SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)

26 settembre 2018 ( *1 )

«Rinvio pregiudiziale – Politica comune in materia di asilo e di protezione sussidiaria – Direttiva 2005/85/CE – Articolo 39 – Direttiva 2008/115/CE – Articolo 13 – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 18, articolo 19, paragrafo 2, e articolo 47 – Diritto a un ricorso effettivo – Principio di non respingimento – Decisione che respinge una domanda di protezione internazionale e impone un obbligo di rimpatrio – Normativa nazionale che prevede un secondo grado di giudizio – Effetto sospensivo automatico limitato al ricorso di primo grado»

Nella causa C‑175/17,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi), con decisione del 29 marzo 2017, pervenuta in cancelleria il 6 aprile 2017, nel procedimento

X

contro

Belastingdienst/Toeslagen,

LA CORTE (Quarta Sezione),

composta da T. von Danwitz (relatore), presidente di sezione, C. Vajda, E. Juhász, K. Jürimäe e C. Lycourgos, giudici,

avvocato generale: Y. Bot

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

per X, da E.C. Cerezo-Weijsenfeld, advocaat;

per il governo dei Paesi Bassi, da J. Langer, M.K. Bulterman e H.S. Gijzen, in qualità di agenti;

per il governo belga, da C. Pochet, M. Jacobs e C. Van Lul, in qualità di agenti;

per il governo polacco, da B. Majczyna, in qualità di agente;

per la Commissione europea, da M. Condou-Durande, C. Cattabriga e G. Wils, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 24 gennaio 2018,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 39 della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1o dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (GU 2005, L 326, pag. 13), e dell’articolo 13 della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU 2008, L 348, pag. 98), letti alla luce dell’articolo 18, dell’articolo 19, paragrafo 2, e dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra X e il Belastingdienst/Toeslagen (Amministrazione tributaria/servizio assegni sociali, Paesi Bassi), in merito a una decisione di quest’ultimo che ordina a X, cittadino di uno Stato terzo, di rimborsare i contributi finanziari per spese sanitarie e di locazione di cui ha beneficiato.

Contesto normativo

Convenzione relativa allo status dei rifugiati

3

L’articolo 33 della Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, pag. 137, n. 2545 (1954)], come completata dal protocollo relativo allo status dei rifugiati, concluso a New York il 31 gennaio 1967, a sua volta entrato in vigore il 4 ottobre 1967, intitolato «Divieto d’espulsione o di respingimento», al paragrafo 1 così prevede:

«Nessuno Stato contraente potrà espellere o respingere – in nessun modo – un rifugiato verso le frontiere dei territori ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza ad un determinato gruppo sociale o delle sue opinioni politiche».

CEDU

4

La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), all’articolo 3, intitolato «Proibizione della tortura», prevede quanto segue:

«Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti».

5

L’articolo 13 di tale convenzione è così formulato:

«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali».

Diritto dell’Unione

Direttiva 2005/85

6

I considerando 5 e 8 della direttiva 2005/85 così recitano:

«(5)

Obiettivo principale della presente direttiva è stabilire un quadro minimo nella Comunità sulle procedure per il riconoscimento e la revoca dello status di rifugiato.

(…)

(8)

La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti in particolare nella [Carta]».

7

L’articolo 3 di tale direttiva, intitolato «Ambito d’applicazione», al suo paragrafo 1 dispone quanto segue:

«La presente direttiva si applica a tutte le domande di asilo presentate nel territorio, compreso alla frontiera o nelle zone di transito degli Stati membri, nonché alla revoca dello status di rifugiato».

