Parti
Motivazione della sentenza
Dispositivo

Parti

Nella causa C-32/05,

avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 31 gennaio 2005,

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dalle sig.re S. Pardo Quintillán e J. Hottiaux, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Granducato di Lussemburgo, rappresentato dal sig. S. Schreiner, in qualità di agente, assistito dal sig. P. Kinsch, avocat,

convenuto,

LA CORTE (Terza Sezione),

composta dai sigg. A. Rosas, presidente di sezione, A. Borg Barthet e A. Ó Caoimh (relatore), giudici,

avvocato generale: sig.ra E. Sharpston

cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 23 marzo 2006,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 18 maggio 2006,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Motivazione della sentenza

1. Con il presente ricorso la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che, non avendo adottato le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 ottobre 2000, 2000/60/CE, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque (GU L 327, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva»), eccezion fatta per gli artt. 3, nn. 1‑3 e 5‑7, e 7, n. 3, e, in ogni caso, non avendole comunicate alla Commissione, il Granducato di Lussemburgo è venuto meno agli obblighi che ad esso incombono ai sensi di tale direttiva.

Contesto normativo

La normativa comunitaria

2. Il diciottesimo ‘considerando’ della direttiva dispone quanto segue:

«La politica comunitaria nel settore delle acque richiede un quadro legislativo trasparente, efficace e coerente. La Comunità dovrebbe fornire principi comuni e il quadro globale in cui inserire gli interventi. La presente direttiva dovrebbe fornire tale quadro e coordinare, integrare e, nel lungo periodo, sviluppare ulteriormente i principi e le strutture generali idonei a garantire la protezione e un utilizzo sostenibile delle acque comunitarie, nel rispetto del principio della sussidiarietà».

3. Dal ventinovesimo ‘considerando’ della direttiva risulta che gli Stati membri, per conseguire gli obiettivi da essa prefissi e nel definire un programma delle misure da adottare a tal fine, possono attuare gradualmente il programma di misure per ripartirne i costi.

4. Ai sensi del suo art. 1, «scopo della […] direttiva è istituire un quadro per la protezione delle acque superficiali interne, delle acque di transizione, delle acque costiere e sotterranee».

5. L’art. 2 contiene 41 definizioni rilevanti ai fini della direttiva. Alcune riguardano gli standard di qualità idrica che la direttiva, in particolare l’art. 4, impone agli Stati membri. I termini per conformarsi a tali standard sono fissati segnatamente agli artt. 4-6 e 8.

6. L’art. 3, rubricato «Coordinamento delle disposizioni amministrative all’interno dei distretti idrografici», dispone ciò che segue:

«1. Gli Stati membri individuano i singoli bacini idrografici presenti nel loro territorio e, ai fini della presente direttiva, li assegnano a singoli distretti idrografici. (...)

2. Gli Stati membri provvedono a adottare le disposizioni amministrative adeguate, ivi compresa l’individuazione dell’autorità competente, per l’applicazione delle norme previste dalla presente direttiva all’interno di ciascun distretto idrografico presente nel loro territorio.

3. Gli Stati membri provvedono affinché un bacino idrografico che si estende sul territorio di più Stati membri sia assegnato a un distretto idrografico internazionale. Su richiesta degli Stati membri interessati, la Commissione interviene per agevolare l’assegnazione di tali distretti idrografici internazionali.

(…)

4. Gli Stati membri provvedono affinché i requisiti stabiliti dalla presente direttiva per conseguire gli obiettivi ambientali di cui all’articolo 4, in particolare tutti i programmi di misure, siano coordinati in tutto il distretto idrografico. Per i distretti idrografici internazionali, gli Stati membri interessati provvedono congiuntamente al coordinamento e possono avvalersi a tal fine di strutture esistenti risultanti da accordi internazionali. Su richiesta degli Stati membri interessati, la Commissione interviene per agevolare la definizione dei programmi di misure.

(…)

6. Ai fini della presente direttiva, gli Stati membri possono individuare quale autorità competente un organismo nazionale o internazionale esistente.

7. Gli Stati membri individuano l’autorità competente entro il termine di cui all’articolo 24.

(…)».

7. L’art. 4 stabilisce gli obiettivi ambientali che gli Stati membri sono tenuti a raggiungere nel rendere operativi i programmi di misure specificate nei piani di gestione dei bacini idrografici per le acque superficiali, per le acque sotterranee e per le aree protette. In sostanza, gli Stati membri sono tenuti ad adottare le misure necessarie per impedire il deterioramento dello stato delle acque e delle aree protette considerate, nonché a migliorare e a ripristinare i corpi idrici in modo da raggiungere i livelli qualitativi definiti dalle disposizioni della direttiva, in particolare dall’art. 2.

8. Ai sensi dell’art. 4, n. 1, lett. c), «gli Stati membri si conformano a tutti gli standard e agli obiettivi entro 15 anni dall’entrata in vigore della […] direttiva, salvo diversa disposizione della normativa comunitaria a norma della quale le singole aree protette sono state istituite».

9. Per quanto riguarda le acque utilizzate per l’estrazione di acqua potabile, l’art. 7 enuncia quanto segue:

«1. All’interno di ciascun distretto idrografico gli Stati membri individuano:

– tutti i corpi idrici utilizzati per l’estrazione di acque destinate al consumo umano che forniscono in media oltre 10 m 3 al giorno o servono più di 50 persone, e

– i corpi idrici destinati a tale uso futuro.

Gli Stati membri provvedono al monitoraggio, a norma dell’allegato V, dei corpi idrici che, in base all’allegato V, forniscono in media oltre 100 m 3 al giorno.

