ISSN 1725-2466

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 110

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

47o anno
30 aprile 2004


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

II   Atti preparatori

 

Comitato economico e sociale europeo
406a sessione plenaria del 25 e 26 febbraio 2004

2004/C 110/1

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modificala convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen, del 14 giugno 1985, relativo alla eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, con riferimento all'accesso al sistema d'informazione Schengen da parte dei servizi degli Stati membri competenti per il rilascio dei documenti di immatricolazione dei veicoli (COM(2003) 510 def. – 2003/0198 (COD))

1

2004/C 110/2

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo I ricercatori nello Spazio europeo della ricerca: una professione, molteplici carriere (COM(2003) 436 def.)

3

2004/C 110/3

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante le attività di taluni paesi terzi nel settore della navigazione mercantile (versione codificata) (COM(2003) 732 def. - 2003/0285(COD))

14

2004/C 110/4

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l'arsenico, il cadmio, il mercurio, il nickel e gli idrocarburi policiclici aromatici nell'aria ambiente (COM(2003) 423 def. - 2003/0164 (COD))

16

2004/C 110/5

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari (COM(2003) 424 def. - 2003/0165 (COD))

18

2004/C 110/6

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che stabilisce norme di polizia sanitaria per le importazioni nella Comunità di determinati ungulati vivi e recante modifica delle direttive 90/426/CEE e 92/65/CEE(COM(2003) 570 def. - 2003/0024 (CNS))

22

2004/C 110/7

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Consiglio relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore dell'olio di oliva e delle olive da tavola e recante modifica del regolamento (CEE) n. 827/68 (COM(2003) 698 def. - 2003/0279 (CNS))

24

2004/C 110/8

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni: Pari opportunità per le persone con disabilità - un piano d'azione europeo (COM(2003) 650 def.)

26

2004/C 110/9

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 90/434/CEE, del 23 luglio 1990, relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d'attivo ed agli scambi d'azioni concernenti società di Stati membri diversi (COM(2003) 613 def. – 2003/0239 COD)

30

2004/C 110/0

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Sistema di preferenze generalizzate (SPG)

34

2004/C 110/1

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema le ripercussioni dell'accordo per la Zona di libero scambio delle Americhe (FTAA) sulle relazioni UE/America Latina/Caraibi

40

2004/C 110/2

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul terma La coesione sociale in America Latina e nei Caraibi

55

2004/C 110/3

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio che istituisce un codice doganale comunitario (COM(2003) 452 def. - 2003/0167(COD)).

72

2004/C 110/4

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le sfide del nucleare per la produzione di elettricità (Parere di iniziativa)

77

2004/C 110/5

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1257/1999 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG) (COM(2003) 806 def. - 2003/0312 CNS).

96

2004/C 110/6

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema comunicazione della Commissione L'Europa e la ricerca di base — COM(2004) 9 def.

98

2004/C 110/7

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Consiglio relativo alle misure di gestione per lo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nel mar Mediterraneo e recante modifica dei regolamenti (CEE) n. 2847/93 e (CE) n. 973/2001 (COM(2003) 589 def. - 2003/0229 (CNS)).

104

2004/C 110/8

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di decisione del Consiglio relativa all'istituzione di consigli consultivi regionali nell'ambito della Politica comune della pesca (COM(2003) 607 def. – 2003/0238 (CNS)).

108

2004/C 110/9

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Politica di bilancio e tipo di investimento

111

2004/C 110/0

Parere del Comitato ecoomico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1782/2003 che stabilisce norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto nell'ambito della politica agricola comune e istituisce taluni regimi di sostegno a favore degli agricoltori (COM(2003) 698 def. - 2003/0278(CNS)).

116

2004/C 110/1

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sulla transizione dalla trasmissione radiotelevisiva analogica a quella digitale (dallo switchover digitale allo switch-off analogico) (COM(2003) 541 def.)

125

2004/C 110/2

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Misure di sostegno all'occupazione (parere d'iniziativa)

127

2004/C 110/3

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio sulla protezione degli animali durante il trasporto e le operazioni correlate e che modifica le direttive 64/432/CEE e 93/119/CE (COM(2003) 425 def. - 2003/0171 (CNS)).

135

IT

 


II Atti preparatori

Comitato economico e sociale europeo 406a sessione plenaria del 25 e 26 febbraio 2004

30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 110/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modificala convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen, del 14 giugno 1985, relativo alla eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, con riferimento all'accesso al sistema d'informazione Schengen da parte dei servizi degli Stati membri competenti per il rilascio dei documenti di immatricolazione dei veicoli

(COM(2003) 510 def. – 2003/0198 (COD))

(2004/C 110/01)

Il Consiglio, in data 16 settembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il parere sulla base del rapporto introduttivo del relatore Barros Vale, in data 2 febbraio 2004.

Il Comitato economico e sociale europeo ha adottato all'unanimità il 25 febbraio 2004…, nel corso della 406a… sessione plenaria, il seguente parere:

1.   Introduzione

1.1

La convenzione di Schengen, che in termini generali prevede la libera circolazione di persone e beni, è stata firmata nel 1995, inizialmente da Germania, Francia, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi, cui si sono successivamente aggiunti gli altri Stati membri dell'Unione europea (ad eccezione di Irlanda e Regno Unito), nonché la Norvegia e l'Islanda.

1.2

Pur non avendo aderito alla convenzione di Schengen per quel che attiene alla libera circolazione, Irlanda e Regno Unito partecipano agli sforzi di cooperazione dell'Unione europea in materia di sicurezza, non foss'altro in considerazione della minore sicurezza suscettibile di conseguire dalla libera circolazione di beni e persone.

1.3

La convenzione di Schengen indica le autorità che hanno accesso al proprio sistema di informazione e le finalità per le quali detto accesso è consentito. L'attuale testo della convenzione non consente alle autorità responsabili dei sistemi di immatricolazione dei veicoli di accedere a questo strumento.

1.4

La Commissione intende modificare la convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen al fine di introdurre nella legislazione dei meccanismi che consentano il libero accesso ai dati del Sistema di informazione di Schengen (SIS) sui veicoli e rimorchi rubati nonché sui documenti vergini e sui documenti di identità rilasciati (passaporti, carte di identità, patenti di guida) rubati, in modo da poter accertare se i veicoli presentati ad una seconda immatricolazione provengono da furti, sottrazioni e rapine e se la persona che richiede la carta di circolazione non usi allo scopo documenti di identità o di immatricolazione rubati.

1.5

La questione assume importanza maggiore se si considera che il numero dei veicoli rubati è di circa 9000 al giorno (approssimativamente un furto ogni dieci secondi) e che, in termini di registro automobilistico, ogni anno vengono presentate circa quindici milioni di richieste, 6/7 milioni delle quali per una seconda immatricolazione (1).

1.6

La proposta della Commissione va esaminata sotto diverse angolazioni, in particolare sotto quelle della giustizia, della lotta alla frode, del rafforzamento del mercato interno e della politica dei trasporti.

2.   Osservazioni generali

2.1

Il Comitato concorda con la Commissione circa l'opportunità di estendere l'accesso ai dati SIS alle autorità nazionali responsabili del rilascio e del controllo dei documenti di immatricolazione, tenuto conto della dimensione delle frodi e del crimine organizzato di cui sono oggetto questi beni e la relativa documentazione.

2.2

Ritiene che la proposta sia pertinente e che comporti vantaggi in termini di sicurezza e celerità della giustizia nella misura in cui il Sistema garantisca la protezione dei dati.

2.3

Ricorda la necessità di garantire l'assenza di incompatibilità tra la proposta della Commissione in esame e le disposizioni giuridiche nazionali degli Stati membri.

2.4

Il SIS è chiaramente informato ad una filosofia comunitaria: come stipulato dallo stesso trattato di Schengen, esso può essere utilizzato solo all'interno del SEE, condizione che, a parere del CESE, occorre mantenere. La debolezza dei sistemi di cooperazione con i paesi terzi per quel che riguarda questa problematica è fonte di preoccupazione. Gran parte del traffico di veicoli rubati o sottratti nell'Unione europea ha infatti luogo oltre frontiera.

2.5

A parere del CESE, una possibilità viene offerta dalla cooperazione con l'Interpol (181 paesi) attraverso il sistema ASF (Automated Search Facility) e l'Europol. A tal fine è sufficiente che le informazioni introdotte nel SIS vengano simultaneamente inserite anche negli altri due sistemi. La velocità dell'introduzione dei dati è fondamentale, specie nel caso del SIS, dato che i veicoli giungono in aree al di fuori della giurisdizione comunitaria in tempi molto brevi.

2.6

Il Comitato ritiene che, trattandosi di una questione di sicurezza, l'accesso ai dati SIS a questo riguardo vada concesso agli Stati membri non firmatari della convenzione di Schengen.

2.7

Stando alla Commissione, i nuovi Stati membri avranno accesso ai dati SIS II (nuova generazione del sistema di informazione) solo alla fine del 2006. Il Comitato ritiene necessario ridurre i tempi per la piena utilizzazione del SIS da parte dei nuovi Stati membri, con ovvi vantaggi per gli obiettivi perseguiti dall'applicazione del sistema.

2.8

Il CESE si compiace del fatto che la proposta di regolamento preveda per i servizi privati responsabili dell'immatricolazione dei diversi Stati membri, la possibilità di ottenere, per via indiretta e tramite una delle autorità statali aventi accesso al SIS, le informazioni necessarie al corretto svolgimento del loro lavoro con tutte le dovute garanzie per la protezione dei dati.

2.9

Il Comitato annette particolare importanza all'esistenza di meccanismi che limitino alle autorità amministrative autorizzate ad accedere al SIS l'accesso ad altre informazioni del sistema. Nel quadro della protezione dei diritti generali dei cittadini, queste ultime dovranno restare riservate alle autorità di cui all'art. 1 della convenzione di Schengen.

2.10

Il CESE si compiace del fatto che, come garantisce la Commissione, la soluzione cui si è pervenuti non ha un impatto finanziario sul bilancio dell'Unione europea, dato che i relativi costi incombono agli Stati membri.

2.11

Il Comitato ritiene altresì necessario produrre, elaborare e divulgare statistiche su questo tipo di reati in modo da combatterli con maggiore efficacia.

3.   Altre considerazioni

3.1

A parere del Comitato, l'esistenza di tale sistema e la sua agevole accessibilità da parte delle autorità dei diversi Stati membri, favoriscono una maggiore libera circolazione di veicoli nell'Unione e sensibilizzano le autorità nazionali sull'opportunità di eliminare determinate disposizioni interne che intralciano l'uso, da parte dei propri cittadini, di veicoli immatricolati in un altro Stato membro.

3.2

La Commissione, una volta rafforzata la capacità di controllo e di lotta contro le frodi e i furti di veicoli, deve incentivare gli Stati membri ad eliminare le disposizioni che intralciano la circolazione e l'uso di veicoli immatricolati in un altro Stato membro, circostanza che si verifica spesso per motivi di natura meramente fiscale, in contrasto con la legislazione che disciplina il Mercato interno.

Bruxelles, 25 febbraio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Statistiche disponibili su http://europa.eu.int/comm/energy_transport/etif/transport_means_road/...


30.4.2004   

IT

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C 110/3


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo “I ricercatori nello Spazio europeo della ricerca: una professione, molteplici carriere”»

(COM(2003) 436 def.)

(2004/C 110/02)

La Commissione europea, in data 18 luglio 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 febbraio 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore WOLF.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 febbraio 2004, nel corso della 406a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 103 voti favorevoli e un'astensione.

1.   Sintesi

1.1

Il Comitato ha segnalato già in precedenza che il capitale umano è la risorsa più sensibile ed importante per la ricerca e lo sviluppo e ha sostenuto la Commissione nel suo impegno inteso a mantenere e accrescere la quantità di risorse umane.

1.2

Accoglie pertanto con favore la comunicazione della Commissione sui problemi inerenti alla professione di ricercatore nell'UE, nonché le relative proposte ed iniziative. Appoggia caldamente l'intenzione della Commissione di apportare un sensibile miglioramento alla situazione attuale ed esorta al tempo stesso gli Stati membri ad adoperarsi in tal senso. Vi è infatti un'urgente necessità di intervenire.

1.3

Il Comitato concorda con la Commissione sul fatto che la necessità di miglioramenti riguarda sia la situazione contrattuale individuale dei ricercatori che l'adeguamento/trasferibilità di tutti gli elementi della sicurezza sociale e dei regimi pensionistici, importante per qualsiasi tipo di mobilità.

1.4

Fintantoché queste richieste rimarranno insoddisfatte, a causa del mancato completamento del mercato interno o di carenze normative a livello dei singoli Stati membri, la Commissione, ad esempio nel quadro del suo programma a favore della mobilità, dovrebbe provvedere a compensare nel miglior modo possibile le lacune ancora presenti e creare ulteriori incentivi. Un altro aspetto particolarmente importante è quello del mantenimento dell'unità familiare e delle questioni correlate.

1.5

Il Comitato ricorda però che, per incentivare ad intraprendere una carriera di ricercatore, sono necessarie entrambe le cose: sia, per i singoli ricercatori, una situazione contrattuale attraente e adeguata all'importanza della R&S, sia una pianificazione di lungo periodo certa e solida per quanto riguarda la dotazione finanziaria degli organismi di ricerca e dei laboratori di ricerca dell'industria. La politica di ricerca non deve essere lasciata in balia di pianificazioni di bilancio a breve termine e di esperimenti dirigistici. Essa dovrebbe cercare invece di promuovere in misura sufficiente il potenziale e le capacità dei ricercatori, in condizioni di autonomia e a vantaggio della collettività.

1.6

La maggior parte delle grandi scoperte che hanno aperto nuove strade non è il risultato di un'impostazione mirata, ma della ricerca delle leggi della natura. La possibilità di dedicarsi a tale ricerca con mezzi sufficienti e in gran parte senza direttive politiche non è solo un elemento essenziale del diritto fondamentale alla libertà di ricerca: dosata in modo equilibrato con la R&S orientata a obiettivi precisi, essa è anche un presupposto fondamentale per il futuro progresso e il benessere comune.

1.7

Il Comitato nutre profonde preoccupazioni per il fatto che, purtroppo, in molti Stati membri tali premesse attualmente mancano o sono insufficienti. Oltre ad avere i gravi svantaggi economici ben noti, tale mancanza comporta anche una preoccupante intensificazione dell'esodo proprio dei giovani scienziati migliori, soprattutto verso gli Stati Uniti.

1.8

Il Comitato esorta pertanto il Consiglio, il Parlamento europeo, la Commissione e soprattutto gli Stati membri e l'industria europea a dar seguito ai loro impegni più volte ribaditi e ad aumentare gli investimenti nella ricerca e nello sviluppo tecnologico fino ad arrivare al 3 % del PIL entro il 2010. Un volume di investimenti nella R&S che regga il confronto con le economie concorrenti è un presupposto fondamentale per realizzare gli obiettivi di Lisbona.

1.9

Il Comitato appoggia anche le singole misure proposte dalla Commissione, come la «Carta europea dei ricercatori» e il «Codice di condotta per il reclutamento dei ricercatori»; entrambi gli strumenti, in molti casi, possono essere assai utili. A questo proposito il Comitato esprime tuttavia un'importante riserva: tali strumenti (come proposto dalla Commissione) devono essere utilizzati solo su base volontaria e il loro uso non deve assolutamente comportare un'eccessiva regolamentazione (leggi: burocratizzazione) in un settore che, per certi versi, è già di per sé troppo regolamentato.

1.10

Gli obiettivi di Lisbona devono continuare ad essere i principi guida della politica di ricerca. Pertanto, la concorrenza tra sistemi e organismi di ricerca per avere la struttura e l'attrezzatura migliori e la migliore politica in materia di personale va consentita e promossa, non ostacolata con un'eccessiva regolamentazione. Il comportamento generale è guidato dall'esempio di chi ha avuto successo; occorre perciò riconoscere e sostenere chi ha avuto successo e lasciarlo agire a modo suo, entro i limiti esistenti sul piano etico e su quello giuridico.

1.11

La struttura degli incentivi e delle procedure di selezione per la formazione e la carriera dei ricercatori (che iniziano già nelle scuole) e il riconoscimento delle prestazioni devono essere tali da far sì che un numero sufficiente degli studenti più brillanti opti per una formazione scientifica (accademica) e che i migliori tra coloro che esercitano la professione di ricercatore ottengano o assumano compiti dirigenziali.

1.12

Con gli investimenti fatti sia dalla società che dai singoli ricercatori per acquisire le vaste e complesse nozioni di base e le profonde conoscenze specialistiche auspicate, la società (rappresentata dalla politica) si assume la responsabilità di usare tali investimenti nel miglior modo possibile. Tale responsabilità deve manifestarsi anche nella preoccupazione di offrire a chi ha seguito una formazione di ricercatore un percorso professionale adeguato, con interessanti possibilità di ramificazione che non comportino rischi di esclusione. Il Comitato appoggia la Commissione nel suo sforzo di espletare questo compito.

1.13

In tale contesto, un aspetto molto importante sottolineato anche dalla Commissione è quello di migliorare le possibilità di passaggio tra il settore accademico e l'industria e di intensificare gli scambi di personale. Nonostante si siano registrati dei progressi, in questo settore rimane ancora molto da fare. Un contributo potrebbe venire anche dall'impegno sensibilmente maggiore richiesto all'industria nel settore della ricerca e dello sviluppo.

1.14

Per tutelare i ricercatori da un'eccessiva mole di compiti e problemi amministrativi tra cui le correlate attività di valutazione attiva e passiva si dovrebbe evitare di coinvolgere nelle necessarie istanze preposte all'approvazione e alla direzione troppi organismi verticali e orizzontali (paralleli) che agiscono in modo indipendente gli uni dagli altri, in quanto ciò non solo può creare attriti interni che potrebbero essere evitati e un carico di lavoro inutile e fuori luogo proprio per i ricercatori più brillanti, ma può determinare anche requisiti troppo dettagliati, non chiari e talvolta perfino contraddittori e situazioni decisionali dello stesso tipo.

1.15

La società e la politica devono adoperarsi affinché vi siano o vengano creati i presupposti per ottenere e mantenere l'eccellenza scientifica e prestazioni di prim'ordine.

1.16

Quanto alle sue numerose osservazioni specifiche e alle raccomandazioni dettagliate, il Comitato rimanda ai prossimi punti del presente parere.

2.   Introduzione

2.1

Nel gennaio 2000 la Commissione aveva adottato una comunicazione in cui veniva proposta la creazione di uno Spazio europeo della ricerca (SER) (1). A sostegno di tale documento il Comitato aveva presentato un parere circostanziato (2) nel quale si era già soffermato sui problemi relativi alla mobilità e ad altri aspetti legati alla professione di ricercatore e aveva raccomandato l'adozione di misure adeguate per risolverli. Nel frattempo, anche altri pareri del Comitato (3) in merito ad altri documenti della Commissione hanno già trattato questa tematica, raccomandando misure appropriate.

2.2

Nella comunicazione all'esame la Commissione, nel quadro degli obiettivi di Lisbona e tenuto conto del ruolo che svolge la ricerca e sviluppo (R&S) in tale contesto, si sofferma sull'importante questione delle prospettive professionali e di carriera che si offrono ai ricercatori nello Spazio europeo della ricerca.

2.3

A tale proposito la Commissione scrive che «la comunicazione evidenzia alcune debolezze strutturali nonché delle chiare differenze per quanto riguarda ogni singolo elemento, in funzione dei settori nei quali i ricercatori lavorano o degli ambienti geografici, legali, amministrativi e culturali in cui operano. Queste differenze e la scarsa apertura della carriera di ricercatore in Europa impediscono lo sviluppo di prospettive di carriera interessanti a livello europeo e l'emergere di un vero e proprio mercato dell'occupazione per i ricercatori in Europa, considerato dal punto di vista geografico, settoriale ma anche di genere. Queste differenze hanno un impatto significativo anche sull'attrattiva delle carriere nel campo della R&S per i giovani e sul riconoscimento dei ricercatori da parte del grande pubblico.»

3.   Contenuto della comunicazione della Commissione

3.1

La comunicazione della Commissione mira ad analizzare i vari elementi che caratterizzano la professione dei ricercatori e a definire i fattori che condizionano lo sviluppo della loro carriera a livello europeo, e cioè: il ruolo e la natura della formazione alla ricerca, le differenze tra i metodi di assunzione, gli aspetti contrattuali e di bilancio e, infine, i meccanismi di valutazione e le prospettive d'avanzamento nella carriera. Dal punto di vista tematico la comunicazione è molto ampia ed esauriente e, pertanto, in questa sede è praticamente impossibile fornire una sintesi concisa del suo messaggio fondamentale al di là degli aspetti su cui ci si soffermerà esplicitamente nelle sezioni seguenti.

3.2

La comunicazione verte tra l'altro sui seguenti aspetti, che vengono riportati in forma sintetica:

contesto politico, definizione di ricercatore, prospettive di carriera, esigenze di manodopera, riconoscimento delle carriere nella R&S, passaggi tra università e imprese, dimensione europea, differenze di genere, fattori che determinano le carriere, formazione in materia di ricerca, ambiente, programmi di dottorato, metodi di selezione, condizioni di occupazione e di lavoro, deregolamentazione nel sistema delle carriere, retribuzione come incentivo, esigenza di vie di titolarizzazione alternative, sistemi di valutazione, azioni ed iniziative proposte.

3.3

Nel quadro delle misure ed iniziative proposte, la Commissione intende tra l'altro:

istituire un gruppo di alto livello incaricato di individuare altri esempi di buone pratiche riguardanti le varie opportunità di occupazione, come la mobilità intersettoriale o nuovi modelli di titolarizzazione, e di diffonderli ampiamente nella comunità dei ricercatori,

avviare l'elaborazione della «Carta europea dei ricercatori», un quadro per la gestione della carriera delle risorse umane di R & S, basato su di una regolamentazione volontaria,

elaborare una prima stesura del «Codice di condotta per il reclutamento dei ricercatori» sulla base delle migliori pratiche.

4.   Osservazioni generali

4.1

Il Comitato si compiace in modo particolare che la Commissione, nella sua comunicazione, affronti l'importante questione — in passato sottovalutata — delle carriere scientifiche, concorda pienamente nell'affermare che «nel settore della ricerca, le risorse umane costituiscono in ampia misura l'elemento chiave delle attività, dell'eccellenza e delle prestazioni» e sostiene l'obiettivo della Commissione di affrontare questa problematica anche a livello comunitario. Il Comitato, in un suo precedente parere (4), aveva già segnalato che il capitale umano è la risorsa più sensibile ed importante per la ricerca e lo sviluppo e, di conseguenza, aveva sostenuto la Commissione nel suo impegno inteso a mantenere e accrescere la quantità di risorse umane. Su questo punto esso ravvede la necessità di un notevole miglioramento e si compiace che anche la Commissione intenda intervenire di conseguenza.

4.2

Con gli investimenti fatti sia dalla società che dai singoli ricercatori per acquisire le vaste e complesse nozioni di base e le profonde conoscenze specialistiche auspicate, la società (rappresentata dalla politica) si assume la responsabilità di usare tali investimenti nel miglior modo possibile. Tale responsabilità deve manifestarsi anche nella preoccupazione di offrire a chi ha seguito una formazione di ricercatore un percorso professionale adeguato, con interessanti possibilità di ramificazione che non comportino il rischio di venir tagliati fuori. Il Comitato appoggia la Commissione nel suo sforzo di espletare questo compito.

4.3

Il Comitato, al tempo stesso, richiama però l'attenzione anche sul fatto che, per ottenere dei buoni risultati nella ricerca e nello sviluppo, sono altrettanto indispensabili infrastrutture e attrezzature tecniche (apparecchiature di grandi dimensioni) adeguate, competitive e, purtroppo, spesso anche costose (unitamente a una fase pluriennale di avviamento e di rodaggio di qualità per i gruppi interessati), nonché le risorse finanziarie necessarie per poterle sfruttare sul piano scientifico.

4.4

Ciò richiede, a livello politico e imprenditoriale, decisioni che consentano di impegnarsi ampiamente e a lungo termine nella ricerca, di impiegare risorse sufficienti e di garantire una pianificazione affidabile. Soprattutto l'ultimo punto menzionato costituisce un criterio decisivo per motivare i giovani a cercare in questo settore il loro futuro professionale e quindi per ottenere, conservare e sfruttare al meglio le risorse umane.

4.5

Il Comitato nutre profonde preoccupazioni per il fatto che, purtroppo, in molti Stati membri tali premesse attualmente mancano oppure sono insufficienti. Oltre ad avere i gravi svantaggi economici ben noti, tale mancanza comporta anche una preoccupante intensificazione dell'esodo (5) proprio dei giovani scienziati migliori, soprattutto verso gli Stati Uniti.

4.6

Il Comitato esorta pertanto vivamente il Consiglio, il Parlamento europeo, la Commissione e soprattutto gli Stati membri a dar seguito effettivamente agli impegni da loro assunti, per esempio nel Consiglio europeo di Barcellona, e ad aumentare gli investimenti nella ricerca e nello sviluppo tecnologico (R&S) fino ad arrivare al 3 % del prodotto interno lordo (PIL) entro il 2010, garantendo al tempo stesso certezza di pianificazione e libertà di ricerca, soprattutto ai fini di una ricerca di base sufficiente (6). Effettuare investimenti nella R&S che reggano il confronto con le economie concorrenti (7) è un presupposto fondamentale per realizzare l'obiettivo di Lisbona, cioè far diventare l'Unione europea, entro il 2010, l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo.

4.7

Il Comitato ricorda inoltre la sua precedente raccomandazione (8) di stabilire un aumento del 50 % degli investimenti comunitari nella R&S, quale obiettivo politico a medio termine per il periodo successivo al Sesto Programma quadro.

4.8

Ovviamente tutto ciò va integrato con misure efficaci, in primo luogo per avvicinare la ricerca e la scienza ai giovani e, in secondo luogo, anche per dare maggior peso e conferire un aspetto invitante, nei curricoli scolastici, all'insegnamento di nozioni di base nelle discipline scientifiche, in particolare nelle scienze naturali, ma anche nelle materie tecniche e in matematica. La ricerca e lo sviluppo sono la base del nostro stile di vita odierno e sono indispensabili per le future innovazioni e per far fiorire il benessere e la pace. (9)

4.9

Tuttavia il significato, i presupposti e la portata della questione non sono sufficientemente radicati nella consapevolezza generale dei cittadini. Anche i curricoli scolastici e il comportamento degli insegnanti non riflettono a sufficienza l'importanza di questo aspetto.

4.10

Come giustamente rileva la Commissione, sia la motivazione dei giovani di talento a scegliere una formazione accademica che conduce alla carriera di ricercatore, sia le successive decisioni prese dai ricercatori già formati quando si tratta di stabilire presso quale istituzione e in quale paese lavorare, dipendono anche dall'atteggiamento e dal riconoscimento da parte della società.

4.11

Tale riconoscimento non si manifesta però solo nella visibilità mediatica e così via, ma anche nella continuità, nell'affidabilità e nella solidità delle relative decisioni politiche e imprenditoriali. Questo vale sia a livello comunitario che anche (e in particolare) in tutti gli Stati membri. Le risorse umane, quelle materiali e l'esistenza di possibilità di impiego adeguate al necessario sviluppo professionale, nonché il relativo finanziamento, sono fattori strettamente correlati (10).

4.12

Se vi sono la volontà e i presupposti materiali necessari e se sono state adottate le debite decisioni per promuovere in modo adeguato la ricerca e lo sviluppo sia a livello comunitario che negli Stati membri (11), per dare un maggiore riconoscimento, come dovuto, alla professione di ricercatore e per compiere sforzi del tutto speciali e straordinari negli Stati membri che hanno particolarmente bisogno di recuperare terreno, sarà più facile risolvere i problemi evidenziati nella comunicazione della Commissione laddove si afferma che «(…) queste differenze e la scarsa apertura della carriera di ricercatore in Europa impediscono lo sviluppo di prospettive di carriera interessanti a livello europeo e l'emergere di un vero e proprio mercato dell'occupazione per i ricercatori in Europa, considerato dal punto di vista geografico, settoriale ma anche di genere».

4.13

Giustamente, la professione di ricercatore nello Spazio europeo della ricerca richiede mobilità e flessibilità, ma questo non deve andare a scapito delle condizioni della vita personale e familiare né della sicurezza sociale. Il Comitato sostiene pertanto l'obiettivo della Commissione di adoperarsi a favore di una soluzione ai problemi ivi connessi e di esigere e/o garantire, per i ricercatori, una situazione contrattuale adeguata e competitiva a livello internazionale.

4.14

Sostanzialmente il Comitato appoggia le misure e le iniziative proposte o programmate dalla Commissione a tale proposito, ma dubita che esse siano sufficienti per raggiungere gli obiettivi illustrati nella comunicazione. Ritiene che, a tal fine, l'ampliamento ed approfondimento degli studi analitici più volte accennato nella comunicazione, pur essendo utile in determinati casi, non sia affatto sufficiente.

4.15

È necessario piuttosto che vengano adottate misure politiche pertinenti, anche e soprattutto da parte degli Stati membri. In tale contesto il Comitato denuncia la mancanza non solo di idee concrete, ma anche di una discussione sulle basi giuridiche.

4.16

La richiesta di misure concrete non significa tuttavia voler limitare con eccessive norme e regolamentazioni la necessaria libertà di manovra e la concorrenza nella ricerca delle migliori soluzioni.

4.17

Il Comitato raccomanda inoltre di basarsi maggiormente sulle esperienze finora acquisite nell'attuazione delle azioni tematiche dei programmi quadro RST e Euratom, dei programmi Socrate e Marie Curie e del programma a favore della mobilità (12), tenendo conto soprattutto delle esperienze e dei problemi dei ricercatori che hanno già al loro attivo una «europea». Esorta anche ad affrontare per tempo la questione dei possibili ostacoli giuridici (13) e a trovare soluzioni soddisfacenti.

5.   Osservazioni specifiche

5.1   Osservazioni relative al capitolo 2: Definizione di ricercatore

5.1.1

Il Comitato condivide e ribadisce la maggior parte delle affermazioni contenute nel capitolo 2 della comunicazione della Commissione.

5.1.1.1

Comprende certamente per quale motivo la Commissione, nella definizione di ricerca da lei citata, secondo la quale «la ricerca e lo sviluppo sperimentale (R&S) sono quel complesso di lavori creativi intrapresi in modo sistematico per accrescere l'insieme delle conoscenze, ivi comprese la conoscenza dell'uomo, della cultura e della società, e per utilizzare dette conoscenze per nuove applicazioni», riprenda il testo riportato nell'edizione del 2002 del manuale Frascati dell'OCSE.

5.1.1.2

Propone tuttavia alla Commissione di rielaborare la definizione in modo tale che essa, soprattutto considerati gli obiettivi di Lisbona, contenga anche i concetti decisivi di natura (e scienze naturali) e di tecnica.

5.1.1.3

In tale contesto deve risultare chiara anche l'importanza decisiva di avere una ricerca di base sufficiente, fondamentalmente priva di scopi specifici (14). La maggior parte delle grandi scoperte che hanno aperto nuove strade, infatti, non è il risultato di un'impostazione mirata, ma della ricerca delle leggi della natura. La possibilità di dedicarsi a tale ricerca con mezzi sufficienti e in gran parte senza direttive politiche non è solo un elemento essenziale del diritto fondamentale alla libertà di ricerca: dosata in modo equilibrato con la R & S orientata a obiettivi precisi, essa è anche un presupposto fondamentale per il progresso e il benessere futuri.

5.1.1.4

Il Comitato, in tale contesto, rimanda a un suo precedente parere (15) in cui aveva raccomandato di sostenere qualsiasi intervento che consentisse di smussare le contrapposizioni e di promuovere una maggiore integrazione tra le scienze umanistiche ed economiche e le scienze naturali e la tecnica, anche attraverso lo scambio e il dialogo, per esempio su metodiche, definizioni, nonché sulla valutazione e il controllo dei risultati.

5.1.1.5

Inoltre, le conoscenze non vanno solo accresciute, ma anche approfondite. Il Comitato esorta a tener conto di tali osservazioni in occasione di un'eventuale revisione della summenzionata definizione.

5.1.1.6

Quanto alla definizione di «ricercatore» proposta dalla Commissione, il Comitato denuncia la mancanza di un riferimento al fatto che, per poter essere considerato un ricercatore ai sensi della definizione stessa, sono indispensabili notevoli qualifiche comprovate e un alto grado di capacità e di indipendenza.

5.1.1.7

Il Comitato raccomanda quindi la seguente definizione, leggermente modificata, di ricercatore: Esperti il cui lavoro è dedicato alla concezione o alla creazione di nuove conoscenze, prodotti, processi, metodi e sistemi nuovi e alla gestione dei progetti interessati e che, grazie alla formazione e all'esperienza, hanno le qualifiche per svolgere tale attività.

5.1.1.8

In appresso, qualora non indicato espressamente, il Comitato si riferisce a studiosi o ingegneri in possesso delle qualifiche necessarie.

5.1.2

Il Comitato rimanda inoltre alla descrizione dell'attività di ricerca e sviluppo contenuta in un suo precedente parere (16). In linea con tale descrizione, esso è favorevole anche all'intenzione della Commissione di non definire in modo troppo limitato le possibili varianti e iter professionali di una carriera nella R & S.

5.1.3

Ciò nondimeno, il Comitato in generale non può condividere l'affermazione secondo cui «tutte queste carriere devono essere trattate e valutate nello stesso modo». Si tratta invece piuttosto di riconoscere anche i (potenziali) talenti particolarmente ingegnosi e creativi, di attirarli e di indurli a restare per ottenere, in Europa, il previsto incremento delle conoscenze e l'atteso valore aggiunto a livello economico. A tal fine è necessario creare opportunità ed incentivi eccellenti.

5.1.4

Tuttavia, proprio le capacità eccellenti e le prestazioni particolarmente all'avanguardia sono praticamente impossibili da rilevare mediante schemi di valutazione prestabiliti (che tra l'altro possono anch'essi dar adito ad abusi).

5.1.4.1

È problematico, ad esempio, il comportamento di quegli autori che, nelle pubblicazioni, di preferenza si citano a vicenda, creando in tal modo una sorta di «cartello delle citazioni» e ottenendo così dei vantaggi nelle valutazioni schematiche.

5.1.4.2

Inoltre, in determinati casi, sono state proprio le scoperte che hanno aperto nuove strade ad essere rese note, riconosciute e citate in letteratura solo con un certo ritardo.

5.1.4.3

La personalità non si può valutare correttamente in modo formalizzato e schematico. Occorre piuttosto sfruttare il bagaglio delle esperienze e lo stato delle conoscenze di autorevoli rappresentanti di quel ramo della «comunità scientifica» in cui sono state ottenute (o ci si aspetta di ottenere) le prestazioni — e perfino così si possono formulare giudizi sbagliati, alcuni dei quali sono addirittura storicamente noti.

5.1.5

In questo contesto il Comitato, per quanto riguarda il codice di condotta per le procedure di assunzione proposto dalla Commissione (cfr. anche il punto 5.2.5), raccomanda di garantire che la sua applicazione (che, come si ammette, è solo facoltativa) non abbia per conseguenza un'eccessiva regolamentazione e, quindi, un irrigidimento.

5.1.5.1

Il Comitato riconosce e, anzi, ribadisce perfino che occorre garantire trasparenza e pari opportunità a tutti i candidati nell'UE e che è necessario soprattutto promuovere il tasso di presenza femminile. In tale contesto riconosce anche la potenziale utilità di un siffatto codice per realizzare questo importante obiettivo.

5.1.5.2

D'altra parte, però, il Comitato, a causa dell'ampia differenziazione dei profili richiesti per i diversi compiti da espletare e viste le differenti «culture« dei rinomati organismi di ricerca (17), raccomanda di non utilizzare solo procedure di assunzione e procedimenti di valutazione generalizzati e sistematizzati, ma di basarsi anche sul bagaglio di esperienze e sulle attuali conoscenze della pertinente «comunità scientifica». In fin dei conti si tratta di garantire che gli organismi di ricerca europei siano sufficientemente attraenti e abbiano la volontà e l'opportunità, nonché le risorse economiche e gli strumenti amministrativi, per partecipare con successo alla competizione a livello mondiale per ottenere i migliori «cervelli».

5.1.5.3

Il Comitato raccomanda pertanto di affrontare dapprima individualmente i singoli casi in cui sono evidenti dei comportamenti o degli sviluppi sbagliati, e di ricorrere solo in ultima analisi ad una regolamentazione generale (eccessiva).

5.1.6

Di conseguenza, anche il concetto di «parità» è difficile da interpretare, a causa delle diversità presenti a livello sia degli Stati membri che delle attività e del mondo della ricerca, quindi va considerato anch'esso in modo molto differenziato.

5.1.7

Quanto alle categorie della ricerca menzionate nella comunicazione della Commissione — come ad esempio la «ricerca di base», la «ricerca strategica» ecc.— e alla loro definizione, il Comitato rimanda alle raccomandazioni (18) formulate già in precedenti pareri (19), soprattutto in merito al concetto di «ricerca applicata» (che è comune a livello internazionale e di cui quindi si raccomanda l'uso), ed esorta ad affrontare nuovamente la questione, al momento opportuno, in seno a un gruppo di esperti competente in materia.

5.1.8   Altri aspetti della professione di ricercatore

5.1.8.1

Per fare attività di ricerca vera e propria, vale a dire occuparsi direttamente di problemi tecnico-scientifici, è necessario espletare compiti correlati di tipo imprenditoriale, amministrativo, pianificativo e peritale, attività che in gran parte possono e devono essere svolte solo da ricercatori.

5.1.8.2

Fra tali compiti figurano proposte di programmi, procedure per la presentazione di richieste, stesura di relazioni, pubblicazioni, decisioni relative al personale, nonché le procedure di valutazione (attive e passive) inerenti a tali pratiche.

5.1.8.3

Tuttavia, se questi compiti vengono richiesti in modo scoordinato da troppe istituzioni o sponsor che partecipano a un programma, ogni volta in un formato diverso, con un diverso livello di dettaglio e con un ritmo diverso, l'impegno necessario richiede più tempo di quello che rimane per svolgere l'attività di ricerca vera e propria.

5.1.8.4

Visto il proliferare di domande, perizie e processi di monitoraggio che vengono richiesti ai ricercatori, il Comitato raccomanda alla Commissione di affrontare anche questo problema e di adoperarsi a favore di procedure coordinate che garantiscano un equilibrio intelligente e prevengano l'evidente pericolo di un'attività che produce «documenti» sempre simili ma è comunque improduttiva (20). Va assolutamente ridotta qualsiasi eccessiva burocratizzazione del mondo della ricerca.

5.1.8.5

Il Comitato coglie l'occasione per raccomandare alla Commissione di riesaminare in tal senso le proprie procedure di richiesta e di attribuzione e i relativi criteri. La comunità scientifica, infatti, formula spesso critiche in merito e si chiede se, tenuto conto del grande impegno necessario e della bassissima percentuale di successo, abbia ancora senso presentare tali richieste. Si dovrebbe inoltre evitare di modificare le procedure e i criteri (p.es. per l'assegnazione di borse di studio) con eccessiva frequenza.

5.1.8.6

In tale contesto si tratta anche e soprattutto di evitare che, a livello di approvazione e di direzione, vi siano troppi organismi (e procedure) verticali (e anche orizzontali/paralleli) che agiscono in modo indipendente gli uni dagli altri in quanto ciò non solo crea attriti interni che diminuiscono l'efficienza ma, generalmente, determina anche requisiti troppo dettagliati, non chiari e talvolta perfino contraddittori e situazioni decisionali dello stesso tipo.

5.2   Osservazioni relative al capitolo 3: Prospettive di carriera nella R & S

5.2.1

Per quanto riguarda le esigenze di manodopera nella R & S, il Comitato condivide le preoccupazioni della Commissione circa l'evidente e sconcertante discrepanza tra l'analisi e le previsioni macroeconomiche («possibilità di occupazione per migliaia di ricercatori») e i dati sfavorevoli circa la disponibilità o la mancanza di offerte concrete sul mercato del lavoro. La maggior parte delle università e degli organismi di ricerca, infatti, attualmente registra addirittura tagli agli stanziamenti pubblici e privati ed è quindi poco propensa ad effettuare nuove assunzioni e ancor meno ad offrire contratti di lavoro a lungo termine. Perfino l'industria, ad esempio quella farmaceutica ad alta intensità di ricerca, ha difficoltà a far rimanere in Europa i giovani ricercatori. (21)

5.2.1.2

Inoltre, le università e gli organismi di ricerca finanziati con fondi pubblici sono tenuti da chi eroga i fondi ad offrire a una parte sostanziale del loro personale scientifico una serie di contratti di lavoro a tempo determinato, per poter così reagire più velocemente ad eventuali tagli di bilancio o a un riorientamento dei programmi imposto dall'esterno.

5.2.2

Il Comitato, in tale contesto, richiama l'attenzione anche su un altro aspetto importante: normalmente gli studiosi che lavorano in ambito accademico o in istituti di ricerca finanziati con fondi pubblici sono retribuiti in base alle tariffe del pubblico impiego.

5.2.2.1

In generale tali tariffe sono decisamente più basse di quelle del settore privato. A tale proposito il Comitato ribadisce quanto affermato dalla Commissione: Gli stipendi costituiscono uno degli elementi più visibili del riconoscimento della carriera. Lo stipendio dei ricercatori sembra essere rimasto indietro rispetto, ad esempio, alla retribuzione delle persone che svolgono incarichi di gestione.

5.2.2.2

Il fatto che i dipendenti retribuiti in base alle tariffe del settore pubblico siano svantaggiati si giustifica con il fatto che le carriere nella funzione pubblica (funzionari amministrativi, insegnanti, giudici ecc.), di solito, offrono maggiore sicurezza sociale e affidabilità.

5.2.3

A molti ricercatori, però, deliberatamente non viene offerta questa maggiore sicurezza sociale allo scopo di mantenere una maggiore flessibilità nella pianificazione della ricerca, nella compilazione del bilancio e nella politica del personale.

5.2.3.1

Questa mancanza, però, non viene affatto compensata con altri vantaggi o garanzie equivalenti. Le tariffe contrattuali hanno inoltre lo svantaggio di offrire una griglia di retribuzioni troppo limitata per poter riconoscere e/o valutare l'efficienza e la disponibilità.

5.2.3.2

Voler imporre la flessibilità e la mobilità — peraltro davvero necessarie nel campo della ricerca — tramite contratti a tempo determinato, con le conseguenze descritte qui di seguito e offrendo al tempo stesso una retribuzione inadeguata, non è la strada giusta.

5.2.3.3

È necessario perciò un assetto retributivo più adeguato alla professione di ricercatore, che sfondi nettamente verso l'alto (e solo verso l'alto) il tetto salariale vigente finora e consenta al tempo stesso un'applicazione flessibile molto più adeguata ai singoli casi. Un tale assetto retributivo dovrebbe permettere di raggiungere i summenzionati obiettivi concedendo incentivi efficaci. Pertanto, è necessario che le università e gli organismi di ricerca dispongano di un maggior numero di posti post-dottorato (post doc) che prevedono accordi certi per l'immissione in ruolo (tenure-track). L'attuale mancanza di opzioni salariali adeguate e di prospettive di carriera e il fatto che lungo il percorso professionale si corra il rischio di venir tagliati fuori sono il motivo principale per cui proprio i ricercatori migliori cercano di costruirsi un futuro negli Stati Uniti ed è quasi impossibile indurli a rientrare. (22)

5.2.3.4

Il fatto che, per questo motivo, i ricercatori finora siano stati svantaggiati è un aspetto importante e particolarmente grave, a causa dei lunghi tempi necessari per la formazione e il perfezionamento (dottorato di ricerca, abilitazione all'insegnamento universitario). Se si vuol rendere attraente la professione di ricercatore, questo punto necessita pertanto di un'urgente revisione.

5.2.3.5

Un tipico (23) aspetto demoralizzante della carriera degli scienziati più giovani è dato dal fatto che essi inizialmente (e di nuovo ogni volta che cambiano datore di lavoro o fanno un «passo avanti» nella professione) ottengono una serie di contratti a tempo determinato (24) (per un periodo che in tutto può durare fino a 12 anni).

5.2.3.6

Al termine di tali contratti, cosa che, nella maggior parte dei casi, non è affatto dovuta al rendimento personale ma unicamente a disposizioni amministrative o sul riparto proporzionale dei posti e, soprattutto, alla riduzione dei bilanci, incombe la minaccia — dovuta proprio a questi motivi — dell'abbandono della carriera di ricercatore e spesso perfino quella della disoccupazione.

5.2.3.7

A un'età (p.es. 40 anni) in cui cambiare professione e ricominciare da capo sul mercato del lavoro è già di per sé estremamente difficile — anche perché la politica di assunzione dell'industria preferisce concentrarsi su coloro che accedono per la prima volta al mercato del lavoro — questo tipo di «carriera» rischia quindi di finire in un vicolo cieco.

5.2.3.8

Va inoltre notato che in molti casi si tratta di ricercatori che hanno già superato con un giudizio positivo diversi gradi di rigorose procedure di selezione, in quanto solo ai migliori laureati, dopo il diploma, viene data la possibilità di effettuare un dottorato di ricerca e solo ai più brillanti di questi ultimi viene poi offerto un posto di ricercatore o una borsa di studio per poter diventare professore universitario.

5.2.3.9

Per essere competenti ed efficienti, o addirittura ottenere una posizione di punta in una determinata disciplina scientifica, le persone e i gruppi di lavoro interessati devono prima portare a termine un ulteriore impegnativo periodo — generalmente pluriennale — di formazione e di avviamento.

5.2.3.10

Inoltre, spesso i primi compiti da svolgere consistono nel mettere a punto e montare apparecchiature di grande valore e nel creare un clima stimolante per la ricerca e le relative strutture organizzative. Questo investimento prezioso ma costoso nel capitale umano e nella necessaria infrastruttura di ricerca è già, al tempo stesso, un risultato dell'attività di ricerca in quanto, così come le esperienze acquisite, anch'esso resta a disposizione e può essere utilizzato ulteriormente.

5.2.4

La disoccupazione dei ricercatori che hanno ricevuto una buona formazione, quindi, non è solo un problema sociale, ma anche uno spreco di risorse umane e finanziarie da parte dell'economia.

5.2.4.1

Essa non solo demotiva i ricercatori colpiti o minacciati dal problema, ma dissuade anche gli studenti che iniziano l'università e devono scegliere una professione dall'optare per un ambito di studi così complesso e impegnativo. Inoltre è demotivante anche la profonda frattura che esiste, all'atto pratico, tra le promesse ufficiali ottimistiche e allettanti e la realtà ostile — in alcuni Stati membri quasi catastrofica — del mercato di lavoro e delle prospettive di carriera.

5.2.4.2

Da questo punto di vista, la possibilità — attualmente sfruttata da molti ricercatori, soprattutto giovani — di cercare e trovare occasioni di impiego commisurate alle loro conoscenze fuori dall'UE, e soprattutto negli Stati Uniti, va addirittura accolta con favore, almeno fino a quando gli analoghi istituti europei non saranno in grado di offrire a loro volta opportunità adeguate. Si dovrebbe spiegare più chiaramente al mondo politico e all'opinione pubblica che ne derivano un danno economico enorme per l'UE e un grande beneficio per il paese ospitante.

5.2.4.3

Il fatto che il profilo della carriera di «ricercatore» non sia attraente sul piano economico e presenti notevoli rischi sociali può essere addirittura una delle ragioni per cui, già nelle scuole medie e nei licei, l'interesse degli studenti per le materie scientifiche e la matematica è decisamente troppo modesto.

5.2.4.4

Non c'è quindi da meravigliarsi se, nelle fasi in cui vi è necessità di ricercatori, improvvisamente ci si accorge che vi è una carenza di capitale umano (cfr. punto di partenza della comunicazione della Commissione).

5.2.5

Come asserisce anche la Commissione, per offrire prospettive di carriera ai ricercatori e per conseguire l'«obiettivo del 3 %» (25) è assolutamente necessario ridurre questa evidente discrepanza tra, da un lato, le esigenze economiche dell'UE e, dall'altro, il comportamento microeconomico — o anche quello attuale in materia di bilancio (p.es. nel settore pubblico) — e la «politica del personale» che ne consegue.

5.2.5.1

La ricerca non dovrebbe quindi essere preda o in balia di esperimenti dirigistici a breve termine o di vincoli di bilancio. Un'attività di ricerca valida, che dà buoni risultati, dev'essere predisposta a lungo termine e non può essere avviata, interrotta e riorientata a proprio piacimento, ad esempio in funzione dei cicli congiunturali, delle crisi di bilancio o delle tendenze politiche o di pianificazione del momento; essa ha bisogno piuttosto di una continuità, di una libertà e di una affidabilità sufficienti. Solo così è possibile ovviare ai summenzionati inconvenienti ed evitarli in futuro.

5.2.5.2

Come rileva la Commissione, vi è un'urgente necessità di curricoli adeguati e di possibilità di ramificazione, per evitare simili vicoli ciechi a livello professionale e offrire invece una prospettiva solida e incoraggiante ai giovani che devono scegliere una professione.

5.2.5.3

A tal fine sarebbe utile anche promuovere una maggiore permeabilità verso l'industria (cfr. punto 5.4) o l'insegnamento (p.es. di modo che i ricercatori ai quali non è possibile offrire un impiego stabile nelle università e negli organismi di ricerca finanziati con fondi pubblici vengano assunti come insegnanti esperti di ricerca negli istituti di insegnamento superiore, tanto più che in tali istituti vi è comunque spesso una carenza di personale specializzato qualificato ed esperto in ricerca).

5.2.6

Il Comitato, pertanto, si compiace espressamente delle misure previste nella comunicazione della Commissione, vale a dire:

istituire un gruppo di alto livello incaricato di individuare altri esempi di buone pratiche riguardanti le varie opportunità di occupazione, come la mobilità intersettoriale o nuovi modelli di titolarizzazione, e di diffonderli ampiamente nella comunità dei ricercatori,

avviare l'elaborazione della «Carta europea dei ricercatori», un quadro per la gestione della carriera delle risorse umane di R&S, basato su di una regolamentazione volontaria,

avviare studi di impatto per valutare e analizzare comparativamente i vari percorsi di carriera dei ricercatori,

elaborare una prima stesura del «Codice di condotta per il reclutamento dei ricercatori» sulla base delle migliori pratiche.

Il Comitato esorta tuttavia a tener conto delle sue osservazioni in merito.

5.2.6.1

Il Comitato raccomanda di estendere agli istituti di ricerca extrauniversitari le iniziative avviate in tal senso in alcuni Stati membri (26) nel settore accademico e, al tempo stesso, di valutare però attentamente se le singole misure producano effettivamente i miglioramenti prospettati (27).

5.3   Osservazioni relative alla sezione 3.2: Il riconoscimento pubblico delle carriere nella R&S

5.3.1

Il riconoscimento pubblico delle carriere scientifiche è un fattore estremamente importante. Il Comitato ribadisce con vigore quanto affermato dalla Commissione, cioè che «la questione del sostegno pubblico dei ricercatori è legat[a] chiaramente al modo in cui la scienza è percepita in quanto strumento di contributo allo sviluppo della società».

5.3.2

Il Comitato condivide anche le altre osservazioni formulate nella sezione 3.2 della comunicazione della Commissione. Richiama però l'attenzione sul fatto che i problemi e le difficoltà di una «carriera scientifica europea», sul cui superamento verte la comunicazione in esame, dipendono dal fatto che non sia ancora stato completato il mercato interno e che, inoltre, spesso i cittadini e l'opinione pubblica, e in gran parte anche gli stessi politici, non ne siano sufficientemente consapevoli. È necessario quindi intervenire anche e soprattutto per offrire ai politici un'informazione valida.

5.3.3

Sarebbe però una visione limitata voler ricercare il nocciolo della questione soprattutto nella mancata conoscenza e nel mancato riconoscimento del significato della R&S da parte dell'opinione pubblica.

5.3.4

Anche se è vero che i cittadini, in generale, non sono abbastanza informati sul fatto che il loro benessere, in grandissima parte, è reso possibile solo dalle precedenti conquiste della R&S, perlopiù la società ha comunque un certo rispetto per la carriera scientifica e per le capacità dei ricercatori.

5.3.5

Si tratta piuttosto di avere soprattutto una volontà politica coerente di migliorare la situazione personale e le condizioni professionali dei ricercatori e di eliminare gli svantaggi descritti. Anche i summenzionati aspetti negativi possono contribuire alla mancanza di riconoscimento pubblico.

5.3.6

Questa necessaria volontà politica è purtroppo ostacolata dal fatto che, da un lato, la promozione della R&S — e quindi anche della professione di ricercatore — generalmente non riceve un'attenzione mediatica sufficiente e non suscita quindi nell'opinione pubblica un interesse tale da consentire di ricavarne vantaggi sulla scena politica e, dall'altro, che i ricercatori non sono in numero sufficiente per difendere con vigore i loro interessi professionali e sociali in forma organizzata.

5.3.7

Sempre per questo motivo, il periodo che intercorre prima che dagli investimenti nella R&S derivi un'utilità economica e culturale è piuttosto lungo e generalmente supera la durata della «memoria politica» della società. Inoltre, il significato e il potenziale delle nuove scoperte entrano nella coscienza collettiva solo gradualmente e, generalmente, non in modo spettacolare.

5.3.8

Il Comitato, pertanto, sostiene pienamente la seguente affermazione della Commissione: «al fine di evidenziare l'importanza politica della ricerca in quanto elemento cruciale dello sviluppo della società, il legame tra il contenuto della ricerca e il beneficio netto per la società deve essere chiaramente sottolineato. Analogamente, la società dovrebbe essere maggiormente in grado di riconoscere il ruolo della ricerca, l'utilità delle attività di ricerca e il valore delle carriere nella R & S.» Inoltre la società dovrebbe essere informata meglio sui presupposti operativi necessari per effettuare ricerca a livelli di eccellenza.

5.4   Osservazioni relative alla sezione 3.3: Passaggi tra università e imprese

5.4.1

Su questo punto la Commissione osserva che «i partenariati tra il mondo accademico e le imprese o gli organismi di ricerca finanziati dai fondi privati e pubblici si sono rivelati indispensabili per sostenere il trasferimento di conoscenze e l'innovazione, ma non si [sa] ancora esattamente come queste relazioni dovrebbero essere strutturate, né come si scambierà il personale e si promuoveranno i programmi di formazione comuni». Il Comitato, pur condividendo ampiamente tale affermazione, reputa che la situazione non sia più così critica.

5.4.2

Tuttavia, anche il Comitato riconosce la necessità di ulteriori miglioramenti e di una migliore comprensione reciproca dei metodi di lavoro e dei criteri determinanti ai fini della carriera.

5.4.2.1

Un punto particolarmente importante anche per i curricoli auspicati consiste nel chiarire per quale motivo l'industria, quando assume ricercatori ed ingegneri, generalmente preferisce giovani laureati rispetto ad esperti con esperienza pluriennale nel campo della ricerca, anche se, grazie alle loro conoscenze più approfondite, verrebbe accelerato il trasferimento di know how sui metodi e i procedimenti più moderni.

5.4.2.2

Il Comitato ribadisce la raccomandazione già precedentemente formulata in proposito (28) di modificare e rafforzare il programma di mobilità già esistente («industry host fellowships») per creare incentivi tangibili, ai fini della necessaria mobilità, per le persone disposte ad scegliere questa strada. In tal modo sarà possibile effettuare periodi di scambio di durata sufficiente da poter incentivare entrambe le parti a un trasferimento duraturo. Inoltre, ciò potrebbe anche incentivare l'industria ad assumere ricercatori più anziani già provvisti di esperienza.

5.4.3

In singoli casi si registrano anche dei progressi. Gli ostacoli menzionati nella comunicazione, ad esempio, sono minori nel caso dei rapporti tra l'industria e i politecnici o gli organismi di ricerca orientati alla tecnologia.

5.4.4

Anche in questo caso, però, è necessario provvedere alla compatibilità e alla trasferibilità e/o al riconoscimento, sia a livello nazionale che europeo, delle varie componenti dei sistemi di sicurezza e previdenza sociale (quali l'assicurazione malattia, quella contro l'invalidità professionale, i regimi pensionistici e i diritti a pensione maturati, nonché i periodi precedenti l'attività lavorativa ma rilevanti ai fini della pensione ecc.).

5.4.5

Infine non si può nemmeno negare che vi siano talenti diversi e competenze eccellenti che in alcuni casi sono maggiormente necessari nell'industria, dove possono esprimersi particolarmente bene, mentre in altri casi sono più adatti a una tipica attività scientifica universitaria.

5.5   La dimensione europea delle carriere di R&S (sezione 3.4

In questa sezione la Commissione fornisce un'analisi approfondita delle opportunità, dei compiti e dei problemi relativi a questo aspetto della carriera di ricercatore.

5.5.1

Le opportunità consistono in un mercato del lavoro decisamente più vasto, cosa che, nel caso degli esperti altamente specializzati, riveste un'importanza sia economica che personale. Va sottolineata inoltre l'importanza che una «europeizzazione» della carriera di ricercatore riveste per l'obiettivo – proposto dalla Commissione e accolto con favore anche dal Comitato (29) – di creare «un insieme di risorse materiali e di infrastrutture, ottimizzato su scala europea».

5.5.2

I rischi consistono, da un lato, nella possibilità che l'esperienza professionale acquisita in un altro Stato membro dell'UE (diverso da quello di cui si ha la cittadinanza) non abbia, sul «mercato domestico», una notorietà e un riconoscimento adeguati per poterne trarre vantaggio ai fini dell'ulteriore carriera e, dall'altro, nel fatto che vi sia tuttora una mancanza di compatibilità/trasferibilità/riconoscimento delle diverse componenti della sicurezza sociale (quali l'assicurazione malattia, quella contro l'invalidità professionale, i regimi pensionistici e/o i diritti a pensione maturati, i periodi precedenti l'attività lavorativa ma rilevanti ai fini della pensione ecc.).

5.5.3

Ciò richiede misure adeguate per garantire che se, come è normale ed auspicabile nell'iter professionale dei ricercatori «europei», nel corso della carriera si cambia datore di lavoro, luogo o Stato di soggiorno o se si passa da un posto di lavoro a un altro presso istituti di ricerca finanziati con fondi pubblici in Stati membri diversi o nell'industria ecc., questo non abbia conseguenze negative sulle summenzionate esigenze.

5.5.4

In tale contesto, se si vuole raggiungere l'obiettivo formulato nella comunicazione della Commissione, vanno trovate e applicate soluzioni concrete.

5.5.5

Oltre ad attuare i pertinenti programmi di ricerca è pertanto necessario adeguare anche le retribuzioni, le disposizioni in materia di pensioni, di assicurazione malattia (!), di costi per il cambio di domicilio, per gli agenti immobiliari, per le ristrutturazioni e per l'acquisto di terreni, quelle relative all'istruzione dei figli, al mantenimento dell'unità familiare (!), alla disoccupazione e all'invalidità professionale, ai regimi pensionistici ecc., nonché i relativi aspetti fiscali (30), per farne presupposti indispensabili a una carriera scientifica europea. Molte delle disposizioni vigenti (p. es. imposta sul trasferimento di proprietà fondiarie) sono addirittura sfavorevoli per la mobilità.

5.5.5.1

In particolare, andrebbe creato un sistema pensionistico a livello europeo, o andrebbe applicato effettivamente quanto è già stato deciso in materia, affinché tutti i diritti acquisiti possano essere mantenuti o trasferiti, anche qualora si cambi datore di lavoro o Stato membro, senza che ciò comporti svantaggi eccessivi.

5.5.5.2

Un altro problema generale è dato spesso dal fatto che il coniuge o il partner esercitano un'attività lavorativa. Per non mettere in pericolo l'unità familiare si dovrebbe cercare di vagliare o di creare anche per il partner opportunità di trovare un'attività/professione adeguata. In merito andrebbe sviluppata una strategia ufficiale (31).

5.5.6

Anche la Commissione condivide ampiamente questa posizione, tant'è vero che nella comunicazione scrive: «Infine, la promozione della dimensione europea nelle carriere nella R&S deve essere integrata in un quadro giuridico strutturato e coordinato a livello europeo, che garantisca ai ricercatori e alle loro famiglie un livello elevato di copertura previdenziale che consenta di ridurre al minimo il rischio di perdere diritti previdenziali già acquisiti (Nota del Comitato: va garantito che non vi sia un rischio simile!). In questo contesto, i ricercatori dovrebbero poter profittare dei lavori in corso a livello di UE destinati a modernizzare e semplificare il coordinamento dei sistemi di previdenza sociale (...). In questo ambito le esigenze specifiche dei ricercatori e delle loro famiglie dovrebbero essere pienamente considerate.»

5.5.7

Fintantoché questi obiettivi non saranno stati realizzati e non saranno in vigore le norme auspicate, il Comitato raccomanda tuttavia di articolare i pertinenti programmi di mobilità e le relative disposizioni in modo tale non solo da compensare pienamente gli svantaggi tuttora esistenti, ma anche da creare ulteriori incentivi che vadano oltre la compensazione. Siffatti incentivi sono indispensabili sia per rendere attraente la carriera scientifica europea anche per i ricercatori eccellenti, sia per riuscire eventualmente ad attrarre di nuovo o a indurre a rientrare i migliori ricercatori che lavorano, ad esempio, negli Stati Uniti.

5.5.8

Per far sì che l'ampliamento del mercato del lavoro (attualmente limitato), conseguente alla realizzazione dello Spazio europeo della ricerca, sia ancor più efficace per i ricercatori e gli studiosi in cerca di impiego, il Comitato esorta la Commissione a potenziare sistematicamente e a perfezionare la piattaforma (32) che ha già installato su Internet a tale scopo, affinché vi si possano trovare, in forma ordinata e in modo sufficientemente dettagliato, tutte le offerte di lavoro/tutti i bandi pertinenti degli istituti e dei progetti di ricerca, delle università e anche delle industrie all'interno dell'UE (ciò andrebbe sancito anche nella «Carta»). A tal fine il Comitato propone di mettersi in contatto anche con le istituzioni degli Stati membri che, nei rispettivi paesi, si occupano a loro volta anche di questa attività.

5.6   Dottorandi, dottorato di ricerca e relativo titolo accademico

La Commissione si sofferma anche sulla questione dei dottorandi. A parere del Comitato, tale questione presenta due aspetti, vale a dire: (i) il ruolo e la situazione dei dottorandi e (ii) il fabbisogno di studiosi/ingegneri/ricercatori in possesso di un dottorato.

5.6.1

Affinché a uno studente venga offerta la possibilità di elaborare una tesi di dottorato, generalmente è necessario che abbia concluso in modo eccellente il corso di laurea.

5.6.2

Il dottorato di ricerca può quindi essere considerato, da un lato, un gradino della formazione accademica – quantunque ulteriore, complementare e mirato a un maggiore approfondimento – e, dall'altro, soprattutto, un'eccellente qualifica per un'attività di ricerca autonoma.

5.6.3

La tesi di dottorato consente inoltre di acquisire altre importanti qualifiche generali, come la capacità di effettuare ricerche approfondite, di esprimere oralmente e per iscritto in modo comprensibile questioni particolarmente complesse nonché, nelle discipline scientifiche e tecniche, anche l'uso dell'inglese in un contesto internazionale.

5.6.4

I dottorandi, in quanto «bassa manovalanza» (33) della ricerca accademica, svolgono una parte fondamentale e indispensabile del lavoro di ricerca delle università e degli istituti di ricerca analoghi – e quindi anche del loro compito ufficiale.

5.6.5

Ne deriva però anche la legittima esigenza – generalmente soddisfatta in misura del tutto insufficiente – di riconoscere tale attività (34) come una prestazione professionale vera e propria (in termini di retribuzione e di prestazioni sociali).

5.6.6

Una particolarità inevitabile dell'attività dei dottorandi è una certa dipendenza dal supervisore, che per di più è spesso responsabile anche della valutazione del lavoro svolto.

5.6.6.1

Il compito di supervisione e il modo in cui esso viene espletato non dovrebbero però arrivare al punto di limitare lo stimolo, se non addirittura la necessità del dottorando di lavorare in modo indipendente (peraltro considerata un criterio importante per tale attività).

5.6.6.2

La funzione e i compiti del supervisore, per quanto in genere estremamente utili, in taluni casi danno anche adito ad abusi. Questi possono essere alimentati, tra l'altro, dalla retribuzione troppo modesta del dottorando e comportare quindi richieste esagerate che sono soprattutto nell'interesse scientifico del supervisore e hanno come conseguenza una eccessiva durata del dottorato.

5.6.7

Il Comitato raccomanda pertanto alla Commissione di avviare una riflessione su un eventuale codice di condotta relativo al ruolo e al trattamento dei dottorandi e di farne confluire l'esito nella «Carta».

5.6.8

Nella comunicazione della Commissione si afferma inoltre che «le imprese sembrano intenzionate ad assumere ricercatori sprovvisti di dottorato, in quanto ritengono che i titolari di questo diploma siano eccessivamente specializzati» (35).

5.6.9

Anche se purtroppo sembra che sia vero che l'industria preferisca soprattutto i giovani appena laureati, cosa che costituisce anche un ostacolo alla mobilità tra il mondo accademico e l'industria, il Comitato non ritiene che si tratti di una verità assoluta. Sia nell'industria chimica di alcuni Stati membri che in altri settori industriali a carattere tecnico-scientifico, in genere un dottorato di ricerca conseguito con bei voti è, se non addirittura un criterio di assunzione, quantomeno un presupposto fondamentale per una carriera brillante (per gli ingegneri non è sempre così).

5.6.10

Per un ulteriore impiego e una carriera in ambito accademico – anche negli istituti di ricerca finanziati con fondi pubblici – il dottorato di ricerca è comunque un presupposto indispensabile (per gli ingegneri non è sempre così).

5.7   Attrattiva del mondo della ricerca ed eccellenza scientifica

5.7.1

Quando dei giovani optano per la professione di ricercatore e quando si tratta di scegliere in quale paese svolgere poi la propria attività professionale, è importante sapere se, per esercitare la professione prescelta, vi sono organismi di ricerca eccellenti e attraenti in cui i ricercatori di maggior successo vogliono e possono collaborare, fungono da modello e creano un termine di paragone.

5.7.2

Di conseguenza, la società e la politica devono adoperarsi affinché vi siano o vengano creati i presupposti per ottenere e mantenere l'eccellenza scientifica e prestazioni di prim'ordine.

5.7.3

L'eccellenza e le élite sono però il risultato di un processo di sviluppo e di selezione complesso, lungo e laborioso che si svolge in base a proprie regole interne e dipende dalla coincidenza di molti fattori importanti e collegati tra loro.

5.7.4

Sono determinanti l'esempio eccellente dei ricercatori che hanno avuto un successo particolare, la presenza di attrezzature e strutture attraenti, una gestione che promuove la creatività e la ricchezza di idee, la consapevolezza di partecipare alle scoperte o allo sviluppo di cose nuove, nonché la fondata speranza di tutte le parti coinvolte di poter sviluppare anche le proprie potenzialità, di poter contibuire con le proprie idee e di averne un riconoscimento.

5.7.5

Tutto ciò può crescere e svilupparsi solo sulla base di una formazione universitaria solida, ampia e di qualità e in presenza di un ambiente di ricerca diversificato, ben attrezzato e con una ricerca di base sufficiente.

5.8   L'Anno europeo dei ricercatori

5.8.1

Il Comitato accoglie con favore e appoggia l'intenzione della Commissione di organizzare prossimamente un Anno europeo dei ricercatori.

5.8.2

Reputa che sia una buona possibilità e un'occasione di promuovere la professione di ricercatore e la sua importanza per la società e per gli obiettivi di Lisbona e di adoperarsi inoltre ai fini di una profonda comprensione reciproca tra la società civile e il mondo scientifico.

5.8.3

Raccomanda di associare a questa attività anche le pertinenti organizzazioni degli Stati membri, nonché le corrispondenti organizzazioni scientifiche attive a livello europeo e dichiara la sua disponibilità a fornire a sua volta un contributo in materia.

Bruxelles, 25 febbraio 2004

Il Presidente

del Comitato economico e sociale

Roger BRIESCH


(1)  COM(2000) 6 def. del 18 gennaio 2000.

(2)  GU C 204 del 18.7.2000.

(3)  GU C 221 del 7.8.2001 e GU C 95 del 23.4.2003.

(4)  GU C 204 del 18.7.2000.

(5)  Ovviamente uno spostamento di ricercatori in entrambi i sensi tra l'Europa e, ad esempio, gli Stati Uniti è estremamente utile ed opportuno anche in termini di scambio di esperienze e di collegamento in rete delle conoscenze e dei metodi. Tuttavia non dovrebbe derivarne un esodo unilaterale proprio dei giovani scienziati migliori, come quello che si sta profilando a causa della situazione attuale. In tal modo, infatti, l'atteso valore aggiunto economico non viene prodotto nell'UE, dove sono stati fatti investimenti molto cospicui per la formazione; esso, invece, va in parte addirittura a beneficio di un'economia che è in concorrenza con quella europea

(6)  A questo proposito cfr. anche il punto 4.1.1.3.

(7)  Un aspetto particolarmente importante di raffronti simili è anche quello degli investimenti nella R&S (p.es. negli Stati Uniti) che vengono destinati alla ricerca tecnico-scientifica di carattere generale ma incidono in parte sul bilancio della difesa («dual purpose»).

(8)  GU C 260 del 17.9.2001.

(9)  Cfr. GU C 221 del 7.8.2001, punti 3.2.3 e 3.2.4.

(10)  A questo proposito cfr. ad esempio Jürgen Enders (ed.): Academic Staff in Europe. Changing Contexts and Conditions (2001) [Il personale accademico in Europa. Modificare il contesto e le condizioni], Westport CT, Greenwood Press, 2001.

(11)  Cfr. anche il parere del Comitato in merito alla comunicazione della Commissione Più ricerca per l'Europa – Obiettivo: 3 % del PIL, GU C 95 del 23.4.2003.

(12)  In tale contesto il Comitato raccomanda anche di far tesoro delle esperienze delle pertinenti istituzioni degli Stati membri, come ad esempio la fondazione Humboldt.

(13)  Raccolta della giurisprudenza 1996, pagg. II-02041, IA-00553, II-01471.

(14)  Anche a tal fine sono però necessarie apparecchiature di grandi dimensioni, spesso molto costose, che richiedono prestazioni tecniche all'avanguardia.

(15)  GU C 221 del 7.8.2001, punto 3.9.1.

(16)  Cfr. GU C 221 del 7.8.2001, punto 4.7: «La ricerca costituisce un passo verso l'ignoto e le procedure usate in tale contesto da parte di singoli o di gruppi variano e si integrano a seconda delle esigenze, delle doti e del temperamento. I ricercatori sono manager, ingegneri, collezionisti, pignoli o artisti. Fare ricerca significa andare a tentoni nella nebbia, comprendere in maniera intuitiva, misurare un paesaggio sconosciuto, raccogliere e ordinare dati, trovare nuovi segni, ricercare connessioni e modelli di ordine superiore, individuare nuove correlazioni, sviluppare modelli matematici, inventare i concetti e i linguaggi simbolici di volta in volta necessari, concepire e costruire nuove attrezzature, cercare soluzioni semplici e armonia. Vuol dire anche confermare, accertare, ampliare, generalizzare e riprodurre.»

(17)  Nella Società Max Planck (Max-Planck-Gesellschaft), ad esempio, i ricercatori che occupano posizioni dirigenziali generalmente non vengono cercati e nominati mediante la pubblicazione di bandi ma, tra la cerchia dei ricercatori che, all'interno della comunità scientifica mondiale, sono noti per le loro prestazioni, si cerca di ottenere il candidato o la candidata più adatto/a per le mansioni previste.

(18)  GU C 204 del 18.7.2000, punti 7.1 e 7.1.1: «La ricerca e lo sviluppo costituiscono in linea di principio un tutt'uno che comprende vari settori di ricerca (e quindi anche varie fasi di maturazione delle conoscenze per eventuali nuove tecnologie) quali la ricerca di base, la ricerca orientata alle applicazioni, la ricerca “enciclopedica” (intesa ad esempio ad integrare le nostre cognizioni sulle caratteristiche delle sostanze, su nuovi materiali, principi attivi, eccetera), lo sviluppo tecnologico e lo sviluppo dei prodotti e dei processi. L'innovazione nasce anche dall'interazione e dalla reciproca fecondazione tra tali settori di ricerca, separabili a volte solo artificialmente.»

(19)  INT 197, CESE 1588/2003 del 10 dicembre 2003, punti 4.5.3 e 4.5.5.

(20)  Cfr. anche GU C 95 del 23.4.2003, Allegato, punto 8 segg.

(21)  Intervista con D. Viesella, presidente del consiglio di amministrazione della Novartis (Austria), in: «Standard» del 26.1.2004, pag. 3.

(22)  Perfino tra i ricercatori venuti dalla Russia, dall'India e dalla Cina a lavorare in organismi di ricerca europei, chi ha successo dopo alcuni anni di esperienza professionale tende ad accettare offerte provenienti dagli Stati Uniti.

(23)  Le condizioni e i dettagli della carriera descritta nel presente parere non valgono in egual misura per tutti gli Stati membri.

(24)  La situazione, in parte, viene complicata ulteriormente dalle norme in materia di tutela contro il licenziamento.

(25)  CESE 278/2003.

(26)  Ad esempio il programma «Lichtenberg» [N.d.T: cattedre universitarie] della Fondazione Volkswagen.

(27)  Ad esempio, in Germania, le cattedre per giovani professori (junior professor) [N.d.T: in alternativa all'abilitazione all'insegnamento universitario].

(28)  GU C 204 del 18.7.2000, punto 8.2.2.

(29)  GU C 204 del 18.7.2000, punto 9.6.

(30)  In alcuni Stati membri va dichiarato ai fini fiscali perfino il rimborso delle spese concesso ai ricercatori per compensare i costi supplementari legati alla mobilità!

(31)  Riconoscendo il problema, la Deutsche Forschungsgemeinschaft (Consiglio federale delle ricerche) e lo Stifterverband für die Deutsche Wissenschaft (Confederazione delle fondazioni che sostengono la scienza tedesca), ad esempio, organizzano insieme una manifestazione sul tema della doppia carriera. A tale proposito cfr. anche i siti Internet www.kowi.de e www.dfg.de/wissenschaftliche karriere/focus/doppelkarriere paare/index.html.

(32)  http://europa.eu.int/eracareers/index_en.cfm

(33)  Questa espressione, pur essendo chiara, non è affatto sempre pertinente. Nel quadro di una tesi di dottorato, infatti, si possono ottenere risultati all'avanguardia. In alcuni casi, ad esempio già nella tesi di dottorato sono state fatte scoperte che hanno portato al premio Nobel (è il caso di R. Mössbauer, premio Nobel nel 1961, e di R. A. Hulse, premio Nobel nel 1993).

(34)  Sempre che si tratti della professione principale e non venga svolta, ad esempio, parallelamente ad un'altra attività professionale.

(35)  Questa affermazione riguarda la questione – affrontata sopra – del comportamento dell'industria quando si tratta di assumere. Pertanto, il comportamento descritto andrebbe analizzato in modo approfondito e, possibilmente, migliorato.


30.4.2004   

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C 110/14


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante le attività di taluni paesi terzi nel settore della navigazione mercantile (versione codificata)

(COM(2003) 732 def. - 2003/0285(COD))

(2004/C 110/03)

Il Consiglio, in data 9 dicembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 71 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il parere in data 3 febbraio 2004 sulla base del progetto del relatore RETUREAU.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 febbraio 2004, ha adottato nel corso della 406a sessione plenaria il seguente parere con 102 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni.

1.   Proposta della Commissione, base giuridica

1.1

La proposta di decisione presentata al Consiglio e al Parlamento europeo costituisce una codificazione della decisione 78/774/CEE del Consiglio del 19 settembre 1978 (1), riguardante le attività di taluni paesi terzi nel settore della navigazione mercantile. Tale decisione è stata modificata in maniera sostanziale dalla decisione 89/242/CE, del Consiglio, del 5 aprile 1989 (2), sullo stesso argomento.

1.2

La base giuridica della versione codificata è rappresentata da una decisione interna della Commissione, del 1o aprile 1987 (3), confermata dalle conclusioni della presidenza del Consiglio europeo di Edimburgo del dicembre 1992 (parte A, allegato 3). La codificazione è stata effettuata conformemente alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio - Codificazione della normativa comunitaria: (4) ciò significa che, pur essendo assoggettata alla procedura legislativa di adozione in vigore al momento in cui avviene, non apporta modifiche di contenuto.

1.3

La procedura di adozione della specifica legislazione codificata (navigazione mercantile) è stabilita dagli articoli 80 e 251 del Trattato CE.

2.   Osservazioni e conclusioni del CESE

2.1

Il Comitato ha già preso posizione in vari pareri (5) sul problema di fondo che costituisce l'oggetto della versione codificata. Quest'ultima riprende, senza modifiche di rilievo, vari testi precedenti il cui obiettivo era individuare ed eventualmente contrastare con misure appropriate le eventuali pratiche di dumping avviate da alcuni paesi terzi nel settore della navigazione mercantile e tali da danneggiare gli interessi dei trasportatori comunitari. Non è dunque necessario ritornare sulla questione nel presente parere.

2.2

La codificazione è intesa ad accrescere la chiarezza e la trasparenza del diritto comunitario, in particolare nel caso di disposizioni che hanno subito nel corso del tempo varie modifiche rispetto all'atto giuridico originario e che risultano quindi frammentate e disperse. Essa offre pertanto ai destinatari e agli utilizzatori del diritto comunitario una maggior certezza giuridica.

2.3

Il Comitato approva e incoraggia gli sforzi di semplificazione della normativa comunitaria, in particolare quando mirano al consolidamento e alla codificazione del diritto vigente. Tali sforzi contribuiscono ad una buona gestione democratica e facilitano la comprensione e la corretta applicazione della normativa comunitaria.

2.4

Nel caso in esame la proposta di codificazione si fonda su un consolidamento effettuato in precedenza dall'Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee. Le corrispondenze tra la vecchia e la nuova numerazione degli articoli della decisione sono indicate in un'apposita tabella.

2.5

La base giuridica e la procedura legislativa proposte sono pienamente conformi al diritto comunitario in vigore.

2.6

Il Comitato accoglie pertanto con favore la proposta di codificazione in esame e ne raccomanda l'adozione.

Bruxelles, 25 febbraio 2004

IL Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  GU L 258 del 21.9.1978, pagg. 35-36.

(2)  GU L 97 dell'11.4.1989, pag. 47.

(3)  COM(1987) 868 PV.

(4)  COM(2001) 645 def.

(5)  Parere d'iniziativa in merito ai problemi dei trasporti nel contesto delle relazioni con i paesi dell'Est (GU C 59 dell'8.3.1978, pagg. 10-13), parere sul progetto di decisione 78/774 (GU C 269 del 13.11.1978, pag. 56), parere sul progetto di modifica della decisione 78/774/CEE (GU C 105 del 16.4.1979, pagg. 20-21), parere sul progetto di modifica della decisione 78/774/CEE (GU C 71 del 20.3.1989, pag. 25).


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Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l'arsenico, il cadmio, il mercurio, il nickel e gli idrocarburi policiclici aromatici nell'aria ambiente

(COM(2003) 423 def. - 2003/0164 (COD))

(2004/C 110/04)

Il Consiglio, in data 29 agosto 2003, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 95 e 251 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 febbraio 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore McDONOGH.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 febbraio 2004, nel corso della 406a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 101 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

La direttiva 96/62/CE del Consiglio, in materia di valutazione e di gestione della qualità dell'aria ambiente (direttiva quadro sulla qualità dell'aria) costituisce il contesto per la futura legislazione della Comunità in materia di qualità dell'aria.

1.2

Nell'Allegato 1 della suddetta direttiva 96/62/CE figurano i criteri e le tecniche di valutazione della qualità dell'aria ambiente in relazione alla presenza di arsenico, cadmio, mercurio, nickel e idrocarburi policiclici aromatici, lo stesso allegato stabilisce le disposizioni per la trasmissione delle informazioni alla Commissione e al pubblico.

1.3

La proposta in esame adempie agli obblighi stabiliti dalla direttiva 96/62/CE, introducendo delle disposizioni relative ai metalli pesanti elencati nel suddetto Allegato I e per i quali esiste il sospetto o la certezza che abbiano un effetto cancerogeno sull'uomo anche se non sono state individuate le soglie oltre le quali si producono effetti dannosi sulla salute umana.

2.   Sintesi della proposta

2.1

La Commissione riconosce nella sua proposta che non esistono misure efficaci dal punto di vista dei costi/benefici per raggiungere dappertutto concentrazioni di detti inquinanti tali da escludere conseguenze negative per la salute umana. Pertanto essa non segue alla lettera il disposto della direttiva 96/62/CE, che prevedeva invece la definizione di valori limite vincolanti.

2.2

La proposta prevede un monitoraggio obbligatorio nei casi in cui le concentrazioni misurate oltrepassino i seguenti valori limite:

arsenico 6 ng/m3

cadmio 5 ng/m3

nickel 20 ng/m3

benzo(a)pirene (BaP) 1 ng/m3

Poiché concentrazioni inferiori ai suddetti valori limite comporterebbero solo effetti negativi minimi per la salute umana, ove le soglie di cui sopra non siano oltrepassate, si richiede unicamente un monitoraggio indicativo di tali concentrazioni, in un numero limitato di siti specifici.

2.3

Per quanto riguarda il mercurio, la Commissione ritiene che occorra rivedere a tempo debito le prove relative all'esposizione totale; essa considera inoltre che nel corso di tale revisione si debba dedicare particolare attenzione alla relazione tra fonte e ricettore e alla trasformazione del mercurio nell'ambiente.

2.4

Gli Stati membri dovranno informare la Commissione e il pubblico di qualsiasi superamento dei valori limite, delle relative cause e delle misure adottate.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il Comitato riconosce che, in mancanza di valori limite noti per gli effetti negativi degli inquinanti in questione sulla salute umana, stabilire degli obiettivi è particolarmente difficile. Tenendo conto che tale impatto sulla salute e l'ambiente è collegato alle loro concentrazioni nell'aria ambiente e alla deposizione nell'ambiente terrestre e marino, e considerando che tale deposizione al suolo può anche compromettere la qualità e la fertilità del terreno e inquinare la vegetazione, il Comitato accoglie con favore la proposta della Commissione.

3.2

Il Comitato condivide il punto di vista della Commissione, secondo cui la proposta è ambiziosa ma anche al tempo stesso pratica. Ritiene pertanto necessario prevedere una revisione a tempo debito degli obiettivi, dato che numerosi aspetti relativi al comportamento e all'evoluzione ultima dei metalli pesanti e degli inquinanti organici persistenti (composti POP) sono ancora poco conosciuti, in particolare per quanto riguarda il mercurio.

4.   Osservazioni particolari

4.1

Il Comitato sottolinea l'esigenza di riconoscere che le concentrazioni nell'aria ambiente cui la proposta fa riferimento costituiscono valori medi relativi all'UE a 15, soggetti a variare da un luogo all'altro e, per alcuni inquinanti, anche da una stagione all'altra. Ad esempio le concentrazioni di benzo(a)pirene, un composto pesante di idrocarburi policiclici aromatici, sono notevolmente più elevate in inverno, a causa del maggiore impiego di combustibile per i riscaldamenti domestici. Ne può conseguire che i valori obiettivo vengano superati in una parte dell'anno sebbene la media annuale appaia compatibile con il valore limite.

4.1.1

È inoltre probabile che i valori limite stabiliti nella proposta per i metalli, come pure il valore obiettivo per il benzopirene, vengano superati nei mesi invernali nelle aree adiacenti a determinati impianti industriali e in determinate zone rurali, a causa della domanda elevata di riscaldamento. Ne consegue che in alcune zone dell'UE la popolazione potrebbe essere esposta a concentrazioni di inquinamento dell'aria ambiente sensibilmente superiori ai limiti auspicabili. Pertanto la proposta in esame non protegge in maniera adeguata, per lo meno a breve termine, una parte della popolazione.

4.2

Il Comitato ritiene che i dati relativi alle emissioni esposti nella proposta di direttiva si riferiscono al 1990; la Commissione dovrebbe forse prevedere l'inserimento di dati più recenti, che servano a constatare le tendenze in atto nell'ultimo decennio. Ciò consentirebbe anche di individuare eventuali riduzioni relative a gruppi di fonti di primaria importanza.

4.3

Come indicatore del rischio di cancerogenicità è stato scelto il solo benzo(a)pirene, pur essendo questo solo uno dei 16 composti di idrocarburi policiclici aromatici che vengono comunemente misurati. La commissione economica per l'Europa dell'ONU (UNECE), per esempio, ha incluso tra gli indicatori altri tre composti. Il Comitato ritiene che per garantire che la direttiva in esame sia compatibile (e comparabile) con altri accordi internazionali (come il protocollo dell'UNECE sugli inquinanti organici persistenti) si dovrebbero considerare nella direttiva anche altri idrocarburi policiclici aromatici.