8

Ai sensi dell’articolo 39 della suddetta direttiva, rubricato «Diritto a un mezzo di impugnazione efficace»:

«1.   Gli Stati membri dispongono che il richiedente asilo abbia diritto a un mezzo di impugnazione efficace dinanzi a un giudice avverso i seguenti casi:

a)

la decisione sulla sua domanda di asilo (…)

(…)

3.   Gli Stati membri prevedono, se del caso, norme conformi ai loro obblighi internazionali intese:

a)

a determinare se il rimedio di cui al paragrafo 1 produce l’effetto di consentire ai richiedenti di rimanere nello Stato membro interessato in attesa del relativo esito;

b)

a prevedere la possibilità di un mezzo di impugnazione giurisdizionale o di misure cautelari, qualora il mezzo di impugnazione di cui al paragrafo 1 non produca l’effetto di consentire ai richiedenti di rimanere nello Stato membro interessato in attesa del relativo esito. Gli Stati membri possono anche prevedere un mezzo di impugnazione d’ufficio (…)

(…)».

Direttiva 2008/115

9

I considerando 2, 4 e 24 della direttiva 2008/115 sono così formulati:

(2)

Il Consiglio europeo di Bruxelles del 4 e 5 novembre 2004 ha sollecitato l’istituzione di un’efficace politica in materia di allontanamento e rimpatrio basata su norme comuni affinché le persone siano rimpatriate in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità.

(…)

(4)

Occorrono norme chiare, trasparenti ed eque per definire una politica di rimpatrio efficace quale elemento necessario di una politica d’immigrazione correttamente gestita.

(…)

(24)

La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti in particolare nella [Carta]».

10

L’articolo 2, paragrafo 1, di tale direttiva prevede che la stessa si applichi ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare.

11

Ai sensi dell’articolo 3 della suddetta direttiva:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(…)

4)

«decisione di rimpatrio» decisione o atto amministrativo o giudiziario che attesti o dichiari l’irregolarità del soggiorno di un cittadino di paesi terzi e imponga o attesti l’obbligo di rimpatrio;

(…)».

12

L’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 così dispone:

«Le decisioni di rimpatrio e, ove emesse, le decisioni di divieto d’ingresso e le decisioni di allontanamento sono adottate in forma scritta, sono motivate in fatto e in diritto e contengono informazioni sui mezzi di ricorso disponibili.

(…)».

13

L’articolo 13 di tale direttiva, intitolato «Mezzi di ricorso», è del seguente tenore:

«1.   Al cittadino di un paese terzo interessato sono concessi mezzi di ricorso effettivo avverso le decisioni connesse al rimpatrio di cui all’articolo 12, paragrafo 1, o per chiederne la revisione dinanzi ad un’autorità giudiziaria o amministrativa competente o a un organo competente composto da membri imparziali che offrono garanzie di indipendenza.

2.   L’autorità o l’organo menzionati al paragrafo 1 hanno la facoltà di rivedere le decisioni connesse al rimpatrio di cui all’articolo 12, paragrafo 1, compresa la possibilità di sospenderne temporaneamente l’esecuzione, a meno che la sospensione temporanea sia già applicabile ai sensi del diritto interno.

(…)».

Diritto dei Paesi Bassi

14

Nel diritto dei Paesi Bassi, i ricorsi di primo grado proposti dinanzi al Rechtbank (Tribunale, Paesi Bassi) avverso una decisione dello Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie (Segretario di Stato alla Sicurezza e alla Giustizia, Paesi Bassi) in materia di protezione internazionale hanno effetto sospensivo automatico. Sebbene sia possibile impugnare una sentenza emessa dal Rechtbank (Tribunale) la quale confermi una decisione che respinge una domanda di protezione internazionale e impone un obbligo di rimpatrio, il procedimento di appello non ha effetto sospensivo automatico. Il ricorrente può tuttavia chiedere al voorzieningenrechter (giudice cautelare, Paesi Bassi) del Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi) di adottare provvedimenti provvisori, al fine di evitare segnatamente di essere allontanato nelle more del giudizio di merito sull’appello. Tale domanda di provvedimenti provvisori non ha, a sua volta, effetto sospensivo automatico.