2. Per ciascuno dei corpi idrici individuati a norma del paragrafo 1, gli Stati membri, oltre a conseguire gli obiettivi di cui all’articolo 4 attenendosi ai requisiti prescritti dalla presente direttiva per i corpi idrici superficiali, compresi gli standard di qualità fissati a livello comunitario a norma dell’articolo 16, provvedono a che, secondo il regime di trattamento delle acque applicato e conformemente alla normativa comunitaria, l’acqua risultante soddisfi i requisiti di cui alla direttiva 80/778/CEE [del Consiglio 15 luglio 1980, concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano (GU L 229, pag. 11)], modificata dalla direttiva 98/83/CE [del Consiglio 3 novembre 1998 (GU L 330, pag. 32)].

3. Gli Stati membri provvedono alla necessaria protezione dei corpi idrici individuati al fine di impedire il peggioramento della loro qualità per ridurre il livello della depurazione necessaria alla produzione di acqua potabile. Gli Stati membri possono definire zone di salvaguardia per tali corpi idrici».

10. A termini dell’art. 14 della direttiva:

«1. Gli Stati membri promuovono la partecipazione attiva di tutte le parti interessate all’attuazione della presente direttiva, in particolare all’elaborazione, al riesame e all’aggiornamento dei piani di gestione dei bacini idrografici. Gli Stati membri provvedono affinché, per ciascun distretto idrografico, siano pubblicati e resi disponibili per eventuali osservazioni del pubblico, inclusi gli utenti:

a) il calendario e il programma di lavoro per la presentazione del piano, inclusa una dichiarazione delle misure consultive che devono essere prese almeno tre anni prima dell’inizio del periodo cui il piano si riferisce;

b) una valutazione globale provvisoria dei problemi di gestione delle acque importanti, identificati nel bacino idrografico, almeno due anni prima dell’inizio del periodo cui si riferisce il piano;

c) copie del progetto del piano di gestione del bacino idrografico, almeno un anno prima dell’inizio del periodo cui il piano si riferisce.

Su richiesta, si autorizza l’accesso ai documenti di riferimento e alle informazioni in base ai quali è stato elaborato il progetto del piano di gestione del bacino idrografico.

2. Per garantire l’attiva partecipazione e la consultazione, gli Stati membri concedono un periodo minimo di sei mesi per la presentazione di osservazioni scritte sui documenti in questione.

3. I paragrafi 1 e 2 si applicano anche agli aggiornamenti dei piani in questione».

11. A termini dell’art. 24 della direttiva:

«1. Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 22 dicembre 2003. Essi ne informano immediatamente la Commissione.

(…)

2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle principali disposizioni di diritto interno che essi adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva. La Commissione ne informa gli altri Stati membri».

La normativa nazionale

12. La legge 29 luglio 1993, sulla protezione e la gestione delle acque (Mém. A 1993, pag. 1302; in prosieguo: la «legge 1993»), riguarda le acque superficiali e sotterranee, sia pubbliche che private.

13. Il suo art. 2, rubricato «Linee direttrici», così recita:

«1. L’obiettivo della legge [1993] è di combattere l’inquinamento delle acque e di assicurare la rigenerazione idrica allo scopo di soddisfare i requisiti necessari, in particolare, per

– la tutela della salute dell’uomo e degli animali, nonché dell’equilibrio ecologico;

– la vita biologica degli ecosistemi acquatici di acque riceventi, in particolare della fauna ittica;

– l’approvvigionamento di acqua per il consumo umano e per gli usi industriali;

– la tutela delle risorse idriche;

– la balneazione, gli sport acquatici ed altre attività ricreative;

– la tutela del paesaggio e dei siti nonché

– l’agricoltura, l’industria, i trasporti e tutte le altre attività umane di interesse generale.

2. Chiunque utilizzi le acque considerate dalla presente legge deve adoperarsi a prevenire o a ridurre in tutti i modi possibili ogni inquinamento idrico, con la diligenza che le circostanze richiedono».

14. L’art. 3 della legge 1993 contiene un elenco di 12 definizioni di termini che ricorrono nella legge.

15. Quanto all’identificazione, alla creazione e alla gestione delle zone di protezione delle acque, gli artt. 18 e 19 della legge 1993 così dispongono:

«18. Zone di protezione delle acque

1. Al fine di assicurare la qualità delle acque destinate all’alimentazione umana, i terreni che attorniano i punti di prelievo possono essere dichiarati zone di protezione, suddivise in zone di captazione, zone di protezione adiacenti e zone di protezione distanti.

Questa misura di esecuzione deve rispondere al piano nazionale di gestione delle acque previsto all’art. 6 della presente legge.

2. I terreni ubicati nelle zone di captazione vanno acquisiti in piena proprietà.

Essi possono essere espropriati secondo le modalità e le forme previste dalla legge 15 marzo 1979 sull’espropriazione per pubblica utilità.

3. Nelle zone di protezione adiacenti possono essere vietate, regolamentate o sottoposte ad autorizzazione speciale tutte le attività, installazioni e depositi suscettibili di nuocere direttamente o indirettamente alla qualità delle acque.

4. Nelle zone di protezione distanti possono essere regolamentate le attività, le installazioni e i depositi di cui al paragrafo 3.

19. Modalità di creazione e di gestione delle zone di protezione delle acque

1. La creazione delle zone di protezione delle acque è proposta dal ministro, d’accordo col Consiglio dei ministri.

2. Il ministro ordina l’apertura di un fascicolo comprendente:

– una nota dell’oggetto, dei motivi e della portata dell’operazione;

– un rapporto geologico che constati, in particolare, la rapidità della relazione idrogeologica tra le zone d’infiltrazione e i punti di prelievo da proteggere;

– l’elenco dei comuni inclusi, in tutto o in parte, nella zona da proteggere con l’indicazione, comune per comune, delle sezioni catastali corrispondenti;

– una carta topografica e i piani catastali con il tracciato dei confini della zona da proteggere;

– il piano di gestione, che definirà:

a) gli oneri imposti a proprietari e possessori,

b) le servitù previste per la zona protetta,

c) le risistemazioni e le opere edili eventualmente necessarie alla funzione della zona protetta.

