ISSN 1977-0944

doi:10.3000/19770944.C_2013.044.ita

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 44

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

56o anno
15 febbraio 2013


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

485a sessione plenaria dei giorni 12 e 13 dicembre 2012

2013/C 044/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Sviluppo di una strategia macroregionale per la regione del Mediterraneo — i vantaggi per gli Stati membri insulari (parere esplorativo richiesto dalla presidenza cipriota dell’UE)

1

2013/C 044/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Collegare le isole energetiche dell'UE: crescita, competitività, solidarietà e sostenibilità nel mercato interno dell'energia dell'Unione (parere esplorativo richiesto dalla presidenza cipriota)

9

2013/C 044/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Tendenze e ripercussioni dei futuri sviluppi nell’industria dei servizi sociali, sanitari e didattici alla persona nell’Unione europea (parere d’iniziativa)

16

2013/C 044/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il principio di partenariato nell’attuazione dei fondi del quadro strategico comune — elementi per un codice di condotta europeo sul partenariatoSWD(2012) 106 final (parere d’iniziativa)

23

2013/C 044/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Attuazione e monitoraggio della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità da parte delle istituzioni dell’UE, e ruolo del CESE al riguardo (parere d’iniziativa)

28

2013/C 044/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Anno europeo della salute mentale — per un lavoro e una qualità di vita migliori (parere d’iniziativa)

36

2013/C 044/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Agricoltura sociale: terapie verdi e politiche sociali e sanitarie (parere d’iniziativa)

44

2013/C 044/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La qualità dei servizi ferroviari nell’UE (parere d’iniziativa)

49

2013/C 044/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Aspetti problematici di una definizione dell’edilizia abitativa sociale come servizio d’interesse economico generale (parere d’iniziativa)

53

2013/C 044/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Una società civile emergente in Cina: il contributo della società civile all’Anno del dialogo interculturale UE-Cina e i suoi effetti duraturi

59

2013/C 044/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Rio+20: situazione attuale e prospettive future (supplemento di parere)

64

 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

485a sessione plenaria dei giorni 12 e 13 dicembre 2012

2013/C 044/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro di risanamento e di risoluzione delle crisi degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica le direttive del Consiglio 77/91/CEE e 82/891/CEE, le direttive 2001/24/CE, 2002/47/CE, 2004/25/CE, 2005/56/CE, 2007/36/CE e 2011/35/UE e il regolamento (UE) n. 1093/02010 — COM(2012) 280 final — 2012/0150 (COD)

68

2013/C 044/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta modificata di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante disposizioni comuni sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione, sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca compresi nel quadro strategico comune e disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo di coesione, e che abroga il regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio — COM(2012) 496 final — 2011/0276 (COD)

76

2013/C 044/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Relazione sulla politica di concorrenza 2011 — COM(2012) 253 final

83

2013/C 044/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Una strategia europea per le tecnologie abilitanti — Un ponte verso la crescita e l’occupazione — COM(2012) 341 final

88

2013/C 044/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla intermediazione assicurativa (rifusione) — COM(2012) 360 final — 2012/0175 (COD)

95

2013/C 044/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la sperimentazione clinica di medicinali per uso umano, e che abroga la direttiva 2001/20/CE — COM(2012) 369 final — 2012/0192 (COD)

99

2013/C 044/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla gestione collettiva dei diritti d’autore e dei diritti connessi e sulla concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali per l’uso online nel mercato interno — COM(2012) 372 final — 2012/0180 (COD)

104

2013/C 044/19

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 443/2009 al fine di definire le modalità di conseguimento dell’obiettivo 2020 di ridurre le emissioni di CO2 delle autovetture nuove — COM(2012) 393 final — 2012/0190 (COD) e alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 510/2011 al fine di definire le modalità di conseguimento dell’obiettivo del 2020 di ridurre le emissioni di CO2 dei nuovi veicoli commerciali leggeri — COM(2012) 394 final — 2012/0191 (COD)

109

2013/C 044/20

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni La strategia dell’UE per l’eradicazione della tratta degli esseri umani (2012-2016) — COM(2012) 286 final

115

2013/C 044/21

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio relativa al partenariato europeo per l’innovazione Produttività e sostenibilità dell’agricoltura — COM(2012) 79 final

119

2013/C 044/22

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1342/2008 del Consiglio, del 18 dicembre 2008, che istituisce un piano a lungo termine per gli stock di merluzzo bianco e le attività di pesca che sfruttano tali stock — COM(2012) 498 final

125

2013/C 044/23

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Pacchetto controlli tecnici contenente i seguenti tre documenti: Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai controlli tecnici periodici dei veicoli a motore e dei loro rimorchi e recante abrogazione della direttiva 2009/40/CE — COM(2012) 380 final — 2012/0184 (COD); Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 1999/37/CE del Consiglio relativa ai documenti di immatricolazione dei veicoli — COM(2012) 381 final — 2012/0185 (COD); Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai controlli tecnici su strada dei veicoli commerciali circolanti nell’Unione e che abroga la direttiva 2000/30/CE — COM(2012) 382 final — 2012/0186 (COD)

128

2013/C 044/24

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Energie rinnovabili: un ruolo di primo piano nel mercato energetico europeo — COM(2012) 271 final

133

2013/C 044/25

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sulle valutazioni complessive dei rischi e della sicurezza (prove di stress) delle centrali nucleari nell’Unione europea e attività collegate — COM(2012) 571 final

140

2013/C 044/26

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Partenariato europeo per l’innovazione relativo all’acqua — COM(2012) 216 final

147

2013/C 044/27

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea per gli investimenti Azione per la stabilità, la crescita e l’occupazione — COM(2012) 299 final

153

2013/C 044/28

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 2187/2005 del Consiglio relativo alla conservazione delle risorse della pesca attraverso misure tecniche nel Mar Baltico, nei Belt e nell’Øresund — COM(2012) 591 final — 2012/0285 (COD)

157

2013/C 044/29

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla modifica della proposta della Commissione COM(2011) 626 final/3 di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli (regolamento OCM unica) — COM(2012) 535 final — 2012/0281 (COD)

158

2013/C 044/30

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla modifica della proposta della Commissione COM(2011) 625 final/3 di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme sui pagamenti diretti agli agricoltori nell’ambito dei regimi di sostegno previsti dalla politica agricola comune — COM(2012) 552 final — 2011/0280 (COD)

159

2013/C 044/31

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla modifica della proposta della Commissione COM(2011) 627 final/3 di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) — COM(2012) 553 final — 2012/0282 (COD)

160

IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

485a sessione plenaria dei giorni 12 e 13 dicembre 2012

15.2.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Sviluppo di una strategia macroregionale per la regione del Mediterraneo — i vantaggi per gli Stati membri insulari» (parere esplorativo richiesto dalla presidenza cipriota dell’UE)

2013/C 44/01

Relatore: DIMITRIADIS

In data 22 maggio 2012 il viceministro cipriota per gli Affari europei Andreas D. MAVROYIANNIS, ha consultato, a nome della presidenza cipriota del Consiglio dell'UE, il Comitato economico e sociale europeo sul tema:

Sviluppo di una strategia macroregionale per la regione del Mediterraneo — I vantaggi per gli Stati membri insulari (parere esplorativo).

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 novembre 2012.

Alla sua 485a sessione plenaria, dei giorni 12 e 13 dicembre 2012 (seduta del 12 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 147 voti favorevoli, 1 voto contrario e 5 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che, nonostante la situazione particolarmente delicata e per il momento ancora confusa che regna nel Mediterraneo, esistano oggi i presupposti (1) per l'instaurarsi di un dialogo multilivello tra la Commissione europea, gli Stati membri, i paesi aderenti al partenariato euromediterraneo, gli enti regionali e locali, nonché la società civile organizzata, ai fini della creazione di una strategia per la macroregione del Mediterraneo (suddivisa in due unità), in grado di soddisfare le esigenze della regione rafforzandone la competitività a livello internazionale.

1.2

Il CESE riconosce che il bacino del Mediterraneo costituisce una regione particolarmente estesa, caratterizzata da situazioni diverse in termini economici, sociali, politici e culturali, e composta da paesi le cui strutture e infrastrutture sono anch'esse diverse (membri dell'UE, paesi terzi in via di adesione, paesi terzi aderenti al partenariato euromediterraneo); propone quindi di concepire due politiche subregionali (Mediterraneo orientale e occidentale) che cooperino in stretta interconnessione sia tra loro sia con la strategia macroregionale per l'Adriatico e lo Ionio.

1.3

Il CESE prende atto delle decisioni del Consiglio e del parere convergente espresso dal Parlamento europeo secondo cui una strategia macroregionale non deve richiedere né ulteriori fondi, né regolamentazioni aggiuntive, né nuovi organi di gestione (triplo rifiuto o «tre no»), ma giudica necessario il finanziamento dell'assistenza tecnica per la raccolta di dati e la promozione dei necessari progetti strutturali.

1.4

Il CESE ritiene che le risorse importanti già impegnate dall'UE per il finanziamento delle azioni e dei programmi a titolo dei fondi strutturali e gli strumenti finanziari della Banca europea per gli investimenti (BEI) costituiscano validi mezzi di finanziamento da utilizzare secondo criteri di trasparenza e di grande flessibilità. Sostiene inoltre la creazione di una banca euromediterranea per gli investimenti tramite la BEI e l'applicazione di una politica dei finanziamenti aperta da parte di diversi istituti finanziari (Kreditanstalt für Wiederaufbau (KFW), Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS), Banca mondiale, Banca africana di sviluppo e Banca islamica di sviluppo).

1.5

Il CESE ritiene prioritario consolidare la cooperazione subregionale favorendo le relazioni commerciali, turistiche e industriali tra i paesi del Mediterraneo meridionale.

1.6

Secondo il CESE, il Consiglio deve adottare le decisioni politiche necessarie per liquidare immediatamente le questioni ancora in sospeso, in modo tale che l'Unione per il Mediterraneo possa svolgere la funzione di organismo responsabile della pianificazione strategica e della realizzazione della nuova politica macroregionale.

1.7

Il CESE ritiene che l'adozione tempestiva della strategia per l'Adriatico e lo Ionio da parte del Consiglio (conclusioni del 24 giugno 2011) preparerà il terreno per l'introduzione della strategia macroregionale per il Mediterraneo.

1.8

Il CESE ritiene infine particolarmente importante, nell'ambito di qualunque nuova strategia concepita dall'UE, il ruolo di Cipro e Malta, ma anche di tutte le isole del Mediterraneo che si trovano in una situazione particolarmente difficile per mancanza di collegamenti e di comunicazione con gli Stati membri dell'UE continentale.

1.9

Il CESE rileva la grande importanza che riveste per il Mediterraneo in senso lato la promozione della produzione agricola.

1.10

Il CESE giudica necessario migliorare in generale i collegamenti marittimi e aerei dei paesi del Mediterraneo tra di loro e, in senso più ampio, con il resto dell'UE.

1.11

Con il presente parere, il CESE intende aprire il dialogo su questa nuova macrostrategia per il Mediterraneo e la consultazione sui suoi aspetti più importanti. Annuncia inoltre che continuerà a occuparsi di questa tematica particolarmente significativa in altri pareri successivi che esamineranno in modo più dettagliato e approfondito tutti gli aspetti descritti nel presente parere.

2.   Introduzione

2.1

La Repubblica di Cipro, all'atto di assumere la presidenza del Consiglio dell'UE per il secondo semestre 2012, ha posto come priorità l'elaborazione di un parere sul tema Strategia macroregionale per la regione del Mediterraneo, incentrato in particolare su come una tale strategia potrebbe avvantaggiare i piccoli paesi insulari.

2.2

La scelta di affidare al CESE l'elaborazione di questo parere è da attribuire al ruolo già svolto dal Comitato nell'elaborazione di pareri consultivi che esprimono e rappresentano le posizioni della società civile organizzata degli Stati membri, contribuendo così attivamente a rafforzare la democrazia partecipativa nell'UE.

2.3

La scelta del tema, invece, si colloca sulla scia del successo ottenuto nell'elaborazione di un approccio macrostrategico per la regione del Mar Baltico (2) - nonché delle macrostrategie per le regioni del Danubio e, più di recente, dell'Adriatico e dello Ionio e, infine, dell'Atlantico - dal momento che il Mediterraneo costituisce una regione con caratteristiche specifiche e quindi anche esigenze specifiche.

2.4

La strategia in questione dovrà puntare alla creazione di politiche connettive che aiutino i paesi della regione del Mediterraneo a rinsaldare le relazioni economiche e sociali, e a collaborare alla risoluzione dei problemi comuni consentendole di essere competitiva sul piano internazionale, prospera, sicura e sostenibile dal punto di vista ambientale. Una simile macrostrategia servirà inoltre a coordinare tutte le politiche, gli obiettivi e le azioni degli organi istituzionali dell'UE con gli Stati membri, le regioni, i consigli economici e sociali locali e chiunque si interessi alla regione del Mediterraneo - e in modo specifico ai suoi paesi insulari più piccoli e remoti.

2.5

Tramite questa strategia si dovrebbero inoltre risolvere i problemi prodotti dall'attuale crisi economica mondiale accelerando i ritmi di sviluppo, la creazione di prospettive occupazionali e la riduzione della disoccupazione.

2.6

A tal fine, il presente parere adotta la definizione della Commissione (3) secondo la quale per strategia macroregionale si intende una strategia che interessi un'area composta dai territori di diversi paesi o regioni accomunati da una o più caratteristiche, come lo spazio marittimo o di altro tipo, o che devono affrontare sfide analoghe, vale a dire problemi di sviluppo, cambiamenti climatici, scambi economici e culturali limitati, ecc. Si tratta di approcci che si avvalgono di strumenti, programmi e finanziamenti già esistenti per conseguire gli obiettivi specifici della macroregione e puntano a coinvolgere nella pianificazione fonti pubbliche e private in modo da coordinare le politiche più ampie con i finanziamenti disponibili (a livello europeo, nazionale o regionale). Tali strategie rendono inoltre possibile una convergenza delle risorse delle regioni e dei diversi Stati membri tramite l'applicazione di una governance coordinata e la creazione di un «vantaggio reciproco» per tutti i diretti interessati.

2.7

Tenuto conto dell'ambiente politico e sociale particolarmente fluido e in rapida evoluzione che contraddistingue attualmente i paesi del Mediterraneo meridionale all'indomani delle rivoluzioni, l'UE ha introdotto un nuovo approccio nei loro confronti che ha battezzato partenariato per la democrazia e la prosperità condivisa; esso premierà i paesi che portano avanti le riforme necessarie fissando obiettivi specifici e misurabili (4).

3.   Le sfide che deve affrontare il Mediterraneo

3.1

Va segnalato che, dato il numero di programmi e di iniziative già concepiti a favore sia del Mediterraneo allargato (partenariato euromediterraneo, anche noto come processo di Barcellona) sia di regioni più specifiche come lo Ionio e l'Adriatico (cooperazione territoriale nel Mediterraneo tramite la macroregione dell'Adriatico e dello Ionio), la nuova macrostrategia dovrà abbracciare tutti i paesi del Mediterraneo, vale a dire gli Stati membri dell'UE (Portogallo, Spagna, Francia, Italia, Grecia, Cipro, Slovenia, Malta) e i paesi terzi (Croazia, Montenegro, Albania, Turchia, Libano, Siria, Palestina, Giordania, Israele, Egitto, Libia, Algeria, Tunisia e Marocco).

3.2

Prima, però, di descrivere il quadro di obiettivi e di politiche, occorre individuare le sfide che la regione deve affrontare.

3.2.1

In primo luogo il Mediterraneo, soprattutto quello orientale, presenta una grande importanza storica e accoglie sulle sue sponde alcuni Stati membri dell'UE, ma anche paesi terzi che presentano stadi diversi di sviluppo. A motivo di questa coabitazione, dell'attività economica e dell'intenso traffico di merci, persone e imbarcazioni che ospita da secoli, la regione del Mediterraneo è caratterizzata da flussi significativi dal punto di vista commerciale, ma anche umano, mentre le relazioni economiche tra i paesi della regione restano particolarmente limitate; per fare un esempio, mancano collegamenti aerei e marittimi diretti tra i paesi del Mediterraneo orientale. Non è privo di fondamento pensare che la cooperazione euromediterranea si limiti purtroppo alle relazioni tra i paesi del Mediterraneo meridionale e l'UE o a relazioni bilaterali tra tali paesi e determinati Stati membri.

3.2.2

Secondariamente, a causa delle attuali disparità economiche, dei diversi livelli di sviluppo e di benessere raggiunti, ma anche delle frequenti tensioni che caratterizzano soprattutto questo momento storico, la circolazione delle persone ha assunto le dimensioni di un'emigrazione economica permanente (legale o illegale) (5) e ha ricadute negative sia sui paesi d'origine che su quelli di destinazione, con un aspetto particolarmente grave costituito dai movimenti di persone in cerca di asilo politico.

3.2.3

In terzo luogo, la regione del Mediterraneo resta un focolaio di instabilità politica e di conflitti armati, con gravi perdite di vite umane, distruzioni di beni e ricadute negative sugli scambi economici e commerciali e sull'ambiente. Inoltre, dopo lo scoppio delle rivoluzioni arabe, si avverte l'esigenza di mettere subito a punto una strategia per consolidare le relazioni economiche e sociali tra i paesi della regione mediante un'iniziativa dell'UE che venga strutturata tramite un dialogo democratico con i paesi, ma anche con la società civile (6), dimostrando che l'UE sostiene con forza i popoli del Mediterraneo meridionale (7).

3.2.4

Quarto, la regione è ricca di preziose materie prime, prime fra tutte le fonti energetiche localizzate nella più ampia regione del Medio Oriente e del Nord Africa. Un fatto significativo è la recente scoperta di nuove riserve di gas naturale, che dovrebbero rappresentare per l'UE una nuova fonte di approvvigionamento energetico più stabile. Occorre però garantire condizioni di sicurezza e migliorare i collegamenti marittimi, aerei, ecc. tra i paesi del Mediterraneo e il resto del mondo, con particolare attenzione per i trasporti marittimi commerciali, che costituiscono un'attività economica importante per la regione.