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

15

Il 1o luglio 2011 è stata notificata a X, cittadino iracheno, una decisione che revocava il permesso di soggiorno a durata limitata rilasciatogli e respingeva la sua domanda di protezione internazionale, imponendogli un obbligo di rimpatrio. X ha proposto ricorso avverso tale decisione dinanzi al rechtbank Den Haag (Tribunale dell’Aia, Paesi Bassi), che l’ha annullata pur lasciandone impregiudicati gli effetti giuridici. Con sentenza del 25 febbraio 2013, il Raad van State (Consiglio di Stato) ha respinto l’appello proposto da X contro tale sentenza.

16

X aveva peraltro chiesto e ottenuto anticipi sui contributi finanziari alle spese sanitarie e di locazione previsti dal diritto olandese. A seguito della sentenza del 25 febbraio 2013 del Raad van State (Consiglio di Stato), l’Amministrazione fiscale/servizio assegni sociali ha chiesto il rimborso di tali contributi, anche per il periodo in cui erano pendenti i procedimenti di primo grado e di appello contro la decisione del 1o luglio 2011.

17

Il giudice del rinvio indica di essere chiamato a pronunciarsi su un appello presentato da X avverso una sentenza del Rechtbank (tribunale) che conferma l’obbligo posto a suo carico di rimborsare i contributi in questione. A tale riguardo, esso espone che, ai sensi del diritto nazionale, la questione se X, nel periodo in cui erano pendenti il procedimento in primo grado e quello di appello promossi avverso la decisione del 1o luglio 2011, avesse diritto a tali contributi dipende dall’effetto sospensivo di tali ricorsi. L’effetto sospensivo automatico del ricorso di primo grado previsto dal diritto dei Paesi Bassi conferirebbe in tal senso a X un diritto a detti contributi. Tuttavia, dato che la normativa dei Paesi Bassi non prevede un effetto sospensivo automatico per il procedimento di appello, e che X non ha neppure chiesto al voorzieningenrechter (giudice cautelare) del Raad van State (Consiglio di Stato) di adottare provvedimenti provvisori, tale giudice ritiene che X avrebbe diritto a tali contributi in pendenza del procedimento d’appello solamente qualora il diritto dell’Unione esigesse che l’appello produca effetto sospensivo automatico.

18

In tale contesto, il Raad van State (Consiglio di Stato) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se l’articolo 13 della direttiva 2008/115 (…), in combinato disposto con gli articoli 4, 18, 19, paragrafo 2, e 47 della [Carta], debba essere interpretato nel senso che il diritto dell’Unione europea impone che il mezzo del ricorso in appello, ove il diritto nazionale lo preveda in procedure avverso una decisione contenente una decisione di rimpatrio ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, di [tale direttiva], abbia automaticamente effetto sospensivo quando il cittadino di un paese terzo sostiene che l’esecuzione della decisione di rimpatrio determina un grave rischio di violazione del principio di non respingimento. In altri termini, se in una siffatta ipotesi l’allontanamento dell’interessato, cittadino di un paese terzo, debba essere sospeso durante il termine per la presentazione del ricorso in appello, o, ove questo sia stato presentato, sino alla decisione su detto appello, senza che tale cittadino di un paese terzo sia tenuto a presentare una domanda separata.

2)

Se l’articolo 39 della direttiva 2005/85 (…), in combinato disposto con gli articoli 4, 18, 19, paragrafo 2, e 47 della [Carta], debba essere interpretato nel senso che il diritto dell’Unione europea impone che un mezzo del ricorso in appello, ove il diritto nazionale lo preveda per le procedure vertenti sul rigetto di una domanda di asilo ai sensi dell’articolo 2 di [tale direttiva], abbia automaticamente effetto sospensivo. In altri termini, se in una siffatta ipotesi l’allontanamento dell’interessato debba essere sospeso durante il termine per la presentazione del ricorso in appello, o, ove questo sia stato presentato, fino alla decisione sull’appello, senza che il cittadino di un paese terzo interessato sia tenuto a presentare una domanda separata».

