SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

14 maggio 2019 ( *1 )

«Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Politica d’asilo – Protezione internazionale – Direttiva 2011/95/UE – Status di rifugiato – Articolo 14, paragrafi da 4 a 6 – Rifiuto del riconoscimento o revoca dello status di rifugiato in caso di pericolo per la sicurezza o per la comunità dello Stato membro ospitante – Validità – Articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 78, paragrafo 1, TFUE – Articolo 6, paragrafo 3, TUE – Convenzione di Ginevra»

Nelle cause riunite C‑391/16, C‑77/17 e C‑78/17,

aventi ad oggetto tre domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, per la causa C‑391/16, dal Nejvyšší správní soud (Corte suprema amministrativa, Repubblica ceca), con decisione del 16 giugno 2016, pervenuta in cancelleria il 14 luglio 2016, e, per le cause C‑77/17 e C‑78/17, dal Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso degli stranieri, Belgio), con decisioni dell’8 e del 10 febbraio 2017, pervenute in cancelleria il 13 febbraio 2017, nei procedimenti

M

contro

Ministerstvo vnitra (C‑391/16),

e

X (C‑77/17),

X (C‑78/17)

contro

Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, R. Silva de Lapuerta, vicepresidente, J.‑C. Bonichot, A. Arabadjiev, A. Prechal, T. von Danwitz (relatore) e C. Toader, presidenti di sezione, E. Levits, L. Bay Larsen, M. Safjan, D. Šváby, C.G. Fernlund e S. Rodin, giudici,

avvocato generale: M. Wathelet

cancelliere: V. Giacobbo-Peyronnel, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 6 marzo 2018,

considerate le osservazioni presentate:

per M, da J. Mašek, advokát;

per X (C‑77/17), da P. Vanwelde e S. Janssens, avocats;

per X (C‑78/17), da J. Hardy, avocat;

per il governo ceco, da M. Smolek, J. Vláčil e A. Brabcová, in qualità di agenti;

per il governo belga, da C. Pochet, M. Jacobs e C. Van Lul, in qualità di agenti;

per il governo tedesco, da T. Henze e R. Kanitz, in qualità di agenti;

per il governo francese, da E. Armoët, E. de Moustier e D. Colas, in qualità di agenti;

per il governo ungherese, da M.Z. Fehér, G. Koós, Z. Biró-Tóth e M. Tátrai, in qualità di agenti;

per il governo dei Paesi Bassi, da M.A.M. de Ree e K. Bulterman, in qualità di agenti;

per il governo del Regno Unito, da S. Brandon, in qualità di agente, assistito da D. Blundell, barrister;

per il Parlamento europeo, da K. Zejdová, O. Hrstková Šolcová e D. Warin, in qualità di agenti;

per il Consiglio dell’Unione europea, da E. Moro, A. Westerhof Löfflerová, S. Boelaert, M. Chavrier e J. Monteiro, in qualità di agenti;

per la Commissione europea, da M. Šimerdová e M. Condou-Durande, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 21 giugno 2018,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione nonché sulla validità dell’articolo 14, paragrafi da 4 a 6, della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9), entrata in vigore il 9 gennaio 2012, alla luce dell’articolo 78, paragrafo 1, TFUE, dell’articolo 6, paragrafo 3, TUE, e dell’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

2

Queste domande sono state proposte nel quadro di tre controversie che oppongono, per la prima (causa C‑391/16), M al Ministerstvo vnitra (Ministero dell’Interno, Repubblica ceca), in merito alla decisione di revoca del suo diritto d’asilo, per la seconda (causa C‑77/17), X al Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides (commissario generale per i rifugiati e gli apolidi, Belgio; in prosieguo: il«commissario generale»), in merito alla decisione di negare al medesimo il riconoscimento dello status di rifugiato nonché il beneficio della protezione sussidiaria, e, per la terza (causa C‑78/17), X al commissario generale, in merito alla decisione di revocargli lo status di rifugiato.

Contesto normativo

Diritto internazionale

3

La Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954); in prosieguo: la «Convenzione di Ginevra»], è entrata in vigore il 22 aprile 1954. Essa è stata completata dal Protocollo relativo allo status dei rifugiati, concluso a New York il 31 gennaio 1967, entrato in vigore il 4 ottobre 1967 (in prosieguo: il «protocollo»).

4

Tutti gli Stati membri sono parti contraenti della Convenzione di Ginevra. Viceversa, l’Unione europea non è parte contraente di detta convenzione.

5

Il preambolo della Convenzione di Ginevra prende atto del fatto che l’Alto Commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (HCR) è incaricato di vigilare sull’applicazione delle convenzioni internazionali intese a garantire la protezione dei rifugiati e prevede che gli Stati membri si impegnino a cooperare con lo HCR nell’esercizio delle sue funzioni e, in particolare, a facilitare il suo compito di vigilanza sull’applicazione delle disposizioni di questi atti.

6

L’articolo 1, sezione A, di detta convenzione prevede quanto segue:

«Ai fini della presente Convenzione, il termine “rifugiato” è applicabile:

(…)

2)   a chiunque, (…) nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dallo Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure a chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori del suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi.

Se una persona possiede più cittadinanze, l’espressione “Stato di cui possiede la cittadinanza” riguarda ogni Stato di cui questa persona possiede la cittadinanza. Non sono considerate private della protezione dello Stato di cui possiedono la cittadinanza le persone che, senza motivi validi fondati su un timore giustificato, rifiutano la protezione di uno Stato di cui posseggono la cittadinanza».

7

L’articolo 1, sezione C, della Convenzione di Ginevra dispone quanto segue:

«Una persona, cui sono applicabili le disposizioni della sezione A, non fruisce più della presente Convenzione:

1)   se ha volontariamente ridomandato la protezione dello Stato di cui possiede la cittadinanza; o

2)   se ha volontariamente riacquistato la cittadinanza persa; o

3)   se ha acquistato una nuova cittadinanza e fruisce della protezione dello Stato di cui ha acquistato la cittadinanza; o

4)   se è volontariamente ritornata e si è domiciliata nel paese che aveva lasciato o in cui non si era più recata per timore d’essere perseguitata; o

5)   se, cessate le circostanze in base alle quali è stata riconosciuta come rifugiato, essa non può continuare a rifiutare di domandare la protezione dello Stato di cui ha la cittadinanza.

(…)

6)   trattandosi di un apolide, se, cessate le circostanze in base alle quali è stato riconosciuto come rifugiato, egli è in grado di ritornare nello Stato del suo domicilio precedente.

(…)».

8

L’articolo 1, sezione D, primo comma, di questa convenzione enuncia quanto segue:

«La presente Convenzione non è applicabile alle persone che fruiscono attualmente della protezione o dell’assistenza di un’organizzazione o di un’istituzione delle Nazioni Unite che non sia l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati».

9

L’articolo 1, sezione E, di detta convenzione stabilisce quanto segue:

«La presente Convenzione non è applicabile alle persone che secondo il parere delle autorità competenti del loro Stato di domicilio hanno tutti i diritti e gli obblighi dei cittadini di detto Stato».

10

L’articolo 1, sezione F), della stessa convenzione è del seguente tenore:

«Le disposizioni della presente Convenzione non sono applicabili alle persone di cui vi sia serio motivo di sospettare che:

a)

hanno commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità, nel senso degli atti internazionali contenenti disposizioni relative a siffatti crimini;

b)

hanno commesso un crimine grave di diritto comune fuori del paese ospitante prima di essere ammesse come rifugiati;

c)

si sono resi colpevoli di atti contrari agli scopi e ai principi delle Nazioni Unite».

11

Ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione di Ginevra:

«Gli Stati Contraenti applicano le disposizioni della presente Convenzione ai rifugiati senza discriminazioni quanto alla razza, alla religione o al paese d’origine».

12

L’articolo 4 di detta convenzione è formulato come segue:

«Gli Stati Contraenti devono concedere ai rifugiati sul loro territorio un trattamento almeno pari a quello concesso ai propri cittadini circa la libertà di praticare la loro religione e la libertà d’istruzione religiosa dei loro figli».

13

Ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della stessa convenzione:

«Ciascun rifugiato, sul territorio degli Stati Contraenti, può adire liberamente i tribunali».

14

L’articolo 22, paragrafo 1, della Convenzione di Ginevra è così formulato:

«Gli Stati Contraenti concedono ai rifugiati, in materia di scuola primaria, lo stesso trattamento concesso ai loro cittadini».

15

L’articolo 31 di tale convenzione così dispone:

«1.   Gli Stati contraenti non applicheranno sanzioni penali, a motivo del loro ingresso o del loro soggiorno illegali, a carico di quei rifugiati che, giungendo direttamente da un territorio in cui la loro vita o la loro libertà erano minacciate nel senso di cui all’articolo 1, fanno ingresso o si trovano nel loro territorio senza autorizzazione purché si presentino senza indugio alle autorità e giustifichino con motivi validi il loro ingresso o il loro soggiorno irregolari.

2.   Gli Stati Contraenti restringono gli spostamenti di tali rifugiati soltanto nella misura necessaria. Tali restrizioni devono essere mantenute solo fintanto che lo status di questi rifugiati nel paese che li ospita sia stato regolarizzato o essi siano riusciti a farsi ammettere in un altro paese. Gli Stati contraenti concedono a tali rifugiati un termine adeguato e tutte le facilitazioni necessarie affinché possano ottenere il permesso d’ingresso in un altro paese».