3.2.5

Quinto, uno sfruttamento ormai secolare della regione, l'intensa attività agricola, i recenti fenomeni di siccità ricorrente, la pesca eccessiva, ma anche l'alta densità del traffico marittimo hanno prodotto inquinamento, con conseguenze negative per la vita marina e le coste, nonché per l'attività turistica. La produzione agricola (8) diminuisce costantemente in termini di quantità e di qualità, le risorse del mare si sono gradualmente impoverite e si riscontra un calo nel livello delle catture.

3.2.6

Sesto, dal momento che una caratteristica comune a tutti i paesi del Mediterraneo è la grande importanza acquisita dall'industria turistica in quanto settore di occupazione e di sviluppo, la promozione della cooperazione a livello turistico tra i paesi della regione dovrà costituire un elemento basilare della strategia al fine di risolvere gravi problemi, in particolare il carattere stagionale di queste attività.

3.2.7

Settimo, si riscontrano un uso modesto delle tecnologie offerte da Internet, soprattutto sulla sponda meridionale del Mediterraneo, e una mancanza di iniziative di ricerca e di innovazione, settori questi indispensabili per l'economia moderna; anche i collegamenti tra i paesi del Mediterraneo restano molto limitati.

3.3

Va rilevato che le relazioni economiche, politiche e sociali tra i paesi del Nord Africa sono particolarmente arretrate, tanto che la cosiddetta cooperazione euromediterranea si limita nella sostanza a pochi paesi. Al tempo stesso, i programmi che l'UE ha realizzato in questa regione hanno riscosso un successo limitato a causa della mancanza di collaboratori locali capaci e della corruzione (9), ma anche di una errata valutazione e percezione degli usi, delle tradizioni e delle concezioni sociali locali. Il processo di Barcellona, avviato nel 1995, ha avuto esiti modesti, mentre il programma MEDA e l'Unione per il Mediterraneo non hanno finora ottenuto i risultati auspicati, non hanno cioè promosso adeguatamente la cooperazione dell'UE con i paesi del bacino del Mediterraneo.

4.   Obiettivi della macrostrategia per il Mediterraneo

4.1

Alla luce delle sfide appena delineate, la macrostrategia per il Mediterraneo dovrà avere i seguenti obiettivi:

4.1.1

conseguire uno sviluppo sostenibile, rafforzando al tempo stesso la competitività delle economie dei paesi situati in questa regione per far fronte all'attuale crisi economica mondiale, creare prospettive occupazionali e ridurre la disoccupazione;

4.1.2

rafforzare le relazioni tra i paesi del Mediterraneo e trasformarli in un ponte tra l'UE, il Medio Oriente e l'Africa allo scopo di consolidare le condizioni propizie alla pace, al benessere e alla coesione regionale;

4.1.3

elaborare una politica energetica ambiziosa che vada a beneficio sia dei paesi della regione che dell'UE - data la necessità per quest'ultima di assicurarsi fornitori di energia diversificati e di ridurre la sua dipendenza dalla Russia;

4.1.4

rafforzare la libera circolazione di merci, servizi, capitali e persone tra i paesi non appartenenti all'UE;

4.1.5

migliorare i collegamenti ai fini di un accesso rapido e senza ostacoli per merci, persone e servizi, con particolare attenzione per la circolazione in condizioni di sicurezza dei prodotti energetici;

4.1.6

promuovere il ruolo dei piccoli Stati insulari membri dell'UE nel Mediterraneo, vale a dire Cipro e Malta, affidando loro iniziative volte a rafforzare le relazioni con i partner mediterranei, soprattutto mediante il potenziamento delle connessioni online di tali paesi con il resto del mondo;

4.1.7

promuovere programmi che creino occupazione a vantaggio dei gruppi della popolazione che richiedono particolare attenzione (donne (10), giovani, persone con esigenze specifiche, ecc.).

4.2

La macrostrategia per il Mediterraneo (suddivisa in due strategie subregionali, una per il Mediterraneo orientale e l'altra per quello occidentale) deve puntare a trasformare la regione in uno spazio veramente all'avanguardia in termini di scambi commerciali, turismo, cultura, idee, innovazione, ricerca e istruzione, convertendola in una regione di pace per raggiungere lo sviluppo e la prosperità sociale.

5.   Approccio strategico per la macroregione del Mediterraneo

5.1

La precedente analisi può servire a definire i principali elementi della strategia da suddividere tra i sei pilastri che seguono, compatibili con la strategia Europa 2020 (11):

5.1.1

Primo pilastro: cooperazione e crescita economica combinate con gli obiettivi della sostenibilità, tramite interventi significativi nel campo dell'economia, come:

definizione, nel quadro della politica agricola comune, di una strategia a lungo termine per un'attività agricola sostenibile fondata su formazione, tecnologia, innovazione e ricerca;

attuazione di iniziative per lo sviluppo dell'acquacoltura;

sostegno alle PMI, che costituiscono la struttura portante delle attività economiche locali;

liberalizzazione degli scambi tra i paesi della regione;

eradicazione della corruzione, che distrugge le strutture economiche e sociali e riduce la competitività;

promozione dello sviluppo turistico e culturale, con particolare attenzione per la cooperazione transnazionale, l'attrazione di investimenti stranieri, lo sviluppo del turismo di crociera verso destinazioni molteplici, la valorizzazione del patrimonio culturale e delle coste tramite l'attribuzione della bandiera di qualità.

5.1.2

Secondo pilastro: tutela dell'ambiente e lotta contro i cambiamenti climatici, vale a dire:

tutela delle risorse marine e sottomarine grazie a un rinnovamento degli stock ittici e il ridimensionamento dei problemi derivanti dai cambiamenti climatici che si profilano;

adozione di ulteriori misure a tutela delle coste;

rafforzamento della cooperazione tra i paesi della regione ai fini della tutela e dell'equa distribuzione delle risorse idriche limitate;

applicazione dei principi della sostenibilità nei trasporti via mare ricorrendo a nuove tecnologie di propulsione delle navi al fine di ridurre i costi operativi e le emissioni di CO2.

5.1.3

Terzo pilastro: i trasporti; occorre infatti garantire collegamenti aerei e marittimi e la circolazione delle merci e delle persone in condizioni di sicurezza, con i seguenti obiettivi:

potenziamento e valorizzazione della navigazione commerciale grazie alla collaborazione tra i paesi del Mediterraneo e la garanzia di condizioni di sicurezza per le rotte marittime, costiere e aeree internazionali;

rafforzamento dei collegamenti aerei e marittimi dei paesi sia all'interno delle singole regioni che tra il Mediterraneo orientale e quello occidentale, nonché con il resto dell'UE.

sviluppo di nuovi corridoi marittimi o potenziamento di quelli esistenti, soprattutto per garantire collegamenti sicuri e competitivi per gli Stati membri insulari.

5.1.4

Quarto pilastro: cooperazione energetica  (12) per quanto riguarda gli idrocarburi, il gas naturale, le fonti energetiche rinnovabili e il trasporto sicuro dai paesi produttori verso l'UE e altre destinazioni. L'obiettivo a lunga scadenza di creare una Comunità dell'energia UE-Mediterraneo meridionale costituisce un progetto molto audace, ma comunque necessario. A tal fine occorre predisporre una politica energetica multilivello per il Mediterraneo intesa a:

sfruttare le nuove fonti di gas naturale scoperte e le fonti rinnovabili come quella solare ed eolica;

individuare e sfruttare nuove fonti di gas naturale;

sviluppare fonti energetiche rinnovabili tramite iniziative regionali come il Piano solare mediterraneo, Dii – Renewable Energy Bridging Continents, Medgrid, ecc.;

coinvolgere il Mediterraneo meridionale nel mercato interno dell'energia dell'UE.

5.1.5

Quinto pilastro: innovazione e competitività. La strategia dovrà sfruttare le occasioni offerte dalle iniziative europee già avviate nei settori della ricerca e dell'innovazione per accrescere la competitività contribuendo, al tempo stesso, al benessere delle popolazione dei paesi dell'intero bacino mediterraneo tramite i seguenti elementi:

promozione della riforma dell'istruzione e adeguamento dei sistemi scolastici alle esigenze di sviluppo del momento, grazie a politiche di formazione e di riqualificazione della forza lavoro;

cooperazione più stretta in materia di ricerca e tecnologie tra le università, le imprese e gli istituti di ricerca;

promozione dei programmi di scambio per i ricercatori e gli studenti (Erasmus, Leonardo, ecc.);

rafforzamento della cooperazione tra i paesi allo scopo di migliorare i collegamenti via Internet e l'accesso alla rete.

5.1.6

Sesto pilastro: migrazione e mobilità (13), con l'obiettivo di promuovere la legalità e la buona gestione del processo di migrazione, rispettare la legislazione internazionale in materia di asilo, limitare il fenomeno della clandestinità, lottare contro le reti criminali impegnate nella tratta di esseri umani e tutelare i diritti umani nel quadro dei controlli delle frontiere:

rafforzamento della collaborazione per il controllo della migrazione e della mobilità tra i paesi d'origine, di transito e di accoglienza (questi ultimi sono spesso membri dell'UE);

miglioramento della circolazione, libertà di transito ed elaborazione di una nuova politica globale di asilo dell'UE fondata:

sulle priorità del sistema europeo comune di asilo;

sul perfezionamento della cooperazione di polizia per la prevenzione e la lotta alla criminalità transfrontaliera.

6.   Presupposti necessari per conseguire gli obiettivi della macrostrategia di sviluppo per il Mediterraneo

6.1

La macrostrategia per il Mediterraneo (suddivisa in due strategie subregionali) deve inserirsi nel quadro della strategia Europa 2020, dei programmi esistenti e dei meccanismi di agevolazione finanziaria dell'UE (14), e ricorrere a iniziative europee come il programma Interact per la fornitura di assistenza tecnica e formazione (15). Andrà però creata una nuova struttura per gestire e agevolare il funzionamento delle istituzioni. La strategia macroregionale dovrà far nascere nuovi approcci che costituiscano un vantaggio per i paesi coinvolti, con la prospettiva di misure pratiche e di politiche da poter applicare con successo.

6.2

La strategia per il Mediterraneo (orientale e occidentale) dovrà essere tracciata con l'ausilio di tutti gli strumenti esistenti e tener conto degli aspetti dell'approccio mediterraneo che riguardano le relazioni esterne. Dovrà essere incentrata su un coordinamento più efficace tra le azioni e le politiche della Commissione europea, da un lato, e degli Stati membri, delle regioni, degli enti locali e di altri organismi interessati, dall'altro, se si vuole che dia buoni risultati.

6.3

Al vertice di Parigi per il Mediterraneo del 2008, l'UE, riconoscendo il ruolo particolarmente significativo del Mediterraneo, ha deciso di migliorare la cooperazione nell'immediato creando un meccanismo permanente denominato Unione per il Mediterraneo  (16). A tale meccanismo, che è stato istituito a Barcellona e ha suscitato grandi aspettative, sono stati affidati progetti specifici in materia di inquinamento marino, sicurezza dei mari ed energia, nonché lo sviluppo di relazioni economiche tra tutti i partner euromediterranei. Purtroppo l'Unione per il Mediterraneo ha mostrato finora risultati particolarmente deludenti.

6.4

Dal momento che le macroregioni non presentano confini ben definiti, le questioni che esse sceglieranno di promuovere dovranno privilegiare le sfide riconosciute di comune accordo e i punti comuni che ne consentono la risoluzione, ed essere collegate anche con altre strategie macroregionali individuate dall'UE, mettendo in opera una combinazione ben definita di politiche e di azioni selezionate dai paesi partecipanti.

7.   Misure necessarie per realizzare la nuova strategia

7.1

Nel contesto definito in precedenza, l'approccio della strategia macroregionale per il Mediterraneo dovrebbe comprendere più in particolare le misure che seguono.

7.1.1

Va creato un meccanismo appropriato di coordinamento-gestione per la realizzazione della strategia macroregionale che sia in grado di coordinare il gran numero di organismi europei e di enti locali coinvolti. Si propone di conseguenza di:

affidare alla Commissione (e più precisamente alla DG REGIO, in collaborazione con il Servizio europeo per l'azione esterna) il coordinamento delle azioni della strategia macroregionale perché questa costituisca una politica ufficiale dell'UE;

creare due macrostrategie subregionali per il Mar Mediterraneo, una per il Mediterraneo orientale e l'altra per quello occidentale, a causa delle loro caratteristiche peculiari sul piano economico, sociale, geografico e culturale. Assieme alla strategia per l'Adriatico e lo Ionio, le due strategie subregionali copriranno l'intero bacino del Mediterraneo;

si propone inoltre di prendere come modello di lavoro le strutture utilizzate nella strategia per l'Atlantico (DG MARE), vale a dire:

1.

su iniziativa della DG REGIO, creare due Forum per il Mediterraneo (orientale e occidentale) che riferiranno in merito alla situazione attuale di ciascuna regione e proporranno programmi d'azione. Questi forum saranno composti da rappresentanti delle istituzioni europee (Commissione europea, Parlamento europeo, CESE, CdR), dei paesi del Mediterraneo, degli enti regionali e locali e della società civile organizzata;

2.

i forum saranno coadiuvati da due comitati direttivi (Steering Committee);

3.

le proposte finali dei due forum saranno valutate dalla Commissione e dai i governi.

7.1.2

Occorre dare applicazione alla politica dell'UE in materia di buon vicinato: l'approccio adottato finora per le strategie macroregionali si limitava all'applicazione delle politiche interne dell'UE. Per una sua riuscita, però, l'adozione di una simile strategia nel bacino del Mediterraneo che accoglie numerosi paesi non appartenenti all'UE richiede anche l'applicazione di aspetti esterni della politica internazionale, con particolare attenzione per le politiche di buon vicinato dell'UE.

7.1.3

Vanno concepite politiche volte a:

7.1.3.1

fornire istruzione e formazione alle risorse umane;

7.1.3.2

rafforzare le comunicazioni via Internet ed elettroniche, e migliorare costantemente i servizi online offerti dall'e-government;

7.1.3.3

effettuare una programmazione congiunta della ricerca e dell'innovazione ai fini dello sviluppo sostenibile e della formazione professionale;

7.1.3.4

garantire il libero transito via mare e la libera circolazione di merci, persone ed energia applicando una politica dei trasporti sicuri ed economici, tracciando nuove rotte marittime e migliorando i trasporti marittimi commerciali;

7.1.3.5

rendere più efficaci i collegamenti marittimi e aerei tra tutte le regioni del Mediterraneo e con il resto del mondo;

7.1.3.6

ampliare le relazioni commerciali e politiche tramite ad esempio la creazione di zone di libero scambio sulla base degli accordi euromediterranei vigenti, l'eliminazione dei dazi all'importazione e iniziative coordinate, come la convergenza regolamentare;

7.1.3.7

adottare misure nei settori della concorrenza, degli appalti pubblici, della protezione degli investimenti e delle questioni di sicurezza sanitaria e fitosanitaria.

7.1.4

Le attività di cooperazione transfrontaliera e interregionale possono essere finanziate con le risorse esistenti (17), vale a dire i fondi strutturali dell'UE, i contributi degli Stati membri e di altri paesi donatori (ad es. Norvegia e Svizzera), la Banca europea per gli investimenti (BEI) (18) tramite il Fondo euromediterraneo di investimenti e partenariato (FEMIP) (19), il ricorso alla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS), e le dotazioni del bilancio UE a favore dell'Unione per il Mediterraneo, con l'eventuale partecipazione di autorità, enti privati e ONG locali.

7.1.5

La nuova strategia macroregionale va coordinata in modo efficace con altre politiche dell'UE, come la strategia Europa 2020, la politica di coesione, la nuova politica comune per l'agricoltura e la pesca, il meccanismo per collegare l'Europa e le reti transeuropee dei trasporti, delle telecomunicazioni e dell'energia, il programma Orizzonte 2020, l'Agenda digitale, il programma COSME e soprattutto la politica marittima integrata, nonché la politica a favore del sistema europeo comune di asilo (20).

8.   Il ruolo delle isole nella nuova strategia macroregionale

8.1

È un fatto innegabile che finora, a livello dell'UE, non sia stata concepita una strategia globale e consolidata che tenga sufficientemente in conto gli Stati membri insulari dell'UE, vale a dire Cipro e Malta, che devono affrontare problemi di trasporto e di energia. Le carenze in termini di accessibilità non consentono di completare il mercato unico.

8.2

Una nuova strategia macroregionale per il Mediterraneo definirà con estrema precisione le modalità di collegamento di Cipro e Malta e creerà condizioni propizie all'utilizzo delle risorse europee.

8.3

Cipro (Mediterraneo orientale) e Malta (Mediterraneo occidentale) possono svolgere un ruolo concreto nella messa a punto e nella gestione della nuova strategia macroregionale in quanto sedi degli organi di gestione che saranno istituiti o trasferiti nella regione.

9.   Ruolo potenziale del CESE nella nuova strategia per la regione del Mediterraneo

9.1

Il CESE, in collaborazione con i consigli economici e sociali dei paesi del Mediterraneo e le istituzioni analoghe dei paesi del Nord Africa (ove questi esistano), nonché con organizzazioni rappresentative della società civile, ha deciso di organizzare un'Assemblea euromediterranea dei consigli economici e sociali che dovrebbe essere convocata entro breve.

9.2

Il CESE dispone dell'esperienza e delle conoscenze per partecipare ai forum per il Mediterraneo, quando questi verranno istituiti.

9.3

Il CESE intende continuare ad elaborare pareri specializzati in grado di approfondire la tematica della strategia macroregionale per il Mediterraneo.

Bruxelles, 12 dicembre 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Relazione del Parlamento europeo del 27 giugno 2012 sulla Evoluzione delle strategie macroregionali dell'UE: pratiche attuali e prospettive future, in particolare nel Mediterraneo, commissione per lo Sviluppo regionale, relatore: François Alfonsi (A7-0219/2012).

