

4.3

Uno dei compiti fondamentali svolti dalle statistiche è quello di influenzare l'elaborazione e la revisione delle politiche. Ad esempio, nei casi in cui le statistiche hanno rivelato la presenza, tra gli immigrati in posizione irregolare, di bambini, minori non accompagnati, donne incinte e disabili, è stato possibile elaborare politiche nazionali relative al rilascio delle categorie vulnerabili o alla situazione dei minori non accompagnati. Pertanto, un'ulteriore suddivisione dei dati statistici al fine di aggiungere ulteriori informazioni demografiche e socioeconomiche, ad esempio sulla lingua parlata dagli immigrati, alle semplici cifre relative agli arrivi è tale da avere un deciso impatto sulle politiche. Queste ultime possono a loro volta ripercuotersi sull'integrazione degli immigrati nel mercato del lavoro.

4.4

L'elaborazione di statistiche più precise e complete permette proiezioni più accurate e di conseguenza fornisce una base per la programmazione delle future risorse. Le statistiche rappresentano inoltre un solido ausilio per la distribuzione delle risorse. Ad esempio, se le statistiche annuali mostrano l'ingresso illegale in un paese di un numero costante di minori non accompagnati, occorrerà prevedere o aumentare le risorse volte a prevedere appositi servizi di accoglienza e di sostegno.

4.5

Una corretta elaborazione dei dati statistici permette di fornire servizi adeguati alle esigenze degli utenti, favorendo così un'assegnazione equa e proporzionata delle risorse tra gli Stati membri.

4.6

Inoltre, un'analisi comparativa di tutte le norme in materia di immigrazione applicate nell'UE a 25 permetterebbe certamente alla Commissione europea di coordinare meglio le politiche dell'immigrazione a livello comunitario. Nonostante l'immigrazione rientri nel pilastro relativo alla giustizia e agli affari interni, i cittadini europei, specie quelli dei paesi investiti da tale fenomeno, insistono sempre più affinché la questione venga affrontata al livello dell'UE. L'analisi di cui sopra sarebbe finalizzata a favorire un'armonizzazione statistica tale da rendere più coerenti le politiche UE in materia di migrazione.

4.7

L'elaborazione di informazioni e indagini statistiche attendibili sulle caratteristiche degli immigrati illegali aiuterebbero gli Stati membri dell'UE ad analizzare le cause dell'immigrazione irregolare. Tra tali dati potrebbero figurare il contesto socioeconomico di provenienza degli immigrati, la loro base di competenze, le loro aspirazioni e i motivi che li hanno spinti a emigrare. Le indagini statistiche potrebbero portare al miglioramento delle informazioni sugli immigrati e allo sviluppo di risorse a essi destinate, ad esempio appositi programmi di istruzione e di formazione. Nella formulazione delle politiche riguardanti la protezione degli immigranti è altresì indispensabile procedere alla raccolta di statistiche su dati quali il numero di immigranti informati in materia di richieste di protezione internazionale e il numero di richieste presentate, accolte e respinte per i diversi tipi di status (articolo 4.) La raccolta e il trattamento dei dati andrebbero posti sotto il controllo delle pubbliche autorità degli Stati membri, le quali dovrebbero beneficiare di ulteriori risorse in termini di personale, qualifiche e strumenti. Le autorità dovrebbero inoltre avere il compito di garantire la confidenzialità dei dati personali raccolti e di presentare relazioni annuali ai rispettivi parlamenti. La raccolta di informazioni e dati statistici necessita di uno sforzo congiunto da parte degli Stati membri per l'assunzione di interpreti professionisti in grado di comunicare con gli immigrati al fine di ottenere tutti i dati necessari per un'indagine efficace. Tale operazione aiuterebbe inoltre gli Stati membri ad applicare le necessarie politiche. I programmi summenzionati contribuiscono all'integrazione degli immigrati nelle società degli Stati membri ed esistono inoltre fondi destinati alla raccolta di dati su aspetti quali il retroterra sociale degli immigrati. Questi strumenti statistici sarebbero anche di aiuto per organismi come l'Osservatorio europeo per la protezione dei diritti umani.

4.8

Occorrono inoltre statistiche relative agli appositi centri di trattenimento o ai centri di accoglienza «aperti» degli immigrati illegali, per far sì che la Commissione europea possa proporre una politica comune al riguardo.

4.9

Gli Stati membri dovrebbero inoltre collaborare alla raccolta dei dati concernenti i tipi di lavoro (legali e illegali) e gli alloggi per gli immigrati. Questi dati consentirebbero all'UE a 25 di evidenziare una serie di tendenze che potrebbero sfociare in politiche volte a migliorare le condizioni di vita degli immigrati per motivi di lavoro. Gli Stati membri sarebbero così tenuti a garantire la confidenzialità dei dati personali raccolti e a istituire appositi organismi con il compito di presentare relazioni annuali ai rispettivi parlamenti.

4.10

Le statistiche potrebbero anche essere utilizzate nelle campagne di sensibilizzazione e di integrazione. I dati statistici, in particolare quelli relativi alla condizione sociale e all'istruzione degli immigrati, potrebbero aiutare maggiormente i cittadini comunitari ad adoperarsi per l'integrazione degli immigrati. Pertanto, il Comitato incoraggia la Commissione a sottolineare l'importanza dei dati sociali e scolastici.

4.11

Anche le statistiche sulle spese sostenute dai paesi di accoglienza per il controllo, la detenzione, il rimpatrio e l'integrazione degli immigrati sono della massima importanza, affinché l'UE a 25 collabori all'istituzione di una sorta di fondo comune e all'elaborazione di una politica dell'immigrazione basata sulla solidarietà. Le statistiche possono anche contribuire a valutare meglio le esigenze di finanziamento.

4.12

Il Comitato incoraggia la Commissione a introdurre nuovi criteri sugli arrivi degli immigrati via cielo, terra o mare, al fine di disporre di statistiche più complete sulla prevenzione degli ingressi e dei soggiorni illegali (articolo 5), e di migliorare le fonti e le norme relative ai dati (articolo 9).

5.   Garantire la protezione internazionale degli immigrati

5.1

Negli ultimi anni, l'Europa è stata il punto di arrivo di numerosi immigrati illegali provenienti dall'area subsahariana e da altri paesi africani. Spesso, gli immigrati in posizione irregolare e i richiedenti asilo sono persone fuggite dal loro paese di origine in quanto perseguitate per motivi di religione, di razza o di politica, per sottrarsi alla guerra civile, alla carestia, alla povertà, a catastrofi naturali, o ancora per ragioni economiche. Molti di loro hanno visto i loro familiari assassinati, torturati o sottoposti ad altre atrocità e/o sono stati separati da essi. Le esperienze vissute durante i loro viaggi spesso si traducono in veri e propri traumi che li rendono vulnerabili e bisognosi di protezione. Un'informazione statistica accurata sui motivi che hanno spinto queste persone a emigrare può portare a identificare le cause dell'immigrazione e a contribuire all'ulteriore sviluppo e alla valutazione delle politiche in materia di asilo e di traffico degli esseri umani.

5.2

Al fine di garantire la protezione di tali gruppi, i paesi che accolgono gli immigrati in posizione irregolare e tutte le persone destinate a lavorare con loro devono rispettare gli obblighi internazionali nel campo dei diritti umani, nonché la legislazione nazionale in materia di immigrazione e di rifugiati. Le forze di sicurezza (esercito e polizia) dei paesi di accoglienza sono obbligate in un primo tempo a svolgere operazioni di salvataggio e di soccorso e a offrire i livelli minimi di accoglienza vigenti nell'UE. In tale contesto vengono prestate, se necessario, le opportune cure mediche, si accerta nei limiti del possibile il paese di origine degli immigrati illegali e si cercano di acquisire altre informazioni demografiche. L'immigrato ha inoltre il diritto fondamentale di essere informato sulle procedure da seguire per la richiesta di asilo. La raccolta di dati come il numero di immigrati informati sulla procedura per richiedere la protezione internazionale, sul numero di domande inoltrate, sul numero di casi accolti e di quelli respinti per i diversi tipi di status (articolo 4) è anch'essa essenziale ai fini della formulazione di politiche sulla protezione degli immigranti.

5.3

I paesi di accoglienza sono tenuti al rispetto degli obblighi internazionali in materia di diritti umani assunti in quanto firmatari di convenzioni, dichiarazioni o Trattati internazionali e/o regionali. Come parte essenziale dell'acquis comunitario, l'UE richiede agli Stati membri di aver firmato la Convenzione del 1951 sui rifugiati, il Protocollo e la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del 1967. Il documento alla base di queste convenzioni è la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, che verte tra l'altro sul diritto d'asilo. La Convenzione sui rifugiati è una parte essenziale del quadro internazionale dei diritti umani. Altre convenzioni hanno fatto seguito, tra le quali quella contro la tortura (1984) e quella sui diritti del fanciullo (7). Gli Stati membri devono inoltre ottemperare alle direttive comunitarie in materia, in particolare la direttiva 2003/9/CE sulle norme minime relative all'accoglienza dei rifugiati (8), la direttiva 2004/83/CE sulle norme minime per l'attribuzione della qualifica e dello status di rifugiato (9) e la 2005/85/CE sulle norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (10).

5.4

È dunque essenziale che i paesi di accoglienza aderiscano a queste convenzioni per garantire anzitutto che i richiedenti asilo ricevano una protezione di base e non vengano respinti prima che la loro richiesta di asilo sia stata trattata e prima che sia stato determinato il loro status di rifugiato per motivi umanitari o altro.

5.5

L'analisi comparativa di come gli Stati membri applicano gli articoli 2 (definizioni relative all'immigrazione) e 4 del regolamento in oggetto darà un notevole contributo a garantire la protezione internazionale degli immigrati.

Bruxelles, 20 aprile 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Articolo 1, lettera b).

(2)  Parere CESE del 19.1.2006 sul tema Diritti fondamentali e giustizia, relatrice: KING (GU C 69 del 21.3.2006).

Parere CESE del 14.2.2006 sul tema Gestione dei flussi migratori, relatrice: LE NOUAIL-MARLIÈRE (GU C 88 dell'11.4.2006).

Parere CESE del 14.12.2005 in merito alla Proposta di decisione del Consiglio che istituisce il programma specifico Prevenzione, preparazione e gestione delle conseguenze in materia di terrorismo per il periodo 2007-2013, relatore: CABRA DE LUNA (GU C 65 del 17.3.2006).

(3)  Punto 30 delle conclusioni della presidenza.

(4)  Articolo III-267-5.

(5)  Parere CESE del 9.6.2005 in merito al Libro verde sull'approccio dell'Unione europea alla gestione della migrazione economica, relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 286 del 17.11.2005).

(6)  Id., punto 1.5.

(7)  Allan MACKEY (giudice dell'immigrazione, Regno Unito), Policies serving migratory purposes and the need to assure protection to asylum seekers and refugees («Le politiche al servizio dell'immigrazione e la necessità di garantire la protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati»), intervento presentato al seminario TAIEX svoltosi a Malta il 15-16.12.2005.

(8)  Parere CESE del 7.11.2001 in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri, relatori: MENGOZZI e PARIZA CASTAÑOS (GU C 48 del 21.2.2002).

(9)  Parere CESE del 13.5.2002 in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio concernente le norme sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi ed apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, e relative al contenuto dello status di protezione, relatrice: LE NOUAIL MARLIÈRE (GU C 221 del 17.9.2002).

(10)  Parere CESE del 6.4.2001 in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, relatore: MELÍCIAS (GU C 193 del 10.7.2001).


8.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 185/35


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari

COM(2005) 649 def. — 2005/0259 (CNS)

(2006/C 185/07)

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 13 febbraio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 20 marzo 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore RETUREAU.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 20 aprile 2006, nel corso della 426a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 133 voti favorevoli, 3 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Sintesi del parere del Comitato

1.1

La proposta di regolamento in esame riguarda una materia che rientra nell'ambito di applicazione dell'articolo 65 TCE e la sua base giuridica è costituita dall'articolo 61, lettera c), di tale Trattato. Tenuto conto delle peculiarità che caratterizzano i crediti alimentari e il loro recupero transfrontaliero, essa appare conforme ai principi di proporzionalità e di sussidiarietà dal punto di vista sia degli organi giudiziari e degli ordinamenti giuridici nazionali che delle parti in causa.

1.2

La materia in questione attiene sia al diritto di famiglia che alla disciplina del recupero dei crediti e, sul piano sociale, comporta anche dei rischi di pauperizzazione dei quali si deve tener conto.

1.3

Inoltre, la proposta in esame risponde alle esigenze di chiarezza e di certezza del diritto per le parti in causa, i terzi interessati e le amministrazioni coinvolte. Essa assicura altresì la protezione dei dati personali contro ogni utilizzo per finalità diverse dalla decisione della causa e dall'adempimento delle obbligazioni alimentari.

1.4

Il Comitato approva l'iniziativa legislativa della Commissione e, pur formulando alcune osservazioni in merito a determinate disposizioni ivi previste, in generale si compiace per gli sforzi profusi da quest'ultima per garantire la qualità della normativa proposta, in particolare effettuando prima delle consultazioni e una valutazione d'impatto e curando poi la qualità redazionale del testo. Inoltre, il CESE condivide la scelta della forma (il regolamento) e della base giuridica dell'atto proposto, che ben si prestano ad armonizzare le norme in materia quando questa presenti una componente europea, malgrado le divergenze — che permarranno comunque — tra le legislazioni dei singoli Stati membri.

1.5

Se, tra gli Stati membri dell'Unione, pochi hanno ratificato la Convenzione dell'Aia sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari, molti (17 su 25) hanno ratificato quella concernente il riconoscimento e l'esecuzione di decisioni relative a tali obbligazioni. Tuttavia, riguardo a quest'ultima convenzione, date le riserve appostevi da molti Stati contraenti e, in generale, la possibilità ivi prevista di opporsi a priori al riconoscimento o all'esecuzione della decisione straniera se incompatibile con l'ordine pubblico, può rivelarsi impossibile far applicare tale decisione benché essa promani da un altro Stato firmatario. Una situazione siffatta crea degli ostacoli alla libera circolazione delle decisioni giudiziarie nello spazio comunitario: ostacoli che occorre rimuovere.

1.6

Il Comitato invita dunque il Consiglio ad adottare il regolamento proposto, che, nell'interesse dei cittadini europei, garantirà la certezza del diritto in materia e offrirà ai creditori di prestazioni alimentari transfrontaliere la possibilità di ottenere misure esecutive concrete.

1.7

Infine, il Comitato invita i governi britannico e irlandese a considerare la possibilità di vincolare i rispettivi Stati al rispetto del regolamento in esame (opt in) e il governo danese ad agevolare l'esecuzione delle decisioni in materia di pensioni alimentari conformemente alla pertinente Convenzione dell'Aia — ratificata anche dalla Danimarca — e a stabilire a tal fine dei rapporti di cooperazione ad hoc con gli altri Stati membri quando riceva una richiesta in tal senso.

2.   Proposta della Commissione

2.1   Origine della proposta, dimensione internazionale

2.1.1

Il programma di riconoscimento reciproco in materia civile, adottato il 30 novembre 2000, chiede l'eliminazione della procedura di exequatur a favore dei creditori alimentari che già beneficiano del regolamento «Bruxelles I» (1), concernente tra l'altro il riconoscimento reciproco delle decisioni in materia civile e commerciale. Tale programma prospetta altresì l'adozione di alcune norme procedurali comuni (nell'ottica di un'armonizzazione delle procedure), nonché di misure di accompagnamento volte a rendere più efficiente l'esecuzione, nello Stato richiesto, delle decisioni pronunciate dagli organi giurisdizionali di un altro Stato membro, segnatamente consentendo l'identificazione precisa degli elementi del patrimonio del debitore.

2.1.2

Inoltre, il riconoscimento reciproco deve inserirsi nel quadro di una migliore cooperazione tra le autorità giudiziarie degli Stati membri e passare attraverso l'armonizzazione delle norme sui conflitti di legge.

2.1.3

Sul piano internazionale, la Conferenza dell'Aia di diritto internazionale privato ha avviato una modernizzazione delle convenzioni esistenti in materia di obbligazioni alimentari: un'iniziativa che, secondo la Commissione, è complementare a quella comunitaria. L'iniziativa della Conferenza, infatti, consentirà l'ulteriore sviluppo della cooperazione con i paesi terzi e potrebbe produrre dei risultati recepibili all'interno dell'Unione europea.

2.2   Obiettivi della proposta di regolamento

2.2.1

Il regolamento proposto mira a eliminare tutti gli ostacoli che si frappongono al recupero dei crediti alimentari in un paese dell'Unione europea da parte di un creditore domiciliato in un altro Stato membro.

2.2.2

Il creditore deve poter ottenere senza spese un titolo direttamente esecutivo che possa circolare senza ostacoli nello spazio giudiziario europeo e risolversi nel pagamento regolare delle somme dovute.

2.2.3

In materia appare indispensabile adottare uno strumento unico, ambizioso, che copra tutti i settori pertinenti della cooperazione giudiziaria civile, dato che non esiste un regime unificato. Le nozioni di alimenti e di creditore alimentare variano da un paese all'altro; inoltre, le riserve apposte alla pertinente Convenzione dell'Aia del 1973 (ai sensi dell'articolo 26 di quest'ultima) consentono di opporsi al riconoscimento o all'esecuzione delle decisioni in materia di obbligazioni alimentari. In virtù dell'articolo 71 del regolamento «Bruxelles I», detta convenzione prevale sul diritto comunitario: un'eccezione che la Commissione propone di abolire mediante uno strumento ad hoc per il recupero dei crediti alimentari.

2.3   Contenuto della proposta di regolamento

2.3.1

Armonizzazione delle norme sui conflitti di legge: l'armonizzazione delle norme che determinano la legge applicabile agevola la circolazione della decisione, che sarà emessa in applicazione del diritto di un paese che presenta un nesso sufficiente e incontestabile con la situazione familiare del creditore e del debitore.

2.3.2

Riconoscimento ed esecutività diretta della decisione in tutto il territorio dell'Unione europea.

2.3.3

Adozione, da parte dello Stato di residenza del debitore, di misure esecutive concrete, tra cui l'accesso alle informazioni sulla situazione economica del debitore e l'utilizzo di strumenti giuridici che consentono di effettuare prelievi automatici sullo stipendio o dal conto bancario.

2.3.4

Rafforzamento della natura privilegiata del credito alimentare e della cooperazione giudiziaria in materia civile. A quest'ultimo scopo sono allegati al regolamento i modelli standardizzati di alcuni atti giudiziari.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il Comitato riconosce la necessità e la proporzionalità della proposta di un regolamento specifico relativo al recupero transfrontaliero dei crediti alimentari. In quanto lex specialis, tale regolamento prevarrebbe sulle disposizioni di carattere generale concernenti la cooperazione giudiziaria in materia civile; inoltre, pur senza modificare il diritto interno dei singoli Stati, ristabilirebbe il primato del diritto comunitario in un settore finora escluso dall'ambito di applicazione di quest'ultimo per volontà degli stessi Stati membri.

3.2

Le modalità previste per la determinazione del patrimonio del debitore e per i prelievi garantiscono il rispetto del diritto alla privacy e la riservatezza dei dati. Tuttavia, il debitore è tenuto a informare il creditore e l'autorità giurisdizionale di origine di ogni cambiamento di datore di lavoro o di conto bancario.

3.3

Il regolamento prevede soluzioni concrete per i creditori di alimenti senza però ignorare il diritto del debitore di contestare il credito alimentare o chiedere il riesame della decisione all'autorità giurisdizionale di origine. Tale domanda di riesame sospende le misure esecutive già avviate.

3.4

Il procedimento di esecuzione è regolato dalla legge dello Stato in cui esso si svolge, a prescindere dallo Stato in cui è stata emessa la decisione da eseguire.

3.5

La pubblicazione preliminare di un Libro verde (2) e l'organizzazione di consultazioni e di riunioni di esperti, nonché la conduzione di uno studio sulla situazione in ciascuno degli Stati membri, hanno permesso alla Commissione di formulare una proposta coerente, chiara e ben concepita sul piano pratico, che dovrebbe consentire di rimuovere gli ostacoli che ancora si frappongono al recupero transfrontaliero dei crediti alimentari.

4.   Osservazioni particolari

4.1   Articolo 3

Il CESE ritiene che l'elemento principale per stabilire la competenza delle autorità giurisdizionali debba essere il luogo ove il creditore alimentare risiede abitualmente e propone pertanto l'inversione delle lettere a) e b).

4.2   Articolo 15

A parere del Comitato, il creditore alimentare deve beneficiare in ogni caso della legge che gli attribuisce il diritto agli alimenti, non essendo ammissibile che gli venga opposta una legge che lo privi di tale diritto, fatte salve eventuali ragioni imperative di ordine pubblico ammesse dal regolamento in esame.

4.3   Articolo 35

Il Comitato è del parere che l'ordine di sequestro del conto bancario non possa essere totale, ma debba limitarsi agli importi necessari all'adempimento dell'obbligazione alimentare; in caso contrario, infatti, il titolare del conto potrebbe venir privato dei mezzi di sostentamento per un periodo indeterminato, cioè fino a quando non fosse pronunciata una sentenza sul merito, e ciò sarebbe manifestamente sproporzionato all'obiettivo perseguito.

Bruxelles, 20 aprile 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Regolamento CE n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale.

(2)  COM(2004) 254 def.


8.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 185/37


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al miglioramento della trasferibilità dei diritti a pensione complementare

COM(2005) 507 def. — 2005/0214 (COD)

(2006/C 185/08)

Il Consiglio, in data 15 dicembre 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 20 marzo 2006 sulla base del progetto predisposto dalla relatrice ENGELEN-KEFER.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 20 aprile 2006, nel corso della 426a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 103 voti favorevoli, 19 voti contrari e 11 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni del Comitato

1.1

Il Comitato valuta positivamente gli obiettivi enunciati dalla Commissione e li appoggia, anche se formula un giudizio differenziato sulle misure proposte per la loro realizzazione.

1.2

Nutre in particolare perplessità sull'utilità delle deroghe e delle esenzioni proposte per l'effettiva realizzazione degli obiettivi fissati. Questo vale, da un lato, per le esenzioni relative alla trasferibilità e, dall'altro, per i lunghi periodi transitori previsti per la riduzione dei periodi di affiliazione obbligatori.

1.3

Soprattutto, però, l'obiettivo di facilitare la mobilità e di garantire un'efficace protezione complementare del reddito durante la terza età potrà essere realizzato solo se verranno adeguati anche i diversi sistemi fiscali in vigore negli Stati membri.

1.4

Nei futuri lavori relativi alla proposta di direttiva si dovrebbe pertanto tener conto dei seguenti aspetti:

per ridurre gli ostacoli alla mobilità dei lavoratori è necessario disporre di un sistema ampiamente coordinato sia per l'acquisizione che per il mantenimento e il trasferimento dei diritti a pensione complementare. In tale contesto occorre tenere sufficientemente conto delle ripercussioni sui diversi regimi pensionistici complementari degli Stati membri e del possibile aumento degli oneri finanziari inerenti a tali regimi,

è necessaria ed auspicabile una partecipazione finanziaria dei datori di lavoro alla costituzione di una pensione complementare. Pertanto, onde evitare conseguenze negative, sono necessarie disposizioni transitorie che consentano ai datori di lavoro di adeguare progressivamente i regimi pensionistici,

per soddisfare gli obiettivi fondamentali della direttiva è necessario che le scadenze previste per l'attuazione siano quanto più ravvicinate possibile e che vengano fissate in funzione delle reali necessità dei singoli Stati membri,

parimenti, andrebbe riesaminata l'esenzione generale e a durata illimitata prevista per taluni regimi,

nel campo della tassazione dei regimi pensionistici complementari sono necessarie misure di accompagnamento intese a ridurre gli ostacoli alla mobilità nel settore delle pensioni.

2.   Introduzione

Il 20 ottobre 2005 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al miglioramento della trasferibilità dei diritti a pensione complementare. Essa motiva la proposta affermando che, tenuto conto della crescente importanza dei regimi pensionistici complementari per la copertura dei rischi di vecchiaia, è necessario rimuovere gli ostacoli alla mobilità. Occorre quindi ridurre gli ostacoli che si frappongono a un cambiamento di posto di lavoro sia a livello transfrontaliero che all'interno dei singoli Stati membri.

2.1

La Commissione cita gli ostacoli da eliminare:

le condizioni di acquisizione dei diritti a pensione,

le norme relative alla salvaguardia dei diritti a pensione in sospeso,

le disposizioni relative alla trasferibilità dei diritti a pensione.

Inoltre, secondo la Commissione la mobilità può essere incrementata informando (meglio) i lavoratori in merito alle conseguenze che un eventuale cambiamento di posto di lavoro avrebbe sui diritti a pensione complementare.

2.2

La Commissione reputa che la proposta di direttiva sia la conclusione di vari anni di scambi di informazioni e di esperienze a livello europeo. A causa della divergenza di vedute sugli obiettivi e sugli strumenti dell'azione comunitaria non sono stati avviati negoziati finalizzati ad un accordo tra le parti sociali.

2.3

Con la proposta in questione la Commissione, basandosi sugli articoli 42 e 94 del Trattato CE, intende formulare principi comuni per la definizione delle norme nazionali in materia. In tal modo si vuole anche garantire che l'insediamento delle imprese in un altro Stato membro non venga ostacolato dalla difficoltà di trovare personale qualificato dovuta al fatto che quest'ultimo è legato ad altre imprese dalle disposizioni sui regimi pensionistici complementari.

2.4

La Commissione motiva la scelta dello strumento della direttiva spiegando che solo in questo modo si può ottenere un rapporto equilibrato tra gli indispensabili diritti dei lavoratori in materia di libera circolazione e la flessibilità di cui hanno bisogno i legislatori nazionali al momento dell'attuazione, nel rispetto delle particolarità nazionali dei regimi pensionistici complementari.

3.   Sintesi della proposta

3.1

La direttiva in esame definisce i concetti utilizzati nel settore oggetto di regolamentazione in conformità con le definizioni contenute nella direttiva 98/49/CE.

3.2

La proposta sancisce il principio generale in base al quale i contributi versati in un regime pensionistico complementare da un lavoratore o, a suo nome, dal datore di lavoro, non devono andare persi alla cessazione del rapporto di lavoro neppure se con tali contributi non è stato ancora acquisito alcun diritto alla successiva erogazione di una pensione. Occorre quindi garantire che i contributi versati possano essere rimborsati oppure trasferiti.

3.3

Per fare in modo che specialmente i lavoratori giovani cambiando datore di lavoro non perdano i diritti a pensione, la Commissione ritiene che l'età minima a partire dalla quale è possibile acquisire i diritti a pensione complementare non debba essere superiore ai 21 anni in tutti gli Stati membri.

Inoltre il periodo di attesa, cioè il periodo che deve trascorrere dall'inizio del rapporto di lavoro prima che un lavoratore possa iscriversi al regime pensionistico complementare, non deve superare l'anno.

Parimenti, i cosiddetti «periodi di iscrizione» (cioè il periodo di affiliazione che deve trascorrere da quando il lavoratore ha iniziato a versare i contributi prima che da tali contributi scaturiscano dei diritti) non devono superare i due anni.

3.4

A parere della Commissione è necessario procedere ad un equo adeguamento dei diritti a pensione in sospeso, fermo restando che la scelta della forma e degli strumenti da utilizzare viene lasciata agli Stati membri. Inoltre i regimi pensionistici complementari, per i diritti di modesta entità, in caso di cambiamento del datore di lavoro possono prevedere, oltre alla possibilità di trasferire la posizione previdenziale, anche quella di restituire la somma in questione, purché i diritti acquisiti non superino un determinato limite (stabilito dai singoli Stati membri).

3.5

Al fine di promuovere la mobilità e di ridurre gli svantaggi legati agli spostamenti, occorre facilitare il trasferimento dei diritti acquisiti dal regime pensionistico complementare di un datore di lavoro a quello del nuovo datore di lavoro. Ciò presuppone anche che il trasferimento non comporti alcuno svantaggio economico ad esempio a causa di calcoli diversi o dell'imposizione di costi eccessivi.

3.6

Il lavoratore deve poter decidere in ogni singolo caso se intende trasferire i diritti acquisiti o se preferisce lasciarli nel vecchio regime previdenziale.

3.7

La proposta di direttiva prevede inoltre che i lavoratori che ne fanno richiesta ricevano, entro un termine ragionevole, informazioni in merito alle conseguenze di un eventuale cambiamento del posto di lavoro sui diritti maturati nel quadro dei regimi pensionistici complementari.

3.8   Attuazione

La direttiva va recepita negli Stati membri al più tardi entro il 1o luglio 2008.

Per ridurre a due anni il periodo di iscrizione necessario, gli Stati membri possono disporre di un periodo supplementare di 60 mesi (a decorrere dal 1o luglio 2008). Devono però informare la Commissione del motivo specifico per cui intendono avvalersi di questa possibilità.

3.9

Inoltre le casse di sostegno, le imprese che costituiscono riserve di bilancio accantonate a fini pensionistici e i sistemi pensionistici complementari finanziati mediante un regime a ripartizione possono essere esentati a tempo indeterminato dall'opzione della trasferibilità. Lo Stato membro in questione comunica i motivi concreti alla Commissione, specificando quali misure sono state adottate o sono previste per garantire la trasferibilità. Al più tardi nel 2018 verrà valutata l'eventuale necessità di ulteriori misure per migliorare la trasferibilità dei diritti acquisiti anche per questi sistemi.

4.   Valutazione generale

4.1

Dato che le parti sociali hanno posizioni troppo divergenti in merito alla portata e ai contenuti di una normativa europea, non ci si è avvalsi della possibilità di concludere accordi fra le parti sociali, prevista dall'articolo 139 del Trattato CE.

4.2

Tuttavia CES, UNICE e CEEP, nel preambolo dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, hanno riconosciuto che «sono necessarie innovazioni ai sistemi di protezione sociale complementari dei lavoratori, per adattarli alla situazione attuale e in particolare per garantire la trasferibilità dei diritti».

4.3

Da questa citazione traspare chiaramente l'intenzione comune di affrontare, in linea di principio, la questione della necessità di ravvicinare le basi giuridiche applicabili all'acquisizione e al mantenimento dei diritti a pensione complementare. Anche se il contesto relativo ai rapporti di lavoro a tempo determinato è diverso da quello della libera circolazione dei lavoratori, le parti contraenti riconoscono che le condizioni di impiego cambiano e che questo rende necessari degli adeguamenti dei sistemi di protezione sociale complementare.

4.4

Questo è peraltro in linea anche con l'importante ruolo che le parti sociali svolgono nella maggior parte degli Stati membri nell'organizzazione dei regimi pensionistici complementari. Dato però che l'azione delle parti sociali è limitata (o deve limitarsi) all'ambito nazionale, il proposito della Commissione di elaborare una direttiva è comunque opportuno.

4.4.1

Le disposizioni dettagliate relative ai regimi pensionistici complementari vanno definite a livello nazionale, grazie anche ad accordi collettivi tra le parti sociali. Le disposizioni emanate a livello europeo sulle condizioni di acquisizione dovrebbero pertanto vertere su questioni di principio e limitarsi a presentare degli orientamenti sui provvedimenti da attuare a livello nazionale, lasciando in tal modo alle parti sociali un margine sufficiente per la contrattazione collettiva.

4.4.2

L'articolo 4 della proposta di direttiva andrebbe sostituito con il testo seguente: «se sono stabilite condizioni di acquisizione, quali un'età minima, un periodo di attesa e/o periodi di iscrizione necessari, tali condizioni siano eque e giustificate da ragioni obiettive (e non discriminatorie)».

4.5

Cambiare datore di lavoro può avere conseguenze negative sull'acquisizione dei diritti a pensione complementare e sulla loro entità e questo influenza la decisione dei lavoratori di cambiare o meno datore di lavoro, anche se tale decisione dipende da numerosi fattori.

4.6

Soprattutto a causa degli sviluppi demografici, anche negli Stati membri in cui i regimi pensionistici obbligatori sono la principale fonte di reddito nella terza età, in futuro le prestazioni erogate a titolo di tali regimi, da sole, non saranno sufficienti per garantire il mantenimento di un determinato standard di vita. Per questo motivo le pensioni complementari diventano sempre più importanti, sebbene anch'esse possano risentire degli sviluppi demografici.

4.7

Pertanto, riconoscendo l'obiettivo fondamentale del mercato interno, che consiste nel garantire la libera circolazione delle persone, e considerata la necessità di migliorare il quadro generale dei regimi pensionistici complementari, va accolto con favore l'approccio adottato dalla Commissione, che intende adoperarsi per ridurre gli ostacoli alla mobilità insiti in tali regimi.

4.8

Inoltre, a norma dell'articolo 40 del Trattato CE, il Consiglio è tenuto a stabilire «mediante direttive o regolamenti, le misure necessarie per attuare la libera circolazione dei lavoratori». La base giuridica della proposta all'esame, ovverosia l'articolo 42, è quindi rafforzata ulteriormente dal disposto dell'articolo 40.

4.9

Ridurre gli ostacoli alla mobilità è molto importante anche per realizzare l'obiettivo fondamentale della strategia di Lisbona, che consiste nel rafforzare lo spazio economico europeo creando una società della conoscenza. Quest'ultima è il presupposto per lo sviluppo sociale e, al medesimo tempo, è la principale forza produttiva. Essa si basa sull'innovazione e sulla ricchezza di idee dei cittadini e, per rafforzarla, è necessario un continuo scambio di conoscenze e di esperienze. La mobilità dei lavoratori può fornire un importante contributo in tal senso. Inoltre, anche garantire la coesione sociale fa parte della strategia di Lisbona. Il Comitato, perciò, appoggia l'obiettivo della proposta di direttiva presentata dalla Commissione anche da questo punto di vista.

4.10

Bisogna peraltro riconoscere che il regolamento n. 1408/71 del Consiglio, del 14 giugno 1971, relativo all'applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunità aveva già affrontato la questione di come evitare gli svantaggi (anche) per le pensioni di anzianità. Uno dei primi strumenti della politica sociale consisteva nel ridurre gli ostacoli e le conseguenze negative della libera circolazione. La proposta della Commissione, quindi, porta avanti in modo coerente questa politica, soprattutto tenendo conto del fatto che, per quanto riguarda i regimi pensionistici complementari, c'è un vuoto normativo che va colmato, considerata la crescente importanza di tali sistemi previdenziali per garantire il mantenimento dello stesso standard di vita nella terza età.

4.11

Le azioni intese a ridurre gli ostacoli alla mobilità giungono al momento opportuno in quanto la Commissione europea ha proclamato il 2006 Anno europeo della mobilità dei lavoratori.

4.12

I regimi pensionistici complementari variano a seconda degli Stati membri e, pertanto, è logico che solo un quadro europeo potrà consentire un graduale ravvicinamento dei diversi sistemi per facilitare il passaggio da un sistema all'altro.

4.13

Se questo è lo scenario a livello europeo, ai fini di un'omogeneità delle condizioni di vita e di lavoro non sarebbe molto utile armonizzare le disposizioni applicabili in caso di mobilità transfrontaliera, senza prendere in considerazione nel contempo gli spostamenti all'interno di uno Stato membro. È quindi opportuno seguire l'approccio della Commissione, che consiste nel ridurre gli ostacoli alla mobilità dei lavoratori sia a livello transfrontaliero che all'interno di uno Stato membro.

4.14

Tuttavia la proposta di direttiva non affronta una questione fondamentale, ossia quella del ravvicinamento delle norme relative alla tassazione dei regimi pensionistici complementari. Eppure, in questo settore, un trattamento fiscale diverso a seconda degli Stati membri rappresenta un ostacolo fondamentale alla mobilità dei lavoratori, che in questo modo rischiano la doppia imposizione (sui contributi e sulle prestazioni pensionistiche). Tale scelta è dovuta al fatto che l'inserimento della questione della tassazione richiederebbe l'approvazione unanime del Consiglio, con il conseguente rischio di un blocco della direttiva. La Commissione ha cercato pertanto di affrontare il tema della tassazione mediante la sua comunicazione del 19 aprile 2001 e sta avviando delle procedure d'infrazione nei confronti di una serie di Stati membri. Il Comitato ritiene che, senza questa azione da parte della Commissione, non sarà possibile conseguire l'obiettivo del miglioramento della trasferibilità dei diritti a pensione.

5.   Osservazioni relative alle singole disposizioni della direttiva

5.1

Tutto lascia supporre che la lunghezza dei periodi d'attesa e del periodo di affiliazione necessario per poter acquisire diritti a pensione e l'età minima di accesso ai regimi pensionistici complementari possano effettivamente influenzare in modo negativo la decisione di cambiare posto di lavoro.

L'approccio adottato dalla Commissione, che è inteso a ridurre sia i periodi di attesa sia l'età di accesso e i periodi di iscrizione necessari, va pertanto nella direzione giusta. Le misure proposte potrebbero quindi forse essere considerate un primo passo verso l'obiettivo della rimozione completa di questi ostacoli all'accesso ai regimi previdenziali.

5.2

Vanno tuttavia considerate anche le conseguenze che le disposizioni proposte potrebbero avere soprattutto per i regimi pensionistici integrativi volontari finanziati dal datore di lavoro. Bisogna infatti tener conto anche del timore che tali misure possano comportare un più elevato onere finanziario, che potrebbe compromettere la volontà del datore di lavoro di mantenere tali sistemi.

5.3

Tuttavia, i regimi discrezionali finanziati dal datore di lavoro sono anche un importante strumento della politica delle risorse umane. Nell'ottica della competizione per attirare i migliori cervelli, anche alla luce dei mutamenti demografici e della crescente necessità di manodopera specializzata, i datori di lavoro potrebbero sicuramente avere interesse ad offrire un tale tipo di copertura già in una fase precoce e dopo un breve periodo di attività. Inoltre, il regime previdenziale complementare è solo uno degli strumenti della politica delle risorse umane, e in esso predomina la prestazione a carattere previdenziale. D'altro canto, la maggiore lunghezza dei tempi di attesa e dei periodi di iscrizione necessari ricompensa la fedeltà del lavoratore al luogo di lavoro e innalza quindi la durata della sua permanenza presso tale azienda.

5.4

Nel complesso va considerato anche che il rapporto tra i regimi pensionistici complementari finanziati (unicamente) dal datore di lavoro e quelli finanziati dal lavoratore mediante contributi varia a seconda degli Stati membri. Per tener conto di queste differenze si potrebbe forse prevedere la possibilità per gli Stati membri di operare una differenziazione in base alla modalità di finanziamento dei diversi regimi.

5.5

Va evidenziato chiaramente l'intento della Commissione di ridurre gli ostacoli alla concorrenza per le imprese che intendono aprire succursali in altri Stati membri. I lunghi tempi necessari per acquisire i diritti a pensione e l'elevata età di accesso ai regimi previdenziali legano infatti il personale ad una determinata azienda, ostacolando così la mobilità.

5.6

La Commissione tiene conto del resto dell'esigenza di un progressivo adeguamento prevedendo la possibilità di avvalersi di una proroga dei termini fissati per l'attuazione delle norme sui periodi di iscrizione necessari per acquisire diritti trasferibili.

5.7

Per quanto riguarda i diritti a pensione in sospeso, non si può negare che l'obbligo di adeguamento potrebbe fare aumentare gli oneri finanziari inerenti ai sistemi pensionistici complementari.

D'altro canto, però, questo dipende in primo luogo dal tipo di impegno assunto dal datore di lavoro. Se si tratta di regimi a contribuzione definita, l'adeguamento dei diritti a pensione in sospeso non ha molto senso, in quanto il valore del capitale maturato dipende dall'evoluzione dei mercati finanziari e dei rendimenti. L'adeguamento potrebbe però eventualmente incidere in modo negativo quando si tratti di regimi a prestazione definita, poiché in questo caso è cessato il versamento di contributi.

5.8

Se si considera la funzione delle pensioni complementari, che consiste nell'integrare opportunamente i diritti derivanti dai regimi obbligatori, un adeguamento sembra però necessario. L'attuale testo della direttiva, tuttavia, è poco vincolante quanto all'obbligo per gli Stati membri di adottare misure in tal senso, e anche gli esempi di cui al settimo considerando sono delle semplici proposte. Ci si chiede inoltre se la valutazione della fedeltà all'azienda quale criterio per un adeguamento differenziato e l'obbligo di adeguare il capitale in caso di restituzione e non i diritti acquisiti siano in linea con la concezione della Commissione di un adeguamento «equo».

5.9

La possibilità di non trasferire, bensì di procedere al pagamento del controvalore dei diritti acquisiti inferiori ad una determinata soglia da stabilire in base alle prassi nazionali sembra pertinente.

5.10

Tuttavia, la decisione di rimborsare o di mantenere i diritti acquisiti deve spettare unicamente ai sistemi pensionistici complementari. Anche dei diritti a pensione che in virtù delle disposizioni generali sono considerati modesti, possono però essere molto interessanti per il singolo lavoratore come fonte di reddito complementare e regolare nella terza età. Un eventuale rimborso contro la volontà dell'interessato potrebbe quindi eventualmente dissuaderlo dal cambiare datore di lavoro.

5.11

Il Comitato appoggia gli obiettivi della proposta della Commissione in merito alla trasferibilità dei diritti a pensione complementare. Si compiace in particolare del fatto che la Commissione non si limiti a presentare esclusivamente delle proposte per migliorare la trasferibilità della posizione individuale, ma si sforzi di ridurre, mediante un approccio globale, gli ostacoli alla mobilità inerenti ai regimi pensionistici complementari.

5.12

Per quanto riguarda le disposizioni relative al trasferimento dei diritti va sottolineato un aspetto particolarmente positivo, e cioè che secondo la Commissione esso non deve penalizzare i lavoratori sul piano finanziario. Ciò risponde all'obiettivo perseguito dalla direttiva. Un lavoratore, infatti, in caso di dubbio, opterà per il trasferimento e quindi per la mobilità professionale solo se il trasferimento può avvenire senza conseguenze negative sul piano finanziario.

5.13

Anche per quanto riguarda il miglioramento degli obblighi di informazione va notato che le proposte concrete possono contribuire a realizzare l'obiettivo della direttiva, anche se si deve tener conto del fatto che tali obblighi devono essere commisurati alle possibilità concrete, soprattutto nel caso delle imprese più piccole.

5.14

Si può tuttavia sollevare un'obiezione sul fatto che l'articolo 6, paragrafo 1, in combinato disposto con la definizione di cui all'articolo 3, lettera f), potrebbe far pensare che solo i lavoratori che cambiano posto di lavoro volontariamente abbiano diritto al trasferimento dei diritti a pensione complementare. In questo modo, però, si penalizzerebbero notevolmente i lavoratori che vengono licenziati. Sembra pertanto opportuno, anche alla luce dell'obiettivo imprescindibile di ovviare alla povertà delle persone anziane, far rientrare nel campo di applicazione dell'articolo 6, paragrafo 1, tutte le forme di cambiamento di datore di lavoro.

5.15

Inoltre, il fatto che determinati regimi pensionistici complementari possano essere esclusi per principio dalle disposizioni applicate in materia di trasferibilità potrebbe risultare in contrasto con l'obiettivo fondamentale della direttiva. È vero che gli Stati membri sono tenuti a comunicare alla Commissione le misure adottate per tener conto anche di tali regimi, ma, considerate le discussioni in corso da molti anni e l'assoluta necessità di creare un secondo pilastro stabile per le pensioni di anzianità, tali disposizioni appaiono insufficienti. D'altro canto, però, considerate le disparità fra i regimi in vigore negli Stati membri, le proposte della Commissione potranno essere accolte favorevolmente solo se saranno previsti periodi transitori adeguati. Si potrebbero pertanto inserire nel testo della direttiva scadenze e obiettivi concreti.

Bruxelles, 20 aprile 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Qui di seguito si riporta l'emendamento che, pur essendo stato respinto durante il dibattito, ha ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi.

Punto 4.10.1

Dopo il punto 4.10 aggiungere un nuovo punto 4.10.1:

4.10.1   La proposta di basare la direttiva sul trasferimento del capitale pensionistico in caso di cambio di posto di lavoro non sempre è giustificata. Sarebbe più ragionevole prevedere la possibilità di cumulare i diritti a pensione acquisiti, come è previsto dal regolamento (CEE) n. 1408/71 per i regimi pensionistici generali.

Motivazione

Può risultare vantaggioso sul piano pratico applicare gli stessi principi per il ravvicinamento dei diversi sistemi pensionistici generali e dei sistemi integrativi.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 49

Voti contrari: 54

Astensioni: 19


8.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 185/42


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l'Anno europeo del dialogo interculturale (2008)

COM(2005) 467 def. — 2005/0203 (COD)

(2006/C 185/09)

Il Consiglio, in data 16 novembre 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 20 marzo 2006, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice Ágnes CSER.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 20 aprile 2006, nel corso della 426a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 79 voti favorevoli, 39 voti contrari e 10 astensioni.

1.   Sintesi della proposta di decisione

La Commissione europea ha presentato una proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio (COM(2005) 467 def.) riguardante l'Anno europeo del dialogo interculturale 2008.

Detta proposta si iscrive nella strategia del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione che, grazie all'introduzione dell'Anno europeo, fa del riconoscimento e dell'attuazione dei diritti umani una questione di livello comunitario, allo scopo di realizzare i principali obiettivi della strategia comune, e promuove inoltre la cooperazione nazionale, regionale e locale, favorendo così la creazione di una cittadinanza europea.

Il dialogo interculturale va inteso come uno strumento che facilita l'attuazione di una serie di priorità strategiche dell'Unione. Alle cooperazioni nazionali, regionali e locali, si affianca un sostegno al dialogo tra i differenti gruppi sociali, economici e professionali, come pure tra i singoli individui nell'intera Unione nonché, conformemente alla politica comunitaria di vicinato, in paesi terzi.

1.1   Obiettivi generali della proposta

Gli obiettivi generali della proposta sono i seguenti:

promuovere il dialogo interculturale come strumento in grado di aiutare i cittadini europei e quanti vivono nell'Unione europea in modo permanente o temporaneo ad acquisire le conoscenze, le qualifiche e le attitudini che permetteranno loro di adattarsi ad un ambiente più aperto ma anche più complesso e di venire a capo delle difficoltà che possono presentarsi per sfruttare le occasioni offerte da una società pluralistica e dinamica, in Europa e nel mondo intero,

sensibilizzare i cittadini europei e quanti vivono nell'Unione europea all'importanza di sviluppare una cittadinanza europea attiva e aperta sul mondo, rispettosa della diversità culturale e fondata sui valori comuni dell'Unione europea di rispetto della dignità umana, libertà, uguaglianza, non discriminazione e solidarietà, sui principi della democrazia e dello Stato di diritto e sul rispetto dei diritti dell'uomo, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze.

1.2   Obiettivi specifici della proposta

Il dialogo interculturale previsto dalla proposta contribuirebbe al raggiungimento dei seguenti obiettivi specifici:

rendere più visibili i programmi e le azioni della Comunità che contribuiscono al dialogo interculturale,

mettere in evidenza il contributo delle differenti culture al nostro patrimonio e ai nostri stili di vita; aiutare i cittadini europei e quanti vivono nell'Unione europea, in particolare i giovani, a riconoscere l'importanza di dotarsi di strumenti che favoriscano l'emergere, attraverso il dialogo interculturale, di una cittadinanza europea attiva e aperta sul mondo, rispettosa della diversità culturale e fondata sui valori comuni dell'Unione europea,

contribuire all'innovazione e alla dimensione orizzontale e transettoriale delle iniziative miranti a promuovere il dialogo interculturale, in particolare tra i giovani.