16

L’articolo 32 di detta convenzione prevede quanto segue:

«1.   Gli Stati Contraenti possono espellere un rifugiato che risiede regolarmente sul loro territorio soltanto per motivi di sicurezza nazionale o d’ordine pubblico

2.   L’espulsione può essere eseguita soltanto in base a una decisione presa conformemente alla procedura prevista dalla legge. Se motivi impellenti di sicurezza nazionale non vi si oppongano, al rifugiato dev’essere consentito di giustificarsi, presentare ricorso e farsi rappresentare a questo scopo davanti all’autorità competente o davanti a una o più persone specialmente designate dall’autorità competente.

3.   Gli Stati Contraenti assegnano a detto rifugiato un termine adeguato, che gli permetta di farsi ammettere regolarmente in un altro paese. Gli Stati Contraenti possono prendere, durante tale termine, tutte le misure interne che reputino necessarie».

17

L’articolo 33 della medesima convenzione così dispone:

«1.   Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.

2.   La presente disposizione non può tuttavia essere fatta valere da un rifugiato se per motivi seri egli debba essere considerato un pericolo per la sicurezza del paese in cui risiede oppure costituisca, a causa di una condanna definitiva per un crimine o un delitto particolarmente grave, una minaccia per la collettività di detto paese».

18

Ai sensi dell’articolo 42, paragrafo 1, della Convenzione di Ginevra:

«All’atto della firma, della ratifica o dell’adesione, ciascuno Stato può fare riserve circa gli articoli della presente Convenzione, eccettuati gli articoli 1, 3, 4, 16 (1), 33, da 36 a 46 compreso».

Diritto dell’Unione

La direttiva 2011/95

19

La direttiva 2011/95, adottata sulla base dell’articolo 78, paragrafo 2, lettere a) e b), TFUE, ha abrogato la direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2004, L 304, pag. 12).

20

I considerando 3, 4, 10, 12, 16, 17, 21, 23 e 24 della direttiva 2011/95 sono così formulati:

«(3)

Il Consiglio europeo, nella riunione straordinaria di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, ha convenuto di lavorare all’istituzione di un regime europeo comune in materia di asilo basato sull’applicazione, in ogni sua componente, della convenzione di Ginevra (…), quale integrata dal protocollo (…), e di garantire in tal modo che nessuno sia nuovamente esposto alla persecuzione, in ottemperanza al principio di «non respingimento» (divieto di rimpatrio a rischio di persecuzione).

(4)

La convenzione di Ginevra e il relativo protocollo costituiscono la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati.

(…)

(10)

Alla luce dei risultati delle valutazioni effettuate, è opportuno in questa fase ribadire i principi che ispirano la direttiva [2004/83] e cercare di realizzare un maggiore ravvicinamento delle norme relative al riconoscimento e agli elementi essenziali della protezione internazionale sulla base di livelli più elevati.

(…)

(12)

Lo scopo principale della presente direttiva è quello, da una parte, di assicurare che gli Stati membri applichino criteri comuni per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale e, dall’altra, di assicurare che un livello minimo di prestazioni sia disponibile per tali persone in tutti gli Stati membri.

(…)

(16)

La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti nella Carta (…). Essa mira in particolare ad assicurare il pieno rispetto della dignità umana, il diritto di asilo dei richiedenti asilo e dei familiari al loro seguito e a promuovere l’applicazione degli articoli 1, 7, 11, 14, 15, 16, 18, 21, 24, 34 e 35 di detta Carta, e dovrebbe pertanto essere attuata di conseguenza.

(17)

Per quanto riguarda il trattamento delle persone che rientrano nell’ambito di applicazione della presente direttiva, gli Stati membri sono vincolati dagli obblighi previsti dagli strumenti di diritto internazionale di cui sono parti, tra cui in particolare quelli che vietano le discriminazioni.

(…)

(21)

Il riconoscimento dello status di rifugiato è un atto ricognitivo.

(…)

(23)

Dovrebbero essere stabiliti criteri per la definizione e il contenuto dello status di rifugiato, al fine di orientare le competenti autorità nazionali degli Stati membri nell’applicazione della convenzione di Ginevra.

(24)

È necessario introdurre dei criteri comuni per l’attribuzione ai richiedenti asilo della qualifica di rifugiato ai sensi dell’articolo 1 della convenzione di Ginevra».

21

Ai sensi dell’articolo 1 della direttiva 2011/95:

«La presente direttiva stabilisce norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta».

22

L’articolo 2 di detta direttiva così recita:

«Ai fini della presente direttiva si intende per:

a)

“protezione internazionale”: lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria quale definito alle lettere e) e g);

b)

“beneficiario di protezione internazionale”: la persona cui è stato concesso lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria quale definito alle lettere e) e g);

(…)

d)

“rifugiato”: cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese, oppure apolide che si trova fuori dal paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, e al quale non si applica l’articolo 12;

e)

“status di rifugiato”: il riconoscimento, da parte di uno Stato membro, di un cittadino di un paese terzo o di un apolide quale rifugiato;

(…)».

23

Il capo II della direttiva 2011/95, intitolato «Valutazione delle domande di protezione internazionale», comprende gli articoli da 4 a 8 di tale direttiva. Questi articoli enunciano le norme che prescrivono agli Stati membri il modo in cui occorre valutare siffatte domande.

24

Il capo III della direttiva 2011/95, intitolato «Requisiti per essere considerato rifugiato», comprende gli articoli da 9 a 12 di tale direttiva. Per quanto concerne, in particolare, gli articoli 9 e 10 di detta direttiva, essi enunciano, rispettivamente, i requisiti affinché un atto sia considerato come atto di persecuzione, ai sensi dell’articolo 1, sezione A, della Convenzione di Ginevra, e gli elementi che devono essere presi in considerazione dagli Stati membri quando questi ultimi valutano i motivi di persecuzione.

25

L’articolo 11 della direttiva 2011/95, intitolato «Cessazione», dispone quanto segue:

«1.   Un cittadino di un paese terzo o un apolide cessa di essere un rifugiato qualora:

a)

si sia volontariamente avvalso di nuovo della protezione del paese di cui ha la cittadinanza; o

b)

avendo perso la cittadinanza, l’abbia volontariamente riacquistata; o

c)

abbia acquistato una nuova cittadinanza e goda della protezione del paese di cui ha acquistato la cittadinanza; o

d)

si sia volontariamente ristabilito nel paese che ha lasciato o in cui non ha fatto ritorno per timore di essere perseguitato; o

e)

non possa più rinunciare alla protezione del paese di cui ha la cittadinanza, perché sono venute meno le circostanze che hanno determinato il riconoscimento dello status di rifugiato; o

f)

se trattasi di un apolide, sia in grado di tornare nel paese nel quale aveva la dimora abituale, perché sono venute meno le circostanze che hanno determinato il riconoscimento dello status di rifugiato.

2.   (…)

3.   Il paragrafo 1, lettere e) e f), non si applica al rifugiato che possa invocare l’esistenza di motivi di imperio derivanti da precedenti persecuzioni tali da rifiutare di avvalersi della protezione del paese di cui ha la cittadinanza ovvero, se trattasi di apolide, del paese in cui aveva precedentemente la dimora abituale».

26

L’articolo 12 di tale direttiva, intitolato «Esclusione», prevede quanto segue:

«1.   Un cittadino di un paese terzo o un apolide è escluso dallo status di rifugiato se:

a)

rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 1[, sezione] D[,] della convenzione di Ginevra, relativo alla protezione o assistenza di un organo o di un’agenzia delle Nazioni Unite diversi dall’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati. Quando siffatta protezione o assistenza cessi per qualsiasi motivo, senza che la posizione di tali persone sia stata definitivamente stabilita in conformità delle pertinenti risoluzioni adottate dall’assemblea generale delle Nazioni Unite, queste persone sono ipso facto ammesse ai benefici della presente direttiva;

b)

le autorità competenti del paese nel quale ha stabilito la sua residenza gli riconoscono i diritti e gli obblighi connessi al possesso della cittadinanza del paese stesso o diritti e obblighi equivalenti.

2.   Un cittadino di un paese terzo o un apolide è escluso dallo status di rifugiato ove sussistano fondati motivi per ritenere che:

a)

abbia commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità quali definiti dagli strumenti internazionali relativi a tali crimini;

b)

abbia commesso al di fuori del paese di accoglienza un reato grave di diritto comune prima di essere ammesso come rifugiato, ossia prima del momento in cui gli è rilasciato un permesso di soggiorno basato sul riconoscimento dello status di rifugiato, abbia commesso atti particolarmente crudeli, anche se perpetrati con un dichiarato obiettivo politico, che possono essere classificati quali reati gravi di diritto comune;

c)

si sia reso colpevole di atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite quali stabiliti nel preambolo e negli articoli 1 e 2 della carta delle Nazioni Unite.

3.   Il paragrafo 2 si applica alle persone che istigano o altrimenti concorrono alla commissione dei reati o atti in esso menzionati».

27

Contenuto nel capo IV della direttiva 2011/95, intitolato «Status di rifugiato», l’articolo 13 di quest’ultima, a sua volta intitolato «Riconoscimento dello status di rifugiato», prevede quanto segue:

«Gli Stati membri riconoscono lo status di rifugiato al cittadino di un paese terzo o all’apolide ammissibile quale rifugiato in conformità dei capi II e III».