Sulla domanda di riapertura della fase orale del procedimento

19

Con atto depositato nella cancelleria della Corte il 5 febbraio 2018, il governo dei Paesi Bassi ha chiesto di disporre la riapertura della fase orale del procedimento, nel caso in cui la Corte decidesse di pronunciarsi sulla presente causa alla luce della questione, affrontata dall’avvocato generale nelle sue conclusioni, se la competenza del giudice di primo grado ad annullare la decisione del 1o luglio 2011, pur lasciandone impregiudicati gli effetti giuridici, imponga che all’appello avverso tale decisione sia attribuito effetto sospensivo automatico. La questione non sarebbe stata sottoposta alla Corte dal giudice del rinvio, né sarebbe stata dibattuta tra le parti.

20

A tale riguardo, l’articolo 83 del regolamento di procedura consente alla Corte, sentito l’avvocato generale, di disporre in qualsiasi momento la riapertura della fase orale del procedimento, in particolare quando la causa dev’essere decisa in base a un argomento che non è stato oggetto di discussione tra le parti.

21

Nel caso di specie, la Corte ritiene che non occorra prendere posizione sulla questione prospettata nella domanda di riapertura della fase orale. Peraltro, la Corte reputa, sentito l’avvocato generale, di essere in possesso di tutti gli elementi necessari per statuire e che tali elementi siano stati oggetto delle discussioni svolte dinanzi ad essa. Pertanto, non occorre disporre la riapertura della fase orale del procedimento (v., in tal senso, sentenza del 25 ottobre 2017, Shiri, C‑201/16, EU:C:2017:805, punti 2425).

Sulla competenza della Corte

22

Il governo belga eccepisce l’incompetenza della Corte a rispondere alle questioni sollevate, asserendo che l’oggetto delle medesime, ossia l’introduzione di un appello – e la decisione di dotarlo, eventualmente, di effetto sospensivo automatico – avverso le sentenze di primo grado relative a decisioni come quella del 1o luglio 2011, sarebbe di competenza esclusiva degli Stati membri.

23

A tale riguardo, si deve rilevare come l’articolo 39 della direttiva 2005/85 e l’articolo 13 della direttiva 2008/115 contengano disposizioni che disciplinano il diritto a un ricorso effettivo avverso le decisioni con cui le competenti autorità degli Stati membri respingono le domande di protezione internazionale e impongono ai richiedenti un obbligo di rimpatrio, come nel caso della decisione del 1o luglio 2011.

24

Per quanto riguarda la questione se l’introduzione di un appello contro le sentenze di primo grado relative a tali decisioni e la decisione di dotare tale mezzo di impugnazione, se del caso, di effetto sospensivo automatico siano di esclusiva competenza degli Stati membri, essa è indissolubilmente collegata alle risposte da dare alle questioni sottoposte, le quali vertono per l’appunto sulla portata del diritto di ricorso previsto all’articolo 39 della direttiva 2005/85 e all’articolo 13 della direttiva 2008/115, letti alla luce delle garanzie previste all’articolo 18, all’articolo 19, paragrafo 2, e all’articolo 47 della Carta. Alla luce di tali considerazioni, la Corte è competente a rispondere a tali questioni (v. in tal senso, sentenza del 7 marzo 2017, X e X, C‑638/16 PPU, EU:C:2017:173, punto 37 e giurisprudenza citata).

Sulle questioni pregiudiziali

25

Con le sue questioni, che è opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 39 della direttiva 2005/85 e l’articolo 13 della direttiva 2008/115, letti alla luce dell’articolo 18 e dell’articolo 19, paragrafo 2, nonché dell’articolo 47 della Carta, debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale la quale, pur prevedendo un appello contro le sentenze di primo grado confermative di decisioni che respingono domande di protezione internazionale e impongono un obbligo di rimpatrio, non dota tale mezzo di impugnazione di effetto sospensivo automatico, anche quando la persona interessata invochi un grave rischio di violazione del principio di non respingimento.