2.   Osservazioni generali

2.1

Il CESE si compiace del fatto che ai fini della proposta la nozione di «cittadinanza attiva» non si applichi ai soli cittadini dell'Unione europea come definiti nell'articolo 17 del Trattato sull'Unione europea, ma venga estesa ad ogni persona che vive in modo permanente o temporaneo nell'Unione europea.

2.2

Accoglie con favore il proposito di rafforzare, anche mediante il dialogo interculturale, la cooperazione con paesi terzi.

2.3

Constata con soddisfazione che il dialogo interculturale è considerato uno strumento di cooperazione che rafforza la stabilità e la democrazia non soltanto all'interno dell'Unione ma anche, attraverso una relazione di partnership, al di fuori di essa.

2.4

Si compiace del fatto che la proposta avvii e rafforzi anche l'armonizzazione e il coordinamento delle azioni e dei programmi che attuano le strategie comuni delle istituzioni europee; infatti l'attività e la collaborazione a livello comunitario, nazionale, regionale e locale delle varie istituzioni sono caratterizzate, a causa delle differenze culturali, dalla mancanza di unità, da divergenze e da differenze in termini di efficienza e di risultati. Se le culture europee mantenessero realmente tra loro un dialogo continuo ed esprimessero in tale contesto le proprie identità, sarebbero in grado di migliorare e di rilanciare il funzionamento, i risultati e l'efficienza delle differenti istituzioni comunitarie, nazionali, regionali e locali.

2.5

Il Comitato constata con soddisfazione che, grazie all'istruzione, all'innovazione, alle pari opportunità per tutti, al sostegno del dialogo interculturale da parte della Comunità e al coordinamento di tale dialogo a livello nazionale, diviene possibile per tutti non solo conoscere, ma anche utilizzare e vivere il patrimonio culturale europeo.

2.6

Si compiace del fatto che nel corso dell'Anno del dialogo interculturale la collaborazione tra Stati membri contribuirà alla realizzazione degli obiettivi comunitari; accoglie quindi con favore la designazione del 2008 in quanto Anno europeo del dialogo interculturale.

2.7

Il CESE propone che l'Anno del dialogo interculturale venga utilizzato per garantire che le differenze, le disuguaglianze, le contraddizioni e i conflitti che sembrano dipendere da cause economiche, sociali, ambientali e politiche non vengano visti solamente in termini etnici o culturali; bisognerebbe piuttosto familiarizzarsi con le nostre differenze culturali e accettarle e, utilizzando il dialogo interculturale come strumento, evitare i conflitti grazie all'individuazione delle loro cause.

2.8

Per questo motivo, e conformemente al parere e al supplemento di parere in merito alla dimensione sociale della cultura, il CESE insiste «… affinché l'Unione europea diventi uno spazio di autoriflessione e di scambio tra le politiche culturali di ogni Stato membro: uno spazio propizio ad una nuova riflessione culturale sulla cultura. La preparazione dell'Anno del dialogo interculturale (2008) dovrebbe essere l'occasione per la Commissione di presentare una relazione molto particolareggiata sulla vera ampiezza di tale dialogo, sugli ostacoli nuovi o persistenti che si frappongono al suo svolgimento e sulle nuove ipotesi che potrebbero essere formulate in vista di un suo reale approfondimento. Il Comitato è pronto a contribuire all'elaborazione di tale relazione, in particolare affrontando il tema della dimensione sociale della cultura» (1).

3.   Osservazioni specifiche

3.1

Il CESE, quale organo consultivo del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione europea ha creato, grazie alla sua composizione, un legame particolare tra le culture europee. I suoi membri sono infatti dei veri europei perché nella redazione dei pareri tengono conto, con equilibrio, dell'interesse delle diverse parti sociali e delle rispettive culture e pervengono così a decisioni consensuali nell'interesse dei cittadini europei (2).

3.2

Con la loro attiva collaborazione e le attività svolte a livello non soltanto comunitario, ma anche nazionale, regionale e locale, i membri del CESE rappresentano, promuovono e concretizzano nella società civile il dialogo interculturale.

3.3

Il Comitato richiama l'attenzione del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione sul fatto che la proposta non menziona esplicitamente il rispetto delle culture e delle differenze dei paesi terzi, infatti nel definire gli obiettivi della proposta, la Commissione fa riferimento all'articolo 151 del Trattato CE (obbligo di considerazione reciproca degli Stati membri). Nonostante si debba escludere ogni intervento normativo da parte della Comunità europea, la Commissione e le altre istituzioni dovrebbero invitare gli Stati membri a promuovere il rispetto per la diversità culturale e a favorire un dialogo pacifico fra le diverse culture.

3.4

Il nostro periodo è purtroppo sempre più caratterizzato da tensioni che scaturiscono dai conflitti in atto tra le differenti culture e religioni, e la cui comparsa solleva l'interrogativo se non sia necessario per l'Unione europea menzionare nei Trattati il rispetto reciproco delle diverse culture. Questi conflitti e queste tensioni evidenziano la necessità, per l'Unione, di porsi con coerenza l'obiettivo del rispetto reciproco delle diverse culture. In questo periodo segnato da conflitti interculturali e dalla crisi della coscienza europea, la promozione dei valori culturali europei può costituire un segnale di ottimismo e fiducia per l'avvenire dell'Unione. L'UE dovrebbe pertanto impegnarsi a sviluppare il dialogo culturale e religioso con altre nazioni, ad esempio attraverso la promozione del turismo culturale (3).

3.5

Il fondamento del dialogo interculturale deve quindi consistere essenzialmente nel promuovere il rispetto delle differenti culture, consuetudini e tradizioni di tutti coloro che vivono in Europa.

3.6

La crescente mobilità dei cittadini dell'UE e il numero sempre più rilevante di lavoratori migranti, spesso seguiti dalle relative famiglie o da parenti, suggeriscono un'azione mirata per la promozione del rispetto di culture e tradizioni diverse da quelle affermatesi in Europa: tale compito dovrebbe essere svolto dalle istituzioni europee e dagli Stati membri, nel quadro delle loro funzioni di coordinamento.

3.7

Sulla base dei documenti dell'Unesco menzionati più sopra, il CESE raccomanda di potenziare l'Osservatorio europeo dei fenomeni di razzismo e xenofobia, rendendolo un organo di coordinamento a livello comunitario, per facilitare l'integrazione culturale delle decine di milioni di cittadini immigranti, nell'interesse della conoscenza e del rispetto reciproci delle differenti culture.

3.8

Il Comitato si rammarica del fatto che la proposta non menzioni, tra gli strumenti volti a realizzare i suoi obiettivi, l'introduzione di un mezzo di comunicazione di livello comunitario, per esempio un canale televisivo o radiofonico, che trasmetta in tutte le lingue dei cittadini europei. Tuttavia nel frattempo la Commissione ha elaborato un Libro bianco sulla politica della comunicazione dell'UE, che fa seguito al Piano di azione in materia di comunicazione e al Piano D per la democrazia, il dialogo e il dibattito. Ognuno di questi documenti assegna un ruolo centrale al dialogo con i cittadini europei. I soli mezzi di comunicazione privati, siano essi elettronici o stampati, non saranno sufficienti ad attuare gli obiettivi comunitari.

3.9

Pur riconoscendo l'utilità degli Anni europei, il Comitato ha già espresso in vari pareri la propria preoccupazione in merito al finanziamento dei relativi progetti, al perseguimento degli obiettivi e alla questione della loro equilibrata attuazione (4).

La stessa iniziativa degli Anni europei richiede d'altronde una valutazione dei mezzi impiegati per attirare e mantenere viva l'attenzione del pubblico e al tempo stesso creare e preservare l'equilibrio tra le varie considerazioni relative alla sostenibilità. È infatti impossibile monitorare l'avviamento e il successivo avanzamento di programmi organizzati per un solo anno; l'erogazione dei fondi necessari non è garantita negli anni successivi e sussistono inoltre degli squilibri nell'attuazione degli obiettivi. Viene quindi da chiedersi come possano gli obiettivi della proposta, definiti per un solo anno, garantire a tutti i cittadini e alle istituzioni il riconoscimento e l'accettazione reciproca delle loro culture.

3.10

Non vi è dubbio che un programma annuale non è sufficiente per realizzare gli obiettivi dell'Anno delle pari opportunità per tutti, quelli dell'Anno del dialogo interculturale, o quelli relativi alla cittadinanza attiva e alla democrazia partecipativa, definiti nella strategia di comunicazione della Commissione europea. Servono quindi un programma e un finanziamento coordinati, per fare in modo che gli obiettivi vengano realizzati più a lungo termine o in via permanente.

3.11

Il Comitato esprime dubbi circa la possibilità di realizzare, con le risorse finanziarie che sono state proposte, i più importanti tra gli obiettivi formulati. La maggior parte di tali risorse è destinata al sostegno delle attività comunitarie, il che induce a chiedersi se le otto manifestazioni previste non siano sproporzionate rispetto all'attuazione degli obiettivi stabiliti. Lo stesso vale per il sostegno alle iniziative locali dei cittadini.

3.12

Il Comitato propone che la Commissione elabori degli indicatori non soltanto quantitativi, ma anche qualitativi, allo scopo di valutare l'attuazione degli obiettivi dell'Anno tenendo conto della multiformità del dialogo interculturale. Si impegna a partecipare a tale lavoro in quanto rappresentante della società civile.

3.13

Raccomanda che venga elaborata, sulla base degli eventi e delle azioni dell'Anno europeo 2008, un'enciclopedia della cultura europea e, sulla base di questa, un manuale delle culture europee, che potrebbe diventare il documento di base per lo sviluppo della cittadinanza europea. La raccolta delle migliori pratiche e il manuale sarebbero indispensabili ai fini dell'integrazione dei lavoratori migranti e delle loro famiglie.

4.   Promozione dei diversi usi, costumi e culture

4.1

Il Comitato sostiene la dichiarazione universale dell'Unesco, secondo cui la ricchezza culturale del mondo è la sua diversità nel dialogo  (5) e gli obiettivi della Convenzione sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali  (6), tra i quali sottolinea in particolare quello volto a «… promuovere l'interculturalità per sviluppare l'interazione culturale allo scopo di costruire dei ponti tra le persone ...» .

4.2

Nel quadro degli obiettivi dell'Anno riveste particolare importanza uno dei principali valori del patrimonio culturale europeo, la rappresentazione dei sentimenti umani nelle varie forme di espressione dell'arte. Non si può far conoscere e far accettare le differenti culture se manca la comprensione, l'accettazione e il recepimento dei sentimenti e dei valori dell'altro. Dal momento che i giovani sono destinatari di primaria importanza, è essenziale aver cura di un sano sviluppo emozionale e a tal fine bisogna promuovere iniziative volte a favorire lo sviluppo di una coscienza multiculturale.

4.3

Il Comitato valuta inoltre positivamente l'idea di istituire anche una giornata per il dialogo interculturale, la cui data potrebbe coincidere con quella già definita dall'Unesco per la Giornata dello sviluppo culturale, ovvero il 21 maggio. Durante tale giornata potrebbe essere assegnato, dalle istituzioni europee, un premio simbolico agli istituti di insegnamento e alle organizzazioni della società civile che si sono distinti nell'avvio e nella realizzazione del dialogo interculturale. Tale giornata offrirebbe inoltre un'occasione per manifestazioni celebrative.

4.4

Il coinvolgimento delle organizzazioni della società civile, degli istituti di insegnamento e dei cittadini europei riveste un'importanza fondamentale nella promozione del dialogo interculturale. Per tale motivo, il Comitato valuterebbe molto positivamente l'istituzione di un premio, anche solamente simbolico (come potrebbe essere il permesso di utilizzare il logo relativo alla giornata del dialogo interculturale) da assegnare ai cittadini europei, alle organizzazioni della società civile e agli istituti di istruzione che meglio hanno promosso il dialogo fra le culture attraverso iniziative volte a far comprendere ai giovani l'importanza del rispetto delle tradizioni e dei valori di chi li circonda, non soltanto a livello locale, regionale e nazionale, ma anche a livello comunitario.

4.5

Il Comitato è d'accordo con la Commissione e con il Parlamento europeo nel ritenere che siano proprio i giovani i principali interessati dall'iniziativa di promozione del dialogo interculturale, tuttavia chiede alle istituzioni europee di non dimenticare di coinvolgere anche le fasce d'età più mature.

5.   Coordinamento con gli altri programmi

5.1

Perché gli obiettivi stabiliti nella proposta siano attuati più efficacemente, il Comitato richiama l'attenzione sull'opportunità di armonizzarli e uniformarli con gli obiettivi e lo strumentario relativi all'Anno europeo delle pari opportunità per tutti (2007) e al Piano D per la democrazia, il dialogo e il dibattito.

5.2

Considerando che le iniziative, lanciate dai diversi Stati membri, per promuovere il dialogo interculturale sono molteplici, il Comitato ritiene opportuno suggerire alle istituzioni europee di creare un organo di coordinamento che si occupi di armonizzarle, promuoverle e diffonderle.

5.3

Alcune iniziative interculturali di successo sono sicuramente: il Programma Leonardo, che promuove la dimensione europea nella formazione sostenendo lo sviluppo di iniziative innovatrici in questo ambito e favorisce progetti in un contesto di partnership internazionale (7), la Fondazione Anna Lindh (8) e Euromedcafe (9) per quanto riguarda invece la promozione del dialogo fra i paesi europei e quelli del Mediterraneo ecc.

5.4

La proposta, pur tenendo conto della globalizzazione in atto nella vita economica, tenta di promuovere l'armonia e di coordinare la molteplicità culturale, con l'intendimento di creare in tal modo valore aggiunto ed energia necessari per raggiungere gli obiettivi della strategia di Lisbona rinnovata.

5.5

Il Comitato desidera collaborare con le ONG nelle seguenti attività:

dare continuità al dialogo interculturale,

celebrare insieme il venticinquesimo anniversario (novembre 2006) della Dichiarazione dell'ONU sull'eliminazione di tutte le forme di intolleranza e discriminazione fondate sulla religione o sulla fede,

effettuare una valutazione dell'Anno 2008.

Su questa base presenterà una proposta in un suo parere d'iniziativa.

Bruxelles, 20 aprile 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Parere CESE del 15.3.2006 sul tema La dimensione sociale della cultura, relatore: LE SCORNET (SOC/191).

(2)  Programma di lavoro della Presidente del CESE Anne-Marie Sigmund per il mandato 2004-2006 e relativo al bilancio di metà mandato.

(3)  Concetto già espresso dal CESE nel parere del 15.3.2006 sul tema Turismo e cultura: due forze al servizio della crescita, relatore: PESCI.

(4)  Parere del CESE del 14.2.2006 in merito all'Anno europeo dei disabili, relatrice: Gunta ANCA (GU C 88 dell'11.4.2006).

(5)  Unesco - Dichiarazione universale sulla diversità culturale, adottata nella 31a sessione della Conferenza generale (Parigi, 2.11.2001).

(6)  Adottata dalla Conferenza generale dell'Unesco nell'ottobre 2005.

(7)  Fra le iniziative in corso con paesi extraeuropei si ricordano: Bando Thswane University of Technology (Sud Africa), Bando West Virginia (USA), GE4 Student Exchange in Engineering (USA, America Latina e Asia), ecc.

(8)  La Fondazione Anna Lindh, creata con lo scopo di promuovere la conoscenza ed il mutuo rispetto dei popoli europei e di quelli che abitano l'area del Mediterraneo, si inserisce nel piano d'azione del processo di Barcellona.

(9)  Euromedcafe è un sito Internet creato dalla Fondazione Laboratorio Mediterraneo con lo scopo di rinnovare e ridinamizzare il dialogo e lo scambio tra i popoli europei e mediterranei.


8.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 185/46


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — La situazione dei disabili nell'Unione europea allargata: il piano d'azione europeo 2006-2007

COM(2005) 604 def.

(2006/C 185/10)

La Commissione europea, in data 28 novembre 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 20 marzo 2006, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice GREIF.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 20 aprile 2006, nel corso della 426a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 55 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato esprime il proprio appoggio alle iniziative proposte dalla Commissione nel piano d'azione a favore delle persone disabili (PAD) 2006-2007.

1.2

Il Comitato ritiene che nel periodo coperto dal PAD la verifica dell'applicazione della direttiva per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro meriti ancora un'attenzione prioritaria.

1.3

Esso invita la Commissione a proporre una direttiva sui disabili una volta completato lo studio di fattibilità sull'eventuale elaborazione di una normativa contro la discriminazione a livello europeo.

1.4

L'evidente mancanza di azioni concrete all'interno della strategia europea per l'occupazione (SEO) è un chiaro segnale dell'impegno insufficiente dell'Unione europea in questo senso. La SEO è stata un importante banco di prova dell'impegno dell'Unione e degli Stati membri alla realizzazione del PAD. Si è tuttavia assistito a un fallimento generale su questo fronte. La revisione degli obiettivi della SEO è intesa a favorire l'integrazione (mainstreaming) della disabilità negli orientamenti europei sull'occupazione e nei programmi di riforma nazionali.

1.5

L'Unione, da parte sua, deve impegnarsi a favorire l'integrazione della disabilità nei seguenti ambiti:

i fondi strutturali, garantendo che l'attuale regolamentazione, gli orientamenti strategici e i programmi operativi applichino i principi della non discriminazione dei disabili e dell'accessibilità,

il Settimo programma quadro, assicurando la realizzazione di progetti di ricerca in settori quali la «progettazione per tutti», le tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC), l'autonomia dei disabili, ecc.,

i trasporti, promovendo l'accesso dei passeggeri ai servizi di trasporto ferroviario, marittimo e stradale internazionale.

1.6

Il Comitato lamenta la mancanza di interesse per gli sforzi intrapresi dagli Stati membri allo scopo di integrare la disabilità nelle politiche nazionali. La forza del PAD risiede infatti proprio nell'interesse degli Stati membri ad adottarne i principi.

1.7

Il Comitato incoraggia le istituzioni europee ad adottare gli obiettivi del PAD a livello europeo. Le iniziative di sensibilizzazione e di promozione della comunicazione interna dovrebbero incrementare la visibilità dell'handicap nel processo di elaborazione delle politiche europee.

1.8

Le organizzazioni a livello europeo, come il Forum europeo delle persone disabili ed altre organizzazioni non governative (ONG) che rappresentano tali categorie, dovrebbero proseguire le loro attività con il sostegno del nuovo programma Progress.

1.9

In una prospettiva futura, il Comitato esorta la Commissione a prestare attenzione ai seguenti aspetti specifici:

importanza fondamentale del concetto di vita autonoma e del diritto del disabile a non essere segregato in un istituto o escluso dalla società: l'accesso all'informazione, la mobilità, l'alloggio, l'ambiente edificato e soprattutto l'assistenza personale sono tutti elementi essenziali perché il disabile possa condurre una vita autonoma e, in questo senso, la revisione del sistema di protezione sociale costituisce una delle priorità principali (1),

importanza fondamentale della partecipazione politica attiva del disabile all'interno della società: il disabile dovrebbe, secondo il principio delle pari opportunità, poter esercitare il diritto di partecipare attivamente ai processi decisionali e all'elaborazione, verifica, valutazione, ecc., delle politiche tramite le ONG e le reti che lo rappresentano. Il ruolo delle ONG attive nel settore della disabilità dovrebbe essere rafforzato a livello nazionale e comunitario e, accanto alle associazioni più forti, dovrebbe essere garantito un posto anche a quelle minori e dotate di meno mezzi,

in futuro andrebbero inoltre affrontati aspetti che esulano dall'occupazione, quali l'istruzione, la cultura, le attività del tempo libero, ecc.,

particolare attenzione andrebbe riservata all'impatto di fenomeni come la discriminazione multipla, le differenze culturali, la povertà, ecc., che, se analizzati in modo appropriato, potrebbero mettere in maggior risalto l'esistenza, tra le persone con disabilità, di categorie fino ad oggi «invisibili»,

un posto di lavoro adeguato alle esigenze del disabile (grazie, tra l'altro, alle tecnologie sussidiarie e alla formazione professionale personalizzata) e l'introduzione nelle aziende di un responsabile delle pari opportunità (il cosiddetto equality officer ) potrebbero favorire l'applicazione di un trattamento equo sul posto di lavoro,

merita infine un'attenzione particolare la sicurezza sul posto di lavoro con l'obiettivo di prevenire le disabilità.

2.   Introduzione

2.1

Il Comitato ha accolto con grande interesse la comunicazione della Commissione dal titolo Pari opportunità per le persone con disabilità: un piano d'azione europeo  (2).

2.2

Il piano d'azione europeo (3) adottato nel 2003 sotto forma di piano pluriennale per il periodo 2004-2010 mira ad inserire la tematica della disabilità in tutte le politiche comunitarie che interessano i disabili, nonché a sviluppare azioni concrete per favorire l'inserimento di questi ultimi nelle società europee.

2.2.1

La prima fase del PAD è stata imperniata sull'accesso dei disabili al mercato del lavoro, sul ricorso alle TIC e sull'accessibilità degli edifici pubblici.

2.2.2

La seconda fase è invece dedicata alla partecipazione attiva dei disabili alla società, all'accesso a servizi di sostegno, di assistenza e sanitari di qualità, alla promozione dell'accessibilità di beni e servizi e all'incremento della capacità d'analisi dell'Unione.

2.3

Il PAD prevede l'elaborazione di una relazione biennale sulla situazione delle persone con disabilità al fine di rivedere gli obiettivi e analizzare le condizioni dei disabili nel periodo di riferimento.

2.4

Il Comitato si rammarica che la relazione biennale si sia invece trasformata in una breve comunicazione contenente, nella prima parte, la relazione biennale propriamente detta per il periodo 2004-2005 e, nella seconda, il piano d'azione per la seconda fase (2006-2007).

2.4.1

Le informazioni fornite negli allegati alla comunicazione sono di notevole interesse per la valutazione. Il Comitato si duole tuttavia della limitatezza di queste informazioni, che non prendono in considerazione la totalità delle iniziative in corso nell'Unione. Gli Stati membri avrebbero dovuto fornire dati più esaustivi in risposta all'apposito questionario elaborato dalla Commissione.

2.4.2

Il Comitato deplora che le informazioni fornite in inglese negli allegati non siano state ancora tradotte in tutte le lingue ufficiali dell'Unione.

2.5

I disabili costituiscono il 10 % della popolazione, percentuale destinata a crescere con l'invecchiamento della società. L'Unione allargata conta pertanto oltre 50 milioni di disabili (4).

2.6

Essi costituiscono un gruppo composito ed eterogeneo, formato da individui di entrambi i sessi e di età diverse. Di questa eterogeneità bisognerebbe tener conto in ogni fase di elaborazione delle politiche in materia.

2.7

In numerose occasioni il Comitato ha manifestato il proprio fermo sostegno al pieno inserimento dei disabili. Esso ha altresì chiesto che venisse elaborata una direttiva specifica in materia (5).

2.8

Nel parere dedicato al PAD 2004-2006 (6) il Comitato ha formulato inoltre raccomandazioni specifiche, alcune delle quali sono state accolte, come riconosce lo stesso Comitato, mentre altre, purtroppo, ignorate; tra queste spicca la richiesta di una direttiva specifica sui disabili e l'integrazione della disabilità nella SEO.

2.9

Il Comitato intende analizzare il nuovo PAD alla luce dei negoziati attualmente in corso per una convenzione ONU sulla promozione e la protezione dei diritti e della dignità dei disabili (7).

3.   La situazione attuale

Linee generali

3.1

Il Comitato riconosce l'importanza degli obiettivi scelti per la seconda fase del PAD.

3.2

Esso ritiene che, nei diversi documenti in cui viene affrontata la tematica della disabilità, la Commissione dovrebbe adottare un approccio sociale, che favorisca l'utilizzo di un linguaggio più neutro e inclusivo nel più vasto settore della disabilità. Alcuni dei documenti redatti dalla Commissione sono tradotti dall'inglese in un linguaggio non perfettamente consono a un approccio sociale alla questione della disabilità.

3.3

Al pari della Commissione il Comitato nutre preoccupazione per la mancanza di dati statistici pertinenti in merito alle persone con disabilità. Occorre invece disporre di dati di questo tipo per sviluppare una politica in materia. Le attuali ricerche prendono in considerazione la popolazione attiva/occupata disabile e non la maggioranza dei disabili, che comprende persone ricoverate in istituto, minorenni, ecc.

3.4

Il Comitato nutre preoccupazione per il divario esistente tra il tasso d'occupazione delle persone disabili e di quelle non disabili. Nel 2003 Eurostat confermava la scarsa presenza dei disabili nella forza lavoro: tra i soggetti di età compresa fra i 16 e i 64 anni esclusi dalla forza lavoro le persone affette da grave disabilità rappresentavano il 78 %, mentre quelle non affette da disabilità o da problemi di salute di lunga durata rappresentavano il 27 %. Anche tra i soggetti facenti parte della forza lavoro si registrava una situazione analoga: il tasso di disoccupazione dei disabili gravi risultava infatti essere quasi il doppio rispetto a quello dei non disabili. Solo il 16 % dei disabili che incontravano impedimenti nello svolgimento di un'attività lavorativa beneficiava di una qualche forma di assistenza (8).

3.5

Su taluni aspetti il Comitato tende a non concordare appieno con alcune delle motivazioni addotte dalla Commissione nella relazione per spiegare la percentuale di inattività dei disabili, che risulta doppia rispetto al resto della popolazione. Le cosiddette «trappole dell'assistenzialismo» (9) rappresentano una spiegazione parziale, che addossa tutte le responsabilità di questa situazione ai disabili.

3.5.1

Oltre alle statistiche negative, esistono anche ostacoli più complessi, come la reticenza dei datori di lavoro ad assumere persone con disabilità, l'inadeguatezza dei luoghi di lavoro, l'accesso non sempre agevole al mercato del lavoro, la mancanza di assistenza (sotto forma di assistenza personale o tecnologie sussidiarie) ai fini di una vita autonoma, la discriminazione in materia di trasporti, istruzione, accesso a beni e servizi, TIC, ecc. Benché il 43,7 % dei disabili interrogati ritenga che, con un'assistenza adeguata, potrebbe lavorare, in realtà solo il 15,9 % fruisce di tale assistenza (10).

3.5.2

Il Comitato ritiene perciò che una revisione dei sistemi di sicurezza sociale e delle strategie per l'occupazione dovrebbe tener conto delle tante ragioni che impediscono a un disabile di accedere al mercato del lavoro e di rimanervi (11).

3.6   Promuovere l'occupazione

3.6.1

Il Comitato rileva con compiacimento che la Commissione ha preso serie misure per verificare il recepimento e l'attuazione della direttiva che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (12). La verifica dovrebbe essere condotta in collaborazione con le parti sociali e le ONG più rappresentative. Il Comitato è convinto che la direttiva sull'occupazione, che vieta la discriminazione sul lavoro in base a vari fattori, tra cui la disabilità, costituisca un obbligo giuridico, e non un semplice diritto di contestazione, e che la Commissione abbia in questo senso un ruolo chiave da svolgere in quanto garante dell'applicazione della direttiva.

3.6.2

Il Comitato non condivide quanto dichiarato dalla Commissione in merito alla visibilità della disabilità nella SEO  (13). L'integrazione della disabilità nella SEO è stata alquanto limitata come conseguenza del fatto che i programmi nazionali di riforma hanno ignorato tale dimensione.

3.6.3

Il Comitato ha già espresso il proprio appoggio al regolamento della Commissione relativo all'applicazione degli articoli 87 e 88 del Trattato CE e agli aiuti di Stato a favore dell'occupazione  (14), nonché alle deroghe previste per gli aiuti di Stato a favore dell'inserimento dei disabili nel mercato del lavoro generale.

3.6.4

Il Comitato incoraggia con vigore le parti sociali a prendere ulteriori misure a favore dell'occupazione dei disabili. Nel 2004 esse hanno illustrato in una relazione le iniziative da esse adottate in questo campo (15).

3.6.5

Il Comitato appoggia inoltre le iniziative del Fondo sociale europeo (FSE) ai fini dell'inserimento dei disabili nel mercato del lavoro. L'iniziativa EQUAL ha anch'essa contribuito in modo significativo a promuovere le pari opportunità per i disabili. Il nuovo quadro del Fondo sociale europeo dovrebbe tener conto di alcuni principi trascurati dalla legislazione vigente, quali l'accessibilità e il concetto «progettazione per tutti», affinché questi trovino applicazione nei progetti da esso finanziati.

3.6.6

Il Comitato accoglie con favore il lancio da parte della Commissione di un programma d'azione comunitario per combattere le discriminazioni  (16).

3.6.7

Il Comitato ritiene che altre iniziative, come il vertice annuale ad alto livello sull'uguaglianza e l'Anno europeo delle pari opportunità per tutti (2007), vadano seguite da decisioni politiche o da strategie e normative significative.

3.6.8

Il Comitato si rammarica che le organizzazioni dei disabili a livello nazionale siano state in genere escluse dalla messa a punto dei programmi nazionali di riforma. Per perseguire meglio i propri obiettivi, l'Agenda di Lisbona riveduta dovrebbe rafforzare la partecipazione della società civile.

3.6.9

Il Comitato ritiene che il dialogo con la società civile — le parti sociali e le ONG interessate — a livello europeo e nazionale sia importante per garantire l'efficienza delle strategie dell'occupazione. Il coinvolgimento di rappresentanti delle ONG attive nel campo delle disabilità riveste un'importanza vitale.

3.7   Integrare i disabili nella società

3.7.1

Di recente il Comitato ha elaborato un parere in merito all'Anno europeo delle persone con disabilità, in cui invita la Commissione a valutare, nella prossima relazione biennale sulla situazione dei disabili, il seguito riservato agli impegni politici assunti in tale occasione e, in particolare, alle risoluzioni del Consiglio in materia di occupazione, istruzione, e- Accessibilità e cultura, nonché a formulare raccomandazioni per l'integrazione delle istanze dei disabili nel metodo di coordinamento aperto nel quadro della strategia di Lisbona  (17).

3.7.2

Il Comitato accoglie con favore le buone prassi adottate nel regolamento relativo ai diritti delle persone con mobilità ridotta nel trasporto aereo, dove i vantaggi del mainstreaming emergono con chiarezza.

3.7.3

Il Comitato accoglie con favore i risultati ottenuti in termini di accessibilità delle TIC alle persone con disabilità (18) e le iniziative adottate successivamente (19). Sarebbero inoltre possibili progressi anche nel settore delle telecomunicazioni, con l'introduzione di un quadro normativo, e in quello delle trasmissioni televisive.

3.7.4

A giudizio del Comitato i fondi strutturali europei costituiscono per l'Unione uno strumento per promuovere i principi comunitari; per questo motivo nella legislazione che disciplina i fondi e nella loro programmazione dovrebbero essere integrati gli aspetti della non discriminazione e dell'accessibilità. La disabilità dovrebbe infatti avere una dimensione trasversale.

3.7.5

Il Comitato esprime preoccupazione per i diversi livelli di tutela dei diritti dei disabili: la portata di questa tutela e i diritti dei singoli verrebbero pertanto a dipendere dal luogo di residenza.

3.7.6

Il Comitato è inoltre preoccupato del fatto che nella relazione sulla prima fase del PAD vengono trascurati o affrontati in modo insufficiente alcuni aspetti della discriminazione a danno dei disabili, quali l'impatto di tale discriminazione quando è legata a fattori diversi come il genere, la razza, l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, l'età o le tendenze sessuali (20), oppure il diritto del disabile a condurre una vita autonoma.

Il Comitato ritiene che la disabilità non sia l'unico fattore che determina la condizione del disabile, ma che anche altre circostanze possano incidere sulla sua qualità di vita.

4.   Il PAD 2006-2007

4.1

Per la seconda fase del PAD, la Commissione ha adottato una nuova serie di obiettivi. Il Comitato, da parte sua, nota con piacere che tali obiettivi tengono ancora una volta conto dei principali problemi riscontrati dai disabili.

4.2

Il Comitato non condivide l'affermazione secondo cui «gli aspetti della disabilità sono stati integrati con successo in alcuni settori, in particolare l'occupazione, le TIC e l'istruzione (e-Learning)». Ciò, infatti, è in contraddizione con alcune delle conclusioni formulate nelle relazioni congiunte sull'inclusione, in cui si riconosce che «i Piani d'azione nazionale (PAN) (…) evidenziano progressi in vari campi ma, sullo sfondo di una situazione economica quanto meno difficile, nessun miglioramento sostanziale della situazione. Essi denunciano nel riesame della strategia di Lisbona l'esistenza di un divario tra obiettivi comuni che gli Stati membri si impegnano a raggiungere e sforzo politico per coglierli» (21).

4.3

Il Comitato è dell'avviso che il gruppo di alto livello dell'Unione sulle persone disabili svolga un ruolo di spicco nell'attuazione del PAD e vada quindi potenziato; il gruppo dovrà quindi produrre in futuro raccomandazioni e risultati concreti da sottoporre all'adozione del Consiglio dell'Unione.

4.3.1

Il Comitato è estremamente favorevole al coinvolgimento del Forum europeo delle persone con disabilità e di altre organizzazioni europee che si occupano di handicap specifici nelle discussioni del gruppo di alto livello, in modo da garantire la partecipazione del movimento a favore dell'handicap all'elaborazione di politiche europee in materia.

4.4

Il Comitato nota con piacere che la Commissione si sta attivando per avviare una procedura di infrazione contro gli Stati membri che non hanno ancora recepito nel loro diritto interno la direttiva 2000/78/CE che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, o non le hanno ancora dato applicazione nelle forme dovute (22).

4.5   Priorità della seconda fase

4.5.1

La seconda fase del PAD è incentrata sull'inclusione attiva delle persone disabili e si basa sul concetto di disabilità del cittadino (23). Ciò significa che le persone disabili possono fruire della stessa libertà di scelta individuale e dello stesso controllo sulla propria vita quotidiana di cui godono le persone non disabili.

4.6   Incoraggiare l'attività professionale

4.6.1

Il Comitato ha già avuto modo di rilevare in un precedente parere che le persone con disabilità non sono menzionate nella strategia di Lisbona riveduta (24).

4.6.2

Il Comitato lancia allora il seguente monito: non è possibile incrementare il tasso di occupazione e di attività dei disabili se non si migliorano le condizioni di lavoro e non si combatte la discriminazione in settori come l'istruzione, i trasporti, le TIC, l'accesso a beni e servizi, ecc.

4.6.3

A giudizio del Comitato, la revisione degli obiettivi della SEO deve prevedere l'integrazione della disabilità nelle principali politiche comunitarie. In caso contrario, la tutela del disabile continuerà ad essere troppo limitata.

4.6.4

Se faranno proprio il principio della non discriminazione dei disabili e dell'accessibilità, i fondi strutturali europei forniranno un contributo significativo all'integrazione di questi ultimi. Il nuovo periodo di programmazione dei fondi strutturali deve impedire la creazione di barriere ambientali nelle nuove costruzioni, nonché promuovere un utilizzo dei fondi maggiormente improntato all'inclusione.

4.6.5

Il nuovo regolamento della Commissione in materia di esenzione per categoria relativo agli aiuti alla formazione e all'occupazione deve introdurre un sistema equo per incoraggiare l'accesso dei disabili al mercato del lavoro. Il nuovo esercizio di revisione dovrebbe semplificare le procedure, consentendo così ai datori di lavoro di accedere con maggiore facilità al sostegno destinato ai loro dipendenti disabili.

4.6.6

Le imprese dell'economia sociale possono fornire un prezioso contributo all'inserimento dei disabili nel mercato del lavoro.

4.7   Promuovere l'accesso a servizi di sostegno e di assistenza di qualità

4.7.1

Al pari della Commissione, il Comitato riconosce l'importanza di questo aspetto.

4.7.2

Il Comitato ritiene che qualunque azione volta a favorire le condizioni di vita dei disabili nelle società europee dovrebbe ispirarsi ai seguenti diritti fondamentali:

libertà di circolazione e diritto di soggiorno,

tutela della vita privata e familiare,

nessuno può essere privato arbitrariamente della propria libertà,

nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti,

diritto all'istruzione,

diritto alla salute, ivi compreso l'accesso all'informazione e ai servizi sanitari in generale e di salute riproduttiva in particolare,

nessuno può essere privato arbitrariamente dei propri beni.

4.7.3

Il Comitato accoglie pertanto con favore l'intenzione espressa dalla Commissione di continuare a sostenere la vita autonoma, la deistituzionalizzazione e il reinserimento dei disabili ricoverati in istituto.

4.7.3.1

Il Comitato esorta la Commissione a garantire la partecipazione attiva di tutti i diretti interessati, come gli enti pubblici nazionali, le organizzazioni che rappresentano i disabili e l'UE, al conseguimento dell'obiettivo della vita autonoma dei disabili.

4.7.3.2

Vivere autonomamente non significa soltanto vivere in società, ma esserne membro a pieno titolo, nonché partecipare appieno a tutti i suoi aspetti.

4.7.3.3

Il Comitato ritiene che ogni eventuale riforma dei servizi di assistenza dovrebbe essere finalizzata a favorire la vita autonoma delle persone con disabilità. Le nuove strategie in fatto di assistenza a lungo termine e di protezione sociale dovrebbero entrambe prevedere un obiettivo specifico costituito dalla deistituzionalizzazione e dallo sviluppo di servizi alternativi di comunità. Tra le alternative possibili figurano le seguenti iniziative: assistenza personale, tecnologie sussidiarie, servizi di sostegno, informazione, formazione personalizzata, coinvolgimento dei disabili nell'erogazione dell'assistenza a loro destinata, ecc.

4.7.4

Il Comitato sollecita il miglioramento degli standard minimi di qualità dei servizi destinati ai disabili, da realizzare in collaborazione con le organizzazioni che li rappresentano. Qualunque modello di servizi di sostegno e assistenza dovrebbe basarsi su qualità, continuità, accessibilità e sostenibilità finanziaria.

4.7.5

Il metodo di coordinamento aperto applicato alla salute dovrebbe tener conto anche delle esigenze dei disabili e dei loro diritti fondamentali di accedere ai servizi.

4.8   Promuovere l'accessibilità di beni e servizi

4.8.1

Il Comitato accoglie con favore il regolamento relativo ai diritti delle persone con mobilità ridotta nel trasporto aereo e si compiace delle iniziative adottate in materia di trasporto di passeggeri per ferrovia, su strada e via mare, nonché nel settore del turismo: queste iniziative consentiranno ai disabili di spostarsi più liberamente.

4.8.2

L'accesso alle nuove tecnologie è essenziale per poter colmare il divario digitale nelle società europee. L'Unione, da parte sua, dovrà garantire che i progetti realizzati nell'ambito del Settimo programma quadro di R&S promuovano la ricerca di nuove tecnologie, comprese quelle sussidiarie, nonché beni e servizi rispondenti al concetto della progettazione per tutti.

4.8.3

Il Comitato è dell'avviso che, nell'ambito dei negoziati attualmente in corso in merito alla direttiva sui servizi nel mercato interno, la questione dell'accesso ai beni e ai servizi nell'Unione vada affrontata tenendo conto delle esigenze dei consumatori con disabilità.

4.8.4

Il Comitato raccomanda alla Commissione di inserire nella futura comunicazione sui servizi sociali di interesse generale i principi della continuità, dell'accessibilità e degli standard di qualità europei, nonché della sostenibilità finanziaria.

4.9   Accrescere la capacità d'analisi dell'Unione

4.9.1

L'Unione deve essere in grado di valutare la situazione delle persone con disabilità.

4.9.2

Il Comitato ritiene che debbano essere forniti dati più affidabili e comparabili per quanto le riguarda. Tra le statistiche attualmente a disposizione dell'Unione figurano analisi basate sul genere e l'età. Per poter analizzare la situazione dei disabili ed elaborare una politica in materia, si dovrà disporre di statistiche più particolareggiate suddivise per singole voci.

4.9.3

Si dovranno inoltre condurre ricerche scientifiche che privilegino le esigenze espresse dagli stessi disabili, a cui associare un'analisi più approfondita della discriminazione multipla.

L'Anno europeo delle pari opportunità per tutti (2007) costituisce un'occasione unica per la Commissione di assumersi la responsabilità di equilibrare/armonizzare la tutela giuridica contro le discriminazioni a danno dei disabili su tutto il territorio dell'Unione e di prendere provvedimenti in caso di violazione.

Il Comitato nutre grandi aspettative per la prossima relazione biennale sul PAD attesa nel 2008.

Bruxelles, 20 aprile 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Numerose ONG affermano che l'assistenza personale dovrebbe quindi diventare un diritto del disabile, garantito tramite finanziamenti diretti: si tratta di una condizione essenziale per una svolta strutturale nella tutela dei diritti umani fondamentali.

(2)  COM(2003) 650 def.

(3)  Piano d'azione a favore delle persone disabili (PAD).

(4)  In base alla pubblicazione Eurostat Employment of Disabled People 2002,circa 44,6 milioni di persone di età compresa tra 16 e 64 anni; ovvero una su sei, pari al 15,7 % della popolazione complessiva dell'Unione in età lavorativa, afferma di avere un problema di salute di lunga durata o una disabilità.

(5)  Parere CESE del 14.2.2006 in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull'attuazione, i risultati e la valutazione globale dell'Anno europeo dei disabili 2003 (relatrice: ANCA, GU C 88 dell'11.4.2006).

Parere CESE del 25.2.2004 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Pari opportunità per le persone con disabilità - un piano d'azione europeo (relatore: CABRA De LUNA, GU C 110 del 30.4.2004).

Parere CESE del 26.3.2003 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo Verso uno strumento delle Nazioni Unite giuridicamente vincolante per la promozione e la tutela dei diritti e della dignità delle persone con disabilità (relatore: CABRA De LUNA, GU C 133 del 6.6.2003).

Parere d'iniziativa CESE del 17.7.2002 sul tema Integrare i disabili nella società (relatore: CABRA De LUNA, GU C 241 del 7.10.2002).

Parere CESE del 17.10.2001 in merito alla Proposta di decisione del Consiglio relativa all'Anno europeo delle persone con disabilità - 2003 (relatore: CABRA De LUNA, GU C 36 dell'8.2.2002).

(6)  Parere CESE del 25.2.2004 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Pari opportunità per le persone con disabilità - un piano d'azione europeo (relatore: CABRA De LUNA, GU C 110 del 30.4.2004).

(7)  International Convention on the Rights of Persons with Disabilities (documento di lavoro), ONU, New York, 2006.

(8)  Statistics in Focus, Theme 3: Employment of Disabled People in Europe 2002, Eurostat 26/2003.

(9)  Con questo termine si intendono presumibilmente le indennità sociali superiori a un'eventuale retribuzione e il rischio di perdere tali indennità se si intraprende un lavoro.

(10)  Statistics in Focus, Theme 3: Employment of Disabled people in Europe 2002, Eurostat 26/2003. Non si considerano in questo caso le disabilità collegate al lavoro.

(11)  Il 57 % delle persone con disabilità viene colpito dalla disabilità durante la sua vita attiva.

(12)  Direttiva 2000/78 del 27 novembre 2000.

(13)  Disability Mainstreaming in the European Employment Strategy (L'integrazione delle problematiche della disabilità nella strategia occupazionale europea), http://ec.europa.eu/comm/employment_social/disability/emco010705_en.pdf

(14)  Regolamento (CE) n. 2204/2002 della Commissione del 12 dicembre 2002.

(15)  Relazione sulle azioni delle parti sociali negli Stati membri per attuare gli orientamenti europei sull'occupazione, CEEP, UNICE/Ueapme e ETUC, 2004.

(16)  2000/750/CE: Decisione del Consiglio, del 27 novembre 2000, che istituisce un programma d'azione comunitario per combattere le discriminazioni (2001-2006).

(17)  Cfr. nota 3.

(18)  Comunicazione della Commissione e-Accessibilità, COM(2005) 425 def. del 13.9.2005.

(19)  Sono in corso le seguenti iniziative: armonizzazione nell'Unione, mediante una norma europea, delle prescrizioni in fatto di accessibilità per gli appalti pubblici nel settore delle TIC, orientamenti sull'accessibilità al contenuto del web, curriculum europeo in materia di «progettazione per tutti».

(20)  Cfr. articolo 13 del Trattato CE, in cui si elencano i vari motivi di discriminazione.

(21)  Comunicazione della Commissione Relazione congiunta sulla protezione sociale e sull'inclusione sociale 2006, COM(2006) 62 def.

(22)  Austria, Finlandia, Germania e Lussemburgo.

(23)  Come previsto all'articolo 26 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione che recita: «L'Unione riconosce e rispetta il diritto dei disabili di beneficiare di misure intese a garantirne l'autonomia, l'inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità».

(24)  Parere CESE del 14.2.2006 in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull'attuazione, i risultati e la valutazione globale dell'Anno europeo dei disabili 2003 (relatrice: Anca, GU C 88 dell'11.4.2006).


8.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 185/52


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione — Politica di coesione a sostegno della crescita e dell'occupazione: linee guida della strategia comunitaria per il periodo 2007-2013

COM(2005) 299 def. — SEC(2005) 904

(2006/C 185/11)

La Commissione europea, in data 5 luglio 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 marzo 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore VEVER.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 21 aprile 2006, nel corso della 426a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 47 voti favorevoli, nessun voto contrario e 1 astensione.

1.   Sintesi

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo deplora che le linee guida della strategia comunitaria in materia di coesione per il periodo 2007-2013 vengano presentate a un anno di distanza dalla pubblicazione delle proposte relative alla programmazione finanziaria e ai regolamenti dei fondi strutturali per lo stesso periodo. Avrebbero invece dovuto essere pubblicate contemporaneamente a queste ultime, se non prima. Nelle condizioni attuali esse vengono quindi ad essere più delle disposizioni complementari che delle vere e proprie linee guida, come avrebbero dovuto essere.

1.2

Questa sfasatura è tanto più deplorevole se si considera che l'esigenza di disporre di linee guida in questo settore si fa urgente di fronte alle molteplici e complesse sfide in materia di coesione per il periodo 2007-2013: accompagnare l'allargamento, consolidare l'euro e recuperare i ritardi accumulati dalla strategia di Lisbona, che deve far fronte all'accelerazione del processo di globalizzazione. In un contesto di crescita insufficiente, di grandi disparità tra gli Stati membri e di un bilancio comunitario troppo limitato, i punti di forza dell'Unione, che pur esistono, rimangono a uno stato potenziale, più che tradursi in atto (consolidamento del mercato unico allargato, infrastrutture per il futuro, riforme di aggiustamento).

1.3

Il CESE ritiene che non siano esplicitati i collegamenti tra le priorità delle linee guida e gli obiettivi dei fondi strutturali e che le condizioni di attuazione dovrebbero essere precisate. Così ad esempio, la prima priorità — attirare maggiormente gli investimenti — solleva la questione centrale della necessità di infondere più fiducia nello stesso sviluppo dell'Unione. La seconda priorità — promuovere l'innovazione e l'imprenditoria — mette in evidenza la persistente inadeguatezza dei mezzi comunitari (blocco del brevetto comunitario, lacune dello status giuridico europeo dell'impresa, il fatto che gli interventi dei fondi troppo spesso si limitano a delle sovvenzioni). La terza priorità — creare un maggior numero di posti di lavoro — rinvia all'esigenza di recuperare i ritardi accumulati dalla strategia di Lisbona e di pervenire ad un'ottimizzazione, purtroppo ancora lontana, del funzionamento economico e sociale del mercato unico di fronte alle pressioni della globalizzazione.