28

Contenuto anch’esso nel capo IV di detta direttiva, l’articolo 14 di quest’ultima, intitolato «Revoca, cessazione o rifiuto del rinnovo dello status di rifugiato», così dispone:

«1.   Per quanto riguarda le domande di protezione internazionale presentate successivamente all’entrata in vigore della direttiva [2004/83] gli Stati membri revocano, cessano o rifiutano di rinnovare lo status di rifugiato riconosciuto a un cittadino di un paese terzo o a un apolide da un organismo statale, amministrativo, giudiziario o quasi giudiziario se questi ha cessato di beneficiare di essere un rifugiato ai sensi dell’articolo 11.

(…)

3.   Gli Stati membri revocano, cessano o rifiutano di rinnovare lo status di rifugiato di un cittadino di un paese terzo o di un apolide qualora, successivamente al riconoscimento dello status di rifugiato, lo Stato membro interessato abbia stabilito che:

a)

la persona in questione avrebbe dovuto essere esclusa o è esclusa dallo status di rifugiato ai sensi dell’articolo 12;

b)

il fatto di aver presentato i fatti in modo erroneo o di averli omessi, compreso il ricorso a documenti falsi, ha costituito un fattore determinante per l’ottenimento dello status di rifugiato.

4.   Gli Stati membri hanno la facoltà di revocare, di cessare o di rifiutare di rinnovare lo status riconosciuto a un rifugiato da un organismo statale, amministrativo, giudiziario o quasi giudiziario quando:

a)

vi sono fondati motivi per ritenere che la persona in questione costituisca un pericolo per la sicurezza dello Stato membro in cui si trova;

b)

la persona in questione, essendo stata condannata con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità, costituisce un pericolo per la comunità di tale Stato membro.

5.   Nelle situazioni previste al paragrafo 4, gli Stati membri possono decidere di non riconoscere lo status a un rifugiato quando la decisione non è ancora stata presa.

6.   Le persone cui si applicano i paragrafi 4 o 5 godono dei diritti analoghi conferiti dagli articoli 3, 4, 16, 22, 31[,] 32 e 33 della convenzione di Ginevra, o di diritti analoghi, purché siano presenti nello Stato membro».

29

Il capo VII della direttiva 2011/95, intitolato «Contenuto della protezione internazionale», comprende gli articoli da 20 a 35 di quest’ultima. L’articolo 20, paragrafi 1 e 2, di detta direttiva enuncia quanto segue:

«1.   Le disposizioni del presente capo non pregiudicano i diritti sanciti dalla convenzione di Ginevra.

2.   Le disposizioni del presente capo si applicano sia ai rifugiati sia alle persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, ove non diversamente indicato».

30

L’articolo 21 della direttiva di cui trattasi così dispone:

«1.   Gli Stati membri rispettano il principio di “non refoulement” in conformità dei propri obblighi internazionali.

2.   Qualora non sia vietato dagli obblighi internazionali previsti dal paragrafo 1, gli Stati membri possono respingere un rifugiato, formalmente riconosciuto o meno:

a)

quando vi siano ragionevoli motivi per considerare che rappresenti un pericolo per la sicurezza dello Stato membro nel quale si trova; o

b)

quando, essendo stato condannato con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità, costituisce un pericolo per la comunità di tale Stato membro.

3.   Gli Stati membri hanno la facoltà di revocare, di cessare o di rifiutare il rinnovo o il rilascio di un permesso di soggiorno di un (o a un) rifugiato al quale si applichi il paragrafo 2».

31

L’articolo 24, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2011/95 prevede quanto segue:

«Gli Stati membri rilasciano ai beneficiari dello status di rifugiato, quanto prima a seguito del riconoscimento della protezione internazionale, un permesso di soggiorno valido per un periodo di almeno tre anni e rinnovabile, purché non vi ostino imperiosi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico e fatto salvo l’articolo 21, paragrafo 3».

32

L’articolo 28 della direttiva di cui trattasi così dispone:

«1.   Gli Stati membri garantiscono la parità di trattamento tra i beneficiari di protezione internazionale e i loro cittadini nel quadro delle vigenti procedure di riconoscimento di diplomi, certificati e altri titoli stranieri.

2.   Gli Stati membri si adoperano per agevolare il pieno accesso dei beneficiari di protezione internazionale incapaci di fornire prove documentali delle loro qualifiche a sistemi appropriati di valutazione, convalida e accreditamento dell’apprendimento precedente. Qualunque misura di questo tipo rispetta l’articolo 2, paragrafo 2, e l’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali [(GU 2005, L 255, pag. 22)]».

33

L’articolo 34 della direttiva 2011/95 è formulato nel modo seguente:

«Al fine di facilitare l’integrazione dei beneficiari di protezione internazionale nella società, gli Stati membri garantiscono l’accesso ai programmi d’integrazione che considerano adeguati, in modo da tenere conto delle esigenze particolari dei beneficiari dello status di rifugiato o dello status di protezione sussidiaria, o creano i presupposti che garantiscono l’accesso a tali programmi».

Diritto nazionale

Diritto ceco

34

Lo Zákon č. 325/1999 Sb., o azylu (legge n. 325/1999, in materia di asilo), nella versione applicabile ai fatti di cui al procedimento principale (in prosieguo: la «legge in materia di asilo»), disciplina la concessione e la revoca della protezione internazionale.

35

Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, di detta legge, per rifugiato ai sensi di questa legge (azylant) si intende «lo straniero al quale è stato concesso, in forza della presente legge, il diritto d’asilo, fintantoché resta valida la decisione di concessione del diritto d’asilo». In base alle spiegazioni del giudice del rinvio, se a una persona viene revocato il suo diritto d’asilo, essa cessa di essere un rifugiato (azylant) e di godere dei diritti previsti da detta legge.

36

Ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, lettera i), della legge in materia di asilo, il diritto d’asilo è revocato «se sussistono motivi legittimi per considerare il rifugiato un pericolo per la sicurezza dello Stato». Inoltre, l’articolo 17, paragrafo 1, lettera j), di detta legge prevede che il diritto d’asilo è revocato «quando il rifugiato è stato condannato con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità e costituisce un pericolo per la sicurezza dello Stato».

37

In base all’articolo 28, paragrafo 1, della legge in materia di asilo, il diritto d’asilo è una delle forme di protezione internazionale concessa sul territorio della Repubblica ceca a uno straniero.

Diritto belga

38

L’articolo 48/3, paragrafo 1, della legge del 15 dicembre 1980, in materia di ingresso nel territorio, soggiorno, insediamento e allontanamento degli stranieri (Moniteur belge del 31 dicembre 1980, pag. 14584), nel testo applicabile ai fatti del procedimento principale (in prosieguo: la «legge del 15 dicembre 1980»), prevede quanto segue:

«Lo status di rifugiato è riconosciuto allo straniero che soddisfa le condizioni previste dall’articolo 1 della [Convenzione di Ginevra], come modificata dal [protocollo]».

39

L’articolo 48/4, paragrafo 1, della citata legge stabilisce quanto segue:

«Lo status di protezione sussidiaria è riconosciuto allo straniero che non possa essere considerato un rifugiato e che non possa beneficiare dell’articolo 9ter, e nei cui confronti sussistano seri motivi per ritenere che, in caso di rientro forzato nel suo paese d’origine ovvero, nel caso degli apolidi, nel paese di precedente dimora abituale, incorrerebbe nel rischio effettivo di subire un grave danno, quale definito al paragrafo 2, e che non possa, ovvero non intenda, a causa di tale rischio, avvalersi della protezione di tale paese, a condizione che a lui non siano applicabili le clausole di esclusione di cui all’articolo 55/4».

40

L’articolo 52/4 di detta legge è così formulato:

«Qualora lo straniero, che ha presentato una domanda d’asilo conformemente agli articoli 50, 50bis, 50ter o 51, costituisca, avendo riportato una condanna definitiva per un reato particolarmente grave, un pericolo per la società o quando sussistano motivi ragionevoli per ritenerlo un pericolo per la sicurezza nazionale, il ministro o un suo delegato trasmette senza indugio tutti gli elementi in tal senso al commissario generale.

Il commissario generale (…) può rifiutare di riconoscere lo status di rifugiato se lo straniero costituisce un pericolo per la società, essendo stato condannato in via definitiva per un reato particolarmente grave o quando sussistono motivi ragionevoli per considerarlo un pericolo per la sicurezza nazionale. In tal caso il commissario generale (…) formula un parere in merito alla compatibilità di una misura di allontanamento con gli articoli 48/3 e 48/4.

Il ministro può ingiungere all’interessato di risiedere in un luogo determinato in pendenza dell’esame della sua domanda, qualora lo ritenga necessario per la salvaguardia dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale.

In circostanze eccezionalmente gravi, il ministro può porre l’interessato, in via provvisoria, a disposizione del governo, qualora lo ritenga necessario per la salvaguardia dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale».

41

L’articolo 55/3/1 della medesima legge così recita:

«§ 1.   Il commissario generale (…) può revocare lo status di rifugiato quando lo straniero, essendo stato condannato in via definitiva per un reato di particolare gravità, costituisca un pericolo per la società o quando sussistano motivi ragionevoli per considerarlo un pericolo per la sicurezza nazionale.

(…)

§ 3.   Il commissario generale, quando revoca lo status di rifugiato ai sensi del paragrafo 1 o del paragrafo 2, 1o, formula, nell’ambito della propria decisione, un parere sulla compatibilità di una misura di allontanamento con gli articoli 48/3 e 48/4».