4.4

Il Comitato ritiene che le fonti diffusive, come il riscaldamento domestico (importante per gli idrocarburi policiclici aromatici) siano più difficili da controllare e comportino pertanto costi di controllo più elevati. Anche altre misure, rivolte al controllo delle fonti mobili (per esempio il miglioramento della qualità dei carburanti per ridurre le emissioni di particolato) contribuiranno alla riduzione delle concentrazioni di inquinanti nell'aria ambiente. Si ritiene che ottimizzando le stufe e i bruciatori per uso domestico per controllare le emissioni di benzo(a)pirene si contribuirebbe a ridurre l'esposizione a tale inquinante, in particolare nelle aree rurali. Se da un lato sarebbe probabilmente troppo costoso modificare le stufe già in attività, si potrebbero nondimeno definire nuove specifiche per stufe, caldaie e impianti di riscaldamento di nuova costruzione, in modo da garantire una minore quantità di emissioni in futuro.

4.5

Per il Comitato è evidente che occorre procedere ad un'ulteriore valutazione delle potenziali fonti degli inquinanti in questione nei dieci paesi in via di adesione e che le emissioni provenienti da questi paesi influiranno probabilmente sulla qualità dell'aria ambiente in tutta Europa. Bisogna pertanto incoraggiare, e se necessario aiutare, i paesi candidati ad adeguarsi tempestivamente alla direttiva, in modo da ridurre al minimo l'inquinamento transfrontaliero.

4.6

Dalla valutazione dei costi e dei benefici emerge che adeguare le principali fonti comporterebbe investimenti considerevoli e, di conseguenza, una serie di pesanti ricadute sull'industria e una possibile perdita di competitività. La Commissione deve pertanto fare in modo che nell'applicazione della direttiva si trovi un equilibrio tra impatto economico e possibili effetti benefici in termini di salute, anche se il miglioramento della qualità dell'aria e della salute umana e la riduzione dell'esposizione agli agenti inquinanti dovessero comportare delle azioni impegnative.

4.7

Una parte importante dell'applicazione della direttiva in esame (la direttiva figlia) consisterà nel fornire al pubblico informazioni in merito alla qualità dell'aria a livello locale in relazione agli inquinanti oggetto della direttiva stessa. È tuttavia essenziale che vengano forniti al pubblico anche gli strumenti necessari per interpretare e comprendere tali informazioni.

Bruxelles, 25 febbraio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


30.4.2004   

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C 110/18


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari

(COM(2003) 424 def. - 2003/0165 (COD))

(2004/C 110/05)

Il Consiglio, in data 29 luglio 2003, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 95 e 251 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere, in data 5 febbraio 2004 sulla base del progetto predisposto dalla relatrice DAVISON.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 febbraio 2004, nel corso della 406a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere all'unanimità.

1.   Introduzione

1.1

In linea di principio il Comitato economico e sociale europeo accoglie con favore il regolamento della Commissione, incentrato sulla nutrizione e sulla salute. Tale regolamento arriva proprio quando l'OMS (sezione europea) ha rilevato che circa il l 20-30 % degli adulti sono sovrappeso, e che le malattie cardiovascolari sono legate anche ad una dieta scorretta e alla mancanza di attività fisica. Anche i governi riconoscono sempre più spesso l'esistenza di una correlazione tra alimentazione e salute e benessere, e sono consapevoli delle ripercussioni che un cattivo stato di salute, se generalizzato, può avere sulle varie economie nazionali.

1.2

La proposta di regolamento relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari giunge inoltre in un momento in cui la dieta, l'alimentazione e la consapevolezza circa la propria salute godono di grande attenzione da parte dei mezzi di comunicazione, e i consumatori hanno più che mai bisogno di informazioni accurate e documentate, che consentano loro di scegliere e decidere con cognizione di causa. Il Comitato attribuisce grande importanza all'informazione e alla protezione dei consumatori.

1.3

Alla luce di quanto sopra, la Commissione, ad integrazione della direttiva 2000/13/CE sull'etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari, ha proposto il regolamento in esame, che fissa dei criteri per i produttori che desiderino fornire tali indicazioni su base volontaria. Così facendo essa intende creare parità di condizioni in un settore nel quale l'interpretazione differisce da un paese all'altro, e fornire ai consumatori informazioni obiettive, ovviando così, almeno in parte, alla scarsa chiarezza in proposito, dovuta all'attuale direttiva sulla pubblicità.

2.   Sintesi della proposta

2.1

La direttiva 2000/13/CE impone il divieto generale di utilizzare informazioni che possano indurre in errore l'acquirente o che attribuiscano ai prodotti alimentari proprietà medicamentose. Il nuovo regolamento intende fornire linee guida più specifiche riguardanti le indicazioni nutrizionali e sulla salute:tale intervento si è rivelato necessario proprio per il proliferare di queste indicazioni, alcune delle quali sono dubbie perché mancano dati scientifici chiari a loro sostegno. Inoltre le attuali etichette sono spesso fonte di confusione per i consumatori (1).

2.2

I principali obiettivi della proposta in esame sono i seguenti:

raggiungere un livello elevato di tutela dei consumatori mediante la fornitura volontaria di ulteriori informazioni, che si aggiungano a quelle già obbligatoriamente previste dalla legislazione UE,

migliorare la libera circolazione delle merci nell'ambito del mercato interno,

accrescere la certezza giuridica per gli operatori economici,

garantire una concorrenza leale nel settore dei prodotti alimentari,

promuovere e tutelare l'innovazione nel settore dei prodotti alimentari.

2.3

L'articolo 3 della proposta di regolamento stabilisce che l'utilizzo delle indicazioni nutrizionali e sulla salute non può:

a)

essere falso o fuorviante;

b)

dare adito a dubbi sulla sicurezza e/o l'adeguatezza nutrizionale di altri alimenti;

c)

affermare o far credere che una dieta equilibrata e varia non possa fornire quantità adeguate di tutte le sostanze nutritive;

d)

fare riferimento a cambiamenti delle funzioni corporee in termini impropri o allarmanti, sia mediante il testo scritto che mediante rappresentazioni figurative, grafiche o simboliche.

2.4

L'articolo 4 prevede che, per poter recare indicazioni nutrizionali o sulla salute, gli alimenti debbano rispettare dei profili nutrizionali minimi: le bevande alcoliche, ad esempio, non possono recare indicazioni nutrizionali o sulla salute, ad eccezione di quelle relative ad una riduzione del contenuto alcolico o energetico.

2.5

Le indicazioni nutrizionali o sulla salute possono essere utilizzate solo se, sulla base di dati scientifici e generalmente accettati, e aggiornati in funzione dei progressi tecnologici, si può dimostrare che esiste un effetto nutrizionale o fisiologico benefico, se tale effetto è significativo e se le indicazioni nutrizionali risultano comprensibili al consumatore.

2.6

Le indicazioni sulla salute devono essere accompagnate da ulteriori informazioni, ad esempio sull'importanza di una dieta equilibrata e di uno stile di vita sano.

2.7

Non sono consentite le indicazioni che fanno riferimento a funzioni psicologiche e comportamentali, al dimagrimento o al controllo del peso, al parere dei medici e di altri professionisti della salute o delle associazioni di volontariato, né quelle che suggeriscono che la salute potrebbe risultare compromessa dal mancato consumo dell'alimento. Le indicazioni sulla riduzione dei rischi di malattia devono essere autorizzate dall'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e devono recare una dicitura indicante che alle malattie sono legati molteplici fattori di rischio.

2.8

L'allegato contiene un elenco delle indicazioni nutrizionali, con le relative condizioni d'uso.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1

Il Comitato accoglie con favore la proposta di istituire un quadro normativo europeo, nell'interesse sia della protezione dei consumatori che dell'armonizzazione del mercato interno. Riconosce la necessità di affrontare il problema della molteplicità delle norme nazionali, che attualmente operano mediante codici di prassi nazionali di autoregolamentazione. Il nuovo regolamento fornirà lo strumento legislativo necessario a far sì che l'effetto diretto dei risultati auspicati sia garantito in maniera omogenea in tutti gli Stati membri.

3.2

È tuttavia possibile che i prodotti importati possano violare il regolamento, sotto il profilo sia delle indicazioni che dell'etichettatura, se queste compaiono solo in lingue non europee. Sussiste qualche timore anche per i prodotti ottenuti via Internet da fonti esterne all'UE.

3.3

Il Comitato sottolinea la necessità di una legislazione congrua, trasparente, attuata correttamente e soprattutto pratica, e teme che alcune delle disposizioni relative alla fondatezza delle indicazioni possano risultare inutilmente complesse e farraginose. È necessario introdurre procedure attuabili, che prevedano tempi ben definiti, in modo da evitare inutili ritardi nel processo di approvazione. Il Comitato si chiede inoltre se l'onere operativo che graverà sull'EFSA non sarà eccessivo.

3.4

Il Comitato fa osservare che la legislazione deve essere affiancata dall'educazione del consumatore lungo tutto l'arco della vita, il che include l'accettazione della responsabilità personale. In un momento in cui soprattutto l'obesità va aumentando rapidamente anche fra i bambini, occorre sottolineare l'importanza di una dieta equilibrata, che tuttavia preservi il piacere del cibo e delle bevande, e che sia accompagnata dall'esercizio fisico. Il Comitato riconosce la difficoltà di trasmettere ai consumatori questo importante messaggio di equilibrio, moderazione e astensione dagli eccessi.

3.5

Ciononostante, prende atto della necessità che le responsabilità vengano assunte e, per quanto possibile coordinate, da tutti gli interessati: produttori, distributori e commercianti al dettaglio, organi preposti all'attuazione quali enti di normalizzazione commerciale, ministeri, organizzazioni professionali, sociali e di consumatori. Per far presa sul grande pubblico è poi necessario il sostegno dei mezzi di comunicazione.

3.6

Il Comitato sottolinea inoltre la necessità di incoraggiare i singoli Stati membri a sviluppare programmi di educazione dei consumatori nelle scuole, integrandoli in materie già esistenti, quali lingue, economia domestica o educazione civica, e iniziando dai bambini più piccoli. Anche altri gruppi, quali gli anziani, i disabili e le minoranze etniche, hanno bisogno di particolare aiuto, che può essere fornito da organizzazioni sociali a carattere locale. A livello europeo potrebbero essere poi raccolti e integrati esempi delle migliori prassi esistenti.

3.6.1

Il Comitato incoraggia la Commissione a promuovere campagne sulla salute e sulla nutrizione, avvalendosi dei propri programmi sulla salute pubblica.

3.7

Piuttosto che designare categoricamente alcuni alimenti come «buoni» o «cattivi», il Comitato tenderebbe invece a sottolineare l'importanza di una dieta generale equilibrata e moderata. Quanto all'articolo 4 sui profili nutrizionali, le proposte della Commissione devono essere più specifiche, in modo che i produttori sappiano esattamente come profilarsi.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Articolo 1, paragrafo 2. Il Comitato condivide l'inclusione in questo articolo delle indicazioni relative ai prodotti alimentari destinati agli ospedali, ai ristoranti e alle scuole, visto il numero elevato di consumatori interessati, molti dei quali vulnerabili, ma mette in discussione la praticità della proposta per quanto riguarda sia la sua attuazione che la sua applicazione.

4.1.1

Articolo 1, paragrafo 4. Il Comitato fa osservare la particolare importanza degli alimenti per specifici usi nutrizionali destinati a categorie di consumatori vulnerabili.

4.2

Articolo 2, Definizioni, paragrafo 1. Il Comitato si chiede se si possano sviluppare nomi commerciali per esprimere particolari caratteristiche nutrizionali o mediche, in modo da evitare di giustificare le indicazioni implicite.

4.2.1

Articolo 2, paragrafo 2. Fra i nutrienti elencati figura il sodio. I riferimenti sia al sale che al sodio confondono i consumatori, e devono quindi essere chiariti.

4.2.2

Articolo 2, paragrafo 3. Articolo 2, paragrafo 3: la definizione fornita è eccessivamente generica: sarebbe quindi opportuno specificare che si fa riferimento ad ogni sostanza che abbia un effetto nutrizionale o fisiologico, compresi i fattori probiotici e gli enzimi contenuti in molti alimenti, tra cui gli yogurt, il miele, ecc.

4.2.3

Articolo 2, paragrafo 8. Il Comitato osserva che la Commissione fa propria la definizione di «consumatore medio» fornita dalla Corte di giustizia delle Comunità europee, e teme che molti consumatori con scarsa preparazione scolastica e limitate competenze alimentari non siano in grado di capire le implicazioni di determinate indicazioni, soprattutto di quelle espresse in percentuali, né le etichettature che le illustrano.

4.3

Articolo 4, paragrafo 1. Il Comitato giudica significativo che questo articolo sul profilo nutrizionale non compaia nella versione originaria della proposta. Benché approvato dall'OMS e dagli Stati membri, l'industria alimentare lo considera infatti poco pratico e inutilmente restrittivo: sono i consumatori stessi che dovrebbero essere responsabili delle proprie scelte in materia di alimentazione generale. Ciononostante, il Comitato riconosce che i consumatori sono talmente influenzati dalle indicazioni sui benefici degli alimenti, specifici e comprovati (esempio: basso tenore di grassi, zuccheri o sale), che potrebbero ignorare la possibilità che tali alimenti contengano anche un'elevata percentuale di altri nutrienti indesiderati (esempio: i dessert a base di gelato, acquistati perché sono per il 98 % esenti da grassi, ma che tuttavia contengono enormi quantità di zuccheri, cosa di cui i consumatori non sono consapevoli). Sottolineare la comprovata «virtù» di un prodotto, omettendone i suoi altri «vizi», può essere sì veritiero ed accurato, ma risultare fuorviante per i consumatori.

4.3.1

Il Comitato chiede pertanto alla Commissione di esprimersi in termini nettamente più chiari nelle proposte in materia di profilo nutrizionale e, come compromesso provvisorio, di limitare le indicazioni sulla salute riportate sui prodotti alimentari agli ingredienti soggetti ad eccessivo consumo e nocivi per la salute.

4.3.2

Il Comitato è consapevole che i risultati non sempre saranno chiari: per alcuni prodotti «borderline» (quali i succhi di frutta e il latte intero) ci saranno infatti aree e«grigi», che richiederanno una particolare valutazione da parte dell'EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare).

4.4

Articolo 6, paragrafo 3. Il ruolo delle «autorità competenti», cui fa riferimento anche l'articolo 24, dovrebbe essere esteso, e le loro relazioni con l'EFSA andrebbero definite.

4.5

Capitolo III. Pur condividendo la necessità di raffronti, il Comitato osserva che sarebbe opportuno che i caratteri di stampa utilizzati per esprimere il confronto fossero leggibili (per esempio: l'etichetta «30 % in meno di grassi» e, in lettere più piccole, «rispetto alla marca standard»). La proposta dovrebbe inoltre chiarire che non è necessario indicare le sostanze che non sono presenti nel prodotto (es: «Questo prodotto non contiene vitamine A o C»).

4.6

Capitolo IV, articolo 10. Il Comitato accoglie con favore le condizioni specifiche cui devono ottemperare le indicazioni sulla salute: è infatti necessaria particolare attenzione per quei prodotti la cui scelta è più esposta a fattori emotivi, e i cui consumatori probabilmente non conoscono i termini scientifici. Auspica che la Commissione faccia in modo che le indicazioni fornite siano proprie del prodotto in oggetto, e non di altri usati in concomitanza (esempio: si indica che alcuni cereali destinati alla colazione contribuiscono alla «salute delle ossa», mentre è il latte che li accompagna a fornire l'apporto di calcio).

4.7

Articolo 11, paragrafo 1, lettera d). Il Comitato riconosce il ruolo di determinate organizzazioni professionali e di volontariato nel promuovere una dieta più sana, come mezzo per prevenire malattie specifiche, e auspica che esse forniscano consulenza specialistica. Sarebbe tuttavia opportuno controllarne la possibile dipendenza da aiuti finanziari o da sponsor: esse potrebbero infatti avallare determinati alimenti per motivi semplicemente promozionali, non basati su alcuna norma né aperti alla concorrenza di altre marche. È inoltre necessario mettere a punto criteri chiari a proposito dell'accettabilità dello sponsor.

4.8

Il Comitato si chiede se alcune indicazioni sulla salute o sul benessere generale (ad esempio la dicitura «prodotto senza coloranti») oppure sulle proprietà dimagranti del prodotto possano essere accettate, se adempiono alle condizioni previste.

4.9

Articolo 14, paragrafo 1, lettera c). Questo e altri punti contengono riferimenti alla disponibilità di documentazione per il pubblico. Il Comitato approva tale pubblicità, ma auspica che ci si adoperi per raggiungere anche il grande pubblico. (Cfr. anche articolo 15, paragrafo 6, e articolo 17, paragrafo 2).

4.9.1

Articolo 14, paragrafo 2. Il Comitato si chiede se le procedure di conformità esposte dalla Commissione non siano inutilmente complesse. Le disposizioni in materia di approvazione preventiva potrebbero essere modificate, e si potrebbe fare maggiore affidamento sul registro dell'EFSA. Si chiede inoltre se il funzionamento dell'EFSA non sarà rallentato da queste nuove procedure. La formulazione del paragrafo 2 deve essere chiarita: il Comitato propone che solo le indicazioni debbano essere tradotte nelle lingue ufficiali dell'UE, ricordando che, per esigenze di marketing l'industria deve disporre di una certa flessibilità in materia di traduzione. Analogamente, per quanto riguarda l'articolo 15, si chiede se i termini siano ragionevoli o troppo lunghi, con conseguenti inutili ritardi nel processo di approvazione, dato che i paragrafi 1 e 2 lasciano all'EFSA il controllo dei tempi.

4.10

ALLEGATO. In linea di principio il Comitato accoglie con favore l'aggiunta dell'allegato, che cerca di chiarire le definizioni e di fornire una guida pratica ai produttori. Riconosce la necessità che, in una società globale, questo allegato tenga pienamente conto del Codex Alimentarius e dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Chiede inoltre alla Commissione di far intervenire un esperto, che proceda ad una precisazione immediata e dettagliata di ogni clausola (esempio: l'uso dei termini «naturale» e «naturalmente») prima che il regolamento sia adottato e l'argomento sia quindi definitivamente chiuso. Trova discutibile l'interpretazione di «leggero»: è infatti più probabile che i consumatori lo interpretino come a basso contenuto di grassi «piuttosto che »a tasso ridotto di grassi, come invece propone la Commissione.

5.   Conclusioni

5.1

Il Comitato considera la proposta in esame come un importante passo in avanti, sia per la protezione dei consumatori che per l'armonizzazione delle norme nel mercato interno. Attende con interesse di vedere dei progressi sull'etichettatura nutrizionale obbligatoria, pur riconoscendo che non è questa l'unica soluzione al problema della comunicazione con i consumatori.

5.2

Condivide gli obiettivi generali della proposta in esame, ma fa presente la necessità di semplificare le procedure e di procedere ad un'attenta verifica dei tempi. Inoltre, il Comitato raccomanda alcuni compromessi, che potrebbero rivelarsi necessari per trovare un equilibrio tra, da parte dei consumatori, la richiesta di informazioni più documentate,e, da parte dell'industria, la necessità di operare in un mercato libero da restrizioni. Sottolinea l'importanza dell'educazione dei consumatori ed il ruolo che tutti gli interessati devono svolgere per contribuirvi.

Bruxelles, 26 febbraio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Cfr. Indagine effettuata dalla Consumers' Association britannica nell'aprile del 2000.


30.4.2004   

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C 110/22


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che stabilisce norme di polizia sanitaria per le importazioni nella Comunità di determinati ungulati vivi e recante modifica delle direttive 90/426/CEE e 92/65/CEE

(COM(2003) 570 def. - 2003/0024 (CNS))

(2004/C 110/06)

Il Consiglio, in data 16 ottobre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 37 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere, in data 5 febbraio 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore Donnelly.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 febbraio 2004, nel corso della 406a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 106 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Le recenti epidemie di afta epizootica e di peste suina classica hanno indotto i responsabili a rivedere radicalmente le misure comunitarie destinate a prevenire e combattere queste malattie degli animali. Contro la possibilità di nuove epidemie, la Commissione propone tra l'altro di razionalizzare, rafforzare e adeguare la legislazione relativa all'importazione nella Comunità di animali selvatici e domestici appartenenti alle specie sensibili all'afta epizootica o alla peste suina classica o a entrambe le malattie.

1.2

La direttiva 72/462/CEE (1) del Consiglio, del dicembre 1972, relativa a problemi sanitari e di polizia sanitaria attinenti all'importazione da paesi terzi di animali di specie bovina, ovina, caprina e suina, nonché di carni fresche o prodotti a base di carne, assicura un elevato livello di protezione della salute animale dettando i requisiti sanitari generici che devono soddisfare determinate importazioni in provenienza da paesi terzi. Tuttavia il pacchetto normativo sull'igiene prevede che la direttiva 2002/99/CE (2) del Consiglio, che stabilisce norme di polizia sanitaria per la produzione, la trasformazione, la distribuzione e l'introduzione di prodotti di origine animale destinati al consumo umano, sostituisca la direttiva 72/462/CEE per quanto riguarda i requisiti applicabili alle carni e ai prodotti a base di carne. La proposta in esame, sull'importazione di determinati ungulati vivi, e le modifiche delle direttive 90/426/CEE (3) e 92/65/CEE (4) avranno come effetto complessivo l'abrogazione della direttiva 72/462/CEE del Consiglio.

1.3

In applicazione della direttiva 90/426/CEE del Consiglio, del 26 giugno 1990, relativa alle condizioni di polizia sanitaria che disciplinano i movimenti di equidi e le importazioni di equidi in provenienza dai paesi terzi, le importazioni di equidi destinati alla Comunità sono autorizzate unicamente in provenienza da paesi terzi compresi in un elenco compilato ai sensi della direttiva 72/462/CEE. Questo regime dovrà perciò essere modificato per soddisfare i nuovi requisiti introdotti con il processo di aggiornamento e rafforzamento.

1.4

La direttiva 92/65/CEE del Consiglio, del 13 luglio 1992, che stabilisce norme sanitarie per le operazioni di importazione nella Comunità di animali, sperma, ovuli ed embrioni non soggetti, per quanto riguarda le condizioni di polizia sanitaria, alle normative comunitarie specifiche di cui all'allegato A, sezione I, della direttiva 90/426/CEE, fissa le condizioni per l'importazione nella Comunità di ungulati diversi dagli animali domestici di specie bovina, ovina, caprina, suina ed equina. Anche la direttiva 92/65 dovrà essere modificata: il nuovo testo proposto, infatti, detta norme relative non solo agli ungulati domestici, ma anche a quelli selvatici. La direttiva andrà modificata anche per conformarla ai criteri introdotti dalla nuova proposta per la compilazione dell'elenco di paesi terzi autorizzati.

2.   Sintesi della proposta della Commissione

2.1

La proposta in esame stabilisce norme di polizia sanitaria applicabili all'importazione nella Comunità di ungulati vivi delle specie elencate nell'allegato I.

2.2

Essa consolida in un unico atto legislativo le condizioni di polizia sanitaria relative all'importazione di tutte le specie di ungulati e tiene conto delle norme comunitarie sul benessere degli animali.

2.3

Inoltre, la proposta spiega quali siano le condizioni per il rilascio a paesi terzi dell'autorizzazione ad esportare equidi (per es. cavalli) nell'UE e modifica di conseguenza le direttive 90/426/CEE e 92/65/CEE.

2.4

L'articolo 4 detta condizioni specifiche da rispettare nella compilazione degli elenchi di paesi terzi autorizzati: sono da considerare, tra l'altro, l'esperienza in materia di importazione di animali vivi e i risultati delle ispezioni e dei controlli condotti nel paese terzo.

2.5

Gli articoli 8 e 9 della proposta prevedono deroghe tendenti a introdurre una certa flessibilità, per esempio nel caso in cui gli animali siano importati a scopo di manifestazioni sportive, spettacoli di circo, rappresentazioni e mostre.

2.6

La Commissione prevede di realizzare ispezioni e controlli per verificare che le norme dei paesi terzi siano conformi o equivalenti alle norme comunitarie di polizia sanitaria.

2.7

La Commissione prevede di estendere alla proposta in esame le nuove procedure di comitato istituite con il regolamento (CE) n. 178/2002 (5), che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l'Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il Comitato accoglie con favore la proposta in esame, che rientra nel processo in corso di revisione delle misure comunitarie per la prevenzione e il contrasto dell'afta epizootica e della peste suina classica.

3.2

Il Comitato appoggia l'idea di consolidare in un'unica direttiva le norme che regolano l'importazione di ungulati selvatici e domestici.

3.3

Il Comitato approva vivamente l'inclusione nella proposta dei requisiti generali di benessere degli animali dettati dalla direttiva 91/628/CEE (6) del Consiglio relativa alla protezione degli animali durante il trasporto, soprattutto per quanto riguarda l'abbeveraggio e l'alimentazione.

3.4

Il Comitato si compiace dell'intenzione della Commissione di ricorrere alle nuove procedure di comitato, in quanto consentono di reagire tempestivamente sulla scorta di consulenze scientifiche.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Pur riconoscendo che la flessibilità introdotta con le deroghe è auspicabile, il Comitato sottolinea che, per evitare di accrescere il rischio di importare individui malati, la concessione di deroghe andrebbe sempre esaminata caso per caso.

4.2

Il Comitato è consapevole dell'esistenza di nuovi rischi potenziali legati ai nuovi confini esterni dell'UE dopo l'allargamento. Raccomanda quindi alla Commissione di mettere a disposizione risorse sufficienti per le ispezioni e i controlli nei paesi terzi.

5.   Conclusioni

5.1

Nell'interesse della tutela della salute degli animali e della coerenza delle disposizioni comunitarie, il Comitato appoggia la proposta della Commissione.

Bruxelles, 25 febbraio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale

Roger BRIESCH


(1)  GU L 302 del 31.12.1972, pagg. 28-54.

(2)  GU L 18 del 23.1.2003, pagg. 11-20.

(3)  GU L 224 del 18.8.1990, pagg. 42-54.

(4)  GU L 268 del 14.9.1992, pagg. 54-72.

(5)  GU L 31 dell'1.2.2002, pagg. 1-24.

(6)  GU L 340 dell'11.12.1991, pagg. 17-27.


30.4.2004   

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Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Consiglio relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore dell'olio di oliva e delle olive da tavola e recante modifica del regolamento (CEE) n. 827/68

(COM(2003) 698 def. - 2003/0279 (CNS))

(2004/C 110/07)

Il Consiglio, in data 1o dicembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 36 e dell'articolo 37, paragrafo 2, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 febbraio 2004, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SANTIAGO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 febbraio 2004, nel corso della 406a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 103 voti favorevoli, 3 voti contrari e 2 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

La Commissione propone di modificare il regolamento n. 136/66/CEE, relativo al settore dei grassi, che non sarà più in vigore a partire dal 1o novembre 2004. Il nuovo regolamento concerne l'olio d'oliva e le olive da tavola e contiene disposizioni relative al mercato interno, agli scambi con i paesi terzi e alla promozione della qualità in senso lato. Dopo una campagna di transizione di otto mesi nel 2004, la Commissione propone che la campagna di commercializzazione dell'olio d'oliva inizi il 1o luglio di ogni anno, a partire dal 2005. La Commissione propone inoltre di mantenere inalterate le misure esistenti per l'ammasso privato dell'olio d'oliva e di sopprimere le restituzioni relative alle esportazioni e alla produzione di conserve alimentari in olio d'oliva. Saranno infine potenziate le attuali misure a favore della qualità e della rintracciabilità.

2.   Osservazioni generali

2.1

Il CESE è favorevole alla semplificazione amministrativa introdotta dalla nuova proposta, in merito alla quale, tuttavia, è opportuno osservare quanto segue:

2.2

Organizzazioni di operatori (articolo 7). Le organizzazioni riconosciute degli operatori dovrebbero comprendere unicamente le organizzazioni dei produttori, le organizzazioni interprofessionali riconosciute, e nessun'altra. Il Comitato ritiene che in questo modo la salvaguardia degli interessi dei produttori e degli addetti alla trasformazione farebbe un passo avanti rispetto alla situazione attuale, caratterizzata dall'intervento di persone estranee al settore.

2.3

Programmi di diffusione delle informazioni (articolo 8). I programmi triennali volti a migliorare la qualità, l'impatto ambientale dell'olivicoltura, la diffusione delle informazioni e la promozione dovrebbero poter essere attuati anche nei paesi terzi e negli Stati membri che già producono o che hanno appena avviato la produzione, o ancora che rappresentano consumatori nuovi o potenziali, ad esempio la Francia, l'Australia, il Perù e altri paesi.

2.3.1

Il CESE ritiene che la promozione di una strategia di qualità per l'olio di oliva sia di capitale importanza per il settore e sottolinea la necessità di rafforzare il finanziamento di queste misure, la cui esecuzione risulterebbe più efficace se venissero integrate nella rispettiva OCM.

2.3.2

Il CESE richiama l'attenzione della Commissione sull'importanza del lavoro svolto dal Consiglio oleicolo internazionale (COI) a proposito di aspetti fondamentali quali la promozione e il miglioramento della qualità dell'olio d'oliva. Il Comitato insiste affinché queste attività, sottoposte ad adeguati controlli, continuino ad essere portate avanti dal COI.

2.3.3

Il CESE ritiene che tra i programmi di azione delle organizzazioni professionali dovrebbero essere inserite la concentrazione dell'offerta e la commercializzazione di oli imbottigliati con marchio proprio nel settore della produzione.

2.4

Regime di scambi con i paesi terzi (articolo 11). La sospensione parziale o totale dell'applicazione dei dazi doganali non sembra necessaria per un prodotto non deperibile come l'olio d'oliva in un mercato in espansione. La Commissione giustifica questa misura al quattordicesimo considerando quando invoca la necessità di assicurare un adeguato approvvigionamento di olio di oliva nel mercato interno e sottolinea parallelamente che le esportazioni di olio di oliva sono duplicate negli ultimi dieci anni.

2.5

Restituzioni alle esportazioni. È opportuno che le restituzioni vengano mantenute durante un certo tempo, al fine di valutare l'impatto della riforma attuale sugli sviluppi della produzione e del prezzo dell'olio di oliva nell'UE. Sul piano pratico, tale regime non ha alcun risvolto finanziario, dato che dal 1998 le restituzioni sono fissate a zero. Se mantenuto, tuttavia, potrebbe essere attuato nei casi in cui la proposta provochi gravi perturbazioni del mercato, assicurando in tal modo la competitività dell'olio di oliva comunitario sul mercato mondiale.

2.6

Aiuti all'ammasso privato. Questo sistema ha già dimostrato di non essere efficace in quanto poco adatto alle realtà del mercato. Esso deve rappresentare un sistema agile, in grado di essere attivato automaticamente, e destinato unicamente a risolvere crisi gravi del settore. È inoltre necessario aggiornare i prezzi dell'attivazione in funzione dei prezzi attuali.

2.7

Norme di qualità. Il CESE torna ad insistere sulla necessità di vietare totalmente, nell'Unione europea, miscele di olio di oliva con altri oli vegetali (1).

2.7.1

La difficoltà tecnica di analizzare e controllare le miscele, la percentuale di olio di oliva contenuto e la sua qualità, impedisce di verificare la piena osservanza delle disposizioni di cui all'articolo 6 del regolamento 1019/2002. Questo rende possibili le frodi, le quali contribuiscono solo a danneggiare la qualità e l'immagine dell'olio di oliva penalizzando i consumatori.

2.7.2

L'introduzione di oli alimentari nelle miscele a base di olio di oliva non solo penalizza un alimento di elevata qualità ma induce anche il consumatore ad acquistare un prodotto che dal punto di vista della qualità alimentare è riconosciuto inferiore all'olio di oliva.

2.8

Denominazione di origine. Per difendere e promuovere la qualità, il CESE ribadisce che la provenienza dell'olio di oliva deve essere determinata in funzione del luogo di origine delle olive.

2.9

Il CESE desidera richiamare l'attenzione della Commissione e dei paesi produttori sulla grave situazione che caratterizza il sottosettore dell'olio di sansa, conseguentemente alla cosiddetta crisi del benzopirene che, iniziata nel luglio 2001, ha provocato elevate perdite nel settore, determinando una diminuzione del 70 % del prezzo e del 50 % dei consumi rispetto ai valori registrati prima della crisi.

2.9.1

Il CESE chiede alla Commissione di fissare il contenuto massimo di idrocarburi aromatici policiclici (PAH) nell'olio di sansa, una misura attesa da più di due anni, il che ha prodotto gravi danni al settore.

Bruxelles, 25 febbraio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Cfr. NAT/102; GU C 221 del 7.8.2001, pagg. 68-73.


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 110/26


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni: Pari opportunità per le persone con disabilità - un piano d'azione europeo

(COM(2003) 650 def.)

(2004/C 110/08)

La Commissione europea, in data 30 ottobre 2003, ha adottato la proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 febbraio 2004 sulla base del progetto predisposto dal relatore CABRA DE LUNA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 febbraio 2004, nel corso della 406a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 116 voti favorevoli, nessun voto contrario e 1 astensione.

1.   Introduzione

1.1

Il Comitato accoglie con grande interesse la comunicazione della Commissione Pari opportunità per le persone con disabilità: un piano d'azione europeo; in numerosi documenti esso ha infatti sottolineato che il successo dell'Anno europeo delle persone con disabilità va misurato sulla base dei risultati concreti che ne deriveranno e la comunicazione fornisce un utile quadro a questo fine.

1.2

I disabili (1) rappresentano il 10 % della popolazione, una percentuale destinata ad aumentare con l'invecchiamento delle nostre società: ciò significa che nell'Unione europea allargata le persone affette da disabilità saranno quasi 50 milioni. Se a questa cifra si aggiungono poi i parenti dei disabili, è chiaro che non si parla più di un'esigua minoranza della popolazione.

1.3

Nel corso dell'anno il Comitato ha dedicato sempre maggiore attenzione alle problematiche legate alle disabilità: tra le iniziative adottate si citerà l'elaborazione del parere sulla Convenzione delle Nazioni Unite per i diritti delle persone con disabilità (2), l'organizzazione di due seminari dedicati all'occupazione dei disabili e alla valutazione dell'Anno europeo, la preparazione di una nota orientativa sull'integrazione del tema della disabilità nel lavoro del CESE e l'organizzazione di una mostra di pittori disabili presso la sede del Comitato. La cooperazione tra il CESE e il Forum europeo delle disabilità, nonché con altre organizzazioni, ha continuato a rivelarsi molto utile.

1.4

Il Comitato ritiene che l'Anno europeo abbia contribuito a sensibilizzare la società ai problemi dei disabili. Uno degli obiettivi principali dell'Anno europeo era appunto sottolineare l'importanza di un approccio alle disabilità basato sui diritti. Va osservato tuttavia che le differenti iniziative legislative nazionali volte a tutelare i disabili contro la discriminazione stanno producendo divari crescenti tra gli Stati membri, che finiscono per danneggiare l'idea di un'Europa sociale e rischiano di creare ulteriori ostacoli ad un mercato interno degno di tale nome.

1.5

L'iniziativa delle Nazioni Unite di promuovere una Convenzione tematica sui diritti delle persone con disabilità ha contribuito al riconoscimento della disabilità come tema attinente ai diritti umani.

1.6

La nuova Costituzione europea farà maggiore riferimento alle questioni attinenti alle disabilità: è prevista tra l'altro una clausola che impone di integrare la lotta alla discriminazione nell'ambito di tutti i settori di intervento. Sarà opportuno analizzare ulteriormente il potenziale di tale clausola.

1.7

Suscita particolare compiacimento il fatto che nel Trattato sull'Unione europea sarà incorporata la Carta europea dei diritti fondamentali, compreso l'articolo 21, che vieta la discriminazione fondata, tra l'altro, sugli handicap e l'articolo 26, relativo all'inserimento dei disabili, che riconosce l'esigenza di misure intese a garantirne l'autonomia, l'inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità.

1.8

I recenti dati Eurostat sull'occupazione dei disabili indicano che il 78 % delle persone in età lavorativa affette da gravi disabilità non fa parte della forza lavoro contro il 27 % dei non disabili. Per quanto riguarda le persone che fanno parte della forza lavoro, il tasso di disoccupazione è quasi due volte più elevato tra le persone colpite da disabilità gravi che tra i non disabili. Solo il 16 % di quanti risentono di impedimenti nello svolgere un lavoro beneficiano di una qualche assistenza in questo senso (3). La suddivisione delle cifre in base al genere dimostra poi che per le donne affette da disabilità la situazione è ancora più grave.

2.   Osservazioni e suggerimenti relativi alla proposta della Commissione

2.1

Il Comitato si compiace del fatto che l'Anno europeo delle persone con disabilità abbia prodotto un concreto piano di azione per il periodo 2004-2010. Va però sottolineato che il piano di azione soffre in certa misura di una mancanza di ambizione; il Comitato desidera quindi proporre alcuni elementi aggiuntivi, di cui tener conto possibilmente fin dalla prima fase del piano di azione oppure, qualora ciò non sia possibile, a partire da dopo il 2005.

2.2

In un precedente parere (4), il Comitato proponeva di applicare il metodo aperto di coordinamento alle politiche in materia di disabilità. Accoglie pertanto con favore la proposta, riflessa nella comunicazione della Commissione, di presentare relazioni biennali sulle disabilità. Ritiene che queste relazioni debbano basarsi su orientamenti comuni, in modo da consentire una valutazione comparativa tra i differenti Stati. Oltre all'occupazione, che costituisce ovviamente una priorità per le persone con disabilità, le relazioni dovrebbero trattare anche altri settori di intervento, mentre l'inclusione sociale e la piena partecipazione dei disabili alla vita sociale dovrebbero costituire un principio guida e un obiettivo generale. Il Comitato propone che i risultati di queste relazioni biennali vengano presentati al Consiglio Occupazione e affari sociali. Si reputa inoltre essenziale coinvolgere in questo processo le associazioni di persone con disabilità di livello nazionale e comunitario.

2.3

Il Comitato si compiace anche dei riferimenti contenuti nella comunicazione della Commissione al progetto di capacity-building avviato dal Forum europeo delle persone con disabilità in 10 paesi in via di adesione. Affinché si possa sviluppare ulteriormente il lavoro avviato nell'ambito di quel progetto, sarebbe auspicabile che, nel corso di un periodo di transizione, venisse dedicata particolare attenzione alle organizzazioni delle persone con disabilità nei 10 paesi in via di adesione. In particolare si dovrebbe agire con misure mirate per consentire a queste organizzazioni di accrescere le proprie conoscenze e diventare così realmente attive nell'applicazione delle politiche dell'UE in favore dei disabili. È necessario accrescere il sostegno destinato alle organizzazioni dei paesi candidati che non aderiranno all'UE nel maggio 2004.

2.4

Il Comitato accoglie con favore il proposito espresso nella comunicazione di elaborare un documento di lavoro sull'integrazione del tema delle disabilità in tutti gli orientamenti in materia di occupazione. Oltre a ciò si dovrebbe elaborare un vero e proprio meccanismo di osservazione che consenta di rivolgere a ciascuno Stato membro specifiche raccomandazioni in merito ai risultati conseguiti in questo senso, dando priorità all'occupazione dei disabili sul mercato del lavoro aperto, ivi compresa la loro assunzione da parte di enti e organismi pubblici, nonché ai provvedimenti adottati per combattere la disoccupazione dei disabili nelle zone rurali. In questo processo è di fondamentale importanza il ruolo delle parti sociali. Alla luce dell'evoluzione demografica delle nostre società, l'aumento del tasso di occupazione dei disabili può avere un enorme impatto positivo anche da un punto di vista economico.

2.5

Il Comitato accoglie con favore la proposta contenuta nella comunicazione della Commissione di utilizzare i fondi strutturali per promuovere l'inclusione sociale delle persone con disabilità. Ciò dovrebbe essere realizzato attraverso un duplice approccio, da inserirsi nella nuova regolamentazione UE sui fondi strutturali che la Commissione europea presenterà nel maggio 2004, che preveda da un lato il finanziamento di progetti specifici relativi alle disabilità e dall'altro imponga criteri obbligatori di accessibilità a tutti i progetti finanziati con tali fondi. Il processo di revisione dei fondi strutturali attualmente in corso dovrà tra l'altro riconoscere l'importanza fondamentale delle disabilità e dei disabili in quanto settore di intervento e target group di cui tener conto sia a livello comunitario che degli Stati membri, a prescindere dalle nuove prospettive finanziarie.

2.6

Il Comitato ha monitorato accuratamente il processo attraverso il quale si è giunti alle nuove direttive dell'UE in materia di appalti pubblici (5). Gli appalti pubblici hanno un potenziale enorme ai fini dell'occupazione delle persone con disabilità e dell'accessibilità dei trasporti pubblici e delle strutture architettoniche come pure ai fini della produzione di beni e servizi accessibili. Il Comitato si compiace pertanto dell'impegno a produrre uno strumento per agevolare l'inserimento nei bandi di gara degli appalti pubblici di requisiti di accessibilità in materia di tecnologie dell'informazione e della comunicazione e propone di introdurre requisiti analoghi per altri prodotti e servizi.

2.7

Il Comitato sottolinea gli effetti negativi del mancato recepimento, nella maggior parte degli Stati membri, della direttiva 2000/78 sulla parità di trattamento in materia di condizioni di lavoro. Invita la Commissione europea a fare pieno uso degli strumenti disponibili nei confronti degli Stati membri che non hanno applicato la direttiva o che non l'hanno applicata correttamente. Occorre inoltre adottare misure per accrescere la capacità delle organizzazioni delle persone con disabilità, delle parti sociali e dell'apparato giudiziario di garantire un'applicazione efficace della direttiva.

2.8

Il Comitato ha chiesto in vari pareri (6) l'adozione di una direttiva specifica sulle disabilità, basata sull'articolo 13 del Trattato, per combattere la discriminazione a danno dei disabili in tutti i settori. È pertanto molto deluso dal fatto che la comunicazione della Commissione non contenga alcun accenno a una tale iniziativa. Pur rendendosi conto delle difficoltà che comporterebbe attualmente l'avvio di una tale iniziativa, il Comitato si sarebbe quanto meno atteso che venisse riconosciuta la necessità di una regolamentazione di questo tipo nonché di una serie di azioni preparatorie volte a facilitarne la realizzazione.

2.9

Il Comitato ritiene che una siffatta direttiva garantirebbe un livello minimo di protezione contro la discriminazione di ogni campo su tutto il territorio comunitario, mentre la sua applicazione al settore dell'accesso ai beni e ai servizi contribuirebbe anche a rendere più efficiente il mercato unico.

2.10

Il Comitato riconosce l'importanza dei mezzi di informazione nel migliorare l'immagine sociale dei disabili. Auspica che venga costituita una rete europea sui mezzi di informazione e le disabilità, che potrebbe contribuire ulteriormente a migliorare l'immagine delle persone con disabilità nei mezzi di informazione promovendo tra l'altro lo scambio di buone pratiche tra i mezzi di informazione. Si potrebbe utilizzare come modello la rete sulle disabilità del settore audiovisivo e culturale (Broadcasting and Creative Industries Disability Network) del Regno Unito.

2.11

Il Comitato si compiace dell'attenzione che il piano di azione dedica all'accessibilità, ritiene tuttavia che le proposte avanzate non raggiungeranno l'obiettivo. Occorrerebbe piuttosto definire un adeguato quadro di intervento che fornisca incentivi finanziari alle imprese che rendono accessibili le proprie sedi e i propri servizi; integrato da campagne di sensibilizzazione destinate alle imprese che evidenzino l'importanza dei disabili in quanto consumatori. All'occorrenza si dovrebbero inoltre introdurre requisiti di legge obbligatori in materia di accessibilità.

2.12

Il Comitato accoglie con favore la relazione del gruppo di esperti sull'accessibilità degli edifici, chiede alla Commissione europea di dare attuazione a tutte le sue raccomandazioni, in particolare a quelle relative alla direttiva 89/106/CEE sui prodotti da costruzione. Ritiene inoltre opportuno avviare delle azioni per dar seguito allo studio sui criteri armonizzati per l'accessibilità dei siti turistici (7); si tratta di un obiettivo che può essere promosso anzitutto grazie ad un'adeguata legislazione e ad un uso opportuno dei fondi pubblici.

2.13

Il Comitato accoglie con favore anche la recente relazione della Commissione europea sulle tecnologie al servizio delle persone con disabilità e auspica una tempestiva attuazione delle relative raccomandazioni, conto tenuto in particolare del mercato unico e della necessità per gli Stati membri di assicurare una maggiore trasparenza dei prodotti e dei sistemi di rimborso.

3.   Ulteriori raccomandazioni ed impegni

3.1

Nella sua precedente relazione, il Comitato ha sottolineato l'esigenza di integrare la questione delle disabilità in tutti i settori di intervento. Si compiace pertanto del fatto che, nel quadro delle iniziative che fanno seguito all'Anno europeo delle persone con disabilità, venga istituita una voce di bilancio per finanziare un progetto pilota dedicato all'integrazione di azioni relative alla disabilità nei vari campi di intervento. Reputa che tale progetto costituisca un primo passo verso uno specifico programma di azione, dedicato all'integrazione della questione delle disabilità in tutti i settori di intervento pertinenti.

3.2

A questo riguardo, il Comitato suggerisce una serie di azioni che potrebbero essere intraprese nel quadro del progetto pilota:

la preparazione di un documento orientativo contenente indicazioni sul come integrare il tema delle disabilità in tutti i settori di intervento, da mettere a disposizione dei responsabili dell'elaborazione delle varie politiche all'interno della Commissione europea; tale documento sarà collegato alla metodologia della valutazione di impatto,

il finanziamento di azioni volte ad accrescere la capacità delle organizzazioni nazionali per le disabilità di partecipare attivamente all'elaborazione dei piani di azione nazionali per l'occupazione e l'inclusione sociale,

la definizione di indicatori statistici volti a misurare l'impatto reale dell'integrazione del tema delle disabilità nei vari campi di intervento,

il finanziamento di azioni in materia di scambio di informazioni sulle migliori pratiche per l'integrazione del tema delle disabilità nelle politiche nazionali,

una speciale attenzione per i disabili dei nuovi Stati membri in tutte le misure finanziate nel quadro del progetto pilota,

il finanziamento di una rete europea sui mezzi di informazione e le disabilità.

3.3

Il CESE nutre aspettative positive nei confronti del Libro verde di prossima pubblicazione dedicato alla lotta contro la discriminazione e sottolinea l'esigenza di un impegno chiaro a elaborare una direttiva specifica sulle disabilità.

3.4

Si compiace dell'impegno profuso da alcune grandi imprese europee nel quadro dell'Anno europeo. Osserva che non bisogna sottovalutare il loro ruolo di stimolo nei confronti di altre imprese. Come già detto nella precedente relazione, il CESE è favorevole alla creazione di una rete europea dedicata al rapporto tra attività produttive e disabilità: che costituirebbe un risultato concreto dell'Anno europeo. Questa rete potrebbe contribuire al miglioramento del quadro legislativo a favore dell'occupazione dei disabili e la produzione di beni e servizi accessibili, aumentando così la rilevanza delle disabilità per il mondo produttivo. Essa fornirebbe inoltre informazioni utili alle nuove imprese interessate ad un maggiore coinvolgimento attivo nelle questioni inerenti alle disabilità, con un impegno particolare nei confronti delle PMI.

3.5

Accoglie con favore la campagna condotta dalla Confederazione europea dei sindacati e dai suoi membri e sottolinea l'importante ruolo svolto dalle organizzazioni sindacali, invitandole a dedicare un'attenzione ancora maggiore alle questioni connesse alle disabilità.

3.6

In tutte le precedenti relazioni, il Comitato ha sottolineato l'importanza di coinvolgere le organizzazioni rappresentative delle persone con disabilità nel processo di elaborazione delle politiche a tutti i livelli. Tutte le istituzioni dell'UE hanno preso atto della rappresentatività del Forum europeo delle disabilità, cui va pertanto riconosciuto uno status speciale. Un Forum europeo delle disabilità forte e indipendente, che svolga attività di vigilanza costituisce una delle migliori garanzie per il rispetto sistematico dei diritti dei disabili in tutte le iniziative dell'UE.

3.7

Senza i suoi membri nazionali ed europei, il Forum non potrebbe svolgere la propria funzione: il sostegno finanziario fornito dalla Commissione alle organizzazioni europee che si occupano di handicap specifici e che fanno parte del Forum è pertanto di vitale importanza e deve essere mantenuto. Solo fornendo un sostegno finanziario a queste organizzazioni si garantisce il rispetto della diversità del movimento a favore dei disabili.

3.8

Il Comitato auspica che venga istituita una struttura per il monitoraggio del piano di azione della Commissione. Per il buon esito di tale piano è essenziale la partecipazione di tutti i soggetti interessati, ivi compreso il Forum europeo delle disabilità. Il Comitato sarebbe lieto di fare parte di una tale struttura.

3.9

Il CESE si compiace dei risultati ottenuti dell'Anno europeo delle persone con disabilità ai fini dell'inserimento delle disabilità nei nuovi programmi politici in settori quali la gioventù e la cultura. Un buon esempio di ciò è dato dalla risoluzione del Consiglio sul tema Accessibilità alla infrastruttura culturale e attività culturali per le persone con disabilità (8). Il Comitato sottolinea quanto sia importante che tutti i progetti finanziati grazie a fondi dell'UE nei settori della cultura, della gioventù e dell'istruzione rispondano a criteri di accessibilità.

3.10

Il nuovo programma di lavoro della Commissione europea per il 2004 prevede varie iniziative che interessano i disabili; l'impegno a integrare la disabilità in tutti i campi di intervento dovrebbe garantire la presenza di adeguati riferimenti ai disabili in tali iniziative, tra le quali figurano:

la revisione di medio periodo dell'iniziativa e-Europe e il piano d'azione e-Europe per un'Europa allargata,

la strategia di sviluppo sostenibile, la nuova proposta della Commissione sui servizi del mercato interno e le future proposte in merito ai servizi di interesse generale,

una nuova serie di programmi nel settore dell'istruzione e della cultura per il periodo successivo al 2006,

la comunicazione della Commissione sui diritti dei passeggeri nel settore dei trasporti,

la comunicazione della Commissione sulle strategie di inclusione sociale dei paesi candidati,

la revisione dell'agenda sociale europea per il periodo successivo al 2005.

3.11

Il Comitato si compiace dei riferimenti al Gruppo ad alto livello sulle disabilità, il cui ruolo andrebbe a suo giudizio rafforzato. Occorre rendere permanente la partecipazione del Forum europeo delle disabilità alle riunioni del Gruppo ad alto livello, analogamente a quanto avviene nel quadro dei lavori del Comitato consultivo sulle pari opportunità tra donne e uomini; anche le parti sociali a livello europeo dovrebbero essere coinvolte nei lavori del Gruppo.

3.12

Il Comitato chiede che in tutti i futuri lavori nel campo dei diritti umani si tenga conto delle specifiche esigenze dei disabili e attende con interesse i risultati dello studio attualmente in corso relativo alla situazione dei disabili negli istituti di residenza, che dovrebbe non soltanto offrire una panoramica della situazione attuale, bensì avanzare proposte concrete per l'introduzione di misure alternative basate sull'inserimento in comunità di questi disabili, che costituiscono un gruppo numeroso.

3.13

Accoglie con favore il documento orientativo sulla cooperazione allo sviluppo e le disabilità, redatto in cooperazione con il Forum europeo delle disabilità e il Consorzio internazionale sulla disabilità e la cooperazione e presentato nel marzo 2003. Invita la Commissione europea ad attuare questi orientamenti onde garantire che le persone con disabilità beneficino dei fondi destinati alla cooperazione allo sviluppo anche in situazioni di emergenza e di interventi di aiuto umanitario.

3.14

Il Comitato si impegna a dedicare sempre maggiore attenzione alle questioni relative alle disabilità; lo sforzo compiuto per rendere pienamente accessibile la sua nuova sede dimostra l'autentico impegno del Comitato e la volontà di essere considerato come un esempio di tutela e di promozione dei diritti dei disabili e delle loro famiglie.

Bruxelles, 25 febbraio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Alla luce del nuovo approccio promosso dall'Anno europeo delle persone con disabilità potrebbe essere giunto il momento di rivedere la terminologia utilizzata per definire i disabili e le disabilità, superando la visione antiquata ancora diffusa in molti paesi.

(2)  GU C 133 del 6.6.2003.

(3)  Occupazione delle persone con disabilità in Europa nel 2002, Popolazione e condizioni sociali – THEME 3 – 26/2003 Eurostat, 25 novembre 2003

(4)  Integrare i disabili nella società, GU C 241 del 7.10.2002.

(5)  Parere in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture, servizi e di lavori, GU C 193 del 10.7.2001.

(6)  Integrare i disabili nella società, GU C 241 del 7.10.2002 e Proposta di decisione del Consiglio relativa all'Anno europeo delle persone con disabilità 2003 COM(2001) 271 def. – 2001/0116 (CNS), GU C 36 dell'8.2.2002.

(7)  Si veda anche il parere del CESE (INT/173) Un turismo accessibile a tutti e socialmente sostenibile. GU C 32 del 5.2.2004

(8)  Risoluzione del Consiglio Accessibilità all'infrastruttura culturale e alle attività culturali per le persone con disabilità, 5-6.V.2003, 8430/03 (Presse 114) 23.


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 110/30


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 90/434/CEE, del 23 luglio 1990, relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d'attivo ed agli scambi d'azioni concernenti società di Stati membri diversi

(COM(2003) 613 def. – 2003/0239 COD)

(2004/C 110/09)

Il Consiglio, in data 28 ottobre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 9 febbraio 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore RAVOET.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 febbraio, nel corso della 406a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 114 voti favorevoli, 1 voto contrario e 2 astensioni.

1.   La strategia della Commissione in materia di imposizione delle imprese

1.1

La proposta in esame è un elemento della strategia della Commissione in materia di imposizione fiscale sulle società presentata nella comunicazione pubblicata nel 2001 (1) nella quale essa ha individuato una serie di ostacoli fiscali all'attività economica transfrontaliera nel mercato interno ed ha annunciato come intende procedere nel breve e nel più lungo termine per eliminarle.

1.2

La strategia prevede diverse misure mirate, incentrate su problemi quali l'estensione delle direttive su dividendi, interessi e canoni, fusioni, compensazione transfrontaliera delle perdite, prezzi di trasferimento e convenzioni sulla doppia imposizione.

1.3

La Commissione ritiene che nel più lungo periodo le imprese debbano ottenere la possibilità di essere tassate applicando una base imponibile unica e consolidata per l'imposta sulle società a tutte le loro attività nell'Unione europea, in modo da evitare le costose inefficienze che derivano al momento dalla coesistenza di 15 (e presto di 25) legislazioni fiscali distinte.

1.4

Il Comitato ha sostenuto nel parere L'imposizione diretta delle imprese, adottato nel 2002 (2), le proposte della Commissione europea dirette a sopprimere nel breve termine qualsiasi forma di doppia imposizione e altri ostacoli fiscali che le imprese operanti in attività trasfrontaliere nel mercato interno si trovano di fronte.

1.5

Per il più lungo termine, il Comitato approva l'obiettivo di un mercato interno senza ostacoli fiscali, ritenendo che si tratti sicuramente di un mezzo per giungere a stabilire dei principi comuni che favoriscano un mercato interno in cui prevalga la concorrenza leale. Tali principi comuni dovrebbero favorire anche gli obiettivi di semplificazione, competitività e creazione di posti di lavoro.

1.6

Nel novembre 2003 la Commissione europea ha stilato un primo bilancio della strategia adottata nel 2001 (3) ed ha concluso che la sua strategia a due livelli sull'imposizione fiscale delle imprese resta, dopo due anni di lavori, l'approccio migliore per affrontare i problemi che si presentano nel mercato interno e che le azioni e le iniziative promesse sono state ben condotte. La conferenza europea sull'imposizione fiscale delle imprese organizzata a Roma il 5 e 6 dicembre 2003 (4) ha confermato tale conclusione.

2.   Misure mirate della strategia della Commissione a breve termine

2.1

L'adozione di proposte dirette in particolare a aggiornare e a estendere il campo di applicazione delle direttive società madri–figlie e fusioni (concentrazioni) figura tra gli obiettivi a breve che la Commissione si è prefissa nella sua strategia per l'imposizione fiscale delle imprese dell'ottobre 2001.

2.2

Le stesse considerazioni valgono per l'adozione e l'adeguamento della proposta di direttiva interessi e canoni (diritti) inclusa nel pacchetto fiscale, che comprendeva oltre a quest'ultima il codice di condotta e la direttiva risparmio.

2.3

La proposta di direttiva di aggiornamento della direttiva società madri – figlie è stata adottata nel Consiglio Ecofin del 22 dicembre 2003. Il testo finale della direttiva è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 13 gennaio 2004 (5).

2.4

La direttiva interessi e canoni è stata adottata il 3 giugno 2003 (6) e doveva essere recepita negli ordinamenti giuridici nazionali entro il 1o gennaio 2004. Una proposta di direttiva volta a aggiornarla, in particolare integrando i miglioramenti di rilievo apportati al campo di applicazione della direttiva società madri e figlie, è stata pubblicata dalla Commissione il 30 dicembre 2003 (7).

2.5

La proposta di direttiva fusione è dunque l'ultima proposta che il Consiglio deve adottare. Essa è il frutto di un grande e notevole lavoro di consultazione che ha consentito d'individuare il complesso dei problemi fiscali derivanti dalle riorganizzazioni transfrontaliere.

3.   Proposta di adeguamento della direttiva sul regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d'attivo ed agli scambi d'azioni

3.1

La direttiva in vigore (90/434/CE) prevede il riporto dell'imposizione delle plusvalenze risultanti da riorganizzazioni transfrontaliere di società effettuate sotto forma di fusioni, scissioni, conferimenti d'attivo e scambi d'azioni.

3.2

Questo regime di riporto dell'imposizione assicura la neutralità fiscale delle operazioni di riorganizzazione, sotto forma di un'esenzione temporanea in quanto l'imposizione delle plusvalenze è rinviata fino ad una cessione successiva degli attivi conferiti. La neutralità è assicurata dal fatto che:

gli attivi e passivi della società conferente sono trasferiti alla società beneficiaria al loro valore fiscale,

l'attribuzione delle azioni della società beneficiaria agli azionisti della società conferente non può determinare l'imposizione di questi ultimi (altrimenti ci si troverebbe dinanzi a un caso di doppia imposizione).

3.3

Tale direttiva del 23 luglio 1990 permette quindi di ovviare già in certi casi all'ostacolo transfrontaliero costituito dall'onere fiscale elevato che le riorganizzazioni delle società comportano, garantendo che un'operazione transfrontaliera non darà luogo a debiti fiscali più consistenti di quelli derivanti da un'operazione all'interno di uno stesso Stato membro.

3.4

La proposta di adeguamento di questa direttiva sostituisce una proposta del 1993 che la Commissione ha ritirato. Essa è diretta a estendere la portata della direttiva attualmente in vigore e migliorare i metodi di riporto dell'imposizione, salvaguardando nel contempo gli interessi finanziari degli Stati membri. Essa va inoltre a completare la proposta di decima direttiva in materia di diritto societario volta a facilitare le concentrazioni tra società di Stati membri diversi.

3.5

Gli elementi principali della nuova proposta di adeguamento della direttiva fusione sono i seguenti.

3.5.1

La proposta è diretta ad allineare la direttiva fusione alle modifiche introdotte nella direttiva società madri e figlie, vale a dire:

l'abbassamento dal 25 % al 10 % della soglia minima di partecipazione perché una società possa essere considerata una società madre (o figlia),

l'aggiornamento dell'elenco delle società alle quali si applica la direttiva; questo permette di farvi rientrare nuove forme giuridiche, in particolare certe cooperative e società non basate su capitale azionario, le mutue, le casse di risparmio, fondazioni e associazioni che esercitano attività commerciali. Il nuovo elenco include la società europea e la società cooperativa europea che possono essere costituite rispettivamente a partire dal 2004 e dal 2006,

l'ampliamento del campo di applicazione della direttiva sulle fusioni è ottenuto con l'aggiunta all'elenco allegato alla direttiva di nuove forme giuridiche specificamente designate. Si tratta in linea di principio dello stesso elenco che è stato adottato nel quadro della direttiva di adeguamento della direttiva società madri e figlie e che dovrebbe anche essere adottato nel quadro della direttiva di adeguamento della direttiva interessi e canoni.

3.5.2

La proposta estende inoltre i vantaggi della direttiva (regime del riporto dell'imposizione) alle società, rientranti nel suo campo d'applicazione, che sono soggette all'imposta nello Stato membro in cui hanno sede, ma che sono considerate trasparenti sotto il profilo fiscale in un altro Stato membro.

3.5.2.1

Senza rimettere in discussione il regime di trasparenza, la proposta di direttiva prevede che questo secondo Stato non potrà tassare le persone che vi hanno la residenza fiscale e che detengono partecipazioni nelle suddette società in riferimento a operazioni che rientrano nel campo di applicazione della direttiva. Questi ultimi saranno soggetti all'imposta solo al momento di una successiva cessione degli attivi conferiti.

3.5.3

La proposta estende il campo di applicazione alle operazioni di scissione con scambio di azioni, vale a dire a operazioni di scissione limitate o parziali che facciano sussistere la società conferente. A tali operazioni si potrà applicare il regime di riporto dell'imposizione.

3.5.3.1

Una scissione parziale è un'operazione per cui una società, senza essere sciolta, trasferisce ad una società beneficiaria una parte dei suoi elementi di attivo e passivo costituenti uno o più rami di attività. In cambio, la società beneficiaria assegna titoli rappresentativi del suo capitale sociale ai soci della società conferente.

3.5.4

La proposta assicura la neutralità fiscale del trasferimento della sede centrale di una società europea o di una società cooperativa europea da uno Stato membro ad un altro. Prevede così un regime di riporto dell'imposizione che evita che un trasferimento del genere si risolva nell'imposizione immediata delle plusvalenze derivanti dagli attivi che dovranno rimanere collegati alla stabile organizzazione che la società che trasferisce la sua sede statutaria avrà ormai nello Stato membro in cui aveva sede in precedenza. Tale regime fiscale riguarderà anche gli accantonamenti o le riserve costituite dalla società prima del trasferimento della sede, l'eventuale trasferimento delle perdite e l'esistenza di una stabile organizzazione in un terzo Stato membro.

3.5.4.1

Questa possibilità di trasferimento della sede statutaria è espressamente prevista nello statuto di queste società, allo scopo di garantire la libertà fondamentale rappresentata dal diritto di stabilimento. È pertanto assolutamente necessario che tale libertà non risulti ostacolata da disposizioni fiscali.

3.5.5

La proposta chiarisce che il regime di riporto dell'imposizione della direttiva può applicarsi anche nel caso in cui una società decida di trasformare la sua filiale estera in consociata.

3.5.5.1

Il riporto dell'imposizione previsto dalla direttiva dipende dal collegamento degli attivi e passivi trasferiti a una stabile organizzazione della società conferente; non è questo il caso quando una filiale di una società straniera è trasformata in consociata di questa stessa società. In questo caso, gli attivi e passivi trasferiti sono infatti collegati alla società beneficiaria (la nuova consociata). Le operazioni di creazione di consociate sono conformi all'obiettivo della direttiva e non pregiudicano le prerogative fiscali dello Stato membro interessato (gli attivi e passivi rientrano nella stessa sfera di competenze fiscali) ed è quindi opportuno precisare che tali operazioni rientrano di diritto nel campo di applicazione della direttiva.

3.5.6

La proposta estende i vantaggi previsti dalla direttiva alle operazioni di scambio di azioni quando la maggioranza dei diritti di voto in seno alla società acquisita è ottenuta da soci che non sono residenti fiscali di uno Stato membro dell'Unione europea.

3.5.7

La proposta introduce poi regole adeguate per impedire la doppia imposizione dovuta alle diverse regole di valutazione delle azioni e degli attivi applicabili nei diversi Stati membri. Ciò riguarda le operazioni di conferimento di attivi e di scambio di azioni.

3.5.7.1

Poiché la società beneficiaria è imponibile in un momento successivo per le plusvalenze sugli attivi conferiti, era necessario armonizzare le regole fiscali nazionali di valutazione delle azioni ricevute in seguito a un conferimento di attivi o a uno scambio di azioni. È quindi previsto che a tali azioni verrà attribuito il «valore reale» che gli elementi di attivo e passivo avevano immediatamente prima di un conferimento di attivi oppure il valore «reale» che le azioni ricevute avevano al momento di uno scambio di azioni (un'eccezione è tuttavia prevista in caso di possesso di azioni proprie).

4.   Osservazioni generali

4.1

La direttiva fusione del 23 luglio 1990 mira a garantire l'indispensabile neutralità delle operazioni di riorganizzazione transfrontaliera delle società, vegliando nel contempo a salvaguardare gli interessi finanziari degli Stati membri.

4.2

Il Comitato accoglie favorevolmente le proposte di adeguamento della direttiva fusione formulate dalla Commissione europea. Esse costituiscono dei miglioramenti indispensabili e appropriati alla succitata direttiva del 23 luglio 1990 e non comportano in linea di massima alcuna conseguenza sfavorevole per le imprese rispetto alla situazione attuale. Inoltre, esse non esigono alcun nuovo obbligo o nuova formalità fiscale per le imprese che vi si conformano.

4.3

Lo scopo della proposta di adeguamento della direttiva è quello di migliorare e estendere il regime del riporto d'imposizione previsto per le plusvalenze risultanti da riorganizzazioni di imprese. Viene adesso espressamente considerato un numero maggiore di forme giuridiche di società (tra cui la società europea (SE) e la società cooperativa europea (SCE), nonché le forme di società generalmente adottate dalle piccole e medie imprese) e di operazioni di riorganizzazione (come la scissione parziale o la trasformazione di una filiale).

4.4

Estendendo alla SE e alla SCE il regime di neutralità fiscale, anche nel caso di trasferimento della sede statutaria che è specificata nello statuto di queste due forme di società, la proposta di direttiva contribuirà alla creazione e alla gestione di società di dimensione europea e svincolate dagli ostacoli derivanti dall'applicazione limitata, sotto il profilo territoriale, del diritto fiscale e del diritto societario dei diversi Stati membri.

4.5

Tutte queste modifiche permetteranno alle imprese, compreso ormai un numero più alto di PMI, di sfruttare appieno i vantaggi del mercato unico (grazie ad un'imposizione equilibrata delle attività nazionali e transfrontaliere la quale assicurerà la neutralità delle decisioni d'investimento e di riorganizzazione); ciò dovrebbe migliorare la loro competitività e avere perciò un'incidenza positiva sulla creazione di posti di lavoro e sulla lotta contro la disoccupazione.

5.   Osservazioni specifiche

5.1

Il Comitato è dell'avviso che bisognerebbe generalizzare la clausola che prevede che ogni nuova forma di società istituita da uno Stato membro venga automaticamente aggiunta all'elenco delle forme di società di questo Stato membro che è allegato alla direttiva. Ciò permetterebbe di risolvere i problemi legati al mancato adeguamento di tale elenco.

5.2

Secondo il Comitato è inoltre essenziale che l'adeguamento delle direttive fusione, società madri e figlie e interessi e canoni avvenga in modo armonico, sia per quanto riguarda la definizione del campo di applicazione (per esempio l'elenco delle forme di società riportate nell'allegato alle direttive) sia in ordine alle condizioni per poter beneficiare del regime fiscale previsto (per esempio, il livello di partecipazione che ormai è stato portato al 10 % dalla direttiva di adeguamento della direttiva società madri e figlie).

5.3

Il Comitato considera però incompleta, e pertanto non soddisfacente, l'estensione del campo di applicazione (a altre forme di società e a altre operazioni di riorganizzazione), nella misura in cui:

non comprende tutti i tipi di imposte interessati da operazioni di riorganizzazione (in particolare le imposte di registro o le imposte sui conferimenti),

il regime di riporto dell'imposizione in caso di trasferimento della sede statutaria è limitato alla SE e alla SCE, mentre la giurisprudenza della Corte di giustizia europea nella sua sentenza Centros (8) ha riconosciuto a tutte le forme di società il diritto alla libertà di stabilimento e alla libertà di scelta della sede sociale.

5.4

Il Comitato insiste infine affinché la neutralità fiscale delle operazioni di riorganizzazione transfrontaliere sia assicurata al cento per cento, soprattutto per quanto riguarda il trasferimento delle perdite e l'esenzione degli accantonamenti e delle riserve.

6.   Conclusioni

6.1

Il Comitato sostiene tutte le proposte di modifica della direttiva fusione formulate dalla Commissione europea in quanto esse apportano miglioramenti indispensabili e appropriati alla direttiva e permetteranno alle imprese, comprese ormai la SE, la SCE e compreso anche un numero maggiore di PMI, di sfruttare appieno i vantaggi derivanti dal mercato unico; questo dovrebbe migliorare la loro competitività e avere quindi un impatto positivo sulla creazione di posti di lavoro e sulla lotta contro la disoccupazione.

6.2

Il Comitato invita tuttavia la Commissione a riesaminare certi aspetti essenziali lasciati in sospeso e che vengono menzionati sopra nel capitolo sulle osservazioni specifiche.

Bruxelles, 25 febbraio 2004

Il Presidente

del Comitato econimico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al parlamento europeo e al Comitato economico e sociale «Verso un mercato interno senza ostacoli fiscali - Strategia per l'introduzione di una base imponibile consolidata per le attività di dimensione UE delle società». COM(2001) 582 def.

(2)  GU C 241 del 7.10.2002.

(3)  Comunicazione del 24 novembre 2003«Un mercato interno senza ostacoli inerenti alla tassazione delle società – risultati, iniziative in corso e problemi ancora da risolvere» COM(2003) 726 def.

(4)  Cfr. www.europa.eu.int/comm/taxation/company_tax/conference_rome.htm.

(5)  Direttiva 2003/123/CE del Consiglio, del 22 dicembre 2003, che modifica la direttiva 90/435/CEE concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi. GU L 7 del 13.1.2004.

(6)  Direttiva 2003/49/CE del Consiglio, del 3 giugno 2003, concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi GU L 157 del 26.6.2003.

(7)  COM(2003) 841 def.

(8)  Causa C212/97 del 9 marzo 1997.


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 110/34


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Sistema di preferenze generalizzate (SPG)

(2004/C 110/10)

Il commissario per il Commercio, Pascal LAMY, in data 20 gennaio 2003, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere in merito al sistema di preferenze generalizzate.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 febbraio 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore PEZZINI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 febbraio 2004, nel corso della 406a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 117 voti favorevoli.

1.   Introduzione

1.1

Negli ultimi decenni l'UE ha proceduto ad una sostanziale revisione e aggiornamento della sua politica in materia di preferenze commerciali nei confronti dei paesi in via di sviluppo, alla luce dell'evolversi della situazione. L'ultima importante revisione del sistema di preferenze generalizzate (SPG) ha preso effetto il 1o gennaio 1995 per un periodo di 10 anni a decorrere dalla sua entrata in vigore. Scadrà quindi il 31 dicembre 2004 ed è pertanto necessaria un'ulteriore revisione.

1.2

Gli attuali orientamenti hanno introdotto numerosi cambiamenti importanti, sostituendo all'approccio tradizionale di accesso ai mercati in franchigia doganale per quantitativi di merci limitati il principio di modulazione, in virtù del quale vengono accordate preferenze limitate per quantitativi illimitati. Al tempo stesso sono state introdotte nuove norme in materia di graduazione e ciò ha consentito di escludere, per determinati paesi beneficiari, taluni settori di esportazione.

1.2.1

Successivamente sono state offerte ulteriori preferenze sotto forma di regimi speciali di incentivazione intesi a promuovere i seguenti obiettivi:

garantire uno sviluppo sostenibile,

assistere i paesi meno sviluppati,

lottare contro la produzione e il traffico di stupefacenti,

tutelare i diritti dei lavoratori,

proteggere l'ambiente.

1.2.2

È inoltre prevista la revoca temporanea del trattamento preferenziale ai paesi che non rispettano i diritti umani, hanno violato in modo grave e sistematico le norme fondamentali sul lavoro, presentano lacune nei controlli doganali, sono stati conniventi con il traffico di stupefacenti, hanno messo in atto comportamenti fraudolenti o pratiche di commercio sleali, hanno violato le convenzioni internazionali relative alla conservazione e alla gestione delle risorse ittiche o hanno contravvenuto ad uno o più altri requisiti. Tuttavia, tale sanzione è stata applicata così raramente da risultare largamente inefficace: attualmente l'unico paese per il quale l'SPG è tuttora sospeso è Myanmar.

1.3

Nel 1998 la Commissione europea, per facilitare l'applicazione dell'SPG, aveva presentato proposte (COM(1998) 521 def.) che riunivano in un unico regolamento, applicabile dal 1o gennaio 1999 al 31 dicembre 2001, le disposizioni, molto diverse tra loro, in materia di prodotti agricoli e industriali. Il Comitato aveva approvato tali proposte (1), confluite poi nel regolamento (CE) n. 2820/98 del Consiglio.

1.4

Nel 2001 la Commissione ha presentato proposte (COM(2001) 293 def.) per un regime modificato per il periodo dal 1o gennaio 2002 al 31 dicembre 2004. Il Comitato ha espresso un parere favorevole sulle proposte (2), che sono state poi attuate mediante il regolamento (CE) n. 2501/2001 del Consiglio.

2.   Le proposte della Commissione

2.1

Originariamente la Commissione aveva pensato di pubblicare un documento nel settembre 2003 e di includervi le sue proposte per il nuovo regime, che doveva entrare in vigore il 1o gennaio 2005. Successivamente però ha deciso di ritardare di un anno l'introduzione del nuovo sistema e di avanzare, per il periodo in questione, una proposta di regime provvisorio che avrebbe ripreso gli orientamenti esistenti con qualche modifica relativamente modesta e di natura principalmente tecnica.

2.1.1

La decisione di ritardare l'introduzione di modifiche fondamentali del sistema è stata attribuita tra l'altro al desiderio di aspettare i risultati della tornata di Doha dei negoziati della Organizzazione mondiale del commercio, e di non pregiudicare il loro esito. Un altro elemento che ha contribuito al rinvio è stato il ricorso contro l'UE presentato dall'India all'OMC. Si è anche pensato che sarebbe più opportuno posticipare l'introduzione dei nuovi orientamenti fino a un congruo periodo dopo l'allargamento dell'Unione, per lasciare ai nuovi Stati membri più tempo di adattarsi; uno dei paesi in via di adesione (Cipro), infatti, beneficia attualmente dell'SPG.

2.1.2

Il periodo decennale per il nuovo regime dovrebbe dunque cominciare il 1o gennaio 2006. La Commissione ha ora deciso di non proporre un ulteriore prolungamento dello status quo, anche qualora l'attuazione delle regole negoziate nel Doha round non venisse conclusa entro tale data. Ovviamente, il fallimento relativo dei colloqui di Cancun non è di buon auspicio per una conclusione positiva della tornata negoziale di Doha entro i termini summenzionati.

2.2

Le proposte della Commissione per il periodo provvisorio sono state pubblicate nel settembre 2003 (COM(2003) 634 def.) e sono state accolte con favore dal Comitato (3).

2.3

Facendo seguito alla richiesta del commissario Lamy, il Comitato presenta ora le proprie osservazioni e raccomandazioni sugli orientamenti che dovrebbero essere formulati per il nuovo sistema definitivo di preferenze generalizzate da introdurre alla fine del periodo provvisorio.

3.   Osservazioni del CESE

3.1

Il Comitato reputa che gli obiettivi dell'attuale sistema (cfr. sopra) siano pertinenti e debbano costituire la base per qualsiasi nuovo sistema inteso a sostituire gli accordi in vigore.

3.2

Si tratta ora di mettere a punto un sistema che garantisca un'effettiva attuazione delle politiche comunitarie nel settore.

3.3

In questo contesto il Comitato rileva che i regimi speciali di incentivazione in gran parte non hanno avuto l'impatto desiderato. Finora un solo paese (la Repubblica moldova) rientra nel regime speciale di incentivazione per la tutela dei diritti dei lavoratori (un secondo paese, lo Sri Lanka, dovrebbe rientrarvi a partire da febbraio 2004) e nessuno in quello per la tutela dell'ambiente. Ciò indica chiaramente che i regimi speciali di incentivazione non si sono dimostrati dei veri incentivi. Il Comitato reputa pertanto che il processo di revisione debba contemplare anche una profonda revisione di tali meccanismi.

3.3.1

In un suo precedente parere sull'argomento (4) il Comitato ha affermato che le proposte presentate dalla Commissione per migliorare tali regimi potrebbero non essere sufficienti per rendere attraenti gli incentivi per i paesi beneficiari. Si pone quindi la questione se, nel quadro del sistema modulato e delle relative preferenze limitate, sarà di fatto possibile spingere i paesi interessati ad adottare i comportamenti auspicati.

3.3.2

L'ulteriore riduzione forfetaria di 3,5 punti percentuali comporta una riduzione totale del 7 % e potrebbe quindi non costituire un incentivo adeguato a fronte delle enormi somme di denaro che entrano in gioco nel traffico di stupefacenti o degli ingenti costi che l'attuazione di progetti a favore dell'ambiente comporta per le finanze pubbliche dei paesi beneficiari.

3.3.3

Ci si chiede inoltre quale sia la migliore tipologia di incentivi da adottare: se sia meglio accordare delle riduzioni ex post, una volta appurato che un paese beneficiario ha soddisfatto i requisiti, o se siano invece preferibili incentivi ex ante, al fine di incoraggiare i paesi interessati ad adottare le politiche necessarie. È comunque sicuro che nessuno dei due approcci avrà l'effetto desiderato se le preferenze non saranno di livello tale da costituire uno stimolo valido.

3.4

Il Comitato reputa che le misure adottate, indipendentemente dalla loro natura, dovrebbero essere trasparenti, coerenti, obiettive e non discriminatorie. Inoltre dovrebbero basarsi su standard concordati e criteri riconosciuti a livello internazionale (laddove esistono), comprese le otto norme fondamentali sul lavoro stabilite dall'OIL, ed essere compatibili con le norme dell'OMC e gli altri obblighi derivanti dai Trattati.

3.5

Nel suo precedente parere (5) il Comitato ha affermato che la nuova revisione del regolamento non era in grado di armonizzare pienamente e di unificare tutte le norme e le procedure dell'SPG e ha esortato ad approfittare della revisione in profondità prevista per il 2004 per semplificare, armonizzare, snellire, codificare, ridurre e uniformare l'intero sistema. In questa sede esso ribadisce tale affermazione e sottolinea l'importanza che annette alla questione. La semplificazione è fondamentale per migliorare il funzionamento dell'SPG e per poterne realizzare gli obiettivi. I regimi esistenti sono poco chiari, poco concisi e mal strutturati.

3.6

Uno dei fattori che contribuiscono alla complessità dell'attuale regime è il meccanismo di graduazione. Esso consente infatti di escludere, per singoli paesi beneficiari, settori specifici di esportazione quando un loro sostegno non risulti più necessario e quindi non ne sia giustificata una proroga, anche se negli stessi paesi si continuano a sostenere altri tipi di industrie. Il Comitato si è pronunciato a favore (6) del mantenimento del meccanismo di graduazione nel quadro dei regimi provvisori per il periodo compreso tra il 1o gennaio 2002 e il 31 dicembre 2004, ma ritiene che questo processo andrebbe rivisto nel contesto della revisione più approfondita che sta per essere avviata.

3.7

In numerosi pareri recenti (7) il Comitato ha sottolineato quanto sia fondamentale che le proposte legislative siano accompagnate da valutazioni d'impatto dettagliate. Auspica pertanto che la Commissione prepari una valutazione d'impatto per le sue proposte di revisione dell'SPG.

4.   Il punto di vista della società civile

4.1

Il 10 giugno 2003 il Comitato ha organizzato nella sua sede di Bruxelles un'audizione dei rappresentanti della società civile. Le posizioni esposte in questo capitolo rispecchiano i contributi scritti ricevuti e gli interventi effettuati nel corso dell'audizione.

4.2

La sensazione generale è che il sistema attuale non stia funzionando così bene come potrebbe. In diverse risposte, i destinatari del questionario hanno espresso seri dubbi sull'efficacia delle tariffe preferenziali, pur riconoscendo di non aver modo di dare sostanza a tali perplessità, e hanno affermato inoltre che è difficile valutare il successo del sistema a causa della scarsità dei dati disponibili. Altre risposte hanno segnalato uno squilibrio nella distribuzione dei benefici; il 75 % del volume totale delle riduzioni tariffarie va a beneficio dei paesi orientali, e di questa percentuale un terzo va alla Cina. Sono state espresse preoccupazioni per il fatto che la maggior parte dei vantaggi vanno ai più avanzati tra i paesi in via di sviluppo invece che a quelli meno sviluppati. Spesso, i maggiori beneficiari risultano essere gli operatori commerciali internazionali anziché gli Stati. Si ha l'impressione inoltre che l'impatto delle preferenze generalizzate sia spesso superato dall'effetto di altri fattori, quali le barriere non tariffarie.

4.3

Sono stati individuati vari problemi:

la progressiva riduzione tariffaria sta compromettendo l'impatto delle preferenze generalizzate poiché riduce lo spazio che permette di concedere un trattamento preferenziale su scala significativa a certi paesi. La conclusione dei negoziati di Doha produrrà, si pensa, ulteriori riduzioni generalizzate,

il sistema si mostra vulnerabile alle frodi. È relativamente facile, per operatori non scrupolosi con sede in paesi che non possono beneficiare di tariffe preferenziali, esportare le loro merci in un paese che ne può invece usufruire e da qui poi riesportarle nell'UE come se fossero prodotte in quest'ultimo paese,

anche quando non si verificano frodi, il controllo relativo al paese di origine costituisce un processo complesso, specie per gli articoli manufatti che contengono un ampio numero di materiali o di sottocomponenti; in molti casi ciò impone all'importatore UE oneri così gravosi da risultare inaccettabili,

le regole, particolarmente in relazione al meccanismo di graduazione, sono troppo complesse e generano confusione e controversie,

non vi è coesione tra l'SPG e altri strumenti UE. Si sono rilevati casi di paesi che possono beneficiare contemporaneamente di:

a)

quote nel quadro di un accordo bilaterale con l'UE;

b)

quote autonome e specifiche per prodotto accordate ogni anno a favore di tutti paesi terzi, senza riguardo per l'origine; e

c)

tariffe preferenziali accordate nell'ambito dell'SPG.

4.4

Sono emersi grandi contrasti sulla definizione degli obiettivi che l'SPG dovrebbe perseguire nel prossimo periodo decennale. Le organizzazioni sindacali sono del parere che le norme fondamentali sul lavoro, la protezione ambientale e l'eliminazione della produzione e del traffico di droga debbano rimanere un elemento essenziale del sistema, e che quindi si debba prevedere di escludere da esso i paesi che non le rispettano, indipendentemente dal loro status economico. Viceversa, le associazioni commerciali, pur riconoscendo la grande importanza di questi temi, ritengono che l'SPG non sia lo strumento più adatto per affrontare tali problemi e che il fatto di includerli abbia reso più ardua l'applicazione del regime preferenziale e abbia dato luogo a incertezze giuridiche.

4.5

Alcuni partecipanti hanno affermato che l'attuale elenco dei paesi beneficiari non è coerente perché:

a)

lo spettro delle fasi di sviluppo rappresentate dai paesi in esso compresi è troppo ampio;

b)

vi figurano indifferentemente le economie in via di sviluppo e quelle in transizione;

c)

diversi paesi beneficiari hanno anche uno status preferenziale a titolo di accordi commerciali bilaterali o regionali.

Altri pensano che il PIL pro capite non dovrebbe figurare tra i criteri usati per definire i paesi beneficiari perché alcuni paesi con un basso PIL pro capite hanno, per certi settori industriali, una posizione forte, se non addirittura dominante, nel commercio mondiale. I rappresentanti sindacali sostengono che gli unici criteri dovrebbero essere quelli del rispetto delle norme fondamentali sul lavoro, della protezione dell'ambiente e della lotta contro il traffico di droga. In molte risposte si afferma che l'elenco dei beneficiari dovrebbe essere limitato ai 49 paesi che figurano nell'elenco dei paesi meno sviluppati delle Nazioni Unite.

4.6

Si è infine raggiunto un consenso sul fatto che le preferenze di base dovrebbero essere accordate secondo un criterio ex ante, mentre le preferenze speciali, se proprio devono essere accordate, dovrebbero esserlo secondo un criterio ex post.