3. Ai fini dell’istruttoria, il ministro invia il fascicolo al commissario del distretto competente per territorio.

Il commissario del distretto ordina il deposito del fascicolo per trenta giorni nel comune affinché gli interessati possano prenderne conoscenza. Del deposito è data comunicazione nella bacheca del comune secondo le consuete modalità di pubblicazione, invitando a prendere visione dei documenti.

Obiezioni al progetto possono essere indirizzate, nei termini fissati al comma precedente, al Collegio dei Borgomastri e degli Scabini, che le sottoporrà al parere del Consiglio comunale. Il fascicolo, completo dei reclami e del parere del Consiglio comunale, va trasmesso entro un mese dalla scadenza del termine di pubblicazione al commissario del distretto, che lo inoltrerà al ministro con le proprie osservazioni.

4. La dichiarazione di zona di protezione delle acque è fatta con regolamento granducale, sentito il Consiglio di Stato.

5. Il regolamento granducale che dichiara zona di protezione delle acque una parte del territorio può imporre oneri ai proprietari o ai possessori di immobili e gravare i fondi con servitù relative in particolare:

– all’utilizzo delle acque;

– alla normativa d’uso di pesticidi e di concimi inquinanti;

– al divieto di cambiamento della destinazione del suolo.

Gli effetti della dichiarazione di zona di protezione delle acque seguono il territorio, in qualunque mano esso passi».

Il procedimento precontenzioso

16. Ritenendo che la direttiva non fosse stata trasposta nel diritto lussemburghese entro il termine prescritto, la Commissione, dopo aver invitato il Granducato di Lussemburgo, con lettera di diffida 26 gennaio 2004, a presentare le proprie osservazioni conformemente all’art. 226 CE, emanava un parere motivato in data 9 luglio 2004, invitando il detto Stato membro a prendere le misure necessarie per conformarsi agli obblighi posti dalla direttiva entro due mesi dalla notifica del parere.

17. Con risposta 27 settembre 2004 le autorità lussemburghesi adducevano varie ragioni per giustificare la ritardata trasposizione della direttiva, fra cui la mancanza di chiarezza di talune nozioni ivi menzionate e la risoluzione del governo lussemburghese di profittare della detta trasposizione per procedere ad una revisione sostanziale della legislazione nazionale in vigore. Esse precisavano, però, che in nessun caso il ritardo nella trasposizione formale della direttiva costituisse un ostacolo all’osservanza delle diverse scadenze da essa imposte.

18. Ritenendo insufficiente tale risposta, la Commissione decideva di proporre il presente ricorso.

Sul ricorso

Sulla prima censura, vertente sull’omessa comunicazione delle misure di trasposizione

Argomenti delle parti

19. La Commissione ricorda che, conformemente all’art. 24 della direttiva, gli Stati membri dovevano mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva entro il 22 dicembre 2003 ed informarne immediatamente la Commissione. Con il presente ricorso essa fa valere che le autorità lussemburghesi non l’avevano informata delle disposizioni adottate.

20. Prendendo atto delle informazioni fornite dal governo lussemburghese nel controricorso a proposito di una lettera inviatale dalla rappresentanza permanente del Lussemburgo presso l’Unione europea il 24 agosto 2004 (in prosieguo: la «lettera 24 agosto 2004»), concernente l’applicazione dell’art. 3 della direttiva, la Commissione ammette nella replica di non aver avuto conoscenza di tale scritto per un difetto di coordinamento dei propri servizi. La ricorrente riconosce che la comunicazione prescritta dal detto art. 3 è dunque avvenuta, tuttavia – ribadisce – solo dopo la scadenza del termine stabilito dallo stesso art. 3, n. 8, ossia il 22 giugno 2004, e per giunta posteriormente alla notifica del parere motivato.

21. Quanto alla legge 1993 che, secondo il Granducato di Lussemburgo, accorda alle autorità di tale Stato membro poteri sufficienti per assicurare la realizzazione degli obiettivi operativi della direttiva, e che le è stata comunicata per la prima volta nel controricorso, la Commissione fa presente di non aver mai avuto notizia della stessa e del suo contenuto anteriormente a tale comunicazione. Ne conclude, perciò, che il Granducato di Lussemburgo non ha comunicato le misure adottate per conformarsi alla direttiva entro il termine prescritto.

Giudizio della Corte

22. Secondo una costante giurisprudenza, l’esistenza di un inadempimento dev’essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato e non possono essere prese in considerazione dalla Corte modifiche successivamente intervenute (v., in particolare, sentenze 14 settembre 2004, causa C-168/03, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-8227, punto 24, e 12 gennaio 2006, causa C‑118/05, Commissione/Portogallo, non pubblicata nella Raccolta, punto 7).

23. Nella fattispecie, si deve osservare innanzi tutto che la lettera 24 agosto 2004 è stata spedita prima della scadenza del termine di due mesi stabilito nel parere motivato del 9 luglio 2004. Se è vero, come ha osservato la Commissione, che le autorità lussemburghesi non hanno fatto alcuna allusione a tale lettera nel procedimento precontenzioso, è pur vero che la comunicazione delle misure adottate per trasporre l’art. 3 della direttiva è avvenuta prima della scadenza del detto termine.

24. Ciò considerato, si deve constatare che la prima censura della Commissione, concernente la comunicazione delle misure di trasposizione della suddetta disposizione, è infondata.