Risoluzione del Parlamento europeo del 3 luglio 2012 sulla Evoluzione delle strategie macroregionali dell'UE: pratiche attuali e prospettive future, in particolare nel Mediterraneo (2011/2179(INI)).

(2)  Parere CESE sul tema Cooperazione macroregionale - Estendere la strategia per il Mar Baltico ad altre macroregioni europee GU C 318 del 23.12.2009, pag. 6.

Parere CESE in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni relativa alla strategia dell'Unione europea per la regione del Mar Baltico COM(2009) 248 final, GU C 339 del 14.12.2010, pag. 29.

(3)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni relativa alla strategia dell'Unione europea per la regione del Mar Baltico, CΟΜ(2009) 248 final, GU C 339 del 14.12.2010, pag. 29.

(4)  Comunicazione congiunta al Consiglio europeo, al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Un partenariato per la democrazia e la prosperità condivisa con il Mediterraneo meridionale, COM(2011) 200 final, 8 marzo 2011.

(5)  Parere CESE in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Comunicazione sulla migrazione, COM(2011) 248 final, GU C 248 del 25.8.2011, pag. 135.

(6)  Parere CESE sul tema Promuovere la rappresentatività delle società civili nella regione euromediterranea, GU C 376 del 22.12.2011, pag. 32.

Parere CESE sul tema La regione del Mar Baltico: il ruolo della società civile organizzata nel rafforzamento della cooperazione regionale e nella definizione di una strategia regionale, GU C 277 del 17.11.2009, pag. 42.

(7)  Parere CESE in merito alla Comunicazione congiunta al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Una risposta nuova ad un vicinato in mutamento, GU C 43 del 15.2.2012, pag. 89.

Parere CESE sul tema Il ruolo dell'UE nella costruzione della pace nel contesto delle sue relazioni esterne: buone pratiche e prospettive, GU C 68 del 6.3.2012, pag. 21.

(8)  Parere CESE sul tema L'agricoltura nel partenariato Euromed (compresa l'importanza del lavoro delle donne nel settore agricolo e il ruolo delle cooperative), GU C 347 del 18.12.2010, pag. 41.

(9)  Parere CESE sul tema Il ruolo delle parti economiche e sociali nella lotta alla corruzione nella regione euromediterranea, GU C 351 del 15.11.2012, pag. 27.

(10)  Parere CESE sul tema Promozione dell'imprenditorialità femminile nella regione euromediterranea, GU C 256 del 27.10.2007, pag. 144.

(11)  http://eeas.europa.eu/euromed/index_en.htm

(12)  Parere CESE sul tema La promozione delle energie rinnovabili e la politica europea di vicinato: il caso della regione euromediterranea, GU C 376 del 22.12.2011, pag. 1.

Parere CESE sul tema La dimensione esterna della politica energetica europea, GU C 182 del 4.8.2009, pag. 8.

(13)  Parere CESE in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni L'approccio globale in materia di migrazione e mobilità, COM(2011) 743 final, GU C 191 del 29.6.2012, pag. 134.

Parere CESE in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce, nell'ambito del Fondo Sicurezza interna, lo strumento di sostegno finanziario per le frontiere esterne e i visti, COM(2011) 750 final – 2011/0365 (COD), alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il Fondo Asilo e migrazione COM(2011) 751 final – 2011/0366 (COD), alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante disposizioni generali sul Fondo Asilo e migrazione e sullo strumento di sostegno finanziario per la cooperazione di polizia, la prevenzione e la lotta alla criminalità e la gestione delle crisi COM(2011) 752 final – 2011/0367 (COD) e alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce, nell'ambito del Fondo Sicurezza interna, lo strumento di sostegno finanziario per la cooperazione di polizia, la prevenzione e la lotta alla criminalità e la gestione delle crisi COM(2011) 753 final – 2011/0368 (COD), GU C 299 del 4.10.2012, pag. 108.

(14)  Regolamento (CE) n. 1638/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 2006, recante disposizioni generali che istituiscono uno strumento europeo di vicinato e partenariato, GU L 310 del 9.11.2006, pag. 1.

(15)  

http://www.interact-eu.net/about_us/about_interact/22/2911

http://www.interact-eu.net/ipvalencia/ipvalencia/117/619 (riguarda in modo specifico l'Antenna per il Mediterraneo di Valencia, Spagna).

(16)  http://eeas.europa.eu/euromed/index_en.htm

(17)  Per il periodo fino a fine 2013 sono disponibili circa 4 miliardi a favore dei paesi vicini meridionali nel quadro dello strumento europeo di vicinato e partenariato.

(18)  http://www.eib.europa.eu/projects/regions/med/index.htm?lang.en

(19)  http://www.eib.europa.eu/infocentre/publications/all/femip-2011-annual-report.htm

(20)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Piano strategico sull'asilo - un approccio integrato in materia di protezione nell'Unione europea, COM(2008) 360 final.


15.2.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/9


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Collegare le isole energetiche dell'UE: crescita, competitività, solidarietà e sostenibilità nel mercato interno dell'energia dell'Unione» (parere esplorativo richiesto dalla presidenza cipriota)

2013/C 44/02

Relatore: COULON

La presidenza cipriota dell'UE, in data 18 luglio 2012, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema:

Collegare le isole energetiche dell'UE: crescita, competitività, solidarietà e sostenibilità nel mercato interno dell'energia dell'Unione (parere esplorativo richiesto dalla presidenza cipriota)

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 novembre 2012.

Alla sua 485a sessione plenaria, dei giorni 12 e 13 dicembre 2012 (seduta del 13 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 159 voti favorevoli, 5 voti contrari e 13 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

L'insularità energetica in senso lato penalizza i paesi e le regioni europee colpiti da questo problema sotto il profilo sia economico sia sociale e ambientale, dato che sono spesso fortemente dipendenti dalle energie fossili importate, e comporta notevoli variazioni dei prezzi che contribuiscono a creare disparità in termini di solidarietà e di sviluppo omogeneo dei territori europei.

1.2

Il CESE condivide l'obiettivo di eliminare il fenomeno dell'insularità energetica, stabilito dal Consiglio europeo nel febbraio 2011. Per realizzare tale obiettivo, sostiene in particolare le iniziative che permettono di rafforzare le interconnessioni energetiche tra gli Stati dell'Unione, incentrandole su una serie di assi prioritari. L'interconnessione delle isole energetiche con le reti di paesi terzi può essere considerata prioritaria qualora questa opzione risulti la più adeguata per rendere sicuri e diversificare i loro approvvigionamenti energetici.

1.3

Non tutti gli Stati membri interessati dal fenomeno dell'insularità energetica si trovano nella stessa situazione per quanto riguarda la produzione di energia o le possibilità di importarla. Oltre allo sviluppo delle interconnessioni, necessario per l'insieme delle isole energetiche ma anche per gli altri Stati membri dell'UE, occorre che le soluzioni basate sulle energie locali siano adattate a ciascun caso specifico.

1.4

Per quanto riguarda più in particolare gli Stati baltici e i paesi dell'Europa centrale e orientale, il CESE auspica che vengano eliminate le divergenze esistenti tra Russia e Unione europea nell'interpretazione dei principi relativi ai mercati energetici e all'approvvigionamento di energia, e che ciò trovi riscontro negli accordi internazionali, quali ad esempio un nuovo accordo di partenariato e di cooperazione particolarmente incentrato sull'energia (cfr. risoluzione del Parlamento europeo del 12 settembre 2012 sulla Relazione annuale del Consiglio al Parlamento europeo sulla politica estera e di sicurezza comune (12562/2011 – 2012/2050(INI)).

1.5

Il CESE auspica inoltre che la comunità dell'energia dell'Europa sudorientale comprenda una dimensione relativa alla concertazione e all'integrazione verso l'esterno, oltre a una nuova dimensione «azione della società civile organizzata».

1.6

Alcuni Stati o regioni insulari d'Europa si trovano chiaramente in una situazione particolare. Per la sua posizione geostrategica, la Repubblica di Cipro potrebbe divenire un vero e proprio hub energetico, non solo per le energie rinnovabili ma anche per i flussi del gas. Nelle isole occorre in generale sviluppare la produzione endogena di energia. Da questo punto di vista, le isole potrebbero fungere da banchi di prova (test-beds) privilegiati per dimostrare e convalidare nuove tecnologie energetiche. Dei criteri di valutazione che tengano conto delle loro necessità e caratteristiche specifiche potrebbero essere applicati al momento della concessione di finanziamenti europei a favore di progetti di sviluppo e attività dimostrative. Questo sforzo collettivo potrebbe contribuire a correggere i loro svantaggi a livello energetico dovuti al fatto che esse sono insufficientemente collegate con il resto d'Europa.

1.7

Il CESE raccomanda di incoraggiare simultaneamente il rafforzamento delle interconnessioni, lo sviluppo delle energie rinnovabili endogene e l'adozione di misure di efficienza energetica e di ottimizzazione della domanda di energia. I criteri di valutazione applicati ai programmi dell'UE in questi ambiti dovrebbero tenere conto dell'obiettivo di riduzione dell'insularità energetica, in particolare nella selezione dei progetti di infrastrutture energetiche di interesse comune.

1.8

In tutti i casi, se l'UE - di concerto con gli Stati membri, gli imprenditori industriali e la società civile dei territori interessati - non adotterà in tempi rapidi iniziative volte a porre progressivamente fine all'insularità energetica, diverrà molto più difficile garantire la completa realizzazione degli obiettivi della strategia Europa 2020 e trarre pienamente vantaggio dagli sforzi comuni già compiuti a favore della crescita e della competitività dell'UE.

1.9

Il CESE ritiene che, in questo scenario, la povertà energetica non possa più essere considerata come un problema unicamente nazionale, o addirittura locale, di competenza esclusiva della politica sociale. Poiché una parte delle principali cause di questa povertà è da ricercare al di là dei confini nazionali, il CESE auspica un intervento della politica energetica dell'UE nei confronti dei grandi squilibri che alimentano tale fenomeno. Le misure politiche concrete, pertanto, dovrebbero essere ormai valutate alla luce delle loro conseguenze previste sui fattori suscettibili di aggravare o alleviare la povertà energetica.

1.10

Il CESE ritiene che l'esistenza di isole energetiche abbia un costo per la collettività. Tale costo deve essere valutato, e le soluzioni per ridurlo devono inquadrarsi in un approccio globale: è opportuno completare la politica europea dell'energia fornendole strumenti di intervento adeguati sia al livello di interdipendenza degli Stati membri sia alle difficoltà che essi incontrano. Per comprendere appieno l'impatto di tale fenomeno, il CESE auspica che la Commissione europea realizzi uno studio completo sul «costo della non Europa dell'energia» derivante dall'esistenza delle isole energetiche.

1.11

Il CESE raccomanda di effettuare una valutazione trasparente, globale e precisa dei costi, compresi quelli esterni, delle energie fossili, nonché delle energie rinnovabili, compresi i costi indiretti legati al potenziamento della rete, alla capacità di back-up e al sostegno necessario alle tecnologie verdi. Questa valutazione è indispensabile per orientare nel migliore dei modi le scelte in materia di investimenti e di decisioni politiche, specialmente in previsione di un consistente sviluppo della produzione di energia rinnovabile in alcune isole energetiche, da esportare negli Stati dell'Unione europea o nei paesi terzi.

2.   Introduzione: insularità multiple di tipo geografico e politico

2.1

La richiesta della presidenza cipriota è un ulteriore esempio della necessità di europeizzare la politica energetica e creare una Comunità europea dell'energia, come auspicato dal CESE (1). Quest'ultima presuppone infatti una coesione territoriale rafforzata e una visione omogenea dello sviluppo dei territori europei. L'obiettivo di collegare in modo più stretto le isole energetiche dell'UE tiene anche conto degli orientamenti concreti per migliorare la cooperazione nel settore dell'energia che il CESE aveva raccomandato di adottare nel parere Coinvolgere la società civile nella creazione di una futura comunità europea dell'energia  (2), del gennaio 2012.

2.2

Nel contesto della consultazione della presidenza cipriota e delle discussioni a livello europeo (cfr. in particolare il punto 5 delle conclusioni del Consiglio europeo del 4 febbraio 2011, EUCO 2/1/11 rev. 1), i termini insularità energetica e isola energetica indicano, nel presente parere, un territorio insulare o continentale privo o scarsamente dotato di fonti energetiche endogene, insufficientemente collegato alle reti di trasporto dell'energia e, quindi, spesso dipendente da un'unica fonte esterna o da un unico fornitore di energia esterno. La diversità dei bilanci energetici degli Stati membri rivela quindi l'esistenza di alcune importanti fratture tra di essi. Il concetto di «isola energetica» è quindi al tempo stesso tecnico e (geo)politico (dipendenza da un fornitore unico).

2.3

Tra gli elementi da prendere in considerazione figurano in particolare la mancanza di interconnessioni, la dipendenza da una sola fonte di energia e/o da un solo fornitore, la lontananza dai luoghi di produzione/assi di trasporto dell'energia, il costo degli investimenti rispetto alle dimensioni del mercato, la difficoltà di modificare le rigide tendenze delle politiche energetiche nazionali, le specificità geografiche/climatiche.

2.4

Stando alla definizione di Eurostat, nell'Unione europea vi sono diverse centinaia di isole, di dimensioni e status differenti. Oltre a quattro Stati membri (Cipro, Irlanda, Malta e Regno Unito), vi sono più di 286 isole abitate in Europa, per un totale di oltre 10 milioni di abitanti: le isole del Mare del Nord e del Mar Baltico, le regioni ultraperiferiche (RUP) di tre Stati membri (Canarie per la Spagna, Madeira e Azzorre per il Portogallo, Riunione, Mayotte, Guyana, Martinica, Guadalupa e Saint-Martin per la Francia). Il presente parere non tiene tuttavia conto individualmente delle diverse isole appartenenti agli Stati membri, comprese le RUP.

2.5

Esiste anche un tipo di insularità energetica legata essenzialmente alla storia del XX secolo. La penisola iberica è ancora una penisola energetica, dato che il regime franchista e quello salazarista avevano privilegiato l'autarchia nella maggior parte delle politiche di rete: trasporti, soprattutto ferroviari, ed elettricità, con pochissimi collegamenti esterni, soprattutto con il resto del continente europeo attraverso la Francia. Questa situazione non ha potuto essere regolamentata negli ultimi venti anni per via delle numerose opposizioni locali ai diversi progetti di rafforzamento delle reti che attraversano i Pirenei. Il problema è tuttavia in fase di risoluzione: un nuovo collegamento elettrico a corrente continua permetterà tra breve un maggior numero di scambi con il Mediterraneo sudoccidentale. Tuttavia, al di là del rafforzamento dell'interconnessione elettrica Francia-Spagna (che nel 2014 vedrà aumentare le capacità di transito da 1 400 a 2 800 MW), nei prossimi anni sarà molto probabilmente necessario prevedere altri assi di scambio di energia tra la penisola iberica e il resto del continente europeo. Occorre sostenere l'obiettivo di disporre, entro il 2020, di 4 000 MW di capacità di scambio, in particolare attraverso una nuova interconnessione elettrica sul versante atlantico. Questa misura va inserita nell'elenco dei progetti di interesse comune che verrà definito nel quadro del regolamento sugli orientamenti per la rete transeuropea di infrastrutture.

2.6

Anche gli Stati baltici (Lituania, Lettonia, Estonia) costituiscono delle isole energetiche in seno all'UE, dato che le loro reti dipendono unicamente dall'ex partner «esclusivo»: la Russia (o, in misura minore, la Bielorussia). Si tratta quindi di una priorità in termini di integrazione energetica europea: in effetti è paradossale che i tre Stati baltici siano parte integrante dell'unione politica senza poter ancora beneficiare dei vantaggi dell'integrazione e della solidarietà intraeuropea in materia di energia. Come si può accettare che questi Stati dipendano da un paese terzo, peraltro ormai membro dell'OMC, che non rispetta gli standard europei in materia di accesso alle reti, non ha aderito alla Carta dell'energia e non favorisce il rafforzamento delle interconnessioni con i paesi dell'Europa centrale e orientale (PECO)? Il CESE auspica quindi una riduzione delle disparità esistenti tra il mercato dell'energia russo e quello europeo, unitamente a un nuovo accordo di partenariato e di cooperazione ambizioso e globale, che comprenda un capitolo specifico dedicato alla cooperazione energetica (cfr. risoluzione del Parlamento europeo del 12 settembre 2012 sulla Relazione annuale del Consiglio al Parlamento europeo sulla politica estera e di sicurezza comune (12562/2011 – 2012/2050(INI)).

2.7

L'Europa sudorientale (Balcani) è una regione di transito, e i progressi compiuti da alcuni Stati in vista della loro adesione all'UE (Croazia, ma anche Serbia, Montenegro, ERIM, ecc.) richiedono ulteriori sviluppi soprattutto in relazione agli Stati vicini membri dell'UE (Romania, Bulgaria, Grecia, Slovenia, Austria e, ben presto, Croazia). La creazione di una comunità dell'energia in questa regione testimonia l'esistenza di una presa di coscienza e deve essere incoraggiata e rafforzata, soprattutto attraverso una consultazione efficace e trasparente delle organizzazioni della società civile della regione in merito alla strategia energetica.

2.8

Da un punto di vista generale, tutti gli Stati membri dell'UE si trovano in una situazione di strettissima interdipendenza reciproca. Alcuni di loro, pur non essendo isole energetiche in senso stretto, si trovano in una situazione di fortissima dipendenza dagli Stati vicini, specialmente nell'Europa centrale e orientale, in particolare l'Ungheria. Il CESE reputa pertanto indispensabile l'adozione di una politica energetica comune adeguata a questo scenario, il quale impone una riflessione generale dell'Unione a favore di una più forte solidarietà intracomunitaria. Quest'aspetto viene peraltro ricordato nell'articolo 194 del TFUE.