4.7

Tra le proposte di semplificazione figurano:

la riduzione dell'elenco dei paesi beneficiari,

la riduzione del numero dei settori industriali e delle categorie di prodotti,

l'esclusione dei paesi che hanno un accordo bilaterale con l'UE,

l'esclusione dei paesi che beneficiano di un accordo commerciale regionale,

l'abolizione delle preferenze speciali o perlomeno la riduzione del loro numero,

la semplificazione delle regole riguardanti il paese di origine,

la semplificazione o l'eliminazione del meccanismo di graduazione,

l'eliminazione di tutti i dazi ad valorem pari o inferiori al 3 % e di tutti i dazi specifici di valore pari o inferiore a 5 euro.

Gli autori della proposta di limitare i beneficiari ai 49 paesi meno sviluppati secondo le Nazioni Unite hanno fatto presente che questa misura si tradurrebbe ipso facto in una semplificazione del sistema.

4.8

L'opinione generale è che il funzionamento del meccanismo di graduazione non è soddisfacente e ha determinato numerose controversie. Uno di quelli che hanno risposto al questionario si è spinto fino al punto di affermare che «l'attuale sistema di graduazione è del tutto cieco e non trasparente». Si è fatto notare che la perdita dello status di beneficiario dell'SPG ha spesso determinato la riduzione degli investimenti diretti esteri nel paese interessato perché gli investimenti erano legati all'esistenza delle tariffe preferenziali: i paesi esclusi hanno quindi subito una doppia penalizzazione. Un altro problema è costituito dall'eccessiva distanza tra la fine del periodo di riferimento utilizzato per aggiornare la graduazione e il momento dell'effettivo aggiornamento: per esempio il periodo di riferimento per la graduazione 2003 è il 1997-1999.

4.9

In generale si ritiene che le politiche dell'UE in materia di commercio e di sviluppo non siano soltanto contrassegnate dalla mancanza di coerenza ma risultino talvolta anche decisamente contraddittorie. Per correggere questa situazione e riuscire a conseguire un equilibrio tra i vari fattori che vanno presi in considerazione saranno necessari un approccio coordinato da parte di tutte le istituzioni UE e la partecipazione attiva di varie direzioni generali della Commissione.

5.   La posizione dei paesi terzi

5.1

Il questionario è stato inviato anche ai governi e alle organizzazioni rappresentative in numerosi paesi beneficiari. Dato però che le risposte pervenute sono purtroppo molto poche e non possono quindi costituire un campione statisticamente significativo, i risultati non sono stati presi in considerazione nel quadro della presente indagine. Il CESE continua tuttavia ad impegnarsi attivamente nell'assistere i paesi in via di sviluppo per consentire loro in futuro di reagire a sollecitazioni di questo genere.

6.   Osservazioni specifiche

6.1

A giudicare dagli inizi poco promettenti, è probabile che la tornata di Doha dei negoziati GATT si protrarrà tanto quanto le tornate precedenti. Per tale motivo il Comitato è favorevole alla decisione della Commissione di procedere all'introduzione del nuovo sistema con decorrenza dal 1o gennaio 2006, senza attendere l'esito di Doha in un futuro non meglio precisato.

6.2

L'iniziativa «Tutto tranne le armi» lanciata dall'UE a favore dei 49 paesi meno sviluppati significa che di fatto questi non rientrano più nell'SPG dato che sono autorizzati ad esportare verso l'UE in quantità illimitate e in franchigia doganale tutti gli altri prodotti (fatte salve alcune eccezioni transitorie nel settore agricolo). Non è infatti possibile ridurre tramite le preferenze un valore che è già pari a zero.

6.3

L'SPG è un elemento della politica comunitaria di sviluppo e, in quanto tale, non dev'essere in contrasto con gli altri elementi di tale politica. Eventuali modifiche dell'SPG vanno pertanto considerate alla luce della strategia globale per lo sviluppo. Ciò richiederà un alto grado di coordinamento tra le direzioni generali della Commissione competenti in materia.

6.4

Il Comitato auspica che, al momento di introdurre il nuovo SPG, si coglierà l'occasione per armonizzarne globalmente le norme e le procedure.

6.5

Il principale obiettivo dell'SPG è quello di aiutare i paesi in via di sviluppo a sviluppare le proprie economie: il sistema non può essere una panacea per tutti i problemi di tali paesi.

6.6

Diverse critiche sono state mosse all'attuale SPG, a cui in particolare si addebitano i seguenti problemi:

i paesi beneficiari sono troppi,

i regimi speciali di incentivazione non hanno dato risultati soddisfacenti,

i benefici non sono ripartiti in modo equilibrato,

il sistema di graduazione è troppo complesso,

il sistema è vulnerabile alle frodi,

l'impatto del sistema è diminuito a causa della progressiva riduzione dei dazi.

6.6.1

Il Comitato concorda sul fatto che i paesi beneficiari dell'SPG sono troppi. L'attuale elenco dei paesi ammissibili comprende 174 Stati, tra i quali vi sono notevoli differenze quanto a livello di sviluppo, volume dei traffici commerciali, PIL pro capite, livello di industrializzazione, tasso di povertà e applicazione degli standard di responsabilità sociale riconosciuti a livello internazionale.

6.6.1.1

Nel sistema rientrano, da un lato, importanti potenze commerciali quali la Cina, l'India, la Federazione russa e il Sudafrica, che sono forti concorrenti dell'UE in molti segmenti del mercato e, dall'altro, territori insulari periferici con economie molto ristrette quali l'Isola Christmas, le Isole Heard e McDonald, la Georgia del Sud e le isole Sandwich meridionali. Tra questi due estremi si situano paradisi fiscali come le Isole Cayman, ricche nazioni petrolifere come il Kuwait, paesi con un'economia ben sviluppata come l'Egitto e regimi totalitari come lo Zimbabwe.

6.6.1.2

Il Comitato condivide la proposta secondo la quale il PIL pro capite non può essere l'unico criterio utilizzato per determinare l'ammissibilità di un paese ad essere inserito nelle preferenze generalizzate. Condivide anche la preoccupazione espressa in varie sedi per il fatto che una parte eccessiva dei benefici vada attualmente agli Stati che ne hanno meno bisogno. Per garantire che l'assistenza fornita nel quadro dell'SPG sia concentrata sui paesi che ne hanno più bisogno, il Comitato raccomanda di escludere dal sistema, nel quadro dei nuovi orientamenti, le seguenti categorie di paesi:

gli Stati che non sono definiti «paesi in via di sviluppo» dalle Nazioni Unite,

gli Stati che hanno sottoscritto accordi bilaterali o regionali con l'UE,

gli Stati membri dell'OPEC,

gli Stati che hanno un programma di armamento nucleare,

gli Stati che sono dei paradisi fiscali.

6.6.1.3

Per non sfavorire i paesi attualmente legati all'UE da accordi commerciali bilaterali o regionali andrebbe prevista la possibilità di modificare tali accordi in modo tale da includervi tutti i benefici a cui tali Stati potrebbero aver diritto in virtù dell'SPG.

6.6.2

Il Comitato annette un'importanza particolare alla promozione del rispetto delle norme fondamentali sul lavoro, alla tutela dell'ambiente e alla lotta al traffico di stupefacenti. Va tuttavia riconosciuto che i regimi speciali di incentivazione previsti dall'attuale SPG sono stati del tutto inefficaci nel raggiungere tali obiettivi. Un solo paese rientra nel regime per la tutela dei diritti dei lavoratori e nessuno in quello per la tutela dell'ambiente. Inoltre, non è affatto dimostrato che il regime speciale per la lotta alla produzione e al traffico di droga, di cui hanno beneficiato 12 paesi, abbia avuto alcun impatto sul traffico di stupefacenti.

6.6.2.1

Il Comitato ritiene inutile prorogare un meccanismo che, pur perseguendo obiettivi del tutto lodevoli, all'atto pratico ha così palesemente fallito. Inoltre è convinto che ci si dovrebbe concentrare sull'individuazione di modi più efficaci per raggiungere questi importanti obiettivi. Se si continua a pensare che lo strumento più efficace è comunque l'SPG, allora il modo migliore è quello di fare maggior uso, nel suo ambito, del meccanismo di revoca temporanea: finora, infatti, quest'ultimo è stato invocato contro uno soltanto dei 174 paesi beneficiari nonostante anche in molti altri sia facile riscontrare violazioni degli standard previsti. In molti casi questo è dovuto al fatto che si ritiene politicamente scorretto offendere o dimostrare ostilità ai regimi dei paesi in questione; il Comitato, però, non può giustificare il fatto che delle questioni di principio vengano subordinate a calcoli politici del momento.

6.6.2.2

Il Comitato esorta la Commissione a definire, nel quadro dei nuovi orientamenti, standard chiari per la tutela dei diritti dei lavoratori, la protezione dell'ambiente, la repressione del traffico di stupefacenti, il rispetto dei diritti umani fondamentali, lo sviluppo sostenibile e altri aspetti importanti, come la protezione dei consumatori e il benessere degli animali. Ai paesi in cui vengono riscontrate violazioni gravi e sistematiche di tali norme si dovrebbe in un primo tempo far presente il loro comportamento illecito chiedendo di porvi rimedio; in caso di mancato seguito alla richiesta, si dovrebbe avvertirli pubblicamente del fatto che, in caso di accertata inosservanza degli standard previsti entro una determinata data, verranno temporaneamente revocati tutti i benefici concessi nel quadro dell'SPG. Ai paesi che non danno seguito a tale avvertimento andrebbero poi revocate tutte le preferenze fino a quando non soddisfino i requisiti previsti. Per ottenere l'effetto desiderato, tali sanzioni vanno applicate regolarmente ogni qualvolta necessario, e non solo come ultima ratio da usare nei casi estremi.

6.6.2.3

Qualora esistano standard riconosciuti a livello internazionale, come nel caso delle norme fondamentali sul lavoro stabilite dall'OIL (8), gli standard comunitari applicabili dovrebbero basarsi su di essi. Tuttavia, l'eventuale mancanza di standard internazionali non dovrebbe essere un ostacolo alla formulazione e all'applicazione dei pertinenti standard europei. L'UE ha il diritto di stabilire a propria assoluta discrezione le condizioni applicabili agli scambi effettuati in base allo schema preferenziale. La tentazione di essere conniventi con il traffico di stupefacenti, di fingere di non vedere le violazioni di diritti umani e di sfruttare in modo sconsiderato l'ambiente è forte: dunque è necessario creare una forza di dissuasione che abbia un peso sufficiente. Al tempo stesso, è fondamentale anche sottolineare l'imperativo morale sotteso a tali questioni, al fine di rispondere alle accuse di chi afferma che tali requisiti sono soltanto un'altra forma di barriera non tariffaria dissimulata.

6.6.3

Il Comitato è d'accordo sul fatto che l'attuale ripartizione dei benefici non è equilibrata; i maggiori beneficiari, infatti, sono i paesi in via di sviluppo più avanzati e non quelli che hanno maggior bisogno di assistenza. Il Comitato reputa che la soppressione delle categorie di paesi di cui al precedente punto 6.6.1.2 aiuterebbe a eliminare tale squilibrio. Per promuovere lo sviluppo economico nei paesi più poveri, le preferenze per i prodotti vanno fissate soprattutto in funzione degli interessi dei paesi beneficiari in materia di esportazione. Questo processo verrebbe notevolmente semplificato se si procedesse ad una razionalizzazione dei settori industriali e delle categorie di prodotti che rientrano nel regime di preferenze.

6.6.4

Anche secondo il Comitato l'attuale sistema di graduazione è eccessivamente complesso ed è stato fonte di controversie e di insoddisfazione, soprattutto da parte dei paesi che rientrano in tale sistema. Ovviamente sono auspicabili dei miglioramenti, ma il Comitato non è d'accordo con chi sostiene che la graduazione andrebbe soppressa. Essa, infatti, non va considerata una sanzione ma piuttosto il riconoscimento del fatto che le preferenze hanno dato buoni risultati e che un determinato settore industriale ha registrato progressi tali da non aver più bisogno di un'assistenza preferenziale. Che la situazione stia effettivamente in questi termini è dimostrato dal fatto che otto delle nove industrie alle quali finora è stata applicata la graduazione hanno continuato ad aumentare il volume delle loro esportazioni verso l'UE dopo l'applicazione di questa misura. Nell'SPG del resto è insita l'ipotesi di base che determinati settori o paesi raggiungeranno alla fine questo stadio.

6.6.4.1

Il Comitato raccomanda dunque di semplificare il sistema di graduazione, di renderlo più trasparente e di fare in modo che esso preveda anche una valutazione economica di tipo statistico basata su una serie di indicatori di mercato, associata ad una seria valutazione del mercato per il settore interessato. Sarebbe utile coinvolgere la DG Imprese in tale esercizio di valutazione e prendere in considerazione anche le osservazioni dell'industria europea. Inoltre, andrebbe diminuito l'intervallo tra il momento in cui viene applicata la graduazione e la fine del relativo periodo di riferimento.

6.6.4.2

Il Comitato raccomanda di inserire anche negli orientamenti per il sistema definitivo le disposizioni previste negli accordi provvisori, in base alle quali il meccanismo di graduazione non andrebbe applicato ad alcun paese beneficiario le cui esportazioni verso l'UE, in almeno uno degli anni di riferimento, rappresentano meno dell'1 % delle importazioni comunitarie totali dei prodotti a cui si applica il sistema comunitario di preferenze. Il Comitato considera anzi che si dovrebbe prendere in considerazione l'idea di elevare tale soglia.

6.6.5

Il Comitato nutre preoccupazioni per l'incidenza delle frodi e reputa che si dovrebbero adottare tutte le misure possibili per ridurla. Le norme sull'origine sono troppo complesse e di difficile applicazione, vengono fraintese facilmente e richiedono una conoscenza approfondita di un gran numero di testi giuridici. Esse sono, di conseguenza, sia un ostacolo al commercio che un incitamento alla frode. Troppo spesso i paesi beneficiari fungono solo da luogo di transito per i prodotti provenienti da paesi non beneficiari. L'incidenza dei certificati di origine, modulo A, rilasciati in modo non corretto o falsificati in determinati paesi d'origine negli anni Novanta ne è un esempio pregnante. In questo contesto è necessario un efficace sistema di ispezione, verifica ed esecuzione e per garantirlo saranno necessari gli sforzi di tutti i servizi doganali all'interno dell'UE e un migliore coordinamento tra di essi.

6.6.5.1

Anche gli Stati beneficiari devono essere invitati a migliorare i controlli: i paesi che si rendono di fatto complici di azioni fraudolente utilizzando meccanismi di controllo inefficaci dovrebbero vedersi revocato temporaneamente il trattamento preferenziale. L'SPG costa all'UE 2,2 miliardi di euro all'anno a titolo di mancata riscossione dei dazi doganali e, specularmene, rappresenta per i paesi che vi partecipano un beneficio annuo complessivo di pari entità. Di fronte ad agevolazioni di una simile portata, si dovrebbe riconoscere all'UE il diritto di stabilire i termini e le condizioni a cui tali agevolazioni vengono concesse.

6.6.5.2

Si avverte inoltre l'esigenza di più intensi contatti e di una maggiore collaborazione tra i servizi doganali dell'UE e quelli dei paesi di origine. Questo può rendere necessario un impegno finanziario della Comunità al fine di garantire un collegamento tra i funzionari doganali dell'UE e i loro omologhi dei paesi in via di sviluppo. Inoltre, può essere utile provvedere alla formazione dei servizi doganali di tali paesi. La questione presenta anche aspetti relativi alla sicurezza: nella situazione attuale, bisogna tener conto che, nella realtà dei fatti, le frontiere dell'UE non coincidono necessariamente con i confini fisici dei suoi Stati membri ma si situano, in misura crescente, nel territorio dei paesi da cui provengono le sue importazioni. Su tale argomento, il CESE sta attualmente elaborando un parere (9).

6.6.6

Il Comitato riconosce che l'effetto delle preferenze concesse nel quadro dell'SPG è eroso costantemente dalle progressive riduzioni dei dazi decise dalle varie tornate negoziali del GATT. Esso considera tuttavia tale situazione in primo luogo inevitabile e in secondo luogo non necessariamente indesiderabile. È stato infatti dimostrato chiaramente che le riduzioni tariffarie sono state molto efficaci nello stimolare gli scambi a livello mondiale: orbene, l'aumento delle attività commerciali globali non può che avere un impatto positivo su tutti gli Stati che partecipano agli scambi. L'andamento di questo processo è in effetti tale che i nuovi orientamenti, per i quali è prevista una durata decennale, potrebbero davvero essere l'ultima applicazione, da parte dell'UE, di un sistema convenzionale di dazi ridotti.

6.7

Il Comitato è d'accordo sul fatto che le norme sull'origine attualmente applicate agli scambi preferenziali sono troppo complesse, creano oneri inutili per gli importatori europei e producono un sistema confuso, caratterizzato dalla mancanza di trasparenza. Poiché un siffatto sistema non può che alimentare le frodi, il Comitato auspica che tali regole vengano sostituite da nuove norme, definite sulla falsariga di quelle attualmente in vigore per le merci non preferenziali.

6.8

Un'ulteriore misura di semplificazione sarebbe quella di eliminare totalmente i dazi qualora il trattamento preferenziale consista in: dazi ad valorem pari o inferiori al 3 %, dazi specifici pari o inferiori a 5 euro.

6.9

Per dare ai governi dei paesi in via di sviluppo e agli importatori comunitari il tempo di adeguarsi, tutte le eventuali modifiche del trattamento preferenziale di un determinato paese andrebbero rese pubbliche un anno prima della loro entrata in vigore.

6.10

Il Comitato reputa che i nuovi orientamenti dovrebbero essere: semplici, prevedibili, facili da gestire, coerenti, trasparenti, pertinenti, equi, stabili nel tempo.

7.   Conclusioni

7.1

Il Comitato accoglie con favore la decisione della Commissione di introdurre il nuovo sistema di preferenze generalizzato con effetto a decorrere dal 1o gennaio 2006.

7.2

Esorta a cogliere l'occasione per armonizzare, uniformare e snellire le norme e le procedure dell'SPG nel quadro dei nuovi orientamenti.

7.3

Reputa che la Commissione dovrebbe affiancare alle sue proposte relative ai nuovi orientamenti una valutazione particolareggiata del loro impatto.

7.4

È d'accordo sul fatto che gli attuali regimi speciali di incentivazione intesi ad ottenere il rispetto di determinati requisiti si sono rivelati inefficaci ed esorta quindi a sopprimerli. Considera per contro che la Commissione dovrebbe definire standard accettabili a livello internazionale basati sui principi fondamentali del modello sociale europeo e che ai paesi che li violano si dovrebbe sospendere l'accesso a tutte le tariffe preferenziali.

7.5

Condivide l'affermazione secondo la quale gli Stati che partecipano all'SPG sono troppi e reputa che il loro numero vada ridotto, come illustrato nel presente parere.

7.6

Raccomanda di mantenere il meccanismo di graduazione, ma di semplificarlo e di renderlo più trasparente.

7.7

Nutre preoccupazioni per l'incidenza delle frodi nell'attuale sistema ed esorta ad introdurre controlli più severi.

7.8

Ritiene che le norme preferenziali sull'origine attualmente in vigore siano troppo complesse e propone di semplificarle sulla falsariga delle regole di origine per le merci non preferenziali.

7.9

È convinto che uno degli obiettivi principali dei nuovi orientamenti debba essere la semplificazione del sistema. Auspica che le proposte qui presentate – intese tra l'altro a ridurre il numero di paesi beneficiari, a sostituire i regimi speciali di incentivazione con l'applicazione di un meccanismo di revoca temporanea basato su standard definiti in modo chiaro, a sostituire le attuali norme di origine con norme allineate alle regole di origine non preferenziali, a ridurre l'intervallo che intercorre tra il momento in cui scatta la graduazione e la fine del periodo di riferimento e a razionalizzare i settori industriali e le categorie di prodotti che rientrano nello schema – contribuiranno almeno in parte a realizzare detto obiettivo di semplificazione.

7.10

Il presente parere, elaborato su richiesta del commissario Lamy, costituisce un primo passo importante nella consultazione della società civile su questa tematica. Il Comitato reputa che prima di addivenire all'adozione dei nuovi orientamenti si dovrebbe procedere sia nell'UE che nei paesi in via di sviluppo ad una consultazione più ampia e tempestiva delle parti interessate in merito alle proposte.

Bruxelles, 25 febbraio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Parere in merito alla Proposta di regolamento (CE) del Consiglio relativo all'applicazione di uno schema pluriennale di preferenze tariffarie generalizzate per il periodo 1o gennaio 1999 - 31 dicembre 2001 - COM(1998) 521 def. – 98/0280 (ACC), (GU C 40 del 15.2.1999).

(2)  Parere in merito alla Proposta di regolamento (CE) del Consiglio relativo all'applicazione di uno schema di preferenze tariffarie generalizzate per il periodo 1ogennaio 2002 - 31 dicembre 2004 - COM(2001) 293 def. – 2001/0131 (ACC), CES 1122/2001, GU C 311 del 7.11.2001.

(3)  Parere in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio che proroga fino al 31 dicembre 2005 l'applicazione del regolamento (CE) n. 2501/2001, relativo all'applicazione di uno schema di preferenze tariffarie generalizzate per il periodo 1o gennaio 2002 - 31 dicembre 2004, e che modifica detto regolamento – COM(2003) 634 def. – 2003/0259 ACC.

(4)  Parere in merito alla Proposta di regolamento (CE) del Consiglio relativo all'applicazione di uno schema di preferenze tariffarie generalizzate per il periodo 1o gennaio 2002 - 31 dicembre 2004 - COM(2001) 293 def. – 2001/0131 (ACC), CES 1122/2001 GU C 311 del 7.11.2001, punto 3.6.

(5)  Parere in merito alla Proposta di regolamento (CE) del Consiglio relativo all'applicazione di uno schema di preferenze tariffarie generalizzate per il periodo 1o gennaio 2002 - 31 dicembre 2004 - COM(2001) 293 def. – 2001/0131 (ACC), GU C 311 del 7.11.2001.

(6)  Ibid.

(7)  Parere sulla semplificazione, relatore: Walzer (GU C 48 del 21.2.2002, parere sulla Comunicazione della Commissione: Semplificare e migliorare la regolamentazione – COM(2001) 726 def. (GU C 125 del 27.5.2002) e (GU C 133 del 6.6.2003).

(8)  Norme OIL nn. 29, 87, 98, 100, 111, 138 e 182.

(9)  Parere sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio che istituisce un codice doganale comunitario - (COM(2003) 452 def. - 2003/0167(COD)).


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 110/40


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema le ripercussioni dell'accordo per la Zona di libero scambio delle Americhe (FTAA) sulle relazioni UE/America Latina/Caraibi

(2004/C 110/11)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 21 gennaio 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere sulle ripercussioni dell'accordo per la Zona di libero scambio delle Americhe (FTAA) sulle relazioni UE/America Latina/Caraibi.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 15 dicembre 2003, sulla base del rapporto introduttivo predisposto dal relatore SOARES.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 febbraio 2004, nel corso della 406a sessione plenaria del 25 e 26 febbraio 2004, ha adottato il seguente parere con 109 voti favorevoli, 8 voti contrari e 15 astensioni.

1.   Sintesi del parere

1.1

Il processo per addivenire all'accordo per la Zona di libero scambio delle Americhe (FTAA: Free Trade Area of the Americas), varato dagli Stati Uniti d'America, costituisce un'iniziativa di ampia portata intesa a trasformare il continente americano in uno dei più vasti spazi commerciali del mondo, con oltre 800 milioni di abitanti, un PIL complessivo di oltre 11 000 miliardi di euro e scambi commerciali per oltre 3 500 miliardi di euro.

1.2

Malgrado le varie vicissitudini subite dal processo e i dubbi formulati da taluni sul rispetto dei termini stabiliti dal calendario, è stata sinora mantenuta per la conclusione dei negoziati la scadenza del gennaio 2005, fissata per permettere che la FTAA entri in vigore nel dicembre dello stesso anno. Il fallimento della riunione ministeriale dell'Organizzazione mondiale del commercio, svoltasi dal 10 al 14 settembre 2003 a Cancún, ha impresso nuovo slancio al progetto FTAA, il cui prossimo vertice straordinario è stato poi fissato nel gennaio 2004. Il precedente vertice ministeriale, tenutosi a Miami a metà novembre, ha permesso di sbloccare i negoziati al fine di rispettare la data ufficiale di entrata in vigore (dicembre 2005). L'intesa raggiunta in tale sede punterebbe tuttavia a un accordo per una FTAA più semplificata.

1.3

Una delle caratteristiche dell'accordo nonché motivo della principale critica formulata da numerosi settori della società latino-americana, è che esso riveste unicamente un carattere commerciale, il che non farà altro che aggravare gli squilibri esistenti nella regione, dove gli Stati Uniti rappresentano da soli il 77 % del PIL e il 62 % delle esportazioni totali del continente.

1.4

Le posizioni della società civile dell'America Latina e dei Caraibi (ALC) in merito a questo progetto sono assai divergenti. Da una parte il mondo degli affari vede nel progetto una possibilità di accedere al grande mercato americano, nonostante talune imprese temano la concorrenza americana e canadese; dall'altra diversi settori, raggruppati intorno all'Alleanza sociale continentale (ASC: composta da sindacati, ONG e istituti universitari), respingono invece il progetto, anche perchè esso non contempla, o non considera a sufficienza, alcuni degli aspetti che stanno loro maggiormente a cuore: rispetto dell'ambiente, diritto dei lavoratori, esclusione sociale, indebitamento estero, democrazia e rispetto dei diritti dell'uomo, sfruttamento dei minori e rispetto delle comunità autoctone.

1.5

È imperativo che l'Unione europea dimostri maggiore volontà politica nelle proprie relazioni con i paesi di America Latina e Caraibi, tanto più che sono in gioco i suoi interessi economici e commerciali. L'Unione europea non deve dimenticare che a suo tempo l'entrata in vigore del NAFTA (North America Free Trade Agreement) ha avuto notevoli ripercussioni negative sulle imprese europee, le quali hanno perduto metà del mercato messicano. Nonostante l'accordo d'associazione rapidamente negoziato dall'UE con il Messico, le quote di mercato perse non sono state interamente recuperate.

1.6

L'attuale contesto politico e sociale dell'America Latina è tale da favorire una positiva conclusione dei negoziati con i partner dell'America Latina e dei Caraibi, e in particolare con il Mercosur.

1.6.1

L'elezione di Luiz Inácio LULA da SILVA in Brasile e di Néstor KIRCHNER in Argentina rispecchia il desiderio di cambiamento nella regione. Oltre ad aver manifestato un grande interesse per lo sviluppo del Mercosur ancor prima della conclusione dell'accordo FTAA, i due presidenti hanno espresso il desiderio di favorire le relazioni con l'UE.

1.6.2

Oggi più che mai si constata un chiaro bisogno di Europa in un continente latino-americano e caraibico in crisi. L'UE continua a essere considerata come un modello sociale e politico di riferimento. Attualmente i paesi di tale regione devono adoperarsi per trovare un modello economico e sociale alternativo a quello del «consenso di Washington» e al progetto d'integrazione con gli Stati Uniti, considerato eccessivamente egemonico.

1.7

Nonostante questo evidente desiderio d'Europa nella società latino-americana, e nella sua élite soprattutto, l'UE deve assolutamente adoperarsi per coinvolgere maggiormente la società civile nella sua strategia. Per dimostrare che questo progetto porta vantaggi a entrambe le parti, occorre infatti un impegno politico deciso, con un'informazione adeguata ed efficace e la partecipazione della società civile. L'Unione europea non può permettersi di commettere lo stesso errore che viene rimproverato ai negoziatori dell'accordo per la Zona di libero scambio delle Americhe (FTAA).

1.8

L'UE deve anche prendere atto del fallimento dei negoziati multilaterali di Cancún e tener presente che i suoi partner internazionali, analogamente agli Stati Uniti, sono decisi a servirsi di altri metodi per far progredire gli scambi internazionali, come ad esempio il bilateralismo o il biregionalismo. Per gli Stati Uniti il fallimento di Cancún costituisce una ragione in più per portare avanti i negoziati per la FTAA. In proposito il Comitato economico e sociale europeo è consapevole del fatto che l'UE e il Mercosur debbono dare prova di una più forte volontà politica per stipulare un accordo di Associazione e superare così le proprie titubanze e gli ostacoli che accompagnano qualsiasi negoziato. Per realizzare lo stesso obiettivo con la Comunità andina (CAN) da un lato e con il Mercato comune centroamericano (MCCA) dall'altro, il Consiglio dell'UE deve conferire un mandato alla Commissione europea affinché questa possa avviare i negoziati. In caso contrario l'Unione europea vedrà frustrata la sua ambizione di diventare un partner strategico per l'America Latina, rischiando di indebolire il proprio ruolo nella definizione delle nuove regole del commercio internazionale e della governance mondiale. I paesi dell'America Latina e dei Caraibi costituiscono degli alleati «facili» per ragioni culturali, politiche ed economiche e sono necessari per ridefinire il ruolo dell'Europa nella politica mondiale.

1.9

Ne consegue che l'Unione europea non può permettersi di lasciare l'iniziativa ai partner dell'America Latina e dei Caraibi: per far avanzare il partenariato strategico fra l'UE e questa regione non bisogna aspettare che vengano realizzati progressi nei negoziati sul fronte dell'accordo FTAA. In relazione a questo dossier della politica e del commercio internazionali l'UE deve dar prova di un vero spirito di leadership.

1.10

L'Unione europea non può rimanere insensibile alle aspirazioni e alle giuste rivendicazioni dei popoli dell'America Latina e dei Caraibi e dovrebbe quindi dare un nuovo impulso politico alle relazioni con questa regione del mondo e moltiplicare gli sforzi per tradurre in pratica gli impegni assunti ai vertici di Rio (1999) e di Madrid (2002). L'UE deve ridefinire la propria strategia partendo dai seguenti elementi:

mettere a punto un piano d'azione e un calendario di negoziati concreto, con proposte che vadano incontro anche agli interessi dei paesi dell'America Latina e dei Carabi,

avviare una liberalizzazione commerciale che favorisca le economie di entrambe le aree,

puntare a una maggiore partecipazione della società civile organizzata, in tutte le fasi dei negoziati,

perseguire una politica di sostegno ai raggruppamenti regionali dell'America Latina e dei Carabi,

difendere un modello sociale coerente nelle relazioni con i paesi dell'America Latina e dei Caraibi allo scopo di promuovere la coesione sociale,

incrementare notevolmente i mezzi finanziari in considerazione dell'importanza strategica della regione,

non condizionare la stipula dell'accordo d'associazione UE-Mercosur alla conclusione dei negoziati di Doha,

concludere rapidamente gli accordi d'associazione con gli altri blocchi regionali, ad esempio con la Comunità andina (CAN) e il Mercato comune centroamericano (MCCA),

rilanciare il dialogo politico interregionale e di conseguenza rafforzare la presenza ministeriale europea nelle sedi interministeriali, analogamente a quanto avviene per gli incontri UE-Gruppo di Rio.

2.   Il progetto di accordo per la Zona di libero scambio delle Americhe

2.1   Gli antecedenti del progetto FTAA

2.1.1

L'idea d'integrare tutti i paesi del continente americano non è affatto nuova ma non ha mai potuto arrivare in porto per mancanza di consenso fra i paesi interessati. L'accordo per la Zona di libero scambio delle Americhe (FTAA), i cui negoziati sono già a buon punto, rappresenta un serio tentativo in tal senso, tant'è vero che le trattative sono già approdate alla fase finale.

2.1.2

La FTAA è essenzialmente un'iniziativa nord-americana che si inserisce nel contesto particolare degli anni '80. Il governo REAGAN lancia, nel maggio del 1982, l'Iniziativa per il bacino dei Caraibi - con la quale si prefigge di creare un programma di partenariato economico imperniato sull'apertura commerciale e sull'iniziativa privata - e firma, nel gennaio del 1988, un accordo di libero scambio con il Canada (FTA). I negoziati per l'estensione di tale accordo al Messico vengono avviati dal governo BUSH (padre) e si concretizzano sotto il governo CLINTON dando luogo all'Accordo di libero scambio nord-americano (NAFTA).

2.1.3

Nel 1990 il presidente BUSH annuncia il suo progetto «Impresa per l'iniziativa delle Americhe» (EAI: Enterprise for the Americas Initiative), la quale cerca di creare una zona di libero scambio su scala continentale e di creare un fondo di investimento destinato a incoraggiare la continuazione delle riforme economiche, ad attrarre investimenti internazionali e ad alleggerire l'indebitamento dei paesi latinoamericani.

2.1.4

Per parte loro i governi dei paesi dell'America Latina e dei Caraibi hanno accolto con entusiasmo questo progetto di grande alleanza economica.

2.1.5

Sin dall'arrivo al potere di CLINTON l'amministrazione americana riprende l'idea di riunire le Americhe con un accordo di libero scambio. Al primo vertice delle Americhe, svoltosi a Miami nel dicembre 1994, hanno partecipato i 34 capi di Stato e di governo del continente, eccettuata Cuba (1).

2.2   Linee guida e grandi principi del progetto

2.2.1

Nel corso del vertice di Miami le parti adottano un piano d'azione e una dichiarazione di principi che ricapitolano le grandi linee e i principi di fondo del progetto. Questo si propone essenzialmente d'instaurare una zona di libero scambio mediante la progressiva eliminazione degli ostacoli agli scambi e agli investimenti.

2.2.2

Il piano d'azione, che mira a promuovere la prosperità attraverso l'integrazione economica e il libero scambio, comporta tre altri capitoli: la salvaguardia e il rafforzamento della democrazia, la lotta contro la povertà e la discriminazione e, infine, lo sviluppo sostenibile e la protezione dell'ambiente.

2.2.3

Durante il secondo vertice delle Americhe svoltosi a Santiago nell'aprile 1998 il piano d'azione è stato rimaneggiato, senza tuttavia che ne venissero alterati i principali orientamenti. I quattro capitoli diventano: istruzione; democrazia, giustizia e diritti umani; integrazione economica e libero scambio, e infine sradicamento della povertà e della discriminazione. Nonostante il progetto fosse essenzialmente imperniato sugli aspetti economici, su richiesta del Brasile si è deciso di rivolgere particolare attenzione ai problemi sociali, puntando sull'istruzione e sull'eliminazione della povertà.

2.2.4

Successivamente il piano d'azione ha subito nuove modifiche. Non avendo registrato progressi nel corso dei negoziati, il capitolo sull'istruzione viene infatti eliminato. Su suggerimento del Canada però, durante il terzo vertice delle Americhe organizzato a Québec nell'aprile 2001 viene aggiunto un nuovo tema - la connettività (accesso alle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione) - che si somma dunque al rafforzamento della democrazia, alla prosperità economica e alla realizzazione del potenziale umano.

2.3   La struttura dei negoziati

2.3.1

I vertici dei Capi di Stato e di governo sono uno degli elementi della struttura molto complessa che regge il processo negoziale: essi vengono convocati con cadenza triennale o quadriennale e sono destinati a sostenere le grandi linee del progetto definite agli altri livelli di negoziato, nonché a far conoscere la volontà politica dei diversi paesi. L'autorità politica che occupa il posto centrale nella struttura dei negoziati è però rappresentata dai ministri del Commercio, i quali si riuniscono all'incirca una volta ogni 18 mesi per definire gli orientamenti generali della FTAA.

2.3.2

Esiste poi un livello amministrativo, rappresentato dai sottosegretari al commercio riuniti in seno al Comitato per i negoziati commerciali (CNC). Quest'organo assolve un ruolo chiave dal momento che orienta i lavori dei nuovi gruppi impegnati nel negoziato, decide in merito alla struttura generale del futuro accordo di libero scambio e in merito alle questioni istituzionali, e garantisce la trasparenza del processo negoziale.

2.3.3

Vi è poi un elemento fondamentale di carattere tecnico costituito dai negoziatori e dagli esperti, i quali si riuniscono nell'ambito dei nuovi gruppi negoziali, dedicati ai seguenti settori: 1) accesso ai mercati; 2) investimenti; 3) servizi; 4) appalti pubblici; 5) composizione delle vertenze; 6) agricoltura; 7) diritti di proprietà intellettuale; 8) sovvenzioni, diritti anti-dumping e compensatori; 9) politica di concorrenza.

2.3.4

Questi gruppi beneficiano del supporto tecnico e analitico del Comitato tripartito composto dall'Organizzazione degli Stati americani (OEA), dalla Commissione economica per l'America Latina e i Caraibi (CEPAL) e dalla Banca interamericana di sviluppo (BID).

2.4   Le fasi dei negoziati

2.4.1   Prima fase dei negoziati

2.4.1.1

Dal vertice di Miami il progetto FTAA ha attraversato diverse fasi di negoziato. La prima, che va dal 1994 al 1998, ha rappresentato una tappa preparatoria durante la quale è stata definita la struttura fondamentale del progetto. Essa ha comportato 4 riunioni ministeriali (nel giugno 1995 a Denver, nel marzo 1996 a Cartagena, nel maggio 1997 a Belo Horizonte e nel marzo 1998 a San José).

2.4.1.2

Durante questa prima fase sono stati adottati i principi che avrebbero dovuto informare i negoziati per l'accordo FTAA. Si è così convenuto che le decisioni sarebbero state adottate in via consensuale, che l'accordo FTAA avrebbe rappresentato un impegno unico e che sarebbe stato conforme alle regole e alle discipline dell'OMC. Infine, su insistenza del Mercosur e in particolare del Brasile, ma contro la volontà degli Stati Uniti, si è deciso che l'accordo FTAA potrà essere compatibile con altri accordi regionali o bilaterali e che l'adesione a quest'accordo potrà avvenire sia individualmente sia nel quadro di un blocco regionale. A partire da tale momento, negli organi negoziali della FTAA numerose aree regionali hanno cominciato a parlare all'unisono: prima la Comunità andina (CAN), il Mercosur, la Comunità dei Caraibi (Caricom), e in seguito quattro paesi (2) del Mercato comune centro-americano (MCCA), denominati CA-4.

2.4.1.3

Durante questa prima fase le parti si sono inoltre impegnate a raccogliere informazioni, ad accumulare conoscenze e a stabilire le basi per i negoziati futuri.

2.4.2   Seconda fase dei negoziati

2.4.2.1

In occasione del vertice di Santiago, i Capi di Stato e di governo hanno manifestato la volontà di attivarsi nel progetto delle Americhe. Durante questa seconda fase i ministri, riunitisi in due occasioni (nel novembre del 1999 a Toronto e nell'aprile del 2000 a Buenos Aires) hanno annunciato l'entrata in vigore delle misure destinate a facilitare gli scambi entro gennaio 2001. I gruppi negoziali hanno inoltre sottoposto ai ministri un progetto preliminare di accordo.

2.4.2.2

Sotto la pressione della società civile è stato deciso di rendere pubblico il progetto preliminare per accrescere la trasparenza del processo. I ministri hanno ribadito la volontà di disporre del progetto definitivo nel gennaio 2005, in modo da farlo entrare in vigore nel dicembre dello stesso anno.

2.4.3   Terza fase dei negoziati

2.4.3.1

La terza fase dei negoziati è iniziata con il terzo vertice delle Americhe, svoltosi a Québec nell'aprile del 2001. In tale occasione i Capi di Stato di governo hanno rilasciato una dichiarazione contenente ampi impegni di carattere sociale ed economico e hanno adottato una clausola democratica, con la quale è stato convenuto di tenere consultazioni qualora un paese partecipante non dovesse più disporre di istituzioni democratiche, senza però precisare le eventuali sanzioni da comminarsi.

2.4.3.2

Questa terza fase è destinata a preparare una nuova versione più perfezionata del futuro accordo. In occasione del 7o incontro ministeriale svoltosi nel novembre 2002 a Quito è stata pubblicata una nuova bozza del progetto d'accordo e sono state definite le linee guida per i negoziati durante i 18 mesi successivi. I ministri hanno pure definito un programma per la cooperazione continentale destinato a favorire un'effettiva partecipazione alla FTAA delle economie più piccole del continente. Con Quito i negoziati, copresieduti dagli Stati Uniti e dal Brasile, sono sfociati nella fase finale del processo.

3.   Le caratteristiche e gli ostacoli alla realizzazione del progetto

3.1

La FTAA costituirebbe una delle più grandi zone di libero scambio del mondo, con un mercato di oltre 800 milioni di persone, un PIL globale di oltre 11 000 miliardi di euro e scambi commerciali per 3.500 miliardi di euro.

3.2

Il processo d'integrazione è tuttavia caratterizzato da una notevole asimmetria e dalla sua polarizzazione sugli Stati Uniti. Rari sono infatti i paesi delle Americhe che non hanno gli Stati Uniti come primo partner commerciale. Solo l'Argentina, il Paraguay e l'Uruguay fanno eccezione, avendo il Brasile come primo partner negli scambi con l'estero.

3.3

Nel 2000 la sola economia statunitense rappresentava il 77 % del PIL delle Americhe e il 62 % delle esportazioni complessive del continente. Rispettivamente, il Brasile, il Canada e il Messico rappresentavano il 6 %, 5 % e 4 % del PIL delle Americhe. Gli altri 30 paesi contavano per l'8 %. Piccoli paesi come il Nicaragua e Haiti rappresentano lo 0,05 % dello stesso totale, il NAFTA e il Mercosur, rispettivamente, l'87 % e il 9 % del PIL totale e il 90 % e 6 % del commercio del continente.

3.4

Le statistiche relative al PIL pro capite confermano quest'asimmetria: gli Stati Uniti sono in testa con 34 400 EUR pro capite, seguiti dal Canada (21 930 EUR), dall'Argentina (6 950 EUR), dall'Uruguay (6 000EUR), dal Brasile (3 060 EUR) e dal Messico (5 560EUR). Sul versante opposto il Nicaragua e Haiti dispongono di 745 EUR e 480 EUR pro capite. Il progetto FTAA cerca quindi d'integrare economie assai diverse, con gradi di sviluppo molto divergenti (3).

3.5

Queste asimmetrie e disparità hanno sollevato il problema delle eventuali ripercussioni di una profonda integrazione economica sulle economie «di piccole dimensioni», per le quali non è previsto un fondo di sviluppo o una rete di sicurezza. L'integrazione di queste economie nel processo della FTAA è diventato uno dei principali problemi. La partecipazione ai negoziati presenta indubbiamente delle difficoltà per questi 25 paesi (4), in particolare a causa della non disponibilità di risorse finanziarie ed umane sufficienti a proseguire tali negoziati. L'unica misura di compensazione sinora adottata per rimediare alle asimmetrie è consistita nel prevedere tappe più lunghe per la liberalizzazione commerciale delle economie di minori dimensioni.

3.6

L'assenza di una clausola sociale rischia di avere pesanti conseguenze visto che, durante questi ultimi dieci anni, l'ortodossia delle politiche di aggiustamento strutturale ha generato, nell'America Latina e nei Caraibi, un notevole incremento della disoccupazione e un aumento della povertà la quale, secondo i dati forniti dalla CEPAL, nel 2002 ha raggiunto il 43,4 % della popolazione, ovvero oltre 220 milioni di persone (5). Inoltre, i problemi sociali, economici e politici del continente non hanno agevolato i progressi delle trattative dopo il vertice di Québec.

3.7

Malgrado le notevoli riforme realizzate da vent'anni, le economie di questa regione continuano a incontrare notevoli difficoltà per trovare un sistema che consenta una crescita economica rigorosa, stabile e competitiva. Uno studio della CEPAL indica che per il secondo anno consecutivo il PIL ha segnato un tasso di crescita negativo, pari al -1,9 % nel 2002: in riferimento a tale periodo la CEPAL parla di «un mezzo decennio perduto».

3.8

È in particolare il caso dell'Argentina, la quale dal dicembre 2001 - da quando cioè è esplosa la crisi senza precedenti che il paese sta attraversando - ha preferito avvicinarsi ai partner del Mercosur per rafforzare quest'integrazione regionale e intessere legami più stretti con l'Europa, nonché per prendere le distanze dalla strategia di allineamento automatico con Washington. L'approfondimento del Mercosur e le relazioni con l'Unione europea costituiscono una priorità anche per il presidente brasiliano Luiz Inácio LULA da SILVA.

3.9

Detto ciò, va precisato che Brasilia non intende cambiare drasticamente posizione nei confronti della FTAA. La sua strategia cerca soprattutto di far avanzare le trattative fra il Mercosur, la Comunità andina, il Cile, i paesi dei Caraibi, la Guyana e il Suriname, per arrivare a una Zona sudamericana di libero scambio (ALCSA: Área de Libre Comercio Suramericana) che permetterebbe ai paesi dell'America Latina e dei Caraibi di rafforzare la loro posizione nel quadro dei negoziati per la FTAA. Nel dicembre 2002 gli interessati al progetto hanno fissato un calendario che prevede l'eliminazione degli ostacoli doganali entro la fine del 2003 e l'entrata in vigore del progetto nel 2005. In linea con quest'obiettivo di «collegare l'intera America meridionale al Mercosur» entro la fine del 2003, il governo LULA ha ottenuto la firma di un accordo di associazione fra il Perù e il Mercosur (agosto 2003) molto simile a quelli stipulati rispettivamente con la Bolivia nel dicembre 1995 e con il Cile nel giugno 1996. Il Mercosur spera anche di concludere un accordo di associazione con il Venezuela e di metterne in cantiere uno con la Colombia. Dal punto di vista degli obiettivi a cui ambisce e della scelta del calendario, questo progetto si pone in alternativa al processo di costituzione della FTAA.

3.10

Da parte loro gli Stati Uniti non hanno esitato a puntare su intese bilaterali per far avanzare la FTAA - come dimostra l'accordo firmato con il Cile nel dicembre 2002 - soprattutto dopo l'adozione del cosiddetto fast track o TPA (6) (corsia preferenziale) nel luglio 2002. In seguito alla conferenza ministeriale dell'OMC a Cancún questa tendenza al bilateralismo rischia di accelerarsi.

3.11

Questa soluzione è però indebolita dalle misure protezionistiche adottate dagli Stati Uniti. Dopo aver aumentato le tariffe che proteggevano il settore americano dell'acciaio e del legno da costruzione, gli Stati Uniti hanno infatti adottato una Farm Bill, la quale prevede sovvenzioni per 180 miliardi di dollari ai produttori agricoli nell'arco di un decennio. Queste misure protezionistiche non fanno altro che riaccendere le tensioni fra gli Stati Uniti e taluni paesi dell'America Latina, primo fra tutti il Brasile.

3.12

Le sovvenzioni alle esportazioni sono diventate uno dei principali ostacoli alla realizzazione della FTAA. Numerosi i paesi dell'America Latina premono affinché gli Stati Uniti riducano i loro aiuti all'agricoltura, mentre l'amministrazione BUSH insiste invece affinché i problemi delle sovvenzioni all'agricoltura e il ricorso ai «dazi antidumping» e ai diritti compensativi vengano discussi nell'ambito dell'OMC. Il fallimento dei negoziati multilaterali di Cancún mostra in ogni caso quanto sia difficile, per i paesi ricchi come l'Unione europea o gli Stati Uniti d'America, affrontare in particolare i problemi agricoli nel contesto di negoziati internazionali.

3.13

Constatando il fallimento dei negoziati commerciali multilaterali, gli Stati Uniti hanno annunciato, durante la conferenza stampa conclusiva del vertice di Cancún, la loro volontà di attivarsi sul fronte bilaterale e regionale. Se alle dichiarazioni seguiranno i fatti, è probabile che i negoziatori americani tornino al tavolo delle trattative agricole nel quadro del progetto FTAA. Così facendo permetterebbero al progetto d'integrazione panamericana di sormontare uno degli scogli più difficili, e quindi di compiere notevoli progressi.

3.14

Va tuttavia ricordato che, malgrado la TPA, il potere di negoziato dell'esecutivo rimane limitato dal Congresso. Il Trade Act (che ha istituito la TPA) prevede procedure d'esame che potrebbero rivelarsi laboriose, in particolare per tutto ciò che riguarda le sovvenzioni, i dazi antidumping e i diritti compensativi. Prevede anche una procedura di consultazione che conferisce al Congresso poteri notevoli per influenzare i negoziati.

4.   L'atteggiamento degli attori della società civile nei confronti del progetto delle Americhe

4.1   Partecipazione istituzionale

4.1.1

Il processo governativo della FTAA viene seguito da organizzazioni della società civile la cui partecipazione è prevista dall'Accordo. Oltre a questa partecipazione, le stesse organizzazioni si riuniscono in occasione di incontri ministeriali e presidenziali per influire sul corso dei negoziati.

4.1.2

I meccanismi di partecipazione della società civile sono di due tipi: da un lato le iniziative instaurate dagli organi partecipanti al processo FTAA e dall'altro quelle promosse dai movimenti di origine sociale. Nel quadro del processo FTAA il Comitato dei rappresentanti governativi per la partecipazione della società civile ha istituito un meccanismo destinato a rendere note le proposte provenienti dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori, nonché da quelle rappresentative delle associazioni ambientaliste e del mondo accademico. Questa partecipazione avviene in maniera indiretta: i partecipanti infatti possono rivolgersi per iscritto al Comitato, il quale trasmette quindi le loro raccomandazioni al CNC o al gruppo negoziale competente in materia.

4.1.3

Per favorire la partecipazione della società civile, nel luglio 2002 i responsabili governativi del progetto delle Americhe hanno organizzato un colloquio regionale sulla FTAA a Merida, in Messico. Questo primo forum regionale di dibattito pubblico ha riunito un pubblico di 100 persone. Esso aveva anche lo scopo di fornire ragguagli e spiegazioni sul processo FTAA.

4.1.4

Una seconda iniziativa è stata presa durante la riunione ministeriale di Quito nel novembre 2002: i ministri del commercio hanno incontrato separatamente i rappresentanti del settore privato e della società civile (gruppi ambientalisti, sindacati, parlamentari e popolazioni indigene). Una novità è stata la possibilità offerta ai rappresentanti della società civile di rivolgersi direttamente ai ministri.

4.2   Le posizioni della società civile sul progetto FTAA

4.2.1

Il mondo imprenditoriale del continente americano si è interessato molto presto al progetto FTAA. Dopo la prima riunione ministeriale tenutasi a Denver nel 1995, si è infatti cercato di organizzare incontri paralleli al processo ufficiale onde promuovere gli interessi del settore privato. Oltre 1.500 uomini d'affari hanno partecipato a questi incontri attraverso il Forum degli imprenditori delle Americhe (Americas Business Forum, ABF), il quale raggruppa i rappresentanti dell'ambiente degli affari su base settoriale e nazionale.

4.2.2

Il Forum degli imprenditori delle Americhe (ABF), che è favorevole al progetto di integrazione panamericana, cerca di contribuire al dibattito con analisi tecniche e informative sugli obiettivi strategici e sulle aspirazioni del settore privato. Contribuisce inoltre a diffondere l'informazione sul processo FTAA e a intessere relazioni personali e istituzionali fra gli imprenditori e le organizzazioni del continente.

4.2.3

Durante le riunioni annuali del Forum vengono organizzati convegni e seminari sui temi chiave dell'integrazione panamericana. Per quanto gli incontri annuali previsti dal Forum non rientrino ufficialmente nel processo negoziale, i lavori svolti in tale sede hanno obiettivamente un notevole impatto sull'evolversi del progetto. Le raccomandazioni del settore privato vengono infatti tenute presenti da ciascuno dei gruppi negoziali. Una di queste raccomandazioni riguarda la rapida attuazione di misure intese ad agevolare gli scambi, e in effetti gli imprenditori si sono messi d'accordo affinché misure in tal senso entrassero in vigore prima della fine dei negoziati.

4.2.4

Il contributo fornito dagli scambi è assai meno evidente per gli altri settori della società civile, come i sindacati, le ONG, i centri di ricerca universitaria, ecc. Le organizzazioni a carattere sociale hanno intrapreso proprie iniziative per pronunciarsi sul processo di integrazione. Fra le altre figura quella dell'Alleanza sociale continentale (ASC), la quale rappresenta un'importante rete di movimenti e organizzazioni sociali a livello interamericano. Essa raggruppa quindi le posizioni più disparate, che vanno dalla riforma del progetto FTAA al suo totale rifiuto. Nonostante quest'iniziativa si sia materializzata solo nel 1997, la società civile si era mobilitata ben prima.

4.2.5

Infatti, al pari del settore delle imprese, anche i sindacati hanno mostrato ben presto interesse per il progetto panamericano, partecipando attivamente alla riunione ministeriale di Denver. Il movimento sindacale sostenuto dall'Organizzazione regionale interamericana (ORIT) - ramo della Confederazione internazionale dei sindacati liberi (CISL) sul continente - ha organizzato una conferenza parallela, al termine della quale è stata redatta una dichiarazione in cui si raccoglievano le preoccupazioni e le istanze dei partecipanti.

4.2.6

Durante la successiva riunione ministeriale di Cartagena il movimento sindacale non si è limitato a stilare un nuovo documento di riflessione, ma ha cercato di esercitare pressioni sui rappresentanti dei governi. Questi ultimi hanno peraltro sottolineato nelle loro conclusioni finali «l'importanza di favorire un maggiore riconoscimento e la promozione dei diritti dei lavoratori, come anche la necessità di prevedere misure appropriate al riguardo presso i rispettivi governi».

4.2.7

Il movimento si è poi esteso ad altri gruppi sociali. Nel maggio 1997, durante la terza riunione ministeriale di Belo Horizonte, i delegati delle coalizioni contrarie al libero scambio (ONG, taluni centri di ricerca, associazioni ambientaliste, femministe e autoctone) si sono infatti uniti ai rappresentanti del movimento sindacale del continente americano creando l'Alleanza sociale continentale (ASC), che in quanto tale doveva prendere posizione l'anno successivo, durante lo svolgimento del secondo vertice delle Americhe.

4.2.8

Per l'occasione l'ASC ha organizzato il primo vertice dei popoli delle Americhe, che ha prodotto un documento intitolato Alternative per le Americhe. Nell'aprile del 2001 a Québec, in concomitanza con il terzo vertice delle Americhe, è stato poi organizzato un secondo vertice dei popoli delle Americhe che ha riunito oltre 2 000 rappresentanti di movimenti e organizzazioni provenienti da tutto il continente americano, Cuba compresa.

4.2.9

L'ASC, conscia dell'oggettiva influenza del mondo degli affari nel quadro dei negoziati per la FTAA, tenta di promuovere un progetto alternativo, proponendo di inserire nel futuro accordo misure sociali e ambientali. L'Alleanza intende così garantire l'occupazione, assicurandone la qualità, ed evitare il dumping ecologico includendo i costi ambientali nelle esportazioni. Molti governi dei paesi dell'America Latina e dei Caraibi si oppongono però a questo tipo di misure, considerando che esse offrano un pretesto per il protezionismo. Inoltre, la posizione adottata dagli Stati Uniti dal 2001 non favorisce progressi a questo proposito. Diversamente da quanto è avvenuto per il NAFTA, il progetto che prevedeva di inserire clausole in materia di occupazione e ambiente ha perso importanza nel corso dei negoziati ufficiali per la FTAA svoltisi negli Stati Uniti. Questi ultimi hanno infatti manifestato ripetutamente la propria riluttanza ad affrontare l'argomento nelle discussioni.

4.2.10

L'Alleanza sociale continentale si è inoltre opposta alla liberalizzazione sistematica degli appalti pubblici, dei servizi sanitari, dell'istruzione e degli investimenti.

4.2.11

L'ASC ha inoltre tentato di denunciare la mancanza di trasparenza del processo e sta attualmente organizzando una consultazione sul progetto FTAA che si svolgerà a livello panamericano nel corso dell'anno 2003-2004.

4.2.12

In questo movimento di opposizione alla creazione della FTAA così come è attualmente negoziata, hanno tentato di esprimere la propria posizione in merito al progetto anche alcuni parlamentari del continente americano. I membri di oltre 164 parlamenti provinciali e nazionali si sono incontrati in diverse occasioni, in seno a un'assemblea denominata Confederazione parlamentare delle Americhe (COPA), con i delegati dei parlamenti regionali dei 34 paesi che stanno negoziando la FTAA e di Cuba, con lo scopo di esprimere le loro riserve rispetto al progetto FTAA.

4.2.13

Nella dichiarazione adottata nel corso della seconda assemblea generale del luglio 2000 la COPA ha esortato i Capi di Stato e di governo a tener conto del livello di sviluppo dei paesi interessati dal progetto e a garantire la partecipazione dei parlamentari di tutti gli ordinamenti, in modo da favorire la trasparenza.

4.2.14

In concomitanza con la riunione ministeriale di Quito si è inoltre svolto un incontro dei parlamentari del continente, nel corso del quale è stata adottata una risoluzione con cui i deputati partecipanti respingevano il progetto FTAA e proponevano ai governi di optare piuttosto per un rafforzamento degli accordi d'integrazione dell'America Latina e dei Caraibi, come ad esempio il Mercosur, la CAN, la Caricom e l'MCCA.

4.3   Preoccupazioni e aspettative della società civile

4.3.1

Diversi sono i punti di vista della società civile dell'America Latina e dei Caraibi in merito al progetto FTAA. I settori che vi si oppongono deprecano innanzitutto che non sia possibile una partecipazione effettiva ai processi decisionali di un'ampia parte della società civile, come i sindacati e le ONG rappresentative, e che gli unici poteri ad avere un contatto diretto con i negoziatori e a esercitare una sicura influenza sulle bozze oggetto del negoziato siano i membri del Forum degli imprenditori delle Americhe (ABF), favorevoli alla creazione della FTAA.

4.3.2

Si teme soprattutto che il processo continui senza trasparenza e che venga seguita la «politica del fatto compiuto», presentando alla società civile l'esito dei negoziati una volta conclusi e impedendole pertanto di influire su di essi.

4.3.3

I sindacati e gli altri attori della società civile riuniti in seno all'ASC deprecano che le autorità politiche e il mondo delle grandi imprese private continuino a definire il futuro accordo per la Zona di libero scambio delle Americhe senza considerare i principali aspetti che stanno a cuore alla società civile: ambiente, diritto dei lavoratori, precarietà salariale, disoccupazione, povertà, esclusione sociale, aggravamento dello squilibrio tra le economie del continente, protezionismo agricolo e sussidi statunitensi all'esportazione - i quali si ripercuotono sui paesi dell'America Latina e dei Carabi -, debito estero, democrazia (si chiede ai governi di organizzare una consultazione sulla FTAA) e rispetto dei diritti umani, sfruttamento dei minori e rispetto delle comunità autoctone.

4.3.4

Se da una parte la maggioranza dei movimenti di origine sociale (ONG, organizzazioni sindacali, istituti di ricerca, ecc.) è piuttosto favorevole ai processi d'integrazione regionale, dall'altra vengono espresse serie riserve in merito ad accordi d'integrazione come quello per la FTAA. Infatti, mentre i processi d'integrazione analoghi al Mercosur vengono considerati un modello di riferimento per l'integrazione panamericana - perché includono aspetti politici, sociali, culturali e strategici, - il progetto FTAA, così come attualmente negoziato, non farebbe altro che esasperare lo squilibrio tra Stati Uniti e paesi dell'America Latina e dei Caraibi, tanto più che la competitività internazionale di questi ultimi è danneggiata dalle politiche protezionistiche statunitensi.

4.3.5

Gli attori della società civile sono favorevoli a un'integrazione che non si limiti al solo commercio, si oppongono - diversamente dalla grande maggioranza dei governi della regione - a un accordo che non fornisca nessuna garanzia a livello sociale e ambientale e chiedono che il rispetto dei diritti umani sia tenuto in seria considerazione. A giudicare dalle loro dichiarazioni, sembrano più propensi ad appoggiare un accordo dei paesi dell'America Latina e dei Carabi con l'Unione europea, piuttosto che con gli Stati Uniti. Apprezzano infatti lo spazio riservato dall'UE agli aspetti sociali e ambientali e ai diritti umani, sia all'interno che all'esterno dell'UE, come pure la coerenza con cui le misure adottate vengono rispettate. D'altra parte tuttavia deplorano la mancanza di energia e volontà che caratterizza la strategia latinoamericana dell'Unione europea.

4.3.6

L'ASC auspica inoltre che i governi rendano il negoziato trasparente e organizzino con tutte le componenti della società civile un dibattito aperto sulla FTAA destinato a valutare la fattibilità del relativo accordo e le conseguenze che esso potrebbe avere per i paesi del continente americano.

4.3.7

Per quanto riguarda la posizione degli imprenditori, nei paesi dell'America Latina e dei Caraibi,un gran numero di aziende, prime fra tutte quelle dell'industria agroalimentare, vede nella FTAA un mezzo per penetrare nel grande mercato americano. A giudizio di queste società la FTAA costituisce uno strumento importante per rompere il circolo vizioso dell'indebitamento degli anni '80, consolidare le riforme liberali e uscire dall'isolamento internazionale. Alcuni imprenditori dell'America Latina sono però meno entusiasti, come ad esempio gli industriali del settore petrolchimico, riuniti nell'Associazione petrolchimica e chimica latinoamericana (APLA), che hanno ribadito ulteriormente la propria opposizione alla FTAA nel corso dell'ultima riunione (11 novembre 2003) dell'Associazione stessa.

4.3.8

Per diverso tempo in America Latina, e soprattutto in Brasile, le imprese operanti in determinati settori si sono mostrate reticenti ad avanzare nei negoziati per la FTAA. Si tratta soprattutto di società che temono fortemente la concorrenza statunitense e canadese che la firma dell'accordo FTAA potrebbe generare. Per contro, un gran numero di imprenditori di Stati Uniti e Canada del settore secondario e terziario vedono nella FTAA un'opportunità per penetrare nei mercati latinoamericani, specie in quello brasiliano.

4.3.9

Sembra tuttavia che nel settore privato brasiliano si stia verificando un cambiamento di posizione. Se per diverso tempo in Brasile il mondo degli affari e il ministero degli Esteri (Palazzo Itamaraty) hanno condiviso la stessa visione negativa del progetto FTAA, gli imprenditori cominciano ora a mostrarsi favorevoli a una maggiore apertura commerciale e si dichiarano pronti ad affrontare da subito la concorrenza esterna. Il settore privato brasiliano ha cominciato a esercitare pressioni sul governo LULA, affinché quest'ultimo ammorbidisca la propria posizione nei negoziati per la FTAA e l'accordo venga pertanto raggiunto entro i tempi previsti.

4.4   Posizioni e preoccupazioni dei decisori politici

4.4.1

Un vero e proprio abisso separa il punto di vista della società civile da quello dei governi in merito alla strada da imboccare per pervenire all'integrazione delle Americhe. Nel negoziare un accordo commerciale continentale, i governi dei paesi dell'America Latina e dei Caraibi, i quali si interessano soprattutto all'apertura economica, e in particolare alla possibilità di penetrare nel grande mercato statunitense, cercano di convincere gli Stati Uniti ad abbandonare le politiche protezionistiche nel settore agricolo.

4.4.2

Al pari dei membri del Mercosur, essi ritengono che la FTAA potrebbe incoraggiare l'Unione europea a compiere passi avanti nei negoziati con i paesi dell'America Latina e dei Carabi e a far progredire i negoziati multilaterali nell'ambito dell'OMC. La FTAA, i negoziati con l'Unione europea e l'OMC costituiscono, a loro giudizio, tre processi interconnessi che si condizionano vicendevolmente. La rigida posizione assunta nel corso della conferenza ministeriale di Cancún dai paesi in via di sviluppo (PVD), mediante il «Gruppo dei 21» (G 21, detto anche G 20-plus), nei confronti delle reticenze dei paesi ricchi a fare concessioni nel settore dell'agricoltura e il fallimento di questi negoziati potrebbero in certa misura essere interpretati come un declino del multilateralismo. Il blocco delle discussioni multilaterali sembra aprire la strada a strategie regionali, bilaterali e biregionali. Come già sottolineato in precedenza, gli Stati Uniti manifestano una grande volontà di accelerare questi accordi. Anche i paesi emergenti, analogamente alla Cina e al Brasile, hanno annunciato la propria volontà di puntare su queste strategie.

4.4.3

Il blocco sudamericano ritiene che l'offerta dell'Unione europea nel settore agricolo, diversamente da quella statunitense, non sia affatto chiara; reputa insufficiente una semplice trattativa sui prodotti agricoli e giudica necessario negoziare anche i sussidi all'esportazione. Per questi aspetti considera il negoziato per la FTAA più promettente di quello con l'Unione europea, anche se giudica quest'ultimo più facile da gestire del primo: le trattative con l'Europa implicano un negoziato biregionale, mentre quelle condotte nell'ambito della FTAA fanno intervenire un gran numero di attori e di proposte talvolta estremamente diverse. Nell'ambito dei negoziati per l'accordo di associazione UE-Mercosur, l'Unione europea, la cui posizione è difesa dalla Commissione europea, ha sempre incoraggiato i paesi membri del Mercosur, non senza esito positivo, a definire una posizione comune. Nel corso dei negoziati biregionali, il numero della proposte avanzate dalle parti si è così ridotto a due facilitando in tal modo le trattative.

5.   I rapporti fra l'Europa e i paesi dell'America Latina e dei Caraibi

5.1   Cenni storici

5.1.1

Per diverse ragioni storiche, taluni paesi europei, come la Spagna, la Francia, il Regno Unito, il Portogallo e i Paesi Bassi, hanno sempre intrattenuto rapporti bilaterali più o meno stretti con i paesi dell'America Latina e dei Carabi. Malgrado la diversità culturale e l'eterogeneità che caratterizzano questa regione, l'identità culturale dei paesi dell'America Latina e i Caraibi è profondamente impregnata dei valori che hanno forgiato il carattere e la storia dell'Europa. La notevole diffusione, in questa parte del mondo, degli ideali filosofici illuministici di democrazia, Stato di diritto, libertà e diritti dell'uomo è un elemento che agevola un riavvicinamento tra l'Unione europea e i paesi dell'America Latina e dei Caraibi.

5.1.2

L'istituzionalizzazione dei rapporti fra l'Europa e l'America Latina costituisce però un fatto nuovo dal momento che, dall'inizio del Novecento, quest'ultima ha sviluppato rapporti diplomatici quasi esclusivi con gli Stati Uniti, e tuttavia non su un piano di parità. L'Unione europea d'altra parte ha sempre intrattenuto rapporti istituzionalizzati con i paesi dei Caraibi, ad eccezione di Cuba, nel quadro degli accordi ACP.

5.1.3

Sebbene l'Europa sia tornata sulla scena latinoamericana circa 30 anni fa, soltanto negli anni Novanta, grazie allo slancio impresso dall'adesione della Spagna e del Portogallo, la CE/UE (7) ha adottato una strategia mirante a stringere rapporti con tutti i paesi dell'America Latina e dei Caraibi. A partire dagli anni Sessanta, per instaurare relazioni privilegiate con i paesi dell'America Latina, la CEE ha stipulato una serie di accordi settoriali detti della «prima generazione», seguiti negli anni Settanta dagli accordi della «seconda generazione» che coprivano diversi settori.

5.1.4

I conflitti armati scoppiati nell'America centrale durante gli anni Ottanta e il primo configurarsi della Cooperazione politica europea hanno indotto la CEE a svolgere un importante ruolo politico di intermediario. I negoziati, svoltisi nel settembre del 1984 a San José (Costa Rica) tra i ministri degli Esteri della CEE, della Spagna e del Portogallo e i rappresentanti dei paesi dell'America centrale per ristabilire la pace e discutere le misure di democratizzazione del continente, avviano una fase di rinnovamento dei rapporti fra l'America Latina e la CEE e danno vita al «processo di San José».

5.1.5

Con l'adesione della Spagna e del Portogallo alla Comunità questo dialogo verrà esteso al resto della regione, la quale sarà ormai rappresentata dal Gruppo di Rio, istituito nel 1986 da Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Costa Rica, Ecuador, Messico, Paraguay, Perù, Uruguay e Venezuela appunto per affrontare i problemi politici, sviluppare le relazioni esterne e trattare le questioni legate all'integrazione regionale. Altri paesi latinoamericani aderiranno successivamente al gruppo, che diventa in ambito politico l'interlocutore privilegiato della CE/UE in America Latina. Il dialogo biregionale viene avviato nel 1987 e istituzionalizzato nel 1990.

5.1.6

La fine del bipolarismo, la volontà europea di fare dell'UE un protagonista a livello internazionale, nonché la stabilità politica dell'America Latina, il suo processo di democratizzazione e l'adozione - nella regione - di un'economia orientata verso l'esterno continueranno a rendere ancor più dinamici i rapporti tra i due continenti. Anche i fattori storici e culturali e la condivisione di valori filosofici e giuridici comuni contribuiranno a facilitarne il riavvicinamento.

5.2   Caratteristiche dei rapporti fra l'Europa e i paesi dell'America Latina e dei Caraibi

5.2.1

Mentre gli Stati Uniti istituivano il NAFTA e lanciavano il progetto FTAA nel 1994, l'Unione europea, conscia della diversità dei paesi latinoamericani, cercava di proporre loro un altro tipo di partenariato, tentando di sviluppare una strategia fondata su approcci differenziati, articolati in funzione delle realtà nazionali e regionali, tenendo cioè in considerazione l'eterogeneità del continente: un fattore trascurato nel progetto FTAA. L'Unione europea propone pertanto un partenariato basato su di un dialogo condotto in vari sottogruppi regionali e su di una gamma di strumenti adeguati alle realtà politiche e socioeconomiche di ciascuno di essi.

5.2.2

La nuova strategia europea elaborata dal commissario Manuel MARÍN (membro della Commissione SANTER) e approvata dal Consiglio nell'ottobre del 1994 mirava a stabilire con l'America Latina una «associazione», fondata sugli accordi della terza generazione e su nuovi accordi, detti della «quarta generazione». I primi, che si concentrano in particolare sull'integrazione e sulla cooperazione regionale, contengono una «clausola evolutiva» - che consente alle parti contraenti di completare e aumentare il livello di cooperazione - e una «clausola democratica» - che permette di garantire il rispetto dei principi fondamentali corrispondenti ai valori comuni. Gli accordi della quarta generazione riprendono questi elementi consolidati e prevedono inoltre la stipula di accordi commerciali.

5.2.3

Le politiche di austerity e di privatizzazione applicate all'inizio degli anni Novanta nei paesi dell'America Latina attireranno gli investimenti privati europei, favorendo in tal modo il riavvicinamento tra le due regioni. Tra il 1996 e il 1999 l'Unione europea diventa il più importante investitore in America Latina e quest'ultima si trasforma nel primo destinatario, nei mercati emergenti, degli investimenti europei, i quali passano, durante il periodo citato, da 13.289 a 42.226 milioni di dollari. Tra il 1990 e il 2000 gli scambi fra le due regioni sono raddoppiati: le esportazioni dell'Unione europea verso l'America Latina sono passate da 17 miliardi di euro a oltre 54 miliardi di euro, mentre quelle dell'America Latina verso l'Unione europea sono passate da 27 a 49 miliardi di euro. L'Unione europea è dunque diventata il secondo investitore e partner commerciale per l'America Latina, e addirittura il primo per il Mercosur e il Cile.

5.2.4

In questo contesto doppiamente favorevole, caratterizzato dalla sicura volontà politica di entrambe le regioni e da un evidente riavvicinamento economico, è nata l'idea di compiere un progresso qualitativo organizzando a Rio de Janeiro, nel giugno del 1999, un vertice che riunisse i 48 Capi di Stato e di governo dell'Unione europea, dell'America Latina e dei Caraibi, Cuba compresa.

5.2.5

Il vertice, evento di portata storica, ha dimostrato la maggiore maturità dell'Unione europea come protagonista sulla scena mondiale e ha sottolineato il crescente interesse suscitato dall'America Latina e dai Caraibi nei paesi industrializzati. Il vertice, col quale si tentava inoltre di reagire all'unipolarismo successivo alla guerra fredda, poneva l'accento sul regionalismo, inteso come nuova forza nei rapporti internazionali. Taluni non hanno esitato a considerare questo avvenimento come la prima pietra per costruire un mondo multipolare non più dominato dagli Stati Uniti.

5.2.6

Nel corso del vertice sono stati adottati due documenti - una dichiarazione e un piano d'azione - destinati a costituire la base di un nuovo rapporto strategico fra le due sponde dell'Atlantico. La dichiarazione, articolata in 69 punti, invitava a sviluppare i rapporti in campo politico, economico, scientifico, culturale, educativo, sociale e umano in previsione dell'istituzione dell'Associazione strategica. Il piano d'azione allegato alla dichiarazione prevedeva invece 55 priorità.

5.2.7

Proprio a causa del numero di campi e di priorità menzionati nei documenti citati, non è stato possibile stabilire una linea d'azione concreta. Di conseguenza, il gruppo biregionale di alti funzionari, nella prima riunione svoltasi a Tuusula (Finlandia) nel novembre del 1999, ha limitato il numero delle priorità a undici (8). Sono stati registrati alcuni progressi relativamente alle priorità 5, 7 e 8. Per quanto riguarda la priorità 5 è stato istituito un meccanismo di coordinamento biregionale per la lotta alla droga, rispetto alla priorità 7 si è proceduto alla firma di accordi di associazione con il Messico e con il Cile e per quanto riguarda infine la priorità 8, è stato avviato un dialogo biregionale specifico in materia di scienza e tecnologia, sfociato nella conferenza ministeriale di Brasilia (marzo 2000). In questa occasione sono stati adottati la «Dichiarazione di Brasilia» e un piano d'azione UE-ALC sulla scienza e la tecnologia, presentato poi al vertice di Madrid, le cui priorità sono la salute e la qualità della vita, lo sviluppo sostenibile e l'urbanizzazione, il patrimonio culturale e la società dell'informazione.

5.2.8

Nonostante tuttavia l'elaborazione della «lista di Tuusula» per la definizione delle priorità e l'effettiva realizzazione di taluni obiettivi, la mancanza di orientamenti chiari nelle relazioni tra le due regioni è stata purtroppo confermata anche nel corso del secondo vertice UE/ALC, svoltosi nel maggio del 2002 a Madrid.

5.2.9

Per il periodo 2002-2006, la Commissione prevede in media una dotazione annuale di 323 milioni di euro per l'intera America Latina (9): un finanziamento palesemente insufficiente, vista l'importanza del progetto e la posta in gioco. L'America Latina continua pertanto a essere una delle regioni meno sostenute dagli aiuti dell'Unione europea.

5.2.10

Per quanto riguarda strettamente i negoziati, il vertice di Madrid, svoltosi nel contesto difficile successivo agli avvenimenti dell'11 settembre, ha fatto registrare pochi risultati concreti. Su iniziativa europea, le tematiche relative alla sicurezza e al terrorismo sono state predominanti nell'ordine del giorno delle discussioni, anche se i paesi dell'America Latina e dei Caraibi erano molto più interessati agli aspetti economici e commerciali. Questa divergenza nella gerarchia delle priorità era già stata rilevata in occasione del vertice di Rio, durante il quale gli europei avevano privilegiato gli aspetti riguardanti la governance e la povertà, mentre i paesi dell'America Latina e dei Caraibi mostravano una chiara predilezione per i rapporti economici e per le loro ripercussioni sull'occupazione. Il terzo vertice, che si terrà in Messico nel maggio del 2004, deve poter definire un'agenda basata su di un vero e proprio comune denominatore.

5.3   Lo stato attuale dei rapporti fra l'Europa e i paesi dell'America Latina e dei Caraibi

5.3.1

Il grande successo del vertice di Rio costituisce senza dubbio l'elemento che ha avviato i negoziati commerciali tra l'Unione europea e il Mercosur. Nel corso del 2000 è entrato in vigore l'accordo firmato dal Messico con l'UE, mentre il Cile è riuscito a stipularne uno con l'Unione in occasione del vertice di Madrid, svoltosi nello stesso anno. Tali accordi coprono i tre pilastri della strategia europea per l'America Latina: dialogo politico, cooperazione e integrazione economica e commerciale. Se si esclude l'accordo firmato con il Cile, è difficile capire quali progressi abbia registrato l'alleanza strategica al vertice di Madrid.

5.3.2

Paradossalmente, i processi regionali dell'America Latina, che l'Unione europea teneva in grande considerazione, non hanno ancora portato alla stipula di accordi di associazione con l'Europa. Al vertice di Madrid l'Unione europea ha infatti proposto alla CAN e all'MCCA di incominciare i negoziati, conclusisi nell'ottobre 2003, con il dialogo politico e la cooperazione. L'avvio delle trattative commerciali è subordinato invece alla conclusione del round di Doha, prevista per la fine del 2004, e allo sviluppo interno della CAN e dell'MCCA.

5.3.3

Il Mercosur, che pur vanta forti legami politici ed economici con l'Europa, non ha ancora comunicato la propria offerta globale di negoziato per la riduzione dei dazi doganali, in particolare di quelli sui prodotti agricoli. Se le trattative trovano un ostacolo nelle questioni agricole, spetta all'Unione europea garantire che il futuro accordo di associazione non sia in contrasto con gli obiettivi politici dell'UE, come la sicurezza sanitaria, la proprietà intellettuale e lo sviluppo sostenibile.

5.3.4

Se si considera che l'Unione europea segue una strategia di negoziato per blocchi regionali, è sorprendente che essa abbia dato la priorità al Messico e al Cile, ovverosia ai paesi più lontani dall'ideale europeo d'integrazione e più vicini invece al progetto d'integrazione interamericana proposto da Washington. Diversamente da quanto previsto nella dichiarazione e nel piano d'azione approvati al vertice di Rio, i quali orientavano i rapporti fra Unione europea e paesi dell'America Latina e dei Carabi verso una nuova relazione strategica, l'operato dell'Unione europea è finora caratterizzato dalla volontà di reagire al progetto FTAA.

5.3.5

La maggioranza dei raggruppamenti regionali dell'America Latina mira a sviluppare, oltre che con gli Stati Uniti, rapporti commerciali con altri soggetti di rilievo internazionale, specie con l'Unione europea. Diversificando le relazioni esterne e stringendo soprattutto legami politici ed economici con l'Unione, le organizzazioni dell'America Latina e dei Carabi - come ad esempio il Mercosur - sperano di guadagnarsi una posizione nettamente meno marginale sulla scena mondiale. In tale contesto, un'azione più efficace da parte dell'Unione europea potrebbe contribuire significativamente a prolungare e a consolidare l'esistenza stessa di tali organizzazioni regionali e potrebbe modificare il gioco delle alleanze e il peso dei paesi della regione nei negoziati per la FTAA. Inoltre una nuova associazione strategica di questo tipo permetterebbe ai partner di far valere, in seno alle istanze multilaterali, posizioni comuni risultanti da convergenze di opinioni e d'interessi.

5.3.6

A giudizio del CESE, tuttavia, gli accordi preferenziali che l'Unione europea stipulerà con il Mercosur, la CAN e l'MCCA debbono rispettare le disposizioni dell'articolo 24 del GATT/OMC (10).

5.3.7

Questi futuri accordi devono inoltre prendere in considerazione sia gli interessi delle grandi che quelli delle piccole aziende agricole, tanto in Europa quanto in America Latina e nei Caraibi, nonché rispettare l'armonia sociale del mondo rurale.

5.4   Il ruolo della società civile organizzata nelle relazioni UE/America Latina/Caraibi

5.4.1

Il CESE è conscio della volontà strategica dell'Unione europea di rafforzare le relazioni con l'America Latina e i Caraibi e per questo segue da vicino l'evoluzione di dette relazioni e si è pronunciato in diverse occasioni sulla necessità di coinvolgere maggiormente la società civile organizzata in tutte le fasi del processo.

5.4.2

I diversi pareri del CESE sull'America Latina (11) sottolineano l'esigenza, dovuta a questioni di ordine politico commerciale, di rafforzare l'aspetto sociale delle relazioni tra l'Unione europea e le regioni dell'America Latina e dei Caraibi, sia dal punto di vista dei diritti dell'uomo e del lavoratore, che da quello del miglioramento della coesione sociale.

5.4.3

Al fine di aumentare la partecipazione della società civile, il CESE si è impegnato attivamente nella preparazione degli incontri della società civile organizzata che hanno avuto luogo a Rio de Janeiro (1999) e a Madrid (2002) in concomitanza con i vertici dei Capi di Stato e di governo dell'Unione europea, dell'America Latina e dei Carabi.

5.4.4

In questa stessa ottica il CESE sta preparando il terzo incontro della società civile organizzata, che avrà luogo nel 2004 a città del Messico, in concomitanza con il prossimo vertice dei Capi di Stato e di governo.

5.4.5

Questa strategia ha dato buoni frutti, ad esempio, nel caso degli incontri svoltisi fra il CESE e il Forum consultivo economico e sociale del Mercosur (FCES). L'obiettivo di tali incontri è quello di rafforzare la partecipazione della società civile organizzata in tutti i settori dei negoziati biregionali, nel quadro di un futuro accordo di associazione tra l'Unione europea e il Mercosur.

5.4.6

Nel corso dell'ultima riunione del CESE e del FCES, svoltasi il 5 e 6 maggio 2003, le due istituzioni hanno invitato le parti che intervengono nel negoziato a rafforzare gli aspetti legati alla dimensione sociale dell'accordo, facendo esplicito riferimento alla Declaración socio-laboral (dichiarazione dei diritti dei lavoratori) del Mercosur, alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e alla Dichiarazione dei principi e dei diritti fondamentali dell'OIL del 1998.

5.4.7

Le due istituzioni hanno inoltre richiesto possibilità concrete di partecipare allo svolgimento dei negoziati per l'accordo di associazione, ritenendo che, per garantire un esito positivo del processo, sia necessario prevedere la presenza della società civile organizzata rappresentativa delle due regioni in tutti i settori oggetto di discussione.

5.4.8

Nel quadro di altri incontri istituzionali saranno presenti organizzazioni settoriali - come il Forum degli imprenditori UE-Mercosur e il Forum del lavoro UE-Mercosur istituito più recentemente, che cercano di promuovere il dialogo transatlantico e di influenzare le decisioni politiche che riguardano i loro rispettivi interessi.

6.   Il partenariato strategico Unione europea/America Latina/Carabi nel contesto successivo a Cancún

6.1   Le ripercussioni del fallimento di Cancún

6.1.1

Molti paesi latinoamericani che versano in difficoltà economiche cercano oggigiorno una via d'uscita ad ogni costo in termini di sbocchi commerciali. Nel contesto successivo alla conferenza di Cancún vari paesi membri della CAN o dell'MCCA si sono dimostrati pronti a porre fine al loro impegno regionale per accettare le proposte presentate dal governo BUSH e stipulare quindi accordi commerciali bilaterali. È il caso di paesi come Colombia, Costarica, Guatemala, Perù, El Salvador, che insieme a Cile e Messico, starebbero cercando di uscire dal gruppo G21, come ha già fatto uno di loro, El Salvador, poco prima del termine del vertice di Cancún.

6.1.2

Nonostante le difficoltà incontrate dal G21, occorre tuttavia sottolineare che, dal fallimento della conferenza ministeriale di Seattle del dicembre 1999, le grandi potenze commerciali del pianeta (Stati Uniti, Giappone e Unione europea) debbono ormai tenere conto del fatto che, nell'ambito dei negoziati multilaterali, ci sono paesi oggi definiti emergenti - come il Sudafrica, il Brasile, la Cina e l'India - che sono in grado di costituire coalizioni capaci di bloccare i negoziati, come nel caso del G21. Seppur in maniera circostanziale e per ragioni di varia natura, questo gruppo è stato sostenuto da un fronte di novanta paesi poveri, in gran parte africani, i quali ciononostante non hanno poi aderito ufficialmente al G21.

6.1.3

Uno dei motivi principali della costituzione di questo tipo di coalizioni è rappresentato dalla difficoltà, incontrata dai paesi in via di sviluppo (PVD), ad accedere ai mercati agricoli dei paesi ricchi. I PVD chiedono ad americani, europei e giapponesi di porre termine alle sovvenzioni agricole, le quali hanno infatti un effetto destabilizzante sulle loro economie. L'Unione europea - pur avendo dimostrato di voler raggiungere un compromesso, proponendo di isolare le sovvenzioni per le quali è dimostrato l'effetto nocivo per gli agricoltori dei paesi in via di sviluppo - ha rifiutato di impegnarsi a sopprimere dette sovvenzioni a una data precisa, come indicato nell'accordo firmato da europei e americani a metà agosto del 2003, in previsione del vertice di Cancún.

6.1.4

Al disaccordo in materia agricola è venuto ad aggiungersi quello sulle questioni dette di Singapore, in quanto affrontate per la prima volta in occasione della conferenza ministeriale di Singapore del 1996. Si tratta degli investimenti, della concorrenza, della trasparenza negli appalti pubblici e della facilitazione degli scambi. Questi temi sono di grande interesse per i paesi ricchi e causano invece problemi ai paesi in via di sviluppo.

6.1.5

Un altro scoglio nelle trattative è stato incontrato nel negoziato sull'apertura dei mercati dei servizi (approvvigionamento idrico, servizi postali, bancari, telecomunicazioni…).