42

Ai sensi dell’articolo 55/4, paragrafo 2, della legge del 15 dicembre 1980:

«Uno straniero è altresì escluso dallo status di protezione sussidiaria quando rappresenta un pericolo per la società o per la sicurezza nazionale».

Procedimenti principali e questioni pregiudiziali

Causa C‑391/16

43

Con decisione del 21 aprile 2006, il Ministro dell’Interno ha concesso al sig. M, originario della Cecenia (Russia), il diritto di asilo in quanto quest’ultimo aveva ragioni legittime di temere di essere perseguitato a causa della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o delle sue opinioni politiche nello Stato di cui è cittadino.

44

Prima di beneficiare del diritto d’asilo, il sig. M aveva commesso un furto per il quale era stato condannato a una pena detentiva di tre anni. Dopo la concessione del diritto d’asilo, egli è stato condannato inoltre a una pena detentiva di nove anni per aver commesso un furto e un’estorsione in condizioni di recidiva; questa pena doveva essere eseguita presso un istituto penitenziario di massima sicurezza. In considerazione di tali circostanze, il 29 aprile 2014 il Ministro dell’Interno ha deciso di revocare il diritto d’asilo del sig. M e di non concedergli la protezione sussidiaria, in quanto egli era stato condannato in via definitiva per un reato particolarmente grave e rappresentava un pericolo per la sicurezza dello Stato.

45

Il sig. M impugnava tale decisione dinanzi al Městký soud v Praze (Corte regionale di Praga capitale, Repubblica ceca). A seguito del rigetto dell’impugnazione, il sig. M proponeva ricorso per cassazione dinanzi al giudice del rinvio.

46

Questo giudice si interroga, segnatamente, sulla validità delle disposizioni dell’articolo 14, paragrafi 4 e 6, della direttiva 2011/95 alla luce dell’articolo 18 della Carta, dell’articolo 78, paragrafo 1, TFUE e dei principi generali del diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, TUE, a causa di un’eventuale violazione della Convenzione di Ginevra da parte di queste disposizioni della direttiva 2011/95.

47

A questo proposito, il giudice del rinvio fa riferimento a un rapporto dello HCR, pubblicato il 29 luglio 2010 e intitolato «Osservazioni dello HCR sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualità di beneficiario di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta [COM(2009) 551, del 21 ottobre 2009)]», in cui lo HCR ha ribadito alcuni dubbi che esso aveva già espresso in precedenza in merito alla conformità dell’articolo 14, paragrafi 4 e 6, della direttiva 2004/83 con la Convenzione di Ginevra.

48

Da questo rapporto risulterebbe che l’articolo 14, paragrafo 4, di detta proposta di direttiva, all’origine dell’articolo 14, paragrafo 4, della direttiva 2011/95, estende le ragioni di esclusione dello status di rifugiato al di là delle clausole di esclusione e di cessazione previste dall’articolo 1 della Convenzione di Ginevra, laddove dette clausole sarebbero tassative, e che l’articolo 42, paragrafo 1, della citata convenzione vieterebbe agli Stati contraenti di formulare riserve riguardo all’articolo 1 della medesima. Sempre da detto rapporto si ricaverebbe che, benché l’articolo 33 della Convenzione di Ginevra consenta di respingere una persona verso il suo paese d’origine o verso un altro paese, questa disposizione tuttavia non ha nessuna incidenza sullo status di rifugiato di questa persona nel paese dove soggiorna. Il giudice del rinvio sottolinea che i dubbi espressi dallo HCR sono condivisi, segnatamente, dallo European Council on Refugees and Exiles, dall’International Association of Refugee and Migration Judges nonché dalla mediatrice della Repubblica ceca.

49

Tuttavia, il giudice del rinvio aggiunge che, per una parte della dottrina, la direttiva 2011/95 è conforme alla Convenzione di Ginevra. Esso rileva, a tal proposito, che, dai termini della motivazione della proposta di direttiva ricordata nel punto 47 della presente sentenza, la direttiva 2011/95 ha lo scopo, segnatamente, di garantire l’applicazione integrale e globale di questa convenzione. Questa direttiva sarebbe più dettagliata ed effettuerebbe, nel suo articolo 2, lettere d) ed e), una distinzione tra la nozione di «rifugiato» e quella di «status di rifugiato». La concessione dello status di rifugiato, ai sensi della direttiva 2011/95, si tradurrebbe in una protezione più elevata di quella prevista dalla Convenzione di Ginevra. Pertanto, una persona il cui status di rifugiato venga revocato in applicazione dell’articolo 14, paragrafo 4, della direttiva 2011/95 non potrebbe più godere dei diritti e dei vantaggi derivanti da questa direttiva, fatta eccezione per alcuni diritti minimi sanciti dalla citata convenzione. Questa disposizione parrebbe fondata sull’ipotesi che queste persone non possano essere respinte nel loro paese d’origine, pur soddisfacendo esse le condizioni di cui all’articolo 33, paragrafo 2, di detta convenzione. Pertanto, queste persone sarebbero tollerate nello Stato membro ospitante e disporrebbero di uno status di rifugiato «limitato».

50

Benché la Corte si sia già pronunciata, nella sentenza del 24 giugno 2015, H.T. (C‑373/13, EU:C:2015:413, punti 71 e da 94 a 98), sull’articolazione tra l’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra e la direttiva 2011/95, essa non avrebbe ancora esaminato la questione della compatibilità dell’articolo 14, paragrafi 4 e 6, di tale direttiva con l’articolo 1, sezione C, e con l’articolo 42, paragrafo 1, della Convenzione di Ginevra né, pertanto, con l’articolo 78, paragrafo 1, TFUE, con l’articolo 18 della Carta e con i principi generali del diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, TUE.

51

Per quanto concerne l’articolo 14, paragrafo 6, della direttiva 2011/95, il quale garantisce alle persone soggette all’articolo 14, paragrafo 4, di detta direttiva il beneficio di alcuni diritti previsti dalla Convenzione di Ginevra, il giudice del rinvio rileva che, secondo la mediatrice della Repubblica ceca, la legge in materia di asilo non recepisce quest’articolo 14, paragrafo 6. Pertanto, la revoca del diritto d’asilo in applicazione dell’articolo 17, paragrafo 1, lettere i) e j), della legge in materia di asilo violerebbe, secondo tale mediatrice, il diritto dell’Unione. A questo proposito, il giudice del rinvio afferma che un’analisi dettagliata dell’ordinamento giuridico ceco non consentirebbe di escludere il fatto che, in determinate ipotesi individuali, nessuno dei diritti derivanti dagli articoli 3, 4, 16, 22, 31, 32 e 33 della Convenzione di Ginevra sia garantito agli interessati. Tuttavia, nel procedimento principale il ricorrente disporrebbe della facoltà di avvalersi di tali diritti nella Repubblica ceca.

52

In tale contesto, il Nejvyšší správní soud (Corte suprema amministrativa, Repubblica ceca) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo 14, paragrafi 4 e 6, della direttiva 2011/95 (…) sia invalido in quanto viola l’articolo 18 della Carta (…), l’articolo 78, paragrafo 1, [TFUE] e i principi generali del diritto dell’Unione ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, [TUE]».

Causa C‑77/17

53

Il 10 marzo 2010, il tribunal de première instance de Bruxelles (Tribunale di primo grado di Bruxelles, Belgio) ha condannato il sig. X, cittadino ivoriano, a una pena detentiva di trenta mesi, in parte sospesa, per percosse e lesioni volontarie, detenzione ingiustificata di arma bianca e detenzione di arma vietata. Inoltre, il 6 dicembre 2011, l’interessato è stato condannato dalla cour d’appel de Bruxelles (Corte d’appello di Bruxelles, Belgio) a una pena detentiva di quattro anni per violenza sessuale su minore di età compresa tra i 14 e i 16 anni.

54

Il 3 novembre 2015, il sig. X presentava una domanda di asilo a sostegno della quale adduceva il timore di persecuzioni dovute al fatto che il padre e i familiari erano strettamente legati al precedente regime della Costa d’Avorio e all’ex presidente Laurent Gbagbo.

55

Con decisione del 19 agosto 2016, il commissario generale ha rifiutato, sulla base dell’articolo 52/4, secondo comma, della legge del 15 dicembre 1980, di riconoscere al sig. X lo status di rifugiato, a causa dei reati commessi da quest’ultimo in Belgio. Il commissario generale ha ritenuto, segnatamente, che, in considerazione della natura particolarmente grave di queste infrazioni e del loro carattere reiterato, il sig. X costituisse un pericolo per la società, ai sensi di tale disposizione. Per le stesse ragioni, egli ha ritenuto che occorresse escludere il sig. X dalla protezione sussidiaria, in forza dell’articolo 55/4, paragrafo 2, di detta legge. Tuttavia, in applicazione dell’articolo 52/4 della legge menzionata, il commissario generale ha formulato un parere secondo il quale, in considerazione dei fondati timori di persecuzione, il sig. X non poteva essere respinto direttamente o indirettamente verso la Costa d’Avorio, poiché una misura siffatta di respingimento sarebbe stata incompatibile con gli articoli 48/3 e 48/4 di questa stessa legge.

56

Il sig. X impugnava tale decisione dinanzi al giudice del rinvio.