1.4

Il CESE, al pari del Parlamento europeo, è preoccupato per l'esiguità del bilancio comunitario previsto dal Consiglio europeo del dicembre 2005 per il periodo di programmazione 2007-2013: in effetti, il tetto permanente all'1,045 % del reddito nazionale lordo (con lo 0,36 % destinato alla coesione) pone tale bilancio a un livello inferiore a quello del periodo precedente l'ultimo allargamento, mentre nel frattempo si sono notevolmente accresciute le sfide legate ai divari interni e alla concorrenza internazionale. Di conseguenza, l'interrogativo centrale cui devono rispondere le linee guida della strategia comunitaria di coesione per il periodo 2007-2013 è il seguente: come fare meglio con meno mezzi? In risposta a tale interrogativo, il CESE raccomanda di diversificare gli strumenti della politica di coesione, concentrare di più i relativi interventi e modernizzarne le modalità di gestione.

1.5

Il CESE raccomanda di diversificare gli strumenti della politica di coesione attraverso un'ingegneria innovativa degli interventi finanziari dell'Unione.

1.5.1

I fondi strutturali dovrebbero poter ricorrere a strumenti diversi dalle sovvenzioni e offrire, in collegamento diretto con la BEI e il FEI, prestiti, tassi di interesse agevolati, garanzie sui prestiti e forme di sostegno al capitale di investimento e di rischio.

1.5.2

Questa riorganizzazione dell'intervento, su scala molto più vasta rispetto al solo programma Jeremie, conferirebbe agli interventi dei fondi un effetto moltiplicatore, migliorandone la complementarità rispetto agli investimenti pubblici e privati e ovviando così all'esiguità del bilancio.

1.5.3

In quest'ottica il Comitato auspica un sostanziale incremento delle capacità di prestito e di garanzia dell'UE, il rafforzamento della collaborazione con il settore bancario e finanziario e corrispondenti adeguamenti nei nuovi regolamenti dei fondi strutturali. Per realizzare queste tre condizioni servono con urgenza delle proposte in tal senso da parte della Commissione.

1.6

Il CESE raccomanda di concentrare maggiormente gli investimenti dei fondi strutturali in funzione degli interessi prioritari dell'Europa.

1.6.1

Fatta salva l'esigenza di proseguire e anzi di intensificare il sostegno diretto agli Stati e alle regioni più bisognose, ciò significa rafforzare, con il concorso del partenariato pubblico — privato, il finanziamento delle reti infrastrutturali transeuropee e l'assistenza alle regioni frontaliere.

1.6.2

Affinché ciò avvenga, il CESE chiede una rivalutazione consistente del bilancio delle reti transeuropee, trascurato dalla programmazione di dicembre 2005 malgrado gli obiettivi della strategia di Lisbona.

1.6.3

Significa anche che gli interventi comunitari dovranno essere utilizzati maggiormente per aiutare gli Stati membri ad applicare meglio gli orientamenti, le decisioni e gli impegni comunitari, sia che si tratti del recepimento di direttive che dell'attuazione della strategia di Lisbona. In particolare occorrerebbe rivalutare il bilancio degli aiuti alla formazione, anch'esso fortemente ridotto nel dicembre 2005.

1.7

Il CESE raccomanda infine di aggiornare i metodi di gestione della politica di coesione per promuovere una maggiore trasparenza e interattività.

1.7.1

Ciò significa giustificare la piena compatibilità degli aiuti comunitari con la politica della concorrenza, come già avviene per gli aiuti di Stato.

1.7.2

Serve inoltre un maggiore coinvolgimento dei soggetti della società civile organizzata, a iniziare dalle parti sociali, nell'elaborazione, nella conduzione e nel monitoraggio della politica europea di coesione.

1.7.3

In tale ottica il CESE chiede che nelle linee guida della strategia comunitaria vengano inserite specifiche disposizioni che stabiliscono il coinvolgimento delle categorie socioprofessionali, e che le relative condizioni di attuazione in ciascuno Stato membro vengano precisate in allegato ai documenti di programmazione e di revisione.

2.   Introduzione

2.1

La comunicazione adottata dalla Commissione il 5 luglio 2005 sulle linee guida della strategia comunitaria relativa alla politica di coesione per il periodo 2007-2013 completa una serie di proposte precedenti.

2.1.1

Le linee generali del bilancio comunitario per il periodo 2007-2013, presentate il 17 febbraio 2004, sono state calcolate in base a un tasso dell'1,14 % del Reddito nazionale lordo (RNL).

2.1.2

Il 14 luglio 2004 sono stati presentati i progetti di regolamento che modificano le disposizioni relative ai fondi strutturali (FESR, FSE, Fondo di coesione) per il periodo 2007-2013 (1); la Commissione ha proposto di assegnare ai fondi tre obiettivi:

2.1.2.1

l'obiettivo Convergenza, che succede all'attuale Obiettivo 1: si tratta di aiuti a favore delle regioni meno sviluppate dell'Unione, in particolare quelle il cui PIL è inferiore al 75 % della media comunitaria: a tale obiettivo dovrebbe essere assegnato il 78,54 % delle risorse dei fondi;

2.1.2.2

l'obiettivo Competitività regionale e occupazione, che va a sostituirsi all'attuale Obiettivo 2, prevede aiuti a favore delle altre regioni europee, più specificamente per sostenerle nell'attuazione della strategia di Lisbona e nel miglioramento della situazione occupazionale: a questo obiettivo dovrebbe essere attribuito il 17,22 % delle risorse dei fondi;

2.1.2.3

l'obiettivo Cooperazione territoriale europea, che subentra all'attuale programma Interreg, disporrà del 3,94 % delle risorse dei fondi.

2.1.3

Il 14 luglio 2004 la Commissione ha anche presentato un progetto relativo alla creazione di un Gruppo europeo di cooperazione transfrontaliera al fine di facilitare le iniziative intracomunitarie in questo settore (2).

2.2

Nelle linee guida della politica di coesione comunitaria per il periodo 2007-2013, presentate il 5 luglio 2005, la Commissione ha proposto tre priorità che si differenziano, nella formulazione, dai succitati obiettivi di intervento dei fondi strutturali, pur intersecandoli:

2.2.1

la prima priorità delle linee guida è quella di attirare maggiormente gli investimenti;

2.2.2

la seconda priorità è promuovere l'innovazione e l'imprenditoria;

2.2.3

la terza è la creazione di posti di lavoro.

2.3

Le linee guida dovranno essere applicate tramite quadri strategici di riferimento nazionali, che verranno stabiliti in un secondo tempo dalla Commissione, dagli Stati membri e dalle regioni.

2.4

Le linee guida sono state il capitolo mancante del pacchetto complessivo relativo alla politica di coesione per il periodo 2007-2013. Tutto sommato, sarebbe stato più logico che la Commissione aprisse il dibattito sulla politica di coesione con la presentazione delle linee guida, onde definire dapprima il quadro politico globale, anziché con i progetti di regolamento relativi ai fondi, che dovrebbero costituirne le modalità d'applicazione. In assenza di una migliore articolazione complessiva, che affidi alle linee guida un ruolo direttivo ben definito e non di accompagnamento, si corre il rischio di diluire il valore aggiunto della politica europea di coesione e di incoraggiare una rinazionalizzazione delle strategie di sviluppo totalmente nociva alla coerenza, alla competitività e all'efficienza economica e sociale dell'Unione.

2.5

Le discussioni in merito agli orientamenti di bilancio per il periodo 2007-2013 e i regolamenti relativi ai fondi strutturali per lo stesso periodo sono iniziate in circostanze difficili, caratterizzate da notevoli divergenze di valutazione tra i 25 Stati membri circa gli importi e le modalità di intervento. Dopo il primo, fallito tentativo del giugno 2005, il 17 dicembre 2005 il Consiglio europeo ha raggiunto un accordo sul bilancio su basi molto ridotte: il tetto massimo per il periodo 2007-2013 viene infatti fissato all'1,045 % del RNL, con 252 miliardi di euro, cioè l'82 %, all'obiettivo Convergenza, 48,5 miliardi, ovvero il 15,5 %, all'obiettivo Competitività e occupazione e 7,5 miliardi, pari a meno del 2,5 %, all'obiettivo Cooperazione territoriale europea.

2.6

Il 18 gennaio 2006 il Parlamento europeo ha respinto tale programmazione finanziaria, molto lontana dalle sue aspettative. Consiglio e Parlamento hanno quindi ripreso le discussioni e il 4 aprile 2006 sono pervenuti a un compromesso che prevede lo stanziamento di altri 4 miliardi di euro (di cui 2 come riserva). Tale accordo deve ancora essere ratificato da entrambe le parti.

3.   Osservazioni in merito alle sfide della politica di coesione 2007-2013

3.1

Il periodo 2007-2013, cui si riferiscono le linee guida in esame, sarà contrassegnato da sfide molto importanti:

3.1.1

in primo luogo, occorrerà proseguire e consolidare l'allargamento. Dopo essere passata da 15 a 25 membri nel 2004, nel 2007 l'Unione europea dovrebbe accogliere altri due membri. Altri ancora potrebbero aderire nel periodo successivo, dopo il 2013 se non prima, in quanto l'elenco delle candidature all'adesione è tutt'altro che chiuso. In ogni caso, malgrado gli allargamenti rafforzino il peso del mercato unico e la sua capacità di generare, nel contesto della globalizzazione, crescita, posti di lavoro, scambi, produzione, consumi e competitività, dal canto loro le crescenti disparità socioeconomiche richiederanno molto probabilmente un vero salto qualitativo nel coordinamento delle politiche europee e nazionali, nella gestione e nel rafforzamento del mercato unico e nella pianificazione collettiva del territorio dell'Unione.

3.1.2

Sarà opportuno portare a compimento anche l'allargamento della zona dell'euro, garantendone al contempo il rafforzamento, l'attrattiva e una migliore efficacia in termini di crescita e posti di lavoro. Dei 25 Stati membri attuali solo 12 fanno parte oggi della zona dell'euro. Potenzialmente, per il 2013 questa dovrebbe estendersi alla maggior parte degli Stati membri, nella misura in cui essi soddisfano le condizioni di ingresso. Analogamente all'allargamento dell'Unione, l'estensione della zona dell'euro necessiterà un rafforzamento della convergenza, in condizioni di competitività innanzitutto sul piano economico, ma anche in numerosi altri settori correlati che vanno dalla fiscalità, in particolare l'armonizzazione delle basi imponibili, alla politica sociale.

3.1.3

I mutamenti strutturali continueranno ad intensificarsi per tutto il periodo considerato:

3.1.3.1

la globalizzazione e l'affermazione delle nuove potenze economiche emergenti accentueranno le pressioni della concorrenza e la portata delle delocalizzazioni;

3.1.3.2

si assisterà a un'ulteriore accelerazione delle trasformazioni tecnologiche, intensificate in particolare dalle innovazioni di una società dell'informazione che acquisisce dimensioni mondiali;

3.1.3.3

in Europa si confermerà il fenomeno dell'invecchiamento demografico, con il pensionamento della generazione protagonista del baby boom postbellico: si modificheranno così le condizioni di vita, di lavoro e di equilibrio previdenziale negli Stati membri;

3.1.3.4

i flussi migratori provenienti dai paesi terzi meno sviluppati dovrebbero continuare ad aumentare: gioverà dunque inquadrarli meglio, da un lato adattandoli maggiormente ai bisogni e alle capacità d'integrazione dell'Unione, dall'altro razionalizzando in modo molto significativo gli aiuti ai paesi di provenienza degli immigrati, onde generare maggiori posti di lavoro e maggiore progresso economico e sociale nelle zone interessate. Occorrerà altresì tenere conto delle esigenze di adattamento degli immigrati nei programmi scolastici e di formazione dei diversi livelli.

3.1.3.5

La lotta all'esclusione sociale e alla povertà, sia per quanto riguarda i disoccupati che i lavoratori a basso reddito, rimarrà un'esigenza importante della politica europea di coesione. Se non si risolve questo tipo di problemi, che vanno al di là delle questioni meramente occupazionali, sarà difficile, nel concreto, riuscire a garantire la coesione non solo dal punto di vista sociale, ma anche da quello economico.

3.1.4

La scadenza del 2010, fissata dal Consiglio ancora nel 2000 per la realizzazione della strategia di Lisbona, sarà al centro di questo periodo di profondi mutamenti. Nell'attuazione della strategia di Lisbona si sono tuttavia registrati dei ritardi: per l'Europa sarà quindi al tempo stesso più urgente e più difficile recuperare tali ritardi per rimanere competitiva.

3.2

Per affrontare queste grandi sfide la politica europea di coesione potrà far leva su numerosi e importanti punti di forza. Si citeranno in particolare:

3.2.1

il peso specifico del mercato interno europeo, che conta oltre mezzo miliardo di persone e rappresenta un potenziale economico, commerciale e umano ancora sottoutilizzato, sia sul piano della domanda e dell'offerta che su quello del marcato del lavoro;

3.2.2

il modello europeo di relazioni sociali e il dialogo sociale europeo, che insistono sulla valorizzazione delle risorse umane di fronte alle sfide dell'occupazione, dello sviluppo, della salute e della qualità della vita in un contesto globalizzato;

3.2.3

la dinamica economica dei nuovi Stati membri, il cui tasso di crescita arriva spesso al doppio della media comunitaria, e che dovrebbe contribuire a ridurre le notevoli disparità di sviluppo esistenti e a sostenere il dinamismo economico e commerciale dell'Unione;

3.2.4

le nuove opportunità di pianificazione e di investimento offerte dall'unificazione dell'intero continente europeo, che consentono di riconsiderarne l'organizzazione economica interna e di realizzare modelli innovativi a livello delle infrastrutture e dell'assetto territoriale;

3.2.5

anche le riforme economiche e sociali della strategia di Lisbona, nella misura in cui riusciranno a decollare e a produrre un effetto trainante reciproco, con il contributo attivo delle parti sociali, dovrebbero fornire un sostegno essenziale al successo della politica di coesione dell'Unione europea.

3.2.6

Nel complesso, gli interventi della politica europea di coesione dovrebbero soprattutto cercare di promuovere l'instaurarsi di un circolo virtuoso crescita-occupazione sviluppando le interazioni positive tra diversi fattori (approfondimento e allargamento del mercato interno, investimenti e assetto territoriale, riforme negli Stati membri).

3.3

La politica europea di coesione dovrà altresì fare i conti con alcune grosse difficoltà che le renderanno più arduo il compito:

3.3.1

si citerà in primo luogo la persistente difficoltà a ridare all'Europa una crescita economica forte. Lungi dal recuperare il ritardo accumulato rispetto ai suoi avversari, l'Europa continua anzi a perdere terreno: nel complesso il tasso di crescita rimane mediocre, mentre la disoccupazione, che colpisce i giovani come i più anziani, rimane elevata in numerosi Stati membri e i posti di lavoro creati risultano per lo più insufficienti. A ciò si aggiunge il persistente deficit nel settore della ricerca e l'accelerazione delle delocalizzazioni. La posizione attuale dell'Europa in termini di prestazioni mondiali non rispecchia in alcun modo le ambizioni dichiarate cinque anni fa e per il momento non si intravede alcun miglioramento significativo della situazione.

3.3.2

Un'altra grande sfida deriva dall'ampiezza delle disparità economiche e sociali createsi con gli ampliamenti: ci vorrà molto tempo per riassorbirle. Bisognerà modificare l'approccio e i metodi della politica di coesione rispetto a quelli prevalsi negli anni precedenti, in cui gli Stati membri presentavano differenziali di sviluppo molto meno marcati.

3.3.3

Una delle maggiori debolezze della politica di coesione risiede nel coordinamento delle politiche economiche, comprese quelle fiscali, che rimane troppo debole anche tra i paesi che fanno parte della zona dell'euro. Con l'aumento del numero degli Stati membri urge ora porvi rimedio, proprio nel momento in cui anche rimediare diventa più difficile. Oltre che un maggiore coordinamento economico occorrerebbe anche una migliore concertazione per quanto riguarda le politiche sociali.

3.3.4

Tra le disfunzioni da correggere, si citerà anche l'insufficiente coinvolgimento dei soggetti della società civile rispetto al primato delle amministrazioni pubbliche e alla gestione altamente bilaterale (Commissione e Stati membri) dell'attuazione della politica di coesione (3).

3.3.5

I fondi europei dal canto loro rimangono e continueranno a rimanere proporzionalmente modesti rispetto a dei bisogni in crescita. L'accordo del 17 dicembre 2005, che limita il bilancio europeo all'1,045 % del Reddito nazionale lordo, riduce il bilancio della politica di coesione allo 0,36 % del RNL. I mezzi di bilancio europei sono così portati a un livello inferiore a quello del periodo precedente l'ultimo allargamento, cosa che preoccupa sia il Parlamento europeo che il CESE. Risorse di questo calibro, che non hanno evidentemente niente a che vedere con quelle di un bilancio federale (il bilancio degli USA rappresenta più del 20 % del PIL), appaiono già di per sé stesse eccessivamente limitate rispetto alle sfide di coesione che deve affrontare l'Unione.

3.3.6

L'interrogativo centrale cui dovranno rispondere le linee guida della strategia comunitaria di coesione per il periodo 2007-2013 è quindi il seguente: come fare meglio con meno mezzi? Bisognerà più che mai garantire che venga fatto il migliore uso possibile di queste risorse così limitate, badando non a fornire un'assistenza perenne, bensì a creare le condizioni per uno sviluppo autonomo e duraturo. A questo fine si dovrà da un lato ricercare la massima convergenza e complementarietà con i bilanci nazionali, dall'altro cercare di attivare e appoggiare le forze del mercato: insieme ai finanziamenti pubblici, queste sono infatti in grado di mobilitare risorse commisurate ai bisogni dello sviluppo collettivo dell'Europa.

3.3.7

Per rispondere a tutte queste sfide occorrerà diversificare gli strumenti della politica di coesione, concentrare più efficacemente i suoi interventi e modernizzarne i metodi di gestione. Tali considerazioni vengono sviluppate nei punti successivi.

4.   Osservazioni in merito alle priorità della politica di coesione 2007-2013

4.1

Le linee guida della strategia comunitaria di coesione per il periodo 2007-2013 sono finalizzate al perseguimento di una priorità dominante, ovvero «crescita e occupazione»: esse fanno riferimento, in particolare, al partenariato per la crescita e l'occupazione proposto dal Consiglio europeo di marzo 2005 e alle linee di orientamento, sempre per la crescita e l'occupazione, proposte in giugno dalla Commissione.

4.2

Per contribuire alla crescita e all'occupazione, la comunicazione propone tre priorità specifiche: attirare gli investimenti, sviluppare l'innovazione e l'imprenditorialità, rafforzare l'occupazione e la formazione. Queste tre priorità sono completate da un'attenzione trasversale per la pianificazione territoriale dell'Unione nelle sue componenti urbana e rurale e nelle sue interrelazioni frontaliere, nazionali e regionali.

4.3

La prima priorità — attirare maggiormente gli investimenti — appare particolarmente pertinente: essa dovrebbe essere realizzata in special modo nelle regioni meno sviluppate dell'Unione allargata, che meritano di beneficiare di una certa priorità di intervento, vigilando nel contempo sulle misure transitorie a favore delle ex regioni prioritarie. Occorre rimediare alle limitazioni dei fondi europei d'intervento promovendo l'investimenti di capitali, in particolare quelli del settore privato, al servizio delle priorità di sviluppo dell'economia europea.

4.3.1

Malgrado i progressi registrati nel completamento del mercato interno, nell'attuazione dell'Unione economica e monetaria e in talune delle riforme della strategia di Lisbona, l'Unione europea non è tuttavia ancora riuscita ad assicurarsi un meccanismo di crescita autonomo e vigoroso, che valorizzi le sinergie e la complementarità delle economie dei paesi membri. Per condurre una politica di coesione efficace bisognerà dunque ristabilire la fiducia di tutti i gruppi (imprenditori, lavoratori, investitori) nello sviluppo economico e sociale dell'Unione, nonché, probabilmente, nel suo futuro politico e istituzionale.

4.3.2

A questo fine bisognerà dunque ridurre, nei prossimi anni, i fattori di incertezza che gravano attualmente su questioni essenziali come il completamento del mercato unico, l'affermazione di un'economia competitiva integrata intorno all'euro, il rafforzamento della crescita e dell'occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita, il buon esito della strategia di Lisbona, una governance efficace delle istituzioni dell'Unione, una pianificazione ottimale e sostenibile dell'Unione allargata, che vada verso un'armonizzazione del progresso economico, sociale e ambientale.

4.3.3

La comunicazione della Commissione pone l'accento sugli investimenti nelle reti infrastrutturali, in particolare quelle dei trasporti. Manca tuttavia un'analisi delle cause dei persistenti ritardi registrati in questo settore. Per rimediarvi bisognerebbe dare maggiore priorità al finanziamento delle infrastrutture transeuropee dei trasporti, dell'energia e delle telecomunicazioni, che influiscono sulla coesione dell'Unione. In questo contesto non possiamo che deplorare la drastica riduzione dei finanziamenti prevista nell'accordo del 17 dicembre 2005: la penalizzazione delle reti transeuropee da parte del Consiglio europeo è in aperta contraddizione con gli impegni legati alla strategia di Lisbona, che giungerà a scadenza proprio a metà del periodo di programmazione 2007-2013. Sulla scia delle posizioni espresse dal Parlamento europeo, il CESE chiede dunque che venga nettamente rivalutato il bilancio relativo al finanziamento delle reti transeuropee.

4.3.4

La comunicazione della Commissione sottolinea altre due priorità d'investimento per la politica di coesione: da un lato la promozione degli investimenti ambientali, dall'altro il rafforzamento dell'autonomia europea sul piano energetico.

4.3.4.1

Gioverà altresì sottolineare la necessità di collegare direttamente queste priorità al succitato sostegno alle reti infrastrutturali europee.

4.3.4.2

Occorrerà inoltre garantire il rispetto delle condizioni ambientali da parte dei beneficiari degli aiuti europei.

4.4

La seconda priorità assegnata alla politica di coesione è quella di migliorare l'innovazione e l'imprenditoria: attraverso essa la Commissione si riallaccia direttamente alle priorità della strategia di Lisbona per quanto riguarda la promozione di un'Europa della conoscenza.

4.4.1

Tale priorità prevede in primo luogo l'aumento degli investimenti a favore della ricerca.

4.4.1.1

È giocoforza constatare che sul piano tecnologico l'Europa perde complessivamente terreno rispetto ai suoi maggiori concorrenti. Negli ultimi anni gli stanziamenti degli Stati membri per la ricerca, spesso inferiori di oltre un terzo all'obiettivo del 3 % del PIL fissato dalla strategia di Lisbona, sono stati bloccati o amputati, anziché aumentati. Il bilancio europeo del programma quadro di ricerca e sviluppo (PQRS) rimane limitato rispetto ai bilanci degli Stati membri in materia di ricerca e carente per quanto riguarda il coordinamento dei programmi nazionali stessi. D'altro canto nei processi istituzionali comunitari permangono, anche ai massimi livelli, gravi strozzature che rappresentano un pessimo segnale. L'insuccesso dei tentativi in corso da 30 anni di pervenire a un brevetto comunitario illustra l'incapacità estremamente preoccupante dell'Europa di dotarsi di mezzi che siano all'altezza delle sue ambizioni.

4.4.1.2

Bisognerebbe quindi avviare una vera politica europea della ricerca, dotata di maggiore credibilità: ciò richiederebbe un significativo incremento dei finanziamenti europei a questa destinati, nel quadro del necessario riassetto del bilancio comunitario, e al tempo stesso un più reale coordinamento dei programmi nazionali. Bisognerebbe altresì sbloccare finalmente il brevetto comunitario, anche a costo di non applicarlo, perlomeno inizialmente, in tutti gli Stati membri, in assenza di un accordo unanime. Che ne sarebbe stato infatti dell'euro, dello spazio Schengen, della politica sociale europea se il loro lancio fosse stato analogamente subordinato a un'applicazione unanime?

4.4.2

Un'altra necessità sottolineata dalla Commissione è quella di incoraggiare la creazione e lo sviluppo delle imprese, in particolare nei nuovi settori tecnologici, e di promuoverne la messa in rete su scala europea.

4.4.2.1

Si deve deplorare, in questo contesto, il fatto che le piccole imprese non abbiano ancora la possibilità di optare per uno statuto giuridico europeo semplificato che ne faciliti le attività transfrontaliere.

4.4.2.2

Il CESE ribadisce pertanto la richiesta, formulata nel parere di iniziativa sul tema L'accesso delle PMI ad uno statuto di diritto europeo  (4), che venga presentato quanto prima dalla Commissione e adottato rapidamente uno statuto giuridico europeo delle piccole e medie imprese.

4.4.2.3

Lamenta peraltro il fatto che nell'autunno 2005 la Commissione abbia ritirato le proposte concernenti lo statuto europeo delle mutue e delle associazioni europee, la cui necessità continua a farsi sentire ora più che mai.

4.4.3

La comunicazione in esame sottolinea d'altronde l'importanza della questione del finanziamento delle imprese e la necessità di facilitare l'accesso ai finanziamenti, in particolare per le imprese innovative.

4.4.3.1

In questa sede si sottolineerà che attualmente la capacità dei fondi strutturali di facilitare in modo significativo l'accesso delle imprese ai finanziamenti rimane necessariamente limitata e probabilmente marginale in questo campo, sebbene in alcuni settori mirati ed esemplari i finanziamenti complementari di sostegno e il cofinanziamento di progetti pilota possano avere una certa utilità. Il CESE rileva con soddisfazione l'avvio delle iniziative Jaspers e Jeremie, realizzate in collaborazione dalla Commissione, la Banca europea per gli investimenti, il Fondo europeo per gli investimenti e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo. L'iniziativa Jaspers ha lo scopo di assistere gli enti nazionali e regionali degli Stati che soddisfano le condizioni di ammissibilità ai finanziamenti dell'obiettivo Convergenza nella preparazione di grandi progetti infrastrutturali, mentre Jeremie si ripropone di migliorare l'accesso ai finanziamenti per le piccole imprese. Il CESE si augura che tali iniziative siano rese veramente operative e trasparenti a livello locale, affinché questo nuovo quadro d'azione produca il massimo effetto in termini di sviluppo economico e creazione di attività, e quindi di posti di lavoro, in loco.

4.4.3.2

Affinché i fondi abbiano un impatto diretto e più incisivo sui finanziamenti delle imprese, occorrere metterli in condizione di esercitare un effetto più ampio attraverso la concessione di prestiti bancari, l'offerta di capitali di rischio, l'accesso al microcredito e alle garanzie per le piccole imprese. Ciò presupporrebbe una ridefinizione degli strumenti dei fondi e in particolare della loro ingegneria finanziaria, oggi essenzialmente limitata alla concessione di sovvenzioni. Si tratterebbe di trasformare queste sovvenzioni in prodotti finanziari, sul modello del programma Jeremie ma su scala molto più vasta: un euro versato per garantire un prestito in capitale di rischio consentirebbe così di finanziare dai 5 ai 10 euro di investimento di una PMI, assicurando agli interventi dei fondi europei un effetto moltiplicatore. Le raccomandazioni del CESE su questo tema centrale sono esposte al capitolo 5 del presente parere.

4.4.3.3

Si ricorderà inoltre che un completamento rapido ed effettivo del mercato unico finanziario in Europa, unito a un'efficace politica della concorrenza e al consolidamento dell'unione economica e monetaria, consentirebbe di migliorare in modo decisivo l'accesso ai finanziamenti per le imprese di qualsiasi dimensione. Questo punto non viene tuttavia affatto sottolineato dalla Commissione, sebbene uno dei suoi principali compiti nei prossimi anni sarà proprio quello di portare a termine tali processi.

4.5

La terza priorità assegnata dalla comunicazione della Commissione alla politica di coesione è quello di creare più posti di lavoro e di migliorarne la qualità.

4.5.1

La prima condizione per creare più posti di lavoro è rafforzare la crescita economica e così facendo facilitare la creazione di impiego. Il conseguimento di tale obiettivo presuppone l'esistenza di un'economia più dinamica in termini sia di offerta che di domanda, accompagnata da un lato da condizioni amministrative, fiscali e sociali più propizie alla creazione di posti di lavoro, in particolare per quanto riguarda la situazione delle piccole imprese, dei lavoratori autonomi, degli artigiani, e delle professioni che valorizzano le qualifiche professionali. Come è stato detto in precedenza, i fondi strutturali avranno un impatto diretto necessariamente limitato in questi settori, pur potendo apportare un utile sostegno ad azioni specifiche e a progetti pilota attraverso la promozione delle migliori pratiche

4.5.2

Bisognerà altresì, come sottolinea la Commissione, sviluppare l'adattamento del mercato del lavoro. In particolare i fondi strutturali dovrebbero puntare a migliorare il funzionamento del mercato unico in questo settore: per far ciò bisognerà rafforzare la mobilità, anche attraverso la trasferibilità dei regimi pensionistici, e togliere gli ostacoli al mercato europeo del lavoro, in particolare nel campo dei servizi (5), cui si devono oltre due terzi dei nuovi posti di lavoro; nel far ciò bisognerà nondimeno rispettare le condizioni sociali stabilite negli accordi e nei regolamenti collettivi.

4.5.3

La Commissione sottolinea peraltro, opportunamente, l'esigenza di migliorare la formazione professionale. Il CESE esprime tuttavia grave preoccupazione per il dimezzamento, ad opera del Consiglio del dicembre 2005, del bilancio della formazione lungo tutto l'arco della vita proposto dalla Commissione e chiede che questo venga portato a un livello congruo con gli impegni legati alla strategia di Lisbona. In questo campo si andranno ora affermando nuove competenze, che comporteranno più responsabilità e richiederanno maggiore spirito di iniziativa. In tale contesto, i futuri programmi dovranno tenere conto delle priorità regionali. È infatti essenziale che i finanziamenti del Fondo sociale europeo siano quanto più possibile adeguati alle esigenze regionali e non si limitino invece a cofinanziare unicamente le politiche nazionali.

4.5.3.1

Il CESE da parte sua evidenzia in generale la necessità di fare tutto il possibile per favorire la complementarità e l'efficacia dei dispositivi e mobilitare interlocutori pubblici e privati per un partenariato duraturo, incentrato su strategie regionali aventi le priorità seguenti: adoperarsi perché tutti abbiano accesso all'innovazione e alla formazione lungo tutto l'arco della vita, migliorare la gestione e lo sviluppo delle risorse umane in tutte le imprese, aumentare il tasso di partecipazione delle donne, migliorare il tasso di attività fino alla pensione, conciliare meglio i bisogni dell'economia e le politiche di orientamento e formazione, promuovere l'istruzione professionale e l'apprendimento a tutti i livelli, in particolare nelle professioni in cui si registra una carenza di manodopera, privilegiare i tipi di formazione che conducono a un autentico inserimento, attraverso l'attività economica, di tutto un gruppo di esclusi in continuo aumento.

4.5.3.2

I fondi strutturali dovrebbero inoltre cofinanziare a titolo prioritario programmi di formazione su scala europea, sulla scia del successo dei programmi Erasmo e Leonardo. Tali programmi dovrebbero ora passare alla marcia superiore, per poter raddoppiare o triplicare il numero dei beneficiari.

4.5.4

Merita infine una menzione particolare l'invecchiamento demografico, che necessita un particolare adeguamento dei diversi aspetti sopraccitati in merito alla creazione di posti di lavoro e ai sistemi previdenziali (condizioni amministrative, fiscali e sociali, servizi destinati all'infanzia, tra cui la custodia a un prezzo accessibile, mercato del lavoro, formazione e risorse umane).

4.6

Alle tre priorità delle linee guida va ad aggiungersi un'esigenza di tipo trasversale, che costituisce una specie di quarto obiettivo: quello dell'integrazione della dimensione territoriale nella politica di coesione.

4.6.1

La comunicazione cita il contributo delle città alla crescita e all'occupazione (migliore gestione economica, sociale e ambientale dell'urbanizzazione), auspicando peraltro nel contempo la diversificazione economica delle zone rurali (salvaguardia dei servizi di interesse generale, sviluppo delle reti, promozione di poli di sviluppo). Le interazioni tra tali esigenze e le tre priorità delle linee guida avrebbero dovuto essere sviscerate meglio.

4.6.2

La comunicazione sottolinea anche le esigenze di cooperazione territoriale a tre livelli:

4.6.2.1

la cooperazione transfrontaliera, in particolare per sviluppare gli scambi reciproci e promuovere l'integrazione economica e sociale;

4.6.2.2

la cooperazione transnazionale, specie per rafforzare le azioni comuni di importanza strategica implicanti Stati diversi (trasporti, ricerca, integrazione sociale);

4.6.2.3

la cooperazione interregionale, nella fattispecie per incoraggiare la diffusione delle migliori pratiche economiche, sociali e ambientali.

4.6.3

Il CESE deplora tuttavia il fatto che il riferimento alle esigenze della cooperazione territoriale europea appaia come un elemento complementare, se non accessorio, rispetto alle priorità delle linee guida, anziché essere esplicitamente incorporato in esse.

4.7

Nell'insieme, l'esame delle tre priorità delle linee guida, completate dalla dimensione territoriale, solleva numerosi interrogativi di fondo:

4.7.1

in primo luogo, le priorità delle linee guida non sono sufficientemente precise per formare un vero e proprio quadro «strategico» di intervento e di gestione della politica di coesione. Rappresentano piuttosto un riepilogo delle buone pratiche da promuovere nei diversi interventi.

4.7.2

In particolare, non vi vengono precisati i collegamenti tra le priorità delle linee guida e i tre obiettivi di intervento dei fondi. Questa costituisce una grave lacuna: infatti le linee guida non fanno in realtà che accompagnare gli interventi dei fondi, anziché inquadrarli come dovrebbero. In questo senso esse appaiono come direttive di accompagnamento e di applicazione, piuttosto che come linee guida vere e proprie.

4.7.3

Affinché le linee guida della strategia comunitaria siano degne del loro nome e svolgano più efficacemente il loro ruolo, bisognerebbe in particolare precisarne gli obiettivi prioritari per quanto riguarda:

4.7.3.1

il «valore aggiunto» della politica europea di coesione rispetto alle politiche nazionali e locali;

4.7.3.2

la «concentrazione territoriale» intorno a poli e assi europei di sviluppo, onde ottenere un effetto trainante;

4.7.3.3

il «progetto globale» dei fondi europei, onde garantire che le linee guida costituiscano un quadro efficace e coerente, e non siano delle semplici disposizioni di accompagnamento.

5.   Osservazioni in merito alle risorse della politica di coesione 2007-2013

5.1

La Commissione sottolinea in special modo il ruolo dei fondi strutturali (Fondo europeo di sviluppo regionale e Fondo sociale) e del fondo di coesione a sostegno della politica di coesione. Precisa che il loro intervento, nel quadro degli obiettivi strategici citati sopra, mira a stimolare la crescita, sfruttare meglio le opportunità offerte dal mercato unico, promuovere una maggiore convergenza tra gli Stati membri, rafforzare la competitività regionale, sviluppare una migliore integrazione del territorio dell'Unione nella sua dimensione economica, sociale e culturale.

5.2

Si constata in primo luogo che l'Unione europea si troverà di fronte a uno scarto crescente tra la limitazione del bilancio dei fondi da un lato e, dall'altro, la portata dei bisogni (disparità di sviluppo tra Stati membri, ritardi nella pianificazione delle infrastrutture, ritardi del mercato unico, ritardi a livello di competitività, ritardi nell'attuazione della strategia di Lisbona). La ridefinizione interna delle priorità del bilancio comunitario, ivi compreso attraverso il proseguimento della riforma della politica agricola comune, rappresenta senz'altro una necessità, ma i margini per l'aumento dei finanziamenti dei fondi strutturali saranno molto limitati, nella misura in cui l'importo globale dello stesso bilancio comunitario continuerà ad essere limitato. In ogni caso, con il bilancio limitato all'1,045 % del PIB, lo 0,36 % (308 miliardi di euro su di un totale di 862 miliardi salvo maggiorazione di 4 miliardi come da accordo del 4 aprile 2006, accordo in attesa di ratifica da parte del Parlamento e del Consiglio) previsto per la politica di coesione non è in sé sufficiente, agli occhi del CESE, per permettere all'Unione di conseguire i suoi obiettivi di coesione per il periodo 2007-2013.

5.3

Occorrerà dunque dedicare la massima attenzione:

5.3.1

da un lato, alle modalità di intervento dei fondi, che dovranno avere un maggiore effetto leva sugli investimenti: per far ciò occorrerà innovare più di quanto non si sia fatto in passato in questo settore;

5.3.2

dall'altro, alla concentrazione reale degli interventi dei fondi, che dovrà avere un effetto più strutturante, specie a livello transnazionale e transfrontaliero.

5.4

Per quanto riguarda le modalità di intervento dei fondi, vi sono parecchie osservazioni che meritano di essere sottolineate:

5.4.1

si ricorderà innanzitutto che gli interventi dei fondi svolgono unicamente un ruolo di accompagnamento della politica di coesione dell'Unione. Essi non possono esserne né lo strumento esclusivo né quello dominante, ma devono essenzialmente promuovere, in funzione degli orientamenti comuni, la mobilitazione dei capitali disponibili sul mercato e un uso più convergente dei bilanci nazionali e regionali. Devono dunque innanzitutto garantire un effetto leva. In questo contesto, gli strumenti strutturali dell'Unione devono costituire un dispositivo centrale per la pianificazione del territorio europeo, accompagnando al tempo stesso le politiche comunitarie e le trasformazioni socioeconomiche in atto.

5.4.2

A questo fine, i fondi dell'Unione e quelli della Banca europea per gli investimenti dovrebbero essere utilizzati in funzione di una concezione dell'ingegneria finanziaria più flessibile e innovativa. Come ammette in modo pertinente la Commissione, essi non dovrebbero più essere limitati alle sovvenzioni, ma essere impiegati a sostegno di altri strumenti, come prestiti, garanzie di prestito, strumenti convertibili e capitale di investimento e di rischio. Il CESE non soltanto appoggia tali considerazioni, ma chiede che si traggano tutte le conseguenze del caso e che si intraprenda una vera e propria riforma delle modalità di intervento finanziario dell'Unione.

5.4.2.1

Esso è del parere che lo sviluppo di tali strumenti alternativi da parte dei fondi strutturali, in stretto collegamento con il Fondo europeo per gli investimenti e la Banca europea per gli investimenti, consentirebbe di aumentare sensibilmente l'impatto degli interventi comunitari e di coordinarli meglio con gli investimenti pubblici e privati. In particolare contribuirebbe a ripartire il finanziamento degli investimenti tra settore pubblico e privato, specie quelli a favore delle PMI, che vengono considerate a rischio dai partner finanziari tradizionali e che in futuro potrebbero veder inasprire ulteriormente le condizioni dei prestiti loro accordati, a seguito degli accordi di Basilea II. Essi sarebbero un mezzo efficace per ovviare ai limiti del bilancio europeo. In effetti, in molti casi un euro concesso a titolo di sovvenzione sarebbe stato meglio utilizzato per garantire dai 5 ai 10 euro di prestito: interventi di questo tipo consentirebbero di aumentare il numero dei beneficiari e al tempo stesso di responsabilizzarli maggiormente, rispetto alla concessione di sovvenzioni a fondo perduto.

5.4.2.2

Questi nuovi strumenti di intervento dovrebbero essere messi in atto il più vicino possibile ai beneficiari, in modo da ottenere il massimo effetto leva sullo sviluppo socioeconomico. Potrebbero inoltre essere mobilitate altre risorse coordinando meglio gli interventi tra i fondi strutturali e le altre istituzioni finanziarie già attive nello sviluppo europeo come la BERS. Un campo di intervento prioritario per l'Unione dovrebbe essere la promozione, molto più ampia e attiva di quanto non lo sia attualmente, dei partenariato tra pubblico e privato a livello europeo, in condizioni di concorrenza trasparenti e aperte, in particolare per finanziare grandi progetti di infrastrutture indispensabili sia alla coesione globale che alla competitività collettiva dell'Europa. Come già detto in precedenza (6), la dotazione di bilancio prevista per le reti transeuropee dovrebbe in ogni caso essere oggetto di una rivalutazione consistente, in quanto il partenariato pubblico-privato per le infrastrutture europee non riuscirà nell'intento senza una base sufficiente di fondi pubblici comunitari.

5.4.2.3

Per poter attuare una tale riforma delle modalità di intervento dei fondi comunitari occorrerebbe aumentare la capacità dell'Unione europea di ottenere e accordare prestiti. Occorrerebbe inoltre, accanto a un coordinamento intensificato tra la BEI e le altre istituzioni finanziarie, un vero e proprio partenariato con la rete bancaria e finanziaria europea, accompagnato da una maggiore condizionalità degli aiuti sia a livello degli Stati membri che dei beneficiari diretti. Sarebbe infine opportuno completare in questo senso la riforma dei fondi europei per il 2007-2013, al fine di rendere pienamente operativi i nuovi sistemi di ingegneria finanziaria: il CESE chiede quindi che la Commissione formuli nuove proposte in questi tre settori.

5.4.3

Si deplora peraltro l'opacità della gestione stessa dei fondi strutturali negli ultimi anni e l'eccessivo predominio delle relazioni bilaterali tra amministrazione comunitaria e amministrazioni nazionali, senza evidenza di un coordinamento generale efficace, né di un sufficiente monitoraggio del buon uso dei fondi. La Corte dei conti dell'Unione europea ha deplorato spesso questa situazione, ma gli adeguamenti che ne sono seguiti sono rimasti troppo circoscritti. Il principio generale di una maggiore trasparenza nella concezione, adozione e attuazione delle politiche comunitarie non si è ancora esteso, come avrebbe dovuto, al funzionamento e alla gestione dei fondi. Le linee guida strategiche delle politica di coesione dovrebbero ora porre le basi per una svolta chiara e netta in questa direzione.

5.4.4

Per quanto riguarda le innovazioni necessarie per assicurare una migliore gestione degli aiuti europei, si citerà l'esigenza di verificare più sistematicamente la compatibilità degli aiuti comunitari con le regole in materia di concorrenza. Alcuni interventi mal gestiti dei fondi realizzati in passato ed intesi a ridurre le disparità regionali hanno causato a volte distorsioni gravi e dannose ai principi di un'equa concorrenza, mentre sarebbe stato perfettamente possibile conciliare i due obiettivi. Gli aiuti dell'Unione sono aiuti pubblici assimilabili agli aiuti di Stato e devono dunque essere sottoposti agli stessi controlli. Questo principio va applicato anche nel senso di un migliore coordinamento reciproco tra aiuti europei e aiuti nazionali e regionali. La relazione sulla concorrenza redatta ogni anno dalla Commissione dovrebbe ora comprendere anche un capitolo sulle condizioni di controllo degli aiuti comunitari a norma della politica della concorrenza dell'Unione. In passato il CESE ha già formulato raccomandazioni in questo senso senza tuttavia sortire, almeno finora, alcun effetto concreto.

5.5

Per quanto riguarda la concentrazione degli interventi, la Commissione dovrebbe cercare di garantire un migliore orientamento degli interventi dei fondi comunitari in funzione di una dimensione più autenticamente europea dell'assetto territoriale dell'Unione: ciò è ben lungi dalla realtà attuale, al di là dei progressi circoscritti introdotti dagli schemi di intervento comunitario.

5.5.1

Finora infatti nei fondi strutturali non si è cercato in alcun modo di privilegiare la dimensione transnazionale degli interventi, malgrado l'attuazione normativa ed economica del grande mercato interno europeo, che oggi comprende 25 Stati membri. I fondi strutturali sono stati gestiti dalla Commissione principalmente in funzione delle priorità nazionali presentate dagli Stati stessi, senza alcun nesso diretto con le nuove esigenze di cooperazione derivanti dalla soppressione degli ostacoli fisici, tecnici e fiscali agli scambi, mentre l'aumento delle disparità economiche e sociali esige il rafforzamento dei collegamenti e delle reti transnazionali.

5.5.2

Bisognerebbe rimediare a questa situazione sviluppando priorità di intervento più chiare per consolidare i punti di contatto tra gli Stati membri sul piano transnazionale, transregionale e transfrontaliero. Per far ciò sarebbe opportuno rivalutare le pertinenti osservazioni della Commissione in merito, sviluppandole e integrandole nelle priorità di intervento dei fondi, e non relegandole invece a semplice complemento aggiuntivo.

6.   Osservazioni in merito all'integrazione della politica di coesione nelle politiche nazionali e regionali

6.1

L'integrazione della politica di coesione nelle politiche nazionali e regionali costituisce un imperativo centrale, opportunamente sottolineato dalla Commissione. In questo contesto si evidenzierà la necessità di progredire in due settori:

6.2

in primo luogo, bisognerebbe fare in modo che gli aiuti comunitari siano effettivamente utilizzati a sostegno di un'attuazione ottimale degli orientamenti, decisioni e impegni comunitari nei diversi Stati membri. In particolare si citeranno:

6.2.1

il corretto e puntale recepimento delle direttive europee;

6.2.2

il rafforzamento della cooperazione amministrativa su scala europea, in particolare ai fini del buon funzionamento del mercato unico;

6.2.3

una migliore applicazione del patto di stabilità e di crescita nelle sue due componenti: esso non dovrebbe essere relegato al ruolo di semplice guardiano del disavanzo, bensì aprire la strada a una gestione economica comune;

6.3

in secondo luogo, bisognerebbe fare in modo che gli aiuti comunitari contribuiscano effettivamente a rafforzare la coerenza tra la politica europea e le politiche nazionali, specie ai fini di un'attuazione più efficace della strategia di Lisbona. In particolare si citeranno:

6.3.1

l'accompagnamento delle riforme strutturali economiche, sociali e amministrative;

6.3.2

la semplificazione del quadro normativo e lo sviluppo degli approcci europei di autoregolamentazione socioprofessionale, che merita sostegno (7);

6.3.3

un più rapido completamento dello spazio finanziario europeo per ottimizzare i vantaggi dell'euro;

6.3.4

il riavvicinamento dei sistemi fiscali in base a un sistema che attiri gli investimenti e promuova l'innovazione, permettendo di inquadrare meglio la concorrenza tra i diversi sistemi degli Stati membri.

6.4

Sarebbe infine opportuno evitare quanto più possibile di aggiungere altri criteri, nazionali o regionali, al quadro fissato dall'UE, onde garantire la flessibilità necessaria nella definizione del contenuto dei futuri programmi. Per lo stesso motivo bisognerebbe evitare di adottare procedure che fissino a priori per 7 anni l'assegnazione dei finanziamenti o negarsi la possibilità di adeguare facilmente i programmi in corso di esecuzione.

6.5

Il CESE auspica inoltre che gli aiuti comunitari contribuiscano a promuovere una strategia industriale europea, che consenta di coordinare ai diversi livelli (europeo, nazionale, regionale) gli interventi dei poteri pubblici e dei soggetti della società civile organizzata (8).

6.6

Si rallegra da ultimo che il Consiglio dell'Unione europea del dicembre 2005 abbia acconsentito in linea di massima alla creazione di un Fondo di adeguamento alla globalizzazione «inteso a fornire un sostegno supplementare ai lavoratori privati del loro impiego in seguito a modifiche strutturali importanti nel commercio mondiale, nonché un'assistenza nella loro riconversione professionale e nella ricerca di un impiego.» I capi di Stato e di governo hanno invitato il Consiglio a definire i criteri di ammissibilità agli aiuti di tale Fondo. Il CESE ritiene che nella definizione di questi criteri si possano coinvolgere anche le parti sociali europee interprofessionali o settoriali.