25. Quanto, invece, alla notifica delle altre disposizioni adottate dal Granducato di Lussemburgo per conformarsi alla direttiva, si deve constatare che tale Stato ha prodotto per la prima volta nel controricorso una copia della legge 1993 asserendo che essa trasponesse adeguatamente la direttiva. Senza bisogno di accertare in questa sede se tale legge costituisca effettivamente una trasposizione adeguata della direttiva – la questione è oggetto, infatti, della seconda censura della Commissione –, va osservato che, conformemente alla giurisprudenza della Corte citata supra al punto 22, un argomento di difesa dedotto con tanto ritardo non ha effetti sulla censura di omessa notifica delle informazioni richieste entro il termine fissato nel parere motivato.

26. In merito, infine, alle misure adottate per trasporre l’art. 7, n. 3, della direttiva, la Commissione ha riconosciuto nella replica che gli artt. 18 e 19 della legge 1993 possono essere ritenuti trasporre in maniera adeguata tale disposizione. Siccome, però, la detta legge è stata comunicata alla Commissione per la prima volta nel controricorso, si deve considerare fondata, per i motivi esposti al precedente punto di questa sentenza, la censura della Commissione vertente sull’omessa comunicazione delle misure di trasposizione dell’art. 7, n. 3, della direttiva.

27. Tutto ciò considerato, si deve statuire che, non avendo comunicato alla Commissione le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative adottate per conformarsi alla direttiva 2000/60, eccezion fatta per quelle concernenti l’art. 3 della stessa, il Granducato di Lussemburgo è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza dell’art. 24 della detta direttiva.

Sulla seconda censura, vertente sull’omessa adozione delle misure necessarie per conformarsi alla direttiva

Argomenti delle parti

28. La Commissione fa valere che la direttiva richiede agli Stati membri l’adozione di misure di trasposizione generali e particolari che conformino gli ordinamenti giuridici nazionali agli obiettivi che essa fissa. Essa imporrebbe agli Stati membri di adottare una normativa-quadro in materia di acque, entro e non oltre il 22 dicembre 2003, e di intraprendere azioni concrete o contestualmente o a scadenze scaglionate nel tempo. Secondo la Commissione, l’elaborazione di una legge nazionale d’inquadramento generale è la fase più importante della trasposizione perché è con essa che vengono fissati i principali obblighi degli Stati membri e gli opportuni fondamenti normativi per l’adozione di misure più specifiche.

29. La Commissione sostiene, in subordine, che le disposizioni della legge 1993 non assicurano una trasposizione completa della direttiva.

30. Il governo lussemburghese ritiene che la direttiva non richieda misure effettive di trasposizione per conformare l’ordinamento giuridico lussemburghese agli obiettivi che essa fissa. La direttiva insisterebbe sulle azioni concrete che le autorità nazionali devono intraprendere, piuttosto che sull’armonizzazione formale del diritto interno con quello comunitario. Essa non richiederebbe l’armonizzazione della legislazione, ma solamente un quadro per una politica comunitaria in materia di acque.

31. I singoli obblighi operativi imposti alle autorità degli Stati membri andrebbero eseguiti tra il 2006 e il 2015, ciò che permetterebbe di raggiungere gli obiettivi così definiti entro i termini impartiti dalla direttiva. Quanto al resto, il governo lussemburghese ritiene che la propria legislazione, segnatamente la legge 1993, fornisca alle autorità nazionali un arsenale di misure che possono risultare sufficienti per raggiungere gli obiettivi operativi della direttiva.

Giudizio della Corte

– Sull’obbligo di adottare una normativa-quadro per la trasposizione della direttiva

32. Quanto, innanzi tutto, alla questione se la direttiva imponga agli Stati membri di adottare una normativa-quadro per trasporre nell’ordinamento nazionale gli obblighi che da essa discendono, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, ciascuno degli Stati membri destinatari di una direttiva ha l’obbligo di adottare, nell’ambito del proprio ordinamento giuridico, tutti i provvedimenti necessari per garantire la piena efficacia della direttiva, conformemente allo scopo che essa persegue (v., in particolare, sentenze 7 maggio 2002, causa C‑478/99, Commissione/Svezia, Racc. pag. I‑4147, punto 15, e 26 giugno 2003, causa C‑233/00, Commissione/Francia, Racc. pag. I‑6625, punto 75).

33. Si deve precisare che la prima parte della seconda censura della Commissione non riguarda la questione di sapere se il Granducato di Lussemburgo abbia l’obbligo di adottare tutti i provvedimenti necessari per garantire la piena efficacia della direttiva, ciò che esso non contesta, bensì quella se il detto Stato abbia l’obbligo di adottare un provvedimento in particolare, id est una normativa-quadro, per garantire tale piena efficacia e conformarsi agli obblighi a suo carico.

34. Ai sensi dell’art. 249, terzo comma, CE, gli Stati membri sono liberi di scegliere la forma e i mezzi di attuazione delle direttive che ne permettano la migliore realizzazione. Discende da tale disposizione che la trasposizione nel diritto interno di una direttiva non implica necessariamente l’azione legislativa di ogni Stato membro. Come la Corte ha ripetutamente statuito, non è sempre richiesta una formale riproduzione delle disposizioni di una direttiva in una norma di legge espressa e specifica, posto che per la trasposizione di una direttiva può essere sufficiente, in base al suo contenuto, un contesto normativo generale. In particolare, l’esistenza di principi generali di diritto costituzionale o amministrativo può rendere superflua la trasposizione mediante provvedimenti legislativi o regolamentari ad hoc, a condizione tuttavia che tali principi garantiscano effettivamente la piena applicazione della direttiva da parte dell’amministrazione nazionale, che, nel caso in cui la disposizione in parola sia diretta a creare diritti per i singoli, la situazione giuridica risultante da tali principi sia sufficientemente precisa e chiara e che i beneficiari siano messi in grado di conoscere la pienezza dei loro diritti e, se del caso, di avvalersene dinanzi ai giudici nazionali (v., in particolare, sentenza 23 maggio 1985, causa 29/84, Commissione/Germania, Racc. pag. 1661, punti 22 e 23; 9 settembre 1999, causa C‑217/97, Commissione/Germania, Racc. pag. I‑5087, punti 31 e 32, e 26 giugno 2003, Commissione/Francia, cit., punto 76).