3.   L'insularità energetica influisce negativamente sulle prestazioni economiche dell'Europa e ne rallenta lo sviluppo sociale

3.1

Il concetto di insularità energetica si applica ad una serie di realtà tra loro nettamente distinte ma dalle conseguenze pressoché identiche, a prescindere dalla situazione di partenza. Le ripercussioni di tali «insularità» producono quasi sempre i seguenti risultati:

una maggiore insicurezza degli approvvigionamenti;

variazioni dei prezzi spesso al rialzo e attività industriali e commerciali dipendenti;

una maggiore precarietà energetica delle popolazioni di questi Stati o regioni;

un impatto negativo sulla loro competitività economica;

una più forte pressione ambientale;

una instabilità delle relazioni politiche ed economiche tra l'Unione europea e i paesi terzi.

3.2

La domanda energetica è sostenuta e sta crescendo nelle isole energetiche come negli altri territori dell'UE. In queste condizioni, le conseguenze di un approvvigionamento potenzialmente meno affidabile e comunque decisamente più costoso penalizzano fortemente la competitività economica di tali isole. Alcuni settori industriali, e conseguentemente i posti di lavoro, possono risultare in pericolo, nel momento in cui determinate attività non sono più sufficientemente redditizie.

3.3

Analogamente, i prezzi elevati dell'energia incidono pesantemente sul bilancio delle famiglie. La povertà energetica è stata a lungo considerata come un problema puramente nazionale se non addirittura locale. Di fatto, gli interventi diretti intesi ad aiutare gli individui dipendono proprio da questi livelli. Ciò premesso, una parte delle principali cause della povertà energetica va ricercata al di là dell'ambito nazionale, e la politica energetica dell'UE deve anch'essa contribuire a ridurre tale fenomeno, intervenendo nei confronti degli squilibri più marcati.

3.4

Inoltre, la dipendenza spesso eccessiva dai combustibili fossili, in particolare dal petrolio, mantiene a un livello elevato le emissioni di CO2. Tenuto conto delle norme ambientali (direttive sulle emissioni industriali) e della preoccupazione generale di proteggere la salute umana, si dovranno realizzare investimenti adeguati volti a ridurre tali emissioni. Questi costi devono essere altresì inclusi nella fattura energetica delle isole energetiche.

3.5

Le conseguenze di una situazione di insularità energetica dovrebbero essere valutate più accuratamente, sia in termini di crescita, competitività e sviluppo sostenibile per i territori interessati, sia in termini di solidarietà, coesione e «mancato profitto» per il resto dell'UE, in assenza di un mercato dell'energia completo e funzionale in ogni punto dell'Unione. Il CESE ritiene che l'esistenza di isole energetiche abbia un costo per la collettività. Tale costo deve essere valutato, e le soluzioni per ridurlo devono inquadrarsi in un approccio globale: è opportuno completare la politica europea dell'energia fornendole strumenti di intervento adeguati sia al livello di interdipendenza degli Stati membri sia alle difficoltà che essi incontrano.

3.6

Al di là della dimostrazione dei benefici derivanti da una maggiore integrazione europea, l'obiettivo è certamente quello di promuovere lo sviluppo industriale e quindi l'occupazione. La competitività dell'industria europea dipende da numerosi fattori sui quali le autorità pubbliche esercitano un'influenza minima o nulla. Occorre quindi evitare che la politica energetica – sulla quale l'UE può e deve agire – diventi un fattore limitativo della crescita e dell'occupazione. Il CESE invita fin da ora gli Stati membri e la Commissione europea a non ritardare ulteriormente l'applicazione delle misure già individuate e suscettibili di ridurre i costi energetici e accrescere la sicurezza degli approvvigionamenti, quali, ad esempio, un migliore coordinamento delle decisioni nazionali in ambito energetico e una progettazione comune delle infrastrutture e delle reti, la creazione di gruppi di acquisto europei di energie fossili e, se del caso, mandati di negoziato europei con i partner esterni.

4.   Quali soluzioni? Sviluppare le energie rinnovabili e rafforzare le infrastrutture di rete

4.1

Le soluzioni più efficaci in questa fase sembrano essere due, ovvero, da un lato, la maggiore interconnessione delle isole energetiche al mercato interno dell'energia (infrastrutture e organizzazione del mercato), al fine di rafforzare concretamente la solidarietà e adeguare l'organizzazione tecnica della rete europea agli obiettivi politici e legislativi dell'UE, e, dall'altro lato, la promozione di fonti energetiche alternative, ossia la produzione locale di energie rinnovabili. Ciò presuppone di mettere in risalto l'eventuale potenziale e di proporre delle azioni volte a sfruttarlo pienamente in maniera sostenibile. Infine, incentivare l'efficienza energetica e la gestione della domanda attraverso le reti intelligenti può contribuire a ottimizzare la domanda di energia.

4.2

La Commissione europea ha già avviato un'importante riforma della politica europea di sostegno alle infrastrutture energetiche, in particolare per quanto riguarda le interconnessioni (cfr. Meccanismo per collegare l’Europa), sulla quale il CESE si è pronunciato favorevolmente (3). Ciò premesso, potrebbe essere utile spingersi ancora oltre nella pianificazione comune delle infrastrutture, come raccomanda il CESE nel parere sulla comunità europea dell'energia (4). In materia di elettricità, nel 2002 il Consiglio europeo aveva fissato per gli Stati membri un obiettivo di costruzione di interconnessione pari al 10 % della capacità di produzione installata. Tale obiettivo è ancora lungi dall'essere raggiunto in alcune frontiere elettriche europee, che continuano a essere congestionate.

4.3

D'altra parte, l'enorme sviluppo delle energie rinnovabili nel Mare del Nord, nonché del solare e dell'eolico nell'Europa meridionale, richiederà nuove e più «intelligenti» infrastrutture per garantire la loro piena integrazione nella grande rete europea. Questi progressi nelle reti intelligenti potrebbero consentire di ridurre del 9 % i consumi entro il 2020 e tra il 9 e il 15 % le emissioni di CO2. La creazione di reti intelligenti e di dispositivi di gestione della domanda può risultare più semplice nei mercati più piccoli, oltre a produrre risultati migliori in tempi più rapidi; associata a misure rafforzate di efficienza energetica, può contribuire significativamente all'ottimizzazione della domanda di energia. I (consistenti) investimenti da realizzare vanno inquadrati nell'ottica di un controllo totale degli interventi in questo settore, di una riduzione del volume della fattura energetica in un contesto di aumento dei prezzi e di un minor fabbisogno di investimenti nelle capacità di generazione convenzionali (riduzione in volume dei margini operativi) o rinnovabili.

4.4

Complessivamente, ENTSO-E (Rete europea dei gestori dei sistemi di trasmissione dell'energia elettrica) ritiene che nei prossimi dieci anni in Europa si dovranno costruire 52 300 km di nuove linee ad altissima tensione, per un investimento totale di 104 miliardi di euro e un centinaio di progetti prioritari, l'80 % dei quali basati sullo sviluppo di energie rinnovabili. La nozione di «scala» nelle isole energetiche dotate di un potenziale in questo ambito rende ancora più delicata la questione dell'integrazione delle energie rinnovabili se la loro rete è di dimensioni ridotte. La capacità di produzione degli impianti industriali di energia rinnovabile (rispetto alla produzione decentrata) può corrispondere a una percentuale relativamente elevata della produzione o del consumo, i cui effetti, in particolare l'intermittenza, sono più difficili da gestire.

4.5

Il rafforzamento delle interconnessioni è quindi indispensabile per rafforzare la sicurezza degli approvvigionamenti, ma anche per consentire un miglior equilibrio tra produzione e consumo di energia in una rete ampliata in un contesto di forte sviluppo delle energie rinnovabili. Ciò vale anche per le capacità convenzionali, che intervengono in caso di arresto o considerevole rallentamento della produzione di energie rinnovabili.

4.6

Lo sviluppo delle energie rinnovabili presuppone una capacità di back-up flessibile, adeguata e in grado di funzionare con un carico di base ridotto (low baseload). Il gas naturale liquefatto (GNL) può rappresentare una risposta alla dipendenza da un unico fornitore di gas e ai prezzi elevati praticati da quest'ultimo, offrendo al tempo stesso una soluzione più flessibile e meno costosa del petrolio nonché consentendo di sostenere lo sviluppo di energie rinnovabili. Lo sviluppo del GNL richiede tuttavia importanti investimenti nelle infrastrutture portuali e d'immagazzinamento.

4.7

Il CESE è convinto che il futuro del sistema energetico europeo dovrà essere in particolare caratterizzato da migliori interconnessioni e dallo sviluppo delle energie rinnovabili, a maggior ragione per le isole energetiche, allo scopo di migliorare la sicurezza dell'approvvigionamento. L'impiego delle energie fossili resterà predominante, ma la crescita della produzione di energia rinnovabile renderà indispensabile un notevole rafforzamento della rete a livello nazionale ed europeo (cfr. parere del CESE sulla Tabella di marcia per l'energia 2050 e la cosiddetta opzione no-regrets  (5)).

4.8

A quest'esigenza, tuttavia, non si potrà rispondere efficacemente senza una valutazione trasparente, globale e precisa dei costi. È necessario disporre di una conoscenza più obiettiva possibile dei costi - compresi quelli esterni – delle energie fossili, nonché dei sovraccosti generati dalle fonti rinnovabili, per orientare nel migliore dei modi le scelte in materia di investimenti e di decisioni politiche. Gli studi su questi costi indiretti sono estremamente contraddittori, il che rende questa necessità ancora più urgente.

4.9

Per quanto riguarda le energie rinnovabili, occorre tenere conto sia dell'importo degli investimenti nelle nuove capacità di produzione sia dei costi legati al potenziamento della rete e alle eventuali sovvenzioni. Riguardo a quest'ultimo punto, può essere necessario sostenere ulteriormente i territori maggiormente dipendenti sotto il profilo energetico e nei quali le energie rinnovabili sono state finora sviluppate in misura minore. In questo caso, il ritmo di crescita della produzione di energia verde dovrà essere compatibile con quello del potenziamento della rete. Occorre altresì stabilire la capacità di back-up necessaria per unità di produzione di energia rinnovabile supplementare. Il back-up può tuttavia essere importato, ma ciò presuppone l'esistenza di interconnessioni e di una cooperazione regionale ed europea efficaci. Le modalità del sostegno alle energie rinnovabili dovranno tenere conto di questo aspetto per ottimizzare il ritmo del loro sviluppo e il costo del sostegno a carico dei contribuenti.

4.10

L'insieme di questi costi, una volta valutati con esattezza, dovrà essere confrontato con la fattura energetica relativa alle energie fossili importate, integrando tutti i costi, compresi quelli politici e quelli ambientali. Si tratta di un esercizio indispensabile per valutare le ripercussioni positive o negative sulla competitività del territorio. In questa stessa prospettiva si può altresì inquadrare un consistente sviluppo della produzione di energia rinnovabile in alcune isole energetiche, da esportare in altri Stati dell'Unione europea o nei paesi terzi.

4.11

Il CESE auspica che in questa dinamica di rafforzamento delle infrastrutture vengano inclusi in via prioritaria gli Stati e le regioni interessati dall'insularità energetica, poiché nella definizione degli assi prioritari occorre tenere conto della loro maggiore dipendenza. A titolo di esempio, il Piano d'interconnessione del mercato energetico del Baltico (BEMIP) potrebbe spianare la strada per un miglior coordinamento della politica energetica e del mix energetico nella regione. Ciò permetterebbe di far uscire dall'isolamento le reti energetiche, specialmente quelle di Lituania, Lettonia ed Estonia.

4.12

Sono stati recentemente registrati alcuni progressi nella cooperazione tra la Lituania e la Lettonia. In questo ambito è prevista un'iniziativa faro: la Lituania costruirà a Klaïpeda un terminal per il gas liquefatto che servirà ad alimentare il serbatoio di stoccaggio di Incukalns in Lettonia. La Lituania ritiene del resto che questo serbatoio potrebbe fungere da «riserva regionale di gas». In questo contesto il CESE ribadisce la proposta di mettere in comune le risorse di energia fossile e, in particolare, di formare dei gruppi di acquisto per il gas (6). Lituania, Lettonia ed Estonia stanno sviluppando e attuando progetti di interconnessione elettrica (LitPol Link, NordBalt ed Estlink 2) con il resto dell'UE, in particolare la Polonia. In contemporanea i tre Stati baltici stanno lavorando per arrivare ad una piena integrazione nel sistema energetico europeo, combinando i loro sistemi elettrici con le reti elettriche europee continentali in modalità sincrona (è in corso uno studio di fattibilità); inoltre stanno sviluppando congiuntamente il progetto di centrale nucleare di Visaginas, che potrebbe contribuire a garantire la loro sicurezza energetica, oltre ad essere un importante fattore per l'integrazione del sistema elettrico europeo.

4.12.1

Cipro, grazie alla sua nuova dimensione energetica (importanti scoperte di gas nelle sue acque territoriali) può diventare un importante attore regionale. Un aumento sensibile dei suoi mezzi di produzione di energie rinnovabili e una forte partecipazione ai progetti sopramenzionati potrebbero consentire a tale paese di diventare un hub energetico, orientato verso una migliore integrazione regionale, nonché un attore della politica di vicinato in materia energetica. La scelta, operata di recente, degli operatori per lo sfruttamento futuro dei giacimenti di gas ciprioti deve permettere, al tempo stesso, una migliore integrazione nell'Unione e una politica di vicinato attiva.

4.13

Inoltre, la dipendenza da un unico fornitore potrà essere ridotta mediante l'attuazione del terzo pacchetto energetico. Anche la questione dell'organizzazione regionale dei mercati riveste un'importanza fondamentale: la Lituania e l'Estonia partecipano già al Nord Pool Spot, ovvero il mercato dell'elettricità degli Stati baltici e nordici, al quale la Lettonia prevede di aderire l'anno prossimo. Oltre a questo esempio, il CESE incoraggia gli Stati baltici a cercare risposte comuni ai loro bisogni e a sviluppare il dialogo energetico regionale.

4.14

È necessario potenziare le interconnessioni con i paesi terzi vicini dell'UE, che potrebbero produrre ed esportare energia verso l'UE oppure assicurarne il transito verso l'UE a partire da altri luoghi di produzione. Ciò è possibile soprattutto per i progetti energetici del bacino del Mediterraneo (Piano solare mediterraneo, Medgrid, componente Energia dell'Unione per il Mediterraneo, Desertec, ecc.), sollecitando la partecipazione dei paesi (Cipro, Malta) o delle regioni (Creta, Sardegna, Corsica, Sicilia, Baleari, …) interessate a tali progetti.

4.15

La comunità dell'energia [dell'Europa sudorientale] deve comprendere una dimensione relativa alla concertazione e all'integrazione verso l'esterno, oltre a una dimensione «azione della società civile organizzata»: in questo ambito, un ruolo particolare spetta ai comitati consultivi misti del CESE (ERIM, Montenegro, Croazia) nonché ai CES e alle istituzioni analoghe di questi paesi.

4.16

Inoltre si potrebbero promuovere ulteriormente la dimostrazione e lo sviluppo di energie rinnovabili, soprattutto in relazione con la Tabella di marcia per l'energia 2050 e la recente comunicazione sull'integrazione delle energie rinnovabili nel mercato interno (COM(2012) 271 final).

4.17

Occorrono soluzioni e proposte concertate all'interno e alla periferia dell'UE, in grado di coinvolgere:

gli Stati membri;

la Commissione europea, coordinatore imprescindibile dei dibattiti e delle proposte di soluzioni;

gli operatori energetici, soprattutto in materia di reti (elettriche, di gas), senza i quali non è possibile immaginare alcun risultato concreto (competenza tecnica, solidità finanziaria);

gli enti locali e regionali, detentori di poteri decisionali a fianco degli Stati, e sempre più spesso responsabili della gestione delle reti di trasporto e soprattutto di distribuzione. Il Comitato delle regioni può fungere da intermediario privilegiato;

la società civile organizzata e le sue organizzazioni, di cui il CESE è il riflesso: organizzazioni che rappresentano i consumatori, le parti sociali, le istanze ambientali o di lotta contro la precarietà, le minoranze, ecc.

4.18

Le uniche soluzioni praticabili sono quelle interstatali e interoperatori. Le politiche energetiche – in materia di approvvigionamento, di costruzione di reti, di ricerca e sviluppo, ecc. – non possono essere promosse solo da qualche Stato dell'UE in grado di dotarsi di una politica energetica «autonoma», poiché ciò avrebbe importanti ripercussioni sugli altri Stati. È necessario un più stretto coordinamento del mix energetico, ad esempio tra Stati e regioni interessati dall'insularità energetica e la cui politica energetica è soggetta a forti limitazioni. In tal modo, questi Stati e regioni potrebbero anche indicare la via di una cooperazione più stretta a livello europeo, al di là delle sole preoccupazioni di «sovranità energetica».

4.19

Tali soluzioni – infrastrutture, produzione di energie rinnovabili, coordinamento rafforzato delle politiche energetiche tra Stati e regioni – devono essere tuttavia accompagnate da una più ampia partecipazione della società civile, viste le loro implicazioni in termini di mix energetico, organizzazione dei mercati, prezzi, competitività, questioni ambientali o accettazione sociale. A questo proposito il CESE ricorda la proposta di istituire un forum della società civile sui temi energetici, formulata nel quadro dei propri lavori sulla comunità europea dell'energia (7).

Bruxelles, 13 dicembre 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU C 68 del 6.3.2012, pagg. 15-20.

(2)  Ibid.

(3)  GU C 143 del 22.5.2012, pagg. 125-129.

(4)  Cfr. nota 1.

(5)  GU C 229 del 31.7.2012, pagg. 126-132.

(6)  Cfr. nota 1.

(7)  Cfr. nota 1.