57

Detto giudice rileva che l’articolo 52/4, secondo comma, della legge del 15 dicembre 1980, su cui si fonda la decisione controversa, recepisce nell’ordinamento belga l’articolo 14, paragrafo 5, della direttiva 2011/95.

58

Il giudice del rinvio si interroga sulla validità di quest’ultima disposizione alla luce dell’articolo 18 della Carta e dell’articolo 78, paragrafo 1, TFUE. Queste disposizioni obbligherebbero l’Unione a rispettare la Convenzione di Ginevra, di modo che il diritto derivato dell’Unione dovrebbe essere conforme a tale convenzione. Quest’ultima definirebbe in modo assai chiaro, nel suo articolo 1, sezione A, le persone rientranti nella nozione di «rifugiato» e né il suo articolo 1, sezione F, né nessun’altra delle sue disposizioni consentirebbe di negare, in via generale e definitiva, il riconoscimento dello status di rifugiato a una persona sol perché essa costituisca un pericolo per la sicurezza nazionale o una grave minaccia per la società dello Stato ospitante. Ebbene, l’articolo 14, paragrafo 5, della direttiva 2011/95 prevederebbe la possibilità di negare il riconoscimento di questo status per uno di tali motivi, che corrisponderebbero alle ipotesi previste negli articoli 32 e 33 di detta convenzione, laddove questi ultimi articoli disciplinerebbero l’espulsione dei rifugiati e non le condizioni per il riconoscimento di detto status.

59

Pertanto, si porrebbe la questione di accertare se l’articolo 14, paragrafo 5, della direttiva 2011/95 istituisca una nuova clausola di esclusione dello status di rifugiato, non prevista dalla Convenzione di Ginevra. Il fatto di prevedere una nuova clausola di esclusione costituirebbe una modifica sostanziale di tale convenzione, cosa che sarebbe contraria ai principi del diritto internazionale. Se la Convenzione di Ginevra avesse inteso escludere la protezione dei rifugiati, o rifiutarla, per motivi connessi alla sicurezza nazionale, all’ordine pubblico o al pericolo per la società dello Stato ospitante, essa l’avrebbe esplicitamente previsto, come ha fatto, tra l’altro, con riferimento ai reati gravi di diritto ordinario commessi fuori dello Stato ospitante.

60

Occorrerebbe anche tener conto delle conseguenze potenzialmente gravi di questa clausola di esclusione, dato che esse implicherebbe la perdita dei diritti e dei vantaggi collegati allo status di rifugiato. Difatti, nella sua sentenza del 24 giugno 2015, H.T. (C‑373/13, EU:C:2015:413, punto 95), la Corte avrebbe chiaramente ricordato che la revoca di un titolo di soggiorno e quella dello status di rifugiato sono due questioni distinte con conseguenze differenti. Lo HCR, del resto, in un parere intitolato «Osservazioni annotate dello HCR sulla [direttiva 2004/83]», pubblicate nel gennaio 2005, sarebbe stato particolarmente critico nei confronti delle disposizioni identiche contenute nella direttiva 2004/83.

61

In tale contesto il Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso sugli stranieri, Belgio) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se occorra interpretare l’articolo 14, paragrafo 5, della direttiva 2011/95 (…) nel senso che esso crea una nuova clausola di esclusione dello status di rifugiato previsto dall’articolo 13 della stessa direttiva e, di conseguenza, dall’articolo 1, [sezione] A, della Convenzione di Ginevra.

2)

In caso di risposta affermativa alla [prima] questione, se l’articolo 14, paragrafo 5, così interpretato, sia compatibile con l’articolo 18 della Carta (…) e con l’articolo 78, paragrafo 1, [TFUE], i quali prevedono, segnatamente, la conformità del diritto europeo derivato con la Convenzione di Ginevra, la cui clausola di esclusione, prevista dall’articolo 1, [sezione] F, è formulata in modo tassativo e va interpretata in modo restrittivo.

3)

In caso di risposta negativa alla [prima] questione, se occorra interpretare l’articolo 14, paragrafo 5, della direttiva 2011/95 (…) nel senso che esso introduce un motivo di rifiuto dello status di rifugiato che non è previsto nella Convenzione di Ginevra, il cui rispetto è imposto dall’articolo 18 della Carta (…) e dall’articolo 78, paragrafo 1, [TFUE].

4)

In caso di risposta affermativa alla [terza] questione, se l’articolo 14, paragrafo 5, della direttiva citata sia compatibile con l’articolo 18 della Carta (…) e con l’articolo 78, paragrafo 1, [TFUE], i quali prevedono, segnatamente, la conformità del diritto europeo derivato con la Convenzione di Ginevra, dal momento che esso introduce un motivo di rifiuto dello status di rifugiato senza alcun esame del timore di persecuzione, come impone l’articolo 1, [sezione] A, della Convenzione di Ginevra.

5)

In caso di risposta negativa alle questioni [prima e terza], come si debba interpretare l’articolo 14, paragrafo 5, della direttiva citata in senso conforme all’articolo 18 della Carta e all’articolo 78, paragrafo 1, [TFUE], i quali prevedono, segnatamente, la conformità del diritto europeo derivato con la Convenzione di Ginevra».

Causa C‑78/17

62

Con decisione del 21 febbraio 2007, il commissario generale ha riconosciuto al sig. X, cittadino della Repubblica democratica del Congo, la qualità di rifugiato.

63

Il 20 dicembre 2010, il sig. X è stato condannato dalla Cour d’assises de Bruxelles (Corte d’assise di Bruxelles, Belgio) a una pena detentiva di 25 anni per omicidio e furto aggravato. Con decisione del 4 maggio 2016, il commissario generale gli ha ritirato lo status di rifugiato, in applicazione dell’articolo 55/3/1, paragrafo 1, della legge del 15 dicembre 1980, in quanto, segnatamente, in considerazione della natura particolarmente grave dei reati commessi, il sig. X costituiva un pericolo per la società, ai sensi di tale disposizione. Inoltre, in applicazione dell’articolo 55/3/1, paragrafo 3, di detta legge, il commissario generale ha formulato un parere secondo il quale l’allontanamento del sig. X sarebbe compatibile con gli articoli 48/3 e 48/4 di detta legge, posto che i timori che il sig. X aveva manifestato durante il 2007 non erano più attuali.

64

Il sig. X ha fatto ricorso avverso la decisione del commissario generale dinanzi al giudice del rinvio. Quest’ultimo rileva che l’articolo 55/3/1 della legge del 15 dicembre 1980, sul quale è basata detta decisione, recepisce nell’ordinamento belga l’articolo 14, paragrafo 4, della direttiva 2011/95. Come nella causa C‑77/17 e e per i medesimi motivi dedotti in quest’ultima, il giudice del rinvio reputa che sussistano diversi motivi per interrogarsi sulla validità dell’articolo 14, paragrafo 4, della direttiva 2011/95 alla luce dell’articolo 18 della Carta e dell’articolo 78, paragrafo 1, TFUE.

65

In tale contesto il Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso sugli stranieri) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se occorra interpretare l’articolo 14, paragrafo 4, della direttiva 2011/95 (…) nel senso che esso crea una nuova clausola di esclusione dello status di rifugiato previsto dall’articolo 13 della stessa direttiva e, di conseguenza, dall’articolo 1, [sezione] A, della Convenzione di Ginevra.

2)

In caso di risposta affermativa alla [prima] questione, se l’articolo 14, paragrafo 4, così interpretato, sia compatibile con l’articolo 18 della Carta (…) e con l’articolo 78, paragrafo 1, [TFUE], i quali prevedono, segnatamente, la conformità del diritto europeo derivato con la Convenzione di Ginevra, la cui clausola di esclusione, prevista dall’articolo 1, [sezione] F, è formulata in modo tassativo e va interpretata in modo restrittivo.

3)

In caso di risposta negativa alla [prima] questione, se occorra interpretare l’articolo 14, paragrafo 4, della direttiva 2011/95 (…) nel senso che esso introduce un motivo di rifiuto dello status di rifugiato che non è previsto nella Convenzione di Ginevra, il cui rispetto è imposto dall’articolo 18 della Carta (…) e dall’articolo 78, paragrafo 1, [TFUE].

4)

In caso di risposta affermativa alla [terza] questione, se l’articolo 14, paragrafo 4, della direttiva citata sia compatibile con l’articolo 18 della Carta (…) e con l’articolo 78, paragrafo 1, [TFUE], i quali prevedono, segnatamente, la conformità del diritto europeo derivato con la Convenzione di Ginevra, dal momento che esso introduce un motivo di revoca dello status di rifugiato che non solo non è previsto dalla Convenzione di Ginevra, ma non trova nemmeno fondamento nella stessa.

5)

In caso di risposta negativa alle questioni [prima e terza], come si debba interpretare l’articolo 14, paragrafo 4, della direttiva citata in senso conforme all’articolo 18 della Carta e all’articolo 78, paragrafo 1, [TFUE], i quali prevedono, segnatamente, la conformità del diritto europeo derivato con la Convenzione di Ginevra».

Procedimento dinanzi alla Corte

66

Con ordinanza del presidente della Corte del 17 marzo 2017, le cause C‑77/17 e C‑78/17 sono state riunite ai fini delle fasi scritta ed orale del procedimento, nonché della sentenza. Con ordinanza del presidente della Corte del 17 gennaio 2018, queste cause sono state riunite alla causa C‑391/16 ai fini della fase orale del procedimento e della sentenza.