26

Ai sensi dell’articolo 39, paragrafo 1, della direttiva 2005/85, gli Stati membri dispongono che il richiedente protezione internazionale abbia diritto a un mezzo di impugnazione efficace dinanzi a un giudice contro, tra le altre ipotesi, una decisione sulla sua domanda di protezione internazionale. A mente della formulazione dell’articolo 39, paragrafo 3, lettere a) e b), di tale direttiva, gli Stati membri prevedono, se del caso, norme conformi ai loro obblighi internazionali intese, da un lato, a determinare se tale mezzo di impugnazione produca l’effetto di consentire ai richiedenti di rimanere nello Stato membro interessato in attesa del relativo esito o, dall’altro, a prevedere la possibilità di un mezzo di impugnazione giurisdizionale o di misure cautelari, qualora il suddetto mezzo di impugnazione non produca un simile effetto.

27

A norma dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, in combinato disposto con l’articolo 12, paragrafo 1, della medesima, al cittadino di un paese terzo interessato sono concessi mezzi di ricorso effettivo per impugnare le decisioni connesse al rimpatrio adottate nei suoi confronti dinanzi a un’autorità giudiziaria o amministrativa competente o a un organo competente composto da membri imparziali che offrono garanzie di indipendenza.

28

Sebbene, dunque, le disposizioni delle direttive 2005/85 e 2008/115 impongano agli Stati membri di prevedere un diritto a un ricorso effettivo contro le decisioni di rigetto di una domanda di protezione internazionale e contro le decisioni di rimpatrio, nessuna di queste disposizioni prevede che gli Stati membri riconoscano, ai richiedenti protezione internazionale il cui ricorso di primo grado contro la decisione di rigetto della loro domanda e la decisione di rimpatrio sia stato respinto, il diritto di proporre appello né, a maggior ragione, che l’esercizio di un diritto siffatto si accompagni a un effetto sospensivo automatico.

29

Obblighi del genere non possono tanto meno essere dedotti dal sistema generale e dalla finalità di tali direttive. Infatti, l’obiettivo di tali direttive consiste, rispettivamente – come emerge dal considerando 5 della direttiva 2005/85 –, anzitutto nell’istituire un quadro minimo nell’Unione europea sulle procedure per il riconoscimento e la revoca dello status di rifugiato, nonché, conformemente ai considerando 2 e 4 della direttiva 2008/115, nel porre in essere un’efficace politica di allontanamento e di rimpatrio nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e della dignità delle persone interessate (v., con riferimento alla direttiva 2008/115, sentenza del 19 giugno 2018, Gnandi, C‑181/16, EU:C:2018:465, punto 48 e giurisprudenza ivi citata). Per contro, dai considerando di tali direttive non emerge affatto che esse siano volte a obbligare gli Stati membri a introdurre un secondo grado di giudizio.

30

Pertanto, pur non precludendo la possibilità che uno Stato membro preveda un secondo grado di giudizio per i ricorsi contro le decisioni di rigetto di una domanda di protezione internazionale e quelle di rimpatrio, le direttive 2005/85 e 2008/115 non contengono alcuna disposizione relativa all’introduzione e all’organizzazione di un tale grado di giudizio. In particolare, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 41 delle sue conclusioni, né dai termini, né dal sistema o dalla finalità di tali direttive emerge che, qualora uno Stato membro preveda un secondo grado di giudizio contro decisioni siffatte, il procedimento di appello da esso istituito debba necessariamente conferire effetto sospensivo automatico al ricorso proposto dal richiedente.

31

Ciò premesso, si deve sottolineare che l’interpretazione della direttiva 2008/115, al pari di quella della direttiva 2005/85, dev’essere compiuta, come emerge dal considerando 24 della prima e dal considerando 8 della seconda, nel rispetto dei diritti fondamentali e dei principi riconosciuti, segnatamente, dalla Carta (sentenza del 19 giugno 2018, Gnandi, C‑181/16, EU:C:2018:465, punto 51).