35. Risulta altresì dalla giurisprudenza della Corte che, in linea di principio, una disposizione che riguarda esclusivamente i rapporti fra gli Stati membri e la Commissione non deve essere trasposta. Tuttavia, posto che gli Stati membri hanno l’obbligo di assicurare la piena osservanza del diritto comunitario, la Commissione ha la facoltà di dimostrare che il rispetto della disposizione di una direttiva che disciplina i detti rapporti richiede necessariamente l’adozione di specifiche misure di trasposizione nell’ordinamento giuridico nazionale (v., in tal senso, sentenze 24 giugno 2003, causa C‑72/02, Commissione/Portogallo, Racc. pag. I-6597, punti 19 e 20, e 20 novembre 2003, causa C‑296/01, Commissione/Francia, Racc. pag. I‑13909, punto 92).

36. Ne consegue che, per misurare la portata dell’obbligo di trasposizione a carico degli Stati membri, occorre accertare caso per caso la natura delle disposizioni previste dalla direttiva ed oggetto del ricorso per inadempimento.

37. La prassi legislativa comunitaria dimostra che possono esistere grandi differenze quanto al tipo di obblighi imposti dalle direttive agli Stati membri e, dunque, quanto ai risultati che debbono essere raggiunti (sentenza 18 giugno 2002, causa C‑60/01, Commissione/Francia, Racc. pag. I‑5679, punto 25).

38. Infatti, talune direttive impongono che vengano adottate misure legislative a livello nazionale e che la loro osservanza sia sottoposta ad un controllo giurisdizionale o amministrativo (v., a questo proposito, sentenze 16 novembre 1989, causa C‑360/88, Commissione/Belgio, Racc. pag. 3803; 6 dicembre 1989, causa C‑329/88, Commissione/Grecia, Racc. pag. 4159, e 18 giugno 2002, Commissione/Francia, cit., punto 26).

39. Altre direttive prescrivono che gli Stati membri adottino le misure necessarie per assicurare che taluni obiettivi enunciati in maniera generale e non quantificabile vengano raggiunti, lasciando però agli Stati membri un certo margine di discrezionalità circa il tipo di provvedimenti da adottare (v., a questo proposito, sentenze 9 novembre 1999, causa C‑365/97, Commissione/Italia, detta «San Rocco», Racc. pag. I‑7773, punti 67 e 68; e 18 giugno 2002, Commissione/Francia, cit., punto 27).

40. Altre direttive ancora impongono agli Stati membri che vengano raggiunti risultati assai precisi e concreti entro un certo termine (v., a questo proposito, sentenze 14 luglio 1993, causa C‑56/90, Commissione/Regno Unito, Racc. pag. I-4109, punti 42-44; 19 marzo 2002, causa C‑268/00, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I‑2995, punti 12-14; e 18 giugno 2002, Commissione/Francia, cit., punto 28).

41. Per quanto riguarda il presente ricorso, si deve ricordare che la direttiva 2000/60 è una direttiva-quadro adottata sul fondamento dell’art. 175, n. 1, CE. Essa stabilisce principi comuni e un quadro globale per l’azione comunitaria in materia di acque e coordina, integra e, nel lungo periodo, sviluppa ulteriormente i principi generali e le strutture idonei a garantire la protezione e un utilizzo sostenibile delle acque comunitarie. Saranno poi gli Stati membri a sviluppare ancora i principi comuni e il quadro globale così decisi, adottando una serie di misure specifiche entro i termini che essa impartisce. La direttiva non persegue, tuttavia, un’armonizzazione totale delle normative degli Stati membri in materia di acque.

42. L’analisi della direttiva rivela che essa contiene varie disposizioni costitutive di obblighi per gli Stati membri (ad esempio, l’art. 4, che prescrive agli Stati membri di attuare le misure necessarie per impedire il deterioramento dello stato di tutti i corpi idrici superficiali e sotterranei), per gli Stati membri nei confronti della Commissione e della Comunità (ad esempio, l’art. 24, n. 2, relativo all’obbligo di comunicazione delle misure di trasposizione) e per le stesse istituzioni (ad esempio, gli artt. 16 e 17, che invitano le istituzioni comunitarie ad adottare misure comunitarie in materia di inquinamento dei corpi idrici e delle acque sotterranee).

43. Da un esame globale della direttiva risulta che la maggior parte delle disposizioni sono del tipo menzionato al punto 39 della presente sentenza, cioè prescrivono agli Stati membri di adottare le misure necessarie ad assicurare il raggiungimento di determinati obiettivi, formulati a volte in maniera generale, lasciando però loro un certo margine di discrezionalità circa il tipo di provvedimenti da adottare.

44. La direttiva 2000/60 contiene anche disposizioni come l’art. 1, che si limita ad enunciare i diversi obiettivi di quest’ultima, e che, come la stessa Commissione ha riconosciuto all’udienza, non richiede trasposizione.

45. In risposta a quesiti, posti all’udienza, finalizzati a stabilire su quali concrete disposizioni della direttiva si fondi l’obbligo di adottare una normativa-quadro per soddisfare le condizioni della direttiva, la Commissione ha fatto riferimento agli artt. 1 e 2, che enunciano gli obiettivi della direttiva e le definizioni su cui essa si fonda, senza precisare in cosa queste disposizioni esigano l’adozione di una legge‑quadro, né perché quest’ultima sarebbe necessaria per permettere agli Stati membri di assicurare gli obiettivi fissati dalla direttiva entro i termini prescritti.

46. Ebbene, non risulta né da queste né da altre disposizioni della direttiva che gli Stati membri siano obbligati, per trasporle correttamente, ad adottare una normativa-quadro.