Sulla competenza della Corte

67

Gli Stati membri e le istituzioni che hanno presentato osservazioni scritte alla Corte hanno espresso pareri divergenti in merito alla questione circa la sussistenza di una competenza, per la Corte, a valutare, nel quadro delle presenti domande di pronuncia pregiudiziale, la validità della direttiva 2011/95 alla luce dell’articolo 78, paragrafo 1, TFUE e dell’articolo 18 della Carta, che fanno entrambi riferimento alla Convenzione di Ginevra.

68

A questo proposito, il governo tedesco ritiene che una siffatta questione richieda una risposta in senso negativo per quanto concerne le domande di pronuncia pregiudiziale nelle cause C‑77/17 e C‑78/17, in quanto dette domande mirano sostanzialmente a ottenere un’interpretazione della Convenzione di Ginevra laddove, come si evince dalla giurisprudenza derivante dalla sentenza del 17 luglio 2014, Qurbani (C‑481/13, EU:C:2014:2101, punti 20, 2128), la competenza della Corte a interpretare tale convenzione è limitata.

69

Dal canto loro, il Consiglio e la Commissione osservano che la Corte si è già pronunciata sulla necessità di interpretare le disposizioni della direttiva 2011/95 nel rispetto della Convenzione di Ginevra. Per quanto concerne il Parlamento, esso ritiene che, poiché detta direttiva è un atto legislativo autonomo dell’Unione, di cui la Corte garantisce il primato, l’unità e l’efficacia, l’esame della validità di questa direttiva dovrebbe svolgersi unicamente sulla base dei Trattati UE e FUE nonché della Carta. La direttiva 2011/95 dovrebbe essere interpretata, nella misura del possibile, in un modo che non rimetta in discussione la sua validità rispettando nel contempo, segnatamente, i principi fondamentali della Convenzione di Ginevra.

70

Viceversa, i governi francese e dei Paesi Bassi sottolineano che, benché l’Unione non sia parte della Convenzione di Ginevra, l’articolo 78 TFUE e l’articolo 18 della Carta obbligano nondimeno l’Unione a rispettarla. Pertanto, la Corte sarebbe competente a valutare la compatibilità dell’articolo 14, paragrafi da 4 a 6, della direttiva 2011/95 con tale convenzione.

71

A questo riguardo, dall’articolo 19, paragrafo 3, lettera b), TUE e dall’articolo 267, primo comma, lettera b), TFUE risulta che la Corte è competente a decidere in via pregiudiziale sull’interpretazione e sulla validità degli atti adottati dalle istituzioni dell’Unione, senza nessuna eccezione, posto che detti atti devono essere pienamente compatibili con le disposizioni dei trattati e con i principi costituzionali che da essi discendono, nonché con le disposizioni della Carta (v., in tal senso, sentenza del 27 febbraio 2018, Western Sahara Campaign UK, C‑266/16, EU:C:2018:118, punti 4446).

72

Nel caso di specie, occorre rilevare che la direttiva 2011/95 è stata adottata sulla base dell’articolo 78, paragrafo 2, lettere a) e b), TFUE. Ai sensi dell’articolo 78, paragrafo 1, TFUE, la politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, volta a «offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un paese terzo che necessita di protezione internazionale e a garantire il rispetto del principio di non respingimento», «deve essere conforme alla Convenzione di Ginevra (…) al protocollo (…), e agli altri trattati pertinenti».

73

Inoltre, l’articolo 18 della Carta dispone che il «diritto di asilo è garantito nel rispetto delle norme stabilite dalla Convenzione di Ginevra (…) e dal protocollo (…), e a norma del trattato [UE] e del trattato [FUE]».

74

Pertanto, benché l’Unione non sia parte contraente della Convenzione di Ginevra, l’articolo 78, paragrafo 1, TFUE e l’articolo 18 della Carta le impongono nondimeno il rispetto delle norme di tale convenzione. Quindi, in virtù di queste disposizioni di diritto primario, la direttiva 2011/95 deve rispettare queste norme (v., in tal senso, sentenze del 1o marzo 2016, Alo e Osso, C‑443/14 e C‑444/14, EU:C:2016:127, punto 29 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 19 giugno 2018, Gnandi, C‑181/16, EU:C:2018:465, punto 53 e giurisprudenza ivi citata).

75

Di conseguenza, la Corte è competente ad esaminare la validità dell’articolo 14, paragrafi da 4 a 6, della direttiva 2011/95 alla luce dell’articolo 78, paragrafo 1, TFUE e dell’articolo 18 della Carta e, nel quadro di tale esame, a verificare se queste disposizioni di detta direttiva possano essere interpretate in un senso che rispetti il livello di protezione garantito dalle norme della Convenzione di Ginevra.

Sulle questioni pregiudiziali

76

Le questioni dei giudici del rinvio concernenti la validità dell’articolo 14, paragrafi da 4 a 6, della direttiva 2011/95 vertono sostanzialmente sulla questione di accertare se l’articolo 14, paragrafi 4 e 5, di detta direttiva produca l’effetto di privare il cittadino di un paese terzo o l’apolide interessato, il quale soddisfi le condizioni materiali previste dall’articolo 2, lettera d), di detta direttiva, della qualità di rifugiato e violi, di conseguenza, l’articolo 1 della Convenzione di Ginevra. I loro quesiti sono incentrati in particolare sulla circostanza che le ipotesi previste dall’articolo 14, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2011/95 non corrispondono alle cause di esclusione e di cessazione contenute nell’articolo 1, sezioni da C a F, della Convenzione di Ginevra, laddove tali cause di esclusione e cessazione rivestono, nel sistema di questa convenzione, carattere tassativo.

77

A questo proposito, occorre ricordare che, secondo un principio ermeneutico generale, un atto dell’Unione dev’essere interpretato, nei limiti del possibile, in modo da non inficiare la sua validità e in conformità con il diritto primario nel suo complesso e, in particolare, con le disposizioni della Carta (sentenza del 15 febbraio 2016, N., C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84, punto 48 e giurisprudenza ivi citata). Pertanto, quando un testo del diritto derivato dell’Unione ammette più di un’interpretazione, si deve dare la preferenza a quella che rende la disposizione conforme al diritto primario rispetto a quella che porti a constatarne l’incompatibilità con lo stesso (sentenza del 26 giugno 2007, Ordre des barreaux francophones et germanophone e a., C‑305/05, EU:C:2007:383, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).

78

Pertanto, occorre verificare se le disposizioni dell’articolo 14, paragrafi da 4 a 6, della direttiva 2011/95 possano essere interpretate, conformemente a quanto impone l’articolo 78, paragrafo 1, TFUE e l’articolo 18 della Carta, in modo da assicurare che venga garantito il livello di protezione garantito dalle norme della Convenzione di Ginevra.

Sul sistema istituito dalla direttiva 2011/95

79

Come si evince dal considerando 12 della direttiva 2011/95, le disposizioni di quest’ultima mirano a garantire l’applicazione di criteri comuni per l’identificazione delle persone che hanno bisogno di protezione internazionale, nonché un livello minimo di benefici per tali persone in tutti gli Stati membri.

80

A questo riguardo, occorre ricordare, come conferma il considerando 3 della direttiva 2011/95, che il sistema europeo comune in materia di asilo di cui fa parte questa direttiva è fondato sull’applicazione, in ogni sua componente, della Convenzione di Ginevra e del protocollo, e sulla garanzia che nessuno sia nuovamente esposto alla persecuzione (v., in tal senso, sentenze del 21 dicembre 2011, N.S. e a., C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punto 75, nonché del 1o marzo 2016, Alo e Osso, C‑443/14 e C‑444/14, EU:C:2016:127, punto 30).

81

Inoltre, dai considerando 4, 23 e 24 della direttiva 2011/95 risulta che la Convenzione di Ginevra costituisce la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati, e che le disposizioni di tale direttiva relative alle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato nonché al contenuto di tale status sono state adottate al fine di aiutare le autorità competenti degli Stati membri ad applicare detta convenzione, basandosi su nozioni e criteri comuni per l’attribuzione ai richiedenti asilo della qualifica di rifugiato ai sensi dell’articolo 1 di detta convenzione (v., in tal senso, sentenze del 31 gennaio 2017, Lounani, C‑573/14, EU:C:2017:71, punto 41, e del 13 settembre 2018, Ahmed, C‑369/17, EU:C:2018:713, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).

82

Peraltro, il considerando 16 della direttiva 2011/95 precisa che quest’ultima mira ad assicurare il pieno rispetto della dignità umana e il diritto d’asilo dei richiedenti asilo e dei familiari al loro seguito; quest’ultimo diritto, in forza dell’articolo 18 della Carta, è garantito nel rispetto della Convenzione di Ginevra e del protocollo.

83

Pertanto, benché la direttiva 2011/95 stabilisca un sistema normativo che contiene nozioni e criteri comuni agli Stati membri e, pertanto, specifici dell’Unione, essa è nondimeno fondata sulla Convenzione di Ginevra e ha lo scopo, in particolare, che l’articolo 1 di tale convenzione sia pienamente rispettato.

84

Fatte queste precisazioni, occorre rilevare che, per quanto concerne il termine «rifugiato», l’articolo 2, lettera d), di questa direttiva riprende, in sostanza, la definizione contenuta nell’articolo 1, sezione A, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra. A questo proposito, le disposizioni del capo III della direttiva 2011/95, intitolato «Requisiti per essere considerato rifugiato», forniscono precisazioni sulle condizioni materiali richieste affinché il cittadino di un paese terzo o un apolide possa essere considerato come un rifugiato, ai sensi dell’articolo 2, lettera d), di detta direttiva.