6.1.6

A Cancún un certo numero di paesi in via di sviluppo ha ribadito la propria opposizione all'avvio dei negoziati sui temi di Singapore e sulla liberalizzazione dei servizi. Di fronte all'ostinazione dei paesi ricchi, i paesi più poveri - finora sempre emarginati nei negoziati a causa del loro scarso peso negli scambi mondiali (meno dell'1 %) - hanno mantenuto la propria posizione.

6.1.7

La cattiva gestione del dossier sul cotone ha consolidato quest'alleanza, formatasi a Ginevra qualche mese prima. Il testo finale di Cancún non offriva nulla di concreto su un argomento vitale per taluni paesi, quelli del Sahel (Mali, Burkina-Faso, Benin, Ciad) che figurano fra i più poveri del pianeta, mentre i negoziati avviati a Doha erano stati definiti, su iniziativa dell'Unione europea, «un round di sviluppo». Gli Stati Uniti hanno rifiutato di ridurre i 4 miliardi di dollari di sovvenzioni che concedono ogni anno ai loro produttori. I paesi in via di sviluppo non hanno pertanto accettato tali condizioni.

6.1.8

Di fronte a posizioni così rigide, il fallimento di Cancún era inevitabile.

6.1.9

L'insuccesso di Cancún mette in luce non solo la sempre maggiore capacità, da parte dei paesi del Sud, di organizzarsi per far valere i loro interessi, ma anche - e in particolare - l'errore di valutazione commesso dall'Unione europea in merito all'alleanza del G21. Questo fallimento costituisce un'ulteriore minaccia alla governance mondiale. Dalla fine della seconda guerra mondiale, le relazioni internazionali poggiano su di una struttura composta da regole e da trattati internazionali. Questo insieme di regole, spesso concepito come una trama in grado di riavvicinare, nella misura del possibile, gli Stati del pianeta, è stato elaborato in seno alle Nazioni Unite e alle organizzazioni da esse dipendenti, come ad esempio l'OMC. Nonostante le debolezze e i fallimenti di cui viene accusata, questa organizzazione ha saputo mettere in piedi un minimo ordine internazionale. Sin dall'inizio l'Unione europea ha fatto del multilateralismo la chiave di volta delle proprie relazioni esterne. Il contesto multilaterale fornisce, nei limiti del possibile, uno spazio che consente una gestione collettiva del pianeta.

6.1.10

Oggigiorno l'architettura giuridica mondiale viene rimessa in discussione e l'unilateralismo, in particolare quello degli Stati Uniti, si sta sviluppando notevolmente compromettendo seriamente l'ordine giuridico internazionale, costruito pazientemente da cinquant'anni a questa parte. Il fallimento di Cancún contribuisce alla crisi della governance mondiale. Attualmente gli Stati Uniti cercano di aggirare l'OMC privilegiando alleanze bilaterali con i loro vicini. Per gli Stati Uniti il bilateralismo costituisce uno dei tanti mezzi per portare avanti il progetto FTAA. D'altra parte il governo BUSH ha recentemente dichiarato di voler rilanciare seriamente il progetto con i paesi dell'America Latina e dei Caraibi, dopo la pausa dovuta alla guerra in Iraq: un'intenzione ribadita all'indomani della conferenza ministeriale di Cancún. Come segnalato al punto 6.1, alcuni paesi latinoamericani sarebbero pronti a firmare accordi bilaterali con gli Stati Uniti, abbandonando in tal modo gli impegni assunti a livello regionale e vanificando pertanto gli sforzi di integrazione latinoamericana, fortemente appoggiati dall'Unione europea.

6.2   Le strategie regionali nel continente americano

6.2.1

Gli Stati Uniti considerano la FTAA come un mezzo per accrescere la loro leadership mondiale rispetto alle grandi potenze commerciali rappresentate dal Giappone e dall'Unione europea. Basta considerare le molteplici dimensioni del progetto FTAA per rilevarne la portata: si tratta infatti di un disegno che impegna i paesi ad andare ben oltre la semplice firma di un accordo di libero scambio il cui obiettivo sarebbe quello di incoraggiare il commercio dei beni e dei servizi abbattendo le barriere doganali. Il progetto prevede infatti che vengano discussi anche temi riguardanti ad esempio la protezione degli investimenti e degli investitori, i mercati finanziari, la proprietà intellettuale, gli appalti pubblici, le politiche di concorrenza, ecc.

6.2.2

In realtà si sta cercando di creare un quadro istituzionale fondato principalmente su basi giuridiche e tale da incoraggiare un modello di integrazione economica profonda da attuare mediante il mercato. Ciò significa che il progetto d'integrazione delle Americhe comprende sia un processo di apertura dei mercati sia l'istituzione di una serie di nuovi standard, norme e regolamentazioni che disciplineranno il commercio mondiale. Visto il peso politico ed economico degli Stati Uniti, è assai probabile che queste norme siano ispirate alla realtà e alle normative di tale paese.

6.2.3

Se questo progetto dovesse concretizzarsi, l'influenza dell'UE diminuirebbe ancor più creando ulteriori complicazioni per le imprese europee sui mercati latinoamericani e caraibici.

6.2.4

A suo tempo l'entrata in vigore del NAFTA aveva già avuto forti ripercussioni per l'Unione europea facendo deviare i flussi commerciali e facendo perdere alle imprese europee la metà del mercato messicano. Mentre nel 1990 l'Europa forniva ancora il 14,3 % delle importazioni messicane, nel 1997 la sua quota di mercato era passata all'8,5 %. Nello stesso periodo di riferimento le importazioni dell'Unione europea provenienti dal Messico scendevano dal 12,6 % dell'inizio del decennio al 3,6 %. Gli Stati Uniti invece - che a partire da quel momento hanno cominciato ad assorbire l'82 % delle esportazioni messicane - sono divenuti il principale partner commerciale del paese. Malgrado il successivo accordo di associazione stipulato sollecitamente dall'Unione europea con il Messico, non tutte le quote di mercato perse sono state recuperate. Troppo abituato a commerciare con gli Stati Uniti, il Messico fatica a volgersi verso l'Europa. L'accordo Messico/UE racchiude un notevole potenziale ma questo non è ancora stato sfruttato a dovere dalle due parti.

6.2.5

L'esperienza del NAFTA insegna a che punto i flussi commerciali possono essere alterati da azioni di questo genere. Anche la FTAA potrebbe determinare una deviazione analoga dei flussi commerciali e degli investimenti.

6.2.6

Anche se vi fossero ritardi nell'attuazione concreta della FTAA, è già intervenuta una tendenza alla regionalizzazione/continentalizzazione degli scambi commerciali nelle Americhe, in seguito ai vari accordi di libero scambio negoziati nel continente. Oggigiorno il 60 % delle esportazioni e il 50 % delle importazioni totali dei 34 paesi si svolgono all'interno delle Americhe, contro, rispettivamente, il 48 % e il 41 % di 10 anni fa. Se si esclude il Mercosur - il cui principale partner commerciale è per l'appunto l'Unione europea - il commercio degli altri paesi dell'America Latina e dei Caraibi dipende molto dal Nord del continente. Sono diretti verso il NAFTA il 50 % delle esportazioni della CAN, il 45 % di quelle dell'MCCA e il 41 % di quelle della Caricom. La FTAA non farà che consolidare questa situazione.

6.3   Il partenariato strategico Unione europea/America Latina/Caraibi

6.3.1

L'Unione europea deve tenere presente la strategia internazionale degli Stati Uniti per costruire la propria. Questo non vuol dire che l'UE si debba affermare come soggetto internazionale in contrapposizione con gli USA, ma piuttosto che debba seguire la via europea: quella della promozione del suo modello di governance regionale - attraverso i continenti - in armonia con le regole internazionali esistenti, per costruire a termine un mondo multiregionale e quindi più equilibrato. La stipula di accordi preferenziali con vari raggruppamenti regionali latinoamericani permetterebbe di consolidare le loro rispettive strutture interne, nonché il loro inserimento internazionale in quanto soggetti unici.

6.3.2

L'Unione europea non può permettersi di trascurare questa regione del mondo perché ha bisogno di partner per ridefinire il proprio ruolo nella politica mondiale. L'America Latina e i Caraibi costituiscono alleati naturali per motivi culturali, politici ed economici: tanto più che oggigiorno il continente americano ha davvero bisogno della presenza dell'Europa. Come proposto nella relazione del Parlamento europeo dell'ottobre 2001, l'Unione europea non deve più subordinare la firma di un accordo di libero scambio con il Mercosur alla conclusione dei negoziati dell'OMC (12); questo tanto più in quanto la data fissata per il termine del round di Doha sembra compromessa, viste le difficoltà, confermate a Cancún, che le parti incontrano nel raggiungere un consenso per far avanzare i negoziati commerciali multilaterali.

6.3.3

È importante che l'Unione europea comprenda la portata del progetto di creazione della Zona di libero scambio delle Americhe. Se l'Unione vuole mantenere il proprio ruolo sul continente e concorrere alla definizione delle nuove regole del commercio internazionale, essa deve disporre di una volontà politica e di mezzi finanziari all'altezza delle sue ambizioni internazionali e deve inoltre agire all'unisono in seno alle istituzioni economiche internazionali (FMI, Banca mondiale, ecc.) per essere davvero influente.

6.3.4

Oggi più che mai occorre manifestamente una presenza europea in un continente latinoamericano in crisi. L'Unione europea, tuttora considerata come un modello sociale e politico di riferimento, non deve perdere di vista la grande sfida con cui devono misurarsi oggi i paesi dell'America Latina e dei Caraibi: trovare un modello economico e sociale alternativo a quello del «consenso di Washington» e al progetto di integrazione con gli Stati Uniti.

6.3.5

I negoziati multilaterali, l'allargamento dell'Unione europea, l'evoluzione del contesto internazionale dopo l'11 settembre 2001 e la crisi che l'America Latina sta attraversando hanno indubbiamente frenato i rapporti tra queste due sponde dell'Atlantico. Ma l'Unione europea non ha soltanto interessi economici nella regione: essa è infatti anche un protagonista a livello mondiale. Di conseguenza deve assolutamente disporre di una politica integrale e coerente destinata alla regione.

6.3.6

In America Latina si avverte un forte desiderio di cambiamento, come dimostrano fra l'altro le numerose manifestazioni di protesta svoltesi negli ultimi anni nei paesi andini e sudamericani in generale, nonché l'elezione di Lucio GUTIÉRREZ in Ecuador, di Luis Inácio LULA da SILVA in Brasile e di Néstor KIRCHNER in Argentina. Questi ultimi hanno espresso la volontà di rafforzare gli accordi regionali esistenti prima di concludere i negoziati per la FTAA e di incentivare i rapporti con l'Unione europea, come dimostrato dalle visite che hanno compiuto in diverse capitali europee nel luglio del 2003.

6.3.7

La richiesta, rivolta all'Europa, di far sentire maggiormente la sua presenza non viene per ora soddisfatta. Proprio per questo si levano voci in Europa per segnalare la situazione e alcuni parlamentari europei non esitano a sottolineare la mancanza di volontà politica dell'UE, che dispone peraltro degli strumenti necessari per proporre ai paesi dell'America Latina e dei Caraibi un progetto alternativo a quello della FTAA. Questa posizione è stata d'altronde ribadita in occasione della XVI Conferenza interparlamentare Unione europea/America Latina svoltasi nel maggio del 2003.

6.3.8

È necessario attribuire maggiore importanza agli aspetti sociali, come pure a quelli ambientali, nei rapporti fra le due parti. Il CESE appoggia l'iniziativa del commissario PATTEN di collocare la coesione sociale (13) fra i temi centrali oggetto dei dibattiti del prossimo vertice UE/ALC, che si terrà a Città del Messico nel 2004.

6.3.9

Vista la crescita della disoccupazione e l'accelerazione dell'impoverimento delle società e delle sperequazioni sociali, registrate in questi ultimi dieci anni nei paesi dell'America Latina e dei Caraibi, sarebbe utile introdurre nel partenariato strategico una clausola sociale - nonché ambientale - affinché gli accordi commerciali conclusi con l'Europa possano contribuire a ridurre la povertà e le disuguaglianze estreme che caratterizzano la regione e ad attenuare i potenziali effetti sociali collaterali della liberalizzazione commerciale. L'obiettivo di questa clausola sociale sarebbe di spingere i governi dell'America Latina e dei Caraibi ad utilizzare i fondi dell'Unione europea per ridistribuire i redditi. Ciò consentirebbe di lottare contro la piaga delle disuguaglianze sociali che caratterizzano questa regione del mondo.

6.3.10

D'altra parte, come segnalato in precedenza, finora l'Unione europea da un lato e l'America Latina e i Caraibi dall'altro hanno incontrato difficoltà nel definire una vera e propria agenda comune. Vi è il rischio che questa asimmetria di programmazione sia tuttora presente al vertice UE/ALC che avrà luogo in Messico. Se da un lato il commissario PATTEN auspica che questo terzo vertice sia quello della coesione sociale e contribuisca quindi all'eliminazione delle disuguaglianze sociali e della povertà nei paesi dell'America Latina, questi ultimi ritengono che, per rilanciare la crescita e lottare quindi contro la povertà, sia innanzitutto necessario disporre di un migliore accesso al commercio internazionale. Fin quando gli europei e i latinoamericani non saranno riusciti a trovare un autentico programma comune o almeno ad attenuare le divergenze nella gerarchia delle priorità, avranno molte difficoltà a progredire nell'ambiziosa iniziativa del partenariato strategico proposta a Rio. Pur appoggiando decisamente l'iniziativa della coesione sociale, il CESE ritiene che l'Unione debba tenere presenti anche le priorità dei suoi partner, se desidera che il vertice messicano abbia successo. Tenendo conto del contesto successivo alla conferenza di Cancún, l'Unione europea deve non solo occuparsi delle questioni sociali che le consentono di distinguersi sulla scena internazionale, ma anche rispondere alle aspettative dei paesi dell'America Latina e dei Caraibi che desiderano concludere accordi preferenziali con essa. Il vertice messicano, a distanza di pochi mesi dal termine dei negoziati per la FTAA, è un'occasione che l'Europa deve cogliere per dare al partenariato strategico UE/ALC quell'impulso di cui ha davvero bisogno.

7.   Le proposte del CESE

7.1

L'accordo di Cotonou, firmato nel giugno 2000 tra l'UE e i paesi dell'Africa, del Pacifico e dei Caraibi, impone il dialogo tra le istituzioni e i soggetti non statali, in maniera che lo Stato e la società civile abbiano un ruolo complementare nelle azioni per lo sviluppo. D'altronde anche il Libro bianco sulla governance europea, pubblicato nel 2001, sottolineava l'importanza della società civile per la definizione delle politiche a dimensione internazionale.

7.2

È dunque in questo quadro che la società civile dell'America Latina e dei Caraibi deve prendere parte alle relazioni con l'UE, per quanto riguarda sia i programmi di cooperazione che i negoziati sugli accordi in preparazione.

7.3

Sinora la partecipazione della società civile ai negoziati tra l'UE e l'ALC è stata non già concreta e strategica, ma piuttosto simbolica. A parte gli incontri tra il CESE e la società civile organizzata dell'America Latina e dei Caraibi, avvenuti soprattutto in occasione dei vertici dei capi di Stato e di governo, in questo campo si è fatto ben poco.

7.4

Considerando che la partecipazione della cittadinanza costituisce un elemento di primaria importanza ai fini del consolidamento della democrazia, nonché una base essenziale dello sviluppo sostenibile, e che è indispensabile poter contare sulla società civile per dare legittimità al partenariato strategico UE/ALC ed evitare lo scoglio del progetto FTAA, giudicato così severamente da ampi settori delle società delle Americhe, il CESE formula le seguenti proposte:

7.4.1   Definire una strategia chiara

7.4.1.1

In un mondo sempre più complesso e caratterizzato da rischi sempre maggiori, l'Unione europea deve avere una strategia globale, basata sui valori della pace, dello sviluppo sostenibile e dei diritti umani e deve sforzarsi di costruire un mondo più giusto ed equilibrato.

7.4.1.2

Questi valori e questi obiettivi devono essere presenti nei rapporti con l'America Latina e i Caraibi, in modo che i popoli di questa regione comprendano che gli accordi con l'Unione europea possono essere un elemento fondamentale del loro sviluppo e contribuire a migliorare la loro collocazione sulla scena mondiale.

7.4.1.3

Per mettere in pratica questa strategia l'Unione europea deve aumentare in modo coerente il proprio impegno finanziario.

7.4.1.4

Pertanto, nei negoziati in corso con il Mercosur, il CAN, l'MCCA e il Caricom, l'UE deve tenere conto, oltre che delle questioni commerciali o doganali, di detta strategia globale.

7.4.1.5

L'Unione europea deve inoltre rivitalizzare il dialogo politico con l'ALC, non soltanto perché esso rappresenta uno dei tre pilastri degli accordi di associazione che essa ha siglato o sta per siglare con paesi o regioni dell'America Latina e dei Caraibi, ma anche e soprattutto perché questo dialogo politico costituisce l'elemento che permette di differenziare il progetto di associazione che l'UE sta tessendo con l'ALC da quello della FTAA. A tal fine occorre che la presenza ministeriale europea nei forum interministeriali UE/ALC sia, alla stregua degli incontri UE/Gruppo di Rio, all'altezza dell'obiettivo perseguito: la realizzazione di un partenariato strategico biregionale.

7.4.2   Elaborare un piano di azione e un calendario

7.4.2.1

Visto l'insuccesso dei negoziati in ambito OMC svoltisi a Cancún e la decisione nordamericana di condurre i negoziati della FTAA secondo il calendario previsto, l'Unione europea deve dotarsi al più presto di un nuovo piano di azione e di un calendario che sia più vicino alle nuove realtà.

7.4.2.2

In particolare l'Unione europea deve riflettere sulla necessità di un nuovo mandato negoziale che non dipenda dalla conclusione dei negoziati di Doha.

7.4.2.3

Il CESE auspica che l'Accordo di associazione con il Mercosur sia firmato (o almeno annunciato) durante il vertice dei capi di Stato e di governo che si svolgerà a Guadalajara (Messico) nel maggio 2004.

7.4.3   Rafforzare la trasparenza e l'informazione

7.4.3.1

La trasparenza dei negoziati e l'informazione in merito ai successi ottenuti e agli ostacoli incontrati sono essenziali per garantire il coinvolgimento della società civile in tutte le fasi del progresso negoziale.

7.4.3.2

L'Europa deve avviare iniziative volte a illustrare a tutti settori della società civile il senso delle proposte e delle concessioni che è pronta a fare per giungere a un accordo con le parti in causa.

7.4.4   Sostenere il rafforzamento della società civile organizzata

7.4.4.1

L'Unione europea ha una vastissima esperienza in materia di dialogo civile; il CESE costituisce uno degli esempi più notevoli in questo campo.

7.4.4.2

Senza avere la pretesa di esportare dei modelli, l'UE deve sostenere la nascita di istituzioni di uguale natura nelle regioni dove esse non esistono o sono più deboli.

7.4.4.3

Analogamente, promuovere contatti e relazioni più o meno ufficiali con organizzazioni sulle due sponde dell'Atlantico sembra essere un elemento di ravvicinamento molto favorevole alla strategia europea.

7.4.5   Elaborare studi di impatto e promuovere politiche di lotta contro la povertà e per la promozione dell'occupazione

7.4.5.1

Tutti i processi di integrazione hanno conseguenze sulla vita quotidiana delle persone, in particolare di quanti si trovano in una situazione di particolare vulnerabilità.

7.4.5.2

L'Unione europea dovrebbe quindi elaborare studi sugli effetti generati dall'integrazione e dall'apertura dei mercati e, di conseguenza, sostenere finanziariamente le politiche di lotta contro la povertà e l'esclusione sociale e quelle destinate a promuovere l'occupazione.

7.4.6   Promuovere una politica di coesione sociale

7.4.6.1

L'Unione europea deve considerare gli accordi con l'ALC non solo come un'occasione per accedere a nuovi mercati, ma anche come un'opportunità di sviluppo economico e sociale per i popoli interessati.

7.4.6.2

I benefici derivanti dagli accordi in questione devono estendersi a tutta la popolazione e non essere limitati a quanti già ne beneficiano. Se l'UE dovesse legarsi a una politica tendente ad accrescere le disparità economiche e sociali nell'ALC, commetterebbe un errore strategico dalle conseguenze disastrose.

7.4.6.3

Il richiamo, in tutti gli accordi negoziati o in corso di negoziazione, all'esigenza di una politica di coesione sociale deve essere il tratto che contraddistingue il progetto di associazione che l'UE sta realizzando con l'ALC rispetto a quello della FTAA.

7.4.6.4

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione di fare della coesione sociale il tema di discussione del vertice che avrà luogo in Messico.

7.4.7   Rafforzare il ruolo del CESE nel dialogo civile transatlantico

7.4.7.1

Nel protocollo firmato nel 2001, in seguito al Trattato di Nizza, tra la Commissione europea e il CESE, viene riconosciuto che il Comitato è l'organo privilegiato del dialogo tra le istituzioni europee e la società civile organizzata, non soltanto quella europea ma anche quella dei paesi terzi.

7.4.7.2

Il CESE ha approfittato di ogni occasione per svolgere questa funzione, ma riconosce di potere e dovere andare oltre nel dialogo con le analoghe organizzazioni dell'America Latina e dei Caraibi, ricercando altre forme di collaborazione, più strette ed efficaci.

7.4.7.3

In un momento cruciale per le relazioni tra l'UE e l'ALC, il CESE deve:

rafforzare i propri legami con il FCES del Mercosur,

studiare più da vicino la situazione della società civile organizzata in altre regioni dell'America Latina e dei Carabi,

coinvolgere la società civile dell'ALC nei propri pareri sulle problematiche dell'America Latina e dei Caraibi.

Bruxelles, 25 febbraio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  I paesi partecipanti al progetto sono: Antigua e Barbuda, Argentina, Bahamas, Barbados, Belize, Bolivia, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Dominica, El Salvador, Ecuador, Stati Uniti, Granada, Guatemala, Guyana, Haiti, Honduras, Giamaica, Messico, Nicaragua, Panama, Paraguay, Repubblica Dominicana, Saint Lucia, Saint Kitts e Nevis, Saint Vincent e Grenadine, Suriname, Trinidad e Tobago, Uruguay e Venezuela.

(2)  El Salvador, Guatemala, Honduras e Nicaragua. La Costa Rica non ha partecipato.

(3)  Tutte le cifre citate sono state fornite dalla DG Commercio della Commissione europea.

(4)  Antigua e Barbuda, Bahamas, Barbados, Belize, Bolivia, Costa Rica, Dominica, El Salvador, Ecuador, Grenada, Guatemala, Guyana, Haiti, Honduras, Giamaica, Nicaragua, Panama, Paraguay, Repubblica Dominicana, Saint Lucia, Saint Kitts e Nevis, Saint Vincent e Grenadine, Suriname, Trinidad e Tobago, Uruguay.

(5)  Relazione annuale della Commissione economica per l'America Latina e i Caraibi delle Nazioni Unite: Panorama sociale dell'America Latina 2002-2003.

(6)  Il cosiddetto fast track (corsia preferenziale), recentemente ribattezzato Trade Promotion Authority (TPA), è l'autorizzazione che il Congresso americano dà al governo americano per negoziare accordi commerciali senza doverglieli sottoporre ad ogni fase del negoziato. Il Congresso si limita quindi a ratificare o respingere l'accordo concluso.

(7)  Con l'Atto unico la Comunità economica europea diventa «Comunità europea»; successivamente il Trattato di Maastricht del 1992 la trasforma in «Unione europea».

(8)  1. Approfondire e intensificare la cooperazione e le consultazioni nei consessi internazionali estendendole a tutte le questioni di comune interesse. 2. Promuovere e tutelare i diritti umani, specie quelli delle fasce più vulnerabili della società; prevenire e combattere la xenofobia, gli atti di razzismo e le altre forme di intolleranza. 3. Donne - adottare programmi e progetti connessi ai settori prioritari menzionati nella dichiarazione di Pechino. 4. Potenziare i programmi di cooperazione riguardanti l'ambiente e le calamità naturali. 5. Droga - attuare il piano d'azione globale di Panama, prendendo anche misure contro il traffico illecito di armi. 6. Formulare proposte di cooperazione biregionale onde creare meccanismi tali da promuovere un sistema economico e finanziario globale stabile e dinamico, consolidare i sistemi finanziari nazionali e istituire programmi specifici per venire in aiuto ai paesi relativamente meno sviluppati dal punto di vista economico. 7. Promuovere il commercio, compresi le PMI e i forum aziendali. 8. Sostenere la cooperazione biregionale in materia di istruzione, studi universitari, ricerca e nuove tecnologie. 9. Patrimonio culturale, forum culturale UE-America Latina/Caraibi. 10. Varare un'iniziativa comune su aspetti specifici della società dell'informazione. 11. Sostenere le attività collegate alla ricerca, agli studi postlaurea e alla formazione in merito ai processi d'integrazione. Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo - Seguito del primo vertice di Rio tra l'America Latina, i Caraibi e l'Unione europea, Bruxelles, 31 ottobre 2000, COM(2000) 670 def.

(9)  Il totale previsto è di 2 264 milioni di euro, ripartiti nel seguente modo: 2000 - 368,37 milioni; 2001 - 336,25 milioni; 2002 – 315 milioni; 2003 - 310 milioni; 2004 - 310 milioni; 2005 - 310 milioni; 2006 - 315 milioni.

(10)  L'articolo 24 consente a diverse parti contraenti di stabilire discriminazioni rispetto ad altre, quando si tratta di concludere accordi che rispondono ai criteri di un'unione doganale o di una zona di libero scambio. Tali accordi devono rispettare i seguenti criteri: i dazi doganali e le altre regolamentazioni esistenti tra le parti devono essere eliminati per la parte essenziale dei loro scambi commerciali; i dazi doganali applicabili ai paesi terzi non devono essere più elevati e le regolamentazioni non devono essere più rigorose, e comunque dazi e regolamentazioni non devono incidere in maniera più significativa rispetto alla situazione precedente alla creazione della zona o dell'unione; qualsiasi accordo che prevede la formazione progressiva di un'unione doganale o di una zona di libero scambio deve disporre di un piano e di un calendario per la sua realizzazione in tempi ragionevoli.

(11)  GU C 169 del 16.6.1999 (relatore ZUFIAUR); GU C 260 del 17.9.2001 (relatore ZUFIAUR) ; GU C 94 del 18.4.2002 (relatore GAFO FERNÁNDEZ). Il CESE sta attualmente elaborando un parere sul tema La coesione sociale in America Latina e nei Caraibi (relatore ZUFIAUR).

(12)  Parlamento europeo «Relazione su una partnership globale e una strategia comune per le relazioni tra l'Unione europea e l'America latina - Commissione per gli affari esteri, i diritti dell'uomo, la sicurezza comune e la politica di difesa Verso un'associazione globale e una strategia comune per le relazioni tra l'UE e l'America latina», commissione per gli affari esteri, i diritti dell'uomo, la sicurezza comune e la politica di difesa (relatore: José Ignacio SALAFRANCA SÁNCHEZ-NEYRA), 11 ottobre 2001, A50336/2001 definitivo.

(13)  PATTEN, C., Latin America: what has gone wrong? A EU policy proposal focused on social cohesion, intervento presentato in occasione del Forum interministeriale UE/Gruppo di Rio, svoltosi a Vouliagmeni (Grecia) il 28 maggio 2003.


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 110/55


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul terma La coesione sociale in America Latina e nei Caraibi

(2004/C 110/12)

La Commissione, con lettera del commissario Christopher Patten in data 1o luglio 2003, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, ha richiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere sul tema La coesione sociale in America Latina e nei Carabi.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 febbraio 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore ZUFIAUR.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 febbraio 2004, nel corso della 406a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 94 voti favorevoli, 5 voti contrari e 11 astensioni.

Sintesi

i.

Il presente parere esplorativo, richiesto dal commissario Christopher Patten, intende esprimere la posizione della società civile organizzata latinoamericana, caraibica ed europea in merito alla coesione sociale nell'America Latina e nei Caraibi. Esso si esprime in particolare sul modo in cui le organizzazioni della società civile possono contribuire al perseguimento dell'obiettivo coesione sociale mediante la concertazione sociale, lo sviluppo dei sistemi di previdenza sociale o la promozione della responsabilità sociale da parte delle imprese. A tal fine, il parere del CESE dovrà essere integrato con i contributi delle organizzazioni latinoamericane e caraibiche, nonché con i risultati del dibattito del terzo incontro della società civile UE-America Latina che si terrà in Messico, nell'aprile prossimo.

ii.

Senza pretendere di definire il concetto di coesione sociale, il parere rende conto delle diverse dimensioni della stessa – politica, economica, sociale, territoriale – al fine di considerare non soltanto i fattori macroeconomici, di cui solitamente si tiene conto, ma anche altri aspetti legati ad esempio all'istruzione, alle istituzioni, all'accesso ai beni pubblici essenziali, che costituiscono fattori fondamentali per analizzare il grado di coesione sociale nell'America Latina e nei Caraibi.

iii.

La manifestazione più evidente della mancanza di coesione sociale nella regione, come si evince dal parere, è rappresentata dalla povertà e dalla disuguaglianza. Sebbene per la prima si sia registrato un relativo miglioramento negli ultimi dieci anni (si è passati da un 48 % della popolazione in una situazione di povertà nel 1990 a un 43 % nel 2002), la seconda ha continuato a salire fino a diventare cronica. Di conseguenza l'America Latina nel suo insieme, anche tenuto conto di una notevole eterogeneità interna, è la regione del pianeta in cui maggiori sono le disuguaglianze. Alla povertà materiale si aggiungono la povertà non materiale (accesso all'istruzione e alle pari opportunità), la povertà legale (disuguaglianza effettiva dinanzi alla legge, scarsa cittadinanza civile, politica e sociale, condizioni di vita insicure). Tutto ciò genera violenza, disgregazione e anomia sociale e danneggia la credibilità delle istituzioni e del sistema democratico. È stato recentemente sottolineato nel rapporto dell'UNDP sulla democrazia in America Latina (Informe sobre la democracia en América Latina 2004) il rischio che si diffonda nei cittadini della regione la percezione che quelle latinoamericane siano «democrazie irrilevanti».

iv.

Lo scarso sviluppo di elementi strutturanti, propri di qualsiasi società avanzata (infrastrutture, istruzione, sistema sanitario o fiscale, giustizia, protezione sociale, convenzioni che regolino i rapporti di lavoro e così via) è un elemento comune nell'insieme dei paesi della regione, al punto che nel suddetto rapporto si giunge a parlare di Stati assenti come di un fenomeno caratteristico di molti paesi latinoamericani. Tre manifestazioni di questa situazione sono la scarsa qualità dell'istruzione, la disuguaglianza nell'accesso ai sistemi educativi e la mancanza di collegamento fra questi ultimi e il sistema produttivo; l'insufficienza e l'iniquità dei sistemi fiscali dominanti nella regione; la carenza, nella maggior parte dei paesi, di sistemi di previdenza sociale universali, il che genera profonde disuguaglianze e l'esclusione della maggioranza della popolazione dalla copertura fornita dai sistemi esistenti.

v.

Il presente parere afferma che, per raggiungere livelli più alti di coesione sociale nell'America Latina e nei Caraibi, è indispensabile una maggiore efficienza e democratizzazione del sistema produttivo, ora appesantito da un'attività sommersa ad altissimi livelli, dalla scarsa dimensione dei mercati, dall'assenza di diversificazione nelle economie, dalla limitata dotazione di infrastrutture – soprattutto di trasporto e telecomunicazione – dalle riforme agrarie non ancora realizzate, dalla carenza di risorse finanziarie e dalla conseguente dipendenza dall'estero, dallo scarso sviluppo delle varie forme di economia sociale, dalla ridotta qualità dell'occupazione e della sua protezione, nonché dal fatto che sono praticamente inesistenti rapporti di lavoro fondati sul rispetto dei diritti fondamentali del lavoratore, sull'equilibrio e sulla fiducia.

vi.

Nel parere viene sottolineato un aspetto che dal punto di vista del CESE è cruciale: il fatto che per raggiungere livelli più alti di democrazia, sviluppo umano e governabilità in America Latina e nei Caraibi è necessario rafforzare la società civile organizzata e aumentare la sua partecipazione ai processi decisionali. Si tratta di una condizione essenziale per aumentare la democrazia politica, consentire una distribuzione più equa della ricchezza materiale e immateriale e favorire l'integrazione nella vita politica, economica e sociale dei settori trascurati e delle minoranze, come quelle indigene, emarginate da secoli.

vii.

Nel parere viene presentata infine una serie di proposte e suggerimenti in merito al contributo che i rapporti UE/ALC potrebbero fornire alla coesione sociale nell'America Latina e nei Caraibi. Tali considerazioni partono da due premesse. Da un lato, l'importanza strategica che i rapporti con la regione rivestono per l'Unione europea, sia per rafforzare il ruolo di quest'ultima a livello mondiale che per promuovere un nuovo ordine economico internazionale e una governance giusta ed equa della globalizzazione, oltre alla rilevanza che i rapporti con l'UE hanno per l'America Latina e i Caraibi, sia per raggiungere un'integrazione equilibrata nella regione che per potenziare la capacità negoziale dei paesi della regione in ambito internazionale. Dall'altro, la convinzione che l'Unione europea, oltre a contribuire all'aumento della coesione sociale nell'America Latina e nei Caraibi mediante gli aiuti e la cooperazione allo sviluppo, debba collocare questo obiettivo al centro dei suoi rapporti con la regione, in tutti gli ambiti.

viii.

Alcuni dei suggerimenti contenuti nel parere sono inerenti al rafforzamento della società civile organizzata (sostegno di progetti di sviluppo della dimensione sociale nei processi di integrazione regionale, promozione dei forum misti UE/ALC tra organizzazioni socioprofessionali, creazione di una linea di bilancio per il rafforzamento delle organizzazioni socioeconomiche, istituzione di un programma per la protezione dei difensori dei diritti umani nell'America Latina e nei Caraibi…), altri invece riguardano lo sviluppo del sistema produttivo e l'istituzione di quadri che regolino democraticamente il rapporto di lavoro e il dialogo sociale (trasferimento di esperienze europee di concertazione sociale, promozione alla creazione di infrastrutture capaci di attirare gli investimenti esteri diretti, istituzione di un fondo per le PMI latinoamericane, piani di sviluppo coordinato con i paesi di provenienza degli immigrati latinoamericani nell'Unione europea, elaborazione di una Carta dei principi della responsabilità sociale delle imprese), altri ancora puntano all'obiettivo di diminuire l'onere del debito estero e finanziare lo sviluppo (formule per la rinegoziazione, il riscatto o il condono del debito estero mediante programmi di lotta alla povertà, di cooperazione ambientale o in ambito educativo, raccomandazioni per cercare di evitare la dipendenza dalle agenzie di rating). Alcune proposte prevedono il rafforzamento dei sistemi di previdenza sociale (trasferimento di esperienze europee, sostegno alla conclusione di convenzioni tra i paesi in materia di immigrazione, sostegno alla gestione e alla formazione specializzata). Si presenta infine un insieme di suggerimenti riguardanti l'aiuto allo sviluppo e la cooperazione allo sviluppo: perfezionare il coordinamento fra i paesi europei donatori, migliorare la coerenza degli aiuti con gli obiettivi prefissati, fare in modo che siano i paesi destinatari degli aiuti ad adottare le decisioni fondamentali sugli interventi, assistere i paesi in maggiore difficoltà per agevolare e potenziare la loro capacità di difendere autonomamente le proprie posizioni nei negoziati multilaterali. In generale e in maniera prioritaria si insiste sulla formazione delle persone e sul rafforzamento delle istituzioni.

1.   Introduzione

1.1

Il 28 marzo 2003 il commissario Christopher Patten ha presentato ai membri del gruppo di Rio riuniti a Vouliagméni (Grecia) un'iniziativa destinata a favorire la coesione sociale nei paesi dell'America Latina e alla quale verrà riservata particolare attenzione al vertice dei capi di Stato e di governo UE/America Latina e Caraibi che si terrà a Guadalajara (Messico) il 28 il 29 maggio 2004. Il punto di partenza di tale iniziativa è la constatazione del fatto che i vantaggi della democratizzazione e dello sviluppo economico raggiunti all'inizio degli anni Novanta non hanno raggiunto ampi strati della popolazione, i quali infatti continuano a essere vittima delle disuguaglianze e dell'esclusione. Ciò costituisce un ostacolo allo sviluppo economico e genera instabilità nella regione.

1.2

L'Unione europea è disposta a promuovere un nuovo consenso fra i governi dei paesi dell'America Latina e dei Caraibi che dovrà essere ufficializzato al vertice di Guadalajara con l'assunzione di un fermo impegno a raggiungere determinati obiettivi in materia di politica sociale, fiscale, di sviluppo economico e di spesa sociale, per citarne alcuni. L'Unione europea prevede di contribuire a quest'obiettivo, che riveste particolare rilevanza per l'associazione strategica biregionale, con un programma di 30 milioni di euro, dedicato al trasferimento di esperienze e conoscenze nell'elaborazione e nell'applicazione delle politiche sociali.

1.3

Per promuovere questa iniziativa, il 5 e il 6 giugno 2003 la Commissione ha organizzato, insieme alla Banca interamericana per lo sviluppo (BID), un seminario sulla coesione economica e sociale dell'America Latina e dei Caraibi, il cui scopo era di aprire un ampio dibattito in merito alla portata del problema, al suo impatto negativo sullo sviluppo e sulla stabilità, alle opzioni politiche disponibili e all'impegno che i governi latinoamericani debbono assumersi per affrontare i problemi connessi alla carenza di coesione sociale, come ad esempio la disuguaglianza e l'esclusione sociale.

1.4

Il 1o luglio 2003 il commissario Christopher Patten ha richiesto al CESE di elaborare un parere esplorativo sulla coesione sociale in America Latina, in previsione del terzo incontro della società civile UE-America Latina che il CESE organizzerà in Messico, in collaborazione con i suoi omologhi dell'America Latina e dei Caraibi, nei giorni 13, 14 e 15 aprile 2004.

1.5

Secondo il commissario Patten, il parere dovrebbe rispecchiare le opinioni della società civile organizzata latinoamericana, caraibica ed europea in merito alla coesione sociale nell'America Latina e nei Caraibi, integrare i documenti elaborati in occasione del seminario del giugno 2003 (precedentemente citato), dar conto del ruolo attualmente svolto dalle parti sociali nella regione, nonché analizzare, insieme alle organizzazioni della società civile latinoamericana e caraibica, in che modo le parti sociali possono contribuire ad aumentare la coesione sociale nei loro paesi. Alcune opzioni possibili sarebbero ad esempio la concertazione sociale, la gestione congiunta dei sistemi di previdenza sociale o l'applicazione, da parte delle imprese europee che investono in America Latina, di una politica di responsabilità sociale (1) che si riveli benefica sia per la competitività delle imprese che per la coesione sociale di tutte le parti interessate.

2.   Il concetto di coesione economica e sociale

2.1.

Il concetto di coesione economica sociale è soggetto a molteplici interpretazioni. Ai fini del presente parere, si è partiti dal concetto coniato dalla Commissione europea nelle diverse relazioni sulla coesione economica sociale nell'Unione, inserendo nell'analisi taluni aspetti che rendono peculiare la situazione esistente in America Latina, come ad esempio la fame, la presenza di popolazioni indigene o il lavoro sommerso, come pure un maggior determinismo sociale nell'accesso alle pari opportunità.

2.1.1

Secondo quanto affermato dal presidente della BID Enrique Iglesias, per raggiungere una maggior coesione sociale gli Stati debbono dotarsi di un «quadro che promuova meccanismi e istituzioni capaci di ridurre le disuguaglianze e le divisioni». Secondo questa prospettiva, il concetto di coesione sociale non si limita a un insieme di indicatori socioeconomici, ma comprende varie dimensioni.

2.2   Dimensione politica

2.2.1

Un fondamentale aspetto della coesione sociale è costituito innanzitutto dalla dimensione politica, la quale comprende aspetti relativi alla qualità delle istituzioni democratiche, alla partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica, passando attraverso la tutela dei legami sociali, la creazione di società più giuste e dei sistemi di previdenza sociale e solidarietà, la tutela del patrimonio culturale e delle risorse naturali o la partecipazione attiva dei soggetti economici e sociali alla vita economica e sociale.

2.2.2

Per raggiungere livelli più alti di coesione sociale è necessario l'intervento dello Stato e delle istituzioni pubbliche, mediante normative e azioni efficaci: sviluppo di infrastrutture, servizi pubblici di qualità, giustizia indipendente, norme che regolino i rapporti di lavoro, sistemi fiscali equi, ecc. Le istituzioni pubbliche svolgono insomma un ruolo essenziale nella promozione dei diritti e della cittadinanza civica, politica e sociale. Per questo motivo la coesione sociale è in prima istanza una questione politica.

2.3   Dimensione economica

2.3.1

La dimensione economica della coesione sociale riguarda le ricchezze e la loro distribuzione, lo sviluppo del tessuto produttivo (accesso alle risorse fondamentali, incremento dei fattori che incidono sulla produttività, ambiente favorevole allo sviluppo degli investimenti e delle PMI, ecc.), la ricerca, lo sviluppo e l'innovazione, il tasso e la qualità dell'occupazione, il livello dei salari e le differenze salariali esistenti. Nei paesi dell'America Latina e dei Caraibi, il raggiungimento di questi ultimi obiettivi è ostacolato fra l'altro dalla scissione del mercato del lavoro in economia emersa ed economia sommersa, causa degli insufficienti investimenti produttivi e delle scarse qualifiche delle risorse umane nella regione. Gradi elevati di disuguaglianza economica, come quelli che caratterizzano le società latinoamericane, costituiscono un freno allo sviluppo economico e implicano pertanto un ritardo economico e una destrutturazione sociale.

2.3.2

D'altra parte non sarà possibile aumentare sostanzialmente la coesione sociale in America Latina e nei Caraibi (ALC) senza compiere un percorso di crescita economica e sviluppo sociale sostenuto. Per ottenere questi risultati occorre raggiungere indici di stabilità macroeconomica più elevati – senza compromettere il conseguimento di progressi importanti sotto il profilo dell'equità sociale – associati a un processo di riforme strutturali che attingano alle risorse produttive della regione e promuovano in particolare la creazione di imprese, la qualificazione dei lavoratori, una migliore distribuzione dei redditi e la creazione di quadri democratici per regolamentare i rapporti di lavoro.

2.4   Dimensione territoriale

2.4.1

La coesione sociale è strettamente legata alla coesione territoriale: capacità di creare sinergie fra tutti i soggetti presenti sul territorio; sufficiente dotazione di infrastrutture di ogni tipo, ivi comprese le nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione; accesso ai servizi essenziali per la comunità aperto a tutti (sanità e istruzione, approvvigionamento idrico, trasporti, elettricità, alloggi). Le disuguaglianze si manifestano sul territorio, tra il centro e la periferia, tra zone urbane e rurali, tra le aree costiere e quelle dell'entroterra, oppure in riferimento a settori della società come la popolazione indigena o i nuovi immigrati.

2.5   Dimensione sociale

2.5.1

L'equa ripartizione delle ricchezze, delle varie fonti di ricchezza materiale e immateriale e dei redditi è immanente al concetto di coesione sociale. Il modello sociale europeo (i diversi modelli che coesistono in Europa hanno in comune un alto livello di spesa nella previdenza sociale, l'azione regolatrice compiuta dallo Stato e l'importante ruolo svolto dalle parti sociali) è caratterizzato dalla volontà di legare lo sviluppo economico a quello sociale; ciò si esplicita nella definizione delle regole di distribuzione della ricchezza (norme sociali e di lavoro, sistemi di previdenza sociale per la vecchiaia, la malattia, la disoccupazione, la protezione della famiglia, contrattazione collettiva, sistema impositivo) a vantaggio di tutti, indipendentemente dai risultati economici e dalla produzione di tale ricchezza.

2.5.2

La dimensione sociale del concetto di coesione sociale fa riferimento inoltre ai problemi, molto attuali, di disuguaglianza orizzontale connessi alla discriminazione tra sessi, per motivi razziali o etnici o per altri aspetti che caratterizzano vari gruppi sociali. I principi essenziali su cui si fonda pertanto la coesione sociale sono la sicurezza dell'esistenza e la garanzia di diritti per tutti.

2.5.3

Una concezione omnicomprensiva di coesione sociale come quella che si propone in questa sede offre un'ampia gamma di possibilità per ribadire tale obiettivo, tanto attraverso le politiche che i paesi latinoamericani e caraibici devono sviluppare, quanto per quel che riguarda i rapporti UE/ALC. Da una parte - mediante un sostegno concreto, ma anche con l'aiuto delle esperienze compiute nell'Unione europea – si tratterebbe di puntare ancor più su vettori strategici che contribuiscano ad aumentare i livelli di coesione sociale nella regione latinoamericana e caraibica; dall'altra si tratterebbe di promuovere un tipo di rapporti UE/ALC che al di là delle risorse destinate alla cooperazione per lo sviluppo integri l'obiettivo di favorire la coesione sociale nell'America Latina e nei Caraibi negli scambi e nelle politiche commerciali, educative, tecnologiche, sociali, ecc. Questa è la linea che è stata seguita nei due primi incontri della società civile organizzata UE-ALC e a favore della quale si sono recentemente espressi dirigenti latinoamericani del calibro di Ricardo Lagos, Luiz Inácio Lula da Silva e Néstor Kirchner, rispettivamente Presidenti di Cile, Brasile e Argentina.

3.   Il deficit sociale in America Latina

3.1

Qualsiasi analisi che si decida di compiere sull'America Latina e sui Caraibi deve partire dal riconoscimento della grande eterogeneità di situazioni economiche, politiche e sociali che caratterizza i paesi della regione. Ai fini del presente parere è tuttavia possibile – seppur correndo il rischio di semplificare – tracciare alcune linee comuni distintive per analizzare il grado di coesione economica e sociale della regione nel suo insieme e trarre conclusioni su come affrontare il deficit di coesione, che interessa in maggiore o minor grado tutti i paesi.

3.1.1

Nel presente parere si adotteranno sostanzialmente tre piani di analisi della realtà latinoamericana e caraibica: l'ambito socioeconomico, l'ambito politico, gli indicatori di insoddisfazione sociale.

3.2   L'ambito socioeconomico

3.2.1

I problemi di povertà e disuguaglianza sono considerati i più gravi dalla popolazione latinoamericana. In base al Latinobarómetro, più della metà dalla popolazione ritiene che i problemi più importanti dell'America Latina siano la disoccupazione, i salari modesti e la povertà. Nel 2003 circa un quarto dei cittadini latinoamericani dichiarava di non disporre di redditi sufficienti a coprire le necessità di base. Tali problemi sono pertanto giudicati prioritari rispetto ad altri, come la corruzione o la criminalità.

3.2.2   Povertà

3.2.2.1

Nel 2002, secondo i dati della Commissione economica per l'America Latina e i Caraibi (CEPAL) (2), il livello di povertà in America Latina e nei Caraibi ha raggiunto il 43,4 % della popolazione mentre il livello di povertà estrema ha toccato il 18,8 %: in termini assoluti si tratta rispettivamente di 220 e di 95 milioni di abitanti colpiti da questo fenomeno. Per il 2002 si prevede un aumento delle persone colpite dalla povertà di 0,5 punti percentuali, che corrisponderebbe pertanto a un terzo anno consecutivo di incremento dei livelli di povertà nell'America Latina e nei Caraibi. Tra il 1997 e il 2002 il livello di povertà si è collocato intorno al 43,5 % della popolazione. In termini assoluti tuttavia la popolazione con un livello di vita insufficiente è passata da 204 a 220 milioni di abitanti. Ciò è dovuto al ridotto livello di crescita economica registrato negli ultimi sei anni e in generale al cosiddetto «decennio perso a metà» di cui ha parlato anche la CEPAL.

3.2.2.2

La povertà è più pronunciata nelle zone rurali, dove raggiunge un livello doppio rispetto a quello registrato nelle zone urbane (59,1 % contro 26,1 %). In termini assoluti e a causa del crescente esodo rurale, la popolazione che versa in condizioni di povertà è distribuita equamente tra gli abitanti delle zone urbane e rurali. La povertà è concentrata nei nuclei familiari il cui capo famiglia lavora nel settore agricolo o in quello dei servizi urbani non finanziari (si tratta rispettivamente del 35,5 % e del 29,1 % della popolazione povera della regione). Le disuguaglianze interne sono inoltre estremamente gravi in molti paesi come il Brasile e il Guatemala o la Colombia, dove l'assenza di coesione territoriale costituisce un fattore che favorisce la violenza politica.

3.2.2.3

La povertà colpisce più le donne che gli uomini. La percentuale di donne senza un reddito è superiore sia nelle zone urbane (il 45 % contro il 21 % di uomini) che nelle zone rurali (il 53 % rispetto al 20 %). Nelle zone urbane, la percentuale di nuclei familiari poveri in cui il capofamiglia è di sesso femminile è superiore a quello dei nuclei familiari in cui il capofamiglia è di sesso maschile (30,4 % contro 25 %). La povertà è inoltre assai più pronunciata fra i cittadini di origine india o africana rispetto al resto della popolazione. Alcuni studi effettuati per la Bolivia, il Brasile, il Guatemala e il Perù indicano che l'incidenza della povertà in dette categorie è due volte superiore a quella del resto della popolazione.

3.2.3   Distribuzione dei redditi

3.2.3.1

Al decile più ricco della popolazione dell'ALC va il 48 % delle entrate totali, mentre al decile più povero va soltanto l'1,6 %. Negli ultimi tre anni la disuguaglianza, misurata secondo l'indice di Gini, è aumentata. Uno studio condotto dalla CEPAL su undici Stati della regione (Argentina, Bolivia, Brasile, Colombia, Costarica, Ecuador, Messico, Nicaragua, Panama, Uruguay e Venezuela) rileva un aumento della concentrazione dei redditi in tutti questi paesi, ad eccezione del Messico. Bisogna tuttavia considerare che esistono marcate differenze nella distribuzione dei redditi tra i paesi della regione che non sono connesse al livello di sviluppo industriale.

3.2.4   Fame

3.2.4.1

In termini generali, nell'ALC la fame (misurata come percentuale della popolazione malnutrita) è diminuita nel periodo 1990-1992 e 1998-2000, riguardando una media dell'11 % della popolazione. Bisogna tuttavia considerare che esistono numerose differenze tra gli Stati della regione, dal momento che, in base ai dati relativi al biennio 1998/2000, in alcuni paesi più del 20 % della popolazione era malnutrita (come ad esempio la Bolivia, il Guatemala, Haiti, l'Honduras, il Nicaragua e la Repubblica dominicana) e in altri i livelli erano inferiori al 5 % (Argentina, Cile e Uruguay). Secondo la CEPAL, la malnutrizione è dovuta fra l'altro al disuguale accesso all'offerta di alimenti, alla scarsità di quest'ultima e alla cattiva distribuzione dei redditi.

3.2.4.2

La malnutrizione colpisce oltremisura la popolazione infantile e costituisce un fattore di notevole importanza a causa delle sue conseguenze a lungo termine. Anche se gli indicatori mostrano un miglioramento degli indici di malnutrizione infantile nel periodo 1995-2001, i livelli sono tuttora elevatissimi: la malnutrizione infantile cronica e acuta colpisce il 19,5 % della popolazione di età inferiore a cinque anni.

3.2.4.3

La malnutrizione infantile cronica è il principale strumento di trasmissione del sottosviluppo e della povertà fra generazioni, dal momento che la mancanza di alimenti negli anni cruciali dello sviluppo fisico e psicomotorio dei bambini compromette decisamente la loro capacità intellettuale, il loro rendimento scolastico, la loro capacità produttiva e la loro integrazione sociale, e incide oltremisura sul potenziale di sviluppo della società.

3.2.5   Istruzione e accesso all'istruzione

3.2.5.1

Il livello di analfabetismo è elevato per gli standard dei paesi sviluppati, ma è assai eterogeneo nella regione. In alcuni paesi come l'Argentina, il Cile, il Costarica, Cuba, e l'Uruguay il livello di analfabetismo è inferiore al 5 % della popolazione di età superiore ai quindici anni. Questo parametro raggiunge però livelli che oltrepassano il 20 % in Salvador, in Guatemala, ad Haiti, in Honduras e in Nicaragua. In generale il tasso di analfabetismo è superiore per le donne.

3.2.5.2

L'accesso all'istruzione di base (alunni tra i sette e i dodici anni di età) è molto alto nelle zone urbane, in cui si registrano livelli superiori al 90 % (la regolarità della frequenza alle lezioni o dei percorsi curricolari costituisce una questione a parte: secondo la CEPAL (3) nel 2000, su un totale di 49 milioni di giovani di età compresa tra i 15 e i 19 anni, circa 15 milioni avevano abbandonato la scuola prima di completare dodici anni di studi). I livelli di scolarizzazione sono sempre molto più elevati nelle famiglie con maggiori risorse, soprattutto nei paesi caratterizzati da una maggiore concentrazione dei redditi e da un minor sviluppo relativo, come la Colombia, l'Ecuador, il Salvador, il Guatemala, l'Honduras, il Nicaragua e la Repubblica dominicana. La differenza nell'accesso all'istruzione a seconda del reddito si accentua in maniera direttamente proporzionale all'età dei giovani, a causa della necessità di entrare nel mercato del lavoro per aiutare la propria famiglia. Nella maggioranza dei paesi dell'America Latina e dei Caraibi, il livello di scolarizzazione delle donne è superiore a quello degli uomini (indipendentemente dal reddito), specie nella fascia di età compresa tra i 20 e i 24 anni.

3.2.5.3

Nell'America Latina e nei Caraibi i problemi in materia di istruzione si concentrano su tre fronti. Innanzitutto, su quello della qualità dell'offerta educativa che, nell'istruzione elementare e media, è estremamente bassa: si registrano alti indici di abbandono e fallimento scolastico, scarsi livelli di rendimento degli alunni, carenze nelle attrezzature a diposizione degli istituti e scarsa motivazione del personale docente. In secondo luogo, i livelli di parità d'accesso all'offerta formativa sono estremamente bassi: sono evidenti le disuguaglianze fra gli indici di iscrizione e rendimento scolastico delle aree urbane e quelli delle aree rurali, in relazione con l'origine etnica della popolazione o persino a seconda del sesso. Vi è infine un notevole sfasamento fra il sistema formativo e le necessità dei mercati del lavoro, non solo per le carenze di questi ultimi ma anche per le lacune dell'insegnamento medio e professionale.

3.2.6   Salute e sanità

3.2.6.1

La speranza di vita alla nascita oscilla tra i 59 anni di Haiti e i 77 del Costarica e delle Barbados. La mortalità infantile descrive una curva con valori che vanno dal 7‰ di Cuba al 59‰ di Haiti (4).

3.2.6.2

In termini comparativi, la speranza di vita della popolazione latinoamericana alla nascita è di 8 anni inferiore al valore corrispondente di un paese europeo come la Spagna. Tale ritardo in campo sanitario si rispecchia inoltre nei dati di mortalità registrati dalla regione, relativamente alti e tuttora assai stabili, i quali sono infatti sette volte superiori a quelli della Spagna o della Germania.

3.2.7   Spesa sociale e previdenza sociale

3.2.7.1

Nel periodo 2000-2001 la spesa sociale media dell'ALC (relativa soltanto a quattro voci di spesa: istruzione, sanità, sicurezza e assistenza sociale, alloggi) ha raggiunto il 13,8 % del PIL, un livello superiore di 1,7 punti percentuali a quello del biennio 1996-97. Gli stanziamenti sono ripartiti nel seguente modo: il 4,2 % è destinato all'istruzione, il 3,1 % alla sanità, il 5,1 % alla sicurezza e all'assistenza sociale, l'1,4 % agli alloggi e ad altri servizi. La spesa sociale pubblica media pro capite è di quasi trenta volte inferiore alla media dell'Unione europea.

3.2.7.2

Nel corso degli anni Novanta è stato osservato che le spese sociali nell'ALC seguono una tendenza ciclica, aumentando nei periodi di crescita e diminuendo nei periodi di crisi economica. Pertanto, anche se la spesa sociale pubblica nella regione non è scesa, la sua crescita è stata rallentata a partire dal 1998, anno in cui l'incremento del prodotto regionale ha iniziato a diminuire.

3.2.7.3

I sistemi di previdenza sociale (anzianità, malattia, invalidità) raggiungono comparativamente un livello di copertura assai ridotto. Nella stragrande maggioranza dei paesi dell'ALC soltanto una percentuale compresa tra il 10 % e il 15 % della popolazione interessata beneficia di un sistema di previdenza sociale adeguato. Persino nei paesi con le migliori prestazioni, la copertura non supera il 50 % della popolazione attiva e si registra una preoccupante tendenza decrescente, derivante dall'aumento dell'economia sommersa.

3.2.7.4

Le riforme dei sistemi di previdenza sociale compiute negli ultimi anni – la privatizzazione della gestione dei sistemi pensionistici e sanitari, la trasformazione dei sistemi di finanziamento a ripartizione in sistemi finanziari a capitalizzazione individuale non hanno ottenuto i risultati annunciati: sono diminuiti il controllo dello Stato e il gettito fiscale, è invece aumentato il lavoro nero, lasciando così fuori dal sistema di previdenza una crescente maggioranza della popolazione. Anche l'aumento dei flussi migratori intraregionali conseguente ai processi di integrazione in atto contribuisce, in assenza di meccanismi di prevenzione sociale riconosciuti, a generare sacche di povertà, emarginazione ed esclusione.

3.2.7.5

Il 2004 è stato dichiarato dai capi di Stato e di governo della regione l'anno iberoamericano delle persone con disabilità. Secondo i calcoli, in America Latina vi sono tra i 45 e i 65 milioni di disabili, i quali subiscono nella maggioranza dei casi – spesso insieme ai loro familiari – gli effetti dell'esclusione sociale e della povertà.

3.2.8   Il mercato del lavoro

3.2.8.1

Il mercato del lavoro della regione sta attraversando un periodo di degrado nei rapporti di lavoro, dovuto al rallentamento del livello di crescita economica negli ultimi sei anni. Il tasso di disoccupazione urbano è salito al 9,2 % nei primi trimestri del 2002, raggiungendo i valori più alti registrati negli ultimi ventidue anni. Più del 70 % dei nuclei familiari della regione dipende esclusivamente dai redditi generati dal lavoro; un lavoratore su due riceve una retribuzione che lo colloca sulla soglia della povertà. Una crescente maggioranza della popolazione attiva non è coperta dalla legislazione del lavoro e la copertura è diminuita nel corso degli anni Novanta.

3.2.8.2

Tra il 1990 e il 2002 si rileva (5) una forte tendenza all'aumento dell'economia sommersa (su dieci posti di lavoro creati a partire dal 1990, sette sono stati generati dall'economia sommersa, che dà lavoro al 46,3 % di tutti gli occupati dell'America Latina) e della precarietà del lavoro: su dieci nuovi lavoratori dell'economia emersa e su altrettanti 10 dell'economia sommersa, rispettivamente soltanto sei e due hanno un qualche tipo di copertura sociale. Si ritiene che esista un deficit di posti di lavoro «decenti» per 93 milioni di lavoratori, ossia 30 milioni in più rispetto al 1990 (si fa qui riferimento a quel 50,5 % della popolazione attiva che non ha lavoro o ne ha uno in nero, oppure lavora nell'economia emersa senza disporre di prestazioni sociali o in condizioni assai precarie).

3.2.8.3

I rapporti di lavoro sono caratterizzati da un riconoscimento disuguale e incompleto dei diritti fondamentali dei lavoratori (si va infatti da paesi che dispongono di quadri a livello nominale equiparabili a quelli che regolano i rapporti di lavoro in Europa, a paesi in cui i sindacalisti vengono assassinati a decine ogni anno nello svolgimento delle loro funzioni), da un basso grado di sviluppo dei sistemi di contrattazione collettiva e di concertazione sociale, da una partecipazione assai ridotta alle associazioni sindacali (soltanto il 14 % della forza lavoro nelle città) e imprenditoriali, nonché di norma da un atteggiamento di sfiducia e scontro nei rapporti tra lavoratori e datori di lavoro.

3.2.9   Emigrazione

3.2.9.1

L'emigrazione esercita un'enorme influenza sulla situazione economica dell'America Latina e dei Caraibi, sia in senso positivo che negativo. Nei paesi della regione, i maggiori flussi migratori in uscita erano tradizionalmente diretti verso il Nord del continente, ossia verso gli Stati Uniti e il Canada, ma negli ultimi anni sono stati registrati flussi migratori di una certa entità diretti verso l'Unione europea.

3.2.9.2

Il contributo positivo del fenomeno è costituito dalle rimesse degli emigranti, le quali rappresentano in molti casi un'importante fonte di valuta straniera per i paesi di origine, oltre che un mezzo per alleviare la mancanza di risorse di ampi strati della popolazione.

3.2.9.3

Anche gli aspetti negativi dell'emigrazione sono rilevanti: ci riferiamo qui esclusivamente agli aspetti macroeconomici, senza considerare quanto rappresenti per le persone il fatto di dover abbandonare il proprio paese e allontanarsi dalla propria famiglia. Il principale elemento negativo è costituito dalla perdita di capitale umano, dal momento che coloro che emigrano sono solitamente fra i più preparati, i più intraprendenti e con maggior spirito d'iniziativa. Quando inoltre i flussi migratori si mantengono costanti nel tempo, si genera una specie di «cultura dell'emigrazione» che alimenta l'idea che si possa prosperare soltanto emigrando, sottrae dinamismo economico alla società e favorisce la perdita di coesione sociale.

3.2.10   Crescita, sviluppo e riforme strutturali

3.2.10.1

Le condizioni economiche della regione non sono le più adeguate a garantire una crescita economica sostenuta. Gli importanti progressi compiuti negli ultimi anni sul piano della stabilità macroeconomica in diversi paesi della regione costituiscono un elemento essenziale, seppure insufficiente, per assicurare ritmi più elevati e stabili in materia di crescita economica.

3.2.10.2

Il settore estero delle economie latinoamericane continua a essere un fattore di soffocamento della crescita sostenuta. La forte dipendenza dai flussi di capitale esterni costituisce un limite assai notevole alla promozione dello sviluppo interno. La volatilità di questi flussi di fronte al rischio di crisi internazionali o di cambiamenti di congiuntura nei paesi da cui detti flussi provengono fa sì che per i soggetti economici locali sia impossibile garantire la continuità e l'aumento degli investimenti produttivi. Gli effetti di tale dipendenza vengono esasperati dal momento che i paesi latinoamericani sono sottoposti – sul fronte dell'altro elemento esterno restrittivo: il debito – a un continuo sconvolgimento nei costi variabili del loro finanziamento. Questa estrema vulnerabilità delle economie latinoamericane rispetto al ciclo economico esterno costituisce uno dei fattori più rilevanti fra quelli che limitano la dinamica delle economie latinoamericane.

3.2.10.3

All'origine dell'alto livello di dipendenza e di vulnerabilità esterne troviamo la debolezza delle istituzioni locali, la scarsa diversificazione delle economie latinoamericane, il peso del debito estero e una ridotta generazione di risorse finanziarie proprie (risparmio). In tale situazione, un potenziamento incisivo del mercato interno (che non va identificato, in maniera semplicistica, con un processo di sostituzione di importazioni) potrebbe aprire nuove strade allo sviluppo economico latinoamericano.

3.2.10.4

Promuovendo maggiormente i processi regionali di integrazione economica, si potrebbero costituire i mercati di dimensioni superiori, nei quali le risultanti economie di scala dovrebbero incentivare l'espansione del tessuto produttivo locale e attirare gli investimenti stranieri.

3.2.10.5

Attualmente il tessuto produttivo della regione è fortemente frammentato. È caratterizzato da un quadro istituzionale altamente informale ed è costretto a operare in mercati locali sovente di dimensioni ridotte e protetti in un modo o nell'altro dalla concorrenza esterna. Tuttavia, prima di sottoporli alle condizioni concorrenziali dell'ambiente circostante, si dovrebbero valutare i fattori all'origine dei loro ridotti livelli di produttività.

3.2.10.6

Lo sviluppo delle piccole imprese e delle microimprese si scontra con ostacoli invalicabili: la mancanza di cultura imprenditoriale, di capitale umano o l'incertezza giuridica dell'ambiente istituzionale. Tutto ciò si inserisce inoltre in un sistema finanziario poco evoluto, con strumenti di intermediazione poco sviluppati.

3.2.10.7

Inoltre, la distribuzione diseguale degli attivi produttivi (dai terreni alla forza lavoro fisica o intellettuale) esaspera le difficoltà che la classe imprenditoriale latinoamericana deve sormontare.

3.2.10.8

L'espansione dell'attività imprenditoriale nelle economie latinoamericane è una condizione fondamentale per ottenere una crescita sostenuta. Le riforme in questo campo debbono tuttavia fare i conti con l'indifferenza di una parte del mondo imprenditoriale, la mancanza di credibilità o la discontinuità dei poteri pubblici in relazione ai loro piani di industrializzazione o di riforma agraria, la mancanza di un consenso politico sociale in merito a un progetto democratico di società e, piuttosto frequentemente, con la resistenza di talune elite locali, interessate alla spartizione dei benefici derivanti dallo smantellamento dello Stato imprenditore, oggi obsoleto, piuttosto che alla creazione di un tessuto industriale produttivo e competitivo.

3.2.10.9

In tale contesto, l'economia sociale può svolgere un ruolo rilevante nel creare un tessuto sociale coeso e nel favorire lo sviluppo economico della coesione sociale. L'economia sociale andrebbe inoltre considerata come una via d'uscita al contesto di crisi economiche e ristrutturazioni industriali (aziende in crisi rilevate dagli stessi lavoratori) e come alternativa efficace per promuovere lo sviluppo locale (cooperative di sviluppo locale ecc.).

3.3   L'ambito politico: elementi politici che definiscono la qualità delle istituzioni e degli strumenti di partecipazione politica

3.3.1

La generalizzazione, nella pratica, del sistema democratico in America Latina non è stata però accompagnata da un aumento della cittadinanza sociale (occupazione, previdenza per la vecchiaia, la malattia, la disoccupazione o l'invalidità, disposizioni in materia di istruzione, alloggi, pari opportunità, sicurezza nelle città, miglioramento del livello economico, accesso ai nuovi strumenti di informazione e comunicazione). Molti cittadini non godono di diritti civili e sociali fondamentali. La debolezza degli Stati dell'ALC e la loro incapacità di garantire elementi essenziali come una certa equità fiscale, l'accesso alla giustizia, la protezione nei confronti di diverse forme di violenza, i sistemi universali di previdenza sociale, la partecipazione dei cittadini alle questioni che li interessano e così via hanno indotto taluni a parlare di Stati assenti e di una cittadinanza di scarso spessore.

3.3.2

In America Latina la densità del tessuto sociale è ridotta. La società civile è poco articolata e le istituzioni non sono in grado di aumentarne la dinamica. Le elite politiche sembrano manifestare serie riserve rispetto all'apertura delle istituzioni alla partecipazione della società civile. Di conseguenza il tessuto sociale è debole e vulnerabile. È tuttavia essenziale contare su interlocutori strutturati che dispongano di credibilità nella società e su un'efficiente collaborazione tra le sfere d'azione pubbliche e private per rendere più efficaci le politiche destinate alla coesione sociale.

3.3.3

Le pari opportunità vengono attuate mediante politiche sociali, ossia investendo nella sanità, nell'istruzione, nell'occupazione e negli alloggi. Tali politiche contribuiscono inoltre a una più equa distribuzione dei redditi e fanno sì che i cittadini siano in grado di partecipare più attivamente alle decisioni politiche, rafforzando così la democrazia e la governabilità.

3.3.4

È interessante rilevare a questo proposito un fenomeno dissociativo nella sensibilità politica dei cittadini della regione. Se da un lato questi manifestano crescenti esigenze di democrazia, intese a soddisfare i bisogni materiali, dall'altro si sta registrando un aumento dell'astensionismo elettorale. La situazione è più problematica presso i più giovani, che manifestano una marcata disaffezione politica rispetto ai partiti o ad altri tipi di organizzazioni e istituzioni politiche. Secondo il rapporto del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP), il 54,7 % dei latinoamericani sarebbe disposto ad accettare un governo autoritario, purché questo risolva la situazione economica.

3.4   Indicatori di insoddisfazione sociale

In stretta connessione con quanto esposto in precedenza, per analizzare la frattura sociale dello spazio latinoamericano e caraibico occorre conoscere i livelli di insoddisfazione della società nei confronti della situazione, nonché considerare altre espressioni sociali di rifiuto: violenza urbana, delinquenza, insorgere di società parallele e di «legalità mafiose».

3.4.1   Insoddisfazione nei confronti delle istituzioni

3.4.1.1

Secondo il Latinobarómetro (6), i cittadini hanno sempre meno fiducia in tutte le istituzioni, specie in quelle politiche. Ciò condiziona senza dubbio la dinamica stessa delle istituzioni e influenza negativamente la partecipazione dei cittadini alla gestione degli affari pubblici.

3.4.2   Eguaglianza dinanzi alla legge

3.4.2.1

Il fenomeno precedentemente segnalato sembra strettamente connesso con l'evoluzione della situazione in materia di equità sociale ed economica nella regione, ma anche con l'inesistenza di diritti civili e politici fondamentali. Più del 50 % dei cittadini latinoamericani intervistati dal Latinobarómetro segnalano infatti che il fattore più importante per avere fiducia nelle istituzioni è che queste «trattino tutti allo stesso modo» (oltre alle questioni connesse alla ripartizione della ricchezza, alla base di tale affermazione sono il trattamento discriminatorio, e persino legalmente riconosciuto, nei confronti di determinate minoranze sociali o etniche, ciò può spiegare il successo dei movimenti degli indigeni in diversi paesi della regione, nonché il persistere di fenomeni di lavoro forzato o di schiavitù.

3.4.2.2

Sebbene tutti i paesi della regione abbiano ratificato le convenzioni internazionali sui diritti dell'uomo, il numero delle violazioni è elevato. Inoltre questa non è la conseguenza delle azioni compiute da governi dittatoriali, ma piuttosto il risultato di una violenza diffusa praticata da bande e da organizzazioni particolari (narcotrafficanti, milizie private, talvolta in connessione con gli apparati repressivi dello Stato). In tale contesto è indispensabile rafforzare, insieme ad altre politiche, un sistema giudiziario rispettato e autonomo, che faccia sì che la cittadinanza si fondi sull'impero delle leggi, affinché si possa superare una delle maggiori contraddizioni delle democrazie della regione: la dissociazione fra il diritto e la sua applicazione pratica.

3.4.3   Corruzione

3.4.3.1

Nell'America Latina e nei Caraibi la fiducia dei cittadini nella democrazia come forma di governo è andata diminuendo nel corso degli anni Novanta (7). Il consolidamento delle istituzioni va di pari passo con il grado di accettazione delle stesse da parte dei cittadini, ma perché avvenga una simile identificazione è indispensabile che vi sia trasparenza nella gestione della cosa pubblica.

3.4.3.2

La corruzione politica economica (un fenomeno presente praticamente in tutti i paesi del mondo e che – è bene non dimenticarlo – ha sempre due volti: quello di chi è corrotto e quello di chi corrompe) è considerata come uno dei problemi più gravi che colpiscono la regione. Ciò può contribuire a spiegare la percezione sempre più negativa che i cittadini hanno dei governi e dei partiti politici che li appoggiano – e non della democrazia – il risorgere di formazioni politiche populiste e il rifiuto di alcune riforme economiche, ivi comprese alcune privatizzazioni attuate negli ultimi dieci anni.

3.4.3.3

La corruzione e l'illegalità istituzionalizzata spezzano i legami etnici, normativi e comunitari, fondamentali per la convivenza sociale. Per ricostruirli è indispensabile agire partendo dall'ambito educativo, recuperando la credibilità dello Stato di diritto e dell'efficacia della legge. La riduzione delle disuguaglianze sociali mediante politiche di protezione e di inclusione, attente alle popolazioni indigene, alle donne, ai giovani, nonché in generale l'estensione e lo sviluppo dei fattori alla base della cittadinanza sociale per tutti sono fondamentali per raggiungere uno sviluppo sostenibile e per aumentare la fiducia dei sudamericani nelle istituzioni politiche e nel sistema democratico.

3.4.4   Violenza, criminalità, insicurezza urbana

3.4.4.1

All'esclusione sociale, alla povertà e alla disuguaglianza sono connesse le elevate percentuali di criminalità e violenza nella regione. L'indice di vittimologia elaborato dalle Nazioni Unite dimostra che i livelli di criminalità registrati nell'America Latina e nei Caraibi sono fra i più alti al mondo. Uno studio promosso nel 2000 dalla Banca mondiale (8) individua una stretta relazione tra le disuguaglianze economiche e il livello di criminalità. Nell'America Latina e nei Caraibi, il numero delle morti violente è passato da 8 per ogni 100.000 abitanti negli anni settanta a 13 negli anni novanta. La Colombia si trova in testa alla classifica mondiale in questo campo con 60 omicidi (non di stampo politico) per ogni 100 000 abitanti.

3.4.4.2

La violenza che caratterizza la vita quotidiana nelle grandi metropoli latinoamericani ha origini storiche e sociali molteplici e complesse, che si sono inasprite negli ultimi anni a causa della crisi economica e della perdita di autorità da parte delle istituzioni. Se si escludono i paesi in cui la violenza ha radici politiche, nel resto dell'America Latina le cause principali della violenza si ritrovano nella larga presenza di organizzazioni criminali dedicate al traffico di stupefacenti, nonché nelle disuguaglianze sociali. Questa violenza diffusa rappresenta un notevole ostacolo per la convivenza, la democrazia e lo sviluppo della produzione.

3.4.4.3

Il traffico di stupefacenti, fonte di insicurezza e violenza che colpisce innanzitutto i settori più poveri, indebolisce le istituzioni politiche, destabilizza i sistemi economici e le relazioni sociali, alimenta la corruzione e le guerre civili aumentando contemporaneamente le disuguaglianze nella regione. Per sgominare le reti criminali e individuare i loro laboratori è necessario, oltre che una cooperazione internazionale in materia di polizia e giustizia, un impegno estremamente oneroso da parte dei paesi interessati.

3.4.4.3.1

La presenza di colture illegali in America Latina, un tema tuttora spinoso nei rapporti tra il Nord e il Sud, affonda le proprie radici nella miseria di determinate zone rurali che non dispongono di altri mezzi di sussistenza.

3.4.4.3.2

I paesi consumatori dovrebbero assumersi la propria parte di responsabilità nella lotta alla coltivazione di piante narcotiche, senza far ricadere tutta la responsabilità sui paesi produttori e considerando che proprio nei primi si trovano i sistemi finanziari che consentono il riciclaggio del denaro proveniente dal traffico di stupefacenti.

3.4.4.3.3

Il CESE esorta l'Unione europea a continuare e ad approfondire, nel rispetto delle regole dell'OMC, l'apertura commerciale con i paesi andini che si dimostrano disposti a ridurre le colture illecite e a sostituirle con altre. Il Comitato condanna al tempo stesso la cieca distruzione delle coltivazioni per via aerea, che si è rivelata un fallimento per il loro sradicamento e ha invece alimentato la violenza sociale e politica.

3.4.4.3.4

Per rendere più efficiente il sistema di sostituzione, sarebbe necessario fornire un aiuto finanziario e tecnico per le nuove colture e valorizzare queste ultime attraverso reti locali di trasporto che facilitino la commercializzazione regionale dei prodotti alternativi.

3.4.4.4

Le reti criminali, specie nella periferia degli agglomerati urbani, costituiscono assai frequentemente forme parallele di organizzazione sociale che bloccano e impediscono – ricorrendo alla violenza – lo sviluppo della società civile organizzata, elemento fondamentale per la costruzione di uno Stato democratico che sia soddisfacente per la maggioranza dei cittadini. Queste società parallele, imponendo le proprie forme di regolamentazione nell'ambiente in cui operano, delegittimano e talvolta rimettono persino in discussione lo Stato democratico stesso.

4.   Le radici dello squilibrio sociale in America Latina

4.1

Nella maggioranza dei paesi latinoamericani l'indipendenza coloniale non ha comportato un processo di profonde riforme sociali, economiche e politiche. Ha presupposto in generale un cambiamento nelle elite politiche senza particolari trasformazioni sul piano istituzionale. Molte delle strutture sociali economiche precapitalistiche sono rimaste in vigore, mantenendo le società latinoamericane in condizioni identiche o simili a quelle della situazione economica precedente.

4.2

Il retaggio sociale ed economico coloniale e i successivi fallimenti dei tentativi di una sua radicale trasformazione hanno avuto come risultato: un'alta concentrazione delle risorse nelle mani di pochi (a questo proposito, il caso della proprietà fondiaria è emblematico in alcuni paesi della regione); l'emarginazione politica, economica e sociale di interi strati delle società latinoamericane; l'appropriazione dell'attività economica da parte delle elite al potere, con le note conseguenze di corruzione e inefficienza dell'intervento pubblico; la scarsa regolamentazione del mercato che ha generato numerosi effetti economici esterni negativi e soprattutto una profonda disuguaglianza nella distribuzione dei redditi; infine un crescente grado di urbanizzazione destrutturata, in cui le basi sociali dell'economia di mercato si diluiscono nelle attività sommerse.

4.3

A partire dalla decolonizzazione, la storia economica dell'America Latina (sebbene con notevoli asimmetrie fra paesi) è una serie ininterrotta di profonde crisi, caratterizzate dallo squilibrio esterno che penalizza i tentativi di promuovere lo sviluppo. Negli ultimi due secoli si possono distinguere sinteticamente tre stadi comuni nella dinamica economica dei paesi dell'America Latina e nei Caraibi. In una buona parte dell'Ottocento e agli inizi del Novecento le economie latinoamericane hanno avuto un'evoluzione basata su un modello che privilegiava una forte esportazione di materie prime. In un secondo momento, che incomincia negli anni '20 e '30 del Novecento, in seguito alla forte espansione economica provocata in alcuni paesi latinoamericani dalla prima guerra mondiale, la regione si orienta verso un modello di «sostituzione di importazioni», cercando di sostituire le importazioni - nel quadro dell'integrazione delle economie nazionali nell'ambiente economico mondiale - con la produzione nazionale e quindi di generare un tessuto produttivo proprio. La comparsa di profondi squilibri macroeconomici (inflazione e deficit nella bilancia dei pagamenti) rimettono però in discussione questi tentativi di sviluppo imperniati sull'economia interna. Infine, al termine degli anni Settanta e agli inizi degli anni Ottanta, si generalizza nella regione l'applicazione di politiche economiche, auspicate da organismi internazionali (il cosiddetto «consenso di Washington»), che promuovono un'ampia apertura delle sue economie verso l'esterno e basano pertanto lo sviluppo economico e sociale sui mercati.

4.4

Negli ultimi anni, le profonde riforme attuate nelle economie latinoamericane auspicate dal «consenso di Washington» (privatizzazione, liberalizzazione e stabilità macroeconomica), pur avendo raggiunto questo terzo obiettivo – gli alti livelli di inflazione di instabilità monetaria sono stati superati – non hanno portato miglioramenti sostanziali nelle variabili dell'equilibrio reale: occupazione, crescita e distribuzione del reddito. Anzi, come abbiamo segnalato in precedenza, alcuni di questi parametri sono peggiorati (in alcuni paesi come l'Argentina, addirittura in maniera clamorosa).

4.5

Oltre al fatto che molte di queste politiche auspicate dal «consenso di Washington» sono diventate fine a se stesse piuttosto che mezzi al servizio di una crescita equa e sostenibile, altri fattori esterni condizionanti incidono negativamente sul livello di coesione sociale dei paesi della regione. La politica «dei due pesi e delle due misure» praticata dagli Stati più sviluppati nei rapporti commerciali con l'America Latina e nei Caraibi; i programmi di riforme strutturali imposti dalle istituzioni finanziarie internazionali che, nella maggioranza dei casi, hanno aggravato la crisi dei paesi della regione; l'assenza di una rigida normativa, adeguata a regolare gli investimenti esteri, o talvolta la sua mancata applicazione, invece di contribuire a migliorare il tessuto produttivo e la responsabilità sociale delle imprese in alcuni casi hanno finito per eliminare i concorrenti locali e creare situazioni di monopolio; il debito accumulato a partire dagli anni Sessanta, che i paesi debitori hanno più che onorato pagando gli interessi; gli aiuti ufficiali per lo sviluppo, che non sempre sono destinati a progetti globali e coerenti ma talvolta sono semplici strumenti per alimentare rapporti commerciali e diplomatici privilegiati, sono tutti elementi cruciali che condizionano il progresso della coesione sociale nell'America Latina e nei Caraibi.

5.   Le debolezze delle società latinoamericane rispetto al processo di coesione sociale

5.1

Da quanto affermato in precedenza si deduce che le società latinoamericane registrano alcune carenze fondamentali nei mezzi necessari per raggiungere livelli accettabili di coesione sociale. Tali carenze possono essere sintetizzate nel seguente modo.

5.2

Si registrano carenze nelle funzioni dello Stato, in quanto organismo incaricato di difendere l'interesse generale e di promuovere il bene comune, in quanto soggetto regolatore dello sviluppo dell'economia di mercato e del patto sociale, in quanto strumento insostituibile per garantire la coesione sociale, dal momento che la società civile non dispone da sola dei mezzi per raggiungerla e mantenerla. Lo Stato, nelle società dell'America Latina e nei Caraibi, non ha svolto un ruolo di modernizzazione e promozione dello sviluppo economico e della protezione sociale, un ruolo che è stato fondamentale in altre regioni del pianeta, oggi sviluppate. A seconda dei momenti storici e delle circostanze specifiche di ciascun paese, gli Stati latinoamericani si sono trovati piuttosto al servizio degli interessi illegittimi di certi gruppi sociali, svolgendo quindi una funzione assai diversa da quella della maggioranza degli Stati dei paesi sviluppati, i quali infatti regolano l'economia di mercato, agiscono come mediatori nei conflitti sociali, promuovono l'attività economica, adottando un quadro di politiche micro e macroeconomiche e sociali adeguate per accompagnare il processo di sviluppo. In molti casi la debolezza dello Stato ha impedito l'attuazione, quando non addirittura l'istituzione, di politiche efficaci in materia di coesione sociale.

5.3

Disuguaglianze sociali. Oltre alle statistiche sulla distribuzione della ricchezza, tali disuguaglianze presuppongono un ostacolo alla mobilità sociale ed economica dei cittadini. Dal momento che non esistono meccanismi di rottura del determinismo sociale, vigono gli schemi più tradizionali di riproduzione dei gruppi e delle classi sociali. In tale contesto gli strumenti di partecipazione caratteristici dei sistemi democratici hanno enormi difficoltà a instaurarsi e consolidarsi come formule di organizzazione sociale.

5.4

La debolezza della società civile organizzata. Per progredire verso lo sviluppo economico e la coesione sociale non bastano istituzioni democratiche e un'economia di mercato. È necessario trasformare le società, eliminare la povertà estrema e l'esclusione, fissare le condizioni per garantire le pari opportunità, facilitare l'accesso ai servizi essenziali come quelli nel campo della sanità e dell'istruzione. Questo processo non può venire soltanto dall'interno di ogni paese, né può essere dettato dall'esterno; richiede che ciascun paese assuma le proprie responsabilità. Ciò non sarà possibile in mancanza di una partecipazione permanente alle decisioni da parte della società, nelle sue diverse espressioni: partiti politici, organizzazioni imprenditoriali, sindacati, organizzazioni sociali. Una ripartizione più giusta ed equa della ricchezza – base fondamentale della coesione sociale – implica sempre una suddivisione del potere, che non è possibile senza un rafforzamento della società civile organizzata. La stessa produttività del sistema economico risente di tale carenza, dal momento che le situazioni di scarsa coesione mettono permanentemente in discussione i fondamenti della stabilità giuridica e politica che qualsiasi situazione economica richiede per poter funzionare correttamente.

5.5

Squilibri nel contesto della globalizzazione. Le economie latinoamericane sono particolarmente vulnerabili a quanto avviene all'esterno delle loro frontiere. In alcuni casi il loro inserimento nel crescente processo di globalizzazione economica si sta compiendo con una perdita di efficienza relativa e di competitività internazionale delle loro strutture produttive. Ciò contribuisce a intensificare il fenomeno denominato dall'economista svedese e premio Nobel Myrdal «causazione circolare», specialmente nelle fasi di recessione del ciclo economico internazionale: tale fenomeno impedisce di raggiungere livelli di coesione economica e sociale superiori.

5.6

Le politiche strutturali praticate negli ultimi anni, in molti casi su richiesta di organismi internazionali che esercitano diverse forme di pressione per la loro applicazione, hanno contribuito ad aggravare parte dei tradizionali squilibri di queste società, specie per quanto riguarda i livelli di coesione sociale.