47. Certamente, come il governo lussemburghese ha riconosciuto all’udienza, l’adozione di una normativa-quadro può costituire un modo adeguato, perfino più semplice, di trasporre la direttiva, atteso che può fornire alle autorità competenti, in un testo unico, fondamenti normativi chiari per elaborare le diverse misure previste dalla direttiva in materia di acque e scadenzate nel tempo. L’adozione di una normativa-quadro può altresì facilitare il lavoro della Commissione, che deve vegliare a che gli obblighi posti dalla direttiva agli Stati membri siano rispettati.

48. L’adozione di una normativa-quadro non è, però, il solo modo in cui gli Stati membri possono garantire la piena applicazione della direttiva e prevedere un sistema organizzato e articolato per la realizzazione dei suoi obiettivi.

49. Se avesse voluto imporre agli Stati membri di adottare nel loro ordinamento giuridico una normativa-quadro per trasporre la direttiva, il legislatore comunitario avrebbe potuto inserire una disposizione in tal senso nel testo di quest’ultima. Così non è stato.

50. In ogni caso, il fatto stesso che, nel procedimento dinanzi alla Corte, la Commissione abbia riconosciuto che il Granducato di Lussemburgo ben abbia trasposto talune disposizioni della direttiva, segnatamente quelle degli artt. 3 e 7, nn. 1 e 3, ed abbia ammesso che non è necessario trasporre l’art. 1, dimostra che per la trasposizione degli obblighi previsti dalla direttiva una normativa-quadro non è indispensabile.

51. Poiché spetta alla Commissione, nell’ambito di un ricorso per inadempimento, provare l’asserita inadempienza fornendo alla Corte gli elementi necessari perché questa verifichi l’esistenza di tale trasgressione, senza potersi fondare su alcuna presunzione (v., in particolare, sentenze 25 maggio 1982, causa 96/81, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. 1791, punto 6; 26 giugno 2003, causa C‑404/00, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-6695, punto 26; 6 novembre 2003, causa C-434/01, Commissione/Regno Unito, Racc. pag. I‑13239, punto 21, e 29 aprile 2004, causa C‑194/01, Commissione/Austria, Racc. pag. I‑4579, punto 34), e la Commissione non ha giustificato nella fattispecie né le disposizioni della direttiva c he obbligherebbero gli Stati membri ad adottare una normativa-quadro, né la necessità di una tale misura per garantire il risultato al quale quella tende, si deve constatare che la prima parte della seconda censura è infondata.

– Sulla trasposizione della direttiva tramite la legge 1993

52. Agli argomenti presentati dal governo lussemburghese per la prima volta nel controricorso la Commissione ha replicato, in via subordinata, che la legge 1993 non traspone adeguatamente le disposizioni della direttiva.

53. Si deve osservare, a tale riguardo, che, nel parere motivato, come anche nel ricorso depositato dinanzi alla Corte, in cui addebita al Granducato di Lussemburgo di non aver adottato le misure necessarie alla trasposizione, la Commissione non ha cercato di dimostrare in cosa il diritto lussemburghese in vigore non fosse conforme alle disposizioni della direttiva. Soltanto nella replica essa ha fatto valere che la legge 1993 non operava una trasposizione adeguata.

54. Questa mancanza di precisione del ricorso deriva, tuttavia, proprio dal comportamento delle autorità lussemburghesi che durante il procedimento precontenzioso non hanno fatto parola della legge 1993 come misura sufficiente di trasposizione della direttiva, ma hanno anzi lasciato intendere che le disposizioni necessarie a tale trasposizione fossero di prossima adozione.

55. Poiché il governo lussemburghese ha allegato la conformità della legge 1993 con la direttiva per la prima volta nel controricorso, la Commissione ha tenuto conto delle informazioni tardivamente comunicate dal governo lussemburghese [solo] nella replica, argomentando che la trasposizione asserita dal Granducato di Lussemburgo è, in ogni caso, inesatta ovvero incompleta relativamente a determinate disposizioni della direttiva.

56. Come la Corte ha già affermato in circostanze simili, se il procedimento precontenzioso ha raggiunto l’obiettivo di proteggere i diritti dello Stato membro di cui trattasi, tale Stato non può contestare alla Commissione di aver esteso o modificato l’oggetto del ricorso come delimitato da tale procedimento se nel corso dello stesso non le ha indicato che la direttiva doveva essere considerata già trasposta nel diritto interno in vigore. Secondo la Corte, la Commissione può, dopo aver contestato ad uno Stato membro l’assenza di qualsiasi trasposizione di una direttiva, precisare, nella replica, che la trasposizione fatta valere dallo Stato membro interessato per la prima volta nel suo controricorso è comunque inesatta o incompleta relativamente a determinate disposizioni della stessa direttiva. Un tale addebito è, infatti, necessariamente compreso in quello attinente all’assenza di qualsiasi trasposizione e riveste un carattere sussidiario rispetto a quest’ultimo (sentenza 16 giugno 2005, causa C‑456/03, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑5335, punti 23-42, in particolare punto 40).

57. Nella replica la Commissione ha fatto valere che il Granducato di Lussemburgo non ha proceduto alla trasposizione degli artt. 1, 2, 3, n. 4, 7, nn. 1 e 2, e 14 della direttiva.

58. All’udienza ha ritirato la censura relativa all’art. 7, n. 1. Inoltre, come esposto al punto 44 della presente sentenza, ha riconosciuto non necessario trasporre l’art. 1 della direttiva, di modo che si deve ritenere questa censura abbandonata.

59. All’udienza la Commissione ha fatto altresì valere che il Granducato di Lussemburgo non ha proceduto alla trasposizione degli artt. 4, 8-11, 13, in combinato disposto con l’allegato VI, e 24 della direttiva.