85

L’articolo 2, lettera e), della direttiva 2011/95 definisce, per parte sua, lo «status di rifugiato» come «il riconoscimento, da parte di uno Stato membro, di un cittadino di un paese terzo o di un apolide quale rifugiato». Come si evince dal considerando 21 di detta direttiva, questo riconoscimento ha natura ricognitiva e non costitutiva della qualità di rifugiato.

86

Pertanto, nel sistema istituito dalla direttiva 2011/95, il cittadino di un paese terzo o un apolide che soddisfi le condizioni materiali contenute nel capo III di detta direttiva dispone, per questo solo fatto, della qualità di rifugiato, ai sensi dell’articolo 2, lettera d), di detta direttiva e dell’articolo 1, sezione A, della Convenzione di Ginevra.

87

L’interpretazione sistematica della direttiva 2011/95, secondo la quale il capo III di quest’ultima verte solo sulla qualità di rifugiato, non può essere rimessa in discussione dall’uso dei termini «status di rifugiato» nell’articolo 12, paragrafi 1 e 2, di detta direttiva, contenuto nel citato capo III, segnatamente nella sua versione in lingua francese. Infatti, altre versioni linguistiche di questa disposizione, quali le versioni spagnola, tedesca, inglese, portoghese e svedese, utilizzano, in quest’articolo 12, paragrafi 1 et 2, il termine «rifugiato» al posto di «status di rifugiato».

88

Ebbene, in base a una giurisprudenza consolidata della Corte, in caso di difformità tra le diverse versioni linguistiche di un testo del diritto dell’Unione, la disposizione di cui trattasi dev’essere interpretata in funzione dell’economia generale e della finalità della normativa di cui essa fa parte (sentenze del 1o marzo 2016, Alo e Osso, C‑443/14 e C‑444/14, EU:C:2016:127, punto 27, nonché del 24 gennaio 2019, Balandin e a., C‑477/17, EU:C:2019:60, punto 31). A questo proposito, mentre il capo III della direttiva 2011/95 è intitolato «Requisiti per essere considerato rifugiato», il capo IV di detta direttiva si intitola «Status di rifugiato» e contiene l’articolo 13, che disciplina il riconoscimento di tale status, nonché l’articolo 14, che disciplina la revoca, la cessazione o il rifiuto del rinnovo del medesimo status.

89

Per quanto riguarda l’articolo 13 della direttiva 2011/95, la Corte ha giudicato che, in forza di tale disposizione, gli Stati membri riconoscono lo status di rifugiato a qualsiasi cittadino di un paese terzo o apolide che soddisfi i requisiti materiali per essere considerato come rifugiato conformemente ai capi II e III di tale direttiva, senza disporre di un potere discrezionale a tale riguardo (v., in tal senso, sentenze del 24 giugno 2015, H.T., C‑373/13, EU:C:2015:413, punto 63, nonché del 12 aprile 2018, A e S, C‑550/16, EU:C:2018:248, punti 5254).

90

La circostanza che la qualità di «rifugiato», ai sensi dell’articolo 2, lettera d), della direttiva 2011/95 e dell’articolo 1, sezione A, della Convenzione di Ginevra, non dipenda dal riconoscimento formale di questa qualità mediante la concessione dello «status di rifugiato», ai sensi dell’articolo 2, lettera e), di detta direttiva, è corroborata, del resto, dai termini dell’articolo 21, paragrafo 2, della citata direttiva, secondo i quali un «rifugiato» può essere respinto, nel rispetto della condizione enunciata in questa disposizione, a prescindere dal fatto che sia «formalmente riconosciuto o meno».

91

Il riconoscimento formale della qualità di rifugiato, che costituisce la concessione dello status di rifugiato, ha come conseguenza che il rifugiato interessato diventa beneficiario, in forza dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 2011/95, della protezione internazionale, ai sensi di tale direttiva, per cui egli dispone, come rilevato dall’avvocato generale nel paragrafo 91 delle sue conclusioni, di tutti i diritti e benefici previsti dal capo VII della citata direttiva, il quale contiene nel contempo diritti equivalenti a quelli contenuti nella Convenzione di Ginevra e, come hanno osservato, in particolare, il Parlamento e il governo del Regno Unito, tutele giuridiche ancora maggiori, che non hanno equivalenti in tale convenzione, come quelle oggetto dell’articolo 24, paragrafo 1, nonché degli articoli 28 e 34 della direttiva 2011/95.

92

Dalle precedenti considerazioni discende che la qualità di «rifugiato», ai sensi dell’articolo 2, lettera d), della direttiva 2011/95 e dell’articolo 1, sezione A, della Convenzione di Ginevra, non dipende dal riconoscimento formale di tale qualità mediante la concessione dello «status di rifugiato», ai sensi dell’articolo 2, lettera e), della citata direttiva, letto in combinato disposto con l’articolo 13 di quest’ultima.

Sull’articolo 14, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2011/95

93

Per quanto concerne le ipotesi, previste nell’articolo 14, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2011/95, nelle quali gli Stati membri possono procedere alla revoca o al rifiuto del riconoscimento dello status di rifugiato, queste ultime corrispondono, come rilevato dall’avvocato generale nel paragrafo 56 delle sue conclusioni, in sostanza, a quelle nelle quali gli Stati membri possono procedere al respingimento di un rifugiato, in forza dell’articolo 21, paragrafo 2, di detta direttiva e dell’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra.

94

Tuttavia, occorre rilevare, in primo luogo, che, mentre l’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra priva, in ipotesi del genere, il rifugiato del beneficio del principio del non respingimento verso un paese in cui la sua vita o la sua libertà sia minacciata, l’articolo 21, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 dev’essere interpretato e applicato, come conferma il considerando 16 di quest’ultima, in osservanza dei diritti garantiti dalla Carta, segnatamente dall’articolo 4 e dall’articolo 19, paragrafo 2, di quest’ultima, che vietano in termini perentori la tortura nonché le pene e i trattamenti inumani o degradanti, a prescindere dal comportamento dell’interessato, così come l’allontanamento verso uno Stato in cui esista un rischio serio di essere sottoposto a trattamenti del genere. Pertanto, gli Stati membri non possono allontanare, espellere o estradare uno straniero quando esistono seri e comprovati motivi di ritenere che, nel paese di destinazione, egli vada incontro a un rischio reale di subire trattamenti proibiti dall’articolo 4 e dall’articolo 19, paragrafo 2, della Carta [v., in tal senso, sentenze del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C‑404/15 e C‑659/15 PPU, EU:C:2016:198, punti da 86 a 88, nonché del 24 aprile 2018, MP (Protezione sussidiaria di una vittima di atti di tortura subiti in passato), C‑353/16, EU:C:2018:276, punto 41].

95

Pertanto, quando il respingimento di un rifugiato che rientri in una delle ipotesi prevista dall’articolo 14, paragrafi 4 e 5, nonché dall’articolo 21, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 farebbe correre a quest’ultimo il rischio che siano violati i suoi diritti fondamentali sanciti dall’articolo 4 e dall’articolo 19, paragrafo 2, della Carta, lo Stato membro interessato non può derogare al principio del non respingimento ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra.

96

Alla luce di ciò, posto che l’articolo 14, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2011/95 prevede, nelle ipotesi in esso previste, la possibilità per gli Stati membri di revocare lo «status di rifugiato», ai sensi dell’articolo 2, lettera e), di detta direttiva, o di negare il riconoscimento di tale status, mentre l’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra consente, per parte sua, il respingimento di un rifugiato che si trovi in una di tali ipotesi verso un paese in cui la sua vita o la sua libertà sia minacciata, il diritto dell’Unione prevede una protezione internazionale dei rifugiati interessati più ampia di quella garantita da detta convenzione.

97

In secondo luogo, come rilevato dalla Commissione, dal Consiglio, dal Parlamento nonché da diversi degli Stati membri che hanno presentato osservazioni scritte alla Corte, l’articolo 14, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2011/95 non può essere interpretato nel senso che, nel contesto del sistema istituito da tale direttiva, la revoca dello status di rifugiato o il diniego di riconoscimento abbia come effetto che il cittadino di un paese terzo o l’apolide interessato, che soddisfi le condizioni contenute nell’articolo 2, lettera d), di detta direttiva, letto in combinato disposto con le norme di cui al capo III di quest’ultima, perda la qualità di rifugiato, ai sensi di detto articolo 2, lettera d), e dell’articolo 1, sezione A, della Convenzione di Ginevra.

98

Infatti, oltre a quanto illustrato nel punto 92 della presente sentenza, la circostanza che l’interessato rientri in una delle ipotesi previste dall’articolo 14, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2011/95 non significa, per ciò solo, che quest’ultimo cessi di rispondere ai requisiti materiali da cui dipende la qualità di rifugiato, relativi all’esistenza di un fondato timore di persecuzioni nel suo paese d’origine.