6.   I possibili vettori della coesione sociale nell'America Latina e nei Caraibi

6.1

Alla luce dell'esperienza europea e tenendo in considerazione quanto abbiamo definito nei precedenti titoli «debolezze» dello sviluppo economico e sociale dell'ALC, in questa sezione intendiamo segnalare alcuni vettori che potrebbero rivelarsi strategici, anche nella realtà latinoamericana, per raggiungere livelli di coesione sociale più elevati.

6.2   Stato, istituzioni e politica

6.2.1

È impossibile parlare di coesione sociale se i cittadini non godono tutti di eguali diritti e delle medesime garanzie dinanzi alla legge, se non è possibile esigere giuridicamente il rispetto di tali diritti e se questi non sono sostenuti da programmi economici e sociali che li perseguono.

6.2.2

Non è possibile strutturare uno Stato moderno, che svolge le funzioni che gli spettano, senza che esso disponga di un sistema tributario giusto, efficiente e sufficiente. I sistemi tributari esistenti in America Latina e nei Caraibi sono caratterizzati dalla debolezza dei meccanismi di gestione del gettito e dell'ispezione fiscale, dalla tendenza del sistema a reggersi sull'imposizione indiretta, dalla scarsa pressione fiscale e da alti livelli di evasione. Questa è dunque una delle maggiori sfide che si presentano alle società e alle economie dell'America Latina e nei Caraibi. È probabile che l'attuazione di riforme fiscali incontri resistenza da parte di gruppi sociali ed economici abituati a un'attività economica non soggetta a imposte, o con oneri fiscali essenzialmente regressivi. Tali riforme costituiscono nondimeno un requisito essenziale per la coesione sociale.

6.2.3

La coesione sociale richiede inoltre la presenza attiva dello Stato nella promozione di politiche specifiche destinate a intervenire in situazioni di disuguaglianza sociale, ad applicare politiche redistributive e solidali, a promuovere le pari opportunità per tutti i cittadini, eliminando le situazioni di esclusione sociale. A tale scopo si rendono necessari, nei paesi della regione, sistemi di previdenza sociale universali che, nella maggioranza dei casi, sono inesistenti o presentano gravi carenze e persino disuguaglianze.

6.2.3.1

La coesione sociale non si raggiunge unicamente con piani d'azione contro l'esclusione sociale. Sono altresì necessari sistemi di sicurezza sociale che garantiscano fra l'altro a tutta la popolazione i servizi sanitari e una pensione. Risulta pertanto imperativo affrontare le profonde disuguaglianze che colpiscono i più anziani, i quali in diverse occasioni si trovano sull'orlo dell'indigenza e/o dell'esclusione sociale. L'istituzione di sistemi pensionistici pubblici finanziati mediante tecniche di ripartizione, con copertura generale, costituisce un requisito indispensabile per raggiungere un grado accettabile di coesione sociale. Fatta salva la possibilità di mantenere sistemi complementari, con altre caratteristiche.

6.2.3.2

I sistemi di previdenza e di sicurezza sociale dovrebbero inoltre analizzare formule per offrire una copertura ai lavoratori autonomi, ai semi-indipendenti e a coloro che operano nell'economia sommersa (settori di gran peso nell'America Latina e nei Caraibi), basandosi sulle esperienze esistenti in alcuni paesi europei.

6.2.3.3

Il miglioramento della sanità pubblica è un altro dei settori chiave per il miglioramento della coesione sociale in America Latina e nei Caraibi. Nell'esperienza europea i sistemi di sanità pubblici, finanziati in base ai principi di ridistribuzione, si sono rivelati socialmente efficaci: molto più solidali, meno costosi e i più coesivi di quelli fondati sulle assicurazioni private.

6.2.3.4

A partire dagli anni Novanta, alcuni paesi della regione hanno avviato programmi sociali pubblici, subordinati a determinati requisiti o controprestazioni e destinati a soddisfare alcune esigenze fondamentali delle categorie meno protette. Per i programmi d'istruzione ad esempio si esige la frequenza alle lezioni, per quelli alimentari è richiesta la partecipazione alle campagne di vaccinazione e di informazione in materia di igiene alimentare. Si tratta di programmi promossi e gestiti dallo Stato che hanno un comprovato impatto sulla ridistribuzione dei redditi, sulla scolarizzazione e sulla salute. In altri ambiti, taluni governi hanno adottato iniziative per favorire l'accesso al credito. In Brasile, ad esempio, sono state distribuite carte elettroniche per agevolare l'accesso a microcrediti garantiti dallo Stato. L'Unione europea potrebbe sostenere questo tipo di misure innovatrici nel quadro di una strategia orientata verso la coesione sociale nella regione.

6.2.3.5

La completa protezione sociale dei rapporti di lavoro legali, la progressiva estensione della copertura ai lavoratori dell'economia sommersa, la protezione sociale dei flussi di immigrati e l'eliminazione di alcune delle cause fondamentali della mortalità infantile costituiscono inoltre priorità rilevanti ai fini di una migliore copertura sociale nei paesi dell'America Latina e dei Caraibi.

6.2.3.6

Talune regioni ultraperiferiche dell'Unione europea – situate nell'America Latina e nei Caraibi – beneficiano di fondi strutturali comunitari, destinati in particolare allo sviluppo delle infrastrutture di base. Il livello di coesione sociale di tali regioni continua tuttavia a essere notevolmente inferiore a quello europeo, la loro scarsa integrazione nell'area caraibica può creare in futuro difficoltà economiche, e i loro prodotti di base, come quelli agricoli o il turismo, possono subire la concorrenza dei paesi ACP che godono di accordi preferenziali, mentre i loro costi di produzione sono superiori. È pertanto opportuno che l'Unione europea, nelle sue nuove prospettive finanziarie, tenga conto della necessità di mantenere gli aiuti specifici attualmente concessi a queste sue regioni ultraperiferiche.

6.3   Infrastrutture economiche. Ricerca e sviluppo

6.3.1

La dotazione di infrastrutture di tutti i tipi (per l'America Latina e i Caraibi soprattutto la creazione di infrastrutture di trasporto, comunicazioni, acqua potabile ed energia, con impegni di sostenibilità di mantenimento) è una condizione fondamentale per lo sviluppo economico, l'espansione della produzione del commercio e in definitiva per l'aumento della produttività, il quale a sua volta dipende dall'inserimento di maggiori contenuti tecnologici nei processi produttivi e dalla formazione di tutti coloro che partecipano al sistema produttivo.

6.3.2

L'impegno delle società della regione per integrarsi in modo competitivo nell'economia globalizzata deve poggiare su di un'azione incisiva da parte dei poteri pubblici e del settore privato, destinata a sviluppare basi tecnologiche più avanzate, affinché questi paesi non solo superino il divario che li separa da quelli più sviluppati, ma cerchino anche di vincere la sfida dello sviluppo «dall'alto», concorrendo nella creazione di valore aggiunto all'interno del sistema produttivo globalizzato.

6.3.3

Gli sforzi intesi a migliorare la formazione permanente, mediante sistemi di formazione professionale e universitaria, sono essenziali a tale scopo. In questo campo l'Unione europea può fornire conoscenze specifiche ed esperienze nella gestione dei sistemi di formazione professionale, nell'omologazione dei titoli professionali e nella creazione di infrastrutture per l'istruzione.

6.4   L'istruzione

6.4.1

L'istruzione è un fattore determinante per eliminare gli ostacoli che bloccano i processi di sviluppo economico e sociale o li rendono difficili e costituisce l'elemento essenziale per garantire le pari opportunità e la mobilità sociale. Viste però le condizioni, già illustrate in precedenza (scarsa qualità, disparità d'accesso e mancanza di connessione con il sistema produttivo), invece di costituire un fattore di progresso, mobilità sociale e promozione dell'equità, in America Latina e nei Caraibi l'istruzione può costituire un meccanismo che consolida e riproduce le disuguaglianze sociali. Senza togliere importanza agli spazi educativi che l'iniziativa privata può creare, spetta pertanto allo Stato: garantire livelli di istruzione di base a tutti i cittadini, in condizioni di qualità adeguata; assicurare l'accesso senza discriminazioni ai livelli superiori del sistema educativo; mettere in relazione l'istruzione con il mercato del lavoro; potenziare il talento in chi lo possiede; evitare nuove forme di esclusione, provocata dall'introduzione della cosiddetta società delle conoscenze.

6.5   Il sistema produttivo e il suo dinamismo

6.5.1

La coesione sociale richiede un sistema produttivo efficiente, capace di creare occupazione e generale redditi per tutti i cittadini. A questo proposito, nell'America Latina e nei Caraibi è essenziale prestare particolare attenzione al tessuto imprenditoriale locale e regionale, costituito da un'ampia rete di piccole imprese - molte delle quali si trovano oggi nell'illegalità, sono inserite soltanto secondariamente nei mercati nazionali e dispongono pertanto di un ridotto potenziale di crescita.

6.5.2

L'espansione dell'economia sommersa è innanzitutto l'espressione dell'impotenza economica degli Stati nel regolare mercati in grado di ampliarsi. Piuttosto che rappresentare un potenziale di espansione, nella maggior parte dei casi l'economia sommersa è il riflesso di economie in ritardo e con una ridotta capacità di creare posti di lavoro accettabili.

6.5.3

L'economia sociale – cooperative e associazioni comunitarie – rappresenta una realtà economica e sociale molto significativa in diversi Stati dell'Unione europea. Nei paesi latinoamericani essa può costituire un'interessante possibilità da considerare in futuro come alternativa all'economia sommersa per lo sviluppo economico, la creazione di occupazione, l'integrazione sociale e la partecipazione di ampi settori al processo produttivo. Questa eventualità è stata espressamente riconosciuta nella recente Dichiarazione dei paesi iberoamericani (9).

6.5.4

La carenza di risorse finanziarie è uno dei principali fattori di limitazione dei sistemi produttivi dell'America Latina e dei Caraibi. Ad ostacolare i soggetti economici nella ricerca di un accesso maggiore e migliore al finanziamento non sono soltanto i bassi livelli di risparmio, ma anche l'inefficienza dei meccanismi di intermediazione. I soggetti in difficoltà sono soprattutto le PMI (circa l'80 % delle aziende latinoamericane sono piccole imprese o microimprese), i lavoratori autonomi, le cooperative, ecc. Si sente la mancanza di sistemi di microcrediti e del rafforzamento della capacità di gestione da parte delle piccole imprese o dei lavoratori autonomi.

6.5.5

La relativa importanza che il settore primario riveste ancora in molti paesi dell'America Latina e dei Caraibi lo colloca - insieme a una politica di sostegno, sia verticale che orizzontale, allo sviluppo industriale - al centro delle riforme necessarie per raggiungere un maggior sviluppo economico e sociale. La ricerca di maggiori livelli di produttività in agricoltura, che costituisce in molti paesi una fonte diretta di valuta straniera, deve andare di pari passo con la soluzione dei conflitti sociali molto radicati nelle zone rurali della regione. La riforma agraria, con vari scenari e contenuti a seconda dei paesi, continua a essere indispensabile per risolvere il problema di milioni di agricoltori e lavoratori giornalieri, che versano in condizioni di povertà, e per aumentare la capitalizzazione della produzione agraria, contribuendo in tal modo a una maggiore coesione economica e sociale.

6.5.6

L'integrazione economica e regionale (che preveda, oltre alla liberalizzazione dei mercati, meccanismi di compensazione e solidarietà equivalenti ai fondi strutturali dell'Unione europea), come si sta sviluppando poco a poco nel Mercosur, nella Comunità andina e fra le due organizzazioni subregionali, costituisce un elemento essenziale per potenziare lo sviluppo economico e sociale dell'America Latina e dei Caraibi, pensando in particolare alla necessaria diversificazione delle economie latinoamericane, nonché alla necessità di sviluppare settori produttivi competitivi e attirare investimenti stranieri.

6.6   Durata e qualità dell'occupazione

6.6.1

Nella maggioranza dei paesi latinoamericani e caraibici, l'entità della disoccupazione costituisce uno dei problemi sociali più gravi, a detta degli stessi cittadini (Argentina, Colombia, Ecuador, Giamaica...). In tutti i paesi l'occupazione irregolare ha raggiunto proporzioni allarmanti e tuttora in crescita. Il raggiungimento di un tasso di occupazione più elevato e di condizioni di occupazione accettabili per l'insieme della popolazione che lavora, sono due obiettivi fondamentali e della massima urgenza per i poteri pubblici e i soggetti sociali della regione.

6.6.2

Per garantire più occupazione e di migliore qualità sono necessari interventi profondi e consensuali nel funzionamento dei mercati del lavoro. Le riforme del settore del lavoro compiute in molti i paesi della regione non hanno raggiunto gli obiettivi prefissati di creazione di occupazione e aumento dell'occupazione di buona qualità; in molti casi hanno persino contribuito a generalizzare la precarietà dell'occupazione, che raggiunge i massimi valori nel lavoro sommerso.

6.6.3

L'istituzione di politiche macroeconomiche destinate a ridurre l'estrema volatilità economica, il perfezionamento dei sistemi di intermediazione nel campo del lavoro, un legame più stretto tra sistema educativo e creazione di occupazione, lo sviluppo di meccanismi appropriati di protezione dei lavoratori dinanzi alla perdita di reddito generata dalla continua rotazione lavorativa, il potenziamento delle capacità dei lavoratori, il rispetto delle normative sul lavoro e la promozione di rapporti di lavoro negoziati e consensuali costituiscono pertanto alcune delle esigenze strutturali che occorre soddisfare per garantire contratti di durata superiore e una maggiore qualità dell'occupazione nell'America Latina e nei Caraibi.

6.7   Diritti dei lavoratori e dialogo sociale

6.7.1

L'ex Presidente della Commissione europea Jacques Delors ha definito il modello sociale europeo come frutto della combinazione di Stato e mercato, iniziativa privata e diritti collettivi, imprese e sindacato. L'esistenza di quadri democratici di regolamentazione dei rapporti di lavoro è stata ed è tuttora in Europa un fattore essenziale della competitività economica e della coesione sociale.

6.7.2

Oltre al rispetto dei diritti dei lavoratori (enunciati nelle convenzioni fondamentali dell'OIL), questi sistemi di rapporti di lavoro sono caratterizzati dall'esistenza di organizzazioni sindacali e imprenditoriali rappresentative, da procedimenti di contrattazione collettiva a vari livelli e, in alcuni casi, da forme di concertazione tripartita degli orientamenti di politica economica e sociale (che vanno dalle normative negoziate a patti sociali sui redditi), nonché da varie forme di partecipazione dei lavoratori alle imprese e alle istituzioni sociali (sicurezza sociale, formazione professionale, ecc.).

6.7.3

Lo scarso sviluppo di sistemi che regolano i rapporti di lavoro in modo pienamente democratico costituisce una delle principali carenze delle società latinoamericane nel percorso di rafforzamento della loro coesione sociale.

6.7.4

Nel luglio 2001, la Commissione europea ha pubblicato un Libro verde intitolato «Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese», un'iniziativa che si aggiunge alla Dichiarazione tripartita dell'OIL sulle imprese multinazionali e la politica sociale.

6.7.5

Il suddetto Libro verde enumera una serie di criteri per definire la responsabilità sociale delle imprese europee: il carattere volontario delle azioni intraprese (che supera pertanto gli obblighi giuridici a cui sono sottoposte le imprese); il carattere duraturo dell'impegno assunto (non si tratta di azioni circoscritte, ma di una nuova forma di gestione dell'impresa); il coinvolgimento delle parti interessate, interne ed esterne all'impresa, nei temi che le riguardano; l'esigenza di trasparenza quando si tratta di dimostrare le prassi seguite in materia di responsabilità sociale.

6.7.6

Bisognerebbe promuovere questi criteri, affinché le multinazionali presenti in America Latina e nei Caraibi e le imprese europee soprattutto li facciano volontariamente propri, al punto di costituire un elemento dinamico ed esemplare nello sviluppo di quadri democratici di regolamentazione dei rapporti di lavoro e prevedano azioni responsabili da parte delle imprese, nel rispetto dell'ambiente e dei diritti dei lavoratori.

6.8   Una società articolata. Il rafforzamento della società civile

6.8.1

Per raggiungere livelli più elevati di democrazia, sviluppo umano e governabilità occorre aumentare le forme di partecipazione sociale. La partecipazione della società civile è un'espressione delle esigenze dei cittadini intese a realizzare l'interesse generale, un incentivo per una gestione pubblica più efficiente, uno strumento di controllo civile e una forma di partecipazione effettiva ai processi decisionali delle istituzioni pubbliche e private. È una condizione per una buona governance democratica.

6.8.2

Secondo il Latinobarómetro il primo tratto caratteristico della cultura latinoamericana è costituito dalla scarsa fiducia interpersonale. La promozione di progetti collettivi rappresenta pertanto una condizione fondamentale per fornire un sostegno politico alla sfida della coesione sociale in America Latina e nei Caraibi.

6.8.3

Il rafforzamento di organizzazioni economiche e sociali rappresentative, indipendenti e capaci di assumere un impegno, è una condizione essenziale per giungere a un dialogo sociale e a un dialogo civile proficuo e quindi per favorire lo sviluppo dei paesi latinoamericani.

6.8.4

In Europa la partecipazione della società civile ha poggiato, oltre che sul sistema dei partiti, sui sistemi precedentemente citati che regolano i rapporti di lavoro e la concertazione sociale, e di cui la creazione di comitati o consigli economici e sociali è stata una delle manifestazioni, nonché sulla partecipazione dei soggetti sociali alle varie istituzioni sociali (dialogo sociale, previdenza sociale, sistemi di protezione contro la disoccupazione, istituzioni pubbliche per l'occupazione e la formazione, ecc.), sia a livello settoriale che intersettoriale.

6.8.5

Tre sono i pilastri su cui si è fondata la partecipazione della società civile: il riconoscimento legale dell'associazionismo sociale – nell'ambito del quale hanno acquisito particolare significato e rilevanza negli ultimi anni le ONG – i rapporti con diverse organizzazioni che difendono gruppi specifici e, più recentemente, lo sviluppo del dialogo civile.

6.8.6

L'ambito locale si è dimostrato particolarmente proficuo per l'articolazione di questa partecipazione, nonché per l'interazione tra le organizzazioni rappresentative del dialogo sociale e quelle del dialogo civile.

7.   I rapporti UE/ALC e la loro incidenza sulla coesione sociale

7.1

Il CESE ha elaborato una serie di pareri relativi ai rapporti UE/ALC, al progetto FTAA e ai rapporti con i diversi paesi o raggruppamenti regionali (Mercosur, Messico, Cile), nei quali ha analizzato lo stato di detti rapporti, in particolare dal punto di vista della dimensione socioeconomica dei vari accordi di associazione.

7.2   Rapporti più completi ed equilibrati

7.2.1

A giudizio del CESE, l'approfondimento dei rapporti UE/ALC può contribuire decisamente, a determinate condizioni, al raggiungimento di una maggior coesione sociale in America Latina e nei Caraibi. In tal senso l'Unione europea ha recentemente concluso accordi di associazione politica con la Comunità andina e con l'America centrale. È stato inoltre fissato un calendario e una scadenza per il termine dei negoziati con il Mercosur.

7.2.2

Il CESE ha sempre caldeggiato una rapida conclusione di questi negoziati – onde evitare che venissero subordinati alle trattative dell'OMC (ora in fase di stallo dopo il fallimento dell'ultimo vertice a Cancún) – e il raggiungimento di un accordo equilibrato e soddisfacente, che comprenda fra l'altro le questioni agricole e quelle relative al commercio dei servizi.

7.2.3

La stipula di un accordo con il Mercosur e l'approfondimento degli accordi con la CAN e con l'MCCA dovrebbero favorire un maggior equilibrio nei rapporti UE/ALC, che in questo momento sono caratterizzati dal deficit commerciale crescente dei paesi latinoamericani nei confronti dell'Unione europea.

7.2.4

A giudizio del CESE, per sviluppare un'alleanza strategica biregionale come quella proclamata ai vertici dei capi di Stato e di governo di Rio de Janeiro e di Madrid, è necessario stabilire un'agenda comune che consenta di avviare rapidamente negoziati per la conclusione di un accordo di associazione con tutta la regione latinoamericana.

7.2.5

Gli strumenti istituzionali dei rapporti UE/ALC si limitano fondamentalmente ad accordi e a vertici. La preparazione di un'agenda più operativa richiederebbe la messa in opera di relazioni più strutturate. A questo proposito si ricordi che nell'ambito dei rapporti tra l'Unione europea e i paesi ACP esiste già un'Assemblea parlamentare paritetica e un segretariato permanente a Bruxelles. A giudizio del CESE, nel quadro dei rapporti tra Unione europea e America Latina bisognerebbe promuovere meccanismi più snelli, meglio strutturati e permanenti, per favorire questa alleanza euro-latinoamericana.

7.2.6

Si tratterebbe in definitiva di orientare strategicamente i rapporti UE/ALC, in modo da perseguire su tutti i fronti – quelli dell'aiuto e della cooperazione allo sviluppo, ma anche quelli relativi agli aspetti commerciali, tecnologici, politici, educativi, culturali e così via – l'obiettivo della coesione sociale nell'America Latina e nei Caraibi.

7.2.7

Al di là degli accordi commerciali, il CESE ritiene che i rapporti UE/ALC siano essenziali per: rafforzare il ruolo internazionale dell'Unione europea; sostenere un processo di integrazione nell'America Latina e nei Caraibi che – diversamente dal progetto iniziale della FTAA – consenta alla regione e ai suoi diversi raggruppamenti subregionali di disporre di una maggiore capacità negoziale in ambito internazionale; promuovere un nuovo ordine economico internazionale e una governance mondiale della globalizzazione. Tale governance deve essere caratterizzata dai seguenti elementi: multilateralismo, pieno rispetto del diritto internazionale, tutela dell'ambiente, difesa della pace e riduzione delle disparità di sviluppo tra Nord e Sud del pianeta.

7.3   Rafforzamento e partecipazione della società civile organizzata

7.3.1

Il CESE ritiene che i rapporti UE/ALC debbano favorire dei processi di integrazione regionale in America Latina che – ispirandosi alla costruzione europea – oltre ad aumentare le dimensioni dei mercati per facilitare lo sviluppo economico, comprendano meccanismi di solidarietà e un insieme di norme sociali che accompagnino la realizzazione del mercato unico e promuovano una maggiore coesione sociale.

7.3.2

Il CESE esorta l'Unione europea a finanziare, come per il progetto di sostegno alla dimensione sociolavorativa del Mercosur, i progetti destinati a potenziare la dimensione sociale dei processi di integrazione subregionale e a rafforzare gli organismi consultivi della società civile organizzata in tutti i paesi dell'America Latina e dei Caraibi.

7.3.3

Il CESE richiede inoltre che in tutti gli accordi conclusi tra l'Unione europea e i vari paesi o raggruppamenti subregionali latinoamericani e caraibici vengano istituite procedure istituzionalizzate che prevedano la partecipazione e la consultazione della società civile organizzata nello sviluppo di tali accordi – come viene fatto ad esempio con i comitati consultivi misti. Per raggiungere tale obiettivo, l'Unione europea dovrebbe promuovere, laddove non esistono ancora, l'istituzione di sedi riservate alla partecipazione della società civile organizzata, e dovrebbe invece favorirne lo sviluppo, laddove questi organi sono appena abbozzati.

7.3.4

Agevolare relazioni dirette tra le organizzazioni socioprofessionali dell'Unione europea e quelle dell'America Latina e dei Caraibi può favorire il trasferimento di conoscenze, gli scambi economici, politici, sociali e culturali, nonché il rafforzamento delle organizzazioni della società civile. Il CESE ritiene che gli organismi esistenti – Forum degli imprenditori UE-Mercosur, forum delle ONG dell'UE e dell'America centrale o del Messico – dovrebbero comprendere altri settori come quello sindacale (è stato già istituito un forum sindacale UE-Mercosur), quello dell'economia sociale o quello agricolo.

7.3.5

Il CESE esorta inoltre l'Unione europea a creare una linea di bilancio - simile a quelle destinate a promuovere lo sviluppo umano, gli scambi tecnologici o formativi - riservata al rafforzamento delle organizzazioni della società civile - sindacali, imprenditoriali, sociali - nell'America Latina e nei Caraibi.

7.3.6

Anche la Banca mondiale e l'FMI dovrebbero contribuire al rafforzamento delle organizzazioni delle parti sociali e della società civile, in cooperazione con il CESE, con altre istituzioni dell'Unione europea e con l'OIL.

7.3.7

L'esistenza di un quadro sviluppato di regolamentazione dei rapporti di lavoro è una condizione essenziale per l'avvio di processi di concertazione sociale in grado di favorire gli investimenti produttivi, un lavoro decoroso con il riconoscimento dei diritti, una prospettiva di stabilità dell'attività economica, le trasformazioni produttive e una migliore distribuzione dei redditi. Grazie alle esperienze maturate in Europa, le organizzazioni imprenditoriali e sindacali, nonché le diverse istituzioni comunitarie e degli Stati membri dell'Unione, potrebbero contribuire al rafforzamento delle parti sociali, al consolidamento dei sistemi di trattativa e di risoluzione delle vertenze, al potenziamento delle forme di partecipazione in seno alle aziende e di concertazione fra tutti i soggetti sociali.

7.4   Investimenti produttivi e responsabilità sociale delle imprese

7.4.1

L'Unione europea costituisce uno dei principali investitori dell'America Latina. Il flusso degli investimenti diretti proveniente dai paesi europei mantiene una tendenza ascendente e costituisce pertanto il maggior volume di risorse in entrata. La cooperazione tra l'Unione europea e i paesi dell'America Latina e dei Caraibi è essenziale per creare, a livello nazionale e internazionale, le condizioni che garantiscano la qualità e la permanenza dei flussi (investimenti) e in particolare per assicurare investimenti nelle infrastrutture, che costituiscono la base per attirare gli investimenti esteri diretti. A giudizio del CESE, l'intervento deciso delle imprese europee che investono nell'America Latina, appoggiate dalle istituzioni dell'Unione europea e degli Stati membri, deve costituire un elemento fondamentale dei rapporti con l'America Latina e i Caraibi e dell'incremento dei livelli di sviluppo economico e sociale in questa regione.

7.4.2

Il sostegno finanziario per il rafforzamento delle PMI riveste particolare importanza in America Latina e nei Caribi, soprattutto se è destinato a potenziare sia il capitale fisico e tecnologico che quello umano. Sarebbe pertanto estremamente positivo istituire un fondo per le PMI latinoamericane con i contributi degli Stati membri e dell'Unione europea.

7.4.3

Questo maggior investimento europeo dovrebbe essere accompagnato da un più forte impegno volontario, da parte delle imprese che investono nella regione, a sviluppare una politica di responsabilità sociale che si spinga oltre le rispettive esigenze nazionali – siano esse legali o convenzionali – e le norme fondamentali enunciate dall'OIL e sia pertanto in grado di costituire un elemento di riferimento nella costituzione di quadri democratici di regolamentazione dei rapporti di lavoro.

7.4.4

L'elaborazione di una Carta dei principi di responsabilità sociale delle imprese, a cominciare da quelle europee, che operano in America Latina e nei Caraibi – carta che queste stesse società sarebbero libere di applicare – contribuirebbe risolutamente a promuovere il dialogo sociale e il rispetto dell'ambiente e, di conseguenza, la coesione sociale nella regione.

7.5   Immigrazione

7.5.1

I flussi migratori diretti dall'America Latina e dai Caraibi verso l'Unione europea sono aumentati sostanzialmente negli ultimi anni. L'Unione potrebbe contribuire alla coesione sociale della regione stipulando accordi che favoriscano l'immigrazione regolare, l'inserimento degli immigrati e delle loro famiglie negli Stati membri ed elaborando una politica di sviluppo congiunto tra i paesi di origine e quelli di accoglienza (programmi educativi e di finanziamento di iniziative produttive in base all'esperienza professionale, risparmio, emigranti rimpatriati, ecc.). In tal modo si compenserebbe in parte la perdita di talenti e spiriti d'iniziativa, subita dai paesi latinoamericani a causa dei movimenti migratori verso l'Unione europea.

7.6   Aiuto ufficiale allo sviluppo

7.6.1

Il CESE ritiene che l'Unione europea, come richiesto dal Parlamento europeo, debba sviluppare un fondo di solidarietà biregionale per l'America Latina (destinato a provvedere fra l'altro alla gestione del finanziamento dei programmi in materia di sanità, istruzione e lotta alla povertà ) che dovrà disporre di una dotazione finanziaria sufficiente. Il Comitato reputa inoltre che, rispetto agli impegni già assunti dall'Unione e agli Stati membri, si debbano aumentare gli stanziamenti riservati all'America Latina attraverso l'aiuto ufficiale allo sviluppo, nonché impostare diversamente le modalità della loro applicazione. L'Unione dovrebbe inoltre migliorare il coordinamento con altri istituti finanziari regionali o internazionali.

7.6.2

Come evidenziato in precedenza, il CESE considera che l'Unione europea debba integrare l'obiettivo strategico della coesione sociale in tutti i suoi rapporti con l'America Latina e i Caraibi (commerciali, tecnologici, imprenditoriali, educativi e così via). Ciononostante, sia gli aiuti che la cooperazione allo sviluppo continuano a rivestire un'importanza notevole. Nei paesi più poveri della regione l'Unione europea dovrebbe impegnarsi a definire una strategia di riduzione della povertà, garantendo che gli aiuti puntino all'obiettivo centrale di lotta alla povertà e promuovendo un miglior livello di coordinamento fra i paesi donatori (perlomeno, fra quelli dell'UE). Nel caso degli Stati che registrano nella regione un minor sviluppo relativo, la cooperazione allo sviluppo dell'Unione europea dovrebbe favorire i presupposti affinché essi possano inserirsi a condizioni vantaggiose nel contesto internazionale, riducendo il loro grado di vulnerabilità esterna e incoraggiando politiche che correggano le disuguaglianze e agevolino la legittimazione e il radicamento sociale delle istituzioni. Per raggiungere tale scopo è necessario coniugare dialogo politico, assistenza tecnica, cooperazione finanziaria e sostegno in ambito internazionale.

7.6.3

In ogni caso l'Unione europea e i suoi Stati membri dovrebbero impegnarsi a migliorare la qualità e l'efficacia degli aiuti. Innanzitutto, cercando di migliorare i livelli di coerenza nelle politiche pubbliche; in secondo luogo, perfezionando il coordinamento fra donatori; in terzo luogo, sostenendo i processi di appropriazione dello sviluppo da parte dei destinatari degli aiuti, ai quali dovrebbero spettare le decisioni fondamentali nelle fasi di programmazione e gestione dei finanziamenti.

7.6.4

A giudizio del CESE, una parte dell'aiuto comunitario andrebbe destinata a rafforzare la capacità negoziale dei paesi meno sviluppati dell'America Latina e dei Caraibi in seno alle istanze multilaterali: si tratterebbe di assistere e potenziare le istituzioni competenti. In tutti i paesi della regione è necessario inoltre concentrare l'impegno dell'Unione europea nella formazione – adoperandosi affinché le risorse umane siano adeguate alle condizioni presenti sui mercati del lavoro – e nel rafforzamento delle istituzioni.

7.7   Diminuire l'onere del debito estero e finanziare lo sviluppo e la coesione sociale

7.7.1

Il debito estero continua a costituire una notevole limitazione allo sviluppo in molti paesi dell'America Latina e dei Caraibi. L'elevato debito estero e le carenze nel funzionamento dei mercati finanziari sono fattori connessi che hanno effetti sulla concretizzazione degli investimenti, sia stranieri che locali. L'iniziativa della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale per ridurre il debito dei paesi poveri più indebitati (la Bolivia, la Guyana, l'Honduras e il Nicaragua sono fra i paesi della regione che beneficiano dell'iniziativa) non ha purtroppo risolto i problemi di questi paesi. Persino il condono del debito sarebbe insufficiente se non accompagnato da misure di appoggio all'investimento produttivo.

7.7.2

Gli Stati membri dell'Unione europea detengono più del 50 % del debito dei paesi dell'America Latina e dei Caraibi. A giudizio del CESE, l'Unione e i suoi paesi dovrebbero: accettare di rimettere in questione, in seno agli organismi multilaterali, le condizioni per rinegoziare il debito; predisporre formule per il riscatto del debito mediante programmi di cooperazione ambientale, educativa e simili; valutare il condono del debito, connesso a impegni di investimento (sostegno allo sviluppo rurale, promozione delle PMI, creazione di infrastrutture di base, programmi che incentivino nuove iniziative produttive da parte di emigranti rientrati nei paesi di origine).

7.7.3

La ricerca di risorse finanziarie sui mercati internazionali risulta inevitabile per i paesi dell'America Latina e dei Caraibi, che dispongono infatti di una ridotta capacità di produzione interna di capitali. L'accesso ai suddetti mercati, a condizioni adeguate in termini di risorse e costi, dipende in misura notevole dalle agenzie di rating (valutazione dei rischi) le quali, operando in una situazione di oligopolio di fatto, in varie occasioni destabilizzano finanziariamente i mercati nazionali e l'accessibilità ai crediti internazionali da parte dei paesi della regione. Favorire, attraverso gli organi comunitari e gli istituti finanziari europei, un livello superiore di concorrenza nei mercati di rating potrebbe contribuire a un maggiore sviluppo e a una maggiore coesione nell'America Latina e nei Caraibi.

7.8   Rafforzare l'ambito locale

7.8.1

Nel contesto della globalizzazione, l'ambito locale riveste una maggiore rilevanza in quanto livello fondamentale sia per lo sviluppo produttivo, la creazione di occupazione e l'integrazione sociale, che per la realizzazione di una democrazia più partecipativa. L'Unione europea e gli Stati membri dispongono di esperienza e di istituzioni (le varie forme di concertazione locale, il Comitato delle regioni, il Congresso dei poteri locali e regionali d'Europa, ecc.) che potrebbero contribuire in maniera assai incisiva a rafforzare gli enti locali e gli interventi a questo livello.

7.9   Rafforzare i sistemi di previdenza sociale

7.9.1

I sistemi di previdenza sociale sono elementi cruciali di qualsiasi strategia che abbia come obiettivo l'inclusione sociale, la riduzione della povertà e l'aumento del benessere sociale nella regione sudamericana. L'Unione europea potrebbe contribuire a potenziare sistemi universali di previdenza sociale, favorire la stipula di convenzioni internazionali tra i diversi Stati dell'America Latina e dei Caraibi – destinate a coordinare le normative dei paesi in materia di previdenza – sostenere la modernizzazione della gestione dei sistemi di previdenza sociale e promuovere la formazione specializzata in materia.

7.10   Potenziare ed equilibrare lo sviluppo regionale dell'America Latina e dei Caraibi

7.10.1

A giudizio del CESE, l'Unione europea potrebbe contribuire a un'integrazione regionale dell'America Latina e dei Caraibi migliore e più equilibrata (un fattore importante per lo sviluppo e per un'autonomia superiore della regione) non solo mediante accordi di associazione, ma anche tramite l'assistenza tecnica e gli investimenti nelle infrastrutture, appoggiando le procedure istituzionali e fornendo l'esperienza derivante dalle sue politiche comunitarie. Nel fornire questo contributo dovrebbero svolgere un ruolo di rilievo non solo l'Unione europea o i governi nazionali, ma anche le organizzazioni imprenditoriali, sindacali e sociali.

7.11   Sviluppo sostenibile

7.11.1

Si concorda solitamente nell'affermare che non è possibile garantire uno sviluppo sostenibile a medio e breve termine senza compiere progressi nel campo della valutazione degli impatti ambientali. Nei suoi rapporti con l'America Latina e i Caraibi, l'Unione europea potrebbe pertanto incoraggiare una specializzazione dell'attività produttiva tale da non accelerare l'esaurimento delle risorse naturali di cui la regione dispone in abbondanza.

7.12   La difesa dei diritti dell'uomo

7.12.1

Diversi rapporti elaborati da organismi internazionali sottolineano le difficoltà esistenti nell'America Latina e nei Caraibi sul piano del rispetto dei diritti umani. Coloro che difendono questi diritti sono in molti casi perseguitati, diffamati, torturati o uccisi. Un rapporto delle Nazioni Unite (2002) segnala che il 90 % degli omicidi di difensori dei diritti umani nel mondo si verifica in America Latina. La persecuzione e la criminalizzazione di leadership sociali del tutto legittime costituisce un grande freno alla lotta contro l'esclusione e la disuguaglianza sociale. Il Comitato reputa opportuno che l'Unione europea crei un programma per la protezione dei difensori dei diritti umani nell'America Latina e nei Caraibi.

7.13   Parere aperto

7.13.1

Il presente documento è un parere aperto, che verrà chiuso unicamente dopo il dibattito sulla coesione sociale nell'America Latina e nei Caraibi che si terrà nel corso del Terzo incontro della società civile organizzata, il quale avrà luogo in Messico nell'aprile prossimo. Abbiamo anticipato qui alcune proposte sui possibili contributi che l'Unione europea potrebbe fornire ai fini del raggiungimento di una maggiore coesione sociale nell'America Latina e nei Caraibi. Manca tuttavia il punto di vista delle organizzazioni della società civile latinoamericana e caraibica – specie in alcuni vettori strategici (il ruolo dello Stato e delle sue istituzioni, la fiscalità, l'istruzione, la sanità, la previdenza sociale, le infrastrutture economiche e la politica industriale, le convenzioni quadro che regolano i rapporti di lavoro, la partecipazione della società civile, la protezione dei diritti umani) – su ciò che a loro avviso occorre fare per raggiungere un maggior livello di coesione sociale nella regione. Al termine del dibattito sarà possibile inserire il contributo di dette organizzazioni in un allegato al presente parere oppure in un parere complementare, in modo da poter trasmettere alla Commissione «le opinioni della società civile organizzata latinoamericana, caraibica ed europea» a cui faceva riferimento la lettera del commissario Patten con cui si richiedeva l'elaborazione del presente parere.

Bruxelles, 25 febbraio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Lettera del commissario Christopher Patten al Presidente Roger Briesch, in data 1o luglio 2003: «… il ruolo delle imprese europee che investono in America Latina e nei Caraibi nel dimostrare che anche le “politiche sociali” praticate dalle imprese possono andare a beneficio della competitività». Cfr. anche il parere del Comitato economico e sociale europeo del 20 marzo 2002 sul tema «Libro verde — Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese» (GU C 125/2002), in cui si sviluppa il concetto di responsabilità sociale delle imprese.

(2)  Panorama social de América Latina 2002-2003 (Panorama sociale dell'America Latina), CEPAL (2003), Santiago del Cile

(3)  Panorama social de América Latina 2002-2003 (Panorama sociale dell'America Latina), CEPAL (2003), Santiago del Cile

(4)  Hacia el objetivo del milenio de reducir la pobreza en América Latina y en el Caribe (Verso l'obiettivo del millennio di ridurre la povertà in America Latina e nei Caraibi, CEPAL. Santiago del Cile

(5)  Se buscan nuevos empleos: los mercados laborales en América Latina (Cercasi nuovo impiego. I mercati del lavoro in America Latina), (http://www.iadb.org/res/ipes).

(6)  http://www.latinobarometro.org

(7)  http://www.latinobarometro.org

(8)  Pablo Fajnzylber, Daniel Lederman e Norman Loayza, Inequality and violent crime (Disuguaglianza e reati violenti). Banca mondiale, Washington (2000).

(9)  XIII Vertice iberoamericano dei capi di Stato o di governo, Santa Cruz de la Sierra, Bolivia, 14 e 15 novembre 2003


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 110/72


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio che istituisce un codice doganale comunitario

(COM(2003) 452 def. - 2003/0167(COD)).

(2004/C 110/13)

Il Consiglio, in data 4 agosto 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 febbraio 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore Simpson.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 febbraio 2004, nel corso della 406a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 67 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Introduzione

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si è interessato da vicino all'evoluzione delle politiche doganali, che riguardano le importazioni, le esportazioni e le operazioni di transito dell'Unione europea e ha sostenuto i cambiamenti destinati a permettere alle autorità doganali di adempiere meglio alle proprie funzioni, che consistono in particolare nel consolidare i vantaggi del mercato interno riducendo al minimo ritardi o perturbazioni nell'applicazione del codice doganale comunitario (1).

1.2

Il Comitato condivide le ambizioni esposte dalla Commissione nei documenti in esame e le riflessioni sui vantaggi di un ambiente semplificato e privo di supporti cartacei nel quale le funzioni doganali possono essere espletate in modo più efficiente ed efficace.

1.3

Il Comitato prende atto del recente riorientamento dell'approccio strategico relativo alle politiche sui servizi doganali, che a ragione pone maggiormente l'accento sulle sfide che comporta l'applicazione delle politiche doganali comuni alle nuove frontiere esterne dell'Unione dopo l'allargamento. Riconosce anche che il contesto è mutato in seguito alle preoccupazioni sollevate, specie dopo gli avvenimenti negli Stati Uniti, in materia di procedure di sicurezza per proteggere i cittadini dell'Unione.

1.4

Il Comitato approva le comunicazioni della Commissione e le modifiche proposte al codice doganale comunitario mediante la revisione del regolamento 2913/92.

2.   Comunicazione: un ambiente semplificato e privo di supporti cartacei

2.1

La comunicazione in esame illustra il ruolo costruttivo che la Commissione può svolgere nel coordinare e migliorare le molte procedure doganali degli Stati membri. Ogni Stato membro è responsabile dell'amministrazione dei suoi servizi doganali, ma se le procedure saranno logiche e concepite per agevolare la cooperazione transfrontaliera, ciò andrà a vantaggio di tutti gli Stati membri.

2.2

Idealmente, le procedure dovrebbero essere armonizzate per potenziare l'impatto del mercato unico privo di frontiere interne e dotato di un quadro amministrativo comune per i servizi doganali.

2.3

Non solo questa armonizzazione dipende da diversi gradi di cooperazione reciproca in materia di amministrazione e di accordo sui meccanismi di verifica, ma potrebbe essere ulteriormente migliorata se i documenti fossero standardizzati e i metodi di trasmissione modernizzati.

2.4

Non sorprende quindi che la Commissione proponga principi di semplificazione e l'applicazione di concetti e-Europe nel quadro di un riesame inteso a definire metodi per regolamentare meglio i servizi doganali.

2.5

In particolare, ma non solo, per l'accento posto recentemente sul ruolo dei servizi doganali nella valutazione dei rischi alla sicurezza rappresentati dal terrorismo e dal commercio di merci pericolose, destinate a fini offensivi o fraudolenti, l'armonizzazione delle procedure doganali non rappresenta solo un esercizio di semplificazione della documentazione e delle informazioni. I servizi doganali devono ora avvalersi di un'adeguata analisi dei rischi che consenta di determinare il grado e i metodi di sorveglianza necessari per identificare e scoraggiare l'elusione di controlli doganali, e anche per individuare i materiali che comportano gravi rischi per la sicurezza.

2.6

Queste responsabilità devono essere assunte tenendo conto dell'obiettivo di agevolare il commercio all'interno dell'Unione – riconoscendo in particolare le difficoltà supplementari che insorgeranno con l'allargamento – e tra l'Unione e i suoi partner commerciali. La maggiore vigilanza deve essere compensata da migliori metodi concordati per tutti gli Stati membri dell'Unione.

3.   Le proposte della Commissione per un ambiente semplificato e privo di supporti cartacei

3.1

La Commissione europea invita il Consiglio e il Parlamento europeo a sostenere i cinque obiettivi strategici seguenti:

3.1.1

occorre prevedere una revisione totale e una radicale semplificazione delle procedure doganali per integrarvi le moderne tecniche informatiche e l'analisi del rischio, favorendone l'uso su vasta scala.

3.1.2

Il lavoro doganale va organizzato in modo tale da consentire agli operatori economici di beneficiare della dimensione del mercato interno, vale dire a prescindere dal luogo in cui la procedura doganale ha inizio o si conclude.

3.1.3

Gli interventi delle dogane devono garantire il corretto funzionamento del mercato interno, evitando di introdurre o mantenere ostacoli di qualsiasi tipo, inclusi quelli di natura informatica.

3.1.4

I controlli doganali alle frontiere esterne dell'UE devono avere pari intensità e affidabilità, specie laddove sono in gioco la protezione della nostra società e la sua sicurezza. Ciò richiede una gestione comune dei rischi.

3.1.5

I sistemi informatici doganali gestiti dagli Stati membri devono offrire ovunque gli stessi servizi ai commercianti e dovrebbero essere pienamente interoperativi.

3.2

Il conseguimento di questi obiettivi strategici dipende ovviamente dall'accettazione dei principi da parte di tutti i 25 Stati membri e dalla loro applicazione uniforme.

3.2.1

La Commissione fa osservare che è logico attuare rapidamente questo ambiente privo di supporti cartacei, poiché i documenti vengono trattati avvalendosi delle attrezzature disponibili per il commercio e l'amministrazione elettronici.

3.2.2

Tutti gli Stati membri dovrebbero adottare disposizioni per lo scambio di informazioni mediante la tecnologia digitale. Questa tecnologia deve permettere di evitare le differenze tra gli Stati membri, poiché queste potrebbero creare barriere digitali. I sistemi dovrebbero essere coordinati per garantire la compatibilità e la connettività.

3.2.3

La Commissione ha anche definito alcuni principi di base per semplificare l'amministrazione delle dogane. I controlli alle frontiere sarebbero soprattutto limitati agli aspetti legati alla sicurezza e l'esecuzione degli altri controlli verrebbe affidata alle autorità doganali responsabili per le sedi degli operatori. Ciò ridurrebbe i rischi di frode e di inadempienza.

3.2.4

La Commissione si considera come il necessario catalizzatore per la concezione e l'introduzione di questi cambiamenti. Individua la necessità di garantire l'interoperabilità dei sistemi continuando a sviluppare l'iniziativa e-Europe 2005. Ritiene altresì che occorra comprendere la rilevanza e l'applicazione dell'iniziativa «normativa migliore» delineata nel Libro bianco sulla governance europea.

3.3

I beneficiari del miglioramento dei servizi doganali sarebbero in particolare:

3.3.1

la società, poiché sarebbe meglio protetta:

grazie all'assistenza fornita ai consumatori per proteggersi contro merci sovvenzionate, contraffatte o vendute in regime di dumping,

grazie alla tutela della salute pubblica e dell'ambiente, dato che si scoraggerebbe o preverrebbe l'importazione di sostanze pericolose,

grazie alla lotta contro le attività criminali come il riciclaggio di denaro sporco, il traffico illecito di armi e la pornografia infantile,

grazie all'individuazione delle frodi di evasione delle imposte indirette,

grazie alla promozione dell'integrazione regionale mediante collegamenti commerciali preferenziali,

3.3.2

le imprese, poiché disporrebbero di servizi doganali più semplici e più efficienti:

grazie a servizi doganali più efficienti,

grazie ad una maggiore facilità ad effettuare transazioni commerciali, in particolare quando il punto d'importazione o di esportazione è distante dal luogo di destinazione o di origine (ed è situato al di là delle frontiere degli Stati membri),

grazie ad un'applicazione più uniforme del diritto doganale,

grazie alla possibilità di utilizzare uno sportello unico per le dichiarazioni doganali (possibilità rafforzata dalle disposizioni esistenti in materia di transito tra il punto di ingresso e la destinazione),

grazie alla semplificazione e alla standardizzazione dei requisiti in materia d'informazione e alla semplificazione delle procedure amministrative,

grazie alla riduzione del numero di controlli fisici necessari mediante l'utilizzo di adeguate tecniche di analisi dei rischi.

4.   Osservazioni generali del Comitato sulla comunicazione relativa ad un ambiente semplificato e privo di supporti cartacei per le dogane e il commercio

4.1

Il Comitato approva appieno gli obiettivi strategici formulati dalla Commissione per migliorare l'ambiente dei servizi doganali.

4.2

Esiste naturalmente una certa contrapposizione tra gli sforzi intesi a semplificare e agevolare gli scambi, da un lato, e la necessità di migliorare le norme di applicazione, dall'altro. Ciò impone di chiarire maggiormente gli obiettivi, di valutare i rischi per definire il grado di rigorosità dei controlli e di garantire che delle norme comuni vengano applicate lungo tutte le frontiere esterne dell'Unione.

4.2.1

Il Comitato riconosce che ora i controlli doganali, dopo gli eventi verificatisi negli USA l'11 settembre 2001, non riguardano più solo le infrazioni alle norme commerciali e in materia di dazi doganali, ma anche la necessità di rafforzare la protezione della sicurezza per prevenire le attività terroristiche.

4.3

Il Comitato prende atto delle proposte amministrative più dettagliate che la Commissione intende esaminare con i relativi rappresentanti degli Stati membri nel quadro della preparazione di un piano d'azione.

4.4

I principi di base sono logici e auspicabili. In particolare, il Comitato constata l'importanza attribuita ai seguenti elementi:

operare (de facto), in tutta la Comunità, come una sola amministrazione,

scambiare i dati relativi ai rischi,

dotarsi di un numero massimo di norme e di requisiti comuni in materia di dati,

introdurre una procedura d'autorizzazione europea unica per migliorare il regime sospensivo,

ridurre le tredici operazioni doganali esistenti (procedure e documenti) a tre (importazione, esportazione inclusa la riesportazione, e regime sospensivo),

scambiare dati elettronicamente,

stabilire un calendario di transizione per il passaggio dal sistema cartaceo al sistema elettronico,

migliorare l'interoperabilità dei sistemi nazionali,

prevedere uno svincolo più rapido delle merci quando i commercianti rispettano alcune procedure concordate di notifica (e di prenotifica),

stipulare un accordo sui diritti e sulle responsabilità dei commercianti e degli spedizionieri.

4.5

Il Comitato prende atto delle sei proposte d'azione avanzate nel quadro delle dogane informatizzate, e approva il calendario ambizioso per l'esame delle proposte e la loro attuazione.

4.6

Esso desidera richiamare l'attenzione della Commissione su due caratteristiche specifiche di questi principi d'azione. In primo luogo, il Comitato approva l'importanza attribuita all'uso potenziale delle «nuove tecnologie» (TIC) e suggerisce alla Commissione di sviluppare un'estensione specifica del progetto IDA per sostenere l'amministrazione dei servizi doganali (2). In secondo luogo, nel contesto di una limitazione prudente dell'applicazione delle TIC, il Comitato auspica che nel quadro dello scambio elettronico dei dati, sia prestata una particolare attenzione alla necessità di garantire agli operatori la riservatezza delle informazioni sull'impresa, come pure dei dati personali e commerciali.

5.   Comunicazione sul ruolo della dogana nella gestione integrata delle frontiere esterne

5.1

In questa seconda comunicazione, la Commissione chiede al Consiglio, al Parlamento e al Comitato di approvare una serie di misure intese a migliorare la gestione integrata delle frontiere esterne. Queste proposte mirano a sviluppare la strategia per un'unione doganale adottata dal Consiglio in una risoluzione del giugno 2001 (3). La comunicazione in esame è il seguito diretto di una comunicazione precedente della Commissione, del maggio 2002, sulla gestione integrata delle frontiere esterne (4).

5.2

Scopo della comunicazione è «conferire alle dogane e agli altri servizi incaricati della gestione delle merci alla frontiera esterna i mezzi necessari per lottare congiuntamente contro qualsiasi forma di rischio per l'integrità e la sicurezza della Comunità» (5).

5.3

La Commissione invita a sostenere le misure previste, per poter presentare a brevissimo termine le corrispondenti proposte concrete di attuazione. Essa riconosce il proprio ruolo di catalizzatore per le azioni in tutta la Comunità. Ammette inoltre che l'attuazione delle proposte esigerà impegni finanziari a livello comunitario, per garantire il perfezionamento dei sistemi amministrativi intesi a migliorare l'interoperabilità, tenendo conto in particolare delle necessità dei nuovi Stati membri.

5.4

Gli orientamenti per il dibattito su tali cambiamenti si basano su 5 gruppi di proposte:

i.

razionalizzare il carico dei controlli doganali ai posti di frontiera;

ii.

elaborare un approccio comune dei rischi connessi alle merci e renderlo operativo in un meccanismo comune di concertazione e di cooperazione;

iii.

garantire un livello adeguato di risorse umane e di attrezzature alle frontiere esterne;

iv.

assicurare un quadro legale e regolamentare che integri la dimensione sicurezza del lavoro doganale;

v.

potenziare la cooperazione con le forze di polizia, le guardie di frontiera e le altre autorità alle frontiere esterne.

6.   Osservazioni generali sulla comunicazione relativa alla gestione integrata delle frontiere esterne

6.1

I primi due orientamenti (punto 5.4) derivano dalle ambizioni espresse precedentemente in merito all'introduzione di un ambiente semplificato e privo di supporti cartacei per i servizi doganali.

6.1.1

Il Comitato constata che la Commissione utilizza il termine «razionalizzare» in riferimento al numero dei posti di frontiera. Considerando i diversi compiti prioritari da esaminare, il Comitato preferirebbe che la Commissione cercasse di ottimizzare il numero piuttosto che adottare un approccio che sembra meno adeguato alle mutate necessità.

6.2

Gli altri tre orientamenti aprono il dibattito ad argomenti che riguardano anche altri servizi oltre a quelli doganali e propongono modelli di funzionamento cooperativi che contribuiscono a rafforzare l'amministrazione alle frontiere esterne.

6.3

Le proposte intese a garantire un livello adeguato di risorse umane e di attrezzature costituiscono una logica ambizione della Comunità, ma le proposte avanzate comportano costi supplementari che risulterebbero particolarmente gravosi per i nuovi Stati membri. Se la Comunità ha interesse a migliorare la situazione alle frontiere esterne, sarebbe auspicabile ricorrere ad uno strumento finanziario ad hoc. Ciò a sua volta apre il dibattito circa l'opportunità di estendere i limiti delle responsabilità della Comunità.

6.4

La Commissione non soltanto è favorevole a che la Comunità fornisca un aiuto finanziario per l'attuazione delle politiche rafforzate, dato che incidono sui nuovi Stati membri, ma propone anche l'elaborazione di misure comuni di formazione per il personale doganale, l'individuazione delle migliori pratiche per garantire la sicurezza alle frontiere esterne, e la costituzione di squadre di intervento rapido in situazioni di rischi imprevisti.

6.5

Queste necessità e opportunità dimostrano quanto sia opportuno dotare la Commissione di una più ampia autorità nel trattamento di tali questioni per conto della Comunità. In particolare, il Comitato è favorevole al ricorso a ispezioni comunitarie per accertare l'efficacia del coordinamento doganale alle frontiere esterne dell'Unione.

6.6

Il rafforzamento della cooperazione e dell'autorità dei diversi enti alle frontiere esterne va al di là dei semplici servizi doganali. Il Comitato plaude alla Commissione per aver individuato tali necessità, ma osserva che i miglioramenti dipenderanno essenzialmente da buoni accordi di cooperazione tra gli enti che condividono delle responsabilità ma rispondono ad autorità nazionali diverse e svolgono funzioni che non corrispondono pienamente a quelle dei servizi doganali.

6.7

Il Comitato approva la proposta di promuovere, per questi importanti servizi, accordi per la condivisione di responsabilità basati sui reciproci interessi di questi enti.

6.8

Il Comitato accoglie con favore la decisione del Consiglio, del 4 novembre 2003, di approvare le proposte della Commissione intese a rafforzare il ruolo della dogana nella gestione integrata delle frontiere esterne, e prende atto dell'invito rivolto alla Commissione a presentare con urgenza tutte le proposte necessarie per l'attuazione dell'approccio summenzionato, con particolare riguardo per il rafforzamento dello scambio di informazioni tra tutte le amministrazioni e operatori coinvolti negli scambi internazionali (6).

7.   Proposta di regolamento che modifica il regolamento (CEE) n. 2913/92 che istituisce un codice doganale comunitario

7.1

Le due comunicazioni della Commissione precedono la pubblicazione di una proposta di regolamento recante modifica del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio che istituisce un codice doganale comunitario.

7.2

Dato che questa proposta di regolamento riflette alcune delle proposte presentate nelle due comunicazioni, che possono essere sostenute da una modifica formale del codice doganale, e visto che il Comitato approva il contenuto essenziale di tali proposte, esso è anche favorevole alla maggior parte delle modifiche proposte all'attuale regolamento.

7.3

Queste misure possono soltanto migliorare la coerenza e l'efficacia di un'applicazione delle politiche doganali in tutta la Comunità. Il Comitato osserva che le proposte legislative chiariscono diversi punti:

viene chiarito il più ampio concetto di responsabilità doganale che si estende ad altre norme relative all'importazione e all'esportazione di merci e al coordinamento delle azioni con altre autorità formali,

vengono fornite definizioni più precise dei termini legati agli «operatori»,

viene affidato alla Commissione il compito di stabilire un quadro comune in materia di gestione dei rischi,

viene chiarito l'utilizzo di dati confidenziali negli scambi.

7.4

Una caratteristica chiave della proposta di regolamento consiste nell'introduzione del requisito che le dichiarazioni doganali siano presentate prima dell'arrivo delle merci. Ciò è connesso al principio secondo cui le merci dovrebbero essere sdoganate in un punto in cui l'operatore ha la sua sede, nei pressi della destinazione dichiarata, piuttosto che alle frontiere esterne.

7.5

Il Comitato nutre tuttavia delle notevoli riserve sulla «norma di base» secondo la quale una dichiarazione ante arrivo deve essere presentata 24 ore prima che le merci giungano alla dogana. La Commissione riconosce che il commercio di alcune categorie di merci verrebbe ritardato con effetti negativi, se gli si applicasse tale norma. Un esempio riguarda le merci il cui trasporto dura meno di 24 ore.

7.6

La formulazione proposta per l'articolo 36 bis non prevede procedure per determinare in quali casi si possa derogare all'obbligo delle 24 ore. Il Comitato propone che le norme che stabiliscono in quali casi è necessaria una notifica con 24 ore di anticipo dovrebbero essere chiarite prima che venga modificato il codice comunitario, in modo da poter individuare esplicitamente i molti settori in cui il commercio può subire ripercussioni negative e in modo da adottare formalmente adeguate procedure di compromesso che vengano considerate tali e non come deroghe ad hoc alla norma di base. Bisognerebbe tuttavia prevedere una deroga generale per le esportazioni degli operatori economici autorizzati, in quanto le loro procedure sono già state controllate al momento di rilasciare loro l'autorizzazione.

8.   Sintesi

8.1

Le comunicazioni della Commissione e il nuovo regolamento proposto offrono una prospettiva di miglioramento per quanto riguarda l'applicazione di un codice doganale uniforme in tutta la Comunità.

8.2

La proposta di regolamento recante modifica del codice doganale comunitario risulterà conforme ai principi delineati nelle due comunicazioni solo se a essa seguirà un'applicazione uniforme che comprenda anche i sistemi elettronici.

8.3

I principi relativi ad un ambiente semplificato e privo di supporti cartacei per le dogane e il commercio sono ora logici e pratici. Sono anche necessari al funzionamento regolare, e senza inutili ostacoli, del mercato interno dell'Unione.

8.4

I principi relativi alla fissazione di norme doganali comuni alle frontiere esterne dell'Unione sono insiti nel concetto di Unione come area commerciale unica.

8.5

Si plaude inoltre al riconoscimento della necessità di un quadro cooperativo per garantire la massima efficacia dei servizi doganali, della polizia di frontiera, del controllo della sicurezza e delle strategie comuni di gestione dei rischi.

8.6

Il Comitato auspica che questa serie di miglioramenti delle politiche e dei servizi entri in vigore non appena possibile.

8.7

In mancanza di una responsabilità comunitaria in materia di erogazione dei servizi doganali, queste modifiche si avvicinano al quadro di un'agenzia doganale unica che può migliorare il funzionamento della Comunità.

Bruxelles, 26 febbraio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Parere del CESE in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'adozione di un programma d'azione doganale nella Comunità (Dogana 2007), GU C 241 del 7.10.2002, pag. 8.

Parere del CESE in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'informatizzazione dei movimenti e dei controlli dei prodotti soggetti ad accisa, GU C 221 del 17.9.2002, pag. 1.

(2)  Il parere del CESE sull''erogazione interoperabile di servizi paneuropei di e-government evidenzia i meriti delle iniziative IDA e IDABC (TEN/154).

(3)  GU C 171 del 15.6.2001.

(4)  COM(2002) 233 del 7 maggio 2002.

(5)  COM(2003) 452 del 24 luglio 2003, pag. 40.

(6)  Conclusioni del Consiglio «Economia e finanza», 4 novembre 2003.


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 110/77


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le sfide del nucleare per la produzione di elettricità (Parere di iniziativa)

(2004/C 110/14)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 23 gennaio 2003, ha deciso, conformemente all'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema le sfide del nucleare per la produzione di elettricità.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il parere, sulla base del rapporto introduttivo del relatore CAMBUS, in data 8 gennaio 2004.

Il Comitato economico e sociale ha adottato il 25 febbraio 2004, nel corso della 406a sessione plenaria, con 68 voti favorevoli, 33 contrari e 11 astensioni, il seguente parere:

Introduzione

Con il presente parere di iniziativa si intende contribuire a rendere più chiari i termini del dibattito sulla produzione di elettricità a partire dal nucleare nel momento in cui la Commissione lo ha rilanciato con la pubblicazione del Libro verde sul tema «Verso una strategia europea di sicurezza dell'approvvigionamento energetico» e del «pacchetto nucleare» sui principi generali nel settore della sicurezza degli impianti nucleari e sulla gestione del combustibile nucleare esaurito e dei residui radioattivi.

Il Comitato si è espresso favorevolmente su ciascuna di queste iniziative. Nel parere sul Libro verde (CES 705/2001 del 1.5.2001) ha in particolare affermato: «L'energia nucleare comporta dei problemi, ma anche degli evidenti vantaggi. La decisione in merito all'impiego dell'energia nucleare compete agli Stati membri. È quanto meno difficile comprendere come l'Unione europea possa in futuro far fronte alle sfide dell'approvvigionamento energetico, del contenimento dei relativi prezzi e del cambiamento climatico senza che vi sia una quota di produzione di elettricità a partire dall'energia nucleare pari almeno a quella attuale». (punto 5.7.8)

Nel parere sul «pacchetto nucleare» (CES 411/2003 del 26.3.2003) il Comitato ha accolto molto favorevolmente l'iniziativa della Commissione, avanzando nel contempo delle proposte basate sulla competenza specifica in materia.

Il presente parere affronta gli altri aspetti e le altre sfide del nucleare – in particolare sotto il profilo ambientale, fisiologico e economico – la cui discussione appare al Comitato indispensabile per una comprensione perfetta della problematica energetica dell'UE affinché il dibattito sia il più ampio e il più informato possibile.

I dati quantitativi e qualitativi riportati nel parere si riferiscono, per una questione di coerenza, all'UE a 15, giacché le previsioni si basano sull'analisi di quanto avvenuto in passato. Certamente, se si prendono in considerazione i paesi di prossima adesione e i paesi candidati le cifre cambiano, ma ciò non influenza la problematica, che si tratti degli aspetti positivi o negativi dell'energia nucleare.

Va ricordato che il problema della sicurezza degli impianti di produzione di elettricità a partire dal nucleare nei paesi di prossima adesione all'UE e in quelli che li seguiranno, è stato oggetto dal 1992 di un'analisi, di programmi di adeguamento cui sono seguite, a volte, delle decisioni di arresto degli impianti, di adattamento di impianti e organizzazioni e, ove necessario, di formazione alla sicurezza. Per mantenere o addirittura aumentare tale livello di sicurezza rimane necessaria una vigilanza costante dei gestori e delle autorità di sicurezza degli Stati membri interessati.

Infine, i limiti del presente parere sono già definiti dal suo stesso titolo: esso, infatti, non è che un elemento di un dibattito più ampio sulla politica energetica, già oggetto di altri pareri, che deve proseguire privilegiando in particolare lo sviluppo delle energie rinnovabili e il controllo della domanda.

1.   Prima parte: il nucleare per la produzione di elettricità oggi

1.1   La produzione mondiale di energia elettrica da fonte nucleare oggi nel mondo

1.1.1

Nel 2002 esistevano al mondo 441 reattori in servizio, per una potenza installata pari complessivamente a 359 GWe, mentre altri 32 nuovi reattori erano in costruzione. I reattori in servizio hanno prodotto 2 574 TWh, pari al 17 % circa della produzione mondiale di energia elettrica. A livello comunitario, proviene da fonte nucleare il 35 % dell'energia elettrica.

1.1.2

Nel 2000 il fabbisogno complessivo di energia primaria, pari a 9 963 Mtep, era coperto per il 6,7 % dal nucleare, per il 13,8 % dalle energie rinnovabili (biomassa e rifiuti urbani: 11 %, energia idraulica: 2,3 %, energia geotermica, solare e eolica: 0,5 %) mentre i combustibili fossili ne coprivano il 79,5 % (petrolio: 34,9 %, carbone: 23,5 % e gas: 21,1 %).

1.1.3

I paesi produttori di energia elettrica da fonte nucleare sono 32. Nel 2002, la quota di produzione elettrica da nucleare andava dall'80 % della Lituania e dal 77 % della Francia all'1,4 % della Cina. La realizzazione di 32 reattori di potenza è proseguita, mostrando così che il nucleare costituisce su scala mondiale un settore industriale in sviluppo che l'UE non può trascurare nella sua riflessione sia sull'energia che sull'industria. Al livello comunitario, in Finlandia, la società TVO ha ottenuto, nel gennaio 2002, una decisione «di principio» del governo per la realizzazione di una quinta centrale nucleare, decisione che è stata poi confermata dal voto del parlamento nel maggio 2002.

1.1.4

Sul fronte opposto si situa la Svezia, dove in un referendum tenutosi nel 1980 gli svedesi si erano espressi a favore dell'arresto dei suoi 12 reattori nucleari entro il 2010. Nel 1997, tuttavia, il parlamento e il governo svedesi hanno dovuto prendere atto dell'impossibilità di sostituire questi reattori con altre fonti di energia. Nel 2003 si è potuto fermare un solo reattore (di 600 MW), Barsebäck 1. Il futuro di Barsebäck 2 è attualmente oggetto di discussioni perché non potrà essere fermato nel 2003. Si parla di negoziare con le società proprietarie delle centrali nucleari, come è stato fatto in Germania, un'uscita graduale dal nucleare. Ad ogni modo, un sondaggio effettuato di recente ha mostrato una evoluzione nell'atteggiamento della popolazione, che sembra adesso favorevole a continuare l'impiego dell'energia nucleare.

1.1.5

In Belgio il governo ha deciso, nel marzo 2002, l'uscita dal nucleare a partire dal 2015, decisione che il parlamento ha confermato all'inizio del 2003. La legge stabilisce un limite di 40 anni per il funzionamento delle centrali, che dovrebbe comportare la loro chiusura tra il 2015 e il 2025 e prevede che non possa essere costruita o messa in esercizio nessuna nuova centrale nucleare. La legge lascia tuttavia la porta aperta all'impiego del nucleare qualora sia in pericolo la sicurezza dell'approvvigionamento di elettricità.

1.1.6

In Germania, il governo di coalizione tra socialdemocratici (SPD) e verdi ha deciso una politica di abbandono progressivo del nucleare e in tal senso ha raggiunto un accordo volontario con l'industria atomica: al termine di difficili negoziati, si è concluso un accordo con i proprietari di 19 centrali nucleari tedesche, che prevede di limitare la durata di vita di tali centrali a 32 anni in media, a contare dalla loro entrata in funzione. Una prima centrale nucleare è già stata smantellata, ma la chiusura della maggior parte delle centrali si verificherà solo dopo il 2012 e entro il 2022.

1.1.7

Fuori dall'UE in senso politico, ma al suo interno geograficamente, i cittadini della Svizzera hanno respinto nel maggio 2003 due iniziative antinucleari, «Moratoria più» e «Corrente senza nucleare». La prima, che era diretta a prolungare di dieci anni l'attuale moratoria decennale sulla costruzione di nuove centrali, è stata respinta dal 58,4 % dei votanti; la seconda, che chiedeva un'uscita per gradi dal nucleare – senza ricorso ai combustibili fossili – e il blocco del ritrattamento dei combustibili esauriti, è stata respinta dal 66,3 % dei votanti.

1.1.8

Le diverse tecnologie utilizzate

La tabella che segue presenta le tecnologie in uso (filiere)

Denominazione della filiera

Livello energetico dei neutroni

Moderatore

Combustibile

Refrigerante

Totale unità installate/numero paesi

Acqua naturale (detta leggera) pressurizzata (PWR)

basso

acqua naturale

U arricchito con o senza Pu

Acqua naturale pressurizzata*

258 / 25

Acqua naturale (detta leggera) bollente (BWR)

idem

acqua naturale

idem

acqua naturale bollente*

91 / 10

Acqua pesante pressurizzata (PHWR o CANDU)

idem

acqua pesante

U naturale

acqua pesante

41 / 6

Gas-grafite ((UNGG o Magnox o AGR)

idem

grafite

U naturale o leggermente arricchito

CO2 o He

32 / 1

Acqua naturale-grafite (RBMK)

idem

idem

U arricchito

acqua naturale bollente

13 / 3

 Rapido (FBR)

alto

assente

U e Pu

Sodio liquido

4 / 4

1.1.9

I principali paesi produttori di energia elettrica da fonte nucleare sono: Stati Uniti, 780 TWh (20,3 % della produzione totale), Francia, 416 TWh (78 %), Giappone, 313 TWh (34,55 %), Germania, 162 TWh (30 %), Russia, 129 TWh (16 %), Repubblica di Corea, 113 TWh (38,6 %) e Regno Unito, 81,1 TWh (22 %), (dati relativi al 2002).

1.1.10

Altri paesi che presentano una quota significativa di produzione elettrica da nucleare sono: Armenia, 40,5 %, Belgio, 57 %, Finlandia, 30 %, Ungheria, 36 %, Lituania, 80 %, Slovacchia, 73 %, Svezia, 46 %, Svizzera, 40 %, Ucraina, 46 %, (dati relativi al 2000).

1.1.11

La situazione dell'UE a 15 è caratterizzata da una produzione di elettricità da nucleare pari a 855,6 TWh nel 2002 ovverosia al 35 % dell'elettricità prodotta. Questo rapporto non si modificherà in modo significativo nel 2004 in seguito all'allargamento, con l'adesione dei 10 nuovi paesi. Il nucleare è così la maggiore fonte di produzione di elettricità e con la sua quota nell'energia primaria consumata nell'UE (15 %) costituisce per quest'ultima un importante fattore di garanzia d'approvvigionamento energetico.

1.2   L'entità delle emissioni di CO2 evitate grazie all'uso del nucleare nell'UE

1.2.1

Nel 1990 le emissioni totali di gas a effetto serra (GHG) raggiungevano i 4 208 milioni di tonnellate (Mt o Tg) equivalenti di CO2.

1.2.2

La relazione 2002 dell'Agenzia europea dell'ambiente indica per il 2000 un livello di emissioni totali di GHG pari a 4 059 di Mt, in aumento dello 0,3 % rispetto al 1999, ma inferiore del 3,5 % rispetto al 1990.

1.2.3

In riferimento all'obiettivo di riduzione delle emissioni totali di GHG dell'8 % entro il 2008-2012, il risultato del 2000 (4 059) si situa al di sopra dell'obiettivo che per questo stesso anno dovrebbe corrispondere a un decremento lineare delle emissioni tra il 1990 e il 2010 (4 208 meno il 4 % ovverosia 4 039 Mt).

1.2.4

Gli usi energetici (usi industriali, raffinerie, produzione d'elettricità, riscaldamento e carburanti per i trasporti) rappresentano il grosso di queste emissioni con 3 210 Mt nel 2000, di cui 1 098 Mt per la produzione d'energia e solo 836 Mt per la produzione di elettricità da usare nelle reti.

1.2.5

Se si considera la sola anidride carbonica (CO2), che rappresenta l'82 % delle GHG, le emissioni nel 2000 sono state pari a 3 325 Mt e quindi inferiori solo dello 0,5 % al loro livello del 1990 (3 342 Mt).

1.2.6

Tutte queste cifre mostrano che sarà difficile rispettare gli impegni di Kyoto, tanto più che esse corrispondono a un periodo di debole crescita; il risultato sarebbe ancora meno confortante se l'UE avesse conseguito gli obiettivi di crescita che si era posti (3 %).

1.2.7

Da queste cifre si evince inoltre come il nucleare abbia permesso che si evitassero in Europa, a seconda dei parametri cui si fa riferimento, dalle 300 alle 500 Mt (1) di emissioni di CO2 all'anno. Queste cifre equivalgono alla produzione di CO2 di tutti i veicoli per il trasporto di passeggeri nell'UE nel 1995, ovverosia 430 Mt (2).

1.2.8

In uno studio del 2001 (3) condotto per la Commissione da un gruppo di esperti del settore dell'energia, si dava una cifra di 1 327 Mt per l'emissione di CO2 imputabile nel 1990 al settore energetico (escluso il settore dei trasporti), con una proiezione – a tecnologia costante – a 1 943 Mt nel 2010. Considerato tale incremento, il ricorso a nuove filiere di produzione di vapore e di elettricità, imperniato su quattro diverse ipotesi, avrebbe evitato emissioni di CO2 pari a:

500 Mt, impiegando il gas naturale in ciclo combinato per tutti i nuovi impianti; va segnalato che il fatto di puntare in futuro solo sul gas per integrare la produzione di elettricità dalle energie rinnovabili accelererebbe il ritmo di sfruttamento delle riserve di gas e costituirebbe quindi un approccio non «sostenibile»,

229 Mt supplementari ricorrendo alle energie rinnovabili,

23 Mt grazie all'ottimizzazione dei cicli di raffinazione del petrolio,

50 Mt mediante la cattura del CO2, con riserva di approfondimento degli studi e a condizione che si registri un incremento sensibile dei costi,

280 Mt in base a un altro studio (4), grazie al mantenimento della quota proporzionale dell'energia nucleare che esigerebbe l'installazione di una capacità nucleare di 100 GWe (dell'ordine di 70 reattori).

Grazie al ricorso a queste diverse possibilità e a una politica attiva di gestione della domanda, l'efficienza energetica potrà essere incrementata dell'1,4 % annuo, come affermato al punto 2.4.2.2 del presente parere.

1.2.9

Gli obiettivi di Kyoto sembrano quindi raggiungibili, a condizione che tutte le potenziali riduzioni delle emissioni siano effettivamente realizzate, ma,

da un lato, non è possibile anticipare oggi la completa fattibilità delle corrispondenti politiche né l'accettabilità dei loro costi,

dall'altro, gli obiettivi di Kyoto sono globali e non basta ridurre dell'8 % le emissioni del settore energetico se non si riesce, per esempio, a ridurre quelle del settore dei trasporti.

Infine, una rinuncia al nucleare nella produzione di elettricità sarebbe all'origine di un «gap positivo» annuo di 300 Mt di emissioni di CO2 del settore energetico.

1.3   La gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare esaurito

1.3.1

Le centrali elettronucleari costituiscono oggi le maggiori produttrici di rifiuti radioattivi davanti agli istituti medici, agli stabilimenti industriali e ai laboratori di ricerca che utilizzano fonti radioattive per gli esami e le misure.

1.3.2

Per la classificazione dei rifiuti vengono presi in considerazione due parametri: l'intensità della radiazione (spesso chiamata attività) e la durata di vita (periodo) di questi prodotti. Si parla quindi di rifiuti a bassa, media o alta attività e a vita breve o lunga. Va sottolineato che la durata di vita più lunga non vuol dire che i prodotti siano più radioattivi degli altri; al contrario, la lunga durata di vita significa che la disintegrazione e quindi la radioattività sono piuttosto deboli.

1.3.3

Soluzioni tecniche per la gestione di questi rifiuti esistono già. Per quelli a debole attività e a vita breve, una delle soluzioni accettabili consiste nello stoccaggio in superficie che è già deciso ufficialmente ed effettuato in alcuni Stati membri. Per i rifiuti ad alta attività o a vita lunga, lo stoccaggio in strati geologici profondi è riconosciuto a livello internazionale dagli esperti come la soluzione tecnica di riferimento, ma, in attesa che gli Stati membri interessati abbiano deciso democraticamente quale opzione di gestione scegliere, il deposito in superficie è la soluzione provvisoria. Va precisato che, per tali prodotti, il condizionamento e il deposito rispondono a legittime esigenze di sicurezza e che tale soluzione provvisoria è gestita in attesa dell'attuazione di soluzioni definitive. Il «pacchetto nucleare» proposto dalla Commissione nel quadro del Trattato Euratom mira ad accelerare il processo decisionale per lo stoccaggio geologico.

1.3.4

Dal momento che la quantità di combustibili esauriti dipende dalla quantità di energia elettrica prodotta, gli Stati membri più interessati sono ovviamente quelli che ricorrono maggiormente al nucleare. Per i rifiuti ad alta attività o a lunga durata di vita, la situazione differisce a seconda dello Stato membro considerato:

la Finlandia, che è il paese più avanzato, ha optato per la soluzione dello stoccaggio geologico e ha scelto il sito,

la Svezia ha anch'essa optato per lo stoccaggio geologico e ha aperto il processo di individuazione del sito,

la Francia sta esaminando tre assi di ricerca, lo stoccaggio geologico, la riduzione della durata di vita per separazione-trasmutazione e il deposito a lungo termine in superficie o immediatamente sotto la superficie,

i rimanenti paesi non hanno ancora avviato il processo di scelta di una soluzione definitiva per i rifiuti ad alta attività o a lunga durata di vita.

Per gli altri rifiuti, a debole attività e a breve durata di vita, la tecnica dello stoccaggio in superficie applicata nella maggior parte degli Stati membri può essere considerata una soluzione accettabile.

1.3.5

Situazione nei paesi candidati (5)

Nei paesi candidati con centrali nucleari e reattori di ricerca di concezione russa, nell'ultimo decennio la gestione del combustibile esaurito è diventata un problema cruciale perché non è più possibile rispedire il combustibile esaurito in Russia per ritrattamento o stoccaggio. Questi paesi hanno dovuto costruire con urgenza impianti di stoccaggio temporaneo per il loro combustibile esaurito. I progressi concernenti l'attuazione di programmi di gestione a lungo termine e lo smaltimento definitivo del combustibile esaurito sono stati scarsi o nulli.

Per i residui operativi meno pericolosi dalle centrali nucleari, soltanto la Repubblica ceca e la Slovacchia hanno siti di smaltimento definitivo operativi. Diversi paesi hanno depositi secondo specifiche russe per i residui radioattivi istituzionali (cioè non del ciclo del combustibile). Questi impianti non soddisfano però le norme di sicurezza vigenti. In alcuni casi, i residui dovranno forse essere recuperati e smaltiti altrove

1.3.6

Nell'UE sono già stati eliminati 2 000 000 di m3 di rifiuti radioattivi a bassa attività o a vita breve. Tali rifiuti, che rappresentano dei volumi ben più consistenti rispetto alle categorie più pericolose, non pongono problemi tecnici rilevanti per quanto riguarda la loro eliminazione, ma non per questo è meno necessario un loro stretto controllo durante lo stoccaggio provvisorio (COM(2003) 32 def.).

2.   Seconda parte: prospettive energetiche a lungo termine (2030)

2.1

Il gran numero di fattori d'incertezza rende difficile delineare a lungo termine delle prospettive di evoluzione del consumo di energia. È noto che l'aumento del consumo di energia è stato la condizione di tutti i nostri progressi recenti, che si tratti di tecnologia, delle condizioni di vita e di benessere, dell'igiene e della salute, dell'economia, della cultura, ecc. Viceversa, si può osservare che l'intensità energetica delle nostre attività (quantità di energia consumata per unità di prodotto) decresce con la trasformazione della struttura dell'economia (terziarizzazione) e con il progresso dei processi che impiegano energia. D'altro canto non si possono sottovalutare i fabbisogni di energia dei miliardi di abitanti dei paesi in via di sviluppo nel momento in cui, finalmente, si acquista consapevolezza degli effetti del consumo di energia sull'ambiente e sul clima.

2.2

Nell'affrontare questi nodi essenziali si è fatto riferimento a due degli studi disponibili, realizzati per conto della Commissione: «The European Energy Outlook» di P. Capros e L. Mantzos dell'università di Atene (6) e «World Energy, Technology and Climate Policy Outlook» (7) (WETO) della DG Ricerca. La scelta è ricaduta su di loro in quanto entrambi cercano di fornire lumi riguardo all'orizzonte temporale del 2030, ma uno si occupa delle prospettive europee e considera come un dato acquisito l'abbandono del nucleare, mentre l'altro esamina le prospettive mondiali e suppone che si continuino a impiegare le tecnologie attualmente disponibili.

2.3

I due studi usano entrambi modelli d'estrapolazione basati sul prolungamento delle tendenze registrate in passato, comprese le evoluzioni delle strutture e i progressi delle tecniche. Non possono però tener conto delle nuove politiche che segnano una rottura con il passato. Si tratta tuttavia di un inconveniente di poco conto, poiché nessuno può seriamente prevedere le rotture di tendenza. Ci si affida quindi a questi studi in quanto elementi per la valutazione della natura delle sfide e non come studi predittivi.

2.4

Di seguito vengono descritti gli elementi essenziali dei due lavori.

2.4.1   Studio Capros-Mantzos

Nel 2030 il prodotto interno lordo dell'UE sarà raddoppiato rispetto al 1995, ma, grazie ai progressi tecnologici realizzati sia nelle filiere di produzione di energia che nel processo di consumo e grazie anche all'evoluzione delle strutture economiche, il consumo di energia passerebbe da 1 650 Mtep a 1 968 Mtep (UE a 25), aumentando solo del 20 %, ovverosia con un declino medio dell'intensità energetica dell'1,7 % annuo.

In questa prospettiva, il petrolio mantiene un peso preponderante, seguito dal gas e dal carbone. L'indice che misura le emissioni totali di CO2 (4 208 Mt nel 1990), che era sceso da 100 nel 1990 a 98,7 nel 1995, salirebbe di nuovo per arrivare a 109,5 nel 2020 e a 117,2 nel 2030. Questo scenario non permette di rispettare gli impegni di Kyoto e l'aumento delle emissioni di CO2 (stimato nello studio a 568 Mt tra il 1995 e il 2030) si compone di una diminuzione delle emissioni dell'industria, del settore terziario e delle attività dei privati, nonché di un incremento di quelle del settore dei trasporti e di quelle legate alla produzione di energia rispettivamente di 163 Mt e di 533 Mt. Quest'ultima cifra sarebbe dovuta essenzialmente all'abbandono del nucleare.

2.4.2   Studio WETO

2.4.2.1   Prospettive mondiali 2030

La popolazione mondiale è destinata ad aumentare da 6,1 miliardi di persone nel 2000 a 8,2 miliardi di persone nel 2030 e il prodotto mondiale lordo cresce in media del 3 % annuo (la crescita è stata del 3,3 % annuo durante il trentennio 1970-2000).

Il consumo di energia registrerebbe un aumento del 70 % tra il 2000 e il 2030 (passando da 9 936 Mtep a circa 17 Gtep), pari a un incremento annuo solo dell'1,8 % per una crescita del PNL del 3 %.

Per i combustibili fossili, la quota del petrolio raggiungerebbe 5,9 Gtep, ovverosia il 34 % del consumo mondiale, quella del gas naturale 4,3 Gtep, pari al 25 %, e il carbone - più competitivo in termini di prezzo - giungerebbe a quota 4,8 Gtep, vale a dire il 28 % del consumo mondiale di energia.

Nel periodo considerato, il nucleare aumenterebbe dello 0,9 % annuo, ma rappresenterebbe solo il 5 % del consumo totale nel 2030, contro il 6,7 % del 2000.

La quota dell'energia idroelettrica da grandi centrali e di quella geotermica si stabilizzerebbe al 2 % del totale (2,3 % nel 2000), mentre il solare, l'energia idroelettrica da piccoli impianti e quella eolica vedrebbero aumentare la loro quota del 7 % annuo tra il 2000 e il 2010 e del 5 % annuo dopo questa data; ciò significa che la loro quota nel 2030 rappresenterebbe solo l'1 % del totale (0,5 % nel 2000).

La quota della legna da ardere e dei processi di incenerimento dei rifiuti diminuirebbe fino a costituire solo il 5 % nel 2030 contro l'attuale 11 %.

Globalmente, le energie rinnovabili rappresenterebbero nel 2030 l'8 % del consumo totale mondiale di energia.

Da tale sintesi si evince che il consumo globale aumenta dell'1,8 % annuo per una crescita della popolazione dell'1 % e della ricchezza pro-capite del 2,1 % all'anno, il che rende necessaria una riduzione dell'intensità energetica dell'1,2 % annuo.

2.4.2.2   Prospettive 2030 per l'UE

L'ipotesi è che la popolazione dell'UE sia stabile, che la ricchezza pro-capite aumenti dell'1,9 %, che i progressi nella gestione della domanda di energia permettano una riduzione dell'intensità energetica dell'1,4 % e che la crescita della domanda di energia si situi così intorno allo 0,4 % annuo.