7.   Osservazioni in merito alla partecipazione degli attori socioprofessionali

7.1

La partecipazione degli attori socioprofessionali alla politica di coesione costituisce un'esigenza forte. Il CESE ne aveva chiesto in particolare il rafforzamento in un parere del 2003 in merito al partenariato per l'attuazione dei fondi strutturali (9). La Commissione dà atto di tale necessità, sottolineando che essa contribuisce in maniera decisiva alla responsabilizzazione in merito a tale politica a livello locale. Essa non avanza tuttavia alcuna proposta per definirne le modalità e integrarle nelle linee guida strategiche.

7.2

Il CESE propone quindi di completare le linee guida della politica di coesione 2007-2013 definendo un vero e proprio quadro per la partecipazione degli attori socioprofessionali. Analogamente alle disposizioni dell'accordo di Cotonou a favore dei soggetti non statali dei paesi ACP, esplicitamente consultati e associati alla gestione degli aiuti europei, questo quadro dovrebbe essere integrato pienamente nelle linee guida ed essere vincolante per gli Stati membri.

7.3

Esso dovrebbe, nella fattispecie, prevedere gli obiettivi seguenti:

7.3.1

far partecipare gli ambienti socioprofessionali e le parti sociali alla definizione europea degli indirizzi di fondo (in particolare il documento strategico generale) e alla loro attuazione decentrata a livello nazionale (specie il quadro di riferimento strategico nazionale stabilito dagli Stati membri), regionale e locale;

7.3.2

approfondire tale dialogo sia nelle sue componenti economiche che in quelle sociali e ambientali, a favore di uno sviluppo efficace, partecipativo e duraturo;

7.3.3

coinvolgere direttamente gli attori socioprofessionali nel miglioramento dell'occupazione, in particolar modo attraverso la politica contrattuale tra le parti sociali, specie per l'aggiornamento dei sistemi di formazione professionale e la promozione di un maggiore adattamento del mercato del lavoro;

7.3.4

incitare le forze della società civile a sfruttare meglio il mercato unico europeo intensificando le reti transeuropee di produzione, scambio e infrastrutture, nonché adottando forme di autoregolamentazione e coregolamentazione socioprofessionali che contribuiscano al completamento del mercato unico;

7.3.5

definire, di concerto con gli attori socioprofessionali, modelli efficaci di partenariato pubblico-privato con adeguate modalità di concessione, incentivazione, garanzia e appalto;

7.3.6

sviluppare, su queste basi, programmi di partenariato pubblico-privato, in particolare per quanto riguarda le infrastrutture e il finanziamento delle PMI a livello locale;

7.3.7

incoraggiare gli attori socioprofessionali a intensificare le iniziative di cooperazione europea nel settore della ricerca e dell'innovazione tecnologica;

7.3.8

sostenere gli approcci innovativi degli attori socioprofessionali che contribuiscono alle prospettive dello sviluppo sostenibile.

7.4

Per essere efficace, tale dialogo dovrà essere organizzato e strutturato meglio, sia a Bruxelles sia nei diversi Stati membri e regioni. Il quadro d'associazione dovrebbe quindi prevedere le disposizioni seguenti:

7.4.1

basare il dialogo su un'informazione efficace, adeguatamente trasmessa dagli organi pubblici degli Stati membri, in merito alle linee guida e alle loro modalità d'attuazione;

7.4.2

avviare le consultazioni in una fase sufficientemente precoce, dando così la possibilità agli attori socioprofessionali di essere coinvolti negli studi di impatto;

7.4.3

informare gli attori socioprofessionali sul seguito dato alle consultazioni e alle loro proposte;

7.4.4

allegare ai documenti ufficiali di programmazione o di revisione una sintesi delle condizioni di consultazione degli attori socioprofessionali;

7.4.5

promuovere, nel caso dei programmi transfrontalieri o interregionali, consultazioni congiunte e partenariati socioprofessionali anch'essi di tipo transfrontaliero o interregionale;

7.4.6

incoraggiare in particolare le iniziative di dialogo sociale sul piano transfrontaliero e interregionale, specie concretizzando il quadro transnazionale opzionale per i negoziati collettivi, come annunciato nell'Agenda sociale 2005-2010.

7.5

Il CESE ribadisce peraltro il suo sostegno alla proposta della Commissione di destinare il 2 % delle risorse del Fondo sociale europeo allo sviluppo delle capacità e alle attività intraprese congiuntamente delle parti sociali.

7.6

Il CESE ha convenuto, con l'appoggio esplicito del Consiglio europeo di marzo 2005, di sviluppare una rete europea di informazione e di sostegno alle iniziative dei soggetti della società civile che partecipano all'attuazione della strategia di Lisbona. Tale rete integrerà pienamente le iniziative da questi adottate per migliorare l'efficacia della politica europea di coesione nel corso del periodo 2007-2013.

Bruxelles, 21 aprile 2006

La presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Pareri del CESE sui fondi strutturali (Disposizioni generali), sul Fondo di coesione e sul Fondo europeo di sviluppo regionale (GU C 255 del 14.10.2005, pagg. 79, 88 e 91).

(2)  Cfr. parere del CESE in GU C 255 del 14.10.2005, pag. 76.

(3)  Cfr. parere del CESE in merito alla comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo: Costruire il nostro avvenire comune - Sfide e mezzi finanziari dell'Unione allargata 2007-2013 (GU C 74 del 23.1.2005, pag. 32).

(4)  Cfr. GU C 125 del 27.5.2002, pag. 100.

(5)  Cfr. parere CESE in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno (GU C 221 dell'8.9.2005, pag. 113).

(6)  Cfr. punto 4.3.3.

(7)  Cfr. relazione informativa della sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo sul tema La situazione attuale della coregolamentazione e della autoregolamentazione nel mercato unico.

(8)  Si veda il parere del CESE in merito alla Comunicazione della Commissione - Attuare il programma comunitario di Lisbona: un quadro politico per rafforzare l'industria manifatturiera dell'UE - Verso un'impostazione più integrata della politica industriale, GU C 110 del 9.5.2006.

(9)  Cfr. GU C 10 del 14.1.2004, pag. 21.


8.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 185/62


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Gli effetti degli accordi internazionali di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra sulle trasformazioni industriali in Europa

(2006/C 185/12)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 10 febbraio 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema: Gli effetti degli accordi internazionali di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra sulle trasformazioni industriali in Europa.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 30 gennaio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore ZBOŘIL e dal correlatore ČINČERA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 20 aprile 2006, nel corso della 426a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 79 voti favorevoli, 11 voti contrari e 9 astensioni:

1.   Introduzione: obiettivi comunitari in materia di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra

1.1

I cambiamenti climatici mondiali costituiscono oggigiorno una delle problematiche più gravi e sono al centro non solo delle discussioni e degli interventi scientifici e politici ma anche della vita quotidiana della società. Le attività intraprese su scala internazionale tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta hanno portato dapprima a istituire il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (Intergovernmental Panel on Climate Change, IPCC), in seguito ad avviare negoziati a livello dell'ONU (1990) e infine ad adottare, nel 1992, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), entrata in vigore il 21 marzo 1994.

1.2

Già in lontane epoche storiche si sono verificati cambiamenti climatici; le conoscenze sul clima nel corso della storia sono però dovute unicamente a misurazioni e a osservazioni paleoclimatologiche o eventualmente a fenomeni geologici e scoperte archeologiche (dati indiretti): non sono infatti disponibili dati meteorologici di qualità risalenti a questo periodo. Nuove analisi di dati indiretti concernenti l'emisfero settentrionale indicano che l'aumento della temperatura globale verificatosi nel XX secolo è il maggiore degli ultimi mille anni.

1.3

La grande maggioranza degli Stati membri e delle regioni più spiccatamente sensibili ai cambiamenti climatici sono solitamente esposti anche ad altri fattori, quali il rapido incremento demografico, l'esaurimento delle risorse naturali e la povertà. Una politica elaborata con il concorso dei paesi industrializzati e nel rispetto delle esigenze dei paesi in via di sviluppo e i provvedimenti presi nel suo ambito potranno promuovere lo sviluppo sostenibile e le pari opportunità e, al tempo stesso, amplificare gli effetti delle misure di adattamento. Ciò dovrebbe ridurre la pressione sulle risorse e migliorare sia la gestione dei rischi ambientali che il tenore di vita degli strati più indigenti della società. Allo stesso tempo potrà consentire di ridurre la vulnerabilità ai cambiamenti climatici. Nell'elaborazione e nell'attuazione delle iniziative nazionali e internazionali in materia di sviluppo risulta pertanto necessario tenere conto dei rischi connessi ai cambiamenti climatici.

1.4

Il terzo rapporto di valutazione elaborato dall'IPCC nel 2001 rivela che la temperatura media globale della superficie del pianeta è in aumento dal 1861. Le analisi dell'Organizzazione meteorologica mondiale indicano che i nove anni più caldi in assoluto sono stati registrati proprio nell'ultimo decennio. Il record assoluto è stato il 1998, seguito dagli anni 2002, 2003, 2004 e 2001. Nel XX secolo si è verificato un aumento della temperatura media compreso fra 0,6 e ± 0,2 ° C; le proiezioni sugli sviluppi futuri indicano che, in assenza di provvedimenti adeguati, la temperatura dovrebbe registrare un ulteriore aumento compreso tra 1,4 e 5,8 °C.

1.5

Una supposizione ampiamente sostenuta nei circoli scientifici, specialmente in Europa, e a cui si attribuisce un significato straordinario sul piano politico, è quella che individua la causa principale dei cambiamenti climatici nell'aumento della quantità di gas a effetto serra presenti nell'atmosfera terrestre per effetto delle attività umane e soprattutto della combustione di vettori energetici fossili. Questa supposizione si fonda sulla correlazione fra l'aumento della concentrazione dei gas serra (in particolare di biossido di carbonio) nell'atmosfera sul lungo periodo e l'andamento di lungo periodo della temperatura mondiale nel corso del XX secolo, oltre che sui risultati forniti dai modelli messi a punto per valutare le dimensioni e gli effetti futuri dei cambiamenti climatici, sulla base di scenari relativi all'andamento delle emissioni di gas serra e della loro concentrazione nell'atmosfera.

1.6

L'influenza dell'uomo sui cambiamenti climatici mondiali è ormai provata, malgrado sussistano ancora incertezze in merito all'azione degli aerosol e di alcuni fattori naturali (attività vulcanica e densità del flusso radiante solare — solar irradiance). Dal momento, però, che il clima mondiale è influenzato anche dai cicli dell'attività solare e da fattori geofisici, per il momento non è possibile determinare esattamente la portata dell'influenza antropica rispetto a quella dei cambiamenti climatici naturali e verosimilmente non lo sarà ancora per molto tempo. Le incertezze dipendono inoltre dalla rappresentatività dei dati accessibili e dai risultati forniti dai modelli climatici, i quali non descrivono ancora in maniera assolutamente precisa tutte le interazioni e non sono pertanto in grado di simulare perfettamente tutte le componenti del sistema climatico.

1.7

Nel quadro della preparazione di proiezioni sulla concentrazione di gas serra e di aerosol nell'atmosfera, quindi di proiezioni relative agli sviluppi futuri del clima, i modelli climatici prendono le mosse da scenari di emissione basati sul relativo rapporto speciale (SRES) elaborato dall'IPCC. Detti scenari prendono in considerazione diverse ipotesi sull'andamento socioeconomico, energetico e demografico del mondo sino alla fine del XXI secolo.

1.8

La vulnerabilità dei sistemi sociali e degli ecosistemi alle situazioni climatiche estreme è dimostrata dalle vittime, dai danni e dal peggioramento delle condizioni di vita causati da siccità, alluvioni, ondate di caldo, valanghe e tempeste. Secondo le proiezioni sugli sviluppi futuri, nel XXI secolo la frequenza di gran parte dei fenomeni climatici estremi dovrebbe aumentare; si prevede anche un acutizzarsi del loro impatto sia in estensione che in intensità.

1.9

Per migliorare la capacità di rilevare, mettere in relazione e comprendere appieno i cambiamenti climatici sono necessarie ulteriori ricerche, che consentano di ridurre il grado di incertezza connesso alle proiezioni sui cambiamenti futuri. È necessario porre l'accento in particolare sulla promozione di ulteriori misure più precise, nonché di un monitoraggio sistematico, di una modellizzazione e di analisi più dettagliate, specie riguardo alle ripercussioni di questi cambiamenti.

1.10

La decisione politica dei paesi interessati e della Comunità europea è stata di ammettere l'ipotesi della causa antropogena del cambiamento globale del clima — imputato quindi all'aumento della quantità di gas serra nell'atmosfera — come base per l'applicazione del principio di precauzione e per l'elaborazione della politica e della strategia di contenimento dei cambiamenti climatici attraverso la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e innanzitutto del biossido di carbonio, prodotto della combustione di vettori energetici fossili.

1.11

La conseguenza pratica di questa decisione politica è stata l'adozione del Protocollo di Kyoto allegato alla Convenzione quadro dell'ONU sui cambiamenti climatici (dicembre 1997) e la sua entrata in vigore il 16 febbraio 2005.

1.12

Il Protocollo di Kyoto obbliga le parti a ridurre le emissioni di gas a effetto serra nel periodo 2008-2012 rispetto al livello registrato nel 1990, per un volume corrispondente agli impegni indicati nell'allegato B del Protocollo. I Quindici vecchi Stati membri dell'Unione europea sono obbligati a ridurre dell'8 % (ovverosia, in termini assoluti, di 336 Mt CO2 eq all'anno) le emissioni complessive di gas a effetto serra. Per i nuovi Stati membri vi sono obiettivi di riduzione specifici, indicati nell'allegato B. In generale si tratta anche per essi di un obbligo di riduzione dell'8 %, mentre nel caso dell'Ungheria e della Polonia la riduzione prevista è del 6 %. Per l'Ungheria, la Polonia e la Slovenia l'allegato B stabilisce inoltre un diverso anno di riferimento. Il Protocollo prevede inoltre la possibilità di applicare meccanismi di flessibilità (scambio di quote di emissioni e progetti di attuazione congiunta (Joint Implementation, JI) nei paesi industrializzati; progetti relativi al meccanismo di sviluppo pulito (Clean Development Mechanism, CDM) nei paesi in via di sviluppo). Questi meccanismi sono destinati ad aiutare i paesi industrializzati a ridurre le emissioni, e a rispettare gli impegni assunti nel Protocollo, alle condizioni economiche più vantaggiose e, contemporaneamente, ad aiutare i paesi in via di sviluppo a beneficiare del trasferimento di nuove tecnologie.

1.13

Le emissioni dei Quindici vecchi Stati membri corrispondono all'incirca all'85 % del totale dell'Unione europea, contro il 15 % dei nuovi paesi. Gli attuali registri delle emissioni indicano che, fino al 2003, l'UE-15 come parte contraente del Protocollo di Kyoto è riuscita a ridurre le proprie emissioni complessive di gas serra unicamente dell'1,7 %: ciò ridimensiona notevolmente le sue prospettive reali di conseguire l'obiettivo di Kyoto nel periodo 2008-2012. Anche se, dal 1995 ad oggi, le emissioni dell'UE-15 fanno registrare un incremento del 3,6 %, che negli ultimi cinque anni raggiunge addirittura il 4,3 %, le ultime proiezioni indicano che l'applicazione congiunta di ulteriori provvedimenti di riduzione delle emissioni e dei meccanismi di Kyoto può portare, entro il 2010, a una riduzione pari all'8,8 %, ossia più di quanto impone l'obiettivo di Kyoto. Nel periodo 1990-2003 i nuovi Stati membri hanno registrato una riduzione del 22 % del totale delle loro emissioni di gas serra, anche se la parte più significativa della diminuzione è dovuta al processo di transizione, in particolare nella prima metà degli anni Novanta. Dal 1995 in poi le emissioni sono diminuite del 6 % e negli ultimi cinque anni si sono stabilizzate.

1.14

Se si guarda allo stato di attuazione degli impegni presi con il Protocollo di Kyoto, si deduce che l'abbattimento delle emissioni entro il 2012 può costituire un problema nei paesi dell'UE-15. Ciononostante, il documento predisposto per la riunione del Consiglio (marzo 2005) prospetta ai paesi economicamente avanzati obiettivi di riduzione a medio e lungo termine dell'ordine del 15-30 % entro il 2020 e del 60-80 % entro il 2050 (in base a un raffronto con il 1990). Per quanto riguarda l'incidenza di questi interventi, secondo l'IPCC, nel periodo tra il 1990 e il 2100 la crescita del PIL mondiale registrerà un rallentamento compreso tra lo 0,003 % e lo 0,06 % all'anno (1). Secondo le stime della Commissione europea, se si compierà uno sforzo per ottenere una concentrazione di CO2 nell'atmosfera pari a 550 ppmv, riducendone le emissioni dell'1,5 % all'anno a partire dal 2012, nel 2025 il PIL dell'UE-25 sarà inferiore dello 0,5 % al livello che raggiungerebbe in assenza di questa politica. Ciò tuttavia sarà possibile soltanto se si presuppone l'adesione di tutti i paesi alla lotta contro i cambiamenti climatici e al sistema per lo scambio di quote di emissioni. Nel caso di un approccio unilaterale da parte dell'UE l'incidenza sul suo PIL potrà essere invece due o tre volte superiore, fra l'altro senza che si ottengano risultati ambientali apprezzabili (2).

1.15

Il problema principale è il fatto che al Protocollo di Kyoto non hanno aderito gli Stati Uniti, il paese che produce in assoluto la maggior quantità di gas a effetto serra (circa il 25 % delle emissioni mondiali), e che, per il periodo di riferimento 2008-2012, non è stato ancora fissato alcun obiettivo di riduzione per i paesi in cui si prevede il più forte aumento delle emissioni (India, Cina e altri, dove l'aumento delle emissioni dal 1990 ha raggiunto oltre il 20 %). Mentre all'inizio dei negoziati, nel 1990, la quota delle emissioni globali corrispondente ai paesi in via di sviluppo era grosso modo pari al 35 %, nel 2000 essa aveva già raggiunto un valore attorno al 40 %; secondo le proiezioni, inoltre, verso il 2010 sarà pari al 50 % e nel 2025 raggiungerà persino il 75 %. Ciò mette seriamente a repentaglio gli obiettivi dell'intera iniziativa. Se attraverso i negoziati politici non si riuscirà a raggiungere un accordo globale su come far fronte ai cambiamenti climatici, gli sforzi isolati dei paesi europei (UE) non potranno ottenere gli effetti positivi desiderati e rischiano anzi di provocare un grave squilibrio nello sviluppo economico.

1.16

Nonostante tutte le riserve possibili quanto al livello attuale di conoscenza sulle cause dei cambiamenti climatici in corso e al modo in cui è stata avviata la politica relativa a tali cambiamenti, va rilevato che numerose attività destinate a limitare le emissioni di gas a effetto serra possono avere un importante effetto positivo: la riduzione del fabbisogno energetico delle imprese e dei privati. A tal fine è necessario ricercare incentivi adeguati e soprattutto investire nella scienza, nella ricerca e nello sviluppo di nuove tecnologie e di innovazioni fondamentali.

2.   Mezzi per raggiungere gli obiettivi comunitari in materia di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra

2.1

Al fine di rispettare gli impegni assunti con il Protocollo di Kyoto, che prevedono una riduzione dell'8 % delle emissioni complessive di gas serra entro il periodo 2008-2012, e di limitare ulteriormente le emissioni in maniera efficace, l'UE ha adottato un programma strategico europeo in materia di cambiamenti climatici e, successivamente, nel quadro di detto programma, una serie di provvedimenti normativi concreti di maggiore o minore rilevanza, fra i quali citiamo di seguito i principali.

2.1.1

La direttiva 2003/87/CE (3), che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità, dovrebbe costituire uno strumento decisivo per rispettare gli impegni di riduzione delle emissioni di gas serra. Questa direttiva è stata recepita nel corso del 2004, mentre venivano presentati e, nella maggioranza dei paesi, approvati i piani nazionali di assegnazione che concedono quote di emissione di gas serra a ciascun impianto e ai loro gestori. La direttiva è entrata effettivamente in vigore il 1o gennaio 2005 e dovrebbe consentire ai gestori delle fonti di emissione di gas serra di effettuare degli scambi di quote per ottimizzare i costi della riduzione di tali emissioni.

2.1.2

La direttiva di collegamento tra i meccanismi di flessibilità del Protocollo di Kyoto e lo scambio di quote di emissioni dovrebbe consentire di mettere in relazione i meccanismi JI e CDM con il sistema comunitario per lo scambio di quote di emissioni, costituendo così il mezzo per raggiungere gli obiettivi degli Stati membri e delle imprese in collaborazione con i paesi terzi che hanno ratificato il Protocollo di Kyoto.

2.1.3

La direttiva 2001/77/CE sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità (4) è uno strumento estremamente importante per l'introduzione e lo sfruttamento di queste fonti (energia idraulica, eolica, solare, biomassa, energia geotermica) e punta a compensare gli svantaggi economici legati alla fase iniziale del loro concreto utilizzo.

2.1.4

La direttiva 2003/30/CE sulla promozione dell'uso dei biocarburanti o di altri carburanti rinnovabili nei trasporti (5) crea condizioni favorevoli alla limitazione del consumo di combustibili fossili liquidi a vantaggio della quota di carburanti derivanti da fonti rinnovabili.

2.1.5

La direttiva 2004/8/CE sulla promozione della cogenerazione basata su una domanda di calore utile nel mercato interno dell'energia (6) mira a favorire il massimo sfruttamento energetico dei combustibili fossili mediante la tecnica di cogenerazione.

2.1.6

La direttiva 2003/96/CE, che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell'elettricità (7), introduce nel territorio dell'Unione europea la cosiddetta «tassa sul carbonio»(ecotassa); in altri termini crea il quadro di riferimento per una riforma fiscale ecologica e l'internalizzazione delle esternalità.

2.1.7

L'approvazione della proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio su taluni gas fluorurati ad effetto serra (HFC, PFC e SF6) (8) è prevista per l'anno in corso.

2.1.8

Si segnalano inoltre i provvedimenti che introducono una valutazione dei parametri tecnici degli edifici dal punto di vista termico, il loro miglioramento e ulteriori strumenti tecnici di regolamentazione.

2.2

Sebbene il quadro normativo posto in essere dalle direttive relative alle fonti energetiche rinnovabili, alla cogenerazione, alla tassazione dei prodotti energetici e alla promozione dell'uso dei biocarburanti crei condizioni di mercato favorevoli a una riduzione più agevole ed efficace del consumo di combustibili fossili, e in linea di principio instauri anche condizioni eguali per gli imprenditori dei medesimi settori, l'attuazione della direttiva relativa allo scambio di quote di emissioni suscita una serie di reazioni contraddittorie, specie per quanto riguarda la preparazione e il processo di approvazione dei piani nazionali di assegnazione a ciascun impianto. Questo dispositivo risulta in effetti carente poiché non crea condizioni eque per i partecipanti al sistema di scambio, tanto a livello nazionale tra i singoli settori di produzione, quanto a livello internazionale fra i singoli Stati membri.

2.3

Per quanto riguarda l'applicazione della direttiva sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili, si può constatare che gli effetti di questo strumento sul mercato sono assai più evidenti. La direttiva fissa in anticipo norme chiare relativamente alle condizioni che si applicheranno, a livello nazionale, all'acquisto dell'energia destinata alle reti di distribuzione. Si può presumere che queste condizioni varieranno da uno Stato membro all'altro, il che può essere interpretato come una distorsione delle regolari condizioni di concorrenza. Determinare le priorità e le possibilità spetta tuttavia a ciascuno Stato membro, il quale può decidere di rendere più vantaggioso il prezzo di acquisto dell'elettricità prodotta a partire dall'una o dall'altra fonte rinnovabile.

2.4

Anche se in secondo piano rispetto agli strumenti normativi, alcuni provvedimenti di sostegno, in particolare destinati alla scienza e alla ricerca, sono contenuti nel Sesto programma quadro (9), il quale riserva alle attività scientifiche e di ricerca in materia di cambiamenti climatici un sostegno pari a 2 120 milioni di euro per il periodo 2003-2006. Gli aiuti sono destinati ai seguenti ambiti: sistemi energetici sostenibili; trasporti terrestri sostenibili; cambiamenti planetari ed ecosistemi. Fra le priorità incluse nella proposta concernente il Settimo programma quadro per il periodo 2007-2013 (10), le seguenti figurano alla sezione Energia, la cui dotazione complessiva è pari a 2 931 milioni di euro: l'idrogeno e le celle a combustibile, la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e da biocarburanti liquidi per i trasporti, ma anche le tecnologie pulite del carbone e le tecnologie di cattura e immagazzinamento di CO2 (sequestro), nonché i risparmi energetici e l'utilizzo razionale dell'energia. Altri aspetti riguardanti la ricerca sui cambiamenti climatici e le possibilità di ridurre la vulnerabilità e i rischi sono invece inclusi nella sezione intitolata Ambiente (ivi compresi i cambiamenti climatici), la cui dotazione complessiva è pari a 2 535 milioni di euro.

2.5

Tra le modalità con cui si possono ottenere riduzioni più sostanziali delle emissioni di gas serra vi sono in particolare la diffusione dell'utilizzo della biomassa, una migliore cura e il rinnovo della vegetazione boschiva e l'estensione dell'imboschimento ai terreni agricoli incolti nelle zone adeguate. È altresì possibile ridurre le emissioni sostenendo le attività che promuovono il ricorso al sequestro geologico e l'utilizzo sicuro dell'energia nucleare.

2.6

Mentre alcuni paesi hanno deciso di abbandonare il nucleare o vi hanno rinunciato fin dall'inizio, in altri paesi l'energia nucleare continua a svolgere un ruolo importante per la produzione energetica. Sebbene si stia lavorando allo sviluppo della fusione nucleare, si prevede che non sarà possibile sfruttarla economicamente in un intervallo di tempo inferiore ai cinquanta anni. In considerazione di ciò, l'incremento della sicurezza della fissione nucleare, il riciclaggio del combustibile nucleare esaurito e la soluzione dei problemi dello stoccaggio definitivo continuano a rappresentare una sfida. Molti paesi considerano la promozione e il mantenimento dell'energia nucleare come uno strumento adeguato per limitare le emissioni di gas a effetto serra, mentre altri paesi, dati i rischi che l'energia nucleare comporta, esprimono delle riserve riguardo ad un approccio di questo tipo.

2.7

È riservata un'attenzione relativamente limitata all'esigenza, invece assai rilevante, di ridurre la vulnerabilità del territorio europeo nel suo insieme, e in particolare dei singoli Stati membri, a eventuali cambiamenti climatici. Si tratta di una questione essenziale che merita un'attenzione molto maggiore affinché le risorse finanziarie impiegate siano più efficaci.

3.   Gli effetti sulle trasformazioni industriali dell'attuazione del Protocollo di Kyoto e dei provvedimenti adottati nell'ambito della politica di limitazione dei cambiamenti climatici

3.1

Gli effetti derivanti dall'attuazione del Protocollo di Kyoto nonché della politica e dei provvedimenti corrispondenti possono essere classificati in due gruppi: i) gli effetti che provocano mutamenti strutturali nei settori industriali (comprese eventuali delocalizzazioni di taluni produttori o settori); ii) gli effetti che portano innanzitutto a utilizzare l'energia in maniera più efficace e producono cambiamenti interni ai singoli settori, in particolare in quelli ad alto fabbisogno energetico. Per ottenere buoni risultati senza perdite inutili è necessario adottare strumenti che mantengano un equilibrio tra regolamentazione e incentivazione del mercato. In caso contrario vi è il rischio che il contenimento dei cambiamenti climatici mediante queste politiche si riveli irrealistico.

3.2

I mutamenti strutturali possono essere il risultato del ricorso a strumenti che determinano un aumento dei costi delle fonti primarie di energia (fossili) e dell'energia elettrica. Da un lato l'aumento dei prezzi è dovuto alla liberalizzazione soltanto parziale del mercato dell'energia e quindi al rischio di comportamenti monopolistici da parte delle grandi società del settore. Queste infatti possono permettersi di traslare sui prezzi di mercato i maggiori costi derivanti dai provvedimenti tesi a contrastare i cambiamenti climatici (quote di emissione, prezzi di acquisto dell'energia ricavata da fonti rinnovabili). D'altro lato l'aumento dei prezzi è dovuto anche a un fattore esterno: l'imposizione fiscale. Va detto che nel mercato dell'UE parzialmente liberalizzato vi sono mercati nazionali già pienamente liberalizzati, i quali però, con il pretesto di lottare contro i cambiamenti climatici, sono propensi ad aumentare i prezzi dell'energia, ad esempio intervenendo drasticamente sul prezzo del carbone. Ci si può aspettare un rialzo significativo dei prezzi dell'energia elettrica e una distorsione della struttura industriale, in conseguenza dei seguenti provvedimenti:

3.2.1

la promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili è accompagnata da tutta una serie di conseguenze e di benefici in funzione di ciascun tipo di energia rinnovabile. Se l'impiego dell'energia idraulica (pur considerata la necessità di modificare i corsi d'acqua in maniera ponderata e rispettosa nonché la problematicità delle grandi opere idrauliche) risulta relativamente meno problematico, per l'energia eolica emergono invece numerose difficoltà di messa in opera e di approvvigionamento sistematico. Per l'utilizzo della biomassa sono richieste tutta una serie di restrizioni e di aggiustamenti amministrativi affinché i vantaggi compensino i costi legati allo sfruttamento di una fonte di energia rinnovabile talmente variabile. Si tratta in particolare del rischio legato all'accaparramento della biomassa da parte delle grandi imprese produttrici di elettricità, che la utilizzano come additivo per i combustibili destinati alle centrali termiche, cosa che ne fa aumentare il prezzo al punto da renderla inaccessibile alle centrali termiche locali o all'industria di trasformazione collegata. Le fonti realmente pulite (cellule fotovoltaiche ed energia geotermica) sono ancora in uno stadio di sviluppo tale da escludere un loro utilizzo generalizzato. Una delle conseguenze consiste in ogni modo nel rialzo del prezzo di acquisto dell'energia prodotta da fonti rinnovabili, fissato arbitrariamente, che si ripercuote sui prezzi dell'elettricità per gli utenti. In generale, tuttavia, è auspicabile incoraggiare l'utilizzo delle fonti di energia rinnovabili e ricercare la soluzione ottimale per sfruttarle in maniera redditizia.

3.2.2

Considerato che la tassazione delle energie primarie non raggiunge lo stesso livello in tutti i paesi e che vi sono notevoli differenze fra le condizioni nazionali specifiche da uno Stato membro all'altro, questo provvedimento costituisce una fonte di squilibrio che può pesare sull'allocazione degli investimenti allo sviluppo di capacità e di nuove tecnologie nei settori a forte fabbisogno energetico e, di conseguenza, sulle trasformazioni industriali. Questo strumento andrebbe utilizzato come ultima possibilità e con la massima prudenza, specie se si considera che la tassazione delle energie primarie in Europa nuoce alla competitività di quei paesi che applicano questa tassazione.

3.2.3

L'introduzione del sistema europeo di scambio di quote di emissioni è accompagnata da un aumento dei prezzi dell'energia (fra fonti diverse e per diversi territori si registrano divari compresi tra l'8 e il 40 %) e da un calo di competitività che si manifesta in una flessione del PIL tra lo 0,35 % e lo 0,82 %. Analogamente si attende una flessione dei risultati dell'economia europea in termini di esportazioni e l'inasprimento della concorrenza da parte dei paesi in cui i prezzi dell'energia sono inferiori perché non vengono prese disposizioni per limitare i cambiamenti climatici. L'introduzione di questo sistema appare assai caotica, nuoce in generale alla chiarezza del contesto degli investimenti e inoltre favorisce piuttosto gli operatori inefficaci nelle procedure utilizzate e nei sistemi di gestione.

3.2.4

Le reazioni strutturali di taluni settori industriali (produzione di metalli ferrosi e non ferrosi, di materiali di costruzione, industria chimica e della carta, ecc.) sono potenziate, oltre che dal rialzo dei prezzi dell'energia, anche dall'introduzione del sistema di scambio di quote. Agli inizi degli anni Novanta questi settori hanno destinato notevoli risorse all'ammodernamento e alla riduzione del fabbisogno energetico; alcuni di essi hanno persino incrementato nettamente i volumi di produzione. In realtà il sistema di scambio crea un dispositivo di assegnazione in base al quale le società che si saranno modernizzate dovranno acquistare delle quote, mentre quelle che non avranno dispiegato sforzi né risorse riceveranno un «contributo» allo sviluppo sotto forma di quote, nonché la possibilità di venderle. Già a partire dal principale periodo di scambio, 2008-2012, queste società potranno ritrovarsi in una situazione economica inestricabile. In molti casi, infatti, grazie a soluzioni tecniche e tecnologiche, hanno ridotto al minimo le loro emissioni e raggiunto l'efficacia energetica; un'ulteriore riduzione non risulta quindi razionalmente possibile.

3.2.5

In alcuni rami dell'industria (soprattutto in siderurgia), i gas a effetto serra sono il risultato di processi fisico-chimici. Queste emissioni fisico-chimiche, essendo già state ridotte nella maggior parte dei casi al valore più basso tecnicamente possibile, dovrebbero essere escluse dallo scambio di quote. Ciò però non esenta i settori industriali interessati dall'obbligo di abbassare l'attuale livello di emissioni in altri ambiti produttivi (produzione di energia). Un fattore critico è costituito dal massimale del volume globale delle quote fissato per ciascuno Stato membro e per ciascun gestore. Visto che il sistema comincia appena a funzionare, fino ad oggi non si dispone di un'esperienza pratica significativa in termini di funzionalità e di conseguenze concrete. I giudizi in merito ai suoi effetti vanno pertanto da uno scetticismo assoluto a un ottimismo esagerato. Resta il fatto che nemmeno gli ideatori del sistema, nel valutare il contributo dei provvedimenti programmati alla riduzione dei gas a effetto serra, hanno indicato un valore concreto per la riduzione delle emissioni di gas serra successivamente all'introduzione del sistema europeo di scambio di quote. Nondimeno gli operatori economici preferiscono un sistema funzionale e non discriminatorio di scambio di quote alla tassazione dell'energia.

3.3

I cambiamenti provocati dagli altri strumenti possono essere considerati nettamente più importanti. Pur non richiamando un'attenzione mediatica pari a quella riservata al sistema di scambio, permettono però di ottenere progressivamente una vera e propria riduzione del consumo di energia in termini assoluti o una diminuzione del consumo di carburanti fossili destinati alla produzione di energia. Si tratta quindi di un indirizzo di sviluppo del tutto auspicabile che realizza il potenziale di riduzione delle emissioni di gas serra; anch'esso, tuttavia, presenta alcuni rischi.

3.3.1

La completa applicazione, nelle proporzioni previste, della direttiva sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili dovrebbe ridurre le emissioni di gas serra nell'UE-15 di un valore compreso fra 100 e 125 Mt di equivalenti CO2: in termini quantitativi il più grande contributo alla riduzione di emissioni di gas serra. Oltre all'effetto diretto dell'abbattimento delle emissioni, si può contare su di un contributo allo sviluppo delle tecnologie e degli impianti per quanto riguarda sia i processi fisici di produzione dell'energia (idraulica, eolica, solare) che i processi termici che ricorrono allo sfruttamento energetico della biomassa. L'utilizzo della biomassa rischia di tradursi nella perdita di alcune materie prime rinnovabili (in particolare il legno) per i settori della trasformazione. Risulta pertanto necessario prevedere un sostegno tale da consentire di prevenire la perdita di fonti di materia prima. Nel caso dell'energia eolica il rischio consiste nella sua discontinuità: il ricorso massiccio a questo tipo di energia può minacciare l'affidabilità degli approvvigionamenti di elettricità nelle reti e richiede quindi la predisposizione di una riserva di capacità a partire da fonti continue.

3.3.2

Quando sarà pienamente applicata, la direttiva sulla promozione dell'uso dei biocarburanti dovrà permettere di ridurre le emissioni di gas serra nei Quindici di un valore compreso fra i 35 e i 40 Mt CO2. Al tempo stesso la direttiva avrà come altra conseguenza quella di offrire nuove prospettive all'agricoltura e all'industria di trasformazione, per quanto riguarda la fornitura sia di materie prime che dei biocarburanti stessi destinati ai veicoli a motore.

3.3.3

La direttiva sulla promozione della cogenerazione costituisce una componente essenziale del sistema di limitazione delle emissioni di gas serra, dal momento che dovrebbe consentire di ridurre le emissioni nei Quindici di 65 Mt CO2 all'anno e mira ad aumentare l'efficacia energetica della produzione di calore in tutti in casi in cui finora questo sistema non era utilizzato (specie in combinazione con le principali fonti di calore destinate al riscaldamento di abitazioni private, ecc.). Numerosi stabilimenti industriali ricorrono a questo sistema ormai da tempo. La cogenerazione presenta in genere le seguenti difficoltà: il costo relativamente elevato dei carburanti rispetto al supplemento di energia ottenuto e quindi la limitata redditività degli investimenti, la necessità di realizzare investimenti notevoli quando l'introduzione del sistema va accompagnata da una riconversione degli impianti di base e, infine, il fatto che queste fonti in generale non vengono sfruttate in maniera continua, il che complica il loro collegamento alla rete. Nel settore dell'approvvigionamento energetico, le possibilità complessive di riduzione delle emissioni di gas serra sono stimate tra i 250 e i 285 Mt di equivalenti CO2.

3.3.4

Andrebbe usata molta cautela nel ricorrere a strumenti fiscali. Questi dovrebbero piuttosto avere un effetto incentivante, mediante la riduzione della pressione fiscale sui soggetti che limitano le emissioni di gas a effetto serra. Tale questione rimanda alla fiscalità dei carburanti utilizzati nel trasporto aereo. Diversamente da altri modi di trasporto il trasporto aereo beneficia attualmente di sgravi fiscali, anche se contribuisce alle emissioni di gas serra solo per il 2 % circa. L'eventuale tassazione dei carburanti per il trasporto aereo va inserita in un contesto globale, con provvedimenti proposti e attuati tenendo conto della forte concorrenza esistente in questo settore e non fissati unilateralmente dall'Unione europea.

3.3.5

Per quanto riguarda il consumo, la riduzione potenziale è stimata tra i 215 e i 260 Mt di equivalenti CO2, di cui una riduzione compresa tra i 35 e i 45 Mt di equivalenti CO2 è connessa al miglioramento delle proprietà termiche degli edifici. Nel campo dei trasporti, il potenziale stimato di riduzione delle emissioni è compreso fra i 150 e i 180 Mt di equivalenti CO2.

3.3.6

Rientra nell'ambito di questa politica anche il regolamento su taluni gas fluorurati ad effetto serra (HFC, PFC e SF6), che concerne soltanto una quota relativamente ridotta di gas serra. Attualmente, queste sostanze rappresentano circa il 2 % del totale delle emissioni dell'Unione europea e dovrebbero raggiungere una quota pari al 3 % nel periodo successivo al 2012. Ridurre le emissioni dovrebbe essere possibile limitando l'utilizzo di queste materie negli impianti frigoriferi commerciali, nella fabbricazione dell'HFC-23 o nelle unità di climatizzazione fisse o portatili. Secondo le ultime stime dell'IPCC, i costi possono situarsi nel seguente rapporto: 10÷300 USD/t CO2 eq (differenza settoriale e regionale). Il potenziale stimato di riduzione delle emissioni è compreso fra i 18 e i 21 Mt di equivalenti CO2.

3.3.7

Il sequestro nel carburante verde rappresenta un notevole potenziale di riduzione della quantità di gas a effetto serra, che può raggiungere 60-100 Mt di equivalenti CO2 a patto che si creino le premesse necessarie.

3.4

Per catturare e accumulare il biossido di carbonio in appropriati strati geologici o in spazi sotterranei non più sfruttati (sequestro geologico) è necessario separarlo da opportune fonti antropogene, trasportarlo nel luogo di stoccaggio e isolarlo dall'atmosfera per lunghi periodi. La riduzione delle emissioni secondo questa modalità dipende dalla quantità di CO2 catturato, dalla diminuzione dell'efficacia globale delle centrali elettriche e dei complessi industriali — tenuto conto del fabbisogno energetico del processo di cattura, trasporto e stoccaggio — e infine dalla proporzione di CO2 stoccato. Le tecniche attuali consentono di stoccare all'incirca il 90 % della quantità di CO2 catturato. Per il funzionamento di questi sistemi è necessario tra il 15 % e il 30 % di energia in più (principalmente per la cattura); l'efficacia globale nella riduzione delle emissioni è pertanto pari all'85 % circa.

4.   Conclusioni e raccomandazioni

4.1

I cambiamenti climatici costituiscono un problema senza uguali, che l'umanità non aveva mai affrontato in periodi storici recenti. Si tratta di un problema planetario e di lungo periodo (copre diversi secoli), che comporta complesse interazioni fra processi climatici, ambientali, economici, politici, istituzionali, sociali e tecnologici. Ne derivano rilevanti implicazioni internazionali e intergenerazionali nel contesto di obiettivi sociali più ampi, come l'eguaglianza e lo sviluppo sostenibile. La reazione ai cambiamenti climatici è caratterizzata da un processo decisionale accompagnato da notevoli incertezze e dal rischio di provocare cambiamenti non lineari, eventualmente irreversibili.

4.2

Le manifestazioni negative dei cambiamenti climatici planetari riguardano il carattere sempre più estremo dei fenomeni meteorologici (ad es. piene, inondazioni, frane, siccità, uragani, ecc.), il cui bilancio in danni materiali e vite umane continua ad aggravarsi. Il calcolo dei costi e dei benefici delle attività destinate a contenere l'impatto dei cambiamenti climatici varia in funzione del modo in cui è misurata la prosperità, dell'ampiezza e della metodologia delle analisi e dei postulati assunti nel loro ambito. La stima dei costi e dei benefici può non corrispondere ai costi e ai benefici reali delle attività di contenimento.

4.3

Se, nel determinare nuove politiche volte a limitare l'emissione di gas a effetto serra, non si prenderanno in considerazione tutti i parametri economici, il rischio è che i paesi che hanno ratificato il Protocollo di Kyoto subiscano la delocalizzazione di parte delle loro attività produttive verso i paesi economicamente avanzati che ancora esitano a firmarlo o verso i paesi in via di sviluppo, ai quali per il momento il Protocollo non impone impegni quantitativi. Ciò si può tradurre in perdite economiche e in una minore competitività che non aiuterebbero a conseguire l'obiettivo di riduzione globale delle emissioni.

4.4

Per attuare con successo i provvedimenti destinati a contenere i cambiamenti climatici è necessario sormontare i numerosi ostacoli tecnici, economici, politici, culturali, sociali, comportamentali e istituzionali che impediscono il pieno utilizzo delle opportunità tecniche, economiche e sociali offerte da queste attività. Il potenziale delle opportunità di contenimento e i tipi di ostacolo variano da regione a regione e da settore a settore, evolvendosi anche nel tempo.

4.5

L'efficacia dell'attuazione dei provvedimenti di mitigazione dei cambiamenti climatici può essere aumentata a condizione che le relative politiche siano inserite in altri obiettivi non climatici desunti dalle politiche nazionali e settoriali e che si trasformino in ampie strategie di transizione finalizzate a realizzare i mutamenti sociali e tecnologici di lungo periodo che sono richiesti tanto dal concetto di sviluppo sostenibile quanto dal contenimento dei cambiamenti climatici.

4.6

Un coordinamento delle attività fra paesi e settori può contribuire a ridurre i costi dei provvedimenti destinati a mitigare i cambiamenti climatici e risolvere le questioni connesse alla competitività e i conflitti potenziali fra le regole del commercio internazionale e la lotta alle emissioni di carbonio. Un gruppo di paesi che intendano limitare collettivamente le loro emissioni di gas a effetto serra dovrebbe accordarsi per creare strumenti internazionali perfettamente concepiti ed efficaci.

4.7

Il cambiamento climatico è un fenomeno globale e andrebbe pertanto affrontato in quanto tale. È necessario ricorrere a tutti gli strumenti e negoziati politici per coinvolgere tutti i principali emettitori mondiali di gas a effetto serra in uno sforzo di riduzione del tasso globale di concentrazione di tali gas nell'atmosfera. Per determinare quali emettitori coinvolgere, si dovrebbe considerare il livello stimato di emissioni di gas serra successivo al 2012. Non è possibile compiere progressi concreti senza ricorrere ad opportuni strumenti politici ed economici.

4.8

È inoltre necessario valutare in maniera realistica la volontà espressa dagli stessi Stati membri dell'UE di perseguire obiettivi ben più ambiziosi di limitazione delle emissioni dopo il 2012, alla luce della strategia di Lisbona e dei risultati già ottenuti grazie ai provvedimenti adottati ed attuati. A questo proposito il Comitato esprime soddisfazione per i suggerimenti contenuti nella comunicazione della Commissione Vincere la battaglia contro i cambiamenti climatici e per il materiale che l'accompagna.

4.9

L'approccio dell'UE nel prossimo futuro dovrebbe concentrarsi sull'elaborazione di argomenti concreti per i negoziati internazionali sui cambiamenti climatici. Questi negoziati dovranno approdare a una soluzione che consenta di proseguire in modo accettabile il processo di riduzione delle emissioni dopo il 2012, con la partecipazione di tutti i paesi economicamente sviluppati e dei principali emettitori tra le economie emergenti e, in generale, i paesi in via di sviluppo. Se ciò non accadrà, si dovrà tener conto del fatto che, nel 2012, il Protocollo di Kyoto nella sua forma attuale coprirà soltanto un quarto circa delle emissioni complessive di gas serra nel mondo e che quindi non potrà continuare ad essere uno strumento efficace per risolvere il problema del clima globale. Sarà pertanto indispensabile cercare soluzioni in grado di garantirne la continuità. Parte integrante di dette soluzioni dovrà essere una nuova valutazione degli strumenti di riduzione delle emissioni di gas serra, compreso il sistema europeo di scambio delle quote, considerando tanto il loro impatto reale sul volume delle emissioni quanto il rapporto costo-efficacia e gli oneri amministrativi. Perché le decisioni opportune siano prese in tempo, si dovrebbe subito iniziare un esame comparativo delle proposte e dei progetti presentati dai vari raggruppamenti di Stati per la riduzione a lungo termine delle emissioni.

4.10

Ricorrendo a strumenti politici, bisogna ottenere un coinvolgimento della comunità internazionale nella risoluzione di questi problemi mondiali. Va tuttavia apertamente riconosciuto che questo coinvolgimento può non essere nell'interesse di tutti i principali responsabili delle emissioni: infatti, date la situazione geografica e le dimensioni di alcuni di questi paesi (Stati Uniti, Cina), un approccio unilaterale è per loro più vantaggioso. In caso di fallimento politico il mantenimento del ruolo guida dell'Unione europea nella lotta ai cambiamenti climatici potrà comportare una minore capacità di adattamento, senza effetti di rilievo sui cambiamenti climatici stessi.

4.11

Questi problemi non possono essere risolti senza approfondire notevolmente le conoscenze tanto sulle cause dei fenomeni, quanto sulle possibilità di limitare le influenze antropogene corrispondenti. Senza adeguate risorse scientifiche e di ricerca e senza un monitoraggio e una sorveglianza sistematici, sarà impossibile imprimere la necessaria accelerazione al progresso delle conoscenze scientifiche sulle cause reali dei cambiamenti climatici.