99

Nel caso in cui uno Stato membro decida di revocare lo status di rifugiato o di non riconoscerlo ai sensi dell’articolo 14, paragrafi 4 o 5, della direttiva 2011/95, i cittadini di paesi terzi o gli apolidi interessati si trovano certamente privati di detto status e pertanto non dispongono, o non dispongono più, di tutti diritti e benefici enunciati nel capo VII di detta direttiva, che sono associati a tale status. Tuttavia, come prevede espressamente l’articolo 14, paragrafo 6, di detta direttiva, queste persone godono, o continuano a godere, di un certo numero di diritti previsti dalla Convenzione di Ginevra (v., in tal senso, sentenza del 24 giugno 2015, H.T., C‑373/13, EU:C:2015:413, punto 71), circostanza che, come sottolineato dall’avvocato generale nel paragrafo 100 delle sue conclusioni, conferma che essi hanno, o continuano ad avere, la qualità di rifugiato ai sensi, segnatamente, dell’articolo 1, sezione A, di detta convenzione, a dispetto di tale revoca o diniego.

100

Da ciò discende che le disposizioni dell’articolo 14, paragrafi da 4 a 6, della direttiva 2011/95 non possono essere interpretate nel senso che la revoca dello status di rifugiato o il diniego di concessione di detto status abbia l’effetto di privare il cittadino di un paese terzo o l’apolide interessato, il quale soddisfi i requisiti materiali di cui all’articolo 2, lettera d), di tale direttiva, letto in combinato disposto con le norme di cui al capo III di quest’ultima, della qualità di rifugiato, ai sensi dell’articolo 1, sezione A, della Convenzione di Ginevra, e pertanto di escluderlo dalla protezione internazionale che l’articolo 18 della Carta impone di garantirgli nel rispetto di detta convenzione.

Sull’articolo 14, paragrafo 6, della direttiva 2011/95

101

L’articolo 14, paragrafo 6, della direttiva 2011/95 prevede che le persone cui si applicano i paragrafi 4 e 5 di detto articolo 14 godono dei diritti conferiti «dagli articoli 3, 4, 16, 22, 31[,] 32 e 33 della Convenzione di Ginevra, o di diritti analoghi, purché siano presenti nello Stato membro».

102

Per quanto concerne, anzitutto, la congiunzione «o», utilizzata nell’articolo 14, paragrafo 6, della direttiva 2011/95, questa congiunzione, da un punto di vista linguistico, può rivestire un significato alternativo o cumulativo e, di conseguenza, dev’essere letta nel contesto in cui essa è impiegata e alla luce delle finalità dell’atto in questione (v., per analogia, sentenza del 12 luglio 2005, Commissione/Francia, C‑304/02, EU:C:2005:444, punto 83). Orbene, nel caso di specie, in considerazione del contesto e della finalità della direttiva 2011/95, quali si ricavano dai considerando 3, 10 e 12 di quest’ultima, e tenuto conto della giurisprudenza citata nel punto 77 della presente sentenza, detta congiunzione, di cui all’articolo 14, paragrafo 6, della menzionata direttiva, dev’essere intesa in senso cumulativo.

103

Per quanto poi concerne la portata dei termini «diritti analoghi», di cui all’articolo 14, paragrafo 6, occorre rilevare, come sottolineato dall’avvocato generale nel paragrafo 110 delle sue conclusioni, che l’applicazione dell’articolo 14, paragrafo 4 o 5, della direttiva 2011/95 ha come conseguenza, segnatamente, quella di privare l’interessato del permesso di soggiorno che l’articolo 24 di detta direttiva collega allo status di rifugiato, ai sensi della medesima.

104

Pertanto, un rifugiato colpito da una misura adottata sulla base dell’articolo 14, paragrafo 4 o 5, della direttiva 2011/95 può essere considerato, ai fini della determinazione dei diritti che devono essergli concessi in osservanza della Convenzione di Ginevra, come un soggetto che non risiede o non risiede più regolarmente nel territorio dello Stato membro interessato.

105

Pertanto, occorre giudicare che gli Stati membri, quando danno esecuzione all’articolo 14, paragrafo 4 o 5, di detta direttiva, sono tenuti, in linea di principio, a concedere ai rifugiati che si trovano sui loro rispettivi territori solo i diritti espressamente previsti dall’articolo 14, paragrafo 6, di detta direttiva nonché quelli, fra i diritti enunciati nella Convenzione di Ginevra, che sono garantiti a qualsiasi rifugiato che si trovi nel territorio di uno Stato contraente e il cui godimento non presupponga una residenza regolare.

106

Occorre sottolineare tuttavia che, nonostante la privazione del permesso di soggiorno collegato allo status di rifugiato, ai sensi della direttiva 2011/95, il rifugiato che rientri in una delle ipotesi previste dall’articolo 14, paragrafi 4 e 5, di detta direttiva può essere autorizzato, in base a un altro fondamento giuridico, a soggiornare legalmente nel territorio dello Stato membro interessato (v., in tal senso, sentenza del 24 giugno 2015, H.T., C‑373/13, EU:C:2015:413, punto 94). In una simile ipotesi, l’articolo 14, paragrafo 6, della citata direttiva non osta assolutamente a che detto Stato membro garantisca all’interessato il godimento di tutti i diritti collegati dalla Convenzione di Ginevra alla qualità di «rifugiato».

107

Pertanto, l’articolo 14, paragrafo 6, della direttiva 2011/95 dev’essere interpretato, conformemente all’articolo 78, paragrafo 1, TFUE e all’articolo 18 della Carta, nel senso che lo Stato membro che fa uso delle facoltà previste dall’articolo 14, paragrafi 4 e 5, di detta direttiva deve concedere al rifugiato che rientri in una delle ipotesi previste da queste ultime disposizioni e che si trovi nel territorio di detto Stato membro, quanto meno, il godimento dei diritti sanciti dalla Convenzione di Ginevra ai quali quest’articolo 14, paragrafo 6, fa espresso riferimento nonché dei diritti previsti da detta convenzione il cui godimento non richieda una residenza regolare, e ciò fatte salve le eventuali riserve formulate da questo Stato membro a titolo dell’articolo 42, paragrafo 1, della citata convenzione.

108

Del resto, a prescindere dai diritti che gli Stati membri sono tenuti a garantire agli interessati in applicazione dell’articolo 14, paragrafo 6, della direttiva 2011/95, occorre sottolineare che quest’ultima non può essere interpretata in nessun modo nel senso che essa produca l’effetto di incitare detti Stati a sottrarsi agli obblighi internazionali a loro incombenti, quali derivanti dalla Convenzione di Ginevra, limitando i diritti che tali soggetti traggono da questa convenzione.

109

Ad ogni modo, è importante precisare, come rilevato dall’avvocato generale nei paragrafi 133 e 134 delle sue conclusioni, e come confermano i considerando 16 e 17 della direttiva 2011/95, che l’applicazione dell’articolo 14, paragrafi da 4 a 6, di detta direttiva non incide sull’obbligo, per lo Stato membro interessato, di rispettare le disposizioni pertinenti della Carta, quali quelle contenute nel suo articolo 7, relativo al rispetto della vita privata e della vita familiare, nel suo articolo 15, relativo alla libertà professionale e al diritto di lavorare, nel suo articolo 34, relativo alla previdenza sociale e all’assistenza sociale, nonché nel suo articolo 35, relativo alla protezione della salute.

110

Da tutte le considerazioni sin qui illustrate si evince che, mentre, in applicazione della Convenzione di Ginevra, le persone che rientrino in una delle ipotesi descritte dall’articolo 14, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2011/95 possono essere colpite, in forza dell’articolo 33, paragrafo 2, di detta convenzione, da una misura di respingimento o di espulsione verso il loro paese di origine, e ciò persino quando la loro vita o la loro libertà siano ivi minacciate, persone del genere non possono viceversa costituire oggetto, in forza dell’articolo 21, paragrafo 2, di detta direttiva, di un respingimento qualora quest’ultimo faccia loro correre il rischio che siano violati i loro diritti fondamentali sanciti dall’articolo 4 e dall’articolo 19, paragrafo 2, della Carta. Certamente, queste persone possono costituire oggetto, nello Stato membro interessato, di una decisione di revoca dello status di rifugiato, ai sensi dell’articolo 2, lettera e), della direttiva 2011/95, o di una decisione di rifiuto di concessione di tale status, ma l’adozione di decisioni siffatte non può incidere sulla loro qualità di rifugiato quando esse soddisfano le condizioni materiali richieste per essere considerati rifugiati, ai sensi dell’articolo 2, lettera d), di detta direttiva, letto in combinato disposto con le norme di cui al capo III di quest’ultima e, quindi, di cui all’articolo 1, sezione A, della Convenzione di Ginevra.

111

Alla luce di ciò, l’interpretazione dell’articolo 14, paragrafi da 4 a 6, della direttiva 2011/95 così accolta garantisce che sia riconosciuto il livello di protezione minimo previsto dalla Convenzione di Ginevra, come imposto dall’articolo 78, paragrafo 1, TFUE e dall’articolo 18 della Carta.

112

Si deve rispondere quindi alla questione pregiudiziale dichiarando che dall’esame dell’articolo 14, paragrafi da 4 a 6, della direttiva 2011/95, non risultano elementi tali da incidere sulla validità delle menzionate disposizioni alla luce dell’articolo 78, paragrafo 1, TFUE e dell’articolo 18 della Carta.

Sulle spese

113

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

 

Dall’esame dell’articolo 14, paragrafi da 4 a 6, della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, non risultano elementi tali da incidere sulla validità delle menzionate disposizioni alla luce dell’articolo 78, paragrafo 1, TFUE e dell’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

 

Firme


( *1 ) Lingue processuali: il ceco e il francese.