60. Tuttavia, conformemente alla giurisprudenza della Corte secondo cui lo Stato interessato deve avere l’opportunità di sviluppare un’efficace difesa contro gli addebiti formulati dalla Commissione (v., in particolare, sentenze 29 aprile 2004, causa C‑117/02, Commissione/Portogallo, Racc. pag. I‑5517, punto 53, e 16 giugno 2005, Commissione/Italia, cit., punto 36), occorre limitare la seconda parte della seconda censura della Commissione alle disposizioni della direttiva che quest’ultima ha presentato nella replica e alle quali non ha intanto rinunciato (vale a dire, gli artt. 2, 3, n. 4, 7, n. 2, e 14). Il Granducato di Lussemburgo non ha avuto, infatti, rispetto alle altre disposizioni della direttiva menzionate dalla Commissione per la prima volta all’udienza, l’opportunità di sviluppare un’efficace difesa.

61. Per quanto riguarda, in primo luogo, l’art. 2 della direttiva, la Commissione ritiene che le definizioni ivi contenute non siano trasposte nel diritto nazionale. La legge 1993 definirebbe unicamente le nozioni di «déversements» [immissioni], «pollution» [inquinamento] e «eaux souterraines» [acque sotterranee]. La Commissione fa riferimento segnatamente alle nozioni di «bacino idrografico», «buon potenziale ecologico» e «buono stato chimico», che, pur figurando all’art. 2 della direttiva, mancano completamente nella legge 1993.

62. Il governo lussemburghese non pretende che quest’ultima legge comprenda tutte le definizioni enumerate al detto art. 2, ma ribadisce che tali definizioni servono solo a determinare il tenore degli obblighi operativi che la direttiva impone agli Stati membri. Esse non richiederebbero, in sé, trasposizione.

63. L’art. 2 della direttiva, letto in combinazione per esempio con l’art. 4, pone agli Stati membri obblighi precisi da eseguire entro certi termini per impedire il deterioramento dello stato di tutti i corpi idrici superficiali e sotterranei. Altrettanto dicasi per parecchie altre nozioni definite allo stesso art. 2, letto in combinato disposto, i.a., con gli artt. 5, 6 e 8 della direttiva.

64. L’incompatibilità di una normativa nazionale con le disposizioni comunitarie, persino direttamente applicabili, può essere definitivamente eliminata solo tramite disposizioni interne vincolanti (v., in tal senso, sentenze 7 marzo 1996, causa C-334/94, Commissione/Francia, Racc. pag. I‑1307, punto 30, e 13 marzo 1997, causa C-197/96, Commissione/Francia, Racc. pag. I‑1489, punto 14).

65. Ora, si deve constatare che, non comprendendo la legge 1993 le definizioni delle nozioni elencate all’art. 2 della direttiva e i termini entro i quali gli standard di qualità dell’acqua devono essere realizzati, termini fissati dagli artt. 4‑ 6 e 8 della stessa direttiva, gli obblighi derivanti dal detto art. 2, combinato con queste ultime disposizioni, non sono stati resi sufficientemente vincolanti. Si deve perciò ritenere fondato l’argomento della Commissione vertente sulla violazione dell’art. 2 della direttiva.

66. Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’art. 3, n. 4, della direttiva, la Commissione ritiene che nessuna disposizione della legge 1993 lo abbia trasposto adeguatamente.

67. Conformemente ad esso, gli Stati membri provvedono a che i requisiti stabiliti dalla direttiva per conseguire gli obiettivi ambientali di cui all’art. 4, in particolare tutti i programmi di misure, siano coordinati nell’intero distretto idrografico. Risulta, tuttavia, dai termini adoperati dall’art. 3, n. 4, della direttiva che gli obblighi che ne discendono variano secondo che il distretto idrografico in questione sia nazionale o internazionale ai sensi della direttiva. Per i distretti idrografici internazionali gli Stati membri interessati provvedono congiuntamente al coordinamento e possono avvalersi a tal fine di strutture esistenti risultanti da accordi internazionali.

68. Il governo lussemburghese ammette che sussiste un obbligo di coordinamento ai sensi dell’art. 3, n. 4. Sostiene, tuttavia, che non vi sono bacini idrografici nazionali nel suo territorio. Come risulta dalla lettera 24 agosto 2004, gli unici due distretti idrografici nel territorio del Lussemburgo ai fini della direttiva sono bacini idrografici internazionali, cioè il bacino idrografico del Reno per via della Mosella e quello della Mosa per via della Chiers (Kara).

69. In relazione al distretto idrografico del Reno, il detto governo ha allegato alla controreplica il testo del comunicato della Commissione internazionale per la protezione del Reno (in prosieguo: la «CIPR») 29 gennaio 2001. Da esso risulta che è stato istituito un comitato di coordinamento ad hoc, in cui sono rappresentati tutti gli Stati membri della CIPR, con il compito specifico di dare effetto all’obbligo di coordinamento di cui alla direttiva.

70. In relazione al distretto idrografico della Mosa, risulta dal quarto e dal quinto ‘considerando’ nonché dagli artt. 1, 2, 4 e 5 dell’accordo internazionale sulla Mosa 3 dicembre 2003, a sua volta allegato alla controreplica, che è stata specificamente creata una Commissione internazionale per la protezione della Mosa al fine, in particolare, di assicurare il coordinamento richiesto dalla direttiva. Il Granducato di Lussemburgo è tra i sottoscrittori del detto accordo, che prevede che le misure di coordinamento richieste dalla direttiva per il distretto idrografico della Mosa saranno adottate nell’ambito di tale organismo internazionale.

71. La Commissione non ha contestato l’affermazione del Lussemburgo che i due soli distretti idrografici ai fini della direttiva presenti sul suo territorio sono distretti idrografici internazionali e non nazionali. Non ha neppure messo in discussione l’informazione fornita da tale Stato membro secondo cui due organismi internazionali sono stati effettivamente incaricati da tutti gli Stati membri interessati di assicurare il coordinamento delle misure di attuazione della direttiva per quanto riguarda tali distretti idrografici internazionali.