La domanda totale passerebbe da 1,5 Gtep nel 2000 a 1,7 Gtep nel 2030. L'ipotesi tiene conto dell'adesione dei paesi candidati i cui tassi di crescita sono più elevati, ma che presentano anche maggiori guadagni in termini di intensità energetica (8).

Nell'UE, la quota del gas naturale raggiunge il 27 %, dietro il petrolio (39 %) e davanti al carbone e alla lignite (16 %).

2.4.2.3   Prospettive per la produzione di elettricità

La produzione di elettricità aumenta regolarmente del 3 % annuo. Più della metà della produzione è assicurata dalle tecnologie che sono emerse a partire dagli anni '90, come le turbine a gas a ciclo combinato, le tecnologie avanzate di combustione del carbone e le energie rinnovabili.

La quota del gas nella produzione di elettricità aumenta nelle tre principali regioni in cui questo è disponibile.

Lo sviluppo del nucleare non basta a mantenere la sua quota nella produzione di elettricità, che scende al 10 % soltanto.

Le energie rinnovabili coprono il 4 % dei bisogni, contro il 2 % nel 2000, principalmente grazie alla produzione di elettricità con energia eolica. Per l'UE a 25 la produzione totale di elettricità passa da 2 900 TWh nel 2000 a 4 500 TWh nel 2030, mentre la quota delle energie rinnovabili passa dal 14,6 % al 17,7 %, quella della cogenerazione dal 12,5 % al 16,1 % e quella del nucleare precipita dal 31,8 % al 17,1 %.

2.4.2.4   Le emissioni di CO2

Dal 1990 al 2030 nello scenario centrale, le emissioni mondiali annuali di CO2 aumenteranno di oltre il doppio, passando da 21 Gt a 45 Gt.

La Cina diventerà, per esempio, la principale fonte di emissioni di CO2 nel 2030 perché a quella data sarà l'economia più grande del mondo (rispetto al 1990 il suo PNL sarà aumentato di 10 volte) e le sue emissioni in confronto al 1990 saranno cresciute del 290 %.

Per l'UE la quota del carbone diminuisce del 7 %, quella del petrolio del 4 %, mentre quella del gas aumenta del 10 %; ne consegue una diminuzione modesta dell'intensità in carbone del consumo di energia, combinato con una crescita globale del consumo che porta ad un incremento del 18 % delle emissioni di CO2 tra il 1990 e il 2030.

2.4.2.5   Le varianti apportate allo scenario di base

Quanto precede costituisce lo scenario centrale dello studio WETO; sono state inoltre studiate quattro varianti a questo scenario:

la variante «gas» si fonda sull'abbondanza delle risorse e sull'introduzione di progressi importanti nelle turbine a gas a ciclo combinato, nonché delle pile a combustibile; si traduce in un consumo di gas superiore del 21,6 % rispetto allo scenario centrale e di emissioni di CO2 inferiori dell'1,6 %,

la variante «carbone» riposa su progressi importanti per le tecnologie avanzate dei generatori supercritici, la gassificazione integrata a ciclo combinato e le caldaie a combustione diretta; porta a un consumo di carbone superiore del 15 % rispetto allo scenario centrale e a nessun aumento delle emissioni di CO2,

la variante «nucleare» si basa su innovazioni importanti in termini di costi e di sicurezza che influiscono sui reattori ad acqua leggera e più specialmente su nuove generazioni di reattori; tale variante determina una produzione elettronucleare supplementare del 77,5 % ed una diminuzione delle emissioni di CO2 del 2,8 %,

la variante «energie rinnovabili» si fonda su progressi importanti in particolare per l'energia eolica, le centrali termiche solari, le piccole centrali idroelettriche e le cellule fotovoltaiche; con essa si arriva ad un aumento della quota di tali energie del 132 % e a una riduzione delle emissioni di CO2 del 3 %.

2.5

Da quanto precede si evince che, senza modifiche addizionali in relazione allo stato delle tecnologie e delle regolamentazioni del 2000 (anno dei due studi), sarà molto difficile riuscire a stabilizzare le emissioni di GHG sia a livello mondiale che a livello dell'UE allargata.

I due studi mostrano che, tra i mezzi tecnologici oggi noti, il contributo del nucleare e delle energie rinnovabili al controllo del clima sono di pari importanza.

3.   Terza parte: le prospettive della ricerca

3.1   I risultati della R & S nucleare

3.1.1

Il nucleare è certamente la fonte energetica a maggior «intensità di R & S». L'UE, nel Trattato Euratom adottato nel 1957, ha incoraggiato la ricerca e la divulgazione delle conoscenze nel settore del nucleare ben prima di inserire nel Trattato CE una politica generale in materia di ricerca. La ricerca si è diretta verso le filiere tecnologiche e verso aspetti come la sicurezza e la protezione dei lavoratori, delle popolazioni e dell'ambiente.

3.1.2

Le ricadute concrete della ricerca nucleare di tipo civile per i paesi che ricorrono al nucleare per coprire parte del loro fabbisogno elettrico sono la riduzione della bolletta energetica per i cittadini e per le imprese, una maggiore sicurezza di approvvigionamento energetico e un contributo chiaro alla diminuzione delle emissioni di GHG.

3.2   Principali sfide della ricerca nucleare

3.2.1

Il Libro verde della Commissione dal titolo «Verso una strategia europea di sicurezza dell'approvvigionamento energetico» (2001) affronta la sfida di maggior rilievo per l'UE: povera di risorse energetiche e dipendente per il 50 % del suo fabbisogno dalle importazioni - specie di energie fossili - da paesi spesso caratterizzati da instabilità politica, come può mantenersi competitiva, rispettare gli impegni di Kyoto, assicurare il benessere dei suoi cittadini? Questa equazione è resa più complicata dalla prospettiva di un aumento di tale dipendenza entro il 2020-2030 e dall'urgenza di combattere contro il cambiamento climatico.

3.2.2

Una delle proposte formulate nel documento è quella secondo cui «l'UE deve continuare a padroneggiare la tecnologia nucleare civile e conservare il suo know-how, sviluppare reattori di fissione più efficienti e adoperarsi per realizzare la fusione…», in una logica di sviluppo sostenibile, conciliando tra loro sviluppo economico, equilibrio sociale e rispetto dell'ambiente. Il Parlamento europeo, nella sua risposta al Libro verde, conferma che si tratta di questioni cruciali. Bisogna essere consapevoli del fatto che mantenere tale competenza specifica comporta necessariamente la conservazione del parco di reattori attualmente in esercizio.

3.3   Le aree fondamentali della ricerca nel settore nucleare:

3.3.1

La ricerca condotta nel settore nucleare risponde agli stessi obiettivi di quella degli altri settori tecnologici: migliorare l'efficienza nei vari comparti interessati. A titolo del 6o programma quadro di ricerca e sviluppo (R & S) Euratom, gli sforzi di ricerca vertono sul settore dei rifiuti e sugli effetti delle basse dosi.

3.3.2

La ricerca nel campo della gestione dei rifiuti radioattivi mira ad assicurare un controllo di tali rifiuti per quanto possibile completo. Oggigiorno esistono infatti soluzioni sicure a livello industriale per lo stoccaggio definitivo dei rifiuti a bassa radioattività e per il condizionamento (vetrificazione) e il deposito dei rifiuti altamente radioattivi o a vita lunga.

3.3.2.1

A proposito dei rifiuti altamente radioattivi o a vita lunga si studia anche la progettazione di depositi localizzati in superficie o sotto la superficie (ad alcune decine di metri di profondità) in grado di conservare per molti secoli i rifiuti condizionati; proseguono le ricerche anche sul deposito in formazione geologica e sullo stoccaggio diretto dei combustibili esauriti.

3.3.2.2

Studi sono in corso anche sulla possibilità di perfezionare le operazioni di ritrattamento dei combustibili esauriti allo scopo di separare e poi «trasmutare» (trasformare in radionuclidi a vita più breve) i rifiuti a vita lunga più radiotossici ancora presenti negli attuali rifiuti già trattati. La «trasmutazione» potrebbe essere condotta nei reattori nucleari attuali o in quelli ancora allo studio (cfr. concetti innovativi).

3.3.3

La ricerca condotta nel settore dei concetti innovativi risponde anch'essa alla logica dello sviluppo sostenibile. La sfida mondiale consistente nell'assicurare alle generazioni future un avvenire energetico impone di usare tutte le tecnologie che si avvalgono di risorse di combustibile disponibili nel lungo periodo.

3.3.4

Il nucleare si sta preparando, nel senso industriale del termine, a raccogliere tale sfida con lo sviluppo, a cominciare dal 2010, di tecnologie evolutive, dette di «generazione III+», a partire dei reattori a acqua leggera esistenti e in seguito, intorno al 2035/2040, di nuove filiere dette di «generazione IV» basate su tecnologie diverse (per esempio con fluido refrigerante rappresentato da gas o metallo liquido).

3.3.5

Le ricerche condotte sulle nuove filiere perseguono obiettivi molteplici, vale a dire l'aumento della competitività del nucleare (specie ridimensionando la durata degli investimenti) e della sicurezza dei reattori, la riduzione al minimo dei rifiuti prodotti e il riciclaggio delle sostanze riutilizzabili e, infine, la polivalenza (consentire, grazie alla cogenerazione, la produzione non soltanto di energia elettrica, ma anche, ad esempio, di idrogeno). Ulteriori progressi dovrebbero registrarsi altresì nella desalinizzazione dell'acqua di mare.

3.3.6

La filiera HTR (High Temperature Reactor – reattore ad alta temperatura), costituita da reattori modulari raffreddati ad elio ad altissima temperatura, dotati di un sistema di conversione in ciclo diretto con turbina a gas, si colloca tra le generazioni III+ e IV. Il concetto è noto e la sua applicazione dovrebbe beneficiare dei progressi tecnologici riguardanti i cicli ad alta temperatura classici, ma per la sua industrializzazione sussistono ancora ostacoli tecnologici.

3.3.7

La ricerca consacrata ai sistemi del futuro presenta una dimensione internazionale, specie nel contesto del programma «Generazione IV» avviato dagli Stati Uniti, a cui partecipano altri 10 paesi. Sulla base di un centinaio di proposte, sono stati presi in esame 19 gruppi di concetti per arrivare a selezionare 6 concetti spesso comprendenti più progetti di reattori. I concetti prescelti si trovano a diversi stadi di sviluppo e potranno avere uno sfruttamento industriale secondo orizzonti temporali diversi, a partire dal 2035/2040. Alcuni andranno a soddisfare «mercati» dell'energia allargati alla produzione di calore o d'idrogeno.

3.3.8

I reattori di «generazione IV», quando saranno disponibili, valorizzeranno meglio il potenziale energetico dell'uranio, utilizzeranno altri combustibili (plutonio, torio) e bruceranno i propri rifiuti, restando comunque molto economici e molto sicuri e quindi soddisfacendo appieno le esigenze legate allo sviluppo sostenibile. Tutti i concetti scelti presentano prospettive molto interessanti per ciascuno degli obiettivi di «generazione IV» in termini di sostenibilità (uso delle risorse di combustibile e riduzione al minimo dei rifiuti), di sicurezza e di economia. Essi offriranno, come i reattori esistenti, tutte le garanzie di non proliferazione di materiali nucleari a scopi militari. Per quanto riguarda i reattori elettrogeni, essi presentano tutti un ciclo del combustibile chiuso.

3.3.9

I programmi di R & S di Euratom hanno fatto della radioprotezione una priorità tematica e prevedono un'ampia gamma di ricerche sui seguenti temi: esposizione a basse dosi di radiazioni (ricerche di biologia cellulare e molecolare e studi epidemiologici), esposizione a scopo terapeutico (in particolare messa a punto di radioterapie commisurate alla radiosensibilità del singolo paziente) ed esposizione a fonti naturali di radiazione, protezione ambientale e radioecologia, gestione dei rischi e delle emergenze, protezione del luogo di lavoro, ecc. Queste ricerche fanno tutte appello alle tecniche più moderne, come la genomica e le biotecnologie, e i loro risultati sono già allo stato attuale utilizzati per far progredire le metodologie volte a proteggere l'uomo e l'ambiente, nonché le relative norme.

3.3.10

La sicurezza degli impianti nucleari costituisce naturalmente una delle grandi priorità della ricerca nucleare. Anche in questo caso i programmi di R & S Euratom (9) hanno individuato le priorità in materia, sottolineando che, specie a livello europeo, occorre innanzitutto migliorare la sicurezza degli impianti nucleari esistenti negli Stati membri, nei paesi di prossima adesione e nei futuri candidati. Tale ricerca è incentrata sulla gestione degli impianti, compresi gli effetti dell'obsolescenza e le prestazioni del combustibile, nonché sulla gestione degli incidenti gravi, incluso lo sviluppo di codici avanzati di simulazione numerica. Sarà altresì utile condividere, tra operatori del settore, capacità e conoscenze maturate a livello europeo nel campo dello smantellamento di centrali e collaborare allo sviluppo di basi scientifiche per la sicurezza e lo scambio delle migliori pratiche a livello europeo.

3.3.11

In una prospettiva più lontana, ma ugualmente promettente, occorre citare infine la ricerca nel settore della fusione termonucleare controllata a cui è dedicato un parere d'iniziativa del Comitato attualmente in fase di elaborazione.

4.   Quarta parte: salute, protezione dalle radiazioni, sicurezza

4.1   Gli effetti biologici delle radiazioni

4.1.1

Le radiazioni ionizzanti agiscono strappando elettroni (ionizzazione) ai principali atomi costitutivi della materia vivente. Tali radiazioni possono essere costituite da particelle di energia (particelle alfa o raggi beta) o possono essere radiazioni elettromagnetiche (raggi X, raggi gamma).

4.1.2

Le radiazioni ionizzanti si misurano mediante la loro «attività», vale a dire il numero di emissioni per secondo. L'unità è il Becquerel (Bq) che corrisponde a un'emissione per secondo (il Curie (Ci) è l'attività di un grammo di radio, ovverosia 37 miliardi di Bq).

4.1.3

Da sempre gli organismi viventi sono immersi nelle radiazioni ionizzanti cui devono in parte la loro evoluzione. Al giorno d'oggi gli esseri umani sono sottoposti in permanenza a radiazioni ionizzanti che provengono dal loro corpo (da 6 000 a 8 000 Bq) e dal loro ambiente: la terra che contiene uranio (650 000 Bq per un metro cubo di terra), l'aria che contiene radon, il cielo con i raggi cosmici e prodotti tanto familiari come l'acqua di mare (10 Bq/litro) o il latte (50 Bq/litro).

4.1.4

Gli effetti delle radiazioni ionizzanti si valutano in termini di «dose assorbita», il Gray (energia di 1 joule per chilogrammo di tessuti), e di «dose equivalente» (o «dose efficace»), il Sievert (somma delle dosi assorbite da ciascun organo con coefficienti che tengono conto della natura della radiazione (più o meno pericolosa) e di quella del tessuto (più o meno sensibile)).

4.1.5

Espressa in termini di dose equivalente o dose efficace, l'irradiazione naturale e medica (che conta per il 30 %) per una persona che vive a Parigi o Bruxelles è di circa 2,5 mSv/anno (millesimi di Sievert all'anno). Tale irradiazione raggiunge i 5 mSv/anno circa in siti granitici come il Massiccio centrale in Francia e supera i 20 mSv/anno in alcune regioni della terra (Iran, Kerala); a fronte di queste cifre, l'irradiazione legata all'industria nucleare rappresenta per un europeo all'incirca 0,015 mSv/anno.

4.1.6

L'organismo umano possiede sistemi specifici per riparare i danni causati ai suoi cromosomi dalle radiazioni ionizzanti. Questo spiega il fatto che le radiazioni ionizzanti somministrate a debole velocità di emissione della dose non siano cancerogene (non si è infatti mai potuto evidenziare un effetto del genere) e che nelle regioni del mondo dove l'irradiazione naturale raggiunge i 20 mSv/anno non si registrino più casi di cancro che altrove.

4.1.7

Le radiazioni ionizzanti possono avere due tipi di effetti:

4.1.7.1

effetti «deterministi» o «non aleatori» al di là di 700 mSv; siccome appaiono solo a certe soglie, è abbastanza facile proteggersene restando al di sotto di tali soglie con alcuni margini di precauzione,

4.1.7.2

«effetti aleatori», che sono di due tipi: in primo luogo gli effetti che inducono il cancro, la cui probabilità aumenta con la dose e che sono stati messi in evidenza solo al di là di 100-200 mSv negli adulti e di 50-100 mSv nei bambini; il secondo tipo di effetto aleatorio è la comparsa di malformazioni congenite ereditarie; questo effetto, constatato nei topi, non è mai stato evidenziato scientificamente nell'uomo e, in particolare, né nelle popolazioni di Hiroshima e Nagasaki, né in quella di Cernobyl.

4.2   Politica di protezione contro le radiazioni ionizzanti

4.2.1

La politica di protezione contro le radiazioni ionizzanti è il risultato di una serie di fasi in cui intervengono diversi organismi internazionali e nazionali.

4.2.2

A livello «di base» sono presenti l'UNSCEAR (10) (organismo dell'ONU i cui membri sono designati dai rispettivi governi) e soprattutto il CIPR (Commissione internazionale di protezione contro le radiazioni - organizzazione internazionale indipendente di cui si diventa membri per cooptazione) che analizzano la letteratura scientifica e stabiliscono raccomandazioni sotto forma di rapporti. Per esempio il rapporto CIPR 73 si occupa delle irradiazioni risultanti dalle pratiche mediche.

Interviene poi, in Europa, la Comunità europea che adatta i testi della CIPR sotto forma di raccomandazioni o di direttive. Per esempio la CIPR 73 ha portato alla direttiva Euratom 97/43, relativa alla protezione sanitaria delle persone contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti durante la loro esposizione per ragioni mediche.

Infine, gli Stati membri attuano le raccomandazioni o direttive europee nell'ordinamento giuridico nazionale.

4.2.3

Le norme di base per la tutela della popolazione contro le radiazioni ionizzanti sono molto severe, imponendo un limite di esposizione addizionale, dovuto alle attività nucleari industriali, di 1 mSv all'anno per persona. Tale soglia, che non ha alcun legame con le cifre menzionate nel capitolo sugli effetti biologici, è stata fissata sostanzialmente in funzione delle possibilità tecniche dell'industria nucleare.

4.2.4

Le norme di base per la protezione dei lavoratori dell'industria nucleare stabiliscono i limiti di dosi ricevute a 100 mSv su cinque anni consecutivi, fissando quindi una media annua di 20 mSv, purché la dose non superi i 50 mSv nel corso di un solo anno.

4.2.5

Le società che operano nel settore nucleare hanno compiuto progressi continui in questo campo; si può fare l'esempio della più importante per numero di impianti nell'UE, i cui dipendenti esposti alle radiazioni hanno visto le loro dosi annue medie ricevute scendere drasticamente da 4,6 mSv nel 1992 a 2,03 mSv nel 2002.

4.2.6

Tali risultati sono stati conseguiti grazie ad un'organizzazione degli interventi in zona esposta sempre all'insegna dei principi prioritari di giustificazione, ottimizzazione e limitazione. Per attuare concretamente sul piano industriale tali principi, è stata messa a punto una procedura ALARA (as low as reasonably achievable) da tutti gli operatori.

4.3   Il principio di organizzazione della sicurezza

4.3.1

La sicurezza nucleare si basa su un complesso di disposizioni che riguardano la concezione, la costruzione, il funzionamento, l'arresto e lo smantellamento degli impianti nucleari e il trasporto dei materiali radioattivi.

4.3.2

Tali disposizioni, dirette a evitare incidenti e a limitarne gli effetti, si fondano sul concetto di «difesa in profondità» che consiste nell'applicare sistematicamente più linee di difesa:

la prevenzione per evitare guasti degli impianti; si tratta essenzialmente del rispetto delle regole da seguire per il funzionamento degli impianti,

la sorveglianza (o l'individuazione dei problemi) che mira a prevenire dei guasti con esami e/o controlli; la sorveglianza può essere effettuata sotto forma di esami periodici dei materiali necessari alla sicurezza,

i mezzi d'azione o di trattamento che permettono di limitare le conseguenze di un guasto e di fare in modo che non possa riprodursi,

la realizzazione di un'analisi sistematica degli aspetti del funzionamento che potrebbero causare il degradarsi della situazione.

Si distingue tra disposizioni:

materiali: quelle riguardanti la concezione e l'affidabilità degli impianti,

organizzative: nel lavoro, il sistema qualità si fonda sulla definizione chiara delle responsabilità di ciascun attore, sulla pertinenza dei controlli e sulla messa a disposizione di risorse adeguate quando la situazione lo richiede, segnatamente per l' organizzazione in caso di crisi,

umane: si deve garantire che l'azione delle persone si basi su una formazione specifica del mestiere e corrispondente alla responsabilità, nonché su una cultura della sicurezza che induca ogni attore a essere rigoroso e vigilante.

4.4   La responsabilità e il controllo della sicurezza

4.4.1

La sicurezza nucleare rientra tra le responsabilità dell'operatore dell'impianto che agisce sotto il controllo delle autorità nazionali preposte alla sicurezza e in conformità delle regole da questa dettate. Scambi internazionali tra autorità di sicurezza nazionali o tra operatori di centrali nucleari si traducono in pubblicazioni regolari di indicatori rappresentativi della qualità della gestione delle centrali.

Scambi regolari vengono organizzati attraverso attività di ispezione internazionali (come quelle condotte dall'OSART – Operational Safety Review Team – sotto l'egida dell'AIEA, l'Agenzia internazionale per l'energia atomica, come la Peer Review, ispezione da parte di esperti di pari livello, sotto l'egida della WANO, la World Association of Nuclears Operator) nel corso delle quali una squadra di esperti internazionali effettua un sopralluogo presso una centrale nucleare.

4.4.2

Gli indicatori mostrano un miglioramento continuo dei risultati della gestione delle centrali nucleari dell'UE e, in particolare, la riduzione del numero di «incidenti significativi» (livello 1 sulla scala INES – International Nuclear Event Scale – che ne comprende 7) e la diminuzione dei rifiuti radioattivi nell'ambiente.

4.4.3

Recentemente, la Commissione ha definito una funzione di verifica comunitaria dell'efficacia dei dispositivi nazionali di controllo della sicurezza nucleare (COM(2003) 32). In tale occasione, il Comitato (11) ha ricordato che in questo settore le direttive europee riguardanti la sicurezza degli impianti nucleari e le procedure di controllo corrispondenti dovrebbero applicarsi senza incidere sugli attuali compiti e ambiti di responsabilità delle autorità nazionali di sicurezza e che l'operatore di centrali nucleari deve mantenere la responsabilità esclusiva della sicurezza di tali impianti. Quest'ultima richiesta trova la sua origine nel principio «chi inquina, paga» cui il Comitato attribuisce grande valore.

5.   Le sfide economiche del nucleare per la produzione di elettricità

5.1

La produzione di elettricità dal nucleare si caratterizza per il costo molto elevato in termini di capitale e per un costo proporzionale di funzionamento molto basso e stabile. Va notato che nei paesi dell'OCSE producono elettricità 362 centrali, le quali sono oggi generalmente competitive sul loro mercato, deregolamentato o meno.

5.2

La competitività del nucleare nel lungo periodo dipende in modo diretto dalle ipotesi che si fanno riguardo alle energie concorrenti, in special modo il gas che sembra essere oggi un termine di riferimento, di fronte all'obbligo di riduzione delle emissioni di CO2. Un vantaggio significativo dell'elettricità nucleare rimane il suo prezzo stabile, oltre alla sua competitività nel momento in cui il mercato interno dell'elettricità comincia a presentare oscillazioni dei prezzi al rialzo quando l'equilibrio tra l'offerta e la domanda è soggetto a tensioni (come dimostrato dalla rete Nordel durante l'inverno 2002-2003).

5.3

La competitività del nucleare dipende dal costo degli investimenti. Per un tasso di rendimento finanziario del 5 %, il nucleare è nettamente competitivo in oltre il 25 % dei paesi OCSE che hanno fornito nel 1998 dati sui loro studi riguardanti gli investimenti nella produzione elettrica nel 2005, mentre non è più competitivo per un tasso di rendimento del 10 %.

5.4

I risultati dello studio pubblicato nel 1998 si basano però su ipotesi fatte dall'AIE (Agenzia internazionale dell'energia) che assumono un prezzo del gas, nei prossimi 25 anni, inferiore a quello del 2000 e pari a meno della metà di quello del 1980, in valore reale. È però altamente improbabile che, nel periodo corrispondente all'intera durata di vita di una centrale nucleare (da 40 a 60 anni), non si registri una forte evoluzione al rialzo del prezzo del gas.

5.5

La questione principale consiste nell'assunzione di rischio finanziario da parte di un operatore che investe nella produzione di elettricità in un mercato divenuto fortemente concorrenziale. Ciò induce le industrie nucleari a riproporre la questione della dimensione delle unità di produzione. Fino ad oggi si tendeva a accrescerne la dimensione per realizzare economie di scala, ma adesso occorre esaminare progetti che prevedono capacità unitarie più modeste, tenuto conto delle nuove caratteristiche del mercato dell'elettricità. Per paesi come la Finlandia, la Francia e il Giappone, il nucleare appare sempre la forma più economica di produzione elettrica.

5.6

I costruttori di centrali nucleari (AREVA – Framatome e BNFL/Westinghouse) presentano una riduzione dei costi per i reattori ad acqua leggera che sarebbero installati oggi dell'ordine del 25 % rispetto ai prezzi dei reattori attualmente in funzione. La vera prova del fuoco sarà la consultazione condotta da TVO in Finlandia, giacché tale società ha ottenuto tutti gli accordi per investire in una nuova unità di produzione elettronucleare.

5.7

Per gli studi GIF IV (Forum internazionale Generazione IV), si sta puntando ad una riduzione dei costi del 50 %, nonché ad un accorciamento dei tempi di costruzione allo scopo di avvicinare il livello di rischio finanziario a quello delle altre filiere concorrenti.

5.8

Nel più lungo termine, la competitività del nucleare dipenderà anche dai prezzi delle energie rinnovabili. Queste ultime sono per la maggior parte intermittenti e necessitano quindi di impianti complementari di produzione o di stoccaggio di elettricità, cosa che le rende ancora molto costose, fino a quando non saranno realizzati progressi significativi.

5.9

Va osservato che il prezzo dell'elettricità nucleare incorpora i costi di trattamento dei rifiuti e di smantellamento degli impianti, pari, secondo le stime, al 15 % del costo iniziale degli impianti.

5.10

Tra gli elementi che concorrono a definire le scelte e le decisioni, occorre anche menzionare che, al momento, nell'UE le industrie nucleari civili occupano 400 000 salariati in mansioni generalmente molto qualificate.

5.11

Pur non trattandosi di una sfida economica in quanto tale, può poi profilarsi un'altra questione: la pressione al ribasso dei costi che in genere accompagna un mercato liberalizzato concorrenziale, nonché i suoi effetti sulle disposizioni prese per migliorare la sicurezza degli impianti e la sicurezza dei lavoratori e delle popolazioni. A parere del Comitato, la Commissione dovrà rivolgere un'attenzione particolare a tali aspetti nel quadro delle disposizioni che essa propone in tema di sicurezza.

6.   Conclusioni

6.1

Sulla base dei dati ripresi dalle pubblicazioni dell'UE e dalle agenzie specializzate, raccolti nel corso delle audizioni di esperti, od anche ottenuti presso gli industriali, dati che sono stati riportati nel presente parere, il Comitato ritiene che occorra sottolineare in modo particolare i punti qui di seguito elencati per rispondere alla questione delle sfide del nucleare per la produzione di elettricità.

6.2

L'energia nucleare produce una quota importante dell'elettricità dell'UE (35 %) e costituisce il 15 % delle energie primarie consumate. Contribuisce in misura rilevante alla sicurezza degli approvvigionamenti e alla riduzione della dipendenza energetica dell'UE.

6.3

Essa evita, ogni anno, da 300 a 500 Mt di emissioni di CO2. Costituisce quindi un contributo efficace all'insieme delle soluzioni che permettono di rispettare gli impegni di Kyoto.

6.4

Essa assicura prezzi di produzione stabili, contribuendo così alla stabilità dei prezzi nell'UE e eliminando per gli operatori economici un fattore d'incertezza relativamente alle loro prospettive di sviluppo.

6.5

Quando sarà giunto a termine il ciclo di vita delle centrali nucleari attualmente in funzione, le energie rinnovabili, il cui sviluppo è auspicabile e incentivato dall'UE (cfr. direttiva 77/2001/CE), non saranno in grado di sostituirsi a tali centrali e di rispondere all'aumento della domanda di elettricità. Per esempio, l'energia eolica può offrire solo una disponibilità relativamente bassa, e in generale non prevedibile, dell'ordine di 2 000-2 500 ore l'anno.

6.6

La gestione della domanda di energia dove contribuire alla riduzione dell'intensità energetica delle attività umane (economia e sfera privata), ma non costituisce un argomento decisivo a favore dell'arresto della produzione di energia nucleare perché, viste le quantità in questione, essa dovrà riguardare in primo luogo gli usi diversi dall'elettricità, come per esempio i trasporti.

6.7

Le questioni sollevate dal nucleare sono la sicurezza, la protezione contro gli effetti fisiologici delle radiazioni ionizzanti, i rifiuti e i combustibili esauriti. Le prime due hanno già formato oggetto di risposte a livello tecnico e di regolamentazione destinate ad evolversi con il tempo. L'aumento dei rischi di aggressioni dall'esterno, a cui devono far fronte la società e le attività industriali nel loro complesso, è un aspetto di cui le autorità pubbliche e le industrie devono tener conto nelle loro politiche in materia di sicurezza e di protezione.

6.8

Alcuni paesi dell'UE stanno compiendo progressi verso la soluzione del problema dei rifiuti nucleari. Due paesi (Finlandia e Svezia) hanno già scelto la soluzione e persino il sito; altri (Francia e Spagna) hanno approvato delle soluzioni per i prodotti a bassa attività e proseguono le ricerche per i prodotti a più alta attività; la Commissione ha avviato un'azione nel quadro del Trattato Euratom per accelerare il processo. In Francia e nel Regno Unito è nata un'industria del condizionamento dei prodotti ad alta attività. Lo stoccaggio è una realtà e il proseguimento delle ricerche non può essere interpretato come una mancanza di soluzioni.

6.9

Considerati i principali elementi contenuti nel parere e le conclusioni esposte in precedenza, il Comitato giudica che effettivamente, come afferma il Libro verde, il nucleare dovrebbe rappresentare uno degli elementi di una politica energetica diversificata, equilibrata, economica e sostenibile per l'UE. Tenuto conto dei problemi che esso solleva, non è possibile immaginare di puntare tutto sul nucleare, ma, sul fronte opposto, il Comitato reputa che il suo abbandono parziale o totale comprometterebbe le opportunità di rispettare gli impegni assunti dall'UE in materia di cambiamento climatico. Naturalmente, in virtù del principio di sussidiarietà, la definizione consensuale di una scelta energetica per il futuro viene fatta negli Stati membri che sono in grado di tener conto delle proprie specificità nazionali.

6.10

Il Comitato suggerisce che, sulla scia di tale parere, sia previsto e messo in atto uno sforzo d'informazione sulle sfide reali dell'industria nucleare: sicurezza d'approvvigionamento, mancate emissioni di CO2, prezzi competitivi, sicurezza e gestione dei combustibili esauriti in modo da permettere alla società civile organizzata di analizzare in modo critico il contenuto dei dibattiti che le vengono proposti su questi temi.

Bruxelles, 25 febbraio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  La Commissione ha definito la cifra di 300 Mt in riferimento a una produzione equivalente di elettricità mediante gas. In effetti se si prende a riferimento il mix energetico del decennio scorso si può invece osservare che grazie al nucleare si sono evitate 500 Mt di emissioni equivalenti di CO2 all'anno.

(2)  Economic evaluation of sectoral emission reduction objectives for climate change, Bottom-up Reports, Energy, Commissione europea - Ambiente – Marzo 2001, capitolo 1.3.4.

(3)  Cfr. nota 2.

(4)  The Shared Analysis Project Economic Foundations for Energy Policy – Direzione generale Energia.

(5)  Cfr COM(2003) 32 def. – CNS 2003/0022, relazione, punto 2.

(6)  The European energy outlook to 2010 and 2030, P. Capros and L. Mantzos, 2000.

(7)  World energy, tecnology and climate policy outlook 2030 – WETO – Direzione generale Ricerca, 2003.

(8)  Elementi più recenti forniti dalla Commissione danno le seguenti cifre: 1 650 Mtep nel 2000 e 1 968 Mtep nel 2030 per l'UE a 25.

(9)  Gli elementi che seguono corrispondono agli assi prioritari di ricerca definiti dal programma specifico di ricerca e formazione sull'energia nucleare nell'ambito del Sesto programma quadro di R & S.

(10)  United Nations Scientific Committee on the Effects of Atomic Radiation

(11)  CESE 411/2003, relatore WOLF.


ALLEGATO I

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Qui di seguito si riportano gli emendamenti respinti durante il dibattito in sezione, che avevano però ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi.

Introduzione

Modificare il sesto paragrafo come segue:

«Va ricordato che il problema della sicurezza degli impianti di produzione di elettricità a partire dal nucleare dei nuovi paesi in via di adesione all'UE e di quelli che li seguiranno, è stato oggetto dal 1992 di un'analisi, di programmi di adeguamento cui sono seguite, a volte, delle decisioni di arresto degli impianti, di adattamento di impianti e di organizzazioni e, ove necessario, di formazione alla sicurezza. Per mantenere costantemente al massimo standard o addirittura aumentare tale livello di sicurezza rimane necessaria una vigilanza costante dei gestori e delle autorità di sicurezza degli Stati membri interessati. Dopo gli attentati dell'11 settembre 2001 la questione della sicurezza degli impianti nucleari ha indubbiamente acquisito una nuova dimensione.»

Motivazione

Non basta soltanto mantenere la sicurezza delle centrali nucleari allo standard attuale ma bisogna anche, ove necessario, migliorarla; in ogni caso occorre rendere sicure le centrali per esempio rispetto al rischio di caduta di un aereo.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 34, voti contrari: 60, astensioni: 8.

Punto 1.1.3

Modificare il punto come segue:

«Nel mondo i I paesi produttori di energia elettrica da fonte nucleare sono 3233 su 192 e in 18 di questi non è più in costruzione nessuna centrale atomica. Nel 2002, la quota di produzione elettrica da nucleare andava dall'80 % della Lituania e dal 77 % della Francia all'1,4 % della Cina. La realizzazione La progettazione e in parte la realizzazione di 32 reattori di potenza è proseguita, mostrando che, al di fuori dell'Unione europea e malgrado elevati rischi economici, politici e relativi alla sicurezza, il nucleare costituisce su scala mondiale un settore industriale attualmente ancora in sviluppo, talvolta anche in paesi nei quali non è da escludersi un utilizzo del materiale fissile ai fini militari ch l'UE non può trascurare nella sua riflessione sia sull'energia che sull'industria. Nell'Unione europea l'ultima commessa per la costruzione di una centrale nucleare risale al 1985; in Finlandia, ha ottenuto, nel gennaio 2002, il governo finlandese ha comunicato alla società TVO una decisione “di principio” del governo la propria disponibilità “di principio” ad autorizzare la realizzazione di una quinta centrale nucleare, decisione che è stata poi confermata dal voto del Parlamento nel maggio 2002; la domanda ufficiale di autorizzazione non è stata tuttavia ancora presentata.»

Motivazione

Il testo dà l'impressione che ovunque nel mondo (e quindi anche in Europa) ci sia ancora una grande richiesta di nuove centrali nucleari: in realtà non è così, e una parte dei suddetti impianti «in corso di realizzazione» è fermo da anni. L'ultima autorizzazione a costruire una nuova centrale in Europa risale a circa 20 fa.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 30, voti contrari: 58, astensioni: 9.

Punto 1.1.4

Dopo il punto 1.1.3, inserire un nuovo punto 1.1.4 formulato come segue:

«Nell'attuale UE a 15 esistono al momento 145 reattori in servizio in otto Stati Membri. Portogallo, Grecia, Italia (dal 1987), Austria (dopo il referendum del 1978), Lussemburgo e Irlanda hanno completamente rinunciato all'energia atomica, mentre nei Paesi Bassi un reattore è ancora in servizio, dopo che un secondo era stato smantellato nel 1997. Analogamente al Belgio (cfr. 1.1.5, infra), la Spagna (9 reattori) ha deciso una moratoria sull'energia nucleare, mentre nel Regno Unito (35 reattori) il settore versa in enormi difficoltà economiche e riesce a sopravvivere solo attraverso le entrate delle imposte gravanti su altre fonti energetiche.»

Motivazione

Il testo proposto intende descrivere in maniera esaustiva la situazione esistente nell'UE.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 36, voti contrari: 55, astensioni: 8.

Punto 1.1.11

Modificare come segue:

«La situazione dell'UE a 15 si caratterizza per una produzione di elettricità da nucleare pari a 855,6 TWh nel 2002, ovvero al 35 % dell'elettricità prodotta. Questo rapporto non si modificherà in modo significativo nel 2004 in seguito all'allargamento, con l'adesione dei 10 nuovi Stati all'UE. Il nucleare è così la maggiore attualmente un'importante fonte di produzione di elettricità e con la sua quota nell'energia primaria consumata nell'UE (15 %) costituisce un fattore importante della sicurezza di approvvigionamento energetico per l'Unione. Tuttavia, tale affermazione resta valida solo fintanto che gli attuali reattori, la cui chiusura si sta già profilando, sono in servizio. Qualora invece si volesse mantenere l'attuale quota a medio-lungo termine - ad esempio perché si ritiene che non la si possa sostituire attraverso un innalzamento dell'efficienza energetica o il ricorso alle energie rigenerative, ecc. - sarebbe necessario costruire un congruo numero di nuove centrali nucleari. Tuttavia, in quale misura la costruzione di circa 100 nuove centrali nucleari sia praticabile sul piano sociale resta una questione quanto mai irrisolta.»

Motivazione

La percentuale del 35 % rende l'energia atomica un'importante fonte energetica, anche se non la principale. Anche se il parere non intende dar vita a un dibattito sull'energia in chiave politica, bisognerebbe per lo meno far presente una questione fondamentale che non possiamo eludere nell'UE, se cioè la costruzione di (numerose) nuove centrali nucleari sia davvero praticabile. Il Comitato non può permettersi di ignorare il problema.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 36, voti contrari: 65, astensioni: 8.

Punto 1.2.9

Modificare come segue il terzo trattino:

«Infine, una rinuncia al nucleare nella produzione di elettricità sarebbe all'origine di un “gap” annuale di 300 Mt di emissioni di CO2 del settore energetico. Tuttavia questa cifra si ridurrebbe in proporzione sia al periodo di tempo in cui si rinuncia all'energia nucleare sia alla crescita della produzione da fonti rinnovabili e al rafforzamento dell'efficienza energetica.»

Motivazione

La quantità di emissioni menzionata è riferita ad un periodo specifico e non può essere considerata indicativa della situazione futura, la quale dipende dalle variazioni future del fabbisogno energetico, dell'intensità energetica e della capacità di generazione.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 32, voti contrari: 66, astensioni: 9.

Punto 1.3.3

Modificare come segue:

«Dati i problemi connessi alle sostanze pericolose, non è ancora conclusa la ricerca di soluzioni tecniche definitive per la gestione lo stoccaggio intermedio e definitivo di questi rifiuti esistono già. Per quelli a debole attività e a vita breve una delle soluzioni accettabili consiste nello stoccaggio in superficie che è già deciso ufficialmente e eseguito in alcuni Stati membri. Ciò non significa tuttavia che vi siano già adesso soluzioni sicure. Per i rifiuti a alta attività o a vita lunga, lo stoccaggio in strati geologici profondi è riconosciuto a livello internazionale dagli esperti come la soluzione tecnica di riferimento, ma in attesa che gli Stati membri interessati abbiano deciso democraticamente quale opzione di gestione scegliere, il deposito in superficie è la soluzione provvisoria. Nell'UE non c'è né un luogo di stoccaggio definitivo, né la necessaria esperienza di lungo periodo in materia. Va precisato che per tali prodotti, il condizionamento e il deposito rispondono a legittime esigenze di sicurezza e che tale soluzione provvisoria è dev'essere gestita nell'attesa dell'attuazione di soluzioni definitive. Il “pacchetto nucleare” proposto dalla Commissione nel quadro del Trattato Euratom mira ad accelerare il processo decisionale per lo stoccaggio geologico. È chiaro che un deposito definitivo deve soddisfare criteri di sicurezza estremamente elevati per essere sicuro per un milione di anni. I costi di stoccaggio definitivo devono essere inclusi nei costi di generazione dell'elettricità.»

Motivazione

È semplicemente falso che esistano già soluzioni attuabili per tutte le questioni connesse allo smaltimento (definitivo) delle scorie nucleari.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 34, voti contrari: 68, astensioni: 7.

Punto 2.1

Aggiungere alla fine quanto segue:

«Il gran numero di fattori d'incertezza... di energia sull'ambiente e sul clima. Nel quadro di studi di prospettiva si tenta di definire i più differenti quadri dello sviluppo futuro dell'approvvigionamento energetico.

Tali studi dovrebbero prospettare delle possibilità alternative e permettere quindi di avviare un dibattito sociale dal quale possa scaturire un progetto consensuale di approvvigionamento energetico. In tale contesto si evidenzierebbero anche i fondamenti indispensabili di un simile progetto energetico.»

Motivazione

Evidente. Il passaggio in questione viene inserito in questo punto per consentire una valutazione degli studi che vengono ampiamente discussi nel seguito.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 32, voti contrari: 60, astensioni: 15.

Punto 2.3

Modificare come segue:

«I due studi usano entrambi modelli d'estrapolazione basati sul prolungamento delle tendenze registrate in passato, comprese le evoluzioni delle strutture e i progressi delle tecniche. Essi partono dal presupposto che nel periodo considerato non vi saranno cambiamenti sostanziali delle decisioni di investimento nel settore energetico; non considerano per esempio che vi possano essere decisioni politiche che provocano una decisa crescita degli investimenti destinati alle energie rinnovabili, o che l'efficienza energetica aumenti al di là della tendenza attuale. Non possono però tener conto delle nuove politiche che segnano una rottura con il passato. Si tratta tuttavia di un inconveniente di poco conto, poiché nessuno può seriamente prevedere le rotture di tendenza. Si terrà quindi conto di questi studi come di elementi di valutazione della natura delle sfide e non come studi predittivi.»

Motivazione

Entrambi gli studi rappresentano in sostanza degli scenari di riferimento e non tengono conto di simili modifiche dei flussi di investimento, che pure sono ragionevoli sul piano sia tecnico che economico. Qualora, come è possibile, tali decisioni vengano effettivamente prese, si potrebbe avere per esempio, sulla base del potenziale esistente, una riduzione molto più rapida dell'intensità energetica. Ciò, lungi dall'essere utopistico, sarebbe in sintonia con la politica dell'UE. Nella proposta di direttiva concernente l'efficienza energetica (COM(2003) 739 def. del 10.12.2003) la Commissione propone di accelerare la crescita dell'efficienza energetica, che adesso è pari all'1,5 % rispetto all'andamento del mercato, di un ulteriore 1 % annuo nei prossimi anni grazie a specifiche misure. Ciò ridurrebbe sensibilmente il consumo energetico.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 33, voti contrari: 64, astensioni: 10.

Punto 2.5

Modificare come segue:

«Da quanto precede si evince che senza modifiche addizionali in relazione allo stato delle tecnologie e delle regolamentazioni dell'anno 2000 (quello dei due studi) sarà molto difficile riuscire a stabilizzare le emissioni di GHG sia a livello mondiale che a livello dell'UE allargata.

I due studi mostrano che, tra i mezzi tecnologici oggi noti, il contributo del nucleare al controllo del clima è della stessa importanza di quello delle energie rinnovabili. Nel caso in cui le centrali nucleari siano mantenute in attività, nei prossimi anni il loro contributo al controllo del clima, sulla base del livello attuale di sviluppo tecnologico, potrà essere della stessa importanza di quello delle energie rinnovabili.

Sul lungo periodo, in ogni caso, per risolvere il problema climatico saranno a disposizione solo le fonti rinnovabili e l'efficienza energetica, poiché anche la materia prima dell'energia atomica, l'uranio, è una risorsa finita.»

Motivazione

Va aggiunta la condizione «Nel caso in cui le centrali nucleari siano mantenute in attività» per tener conto del fatto che uno dei due scenari considerati è quello dell'abbandono del nucleare e che solo il secondo ipotizza il proseguimento dell'attività. Pertanto solo il secondo scenario (quello del proseguimento) può essere addotto come prova di quanto afferma la frase, non tutti e due come viene fatto. L'aumento della quantità di emissioni pericolose, previsto in caso di abbandono del nucleare, può essere evitato non solo mantenendo le centrali nucleari in attività (ovvero, non abbandonando il nucleare), ma anche intensificando gli sforzi per affermare le energie rinnovabili e l'efficienza energetica o varando altre misure. Il testo, però, non fa alcun riferimento a ciò.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 29, voti contrari: 62, astensioni: 9.

Punto 3.3.2

Modificare come segue:

«La ricerca nel campo della gestione dei rifiuti radioattivi deve mirare ad assicurare un controllo di tali rifiuti per quanto possibile assolutamente completo. Oggigiorno Non esistono ancora, infatti, soluzioni assolutamente sicure a livello industriale per lo stoccaggio definitivo dei rifiuti a bassa radioattività e per il condizionamento (vetrificazione) e il deposito dei rifiuti altamente radioattivi o a vita lunga. Il Comitato si chiede tuttavia fino a quando la ricerca in questo settore industriale debba essere considerata un compito del settore pubblico e finanziata di conseguenza.»

Motivazione

Il relatore spiega già nel punto 3.1.1 che «il nucleare è certamente la fonte energetica a maggior intensità di R & S». Ci si deve chiedere, quindi, fino a quando i contribuenti debbano essere coinvolti nell'attività di ricerca in questo settore industriale, tanto più che, essendo l'uranio una risorsa finita, è chiaro che sul lungo periodo anche il nucleare è un modello senza futuro.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 29, voti contrari: 72, astensioni: 7.

Punto 4.1.6

Sopprimere l'intero punto.

Motivazione

Le affermazioni contenute nel punto, nella loro generalità, non sono sostenibili.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 43, voti contrari: 58, astensioni: 9.

All'inizio della sezione 4.3

Inserire un nuovo punto 4.3.1.

«4.3.1

Per molti anni l'aspetto del nucleare che ha suscitato più timori nella popolazione è stato quello dei rischi per la sicurezza, in condizioni di funzionamento normale o di malfunzionamento. Il terribile disastro di Cernobyl ha dimostrato che la possibilità di un errore umano non si può escludere completamente e che le tecnologie di sicurezza non consentono di preventivare tutte le eventualità. Liquidare Cernobyl come frutto delle carenze di un determinato sistema politico sarebbe troppo facile. L'incidente della centrale di Harrisburg negli Stati Uniti e anche l'aumento della frequenza dei casi di leucemia, non ancora chiarito, nelle vicinanze delle centrali nucleari tedesche dimostrano che anche i reattori “occidentali” hanno senz'altro bisogno di un apprezzamento critico.»

Motivazione

Superflua.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 32, voti contrari: 63, astensioni: 8.

Dopo il punto 4.3.1

Inserire un nuovo punto 4.3.2:

«4.3.2

Un nuovo grave rischio, finora sconosciuto, che minaccia la produzione di energia nucleare è dato dal terrorismo, in caso di eventuali attacchi ma anche di scontri bellici. Il nucleare è l'unica modalità di produzione energetica che può risultare estremamente interessante per un'organizzazione terroristica. All'inizio della produzione nucleare questo tipo di minaccia non poteva assolutamente essere immaginata dagli ingegneri interessati, né dai politici; nel frattempo, purtroppo, i tempi sono cambiati drasticamente e questo aspetto non può essere escluso dal dibattito. Non è chiaro fino a che punto i nostri Stati di diritto democratici possano riuscire a difendersi da questi gravi rischi, che sono moltiplicati nei paesi politicamente instabili.»

Motivazione

Superflua.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 32, voti contrari: 63, astensioni: 8.

Punto 5.1

Modificare come segue:

«La produzione di elettricità con il nucleare si caratterizza per il costo molto elevato in termini di capitale e per un costo proporzionale di funzionamento molto basso e stabile. Ciò è dovuto, tra l'altro, alle elevate sovvenzioni, all'ammortizzamento delle tecnologie, all'esenzione fiscale degli accantonamenti, al fatto che non sia considerato il costo totale dello stoccaggio definitivo, all'insufficiente copertura assicurativa dei rischi e a un forte sostegno da parte del settore della ricerca. Tutto ciò contribuisce a far sì che, Va notato che nei paesi dell'OCSE, 362 centrali producano elettricità 362 centrali e che esse sono oggi generalmente, date le condizioni quadro elencate, risulta competitiva sul loro mercato, deregolamentato o no; va comunque ricordato che, per esempio, nel Regno Unito tutti i tentativi di privatizzare il nucleare sono falliti, la prova più certa del fatto che vi siano senza dubbio incognite anche sul piano economico.»

Motivazione

Evidente.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 26, voti contrari: 69, astensioni: 6.

Punto 5.2

Modificare come segue:

«La competitività del nucleare nel lungo periodo dipende in modo diretto dalle ipotesi che si fanno riguardo alle energie concorrenti e, specialmente, riguardo al gas che sembra essere oggi un termine di riferimento, tenuto conto dell'obbligo di riduzione delle emissioni di CO2. Un vantaggio significativo dell'elettricità nucleare rimane il fatto di poter presentare un prezzo stabile, oltre a essere competitiva nel momento in cui il mercato interno dell'elettricità comincia a comportare oscillazioni dei prezzi al rialzo quando l'equilibrio tra l'offerta e la domanda è soggetto a tensioni (la rete Nordel ne ha dato la dimostrazione durante l'inverno 2002-2003.) Il nucleare presenta quindi un grado di competitività variabile in funzione del prezzo del gas. Può peraltro contribuire a stabilizzare i prezzi nel mercato interno dell'elettricità, attenuando l'impatto degli squilibri tra domanda e offerta che sono insiti nel mercato interno (cfr. il caso dell'associazione dei gestori di rete scandinavi Nordel nell'inverno 2002-2003) e impedendo così che comportino eccessive oscillazioni dei prezzi.»

Motivazione

La prima frase che si propone di aggiungere spiega la prima frase del punto, in cui si dice giustamente che oggi la competitività del nucleare è determinata in primo luogo in relazione al prezzo del gas. La frase «Un vantaggio significativo dell'elettricità nucleare…», invece, formulata in maniera apodittica, è in diretta contraddizione con la prima frase e, quindi, va soppressa. La seconda frase che si propone di aggiungere spiega il meccanismo di funzionamento della stabilità dei prezzi.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 27, voti contrari: 65, astensioni: 9.

Punto 5.3

Modificare il testo come segue:

«La competitività del nucleare dipende dal costo degli investimenti, dalle sovvenzioni e dalle altre condizioni generali della politica energetica. Per un tasso di rendimento finanziario del 5 %, il nucleare è nettamente competitivo in più del 25 % dei paesi dell'OCSE che hanno fornito nel 1998 dati sui loro studi riguardanti gli investimenti nella produzione di elettricità nel 2005. Non è più competitivo per un tasso di rendimento del 10 %.»

Motivazione

Evidente.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 38, voti contrari: 63, astensioni: 6.

Punto 5.10

Modificare il testo come segue:

«Tra gli elementi che concorrono a definire le scelte e le decisioni, occorre anche menzionare che nell'UE, al momento, le industrie nucleari civili occupano 400 000 salariati in mansioni generalmente molto qualificate. Potenziando e sviluppando ulteriormente le energie rinnovabili e le tecnologie ad alta efficienza energetica, si creerà nell'Unione un numero di posti di lavoro almeno equivalente.»

Motivazione

Di fronte alle condizioni precarie del mercato del lavoro, bisognerebbe dedicare particolare attenzione a quei comparti dove si può creare occupazione. Le stime relative al numero di nuovi posti di lavoro appaiono conservatrici se si pensa che, solo in Germania, per il settore «isolamento di edifici» si parla di circa 200 000 posti aggiuntivi (sindacato lavoratori dell'edilizia) e che Eurosolar (centro d'informazione per le energie rinnovabili) valuta attorno a 500 000 i nuovi posti di lavoro nell'Unione nel campo delle energie rinnovabili.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 28, voti contrari: 61, astensioni: 18.

Punto 5.11

Modificare il testo come segue:

«Pur non trattandosi di una sfida economica in quanto tale, può poi profilarsi un'altra questione: quella della pressione al ribasso dei costi che accompagna in genere un mercato liberalizzato concorrenziale e dei suoi effetti sulle disposizioni prese per migliorare la sicurezza degli impianti e la sicurezza dei lavoratori e delle popolazioni. I grandi gestori hanno già operato pesanti tagli di personale. A parere del Comitato la Commissione dovrà rivolgervi un'attenzione particolare nel quadro delle disposizioni che essa propone in tema di sicurezza.»

Motivazione

Evidente.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 28, voti contrari: 63, astensioni: 18.

Punto 6.3

Modificare il testo come segue:

«Essa evita da 300 a 500 Mt di emissioni di CO2. Costituisce quindi un contributo efficace all'insieme delle soluzioni che permettono di rispettare gli impegni di Kyoto.»

Motivazione

Si vuole così adattare questo passo alla modifica apportata al punto 1.2.9.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 27, voti contrari: 67, astensioni: 12.

Punto 6.4

Modificare il testo come segue:

«Essa assicura prezzi di produzione stabili, contribuendo così alla stabilità dei prezzi nell'Unione e eliminando per gli operatori economici un fattore d'incertezza relativamente alle loro prospettive di sviluppo. Le considerazioni economiche e quelle tecniche legate alla sicurezza, inquadrate in una prospettiva più a lungo termine, conducono però ad una diversa valutazione dei costi.»

Motivazione

Evidente.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 31, voti contrari: 65, astensioni: 6.

Punto 6.5

Modificare il testo come segue:

«Quando sarà giunto a termine il ciclo di vita delle centrali nucleari attualmente in funzione le Le energie rinnovabili, il cui sviluppo è auspicabile e incentivato dall'Unione (cfr. direttiva 77/2001/CE), non saranno sono per il momento in grado, allo stato attuale, di raccogliere la sfida della loro sostituzione sostituirsi alle centrali nucleari in funzione e di rispondere alla aumento della domanda di elettricità che in parte aumenta ancora. A ciò si oppongono anche alcuni problemi strutturali: Pper esempio, l'energia eolica può offrire oggigiorno solo una disponibilità relativamente bassa, e in generale non prevedibile, nell'ordine di 2.000-2.500 ore all'anno. La situazione può tuttavia cambiare radicalmente grazie, ad esempio, a misure a favore dell' efficienza energetica, all'ulteriore sviluppo di fonti energetiche inesauribili come la biomassa, ecc.»

Motivazione

Le energie rinnovabili stanno facendo solo adesso il loro ingresso sul mercato. In particolare la biomassa o la geotermia, che sono in grado di coprire il carico costante e potrebbero quindi sostituirsi all'energia nucleare anche nel settore dove questa trova maggior impiego, sono solo ad uno stadio iniziale. Lo stesso vale per i superconduttori che possono rendere costanti fonti energetiche intermittenti come il vento e il sole. La situazione appena descritta va pertanto considerata come un'istantanea che rispecchia le condizioni attuali.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 27, voti contrari: 54, astensioni: 16.

Punto 6.6

Inserire nuovo punto 6.6:

«6.6

Per il Comitato è importante indicare che ben presto nell'Unione si dovranno operare delle scelte decisive. Il ciclo di vita delle centrali nucleari attualmente in funzione volge gradualmente al termine. L'Europa si trova a decidere se si vuole introdurre una nuova generazione di centrali nucleari e fino a che punto ciò è realizzabile per la società. A questa importante domanda deve rispondere la classe politica. O se si vuole invece intraprendere già da ora tutti gli sforzi possibili per inaugurare una nuova era contrassegnata da una politica energetica non più basata sulle risorse fossili o sul nucleare. Non si tratta di decidere se inaugurare o meno tale era, ma solo di definirne i tempi.»

Motivazione

Il nostro modo di vita attuale si affida completamente alle energie fossili – si tratta per lo più di energia solare immagazzinata (sotto forma di carbone, petrolio e gas) – o all'uranio, ugualmente destinato ad esaurirsi. L'avvio di una nuova era energetica è solo questione di tempo. Il Comitato non può più continuare a eludere tale questione.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 32, voti contrari: 58, astensioni: 15.

Punto 6.6

Modificare il punto 6.6 come segue:

«La gestione della domanda di energia dove contribuire alla riduzione dell'intensità energetica delle attività umane (economia e sfera privata). La produzione elettrica presenta un notevole potenziale inutilizzato ancora da sfruttare in questo senso, che però non basta da solo a controbilanciare un eventuale abbandono del nucleare. Ancora maggiore è il potenziale offerto dalla riduzione dell'intensità energetica in settori come il riscaldamento e i trasporti. Particolare attenzione meritano i trasporti, le cui emissioni di CO2 vanno ridotte in misura sostanziale, garantendo al tempo stesso una mobilità sostenibile.»

Motivazione

Queste sono le conclusioni logiche a cui portano le prospettive illustrate nella seconda parte del parere.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 34, voti contrari: 59, astensioni: 13.

Punto 6.9

Sopprimere l'intero punto e sostituirlo con quanto segue:

«Indipendentemente dall' acceso dibattito sociale sull'energia nucleare in corso negli Stati membri dell'Unione, il Comitato rileva infine che, sulla base del principio di sussidiarietà, la definizione consensuale di un mix energetico sostenibile resta un compito prioritario dei responsabili delle decisioni a livello nazionale. In questo caso va tenuto conto delle specificità nazionali – considerando in special modo fino a che punto e in che quantità le risorse energetiche sono disponibili localmente. È a queste, infatti, che bisognerebbe ricorrere in via primaria così da ridurre la forte dipendenza comunitaria dalle importazioni di energia, una priorità già riconosciuta dalla Commissione nel Libro verde sulla sicurezza dell'approvvigionamento energetico. Non vi è dubbio che le energie rinnovabili e l'incremento dell'efficienza energetica rivestono in questo caso un'importanza enorme in quanto consentono di ridurre la dipendenza dalle importazioni e non pesano sul clima con i gas a effetto serra. Lo sviluppo di energie rinnovabili e di tecnologie ad elevato livello di efficienza rappresenta un punto cruciale per l'Europa se questa vuole diventare una regione basata sulla conoscenza, fortemente sviluppata, altamente competitiva e orientata verso le esportazioni, e quindi realizzare gli obiettivi di Lisbona in campo energetico. Ciò consentirà inoltre di generare nuovi posti di lavoro.»

Motivazione

Il contenuto di questo passo non necessita di spiegazioni e rispecchia la posizione già espressa dal Comitato in materia di politica energetica. Questo punto serve altresì a inserire, come è necessario, l'energia nucleare nel dibattito generale sulla definizione di un mix energetico sostenibile.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 33, voti contrari: 61, astensioni: 13.


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 110/96


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1257/1999 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG)

(COM(2003) 806 def. - 2003/0312 CNS).

(2004/C 110/15)

Il Consiglio, in data 16 gennaio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 37 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 27 gennaio 2004, ha incaricato la sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, di preparare i lavori in materia.

Data l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 406a sessione plenaria, ha deciso di nominare DONNELLY relatore generale e il 25 febbraio 2004 ha adottato, con 60 voti favorevoli, 1 contrario e 1 astensione, il seguente parere.

1.   Introduzione

1.1

Al fine di aiutare gli agricoltori dei nuovi Stati membri a conformarsi alle norme comunitarie in materia di ambiente, sanità pubblica, salute delle piante e degli animali, benessere degli animali e sicurezza sul lavoro durante il periodo di transizione concordato, l'Atto di adesione all'Unione europea ha introdotto la misura «rispetto delle norme comunitarie», finanziata dal Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (FEAOG), sezione Garanzia, che prevede la concessione di un sussidio che compensi i costi della messa a norma.

1.2

Nell'ambito della riforma della politica agricola comune (PAC), lo scorso settembre il Consiglio ha introdotto la misura «rispetto delle norme» (1) finalizzata ad aiutare gli agricoltori a sostenere le spese di funzionamento connesse al rispetto delle norme comunitarie recentemente introdotte.

1.3

Per evitare il sovrapporsi di misure identiche e permettere ai nuovi Stati membri di beneficiare della nuova misura «rispetto delle norme», la Commissione, nella proposta recante adattamento dell'Atto di adesione a seguito della riforma della PAC (2), prevede l'annullamento della misura «rispetto delle norme comunitarie».

1.4

Tuttavia, i nuovi Stati membri hanno finanziato gli investimenti realizzati dalle aziende per conformarsi alle norme comunitarie in materia di ambiente con ingenti importi della loro dotazione FEAOG, sezione Garanzia, destinati allo sviluppo rurale, anziché prenderli dalla sezione Orientamento.

2.   Sintesi della proposta della Commissione

2.1

Dal momento che, in questa fase, è particolarmente difficile aumentare le dotazioni dei fondi strutturali a sostegno del processo di messa a norma, e che accelerare tale processo, soprattutto in campo ambientale, resta comunque una priorità per l'Unione, la Commissione propone di introdurre nel regolamento (CE) n. 1257/1999 del Consiglio una deroga supplementare per consentire ai nuovi Stati membri di tener conto, a determinate condizioni, dei costi relativi agli investimenti allorché essi determinano il livello di sostegno annuo da accordare in base alla misura «rispetto delle norme».

2.2

Tale deroga temporanea è limitata al periodo di programmazione 2004–2006 e non comporta spese supplementari per il bilancio della Comunità, essendo finanziata dalle dotazioni già approvate per i nuovi Stati membri per il periodo 2004–2006.

3.   Osservazioni generali

Il Comitato condivide appieno la priorità della Commissione di accelerare, nei nuovi Stati membri, il processo di adattamento alle norme comunitarie, soprattutto in campo ambientale. Pertanto approva la proposta della Commissione di autorizzare i dieci paesi prossimi all'adesione a utilizzare le dotazioni del FEAOG, sezione Garanzia, per gli interventi a favore del miglioramento e della protezione dell'ambiente.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Il Comitato attribuisce un'importanza prioritaria agli interventi a favore dell'ambiente e ritiene auspicabile che i nuovi Stati membri finanzino progetti per il miglioramento dell'ambiente a livello di aziende agricole.

5.   Conclusioni

5.1

Il Comitato sostiene appieno la proposta della Commissione.

Bruxelles, 25 febbraio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Regolamento (CE) n. 1783/2003 del Consiglio, del 29 settembre 2003, che modifica il regolamento (CE) n. 1257/1999 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG), Capo V, GU L 270 del 21.10.2003.

(2)  Proposta di decisione del Consiglio recante adattamento dell'Atto relativo alle condizioni di adesione della Repubblica ceca, dell'Estonia, di Cipro, della Lettonia, della Lituania, dell'Ungheria, di Malta, della Polonia, della Slovenia e della Slovacchia e agli adattamenti dei trattati sui quali si fonda l'Unione Europea, a seguito della riforma della politica agricola comune (COM(2003) 643 def).


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 110/98


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema comunicazione della Commissione «L'Europa e la ricerca di base»

COM(2004) 9 def.

La Commissione, in data 14 gennaio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione «L'Europa e la ricerca di base»

Il Comitato economico e sociale europeo ha deciso di incaricare la sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo di predisporre i lavori in materia.

Visto il carattere di urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 febbraio 2004, nel corso della 406a sessione plenaria, ha deciso di designare WOLF in qualità di relatore generale e ha adottato il presente parere all'unanimità.

1.   Introduzione e sintesi della comunicazione della Commissione

1.1

Gli Stati membri e gli organi dell'Unione europea hanno a lungo ritenuto che la ricerca di base fosse prevalentemente di competenza nazionale e che la Comunità dovesse concentrarsi soprattutto sulla ricerca applicata e sullo sviluppo. Vista in retrospettiva, questa posizione deriva da un'interpretazione piuttosto unilaterale dell'articolo 163 del trattato che istituisce la Comunità europea (1).

1.2

All'inizio del 2000 è subentrata una prima inversione di tendenza per effetto di un'iniziativa e di decisioni che hanno indicato la via da seguire: da un lato è stata determinante la comunicazione della Commissione (2) dal titolo «Verso uno spazio europeo della ricerca», dalla quale emergeva, benché ciò non fosse esplicitato, che la ricerca di base era una missione comunitaria; dall'altro lo sono state le decisioni del Consiglio europeo di Lisbona (3), che hanno anche definito l'ambizioso e importante obiettivo comunitario di fare dell'Europa un'economia e una società basate sulla conoscenza; l'importanza fondamentale della ricerca di base non è stata tuttavia espressamente evidenziata neanche in quell'occasione.

1.3

Quasi contemporaneamente è stato tuttavia il Comitato economico e sociale europeo, nel suo parere (4) in merito alla comunicazione della Commissione «Verso uno spazio europeo della ricerca», a sottolineare l'importanza del giusto equilibrio e della necessaria interazione fra ricerca di base e ricerca applicata e sviluppo, raccomandando espressamente di concedere adeguati finanziamenti alla ricerca di base, la quale, attraverso l'approfondimento della conoscenza, è fonte di scoperte, idee e metodi nuovi.

1.4

Questa posizione è ormai generalmente diffusa. Esiste una maggiore consapevolezza delle esigenze di un'economia e di una società basate sulla conoscenza ed è stata altresì riconosciuta l'importanza di compiere progressi in tutte le discipline scientifiche, compresa la ricerca di base, per riuscire effettivamente a conseguire gli obiettivi stabiliti a Lisbona.

1.5

L'Europa dispone senz'altro di punti di forza anche nella ricerca di base, sia a livello universitario sia nel contesto di vari organismi specializzati (5), ma occorrono maggiori iniziative a livello comunitario.

1.5.1

Storicamente è proprio nel settore della ricerca di base che sono state avviate le prime iniziative di cooperazione scientifica in Europa (occidentale), nate dall'esigenza di istituire centri per ospitare grandi apparecchiature e creare una massa critica i cui costi superavano le capacità economiche dei singoli Stati o la loro disponibilità a stanziare fondi a tale scopo.

1.5.2

Negli anni '50 è stato così fondato il CERN (fisica delle alte energie), seguito negli anni '60 dall'ESO (astronomia), dall'EMBO e dall'EMBL (biologia molecolare) (6) nonché dall'istituto franco-tedesco ILL (7), cui più tardi si è aggiunto l'ESRF (8). Nel frattempo anche negli Stati membri esistono già alcuni grandi impianti sperimentali (9), che vengono utilizzati a livello bilaterale o multilaterale.

1.5.3

Anche alcuni programmi europei particolarmente applicativi e altamente tecnologici, come quello spaziale oppure quello sulla fusione, interagiscono strettamente con la ricerca di base, di cui hanno molto bisogno.

1.6

Si è così riusciti a creare istituti di fama internazionale, che hanno dato un contribuito essenziale alla reputazione della scienza europea (10). Inoltre, le attività di questi istituti hanno grandi ricadute ed esercitano una forte attrattiva nei confronti di numerose comunità scientifiche che operano nelle università e in altri centri di ricerca: ne sono nate fruttuose reti di collaborazione, che sono un presupposto essenziale per raggiungere risultati comuni.

1.7

Anche le attività condotte dalla Fondazione europea della Scienza (FES), un organismo non specializzato creato negli anni '70, riguardano spesso temi di ricerca relativamente fondamentali. Lo stesso vale per le attività realizzate nell'ambito del programma quadro per la ricerca e lo sviluppo dell'Unione europea, che a loro volta richiedono e comprendono una certa quantità, anche se talvolta relativamente esigua, di ricerca di base come componente delle grandi azioni tematiche.

1.8

Alla luce di quanto precede, la comunicazione della Commissione oggetto del presente parere riguarda ruolo, significato e situazione attuale della ricerca di base nello spazio europeo della ricerca, e contiene alcune riflessioni sugli eventuali interventi che la Commissione potrebbe adottare per incentivarla nell'Unione europea non solo in misura maggiore che in passato, ma anche con sistematicità.

1.9

La comunicazione della Commissione affronta quindi i seguenti aspetti della ricerca di base:

la ricerca di base e il suo impatto,

situazione nel mondo e in Europa,

ricerca di base a livello europeo,

prospettive,

altre azioni,

tappe future.

1.10

In merito alla situazione della ricerca di base su scala europea, la Commissione espone inoltre le seguenti considerazioni.

1.10.1

In Europa il settore privato è ancora relativamente poco attivo nella ricerca di base. Sono poche le imprese che dispongono delle necessarie capacità di ricerca, e le loro attività tendono a concentrarsi sulla ricerca applicata e sullo sviluppo; anche il finanziamento della ricerca attraverso fondazioni resta limitato.

1.10.2

Diversamente dagli Stati Uniti, dove il settore privato ha sempre sostenuto la necessità di un finanziamento pubblico della ricerca di base (11), per molto tempo l'industria europea ha chiesto di destinare i finanziamenti pubblici preferibilmente alla ricerca applicata nelle imprese stesse. Nel frattempo sono comunque sempre più numerosi coloro che riconoscono l'importanza della ricerca di base ai fini della competitività dell'economia europea, anche nel mondo delle imprese (si veda ad esempio la Tavola rotonda degli industriali europei).

1.11

Gli ulteriori interventi citati nella proposta della Commissione si baseranno sulle opinioni di numerose personalità, organizzazioni e istituzioni, come per esempio quelle di un gruppo di 45 premi Nobel, della Fondazione europea della scienza (FES), dell'Associazione dei direttori e presidenti dei consigli nazionali per la ricerca (EuroHORCS) (12), dell'associazione Eurosciences, dell'Accademia Europea, del consiglio per la ricerca europea EURAB e di un gruppo ad hoc (ERCEG) costituito da alcune personalità a seguito della conferenza organizzata dalla presidenza danese dell'Unione europea il 7 e 8 ottobre 2002 a Copenaghen sul tema del «Consiglio europeo per la ricerca» (13).

1.12

Inoltre, nel primo trimestre del 2004 la Commissione intende condurre

un ampio dibattito nella comunità scientifica e negli ambienti interessati sulla presente comunicazione, in collegamento con le riflessioni sul «Consiglio europeo della ricerca»,

un dibattito a livello politico presso il Consiglio e il Parlamento europeo, basato sulla presente comunicazione.

2.   Osservazioni generali

2.1

Nel rinviare fra l'altro ai propri pareri in materia di ricerca e sviluppo, nei quali ha più volte (14) ricordato che, anche in considerazione degli obiettivi di Lisbona, l'Unione europea deve finanziare adeguatamente, ossia molto più di quanto ha fatto finora, la ricerca di base, il Comitato accoglie con particolare favore la comunicazione della Commissione nonché le osservazioni e le intenzioni ivi contenute.

2.2

In particolare riferendosi al proprio parere sulla proposta (15) della Commissione relativa al Sesto programma quadro per la ricerca e lo sviluppo e alla raccomandazione allora formulata di aumentare del 50 % a medio termine il bilancio generale della Comunità relativo alla R & S (riferito all'Europa a 15!), il Comitato appoggia l'appello della Commissione a rafforzare in modo decisivo il bilancio della ricerca dell'Unione europea. Il Comitato sostiene altresì l'intenzione della Commissione di seguire le raccomandazioni del gruppo Mayor e di fare del potenziamento della ricerca di base uno dei cardini dell'azione futura dell'Unione nel campo della ricerca. In questo contesto ricorda gli allarmanti indicatori presentati dalla Commissione, che evidenziano il divario addirittura crescente fra Unione europea e, per esempio, Stati Uniti nel settore del sapere e della ricerca.

2.3

Inoltre il Comitato condivide le prime riflessioni sulla creazione di un «Consiglio europeo per la ricerca», che potrebbe assumere a livello di Unione europea i compiti che a livello nazionale sono propri di istituzioni come i Research Council del Regno Unito, la Deutsche Forschungsgemeinschaft in Germania, il Vetenkapsradet in Svezia, l'NWO nei Paesi Bassi, l'FNRS in Belgio e così via, le quali attribuiscono – su richiesta – finanziamenti oppure aiuti ai progetti di singole équipe di ricercatori, analogamente a quanto avviene anche negli Stati Uniti.

2.4

Il Comitato concorda con la Commissione nell'affermare che non è in pratica possibile definire criteri rigorosi per distinguere fra ricerca di base e ricerca applicata. Tuttavia a suo avviso ciò non rappresenta un problema (e pertanto a livello pratico ha consigliato di lasciare una certa discrezionalità) posto che i due ambiti interagiscono con validi risultati, anzi cooperano e dovrebbero cooperare fra di loro.

2.4.1

Il Comitato ricorda una sua precedente raccomandazione (16) che chiedeva il rafforzamento dell'interazione tra ricerca di base e ricerca applicata nell'ambito di un sistema scientifico pluralistico e multipolare.

2.4.2

Il Comitato considera tuttavia necessario che nel prosieguo dei lavori la Commissione stabilisca (o proponga) una definizione della ricerca di base tale da costituire una base sufficientemente praticabile per le decisioni sulle richieste di finanziamento e rimanda alla sua precedente raccomandazione in merito (17).

2.5

Nella comunicazione la Commissione affronta anche la complessa questione dei diritti di proprietà intellettuale nel contesto della ricerca di base. È notorio che, a differenza delle invenzioni, le scoperte non si possono brevettare. L'esigenza di pubblicare rapidamente i risultati ottenuti, di cui si parla in seguito e che è auspicabile anche per la diffusione della conoscenza, pone spesso un dilemma ai ricercatori.

2.5.1

Questo dilemma nasce dalla necessità di capire se dalla scoperta non si possa ricavare un'applicazione da brevettare. In questo caso bisognerebbe chiedere il brevetto prima di pubblicare le conoscenze necessarie a tal fine. Le conseguenze di questo dilemma pregiudicano la diffusione della conoscenza e quindi la fama scientifica oppure, in alternativa, la potenziale tutela attraverso brevetto di idee nuove e forse pionieristiche a favore dell'Unione europea; a farne le spese è comunque l'inventore.

2.5.2

Si potrebbe attenuare notevolmente questo dilemma prevedendo un cosiddetto «termine di grazia» (18) (ingl. grace period). Il Comitato ribadisce pertanto la propria raccomandazione (19), già formulata più volte, di prevedere anche nell'Unione europea il «termine di grazia» usuale negli Stati Uniti. Al contempo ribadisce l'urgenza di introdurre il brevetto comunitario, con cui verrebbe eliminato un grave handicap per i ricercatori e le imprese.

2.6

Infine il Comitato chiede se e come si possa sancire esplicitamente l'opportunità di finanziare la ricerca di base (ai fini degli obiettivi di Lisbona) nei futuri trattati o decisioni europee.

3.   Osservazioni particolari

3.1

Il Comitato condivide ampiamente la descrizione e l'analisi della situazione attuale della ricerca di base presentate dalla Commissione.

3.1.1

Tuttavia ciò non vale per tutte le considerazioni esposte nel parere: la Commissione scrive per esempio fra l'altro che «… l'Europa, sebbene abbia dei punti forti in materia di ricerca di base, ha anche varie debolezze, risultanti in particolare dalla compartimentazione dei sistemi nazionali di ricerca, e soprattutto dalla scarsa concorrenza tra singoli ricercatori, équipe e progetti su scala europea», deducendone che è necessario migliorare il coordinamento delle attività, degli interventi e dei programmi nazionali riguardanti la ricerca di base.

3.1.2

Secondo il Comitato, quest'ultima affermazione della Commissione relativa alla compartimentazione e alla scarsa concorrenza - che probabilmente non è applicabile in generale neanche alle istituzioni che seguono o dirigono la ricerca a livello politico - è fuorviante per la sua genericità e per il riferimento alla ricerca scientifica, soprattutto perché trascura o non tiene sufficientemente conto di una sua caratteristica essenziale.

3.1.3

Accanto alla spinta a conoscere, scoprire o sviluppare il nuovo, una delle principali motivazioni dei ricercatori risiede infatti nella competizione fra gruppi o laboratori concorrenti e nell'esigenza di praticare uno scambio di idee con colleghi esperti attivi altrove. Un eccesso di concorrenza o di ambizione nuoce tuttavia alla natura della ricerca scientifica, perché può causare superficialità e pregiudicare così la necessaria accuratezza e profondità dell'attività scientifica, nonché lo slancio a scoprire il nuovo.

3.1.4

Questo scambio di idee e questa concorrenza si espletano nell'ambito di conferenze e congressi scientifici internazionali nonché in rinomate riviste specialistiche. La fama nazionale e internazionale dei singoli ricercatori (e di conseguenza le loro opportunità di carriera) nonché degli istituti dove lavorano deriva anche dalla capacità di essere i primi nell'acquisire e pubblicare nuove e importanti scoperte.

3.1.5

Sono di solito le varie associazioni scientifiche o di settore a organizzare questi convegni o congressi, i quali, nella dialettica fra collaborazione e concorrenza, costituiscono il foro internazionale per scambiare i risultati e i progetti più recenti, avviare nuove forme di cooperazione, ma anche per presentare capacità e risultati, quindi per far funzionare la concorrenza.

3.1.6

Allo scambio di conoscenze e al coordinamento servono inoltre i numerosi contatti personali a livello internazionale (20) che caratterizzano molti progetti di ricerca, nonché il loro inserimento in programmi internazionali (21).

3.1.7

Tutto ciò comporta naturalmente ricadute per i vari istituti e i ricercatori che vi operano e quindi anche un continuo processo di adeguamento e riorientamento dei rispettivi programmi di ricerca, che segue i ritmi della ricerca scientifica.

3.1.8

Come già sottolineato dal Comitato in un precedente parere, la Commissione dovrebbe prendere atto, riconoscere e sfruttare meglio questo processo spontaneo di coordinamento e adattamento tra scienza e ricerca stimolato anche dalla concorrenza e ormai in atto a livello internazionale. Di conseguenza dovrebbe coinvolgere, ancor più che in passato, nelle proprie consultazioni interne e soprattutto nel processo di ripartizione affermati ricercatori di alto livello, nonché i rappresentanti delle associazioni scientifiche (che sono organismi gestiti e finanziati dai rispettivi membri, quindi delle ONG).

3.1.9

Le osservazioni del Comitato che precedono non ostano tuttavia – nella misura in cui ciò sia necessario e utile - a un ulteriore «coordinamento aperto» e quindi «europeizzazione» dei programmi nazionali della ricerca di base. Ciò andrebbe tuttavia conseguito preferibilmente concedendo congrui incentivi ai processi spontanei «bottom-up» nonché finanziando i progetti (22) o le grandi attrezzature che, in applicazione della sussidiarietà, richiedono capacità o volontà superiori a quelle nazionali e intorno ai quali per irradiazione si formano le reti europee.

3.1.10

Inoltre devono essere sviluppati un ambiente culturale e un idoneo contesto amministrativo e finanziario che stimolino l'eccellenza, lascino spazi a temi e programmi di lavoro più aperti, diventino più attrattivi per i ricercatori.

3.1.11

Il Comitato ribadisce la sua preoccupazione per le insufficienti sinergie e l'inadeguato interscambio di ricercatori tra il settore universitario e il settore imprenditoriale, che induce una dicotomia tra la ricerca di base e la ricerca applicata, rende difficile la sinergia tra approcci, metodi, tecnologie diverse, e riduce l'interdisciplinarietà, stimolando inoltre comportamenti troppo protesi da un lato alle pubblicazioni scientifiche, dall'altro ai risultati a breve.

3.2

Il finanziamento da parte dell'Unione europea dovrebbe inoltre essere destinato preferibilmente ai programmi o agli istituti le cui attività richiedono un elevato grado di ricerca interdisciplinare, la quale assume sempre maggiore importanza per numerosi ambiti e per molte importanti problematiche; il modo migliore per praticarla consiste nel raggruppare le varie discipline e le apparecchiature necessarie in un solo centro a partire dal quale possano servire a un utilizzo e a una messa in rete «europea».

3.3

In riferimento a quanto precede, il Comitato sostiene quindi le valutazioni della Commissione rispetto ai seguenti interventi proposti:

rafforzare il sostegno europeo alle infrastrutture di ricerca e sostenere la creazione di centri di eccellenza, tramite una combinazione di finanziamenti nazionali ed europei, pubblici e privati,

aumentare il sostegno allo sviluppo delle risorse umane, alla formazione dei ricercatori e allo svolgimento delle carriere scientifiche (23),

incentivare la collaborazione e la creazione di reti.

3.4

Il Comitato ritiene che concedere un adeguato sostegno finanziario a singoli progetti sarebbe un importante strumento di promozione. Come proposto dalla Commissione, ciò dovrebbe avvenire attraverso un organismo come il Consiglio europeo per la ricerca, la cui attività potrebbe orientarsi su quella degli istituti che già ora operano molto validamente a livello di Stati membri, come la Deutsche Forschungsgemeinschaft (DFG) oppure i Research Council britannici. Tuttavia, anche alla luce della problematica cui si accenna sotto, in questo contesto andrebbero però finanziati progetti di durata sufficientemente lunga; inoltre, andrebbero presi in considerazione in una certa misura anche determinate tipologie (24) di finanziamento più istituzionale (per esempio di durata compresa fra 12 e 15 anni).

3.4.1

In questo contesto occorre tenere conto fra l'altro di due importanti punti di vista, già ricordati anche in precedenti pareri (25) del Comitato.

3.4.2

Da un lato sussiste il problema di adeguare i contratti al profilo individuale dei ricercatori partecipanti ai progetti: bisogna cioè che la natura inevitabilmente limitata nel tempo dei vari progetti non soltanto non penalizzi i ricercatori in termini di tipologia contrattuale, emolumenti percepiti e copertura sociale, bensì che siano previsti anche sufficienti incentivi per attirare e trattenere in questi incarichi quelli più qualificati.

3.4.3

Dall'altro esiste il problema legato al lavoro (26) necessario per espletare le procedure di domanda, valutazione ecc. a carico sia dei richiedenti che dei periti. Seguendo l'esempio della Deutsche Forschungsgemeinschaft in Germania, bisogna fra l'altro far sì che questo lavoro sia relativamente contenuto rispetto al potenziale risultato conseguibile con i fondi richiesti. Una possibile soluzione potrebbe risiedere nell'uniformare, evitare di modificare continuamente e accorpare le procedure di domanda e di valutazione di tutti i finanziatori coinvolti.

3.5

Una situazione particolarmente delicata in tal senso potrebbe verificarsi qualora la dotazione destinata alla ricerca di base fosse molto esigua e si dovesse quindi esaminare e giudicare – per lo più con esito negativo – un elevato numero di domande di finanziamento di entità di gran lunga superiore ai fondi disponibili.

3.5.1

Da un lato bisogna infatti evitare che ciò susciti il malcontento dei richiedenti respinti, che sarebbero la stragrande maggioranza, nei confronti della Commissione e dell'Unione europea, considerato anche il loro investimento in termini di tempo e impegno.

3.5.2

Dall'altro bisogna però anche impedire che l'onere amministrativo necessario (vedi sopra) per documentare la correttezza e l'equità della procedura diventi eccessivo. Proprio per questo motivo il Comitato raccomanda alla Commissione di consultare in merito sia gli organismi degli Stati membri esperti in questo campo, sia coloro che finora hanno presentato domanda di finanziamento con esito positivo ma anche negativo (!).

3.6

Giustamente la Commissione ricorda il ruolo determinante della ricerca di base per la funzione formativa delle università e di conseguenza il Comitato approva la seguente affermazione contenuta nella comunicazione: «In tali condizioni, la ricerca di base rimarrà un aspetto centrale dell'attività e della missione delle università, di cui costituisce la ragione d'essere in collegamento con l'insegnamento.» Secondo il Comitato, ciò vale però anche per gli istituti di ricerca non universitari che praticano (anche) la ricerca di base e che sono legati alla ricerca e alla formazione accademica da diversi rapporti di tipo personale, programmatico od organizzativo.

4.   Conclusione

Il Comitato sostiene pienamente l'obiettivo della Commissione di finanziare adeguatamente e in modo sistematico la ricerca di base a livello dell'Unione europea dotandola di un bilancio sufficiente e di strumenti amministrativi adeguati e snelli. Il Comitato raccomanda alla Commissione di procedere nei termini previsti tenendo conto anche delle osservazioni e delle raccomandazioni specifiche che precedono.

Bruxelles, 26 febbraio 2004

Il Presidente

del Comitato economico e sociale

Roger BRIESCH


(1)  Ripreso ampiamente nel progetto di trattato del 18 luglio 2003 all'articolo III-146.

(2)  COM(2000) 6 def.