4.12

È indubbio che per molti versi razionalizzare la produzione e soprattutto l'utilizzo dell'energia costituisce un fattore fondamentale non soltanto del successo economico, ma anche della progressiva riduzione delle emissioni di gas serra. Sul versante della produzione di energia, il Comitato ritiene che l'aumento della produzione di energia da fonti rinnovabili selezionate in funzione delle peculiarità di ciascuno Stato membro costituisca uno strumento appropriato ed efficace, in particolare l'uso dei biocarburanti nei trasporti, l'utilizzo razionale delle potenzialità della cogenerazione e l'incremento dell'efficienza globale della produzione elettrica e termica. Se ne devono però tener presenti i limiti in termini di efficacia. Fra i mezzi che consentono di ridurre le emissioni di gas serra senza comportare particolari problemi figurano anche l'utilizzo dell'energia solare termica, destinata al riscaldamento o alla produzione di acqua calda non potabile, e delle pompe termiche, le quali stanno ormai diventando del tutto redditizie per l'impiego su scala limitata, ad esempio per abitazioni singole.

4.13

Secondo il Comitato un altro metodo efficace è rappresentato dalla decarbonizzazione della produzione elettrica e termica mediante lo sfruttamento di tutte le fonti accessibili di carburante e di materie prime, comprendente il sostegno alla produzione di elettricità dal nucleare, da impianti fotovoltaici e dalle tecnologie dell'idrogeno, soprattutto negli ambiti della ricerca, dello sviluppo e del miglioramento della sicurezza dei sistemi di produzione e sfruttamento. In quanto alla conservazione dell'energia, oltre alla classica riduzione del fabbisogno elettrico della produzione industriale, è bene puntare anche al miglioramento qualitativo delle caratteristiche termiche degli edifici nonché a una significativa crescita di trasporti pubblici efficienti. Questi strumenti richiederanno anche risorse notevoli per la scienza e la ricerca, nonché grandi sforzi sul piano applicativo, se l'Unione europea vuole davvero assumere una posizione di leader nella lotta ai cambiamenti climatici.

4.14

Tutti i provvedimenti andranno adottati dopo aver effettuato un'analisi approfondita di annessi e connessi, onde evitare provvedimenti non adeguati che possano minacciare la competitività e, sostanzialmente, la capacità di azione dell'UE nel suo insieme e quella di ciascuno Stato membro. Ad esempio, il sostegno dato alla produzione di energia dalla biomassa non deve avere per effetto quello di minacciare taluni settori industriali della possibile perdita della loro fonte di materie prime. Allo stesso modo, l'aumento dei prezzi dell'energia, conseguenza dei provvedimenti destinati a contenere le emissioni di gas serra, non deve risultare proibitivo e comportare gravi conseguenze sociali.

4.15

Per garantire la sicurezza della popolazione, è necessario elaborare piani che tengano conto delle peculiarità regionali e che puntino a limitare la vulnerabilità ai cambiamenti climatici; occorre inoltre incoraggiare lo sviluppo di sistemi di segnalazione e di allarme connessi ad attività di monitoraggio e sorveglianza sistematica. Per poter adottare misure efficaci in questo ambito, è imperativo compiere analisi strategiche ed economiche approfondite, elaborare progetti concreti e stanziare risorse finanziarie adeguate a livello comunitario, nazionale e regionale.

Bruxelles, 20 aprile 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Cfr. relazione del terzo gruppo di lavoro dell'IPCC: Climate Change 2001: Mitigation, Technical summary, pag. 61.

(2)  Cfr. Vincere la battaglia contro i cambiamenti climatici, COM(2005) 35 def. del 9.2.2005, pag. 17.

(3)  GU L 275 del 25.10.2003, pag. 32.

(4)  GU L 283 del 27.10.2001, pag. 33.

(5)  GU L 123 del 17.5.2003, pag. 42.

(6)  GU L 52 del 21.2.2004, pag. 50.

(7)  GU L 283 del 31.10.2003, pag. 51.

(8)  COM(2003) 492 def.

(9)  Decisione del Consiglio 2002/835/CE del 30.9.2002.

(10)  COM(2005) 119 def. del 6.4.2005.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Il seguente emendamento, pur avendo ottenuto almeno un quarto dei voti espressi, è stato respinto durante il dibattito:

Punto 4.13

Modificare come segue:

Secondo il Comitato un altro metodo efficace è rappresentato dalla decarbonizzazione della produzione elettrica e termica mediante lo sfruttamento di tutte altre fonti accessibili di carburante e di materie prime, comprendente il sostegno alla produzione di elettricità dal nucleare, in particolare dell'energia prodotta grazie agli impianti fotovoltaici e dalle alle tecnologie dell'idrogeno, soprattutto negli ambiti della ricerca, dello sviluppo e del miglioramento della sicurezza dei sistemi di produzione e sfruttamento. (…)

Motivazione

Eliminare la proposta di sostenere la produzione di elettricità dal nucleare è una conseguenza dell'emendamento al punto 2.6.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 25

Voti contrari: 54

Astensioni: 12


8.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 185/71


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Un quadro giuridico per la politica dei consumatori

(2006/C 185/13)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 10 febbraio 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema: Un quadro giuridico per la politica dei consumatori

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 28 marzo 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore PEGADO LIZ.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 20 aprile 2006, nel corso della 426a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 45 voti favorevoli, 26 voti contrari e 2 astensioni.

1.   Sintesi

1.1

In ogni comunità di diritto, la politica che quest'ultima intende condurre deve fondarsi su una base giuridica che definisca i limiti posti alla competenza di tale comunità e i parametri della sua azione. L'Unione europea è una comunità di diritto che deve rispondere a questa esigenza.

1.2

Perché sia adeguata, operativa ed efficace, una base giuridica deve essere chiara, precisa e autonoma, deve contenere gli obiettivi, i principi fondatori e i criteri di attuazione della politica che tale comunità di diritto intende perseguire, e deve coprire tutti gli ambiti della politica per la quale è stata concepita.

1.3

Con l'adozione del Trattato di Maastricht l'articolo 129 A è assurto a nuova base giuridica degli interventi dell'Unione europea in materia di politica di protezione dei consumatori. Ben presto, però, esso è stato giudicato inadeguato a fungere da fondamento per lo sviluppo di una politica a pieno titolo in tale ambito.

1.4

La mancata applicazione di tale base giuridica nel corso degli anni ne ha confermato le carenze sul piano dell'adeguatezza e dell'efficacia per la promozione di un'autentica politica di protezione degli interessi dei consumatori a livello comunitario.

1.5

Le modifiche introdotte dal nuovo articolo 153 del Trattato di Amsterdam non sono state in grado di ovviare alle debolezze denunciate e nemmeno i testi proposti in vista dell'adozione della Costituzione europea hanno affrontato tali questioni.

1.6

La politica dei consumatori è chiaramente una delle politiche più vicine ai cittadini europei. Essa può influenzare in larga misura la loro adesione all'ideale europeo, purché risponda ai loro bisogni e alle loro ispirazioni, il che non si è sempre verificato (1).

1.7

Gli orientamenti della Commissione in materia di politica di protezione dei consumatori (2) confermano purtroppo un degrado preoccupante della protezione e della promozione degli interessi dei consumatori. Tale carenza rafforza il bisogno e la necessità urgente di una riflessione sulla base giuridica contenuta dal Trattato in materia.

1.8

Di questo tenore è la riflessione sviluppata nel presente parere. Essa conduce il Comitato a constatare che, al di là dell'indispensabile volontà politica di far progredire la politica di protezione degli interessi dei consumatori nel senso di una maggiore promozione della loro partecipazione e della protezione dei loro interessi in tutti gli ambiti delle politiche comunitarie, è anche necessario procedere a uno studio di fondo sulla rifusione del quadro giuridico per dare un fondamento solido alla politica di protezione di tali interessi.

1.9

Grazie anche ai molti contributi di numerosi giuristi europei la cui competenza in materia è ampiamente riconosciuta, il Comitato può concludere le proprie riflessioni proponendo una nuova base giuridica per la politica dei consumatori, base che potrebbe contribuire in modo decisivo al miglioramento, alla semplificazione o addirittura alla riduzione della regolamentazione. Il CESE raccomanda quindi alla Commissione, al Consiglio e agli Stati membri di fare in modo che una tale proposta venga presa in considerazione nella prospettiva di una prossima revisione del testo del Trattato.

2.   Introduzione — Obiettivo del parere d'iniziativa

2.1

Il Comitato ha deciso di elaborare il presente parere d'iniziativa allo scopo di promuovere una riflessione approfondita in merito alla base giuridica da scegliere per la politica dei consumatori a livello europeo (cioè l'articolo 153 del Trattato), mettendola in relazione sia con il testo costituzionale sottoposto ai diversi Stati membri che con il diritto derivato. Il Comitato si è anche impegnato a far partecipare a tale riflessione i rappresentanti delle parti interessate e gli specialisti in materia di diritto comunitario dei consumatori.

2.1.1

In molti hanno convenuto che le carenze legate all'attuale formulazione dell'articolo 153 sono all'origine della mancata utilizzazione, nella pratica, di tale articolo come base giuridica del diritto derivato in materia di promozione dei diritti e degli interessi dei consumatori e in materia di sviluppo della politica dei consumatori nell'Unione. Quest'ultima avrebbe tutto da guadagnare da una base giuridica appropriata, funzionale ed efficace.

2.2

Le istituzioni europee in generale e le organizzazioni della società civile, le associazioni dei consumatori e gli interlocutori sociali in particolare sarebbero sicuramente i primi a trarre beneficio dal miglioramento della base giuridica della politica dei consumatori nel Trattato.

2.2.1

Il Comitato, quale sede istituzionale che rappresenta la società civile organizzata, è stato giudicato il luogo più appropriato per condurre a buon fine questo compito in uno spirito improntato al dialogo tra gli interlocutori sociali e con il sostegno degli esperti universitari in materia.

2.2.2

A giudizio del Comitato, la politica dei consumatori figura tra le politiche più vicine ai cittadini europei; di conseguenza essa può e deve influenzare in modo significativo la loro adesione all'ideale europeo, purché esso risponda alle loro esigenze e aspirazioni.

2.2.3

Il 14 ottobre 2005 il Comitato ha tenuto un'audizione alla quale hanno partecipato molti di coloro che avevano risposto favorevolmente al questionario preparato a tal fine. Le opinioni e i suggerimenti raccolti hanno consentito di dare una base solida al presente parere, e il Comitato ringrazia vivamente tutti coloro che ne hanno permesso l'elaborazione (3).

3.   La problematica: una base giuridica per la politica dei consumatori

3.1

L'attuale base giuridica per la politica di difesa dei consumatori figura all'articolo 153 del Trattato CE (Titolo XIV — Protezione dei consumatori), il quale recita:

«1.

Al fine di promuovere gli interessi dei consumatori ed assicurare loro un livello elevato di protezione, la Comunità contribuisce a tutelare la salute, la sicurezza e gli interessi economici dei consumatori nonché a promuovere il loro diritto all'informazione, all'educazione e all'organizzazione per la salvaguardia dei propri interessi.

2.

Nella definizione e nell'attuazione di altre politiche o attività comunitarie sono prese in considerazione le esigenze inerenti alla protezione dei consumatori.

3.

La Comunità contribuisce al conseguimento degli obiettivi di cui al paragrafo 1 mediante:

a)

misure adottate a norma dell'articolo 95 nel quadro della realizzazione del mercato interno;

b)

misure di sostegno, di integrazione e di controllo della politica svolta dagli Stati membri.

4.

Il Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 251 e previa consultazione del Comitato economico e sociale, adotta le misure di cui al paragrafo 3, lettera b).

5.

Le misure adottate a norma del paragrafo 4 non impediscono ai singoli Stati membri di mantenere o di introdurre misure di protezione più rigorose. Tali misure devono essere compatibili con il presente Trattato. Esse sono notificate alla Commissione» (4).

3.2

Per essere elevata al rango di materia di competenza dell'Unione, la protezione dei consumatori deve necessariamente formare oggetto di una disposizione specifica del Trattato: ciò in applicazione dell'articolo 5 dello stesso Trattato, che, nella versione consolidata, recita:

«Il Parlamento europeo, il Consiglio, la Commissione, la Corte di giustizia e la Corte dei conti esercitano le loro attribuzioni alle condizioni e ai fini previsti, da un lato, dalle disposizioni dei Trattati che istituiscono le Comunità europee, nonché dalle disposizioni dei successivi Trattati e atti recanti modifiche o integrazioni delle stesse e, dall'altro, dalle altre disposizioni del presente Trattato».

3.3

L'importanza di tale regola, in base alla quale gli Stati hanno il potere di definire la propria competenza, merita di essere sottolineata, dato che una formulazione lacunosa, imprecisa o contraddittoria può portare a invalidare le regole successivamente adottate dalle istituzioni europee in virtù di tale Trattato.

3.4

È opportuno segnalare a questo punto come, nella sentenza del 5 ottobre 2000, la Corte di giustizia delle Comunità europee abbia ricordato che un atto adottato sulla base dell'articolo 100 A (oggi articolo 95) del Trattato deve avere effettivamente per oggetto il miglioramento delle condizioni di instaurazione e di funzionamento del mercato interno. La Corte ricorda che, se la semplice constatazione di disparità tra le normative nazionali e il rischio astratto di ostacoli alle libertà fondamentali o di distorsioni della concorrenza fossero sufficienti a giustificare la scelta dell'articolo 100 A come base giuridica, il controllo giurisdizionale del rispetto del fondamento giuridico potrebbe essere privato di ogni efficacia (5).

3.5

Questa esigenza di una base giuridica chiara, e pertanto suscettibile di controllo in una prospettiva internazionale, rappresenta altresì sul piano politico un segnale costituzionale incontestabile del bisogno di una politica di protezione dei consumatori. Giova a tale proposito ricordare come l'Atto unico europeo del 17 e 28 febbraio 1986 abbia parzialmente rimediato alla lacuna che presentava il Trattato di Roma, introducendo un titolo specifico sull'ambiente costituito dagli articoli 130 R, 130 S e 130 T (attuali articoli 174-176). Gli obiettivi perseguiti dall'articolo 175 e i criteri definiti da questo stesso testo per l'elaborazione dell'azione della Comunità in materia ambientale hanno manifestamente favorito l'emergere di un corpus efficace di norme in materia.

3.5.1

A tale proposito, la lettura comparata degli attuali articoli 175 e 153 del Trattato mostra in modo evidente che la qualità stessa della base giuridica è determinante per gli interventi successivi. In materia ambientale, gli obiettivi sono enunciati con chiarezza e precisione.

L'articolo 175 definisce inoltre i principi fondatori degli interventi della Comunità in tale ambito.

Infine, i parametri tecnici di cui all'articolo 175, paragrafo 3, contribuiscono anch'essi a un'applicazione razionale e utile della politica in materia ambientale.

3.5.2

Nella misura in cui il legislatore comunitario dispone di un potere discrezionale sull'adeguatezza delle misure che intende adottare, è evidente che la qualità della base giuridica è un fattore determinante in quanto riduce le ipotesi di errore manifesto, sviamento di potere o palese sconfinamento dai limiti del potere discrezionale (6).

4.   L'articolo 153 costituisce una base giuridica accettabile su cui fondare la politica comunitaria per i consumatori europei?

4.1

Alla luce di quanto esposto, occorre constatare che l'attuale articolo 153 del Trattato non costituisce più una base giuridica tale da offrire garanzie sufficienti per gli obiettivi di protezione dei consumatori.

4.2

Di conseguenza, il diritto del consumo a livello comunitario si è sviluppato essenzialmente attorno all'articolo 95 del Trattato CE e deve molto all'impulso esercitato dalla realizzazione del mercato interno. La protezione dei consumatori è concepita ovviamente come una politica trasversale e in altri settori del Trattato esistono riferimenti espliciti alla necessità di tener conto della protezione dei consumatori. Ciononostante, in linea generale si considera che l'articolo 153 nella sua redazione attuale sia insufficiente.

4.3

Si constata altresì che solo in casi eccezionali le misure di protezione e difesa dei consumatori sono state adottate sulla base dell'articolo 153 (o, precedentemente, dell'articolo 129 A).

4.4

Alla critica secondo cui la politica dei consumatori non sarebbe che un elemento accessorio rispetto alle regole che presiedono allo sviluppo del mercato interno, vanno aggiunte le conclusioni formulate dalla Corte di giustizia nella sentenza del 5 ottobre 2000 (7) e ricordate sopra. L'elemento d'incertezza legato proprio a questa giurisprudenza può portare a mettere in dubbio, specie sollevando questioni pregiudiziali, la base giuridica stessa di talune direttive adottate nel campo della protezione dei consumatori (garanzia, vendite a domicilio, ecc.).

4.5

Inoltre, il testo attualmente in vigore definisce un criterio specifico come il «livello elevato di protezione dei consumatori». Tale livello, secondo la definizione di cui all'articolo 153, non porta necessariamente a cercare negli Stati membri il sistema giuridico che offra le maggiori garanzie. Il paragrafo 5 dello stesso articolo, infatti, consente in questo caso di mantenere misure di protezione più rigorose, purché compatibili con il Trattato.

4.5.1

Peraltro, non è affatto facile stabilire che cosa si intenda per livello elevato di protezione. Al riguardo l'articolo 153 non prevede alcun parametro di valutazione, il che può portare a difficoltà interpretative.

4.6

Sembra ormai chiaro che la base giuridica debba essere rivista alla luce delle riflessioni che seguono.

4.6.1

La politica di protezione dei consumatori deve figurare tra le competenze proprie dell'Unione e non essere complementare rispetto alla politica condotta dagli Stati membri. È infatti paradossale considerare la protezione dei consumatori di competenza degli Stati membri, quando si afferma che essa può contribuire a migliorare il mercato interno.

4.6.2

La salute, la sicurezza e gli interessi economici dei consumatori sono presentati come ambiti nei quali l'Unione deve apportare il proprio contributo, ma in realtà andrebbero visti come obiettivi che meritano sicuramente di essere ampliati. Per esempio, gli interessi economici dei consumatori sono gli unici a dover essere presi in considerazione? Esiste una chiara contraddizione tra la promozione di tali interessi e il contributo alla loro protezione.

4.6.3

Il diritto all'informazione, il diritto all'istruzione e il diritto all'organizzazione per tutelare questi interessi sono principi che sarebbe necessario riconoscere come regole fondamentali per la politica dell'Unione.

4.6.4

I criteri di cui tener conto per determinare il livello elevato di protezione non sono stati definiti, ed è il Trattato stesso a doverli menzionare.

4.6.5

Una riflessione su una base giuridica autonoma per la protezione dei consumatori dovrà tener conto della priorità da attribuire alla politica comunitaria nella sostanza e nella forma. Il principio della doppia sussidiarietà rappresenta evidentemente une restrizione che paralizza a livello sia europeo che nazionale qualsiasi politica di sviluppo della protezione dei consumatori. In tali circostanze, è chiaro che la doppia sussidiarietà di cui all'articolo 153 debba essere abbandonata.

4.6.6

La base giuridica nel Trattato deve anch'essa mirare non solo a proteggere o a difendere il consumatore, ma anche ad assegnargli un ruolo attivo. Il consumatore è un cittadino che, nelle scelte proposte dalla società, deve avere un chiaro diritto di parola ed essere ascoltato.

4.6.7

Infine, si dovrà stabilire se le disposizioni del Trattato in materia di ricorso alla Corte di giustizia non debbano riconoscere anche alle associazioni di consumatori la possibilità di adire la Corte in quanto gruppi rappresentativi direttamente interessati dagli atti adottati dall'Unione europea.

4.6.8

A ciò si aggiunga che il testo, nella sua formulazione attuale, si fonda su una concezione restrittiva della protezione dei consumatori e incentrata praticamente solo sui vantaggi dell'informazione.

5.   Obiettivi, principi e criteri per la definizione di una base giuridica per la politica dei consumatori

5.1

Quali sono i criteri che, in linea generale, devono determinare la qualità di una base giuridica in un Trattato?

Dagli elementi esposti in precedenza emerge che la base giuridica deve:

essere chiara e precisa,

indicare gli obiettivi da perseguire nel quadro della politica definita, i principi fondatori di questa politica e i criteri di attuazione,

essere autonoma.

Queste diverse caratteristiche sono essenziali per tentare di ovviare alle difficoltà enunciate sopra.

5.2

Esistono altre questioni secondarie di cui si può tener conto al fine di perfezionare la base giuridica, ad esempio le opzioni sul grado di armonizzazione da perseguire. La Commissione, in particolare, sostiene una politica di armonizzazione massima o completa. Bisogna però che il livello di protezione scelto sia effettivamente elevato, giacché in caso contrario l'armonizzazione massima o totale rischia di svilupparsi a scapito degli interessi dei consumatori.

5.3

Il testo proposto tende a modificare l'articolo 3, paragrafo 1, lettera t), del Trattato indicando chiaramente, tra gli obiettivi perseguiti dalle istituzioni, la politica di promozione e di protezione degli interessi dei consumatori.

5.4

Nella formulazione proposta l'articolo 153 si compone di tre parti.

5.4.1

Esso contiene un elenco degli obiettivi perseguiti dall'Unione nell'ambito della politica dei consumatori. Si tratta di obiettivi ormai consueti, ma di cui occorre sottolineare alcune particolarità:

la promozione dei diritti all'informazione, all'educazione, alla partecipazione e all'organizzazione per la difesa e la rappresentanza degli interessi dei consumatori, specie mediante il riconoscimento dei diritti individuali e collettivi in tale ambito, costituisce un'innovazione. È un chiaro segno che si devono sì mettere a punto meccanismi di ricorso collettivo, ma al tempo stesso trovando il modo di coinvolgere collettivamente i consumatori nell'elaborazione delle regole che li riguardano,

la protezione della salute e della sicurezza dei consumatori è senz'altro un tema tradizionale che deve essere riaffermato come uno degli obiettivi perseguiti dal Trattato,

infine, la promozione degli interessi giuridici, economici, sociali e culturali dei consumatori costituisce evidentemente un elemento nuovo. Essa riconosce infatti il consumatore come attore della società e non come semplice utilizzatore dei prodotti e dei servizi. È in base al riconoscimento di tale promozione che si possono elaborare ad esempio delle politiche di sviluppo sostenibile. Altrettanto dicasi per una politica che associ strettamente la promozione degli interessi dei consumatori al necessario rispetto per l'ambiente.

5.4.2

In base alla formulazione dell'articolo 153 possono essere affermati alcuni principi:

l'azione preventiva,

l'indennizzo equo,

lo sviluppo di un consumo sostenibile,

il principio della responsabilità di chi è all'origine del rischio,

il principio partecipativo.

Questi cinque principi sono necessari per condurre a buon fine la politica di cui sopra.

5.4.3

Il testo proposto ricorda nei modi consueti che le esigenze accolte qui in una base autonoma non possono essere ignorate neanche al momento di sviluppare altre politiche dell'Unione.

5.4.4

Soprattutto al momento di definire tali misure sarà necessario tenere conto di alcuni parametri. La nozione di livello di protezione elevato si baserà in particolare sui dati socioeconomici disponibili e che permettono di definire esattamente il comportamento dei consumatori di fronte all'acquisto e all'utilizzo dei prodotti e dei servizi commercializzati. Parimenti deve essere affermato il riconoscimento esplicito dei ricorsi collettivi.

5.4.5

L'articolo 153, nella forma proposta, definisce la politica che deve essere seguita dal Consiglio.

Una delle questioni dibattute è quella dell'efficacia diretta delle direttive. La soluzione proposta tende a privilegiare i regolamenti come tecnica di armonizzazione, vanificando il dibattito in corso sull'efficacia delle direttive. Il risultato è la messa a punto di un approccio flessibile che consente di indurre gli Stati membri a prendere posizione quando intendono mantenere o stabilire misure di protezione.

Tale soluzione favorisce l'armonizzazione massima, che viene sottoposta tuttavia a una valutazione caso per caso.

5.4.6

Il testo dell'articolo 153 contiene infine un'innovazione in quanto eleva le associazioni di consumatori al rango di destinatari degli atti comunitari ai sensi dell'articolo 230 del Trattato. In altri termini, gli atti comunitari che ignorano le disposizioni del Trattato possono formare oggetto di un ricorso diretto delle associazioni dinanzi alla Corte di giustizia.

6.   Conclusione: proposta di una nuova base giuridica

In base alle precedenti considerazioni, la proposta viene formulata come segue:

Articolo 153

«1.   La politica della Comunità nell'ambito del consumo assicura il perseguimento dei seguenti obiettivi:

la promozione dei diritti all'informazione, all'educazione, alla partecipazione e all'organizzazione per la difesa e la rappresentanza degli interessi dei consumatori, in particolare mediante il riconoscimento dei diritti individuali e collettivi in tali ambiti,

la protezione della salute e della sicurezza dei consumatori,

la promozione degli interessi giuridici, economici, sociali e culturali dei consumatori.

2   La politica della Comunità nell'ambito della protezione dei consumatori mira al livello di protezione più elevato. Essa si fonda sui seguenti principi:

il principio di azione preventiva,

il principio di effettiva riparazione dei danni derivanti dalla lesione dei diritti e degli interessi individuali e collettivi dei consumatori,

il principio della responsabilità di chi è all'origine del rischio,

il principio di sviluppo di una politica del consumo e della protezione sostenibile,

il principio di partecipazione dei consumatori mediante istanze rappresentative dei loro interessi all'elaborazione e all'applicazione delle norme.

3.   Le esigenze in materia di protezione dei consumatori sono integrate nella definizione e nell'attuazione delle altre politiche della Comunità.

4.   Nell'elaborare la sua azione in materia di protezione dei consumatori, la Comunità tiene conto:

di livelli di protezione elevati riconosciuti ai consumatori all'interno degli Stati membri,

dei dati socioeconomici disponibili relativi all'acquisto e all'utilizzo dei prodotti e dei servizi commercializzati,

dell'efficacia dei ricorsi presentati in caso di lesione dei diritti e degli interessi dei consumatori, specie mediante il riconoscimento di azioni di interesse collettivo.

Articolo 153 a

1.   Il Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 251 e previa consultazione del Comitato economico e sociale europeo, adotta le misure necessarie alla realizzazione degli obiettivi di cui al paragrafo 1 dell'articolo 153; tali misure formano oggetto di una revisione periodica intesa a garantire che continuino ad assicurare un livello elevato di tutela dei consumatori.

2.   Le misure di armonizzazione adottate a norma del paragrafo 1 non impediscono ai singoli Stati membri di mantenere o di introdurre misure di protezione più rigorose. Tali misure devono essere compatibili con il presente Trattato e sono notificate alla Commissione.

3.   La Commissione, nei sei mesi successivi alla notifica di cui al paragrafo 2, decide sull'eventuale rigetto della misura nazionale, indicando in particolare se quest'ultima rappresenti un ostacolo al funzionamento del mercato interno. In assenza di una decisione entro tale termine, la misura si considera accolta, salvo il caso in cui la complessità della materia esiga una proroga del termine fino al massimo di un anno, nel cui caso lo Stato membro ne riceve notifica entro il primo termine di sei mesi.

4.   La Commissione assicura, in stretta cooperazione con gli Stati membri, l'applicazione effettiva delle misure adottate per la promozione dei diritti e degli interessi dei consumatori. In particolare gli Stati membri sono tenuti ad adottare le disposizioni necessarie per:

a)

definire e applicare sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive in caso di violazione delle misure che impongono obblighi o divieti per la protezione dei consumatori;

b)

far cessare tali violazioni;

c)

prevedere procedure giudiziarie e non giudiziarie semplificate per la prevenzione e la riparazione delle violazioni dei diritti e degli interessi dei consumatori e un giusto risarcimento dei danni subiti.

5.   Le associazioni di consumatori debitamente riconosciute secondo il diritto interno degli Stati membri o dalla Commissione europea sono considerate destinatarie, ai sensi dell'articolo 230, delle misure adottate in applicazione del presente articolo e dell'articolo 153.»

Bruxelles, 20 aprile 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Il CESE ha evidenziato tale dato di fatto nel parere sul tema La politica dei consumatori dopo l'allargamento dell'UE (GU C 221 dell'8.9.2005) e il Parlamento lo ha anch'esso riconosciuto nella relazione La promozione e la tutela degli interessi dei consumatori nei nuovi Stati membri (relatore: Henrik Dam KRISTENSEN, PE 359.904/02-00). Di tale aspetto si potrebbe tenere meglio conto tramite lo sviluppo complementare di approcci di autoregolamentazione e di coregolamentazione e di modalità alternative di composizione delle controversie.

(2)  Ciò è ben evidenziato nella nuova direttiva 2005/29/CE dell'11.5.2005 (GU L 149 dell'11.6.2005) relativa alle pratiche commerciali sleali, nel programma d'azione comunitario nel settore della salute e della tutela dei consumatori (2007/2013) (COM(2005) 115 def.) e nella proposta ritirata di regolamento sulla promozione delle vendite nel mercato interno (COM(2005) 462 def. del 27.9.2005).

(3)  All'audizione del 14 ottobre 2005 erano presenti: Carlos Almaraz (UNICE), Prof. Thierry Bourgoignie (Università del Québec, Montreal), Nuria Rodríguez (Ufficio europeo delle unioni di consumatori - BEUC), Denis Labatut e Kalliopi Spyridaki (Unione dei gruppi di commercianti dettaglianti indipendenti dell'Europa - UGAL), Jon-Andreas Lange (Forbrukerradet - Consiglio norvegese dei consumatori), William Vidonja (CEA), Patrick von Braunmühl (Verbraucherzentrale Bundesverband - VZBV) e Hubert J.J. van Breemen (VNO NVW).

Sono inoltre giunti commenti scritti, in risposta al questionario indirizzato ad alcune decine di giuristi e di accademici in tutta Europa, dai seguenti esperti e organismi: prof. Thierry Bourgoignie (Università del Québec, Montreal), prof. Jean Calais-Auloy (Facoltà di diritto e scienze economiche dell'Università di Montpellier), Stephen Crampton (Which?), prof. Mário Frota (Associação Portuguesa de Direito do Consumo - ADPC), Cornelia Kutterer (Ufficio europeo delle unioni di consumatori - BEUC), Jon-Andreas Lange (Forbrukerradet - Consiglio norvegese dei consumatori), René-Claude Mäder (Consommation, Logement et Cadre de Vie - CLCV), prof. Stephen Weatherill (ECLG), prof. Hans Micklitz (Institut für Europäisches Wirtschafts-und Verbraucherrecht e Università di Bamberga), Gaëlle Patetta (UFC-Que Choisir?), prof. Norbert Reich (Facoltà di diritto dell'Università di Brema), UNICE e Euro Commerce.

(4)  Oltre che sull'articolo precitato, la politica dei consumatori si basa anche su altre disposizioni del Trattato sull'Unione europea (in appresso denominato «Trattato UE»), prime tra tutte il preambolo in cui i capi di Stato e di governo si dichiarano «determinati a promuovere il progresso economico e sociale dei loro popoli, tenendo conto del principio dello sviluppo sostenibile nel contesto della realizzazione del mercato interno e decisi ad istituire una cittadinanza comune ai cittadini dei loro paesi», nonché sulle disposizioni di cui agli articoli 2 e 6 del suddetto Trattato UE e agli articoli 2; 3, paragrafo 1, lettera t); 17, paragrafo 2; 33, paragrafo 1, lettera e); 34, paragrafo 2, secondo comma; 75, paragrafo 3, secondo comma; 81, paragrafo 3; e 87, paragrafo 2, lettera a), del Trattato CE nella versione modificata dal Trattato di Nizza.

(5)  CGCE, 5 ottobre 2000, Repubblica federale di Germania contro Parlamento e Consiglio, causa C-376/98, Racc., I-8149, cfr. in particolare i punti 76-89.

(6)  Al riguardo, cfr. CGCE, 20 ottobre 1977, S.A. Roquette Frères contro Stato francese, causa 29/77, Racc. pag. 1835.

(7)  Causa C-376/98. Repubblica federale di Germania contro Parlamento europeo e Consiglio dell'Unione europea.


ALLEGATO I

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Qui di seguito si riportano gli emendamenti che, pur essendo stati respinti durante il dibattito, hanno però ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi.

Punto 1.3

Sopprimere l'intero punto.

Motivazione

Il punto 1.3 contiene il giudizio severo secondo cui l'articolo 129 A del Trattato di Maastricht sarebbe stato ben presto «giudicato inadeguato a fungere da fondamento per lo sviluppo di una politica a pieno titolo in tale ambito». Si tratta di una critica grave e non suffragata da prove.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 23

Voti contrari: 39

Astensioni: 5

Punto 1.4

Sopprimere l'intero punto.

Motivazione

Il punto 1.4 contiene il giudizio severo secondo cui «la mancata applicazione di tale base giuridica nel corso degli anni ne ha confermato le carenze sul piano dell'adeguatezza e dell'efficacia per la promozione di un'autentica politica di protezione degli interessi dei consumatori a livello comunitario». Si tratta di una critica grave e non suffragata da prove.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 23

Voti contrari: 39

Astensioni: 5

Punto 1.5

Sopprimere l'intero punto.

Motivazione

Il punto 1.5 contiene il giudizio severo secondo cui «le modifiche introdotte dal nuovo articolo 153 del Trattato di Amsterdam non sono state in grado di ovviare alle debolezze denunciate e nemmeno i testi proposti in vista dell'adozione della Costituzione europea hanno affrontato tali questioni». Si tratta di una critica grave e non suffragata da prove.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 23

Voti contrari: 39

Astensioni: 5

Punto 4.6.1

Sopprimere l'intero punto.

Motivazione

Il punto auspica che la politica dei consumatori diventi una competenza dell'UE, ma ciò renderebbe impossibile avere norme migliori per i consumatori negli Stati membri.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 26

Voti contrari: 35

Astensioni: 8

Punto 4.6.7

Sopprimere l'intero punto.

Motivazione

Non è opportuno consentire alle associazioni di consumatori di adire la Corte di giustizia. In tal caso, infatti, qualsiasi associazione che tutela degli interessi potrebbe rivendicare il diritto di adirla a nome dei propri membri e un siffatto diritto potrebbe condurre a situazioni inaccettabili (come avviene negli Stati Uniti, dove è possibile esercitare le cosiddette class actions, azioni legali di categoria).

Esito della votazione

Voti favorevoli: 30

Voti contrari: 38

Astensioni: 4

Punto 5.4.1, primo trattino

Modificare come segue:

la promozione dei diritti all'informazione, all'educazione, alla partecipazione e all'organizzazione per la difesa e la rappresentanza degli interessi dei consumatori, specie mediante il riconoscimento dei diritti individuali e collettivi in tale ambito costituisce un'innovazione. È un chiaro segno che si devono sì mettere a punto meccanismi di ricorso collettivo, ma al tempo stesso trovando deve trovare il modo di coinvolgere collettivamente i consumatori nell'elaborazione delle regole che li riguardano,

Motivazione

Non è opportuno consentire alle associazioni di consumatori di adire la Corte di giustizia. In tal caso, infatti, qualsiasi associazione che tutela degli interessi potrebbe rivendicare il diritto di adirla a nome dei propri membri e un siffatto diritto potrebbe condurre a situazioni inaccettabili (come avviene negli Stati Uniti, dove è possibile esercitare le cosiddette class actions, azioni legali di categoria).

Esito della votazione

Voti favorevoli: 30

Voti contrari: 40

Astensioni: 3

Punto 5.4.4

Modificare come segue:

5.4.4

Soprattutto al momento di definire tali misure sarà necessario tenere conto di alcuni parametri. La nozione di livello di protezione elevato si baserà in particolare sui dati socioeconomici disponibili e che permettono di definire esattamente il comportamento dei consumatori di fronte all'acquisto e all'utilizzo dei prodotti e dei servizi commercializzati. Parimenti deve essere affermato il riconoscimento esplicito dei ricorsi collettivi.

Motivazione

Non è opportuno consentire alle associazioni di consumatori di adire la Corte di giustizia. In tal caso, infatti, qualsiasi associazione che tutela degli interessi potrebbe rivendicare il diritto di adirla a nome dei propri membri e un siffatto diritto potrebbe condurre a situazioni inaccettabili (come avviene negli Stati Uniti, dove è possibile esercitare le cosiddette class actions, azioni legali di categoria).

Esito della votazione

Voti favorevoli: 27

Voti contrari: 42

Astensioni: 4

Punto 5.4.6

Sopprimere l'intero punto.

Motivazione

Non è opportuno consentire alle associazioni di consumatori di adire la Corte di giustizia. In tal caso, infatti, qualsiasi associazione che tutela degli interessi potrebbe rivendicare il diritto di adirla a nome dei propri membri e un siffatto diritto potrebbe condurre a situazioni inaccettabili (come avviene negli Stati Uniti, dove è possibile esercitare le cosiddette class actions, azioni legali di categoria).

Esito della votazione

Voti favorevoli: 26

Voti contrari: 44

Astensioni: 2

Punto 6

Sopprimere l'intero punto.

Motivazione

Il punto 6 contiene una proposta ambiziosa relativa a una nuova base giuridica per la politica di protezione dei consumatori. Come si è detto in relazione ai punti 1.3, 1.4 e 1.5, il testo del parere non offre prove sufficienti della necessità o del bisogno di emendare il quadro esistente. Il documento risulterebbe di gran lunga più incisivo se, anziché procedere a un'estesa modifica dell'attuale base giuridica, si concentrasse sui motivi reali che giustificano l'adozione in via prioritaria di un nuovo quadro giuridico in una prossima revisione del Trattato.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 23

Voti contrari: 39

Astensioni: 5

Articolo 153

Nel paragrafo 4, sopprimere l'ultimo trattino:

dell'efficacia dei ricorsi presentati in caso di lesione dei diritti e degli interessi dei consumatori, specie mediante il riconoscimento di azioni di interesse collettivo.

Motivazione

Non è opportuno consentire alle associazioni di consumatori di adire la Corte di giustizia. In tal caso, infatti, qualsiasi associazione che tutela degli interessi potrebbe rivendicare il diritto di adirla a nome dei propri membri e un siffatto diritto potrebbe condurre a situazioni inaccettabili (come avviene negli Stati Uniti, dove è possibile esercitare le cosiddette class actions, azioni legali di categoria).

Esito della votazione

Voti favorevoli: 27

Voti contrari: 44

Astensioni: 2

Articolo 153 A

Sopprimere il paragrafo 4.

Motivazione

Il paragrafo in questione intende rendere la politica dei consumatori soggetta alle regole del mercato interno, il che non è conforme al resto del parere.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 27

Voti contrari: 34

Astensioni: 14


ALLEGATO II

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Pur essendo stato respinto a favore di un emendamento, il seguente brano del parere della sezione specializzata ha ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi.

Articolo 153 A

2.

Le misure di armonizzazione assumono in via prioritaria la forma di regolamento.

Esito della votazione:

Voti favorevoli (alla soppressione del paragrafo 2): 31

Voti contrari: 24

Astensioni: 14


8.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 185/80


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione — Attuare il programma comunitario di Lisbona: un quadro politico per rafforzare l'industria manifatturiera dell'UE — verso un'impostazione più integrata della politica industriale

COM(2005) 474 def.

(2006/C 185/14)

La Commissione, in data 15 ottobre 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 28 marzo 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore EHNMARK.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 20 aprile 2006, nel corso della 426a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 38 voti favorevoli, 1 voto contrario e 5 astensioni.

1.   Sintesi del parere

1.1

La strategia di Lisbona offre un'ampia gamma di misure orizzontali per creare un quadro di riferimento tale da rendere l'Europa più competitiva. Sono finora mancati, invece, gli approcci settoriali. La nuova comunicazione della Commissione costituisce per l'UE un altro passo verso la creazione di una politica industriale europea comune. Una politica comune e priorità comuni dovrebbero tradursi in un miglioramento della competitività europea nel contesto globale. Pertanto, il Comitato esprime vivo compiacimento per la comunicazione della Commissione incentrata su un'impostazione più integrata della politica industriale.

1.2

Il CESE appoggia l'ampio lavoro di analisi svolto nella comunicazione riguardo alle misure di sostegno necessarie in 27 settori dell'industria manifatturiera. Esso sostiene anche la costituzione di 14 task force settoriali e intersettoriali, con l'obiettivo di delineare delle misure più concrete per promuovere la competitività dell'industria europea.

1.3

Tuttavia, la comunicazione in esame omette di coprire alcuni aspetti essenziali della definizione e dell'attuazione della politica industriale europea. La responsabilità dell'attuazione, infatti, è affidata ad altre unità della Commissione — o ad autorità nazionali e regionali — e all'industria stessa. Le questioni relative al «chi fa che cosa» sono rinviate a un esame successivo.

1.4

In particolare, la comunicazione non mette in evidenza la necessaria distribuzione del lavoro tra i livelli comunitario e nazionale. Le 14 nuove task force settoriali opereranno principalmente a livello comunitario. Il CESE sottolinea che è essenziale garantire un coordinamento con il livello nazionale. Ciò farà risparmiare tempo, e l'industria di certo non può permettersi perdite di tempo.

1.5

La comunicazione non fornisce molte indicazioni neppure su altri due campi, cioè il ruolo dei governi in materia di innovazione e competitività e la determinazione dei confini tra l'industria manifatturiera e i servizi.

1.6

Per quanto concerne le attività future, il CESE sottolinea l'importanza di un diretto coinvolgimento dei soggetti interessati, in particolare delle parti sociali. Il Comitato ritiene fondamentale che queste ultime possano raggiungere accordi sulle trasformazioni e sull'innovazione industriali, come già accade in alcuni Stati membri.

1.7

Con la comunicazione, l'UE sta dando una risposta alla domanda «L'industria manifatturiera europea ha un futuro»? Il CESE da parte sua è pronto a includere le questioni della politica industriale europea nell'ambito della rete di monitoraggio sull'attuazione della strategia di Lisbona.

2.   Introduzione

2.1

La revisione intermedia della strategia di Lisbona presentata al Consiglio europeo del marzo 2005, ha dato un'immagine in chiaroscuro dei risultati conseguiti nei primi cinque anni.

2.2

Sono in particolare la crescita economica e industriale e la creazione di nuovi e migliori posti di lavoro i campi in cui la strategia di Lisbona ha fallito. La concorrenza globale presenta delle difficoltà per l'Europa. Una serie di indici sulla crescita e la competitività pongono gli Stati Uniti in testa, insieme con i paesi nordici. Le grandi economie europee seguono a notevole distanza. In una classifica stilata dal World Economic Forum, il Regno Unito era al 13o posto, la Germania al 15o e la Francia al 30o immediatamente prima della Spagna. D'altro canto, va osservato che alcuni dei nuovi Stati membri dell'UE stanno ottenendo buoni risultati in termini di crescita economica: nel 2005 il PIL della Slovacchia è cresciuto del 5,5 % e quello della Polonia del 5,4 %.

2.3

Una recente indagine sulla crescita della produttività, condotta dal «Conference Board» (un'organizzazione mondiale di ricerca), mostra che, in un decennio, le principali economie europee hanno perso ulteriormente terreno rispetto a quella statunitense. Nel 2005 l'UE-15 ha fatto registrare un tasso di crescita della produttività dello 0,5 %, rispetto all'1,8 % degli Stati Uniti e all'1,9 % del Giappone.

2.4

In risposta alle decisioni del Consiglio europeo del marzo 2005, la Commissione europea ha presentato un numero consistente di proposte e comunicazioni, incentrate sulle questioni della ristrutturazione industriale, della produttività e della competitività, nonché del sostegno all'imprenditorialità e alle piccole e medie imprese.

2.5

Ciò che manca nella gamma delle nuove proposte sono gli sforzi rivolti ad affrontare i problemi industriali a livello settoriale, in particolare nell'industria manifatturiera, e che costituiscano la base per misure di sostegno settoriali o verticali. Con la nuova comunicazione qui discussa, la Commissione si propone di soddisfare quest'esigenza.

3.   Lineamenti del nuovo quadro politico proposto

3.1

La comunicazione in esame può essere considerata il lancio di un nuovo processo basato sull'analisi della situazione della competitività di 27 settori dell'industria manifatturiera.

3.2

L'attenzione si concentra sugli aspetti che le stesse imprese percepiscono come strozzature per l'innovazione, la competitività e la crescita. L'accento è sulle piccole e medie imprese (PMI), fatto logico se si pensa che l'industria manifatturiera dell'UE è formata in larga maggioranza da PMI, in cui lavora il 58 % degli occupati del settore. Inoltre, nel corso dei lavori preparatori sono state consultate diverse parti direttamente interessate.

3.3

I settori manifatturieri analizzati nella comunicazione coprono quattro grandi comparti: industrie alimentari e delle scienze della vita, industrie dei macchinari e dei sistemi; industrie della moda e del design e industrie dei prodotti di base e intermedi. In termini concreti, l'analisi copre un ventaglio di industrie che vanno da quelle che operano nel campo delle biotecnologie e quelle farmaceutiche a quelle della costruzione meccanica ed elettrica, a quelle della difesa e aerospaziali, fino a quelle tessili e dei mobili, a quelle ceramiche, dell'acciaio, chimiche e della carta.

3.4

La procedura di valutazione della competitività dei 27 settori ha utilizzato i seguenti parametri di riferimento:

creare un mercato unico aperto e competitivo,

sviluppare le conoscenze, vale a dire la ricerca, l'innovazione e le competenze,

migliorare la regolamentazione,

assicurare le sinergie tra la competitività e le politiche energetiche e ambientali,

garantire una partecipazione piena ed equa ai mercati globali,

promuovere la coesione economica e sociale.

3.5

Le conclusioni per settore segnalano, tra le numerose sfide politiche rilevanti, quei casi «la cui sfida politica è ritenuta della massima priorità per ciascun settore», per citare la comunicazione. Anche con questa indicazione, le conclusioni non sono proprio trasparenti. Per esempio, nel campo delle biotecnologie si indica l'esigenza di maggiore ricerca, ma non quella di maggiori competenze. Per il settore tessile si segnala una richiesta sia di ricerca che di competenze, oltre che una richiesta di accesso ai mercati, ma non si menziona l'esigenza di contrastare le distorsioni del commercio.

3.6

La Commissione propone il lancio di 7 iniziative intersettoriali al fine di raccogliere le sfide comuni e rafforzare le sinergie. Le 7 iniziative intersettoriali sono:

iniziativa in materia di diritti di proprietà intellettuale e di contraffazione,

gruppo ad alto livello sulla competitività, l'energia e l'ambiente,

aspetti esterni della competitività e accesso ai mercati,

nuovo programma di semplificazione legislativa,

migliorare le competenze settoriali,

gestire le trasformazioni strutturali nell'industria manifatturiera,

impostazione europea integrata della ricerca e innovazione industriale.

3.7

Oltre alle iniziative intersettoriali, la Commissione propone una serie di iniziative politiche di settore, che consisteranno in un Forum farmaceutico, in una revisione intermedia della strategia per le scienze della vita e le biotecnologie, in nuovi gruppi ad alto livello sull'industria chimica e l'industria della difesa, nel programma spaziale europeo, nella task force sulla competitività delle TIC — Tecnologie dell'informazione e della comunicazione e nell'avvio del dialogo sulle politiche per l'ingegneria meccanica.

4.   Osservazioni generali

4.1

La nuova comunicazione costituisce il primo sforzo di rilievo per elaborare iniziative settoriali globali per la competitività e l'innovazione nell'industria manifatturiera. L'iniziativa è accolta con favore, dato che gli schemi e le iniziative orizzontali non sono sufficienti e, per come è strutturata, la nuova comunicazione rappresenta una base preziosa per le decisioni da adottare sulle azioni concrete. L'iniziativa include un'analisi sofisticata delle questioni della crescita e della competitività in una serie di settori industriali.

4.2

La Commissione ha presentato la proposta come un quadro di riferimento per la fissazione di priorità. Il filo conduttore è costituito dall'adozione di misure volte ad affrontare le sfide poste dalla globalizzazione.