ALLEGATO

al Parere del Comitato economico e sociale europeo

Il seguente emendamento, che ha ottenuto oltre un quarto dei voti espressi, è stato respinto nel corso delle deliberazioni:

Punto 2.5

Modificare come segue:

Esiste anche un tipo di insularità energetica legata a difficoltà nello sviluppo dei collegamenti essenzialmente alla storia del XX secolo. La penisola iberica è ancora una penisola energetica, perché non si sono potute completare le interconnessioni dato che il regime franchista e quello salazarista avevano privilegiato l'autarchia nella maggior parte delle politiche di rete: trasporti, soprattutto ferroviari, ed elettricità, con pochissimi collegamenti esterni, soprattutto con il resto del continente europeo attraverso la Francia. Questa situazione non ha potuto essere regolamentata negli ultimi venti anni per via delle numerose opposizioni locali ai diversi progetti di rafforzamento delle reti che attraversano i Pirenei. Il problema è tuttavia in fase di risoluzione: un nuovo collegamento elettrico a corrente continua permetterà tra breve un maggior numero di scambi con il Mediterraneo sudoccidentale. Tuttavia, al di là del rafforzamento dell'interconnessione elettrica Francia-Spagna (che nel 2014 vedrà aumentare le capacità di transito da 1 400 a 2 800 MW), nei prossimi anni sarà molto probabilmente necessario prevedere altri assi di scambio di energia tra la penisola iberica e il resto del continente europeo. Occorre sostenere l'obiettivo di disporre, entro il 2020, di 4 000 MW di capacità di scambio, in particolare attraverso una nuova interconnessione elettrica sul versante atlantico. Questa misura va inserita nell'elenco dei progetti di interesse comune che verrà definito nel quadro del regolamento sugli orientamenti per la rete transeuropea di infrastrutture.

Esito della votazione:

Voti favorevoli

:

60

Voti contrari

:

81

Astensioni

:

18


15.2.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/16


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Tendenze e ripercussioni dei futuri sviluppi nell’industria dei servizi sociali, sanitari e didattici alla persona nell’Unione europea» (parere d’iniziativa)

2013/C 44/03

Relatore: PEZZINI

Correlatore: JARRÉ

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 19 gennaio 2012, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Tendenze e ripercussioni dei futuri sviluppi nell'industria dei servizi sociali, sanitari e didattici alla persona nell'Unione europea.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 novembre 2012.

Alla sua 485a sessione plenaria, dei giorni 12 e 13 dicembre 2012 (seduta del 13 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 159 voti favorevoli, 3 voti contrari e 11 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che, in Europa, i servizi sociosanitari e didattici alla persona costituiscano un importante nocciolo duro del modello sociale europeo. Tali servizi, che dipendono l'uno dall'altro e si rafforzano vicendevolmente nella loro efficacia, formano un «triangolo d'oro» essenziale al buon funzionamento e alla qualità della società.

1.2

Il CESE ritiene che tali servizi svolgano da un lato un ruolo chiave per l'integrazione dell'individuo nella società e, al tempo stesso, per la preservazione della coesione sociale, garantendo, così, un'effettiva partecipazione democratica e una giustizia sociale; dall'altro lato, essi sono di fondamentale importanza per raggiungere gli obiettivi dell'agenda Europa 2020 sotto i profili della sostenibilità, dello sviluppo occupazionale intelligente e di un rafforzamento della coesione economica e sociale dell'Unione europea.

1.3

Secondo il CESE, occorre maggiore consapevolezza del fatto che, con l'invecchiare della popolazione e l'aumento della domanda di assistenza, a causa della sempre minore disponibilità di familiari in grado di fornire tale assistenza (dovuta tra le altre cose alla crescente partecipazione delle donne al mercato del lavoro), è divenuto essenziale pianificare e programmare meglio i requisiti e la formazione degli operatori del settore, da un lato, e le priorità in termini di stanziamenti del bilancio, dall'altro.

1.4

Il CESE è consapevole della competenza degli Stati membri in materia e della discrezionalità delle autorità nazionali, regionali e locali nell'erogazione di tali servizi; tuttavia, richiama l'attenzione sul fatto che esiste anche, in materia, una grande responsabilità condivisa tra i paesi membri dell'Unione europea; considerando però che il Trattato di Lisbona ha introdotto importanti innovazioni al riguardo con il protocollo sui servizi di interesse generale (SIG) allegato al Trattato, ritiene che sia necessario uno sforzo di armonizzazione tra gli Stati per superare le diseguaglianze oggi esistenti e garantire la libertà fondamentale di stabilimento (nel rispetto, come minimo, delle norme sociali regolamentari e convenzionali del paese d'accoglienza) e di prestazione dei servizi.

1.5

Il CESE, vista la rilevanza in termini di contributo al prodotto interno lordo comunitario del settore, alle importanti prospettive occupazionali e di creazione di nuovi posti di lavoro e nuove imprese, nonché alle capacità del settore di dare risposte innovative di qualità ai cambiamenti strutturali e delle esigenze nella società europea, così come agli obiettivi del Trattato di Lisbona in materia, chiede alla Commissione, al Consiglio e al Parlamento europeo:

il varo di una vera e propria Strategia europea di servizi socio-sanitari innovativi e «intelligenti» in Europa, con una valorizzazione delle risorse umane, la loro formazione continua, la definizione di principi di qualità, l'introduzione di tecnologie appropriate di sostegno al percettore e all'erogatore dei servizi, lo sviluppo di uno Spazio europeo di servizi integrati e politiche di sostegno;

la promozione di una maggiore efficienza nell'uso di risorse finanziarie e umane; una gestione efficace regolata dalla contrattazione collettiva; un coinvolgimento adeguato del settore privato e del volontariato; un'oculata valutazione dell'efficienza e dell'economicità del servizio;

l'elaborazione, da parte della Commissione, di un quadro comune di base sui servizi alla persona, con un quadro regolamentare e principi di qualità, nonché requisiti curriculari chiaramente definiti, per agevolare la mobilità professionale effettiva su scala europea.

1.6

A livello dell'UE, il CESE ritiene che sarebbe opportuno destinare in maniera coordinata una quota dei vari fondi strutturali allo sviluppo delle infrastrutture sociali e di servizi sanitari, laddove carenti, e alle iniziative occupazionali locali nel settore, assicurando, in particolar modo, una linea di finanziamento per le aree rurali. Altrettanto dicasi per i programmi Orizzonte 2020 e Cultura e gli interventi di formazione continua, rivolta alle nuove tecnologie applicate all'assistenza socio-sanitaria. Occorre inoltre incoraggiare la ricerca in materia di ottimizzazione dei risultati dei servizi, nonché la documentazione e lo scambio degli esempi riusciti.

1.7

Il CESE ritiene che sarebbe importante istituire un dialogo sociale costruttivo e ben articolato tra tutti i livelli (locale, nazionale ed europeo) per i settori dei servizi alla persona. Questo dialogo sociale dovrebbe svolgere un ruolo cruciale nel:

contribuire all'analisi dei problemi economici e sociali del settore;

esaminare le possibilità di sviluppo del settore;

elaborare dei progetti per armonizzare verso l'alto le normative che disciplinano il settore;

lottare contro il lavoro illegale;

accrescere la professionalizzazione del settore e le possibilità di carriera dei lavoratori;

migliorare le condizioni di lavoro e di retribuzione degli operatori del settore;

migliorare l'attrattiva e l'immagine del settore;

controllare l'applicazione dei contratti collettivi e delle normative.

La Commissione europea e gli Stati membri dovrebbero fornire un sostegno concreto e attivo all'istituzione e allo sviluppo di questo dialogo sociale, nonché all'organizzazione dei suoi lavori. In un primo tempo il sostegno potrebbe prendere la forma di studi dedicati a questi settori e di conferenze a livello europeo destinate alle parti sociali del settore in esame.

2.   Introduzione

2.1

Scopo del presente parere è quello di individuare i mutamenti nelle attuali tendenze e i futuri sviluppi nel campo dei servizi socio-sanitari alla persona e dei servizi di istruzione e formazione ad essi correlati, nonché le prospettive di una nuova occupazione di qualità in questo settore.

2.2

I servizi socio-sanitari si rivolgono alle esigenze fondamentali dell'individuo. L'industria del settore prende diverse forme, dalle istituzioni che prestano cure mediche e psicosociali a quelle che offrono servizi di assistenza socio-sanitaria, sostegni agli alloggi, oltre alle case di cura, ai centri di igiene mentale e di assistenza all'infanzia, agli anziani e ai diversamente abili.

2.3

Il settore è caratterizzato, inoltre, da importanti flussi migratori provenienti dall'esterno dell'Unione europea, così come dalla forte tendenza a ricorrere al mercato del lavoro in nero, con tutte le conseguenze nefaste che ciò comporta sia per il singolo, sia per la società in generale.

2.4

Il CESE intende, con il presente parere, contribuire a determinare il valore aggiunto che i servizi alla persona possono offrire alla strategia Europa 2020 allo scopo di individuare le esigenze, in termini di risorse umane qualificate e nuovi profili occupazionali, in vista di prospettive sociali innovative, nuovi e migliori posti di lavoro e un maggior benessere per tutti i cittadini, grazie a una migliore integrazione che derivi dal rafforzamento della coesione della società.

2.5

In Europa i servizi sanitari, sociali ed educativi alla persona costituiscono un importante nocciolo duro del modello sociale europeo. Tali servizi, che dipendono l'uno dall'altro e si rafforzano vicendevolmente nella loro efficacia, formano un «triangolo d'oro» essenziale al buon funzionamento e alla qualità della società.

2.6

Il CESE fa propria questa concezione del c.d. «triangolo d'oro» di servizi integrati, per una educazione di qualità, una sanità efficiente e una piena integrazione sociale, inteso ad assicurare i più elevati livelli possibili di efficacia di tutti e tre i tipi di servizi in termini di disponibilità, di accessibilità universale, di centralità sulla persona, onnicomprensività, continuità, elevato grado di qualità, con un chiaro orientamento ai risultati, rispetto dei diritti fondamentali, partecipazione e partenariato, governance integrata, investimenti in capitale umano e in infrastrutture sociali, performance elevate, occupazioni qualificate e buone condizioni di lavoro, con prospettive di carriera, solidarietà e coesione sociale.

2.7

Proprio per tali caratteristiche, il CESE ritiene che al triangolo d'oro dei servizi qualificati alla persona occorra dedicare un'attenzione prioritaria per raggiungere gli obiettivi dell'agenda Europa 2020 sotto i profili della sostenibilità, dello sviluppo economico e occupazionale e della coesione economica e sociale dell'Unione.

2.8

Il parere si avvale di numerose fonti di informazione, che vanno da studi di portata generale ad analisi di casi concreti nel campo dell'imprenditoria. Va rilevato che le tendenze demografiche e l'invecchiamento attivo, nonché le ripercussioni dell'invecchiamento della popolazione sui sistemi di assistenza sanitaria e previdenziale, sono tutti temi già affrontati dal CESE nei suoi pareri precedenti (1). Il CESE è impegnato, da parte sua, nella definizione di una tabella di marcia per una serie di iniziative incentrate sulle problematiche dell'invecchiamento della società europea, nel contesto dell'ottavo programma quadro di ricerca e sviluppo, nonché sulla partecipazione degli anziani alla società (2).

2.9

Quanto ai servizi didattici alla persona, essi sono presi in considerazione nel presente parere solo in quanto servono ad offrire servizi di assistenza sociale e sanitaria di qualità e aggiornati. Per maggiori informazioni riguardo ai servizi di istruzione e formazione permanente si rimanda a numerosi pareri già elaborati dal CESE sull'argomento (3).

3.   Caratteristiche e prospettive del settore

3.1

Nel 2009 oltre 21,5 milioni di persone trovavano impiego, nell'UE, nel settore dell'assistenza socio-sanitaria e dei servizi didattici correlati, come risulta dalle statistiche Eurostat per l'UE a 27 (4). La loro presenza si concentra maggiormente negli Stati membri dell'UE di più lunga data rispetto ai paesi di nuova adesione, ed è costituita prevalentemente da donne, che rappresentano il 78 % dei lavoratori del settore, e da lavoratori molto giovani (oltre il 43 % ha meno di 40 anni). Il contributo del settore alla creazione di nuovi posti di lavoro di assistenza sociosanitaria e domiciliare è stato tra il 2000 e il 2010 pari a oltre 4 milioni, in netta controtendenza rispetto al decremento occupazionale in atto nell'Unione per la crisi economica - con aumenti consistenti nel periodo 2008-2010 pari a circa 770 mila nuovi posti (5).

3.2

Nell'UE l'assistenza sanitaria è uno dei settori più importanti, in quanto costituisce il 10 % circa del PIL e impiega un lavoratore su 10. Presenta inoltre una percentuale superiore alla media di lavoratori, nel campo dei servizi, in possesso di un diploma d'istruzione superiore (6). L'occupazione del settore è in crescita con l'invecchiare della popolazione (7), con la crescente partecipazione delle donne al mercato del lavoro, e con l'aumento della domanda di assistenza sanitaria, e necessita sempre più di definizioni armonizzate e di standard formativi a livello europeo per garantire una mobilità geografica e dinamiche professionali con servizi di qualità, efficaci e sostenibili su tutto il territorio.

3.3

Tra i profili individuati figurano gli assistenti medico-sanitari, gli infermieri, gli operatori del settore giovanile, gli assistenti sociali e i medici: secondo studi recenti (8), in tutte le branche della medicina, nonostante i bassi livelli retributivi e lo scarsissimo riconoscimento del lavoro svolto, gli operatori sanitari sono altamente motivati e responsabili. Alcuni studi indicano inoltre una grave carenza di personale e difficoltà crescenti nella ricerca di quadri operativi adeguati e qualificati che siano poi disposti a restare.

3.4

È necessaria una strategia europea all'interno di Europa 2020 (9), per assicurare più elevati livelli di innovazione tecnica e strutturale, ridurre i costi e promuovere un'occupazione di qualità, migliorando l'accesso all'assistenza sanitaria soprattutto nelle zone svantaggiate, così come in determinati campi della medicina caratterizzati da carenza di personale a livello nazionale, creando reti di centri medici europei di alta qualità dotati di personale qualificato e molto motivato da mettere a disposizione di tutti i cittadini dell'UE.

3.5

Quanto ai livelli retributivi del settore, questi sono generalmente inferiori alle remunerazioni medie corrisposte a livello nazionale per mansioni comparabili: le donne - che rappresentano la grande maggioranza della forza lavoro, spesso immigrata - sono in genere sottopagate (10), scarsamente considerate e con contratti precari, pur essendo qualificate, come emerge da studi recenti nei seguenti sottosettori (11): assistenza sanitaria, assistenza all'infanzia, assistenza agli anziani ed altre forme d'assistenza alle persone non autonome.

3.6

Il settore presenta inoltre altre caratteristiche specifiche che lo distinguono dagli altri (12):

la media delle ore lavorative settimanali è minore rispetto ad altri settori dell'economia, mentre, rispetto all'economia nel suo complesso, risultano più diffuse formule come i turni, il lavoro notturno, il tempo parziale e i contratti temporanei;

cresce la domanda di un servizio unificato che combini tutti gli aspetti e le qualifiche dell'assistenza sanitaria con le specificità dell'assistenza sociale;

gli interventi di formazione professionale, linguistica e ricorrente sono importanti per il ricorso accentuato ad ausili informatici di primo intervento, alla telemedicina e alla telediagnosi;

la necessità di disporre di infrastrutture migliori e più coordinate per i tre tipi di servizi in oggetto, accessibili a tutti con degli strumenti adeguati (e strutture di riferimento sul territorio?).

3.7

Peraltro, come è stato rilevato in materia di servizi alla persona, occorre «tener conto delle specifiche caratteristiche di piccoli operatori, che forniscono servizi di interesse economico generale, servizi sociali e servizi non-profit, le cui caratteristiche e contributi peculiari all'interesse generale debbono essere presi maggiormente in considerazione» (13), nell'ambito del dialogo sociale con le parti sociali e con la società civile in generale.

3.8

La situazione è particolarmente preoccupante nelle aree rurali e in altre zone svantaggiate, dove la mancanza di infrastrutture sociali, mediche e didattiche spesso porta a un esodo di lavoro qualificato, con ripercussioni sulle iniziative di creazione di impresa, sulle loro localizzazioni e sullo sviluppo di tali aree: occorre assicurare quindi uno sviluppo regionale più equilibrato e la promozione di una maggiore coesione territoriale, specie in termini di assistenza sociale, sanitaria ed educativa personalizzata all'infanzia e agli asili nido (14).

3.9

Per promuovere una migliore integrazione dei lavoratori migranti è necessario prevedere misure finanziarie e organizzative di sostegno con corsi di lingua, miglioramento dell'immagine delle mansioni svolte, accoglienza ed alloggio, formazione professionale in pratiche assistenziali, tenendo conto del successivo reinserimento nei paesi d'origine, per evitare il brain-drain in campo sanitario (15).

3.10

I costi degli investimenti nel settore sono di conseguenza alquanto elevati e spesso controversi in termini di sostenibilità dal momento che la crisi finanziaria ha evidenziato la necessità di migliorare il rapporto costo-efficacia dei servizi socio-sanitari, e gli Stati membri sono sotto pressione in quanto devono trovare il giusto equilibrio tra l'esigenza di prestare servizi sanitari a carattere universale e il rispetto dei vincoli di bilancio. Tuttavia, considerando i risultati ottenuti, emerge con chiarezza che gli investimenti in questo settore dei servizi sono altamente produttivi e proficui: la forza lavoro gode di migliore salute, è meglio integrata, più qualificata, più motivata e anche più stabile.

3.11

Peraltro il Trattato di Lisbona ha introdotto importanti innovazioni in materia con il protocollo sui servizi di interesse generale (SIG) allegato al Trattato, «poiché riguarda l'insieme dei SIG e introduce, per la prima volta in un Trattato, la nozione di servizi di interesse generale di ordine non economico contrapposta a quella di servizi di interesse economico generale (SIEG)» (16). È innegabile che i servizi alla persona abbiano un carattere sia «economico» che «non economico». L'aspetto dell'interesse economico generale è connesso alla loro importanza per il buon funzionamento di tutte le industrie, del manifatturiero e dei servizi, mentre l'aspetto non economico si riferisce alla loro importanza per l'integrazione di tutti gli individui e la coesione della società.