(3)  Consiglio europeo di Lisbona del 23 e 24 marzo 2000.

(4)  GU C 204 del 18.7.2000.

(5)  GU C 204 del 18.7.2000.

(6)  CERN - Organizzazione europea per la ricerca nucleare; ESO – Organizzazione europea per le ricerche astronomiche nell'emisfero australe; EMBO: Organizzazione europea di biologia molecolare; EMBL – Laboratorio europeo di biologia molecolare.

(7)  Istituto Laue-Langevin di Grenoble.

(8)  ESRF = Impianto europeo di radiazione di sincrotrone, anch'esso con sede a Grenoble.

(9)  Per es. il DESY (Deutsches Elektronen Synchrotron) di Amburgo.

(10)  Il Comitato ricorda inoltre che il rivoluzionario sistema di comunicazione del worldwide-web, che è alla base di INTERNET, è stato sviluppato al CERN e inizialmente doveva servire soltanto per la trasmissione di dati scientifici fra i laboratori partecipanti alla ricerca.

(11)  Cfr. la relazione «America's Basic Research: Prosperity Through Discovery» del «Committee for Economic Development» composto da rappresentanti dei grandi gruppi industriali. Negli Stati Uniti esistono però imprese, come per esempio l'IBM o la Bell Labs, che continuano a praticare, anche se tendono a ridurla, molta ricerca di base.

(12)  EuroHORCS: Associazione dei direttori e presidenti dei consigli nazionali per la ricerca, EURAB: European Research Advisory Board; ERCEG: The European Research Council Expert Group, presieduto dal professor Federico Mayor.

(13)  Il 15 dicembre 2002 il Ministro per la ricerca danese ha inviato ai suoi omologhi europei la relazione conclusiva dei lavori di questo gruppo, nella quale si chiede l'istituzione di un fondo europeo per la ricerca di base da finanziare principalmente con i mezzi del programma quadro per la ricerca dell'Unione europea e la cui gestione sarà affidata a un Consiglio europeo per la ricerca.

(14)  GU C 221 del 7.8.2001, punti 4.4.1, 4.4.2, 4.4.3, 4.4.4 e 4.4.5.

(15)  GU C 260 del 17.9.2001.

(16)  GU C 221 del 7.8.2001, punto 6.7.2.

(17)  CESE 1588/2003, punto 4.5.3.

(18)  In passato addirittura presente nella legislazione tedesca sui brevetti come «periodo di salvaguardia della novità precedente alla pubblicazione».

(19)  Cfr. in particolare GU C 95/48 del 23.04.2003, punto 5.2.

(20)  Più della metà dei nuovi ricercatori e addirittura un quarto dei direttori d'istituto della Max-Planck-Gesellschaft provengono dall'estero.

(21)  Ciò vale per esempio soprattutto per i programmi nei settori della climatologia, dell'oceanografia, della fisica dell'atmosfera ecc. ricordati anche dalla Commissione.

(22)  GU C 95 del 23.4.2003.

(23)  Cfr. la comunicazione della Commissione «I ricercatori nello Spazio europeo della ricerca: una professione, molteplici carriere» (COM(2003) 436 del 18.7.2003) e il relativo parere del CESE (CESE 305/2004).

(24)  Come per esempio quelle per i Sonderforschungsbereiche (aree speciali di ricerca) istituite dalla Deutsche Forschungsgemeinschaft in Germania.

(25)  CESE 305/2004, punto 5.1.8.

(26)  CESE 305/2004, punto 5.1.8.4.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Qui di seguito si riporta l'emendamento messo ai voti e respinto durante il dibattito (art. 54, par. 3, RI):

Punto 2.6 Cancellare il paragrafo.

Motivazione

La ricerca di base è già finanziata nell'ambito del Sesto programma quadro di ricerca e il mix tra ricerca di base e ricerca applicata è bene sia definito dal decisore politico (Consiglio e Parlamento europeo) in funzione degli obiettivi strategici del momento. Inoltre si creerebbero dei problemi pratici non essendoci una definizione unanimemente accettata di «ricerca di base».

Esito della votazione

Voti favorevoli: 18, voti contrari: 43, astensioni: 12.


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 110/104


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Consiglio relativo alle misure di gestione per lo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nel mar Mediterraneo e recante modifica dei regolamenti (CEE) n. 2847/93 e (CE) n. 973/2001

(COM(2003) 589 def. - 2003/0229 (CNS)).

(2004/C 110/17)

Il Consiglio, in data 16 dicembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 37 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, è stata incaricata di preparare i lavori in materia dall'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo in data 27 gennaio 2004.

Dato il carattere d'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo ha designato in qualità di relatore generale SARRO' IPARRAGUIRRE nel corso della 406a sessione plenaria del 26 febbraio 2004 ed ha adottato con 63 voti favorevoli, 2 voti contrari e 3 astensioni, il seguente parere:

1.   Introduzione

1.1

Con la proposta di regolamento in oggetto (1) la Commissione intende aggiornare il regolamento (CE) n. 1626/94 del Consiglio, del 27 giugno 1994, che istituisce misure tecniche per la conservazione delle risorse della pesca nel Mediterraneo (2), tenendo conto degli elementi più importanti esposti nella comunicazione al Consiglio e al Parlamento europeo relativa ad un piano d'azione comunitario per la conservazione e lo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nel mar Mediterraneo nell'ambito della politica comune della pesca (3).

1.2

A tale scopo la Commissione propone inoltre di modificare il regolamento (CEE) n. 2847/93, del Consiglio, del 12 ottobre 1993, che istituisce un regime di controllo applicabile nell'ambito della politica comune della pesca (4), ed il regolamento (CE) n. 973/2001 del Consiglio, del 14 maggio 2001, che stabilisce alcune misure tecniche di conservazione per taluni stock di grandi migratori (5).

1.3

Nella proposta di regolamento in oggetto, costituita da 26 considerando iniziali, undici capitoli e cinque allegati, la Commissione propone una serie di misure di gestione che dovrebbero permettere lo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nel mar Mediterraneo. Si tratta di misure di gestione volte a regolamentare le specie, gli habitat e le zone protette, fissare restrizioni per alcuni attrezzi, stabilire le taglie minime di alcune specie, regolare la pesca non commerciale, prevedere la possibilità di istituire dei piani di gestione, stabilire misure di controllo, definire alcune condizioni per la cattura di specie altamente migratorie ed alcune disposizioni specifiche per le acque maltesi.

2.   Osservazioni di carattere generale

2.1

Il CESE ha in passato già espresso con una serie di pareri (3), la propria posizione circa la gestione della pesca nel Mediterraneo. Il Comitato desidera riprendere in questo parere le conclusioni formulate nel 1998 in materia di gestione della pesca nel Mediterraneo visto il loro interesse, il loro carattere descrittivo, la loro importanza e la loro attualità:

Il Mediterraneo è contraddistinto da alcune caratteristiche particolari, alle quali i sistemi di gestione devono necessariamente adattarsi per essere efficaci.

L'efficacia dei sistemi di gestione dipenderà inoltre dalla loro equità, sì da evitare trattamenti discriminatori.

Occorre continuare a rafforzare la ricerca scientifica, rendendo più dinamico il CGPM, in modo da farne l'organo prioritario, senza rinunciare alla cooperazione scientifica sotto forma di elaborazione congiunta di studi da parte degli Stati che si affacciano sul Mediterraneo.

Data l'esistenza di situazioni discriminatorie, è necessaria un'armonizzazione reale e globale della pesca nel Mediterraneo. Essa sarà possibile solo se si elimineranno gradualmente tutte le deroghe previste dal Regolamento (CE) n. 1626/94 e si applicheranno le stesse misure tecniche a tutte le flotte.

Il Comitato auspica che la normativa proposta formi oggetto di una consultazione degli ambienti professionali interessati, in modo da coinvolgere questi ultimi nella sua applicazione. Ciò rafforzerebbe la proposta avanzata dall'Unione europea nel CGPM in merito alla creazione di un comitato che rappresenti in modo diretto gli operatori del settore.

Devono essere previste misure adeguate contro gli operatori che non rispettano le norme sulla conservazione delle risorse. Il commercio responsabile va rafforzato per prevenire la concorrenza sleale attualmente in atto, specialmente per quanto riguarda le flotte di paesi terzi.

La creazione di zone di protezione della pesca nel Mediterraneo è un meccanismo adeguato per garantire l'efficacia delle misure di protezione e di conservazione delle risorse.

Le conferenze diplomatiche devono andare oltre le dichiarazioni di intenti. Occorre sviluppare una collaborazione più intensa con tutti gli Stati, elaborando lavori preliminari che permettano di adottare conclusioni di applicazione immediata.

Nel processo di adattamento ad una pesca sostenibile nel Mediterraneo, la pesca artigianale deve avere la priorità su quella industriale. Gli interessi degli Stati rivieraschi devono prevalere su quelli estranei al Mediterraneo.

2.2

Nel punto 2.6 del parere CESE 402/2003, il Comitato faceva notare che «Una gestione integrata delle attività di pesca presuppone un'analisi degli aspetti biologici, economici e sociali, la ricerca di adeguati strumenti di gestione e infine il dialogo tra gli operatori del settore, le amministrazioni e gli ambienti scientifici».

2.3

Il CESE ritiene che la Commissione non abbia risposto, con la proposta di regolamento in oggetto, né alle attese suscitate dal suo piano d'azione (3) né agli orientamenti espressi dal Comitato nei precedenti pareri. Le ragioni di tale giudizio sono le seguenti:

2.3.1

La proposta di regolamento della Commissione non analizza le ragioni che motivano la necessità di rivedere il regolamento (CE) n. 1626/94. Il Comitato ritiene che le misure stabilite dal regolamento in questione siano fallite perché, inter alia, sono state permesse deroghe di ogni tipo al regolamento stesso, che hanno provocato scarti tra paesi e settori i quali, a loro volta, hanno fatto mancare del tutto una reale politica comune della pesca nel Mediterraneo.

2.3.2

La Commissione non ha fornito adeguate basi scientifiche a sostegno delle proposte tecniche presentate. In mancanza di riferimenti non è possibile conoscere quali siano gli studi scientifici e tecnici di cui la Commissione si è avvalsa per presentare le proprie proposte.

2.3.3

La Commissione dimentica ancora una volta di ricordare e tener conto degli aspetti socioeconomici della pesca nel Mediterraneo, e non fornisce alcun riferimento alle possibili ripercussioni delle misure proposte sulle aziende, i lavoratori e le aree costiere che dipendono in larga misura dalla pesca.

2.3.4

La proposta di regolamento non assegna sufficiente rilievo ai sistemi di gestione mediante il controllo del commercio, né ricorda i problemi causati, a livello commerciale, dalle catture effettuate da navi battenti bandiera di comodo, che pescano illegalmente nel Mediterraneo. Si dimentica inoltre di proporre meccanismi atti a garantire un effettivo controllo della qualità sanitaria dei prodotti della pesca.

2.3.5

La Commissione non tiene sufficientemente conto dell'importanza di intensificare la cooperazione multilaterale nell'ambito del CGPM (6), affinché le norme fissate per i paesi dell'Unione possano essere applicate anche alle flotte di paesi terzi che operano nel Mediterraneo.

In tal senso il CESE invita la Commissione a potenziare il ruolo dei progetti regionali della FAO, ad esempio COPEMED e ADRIAMED.

2.3.6

La Commissione si limita a regolare disposizioni tecniche già esistenti, rendendole più restrittive, senza prevedere alcuna eventuale alternativa innovatrice a tali misure grazie alla ricerca di meccanismi più selettivi.

2.4   Aspetti negativi della proposta di regolamento

Vengono qui di seguito esaminati, tra gli undici capitoli della proposta, anzitutto quelli che presentano aspetti negativi:

2.4.1

Capitolo IV: Restrizioni relative agli attrezzi da pesca

2.4.1.1

Il CESE ritiene che la redazione del testo sia ambigua e confusa e dia adito ad eccezioni che possono provocare un ulteriore nuovo fallimento delle misure, poiché non corrispondono affatto ad una reale politica comune della pesca. Secondo il CESE gli articoli debbono venir redatti in forma più chiara, e le eccezioni devono essere eliminate, puntando a misure armonizzate nell'Unione europea e armonizzabili a loro volta con i paesi terzi dediti ad attività di pesca nel Mediterraneo.

2.4.1.2

La definizione dei diversi attrezzi è confusa. Vanno definiti i segmenti regolati mediante standard internazionali, come ad esempio lo ISCFG (7) della FAO del 1980, separando almeno le reti a strascico e le reti da circuizione dagli attrezzi minori. Andrebbero inoltre regolate separatamente le diversi reti trainate per far sì che le disposizioni generali riguardanti le reti a strascico non valgano anche per altre reti a carattere locale, come le sciabiche trainate.

2.4.1.3

Nelle attrezzature e pratiche di pesca proibite non è stata inclusa la proibizione di impiegare reti da imbrocco alla deriva. A parere del Comitato tra gli attrezzi da pesca proibiti deve essere elencata specificatamente la proibizione di utilizzare reti da imbrocco alla deriva, e specialmente quelle utilizzate per catturare specie altamente migratorie.

2.4.1.4

Per quanto riguarda la dimensione minima delle maglie, le proposte non sembrano basate su dati scientifici solidi e la messa in pratica delle proposte della Commissione potrebbe comportare il fallimento di numerose aziende e di posti di lavoro collegati al settore della pesca, dato che la loro attività cesserebbe di essere redditizia. Per tal motivo il CESE suggerisce che prima di prendere una decisione sulla dimensione minima delle maglie la Commissione approfondisca le ricerche scientifiche in materia allo scopo di acquisire maggior conoscenze sulla tipologia dei materiali da impiegare per provare la selettività delle maglie, salvaguardando così la continuità delle attività di pesca.

2.4.1.5

La taglia minima degli ami prevista per la cattura dell'occhialone (Pagellus bogaraveo) non ha senso. In base alle ricerche scientifiche sinora effettuate, frutto delle esperienze sulla selettività degli ami e sulla loro relazione con le dimensioni di maturazione della specie, il CESE raccomanda una taglia minima degli ami di lunghezza totale pari a 3,95 cm e di larghezza pari a 1,65 cm. Inoltre per i palangari di fondo e di superficie (derivanti) bisognerebbe limitare il numero totale di ami, anziché la lunghezza totale degli stessi. Nel primo caso si dovrebbe stabilire un limite massimo di 3.000 ami, e nel secondo, di 2 000 ami al massimo per la pesca del pesce spada (Xiphias gladius) e di 10.000 ami al massimo per le altre specie.

2.4.1.6

Il CESE giudica ambigua la redazione dell'articolo riguardante i valori minimi di distanza e profondità per l'uso degli attrezzi da pesca, proposti dalla Commissione. Ciò può provocare confusione. L'applicazione delle proposte della Commissione comporterà sicuramente la sparizione delle attività di pesca a partire da imbarcazioni nella maggior parte del litorale mediterraneo. Il Comitato ritiene che la limitazione delle attività di pesca in funzione della distanza minima dalla costa possa produrre effetti negativi a causa della configurazione disuguale della piattaforma continentale nel Mediterraneo. Per tal motivo il CESE chiede che l'attività peschiera venga limitata in funzione della profondità minima delle acque. Il Comitato propone pertanto che le reti da traino siano proibite all'interno dell'isobata di 50 m e che l'uso di reti da circuizione sia vietato all'interno dell'isobata di 35 m.

2.4.2

Capitolo V: Taglie minime degli organismi marini e ripopolamento artificiale

2.4.2.1

Il CESE osserva che la Commissione europea non fa riferimento ad argomenti scientifici che possano giustificare le taglie proposte. In alcuni casi, come quello del merluzzo (Merluccius merluccius), nel quale si propone di ridurre la taglia da 20 a 15 centimetri, la proposta risulta indifendibile sotto qualsivoglia punto di vista biologico, scientifico od economico. In altri casi, come quello del pesce spada, si propone una taglia minima anche se l'ICCAT (8) non ha espresso raccomandazioni in materia. In altri casi ancora, come quello delle telline, la Commissione ha deciso di eliminare la taglia minima, senza tener conto delle gravi ripercussioni che ciò può provocare sul mercato.

2.4.2.2

Il CESE ritiene che permettere attraverso una deroga la cattura del novellame di sardine sia una misura biologicamente inadeguata, un pessimo precedente e una proposta contraddittoria rispetto all'aumento della taglia minima chiesto in generale.

2.4.3

Le misure per le specie altamente migratorie di cui al capitolo IX non hanno una base scientifica sufficiente per permetterne l'adozione. Dato che si tratta di misure di gestione che interessano risorse internazionali, regolate dall'ICCAT, il CESE ritiene che spetti a tale organizzazione decidere la normativa mediante le proprie raccomandazioni. L'ICCAT non raccomanda alcuna misura concreta per il pesce spada nel Mediterraneo, ragion per la quale a parere del Comitato le proposte della Commissione, che fissa le dimensioni minime degli ami dei palangari, quattro mesi di divieto di pesca con palangari pelagici e la taglia minima per il pesce spada, devono essere respinte. Qualora tali proposte venissero adottate, l'intera attività di pesca con palangari correlata a tali specie sarebbe condannata all'estinzione.

2.5   Aspetti positivi, comunque migliorabili, della proposta in esame

2.5.1

Il capitolo II regola specie e habitat protetti, vietando la pesca sulle praterie di posidonie (Posidonia oceanica) o di altre fanerogame marine. Il CESE accoglie favorevolmente la disposizione, ma ritiene che sarebbe necessario aggiungere all'elenco anche i fondali coralliferi o di «mäerl».

2.5.2

Le zone protette, sia nazionali che comunitarie, sono regolate dal capitolo III. Il Comitato è d'accordo con l'istituzione di tali zone per proteggere gli esemplari più giovani o in fase di riproduzione.

2.5.3

Il CESE è d'accordo sulla necessità di regolamentare la pesca non commerciale o sportiva, come proposto dalla Commissione nel capitolo VI della proposta. Tuttavia ritiene necessario aggiungere il divieto di utilizzare palangari di fondo e l'obbligo di esigere da tutti i paesi dell'Unione europea l'istituzione di sistemi nazionali per le licenze di pesca che permettano di valutare le vere dimensioni di tale attività. La proposta proibisce la commercializzazione delle catture di organismi marini effettuate nell'ambito della pesca sportiva. Il Comitato ritiene si possa accettare, in via eccezionale, la commercializzazione delle catture effettuate nel corso di gare sportive, nel caso in cui il ricavato ottenuto dalla vendita sia destinato a fini benefici, allo scopo di evitare il commercio in nero e facilitare i controlli sanitari.

2.5.4

Il capitolo VII regola i piani di gestione a livello comunitario e nazionale. Il CESE ritiene che tali piani possano essere uno strumento utile e che, combinando la gestione dello sforzo di pesca e le misure tecniche ad hoc, rispondano alle caratteristiche specifiche di numerose imprese del settore situate nel Mediterraneo. Ciononostante il Comitato intende sottolineare il rischio che i piani di gestione possano venir impiegati per derogare, sotto forma di eccezione, da alcune delle disposizioni generali del regolamento, ragion per la quale il testo dovrebbe prevedere l'obbligo che le misure di gestione che si intendono introdurre siano sempre più severe di quelle previste dal regolamento. Vale a dire che deve risultare chiaro che i piani di gestione non potranno prevedere misure meno restrittive di quelle previste dal regolamento per quanto riguarda tutti gli aspetti correlati alla selettività, agli scarti ed allo sforzo di pesca.

2.5.5

Il CESE ritiene che le misure di controllo elencate al capitolo VIII siano necessarie, ma desidera includere anche le catture effettuate con attrezzi come i palangari di fondo e le reti da imbrocco calate sul fondo tra quelle che possono essere sbarcate e commercializzate per la prima volta solo in porti designati dagli Stati membri. Ritiene inoltre che l'obbligo di registrare nel giornale di bordo tutte le catture conservate a bordo in quantitativi superiori a 10 kg di equivalente peso vivo di determinate specie possa provocare un onere burocratico gravoso ed inutile. Il Comitato propone pertanto che per i natanti basati in porti nei quali il carico viene contabilizzato ed immediatamente trasmesso all'amministrazione competente, si stabilisca una equivalenza tra le fatture per la vendita diretta e la registrazione nel giornale di bordo, eliminando pertanto quest'ultima esigenza.

2.6

Il CESE non entra nel merito del capitolo X: «Misure per le acque intorno alle isole maltesi» dato che tali disposizioni corrispondono alle misure decise nel contesto del Trattato di adesione del 2003 tra Malta e l'Unione europea.

3.   Conclusioni

3.1

Alla luce di quanto sopra, e del fatto che la proposta di regolamento è stata globalmente respinta dai professionisti del settore dei quattro Stati membri che si affacciano sul Mediterraneo, il CESE chiede alla Commissione europea di ritirare la proposta.

3.2

Tenendo conto della notevole preoccupazione del Comitato affinché siano applicate al più presto efficaci misure di gestione per lo sfruttamento sostenibile delle risorse peschiere nel Mediterraneo, la Commissione è invitata a riformulare con urgenza la propria proposta di regolamento, prendendo in considerazione tutti gli aspetti menzionati nel presente parere.

Bruxelles, 26 febbraio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  COM(2003) 589 def

(2)  GU L 171 del 6.7.1993, pag. 1, modificato per ultimo dal regolamento (CE) n. 973/2001 del Consiglio (GU L 137 del 19.5.2001)

(3)  COM(2002) 535 def. del 9 ottobre 2002. Parere del CESE sulla comunicazione: 402/2003 del 26 marzo 2003.

(4)  GU C 133 del 6.6.2003.

(5)  GU L 261 del 20.10.1993, pag. 1

(6)  GU L 137 del 19.5.2001, pag. 1

(7)  GU C 133 6.6.2003.

(8)  Consiglio generale per la pesca nel Mediterraneo.


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 110/108


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di decisione del Consiglio relativa all'istituzione di consigli consultivi regionali nell'ambito della Politica comune della pesca

(COM(2003) 607 def. – 2003/0238 (CNS)).

(2004/C 110/18)

Il Consiglio, in data 16 dicembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 37 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 27 gennaio 2004, ha deciso di affidare alla sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente l'incarico di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo ha deciso, in data 26 febbraio 2004, nel corso della 406a sessione plenaria, di nominare Eduardo Manuel CHAGAS relatore generale e ha adottato con 76 voti favorevoli e 2 contrari il seguente parere.

1.   La proposta della Commissione

1.1

Il regolamento 2371/2002 del Consiglio prevede la creazione di consigli consultivi regionali (CCR) destinati a rafforzare il dialogo nel settore comunitario della pesca attraverso una maggiore partecipazione dei soggetti interessati al processo decisionale nell'ambito della PCP.

1.2

La proposta presentata dalla Commissione è intesa a promuovere un approccio equilibrato e coerente, e definisce elementi comuni relativi alla creazione, composizione, struttura, funzionamento e finanziamento dei futuri CCR.

1.3

La Commissione propone di creare sei CCR, cinque destinati a coprire determinate zone marittime (Mar Baltico, Mare del Nord, Mare Mediterraneo, Acque nordoccidentali, Acque sudoccidentali) e uno per gli stock pelagici.

1.4

I CCR vengono istituiti su iniziativa dei rappresentanti del settore della pesca e di altri gruppi di interesse, i quali devono presentare apposita domanda agli Stati membri interessati e alla Commissione. Ogni consiglio consultivo regionale è costituito da un'assemblea generale la quale nomina un comitato esecutivo composto da un numero di membri compreso tra dodici e diciotto. Nell'assemblea generale e nel comitato esecutivo due terzi dei seggi sono attribuiti a rappresentanti del settore della pesca e un terzo a rappresentanti degli altri gruppi di interesse della politica comune della pesca. Alle riunioni dei CCR possono partecipare in qualità di osservatori scienziati, rappresentanti di altri Stati membri che non rientrano nella zona marittima di competenza del CCR, rappresentati dei paesi terzi che hanno un interesse nella zona marittima di competenza del CCR e rappresentanti del comitato consultivo per la pesca e l'acquacoltura. La partecipazione in veste di osservatori si estende infine ai rappresentanti delle amministrazioni nazionali.

1.5

La Commissione provvederà al finanziamento iniziale previsto per l'avviamento e per i primi tre anni di vita dei CCR. Sarà inoltre garantito un aiuto comunitario per le spese d'interpretazione delle riunioni e di traduzione dei documenti.

2.   Osservazioni generali

2.1

Il CESE ha più volte ribadito la necessità di coinvolgere i principali soggetti interessati – armatori e lavoratori – nella definizione e nell'applicazione della politica comune della pesca e delle sue misure concrete. Dato che il settore comunitario della pesca è caratterizzato in gran parte da imprese di piccole dimensioni e da un livello limitato di associazionismo, è importantissimo coinvolgere i soggetti interessati in tutte le fasi del processo decisionale per tener conto in misura più appropriata della necessità delle misure da adottare e per adeguare maggiormente tali misure non soltanto allo stato delle risorse ma anche alla realtà socioeconomica delle popolazioni interessate.

2.2

Già nel Libro verde sulla futura Politica comune della pesca (1), la Commissione ha riconosciuto l'importanza di prevedere nuove forme di partecipazione dei soggetti interessati alla fase che precede l'adozione delle decisioni in questo settore. All'epoca, il Comitato (2) ha avuto la possibilità di esprimere il suo compiacimento per l'intenzione della Commissione di «promuovere una maggiore partecipazione al dibattito di tutti i soggetti interessati e corresponsabilizzare il settore sulle decisioni e sulla gestione a livello locale».

2.3

Nel parere (3) in merito alla comunicazione della Commissione sulla riforma della Politica comune della pesca (calendario), il Comitato ha inoltre accolto con favore l'istituzione dei CCR ma ha sottolineato la necessità di scongiurare che il mantenimento di una Politica comune della pesca venga messo in discussione attraverso uno svilimento dei suoi principi fondamentali e il trasferimento del dibattito al livello regionale. Per il Comitato è dunque importante che alle riunioni dei CCR partecipi, in qualità di osservatore, un rappresentante del CCPA (articolo 6, paragrafo 4) e che ciascun CCR abbia l'obbligo di presentare ogni anno alla Commissione, agli Stati membri e al CCPA una relazione sulle sue attività. (articolo 10, paragrafo 1).

2.4

L'esigenza di garantire che i membri dei CCR siano sufficientemente rappresentativi dei diversi interessi di ciascun paese coinvolto comporterà necessariamente la partecipazione di un gran numero di organizzazioni. Tuttavia, il fatto che siano gli Stati membri a nominare i componenti dell'Assemblea generale, potrebbe essere fonte di perturbazioni e controversie per quanto concerne l'effettiva rappresentatività dei membri nominati. Dato che la Commissione propone che l'Assemblea generale si riunisca una volta l'anno, bisognerebbe prevedere una partecipazione il più ampia possibile dei rappresentanti di tutte le organizzazioni considerate rappresentative e con un interesse specifico nel CCR in questione.

2.5

Il CESE accoglie favorevolmente la possibilità che le organizzazioni europee e nazionali propongano membri ai paesi interessati (articolo 5, paragrafo 2). Sarà tuttavia necessario assicurare che l'intenzione di creare il CCR venga comunicata in tempo utile non solo alle organizzazioni nazionali ma anche a quelle europee. Sarebbe opportuno coinvolgere maggiormente il CCPA in questo processo, in quanto potrebbe sollecitare le organizzazioni europee a nominare i loro rispettivi rappresentanti nonché centralizzare e gestire le risposte fornite.

2.6

Dato che spetta al comitato esecutivo gestire l'attività del CCR e adottare raccomandazioni e suggerimenti, per il CESE la formulazione proposta dalla Commissione non garantisce una legittima rappresentatività. Infatti, nel documento si chiede solo che il comitato esecutivo comprenda almeno un rappresentante del settore delle catture di ciascuno Stato membro interessato, e questo comporta il rischio che i rappresentanti dei lavoratori vengano sistematicamente esclusi.

2.6.1

In alcune recenti occasioni, i rappresentanti sindacali non sono stati inclusi tra i rappresentanti designati dagli Stati membri per partecipare alle riunioni sulla PCP. Nel difendere la partecipazione degli addetti al settore, il CESE reputa opportuno prendere in considerazione anche gli armatori e i pescatori dipendenti, dato che saranno questi ultimi a mettere effettivamente in pratica le misure adottate. Per il CESE, pertanto, il documento deve menzionare esplicitamente la necessità di assicurare la partecipazione dei rappresentanti degli armatori e dei pescatori dipendenti.

2.7

Inoltre, assegnare un terzo dei seggi agli «altri gruppi di interesse» sembra esagerato. È chiaro che occorre assicurare la partecipazione di questi ultimi ai CCR, in quanto il contributo da essi fornito permette certamente di affrontare i problemi in una prospettiva differente; i pareri del CCR dovranno tuttavia essere essenzialmente il risultato dell'incontro fra diversi interessi nazionali in gioco. Per rappresentare in maniera più adeguata questo gruppo, dunque, si può prevedere di assegnare ad esso una quota di seggi pari al 20 %, all'interno sia dell'assemblea generale sia del comitato esecutivo.

2.8

Nonostante l'articolo 32 del regolamento 2371/2002 preveda che ogni consiglio consultivo regionale è competente per le zone marittime poste sotto la giurisdizione di almeno due Stati membri, il CESE propone di considerare la creazione di un settimo CCR. Tenendo conto dell'importanza della flotta comunitaria che pesca in acque esterne a quelle comunitarie, quest'ultimo CCR deve poter raggruppare le parti interessate all'attività in queste acque ed essere denominato «CCR zone peschiere esterne» Il CESE ritiene tuttavia fondamentale che anche questo CCR includa le organizzazioni rappresentative degli armatori e dei pescatori dipendenti dei paesi terzi interessati.

3.   Osservazioni specifiche

3.1   Articolo 2 - Istituzione di consigli consultivi regionali

3.1.1

Come affermato al punto precedente, si propone di aggiungere una lettera g) relativa ad un settimo CCR denominato «zone peschiere esterne».

3.2   Articolo 4 – Struttura

3.2.1

Dato che il numero dei membri del comitato esecutivo è necessariamente limitato, anche le sue competenze dovrebbero essere circoscritte. Il CESE ritiene in particolare che le raccomandazioni e i suggerimenti adottati dal CCR dovrebbero essere sempre sottoposti all'esame dell'Assemblea generale.

3.2.2

Contrariamente ad altre versioni linguistiche, nel testo portoghese a volte si parla di assemblea regionale, a volte di assemblea generale. Dato che quest'ultimo termine sembra essere quello giusto, si propone di procedere ad una correzione del testo in tal senso.

3.3   Articolo 5 – Membri

3.3.1

Le nomine dei membri del CCR dovrebbero essere coordinate dal CCPA in collaborazione con le organizzazioni europee che lo compongono.

3.3.2

Come riferito al precedente punto 2.7, occorre rivedere la proporzione dei rappresentanti del settore della pesca.

3.3.3

Bisognerà assicurare che nel comitato esecutivo sieda per lo meno un rappresentante dei pescatori dipendenti per ciascuno Stato membro.

3.3.4

Nella versione portoghese della proposta, il paragrafo 2 inizia con queste parole: «Os membros da assembleia geral serão nomeados por comum acordo entre os Estados-Membros interessados». Lo stesso succede in altre versioni, o per lo meno in quella inglese. Per il CESE la formulazione più appropriata è quella utilizzata nella versione francese: «Les membres de l'assemblée générale sont nommés d'un commun accord par les États membres concernés». In effetti, non sembra giustificato che sui nomi indicati da un determinato paese si pronuncino altri Stati membri.

3.4   Articolo 6 – Partecipazione

3.4.1

Agli osservatori deve essere garantito il diritto di parola, anche se non hanno diritto di voto.

3.4.2

L'apertura delle riunioni al pubblico deve essere facoltativa e sarà l'organo che si riunisce a decidere di volta in volta in proposito.

3.5   Articolo 7 - Funzionamento

3.5.1

Pur approvando il fatto che la nomina del presidente avvenga per consenso, il CESE ritiene opportuno stabilire che quest'ultimo provenga dal settore delle catture.

3.6   Articolo 9 – Finanziamento

3.6.1

Non è chiaro come un organo transnazionale come il CCR possa avere personalità giuridica. È necessario che la Commissione precisi questo concetto.

3.6.2

Il CESE approva l'intenzione della Commissione di contribuire attraverso convenzioni annuali al finanziamento delle spese di interpretazione e traduzione. In effetti, solo assicurando a tutti i presenti la possibilità di esprimersi nella propria lingua e garantendo la traduzione in tempo utile di tutti i documenti nelle diverse lingue, i membri potranno partecipare in condizioni di parità.

4.   Conclusioni

4.1

Il CESE prende atto della proposta della Commissione volta a promuovere un approccio equilibrato e coerente, attraverso la definizione di elementi comuni relativi alla creazione, composizione, struttura, funzionamento e finanziamento dei futuri CCR.

4.2

Il CESE ritiene tuttavia che la proposta non garantisca un'adeguata rappresentanza, all'interno dei CCR, dei principali soggetti che operano nel settore comunitario delle catture, in particolare gli armatori e i pescatori dipendenti. Per conseguire questo obiettivo si potrebbe prevedere un maggiore coinvolgimento del CCPA e delle organizzazioni europee in esso rappresentate nella nomina dei membri del CCR.

4.3

Nell'ambito della composizione dei CCR, il CESE giudica inoltre inadeguato il numero dei seggi assegnati al gruppo denominato «altri gruppi di interesse» e propone che tale quota sia del 20 % del totale.

4.4

Propone infine la creazione di un CCR denominato «zone peschiere esterne» che raggruppi le parti interessate all'attività di pesca in acque esterne a quelle comunitarie, cosa che riguarda un segmento importante della flotta peschereccia dell'UE.

Bruxelles 26 febbraio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  COM (2001) 135 def.

(2)  Parere CSE 1315/2001 n. GU C 36 dell'8.2.2002, relatore CHAGAS.

(3)  Parere GU C 85 dell'8.4.2003.


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 110/111


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Politica di bilancio e tipo di investimento

(2004/C 110/19)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 21 gennaio 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 23, paragrafo 3, del Regolamento interno, di elaborare un parere sulla politica di bilancio e tipo di investimento.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 9 febbraio 2004, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice FLORIO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 febbraio 2004, nel corso della 406ao sessione plenaria ha adottato il seguente parere con 98 voti favorevoli, 38 contrari e 3 astensioni.

1.   Da Maastricht al Patto di stabilità

1.1

Il Trattato di Maastricht è stato varato nel 1992; i criteri definiti nel Trattato, che hanno portato i primi paesi (cui si aggiunse in seguito la Grecia) nella moneta unica sono soprattutto basati su di un drastico ridimensionamento del disavanzo di bilancio, del debito pubblico e del contenimento dell'inflazione. I criteri quantitativi sui quali si basa sono riportati nell'art. 104 (ex art. 104 C) del Trattato e nel Protocollo sulla procedura per i disavanzi eccessivi ad esso allegato, che ne stabilisce la gradualità e la temporalità di revisione.

1.2

Gli stessi criteri sono stati poi ripresi ed attuati dal Patto di stabilità, ma al contrario del Patto, il Trattato di Maastricht dava al Consiglio una certa discrezionalità sull'applicazione e sul contenuto delle sanzioni, ed inoltre non stabiliva alcuna scadenza temporale dei vari passaggi richiesti per raggiungere gli obiettivi prefissati (1).

1.3

Il Patto di stabilità e di crescita, approvato nel 1997, passerà alla storia dei Trattati e degli Accordi come uno dei passi più importanti della politica di coordinamento auspicata dall'Unione europea. Sono sostanzialmente tre gli obiettivi che il Patto si prefigge: il rafforzamento del controllo delle politiche di bilancio, il coordinamento delle politiche economiche, ed il sostegno alle procedure di sorveglianza delle politiche economiche.

1.4

Il Patto afferma che a medio-breve termine il bilancio deve avvicinarsi al «close to balance» (pareggio). È questo stesso meccanismo che dovrebbe permettere una migliore entrata in funzione degli stabilizzatori automatici in fase di recessione.

1.5

Il deficit è eccessivo se supera il 3 % del PIL. Esiste comunque una «clausola di eccezionalità» che può essere determinata da fattori esterni non controllabili dagli Stati membri (calamità naturali, ecc.). Quanto al «close to balance», nessun paese si è sbilanciato sull'identificazione precisa della percentuale accettabile di avvicinamento al pareggio per l'area euro.

1.6

Secondo quanto stabilito dal Patto, ogni governo nazionale dei paesi aderenti alla zona euro presenta un «programma di stabilità», mentre gli altri paesi si attengono a «programmi di convergenza» (nazionali). Il Consiglio decide quando e come utilizzare raccomandazioni e richiami. Le scadenze precise definite nel Patto di stabilità e crescita, al contrario dei criteri fissati a Maastricht, permettono una decisione rapida in questo senso, in caso di deficit pubblico eccessivo.

1.7

L'andamento della crescita economica di gran lunga inferiore alle aspettative ha impedito a Francia e Germania - e parzialmente al Portogallo - di rispettare i criteri concordati. Secondo quanto stabilito dal Trattato nell'art. 104 (8) e dal regolamento 1466/97 sul Patto di stabilità e crescita, nel caso di mancato rispetto delle regole concordate sarebbero dovuti scattare meccanismi di drastico aggiustamento ed eventuali sanzioni. Tuttavia il Consiglio Ecofin del 25 novembre 2003 ha deciso la sospensione delle procedure di infrazione per Francia e Germania.

1.8

Generalmente si può dire che il Trattato di Maastricht ha in primo luogo consentito l'adozione dell'euro in 12 paesi dell'Unione e ha portato poi a risultati consistenti e positivi: subito dopo la sua firma, quindi a partire dal 1993, i deficit di bilancio nella maggior parte dei paesi UE hanno infatti cominciato a decrescere (nel 1993 il deficit di bilancio nella zona euro era al suo massimo storico: 5,5 %).

1.9

Il CESE si è pronunciato in merito alle politiche di bilancio in precedenti suoi pareri, ed in particolare sul Patto di stabilità e crescita, sin dal 1997 (2).

2.   Il Patto di stabilità nelle attuali condizioni economiche europee ed internazionali

2.1

Una riflessione sulle politiche di bilancio e sulle potenzialità degli investimenti necessari a rilanciare il sistema economico europeo non può prescindere da una valutazione sulla situazione attuale, sulle sue possibili evoluzioni e sugli strumenti necessari al superamento di questa fase economica in bilico tra recessione e stagnazione.

2.2

Sia per il Giappone che per gli USA, così come per l'Europa, il tasso d'interesse stabilito dalle grandi banche centrali si situa già a livelli storici molto bassi: 2,5 % per la BCE, 1,25 % per la Federal Reserve americana e 0,5 % per la Banca centrale del Giappone (dati registrati a luglio 2003). La Banca centrale europea (BCE) sostiene che margini di manovra sui tassi siano particolarmente difficili; inoltre il tasso di interesse unico potrebbe rivelarsi troppo alto per alcuni e troppo ridotto per altri; anche per questo probabilmente, la BCE si muove con particolare prudenza se paragonata alla velocità di intervento della Federal Reserve (3).

2.2.1

Di fatto una politica monetaria più reattiva rispetto alle difficoltà di ripresa e di crescita e più rapida nelle sue contromisure potrebbe rappresentare uno degli elementi (anche se non l'unico) utili per fare ripartire il motore dell'economia dell'UE.

2.2.2

La Banca centrale europea avrebbe potuto utilizzare un certo margine di manovra sui tassi, per favorire innanzi tutto il commercio estero UE e dare un certo respiro alle economie nazionali in difficoltà. Per quanto il Presidente della BCE, subito dopo le decisioni del Consiglio, abbia affermato che quanto accaduto avrà l'effetto di ridurre la fiducia nell'euro provocando una ripresa inflattiva e che, conseguentemente, si dovrà intervenire aumentando i tassi di interesse, ciò non sembra, al momento, un rischio imminente.

2.3

Una situazione particolarmente critica delle finanze pubbliche nei grandi paesi industrializzati si pensa possa rendere difficile il tentativo di rilancio economico e finanziario in termini di nuove spese (investimenti), soprattutto nella zona euro. Il deficit di bilancio della Francia è del 3,1 % del PIL nel 2002; la Germania, con un saldo negativo del 3,6 %, è in una situazione peggiore. Negli Stati Uniti il vasto piano di rilancio annunciato all'inizio dell'anno che prevede un importo complessivo di 674 miliardi di dollari distribuiti su 10 anni, ha avuto come effetto un incremento del deficit di bilancio, aggravato naturalmente dalle spese militari connesse con la guerra in Iraq e oggi parzialmente compensato dalla non restituzione di una quota di prelievo fiscale ai contribuenti americani. In Giappone le previsioni sono attorno all'8 % del PIL per il 2003, lo stesso livello del 2002.

2.4

Nel suo ultimo Rapporto pubblicato il 2 aprile 2003, la Banca mondiale prevedeva per l'economia mondiale nel secondo semestre 2003, una crescita del 2,3 % (2,5 % negli USA, 1,4 % nella zona euro e 0,6 % in Giappone), ma i dati più recenti ci inducono a pensare che ci siano lenti segnali di ripresa dell'economia europea, ancora per altro tutti da verificare. Le stime congiunturali confermano l'attuale fase di crescita appena percettibile: secondo i dati Eurostat nell'ultimo quadrimestre del 2003 la crescita del PIL nella zona Euro è dello 0,4 %, percentuale uguale a quella dell'intera UE 15.

2.5

Nel corso degli ultimi mesi il conflitto in Iraq ha aggravato il clima di incertezza mondiale a livello politico e militare. Il prezzo del petrolio, dopo tale conflitto, non ha avuto il ridimensionamento previsto ed è invece cresciuto il livello delle tensioni con i paesi arabi e nel Medio oriente, con un particolare inasprimento del conflitto tra Israele e Palestina.

2.5.1

Gli economisti stimano che le persistenti difficoltà dell'economia mondiale non derivino da una penuria di credito, ma da un deficit di fiducia, aggravato ulteriormente dalla crisi internazionale.

2.5.2

In Europa lo stato di incertezza diffuso nel mondo economico-produttivo, ed in generale in tutta l'opinione pubblica, sul futuro della strategia dell'Unione europea in materia di politica economica e di bilancio, unita alla lentezza nell'attuazione della strategia di Lisbona e all'incognita sul Patto di stabilità, rappresentano l'ostacolo maggiore per una vera ripresa economica. Se il punto di riferimento continuerà a rimanere l'andamento del tasso di crescita dell'economia USA, l'economia europea non troverà autonomamente un suo slancio.

2.5.3

Quali sono dunque gli «spettri» da combattere per sollecitare una ripresa economica? Innanzitutto, la domanda interna debole in tutto il sistema UE (bassa crescita, disoccupazione stabile, bassa capacità di utilizzazione delle risorse umane).

3.   Rileggere il Patto?

3.1

Per la Commissione europea il mancato rispetto dei criteri fissati dal Trattato di Maastricht e dal Patto (3 % e 60 %) in alcuni paesi importanti come Francia e Germania, potrebbe creare un ostacolo oggettivo al tentativo di ripresa economica, di migliore coordinamento delle politiche di bilancio dell'area euro e di rilancio di politiche a favore dell'occupazione: ma da più parti si sostiene invece che l'ostacolo forse più serio alla realizzazione degli obiettivi del Patto è rappresentato da una applicazione restrittiva del Patto stesso e dalla mancanza di una strategia espansionistica a favore della domanda e dell'offerta nell'UE.

3.1.1

L'orientamento restrittivo del Patto ha determinato l'aggravarsi della situazione economica in alcuni Stati membri: ciò è avvenuto ad esempio in Portogallo, dove i tagli alla spesa pubblica corrente e agli investimenti, seppure necessari per la riduzione del disavanzo, hanno portato migliaia di persone alla disoccupazione. L'applicazione del Patto dovrebbe consentire l'uso anticiclico delle finanze pubbliche.

3.2

In molte occasioni la Commissione europea ha sostenuto che è proprio lo spostamento nel tempo dell'attuazione di misure di regolamentazione per il raggiungimento degli obiettivi fissati, a ingenerare sfiducia nello strumento, soprattutto in una fase in cui il fenomeno poco prevedibile di stagnazione/recessione mette ulteriormente in difficoltà il Patto.

3.3

Non basta: grandi organismi internazionali come l'FMI e l'OCSE suggeriscono di alzare la soglia di inflazione dal 2 % al 2,5 %. Ma, soprattutto, il dato di fatto riconosciuto in quasi tutti gli ambienti economici e finanziari è che lo strumento monetario non è l'unico utilizzabile per una realistica ripresa economica.

4.   Il Patto di stabilità e di crescita: uno strumento per uscire dalla crisi

4.1

Il Patto deve essere sostenuto da politiche mirate non solo al controllo dell'inflazione, all'aggiustamento e alla riduzione del debito, ma anche ad una maggiore sollecitazione della domanda interna e alla promozione degli investimenti pubblici e privati necessari al rilancio dell'economia nel quadro degli obiettivi fissati dalla strategia di Lisbona: questo è quanto ha sostenuto il CESE in più documenti.

4.2

Esaurito l'effetto «premio» rappresentato dall'entrata in vigore dell'euro, gli strumenti prioritari da attivare per stimolare crescita, sviluppo ed occupazione saranno quelli di rafforzamento delle politiche macroeconomiche, che dovrebbero essere soprattutto volti al rilancio della strategia di Lisbona, alla piena occupazione ed alla creazione di lavoro di qualità ed al rafforzamento della domanda e dell'offerta. La funzione degli stabilizzatori automatici nelle fasi di bassa congiuntura economica può inoltre favorire il sostegno alla domanda.

4.3

Il CESE ritiene insomma che le politiche a favore dell'occupazione dovrebbero essere uno dei criteri fondamentali di valutazione della crescita economica: è necessario in particolare che la politica in materia di coesione economica e sociale diventi un criterio di valutazione della crescita economica, il che consentirà ai paesi della coesione di accrescere le proprie spese di investimento in questo ambito.

4.4

La Banca centrale europea (BCE), in quanto custode della politica monetaria e della stabilità dei prezzi, ma anche organismo attento alla crescita economica ed occupazionale, potrebbe avere un ruolo ancora più forte di quello già stabilito dal Trattato: questo presuppone però un costante dialogo con le istituzioni europee (Consiglio, Commissione) e con le parti sociali. La Banca europea per gli investimenti (BEI), a sua volta, potrebbe svolgere il suo mandato armonizzando la sua attività con quella delle altre istituzioni europee e con i piani previsti dai governi nazionali, per sostenere lo sviluppo ed una maggiore coesione economica e sociale nell'UE.

4.4.1

Peraltro la BEI, in quanto strumento finanziario, ha come sua missione principale quella di contribuire alla realizzazione degli obiettivi e delle politiche dell'Unione. La programmazione multiannuale delle risorse di bilancio coordinata con la Commissione permetterebbe di ottimizzare l'impatto di tali misure per sostenere la coesione economica e sociale nell'UE nel quadro delle nuove prospettive finanziarie.

4.5

L'entrata poi di dieci nuovi paesi richiederà come per altro già previsto un ulteriore sforzo economico in termini di investimenti destinati alle infrastrutture e soprattutto in materia di formazione, sostegno alla ricerca e riforma della pubblica amministrazione.

4.6

Si ritiene indispensabile sostenere il Patto di stabilità con un'ampia campagna informativa, coinvolgendo direttamente anche i livelli intermedi della società (in primo luogo le parti sociali, ma anche le associazioni dei consumatori, ecc.), così come fu fatto a suo tempo per l'introduzione della moneta unica. La condivisione, la corresponsabilità ed una grande campagna di informazione dell'opinione pubblica sono stati la chiave del successo del Trattato di Maastricht e dell'adesione alla moneta unica ma fino ad ora non è stato fatto nulla di analogo per il Patto di stabilità e crescita.

4.7

Sarebbe inoltre opportuno rivedere la definizione delle circostanze eccezionali che autorizzano nel Patto il superamento della soglia del 3 %, dando così maggiore respiro ad economie in difficoltà o che hanno registrato una crescita annua negativa.

4.7.1

Una circostanza eccezionale, in particolare, potrebbe essere quella in cui uno Stato fissa un massimale di crescita della spesa pubblica nel lungo periodo. Ciò tuttavia, andrebbe fatto tenendo conto della situazione in cui versa ciascun paese e prevedendo un monitoraggio a livello europeo. In questo modo, gli obiettivi sarebbero adeguati alla congiuntura e alla fase ciclica di ciascun paese.

4.8

Un vero e proprio piano strategico europeo dovrà riprendere la strada intrapresa più di dieci anni fa con il Libro bianco di Jaques DELORS e seguita fino al rafforzamento degli obiettivi di Lisbona, e cioè sostenere l'efficacia del Patto di stabilità e di crescita su un terreno politico. Ripensare un diverso governo del Patto implica la riconsiderazione di una strategia comune di crescita per l'Unione, da realizzare anche attraverso la politica fiscale. A tale fine, si ribadisce l'importanza di una sufficiente flessibilità nel valutare deviazioni dalla regola del «close to balance» per permettere gli investimenti in attività favorevoli alla crescita. Le infrastrutture sono certamente necessarie ad un mercato ormai esteso a 25 paesi, ma la chiave di volta è soprattutto quella degli investimenti nelle risorse umane e nel futuro dell'UE: ricerca, dunque, ma anche istruzione scolastica ed universitaria, destinata alle nuove generazioni ed alle sfide della competitività, poi formazione nell'arco della vita, ecc.

5.   Gli investimenti di interesse europeo destinati al raggiungimento degli obiettivi fissati a Lisbona sono da escludere dalla contabilità del deficit pubblico.

5.1

Le previsioni disattese e la relativa mancanza di investimenti possono ulteriormente contribuire ad accentuare il ritardo di sviluppo dei nuovi paesi membri dell'UE: se non aiutati adeguatamente nella crescita e nella creazione di nuovi posti di lavoro qualificati e competitivi, questi potrebbero alimentare sacche di povertà e di emarginazione pericolose e poco sostenibili per l'intero sistema economico e sociale dell'Unione.

5.2

Ripensare ad un «governo» diverso del Patto comporta politiche di bilancio flessibili ed espansive, che contengano al loro interno una strategia comune di crescita e di coesione: si dovrebbero dunque considerare gli investimenti strategici e quelli finalizzati alla crescita come non contabilizzabili nel deficit di bilancio e prevedere che sia il Consiglio, in accordo con la Commissione, a definire cosa si intende per «investimenti strategici» di interesse europeo, così come già delineato nel Libro bianco di DELORS e negli obiettivi di Lisbona.

5.3

Come già affermato nel rapporto della Commissione presentato in vista del vertice di primavera del marzo 2003 («Opter pour la croissance»), bisognerà favorire tutti gli aspetti della catena della conoscenza - dall'educazione di base alla ricerca avanzata, passando anche da iniziative per migliorare le competenze in materia di gestione delle imprese.

5.4

Per questo sarebbe anche importante arrivare ad un'armonizzazione dei criteri dei sistemi fiscali, in cui i principi di equità, proporzionalità ed efficienza siano universalmente garantiti, monitorati dall'UE e sostenuti dai cittadini europei.

5.5

Un sistema fiscale nazionale monitorato in sede europea garantisce, non solo un andamento della spesa corrente sano, ma anche - potenzialmente - un contributo importante agli investimenti pubblici destinati al rilancio dell'intero sistema economico ed occupazionale, nazionale ed europeo.

5.6

Una politica fiscale sana limita il più possibile l'utilizzo di misure una tantum, condoni fiscali, ecc., che potrebbero alimentare forme irresponsabili di gestione delle politiche nazionali di bilancio.

5.7

A questo proposito, andranno indicati quali sono gli investimenti utili alla crescita e andranno concordati criteri comuni a tutti i paesi europei, ferme restando naturalmente le diverse realtà e le diverse necessità di crescita. Questo potrebbe implicare anche una riflessione sul diverso ruolo della BCE, non più solo «custode» della politica monetaria ma anche strumento strategico per la crescita e lo sviluppo economico, nonché un sostegno alla Commissione, che vedrebbe rafforzato il suo ruolo di monitoraggio e valutazione degli investimenti strategici ex ante ed ex post.

5.8

Il Comitato economico e sociale europeo ritiene dunque che vada garantita la realizzazione dell'intero potenziale europeo di crescita economica ed occupazionale, preservando allo stesso tempo la stabilità macroeconomica, particolarmente nell'area euro.

5.9

Gli investimenti necessari al raggiungimento di tale obiettivo necessitano di maggiore cooperazione a livello macroeconomico, di consenso, di standard comuni e di comportamenti «virtuosi» ed armonizzati da parte dei governi nazionali. A livello europeo, il metodo di coordinamento aperto potrebbe rappresentare, grazie alla sua agilità, uno degli strumenti più efficaci per la definizione di interventi utili, finalizzati al rilancio dell'economia e dell'occupazione.

5.10

L'obiettivo è quello di mirare alla crescita ed alla coesione economica e sociale sulla base di un terreno comune, concertato e condiviso da tutti gli attori sociali (istituzioni nazionali e sopranazionali, governi, parti sociali e gruppi di interesse) nel rispetto delle regole comunitarie.

5.11

Il Comitato economico e sociale europeo potrà avere un ruolo importante nella sua funzione riconosciuta e consolidata di consultazione e monitoraggio dei percorsi definiti dal Patto di stabilità e di crescita.

Bruxelles, 26 febbraio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Cfr. Marco BUTI «Maastricht's fiscal rules at ten: an assessment» (Vol. 40, n. 5 - dicembre 2002).

(2)  GU C 287 del 22.9.1997, pag. 74.

(3)  FITOUSSI «La règle et le choix» Seuil 2002.


A L L E G A T O

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Il seguente emendamento è stato messo ai voti e respinto nel corso del dibattito (cfr. articolo 54, paragrafo 3 del Regolamento interno):

Punto 5.2

Sostituire il paragrafo con quanto segue:

In sede di riesame e di applicazione delle regole del Patto si dovrebbe tenere conto dell'esigenza di politiche di bilancio sufficientemente flessibili a sostegno di una strategia comune di crescita e di coesione a medio termine. Le regole modificate dovrebbero comprendere una definizione chiara di deficit di bilancio, in modo tale da consentire l'assunzione di prestiti per finanziare investimenti strategici entro l'ambito di applicazione di politiche macroeconomiche anticongiunturali discrezionali e da restare estraneo alle discipline a breve termine che regolano l'entità consentita dei disavanzi correnti.

Risultato del voto:

Voti a favore: 43, voti contrari: 61, astensioni: 8.


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 110/116


Parere del Comitato ecoomico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1782/2003 che stabilisce norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto nell'ambito della politica agricola comune e istituisce taluni regimi di sostegno a favore degli agricoltori»

(COM(2003) 698 def. - 2003/0278(CNS)).

(2004/C 110/20)

Il Consiglio, in data 1o dicembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 37, paragrafo 2, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 febbraio 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore MORALEDA QUILEZ e dai correlatori FAKAS, KIENLE e SANTIAGO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 febbraio 2004, nel corso della 406a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 58 voti favorevoli, 7 voti contrari e un'astensione.

1.   Introduzione

1.1

Il 26 giugno 2003, i ministri europei dell'agricoltura hanno adottato a Lussemburgo una riforma radicale della PAC, lasciando agli Stati membri la responsabilità di applicarla tra il 2005 e il 2007. L'accordo includeva anche una dichiarazione comune del Consiglio e della Commissione relativa a talune colture per le quali venivano mantenuti gli stessi principi, le stesse norme, una stessa prospettiva di bilancio a lungo termine (2013) e lo stesso quadro finanziario attuale (status quo).

1.2

Nell'introduzione della proposta in esame, la Commissione afferma che, a partire dal 1992, la politica agricola comune (PAC) è stata al centro di un profondo processo di riforma finalizzato a consentire la transizione da una politica basata sui prezzi e sul sostegno alla produzione ad una politica più globale di sostegno al reddito degli agricoltori. È in questa tendenza che si iscrive l'adozione del regolamento (CE) n. 1782/2003 che stabilisce norme comuni per i regimi di sostegno diretto nell'ambito della politica agricola comune e istituisce taluni regimi di sostegno a favore degli agricoltori.

1.3

Il disaccoppiamento degli aiuti diretti ai produttori e l'introduzione di un regime di pagamento unico costituiscono elementi portanti della riforma della PAC. La prossima fase del processo di riforma consisterà nell'integrazione degli attuali regimi di sostegno applicabili al cotone, all'olio d'oliva ed alle olive da tavola, al tabacco ed al luppolo nel regolamento di cui sopra.

2.   Osservazioni generali

2.1

Il CESE desidera ricordare che la politica agricola comune è stata creata per realizzare gli obiettivi definiti nel Trattato che istituisce la Comunità europea, ovvero: stabilizzare i mercati, accrescere la produttività, garantire un livello di vita equo agli agricoltori ed elevarne il reddito. Le proposte avanzate dalla Commissione relativamente ai settori in questione può compromettere il conseguimento di tali obiettivi: esse non garantiscono infatti la produzione delle colture interessate, non tengono conto dei produttori delle zone svantaggiate, non promuovono la competitività e non assicurano il rispetto dell'ambiente.

2.2

I lavori preparatori della riforma di giugno hanno esaminato, in taluni casi, l'impatto che l'applicazione dei diversi modelli avrebbe avuto sulle aziende e sui territori. In tal modo, il Parlamento europeo, nel corso dell'audizione del settembre scorso sull'evoluzione degli introiti delle aziende agricole dell'Unione europea, ha raccomandato di prestare maggiore attenzione, in sede di future riforme, all'analisi ed alla valutazione delle relative conseguenze. Il CESE desidera rammentare che di tutto ciò non si è tenuto conto e raccomanda che la situazione non si ripeta più in avvenire.

2.3

A parere del CESE, il disaccoppiamento degli aiuti nei settori in questione, così come proposto, comporterebbe tutta una serie di problemi, in particolare per il fatto che l'aiuto tradizionale per azienda, proposto dalla Commissione, prende come riferimento un periodo anteriore senza correggere o addirittura acuendo gli squilibri sociali e territoriali esistenti. Esso renderebbe inoltre più difficile l'integrazione specie dei giovani agricoltori ed avrebbe effetti negativi sui terreni in affitto mettendo in pericolo il mantenimento della produzione in talune regioni.

2.4

Le colture contemplate nella proposta sono supportate da un forte tessuto sociale, sotto il profilo della produzione come della trasformazione e del trattamento. Si tratta di conseguenza di colture eminentemente «sociali» vista l'occupazione che generano per l'alta intensità di mano d'opera che le caratterizza e per la predominanza in determinate regioni dell'Unione europea. Il CESE ritiene che le ripercussioni sociali ed occupazionali delle proposte della Commissione sarebbero particolarmente nefaste, perché riguarderebbero regioni che accusano già un alto tasso di disoccupazione.

2.5

La maggior parte dei settori interessati dalla proposta della Commissione si trovano in regioni mediterranee classificate come poco sviluppate, svantaggiate dallo spopolamento o montane. Il CESE ritiene pertanto che la Commissione dovrebbe tener conto delle conclusioni del Consiglio europeo del 24 e 25 ottobre 2002 che sottolineano la necessità di tutelare gli interessi dei produttori delle regioni meno favorite dell'attuale Unione europea a 15.

2.6

La Commissione intende rafforzare il secondo pilastro della PAC (sviluppo rurale) trasferendo fondi dai settori in questione a misure contemplate nel regolamento (CE) n. 1257/1999 sullo sviluppo rurale. Il Comitato ritiene tuttavia che lo sviluppo rurale delle regioni in questione implichi in effetti il mantenimento dell'attività socioeconomica attuale fondata sulle colture esistenti. Considera quindi prioritario che le riforme previste garantiscano e valorizzino al massimo la multifunzionalità, dando espressione concreta alle conclusioni dei Consigli di Lussemburgo (1997) e di Berlino (1999).

2.7

Le nuove regole in materia ambientale recentemente adottate per gli aiuti diretti, quelle che condizionano la concessione degli aiuti al rispetto dell'ambiente come quelle che impongono l'osservanza delle buone pratiche compatibili con la conservazione delle risorse naturali, garantiscono la gestione sostenibile delle terre occupate dalle colture in questione.

2.8

Inoltre, sulla scorta della decisione del Consiglio europeo di Goteborg di aggiungere una dimensione ambientale alla strategia di Lisbona (strategia per la riforma economica e sociale), il CESE ritiene che la strategia di sviluppo sostenibile dell'Unione debba tutelare l'equilibrio tra crescita economica, benessere, giustizia sociale e protezione ambientale, aspetti che la proposta della Commissione deve tenere in debito conto al fine di preservare il tessuto sociale ed economico e garantire la conservazione delle risorse naturali nelle regioni interessate.

2.9

Il CESE ritiene che una riduzione delle superfici coltivate nei settori in questione avrà gravi conseguenze per le attività agricole che subentreranno loro; il fatto che si tratti spesso di settori soggetti ad un regime di contingentamento rischia infatti di provocare nuove distorsioni della concorrenza e ripercussioni economiche, sociali e persino ambientali.

2.10

A parere del CESE, prima di avviare una qualsiasi modifica degli attuali regimi occorre procedere ad analisi specifiche per settore e per regione sui possibili effetti del diverso grado di disaccoppiamento degli aiuti (effetti sul mercato, sul territorio, sull'occupazione e sull'ambiente). Sotto questo profilo risulta particolarmente importante effettuare una valutazione dell'impatto territoriale delle misure proposte. Per il CESE il disaccoppiamento totale degli aiuti può dare adito ad un calo della produzione delle colture in questione, in regioni già svantaggiate, creando effetti negativi a livello ambientale, quali l'accelerazione della desertificazione nelle zone agricole più vulnerabili e con processi erosivi in costante aumento.

2.11

Fondandosi su riferimenti storici a livello di superficie e di quantitativi prodotti, la Commissione non deve dimenticare la realtà produttiva dei diversi settori. Occorre quindi tener conto dei vari dati sulla base della realtà statistica di questi ultimi anni.

2.12

Il Comitato ritiene che, in base al disposto del regolamento (CE) n. 1782/2003 del Consiglio che stabilisce regole comuni applicabili ai regimi di aiuto diretto nel quadro della politica agricola comune, la possibilità offerta agli Stati membri di fissare la data di entrata in vigore del nuovo regime di aiuti tra il 2005 ed il 2007 vada resa più flessibile in linea con quanto previsto per gli altri settori ove si applicano disposizioni analoghe.

2.13

Dinanzi all'insuccesso della Conferenza ministeriale di Cancún, il CESE non comprende come la Commissione possa mantenere i medesimi principi con cui sono stati avviati i negoziati senza trarre le dovute conseguenze sull'adeguatezza della strategia seguita dall'Unione europea.

2.14

Infine, per quanto riguarda le decisioni adottate in giugno, il Comitato sostiene la necessità di stabilire uno stesso trattamento per tutti i settori attualmente interessati dalle riforme, lasciando agli Stati membri un apposito margine di manovra per la loro applicazione.

COTONE

3.   Sintesi della proposta

3.1

Come è noto, la Commissione propone di trasferire la quota della spesa del FEAOG destinata al sostegno ai produttori di cotone nel periodo di riferimento 2000-2002, al finanziamento di due misure di sostegno al reddito dei produttori: il regime di pagamento unico per azienda e un nuovo aiuto alla produzione, erogato sotto forma di aiuto alla superficie. L'importo totale per entrambe le misure sarebbe di 695,8 milioni di euro, di cui 504,4 per la Grecia, 190,8 per la Spagna e 0,565 per il Portogallo.

3.2

La Commissione raccomanda di trasferire il 60 % della spesa destinata al sostegno ai produttori, per ciascuno Stato membro, al regime di pagamento unico per azienda, sotto forma di nuovi aiuti da erogare indipendentemente dal fatto che il beneficiario coltivi cotone o meno. L'importo globale da trasferire al regime di pagamento unico ammonta a 417,3 milioni di euro (302,4 per la Grecia, 114,5 per la Spagna e 0,365 per il Portogallo).

3.3

La Commissione propone che il restante 40 % della spesa per il sostegno, pari a 202 milioni di euro per la Grecia, 76,3 milioni di euro per la Spagna e 0,2 milioni di euro per il Portogallo (per un totale di 278,5 milioni di euro), venga mantenuto dagli Stati membri in forma di dotazioni finanziarie nazionali intese a permettere l'erogazione ai produttori dei nuovi aiuti per superficie (per ettaro di cotone) in zone idonee alla coltura del cotone, al fine di impedirne l'abbandono. Il nuovo aiuto per superficie è limitato a una superficie massima di 425.350 ha, di cui 340.000 in Grecia (pari all'11 % in meno rispetto alle superfici ammissibili del periodo di riferimento), 85.000 in Spagna (pari al 5 % in meno rispetto alle superfici ammissibili del periodo di riferimento) e 360 in Portogallo.

3.4

Infine, la Commissione propone di trasferire un importo totale di 102,9 milioni di euro (82,68 per la Grecia, 20,13 per la Spagna e 0,12 per il Portogallo) al secondo pilastro della PAC per finanziare misure di ristrutturazione nel quadro dello sviluppo rurale.

4.   Introduzione

4.1

Il settore del cotone non si basa su un'organizzazione comune di mercato, bensì sui protocolli 4 e 14 allegati agli atti di adesione rispettivamente di Grecia e Spagna, che hanno instaurato un regime destinato in particolare:

a sostenere la produzione di cotone nelle regioni della Comunità in cui essa espleta un ruolo importante per l'economia agricola,

a permettere un equo reddito per i produttori interessati e

a stabilizzare il mercato mediante il miglioramento delle strutture a livello dell'offerta e della commercializzazione.

4.2

Con il compromesso di Lussemburgo del 26 giugno 2003 sulla riforma della PAC, per l'agricoltura europea è iniziato il cammino verso il disaccoppiamento tra aiuti e produzione. Il compromesso contiene tra l'altro una dichiarazione comune del Consiglio e della Commissione (punto 2.5) (1) sul secondo pacchetto di proposte della Commissione per i prodotti mediterranei (tabacco, cotone, olio d'oliva), che caldeggia:

l'adozione di stessi principi e di stesse norme,

una medesima prospettiva a lungo termine (2013),

il rispetto del quadro finanziario vigente (status quo).

4.3

Il Comitato considera il pieno rispetto del compromesso una condizione imprescindibile e invita la Commissione a dar prova dell'adeguata trasparenza nella fase di negoziazione al Consiglio, come pure a rettificare le incoerenze che compaiono nella sua proposta relativamente alle modalità ed ai termini per l'esecuzione della riforma. Il CESE pretende solo che questi settori possano fruire delle stesse condizioni definite all'unanimità per gli altri settori della PAC il 26 giugno 2003.

5.   Osservazioni generali

5.1

La coltura del cotone presenta una grande importanza economica e sociale per talune regioni dell'UE. Il settore primario occupa circa 300 000 persone, mentre oltre 100 000 sono impiegate nel secondario. Nel 2002, la produzione di cotone ha raggiunto in Grecia il 9 % della produzione agricola complessiva, mentre in Spagna è stata pari all'1,5 % del totale (percentuale che raggiunge il 4 % in Andalusia).

5.2

Si contano 71 600 aziende in Grecia e 7 600 in Spagna, con la differenza che quelle greche sono mediamente di dimensioni molto più ridotte: un'azienda greca, infatti, ha una superficie media di 4,9 ha rispetto ai 12 ha di una spagnola.

5.3

Il Comitato non condivide l'analisi della Commissione, né concorda con la valutazione secondo cui le superfici destinate alla coltura non diminuiranno. In Grecia, negli ultimi anni, tali superfici hanno subito una costante riduzione, al punto che dai 440 000 ha del 1995 si è passati agli attuali 380 000. Un'analoga contrazione si è registrata in Spagna, dove le superfici coltivate a cotone ammontano oggi a 90 000 ha a fronte dei 135 000 del 1988. Di conseguenza il CESE considera del tutto ingiustificata la proposta di ridurre le superfici ammissibili, specie laddove la riduzione varia in funzione del paese (11 % in Grecia e del 5 % in Spagna).

5.4

Su scala internazionale, il ruolo di produttore dell'Unione europea è modesto: essa contribuisce solo per l'1,5 % al totale delle superfici coltivabili e per il 2,5 % alla complessiva produzione mondiale di cotone. I principali paesi produttori sono Cina (22,6 %), USA (20,1 %), India (13,1 %) e Pakistan (9 %).

5.5

L'UE, che importa 708 000 tonnellate di cotone sgranato e ne esporta 227 000, è il primo importatore netto su scala mondiale. Si osservi che le importazioni provengono per 2/3 da paesi in via di sviluppo e non sono soggette a dazi doganali. Va inoltre aggiunto che il cotone europeo viene esportato senza sovvenzioni all'esportazione. Il CESE non condivide la posizione della Commissione e non comprende in che modo il commercio mondiale potrebbe subire delle distorsioni considerato che l'Unione europea importa cotone in tali proporzioni in esenzione da dazi doganali, ed esporta solo piccoli quantitativi, per di più senza sovvenzioni.

5.6

Il CESE ricorda che alla Conferenza intergovernativa di Cancún il regime di aiuti al cotone è stato oggetto di ingiusti attacchi, dovuti probabilmente all'allineamento della strategia dell'Unione europea a quella degli USA. Il Comitato ritiene quindi che l'UE non abbia alcun motivo per accogliere con tale celerità i reclami avanzati da quattro paesi africani (Burkina Faso, Benin, Mali e Ciad) nel quadro del vertice di Cancún riguardo alla soppressione degli aiuti alla produzione di cotone. Nessun interlocutore serio può sostenere che l'UE sia in grado di influenzare i prezzi internazionali, tenuto conto che la sua produzione è pari solo al 2,5 % di quella mondiale.

5.7

Il cotone è la fibra tessile di origine naturale che dovrà guadagnare sempre più terreno rispetto alle fibre sintetiche. Il cotone prodotto nell'UE è di buona qualità, anche se esistono margini per un suo ulteriore miglioramento: l'industria tessile europea necessita infatti di cotone di prima qualità per far fronte alla concorrenza internazionale. Sotto questo profilo, il Comitato sottoscrive tutte le proposte della Commissione finalizzate a un ulteriore miglioramento della qualità.

5.8

Il 22 maggio 2001, il Consiglio ha adottato il Regolamento n. 1051/2001 che riforma il regime di aiuti al settore del cotone. Il nuovo dispositivo ha funzionato in modo soddisfacente dal punto di vista sia della produttività delle aziende che della limitazione delle superfici coltivate e della riduzione dei danni all'ambiente. Il CESE non comprende perché, dopo soli due anni, la Commissione propone un sistema completamente diverso senza neanche attendere i risultati della riforma del 2001 e senza procedere preventivamente ad uno studio dell'impatto, analogamente a quanto avvenuto con i settori riformati nel giugno 2003 e con il tabacco.

6.   Osservazioni specifiche

6.1

La Commissione propone di trasferire risorse per 102,9 milioni di euro dal primo al secondo pilastro. Nella sostanza, tale proposta grava doppiamente sui produttori di cotone, i quali già contribuiscono allo sviluppo agricolo attraverso il regolamento orizzontale e la modulazione degli aiuti (riduzione del 3 % nel 2005, del 4 % nel 2006 e del 5 % dal 2007 in poi, laddove il pagamento unico superi i 5 000 euro annui). Una tale misura non esiste per nessun settore, tranne per il tabacco e il cotone. Il Comitato giudica che ciò violi il compromesso di Lussemburgo e invita la Commissione a riesaminare la sua posizione.

6.2

Il Comitato ritiene che, a prescindere dalle misure orizzontali obbligatorie previste a tutela dell'ambiente, i programmi ambientali complementari a cura degli Stati membri potranno favorire lo sforzo di controllo della produzione e la protezione dell'ambiente. Al momento di determinare le superfici ammissibili, bisognerà tenere conto, fra gli altri criteri, anche delle caratteristiche socioeconomiche delle produzioni interessate.

6.3

Il CESE ritiene inaccettabile la clausola di revisione specifica applicabile solo ai prodotti mediterranei e reclama la soppressione dell'articolo 155 bis relativo alle proposte legislative da presentare entro il 31 dicembre 2009. Propone invece che dette colture vengano incluse nel campo d'applicazione dell'articolo 64, paragrafo 3 del regolamento orizzontale (1782/2003), che prevede la presentazione di una relazione di valutazione.

7.   Conclusioni

7.1

Il cotone coltivato nell'Unione europea non potrà mantenere una posizione competitiva nei mercati mondiali a causa dei costi di produzione molto più elevati che negli altri paesi. Occorre sottolineare che gli altri paesi produttori sviluppati (sostanzialmente gli USA) concedono al cotone sovvenzioni spesso più elevate di quelle dell'UE e che nei paesi in via di sviluppo i costi sono molto più bassi per via del dumping sociale.

7.2

Il CESE ritiene che i principi dell'apertura commerciale totale e del disaccoppiamento degli aiuti non siano applicabili in un settore come quello del cotone che è soggetto a forti fluttuazioni relativamente all'andamento dei prezzi mondiali, e che è caratterizzato da marcati contrasti tra i prezzi praticati all'interno ed all'esterno dell'UE.

7.3

Laddove la Commissione, nonostante tutte le raccomandazioni del CESE, dovesse persistere nell'intenzione di integrare il settore del cotone nel regime di disacccoppiamento, il Comitato reclamerà l'applicazione integrale del compromesso di Lussemburgo del 26 giugno 2003 relativamente alle modalità di esecuzione.

7.4

A giudizio del Comitato, i problemi registratisi a Cancún nell'ambito delle trattative OMC sul cotone non dovrebbero influire sul contesto negoziale in sede di Consiglio. L'UE, con le sue esigue superfici coltivate (1,5 %) e la sua produzione di cotone pari solo al 2,5 % del totale mondiale, non ha alcuna influenza sui prezzi mondiali. Cedendo alle pressioni di Cancún, l'UE non solo non aiuterà i paesi in via di sviluppo, ma metterà in discussione e invaliderà il modello agricolo europeo. Il Comitato ritiene che il cotone non vada trattato come un settore a sé stante in sede di negoziati OMC, ma vada invece integrato nel capitolo relativo all'agricoltura.

OLIO D'OLIVA

8.   Introduzione

8.1

La prima organizzazione comune di mercato nel settore dell'olio, creata nel 1966 dal regolamento 136/66/CEE, ha funzionato per 31 anni ed ha avuto un impatto molto positivo sull'ammodernamento degli oliveti e sui settori della trasformazione e della commercializzazione.

8.2

Nel 1998 il regime di intervento è stato sostituito da un meccanismo di ammasso privato, gli aiuti al consumo sono stati aboliti e le restituzioni alle esportazione fissate a zero.

8.3

L'aiuto alla produzione concesso a tutti i produttori in base ai quantitativi di olio prodotti ed all'equivalente in olive da tavola è di 1322,5 euro per tonnellata. Detto valore viene corretto ogniqualvolta gli Stati membri superano i rispettivi ONG.

8.4

Sebbene il settore dell'olio non rientrasse nel pacchetto di riforma approvato a Lussemburgo, lo stesso Consiglio ha invitato la Commissione a presentare nel 2003 una proposta di modifica dell'OCM dell'olio d'oliva fondata sui principi della nuova PAC.

9.   La proposta della Commissione

9.1

La Commissione propone:

che gli aiuti concessi al settore siano indipendenti dalla produzione effettiva di olio e di olive da tavola di ciascun produttore,

che la concessione dell'aiuto non obblighi alla raccolta delle olive, né alla produzione di olio o di olive da tavola,

che il pagamento dell'aiuto dipenda unicamente dal rispetto delle regole in materia di buone pratiche agricole.

9.2

Tuttavia, nel timore che il disaccoppiamento totale dell'aiuto causasse problemi di abbandono in talune zone di produzione tradizionali, con conseguente deterioramento della copertura del suolo e del paesaggio e con impatti sociali negativi, la Commissione ha fissato due tipi di aiuti:

un aiuto diretto e disaccoppiato agli agricoltori, pari al 60 % della media dei pagamenti effettuati nel triennio 2000-2002,

un aiuto per ettaro, vincolato al mantenimento delle superfici coltivate ad olivo con valore ambientale e sociale di riconosciuta importanza, pari al 40 %, espresso in ettaro SIG olivi; agli Stati membri incombe il compito di stabilire delle categorie (fino ad un massimo di cinque) in funzione di criteri ambientali e sociali, connessi in particolare ai paesaggi e alle tradizioni sociali.

9.3

Nel timore che il nuovo sistema di aiuti possa alterare l'equilibrio instabile del mercato dell'olio d'oliva, la Commissione limita l'accesso al regime di pagamento unico alle superfici olivicole esistenti prima del 1o maggio 1998 ed ai nuovi oliveti previsti nel quadro di programmi da essa approvati.

9.4

Con la scadenza del regolamento 136/66/CEE e dopo una campagna di commercializzazione intermedia di otto mesi, nel 2004 entrerà in vigore una nuova legislazione (1/11/2004 - 30/6/2005).

9.5

Le attuali misure di ammasso privato di olio vanno mantenute e andranno rafforzate le misure relative al miglioramento della qualità.

10.   Osservazioni di carattere generale

10.1

Il Comitato accoglie con grande favore l'affermazione della Commissione secondo cui «il settore dell'olio costituisce un elemento chiave del modello agricolo dell'Unione europea» ed il riferimento al fatto che, nonostante la fissazione a tasso zero delle restituzioni all'esportazione sin dal 1998, nel corso degli ultimi dieci anni le esportazioni dell'Unione sono raddoppiate.

10.2

Lo sforzo compiuto dal settore in materia di qualità e di organizzazione del mercato, di espansione e conquista di nuovi segmenti di mercato, insieme al riconoscimento delle proprietà dell'olio d'oliva nella prevenzione di talune patologie, in particolare cardiovascolari, ha avuto un peso significativo nel progressivo aumento del consumo mondiale di questo prodotto.

10.3

Il CESE ricorda che il ruolo dell'olivicoltura nella creazione di posti di lavoro, nella lotta alla desertificazione e nella protezione della biodiversità è già stato ampiamente evidenziato in precedenti pareri ove il Comitato sostiene che «l'oliveto rappresenta il bosco produttivo più meridionale dell'UE e svolge un importante ruolo sociale e ambientale in zone in cui è difficile sostituirlo con altre coltivazioni; esso rende inoltre possibile il mantenimento e il radicamento della popolazione rurale» (2).

10.4

Anche per quel che concerne l'attuale riforma della politica agricola comune il CESE, tanto nel parere su «Il futuro della PAC» (3) come in quelli sulla «Revisione intermedia della PAC» (4) e «Revisione della PAC 2003» (5), ha ripetutamente messo in guardia la Commissione sul fatto che un disaccoppiamento totale degli aiuti potrebbe comportare, in determinate regioni e in determinate colture, un abbandono della produzione con ripercussioni gravi sull'occupazione e sul tessuto sociale delle zone rurali interessate.

10.5

Questo rischio forte ed evidente è contrario all'obiettivo principale di qualsiasi riforma dell'OCM, mantenere cioè una coltura ed il relativo tessuto economico e sociale che essa supporta, specie se localizzata in regioni svantaggiate dell'Unione e se caratterizzata da un'alta intensità di mano d'opera (in alcuni casi si tratta del 90 % dei posti di lavoro del settore agricolo).

10.6

Il CESE nota con soddisfazione che la Commissione ha preso atto di questi timori ed ha considerato più prudente proporre, per alcuni dei settori interessati dalla proposta accolta dal Consiglio di Lussemburgo, un disaccoppiamento parziale degli aiuti, lasciando agli Stati membri la possibilità di fissare la percentuale non vincolata agli aiuti.

10.7

Il Comitato rileva con sorpresa che questo criterio non è stato seguito nella proposta di regolamento in esame.

10.8

La concessione di un ulteriore aiuto del 40 % agli oliveti, del tutto svincolato dalla produzione, comporterà inevitabilmente l'abbandono tecnico della coltura, specie nelle zone a più bassa produttività e/o a costi di produzione molto elevati.

10.9

In effetti, queste zone sono condizionate da un complesso insieme di fattori che comportano considerevoli oneri aggiuntivi per la coltura in questione candidandola potenzialmente all'abbandono.

10.10

Al contempo, tale scenario implicherà la chiusura delle unità di trasformazione connesse per mancanza di materia prima, ed imporrà un abbandono forzato alle aziende che pur presentavano una certa competitività produttiva.

10.11

Il CESE invita la Commissione a conseguire gli obiettivi previsti dalla riforma del regolamento 136/66, modificato mediante il regolamento 1638/98, che ha dato luogo ad un periodo di transizione volto a lasciare alla Commissione il tempo necessario per ottenere dati precisi sulla realtà produttiva dell'olivo nell'Unione europea e delineare così un nuovo sistema fondato su argomentazioni solide, poggiato sulla realtà produttiva del settore e sulle statistiche degli ultimi anni.

11.   Osservazioni specifiche

11.1

Il CESE richiama l'attenzione sul fatto che a norma dell'articolo 155 bis del Titolo IV – Trasferimenti finanziari, la Commissione presenterà al Consiglio entro il 31 dicembre 2009 una relazione sull'attuazione del regolamento stesso corredata, se del caso, di proposte legislative.

11.2

Il CESE ritiene inaccettabile la clausola di revisione specifica applicabile unicamente ai prodotti mediterranei e ne reclama la soppressione. Propone invece che il settore venga incluso nel campo d'applicazione dell'articolo 64, paragrafo 3, del regolamento orizzontale (1782/2003) che prevede la presentazione di un rapporto di valutazione.

11.3

Non si capisce perché, in un settore così vulnerabile, rilevante solo ed esclusivamente per i paesi del Mediterraneo, non si permetta agli Stati membri, relativamente al 40 % dell'aiuto destinato alla protezione ambientale, di utilizzare un sistema analogo a quello previsto agli artt. 66, 67 e 68 della sezione 2, cap. V del reg. 1728 del 26.7.2003 (seminativi, ovini e caprini) in virtù del quale ciascuno Stato membro potrà decidere la percentuale di aiuto accoppiato che preferisce.

11.4

In effetti, il disaccoppiamento totale della produzione può implicare, specie nelle zone a bassa produttività, un pericolo reale di abbandono della coltura con conseguenze deleterie sull'occupazione locale e sull'indotto, nonché sull'occupazione del territorio. D'altro canto, è necessario applicare il principio della sussidiarietà agli aiuti aggiuntivi in modo da ripartirli in base a criteri definiti da ciascuno Stato membro, per quanto riguarda sia la quantità che il sistema di sostegno.

L'aiuto deve comunque garantire:

il mantenimento dell'attività produttiva dell'ulivo e del suo indotto, assicurando con i necessari controlli la trasparenza del mercato, nonché la qualità e la rintracciabilità del prodotto,

il mantenimento degli oliveti a basso rendimento, che svolgono un ruolo fondamentale dal punto di vista socioeconomico e ambientale.

11.5

Per tale motivo, il CESE insiste che, analogamente al disposto del regolamento 1728/2003 del 29 settembre 2003, agli Stati membri venga concessa la possibilità di fissare la percentuale di aiuto vincolata alla produzione e la campagna alla quale applicare il pagamento unico.

11.6

Il Comitato ritiene che bisognerebbe prendere in considerazione le disposizioni del Consiglio, specie per quanto attiene all'ammissibilità delle superfici delle nuove piantagioni autorizzate dal Consiglio nel 1998 ed alla relativa dotazione di bilancio.

11.7

A parere del CESE, i fondi dell'attuale OCM corrispondenti a misure che si vogliono sopprimere (ad esempio, le restituzioni all'esportazione, gli aiuti all'utilizzazione di olio d'oliva nelle conserve ed il finanziamento delle agenzie di controllo) devono permanere nella dotazione finanziaria del settore attribuita a ciascuno Stato membro.

TABACCO

12.   Sintesi delle proposte della Commissione

12.1

La proposta di regolamento prevede il disaccoppiamento totale degli aiuti secondo lo schema già delineato nella Comunicazione della Commissione del settembre scorso (6). Per il tabacco è previsto un disaccoppiamento progressivo in tre tappe.

12.2

Viene riproposta la costituzione di una dotazione finanziaria destinata alla ristrutturazione delle zone interessate, composta di una percentuale dell'attuale premio, da gestire nell'ambito delle misure di sviluppo rurale al fine principale di favorire la riconversione delle zone produttrici di tabacco.

12.3

La proposta di regolamento include anche una revisione della riforma proposta da effettuarsi nel 2009.