32

A tale riguardo, da giurisprudenza costante della Corte emerge che, qualora uno Stato membro decida di allontanare un richiedente protezione internazionale verso un paese in cui esistano seri motivi per ritenere che questi si trovi esposto al rischio reale di trattamenti contrari all’articolo 18 della Carta, in combinato disposto con l’articolo 33 della Convenzione relativa allo status dei rifugiati, come completata dal relativo protocollo, o all’articolo 19, paragrafo 2, della Carta, il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, previsto all’articolo 47 di quest’ultima, esige che il richiedente medesimo disponga di un ricorso con effetto sospensivo automatico contro l’esecuzione della misura che consente il suo rimpatrio (v., in tal senso, sentenza del 19 giugno 2018, Gnandi, C‑181/16, EU:C:2018:465, punto 54 e giurisprudenza ivi citata).

33

La Corte ha altresì precisato che, con riferimento a una decisione di rimpatrio e a un’eventuale decisione di allontanamento, la protezione insita nel diritto a un ricorso effettivo nonché nel principio di non respingimento dev’essere garantita riconoscendo al richiedente protezione internazionale il diritto a un ricorso effettivo che sia automaticamente sospensivo, quantomeno dinanzi a un’autorità giurisdizionale. Inoltre, spetta agli Stati membri garantire la piena efficacia del ricorso contro la decisione di rigetto della domanda di protezione internazionale, tramite la sospensione di tutti gli effetti della decisione di rimpatrio durante il termine previsto ai fini della proposizione del ricorso medesimo e, in caso di sua proposizione, sino alla relativa decisione (v., in tal senso, sentenza del 19 giugno 2018, Gnandi, C‑181/16, EU:C:2018:465, punti 56, 5861 e giurisprudenza ivi citata, nonché ordinanza del 5 luglio 2018, C e a., C‑269/18 PPU, EU:C:2018:544, punto 50).

34

Ciò detto, dalla giurisprudenza della Corte emerge che né l’articolo 39 della direttiva 2005/85 e l’articolo 13 della direttiva 2008/115, né l’articolo 47 della Carta, letto alla luce delle garanzie sancite dall’articolo 18 e dal successivo articolo 19, paragrafo 2, di quest’ultima, impongono l’esistenza di un doppio grado di giudizio. L’essenziale, infatti, è unicamente che sia possibile esperire un ricorso dinanzi a un’autorità giurisdizionale (v., in tal senso, sentenza del 28 luglio 2011, Samba Diouf, C‑69/10, EU:C:2011:524, punto 69, e del 19 giugno 2018, Gnandi, C‑181/16, EU:C:2018:465, punto 57).

35

A tale riguardo, si deve ancora ricordare che, giacché la Carta contiene diritti corrispondenti ai diritti garantiti dalla CEDU, l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta è inteso ad assicurare la necessaria coerenza tra i diritti contenuti nella Carta e i corrispondenti diritti garantiti dalla CEDU, senza che ciò pregiudichi l’autonomia del diritto dell’Unione e della Corte di giustizia dell’Unione europea (v., in tal senso, sentenze del 15 febbraio 2016, N., C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84, punto 47, nonché del 14 settembre 2017, K., C‑18/16, EU:C:2017:680, punto 50 e giurisprudenza ivi citata). Secondo le spiegazioni relative all’articolo 47 della Carta, il primo comma di detto articolo si fonda sull’articolo 13 della CEDU. La Corte deve, pertanto, sincerarsi che l’interpretazione da essa fornita all’articolo 47, primo comma, della Carta assicuri un livello di protezione che non conculchi quello garantito all’articolo 13 della CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (v., per analogia, sentenze del 15 febbraio 2016, N., C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84, punto 77, e del 20 marzo 2018, Menci, C‑524/15, EU:C:2018:197, punto 62).

36

Orbene, secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, anche a fronte di una censura vertente sul fatto che l’espulsione dell’interessato lo esporrà a un rischio concreto di subire un trattamento contrario all’articolo 3 della CEDU, l’articolo 13 della stessa non impone alle alte parti contraenti di istituire un secondo grado di giudizio, né di dotare, eventualmente, un procedimento d’appello di effetto sospensivo automatico (v., in tal senso, Corte EDU, 5 luglio 2016, A.M. c. Paesi Bassi, CE:ECHR:2016:0705JUD002909409, punto 70).