4.3

Ciò che manca è un collegamento chiaro tra l'impegno a livello comunitario e il necessario coinvolgimento dei governi, delle imprese e delle parti direttamente interessate ai livelli nazionale e regionale. Si presume che tutto ciò sarà messo a punto nel corso del processo, specie nelle nuove task force settoriali e intersettoriali. Vi è però un rischio evidente di un'eccessiva pianificazione e di un'attuazione pratica insufficiente.

4.4

Per evitare che sia così, il CESE raccomanda il compimento di azioni specifiche per garantire il coordinamento necessario. Ciò amplierebbe anche l'ambito della partecipazione attiva delle diverse parti direttamente interessate.

4.5

La nuova comunicazione, insieme a varie altre proposte e comunicazioni, rappresenta un passo in avanti verso la creazione di una politica industriale europea. È una strada realisticamente percorribile? Tenendo conto delle sfide che si presentano all'industria europea, a parere del CESE questo, probabilmente, è il modo migliore di promuovere la competitività e sfruttare i vantaggi specifici offerti dall'Unione, come la sua elevata base di conoscenze e un mercato interno di grandi dimensioni.

4.6

La Commissione tiene a sottolineare che la nuova comunicazione intende essere coerente con lo spirito della strategia di Lisbona e aggiungersi agli sforzi complessivamente profusi per attuare tale strategia. La responsabilità dell'effettiva applicazione, in termini di maggiore ricerca, istruzione o regolamentazione, incomberà ad altri servizi della Commissione e agli organismi nazionali e regionali competenti. La pianificazione e l'attuazione devono essere coordinate.

4.7

Vi è una certa ambivalenza nell'approccio della Commissione. L'equilibrio tra i programmi orizzontali e le nuove iniziative settoriali dovrebbe essere considerato più approfonditamente.

4.8

Per le diverse azioni la comunicazione non prevede nuove risorse, le quali invece devono provenire a livello UE dal programma CIT, dal programma quadro di R&S, dai fondi strutturali e dai programmi per l'istruzione, solo per menzionare i più importanti. Coordinare le politiche, e le risorse, sarà un compito difficile e delicato, in particolare perché le risorse finanziarie europee disponibili sono alquanto limitate rispetto ai bisogni e alle domande.

4.9

Per introdurre metodi e mezzi di produzione nuovi e avanzati, in particolare nelle PMI, è essenziale la disponibilità di crediti a condizioni favorevoli. La BEI e il FEI dovrebbero essere strettamente coinvolti nel lavoro dei gruppi di pianificazione settoriali e intersettoriali.

4.10

Nella sua nuova proposta, la Commissione si concentra sul livello comunitario, mentre gli aspetti regionali sono menzionati solo marginalmente. Nell'analisi non si considera l'importanza delle aree metropolitane, con il loro vasto potenziale per la promozione dell'innovazione e della competitività dell'industria. Tutto ciò, ma anche le questioni attinenti alla politica industriale regionale, dovrà essere preso in considerazione nel prosieguo.

4.10.1

Il Comitato osserva che la Commissione non avanza proposte specifiche in merito ai settori industriali che presentano un grado particolarmente elevato di concentrazione regionale.

4.11

Nelle risposte fornite dalle imprese e dagli altri soggetti interessati riguardo alle misure per promuovere la competitività dominano tre temi: maggiore ricerca e collegamento con la ricerca; maggiore istruzione e formazione, in particolare con riferimento alle competenze; un accesso più agevole al sostegno finanziario, in particolare per favorire lo spirito imprenditoriale e le microimprese.

4.12

La maggioranza dei settori manifatturieri analizzati nella nuova comunicazione cita il miglioramento delle competenze come un aspetto la cui sfida è ritenuta della massima priorità, come afferma la comunicazione. Le questioni delle competenze e del loro miglioramento sono di fondamentale importanza. L'iniziativa intersettoriale prevista sulle competenze produrrà, si spera, proposte innovative.

4.13

La comunicazione dedica scarsa attenzione all'importanza dei governi nel creare condizioni uniformi (level playing field) per l'industria, e in particolare per quella manifatturiera. Il lavoro d'analisi produrrà senz'altro una serie di osservazioni sulle modalità con cui i governi possono sostenere l'industria, per esempio sotto il profilo dell'istruzione, dei sistemi di trasporto, delle soluzioni energetiche e delle reti di TCI.

4.14

La comunicazione non prende in esame il fatto che la linea di separazione tra l'industria manifatturiera e i servizi sta diventando sempre meno netta. Che cosa significa ciò in termini di risorse umane, di approcci di mercato e di accesso ai mercati, di regolamentazione e di accesso ai finanziamenti?

4.15

Per quanto concerne il finanziamento delle PMI, si può notare che, nell'ampia analisi dedicata a 27 settori, si registrano solo cinque altre domande specifiche, cioè quelle da parte dell'industria farmaceutica, biotecnologica, dei dispositivi medici, delle costruzioni meccaniche ed elettriche. È piuttosto sorprendente che la stessa richiesta non sia stata registrata per le industrie dei prodotti di base e intermedi, per fare un esempio.

5.   Verso una politica industriale europea

5.1

Con la nuova comunicazione della Commissione europea, l'UE compie un altro passo nel senso della creazione di un quadro comune di riferimento per una politica industriale europea. È un'iniziativa che viene salutata con favore. Una politica comune e priorità comuni dovrebbero dare impulso alla competitività europea nel contesto mondiale. Allo stesso tempo, si deve considerare la politica industriale europea nel contesto delle strutture create per sostenere l'industria (l'istruzione e la ricerca, per nominarne solo due) e per procedere alla consultazione dei lavoratori, solo per menzionare alcuni aspetti. Una competitività elevata non è possibile per l'Europa senza la piena partecipazione della società e dei cittadini.

5.2

Si è spesso affermato che ciò che l'industria vuole è un level playing field accompagnato da meccanismi di comunicazione chiari (e non burocratici). La posizione largamente condivisa è che occorrono la minore burocrazia e, in termini generali, il massimo sostegno possibili. Per citare un recente Consiglio Competitività, i ministri hanno sottolineato che gli oneri legislativi e regolamentari non dovrebbero incidere negativamente sulla competitività. Nel contempo, si può sostenere che gli obblighi amministrativi promananti dall'UE non dovrebbero essere presentati esclusivamente come un fattore di costo, poiché essi spesso sostituiscono 25 diverse legislazioni nazionali e riducono pertanto i costi operativi. In una recente comunicazione della Commissione si afferma che i costi della regolamentazione, di cui gli obblighi amministrativi costituiscono solo un elemento, devono essere analizzati in un contesto ampio, che comprenda i costi e i benefici economici, sociali e ambientali della regolamentazione.

5.3

La concorrenza globale cui l'UE (come altri gruppi di Stati) deve far fronte è aspra. Non vi è spazio per autocompiacimenti. D'altra parte, per l'Europa la crescita e la competitività non possono mai essere fini a se stesse. Vi è un consenso generale nel riconoscere l'esistenza di una visione sociale europea, sintetizzata come segue dalla strategia di Lisbona: un alto livello di competitività basata sulla conoscenza, obiettivi ambiziosi per la coesione sociale e una politica responsabile in materia ambientale. La politica industriale europea è sia una componente della strategia di Lisbona sia un obiettivo dagli orizzonti temporali molto più ampi di quelli di tale strategia. Tuttavia, a prescindere da quest'ultima considerazione, la politica industriale rientrerà fra le priorità generali fissate nella strategia di Lisbona.

5.3.1

La Commissione ha presentato una strategia riveduta per uno sviluppo sostenibile su cui il Consiglio dovrà decidere nel corso dell'anno. Il quadro di riferimento per la politica industriale è in linea con le priorità della strategia per lo sviluppo sostenibile.

5.4

In questa prospettiva, una politica industriale europea dovrebbe concentrarsi su tre obiettivi principali: individuare i settori fondamentali per una competitività sostenibile, discutere le misure prioritarie per conseguire tale competitività e accelerare quel completamento del mercato interno che rappresenta un passo fondamentale per promuovere la realizzazione di condizioni uniformi (level playing field). A livello comunitario ciò significa prestare grande attenzione a ciò che si può effettivamente realizzare con iniziative a livello europeo. Una politica industriale che si ponesse questi obiettivi potrebbe apportare un reale valore aggiunto all'industria, ai governi nazionali e regionali, alle parti sociali e alla società civile organizzata.

5.5

Il Comitato accoglie con favore il fatto che la Commissione abbia annunciato la costituzione di gruppi di lavoro su diversi aspetti. Ritiene però che, se si vogliono fugare le ambiguità che hanno pregiudicato lo sviluppo di grandi progetti industriali europei, si debbano ancora chiarire i rapporti tra la politica industriale e altri due settori.

5.5.1

In primo luogo, va chiarito il legame tra la politica industriale e la politica di concorrenza.

5.5.2

In secondo luogo, uno degli aspetti del piano d'azione presentato dalla Commissione per modernizzare il diritto societario è il rafforzamento dei diritti degli azionisti. È essenziale che tale modernizzazione non pregiudichi gli investimenti nell'industria.

5.5.3

I diversi membri della Commissione europea competenti in materia di affari economici, mercato interno, politica di concorrenza e strategia di Lisbona dovrebbero coordinare la loro azione, in modo da evitare ogni rischio di approcci tra loro incoerenti che compromettano la credibilità e l'efficacia di ogni strategia di rilancio della politica industriale.

5.6

La politica industriale europea deve tener conto dell'importanza del ruolo svolto dal settore pubblico nel fornire conoscenza e infrastrutture, per citare solo due funzioni essenziali. In alcuni paesi vi sono stretti contatti tra l'industria e il settore pubblico, mentre in altri paesi ciò non avviene. L'importanza del settore pubblico per l'innovazione è illustrata dal fatto che negli USA, la spesa pubblica in innovazione è due volte quella dell'Europa. Anche scontando il fatto che una grande fetta di questa spesa è costituita da spese militari, la cifra indica l'importanza del settore pubblico. In una prospettiva europea, un esempio pertinente potrebbe essere la spesa pubblica passata (e in parte presente) destinata in alcuni paesi allo sviluppo di nuovi prodotti farmaceutici. L'importanza del settore pubblico è mostrata anche dal ruolo che esso svolge nello sviluppo dei servizi di TCI, in particolare delle reti a banda larga.

5.7

La revisione a metà percorso della strategia di Lisbona ha indotto anche le parti sociali a sviluppare piani mirati a garantire un futuro all'industria manifatturiera europea. L'Unione delle confederazioni delle industrie della Comunità europea (UNICE) ha presentato osservazioni e proposte approfondite riguardanti i risultati raggiunti fino a questo momento dalla strategia di Lisbona. Orgalime, organizzazione che rappresenta le industrie meccaniche elettriche e metallurgiche di 23 paesi europei, ha presentato un ampio piano di sviluppo dell'industria manifatturiera europea, a titolo di osservazioni sulla comunicazione della Commissione. Dal lato dei lavoratori, la Federazione europea dei metalmeccanici (FEM) ha presentato nell'autunno del 2005 un piano d'azione intitolato Rilanciare l'industria manifatturiera europea, in cui si sintetizzano una serie di proposte contenute anche in altri piani.

5.8

Il piano della FEM elenca 15 misure chiave suddivise in due gruppi. Nel primo, intitolato Ricerca e sviluppo, si sottolinea la necessità di destinare maggiori risorse alla ricerca e si sollecita una maggiore attenzione all'innovazione sociale, nel secondo, intitolato Un quadro sociale per l'innovazione, sono elencate alcune misure concrete supplementari volte a favorire le PMI promuovendo l'imprenditorialità, l'apprendimento permanente e la ristrutturazione del mercato europeo del lavoro, con una particolare attenzione alla sicurezza sociale.

5.9

Questo piano d'azione, come altri piani elaborati dalle parti sociali, testimonia che l'analisi delle sfide cui l'industria europea deve far fronte è in certa misura condivisa. In termini generali vi è un ampio consenso sul percorso che l'Europa deve seguire. Questa definizione parallela di problemi e di misure costituisce una piattaforma per il dialogo sociale e gli accordi tra parti sociali per promuovere l'innovazione e la competitività (cfr. la successiva sezione 6).

5.10

La strategia di Lisbona è riuscita a promuovere i concetti di società ad elevata intensità di conoscenze e di leadership europea nel campo delle competenze e nella ricerca e sviluppo. La decisione del Consiglio europeo di Barcellona di definire un obiettivo di spesa per R&S pari al 3 % del PIL ha ottenuto grande favore e ampi consensi, in teoria.

5.11

Il Comitato fa notare che, nei colloqui e nelle discussioni con i rappresentanti degli industriali, la Commissione non ha individuato molte nuove idee e soluzioni per la questione importante del trasferimento delle conoscenze dall'università all'impresa. La Commissione stessa tornerà su tali questioni in una prossima comunicazione. Tuttavia, spetta alle imprese assumersi la necessaria responsabilità di stabilire collegamenti significativi con il mondo della ricerca. Tenuto conto degli scarsi progressi nella realizzazione dell'obiettivo di destinare il 3 % del PIL europeo alla ricerca e allo sviluppo, questa carenza di idee riguardo al trasferimento di conoscenze è davvero preoccupante. Uno dei motivi di preoccupazione è il numero di studenti delle discipline scientifiche e d'ingegneria nell'UE, che è in declino rispetto ai principali concorrenti dell'Unione. È essenziale che le PMI curino l'aggiornamento delle loro risorse umane e inseriscano forza lavoro di formazione universitaria nei campi della produzione e dell'innovazione. Il Settimo programma quadro dovrebbe sostenere le PMI nell'introduzione della ricerca tecnologica di punta e di tecniche di produzione avanzate.

5.12

In tale contesto si dovrebbe ricordare che, anche se l'UE riuscirà a destinare il 3 % del suo PIL alla ricerca, essa rimarrà comunque dietro agli Stati Uniti e al Giappone. Quello del 3 %, dunque, è un obiettivo intermedio, come alcuni Stati membri dell'UE hanno già riconosciuto. La sfida posta dalla competizione globale, infatti, renderà necessario porsi obiettivi più ambiziosi, da raggiungere entro 15-20 anni.

5.13

Considerazioni analoghe possono essere formulate per quanto concerne la necessità di promuovere il miglioramento delle competenze e l'apprendimento permanente, e al riguardo una serie di segnali arriva dalla stessa industria. Tuttavia, si tratta di problemi che non possono essere risolti a livello comunitario, dove si può solo definire e analizzare la natura dei bisogni da soddisfare, mentre l'attuazione vera e propria deve aver luogo a livello nazionale e regionale. Il Cedefop potrebbe senz'altro diffondere informazioni preziose sulle esperienze raccolte al riguardo.

5.14

In tale contesto è importante ricordare che il più ampio dibattito sull'apprendimento permanente, nell'ambito della politica in materia di istruzione, è in effetti iniziato nei primi anni '70, con le importanti analisi effettuate dall'OCSE. Tuttavia, da allora in poi sono stati sperimentati pochi approcci realmente nuovi per unire le opzioni e le risorse delle imprese, del settore pubblico e anche dei cittadini, i quali potrebbero chiedere maggiori opportunità di miglioramento delle competenze in vista di una maggiore mobilità nel mercato del lavoro.

5.15

I fenomeni delle attività off-shore e della delocalizzazione delle industrie hanno richiamato l'attenzione sulla necessità di garantire i diritti fondamentali dei lavoratori a livello globale. La Dichiarazione dell'OIL sui principi e i diritti fondamentali nel lavoro (1998) ha fornito una base per la regolamentazione dell'occupazione e uno standard che dovrebbe essere applicato in tutto il sistema di governance internazionale. Gli orientamenti dell'OCSE costituiscono impegni politici assunti dai governi. Se si vuole che le trasformazioni siano percepite in maniera positiva, si deve dimostrare che esse non devono essere per forza un gioco a somma zero e che, inoltre, è possibile riuscire a gestire le trasformazioni nelle aziende, nelle industrie, nelle regioni e nei mercati del lavoro secondo modalità socialmente eque.

5.15.1

In tale contesto si dovrebbe prendere atto dell'importanza dei comitati aziendali europei. Essi costituiscono una risposta concreta alle domande di una struttura di informazione e consultazione nelle imprese transfrontaliere che presenta vaste possibilità di applicazione. Anche se i tempi per creare tali strutture sono lunghi e, nonostante una certa indeterminatezza della vigente direttiva sui comitati aziendali, questi ultimi sono una componente indispensabile degli sforzi più ampi di sviluppare una politica industriale europea.

5.16

Una politica industriale europea può dare un contributo essenziale alla competitività dell'Europa. La presente comunicazione della Commissione è uno degli elementi di costruzione di una tale politica, cui il Comitato ne ha aggiunti altri. Il Comitato propone alla Commissione di prendere l'iniziativa di lanciare altri processi di discussione e dialogo nel contesto del dialogo sociale e di altri forum pertinenti.

6.   Osservazioni sulle proposte relative ai singoli settori

6.1

Il CESE condivide la scelta dei parametri di indagine utilizzati per l'analisi dei 27 settori dell'industria manifatturiera. Anche nel quadro di questa impostazione molto ambiziosa, sono evidenti alcune contraddizioni nei singoli risultati dell'analisi. Il CESE appoggia lo sforzo e le conclusioni della Commissione. Inoltre, il Comitato sostiene anche la scelta dei temi assegnati al primo gruppo di task force di settore e intersettoriali.

6.2

In particolare il CESE apprezza molto la prevista costituzione del gruppo ad alto livello sulla competitività, l'energia e l'ambiente. Le tecnologie in materia di difesa dell'ambiente e di efficienza energetica possono conferire all'Unione europea degli importanti vantaggi competitivi nel contesto globale. La nuova consapevolezza a livello mondiale dei pericoli dei cambiamenti climatici, risultanti da un'eccessiva dipendenza dai combustibili fossili, dovrebbe fornire un sostegno potente agli sforzi di cambiare i modelli di produzione e consumo. Il compito che il gruppo di alto livello si trova a svolgere è enorme. Non lo è meno per il fatto che anche altri paesi stanno investendo in misura molto consistente in tecnologie compatibili con la tutela dell'ambiente: gli USA sono solo uno di questi.

6.3

Il design sta diventando un fattore chiave per lo sviluppo e la commercializzazione dei prodotti. Esso dovrebbe quindi essere trattato con grande attenzione, non solo da una singola task force di settore, ma da più di una task force come una delle questioni orizzontali. In diversi Stati membri dell'UE il design ha una lunga tradizione di successi: è importante saperla sfruttare.

6.4

La comunicazione della Commissione non si occupa espressamente delle questioni attinenti alla comunicazione e all'informazione nei confronti dell'industria stessa e delle diverse parti direttamente interessate. Tuttavia, tenendo conto che una parte considerevole dell'attuazione dovrà passare per l'informazione e la comunicazione, occorrerà dedicare una grande attenzione a tali questioni. Altrimenti, come potrà il consistente gruppo rappresentato dalle PMI ottenere le informazioni pertinenti sui partenariati congiunti e le varie misure di sostegno?

6.5

Un altro aspetto di cruciale importanza per l'attuazione sarà il fattore tempo. Nell'industria manifatturiera lo sviluppo dei prodotti non è un processo lento (la concorrenza globale non lo permette). Pertanto, le varie task force a livello comunitario dovranno lavorare a ritmi serrati, se vogliono offrire un valore aggiunto a coloro che sono impegnati nelle decisioni industriali sugli investimenti e sullo sviluppo.

6.6

Il Comitato condivide l'idea della Commissione secondo cui la delocalizzazione dei posti di lavoro dell'UE verso paesi con costi più bassi avrà conseguenze dolorose a livello locale e settoriale, specie per i lavoratori scarsamente qualificati, che andrebbero aiutati a far fronte alle ripercussioni della ristrutturazione industriale. In altre occasioni il Comitato ha difeso l'idea che i fondi strutturali andrebbero usati di più e meglio per provvedimenti attivi e proattivi che affrontino l'impatto della globalizzazione. Il Comitato esaminerà più approfonditamente la proposta avanzata di recente di un fondo per la globalizzazione.

7.   Necessità di un dialogo sociale più ampio

7.1

In alcuni paesi le parti sociali hanno già concluso ambiziosi accordi sull'innovazione industriale, che sono espressione di interessi e priorità comuni per il futuro sviluppo dell'industria manifatturiera.

7.2

Val la pena di citare l'esempio dell'accordo svedese nel settore dell'industria, siglato nel 1997 dalle parti sociali. Dopo la stipula dell'accordo, queste hanno presentato una serie di proposte volte ad aumentare la competitività del settore. In particolare, esse hanno affrontato questioni come la creazione di istituti di ricerca industriale competitivi, l'aumento degli scambi tra l'industria e gli istituti di educazione e formazione, il sostegno all'innovazione nelle start-up e nelle imprese in crescita e quello ai centri di sviluppo industriale. Alcune di queste proposte sono state accettate dal governo svedese.

7.3

Il CESE sottolinea che è assolutamente essenziale che le parti direttamente interessate, in particolare le parti sociali, siano direttamente coinvolte nel processo di innovazione, competitività e ristrutturazione. Il ritmo delle trasformazioni non è destinato a diminuire. Diviene quindi necessario adottare un approccio proattivo alle trasformazioni, basato sulla reciproca fiducia. Gestire bene le trasformazioni industriali esige un dialogo sociale basato su partenariati consolidati, fondati sulla fiducia e sulla cultura del dialogo, caratterizzati da una rappresentanza efficace e da strutture stabili. Una rappresentanza efficace richiede anche alti livelli di conoscenza delle questioni e delle scelte all'ordine del giorno.

7.3.1

È opportuno menzionare gli sforzi compiuti da molti comitati aziendali europei (cfr. punto 5.14.1) per potenziare le competenze delle persone coinvolte nel lavoro del comitato. Ciò è essenziale per entrambe le parti del dialogo. Senza livelli elevati di conoscenze e competenze, i comitati non potrebbero funzionare come elemento essenziale della consultazione e del dialogo.

7.4

Il CESE auspica che la comunicazione della Commissione per un'impostazione più integrata della politica industriale costituisca, con le altre iniziative analoghe, una piattaforma da cui trarre ispirazione per coinvolgere intensamente nel processo di trasformazione le parti direttamente interessate, in particolare le parti sociali. Il Comitato ha formulato la sua posizione sul dialogo sociale e sulle trasformazioni industriali in un parere adottato nel settembre 2005 (1).

7.5

In risposta alle conclusioni del Consiglio europeo del 2005 il CESE ha lanciato una rete interattiva che copre diverse esperienze di attuazione della strategia di Lisbona. Il Comitato prenderà in esame l'idea di allargare tale rete, in modo che vi vengano integrate le questioni riguardanti il coinvolgimento delle parti direttamente interessate, e in particolare delle parti sociali, nell'elaborazione della politica industriale europea.

8.

Nel novembre 2005 la commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI) ha adottato un parere complementare sulla comunicazione in esame. Il parere è stato elaborato dal relatore PEZZINI.

8.1

La CCMI ha ritenuto estremamente interessante il fatto che la Commissione europea abbia ora deciso di affrontare la questione di una politica settoriale nell'ambito della politica industriale. Più specificamente, la CCMI ha affermato la sua convinzione che la politica settoriale potrebbe avere un impatto reale se affrontata in modo strutturato nel contesto del dialogo sociale a livello locale, nazionale e europeo.

8.2

La CCMI ha tuttavia messo in evidenza che la comunicazione della Commissione è carente sotto il profilo delle iniziative concrete, dei piani d'intervento e, soprattutto, delle risorse finanziarie adeguate, necessarie per sostenere le politiche. A questo proposito, sarebbe particolarmente importante coinvolgere la BEI e il FEI in progetti d'impresa.

8.3

La CCMI ha anche sottolineato che la Commissione dovrebbe riconoscere l'importanza di un settore pubblico sempre più moderno.

8.4

La CCMI ha inoltre messo in risalto l'importanza di una politica industriale regionale, concepita in modo proattivo. Essa ha anche insistito sulla rilevanza della politica commerciale per una politica industriale di successo. Infine, la CCMI ha evidenziato il significato delle norme fondamentali sul lavoro definite nelle convenzioni dell'OIL.

Bruxelles, 20 aprile 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  GU C 24 del 31 gennaio 2006.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Il seguente emendamento è stato respinto nel corso del dibattito ma ha ottenuto più di un quarto dei voti espressi:

Punto 7.5

Modificare come segue:

In risposta alle conclusioni del Consiglio europeo del 2005 il CESE ha lanciato una rete interattiva che copre diverse esperienze di attuazione della strategia di Lisbona. Il Comitato prenderà in esame l'idea di allargare tale rete, in modo che vi vengano integrate le questioni riguardanti il coinvolgimento delle parti direttamente interessate, e in particolare delle parti sociali, nell'elaborazione della politica industriale europea.

Motivazione

Insistere sul coinvolgimento specifico delle parti sociali nell'elaborazione della politica industriale europea significa sminuire il ruolo svolto dalle PMI, dalle associazioni professionali di specialisti, dalle organizzazioni di categoria e dalla comunità scientifica nell'attuazione della strategia di Lisbona.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 11

Voti contrari: 27

Astensioni: 1


8.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 185/87


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Lavorare insieme, lavorare meglio: un nuovo quadro per il coordinamento aperto delle politiche di protezione sociale e di integrazione nell'Unione europea

COM(2005) 706 def.

(2006/C 185/15)

La Commissione, in data 22 dicembre 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali e cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 20 marzo 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore OLSSON.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 20 aprile 2006, nel corso della 426a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 31 voti favorevoli, nessun voto contrario e un'astensione.

1.   Sintesi della posizione del Comitato

1.1

Il CESE accoglie favorevolmente l'idea generale della comunicazione in esame la quale rafforzerà la dimensione sociale della strategia di Lisbona se gli Stati membri ricorreranno al nuovo quadro per dare un maggiore peso politico all'obiettivo della modernizzazione e del miglioramento della protezione sociale. La dimensione sociale è essenziale per raccogliere le sfide derivanti dalla globalizzazione e dall'invecchiamento della popolazione. Vanno ugualmente sottoscritti e sostenuti gli altri obiettivi della strategia di Lisbona, vale a dire una crescita economica sostenibile, con nuovi e migliori posti di lavoro, e una maggiore coesione sociale.

1.2

È indispensabile che la Commissione avvii un dialogo con gli Stati membri allo scopo di sensibilizzarli circa la necessità di realizzare politiche sociali adeguate.

1.3

Pur accogliendo con soddisfazione l'iniziativa, il CESE sottolinea che non bisogna perdere di vista le caratteristiche specifiche dei tre settori di intervento, i loro diversi stadi di avanzamento nonché le differenze tra gli Stati membri.

1.4

Tra gli obiettivi globali del metodo di coordinamento aperto (MCA) figura quello inteso a «rafforzare la governance, la trasparenza e la partecipazione dei soggetti interessati all'elaborazione, all'attuazione e al monitoraggio delle politiche». Gli interlocutori sociali e le principali parti interessate della società civile organizzata devono essere molto più coinvolti in tutti gli aspetti chiave del processo.

1.5

Il nuovo quadro ed i relativi obiettivi offrono agli Stati membri un'occasione preziosa per dedicare ampio spazio alla dimensione sociale nei loro piani d'azione nazionali (PAN), delineando e attuando priorità nazionali specifiche.

1.6

Nell'ambito dei suoi lavori in corso, il CESE dovrebbe dare un seguito al nuovo quadro per il coordinamento aperto ed effettuare un rendiconto dei progressi registrati prima del Vertice di primavera del 2007.

2.   Sintesi del documento della Commissione

2.1

La Commissione propone un MCA razionalizzato in tema di protezione e integrazione sociale, coerente con i primi programmi elaborati nel 2003. L'MCA presenta alcuni obiettivi globali integrati dai seguenti obiettivi specifici per i diversi settori d'intervento:

1)

lotta contro la povertà e l'esclusione sociale;

2)

pensioni adeguate e sostenibili;

3)

assistenza sanitaria e assistenza a lungo termine accessibili, sostenibili e di qualità elevata.

2.2

La proposta si prefigge di definire un nuovo quadro inteso a rafforzare l'MCA e a farne un processo più visibile e meglio integrato nella strategia di Lisbona. Le procedure e le modalità di lavoro (partecipazione dei soggetti interessati e governance, calendario per le relazioni, rendicontazione, valutazione, scambio di buone pratiche, apprendimento reciproco e informazione) vanno migliorate. Il nuovo quadro si articola su tre anni (2005-2008).

2.3

Facendo riferimento agli obiettivi comuni, gli Stati membri presenteranno, entro il settembre 2006, delle strategie nazionali relative alla protezione e all'integrazione sociale in modo da integrarle nei programmi nazionali di riforma previsti per il 15 ottobre 2006.

3.   Osservazioni generali

3.1

La proposta avrebbe dovuto essere pubblicata prima del 22 dicembre 2005 per consentire al CESE di adempiere al suo ruolo consultivo. Il ritardo ha infatti impedito al CESE di contribuire adeguatamente alle riunioni dei ministri competenti e al Vertice di primavera del marzo 2006.

3.1.1

Il CESE ha già notato e criticato l'eccessiva brevità dei tempi di consultazione per altre tematiche di rilievo, tra cui ad esempio la proposta della Commissione sugli orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione (1).

Il CESE sottolinea la necessità di salvaguardare la qualità del processo consultivo al momento di formulare proposte importanti nel quadro della strategia di Lisbona riveduta.

3.2

Dal momento che la proposta si fonda su un ciclo triennale, il presente parere può comunque contribuire all'attuazione e al seguito del nuovo quadro sia da parte degli Stati membri che della Commissione.

3.3

Il CESE si è di recente pronunciato sulla governance della strategia di Lisbona, formulando in tale occasione anche alcune osservazioni sull'attuazione dell'MCA (2). Nel 2003 il CESE ha adottato un parere in merito alla prima proposta della Commissione sulla razionalizzazione del coordinamento aperto (3). Esso si è inoltre espresso sull'impiego dell'MCA nel contesto delle pensioni e della sanità (4) e ha in cantiere diversi pareri su altre tematiche correlate (5).

3.4

Con nostro grande rammarico, solamente un numero limitato dei programmi nazionali di riforma presentati nell'ottobre 2005 presentava elementi concernenti la protezione e l'integrazione sociale. È quindi necessario che le parti interessate mettano a punto e attuino strategie e programmi di riforma nazionali che tengano conto della dimensione sociale. Il presente parere va inteso come un contributo a tale processo.

3.5

Il CESE accoglie favorevolmente l'idea generale della comunicazione in esame la quale rafforzerà la dimensione sociale della strategia di Lisbona se gli Stati membri ricorreranno al nuovo quadro per dare un maggiore peso politico all'obiettivo della modernizzazione e del miglioramento della protezione sociale. La dimensione sociale è essenziale per raccogliere le sfide derivanti dalla globalizzazione e dall'invecchiamento della popolazione. Vanno ugualmente sottoscritti e sostenuti gli altri obiettivi della strategia di Lisbona, vale a dire una crescita economica sostenibile, con nuovi e migliori posti di lavoro, e una maggiore coesione sociale.

3.6

In tale contesto e alla luce della situazione sociale preoccupante venutasi a creare nell'Unione europea, il CESE sollecita la Commissione e gli Stati membri a trasmettere ai cittadini un messaggio chiaro e positivo sugli sforzi crescenti profusi per fare della dimensione sociale il terzo pilastro della strategia di Lisbona.

3.7

Il CESE ammette che le politiche in materia di protezione sociale sono essenzialmente di competenza degli Stati membri. È tuttavia indispensabile che la Commissione avvii un dialogo con gli Stati membri allo scopo di sensibilizzarli circa la necessità di realizzare politiche sociali adeguate. Il CESE sollecita gli Stati membri ad assumersi la responsabilità politica di affrontare le sfide future e sottolinea che la realizzazione degli obiettivi europei definiti nel nuovo quadro dipenderà dalla determinazione e dalla capacità dei singoli Stati membri di adempiere al proprio impegno di promuovere il progresso sociale nel quadro di un sistema di protezione sociale più moderno e finanziariamente sostenibile.

3.8

Occorre trarre pienamente beneficio dalle interazioni necessarie e positive tra le politiche economiche, le strategie per l'occupazione e la protezione sociale. Delle politiche sociali ambiziose e fondate sulla solidarietà vanno considerate come un fattore produttivo che influisce in modo positivo sulla crescita e l'occupazione (6). La sostenibilità delle politiche sociali dipende nel contempo da una crescita economica supportata da un migliore coordinamento delle politiche economiche a livello europeo.

3.9

Pur accogliendo con soddisfazione l'iniziativa, il CESE sottolinea che nel riunire i settori d'intervento, che si trovano a uno stadio di avanzamento assai diverso, non bisogna perdere di vista le caratteristiche specifiche dei settori stessi, i diversi stadi di avanzamento nonché le differenze tra gli Stati membri.

È necessario tenere conto delle disparità qualitative tra gli strumenti europei per il coordinamento delle politiche nazionali. Mentre nel caso dell'integrazione sociale è logico stabilire direttrici e obiettivi specifici, in linea con gli orientamenti europei in materia di politica occupazionale, nel campo delle pensioni e della sanità il coordinamento europeo si limita ancora essenzialmente ad accordi su obiettivi qualitativi generali.

3.10

Nello sviluppo e nell'attuazione dei tre settori d'intervento, gli Stati membri dovrebbero tuttavia sfruttare appieno le sinergie che si instaurano fra loro poiché spesso questi si sovrappongono. Una misura presa in un settore può avere un impatto diretto sugli altri settori. È inoltre importante che gli Stati membri superino il divario tra volontà politica ed attuazione.

4.   Osservazioni particolari

Partecipazione degli attori

4.1

Tra gli obiettivi globali dell'MCA figura quello inteso a «rafforzare la governance, la trasparenza e la partecipazione dei soggetti interessati all'elaborazione, all'attuazione e al monitoraggio delle politiche».

La partecipazione degli interlocutori sociali e delle principali parti interessate della società civile organizzata è tuttora eccessivamente limitata. L'applicazione dell'MCA a vari settori non ha dato i risultati sperati, visto che gli Stati membri non hanno dimostrato un reale impegno nella realizzazione degli obiettivi e degli interventi concordati. Analogamente, diversi PAN presentano delle carenze, in particolare nella definizione di obiettivi e strategie nazionali chiari e nella partecipazione attiva di tutte le parti interessate. I piani nazionali a favore dell'occupazione, dell'integrazione sociale e di altri settori d'intervento si sono invece in parte trasformati in resoconti delle attività burocratiche.

4.2

Il CESE è persuaso che un maggiore coinvolgimento della società civile organizzata in tutte le fasi del processo possa migliorare la qualità dei PAN, assicurando in tal modo che questi tengano debito conto delle preoccupazioni e della aspirazioni dei cittadini.

4.3

A giusto titolo la Commissione osserva che l'MCA può promuovere il coinvolgimento dei soggetti interessati nell'elaborazione delle politiche sociali. Il consenso sulle riforme volte a modernizzare il sistema di protezione sociale nel rispetto della sostenibilità finanziaria va raggiunto con le parti sociali e con gli altri soggetti interessati della società civile organizzata. Il CESE è favorevole a un'ampia partecipazione in tutte le fasi del processo, dalla definizione delle politiche, all'attuazione e alla valutazione. La partecipazione al processo decisionale non esenta tuttavia i legislatori eletti dalla responsabilità di promuovere il progresso sociale e un elevato livello di protezione sociale.

4.4

Il CESE ammette che l'MCA si è evoluto diversamente nei tre settori a cui si applica il quadro per il coordinamento aperto. Benché non in misura sufficiente, l'MCA sull'integrazione sociale ha registrato una maggiore partecipazione rispetto a quello sulle pensioni. Il coinvolgimento delle parti sociali e di altre parti interessate in quest'ultima strategia è stato assai limitato. Nonostante l'urgenza di migliorare l'MCA applicato all'integrazione sociale, il CESE ribadisce il punto di vista della Commissione sulla necessità di coinvolgere maggiormente le parti interessate negli altri due settori.

4.5

Contrariamente all'MCA sulle pensioni, per il quale si è registrata una partecipazione limitata, il CESE ha osservato un grado molto più elevato di coinvolgimento dei soggetti interessati nei processi legislativi concernenti, in Europa, le pensioni integrative aziendali. Questa disparità dimostra la necessità di trasformare l'MCA in uno strumento più attraente e interessante per tutte le parti coinvolte.

4.6

Il CESE propone che il Comitato per la protezione sociale (CPS) organizzi riunioni con cadenza più regolare e su base più ampia con i rappresentanti delle parti sociali e di altre organizzazioni della società civile a livello sia europeo che nazionale. Il CESE ritiene inoltre che i rappresentanti dei diversi governi presenti in seno al CPS siano ampiamente responsabili dell'organizzazione e della partecipazione alle consultazioni delle parti sociali e di altri soggetti interessati della società civile nei rispettivi paesi di origine.

4.7

Nell'ambito dei suoi lavori incentrati sull'attuazione della strategia di Lisbona (7), il CESE dovrebbe coinvolgere le parti sociali e le organizzazioni della società civile interessate, nonché i consigli economici e sociali, laddove questi esistono, nel dare un seguito al nuovo quadro per il coordinamento aperto e nell'effettuare un rendiconto dei progressi registrati prima del Vertice di primavera del 2007. Il CESE dovrebbe concentrarsi sulla governance e sugli ambiti in cui un effettivo coinvolgimento degli attori si sia dimostrato proficuo per la definizione e l'attuazione delle priorità nazionali.

4.8   Trasparenza

Affinché la partecipazione sia efficace, i soggetti interessati devono poter accedere in tempo utile ai principali documenti concernenti le problematiche politiche. La Commissione e gli Stati membri devono agire nel rispetto della trasparenza al momento di procedere all'analisi e alla valutazione del nuovo quadro, ad esempio nella revisione paritetica (peer review) e nell'individuazione degli indicatori.

4.9   Apprendimento reciproco e buone pratiche

L'apprendimento reciproco costituisce un fattore essenziale per tutti e tre i settori d'intervento. Occorre pertanto mettere a punto dei sistemi efficienti per il trasferimento delle buone pratiche e il ricorso ad alternative non legislative. Lo scambio di esperienze e l'apprendimento reciproco devono coinvolgere i responsabili delle decisioni a tutti i livelli. Dal momento che hanno una conoscenza approfondita e una vasta esperienza in materia di politiche sociali, le parti sociali e gli altri soggetti interessati della società civile vanno coinvolti nell'individuazione e nella valutazione delle possibilità di trasferire le migliori pratiche. Tra le questioni orizzontali che incidono in maniera determinante sul successo del nuovo quadro figurano i modelli di processo decisionale partecipativo nonché il coinvolgimento dei soggetti interessati. Un altro obiettivo fondamentale è quello di individuare le modalità più adeguate per creare una società fondata sull'inclusione generalizzata. È infine necessario conciliare la protezione sociale con la competitività senza emarginare i gruppi che si trovano al di fuori del mercato del lavoro. Il CESE fa riferimento, a questo proposito, ai dibattiti in corso sull'approccio al lavoro basato sul ciclo di vita e sull'equilibrio tra flessibilità e sicurezza occupazionale (8).

4.10   Revisione paritetica (peer review)

La revisione paritetica e lo scambio di buone pratiche costituiscono dei validi strumenti perché sono concreti e stimolanti per le persone interessate. La Commissione deve far sì che le parti sociali e le organizzazioni della società civile interessate siano coinvolte nella revisione paritetica.

4.11   Il programma comunitario Progress

Le parti sociali e le altre organizzazioni della società civile interessate devono soddisfare le condizioni necessarie per realizzare progetti in tutti i settori del nuovo programma Progress. Nel parere dedicato a questo tema, il CESE ha espresso riserve riguardo ai mezzi finanziari modesti destinati al programma (9). Le riserve del CESE sono poi aumentate a seguito della decisione del Consiglio concernente le prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013. Il CESE ribadisce con fermezza la propria richiesta, espressa in precedenza, di rendere disponibili risorse finanziarie sufficienti per tutti i settori del programma, tra cui i progetti in materia di protezione e integrazione sociale.

4.12   Indicatori

È necessario adottare un approccio analitico fondato su indicatori affidabili, comparabili e di qualità elevata, allo scopo di fornire un quadro sufficientemente dettagliato e attendibile dei progressi compiuti nella realizzazione degli obiettivi. Per individuare gli indicatori pertinenti occorrono risorse da destinare alla ricerca. Bisogna inoltre garantire l'affidabilità della raccolta e del trattamento dei dati. Mentre gli indicatori vengono stabiliti a livello sia europeo che nazionale, il CESE ribadisce la richiesta che i soggetti interessati siano invitati a partecipare all'elaborazione e alla valutazione degli indicatori (10). Sia il CPS che gli Stati membri dovrebbero impegnarsi in tale senso.

Occorre mettere a punto degli indicatori qualitativi la cui scelta rifletta criteri pertinenti e basati sulle esigenze della popolazione, allo scopo di misurare, ad esempio, l'accessibilità per tutti della protezione sociale, la qualità a fronte delle aspettative, il coinvolgimento degli utenti e un trattamento più accessibile a questi ultimi.

È necessario promuovere l'interazione tra gli indicatori utilizzati nell'MCA e quelli adottati nella strategia di Lisbona al fine di presentare un quadro completo dei progressi compiuti.

4.13   Accrescere la visibilità

In diverse occasioni il CESE ha ribadito che la comunicazione tra l'Europa e i suoi cittadini è pregiudicata dall'attuale carenza di informazioni pertinenti e trasparenti. Dal momento che il nuovo quadro riguarda questioni che toccano da vicino i cittadini, il CESE sottolinea l'importanza di organizzare un dibattito permanente a tutti i livelli per affrontare le sfide e le scelte strategiche che si porranno in futuro in materia di protezione sociale, pensioni, assistenza sanitaria e integrazione sociale. In tale contesto è inoltre necessario che la Commissione accresca la visibilità delle proprie azioni. In altri pareri elaborati dal CESE (11) figurano alcune proposte sulle modalità da adottare per promuovere il dibattito nel contesto della strategia di Lisbona.

5.   Osservazioni supplementari sugli obiettivi

5.1

Il nuovo quadro ed i relativi obiettivi offrono agli Stati membri un'occasione preziosa per dedicare ampio spazio alla dimensione sociale nei loro PAN, delineando e attuando priorità nazionali specifiche correlate con l'insieme degli obiettivi di Lisbona, nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà degli Stati membri. Il CESE sollecita tuttavia gli Stati membri ad avvalersi degli orientamenti predisposti dalla Commissione (12).

5.2

Per quanto riguarda il settore dell'integrazione sociale intitolato «Lotta contro la povertà e l'esclusione sociale», nel 2006 gli Stati membri metteranno a punto dei nuovi PAN sull'integrazione sociale.

5.2.1

Secondo il CESE, occorre prendere delle iniziative concrete nell'ambito delle azioni prioritarie definite dal Consiglio Occupazione e affari sociali nel marzo 2005. Il Comitato ricorda l'obiettivo stabilito dall'Unione in base a cui gli Stati membri devono adottare misure decisive per eliminare la povertà entro il 2010 (13). Il CESE sottolinea inoltre l'importanza delle politiche per la lotta contro l'esclusione sociale in quanto permettono di raccogliere la sfida demografica.

5.2.2

Da parte sua il CESE ritiene essenziale concentrarsi sui seguenti obiettivi:

lotta contro la povertà, soprattutto quando colpisce i minori e i giovani, in un quadro politico che sostenga i minori, le famiglie (tra cui quelle monoparentali) e l'uguaglianza, impedendo in tal modo anche la trasmissione generazionale della povertà,

nuovi e migliori posti di lavoro per i più svantaggiati, tra cui i cosiddetti «lavoratori poveri»,

affermazione dell'uguaglianza tra donne e uomini,

promozione delle pari opportunità per i disabili,

misure contro la discriminazione,

integrazione delle minoranze etniche,

lotta contro il fenomeno dei senza tetto e relativa prevenzione,

accesso a servizi sanitari e sociali di elevata qualità, indipendentemente dal reddito,

situazione dei malati cronici,

reddito minimo garantito, misure intese a ridurre l'indebitamento, e accesso ai servizi finanziari e ai microcrediti.

5.3

Per quanto riguarda il settore relativo alle pensioni intitolato «Pensioni adeguate e sostenibili», l'anno scorso sono state presentate le strategie nazionali sulle pensioni. Nel 2006 si prevedono solo degli aggiustamenti minimi.

5.3.1

Tra le questioni prioritarie potrebbero figurare i seguenti temi:

garanzia di un reddito per le persone anziane che permetta loro di vivere dignitosamente, evitando l'emarginazione,

sistemi pensionistici che forniscano una copertura adeguata alle categorie assunte in base a nuovi tipi di contratti e ai lavoratori autonomi,

assistenza ai cittadini nella pianificazione della pensione.

5.4

Per quanto riguarda il settore relativo all'assistenza sanitaria e all'assistenza a lungo termine intitolato «Assistenza sanitaria e assistenza a lungo termine accessibili, sostenibili e di qualità elevate», gli Stati membri elaboreranno per la prima volta dei piani nazionali.

5.4.1

Il CESE desidera sottolineare che i servizi di assistenza contraddistinti da qualità e standard tecnici elevati devono essere accessibili a tutti. Per realizzare un'assistenza sanitaria e un'assistenza a lungo termine finanziariamente sostenibili, è essenziale mettere a punto delle attività sanitarie di prevenzione.

5.4.2

Tra le questioni prioritarie da affrontare nei piani nazionali potrebbero figurare i seguenti temi:

assistenza sanitaria preventiva non solo di carattere medico,

assistenza sanitaria sul posto di lavoro per tutti, allo scopo di lottare in particolare contro le malattie mentali e fisiche, e quindi di prolungare la vita professionale,

cooperazione tra prestatori di servizi sociali e sanitari,

rapporto tra prestatori di assistenza e produttori di beni e servizi per il settore,

servizi per la popolazione non autosufficiente,

standard di qualità,

formazione per diverse categorie di personale di assistenza e di cura della salute al fine di mantenere gli operatori sanitari già presenti nel settore e di attrarre nuovi lavoratori,

diritti del paziente,

fornitura di cure domiciliari.

Bruxelles, 20 aprile 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Cfr. parere CESE in merito alla Proposta di decisione del Consiglio sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione (ai sensi dell'articolo 128 del Trattato CE), relatore: Henri MALOSSE, GU C 286 del 17.11.2005.

(2)  Cfr. parere CESE sul tema Verso la società europea della conoscenza - Il contributo della società civile organizzata alla strategia di Lisbona (parere esplorativo), relatore: Jan OLSSON, correlatori: Eva BELABED e Joost van IERSEL, GU C 65 del 17.3.2006.

(3)  Cfr. parere CESE sul tema Potenziare la dimensione sociale della strategia di Lisbona: razionalizzare il coordinamento aperto nel settore della protezione sociale, relatore: Wilfreid BEIRNAERT, GU C 32 del 5.2.2004.

(4)  Cfr. parere CESE in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale - Sostegno alle strategie nazionali volte a garantire pensioni sicure e sostenibili attraverso un approccio integrato, relatrice: Giacomina CASSINA, GU C 48 del 1.2.2002, pag. 101.

(5)  Cfr. pareri CESE in corso di elaborazione sul tema Coesione sociale: dare un contenuto al modello sociale europeo, SOC/237 e in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante le modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, SOC/197.

(6)  Cfr. parere CESE in merito alla Comunicazione della Commissione sull'Agenda sociale, punto 1.2, relatrice: ENGELEN-KEFER, GU C 294 del 25.11.2005.