13.   Introduzione

13.1

Il CESE desidera segnalare quanto segue:

il tabacco è una pianta annuale la cui coltura ha ripercussioni sociali molto rilevanti in tutta Europa; la stessa Commissione dispone di studi che riconoscono l'importanza sociale e culturale di questa produzione che dà vita, nelle zone interessate, ad una notevole rete di servizi. In Europa i posti di lavoro direttamente connessi alla produzione di tabacco sono 453 887 (7); va inoltre ricordato che l'80 % del tabacco europeo viene coltivato in zone dell'obiettivo 1,

l'importanza della mano d'opera nella tabacchicoltura viene riconosciuta dalla stessa Commissione (8) quando sottolinea che si tratta di una delle produzioni europee a più alta intensità di mano d'opera. Mediamente, l'agricoltore europeo necessita di 2 200 ore di lavoro annuali per coltivare un ettaro, contro le 147 ore di un agricoltore impegnato in colture generali. Inoltre, per la maggioranza delle varietà, la mano d'opera incide sui costi di produzione per il 50-70 %.

13.2

Il CESE ritiene opportuno rammentare la capacità del settore nella creazione di occupazione per le donne nella fase di trasformazione. Dato che la coltura è localizzata per l'80 % in regioni svantaggiate, il mantenimento di detti posti di lavoro fa sì che le zone produttrici siano più dinamiche di quelle impegnate in altre produzioni.

14.   Osservazioni

14.1

Negli ultimi anni il CESE si è già pronunciato in materia. Il parere più recente (CES190/2002) (9) evidenzia la necessità di uno studio in cui la Commissione valuti le proprie decisioni tenendo presente che questa coltura riveste un grande significato regionale in alcune zone svantaggiate ed è fonte di occupazione. La PAC è stata adesso riformata svincolando gli aiuti dalla produzione e si attendono studi che dissocino completamente la tabacchicoltura dall'abitudine al fumo.

14.2

Le proposte della Commissione relative al tabacco si basano sulla comunicazione relativa allo sviluppo sostenibile presentata al Consiglio europeo di Goteborg nel giugno 2001 (10). Il Comitato ricorda che, in tale vertice, dopo la consultazione giuridica di taluni Stati membri produttori, è stata confermata la mancanza di decisione sul futuro del tabacco. In effetti, la relazione dei servizi giuridici del Consiglio afferma tassativamente che «In definitiva, la Commissione cerca di far sì che il Consiglio accetti attraverso il quinto considerando (soppressione degli aiuti al tabacco) una misura che, pur essendo stata inclusa e proposta nella sua Comunicazione al Consiglio europeo, non è stata accolta da quest'ultimo, bensì espressamente esclusa» (11).

14.3

Per il CESE, la riforma della PAC concordata il 26 giugno 2003 a Lussemburgo, è uno degli elementi che la Commissione tiene in considerazione in sede di impostazione della riforma dell'attuale OCM del tabacco. Gli obiettivi fondamentali della riforma, che figurano nell'introduzione della comunicazione del settembre 2003, risultano parzialmente incompiuti.

14.4

Per quanto riguarda il tabacco e la salute, la relazione di valutazione e quella sull'impatto riconoscono che l'OCM non influisce affatto sulle cifre relative al tabagismo. Non esiste allo stato attuale un nesso tra produzione e consumo; quest'ultimo dipende più dalle mode che dalla produzione. Occorre tener presente che solo il 20 % del consumo europeo riguarda la produzione comunitaria, dipendente dall'esistenza di un sistema di sostegno alla produzione di tabacco greggio.

14.5

L'accordo quadro per il controllo del tabagismo, adottato all'unanimità il 21 maggio 2003 dai 192 membri dell'OMS, ha evitato esplicitamente di pronunciarsi sugli aiuti alla coltura del tabacco ed ha escluso ogni riferimento agli stessi nella redazione finale dell'articolo 17.

14.6

Il CESE riconosce nondimeno che l'opinione pubblica associa produzione e consumo; non per questo rinuncia però ad affermare l'improrogabile necessità di ampliare e rafforzare le campagne contro il tabagismo, specie quelle rivolte alle fasce più giovani della popolazione a maggior rischio di dipendenza.

14.7

Il Comitato ha dimostrato la scarsa utilizzazione delle risorse del fondo comunitario per il tabacco. Chiede di conseguenza che con il cospicuo gettito fiscale proveniente dal tabacco vengano finanziati programmi più ambiziosi di lotta al tabagismo.

14.8

Il Comitato ritiene che se la produzione comunitaria di tabacco scomparisse, verrebbe meno anche il tabacco con il più basso tenore di residui fitosanitari del mondo, nonché quello prodotto nel modo più sostenibile dal punto di vista ambientale.

14.9

Senza una protezione esterna qualificata, oppure senza una produzione di particolare qualità, sarebbe difficile competere con i produttori dei paesi terzi in quanto questi ultimi producono per lo più grazie al dumping sociale, ovvero sfruttando il lavoro delle donne e dei minori. Uno studio dell'OMS (12) rivela che attualmente in India in questo settore lavorano 325 000 minori, il 50 % dei quali di età inferiore ai 7 anni. In Brasile 520 000 sono i minori occupati nel settore, il 32 % dei quali di età inferiore ai 14 anni. La stessa situazione si presenta in altri paesi quali Cina, Indonesia, Zimbabwe, Argentina ecc., principali produttori di tabacco.

14.10

Per il CESE, la sopravvivenza del settore della prima trasformazione in Europa è direttamente connessa al mantenimento della coltura del tabacco nella Comunità. Considerati gli altissimi costi del trasporto del tabacco greggio, un primo trasformatore non può vivere della lavorazione di tabacco importato. Se scompare la coltura del tabacco si comincerà ad importare tabacco trasformato, con evidenti conseguenze per questo settore industriale e la relativa occupazione.

14.11

Non esiste peraltro un'alternativa agricola economicamente sostenibile, capace al momento di radicare la popolazione nell'ambiente rurale generando da sola un numero di posti di lavoro pari a quello attualmente garantito dalla tabacchicoltura. Non si possono cercare alternative alla tabacchicoltura quando le altre colture sono contingentate (soggette, cioè, a quote di produzione e penalizzazioni in caso di sforamento) e si propone una riforma senza aver elaborato uno studio rigoroso sul settore. Ciò dimostra chiaramente la volontà di ridurre il bilancio agricolo, mentre gli Stati membri continueranno a riscuotere le tasse anche se il tabacco verrà importato da paesi terzi.

14.12

A parere del CESE si tratta di una proposta che si colloca nel quadro delle politiche di sviluppo sostenibile e di salute che occulta una gran confusione: non si può né si deve combattere a breve termine il tabagismo, fonte peraltro di grandi proventi fiscali agli Stati UE (63 000 milioni di euro), provocando in tal modo delle crisi nelle regioni dei coltivatori europei, installati sostanzialmente in zone rurali molto svantaggiate, i quali ricevono solo 955 milioni di euro dal bilancio comunitario.

14.13

In caso di adozione del disaccoppiamento totale, la Commissione dovrebbe presentare una soluzione per far fronte agli effetti che questo provocherebbe nel settore. Il CESE deplora che attualmente non esista alcuna soluzione per il cambio di coltura.

14.14

Il Comitato evidenzia inoltre i benefici ambientali delle procedure europee di tabacchicoltura. La stessa Commissione riconosce il pericolo che costituisce l'abbandono della tabacchicoltura nelle zone montane (30 % delle zone di produzione). Stando alle informazioni di esperti del settore (13), il tabacco in Europa è quattro volte meno contaminante di altre produzioni vegetali.

14.15

Lo studio sull'impatto (14) riconosce che l'81 % della produzione mondiale di tabacco proviene da paesi in via di sviluppo (i quali consumano il 71 % delle sigarette), che l'OCM del tabacco non influisce sui prezzi mondiali, che i meccanismi di intervento e le restituzioni all'esportazione sono scomparsi ormai da un decennio e che la protezione alle frontiere è bassa.

14.16

Il CESE ritiene che l'OCM del tabacco contribuisca in modo considerevole allo sviluppo sostenibile delle regioni produttrici, in quanto combina sviluppo economico, rispetto ambientale e condizioni di lavoro decorose, il tutto in regioni generalmente svantaggiate e dell'obiettivo 1.

14.17

Il Comitato sottolinea la crescente preoccupazione della società europea per la qualità dei prodotti, preoccupazione che riguarda anche i metodi di produzione e le condizioni di lavoro.

15.   Conclusioni

15.1

Il CESE sottolinea la mancanza di coerenza della proposta della Commissione e le gravi ripercussioni che essa avrà nelle regioni di produzione nonché nelle economie dei paesi produttori di tabacco.

15.2

Sulla scorta degli studi effettuati in materia, il CESE ritiene che la proposta della Commissione non presenti soluzioni per gli effetti suscettibili di derivare dal disaccoppiamento totale. Il Comitato ritiene quindi che la Commissione dovrebbe presentare tutte le alternative possibili per garantire il futuro degli agricoltori e delle regioni in questione.

15.3

Relativamente alla mancanza di nessi tra tabacchicoltura in Europa e consumo di tabacco ritiene che siano stati compiuti progressi. Riconosce nondimeno che l'opinione pubblica continua a fare tale associazione.

15.4

Il CESE sollecita la Commissione a far sì che, nell'ambito della riforma dell'OCM del tabacco si preveda un sistema di disaccoppiamento che tenga conto dell'importanza sociale della produzione e lasci grande flessibilità agli Stati membri in modo da tener conto delle diverse realtà produttive.

15.5

Considera positivo, ai fini della riforma, che la struttura continui ad essere gestita dalle associazioni di produttori che hanno saputo dare funzionalità e operatività al settore.

15.6

Ritiene auspicabile che all'interno del settore si possa procedere a trasferimenti di quote tra produttori al fine di promuovere in futuro una maggiore vitalità e competitività delle aziende e che si possa confermare l'opzione del riscatto delle quote.

15.7

Il Comitato reclama il mantenimento dell'intera dotazione della rubrica 1 a), lasciando allo Stato membro la possibilità di utilizzarne una percentuale per lo sviluppo rurale.

15.8

A causa della particolare importanza che la coltura del tabacco presenta per le regioni rurali a livello ambientale e sociale, occorre definire con precisione i requisiti necessari per mantenere in buone condizioni i terreni sotto il profilo agricolo ed ecologico. Occorre altresì introdurre criteri minimi per garantire l'occupazione e consentire l'accettazione di questi aiuti.

LUPPOLO

16.   Introduzione

16.1

Il luppolo è una materia prima indispensabile per la fabbricazione della birra. Il luppolo (humulus lupulus) è una pianta vivace rampicante per la cui coltura occorrono costose strutture di sostegno. Essa conferisce alla birra il suo aroma, il sapore amaro e le proprietà di conservazione.

16.2

Il 30 settembre 2003, la Commissione europea ha presentato una relazione sull'evoluzione del settore del luppolo (COM (2003) 571 def.).

16.2.1

Il documento, molto completo, presenta una buona visione d'insieme del settore e delle disposizioni che disciplinano l'organizzazione comune del mercato.

16.3

La Commissione giudica positivamente i risultati dell'organizzazione comune dei mercati nel settore del luppolo.

16.3.1

Ad esempio, l'OCM del luppolo ha consentito di accompagnare in modo positivo gli enormi adeguamenti del mercato registratisi negli ultimi anni. I produttori comunitari hanno potuto riaffermare la loro posizione dominante sul mercato mondiale. Le misure speciali hanno consentito di adattare meglio l'offerta e la domanda. Negli otto Stati membri produttori di luppolo, la struttura del mercato è caratterizzata da aziende familiari specializzate di una superficie media di 7,8 ha, mentre sul lato della domanda si registra una forte concentrazione da parte delle fabbriche di birra.

16.3.2

L'OCM del luppolo funge anche da base per l'attuazione del sistema di certificazione del luppolo, che comprende la garanzia dell'origine di tutte le partite ed un sistema generale di garanzia della qualità e dei contratti.

16.4

L'attuazione pratica di questo sistema compete alle associazioni di produttori che la stessa Commissione qualifica di «anima» dell'organizzazione comune del mercato del luppolo. In effetti, le associazioni di produttori svolgono un ruolo di primo piano in un sistema generale di garanzia della qualità e dei contratti che include la certificazione obbligatoria del luppolo e una garanzia dell'origine di tutte le partite. Ciò vale anche per l'avvio e la realizzazione di progetti in materia di qualità, coltura, ricerca, tutela delle piante, commercializzazione e tecniche di produzione.

16.5

Le spese del settore sono rimaste stabili da diversi anni attestandosi attorno ai 13 milioni di euro.

17.   Sintesi della proposta della Commissione

17.1

Prima d'ora, le colture perenni, come il luppolo e l'olivo, non erano incluse nel regolamento 1782/2003. Con la proposta di modifica, gli aiuti diretti al luppolo stabiliti dal regolamento (CE) n. 1696/71 che istituisce l'organizzazione comune di mercati nel settore del luppolo, verranno integrati anch'essi nel regolamento generale attraverso pagamenti diretti.

17.2

La Commissione propone la piena integrazione del premio per il luppolo nel regime di pagamento unico. L'ammontare del premio rimarrà invariato (480 euro l'ettaro).

17.3

La Commissione prevede nondimeno che gli Stati membri possano trattenere fino al 25 % della componente «massimali nazionali» della produzione di luppolo.

18.   Osservazioni

18.1

Il Comitato ritiene ragionevole e coerente che la Commissione, sulla scorta delle decisioni di Lussemburgo del 26 giugno 2003 relative alla riforma della PAC, voglia integrare a partire da questo momento gli aiuti diretti al luppolo nel regolamento generale sugli aiuti diretti e mantenere l'ammontare attuale. In ogni caso, bisogna garantire che la produzione di luppolo dell'Unione, ivi compresi i nuovi Stati membri, possa mantenere la propria posizione dominante nella produzione mondiale.

18.2

Il CESE fa proprie le conclusioni del Consiglio di Lussemburgo e le argomentazioni addotte dalla Commissione per agevolare l'applicazione di un disaccoppiamento parziale nei settori a particolare rischio di abbandono della produzione o squilibrio. Di conseguenza, il Comitato raccomanda che in tutti gli Stati membri produttori di luppolo una certa percentuale degli aiuti diretti rimanga vincolata alla produzione.

18.2.1

A parere del Comitato, la percentuale di vincolo nel settore del luppolo dovrebbe passare dal 25 % inizialmente proposto dalla Commissione al 40 % necessario per valorizzare adeguatamente il lavoro delle associazioni di produttori nella commercializzazione del prodotto. Nel calcolo degli importi di riferimento si deve inoltre tener conto delle colture di luppolo estirpate nel quadro del programma specifico.

18.2.2

Per quanto riguarda la possibilità lasciata agli Stati membri di optare tra due schemi di applicazione - per azienda (artt. 51-57) o regionale (artt. 58 e seguenti) - il CESE fa rilevare che se uno Stato membro optasse per quest'ultima possibilità, gli aiuti attualmente accordati al luppolo si ridurrebbero considerevolmente a tutto vantaggio di altre attività agricole.

Bruxelles, 26 febbraio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Riforma della PAC, compromesso della presidenza (d'intesa con la Commissione).

(2)  GU C 221, del 7.8.2001.

(3)  GU C 123 del 27.5.2002.

(4)  GU C 85 dell'8.4.2003.

(5)  GU C 208 del 3.9.2003.

(6)  COM (2003) 554 def.

(7)  Libro bianco sul tabacco Unitab.

(8)  COM (96) 554 Relazione della Commissione al Consiglio sull'OCM nel settore del tabacco greggio.

(9)  GU C 94 del 18.4.2002 pagg. 14-17.

(10)  COM (2001) 264 def.

(11)  Relazione dei servizi giuridici del Consiglio (2002): Comunicazione della Commissione sullo sviluppo sostenibile e conclusioni del Consiglio europeo di Goteburg relative ai considerando 5 e 6 della proposta di regolamento sul tabacco

(12)  OMS-OIL

(13)  Regime applicabile al settore del tabacco. Valutazione ampliata dell'impatto, SEC(2003) 1023.

(14)  Cfr. nota 9.


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 110/125


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sulla transizione dalla trasmissione radiotelevisiva analogica a quella digitale (dallo «switchover» digitale allo «switch-off» analogico)

(COM(2003) 541 def.)

(2004/C 110/21)

La Commissione, in data 17 settembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere, in data 3 febbraio 2004, sulla base del rapporto introduttivo predisposto dal relatore GREEN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 febbraio 2004, nel corso della 406a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere all'unanimità.

1.   Antefatto

1.1

La transizione dalla trasmissione radiotelevisiva analogica a quella digitale è un processo complesso, con implicazioni di ordine sociale ed economico che vanno ben al di là degli aspetti puramente tecnici. La sostituzione del sistema analogico con il sistema digitale comporta notevoli vantaggi in termini di efficacia dell'utilizzo delle frequenze e di aumento delle possibilità di trasmissione, cosa che a sua volta si tradurrà in una più ampia gamma di servizi, in una più vasta scelta per i consumatori e in una più forte concorrenza. Tali vantaggi sono illustrati nel piano d'azione eEurope 2005 (1).

1.2

Il piano d'azione mira ad offrire a tutti l'opportunità di partecipare alla società globale dell'informazione, creando condizioni favorevoli per investimenti e nuova occupazione, nonché ad aumentare la produttività e a modernizzare il settore pubblico. Per questo motivo la Commissione cerca di promuovere lo sviluppo di applicazioni, servizi e contenuti sicuri, basati su di un'infrastruttura largamente accessibile.

1.3

La Commissione tuttavia non si esprime in merito al calendario previsto per l'abbandono dei sistemi analogici: le decisioni in merito saranno prese a livello nazionale o regionale. Il principale problema riguarda infatti la diffusione terrestre.

1.4

Dalla comunicazione si evince che al passaggio alla trasmissione radiotelevisiva digitale nell'UE sono sì legati molti vantaggi, ma anche notevoli problemi, soprattutto nella fase di transizione. La soluzione di tali problemi può quindi eventualmente giustificare un intervento politico, che dovrebbe altresì definire i requisiti generali ai quali tali interventi devono rispondere.

2.   Osservazioni di carattere generale

2.1

Il CESE condivide la constatazione generale della Commissione secondo cui la transizione comporta un cambiamento ben lungi dall'essere soltanto tecnologico. Visto il ruolo della televisione e della radio nella società moderna, le conseguenze non sono solo di tipo economico, ma anche di ordine sociale e politico. La transizione si ripercuote su tutti gli anelli della catena della distribuzione radiotelevisiva, cioè la produzione, la trasmissione e la ricezione dei contenuti.

2.2

Per questo motivo la transizione è un processo complesso e lungo, che comporta numerose variabili e coinvolge tutti i gruppi della società: consumatori, imprese e enti pubblici.

2.3

In un contesto nel quale le tecnologie della produzione e del consumo sono soggette ad una crescente digitalizzazione, è realistico lavorare sull'ipotesi che a più lungo termine la diffusione analogica venga soppiantata da quella digitale.

2.4

In linea di principio il processo di transizione dovrebbe essere guidato dalle forze di mercato e incentrarsi sui consumatori. Ciò significa tra l'altro che il ruolo delle attività dei servizi pubblici deve essere discusso e adattato ad una situazione nella quale lo sviluppo tecnologico crea nuove condizioni di mercato e nuovi servizi. Alle autorità pubbliche incombe nondimeno l'obbligo di creare le condizioni indispensabili per far sì che, quando i mercati siano sufficientemente maturi per accettare i rischi della transizione, venga garantita la totale trasparenza del processo di transizione, non si generi esclusione sociale, tutte le fasce della popolazione possano fruire dei potenziali benefici, si mantengano standard di qualità elevati e si garantiscano le norme di servizio pubblico relative ai servizi di trasmissione radiotelevisiva.

2.5

Il CESE condivide comunque la constatazione della Commissione secondo la quale proprio il settore televisivo presenta una serie di difficoltà specifiche, legate in parte allo sviluppo della TV digitale, e in parte alle caratteristiche generali del settore in sé.

2.6

Finora le tecniche di distribuzione sono state tre: terrestre, via cavo e via satellite. Ognuna ha trovato un proprio mercato, in funzione delle condizioni sociali e geografiche. Fino ad ora la TV digitale si è sviluppata soprattutto come pay-TV trasmessa via satellite. Ultimamente tale sviluppo ha subito un rallentamento, cosa che induce a pensare che la TV digitale abbia bisogno di nuovo slancio, che vada al di là delle tradizionali pay-TV.

2.7

Il settore televisivo ha un'importanza politica e sociale particolare: questa è una delle ragioni che hanno motivato la necessità di introdurre requisiti minimi in materia di qualità e di pluralismo, e che hanno spinto a procedere a riflessioni approfondite in tutti i casi di cattivo funzionamento del mercato.

2.8

Per la trasmissione radiotelevisiva esiste quindi una tradizione di interventi politici più forte rispetto ad altri settori dell'informazione e comunicazione, quali ad esempio le telecomunicazioni. Molti elementi militano a favore del fatto che un eventuale intervento politico debba essere coordinato a livello UE: nel contempo è tuttavia importante che ogni paese segua il proprio piano di transizione sulla base delle proprie tradizioni e della situazione nazionale nel settore, e in particolare dello sviluppo delle varie reti (via satellite o via cavo).

2.9

Per tale motivo è opportuno ribadire i principi e gli orientamenti della politica audiovisiva della Commissione, enunciati nella comunicazione del 14 dicembre 1999 (COM(1999) 657 def.), vale a dire: proporzionalità, sussidiarietà, separazione tra norme sulle infrastrutture e norme sul contenuto, riconoscimento del ruolo del servizio pubblico radiotelevisivo e necessità di trasparenza del suo finanziamento, autonomia delle autorità di regolamentazione rispetto al potere politico ed economico.

3.   Osservazioni particolari

3.1

In un modello di transizione orientato al mercato e alla domanda, è fondamentale che la spinta verso il cambiamento sia forte e da parte degli utenti e da quella dei fornitori.

3.2

La trasparenza delle condizioni è fondamentale sia per gli utenti che per i fornitori, e ciò vale sia per i servizi esistenti che per quelli nuovi.

3.3

Quanto ai servizi esistenti, si tratta in realtà di obblighi di trasmissione («must carry»), che oggi danno generalmente a tutti la possibilità di accedere alle emittenti pubbliche nazionali. Continuerà tuttavia ad essere indispensabile garantire un periodo sperimentale più lungo, affinché il passaggio sia graduale, senza soluzione di continuità e senza un aggravarsi dell'esclusione sociale e culturale.

3.4

Per gli utenti è presumibilmente altrettanto importante chiarire la questione dei diritti d'autore legate alle possibilità di libero accesso ai canali in chiaro («free to air»)/servizi pubblici dei paesi limitrofi, per evitare loro di trovarsi penalizzati dalla tecnologia digitale. Tale questione, che si riallaccia al problema dei diritti d'autore, viene trattata separatamente da un altro gruppo di studio.

3.5

Quanto ai nuovi servizi, il CESE concorda sull'importanza del fatto che le autorità pubbliche incoraggino l'offerta di contenuti che diano alle reti televisive un valore aggiunto, tra l'altro garantendo la diffusione sempre più intensa delle informazioni pubbliche. A questo proposito, è importante insistere sulla neutralità delle tecnologie, ad esempio per quanto riguarda la relazione tra la comunicazione di massa tradizionale e i nuovi servizi mobili.

3.6

Questo aspetto inoltre riveste un'importanza determinante per la futura distribuzione e allocazione delle frequenze.

3.7

Il Comitato ritiene inoltre importante stabilire nuovi modelli commerciali, che tra l'altro garantiscano l'equilibrio tra i servizi in chiaro e quelli a pagamento nella futura trasmissione televisiva digitale. Ciò comporta anche la necessità di attribuire alle emittenti pubbliche un ruolo determinante, adeguato alle nuove condizioni di mercato e ai nuovi modelli sociali che discendono dallo sviluppo tecnologico del settore. A tale proposito risulta particolarmente necessaria la cooperazione a livello europeo, soprattutto per quanto concerne il coordinamento delle frequenze e lo scambio d'informazioni, un punto sul quale lo stesso Consiglio ha richiamato l'attenzione della Commissione (2).

4.   Conclusioni

4.1

Il processo di transizione dal sistema di diffusione radiotelevisiva analogica a quello digitale ha implicazioni decisive sia sul piano sociopolitico che sul piano dello sviluppo industriale.

4.2

L'intervento pubblico può favorire tale processo di transizione, ma deve al contempo garantire la necessaria equità e trasparenza, in modo che l'opinione pubblica e i consumatori ricevano tutte le informazioni al riguardo. Ferma restando l'importanza di un coordinamento a livello UE, gli enti nazionali svolgono in questo contesto un ruolo essenziale.

4.3

Nella futura diffusione televisiva digitale si devono garantire modelli commerciali sostenibili, che assicurino l'equilibrio tra la diffusione in chiaro e quella a pagamento. A questo proposito è importante ricordare che il «modello europeo», che offre un mix di servizi in chiaro e a pagamento, ha finora dimostrato di essere sostenibile, anche se deve far fronte a nuove sfide tecniche e a nuove condizioni di mercato.

4.4

Risulta pertanto indispensabile il coordinamento dei poteri pubblici a livello UE, al fine di garantire sia la proporzionalità degli interventi sia la loro limitazione al minimo necessario per assicurare gli obiettivi di carattere sociale, l'accessibilità dei prezzi, nonché l'universalità e la continuità della prestazione del servizio audiovisivo pubblico.

Bruxelles, 26 febbraio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale

Roger BRIESCH


(1)  COM(2002) 263 def. - eEurope 2005: una società dell'informazione per tutti

http://europa.eu.int/information_society/eeurope/2002/news_library/documents/eeurope2005/eeurope2005_en.pdf

(2)  Conclusioni del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio del 26 giugno 2000 relative alla comunicazione della Commissione su principi ed orientamenti per la politica audiovisiva della Comunità nell'era digitale (GU C 196 del 12.7.2000, pag. 1, punto 13).


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 110/127


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Misure di sostegno all'occupazione» (parere d'iniziativa)

(2004/C 110/22)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 luglio 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema Misure di sostegno all'occupazione.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 febbraio 2004, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice HORNUNG-DRAUS e dal correlatore GREIF.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 febbraio 2004, nel corso della 406a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 102 voti favorevoli, 10 contrari e 11 astensioni.

1.   Sintesi e valutazione complessiva

Il Comitato economico e sociale europeo accoglie con favore la relazione presentata dalla task force per l'occupazione presieduta da Wim Kok, che riesce nell'intento di svolgere un'analisi fondamentalmente equilibrata delle attuali sfide di politica occupazionale, mostrando con chiarezza agli Stati membri l'urgenza delle riforme.

1.1

Il metodo applicato dalla task force, che consiste nell'usare il benchmarking e nel presentare buone pratiche con l'intento di orientare e stimolare il miglioramento delle politiche occupazionali, va accolto positivamente. A giudizio del Comitato, per incrementare l'occupazione e rafforzare la competitività internazionale dell'Europa senza compromettere la stabilità sociale, assumono particolare importanza le seguenti misure prospettate dalla task force:

promozione della cultura imprenditoriale e riduzione degli eccessivi ostacoli amministrativi e normativi alla creazione e alla gestione delle imprese,

potenziamento dell'innovazione e della ricerca attraverso un aumento degli investimenti nel settore, al tempo stesso promuovendo un contesto favorevole all'innovazione,

introduzione di maggiore flessibilità, sia per i lavoratori che per i datori di lavoro, senza perdere di vista il necessario equilibrio tra flessibilità e sicurezza sul mercato del lavoro. Ciò significa in particolare combinare nuove forme di flessibilità con nuove forme di sicurezza,

riassetto delle imposte e dei contributi sociali, in modo tale che essi non rappresentino un ostacolo alle nuove assunzioni, purché ciò non comprometta la base finanziaria e la funzione sociale dei regimi di protezione sociale,

accrescimento del tasso di attività femminile mediante la creazione di un contesto favorevole che consenta di conciliare la vita familiare con quella professionale, soprattutto in relazione alla custodia dei bambini,

introduzione di incentivi che inducano i lavoratori ad andare in pensione più tardi e i datori di lavoro ad assumere e a non licenziare i lavoratori non più giovani, mediante la creazione di idonee condizioni di politica del personale e del mercato del lavoro,

miglioramento del livello di istruzione di base, impegno per migliorare la formazione iniziale scolastica e professionale e per adeguare maggiormente la formazione universitaria alle esigenze del mercato del lavoro,

promozione della formazione permanente, con il coinvolgimento di tutte le parti interessate, cioè lo Stato, i cittadini e le imprese,

potenziamento, assolutamente necessario, della lotta alla disoccupazione a livello europeo, nazionale e locale,

rafforzamento del ruolo svolto dai parlamenti nazionali e dalle parti sociali nel processo di elaborazione dei piani di azione nazionali.

1.2

Il Comitato apprezza il fatto che la task force si soffermi anche sull'attuazione delle riforme proposte: spesso è infatti proprio su questo aspetto che sarebbe opportuno intensificare gli sforzi. Oggi più che mai, occorre convincere l'opinione pubblica che riforme strutturali economicamente e socialmente equilibrate rafforzeranno l'Europa e miglioreranno la situazione del mercato del lavoro.

Il Comitato esprime tuttavia un giudizio critico su diversi aspetti della relazione:

sarebbe stato auspicabile che la task force, in alcuni punti, avesse svolto un'analisi ancora più completa delle sfide occupazionali, per esempio concentrandosi maggiormente sulla trasmissione delle capacità scientifiche e delle competenze chiave di tipo sociale o sulla riduzione degli ostacoli che si frappongono a una gestione aziendale efficace,

non viene sottolineato sufficientemente il fatto che una politica occupazionale, per essere efficace, ha bisogno non solo di misure strutturali sul mercato del lavoro, ma anche di una politica macroeconomica incentrata sulla crescita e sull'occupazione,

l'importante questione della promozione di un'integrazione sostenibile dei giovani nel mercato del lavoro non viene trattata in modo abbastanza dettagliato. Al di là dell'incontestabilità del ruolo svolto in questo settore dalle parti sociali, la relazione non fa menzione dell'importanza di organizzazioni sociali quali le ONG, né delle associazioni e delle cooperative che si impegnano a favore dei disoccupati e degli esclusi,

in tema di investimenti nel capitale umano, la relazione menziona l'imposizione di un contributo obbligatorio a tutte le imprese, prospettandola come possibile soluzione al problema della ripartizione dei costi tra i datori di lavoro. Date le diverse specificità nazionali, non è detto però che un approccio simile sia il modo giusto per promuovere gli investimenti nel capitale umano in tutti gli Stati membri. In alcuni casi potrebbe invece essere auspicabile promuovere la diffusione di soluzioni caratterizzate da pool o fondi ad adesione volontaria (compresi accordi tra le parti sociali), ad esempio a livello locale, regionale, settoriale e nazionale, in modo da permettere soprattutto alle PMI di accrescere gli investimenti nel capitale umano,

mentre nei capitoli tematici è stato raggiunto un equilibrio tra la promozione della flessibilità e della sicurezza sul mercato del lavoro, nel quinto ed ultimo capitolo, sulla governance, tale equilibrio lascia a desiderare, cosa che va a scapito delle garanzie che un mercato del lavoro flessibile rende necessarie,

la relazione non affronta la questione dell'impatto della legislazione europea sull'attuale situazione occupazionale,

non viene trattato in modo soddisfacente il rapporto tra, da un lato, le misure attive che la relazione sollecita per promuovere lo sviluppo dell'occupazione, che comportano necessariamente costi supplementari per il settore pubblico, e, dall'altro, la richiesta di attuare tali riforme rispettando i vincoli di bilancio che discendono dal patto di stabilità e di crescita.

1.3

Lo sviluppo dell'occupazione è un tema fondamentale per il Comitato, che continuerà a seguirne l'evoluzione con molta attenzione e attivamente. Il Comitato auspica che le osservazioni di cui sopra siano prese in considerazione nelle ulteriori discussioni in materia.

1.4

In questo contesto, il Comitato ribadisce la propria convinzione, più volte espressa, che ciò sarà possibile soprattutto attraverso un forte coinvolgimento delle parti sociali, nel quadro della rispettiva autonomia, a tutti i livelli e in tutte le fasi della strategia europea per l'occupazione, a partire dall'elaborazione fino all'attuazione e alla valutazione, nonché attraverso un coinvolgimento dei parlamenti degli Stati membri nelle rispettive procedure nazionali. Affinché ciò possa avvenire occorre adeguare di conseguenza i tempi previsti.

2.   Introduzione

2.1

Un tasso di occupazione elevato è una componente essenziale per lo sviluppo sostenibile di qualsiasi società. Il lavoro è infatti un presupposto determinante per integrare i vari gruppi sociali in una società funzionante e contribuisce in misura sostanziale all'integrazione sociale. Rappresenta inoltre un ponte fra giovani e vecchie generazioni, fra persone appartenenti a regioni e a ceti sociali diversi. Garantire l'occupazione e accrescerne sia la qualità che la quantità è quindi prioritario e urgente, visto l'elevato tasso di disoccupazione in Europa.

2.2

Il fatto che la disoccupazione resti elevata, e anzi sia di nuovo in aumento, in molti paesi dell'Unione europea è all'origine di pressanti problemi economici e sociali. Il Comitato esorta tutti gli Stati membri ad accordare la massima priorità al miglioramento della situazione del mercato del lavoro, incentivando la crescita economica e occupazionale, nonché alla riduzione dell'elevata disoccupazione. L'obiettivo è quello di mettere in atto gli orientamenti dell'Unione europea stabiliti a Lisbona nel 2000, in base ai quali entro il 2010 l'Unione deve diventare l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale. Questo obiettivo riguarda anche gli aspetti della crescita economica (3 % annuo), dei posti di lavoro (in particolare, un tasso di occupazione del 70 %) e della coesione sociale.

2.2.1

Il Comitato si dichiara tuttora convinto del fatto che, in molti Stati membri, permangano debolezze e carenze di rilievo in relazione agli obiettivi di Lisbona, che pure godono del suo favore e sostegno, in particolare per quanto riguarda il tasso di occupazione, la lotta alla disoccupazione e la produttività (1). Per porvi rimedio è necessario, tra l'altro, iniziare dal prendere coscienza delle cause della situazione attuale. Tra queste figurano, ad esempio, fattori quali la crescente rapidità dei mutamenti tecnologici, che impone ai lavoratori di adattare continuamente le proprie conoscenze a nuove condizioni; l'insufficiente reazione degli Stati membri al progredire della globalizzazione, che costringe anche le imprese ad adeguare le proprie strutture con sempre maggiore frequenza e rapidità per poter rimanere competitive; una capacità non sempre adeguata di prevedere le qualifiche che il mercato del lavoro richiederà in futuro e, quindi, di indirizzare in quel senso coloro che seguono una formazione.

2.2.2

Per dare una risposta adeguata ai problemi attuali occorre affrontare, in particolare, i seguenti aspetti:

misure di sostegno alla crescita economica: anche se il coordinamento temporale tra gli orientamenti per l'occupazione e gli indirizzi di massima per le politiche economiche gioca a favore degli obiettivi di Lisbona, per una ulteriore promozione di questi ultimi è auspicabile una maggiore interazione tra i due processi sul piano dei contenuti. Il Comitato è convinto che «senza una crescita economica forte e sostenibile, sarà difficile raggiungere gli altri obiettivi concordati a Lisbona» (2). Tali obiettivi presuppongono un più marcato orientamento della politica economica europea verso l'obiettivo di una maggiore occupazione. Si deve prestare attenzione non solo alle misure di politica occupazionale e di mercato del lavoro, ma anche alla politica economica generale, se si vuol «dare il via ad una nuova dinamica europea di crescita, da cui dipende il rilancio dell'occupazione, sulla base di una definizione più precisa degli indirizzi di massima, una loro applicazione più efficace e un loro inquadramento più coerente» (3),

commercio internazionale, sistemi di libero scambio, globalizzazione: si aprono nuove opportunità per la crescita e l'occupazione, ma si pongono anche nuove sfide. Una delle conseguenze è che le imprese, per poter rimanere competitive, devono adeguare le proprie strutture con sempre maggiore frequenza e rapidità. Questa esigenza ha conseguenze significative sullo sviluppo economico e sociale in Europa e non riguarda solo le grandi aziende, ma anche e soprattutto le piccole imprese. Anche questo tema è stato trattato dal Comitato in diversi pareri (4),

strutture di sostegno all'occupazione negli Stati membri dell'UE: nella sua relazione del novembre 2003, la task force europea per l'occupazione avanza concrete proposte di riforma, che ora gli Stati membri dovranno far proprie. È questo l'ambito tematico su cui verte il presente parere d'iniziativa del Comitato.

2.3

Il Comitato si compiace della decisione di costituire una task force europea per l'occupazione guidata da Wim Kok. La task force è stata creata nel corso del Consiglio europeo di primavera del 2003, allo scopo di individuare le sfide che si pongono alla politica occupazionale e di presentare concrete proposte di riforma destinate sia al livello europeo che a quello nazionale, fornendo così anche un ulteriore contributo alla strategia europea per l'occupazione. Essa mostra chiaramente ai governi l'urgenza di profonde riforme, ed esorta gli Stati membri attuali e futuri ad attuarle realmente.

2.3.1

Nel novembre 2003 la task force ha presentato la sua relazione finale, nella quale affronta i seguenti argomenti:

l'adattabilità (massimizzare il sostegno alla creazione di nuove imprese e di posti di lavoro, potenziare e diffondere l'innovazione e la ricerca, promuovere la flessibilità e la sicurezza sul mercato del lavoro),

i mercati del lavoro (rendere il lavoro redditizio, rafforzare le politiche attive del mercato del lavoro, accrescere il tasso di attività femminile, elaborare strategie per reagire all'invecchiamento delle forze di lavoro, integrare le minoranze e gli immigrati),

gli investimenti nel capitale umano (innalzare il livello di istruzione, condividere i costi e le responsabilità, agevolare l'accesso alla formazione permanente),

la mobilitazione per le riforme (mobilitare la società, mettere in atto le riforme, amplificare l'effetto leva degli strumenti europei).

2.3.2

La task force individua quattro fattori chiave, che ritiene necessari per incrementare l'occupazione e la produttività:

una maggiore adattabilità da parte dei lavoratori e delle imprese,

un mercato del lavoro più attraente per un numero maggiore di persone,

investimenti nel capitale umano più consistenti ed efficaci,

un'attuazione delle riforme più efficace grazie a migliori politiche occupazionali.

2.3.3

Il Comitato accoglie con favore ampi passaggi della relazione presentata dalla task force per l'occupazione, che è riuscita nell'intento di svolgere un'analisi fondamentalmente equilibrata delle attuali sfide di politica occupazionale. Assume però una posizione critica nei confronti di alcuni punti.

La relazione mostra chiaramente ai responsabili delle decisioni politiche, di livello nazionale o europeo, quanto sia urgente avviare e realizzare riforme se si vuole che l'Unione europea riesca ancora a conseguire l'obiettivo che si è prefissa a Lisbona, ossia diventare, entro il 2010, l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale.

2.4

Per sostenere il processo di Lisbona è giusto e importante che a livello europeo, nel quadro della strategia europea per l'occupazione, sia realizzato un processo di apprendimento fondato sul benchmarking, sempre però lasciando le competenze ai singoli Stati membri (5). L'Europa può proporre uno schema generale e invitare poi gli Stati membri a completarlo. Evidenziando i problemi che gravano sui mercati del lavoro dell'Unione e coordinando a livello europeo gli interventi nel settore, la strategia europea per l'occupazione contribuisce positivamente a creare un quadro entro cui muoversi e a fornire importanti impulsi per risolvere sfide di portata nazionale e locale. Gli Stati membri sono invitati a far confluire tempestivamente questi impulsi nelle loro politiche.

2.4.1

La nuova impostazione a medio termine degli orientamenti per l'occupazione, che hanno ora come orizzonte temporale il 2010, appare adeguata e corretta (6). Una maggiore stabilità e una prospettiva di più ampio respiro favoriscono una politica che, oltre a realizzare interventi a breve termine, persegue anche finalità a medio e lungo termine, e quindi consente di porre fondamenta per il futuro. Il rafforzamento di aspetti quali la coerenza e la complementarità attraverso un migliore coordinamento temporale fra gli orientamenti per l'occupazione, gli indirizzi di massima per le politiche economiche e gli altri processi interessati dal metodo aperto di coordinamento (inclusione sociale, previdenza, ecc.), è in linea con gli obiettivi di Lisbona. Il Comitato reputa importante perseguire un'interazione ancora più marcata tra i processi di coordinamento a livello dei contenuti e, nel contempo, attribuire un peso ancora maggiore all'attuazione degli orientamenti negli Stati membri, ai risultati ed alla valutazione. Non va infine dimenticato che una strategia europea in grado di incrementare l'occupazione contribuirà anche sensibilmente all'integrazione sociale. A questo proposito il Comitato sottolinea che gli obiettivi di politica economica, occupazionale e sociale formulati a Lisbona costituiscono un insieme unitario, e non devono pertanto essere considerati separatamente.

2.5

Nell'imminenza dell'allargamento, l'Europa sta per conoscere profondi cambiamenti. Il formarsi di un mercato unico costituito da oltre 450 milioni di persone e di nuovi sbocchi commerciali, nonché il potenziamento delle infrastrutture transfrontaliere sono forieri di una nuova dinamica economica per l'intero continente e incideranno molto anche sull'andamento dell'occupazione. E proprio gli obiettivi comunitari per l'occupazione stabiliti a Lisbona dovranno ora dimostrare la loro validità. Anche nel settore della politica del lavoro, pertanto, gli attuali Stati membri sono chiamati a definire i rispettivi indirizzi nazionali in modo tale da essere attrezzati per le nuove sfide. Nel contempo, nel definire la propria strategia per l'occupazione, l'Unione europea dovrebbe prestare maggiore attenzione alle esigenze dei nuovi Stati membri, in modo che anche questi paesi possano effettivamente realizzare gli obiettivi per l'occupazione stabiliti a livello comunitario. Il Comitato ha già trattato tali questioni in modo esauriente, nel quadro dei comitati consultivi misti, insieme a rappresentanti della società civile organizzata di paesi candidati (7).

Misure a sostegno dell'occupazione

3.   Accrescere l'adattabilità

3.1

Lo sviluppo economico e l'andamento occupazionale sono strettamente legati fra loro. La crescita economica e un clima propizio agli investimenti costituiscono i presupposti essenziali per la creazione di nuovi posti di lavoro e per il mantenimento dei livelli occupazionali già raggiunti. Senza il successo economico non si possono creare né garantire posti di lavoro in modo duraturo. Un policy mix macroeconomico inteso a promuovere la competitività internazionale e a favorire l'occupazione attraverso interventi di politica monetaria, fiscale e salariale (tenendo conto delle competenze e dell'autonomia dei singoli attori) è una condizione necessaria per riportare l'economia europea su un percorso di crescita che consenta uno sfruttamento ottimale delle sue potenzialità in termini di crescita e di occupazione.

3.2

A tal fine, il Comitato ritiene necessario creare condizioni quadro che rafforzino la capacità operativa delle imprese e consentano loro sia di concentrarsi sulla loro attività principale sia di creare posti di lavoro, riaffermando così la propria responsabilità sociale (8). Il Comitato ribadisce la proposta avanzata in merito dalla task force per l'occupazione, secondo la quale, per consentire alle aziende di realizzare appieno il proprio potenziale occupazionale, sarebbe opportuno favorire la loro nascita e la loro espansione, per esempio riducendo gli eccessivi ostacoli amministrativi e normativi che ne ostacolano la creazione e la gestione, e al tempo stesso offrire loro consulenza e assistenza mediante la creazione di centri di servizio (sportelli unici).

3.3

Oltre che incentivare l'attività imprenditoriale già esistente, soprattutto nelle PMI, il Comitato ritiene opportuno dedicare particolare attenzione anche allo sviluppo dello spirito imprenditoriale e all'incentivazione della creazione di nuove imprese (9). Le basi dello spirito imprenditoriale potrebbero essere poste già nel corso del processo di formazione. Nel 2000 la Carta europea per le piccole imprese aveva indicato delle premesse importanti per il rafforzamento delle piccole e medie imprese (10). Il Comitato si compiace che la task force si sia interessata attivamente alle condizioni necessarie a favorire la creazione di nuove imprese. Come giustamente si sottolinea nella relazione, occorre soprattutto diminuire i tempi e i costi necessari. A questo riguardo gli Stati membri presentano forti discrepanze, che andrebbero attenuate. La relazione individua anche importanti presupposti per lo sviluppo delle PMI, tra i quali l'accesso ai finanziamenti. Anche le grandi potenzialità di queste imprese in campo occupazionale andrebbero sfruttate e ampliate. In tale contesto si dovrebbe cercare di incentivare anche l'occupazione nelle microimprese. Per permettere agli interessati di avviare un'attività imprenditoriale autonoma e prepararli a esercitarla, si dovrebbero proporre loro corsi e altre forme di sostegno, quali, ad esempio, la centralizzazione di tutte le informazioni necessarie in appositi sportelli. I giovani imprenditori dovrebbero tenere presenti le potenzialità di crescita di settori quali le cure sanitarie o la tutela dell'ambiente. Il Comitato, a questo proposito, ha già ricordato il crescente potenziale occupazionale dell'economia sociale (11). Il Comitato condivide l'importanza delle richieste che la relazione rivolge agli Stati membri affinché promuovano la cultura imprenditoriale e combattano lo stigma associato all'insuccesso.

3.4

La promozione e la diffusione dell'innovazione e della ricerca, un altro dei temi affrontati nella relazione, rappresenta anche per il Comitato un importante fattore per accrescere l'adattabilità e migliorare la qualità del lavoro. La crescente interdipendenza economica che caratterizza il mondo globalizzato fa della capacità di innovare un importante vantaggio competitivo, a beneficio sia delle imprese che dei lavoratori. Il Comitato si compiace pertanto del fatto che la task force si pronunci a favore dell'aumento della spesa degli Stati membri per la ricerca e lo sviluppo, conformemente agli obiettivi fissati dal Consiglio europeo del marzo 2003 (3 % del PIL). Al tempo stesso va però favorita anche la creazione di un contesto favorevole alla trasformazione delle idee e della ricerca in innovazione.

3.5

Gli Stati membri, in funzione delle rispettive strutture nazionali, sono invitati a prendere le misure necessarie per preparare le imprese e i lavoratori a reagire più efficacemente al ritmo sempre più incalzante della trasformazione. A giudizio del Comitato, in questo contesto è importante trovare il giusto equilibrio tra flessibilità e sicurezza sul mercato del lavoro, in modo che le imprese abbiano la possibilità di offrire nuovi posti di lavoro e che, allo stesso tempo, i lavoratori godano della sicurezza necessaria. Il Comitato apprezza l'equilibrio di cui dà prova la task force nel paragrafo della relazione riguardante la promozione della flessibilità e della sicurezza. Sebbene gli Stati membri siano configurati diversamente sul piano dei presupposti sociali e strutturali, in questo ambito è possibile individuare una serie di esigenze comuni che, secondo il Comitato, meriterebbero un'attenzione particolare:

ammodernamento e miglioramento dei regimi di sicurezza sociale, per adattarli alle circostanze attuali preservandone allo stesso tempo la funzione di protezione sociale,

accentuazione della flessibilità imprenditoriale, attraverso un adattamento più marcato delle condizioni generali alle esigenze delle imprese e del loro personale, accompagnato dalla garanzia di un livello adeguato di sicurezza per i lavoratori,

promozione e consolidamento di forme di lavoro flessibili come il lavoro interinale - che, in funzione delle aspirazioni del lavoratore, possono servire da trampolino verso un rapporto di lavoro permanente - nel rispetto delle norme sulla parità di trattamento e sulla tutela dei lavoratori. È altresì importante promuovere forme innovative di organizzazione del lavoro (come ad esempio il telelavoro), associando nuove forme di flessibilità sul mercato del lavoro a nuove forme di sicurezza. In tale contesto alle parti sociali spetta un ruolo importante nel definire condizioni generali adeguate, tra l'altro anche nella politica di contrattazione collettiva,

promuovere la mobilità geografica sia tra gli Stati membri dell'UE che all'interno dei rispettivi mercati del lavoro, ad esempio risolvendo i problemi linguistici e culturali e superando gli ostacoli di natura amministrativa.

4.   Rendere il mercato del lavoro più attraente per un numero maggiore di persone

4.1

Esortando a «rendere redditizio il lavoro», la relazione tocca un aspetto importante. La task force raccomanda di orientare i sistemi fiscali e di prestazioni sociali degli Stati membri in modo che sia conveniente per i lavoratori entrare nel mercato del lavoro, rimanervi e fare carriera. A giudizio del Comitato, tuttavia, una politica del genere potrà essere efficace solo se abbinata a misure volte ad aumentare il numero di posti di lavoro disponibili e anche, come afferma la relazione, a evitare che alcuni rimangano intrappolati in posti di lavoro mal retribuiti/scarsamente qualificati o si ritrovino ripetutamente disoccupati. In questo contesto è importante anche trasformare il lavoro nero in occupazione regolare, il che potrà avvenire grazie a una combinazione di azioni di controllo e di incentivazione e alla riduzione della tassazione sul lavoro, come il Comitato ha già sottolineato nel suo parere sul futuro della strategia europea per l'occupazione (12). L'imposizione fiscale, i contributi sociali e il livello delle prestazioni dei sistemi di protezione sociale devono essere strutturati in modo tale da non compromettere la solidità finanziaria di questi ultimi, né le funzioni infrastrutturali dello Stato.

4.2

Secondo il Comitato, incentivare misure attive e preventive a favore dei disoccupati e delle persone inattive rappresenta un importante obiettivo. Gli strumenti della politica del settore devono essere coerentemente finalizzati alla reintegrazione dei disoccupati nel mercato del lavoro principale. Particolare attenzione va prestata alla valutazione di questi interventi. Nel contempo è importante incoraggiare i disoccupati ad attivarsi in prima persona nella ricerca di un posto di lavoro. Gli ostacoli che possono frapporsi a un atteggiamento attivo di questo tipo andrebbero eliminati, per esempio mettendo a disposizione servizi su misura. In tale contesto un ruolo importante spetta agli uffici di collocamento. Occorre perseguire una stretta collaborazione fra il collocamento e le imprese, in modo da agevolare un adeguamento duttile alle esigenze in evoluzione del mercato del lavoro. Il Comitato accoglie con favore anche le raccomandazioni della task force in merito alla prevenzione e alla «attivazione» e sottolinea che, in caso di ristrutturazione aziendale, andrebbe data la precedenza alle misure attive, tra le quali rientrano anche l'informazione e la consultazione dei lavoratori, rispetto a quelle passive. Le parti sociali europee hanno fornito un primo importante contributo alla discussione con il documento «Orientations for reference in managing change and its social consequences» (13) e il Comitato se ne compiace.

4.3

Sarebbe stato auspicabile che la task force si fosse soffermata maggiormente sulle misure per l'inserimento dei giovani nel mercato del lavoro e per la lotta alla disoccupazione giovanile. È proprio quando la situazione economica è difficile e il mercato del lavoro è in tensione che i giovani hanno bisogno di un sostegno adeguato per accedervi. A tal fine, tutti gli attori del mercato del lavoro sono invitati a riesaminare il proprio contributo e le proprie attuali politiche per la lotta contro la disoccupazione giovanile. Tutti i corsi di formazione per giovani, soprattutto quelli relativi a professioni tradizionali, dovrebbero contemplare anche lo sviluppo di competenze che assumono rilievo nella società della conoscenza che si sta formando. Il Comitato ha affrontato la questione in modo approfondito in diversi pareri (14).

4.4

Determinate categorie di persone, come i disabili o i lavoratori scarsamente qualificati ma anche alcune categorie di immigrati, dovendo affrontare difficoltà supplementari sul mercato del lavoro, spesso hanno bisogno di particolari presupposti che ne consentano o ne agevolino l'accesso o la permanenza nella vita lavorativa. Poiché integrare queste categorie è un importante compito della società, è necessaria una politica attiva in questo senso. Per dare a queste persone accesso al mercato e consentire loro di restarvi, è necessaria non solo una mentalità diversa da parte di tutti i gruppi sociali, ma anche la creazione di un idoneo contesto generale di politica economica e del personale. Dare una qualifica a queste persone contribuisce ad accrescerne le possibilità di affermazione. Nel farlo si dovrebbe puntare in primo luogo al loro inserimento permanente nel mondo del lavoro.

4.5

Il Comitato si compiace che la task force abbia affrontato anche la questione dell'aumento del tasso di attività femminile, ed esorta gli Stati membri a continuare a promuovere la compatibilità fra vita familiare e lavorativa. A Lisbona è stato stabilito l'obiettivo di portare il tasso di occupazione femminile dal 54 % (dato del 2000) al 60 %. Per conseguirlo occorre apportare miglioramenti al contesto generale che consentano alle donne di intraprendere un'attività lavorativa. È un compito che interessa l'intera società: in particolare, la creazione di strutture per la custodia dei bambini consente di conciliare impegni familiari e professionali e di restare nel mercato del lavoro, oppure di ritornarvi rapidamente dopo un'interruzione. Il Comitato accoglie pertanto con favore l'appello rivolto agli Stati membri dal Consiglio dell'Unione europea ad eliminare gli ostacoli che dissuadono le donne dal partecipare al mercato del lavoro e, contestualmente, ad ampliare l'offerta di strutture di custodia (15). Lo stesso vale per le valutazioni della task force secondo cui le autorità pubbliche devono garantire che questi servizi siano accessibili ad un vasto pubblico e che abbiano un prezzo contenuto. Inoltre, il Comitato ritiene importante che la task force discuta anche le possibilità di strutturare in modo flessibile l'orario di lavoro, tra cui la possibilità del tempo parziale. Nel contempo il Comitato chiede alle parti sociali di tenere conto, nei loro accordi contrattuali, del principio delle pari opportunità fra uomini e donne.

4.6

Dati il regresso e l'invecchiamento della popolazione attiva, per poter mantenere a lungo termine la propria capacità innovativa e concorrenziale gli Stati membri dell'Unione europea hanno più che mai bisogno delle conoscenze, del bagaglio di esperienze e delle capacità dei lavoratori anziani. Il Comitato ritiene importante favorire un invecchiamento attivo. Inoltre, approva la proposta della task force di creare incentivi per indurre sia i lavoratori ad andare in pensione più tardi, sia i datori di lavoro ad assumere e a non licenziare lavoratori non più giovani. Per raggiungere davvero questo obiettivo occorre creare condizioni economiche e politiche che rafforzino gli incentivi a prolungare la vita lavorativa e, allo stesso tempo, rendano più facile per le imprese assumere anche lavoratori anziani. Come ha dimostrato uno studio svolto dalla Fondazione di Dublino (16), per promuovere l'occupazione dei lavoratori anziani è necessario un mercato del lavoro che consenta di offrire anche a loro un'occupazione, il che richiede un contributo attivo da parte di tutti gli attori partecipanti e presuppone anche corsi di aggiornamento per il miglioramento delle qualifiche e un'organizzazione del lavoro flessibile. Un altro aspetto che merita particolare attenzione è il mantenimento della capacità lavorativa degli anziani. A tal fine sono determinanti un'organizzazione del lavoro e anche una gestione del personale che tengano conto dell'età, nonché provvedimenti adeguati in materia di salute e di sicurezza (17).

4.7

Vista la contrazione della popolazione attiva in Europa, di recente il Comitato ha fatto riferimento anche al ruolo che possono svolgere gli immigrati sul mercato del lavoro per garantire un potenziale sufficiente di forza lavoro qualificata (18).

5.   Investire nel capitale umano

5.1

Una buona formazione scolastica e professionale è la via maestra verso una carriera professionale coronata da successo. L'Europa sta cambiando e sta diventando l'«Europa della conoscenza». Il Comitato ha già fatto notare ripetutamente e con forza l'importanza dell'istruzione (19) e si compiace del fatto che la relazione della task force dia particolare risalto a questo settore. Le basi dell'istruzione vengono poste a scuola. Pertanto, come afferma giustamente la task force, affinché tutti i giovani possiedano almeno le qualifiche di base indispensabili per iniziare proficuamente la vita lavorativa, è estremamente importante diminuire il numero di coloro che abbandonano la scuola senza aver acquisito qualifiche o capacità di livello adeguato. Per raggiungere questo scopo si deve rendere la scuola più attraente, senza però sacrificarne la qualità. Anche per la formazione professionale, un settore nel quale le parti sociali svolgono tradizionalmente un ruolo importante, è necessario un sistema efficiente, impostato anche sulle esigenze del mercato del lavoro oltre che su obiettivi generali di politica dell'istruzione.

5.2

Il Comitato è favorevole a potenziare ulteriormente il settore dell'istruzione superiore. L'idea espressa dalla task force di favorire l'accesso all'istruzione superiore da parte di fasce più ampie della popolazione è un obiettivo condivisibile, ma va perseguito senza accettare compromessi in termini di qualità dell'insegnamento. La creazione di uno «Spazio europeo dell'istruzione superiore» è un altro passo importante: il Comitato chiede da tempo che siano intensificati gli sforzi volti alla costruzione di uno «Spazio europeo dell'apprendimento» (20). I titoli di studio devono essere spendibili in tutta Europa e a livello internazionale. Per questo motivo il Comitato accoglie con favore la decisione dei ministri europei dell'Istruzione superiore (21) di introdurre nei prossimi anni titoli universitari di «Master» e «Bachelor» riconosciuti a livello internazionale. Per facilitare ai giovani laureati l'ingresso nella vita lavorativa è inoltre necessario verificare la pertinenza dei piani di studio per l'attuale mondo del lavoro.

5.3

La formazione permanente è un fattore importante per tutte le categorie di lavoratori. Per «formazione permanente» si intende principalmente lo sforzo sistematico e attivo in materia di formazione compiuto dai cittadini europei nel corso dell'esistenza per far fronte alle esigenze della vita quotidiana (22). Non solo i lavoratori stessi, ma anche le imprese hanno interesse a riconoscere e a potenziare le capacità professionali. Il Comitato si compiace che la task force tenga conto anche del settore pubblico come soggetto rilevante in questo campo. Anche alle parti sociali spetta un ruolo importante in materia. Dato che dalla formazione permanente traggono beneficio i lavoratori, le imprese e la società nel suo insieme, ne consegue che anche la responsabilità è condivisa, sia per la formazione in sé che per i costi che ne derivano. Un'elevata qualità dell'istruzione e dell'aggiornamento professionale, tale da dare ai lavoratori la possibilità di acquisire le competenze di cui hanno bisogno, riduce il rischio di disoccupazione, aumenta le possibilità di essere assunti e quindi contrasta l'emarginazione sociale. Gli investimenti nel miglioramento delle qualifiche e le strategie per l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita sono importanti per la futura competitività dell'Europa e quindi, giustamente, assumono uno spazio di rilievo anche nella strategia europea per l'occupazione. Per migliorare le possibilità di sviluppo professionale dei lavoratori e ampliare le loro opportunità sul mercato del lavoro, è necessario intervenire sui settori dell'istruzione e dell'aggiornamento per accrescerne la capacità di trasmettere competenze pertinenti. Il Comitato si compiace del fatto che le parti sociali abbiano adottato proprio questo approccio nel «Quadro d'azione per lo sviluppo delle competenze e delle qualifiche lungo tutto l'arco della vita» (23) da loro elaborato.

Bruxelles, 26 febbraio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale

Roger BRIESCH


(1)  Parere del CESE Il futuro della strategia europea per l'occupazione (SEO) - Una strategia per il pieno impiego e posti di lavoro migliori per tutti, GU C 133 del 6.6.2003.

(2)  Parere del CESE in merito alla Proposta di decisione del Consiglio relativa a orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione, GU C 208 del 3.9.2003.

(3)  Parere del CESE in merito agli Indirizzi di massima per le politiche economiche 2003, GU C 133 del 6.6.2003. Cfr. anche il parere del CESE La governance economica nell'UE, GU C 85 dell'8.4.2003 e il parere del CESE dell'11 dicembre 2003 Indirizzi di massima per le politiche economiche 2003-2005.

(4)  Cfr. per es. la relazione informativa del CESE del 7 giugno 2001 Controllare la globalizzazione: un'esigenza per i gruppi più deboli, REX/062, il parere del CESE Per un'OMC dal volto umano: le proposte del CESE, GU C 133 del 6.6.2003 e il parere del CESE Preparazione della Quinta conferenza ministeriale dell'OMC, GU C 234 del 30.9.2003.

(5)  Parere del CESE Strategia europea per l'occupazione, GU C 133 del 6.6.2003; parere del CESE Orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione, GU C 208 del 3.9.2003.

(6)  Parere del CESE Orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione, GU C 208 del 3.9.2003.

(7)  Cfr. tra l'altro REX/130-2003 Vocational training and lifelong learning and their impact on employment in Estonia [La formazione professionale e l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita e il loro impatto sull'occupazione in Estonia], N.d.T: documento disponibile solo in inglese; REX/148-2003 Dichiarazione congiunta; REX/087-2002 La situation des petites et moyennes entreprises en Hongrie à la lumière de la politique de l'UE en la matière [La situazione delle piccole e medie imprese in Ungheria alla luce della politica dell'UE in materia], N.d.T: documento non disponibile in italiano.

(8)  Parere del CESE, del 20 marzo 2002, in merito al Libro verde Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese, GU C 125 del 27.5.2002.

(9)  Parere del CESE, del 24 settembre 2003, in merito al Libro verde L'imprenditorialità in Europa, CESE 1173/2003.

(10)  Carta europea per le piccole imprese, giugno 2000; parere del CESE Carta europea per le piccole imprese, GU C 204 del 18.7.2002.

(11)  Sull'economia sociale cfr. il parere del CESE sul tema L'economia sociale ed il mercato unico, CES 242/2000, GU C 117 del 26.4.2000.

(12)  Parere del CESE sulla strategia europea per l'occupazione, GU C 133 del 6.6.2003.

(13)  Orientations for reference in managing change and its social consequences [Orientamenti di riferimento per gestire il cambiamento e le sue conseguenze sociali], 16 ottobre 2003, UNICE, CES, CEEP, Ueapme.

(14)  Parere in merito al Libro bianco della Commissione europea Un nuovo impulso per la gioventù europea, GU C 149 del 21.6.2002; parere in merito al Libro bianco sulla politica della gioventù, GU C 116 del 20.4.2001.

(15)  Decisione del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa a orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione (2003/578/CE).

(16)  Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, Combating Age Barriers in Employment [La lotta contro le barriere dell'età nel mondo del lavoro], N.d.T: non disponibile in italiano. Cfr. anche il parere del CESE sul tema I lavoratori anziani, GU C 14 del 16.1.2001.

(17)  Parere del CESE, del 20 marzo 2002, in merito al Libro verde Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese, GU C 125 del 27.5.2002.

(18)  Parere del CESE, del 10 dicembre 2003, sul tema Immigrazione, integrazione e occupazione (SOC/138).

(19)  Cfr. per es. il parere del CESE La dimensione europea dell'istruzione: natura, contenuto e prospettive, GU C 139 dell'11.5.2001; il parere del CESE Memorandum sulla formazione permanente, GU C 311 del 7.11.2001; il parere del CESE Parametri di riferimento europei per l'istruzione e la formazione, GU C 133 del 6.6.2003; il parere del CESE Pensare all'istruzione di domani, GU C 36 dell'8.2.2002, e il parere del CESE sul Programma e-Learning, GU C 133 del 6.6.2003.

(20)  Cfr. in particolare il parere del CESE La dimensione europea dell'istruzione: natura, contenuto e prospettive, GU C 139 dell'11.5.2001.

(21)  Comunicato della conferenza dei ministri europei dell'Istruzione superiore, Berlino, 19 settembre 2003.

(22)  Cfr. il parere del CESE Memorandum sulla formazione permanente, GU C 311 del 7.11.2001.

(23)  Quadro d'azione per lo sviluppo delle competenze e delle qualifiche lungo tutto l'arco della vita, 14 marzo 2002.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Emendamento respinto

Il seguente emendamento, che ha ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad un quarto dei voti espressi, è stato respinto nel corso del dibattito.

Punto 3.5, terzo trattino Modificare come segue:

promozione e consolidamento di forme di lavoro flessibili come il lavoro interinale - che, in funzione delle aspirazioni del lavoratore, possono servire da trampolino verso un rapporto di lavoro permanente - nel rispetto delle norme sulla parità di trattamento e sulla tutela dei lavoratori. È altresì importante promuovere forme innovative di organizzazione del lavoro (come ad esempio il telelavoro), associando Le nuove forme di flessibilità sul mercato del lavoro dovrebbero essere associate a nuove forme di sicurezza. In tale contesto alle parti sociali spetta un ruolo importante nel definire Le condizioni generali del lavoro flessibile andrebbero stabilite dalle parti sociali attraverso la adeguate, tra l'altro anche nella politica di contrattazione collettiva.

Motivazione

La frase sulla promozione del lavoro interinale non può essere accettata. Vi sono senz'altro situazioni in cui questo tipo di occupazione è necessario, ma solo i rapporti di lavoro a tempo indeterminato meritano di essere promossi, mentre le forme di lavoro flessibile andrebbero considerate eccezioni alla regola. Le regole sul lavoro flessibile, comunque, dovrebbero sempre essere di competenza delle parti sociali.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 53, voti contrari: 67, astensioni: 4.


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 110/135


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Consiglio sulla protezione degli animali durante il trasporto e le operazioni correlate e che modifica le direttive 64/432/CEE e 93/119/CE»

(COM(2003) 425 def. - 2003/0171 (CNS)).

(2004/C 110/23)

Il Consiglio, in data 17 settembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 37 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 febbraio 2004, sulla base del rapporto introduttivo predisposto dal relatore KALLIO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 febbraio 2004, nel corso della 406a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere all'unanimità.

1.   Introduzione

1.1

Il trasporto, che costituisce una degli aspetti più controversi del benessere animale, negli ultimi anni è stato oggetto di sempre maggiore attenzione nel quadro delle politiche dell'Unione europea.

a)

Nel dicembre 2000 la Commissione ha adottato una relazione (1), destinata al Consiglio e al Parlamento europeo, sull'esperienza acquisita dagli Stati membri nell'attuazione della direttiva 95/29/CE;

b)

la relazione è stata presentata nel giugno 2001 al Consiglio Agricoltura, che ne ha fatto proprie le conclusioni in una specifica risoluzione (2). Nel novembre 2001 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione (3) in merito a tale relazione;

c)

l'11 marzo 2002 il Comitato scientifico per la salute e il benessere degli animali ha adottato un parere sul benessere degli animali durante il trasporto. Il parere scientifico contiene in particolare raccomandazioni quanto all'idoneità degli animali ad essere trasportati, alla formazione del personale che effettua questo tipo di trasporto, al trattamento degli animali, a maggiori disponibilità di spazio e a restrizioni nei tempi di trasporto.

1.2

Il trasporto su strada viene scelto nel 90-99 % degli scambi complessivi di animali vivi nell'UE e costituisce pertanto una parte importante dell'attività economica associata al trasporto di animali da allevamento per ragioni commerciali, svolgendo di conseguenza un ruolo di primo piano nello sviluppo economico regionale. Grazie alla sua flessibilità, il trasporto su strada è usato per tutta una serie di operazioni e da un gran numero di imprese. Nel periodo 1996-2000 gli scambi di animali vivi nell'UE hanno raggiunto i 2 milioni di tonnellate all'anno. Circa l'80 % di tali scambi si è svolto tra Stati membri, mentre le esportazioni verso paesi terzi hanno rappresentato circa il 10 % dei trasporti annui e appena l'1,5 % dei trasporti di animali nell'UE è avvenuto sulle lunghe distanze.

1.3

Il Protocollo sulla protezione e il benessere degli animali allegato al Trattato che istituisce la Comunità europea stabilisce che, nella formulazione e nell'attuazione delle politiche dell'agricoltura e dei trasporti, la Comunità e gli Stati membri debbano tenere pienamente conto del benessere degli animali.

2.   Sintesi del documento della Commissione

La proposta di regolamento contiene una serie di innovazioni e di disposizioni specifiche:

a)

l'obiettivo è armonizzare le disposizioni comunitarie relative ai veicoli utilizzati per trasportare animali, alla formazione dei conducenti e alle misure di controllo e di applicazione da parte delle autorità. Vengono inoltre proposti alcuni miglioramenti degli strumenti di controllo e di applicazione;

b)

il campo di applicazione del regolamento viene esteso al trasporto di animali vertebrati vivi per fini commerciali nella Comunità, indipendentemente dalla distanza, ed anche ai controlli specifici sulle partite in arrivo nel territorio doganale comunitario o in partenza. Il regolamento non si applica al trasporto di un animale unico accompagnato dalla persona che ne è responsabile durante il trasporto;

c)

il trasporto di animali continuerà ad essere soggetto ad autorizzazione. La proposta introduce due tipi di autorizzazione, uno per i viaggi su lunghi percorsi e uno per quelli su brevi percorsi, come pure dei requisiti specifici per l'autorizzazione dei conducenti. È inoltre prevista una procedura di approvazione a parte per i veicoli stradali utilizzati per il trasporto di animali su lunghi percorsi;

d)

vengono definiti requisiti di qualificazione armonizzati per i conducenti e il personale addetto ad accudire gli animali;

e)

la proposta fornisce una definizione particolareggiata degli animali non adatti al trasporto e vieta il trasporto di capi molto giovani;

f)

vengono incrementati gli standard tecnici dei veicoli stradali utilizzati per il trasporto di animali e aggiornati i requisiti relativi ai veicoli per i trasporti su lunghi percorsi;

g)

vengono stabilite norme più particolareggiate per i trasporti per mare e per ferrovia, ed è istituita una procedura di approvazione a parte per le navi adibite al trasporto di bestiame;

h)

sono inoltre definite disposizioni più dettagliate per il carico e lo scarico di animali, il loro trattamento durante il viaggio e le attrezzature utilizzate;

i)

vengono introdotti tempi massimi di viaggio per gli animali da allevamento e norme più severe sul trasporto di cavalli;

j)

la proposta stabilisce un aumento dello spazio a disposizione degli animali durante il trasporto su percorsi sia lunghi che brevi;

k)

i giornali di viaggio vengono suddivisi nelle seguenti sezioni: pianificazione, luogo di partenza, luogo di destinazione ed eventuali anomalie nel corso del viaggio;

l)

per facilitare l'applicazione e lo scambio di informazioni, la documentazione richiesta per il trasporto di animali verrà armonizzata;

m)

il regolamento proposto è inteso a facilitare le misure di controllo e di applicazione a cura delle autorità e a promuovere la cooperazione tra organi preposti all'applicazione;

n)

esso tiene inoltre conto dell'esigenza di prevenire la diffusione di malattie animali contagiose.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il Comitato accoglie con favore l'approccio adottato dalla proposta e i suoi principi di base; considera infatti importante accrescere il benessere degli animali durante il trasporto; ritiene inoltre necessario tenere conto dei principi morali ed etici connessi al loro benessere. Il Comitato ritiene che l'obbligo di garantire tale benessere durante il trasporto debba essere conforme alle buone prassi di allevamento, ispirate ai consigli forniti dai migliori veterinari, competenti in fatto di trattamento degli animali.

3.2

Quando sono stati portati alla ribalta, i problemi relativi alla protezione degli animali durante il trasporto hanno suscitato grande attenzione e ampie discussioni nell'UE. Sebbene la pressione esercitata dall'opinione pubblica vari da uno Stato membro all'altro, le innovazioni e le disposizioni relative al benessere degli animali durante il trasporto nel mercato interno devono essere applicabili in modo uguale in tutti gli Stati membri.

3.3

Il Comitato si compiace del fatto che sia stato prescelto lo strumento giuridico del regolamento e che pertanto la normativa in esame sia direttamente applicabile in ciascuno Stato membro. Questa scelta sostiene la linea politica secondo cui norme e condizioni di applicazione devono essere omogenee in tutti gli Stati membri.

3.4

La proposta comporta un riassetto integrale di tutte le disposizioni esistenti in materia di trasporto di animali e modifica le direttive 64/432/CEE e 93/1119/CEE sulla base delle raccomandazioni del comitato scientifico e delle osservazioni emerse dalla consultazione delle parti in causa. Si tratta di una riforma di vasta portata, per la cui applicazione si dovrà tenere conto di una serie di considerazioni pratiche ed economiche e dell'esistenza di condizioni differenti; ad espletare questo importante compito contribuirà la «procedura di comitato» delineata nella proposta.

3.5

Il Comitato desidera sottolineare che le disposizioni e le innovazioni previste dalla proposta devono essere basate sulla più recente ricerca scientifica volta a migliorare il benessere animale. Occorre anche procedere ad una stima economica realistica dei costi delle misure propugnate, in termini sia di investimenti nelle nuove attrezzature e infrastrutture che si renderanno necessarie, sia di impatto sociale delle misure, in particolare nelle aree periferiche o in declino economico.

3.6

Nel valutare la proposta non va mai dimenticato che il benessere animale costituisce la somma di vari fattori. Dalla discussione su specifici limiti e raccomandazioni potrebbero in certi casi emergere soluzioni ancora peggiori di quelle attuali sotto il profilo del benessere animale e/o non sostenibili economicamente. Dev'essere possibile utilizzare una certa discrezionalità, quando ciò sia giustificato e confortato da un parere veterinario competente. In tal modo si potrà fruire di un livello adeguato di flessibilità, senza tuttavia compromettere le garanzie di benessere degli animali durante il trasporto.

3.7

Nel trasporto di animali bisognerebbe fissare norme di portata mondiale. Il fatto che le importazioni di animali da paesi terzi siano assoggettate a norme di trasporto differenti distorce il commercio e limita la competitività dell'UE rispetto a tali paesi, perché un maggior benessere degli animali comporta costi di trasporto superiori. Pertanto le norme europee dovrebbero essere definite in vista dell'obiettivo ultimo di predisporre norme a livello mondiale. In effetti l'Organizzazione mondiale della salute animale (OIE) ha incluso il benessere animale tra le priorità del suo programma, aprendo così la strada alla negoziazione di regole comuni su una scala più ampia che in passato.

3.8

Pur avendo già acquisito importanza negli ultimi anni, il benessere animale dovrebbe assumere un peso maggiore nel contesto generale delle politiche in materia di agricoltura e di scambi commerciali - come richiesto, ad esempio, dall'UE nei negoziati in ambito OMC - diventando quindi un elemento più significativo della «green box» nel quadro della politica del commercio globale.

3.9

Il benessere animale va quindi inserito, accanto alle considerazioni economiche, tra i criteri di pianificazione della zootecnia sostenibile. In futuro il trasporto di carcasse e di carni potrebbe costituire una valida alternativa al trasporto transfrontaliero a lungo raggio di animali vivi.

3.10

La Commissione richiama l'attenzione sull'esigenza di prevenire la diffusione di malattie tra gli animali; tale prevenzione riveste in effetti grande importanza ai fini del loro benessere. Le recenti epizoozie e le misure intraprese per debellarle hanno causato gravi perdite economiche e di immagine. Una pianificazione sostenibile e a lungo termine può svolgere un ruolo importante nel prevenire la diffusione di tali malattie; è necessario tuttavia sviluppare sistemi lungimiranti che non perdano mai di vista il potenziale ruolo del trasporto di animali nella diffusione di malattie infettive.

3.11

Il Comitato si compiace del fatto che, nel pianificare il trasporto di animali, si tenga conto delle norme sull'orario di lavoro dei conducenti. Il benessere animale e la direttiva sul tempo di lavoro dovrebbero essere considerati congiuntamente, stabilendo ad esempio un limite massimo unico di tempo di guida. Nondimeno la legislazione dovrà essere sufficientemente chiara da evitare un'eventuale confusione tra le norme sul trasporto di animali e quelle sull'orario di lavoro.

3.12

Il Comitato constata che la proposta in esame non menziona l'importanza di garantire condizioni di sicurezza nel trasporto di animali ai fini della salute umana e ritiene che questo aspetto andrebbe integrato nell'approccio adottato.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Capitolo I, articolo 1, paragrafo 1: Andrebbe specificata meglio la definizione di «trasporto per fini commerciali», dato che essa determina il campo di azione del regolamento; nel far ciò non bisogna dimenticare che da detto campo di azione va escluso il trasporto quotidiano di animali da un allevamento all'altro (4) e che il trasporto su lunghi percorsi di animali vivi è comunque quasi sempre effettuato per ragioni commerciali. Al momento di mettere a punto nuove norme sul trasporto di animali, non bisogna altresì dimenticare le esigenze specifiche, durante il trasporto, degli animali da riproduzione.

4.2

Capitolo I, articolo 2, lettera h): Sebbene le operazioni di carico e scarico possano essere considerate come parte integrante del viaggio, dato che gli animali vengono spostati anche durante tali operazioni, tuttavia nella pratica il tempo di viaggio può essere misurato soltanto grazie al cronotachigrafo. Il Comitato ritiene pertanto che la durata del viaggio possa essere definita solo misurando il tempo che intercorre tra la partenza e la fine del viaggio stesso.

4.3

Capitolo III, articolo 16: Come armonizzare la formazione dei conducenti che già operano nel settore? Una possibilità sarebbe quella di effettuare degli esami, senza tenere conto di dove siano stati formati i conducenti.

4.4

Capitolo IV, articolo 28: Le guide di buone pratiche dovrebbero essere armonizzate a livello dell'UE.

4.5

Allegato I, Capitolo I, Idoneità al trasporto, paragrafo 2, lettera e): Alcuni Stati membri consentono il trasporto di vitelli di 10 giorni di età il cui ombelico sia già cicatrizzato. Se l'età minima di idoneità al trasporto venisse innalzata a due settimane, sorgerebbero alcune difficoltà di ordine pratico nella gestione quotidiana degli allevamenti. I suini vanno considerati idonei al trasporto al compimento della terza settimana di età. Il Comitato ritiene pertanto che la Commissione dovrebbe tenere pienamente conto di questo aspetto nel valutare l'effettivo impatto della proposta.

4.6

Allegato I, Capitolo III, Trattamento, paragrafo 1.8, lettera e): Sebbene vada per quanto possibile evitato, l'uso di strumenti che somministrano scariche elettriche può rivelarsi a volte necessario per ragioni di sicurezza sul lavoro, nel caso, ad esempio, di animali di grandi dimensioni. In questo contesto occorre perseguire l'armonizzazione con le raccomandazioni del Consiglio d'Europa, sempre che esse siano coerenti con gli obiettivi della proposta in esame.

4.7

Allegato I, Capitolo V, Tempi di viaggio: Si dovrebbero chiarire le definizioni di a) «periodo di riposo» e b) «tempo di viaggio». Per quanto riguarda i tempi massimi di viaggio, si dovrebbe trovare un accordo sull'esigenza di portare gli animali a destinazione senza ritardi. Il limite di nove ore di guida costituisce un compromesso tra i risultati degli studi condotti su diverse specie animali e la legislazione sul tempo di lavoro. Nel caso dei bovini, da alcuni studi è emerso che le conseguenze più importanti sul benessere degli animali sono quelle derivanti dal veicolo di trasporto e dal carico e scarico degli animali stessi, piuttosto che dal tempo di viaggio in sé (5). Nel caso di un lungo percorso da coprire, una soluzione alternativa potrebbe essere costituita da un unico viaggio diretto, fino a destinazione, di 12-14 ore al massimo.

4.7.1

Qualora venga applicata la pausa di 12 ore, prevista dalla proposta, sul veicolo in sosta, si dovrebbe stabilire il numero massimo di sequenze di tempi di viaggio e periodi di riposo ammessibile nel corso di un medesimo trasporto. Bisognerebbe inoltre consentire una maggiore flessibilità dei tempi massimi di viaggio in considerazione di particolari situazioni geografiche; infatti, in condizioni estreme (- 30o o + 30o), le 12 ore di riposo trascorse sul veicolo in sosta potrebbero addirittura ridurre il benessere degli animali, ad esempio per il deteriorarsi della qualità dell'aria o l'inutile prolungarsi della durata complessiva del viaggio. In caso di freddo, può risultare impossibile riscaldare e ventilare efficacemente un veicolo in sosta per lungo tempo. In tali condizioni si possono congelare gli abbeveratoi automatici, ecc. Se un determinato trasporto si può effettuare con una sequenza di 9 ore di viaggio più 12 di riposo più altre 3 di viaggio, oppure in un'unica soluzione di 12 ore, qual è l'alternativa migliore per gli animali?

4.8

Allegato I, Capitolo VII, Spazio disponibile: L'aumento dello spazio disponibile e dell'altezza del compartimento incide direttamente sui costi di trasporto. Tale questione dev'essere studiata più a fondo, onde stabilire quali siano le disponibilità di spazio ideali. Qualora in un determinato spazio venga trasportato un numero troppo ridotto di capi, vi è il pericolo che gli animali si aggrediscano tra loro o che siano maggiormente esposti ai movimenti bruschi del veicolo; aumenta così il rischio di lesioni per gli animali e di una perdita di qualità delle carcasse, una volta macellate. La superficie minima di impiantito di cui alle tabelle 1, 2 e 3 dell'Allegato I, Capitolo VII, paragrafo 1.1, lettere a) e b), deve essere disponibile come segue: a) Area A1 per tutti i trasporti di animali di specie equina, bovina, ovina, caprina e suina.

4.9

Non si dovrebbe escludere completamente la possibilità di utilizzare dei punti di sosta. A condizione che vengano prese misure adeguate per prevenire la diffusione di malattie infettive, i punti di sosta possono infatti fornire agli animali un opportuno riposo nei viaggi particolarmente lunghi.

5.   Conclusioni

5.1

Il Comitato ritiene che il regolamento proposto, da un lato, accrescerà il benessere degli animali durante il trasporto e garantirà un'applicazione più efficace della normativa mentre, dall'altro, comporterà un aumento dei costi di trasporto, che si rifletterà a sua volta sull'intera catena di produzione alimentare e sui soggetti economici coinvolti. Prima di procedere alla sua applicazione, occorrerà effettuare calcoli economici adeguatamente corroborati per definire i costi che deriveranno, a monte e a valle, dall'introduzione delle nuove norme, come pure le potenziali implicazioni sociali.

5.2

Il Comitato ritiene che l'obiettivo del regolamento dovrebbe essere quello di garantire il trasporto a destinazione degli animali, senza ritardi, ad opera di personale esperto; il benessere animale rappresenta la somma di diversi fattori e come tale va valutato.

5.3

È opportuno intensificare i controlli e applicare con maggior rigore la legislazione in materia; le autorità competenti dovrebbero disporre dei poteri necessari per gestire in maniera uniforme le eventuali carenze riscontrate nei singoli Stati membri.

5.4

Il Comitato ribadisce che le disposizioni e le innovazioni contenute nella proposta devono basarsi sulla ricerca scientifica più aggiornata in materia di benessere animale. Occorre procedere a una valutazione realistica delle ricadute economiche della nuova legislazione. Un problema particolare è dato da quelle innovazioni proposte che, oltre a comportare un aumento immediato dei costi di trasporto, non sono corroborate da prove inconfutabili o almeno sufficienti del loro impatto positivo sul benessere animale. In questi casi bisognerebbe adeguare le norme esistenti e continuare a raccogliere informazioni più esaustive, aggiornando la legislazione solo qualora le prove scientifiche siano chiare e conclusive.

5.5

L'applicazione delle norme potrebbe essere ostacolata dalle diverse condizioni geografiche e climatiche degli Stati membri. Qualora le innovazioni proposte, nella loro forma attuale, comportino un calo significativo della competitività dell'allevamento di bestiame in determinate regioni a causa dei costi di trasporto troppo elevati, bisognerà tenere conto delle specificità territoriali. Vi è infatti il rischio che in tali zone la produzione di bestiame venga completamente abbandonata, con conseguente pericolo di uno spopolamento di regioni già di per sé esposte a questo fenomeno. Le norme dovrebbero essere abbastanza flessibili da salvaguardare l'allevamento anche al di fuori delle zone dove esso è praticato in forma intensiva e da consentire il trasporto degli animali verso i mercati.

5.6

Occorre avviare al più presto una discussione onde pervenire ad accordi concreti sull'applicazione su scala mondiale di norme internazionali in materia di trasporti.

Bruxelles, 26 febbraio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  COM(2000) 809 def., adottata il 6 dicembre 2000.

(2)  Risoluzione del Consiglio del 19 giugno 2001 sulla protezione degli animali durante il trasporto (GU C 273 del 28.9.2001, pag. 1).

(3)  Risoluzione del Parlamento europeo sulla relazione della Commissione sull'esperienza acquisita dagli Stati membri nell'attuazione della direttiva 95/29/CE del Consiglio che modifica la direttiva 91/628/CEE relativa alla protezione degli animali durante il trasporto (COM(2000) 809- C5-0189/2001-2001/2085 (COS)) - A5-0347/2001.

(4)  Vanno anche esclusi gli animali soggetti a transumanza (trasferimento stagionale di greggi o mandrie dalle pianure ai pascoli estivi delle regioni montuose).

(5)  Vedere i risultati dello studio «CATRA» sul trasporto di bestiame, finanziato dalla Commissione, giugno 2003. Cfr. il comunicato stampa della Commissione IP 03/854, 17 giugno 2003.