72. Siccome la Commissione non ha, dunque, dimostrato che il Granducato di Lussemburgo, membro di tali organismi internazionali, non ha adempiuto gli obblighi ad esso incombenti in forza dell’art. 3, n. 4, della direttiva per quanto concerne i distretti idrografici internazionali situati sul suo territorio, il presente argomento della seconda parte della seconda censura dev’essere dichiarato infondato.

73. Per quanto riguarda, in terzo luogo, l’art. 7, n. 2, della direttiva, la Commissione fa valere che nessuna disposizione della legge 1993 traspone, sia pure parzialmente, gli obblighi risultanti da tale disposizione, che impone agli Stati membri di rispettare gli specifici standard di qualità previsti per i corpi idrici destinati al consumo umano.

74. A termini dell’art. 7, n. 2, della direttiva, per ciascuno dei corpi idrici individuati a norma del n. 1 gli Stati membri, oltre a conseguire gli obiettivi di cui all’art. 4 attenendosi ai requisiti prescritti dalla direttiva per i corpi idrici superficiali, compresi gli standard di qualità fissati a livello comunitario a norma dell’art. 16, provvedono a che, secondo il regime di trattamento delle acque applicato e conformemente alla normativa comunitaria, l’acqua risultante soddisfi i requisiti di cui alla direttiva 80/778/CEE, come modificata dalla direttiva 98/83/CE.

75. Tale disposizione impone agli Stati membri obblighi di risultato, formulati in maniera chiara e non ambigua, al fine specifico che i loro corpi idrici soddisfino gli obiettivi peculiari posti dall’art. 4 della direttiva.

76. Ne consegue che il Granducato di Lussemburgo avrebbe dovuto, come risulta dalla giurisprudenza citata al punto 64 della presente sentenza, trasporre questa disposizione nel proprio ordinamento con misure dotate di forza vincolante entro e non oltre la data fissata all’art. 24 della direttiva.

77. Poiché il governo lussemburghese non ha addotto nessun argomento per giustificare l’assenza, nella legge 1993 o nell’ordinamento giuridico lussemburghese, di una disposizione corrispondente all’art. 7, n. 2, della direttiva, si deve concludere che il presente argomento della seconda parte della seconda censura della Commissione è fondato.

78. Per quanto riguarda, infine, l’art. 14 della direttiva, la Commissione sostiene che la legge 1993 non prevede né la consultazione e l’informazione del pubblico sull’elaborazione dei progetti per un piano di gestione del bacino idrografico, né la partecipazione del pubblico all’attuazione della direttiva prescritte, invece, da tale disposizione.

79. Il governo lussemburghese contesta che dall’art. 14 della direttiva, letto in combinato disposto con l’art. 13 della stessa, risulti che il termine impartito per conformarsi agli obblighi d’informazione del pubblico sia già scaduto. Sostiene che il Granducato di Lussemburgo veglierà a che le disposizioni del detto art. 14 siano rispettate entro i termini indicati dalla direttiva.

80. Ebbene, l’art. 14 della direttiva mira a conferire ai privati e alle parti interessate il diritto di partecipare attivamente all’attuazione della direttiva, in particolare all’elaborazione, al riesame e all’aggiornamento dei piani di gestione dei bacini idrografici.

81. L’assenza nel diritto lussemburghese di qualunque misura di trasposizione non assicura punto l’obbligo che le misure nazionali di trasposizione rendano il termine previsto all’art. 13, n. 6, della direttiva giuridicamente vincolante per le autorità nazionali competenti e permettano ai privati di conoscere con largo anticipo la pienezza dei loro diritti nell’ambito delle procedure previste all’art. 14, nn. 1 e 2, della direttiva.

82. Conseguentemente, si deve concludere che questo argomento della seconda parte della seconda censura della Commissione, vertente sulla mancata trasposizione dell’art. 14 della direttiva, è fondato.

83. Alla luce di quanto sopra si deve concludere che, non avendo adottato entro il termine impartito le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi agli artt. 2, 7, n. 2, e 14 della direttiva, il Granducato di Lussemburgo è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti ai sensi dell’art. 24 di tale direttiva. Il ricorso è respinto quanto al resto.

Sulle spese

84. Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese, se ne è stata fatta domanda.

85. Secondo l’art. 69, n. 3, primo comma, dello stesso regolamento, la Corte può decidere che ciascuna delle parti sopporti le proprie spese se le parti soccombono rispettivamente su uno o più punti.

86. Nel caso di specie la Commissione è risultata soccombente per la parte in cui il suo ricorso era diretto a far constatare la mancata adozione di una normativa-quadro da parte del Granducato di Lussemburgo per trasporre la direttiva.

87. Da parte sua il Granducato di Lussemburgo non ha fornito tutte le informazioni utili sulle disposizioni di diritto interno con cui riteneva di aver adempiuto ai diversi obblighi impostigli dalla direttiva.

88. Ciò considerato, la Commissione e il Granducato di Lussemburgo vanno condannati a sopportare ciascuno le proprie spese.

Dispositivo

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara e statuisce:

1) Non avendo comunicato alla Commissione delle Comunità europee le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative di attuazione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 ottobre 2000, 2000/60/CE, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque, eccezion fatta per quelle concernenti l’art. 3 della stessa, il Granducato di Lussemburgo è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti ai sensi dell’art. 24 di tale direttiva.

2) Non avendo adottato entro il termine impartito le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi agli artt. 2, 7, n. 2, e 14 della direttiva 2000/60, il Granducato di Lussemburgo è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti ai sensi dell’art. 24 di tale direttiva.

3) Il ricorso è respinto quanto al resto.

4) La Commissione delle Comunità europee e il Granducato di Lussemburgo sopporteranno ciascuno le proprie spese.