(7)  Attuazione della strategia di Lisbona, contributi a seguito del mandato del Consiglio europeo del 22 e 23.3.2005.

(8)  Cfr. parere CESE in corso di elaborazione sul tema La prassi della flexecurity in Danimarca, relatrice: Anita VIUM, ECO/167, e parere CESE sul tema Verso la società europea della conoscenza - Il contributo della società civile organizzata alla strategia di Lisbona (parere esplorativo), relatore: Jan OLSSON, correlatori: Eva BELABED e Joost van IERSEL, GU C 65 del 17.3.2006.

(9)  Cfr. parere CESE in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma comunitario per l'occupazione e la solidarietà sociale Progress, relatore: Wolfgang GREIF, GU C 255 del 14.10.2005.

(10)  Cfr. parere CESE sul tema Gli indicatori sociali (parere di iniziativa), relatrice: Giacomina CASSINA, GU C 221 del 19.9.2002.

(11)  Cfr. parere CESE in merito alla Comunicazione della Commissione - Il contributo della Commissione al periodo di riflessione e oltre: Un Piano D per la democrazia, il dialogo e il dibattito (parere di iniziativa), relatrice: Jillian van TURNHOUT, GU C 65 del 17.3.2006 e parere CESE sul tema Verso la società europea della conoscenza - Il contributo della società civile organizzata alla strategia di Lisbona (parere esplorativo), relatore: Jan OLSSON, correlatori: Eva BELABED e Joost van IERSEL, CESE 1500/2005.

(12)  Documento di lavoro della Commissione europea Orientamenti per l'elaborazione di relazioni nazionali sulle strategie per la protezione e l'integrazione sociale (trad. provv.)

(13)  Consiglio europeo di Lisbona, marzo 2000.


8.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 185/92


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante i dati informativi relativi all'ordinante, da allegare ai trasferimenti di fondi

COM(2005) 343 def. — 2005/0138 (COD)

(2006/C 185/16)

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 26 settembre 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 marzo 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore BURANI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 21 aprile 2006, nel corso della 426a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 85 voti favorevoli, 15 voti contrari e 6 astensioni:

1.   Introduzione

1.1

La proposta mira a recepire nella legislazione comunitaria la raccomandazione speciale VII (RS VII) del Gruppo d'azione finanziaria internazionale (GAFI), emanata con l'obiettivo di impedire ai terroristi e ad altri criminali di avere libero accesso ai trasferimenti elettronici per trasferire i loro capitali e di individuare gli abusi quando essi avvengono (1). Essa si inserisce in una serie di disposizioni legislative e regolamentari miranti da un lato a congelare i beni dei terroristi  (2) e dall'altro a prevenire il riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite  (3).

1.2

In sostanza, le misure previste nella proposta della Commissione sono semplici nella forma, ma dense di contenuti e di conseguenze nella loro pratica applicazione. La proposta stabilisce l'obbligo per i prestatori di servizi di pagamento (PSP) — in pratica le istituzioni finanziarie che provvedono ai trasferimenti di fondi — di rilevare i dati informativi relativi all'ordinante: tali dati devono accompagnare il movimento dei fondi dal PSP dell'ordinante fino al PSP del destinatario finale (beneficiario). La norma si applica ai movimenti di fondi all'interno dell'UE e, con alcune esenzioni e deroghe, anche ai trasferimenti da e verso paesi terzi.

1.3

Il CESE è pienamente d'accordo sulla necessità di un regolamento, che trae la sua legittimità dall'art. 95 del Trattato; questa soluzione ha ricevuto inoltre l'accordo preliminare degli Stati membri e del settore dei PSP. Vi è un generale consenso sull'opportunità di adottare uno strumento di applicazione diretta come il regolamento piuttosto che una direttiva, la cui trasposizione nelle legislazioni nazionali si presterebbe ad applicazioni difformi. Le azioni previste nel documento della Commissione sono, in linea di massima, corrette e razionali; il CESE nutre tuttavia qualche perplessità sulla loro efficacia pratica, almeno a breve termine.

1.4

Il CESE ritiene infatti che questo regolamento presenti dei caratteri di debolezza, sia perché lascia larghi margini di valutazione individuale da parte dei PSP, sia perché prevede delle modalità tecniche che concedono ampio spazio alla loro elusione da parte dei criminali.

2.   Osservazioni generali e commenti

2.1

Il problema della lotta alle attività illecite (come talvolta vengono designate nel linguaggio comunitario le attività della criminalità organizzata, con un eufemismo che sarebbe peraltro ora di abbandonare), è stato affrontato per la prima volta in modo organico — per lo meno dal punto di vista concettuale — dal Consiglio di Dublino del 1996, e tradotto in un programma d'azione adottato dal Consiglio di Amsterdam del 1997 (4). Si trattava di una serie di 30 programmi dettagliati e coordinati fra loro, che avrebbero dovuto essere portati a compimento al più tardi entro la fine del 1998; orbene, dopo otto anni, la maggior parte di essi non è stata ancora realizzata.

2.2

Il concetto di criminalità organizzata ha conosciuto diverse evoluzioni successive: nel 1998 l'OLAF (5) (all'epoca UCLAF) attirò l'attenzione sulla frode fiscale di grandi proporzioni perpetrata ai danni delle finanze comunitarie, come un fenomeno attribuibile alla criminalità organizzata; successivamente gli attentati contro le torri gemelle e gli altri che vi hanno fatto seguito portarono ad includere nel concetto — con particolare vigore ed evidenza — anche il terrorismo.

2.3

La stessa evoluzione di pensiero e di azione è stata seguita in modo parallelo dal Gruppo di azione finanziaria internazionale (GAFI) creato dai paesi membri del G8, che tuttora rappresenta il più autorevole organo di collegamento fra i governi. Nato per lottare contro il riciclaggio di denaro ad opera della criminalità organizzata, il GAFI ha oramai esteso la sua competenza a tutte le forme di attività finanziaria collegate al terrorismo: di particolare rilievo sono le sue nove raccomandazioni speciali (RS), che in gran parte si sono tramutate in disposizioni comunitarie in materia di riciclaggio e di sistemi di pagamento. La RS VII, pagamenti elettronici effettuati da terroristi ed altri criminali, trova attuazione nella proposta di regolamento ora in esame.

2.4

L'adozione del concetto che le attività finanziarie illecite — siano esse legate al terrorismo o alla criminalità organizzata — sono un fenomeno globale da combattere in modo unitario avrebbe il merito di introdurre una maggiore chiarezza di linguaggio, importante anche, ma non soltanto, ai fini della messa in pratica della lotta sul terreno. Avviene oggi che, tanto sul piano comunitario quanto su quello nazionale, l'accento sia messo sull'uno o sull'altro elemento: nella moltitudine di iniziative adottate si parla di volta in volta di criminalità organizzata, compreso il terrorismo, o di terrorismo e altre attività criminali. Non sempre è facile — per le autorità inquirenti e tanto più per i PSP — classificare le attività finanziarie illegali in un settore ben preciso, tanto più che in certi settori il terrorismo ha sviluppato stretti legami con la criminalità organizzata e viceversa: traffico di armi e di droga, immigrazione clandestina, falsificazione di banconote e di documenti, e altro ancora.

2.5

Dal punto di vista della lotta alle attività finanziarie illegali, la criminalità organizzata e il terrorismo sono quindi due aspetti di uno stesso fenomeno. L'impressione che questo concetto non sia sempre presente deriva anche dalla relazione introduttiva alla proposta di regolamento in esame, che ripetutamente parla di lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo. Senza entrare per ora nel merito delle misure previste, il CESE ritiene che questa dizione sia fuorviante: per i motivi che saranno meglio esposti nei commenti ai singoli articoli dovrebbe risultare chiaro che si sta parlando di criminalità organizzata e di terrorismo.

2.6

D'altra parte, l'origine di questa dualità di concetti deriva dal GAFI stesso: il titolo delle nove RS di cui al punto 2.3 è Finanziamento del terrorismo senza altra specifica; quello delle Note interpretative che le accompagnano è Raccomandazioni speciali sul finanziamento del terrorismo (6), ma nel testo si parla di impedire ai terroristi e ad altri criminali di avere libero accesso... (7). Nel recepire la raccomandazione del GAFI, la Commissione ha ripreso questa distinzione, inserendo la proposta di regolamento fra i provvedimenti di lotta al terrorismo. Secondo il CESE, essi sarebbero invece da considerare come una misura da inserire fra quelle, più generali, di lotta al riciclaggio di capitali e alla criminalità organizzata. Dal punto di vista giuridico la distinzione non è importante, ma lo diventa sul piano pratico ed operativo, come si tenterà di illustrare nei commenti che seguono.

3.   Osservazioni sul testo della proposta

3.1

Articolo 2: campo di applicazione. Il regolamento si applica ai trasferimenti di fondi inviati o ricevuti da un PSP residente nella Comunità e diretti a beneficiari, o provenienti da ordinanti, residenti nella Comunità; si applica ugualmente (articolo 7) ai trasferimenti dalla Comunità verso beneficiari residenti fuori della Comunità ed ai trasferimenti verso la Comunità provenienti da paesi terzi (articolo 8), con alcuni adattamenti.

3.1.1

Il regolamento non si applica ai trasferimenti di fondi derivanti da operazioni commerciali con carte di credito o di debito, a condizione che a tali trasferimenti sia allegato un codice unico d'identificazione che consenta di risalire all'ordinante. Non sono esplicitamente escluse, ma nemmeno esplicitamente menzionate, le operazioni di moneta elettronica (e-money), vale a dire quelle con carte prepagate. Sulle modalità tecniche i PSP faranno i loro commenti; da parte sua, il CESE osserva che le operazioni con carte seguono un iter inverso rispetto agli ordini di pagamento: il PSP dell'ordinante (al quale viene inviato un estratto conto con il dettaglio degli utilizzi fatti con la carta) non ha conoscenza delle attività svolte dal beneficiario né della natura del rapporto fra ordinante e beneficiario. Nella grande maggioranza dei casi non solo sarà impossibile distinguere le operazioni commerciali da quelle che non lo sono, ma spesso esisterà anche l'impossibilità tecnica di individuare l'ordinante.

3.2

Articolo 5: dati informativi allegati ai trasferimenti di fondi. I PSP devono includere negli ordini di pagamento i dati informativi completi dell'ordinante, dopo averne verificato ed accertato la completezza e la veridicità; qualora si tratti di ordini non superiori a 1 000 euro diretti a beneficiari residenti fuori delle Comunità, i PSP possono decidere dell'ampiezza di tale verifica. Questa flessibilità del regolamento — ragionevole e realistica — può peraltro consentire la fuoriuscita di consistenti flussi finanziari coperti dalla dizione di rimesse emigrati ma solo apparentemente destinati alle famiglie d'origine. D'altra parte, la verifica normalmente richiesta per tutti gli altri ordini si presenta problematica per questo tipo di trasferimenti, spesso effettuati in contanti da una moltitudine di individui attraverso PSP diversi, e la cui identificazione non assume una particolare rilevanza.

3.2.1

In ogni caso, l'esenzione dai controlli per gli ordini inferiori a 1 000 euro impone ai PSP di mettere in opera procedure distinte, costose e non necessarie; meglio sarebbe richiamare nel testo di questo articolo le norme antiriciclaggio già in vigore, riguardanti gli ordini impartiti da ordinanti non correntisti.

3.3

Articolo 9: trasferimento di fondi per i quali mancano i dati informativi relativi all'ordinante. Secondo l'articolo 6, il PSP iniziatore del trasferimento deve comunicare i dati identificativi dell'ordinante al PSP del beneficiario. Quando tali dati siano mancanti o incompleti, il PSP del beneficiario deve richiederli al PSP dell'ordinante: esso può altresì respingere il pagamento, sospenderlo oppure effettuarlo sotto la sua responsabilità ma nel rispetto delle norme antiriciclaggio. Qualora il fatto si ripetesse, il PSP del beneficiario deve respingere tutti gli ordini provenienti da quel PSP, oppure porre fine ai suoi rapporti professionali con esso. Di tali decisioni devono essere informate le autorità responsabili della lotta contro il riciclaggio o il finanziamento del terrorismo.

3.3.1

L'imposizione fatta ad una azienda di credito di interrompere i rapporti con un'altra, nei casi previsti, pone un chiaro problema di proporzionalità: le connessioni fra aziende di credito internazionali non si limitano infatti ai trasferimenti di denaro, che anzi di regola ne costituiscono solo una piccola parte, ma includono linee di credito, servizi, operazioni in titoli, ecc. per volumi incomparabilmente superiori ad un trasferimento di fondi irregolare, o supposto tale. Un'interruzione immediata dei rapporti, come proposto dalla Commissione, provocherebbe ingenti e ingiustificabili danni sia per i PSP che per i loro clienti.

3.3.2

La dizione di autorità responsabili solleva il problema di fondo illustrato nella parte introduttiva del parere. Premesso che le norme generali antiriciclaggio attribuiscono pesanti responsabilità — anche penali — ai PSP ed al loro personale, non sempre è facile comprendere se un'operazione, una volta giudicata come sospetta, sia imputabile alla criminalità comune o al terrorismo. In ogni paese esistono autorità inquirenti e di repressione di vario tipo: polizia criminale (talora distinta in due diversi organismi), polizia finanziaria, dogane, servizi segreti. In assenza di precise indicazioni, sul PSP ricadrà l'onere di individuare quale sia l'autorità alla quale deve rivolgersi. Il regolamento demanda quindi ai PSP un giudizio che esula dalla loro competenza professionale.

3.3.3

Sarebbe quindi necessaria una norma che imponga agli Stati membri di creare un unico punto di contatto, responsabile per la raccolta delle segnalazioni e per la loro diffusione ai competenti organismi inquirenti (8). Questa misura era d'altra parte già prevista nel programma del Consiglio del 1998.

3.4

Articolo 10: Valutazione in base ai rischi. Questo articolo stabilisce che l'incompletezza dei dati relativi all'ordinante deve essere tenuta in conto dal PSP del beneficiario come elemento di sospetto, da segnalare alle autorità responsabili. La norma lascia al PSP la facoltà di stabilire caso per caso se si tratti di errore, di omissione o di un vero caso sospetto: un compito che può rivelarsi arduo se si considera che ogni PSP deve trattare quotidianamente una quantità imponente di operazioni. Valgono poi, per quanto riguarda la segnalazione, le osservazioni fatte ai punti 3.3.2 e 3.3.3.

3.5

Articolo 13: limitazioni tecniche. Le norme di questo articolo riguardano il caso di trasferimenti provenienti da paesi terzi: secondo tali norme i dati riguardanti l'ordinante, siano essi completi o meno, devono essere conservati dal PSP del beneficiario per almeno cinque anni. Qualora esista un PSP intermediario residente nella Comunità, esso ha l'obbligo di comunicare l'assenza di dati completi al PSP finale. Queste norme non evocano particolari commenti, se non quello che la conservazione dei dati per un periodo così lungo può costituire un notevole onere e può tradursi nell'accumulo di milioni di informazioni: una disposizione giustificabile solo se veramente si ritiene che essa possa rivelarsi utile. Sarebbe forse consigliabile riflettere in merito a questo punto, limitando la conservazione dei dati agli importi superiori ad una certa cifra.

3.6

Articolo 14: obblighi di cooperazione. I PSP hanno l'obbligo di cooperare con le autorità responsabili della lotta contro il riciclaggio o il finanziamento del terrorismo, fornendo senza ritardo i dati e le informazioni in loro possesso. Tali autorità hanno l'obbligo di utilizzare le informazioni così ricevute unicamente allo scopo di prevenire, investigare, scoprire o perseguire il riciclaggio di denaro o il finanziamento del terrorismo.

3.6.1

Il CESE manifesta il suo pieno accordo su queste norme. Aggiunge soltanto un commento per rispondere alle istanze di alcuni ambienti che hanno manifestato riserve circa un possibile indebolimento delle norme che proteggono la vita privata: il superiore interesse della collettività, impegnata nella lotta contro un gravissimo pericolo sociale, esige in certi casi, per garantirne la protezione, una deroga ai grandi principi. L'obbligo fatto alle autorità di utilizzare le informazioni unicamente per gli scopi previsti è di per sé una garanzia contro possibili derive. In un contesto più generale, dovrebbe valere la considerazione che chi fa un versamento a favore di entità che perseguono veri scopi sociali o di pubblica utilità, non ha nulla da temere: non si tratta infatti né di evasione fiscale, né di infrazione alle leggi, né di un'azione riprovevole.

3.6.2

Da un altro punto di vista, occorre chiedersi quale sia l'efficacia sul piano pratico di queste misure. Per i PSP dovrebbe valere la norma generale del know your customer, che, se applicata, condurrebbe all'esenzione da controlli e da segnalazione nel caso dei clienti la cui onorabilità sia conosciuta e provata. Tuttavia, mentre questa norma è abbastanza facile da applicare sul versante del beneficiario, ben più difficile e gravoso sarebbe il controllo dell'ordinante, particolarmente quando i versamenti siano effettuati con le modalità evocate nel precedente punto 3.1.1.

3.7

Articolo 19: trasferimenti di fondi a favore di organizzazioni caritative all'interno di uno Stato membro. Questo articolo stabilisce una deroga alle norme dell'articolo 5: gli Stati membri possono esentare i PSP dall'obbligo di osservare le norme relative alla comunicazione dei dati identificativi dell'ordinante quando i trasferimenti siano diretti a organizzazioni che svolgono attività a scopo caritativo, religioso, culturale, istruttivo, sociale o solidale, ambientale, nonché di promozione dello sviluppo sostenibile a condizione che:

a)

tali organizzazioni debbano riferire a una pubblica autorità e siano da essa vigilate oppure sottoposte ad audit esterno;

b)

i versamenti siano di un importo massimo di 150 euro;

c)

i trasferimenti avvengano esclusivamente all'interno dello Stato membro.

3.7.1

Per gli Stati membri che applicassero il regime di esenzione previsto sarebbe indubbiamente una sfida rilevante tenere una registrazione delle organizzazioni pertinenti e controllare l'osservanza delle norme. Inoltre, il PSP dovrebbe accertare, caso per caso, se l'ordinante sia iscritto in una lista bianca costantemente aggiornata, il che costituirebbe indubbiamente un compito gravoso. Tuttavia, la situazione è diversa da paese a paese: in quelli che hanno una carente regolamentazione la condizione di cui al punto 3.7. a) potrà essere ben difficilmente rispettata.

3.7.2

L'esenzione concessa dalla proposta di regolamento è fondata sulla considerazione che le finalità sociali perseguite da queste organizzazioni sono di per sé garanzia di un corretto uso dei fondi. Questo è vero per la maggior parte di esse, per le organizzazioni note e per le sottoscrizioni aperte nei casi di pubbliche calamità; è però altrettanto vero che fra altre entità minori e meno note, che perseguono fini falsamente sociali o di pubblica utilità, si infiltrano e trovano copertura anche delle organizzazioni terroristiche. Quando si parla delle attività citate nell'ultima parte del punto 3.7, il regolamento non può fare discriminazioni di fede religiosa: è tuttavia noto che a volte il finanziamento del terrorismo passa attraverso ONP con una facciata apparentemente innocua, la cui pericolosità viene scoperta solo a posteriori. In sostanza, nel campo delle ONP, insieme ad una maggioranza di organizzazioni trasparenti operano alcune che sono da seguire con attenzione: la difficoltà sta nel trovare i modi per individuarle.

3.7.3

Un altro aspetto carente è quello di non aver considerato che sotto la copertura di ONP potrebbero nascondersi delle organizzazioni criminali non necessariamente terroristiche: i proventi della vendita spicciola di droga, della prostituzione e del racket possono facilmente essere mascherati come donazioni a ONP dai nomi accattivanti ed i cui rappresentanti sono — almeno per quanto risulta ai PSP — del tutto insospettabili. Esistono, in verità, dei sistemi indiretti di vigilanza che in taluni casi possono rivelare i casi sospetti: ad esempio, la frequenza di versamenti provenienti dagli stessi individui e sempre in contanti, caratteristica questa delle attività sopra indicate. Ma questi metodi sono ben noti ai criminali, che adottano quindi adeguate contromisure: frazionamento dei versamenti, ricorso a PSP sempre diversi, ecc.. È quindi soprattutto sul versante del PSP del beneficiario che potrebbero nascere dei sospetti sulla base della frequenza di versamenti provenienti sempre dagli stessi ordinanti. Peraltro, con gli attuali sistemi di tenuta elettronica dei conti, una vigilanza di questo tipo potrebbe essere fatta solo con programmi ad hoc, fatti su misura: una soluzione di difficile attuazione.

3.7.4

Il CESE attira quindi l'attenzione sul fatto che l'esenzione, la quale secondo il regolamento dovrebbe essere decisa dai PSP di loro iniziativa e sulla base dei dati in loro possesso in materia di finalità, controlli, onorabilità dei rappresentanti, ecc., costituisce un punto debole del sistema. La collaborazione dei PSP, per quanto volonterosa, sarà sempre insufficiente ad arginare i fenomeni del riciclaggio e del finanziamento della criminalità: occorre in primo luogo che le autorità stesse esercitino un ruolo attivo e segnalino i nominativi sospetti. Per giungere a questo occorre tuttavia che l'ipotesi di un'autorità centralizzatrice, della quale si è più sopra parlato, diventi una realtà.

3.7.5

Il CESE intende inoltre sottoporre all'attenzione dei poteri responsabili un'ulteriore considerazione. Salvo i casi di segnalazione diretta da parte dei PSP, i dati vengono conservati per cinque anni, in genere per essere consultati dalle autorità come prova di fatti criminali già avvenuti. Si tratta quindi in larga parte di misure a carattere probatorio, non preventive né repressive. Ci si domanda come sarà possibile, in pratica, reperire singoli episodi fra centinaia di milioni di operazioni accumulate negli anni.

3.7.6

Da ultimo, è da osservare che nelle motivazioni del regolamento non figura alcun accenno ai costi del sistema, rapportati ai potenziali benefici. Non tutti i PSP hanno strutture sufficienti per ottemperare alle disposizioni, ma anche quelli che ne dispongono dovranno sopportare oneri aggiuntivi e appesantimenti organizzativi. Il costo di questi ultimi ricadrebbe inevitabilmente su tutti gli utilizzatori dei sistemi di pagamento: un sacrificio accettabile solo se sarà possibile dimostrare che il nuovo regolamento è tale da apportare concreti e tangibili benefici.

Bruxelles, 21 aprile 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  GAFI, Revised Interpretative Note to Special Recomendation VII: Wire Trasnfer.

(2)  Regolamenti (CE) del Consiglio n. 2580/2001 e n. 881/2002.

(3)  Direttive 91/308/CEE, 2001/97/CE, ….

(4)  Programma d'azione relativo alla criminalità organizzata, GU C 251 del 15.8.1997.

(5)  COM(1998) 276 def. Protezione degli interessi finanziari della Comunità — lotta contro la frode — rapporto annuale 1997.

(6)  Special recommendations on terrorist financing.

(7)  Preventing terrorists and other criminals from having unfettered access.

(8)  La necessità di un unico punto di contatto non è nuova, né costituisce una richiesta originale del CESE: essa era infatti già contenuta nel programma del Consiglio del 1997, citato al precedente punto 2.1, secondo cui ogni Stato membro avrebbe dovuto creare un punto di contatto unico che dia accesso a tutti i servizi di repressione. A distanza di tanti anni questo organismo ancora non esiste e la collaborazione fra gli organi inquirenti e di repressione, a livello nazionale e comunitario, costituisce ancora un problema non del tutto risolto.


ALLEGATO 1

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Qui di seguito si riportano gli emendamenti che, pur essendo stati respinti durante il dibattito, hanno ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi (articolo 54, paragrafo 3, del Regolamento interno).

Punto 3.7.2

Modificare:

L'esenzione concessa dalla proposta di regolamento è fondata sulla considerazione che le finalità sociali perseguite da queste organizzazioni sono di per sé garanzia di un corretto uso dei fondi. Questo è vero per la maggior parte di esse, per le organizzazioni note e per le sottoscrizioni aperte nei casi di pubbliche calamità; . È è però altrettanto vero che fra in altre entità minori e meno note, che perseguono fini falsamente sociali o di pubblica utilità, si infiltrano e trovano copertura anche delle organizzazioni terroristiche. Quando si parla delle attività citate nell'ultima parte del punto 3.7, il regolamento non può fare discriminazioni di fede religiosa: è tuttavia noto che a volte il finanziamento del terrorismo passa attraverso ONP con una «facciata» apparentemente innocua, la cui pericolosità viene scoperta solo a posteriori. In sostanza, nel campo delle ONP, insieme ad una maggioranza di organizzazioni «trasparenti» operano alcune che sono da seguire con attenzione: la difficoltà sta nel trovare i modi per individuarle.

Motivazione

La motivazione sarà comunicata oralmente.

Esito della votazione:

Voti favorevoli: 37

Voti contrari: 44

Astensioni: 8

Punto 3.7.4

Modificare:

Il CESE attira quindi l'attenzione sul fatto che Benché l'esenzione, che secondo il regolamento dovrebbe essere decisa dai PSP di loro iniziativa e sulla base dei dati in loro possesso in materia di finalità, controlli, onorabilità dei rappresentanti, ecc., possa costituire costituisce un punto debole del sistema , essa è motivata dalla funzione svolta dalle organizzazioni «non profit» all'interno di una società democratica. La collaborazione dei PSP, per quanto volonterosa, sarà sempre insufficiente ad arginare i fenomeni del riciclaggio e del finanziamento della criminalità: occorre in primo luogo che le autorità stesse esercitino un ruolo attivo e segnalino i nominativi sospetti. Per giungere a questo occorre tuttavia che l'ipotesi di un'autorità centralizzatrice, della quale si è più sopra parlato, diventi una realtà.

Motivazione

Le parti aggiunte chiariscono adeguatamente le soppressioni proposte. Dato che tra le ONG si registra una marcata opposizione alle disposizioni proposte dal GAFI, se si pronunciasse a favore di dette disposizioni il CESE comprometterebbe i suoi rapporti con le ONG.

Esito della votazione:

Voti favorevoli: 43

Voti contrari: 52

Astensioni: 7


8.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 185/97


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Ridurre l'impatto del trasporto aereo sui cambiamenti climatici

COM(2005) 459 def.

(2006/C 185/17)

La Commissione, in data 27 settembre 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 marzo 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore SIMONS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 21 aprile 2006, nel corso della 426a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 55 voti favorevoli e 1 astensione.

A.   Conclusioni

A.1

Il CESE condivide il giudizio della Commissione secondo cui servono misure (politiche) aggiuntive per controllare l'impatto del trasporto aereo sui cambiamenti climatici. Questo comparto, infatti, contribuirà all'aumento delle emissioni globali di gas a effetto serra in misura pari al 50 % circa della propria crescita annuale in termini percentuali, anche se nei prossimi decenni verranno realizzati tutti gli ambiziosi obiettivi di R&S fissati. Di conseguenza, i fondi stanziati a questo scopo nel Settimo programma quadro di ricerca dovranno essere spesi in maniera mirata ed efficace.

A.2

Per limitare l'impatto sul clima delle emissioni di biossido di carbonio (CO2) e di ossidi di azoto (NOX) prodotte dal trasporto aereo, la Commissione europea ha fissato un obiettivo politico di riduzione di tali emissioni nell'UE a cominciare dal periodo 2008-2012. Tenendo conto dei Trattati e degli accordi internazionali e degli studi in corso, il CESE ritiene che bisognerebbe partire da misure relative alle emissioni di CO2 provenienti dal traffico aereo intracomunitario; ciò al fine di ridurre al minimo gli eventuali ritardi nell'attuazione di tali misure.

A.3

Per introdurre a livello mondiale un sistema aperto per lo scambio di quote di emissioni (Emission Trading SchemeETS), bisognerebbe agire tramite l'Organizzazione internazionale dell'aviazione civile (ICAO). Qualora ciò si rivelasse opportuno in sede di negoziati, un primo passo concreto e realizzabile in quella direzione potrebbe essere la creazione di un ETS per i trasporti aerei intracomunitari.

A.4

Tutto il traffico aereo all'interno dell'UE dovrebbe rientrare quanto prima in un sistema aperto per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra, con uno scenario di riferimento realistico che rispecchi l'apporto (in costante aumento) di questo settore alle emissioni globali di CO2 e quindi il suo crescente impatto sul clima. Le quote di emissione dovrebbero essere assegnate a livello comunitario, e alcuni obiettivi supplementari in materia di contributi/riduzione applicarsi direttamente alle compagnie aeree in quanto parti dello scambio, fermo restando che i nuovi operatori devono poter continuare a entrare nel mercato senza subire svantaggi competitivi. Per quanto concerne l'impatto climatico delle altre emissioni, si dovrebbero utilizzare strumenti più appropriati a livello locale, quali un'imposta sulle emissioni di NOX o misure operative.

A.5

L'Unione europea e le imprese del settore dovrebbero dare la priorità sia agli investimenti nella ricerca sugli effetti delle emissioni (di sostanze diverse dal CO2) prodotte dal traffico aereo per i cambiamenti climatici, sia agli sviluppi tecnologici intesi a garantire un trasporto aereo più pulito. Al riguardo occorrerà adoperarsi per evitare pericolosi compromessi tra il rumore causato dagli aerei a livello locale e le emissioni da essi prodotte a livello locale e mondiale.

A.6

Considerato il suo potenziale di riduzione delle emissioni, anche il miglioramento della gestione del traffico aereo dovrebbe costituire una priorità da perseguire con l'iniziativa «Cielo unico europeo» e con il programma SESAR.

A.7

Sarebbe inoltre opportuno esaminare ulteriormente la possibilità di adottare misure non discriminatorie per rendere più competitivi i modi di trasporto di superficie, al fine di offrire alternative più interessanti per il trasporto delle persone e delle merci all'interno dell'UE.

B.   Motivazione

B.1

Per quanto le emissioni derivanti dal trasporto aereo contribuiscano in misura ancora relativamente modesta (3 % circa) al cambiamento climatico, esse sono destinate ad aumentare a causa della domanda crescente, dell'assenza di carburanti alternativi e della relativa maturità dell'attuale tecnologia aeronautica. Anche se nei prossimi decenni l'UE raggiungerà e realizzerà tutti i propri ambiziosi obiettivi in materia di R&S, l'aumento delle emissioni di CO2 sarà pari al 2-2,5 % annuo, ossia alla metà circa della crescita annuale del traffico aereo (prevista al 4-5 %).

B.2

L'introduzione di un sistema ETS costituisce la soluzione più economica per limitare l'impatto del trasporto aereo sui cambiamenti climatici e nel contempo agevolare lo sviluppo sostenibile di questo settore.

B.3

Il problema presenta una dimensione mondiale ed esige quindi una soluzione a livello mondiale. Un primo eventuale passo in questa direzione può essere la creazione di un sistema intracomunitario che funga da modello per un sistema mondiale da applicare attraverso l'ICAO.

B.4

È quindi importante che il sistema intracomunitario sia quanto più possibile consensuale, limitandosi inizialmente alle emissioni di CO2 senza l'applicazione di moltiplicatori. Sul piano scientifico, l'impatto climatico delle altre emissioni (per i quali il Protocollo di Kyoto non fissa valori equivalenti) è più controverso, anche se certi elementi farebbero supporre che in qualche caso alcune di tali emissioni possono produrre effetti sul clima. In attesa dell'esito di ulteriori ricerche, si dovrebbe far fronte a questi effetti con strumenti locali standardizzati a livello europeo, ad esempio imposte sulle emissioni di NOX.

B.5

Là dove sono stati introdotti, i treni ad alta velocità si sono rivelati una valida alternativa al trasporto aereo di passeggeri su determinate tratte europee, in cui i volumi di traffico sono enormi e la durata del volo è pari o inferiore a un'ora. Servono ora appositi studi per valutare il potenziale di espansione di tali servizi e la possibilità di utilizzarli per il trasporto merci, avendo cura di evitare distorsioni della concorrenza mediante sussidi nazionali o comunitari. Ciò non toglie che il treno possa essere considerato un'alternativa del tutto equivalente all'aereo solo per una parte del traffico aereo interno dell'UE.

1.   Introduzione

1.1

Il trasporto aereo, ormai parte integrante della vita del 21o secolo, consente di far viaggiare persone e merci per lunghe distanze a una velocità senza precedenti, e procura così notevoli benefici economici alle economie regionali e nazionali. Purtroppo, però, esso ha anche un'incidenza sui cambiamenti climatici in atto nel nostro pianeta. Benché negli ultimi 40 anni l'efficienza dei carburanti per aerei sia aumentata di oltre il 70 %, nello stesso periodo la quantità totale del carburante utilizzato è cresciuta di oltre il 400 % a causa dell'ancor maggiore incremento del traffico aereo, a sua volta dovuto alla domanda o all'esigenza di mobilità.

1.2

Di conseguenza, cresce anche l'impatto climatico dei trasporti aerei, ossia della fonte di gas a effetto serra con il ritmo d'incremento più rapido nel settore dei trasporti. Se infatti, grazie al Protocollo di Kyoto, le emissioni globali dell'UE sono diminuite del 5,5 % (-287 milioni di tonnellate equivalenti di CO2) tra il 1990 e il 2003, a livello mondiale, quelle di gas a effetto serra prodotte dal traffico aereo sono aumentate del 73 % (+47 Mt CO2 eq), con un tasso di crescita annuale del 4,3 %. Nell'UE, però, dal 1990 in poi l'aumento del traffico aereo è stato ancora più rapido. Ciò permette in principio di affermare che l'industria del trasporto aereo sta cercando di attenuare gli effetti ambientali intervenendo alla radice e attraverso tecnologie efficienti.

1.3

Affrontare il problema alla radice rappresenta in effetti una (prima) misura efficace. Nel breve, medio e lungo periodo il restante contributo del trasporto aereo alle emissioni globali non può essere compensato dalle stesse imprese del settore se non a prezzo di un forzoso, ma irrealistico rallentamento della crescita del traffico aereo.

1.4

Benché i trasporti aerei contribuiscano in misura ancora modesta (3 % circa (1)) alle emissioni globali di gas a effetto serra, il rapido aumento delle emissioni provenienti da questo comparto rischia di vanificare i progressi compiuti in altri settori. Se questa crescita proseguirà ai ritmi attuali, entro il 2012 le emissioni prodotte dai voli internazionali in partenza dagli aeroporti dell'UE aumenteranno del 150 % rispetto al 1990. Questo aumento verrebbe ad annullare oltre un quarto delle riduzioni necessarie per realizzare l'obiettivo comunitario fissato nell'ambito del Protocollo di Kyoto.

1.5

In un'ottica di più lungo periodo, se la tendenza attuale dovesse confermarsi, la proporzione delle emissioni prodotte dal trasporto aereo verrebbe ad aumentare rispetto alle emissioni complessive: nell'UE, infatti, il raddoppio del traffico aereo provocherebbe un aumento delle emissioni di CO2 dal 3 % del 2005 al 5 % circa nel 2030. Con l'introduzione di un sistema ETS la domanda si ridurrebbe in una certa misura e al tempo stesso, dato che il previsto aumento dei trasporti aerei renderà necessaria una compensazione mediante l'acquisto del diritto a produrre quote di emissioni da altri detentori di quote partecipanti al sistema ETS, la crescita del settore non pregiudicherebbe il conseguimento degli obiettivi comunitari derivanti dal Protocollo di Kyoto.

2.   Sintesi del documento della Commissione

2.1

Il 27 settembre 2005 la Commissione ha pubblicato una comunicazione sulle politiche aggiuntive, esistenti o possibili, intese ad arrestare in maniera indiretta o diretta la tendenza all'aumento delle emissioni provenienti dal trasporto aereo.

2.2

Le politiche già esistenti, ad esempio nel quadro del Sesto programma quadro di ricerca dell'Unione europea, sono incentrate tra l'altro sulla sensibilizzazione dei cittadini, sulla promozione dell'uso di modi di trasporto alternativi e sulla conduzione di ricerche per un trasporto aereo più pulito. L'imminente Settimo programma quadro verterà in modo ancora più specifico sull'impatto sui cambiamenti climatici.

2.3

Le politiche previste, come la migliore gestione del controllo del traffico aereo (nell'ambito del programma «Cielo unico europeo»), mireranno a raggiungere a medio termine una riduzione del 10 % circa, grazie a un utilizzo più efficiente dello spazio aereo europeo.

2.4

Le misure cui si è fatto cenno, come la possibile introduzione di un'imposta sul (carburante usato per il) trasporto aereo o di un'imposta sui biglietti aerei (nell'UE), potrebbero servire a contenere, anche se solo in parte, l'impatto del trasporto aereo sui cambiamenti climatici.

2.5

A complemento delle politiche esistenti, la Commissione raccomanda che il sistema ETS tenga conto anche dell'impatto del trasporto aereo sui cambiamenti climatici. Secondo la Commissione, ciò è in linea con la politica perseguita dall'ICAO, la quale non persegue esplicitamente la tassazione delle emissioni, bensì il concetto di scambio internazionale di diritti di emissione su base aperta e volontaria o la presa in considerazione del trasporto aereo internazionale nelle normative nazionali vigenti.

2.6

Nella comunicazione la Commissione individua i seguenti parametri fondamentali di progettazione, approvandoli a titolo provvisorio:

parti dello scambio: gli esercenti di aeromobili,

tipo di emissioni: le emissioni di CO2 e se possibile altre emissioni generate dagli aerei,

ambito di applicazione: tutti i voli in partenza dal territorio dell'UE,

metodo di ripartizione: armonizzato a livello comunitario.

2.7

Un gruppo di lavoro composto da esperti nazionali degli Stati membri e da rappresentanti delle principali parti interessate (organizzazioni delle imprese del settore e associazioni per la tutela dei consumatori e dell'ambiente) è incaricato di consigliare i funzionari dell'UE entro maggio 2006 sul modo di integrare il trasporto aereo nel sistema ETS (cfr. il mandato, allegato alla comunicazione, di detto gruppo di lavoro). Entro fine 2006 sono dunque da attendersi delle proposte legislative.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1

L'impatto globale sul clima delle emissioni (provocate dall'uomo) di gas a effetto serra è ormai riconosciuto da quasi ogni paese del mondo. Tuttavia, vi è ancora una notevole divergenza di opinioni sul modo migliore di affrontare il problema. Paesi come Stati Uniti e Cina, responsabili di una quota significativa delle emissioni globali di gas serra, hanno imperniato la loro strategia sulle misure innovative volte ad aggredire il problema alla radice e hanno recentemente concluso accordi internazionali in materia.

3.2

Il Protocollo di Kyoto è stato firmato nel 1997 e ratificato, oltre che dall'UE, da paesi come la Russia e il Canada. All'Unione europea il Protocollo assegna per il periodo 2008-2012 l'obiettivo di una riduzione media delle emissioni di gas serra dell'8 % (rispetto ai livelli registrati nel 1990), con percentuali di riduzione diverse per ogni Stato membro. In parte, l'impegno a ridurre tali emissioni può essere assolto mediante misure (più efficienti in termini di costi) adottate all'estero.

3.3

Nel 2000 è stato istituito nell'UE il Programma europeo per il cambiamento climatico (ECCP). Nell'ambito di questo programma è stato messo a punto il nuovo sistema comunitario ETS per il CO2, entrato in vigore il 1o gennaio 2005 per tutte le fonti fisse di emissioni. In questo primo periodo di scambio, che si concluderà alla fine del 2007, il settore del trasporto non è (ancora) compreso nell'ETS dell'UE, ma è probabile che venga incluso per il secondo periodo (2008-2012). Inoltre, il trasporto aereo internazionale è uno dei settori non compresi nell'attuale Protocollo di Kyoto e negli obiettivi connessi.

3.4

Per applicare le norme in materia di aviazione su scala mondiale, il modo migliore è avviare iniziative e condurre negoziati nel quadro dell'ICAO.

3.5

Gli aerei commerciali viaggiano a quote di crociera comprese tra gli 8 e i 13 km; a queste altitudini, rilasciano gas e particolati che alterano la composizione dell'atmosfera e contribuiscono ai cambiamenti del clima.

Il biossido di carbonio (CO 2 ) è il più importante gas a effetto serra a causa delle grandi quantità emesse e del suo lungo tempo di permanenza nell'atmosfera. Come è noto, l'aumento della concentrazione di questo gas contribuisce direttamente al riscaldamento della superficie terrestre.

Gli ossidi di azoto (NO X ) hanno due effetti indiretti sul clima: infatti, producono ozono sotto l'azione della luce solare, ma riducono anche la concentrazione ambientale di metano nell'atmosfera. Sia l'ozono che il metano sono due gas dal potente effetto serra. La risultante netta è la prevalenza dell'effetto ozono sull'effetto metano, con conseguente riscaldamento del pianeta.

Il vapore acqueo (H 2 O) emesso dagli aeromobili ha un effetto serra diretto, che però è insignificante in quanto viene rapidamente eliminato dalle precipitazioni. Tuttavia, il vapore acqueo emesso ad alta quota determina spesso la formazione di scie di condensazione che tendono a riscaldare la superficie della terra. Inoltre, tali scie possono trasformarsi in cirri (nubi formate da cristalli di ghiaccio), anch'essi sospettati di avere un effetto riscaldante considerevole, anche se tale ipotesi rimane assai incerta.

Le particelle di solfati e fuliggine esercitano un effetto diretto molto minore delle altre emissioni degli aeromobili. Da una parte, la fuliggine assorbe calore e ha un effetto riscaldante, dall'altra, le particelle di solfati riflettono le radiazioni solari e producono un lieve effetto refrigerante. Esse possono inoltre influenzare la formazione di nubi e le loro proprietà.

3.6

Nel 1999 il gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) ha calcolato che l'impatto complessivo del trasporto aereo sul clima era da due a quattro volte superiore all'effetto derivante in passato dalle sole emissioni di CO2, anche se i risultati di ricerche più recenti indicano un valore leggermente inferiore (circa due volte). Si prevede che l'IPCC renda note tra breve le conclusioni aggiornate.

3.7

Il fatto che il carburante aereo utilizzato nei voli internazionali sia per convenzione esente da imposte pone questo modo di trasporto in una chiara posizione di privilegio rispetto ad altri. Se è vero che, per esempio, gli esercenti di aeromobili pagano i propri costi infrastrutturali in forma di tasse di assistenza tecnica in volo e di diritti aeroportuali (diritti che includono sempre più spesso elementi di natura ambientale), nonché di imposte ambientali in forma di tasse sui passeggeri, e percepiscono sussidi solo per le rotte soggette agli obblighi di servizio pubblico, resta pur vero che al riguardo anche altri modi di trasporto sostengono costi equivalenti.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Un sistema ETS intracomunitario che, ove opportuno, possa essere una prima misura concreta da portare all'attenzione dell'ICAO in sede di negoziati, deve essere concepito come complementare rispetto agli strumenti politici già esistenti, i quali mirano ad esempio a sensibilizzare il pubblico alla mobilità sostenibile, a promuovere mezzi di trasporto alternativi e a incoraggiare la ricerca necessaria per rendere il trasporto aereo più rispettoso dell'ambiente.

4.2

Ecco alcuni possibili strumenti aggiuntivi per limitare l'impatto ambientale del trasporto aereo:

imposte: un'accisa (con aliquota fissa) sul cherosene o l'IVA sui biglietti aerei,

altri tributi: un prelievo fiscale in misura fissa o variabile (a seconda dei chilometri percorsi), per passeggero o aeromobile,

scambio di quote di emissioni: inclusione del trasporto aereo UE nel sistema ETS comunitario.

4.3

Stando a una ricerca condotta per conto della Commissione, la prima soluzione, cioè l'introduzione di un'imposta comunitaria (accisa sul cherosene o IVA sui biglietti aerei), avrebbe un impatto più forte sulla domanda di trasporto aereo (che diminuirebbe almeno del 7,5 % nel 2010) e più debole sulle emissioni di CO2 (che verrebbero ridotte dello 0,9-1,5 %). Non vi sarebbe così alcun incentivo a rendere il traffico aereo meno inquinante.

4.4

Una seconda soluzione, l'introduzione di un prelievo per passeggero, sarebbe relativamente semplice da attuare, ma non avrebbe alcuna incidenza sull'obiettivo politico qui perseguito, cioè la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra dovute al traffico aereo. D'altro canto, a seconda del suo livello, questa forma d'imposizione fiscale potrebbe avere un impatto maggiore sulla domanda di trasporto aereo e quindi sulla posizione competitiva dell'industria europea (del trasporto aereo).

4.5

Un'opzione più realistica, quanto meno a breve termine, sarebbe l'introduzione di un prelievo per aeromobile, magari come politica di accompagnamento per ridurre le emissioni di sostanze diverse dal CO2. Tale prelievo potrebbe costituire un incentivo a rendere il traffico aereo meno inquinante e avere un minore impatto sulla domanda di trasporto aereo. Un prelievo per aeromobile potrebbe essere imposto anche ai vettori non comunitari, purché il gettito ricavato sia utilizzato per proteggere l'ambiente.

4.6

D'altro canto, l'integrazione del trasporto aereo nel sistema ETS comunitario presenta una serie di vantaggi. Infatti:

costituirebbe la soluzione più efficiente sul piano dei costi,

produrrebbe benefici ambientali prevedibili in termini di riduzione delle emissioni di CO2,

non sarebbe uno strumento politico nuovo, dato che il primo periodo di applicazione del sistema ETS è già in vigore.

4.7

Secondo il CESE, l'introduzione di un sistema comunitario ETS per il trasporto aereo dovrebbe presentare in un primo tempo le caratteristiche esposte qui di seguito.

Se la sua estensione al settore del trasporto aereo è ritenuta di fondamentale importanza già in questa fase, il sistema dovrebbe applicarsi alle sole emissioni di CO2, perché:

il CO2 è l'unica sostanza il cui effetto serra sia scientificamente accertato, e

le altre opzioni non sono (ancora) praticabili, ritarderebbero l'applicazione del sistema oppure non avrebbero un sufficiente fondamento scientifico (emissioni di ogni altra sostanza diversa dal CO2).

Le altre sostanze nocive per l'ambiente, come gli ossidi di azoto, vanno prese in considerazione utilizzando gli appropriati strumenti di accompagnamento.

I diritti di emissione dovrebbero essere ripartiti a livello comunitario, perché:

l'esperienza della ripartizione al livello dei singoli Stati membri (mediante piani nazionali di assegnazione) delle quote di emissioni da fonti fisse è stata negativa,

il trasporto aereo è un settore essenzialmente caratterizzato dalla concorrenza internazionale e occorre impedire le distorsioni del mercato.

I diritti di emissione dovrebbero essere attribuiti alle compagnie aeree per:

garantire quanto più possibile l'efficacia e l'efficienza degli incentivi previsti dallo schema.

Il metodo di ripartizione di tali diritti dovrebbe essere non discriminatorio. A tal fine, bisognerebbe:

ricorrere al criterio dell'anteriorità (grandfathering), all'analisi comparativa (benchmarking) delle prestazioni o all'asta pubblica,

garantire la parità di trattamento rispetto agli altri settori rientranti nel sistema ETS comunitario,

non «punire» né le compagnie aeree che già si sono dimostrate efficienti né i nuovi operatori.

Infine, il sistema dovrebbe applicarsi solo ai voli all'interno dell'UE e non (ancora) a tutti i voli in partenza o in arrivo dall'UE e nell'UE, dato che:

la soluzione ideale non esiste, e quella più pragmatica consiste nel condurre negoziati nell'ambito dell'ICAO,

tutte le compagnie aeree saranno coinvolte in questo processo, indipendentemente dalla loro nazionalità.