37

Ne consegue che la tutela conferita dall’articolo 39 della direttiva 2005/85 e dall’articolo 13 della direttiva 2008/115, letti alla luce dell’articolo 18 e dell’articolo 19, paragrafo 2, nonché dell’articolo 47 della Carta, a un richiedente protezione internazionale avverso una decisione che respinge la sua domanda e gli impone un obbligo di rimpatrio si limita all’esistenza di un solo mezzo di ricorso giurisdizionale.

38

A tale riguardo, si deve precisare che l’introduzione di un secondo grado di giudizio contro le decisioni di rigetto di una domanda di protezione internazionale e contro le decisioni di rimpatrio, e la scelta di dotarlo, se del caso, di effetto sospensivo automatico costituiscono, contrariamente all’argomento dedotto dal governo belga, esposto al punto 22 della presente sentenza, modalità procedurali che attuano il diritto ad un ricorso effettivo contro simili decisioni, diritto previsto all’articolo 39 della direttiva 2005/85 e all’articolo 13 della direttiva 2008/115. Sebbene tali modalità procedurali rientrino nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in forza del principio di autonomia processuale di questi ultimi, la Corte ha sottolineato che esse devono rispettare i principi di equivalenza e di effettività (v., per analogia, sentenza del 17 luglio 2014, Sánchez Morcillo e Abril García, C‑169/14, EU:C:2014:2099, punti 31, 3650, e giurisprudenza ivi citata, nonché ordinanza del 16 luglio 2015, Sánchez Morcillo e Abril García, C‑539/14, EU:C:2015:508, punto 33).

39

In tal senso, da giurisprudenza costante della Corte emerge che le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di diritto interno (principio di equivalenza), né devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) (v., in tal senso, sentenze del 5 giugno 2014, Kone e a., C‑557/12, EU:C:2014:1317, punto 25, e del 6 ottobre 2015, Târşia, C‑69/14, EU:C:2015:662, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).

40

Il rispetto degli obblighi derivanti dai principi di equivalenza e di effettività dev’essere esaminato tenendo conto del ruolo di dette norme nell’insieme del procedimento, dello svolgimento dello stesso e delle peculiarità di tali norme, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali (sentenze del 1o dicembre 1998, Levez, C‑326/96, EU:C:1998:577, punto 44, e del 27 giugno 2013, Agrokonsulting-04, C‑93/12, EU:C:2013:432, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).

41

Per quanto riguarda il principio di equivalenza, emerge dalla giurisprudenza della Corte che il suo rispetto richiede un pari trattamento dei ricorsi basati su una violazione del diritto nazionale e di quelli, analoghi, basati su una violazione del diritto dell’Unione, ma non l’equivalenza delle norme processuali nazionali applicabili a contenziosi aventi diversa natura (sentenza del 6 ottobre 2015, Târşia, C‑69/14, EU:C:2015:662, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).

42

Occorre quindi, da un lato, identificare le procedure o i ricorsi comparabili e, dall’altro, determinare se i ricorsi basati sul diritto interno siano trattati in modo più favorevole dei ricorsi aventi ad oggetto la tutela dei diritti conferiti ai singoli dal diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenze del 12 febbraio 2015, Baczó e Vizsnyiczai, C‑567/13, EU:C:2015:88, punto 45, e del 9 novembre 2017, Dimos Zagoriou, C‑217/16, EU:C:2017:841, punto 19).

43

Per quanto riguarda la comparabilità dei ricorsi, spetta al giudice nazionale, che dispone di una conoscenza diretta delle modalità processuali applicabili, verificare le somiglianze tra i ricorsi di cui trattasi quanto a oggetto, causa ed elementi essenziali (sentenze del 27 giugno 2013, Agrokonsulting-04, C‑93/12, EU:C:2013:432, punto 39, e del 9 novembre 2017, Dimos Zagoriou, C‑217/16, EU:C:2017:841, punto 20).