3.12

Secondo il CESE «il protocollo non è una semplice dichiarazione interpretativa dei Trattati e dei valori comuni dell'Unione, relativi ai SIG, ma contiene anche una serie di istruzioni operative destinate all'Unione e agli Stati membri. Esso pone l'utente, il soddisfacimento dei suoi bisogni, le sue preferenze e i suoi diritti al centro delle disposizioni e sancisce alcuni principi comuni in materia di elevato livello di qualità, sicurezza e accessibilità, parità di trattamento e promozione dell'accesso universale» (17).

3.13

Occorre quindi assicurare soprattutto una forte dimensione europea al settore, con un quadro UE armonizzato e sostenuto con una strategia europea di interventi strutturali, anche se il Comitato ha avuto modo di sottolineare «il ruolo essenziale e l'ampio potere discrezionale delle autorità nazionali, regionali e locali di fornire, commissionare e organizzare servizi di interesse economico generale il più vicini possibile alle esigenze degli utenti» (18).

4.   Verso una Strategia europea di servizi socio-sanitari innovativi e «intelligenti»

4.1

Il lancio di una Strategia europea risulta, a parere del Comitato, fondamentale per anticipare e gestire le attuali trasformazioni della società europea e del suo modello economico e sociale, che richiedono l'individuazione di priorità strategiche per l'industria europea dei servizi sociali, sanitari e didattici alla persona, per quanto concerne:

le risorse umane e la loro formazione e informazione;

le tecnologie appropriate;

uno spazio europeo di servizi integrati;

migliori condizioni di mobilità e di scambio;

l'accettazione dei principi di qualità europei;

il pieno riconoscimento dei titoli di studio;

la ricerca volta a ottimizzare i risultati dei servizi;

la documentazione e lo scambio degli esempi riusciti;

le politiche di sostegno, strutture e infrastrutture.

4.2

Le risorse umane sono il primo pilastro fondamentale dell'industria dei servizi alla persona, come dimostrano stanziamenti previsti nella strategia Europa 2020, con l'obiettivo di mantenere i cittadini dell'UE attivi, socialmente integrati e sani più a lungo, con ricadute positive sulla produttività e la competitività. Questo settore figura tra i primi nell'iniziativa Mercati pilota: un'iniziativa per l'Europa ed è parte integrante dell'iniziativa faro Un'agenda per nuove competenze e nuovi posti di lavoro.

4.2.1

Data la rilevanza dei servizi in oggetto, l'azione strategica europea in tema di risorse umane dovrebbe essere indirizzata a:

sistemi informatici per delineare profili occupazionali necessari e opportunità di lavoro;

misure per incrementare e integrare l'acquisizione di competenze;

riconoscimento internazionale di qualifiche/diplomi per agevolare la mobilità;

sistemi efficienti di orientamento professionale e di comunicazione, anche e soprattutto ai fini dell'apprendimento delle lingue;

formazione/alfabetizzazione nelle tecnologie informatiche;

formazione e aggiornamento dedicati alle nuove tecnologie e ai nuovi metodi terapeutici;

meccanismi di stabilizzazione nel settore, condizioni di lavoro e prospettive di carriera attraenti, miglior equilibrio di genere;

miglioramento dell'immagine delle diverse professioni in questo settore dei servizi;

accordo regolamentare su principi di qualità e relativa applicazione, nonché requisiti curriculari chiaramente definiti;

introduzione di servizi di supporto, come rimpiazzi temporanei, formazione e consulenza per garantire la qualità dell'economia sociale e delle cure e migliorare il benessere di coloro che assistono;

ricorso alle risorse preziose del volontariato, in grado di dare un contributo importante in termini di qualità, di affettività e di relazioni interpersonali disinteressate, indispensabili per il benessere psicofisico dell'assistito.

Tali interventi di carattere europeo dovrebbero essere accompagnati da misure di monitoraggio continuo basate su una valutazione scientifica e rigorosa.

4.3

L'introduzione di tecnologie appropriate nel settore a sostegno sia del prestatore dei servizi sia del percettore degli stessi rappresenta il secondo pilastro di questa strategia: l'innovazione tanto strutturale, quanto metodologica e tecnica, applicata ai servizi socio-sanitari alla persona può contribuire a raccogliere la sfida della sostenibilità, nel contesto dei cambiamenti in corso e della realizzazione di una crescita inclusiva.

4.3.1

Bisogna ricorrere alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione per favorire l'autonomia, una maggiore responsabilizzazione e una cultura della salute personale, nonché il coordinamento tra servizi sanitari e sociali al fine di concepire servizi sempre più integrati che collochino l'individuo al centro di un continuum coordinato di servizi di qualità.

4.3.2

L'eHealth, l'alfabetizzazione informatica e la telemedicina rappresentano un pilastro fondamentale del processo di innovazione dei processi di cura e di riabilitazione, in quanto consentono al cittadino di portare con sé, ovunque si trovi, la propria storia clinica e di fruire conseguentemente di un'assistenza sanitaria il più possibile personalizzata (19).

4.3.3

Per essere efficienti, i sistemi di servizi alla persona hanno bisogno di una piattaforma tecnologica avanzata per condividere, da un lato, le pratiche più riuscite tra utenti e fornitori di assistenza di lunga durata e, dall'altro, gli orientamenti che devono guidare il processo decisionale e il monitoraggio della qualità a livello locale, e infine per affinare il ricorso alla pianificazione dell'assistenza allo scopo di migliorare i sistemi di ripartizione dei costi dei servizi sociali e dei servizi sanitari/paramedici per le prestazioni (20).

4.3.4

Occorre saper trarre il massimo beneficio dalle tecnologie dell'informazione applicate ai servizi socio-sanitari e didattici alla persona, attraverso la R&S nazionale e dell'UE, per valorizzare nuovi profili professionali, modulati secondo le diverse necessità dell'infanzia, della disabilità, dell'invecchiamento e delle malattie fisiche e mentali.

4.4

Terzo pilastro: la creazione di uno Spazio europeo di servizi integrati deve essere considerata con molta attenzione, allo scopo di superare le disuguaglianze esistenti e garantire realmente la libertà fondamentale di stabilimento (nel rispetto, come minimo, delle norme sociali regolamentari e convenzionali del paese d'accoglienza) e di prestazione dei servizi (soprattutto in questo settore, di importanza essenziale per garantire la libera circolazione dei servizi) attraverso il riconoscimento reciproco, la cooperazione amministrativa e, ove necessario, l'armonizzazione, per garantire, in tutto il territorio dell'Unione, una serie di servizi responsabili, centrati sulla persona. Per realizzare questo obiettivo gli Stati membri e l'Unione europea dovranno esercitare congiuntamente le loro responsabilità.

4.4.1

La sfida di trasformare l'economia europea in un'economia innovativa e moderna fondata sulla piena realizzazione della quarta libertà (la libera circolazione dei servizi), così come sullo sviluppo di una «quinta libertà», vale a dire la completa e libera circolazione delle conoscenze, consentirebbe all'Europa di sfruttare appieno il suo potenziale creativo. In questo contesto i risultati derivanti dall'applicazione dell'innovazione ai servizi socio-sanitari andrebbero seguiti da vicino sulla base di un sistema di valutazione europeo da realizzare a tal fine.

4.4.2

Occorre garantire uno spazio europeo solidale che assicuri un accesso ai servizi fondamentali di qualità, nell'ambito dei servizi socio-sanitari e didattici alla persona, in tutto il territorio dell'UE anche attraverso l'attuazione di un «quadro europeo volontario per la qualità nei vari Stati membri e in una serie di settori differenti» (21), coinvolgendo gli utenti nella definizione e nella valutazione della qualità.

4.4.3

Un sistema di servizi integrati richiede - oltre a principi di qualità armonizzati - un mutuo riconoscimento delle qualifiche, il monitoraggio della qualità del servizio, l'attivazione di un dialogo sociale ai vari livelli, prossimo ai cittadini, e che coinvolga tutti gli interessati per intensificare la cooperazione reciproca.

4.5

Le politiche di sostegno, strutture e infrastrutture, rappresentano il quarto pilastro su cui si deve poggiare la strategia europea in tema di industria dei servizi alla persona.

4.5.1

Elemento essenziale di tale pilastro è l'attivazione mirata - affianco alle azioni previste dall'Europa 2020 - dei programmi e degli interventi strutturali dell'UE, con particolare riguardo al Fondo sociale europeo, al Fondo europeo per lo sviluppo regionale e al Fondo europeo per l'agricoltura e lo sviluppo rurale, nonché i programmi dell'UE Cultura e Orizzonte 2014/2020.

4.5.2

Dovrebbero inoltre essere previste, a livello dell'UE, misure volte a definire un quadro europeo che agevoli e incoraggi le buone prestazioni in termini di qualifiche professionali e qualità dei servizi, documentazione e scambio di esperienze positive, nonché sistemi standardizzati di monitoraggio della qualità e dei livelli di «customer satisfaction» e di «value for money» nel settore, per quanto riguarda sia la professionalizzazione e le condizioni di lavoro e di carriera del prestatore di servizio, sia le imprese pubbliche e private e dell'economia sociale ivi operanti, nonché, infine, per i percettori dei servizi e le loro famiglie ed anche per l'economia sociale.

4.5.2.1

Al riguardo il volontariato rappresenta una parte consistente che va sostenuta ed incentivata soprattutto per il contributo di qualità sotto il profilo «umano», sociale e dell'affettività: meritano particolare attenzione misure europee di sostegno allo scambio di esperienze delle migliori pratiche di volontariato nei servizi alla persona.

4.5.3

Occorre tener conto della rilevanza dell'impegno d'investimento ed in particolare della necessità di diversificazione della copertura finanziaria (imposte, varie forme contributive per la sicurezza (protezione) sociale, assicurazione, solidarietà intergenerazionale, partenariati pubblico-privati) considerando che il costo dell'assistenza e sostegno sanitario a lungo termine non è sostenibile per la maggior parte della popolazione.

4.5.4

A livello dell'UE sarebbe opportuno destinare una quota dei fondi strutturali allo sviluppo delle infrastrutture sociali e di servizi sanitari e di assistenza, laddove carenti, e alle iniziative occupazionali locali nel settore, assicurando in particolar modo una linea di finanziamento al riguardo per le aree rurali e le altre zone svantaggiate, attraverso il Fondo europeo per l'agricoltura e lo sviluppo rurale e l'iniziativa Leader.

4.5.5

Occorre rivedere anche a livello dell'UE le misure di sostegno alle politiche familiari e volte a garantire accordi più flessibili sul posto di lavoro a coloro che prestano assistenza familiare.

5.   Osservazioni conclusive

5.1

Il CESE è profondamente convinto che «nei settori quali l'assistenza sanitaria, i servizi per l'infanzia, l'assistenza agli anziani e alle persone con disabilità o di assistenza sociale, tali servizi forniscono una rete di sicurezza fondamentale per cittadini e contribuiscono a promuovere la coesione sociale» (22).

5.2

Il Comitato sottolinea che i servizi sanitari, didattici e sociali alla persona rivestono un interesse generale - sia economico che non economico - e svolgono un ruolo importante per la qualità e il funzionamento delle società europee, contribuendo alla protezione e all'inclusione sociale e, in maniera considerevole, al rendimento e alla competitività dell'economia, mentre la domanda di tali servizi aumenta e la capacità di finanziarli diventa più limitata, come conseguenza della crisi economica e, a più lungo termine, dei trend demografici.

5.3

Il Comitato ribadisce con forza gli obiettivi nel Trattato di Lisbona a proposito di educazione, protezione sociale e sanità che rispecchiano la coscienza sociale collettiva e il desiderio di dare ai cittadini un livello di vita ancora più elevato, compatibilmente con il potenziale economico di tutti gli Stati membri.

5.4

Il CESE ritiene quindi che, nelle circostanze attuali, un ulteriore sviluppo in questi settori richieda:

il varo di una vera e propria Strategia europea di servizi socio-sanitari innovativi e «intelligenti» e dei relativi servizi didattici, con una valorizzazione delle risorse umane, l'introduzione di tecnologie appropriate di sostegno al percettore ed all'erogatore dei servizi, lo sviluppo di uno Spazio europeo di servizi integrati, politiche di sostegno a strutture e infrastrutture con il supporto del dialogo sociale e del dialogo con la società civile ai vari livelli;

una maggior efficienza nell'uso di risorse finanziarie e umane, così come dell'infrastruttura esistente, nell'applicazione dei principi di qualità e nella valutazione del rendimento, con misure volte a incrementare e integrare l'acquisizione di competenze; migliori livelli di competitività, attraverso la contrattazione collettiva; maggiore coinvolgimento del settore privato, dell'economia sociale e del volontariato; nuove forme di partenariato tra i settori; una oculata spending review e una valutazione congiunta dell'efficienza e dell'economicità del servizio.

Bruxelles, 13 dicembre 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Parere CESE sul tema Le conseguenze dell'invecchiamento della popolazione sui sistemi sanitari e di protezione sociale (esplorativo), GU C 44 dell'11.2.2011, pag. 10; parere CESE in merito alla Comunicazione della Commissione Solidarietà in materia di salute: riduzione delle disuguaglianze sanitarie nell'UE, GU C 18 del 19.1.2011, pag. 74; parere CESE sul tema La considerazione delle esigenze degli anziani, GU C 77 del 31.3.2009, pag. 115; parere CESE sul tema I maltrattamenti alle persone anziane, GU C 44 del 16.2.2008, pag. 109.

(2)  Pareri CESE sul tema “Orizzonte 2020”: tabelle di marcia per l’invecchiamento (iniziativa), GU C 229 del 31.7.2012, pag.13, e SOC/448 sul tema Il contributo e la partecipazione degli anziani alla società (iniziativa), non ancora pubblicato sulla GU.

(3)  Parere CESE sul tema La considerazione delle esigenze degli anziani, GU C 77 del 31.3.2009, pag. 115; parere CESE in merito alla Comunicazione della Commissione Piano d'azione in materia di educazione degli adulti - È sempre il momento di imparare, GU C 204 del 9.8.2008, pag. 89; parere CESE in merito al Libro verde Migrazione e mobilità: le sfide e le opportunità per i sistemi d'istruzione europei, GU C 218 dell'11.9.2009, pag. 85; parere CESE in merito alla Proposta di raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio sull'istituzione di un quadro europeo di riferimento per l'assicurazione della qualità dell'istruzione e della formazione professionali, GU C 100 del 30.4.2009, pag. 136.

(4)  Eurostat, Labour Force Survey, DS-073433, marzo 2010.

(5)  Joint contribution of EPSU (European Federation of Public Service Unions, Federazione sindacale europea dei servizi pubblici) and ETUC (European Trade Union Confederation, Confederazione europea dei sindacati) to the EC consultation on the employment potential of the personal and household services; Bruxelles, 18 luglio 2012.

(6)  COM(2011) 709 final.

(7)  The 2012 Ageing Report (relazione sull'andamento demografico), serie European Economy n. 4/2011, Commissione europea, DG Affari economici e finanziari.

(8)  Report of EPSU Study on pay in the care sector in relation to overall pay levels and the gender pay gap in different countries in the European Union (relazione a cura della Federazione sindacale europea dei servizi pubblici), J. Pillinger, febbraio 2010.

(9)  COM(2010) 2020 final, con le iniziative prioritarie come l'Unione dell'innovazione e l'Agenda digitale europea.

(10)  Parere CESE in merito alla Comunicazione della Commissione Combattere il divario di retribuzione tra donne e uomini, GU C 211 del 19.8.2008, pag. 54; parere CESE in merito alla Comunicazione della Commissione Una tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010, GU C 318 del 23.12.2006, pag. 173; la Carta sull'integrazione delle politiche relative al genere nei sindacati, congresso della Confederazione europea dei sindacati a Siviglia il 23.5.2007 e Manuale per l'integrazione delle politiche di genere nelle politiche occupazionali, Commissione europea, luglio 2007.

(11)  Report of EPSU Study on pay in the care sector in relation to overall pay levels and the gender pay gap in different countries in the European Union (relazione a cura della Federazione sindacale europea dei servizi pubblici), J. Pillinger, febbraio 2010.

(12)  Banca dati AMECO (Annual macroeconomic database) – Employment in EuropeEU KLEMS Accounts (Capital (K), Labour (L), Energy (E), Material (M) and Service inputs (S)). Quarterly review, a cura della Commissione europea.

(13)  Confederazione europea dei sindacati, relazione sul tema Preparation of Implementation of the Directive on Services in the Internal Market, 2010.

(14)  COM(2011) 66 final.

(15)  Parere CESE sul tema Il ruolo della politica della famiglia nel processo di cambiamento demografico: condividere le buone pratiche tra gli Stati membri (esplorativo), GU C 218 del 23.7.2011, pag. 7, e parere CESE in merito alla comunicazione della Commissione Sostenere la crescita e l’occupazione - un progetto per la modernizzazione dei sistemi d’istruzione superiore in Europa, GU C 181 del 21.6.2012, pag. 143.

(16)  Parere CESE sul tema Servizi di interesse economico generale: come ripartire le responsabilità tra l'UE e gli Stati membri? (iniziativa), GU C 128 del 18.5.2010, pag. 65.

(17)  Cfr. nota 16.

(18)  Cfr. nota 16.

(19)  eHealth Conference 2012, Copenaghen.

(20)  OCSE, Help Wanted? Providing and Paying for Long-Term Care, 2011.

(21)  COM(2011) 900 final.

(22)  COM(2011) 900 final.


15.2.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/23


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Il principio di partenariato nell’attuazione dei fondi del quadro strategico comune — elementi per un codice di condotta europeo sul partenariato»

SWD(2012) 106 final (parere d’iniziativa)

2013/C 44/04

Relatore: PLOSCEANU

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 24 maggio 2012, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Il principio di partenariato nell'attuazione dei fondi del quadro strategico comune — elementi di un codice di condotta europeo sul partenariato

SWD(2012) 106 final.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 novembre 2012.