4.8

All'epoca della comunicazione la Commissione ha effettuato una valutazione d'impatto sommaria, aggiungendo che ogni proposta definitiva in materia sarebbe stata accompagnata da una valutazione d'impatto più dettagliata. Le ricadute economiche effettive dipenderanno fra l'altro dal probabile prezzo di scambio e dal metodo di ripartizione delle quote.

4.9

L'applicazione dell'ETS ai voli all'interno dell'UE influenzerà gli operatori comunitari in una serie di modi diversi. In primo luogo, l'effetto sulla domanda dipenderà notevolmente dalla diversa elasticità dei prezzi. In secondo luogo, esso potrebbe dipendere dalla percentuale rappresentata dai servizi all'interno dell'UE sul totale dei ricavi di un operatore. Alcuni temono che gli operatori per i quali tali servizi rappresentano una percentuale modesta della loro attività possano ricorrere ai sussidi incrociati tra i diversi tipi di tariffe praticati o avvalersi dei voli a più lungo raggio, a danno degli operatori che prestano i loro servizi prevalentemente (o esclusivamente) all'interno dell'UE. Questi aspetti devono essere esaminati ulteriormente nell'ambito della valutazione d'impatto.

4.10

Secondo il CESE, molti aspetti dell'applicazione del sistema comunitario ETS al trasporto aereo restano da approfondire, per esempio in seno al gruppo di lavoro di esperti proposto dalla Commissione e già operativo, prima che si possa adottare una posizione definitiva sui metodi e sui tempi di tale estensione. In particolare, occorre:

considerare gli insegnamenti relativi alla valutazione dello scambio di quote di emissione prodotte da fonti fisse, prima di attuare misure relative al trasporto aereo,

studiare i problemi derivanti dall'estensione del sistema comunitario ETS al settore del trasporto aereo dopo l'inizio del secondo periodo di scambio,

valutare i futuri prezzi di scambio e il loro impatto sulla crescita del trasporto aereo,

valutare i costi fissi dello scambio di quote nel settore in relazione agli obiettivi programmati,

valutare la fattibilità e la gestibilità dello scambio di quote di emissioni nel settore,

valutare le possibilità di applicare il sistema di scambio di quote su scala mondiale tramite l'ICAO e, se ciò non è praticabile, i pro e i contro di un'eventuale applicazione meramente regionale di tale sistema,

approfondire i possibili rapporti che intercorrono tra l'assegnazione delle bande orarie negli aeroporti e lo scambio delle quote di emissioni nel settore del trasporto aereo,

condurre ulteriori ricerche sugli effetti delle possibili compensazioni tra le emissioni di biossido di carbonio e quelle di ossidi di azoto (gas a effetto serra, ma anche al centro di una «questione locale» in prossimità degli aeroporti nelle aree urbane dell'UE).

Bruxelles, 21 aprile 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Il trasporto aereo è uno dei modi di trasporto più puliti e più economici. Il totale delle emissioni prodotte dai trasporti è pari a circa il 22 % del totale delle emissioni di CO2 dovute all'uso di combustibili fossili. I risultati delle ricerche svolte dal gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) dimostrano che, di tutti i modi di trasporto, quello che produce la massima percentuale di gas a effetto serra è il trasporto stradale (75 % del totale delle emissioni di CO2 prodotte dai trasporti). La quota del trasporto aereo si limita al 12 % del totale delle emissioni totali dei trasporti. Il trasporto aereo, quindi, incide per il 2-3 % sul totale delle emissioni di CO2 (12 % del 22 %).


8.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 185/101


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il quadro istituzionale per la navigazione interna in Europa

(2006/C 185/18)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 luglio 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema: Il quadro istituzionale per la navigazione interna in Europa

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 marzo 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore SIMONS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 21 aprile 2006, nel corso della 426a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 57 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Raccomandazioni

1.1

Nei pareri del 16 gennaio 2002 e del 24 settembre 2003, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) invita tutte le parti interessate a proseguire gli sforzi compiuti sulla via dell'armonizzazione e dell'integrazione del trasporto per via navigabile in Europa. Nel complesso, tali pareri restano di attualità e, per quanto concerne il quadro istituzionale, possono essere integrati alla luce degli sviluppi intervenuti dopo la loro adozione.

1.2

A questo proposito è molto importante che la cooperazione tra i principali attori — Commissione europea, commissione centrale per la navigazione sul Reno (CCNR) e commissione del Danubio (CD) — venga estesa e intensificata. Serve in particolare una piattaforma permanente che agisca in maniera strutturata, incisiva e tempestiva nei vari settori della navigazione interna e, dovunque ciò sia opportuno, con la piena partecipazione delle parti sociali, in modo tale da rendere l'elaborazione delle politiche quanto più stabile, uniforme ed estesa possibile.

1.3

In definitiva, per creare un regime giuridico uniforme su scala paneuropea è necessario considerare una serie di aspetti.

1.3.1

In primo luogo, si tratta di una modalità di trasporto a portata geografica limitata e che, contrariamente ad altri modi di trasporto quali la navigazione aerea e il trasporto stradale, non riguarda direttamente tutti i paesi dell'UE.

1.3.2

In secondo luogo, vi sono paesi importanti per la navigazione interna, e quindi anche per l'Europa, che però non fanno parte dell'UE.

1.3.3

In terzo luogo, solo attraverso un'azione politica comune si potrà pervenire al necessario adattamento delle infrastrutture per i corsi d'acqua interni, cosa che rientra nelle competenze nazionali di ciascuno Stato.

1.3.4

In quarto luogo è chiaro, vista l'eterogeneità delle condizioni naturali, delle infrastrutture e del volume del trasporto sulle vie navigabili interne, che non tutte le regole possono essere applicate nello stesso modo o con la stessa intensità per tutti i fiumi europei.

1.3.5

Gli aspetti summenzionati dimostrano che la riflessione sulla struttura della navigazione interna paneuropea deve in primo luogo assumere un carattere unico e specifico.

1.4

Come dimostrano le dichiarazioni adottate a margine delle conferenze ministeriali, la pressione politica per creare un regime paneuropeo esiste, ma non si è ancora tradotta in una realtà ben definita e consolidata. La conferenza ministeriale in programma nel 2006 in Romania dovrà mostrare in quale misura la volontà politica possa effettivamente trasformarsi in azione concreta.

1.5

La creazione di un regime giuridico uniforme e integrato non deve andare a scapito dell'elevato livello di protezione, sicurezza e uniformità nell'applicazione del diritto raggiunto in particolare per il Reno. È da attendersi che gli Stati aderenti alla CCNR invochino il mantenimento del cosiddetto «acquis renano» in caso di eventuale passaggio a un altro regime. Tale grado di sicurezza e questi «diritti acquisiti» si fondano anche sull'esistenza di relazioni strette e dirette con le imprese attive nel settore della navigazione interna.

1.6

In questo nuovo sistema sarà opportuno dedicare particolare attenzione alla politica sociale, spesso trascurata nelle norme vigenti in materia di navigazione interna in Europa. Le parti sociali devono essere pienamente coinvolte.

1.7

Alla luce di quanto precede, il CESE appoggia l'idea di creare un'organizzazione indipendente da istituire attraverso una convenzione che riunisca almeno le organizzazioni internazionali quali l'UE, gli Stati membri dell'UE interessati dalla navigazione interna, paesi terzi quali la Svizzera e i paesi terzi rivieraschi del Danubio. All'interno di un'organizzazione dotata di una tale convenzione, un'assemblea di ministri potrebbe assumere le decisioni politiche giuridicamente vincolanti e sovrintendere ai controlli nazionali. Tale organizzazione potrebbe non solo centralizzare tutte le conoscenze e competenze attualmente disponibili per i vari settori, ma anche provvedere a conservare quanto meno l'attuale livello di protezione e di sicurezza e a portare avanti il dialogo sociale settoriale.

1.8

Il CESE rinnova l'invito a tutte le parti interessate affinché continuino a operare nella direzione indicata, soprattutto per quanto riguarda il rafforzamento della cooperazione e l'istituzione di un'organizzazione indipendente, così come la si è descritta nel presente parere. Come già dimostra la sua partecipazione attiva a diversi forum sulla navigazione interna, anche il Comitato continuerà ad adoperarsi affinché ciò diventi quanto prima realtà. Quest'anno, in particolare, esso intende partecipare alle audizioni del Parlamento europeo sull'argomento e alla conferenza ministeriale sulla navigazione interna a livello paneuropeo prevista in Romania alla fine del 2006.

2.   Introduzione

2.1

Il CESE ha esaminato la situazione della navigazione interna in Europa nel parere del 16 gennaio 2002 sul tema L'avvenire della rete transeuropea di vie navigabili e in quello del 24 settembre 2003 dal titolo Verso un regime paneuropeo della navigazione fluviale  (1). Quest'ultimo documento si sofferma sui punti critici della navigazione interna e insiste sulla necessità di armonizzare la normativa in materia tanto per gli aspetti di diritto pubblico quanto per quelli di diritto privato. Inoltre, affronta questioni quali l'ambiente, la sicurezza, la situazione occupazionale e la dimensione sociale: quest'ultimo aspetto, in particolare, è stato ulteriormente approfondito nel parere di iniziativa del settembre 2005 dal titolo La politica sociale in un regime giuridico paneuropeo sulla navigazione interna .

2.2

Nel secondo parere citato, il CESE invita tra l'altro tutte le parti interessate a intensificare gli sforzi per consolidare ulteriormente l'integrazione dei regimi giuridici e l'uniformità del diritto della navigazione interna. L'armonizzazione dei Trattati, delle convenzioni e degli accordi bilaterali applicabili alle vie di navigazione interna nazionali e internazionali è infatti il presupposto necessario per promuovere la navigazione interna a livello paneuropeo.

2.3

I suddetti pareri fanno inoltre presente che lo stesso Comitato continuerà ad adoperarsi affinché l'applicazione di norme giuridiche integrate a tutte le vie di navigazione interna in Europa diventi al più presto realtà.

2.4

Questo impegno del Comitato si basa in primo luogo sul convincimento che la navigazione interna, essendo la modalità di trasporto relativamente più pulita e più rispettosa dell'ambiente, ed essendo dotata di un sufficiente potenziale di crescita, possa in futuro contribuire ampiamente a una gestione sostenibile dell'inevitabile crescita del volume dei trasporti.

2.5

Uno dei punti critici della navigazione interna riguarda l'esistenza in Europa di tre regimi giuridici diversi e parzialmente sovrapposti sul piano geografico.

2.6

Visto che di recente si è registrata una serie di sviluppi interessanti proprio su questo aspetto specifico, il Comitato ritiene utile e necessario elaborare un parere d'iniziativa più dettagliato sull'argomento.

3.   L'attuale quadro istituzionale

3.1

Il parere del 24 settembre 2003 illustra i tre regimi vigenti in Europa: la convenzione di Mannheim riveduta per la navigazione sul Reno (1868), la convenzione di Belgrado relativa al regime di navigazione sul Danubio (1948) e l'acquis comunitario e le disposizioni dei Trattati CE in materia.

3.2

Alla convenzione di Mannheim riveduta aderiscono attualmente cinque paesi, di cui quattro Stati membri dell'UE (Belgio, Francia, Germania e Paesi Bassi) e un paese terzo (Svizzera). L'istituzione nel XIX secolo del diritto di libertà di navigazione e di un regime uniforme e armonizzato per il Reno e i suoi affluenti ha portato al configurarsi di una sorta di mercato interno ante litteram, che è stato ed è tuttora di grande importanza per lo sviluppo economico dell'Europa.

3.3

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, data la sua antichità, la CCNR è un'organizzazione estremamente moderna. Grazie a un piccolo segretariato, a un'estesa rete di esperti (nazionali) e a stretti contatti con le imprese della navigazione interna, essa è in grado di reagire rapidamente a qualsiasi evoluzione, garantendo un funzionamento ottimale e aggiornato del regime di navigazione sul Reno.

3.4

La CCNR dispone di competenze regolamentari e prende decisioni all'unanimità. I paesi aderenti alla convenzione di Mannheim sono tenuti, se necessario, a recepire le decisioni nella legislazione nazionale. Le competenze della CCNR vertono su materie quali le norme tecniche, gli equipaggi, la sicurezza, l'ambiente e la libertà di navigazione. La convenzione di Mannheim prevede che i firmatari assicurino la promozione della navigazione interna. La CCNR dispone di un potere giurisdizionale sulle controversie rientranti fra le competenze della convenzione di Mannheim.

3.5

La convenzione di Belgrado disciplina la navigazione sul Danubio. Gli Stati rivieraschi del Danubio firmatari della convenzione fanno parte della CD che, contrariamente alla CCNR, ha solo funzioni consultive e mira solo a disciplinare la navigazione internazionale sul fiume. Il cabotaggio (che per il Reno è disciplinato dalla convenzione di Mannheim) non rientra nel campo di applicazione della convenzione di Belgrado. Per quanto riguarda il Danubio, quindi, non si può parlare di palese uniformità del regime giuridico. Alla CD aderiscono attuali Stati membri dell'UE, paesi candidati dell'area balcanica e altri ancora (Moldavia, Russia, Serbia e Montenegro e Ucraina).

3.6

Il mercato interno creato con il Trattato di Roma del 1957 si è progressivamente esteso anche al settore della navigazione interna. La Commissione europea ha così acquisito competenze su materie quali le norme tecniche, gli equipaggi, l'ambiente e la sicurezza.

3.7

Nella pratica esiste una cooperazione, che tende per fortuna a intensificarsi, tra la CCNR, la CD e la Commissione europea, nel cui ambito è molto forte l'influenza della CCNR, soprattutto in termini di esperienza e conoscenze tecniche. La collaborazione tra la Commissione e la CCNR ha ricevuto un nuovo impulso dalla conclusione dell'accordo di cooperazione del 3 marzo 2003, mentre quella con la CD riveste, almeno per il momento, un carattere più sporadico.

4.   Recenti sviluppi

4.1

Nell'ottobre 2004, un gruppo di personalità indipendenti dell'Europa orientale e occidentale ha stilato una relazione che analizza il quadro istituzionale vigente in materia di navigazione interna a livello europeo e formulato raccomandazioni intese a consolidarlo ulteriormente. Si tratta di un'iniziativa dei Paesi Bassi, appoggiata da Germania, Belgio, Francia e Svizzera. Il gruppo di lavoro — diretto dall'ex ministro olandese dell'Economia ed ex vice primo ministro Jan Terlouw, e del quale fanno parte altre sette personalità provenienti da Austria, Belgio, Francia, Germania, Romania, Svizzera e Ungheria — si è autodenominato gruppo EFIN ( European Framework for Inland Navigation ) e ha prodotto una relazione dal titolo «Un nuovo quadro istituzionale per la navigazione interna in Europa».

4.2

Nella relazione, il gruppo EFIN constata che la navigazione interna possiede un potenziale enorme, ma nettamente sottovalutato. La navigazione interna è in grado di apportare un importante contributo al miglioramento del sistema europeo di trasporto merci. Il gruppo EFIN ritiene che il quadro istituzionale, oltre a non essere sufficiente per sfruttare al meglio il potenziale della navigazione interna in Europa, sia troppo debole per suscitare l'attenzione necessaria a livello politico in vista di un ulteriore sviluppo del settore.

4.3

Analogamente a quanto già raccomandato dal CESE nei pareri del 16 gennaio 2002 e del 24 settembre 2004, anche dalla relazione del gruppo EFIN emerge la necessità, per tutte le vie navigabili europee, di una maggiore armonizzazione in materia di norme tecniche, qualifiche, meccanismi di certificazione e condizioni di accesso al mercato. Il documento auspica inoltre la presenza di un organismo in grado di sostenere le azioni tese a migliorare le infrastrutture della navigazione interna, sviluppare le apparecchiature tecniche a bordo, promuovere l'innovazione e rafforzare le competenze professionali. Per aiutare la navigazione interna a superare gli ostacoli che ne rallentano lo sviluppo occorre un appoggio istituzionale attivo, ed è pertanto necessario creare una nuova struttura.

4.4

Per la creazione di tale nuova struttura, il gruppo EFIN ha esaminato una serie di opzioni, sempre in un'ottica paneuropea. La sua relazione raccomanda una più stretta cooperazione tra le istituzioni esistenti, soprattutto la CCNR, la CD e la Commissione europea, ma anche la Conferenza europea dei ministri dei Trasporti (CEMT) e la Commissione economica per l'Europa delle Nazioni Unite (UN-ECE), il che però non è in sé sufficiente a dar vita a una nuova struttura.

4.5

Il gruppo EFIN esorta quindi a istituire un' organizzazione europea per la navigazione interna , con un mandato ampio tale da coprire tutti gli aspetti di questa modalità di trasporto. Tale organizzazione non dovrebbe scaturire da una nuova convenzione né, d'altro canto, le convenzioni e i regimi esistenti andrebbero in alcun modo modificati. La nuova organizzazione dovrebbe avere carattere evolutivo: dovrebbe cioè potersi adattare alle nuove esigenze e comprendere organi modulari capaci di agire indipendentemente l'uno dall'altro.

4.6

L'organizzazione dovrebbe inoltre articolarsi in tre componenti: un'assemblea politica (la conferenza dei ministri europei responsabili della navigazione interna), una struttura amministrativa (l'Ufficio europeo per la navigazione interna) e uno strumento finanziario (il Fondo europeo d'intervento per la navigazione interna). Per ulteriori dettagli si rinvia alla relazione del gruppo EFIN.

4.7

Si ricorda che, tra le possibili alternative, il gruppo EFIN ha ponderato con attenzione l'idea di creare un'agenzia comunitaria per la navigazione interna. Nella relazione esso si chiede anzitutto se esista una volontà politica sufficiente a tal fine, e considera che le agenzie di questo tipo non hanno competenze normative, bensì esecutive, di sorveglianza e di raccolta di informazioni. Inoltre, dato che numerose vie navigabili non sono soggette al diritto comunitario, tale agenzia avrebbe una portata geografica limitata. In definitiva il gruppo esprime parere sfavorevole su tale opzione.

4.8

Il 14 luglio 2005 la Commissione europea ha pubblicato un documento di discussione dal titolo Piano d'azione europeo integrato per il trasporto su vie navigabili , in cui menziona i settori in cui desidera migliorare tale modalità di trasporto e invita le parti interessate a esprimere le proprie osservazioni. Il 17 gennaio 2006 la Commissione ha poi pubblicato la comunicazione Naiades sulla promozione del trasporto sulle vie navigabili interne, dal titolo Programma di azione europeo integrato per il trasporto sulle vie navigabili interne  (2).

4.9

Accanto a numerose azioni incentrate su cinque settori strategici, la Commissione considera anche le possibilità esistenti per modernizzare la legislazione e adattarla alle future sfide. Per questo motivo la struttura organizzativa, che oggi appare frammentata e quindi scarsamente efficiente e priva di peso politico, deve essere ammodernata e migliorata. L'azione di adeguamento degli strumenti esistenti non può però prescindere dagli obblighi vigenti e dagli accordi internazionali: in altri termini, l'acquis esistente dovrà essere rispettato.

4.10

La Commissione fa presente che tale processo è già in atto e rimanda a tale proposito alla relazione del gruppo EFIN e alla propria raccomandazione del 1o agosto 2003 al Consiglio, intesa ad autorizzare l'adesione dell'UE alla CCNR ed alla CD. Precisa inoltre che attualmente sono all'esame quattro opzioni: a) intensificare la cooperazione tra le commissioni fluviali esistenti e la Commissione europea; b) far aderire l'UE alla CCNR e alla CD, c) creare un'organizzazione paneuropea della navigazione interna, d) attribuire all'Unione il compito di promuovere lo sviluppo strategico della navigazione interna in Europa, nel rispetto degli interessi dei paesi terzi.

5.   La navigazione interna paneuropea

5.1

L'idea di creare un regime paneuropeo della navigazione interna e stimolare così il trasporto per via navigabile in tutto il continente non è nuova e gode già di ampio sostegno. Tale intento era emerso infatti sin dalla conferenza ministeriale sul trasporto per via navigabile svoltasi a Budapest nel 1991, e anche la conferenza paneuropea sul trasporto fluviale, tenutasi a Rotterdam il 5 e 6 settembre 2001, era sfociata in una dichiarazione in cui i ministri invitavano ad accelerare la cooperazione europea, in vista di una liberalizzazione e di un potenziamento del trasporto fluviale. Tale dichiarazione contiene una serie di principi, obiettivi e azioni: uno dei principi è che l'armonizzazione non può avvenire a detrimento delle norme di sicurezza e di qualità attualmente in vigore, e che le condizioni sociali favorevoli — quanto meno quelle esistenti — vanno preservate. Nella dichiarazione i ministri sollecitano la creazione di un mercato paneuropeo del trasporto fluviale trasparente e integrato, basato sui principi della reciprocità, della libertà di navigazione, della concorrenza leale e della parità di trattamento degli utenti delle vie navigabili.

5.2

Oltre a incoraggiare gli sforzi esercitati ad esempio nel settore delle infrastrutture (che, come è noto, rientra nelle competenze nazionali), la dichiarazione di Rotterdam esorta la Commissione europea, la UN-ECE e le due commissioni fluviali a intensificare la cooperazione finalizzata ad armonizzare su scala paneuropea le norme tecniche, di sicurezza e in materia di equipaggio, e le incoraggia inoltre a collaborare per migliorare la formazione e l'addestramento professionale. Invita poi la UN-ECE, la CE, le due commissioni fluviali e la CEMT ad agire in stretta cooperazione per individuare entro fine 2002 gli ostacoli di ordine legislativo che si frappongono all'attuazione di un mercato armonizzato e competitivo del trasporto fluviale al livello europeo, e a proporre soluzioni per superarli.

5.3

Il Comitato osserva che la conferenza del 2001 ha dato vita a una proficua riflessione sul quadro istituzionale per la navigazione interna: a questo proposito segnala ad esempio il seminario dal suggestivo titolo On the Move, svoltosi a Parigi nel settembre 2005 e organizzato dalla CEMT, dalla UN-ECE e dalle commissioni fluviali.

5.4

Nel 2006 si terrà in Romania una nuova conferenza ministeriale che farà seguito a quella di Rotterdam.

6.   Osservazioni

6.1

Il CESE ritiene che la relazione EFIN rappresenti un contributo prezioso al dibattito sull'aspetto istituzionale. Di particolare interesse sono le analisi ivi contenute, che il Comitato appoggia, ma dalle quali non è stata tratta la logica conclusione, visto che la soluzione proposta non sembra dotata di sufficiente forza vincolante. Inoltre, come nelle convenzioni e nei regimi esistenti, anche nella relazione EFIN sono state ignorate le considerazioni di politica sociale.

6.2

Il Comitato si compiace del fatto che la Commissione, contrariamente al passato, lasci del tutto aperta la discussione sulle riforme istituzionali. Il fatto che essa disgiunga completamente questo aspetto dai cinque settori strategici rappresenta certamente un contributo importante a tal fine. Per quanto riguarda le opzioni proposte, il CESE fa osservare la necessità di un rafforzamento della cooperazione a breve termine, come raccomanda la Commissione nella prima opzione. Anche l'adesione della Commissione alla CCNR, a proposito della quale negli ultimi due anni il Consiglio non ha ancora preso nessuna decisione, può costituire una tappa importante di tale processo. Tuttavia, per raggiungere l'efficacia ricercata e suscitare maggiore attenzione sul piano politico, servono azioni più incisive.

6.3

Per quanto riguarda le altre due opzioni relative alla fase finale delle ristrutturazioni, cioè la creazione di un'organizzazione paneuropea della navigazione interna e una soluzione comunitaria, la Commissione si limita a enumerare vantaggi e svantaggi senza operare alcuna scelta, al fine di lasciare aperta la discussione.

6.4

Il CESE intende contribuire al dibattito esprimendosi sin d'ora a questo riguardo: pertanto, dopo aver soppesato le argomentazioni proposte, fa notare che a suo avviso la soluzione comunitaria, così come è presentata dalla Commissione, non coprirà tutto il territorio dell'Unione. Il regime del Reno e (in misura inferiore) quello del Danubio continueranno a esistere, cosa che implicherà un livello amministrativo supplementare e rafforzerà l'esigenza di coordinamento. Questa opzione richiede poi la conclusione di accordi con paesi terzi, il che può dare origine a divergenze. Cooperare con le commissioni fluviali significa in pratica che saranno la CCNR e la CD a fornire le conoscenze e le capacità necessarie: creare ex novo un bagaglio di conoscenze ed esperienze a livello comunitario significherebbe sovrapporsi alle attività già svolte dalle due commissioni fluviali, cosa che la Commissione desidera evitare.

6.5

Il CESE condivide invece le argomentazioni presentate dalla Commissione a favore dell'opzione di creare un'organizzazione paneuropea per la navigazione interna, all'interno della quale coopererebbero tutte le organizzazioni e i paesi europei interessati, compresa quindi l'Unione europea. Un'organizzazione di questo tipo sarebbe tale da accrescere il peso politico della navigazione interna e contribuirebbe a promuoverla sul piano strategico, favorendo l'armonizzazione della legislazione. La generica affermazione secondo cui tale organizzazione deve essere finanziata dai contributi dei partecipanti è positiva nella misura in cui significa che allo sviluppo della navigazione interna contribuiranno, oltre all'UE, anche i paesi terzi.

6.6

Per quanto riguarda le argomentazioni addotte dalla Commissione contro questa opzione, si osserva che è vero che l'elaborazione e la ratifica di una convenzione richiederebbero molto tempo, ma d'altro canto questo processo è in realtà già iniziato e, con la sufficiente volontà politica, potrebbe essere portato a termine entro pochi anni. Il successo delle conferenze ministeriali sulla navigazione interna svoltesi nel 1991 e nel 2001 e la conferenza che si svolgerà quest'anno in Romania sono segnali positivi in tal senso. L'obiezione secondo cui una tale organizzazione opererebbe al di fuori del quadro comunitario verrebbe meno se a tale processo prendesse parte anche l'UE. L'effettiva attuazione delle decisioni prese dall'organizzazione può essere inoltre garantita attraverso una convenzione, come già avviene con la convenzione di Mannheim riveduta per la navigazione sul Reno.

6.6.1

Al recente convegno sulla navigazione interna (Inland Navigation Summit, Industry Congress), svoltosi a Vienna dal 13 al 15 febbraio 2006, la Commissione europea ha addotto un altro argomento contro la convenzione, il fatto cioè che il trasporto per via navigabile interna rientra completamente nelle competenze dell'UE e che tale responsabilità non può essere trasferita in virtù di un'altra convenzione internazionale. A questo proposito si dovrebbe osservare che il trasporto per via navigabile interna in Europa è adesso caratterizzato dal fatto che, ai sensi della convenzione riveduta di Mannheim, determinati poteri, soprattutto relativi alla navigazione sul Reno, sono riservati agli stati rivieraschi del Reno. È inoltre vero che i paesi terzi desiderano essere coinvolti in un regime giuridico europeo, per il quale però l'UE, ovviamente, non può essere competente.

6.6.2

Optare per la convenzione significherebbe quindi che anche i paesi terzi potrebbero rientrare nello stesso regime giuridico. Si potrebbe ipotizzare la creazione di camere fluviali dotate di poteri differenziati. Nelle acque UE continuerebbe a trovare piena applicazione la legislazione UE sulla navigazione interna. Il principale vantaggio di tale opzione consisterebbe nella possibilità di affrontare e risolvere le questioni paneuropee, nonché di stabilire, attraverso la convenzione, nuove competenze, ad esempio nel campo delle infrastrutture.

Bruxelles, 21 aprile 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Rispettivamente GU C 80 del 3.4.2002 e GU C 10 del 14.1.2004.

(2)  COM(2006) 6 def.


8.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 185/106


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1592/2002, del 15 luglio 2002, recante regole comuni nel settore dell'aviazione civile e che istituisce l'Agenzia europea per la sicurezza aerea

COM(2005) 579 def. — 2005/0228 (COD)

(2006/C 185/19)

Il Consiglio, in data 31 gennaio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 80, paragrafo 2, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 marzo 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore SIMONS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 21 aprile 2006, nel corso della 426a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 71 voti favorevoli e 3 voti contrari.

1.   Conclusioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) appoggia pienamente l'obiettivo di ampliare il campo d'applicazione del regolamento (CE) n. 1592/2002 alle operazioni di volo, al rilascio delle licenze agli equipaggi di condotta e agli aeromobili non comunitari: ritiene infatti che affidando tutte le attività di regolamentazione della sicurezza ad un'unica autorità si contribuirebbe a migliorare l'efficienza e la stessa sicurezza del trasporto aereo.

1.2

Nel contesto delle certificazioni aggiuntive richieste agli operatori commerciali dei paesi terzi, alla Comunità andrebbe espressamente riconosciuta la possibilità di firmare accordi bilaterali con i singoli paesi terzi per il mutuo riconoscimento dei certificati in materia. Il CESE ritiene pertanto che si debba anche far sì che tutti gli Stati membri dell'Organizzazione internazionale dell'aviazione civile (ICAO) adempiano ai loro obblighi, in modo da rendere obsolete le certificazioni aggiuntive.

1.3

Per garantire all'aviazione elevati livelli di sicurezza l'Agenzia europea per la sicurezza aerea (AESA) deve disporre di risorse che le consentano di svolgere i nuovi compiti enunciati nella proposta della Commissione: ciò richiederà finanziamenti comunitari molto più elevati di quelli attualmente previsti. Al tempo stesso, mettendo in comune le risorse a livello europeo si dovrebbero poter ridurre considerevolmente i costi a carico non soltanto del settore aereo, ma anche dei governi nazionali. Questo tema non viene affrontato nella proposta della Commissione.

1.4

Il CESE è persuaso che nella definizione delle operazioni commerciali vadano incluse anche le operazioni societarie e le operazioni in proprietà frazionata, onde garantire che tutti i passeggeri all'interno dell'UE godano dello stesso grado di sicurezza.

1.5

Conformemente agli obiettivi di sicurezza ricordati più in alto, in particolare nei punti 1.1 e 1.4, e nell'interesse degli utenti, è assolutamente indispensabile che l'AESA si accerti che l'inclusione delle regole del JAR-OPS nella normativa comunitaria, attraverso la modifica ancora in corso del regolamento n. 3922/91 o mediante un'altra procedura, rappresenti effettivamente un progresso e realizzi un livello sufficiente di armonizzazione nella disciplina dei settori rientranti nelle sue competenze.

2.   Introduzione e sintesi del documento della Commissione

2.1

Nel 2002 sono state adottate regole comuni nel settore dell'aviazione civile ed è stata istituita, con regolamento (CE) n. 1592/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, l'Agenzia europea per la sicurezza aerea (AESA).

2.2

Principale obiettivo del regolamento del 2002 è istituire e mantenere un livello di sicurezza elevato e uniforme nell'aviazione civile europea. Inoltre, esso mira a garantire anche un livello elevato e uniforme di protezione ambientale, facilitare la libera circolazione dei beni, delle persone e dei servizi, promuovere la razionalizzazione dei processi normativi e di certificazione, evitare la duplicazione di servizi a livello nazionale ed europeo, aiutare gli Stati ad adempiere agli obblighi imposti dalla convenzione di Chicago dell'ICAO e promuovere il punto di vista della Comunità sulla sicurezza dell'aviazione civile.

2.3

Le competenze dell'AESA nel campo d'applicazione del regolamento sono le seguenti:

assistere la Commissione nell'esercizio della funzione legislativa,

assistere la Commissione nell'esecuzione delle ispezioni da essa condotte presso le autorità aeronautiche nazionali a fini di standardizzazione,

assistere la Comunità e gli Stati membri nelle relazioni con i paesi terzi,

aiutare gli Stati membri a rispettare i loro obblighi internazionali,

rilasciare specifiche di certificazione e documenti orientativi,

rilasciare certificati di omologazione del tipo e certificati di omologazione del tipo supplementari per prodotti, parti e pertinenze aeronautiche e garantirne l'aeronavigabilità continua,

rilasciare certificati agli organismi di progettazione, produzione e manutenzione situati al di fuori del territorio degli Stati membri, agli organismi di progettazione situati negli Stati membri e agli organismi di produzione su richiesta dello Stato membro interessato; assicurare la supervisione continua di tali certificati.

2.4

Il rilascio dei singoli certificati di aeronavigabilità e dei certificati destinati alle organizzazioni e al personale del proprio paese (ad eccezione degli organismi di progettazione) rimane di competenza delle autorità aeronautiche nazionali, ma è disciplinato dalle regole comuni e soggetto alle ispezioni di standardizzazione dell'AESA.

2.5

È generalmente riconosciuto (1) che ai fini dell'efficienza, della sicurezza e della standardizzazione è essenziale che tutte le funzioni di regolamentazione della sicurezza aerea all'interno della Comunità siano riunite in un'unica autorità (l'AESA).

2.6

Nella parte introduttiva (relazione) del documento in esame, la Commissione ricorda che dall'entrata in vigore del regolamento (CE) n. 1592/2002 nel settembre 2002 la Comunità detiene competenze esclusive in materia di aeronavigabilità e di compatibilità ambientale di prodotti, parti e pertinenze aeronautiche. All'epoca dell'adozione del testo in vigore già si sapeva che, per garantire un livello di sicurezza elevato e uniforme e offrire ai vettori aerei comunitari condizioni di concorrenza eque, sarebbe stato necessario ampliare il campo di applicazione del regolamento alle operazioni di volo e al rilascio delle licenze agli equipaggi di condotta.

2.7

La Commissione ricorda che l'inclusione delle regole JAR-OPS nella normativa comunitaria, attraverso la modifica attualmente in corso del regolamento (CEE) n. 3922/91 (UE-OPS-1), rappresenterà innegabilmente un passo avanti, ma non porterà ad un livello di armonizzazione sufficiente, in quanto riguarderà solo il trasporto aereo commerciale. Gli altri tipi di aeromobili, le altre operazioni commerciali e non commerciali non saranno disciplinati da queste regole comuni, che non si applicheranno peraltro né alle licenze degli equipaggi di condotta, né agli aeromobili dei paesi terzi. Per questo è stata presentata la proposta del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1592/2002, del 15 luglio 2002.

2.8

La proposta di regolamento prevede anche obblighi di certificazione per gli operatori commerciali non comunitari che effettuano voli diretti verso l'UE.

2.9

La proposta, recante regole comuni nel settore dell'aviazione civile e che istituisce l'Agenzia europea per la sicurezza aerea (AESA) (COM(2005) 579 def.), è stata pubblicata dalla Commissione il 16 novembre 2005.

2.10

La proposta mira a estendere le regole comuni a tutte le attività aeree e l'obbligo di certificazione a tutti gli operatori commerciali. In base alla nuova proposta i certificati verrebbero rilasciati dagli Stati membri (autorità aeronautiche nazionali) o, eventualmente, dall'AESA, che potrebbe anche imporre direttive operative, ove necessario.

2.11

Le regole riguardanti le operazioni non commerciali verrebbero adattate alla complessità degli aeromobili utilizzati e non darebbero adito a certificazione. Nel caso di operazioni condotte con aeromobili complessi, gli operatori interessati dovrebbero invece dimostrare di soddisfare i requisiti essenziali relativi alle operazioni di volo.

2.12

La proposta di regolamento imporrebbe alla maggior parte dei piloti che operano nella Comunità il possesso di una licenza rilasciata sulla base di requisiti comuni. Gli organismi, il personale e le attrezzature di formazione dei piloti dovrebbero anch'essi essere certificati sulla base di regole comuni. L'AESA condurrebbe ispezioni presso le autorità aeronautiche nazionali per verificare l'applicazione delle regole comuni e certificherebbe essa stessa le organizzazioni e le attrezzature dei paesi terzi.

2.13

Per garantire una protezione adeguata la proposta intende sottoporre alle regole operative comuni anche gli aeromobili di paesi terzi che operano nella Comunità. Nel caso degli operatori commerciali di paesi terzi che effettuano voli diretti verso la Comunità, il rispetto delle regole comuni dovrebbe essere attestato dal rilascio di un certificato.

2.14

La proposta prevede anche alcune modifiche al funzionamento dell'Agenzia e in particolare del suo consiglio di amministrazione.

3.   Osservazioni generali

3.1

L'aviazione civile europea deve essere sottoposta a un unico ente di regolamentazione della sicurezza, che controlli tutte le componenti della catena del valore del trasporto aereo, onde garantire che la regolamentazione della sicurezza nel mercato comune del trasporto aereo segua un approccio coerente e organico. Affidando a un'unica autorità tutte le attività normative relative alla sicurezza aerea — non esistono confini netti tra i loro vari aspetti — si contribuirebbe a migliorare l'efficienza e la stessa sicurezza del trasporto aereo. Pertanto il CESE sostiene pienamente l'obiettivo di estendere il campo d'applicazione del regolamento (CE) n. 1592/2002 alle operazioni di volo, alle licenze degli equipaggi di condotta e agli aeromobili dei paesi terzi.

3.2

Occorre garantire che gli aeromobili non comunitari che effettuano voli diretti verso la Comunità siano sicuri. Occorre inoltre ripristinare l'equità delle condizioni di concorrenza con i paesi (ad esempio gli USA) che impongono obblighi di questo tipo alle compagnie aeree europee che effettuano voli diretti verso il loro territorio e che si sono serviti di tale obbligo per procurare alle proprie compagnie aeree un ingiusto vantaggio competitivo a scapito delle compagnie europee. Tuttavia, nel contesto delle certificazioni aggiuntive richieste agli operatori commerciali non comunitari, alla Comunità dovrebbe essere espressamente riconosciuta la possibilità di firmare accordi bilaterali con i singoli paesi terzi per il mutuo riconoscimento dei certificati in materia, onde evitare di imporre alle compagnie aeree internazionali oneri di certificazione eccessivi. Il CESE ritiene pertanto che si debba anche far sì che tutti gli Stati membri dell'ICAO adempiano ai loro obblighi, in modo da rendere obsolete le certificazioni aggiuntive.

3.3

L'AESA deve essere dotata dall'UE dei finanziamenti necessari per poter adempiere ai suoi nuovi compiti, in particolare per poter condurre adeguate ispezioni presso tutte le autorità nazionali per la sicurezza aerea presenti sul territorio della Comunità, per verificare l'applicazione delle regole comuni, effettuare analisi in materia di sicurezza e assicurare che l'Europa rimanga competitiva rispetto ad altri paesi del mondo. Affinché l'AESA possa garantire elevati livelli di sicurezza occorre quindi potenziare le risorse di cui dispone per svolgere tali compiti: a questo fine occorreranno finanziamenti comunitari maggiori di quelli previsti attualmente.

3.4

Per poter potenziare le risorse materiali e umane dell'AESA occorre ridurre gradualmente il personale impiegato presso le autorità aeronautiche nazionali, onde conseguire gli obiettivi di razionalizzazione dei costi ed evitare di aumentare le spese a carico del settore aeronautico e delle compagnie aeree europee. Mettendo in comune le risorse a livello europeo si dovrebbero poter ridurre considerevolmente i costi a carico non soltanto del settore aereo, ma anche dei governi nazionali, purché si metta a punto un piano che definisca il futuro ruolo delle autorità aeronautiche nazionali e le risorse umane necessarie. Questo tema non viene affrontato nella proposta della Commissione.

3.5

È essenziale che la modifica del regolamento n. 3922/91 (UE-OPS-1) sia valutata alla luce degli obiettivi di sicurezza e di armonizzazione e che le future norme di attuazione dell'AESA per le operazioni di volo vengano sviluppate secondo un approccio coerente e comune alla regolamentazione in materia di sicurezza e sulla base di chiari dati scientifici e relativi a quest'ultima.

3.6

È inoltre indispensabile garantire un'agevole transizione dagli attuali sistemi nazionali (basati sulle regole JAR-OPS-1) al nuovo sistema e fare in modo che le modifiche si limitino ad adeguare le norme esistenti al diritto comunitario e al nuovo quadro dell'AESA.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Nella definizione delle operazioni commerciali (articolo 1) andrebbero incluse anche le operazioni societarie e le operazioni in proprietà frazionata. In particolare bisognerebbe richiedere a quanti effettuano operazioni di questo tipo di dimostrare la capacità di cui dispongono e assoggettarli alle stesse norme di attuazione. Bisogna garantire che tutti i passeggeri all'interno dell'UE godano dello stesso grado di protezione in materia di sicurezza. Inoltre, vista la frequente compresenza, nello stesso spazio aereo, di attività che coinvolgono aeromobili complessi a motore (Boeing 737, Airbus A319) e di operazioni commerciali è della massima importanza, ai fini della sicurezza, che tutte queste operazioni siano soggette alle stesse regole e che l'applicazione di tali regole sia uniforme.

4.2

La modifica in corso del regolamento n. 3922/91 (UE-OPS-1) ha di fatto permesso di armonizzare gli obblighi di formazione in materia di sicurezza per il personale di cabina, lasciando tuttavia agli Stati membri la questione del rilascio dei certificati. Alcuni Stati membri rilasciano certificati, mentre altri non ne vedono la necessità. L'AESA dovrà quindi verificare se questa mancata armonizzazione delle condizioni di esecuzione dei compiti di quel personale possa ripercuotersi negativamente sulla sicurezza dei passeggeri.

4.3

Per quanto riguarda la modifica del regolamento n. 3922/91 (sottoparte Q) attualmente in corso, è indispensabile che il sistema di limitazione dei tempi di volo sia sottoposto a una valutazione scientifica e medica da parte dell'AESA conformemente alle disposizioni che dovrebbero essere previste nel regolamento n. 3922/91 modificato (UE-OPS-1) e riguardo a tutti i problemi di sicurezza eventualmente individuati dall'AESA nell'esercizio delle sue future attività di controllo.

4.4

Per quanto riguarda il consiglio di amministrazione (articolo 25) e il previsto consiglio esecutivo (articolo 28) dell'AESA, si ritiene essenziale non sovraccaricare il funzionamento dell'Agenzia con la creazione di un eccessivo numero di consigli. Perciò, se si istituisce un consiglio esecutivo bisognerà, parallelamente, limitare il numero delle riunioni del consiglio di amministrazione a uno o due all'anno. In questo contesto è altresì importante evitare di nominare all'interno del consiglio esecutivo i rappresentanti delle autorità aeronautiche nazionali: ciò potrebbe infatti provocare conflitti di interesse, in quanto queste ultime, che dipendono dalle entrate generate dal settore aereo, potrebbero non essere favorevoli a razionalizzare il funzionamento dell'AESA.

4.5

La proposta di nominare quattro rappresentanti dell'organo consultivo delle parti interessate nel consiglio di amministrazione (e nel consiglio esecutivo) dell'AESA è una conseguenza logica del fatto che l'AESA è al servizio del settore aereo, il quale versa la più grossa fetta del bilancio dell'ente tramite tasse e oneri vari. Alla luce di questo fatto sarebbe tuttavia più logico attribuire al settore aereo diritti di voto analoghi anche per quanto concerne il funzionamento generale dell'Agenzia e le questioni strategiche ad essa afferenti.

4.6

È lecito pensare che i cambiamenti relativi alla nomina del direttore esecutivo e dei direttori (articolo 30, b), paragrafo 4) siano il frutto di trasformazioni generali che interessano tutte le agenzie dell'UE. Si ritiene tuttavia che nel caso di agenzie altamente qualificate come l'AESA la proposta vada riveduta: essa impedirebbe infatti a chi abbia esercitato una carica con successo di ricandidarsi oltre il secondo mandato quinquennale. Ciò potrebbe incidere negativamente sulla capacità dell'AESA di assumere candidati che siano in possesso delle qualifiche più adeguate.

4.7

Nel requisito essenziale dell'istruzione teorica (punto 1.i.1 dell'allegato III) sembra essere stato omesso l'uso del CD-ROM, quantunque l'utilizzo di questo strumento a fini di formazione sia ormai una pratica standard ben consolidata nel settore aereo. Il punto andrebbe perciò riformulato nel modo seguente: «L'istruzione teorica è impartita o ideata da istruttori adeguatamente qualificati».

4.8

Il requisito essenziale relativo alle operazioni di volo e ai posti a sedere (punto 3.a.3 dell'allegato IV) dovrebbe essere modificato come segue: «Tenuto conto del tipo di aeromobile, prima del decollo e dell'atterraggio, durante il rullaggio e quando ritenuto necessario ai fini della sicurezza, il comandante dovrebbe assicurarsi che ogni passeggero sia seduto correttamente e con la cintura allacciata.» Questa modifica è motivata dall'esigenza di tenere conto delle attuali norme di sicurezza, che consentono ai bambini al di sotto dei due anni di viaggiare seduti in grembo a un adulto e vietano (per motivi di sicurezza) l'uso di lettini durante il decollo, l'atterraggio e il rullaggio (i lettini sono utilizzati soltanto durante la fase di crociera per il comfort del bambino).

4.9

Nei requisiti essenziali relativi alla composizione e al numero dei membri dell'equipaggio (punto 7.a dell'allegato IV), la composizione e il numero dell'equipaggio di condotta risulta fare tutt'uno con la composizione e il numero dell'equipaggio di cabina. La composizione e il numero dei membri dell'equipaggio di condotta vengono già definiti in altra sede, in quanto dipendono dalla certificazione dell'aeromobile (limitazioni indicate nel manuale di volo dell'aeromobile, punto 4.a dell'allegato IV) e dalle norme relative alla limitazione dei tempi di volo (rif. articolo 15 ter, paragrafo 3). Il numero minimo dei membri dell'equipaggio di cabina, invece, è stabilito principalmente dalle norme di sicurezza come la JAR-OPS 1.990.

4.10

La proposta riguardante i programmi di sicurezza (punto 8.d iv) dell'allegato IV) per la protezione dei sistemi elettronici e informatici da interferenze e manomissioni intenzionali andrebbe soppressa in quanto sarebbe impossibile per i vettori aerei rispettare un tale requisito. Si tratta infatti di una questione che riguarda la certificazione degli aeromobili e dei sistemi (dovrebbero essere di competenza delle compagnie aeree soltanto le interferenze non intenzionali già trattate nelle istruzioni di sicurezza, ma non quelle di tipo intenzionale).

4.11

La proposta di regolamento sembra prevedere la creazione di soli 20 posti aggiuntivi presso l'AESA (rif. pag. 55, Totale risorse umane) per affrontare l'ampliamento del campo di applicazione. Tale cifra andrebbe messa a confronto con le circa 200 persone attualmente impiegate presso le autorità aeronautiche nazionali degli Stati membri dell'UE per svolgere attività di regolamentazione e di rilascio di licenze agli equipaggi di condotta. Inoltre, nel sistema nazionale attuale, coordinato dalla JAA (Joint Aviation Authorities), il settore aereo fornisce un grande sostegno nell'elaborazione delle nuove norme, mentre con l'AESA ciò non sarebbe più possibile. Il Comitato è profondamente convinto che 20 unità in più siano del tutto insufficienti per poter svolgere i nuovi compiti dell'AESA. Ciò potrebbe provocare ulteriori ritardi nell'importante attività di regolamentazione dell'AESA (come già succede oggi in altri settori) e quindi mettere a repentaglio la sicurezza e compromettere la competitività del settore aereo europeo. Anche per lo svolgimento delle ispezioni di standardizzazione presso le autorità aeronautiche nazionali e per l'elaborazione delle analisi di sicurezza nei nuovi settori di competenza dell'AESA occorrono risorse umane molto più numerose se si vuole garantire un livello uniforme di supervisione della sicurezza.

Bruxelles, 21 aprile 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Viene citato anche il parere del Comitato economico e sociale in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante regole comuni nel settore dell'aviazione civile e che istituisce un'Agenzia europea per la sicurezza aerea, relatore: von SCHWERIN (GU C 221 del 7.8.2001, pagg. 38-44).