44

Con riferimento al trattamento simile dei ricorsi, occorre ricordare che ciascun caso in cui si pone la questione se una norma processuale nazionale concernente i ricorsi fondati sul diritto dell’Unione sia meno favorevole di quelle relative ai ricorsi analoghi di natura interna deve essere esaminato dal giudice nazionale tenendo conto del ruolo delle norme interessate nell’insieme del procedimento, dello svolgimento del procedimento medesimo e delle peculiarità di dette norme, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali (v., in tal senso, sentenza del 9 novembre 2017, Dimos Zagoriou, C‑217/16, EU:C:2017:841, punto 21).

45

Nel caso di specie, il giudice del rinvio indica nella propria decisione di rinvio che, in alcuni settori del diritto amministrativo diversi da quello della protezione internazionale, il diritto dei Paesi Bassi prevede che l’appello abbia effetto sospensivo automatico. Tuttavia, si deve notare come nessuna delle parti che hanno presentato osservazioni alla Corte abbia sollevato dubbi circa il rispetto del principio di equivalenza da parte della normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale. In ogni caso, il fascicolo a disposizione della Corte non contiene alcun elemento che consenta di valutare se gli appelli proposti in questi settori siano comparabili, quanto a oggetto, causa ed elementi essenziali, a quello discusso nel procedimento principale, o di esaminare se i primi appelli debbano essere considerati più favorevoli del secondo, tenuto conto degli elementi indicati al punto 44 della presente sentenza.

46

In tali circostanze, spetta al giudice del rinvio verificare il rispetto del principio di equivalenza, tenendo conto degli elementi di cui ai punti da 40 a 45 della presente sentenza (v., per analogia, sentenza del 9 novembre 2017, Dimos Zagoriou, C‑217/16, EU:C:2017:841, punto 24).

47

Per quanto riguarda il principio di effettività, si deve constatare che esso non determina, nel caso di specie, obblighi che vadano al di là di quelli derivanti dai diritti fondamentali, in particolare del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, garantiti dalla Carta. Orbene, dato che, come risulta dal punto 34 della presente sentenza, l’articolo 47 della Carta, letto alla luce delle garanzie contenute all’articolo 18 e all’articolo 19, paragrafo 2, della medesima, impone soltanto che un richiedente protezione internazionale, la cui domanda sia stata respinta e nei confronti del quale sia stata adottata una decisione di rimpatrio, possa far valere i suoi diritti in maniera effettiva dinanzi a un organo giurisdizionale, il mero fatto che un grado di giudizio aggiuntivo, previsto dal diritto nazionale, non abbia effetto sospensivo automatico non permette di ritenere che il principio di effettività sia stato violato.

48

Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alle questioni sollevate dichiarando che l’articolo 39 della direttiva 2005/85 e l’articolo 13 della direttiva 2008/115, letti alla luce dell’articolo 18 e dell’articolo 19, paragrafo 2, nonché dell’articolo 47 della Carta, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale la quale, pur prevedendo un appello contro le sentenze di primo grado confermative di decisioni che respingono domande di protezione internazionale e impongono un obbligo di rimpatrio, non dota tale mezzo di impugnazione di effetto sospensivo automatico, anche quando la persona interessata invochi un grave rischio di violazione del principio di non respingimento.

Sulle spese

49

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:

 

L’articolo 39 della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1o dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, e l’articolo 13 della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, letti alla luce dell’articolo 18 e dell’articolo 19, paragrafo 2, nonché dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale la quale, pur prevedendo un appello contro le sentenze di primo grado confermative di decisioni che respingono domande di protezione internazionale e impongono un obbligo di rimpatrio, non dota tale mezzo di impugnazione di effetto sospensivo automatico, anche quando la persona interessata invochi un grave rischio di violazione del principio di non respingimento.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: il neerlandese.