Alla sua 485a sessione plenaria, dei giorni 12 e 13 dicembre 2012 (seduta del 12 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 158 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) è fermamente convinto che un autentico partenariato, che coinvolga tutti i partner e i soggetti interessati della società civile organizzata (1) nella preparazione, esecuzione e valutazione ex post dei programmi e progetti della politica di coesione dell'UE, contribuisca direttamente a migliorare la qualità e a favorire una buona riuscita di questi ultimi. Il principio di partenariato è un eccellente esempio di come la buona governance possa essere applicata ad altre politiche dell'UE garantendo così un'attuazione efficace della strategia Europa 2020.

1.2

Avendo già richiesto l'adozione di un codice di condotta, il CESE sostiene fermamente l'iniziativa della Commissione e condivide appieno le raccomandazioni proposte. Apprezza altresì il sostegno dato al codice dal Parlamento europeo (PE) e dal Comitato delle regioni (CdR); il CESE rammenta tuttavia che il partenariato dovrebbe garantire parità di condizioni per tutti i partner, pubblici e privati.

1.3

Tuttavia, il CESE esprime profondo rammarico per la scelta del Consiglio di sopprimere, per il momento, il codice di condotta dalla proposta della Commissione. Raccomanda quindi un'azione congiunta con il CdR per difendere tale codice.

1.4

Il CESE è molto sensibile alla crescente preoccupazione percepita dalla società civile organizzata riguardo all'attuazione del principio di partenariato. In alcuni Stati membri vengono segnalati una tendenza in atto verso un indebolimento di questo principio e un calo della partecipazione da parte della società civile organizzata. Anche la soppressione del codice di condotta dalla proposta della Commissione costituisce un motivo di forte preoccupazione. Nell'attuale situazione di crisi, infatti, è necessario un impegno ancora più forte delle parti sociali e di altre organizzazioni della società civile.

1.5

Pur trattandosi ancora soltanto di un documento di lavoro dei servizi della Commissione (SWD), il testo in esame arriva al momento giusto, poiché in diversi Stati membri e regioni la programmazione dei fondi strutturali 2014-2020 ha già avuto inizio. La Commissione dovrebbe impegnarsi attivamente a diffonderlo, in modo che possa essere utilizzato dai soggetti interessati. Il CESE esorta i propri membri a intervenire attivamente presso le loro organizzazioni affinché partecipino a progetti e programmi della politica di coesione dell'UE, con l'ausilio del codice di condotta.

1.6

Il CESE desidera sottolineare con forza che i programmi operativi dovrebbero essere finalizzati ad azioni e misure favorevoli al partenariato. Gli orientamenti principali dovrebbero essere la parità di trattamento e il pluralismo nel partenariato, la creazione di partenariati mirati per programmi mirati e il rafforzamento delle azioni di costruzione di capacità.

1.7

Il CESE ritiene che i comitati di sorveglianza dovrebbero essere coadiuvati da altri strumenti di partenariato. A tale proposito il CESE ricorda che la formulazione proposta negli emendamenti del PE all'articolo 5 del regolamento «disposizioni comuni» (RDC): «cooperano con i partner» va sostituita con «associano i partner».

1.8

Il CESE propone di tenere una «verifica del partenariato», gestita dagli stessi partner. Tale sistema di monitoraggio europeo dovrebbe essere basato su una semplice lista di controllo e su valutazioni tra pari realizzate dalla Commissione insieme con le organizzazioni di soggetti interessati europei. Il CESE è molto interessato a partecipare attivamente a questo processo.

1.9

Una corretta applicazione del principio di partenariato, così come definito nel codice di condotta, dovrebbe costituire una condizione preliminare alla firma, da parte della Commissione, dei contratti di partenariato con i diversi Stati membri. In questo contesto, le risorse assegnate ai programmi operativi potrebbero essere integrate come incentivo a soddisfare tale condizione.

2.   Il contesto - evoluzione del concetto di partenariato

2.1

Sin dagli inizi, nel 1988, l'attuazione del principio di partenariato è stata lenta e frammentata. La società civile organizzata è stata coinvolta nel processo, specialmente le parti sociali. Il principio è stato più facilmente adottato nei paesi in cui il partenariato era già una componente intrinseca della definizione delle politiche. Il principio è stato rafforzato quando la Commissione ha assunto maggiori responsabilità dirette nella politica di coesione e sono state istituite iniziative comunitarie come Equal e Leader.

2.2

Tuttavia, in molti casi il partenariato è rimasto unicamente sulla carta. Nel periodo di programmazione 2006-2013 il partenariato non è stato promosso attivamente, benché nello stesso tempo la partecipazione dei soggetti interessati sia divenuta un elemento fondamentale per l'attuazione della strategia di Lisbona. La politica di coesione dell'UE ha dovuto affrontare nuove sfide con l'ingresso di dieci paesi nel 2004, seguiti da altri due, Bulgaria e Romania, nel 2007.

2.3

La Commissione ha individuato delle carenze nell'attuazione di questo principio, e i partner della società civile hanno criticato gli insuccessi. Come reazione alle nuove relazioni tra Stati membri e Commissione nella gestione della politica di coesione, una particolare attenzione è stata rivolta alla diffusione di buone pratiche.

2.4

Nel 2009 la Commissione ha chiesto al CESE di elaborare un parere esplorativo su come promuovere il partenariato nei fondi strutturali sulla base delle buone pratiche. Il parere del CESE, all'epoca, è stato integrato da una pubblicazione, Il tango si balla in due, che presentava una selezione delle buone pratiche attuate negli Stati membri. La proposta, avanzata dal CESE, di adottare un codice di buone pratiche è stata da allora accolta dalla Commissione.

2.5

La situazione attuale mostra che il partenariato con la società civile organizzata si sta evolvendo in gran parte degli Stati membri. La Polonia può servire da modello per alcuni aspetti legati alle buone pratiche che essa sta sviluppando. L'attuazione del partenariato è indubbiamente una sfida per gli ultimi arrivati, come la Bulgaria, la Romania e, ben presto, la Croazia. Questo vale anche per alcuni Stati che hanno aderito all'UE nel 2004, come pure per altri che sono membri da diversi anni, come Portogallo e Grecia.

2.6

Si registra, in effetti, una crescente preoccupazione nella società civile organizzata per quanto riguarda l'attuazione del principio di partenariato. Le aspettative non sono soddisfatte. In alcuni Stati membri si segnalano una tendenza in atto verso un indebolimento di questo principio e un calo della partecipazione da parte della società civile organizzata, a cui si aggiunge la soppressione del codice di condotta da parte del Consiglio. In alcuni paesi, ad esempio, la programmazione per il periodo 2014-2020 ha avuto inizio senza che i soggetti interessati del settore privato fossero veramente invitati a contribuire. Occorre intervenire su questa mancanza di volontà politica per consentire una piena applicazione del codice di condotta.

3.   La proposta della Commissione

3.1

La proposta della Commissione relativa ai fondi del quadro strategico comune (QSC) per il periodo 2014-2020 impone espressamente agli Stati membri di organizzare un partenariato sulla base di un codice di condotta europeo in materia (CCP), che stabilirà obiettivi e criteri per l'attuazione dei partenariati e agevolerà lo scambio di informazioni, esperienze, risultati e buone pratiche tra gli Stati membri. Il CCP sarà adottato dalla Commissione come atto delegato entro tre mesi dall'entrata in vigore del regolamento «disposizioni comuni» (RDC).

3.2

Il documento di lavoro dei servizi della Commissione (SWD) costituisce un primo passo per dare effettiva attuazione al principio di partenariato. Esso elenca 18 orientamenti dettagliati all'interno dei seguenti 6 capitoli:

quali partner scegliere;

come coinvolgere i partner nella preparazione dei documenti di programmazione;

come coinvolgere i partner nella fase di attuazione;

come coinvolgere i partner nella valutazione;

assistenza ai partner;

scambio continuativo di buone pratiche.

3.3

Va osservato che il CCP proposto è stato tradotto in tutte le lingue dell'UE, il che dovrebbe facilitarne la diffusione e l'uso.

4.   Precedenti lavori del CESE sul tema del partenariato

4.1

Su specifica richiesta della Commissione europea, il CESE si è occupato del principio di partenariato nel 2010 (ECO/258 – relatore: Olsson) (2) e ha ampiamente commentato le proposte della Commissione in materia nel parere sull'RDC (ECO/314 – relatore: Vardakastanis).

4.2

Il CESE ha proposto che il codice di buone pratiche fosse basato su diversi orientamenti, quasi tutti presi in considerazione nell'SWD della Commissione:

un piano di informazione/consultazione/partecipazione per coinvolgere i partner;

responsabilità delle pubbliche autorità;

selezione dei partner da un'ampia gamma di gruppi della società;

assistenza tecnica ai partner;

partenariato come criterio per i progetti;

semplificazione di procedure e controlli;

riduzione dei tempi dei pagamenti.

4.3

Il CESE è fermamente convinto che il partenariato, che coinvolge tutti i partner e i soggetti interessati - definiti all'articolo 5, paragrafo 1, dell'RDC - nella preparazione, attuazione e valutazione ex post dei progetti avviati nel quadro della politica di coesione dell'UE, contribuisca direttamente al successo di quest'ultima. Si compiace del progresso rappresentato dall'articolo 5 della proposta della Commissione, che fa del partenariato una caratteristica obbligatoria; ricorda che la partecipazione dovrebbe essere reale in tutte le fasi dell'applicazione dei fondi, comprendendo anche i partner con diritto di voto nei comitati di sorveglianza.

4.4

Il CESE invita quindi ad agire di concerto con il CdR per difendere tale codice e chiede alla Commissione e al PE di annullare la soppressione del codice effettuata dal Consiglio. Il CESE ha affermato con forza queste posizioni nella riunione ministeriale informale tenutasi a Nicosia il 6 novembre 2012.

5.   Prime reazioni delle altre istituzioni dell'UE

Consiglio

5.1

Il Consiglio ha respinto la proposta della Commissione in merito ad un codice di condotta, il che indubbiamente indebolirà nella pratica l'attuazione del principio di partenariato.

Parlamento europeo

5.2

Il Parlamento europeo ha proposto un emendamento globale al codice di condotta previsto all'articolo 5 dell'RDS, sulla base di nove specifiche. Il CESE approva l'approccio contenuto nel suddetto emendamento (3). Il CESE è preoccupato, tuttavia, dal fatto che il Parlamento tracci una distinzione tra partner pubblici e privati: questo potrebbe aprire la strada a un trattamento diseguale dei partner.

Comitato delle regioni

5.3

Il CdR appoggia il codice di condotta e invita gli enti territoriali interessati ad organizzare dei partenariati. Tra le altre cose, sottolinea che si dovrebbe tenere conto delle condizioni specifiche degli Stati membri, dell'importanza della sussidiarietà e della proporzionalità, del fatto che la procedura di selezione dei partner deve sostenere il pluralismo per includere anche i gruppi emarginati. Il CdR solleva altresì la questione dei diritti e delle responsabilità dei partner, distinguendo anche tra partner privati e pubblici.

6.   Reazioni della società civile organizzata

6.1

La società civile organizzata europea ritiene che l'assenza di partenariato figuri tra le ragioni principali dello scarso impatto dei fondi strutturali in diversi Stati membri nel periodo 2007-2013.

6.2

Si dovrebbe affermare più chiaramente che la società civile organizzata rappresenta l'interesse generale, accanto alle pubbliche autorità.

6.3

La società civile organizzata è spesso esclusa da un autentico e reale partenariato per la presenza di barriere create da regole di cofinanziamento, oneri amministrativi, obiettivi inadeguati dei programmi operativi nazionali nonché dalla scarsa partecipazione al monitoraggio dei fondi.

6.4

La società civile organizzata prende atto degli sforzi compiuti dalla Commissione per semplificare le procedure, ma li reputa ancora insufficienti ad assicurare un assorbimento facile e tempestivo dei fondi da parte del settore privato in generale. Permangono un'eccessiva complessità e troppi oneri amministrativi, e la burocrazia deve essere ridotta. Occorre tenere conto delle seguenti esigenze:

standardizzare la documentazione (puntuale, facilmente accessibile, comprensibile);

evitare di introdurre modifiche durante l'attuazione;

introdurre tassi di cofinanziamento flessibili;

ridurre i ritardi nei pagamenti.

6.5

La società civile organizzata sottolinea l'importanza della costruzione di capacità per i partner, e chiede che venga inserita una definizione di questo concetto. Per «costruzione di capacità» si dovrebbe intendere il rafforzamento della partecipazione dei partner alla preparazione, all'applicazione e al monitoraggio dei fondi strutturali in tutte le fasi.

6.6

Il CESE segnala la necessità di instaurare un ampio partenariato che dovrebbe rappresentare una grande varietà di interessi differenti. Bisognerebbe inoltre stabilire delle modalità chiare per determinare le responsabilità e le funzioni di questi diversi partner.

7.   Osservazioni generali

7.1

Dare effettiva attuazione al principio di partenariato è un processo costante. La proposta della Commissione costituisce un primo passo per formalizzare e codificare tale principio a livello UE. Il CESE nota con soddisfazione che sia il PE sia il CdR sono favorevoli ad un'attuazione effettiva del principio di partenariato. Tale principio costituisce, infatti, un eccellente esempio di come la buona governance possa essere applicata ad altre politiche dell'UE garantendo così un'attuazione efficace della strategia Europa 2020.

7.2

Il CESE è molto preoccupato per l'intenzione del Consiglio di limitare il principio di partenariato ritornando alle norme, più restrittive, attualmente vigenti per il periodo di programmazione 2006-2013; esorta quindi la Commissione e il PE a invertire questo orientamento.

8.   Osservazioni specifiche

8.1

Dato che la programmazione dei fondi strutturali per il periodo 2014-2020 ha già avuto inizio in diversi SM, è importante che sia le pubbliche amministrazioni sia la società civile organizzata possano avvalersi dell'SWD della Commissione. Il CESE apprezza in particolare il fatto che il codice di condotta sia stato tradotto in tutte le lingue ufficiali dell'UE. La Commissione dovrebbe diffondere attivamente tali proposte negli Stati membri, in cooperazione sia con la pubblica amministrazione che con la società civile organizzata.

8.2

Il CESE ritiene che nelle proposte della Commissione non sia stato sufficientemente sviluppato l'aspetto del monitoraggio. Si dovrebbe mettere in atto, insieme con le organizzazioni di soggetti interessati europei, un sistema di monitoraggio europeo basato su una semplice lista di controllo e su valutazioni tra pari. Il CESE è particolarmente interessato a partecipare a questo processo.

8.3

La lista di controllo dovrebbe essere basata su una serie di specifiche minime, riguardanti soprattutto la selezione dei partner, la loro partecipazione alle diverse fasi e la creazione di capacità. Si dovrebbero anche valutare le modalità con cui vengono risolti i conflitti di interesse. Le specifiche potrebbero essere corredate di un'analisi SWOT (punti di forza e di debolezza, opportunità e rischi) per aprire la strada a ulteriori miglioramenti.

8.4

Nell'ambito di questo sistema i partner/soggetti interessati privati dovrebbero effettuare una «verifica del partenariato» basata sulla lista di controllo di cui sopra. Il CESE propone uno schema di valutazione semplice, strutturato su tre livelli: insufficiente/sufficiente/eccellente. Tale verifica rafforzerebbe la partecipazione dei partner alla valutazione, come proposto nell'SWD.

8.5

Il CESE ricorda che la formulazione proposta nell'emendamento del PE all'articolo 5 dell'RDC: «cooperano con i partner» va sostituita con «associano i partner».

8.6

Il CESE ribadisce la proposta, precedentemente formulata, per cui le regioni che intendono condividere la propria esperienza e divulgare le buone pratiche dovrebbero istituire una «rete di eccellenza delle regioni in materia di partenariato».

8.7

Le buone pratiche presentate nell'opuscolo del CESE Il tango si balla in due sono state accolte con grande interesse: potrebbe essere molto utile sperimentarle in altri paesi (anche se i partenariati devono essere adeguati alla situazione di ciascuno Stato). Il CESE propone di aggiornare l'opuscolo presentandone un'edizione riveduta che contenga gli insegnamenti tratti dalle cattive pratiche.

8.8

Il CESE sottolinea l'importanza di coinvolgere i partner, sin dalla primissima fase, in un dialogo nel quadro di un programma di lavoro (piano di informazione/consultazione/partecipazione) e di una tabella di marcia precisa come proposto dallo stesso CESE e sostenuto dalla Commissione. Tale processo deve essere definito anche nel contratto di partenariato. Una corretta applicazione del principio di partenariato, così come definito nel codice di condotta, dovrebbe costituire una condizione preliminare alla firma, da parte della Commissione, dei contratti di partenariato con i diversi Stati membri. Il CESE propone di utilizzare le risorse dei programmi operativi a favore della costruzione di capacità dei partner, come incentivo a soddisfare tale condizione.

8.9

La selezione dei partner dovrebbe avvenire all'insegna del «pluralismo nel partenariato». Accanto ai partner socioeconomici e agli organismi pertinenti della società civile, vanno inclusi anche altri soggetti, quali i settori innovativi ed emergenti della società come pure i gruppi marginali, che devono avere accesso e svolgere un ruolo all'interno del partenariato. Per questi settori è molto utile il modello delle piattaforme di coordinamento. Anche le piccolissime imprese e le microimprese (con il loro notevole potenziale di creazione di posti di lavoro), come pure l'economia sociale (come seguito dell'iniziativa per l’imprenditoria sociale), devono essere coinvolte come partner economici nel partenariato.

8.10

La proposta concentrazione tematica dei programmi, così come altre modalità per indirizzarli verso determinati destinatari - dal punto di vista geografico, oppure per gruppi, settori, ecc. -, faciliteranno la costituzione di partenariati mirati e più efficaci.

8.11

I lavori svolti dai comitati di sorveglianza sono spesso estremamente formali e non soddisfano la domanda di un autentico partenariato. Tali comitati dovrebbero essere integrati da organi consultivi, gruppi di lavoro e altri strumenti di partenariato per rafforzare questo processo.

8.12

La costruzione di capacità è necessaria per garantire che i partner di tutti gli SM diano un contributo sostanziale al processo. A questo fine si dovrebbe ricorrere all'assistenza tecnica, ma anche a fondi propri degli Stati membri.

Bruxelles, 12 dicembre 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  La società civile organizzata è definita dal CESE come quella parte della società civile che trova espressione in organizzazioni che costituiscono esse stesse delle componenti fondamentali della società. In altri termini, la società civile organizzata comprende tutte le organizzazioni non statali sorte per iniziativa privata, i membri delle quali partecipano attivamente alla definizione delle politiche pubbliche sulla base dei loro interessi e delle loro conoscenze, competenze e aree di azione specifiche. Tale definizione copre un'ampia gamma di organizzazioni: federazioni di datori di lavoro, sindacati, associazioni create per promuovere questioni di interesse generale, come pure quelle che vengono definite organizzazioni non governative (ONG).

(2)  Parere CESE sul tema Come favorire partenariati efficaci nella gestione dei programmi della politica di coesione sulla base delle buone prassi del ciclo 2007-2013, GU C 44 dell'11.2.2011, pag. 1.

(3)  

3 bis.

Il codice europeo di condotta deve delineare, tra l'altro, le seguenti specifiche:

a)

i requisiti minimi per garantire la trasparenza nella scelta dei partner e la chiarezza circa il loro ruolo nel processo politico e le loro responsabilità;

b)

i requisiti minimi, le raccomandazioni e le indicazioni su come individuare i partner pertinenti, tra cui le autorità a diversi livelli territoriali, le parti economiche e sociali, la società civile, le comunità religiose, gli enti scientifici e tecnologici e gli organismi preposti alla promozione della parità di genere, dell'inclusione sociale e della non discriminazione o attivi nei settori della cultura, dell'istruzione e della politica in materia di gioventù;

c)

la procedura di cooperazione tra le autorità nazionali, regionali e locali competenti;

d)

l'orientamento su come adattare il partenariato ai programmi, comprese le specificità dei programmi multifondo, dei piani d'azione congiunti e degli investimenti territoriali integrati;

e)

i requisiti minimi per garantire una significativa partecipazione dei partner alle attività di preparazione del contratto di partenariato e dei programmi;

f)

i requisiti minimi in termini di procedure stabilite per garantire l'efficace organizzazione dei partenariati;

g)

l'orientamento sulla partecipazione dei partner ai comitati di sorveglianza, alla scelta dei progetti, al monitoraggio e alla valutazione;

h)

i requisiti minimi per fornire un orientamento ai partner e favorire lo sviluppo di capacità tra gli stessi;

i)

la descrizione del quadro per lo scambio di buone pratiche tra gli Stati membri.


15.2.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/28


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Attuazione e monitoraggio della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità da parte delle istituzioni dell’UE, e ruolo del CESE al riguardo» (parere d’iniziativa)

2013/C 44/05

Relatore: VARDAKASTANIS

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 aprile 2012, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema

Attuazione e monitoraggio della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità da parte delle istituzioni dell'UE, e ruolo del CESE al riguardo.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 novembre 2012.

Alla sua 485a sessione plenaria, dei giorni 12 e 13 dicembre 2012 (seduta del 12 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 144 voti favorevoli, nessun voto contrario e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sollecita il Consiglio a riaprire i negoziati sulla firma di un Protocollo opzionale alla Convenzione dell'ONU sui diritti delle persone con disabilità al fine di garantire che i disabili europei possano pienamente godere di tale Convenzione.

1.2

Il CESE invita i presidenti del Consiglio europeo, della Commissione europea e del Parlamento europeo ad organizzare, nel dicembre 2013, un secondo Stato dell'Unione sulla disabilità co-presieduto dal Forum europeo per le disabilità, al fine di rivedere l'attuazione della Convenzione.

1.3

Il CESE sottolinea che nella Convenzione figurano obblighi che comportano cambiamenti legislativi e politici a livello UE e di Stati membri e che la situazione finanziaria non può essere un pretesto per rinviare l'azione sui diritti dei disabili.

1.4

Il CESE chiede alla Commissione che l'attuazione della strategia sulla disabilità venga riesaminata in profondità e con la partecipazione di tutte le parti interessate, come parte integrante della futura strategia globale dell'UE, rivedendo tra l'altro le norme, le politiche e i programmi esistenti ed elaborando nuove proposte.

1.5

Invita pertanto la Commissione europea, e in particolare il suo segretariato generale, a creare uno strumento per valutare l'impatto della Convenzione.

1.6

Il CESE si compiace del fatto che il Consiglio abbia istituito ufficialmente un sistema indipendente per promuovere, tutelare e monitorare l'attuazione della Convenzione, e invita ad adottare una voce di bilancio apposita, che consentirà ai partecipanti a tale sistema di svolgere i propri compiti in piena indipendenza dai punti di contatto governativi.

1.7

Il CESE spera di essere consultato dalla Commissione europea in merito ad una proposta legislativa ambiziosa di Atto europeo in materia di accessibilità, che abbia un ambito di applicazione il più ampio possibile, che contenga per i fornitori di servizi e per i fabbricanti pubblici e privati l'obbligo di garantire la piena accessibilità ai disabili e che definisca in modo chiaro ed esauriente il concetto stesso di accessibilità.

1.8

Il CESE approva che nell'Agenda digitale siano state inserite le norme sull'accessibilità dei siti web pubblici e dei siti web che forniscono servizi fondamentali ai cittadini. Spera che nel 2012 venga presentata una solida normativa in materia.

1.9

Il CESE invita il Consiglio e il Parlamento europeo a potenziare o a mantenere le disposizioni a favore dei disabili nei regolamenti sui fondi strutturali, nel Meccanismo per collegare l'Europa (1), nei regolamenti RTE-T, nel programma Orizzonte 2020 (2), nel programma Diritti e cittadinanza e nei programmi definiti nei settori della cooperazione allo sviluppo e degli aiuti umanitari, inserendo disposizioni che garantiscano la partecipazione dei disabili attraverso il finanziamento e la formazione delle capacità.

1.10

Il CESE chiede al Servizio europeo di azione esterna, alla Commissione europea e al Consiglio di garantire l'integrazione della Convenzione nelle relazioni esterne e nella cooperazione internazionale nonché negli accordi commerciali internazionali, assicurando, tra le altre cose, il coordinamento delle posizioni dell'UE e degli Stati membri sui diritti dei disabili nei vari organi delle Nazioni Unite.

1.11

Il CESE sollecita le istituzioni europee a prendere le iniziative appropriate per attuare a livello interno la Convenzione, rivedendo sia le loro pratiche in termini di occupazione, condizioni lavorative, assunzione, formazione, accessibilità degli edifici, ambiente di lavoro e strumenti di comunicazione, sia i requisiti imposti alle agenzie finanziate dall'UE.

1.12

Il CESE prende atto dell'impegno assunto nel dicembre 2011 dal Presidente della Commissione Barroso di discutere l'attuazione della Convenzione ad una riunione del Collegio dei commissari e dei direttori generali e chiede che questo punto figuri annualmente all'ordine del giorno.

1.13

Il CESE approva l'organizzazione di un forum di lavoro al quale prendano parte gli appositi punti di contatto governativi, i meccanismi di coordinamento e i sistemi indipendenti dell'UE e degli Stati membri incaricati di attuare la Convenzione e infine la società civile, ed esprime il suo interesse a partecipare alle prossime riunioni.

1.14

Il CESE spera di poter contribuire, attraverso un suo parere, alla relazione che l'UE presenterà al Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dei disabili nel 2013.

1.15

Ritiene inoltre suo dovere prendere provvedimenti adeguati per attuare la Convenzione a livello interno e ottemperare ai suoi obblighi promuovendo l'occupazione delle persone disabili nel CESE, garantendo procedure di assunzione non discriminatorie, migliorando l'accessibilità degli edifici, dei siti web, degli strumenti relativi alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione e dei documenti, assicurando condizioni adeguate ai dipendenti, ai membri e agli esperti, organizzando attività di formazione per il proprio personale, anche mediante la pubblicazione di un opuscolo sulla Convenzione e inserendo la dimensione disabilità in tutte le sue attività.

1.16

Il CESE sottolinea la necessità di un monitoraggio e di un'applicazione sistematici della Convenzione da parte delle istituzioni dell'UE e pertanto si impegna a creare un apposito comitato direttivo sull'attuazione e il monitoraggio della Convenzione, incaricato di chiedere alle istituzioni europee di riferire in merito al loro lavoro e di raccogliere le reazioni sia delle persone disabili attraverso le loro organizzazioni rappresentative sia della società civile, al fine di disporre di un punto di vista indipendente sui progressi effettuati nell'attuazione della Convenzione.

1.17

Propone di organizzare una riunione sull'attuazione della Convenzione, con la partecipazione dei consigli economici e sociali, delle organizzazioni della società civile e degli organi nazionali competenti in materia di diritti umani.

1.18

Chiede infine agli interlocutori sociali di integrare l'attuazione della Convenzione in tutti gli accordi collettivi sulla base di orientamenti concordati.

2.   Introduzione

2.1

Tra le persone disabili figurano individui con menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali a lungo termine. Tali menomazioni possono, se interagiscono con una serie di ostacoli, impedire la partecipazione piena e concreta di tali persone alla società, su un piede di parità con gli altri.

2.2

L'Europa conta circa 80 milioni di disabili i quali, secondo Eurostat, hanno due o tre volte più possibilità di restare disoccupati rispetto ai non disabili. Solo il 20 % delle persone colpite da gravi disabilità hanno un lavoro, rispetto al 68 % dei non disabili. I disabili hanno più del 50 % di possibilità in meno di conseguire un'istruzione superiore rispetto ai non disabili. Infine, solo il 38 % dei cittadini europei disabili di età compresa tra i 16 e i 34 anni dispongono di un reddito, rispetto al 64 % dei non disabili.

2.3

Il CESE desidera in tale contesto fare riferimento ai propri pareri in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Strategia europea sulla disabilità 2010-2020: un rinnovato impegno per un'Europa senza barriere  (3) e sul tema Giovani con disabilità: occupazione, inclusione e partecipazione alla società  (4).

2.4

Il CESE fa presente che la Convenzione dell'ONU sui diritti delle persone con disabilità e il suo protocollo opzionale sono stati adottati il 13 dicembre 2006 nella sede delle Nazioni Unite di New York, aperti alla firma il 30 marzo 2007 ed entrati in vigore il 3 maggio 2008.

2.5

Fa inoltre osservare che la Convenzione ha goduto di un ampio sostegno internazionale e ha già ricevuto 154 firme e 126 ratifiche. Il protocollo opzionale, da parte sua, ha finora ricevuto 90 firme e 76 ratifiche. Tutti i 27 Stati membri dell'UE hanno firmato la Convenzione e 24 l'hanno già ratificata.

2.6

Il CESE sottolinea che la Convenzione è uno strumento integrale nel campo dei diritti umani che copre diritti civili, politici, economici, sociali e culturali. In essa si ribadisce che tutte le persone disabili devono godere appieno dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

2.7

Il CESE sottolinea che la Convenzione copre tutte le persone con disabilità e riconosce espressamente che la discriminazione multipla, basata sia sulla disabilità sia su altri fattori quali il gruppo etnico di appartenenza, il sesso o le condizioni economiche, costituisce un problema significativo che può essere affrontato solo attraverso un approccio multidisciplinare che tenga conto delle diverse cause di questa forma complessa di discriminazione.

2.8

Il CESE fa osservare che la Convenzione contiene, tra l'altro, disposizioni in materia di uguaglianza e non discriminazione, accessibilità, libertà di movimento e cittadinanza, accesso alla giustizia, diritto di non essere sottoposti a violenza, vita indipendente e inclusione nella comunità, diritto alla vita familiare, mobilità personale, istruzione, occupazione, salute, protezione sociale, cooperazione internazionale, protezione civile. La Convenzione concerne anche la partecipazione delle persone disabili ai processi decisionali attraverso le loro organizzazioni rappresentative e l'integrazione delle tematiche relative alle donne e ai bambini con disabilità.

2.9

Il CESE sottolinea inoltre che la Convenzione introduce un cambio di prospettiva, considerando i disabili non come «oggetti» destinatari della carità e di un trattamento medico bensì come «soggetti» che godono di diritti, in grado di rivendicarli e di decidere della propria vita in base ad un consenso libero e informato. Ridare voce ai disabili, dare loro la possibilità di scegliere liberamente e incrementare le loro opportunità sono questioni chiave nella Convenzione.

2.10

Il CESE approva che la Convenzione specifichi in modo chiaro che i disabili godono di tutti i tipi di diritti umani, indipendentemente dall'intensità del sostegno di cui hanno bisogno, e individua i settori in cui occorre operare cambiamenti per garantire l'esercizio e la tutela dei loro diritti.

2.11

Il CESE riconosce che la Convenzione è il primo Trattato internazionale sui diritti umani ad essere aperto alla ratifica da parte delle organizzazioni d'integrazione regionale quali ad esempio l'UE, e fa riferimento alla decisione del Consiglio del 26 novembre 2009 relativa alla conclusione, da parte della Comunità europea, della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (5) nella quale la Commissione è designata punto di contatto per gli aspetti relativi all'applicazione di tale Convenzione.

2.12

Il CESE sottolinea che la decisione comprende una serie di settori che rientrano nella sfera di competenza esclusiva o condivisa dell'Unione: l'elenco è evolutivo ed è probabile che nel tempo si arricchisca. Tra i settori di competenza esclusiva figurano la compatibilità degli aiuti di Stato con il mercato comune e la tariffa doganale comune. Tra i settori di competenza condivisa troviamo le azioni di lotta alla discriminazione per motivi legati alla disabilità, la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali, l'agricoltura, il trasporto ferroviario, stradale, marittimo e aereo, la fiscalità, il mercato interno, la parità salariale fra uomini e donne che fanno un lavoro di uguale valore, la politica delle reti transeuropee e le relative statistiche.

2.13

Il CESE rimanda al Codice di condotta concluso tra il Consiglio, gli Stati membri e la Commissione (6) che stabilisce, d'intesa tra le tre parti, disposizioni relative a diversi aspetti dell'applicazione della Convenzione, alla rappresentanza all'interno degli organi creati dalla Convenzione, alle procedure per l'elaborazione della relazione dell'UE al comitato dell'ONU sui diritti delle persone con disabili e alla procedura per istituire un quadro di monitoraggio relativo a uno o più meccanismi indipendenti con la partecipazione della società civile.

3.   La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità: le implicazioni della prima adesione dell'UE ad un Trattato sui diritti umani

3.1

Il CESE approva il fatto che l'Unione europea sia diventata, per la prima volta nella sua storia, parte di una convenzione internazionale sui diritti umani quando il 23 dicembre 2010 ha concluso la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Riconosce inoltre il ruolo di leader svolto dall'UE e dai suoi Stati membri nonché dal movimento europeo dei disabili attraverso il Forum europeo per la disabilità nella elaborazione della Convenzione e ritiene che l'UE abbia una responsabilità particolare nell'intensificare gli sforzi a favore dell'applicazione e del monitoraggio della Convenzione e nel servire da modello per altre regioni del mondo.

3.2

Il CESE sollecita il Consiglio a riaprire i negoziati sulla conclusione del Protocollo opzionale della Convenzione, che consente ai singoli cittadini o a gruppi di presentare, come ha proposto la Commissione europea nel 2008, ricorso al comitato dell'ONU sui diritti delle persone con disabilità una volta esauriti tutti i mezzi giuridici disponibili all'interno dell'UE. Questo consente di prevenire eventuali lacune e di eliminare le lacune esistenti in materia di protezione delle persone disabili ogni qual volta vi siano delle violazioni di diritti in settori di competenza dell'UE.

3.3

Il CESE chiede alla Commissione di prevedere la ratifica di altri trattati nel campo dei diritti umani, ad esempio la Convenzione sui diritti del fanciullo o la Convenzione sulla eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, inclusi i protocolli opzionali che vi sono allegati. Chiede inoltre all'UE di partecipare ai colloqui attualmente in corso all'interno del gruppo di lavoro permanente delle Nazioni Unite che prevede l'elaborazione di un nuovo Trattato dell'ONU sui diritti umani relativo ai diritti degli anziani, e di garantire che il suo lavoro sia pienamente coerente con la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità.

3.4

Il CESE riconosce che, in quanto parte della Convenzione, l'Unione europea deve rispettare tutti gli obblighi in essa stabiliti entro i limiti delle sue competenze, compreso quello di presentare periodicamente una relazione al comitato della Convenzione.

3.5

Il CESE sottolinea che gli articoli 10 e 19 del TFUE e gli articoli 21 e 26 della Carta dei diritti umani fondamentali dell'UE forniscono un riferimento chiaro alla protezione dei diritti dei disabili (7).

3.6

Il CESE chiede alle istituzioni europee di emanare disposizioni legislative e di elaborare programmi e politiche al fine di applicare pienamente la Convenzione in quei settori che rientrano nella sfera di competenza esclusiva e condivisa dell'Unione e di rivedere la legislazione e le politiche esistenti onde assicurare la totale protezione di tutti i disabili nell'Unione europea.

3.7

Il CESE invita i presidenti del Consiglio europeo, della Commissione europea e del Parlamento europeo ad organizzare, in collaborazione con il Forum europeo per le disabilità un secondo Stato dell'Unione sulla disabilità da tenersi nel dicembre 2013, concernente principalmente l'applicazione della Convenzione (8).

3.8

Il CESE accoglie favorevolmente l'organizzazione, da parte del Parlamento europeo in collaborazione con il Forum europeo per le disabilità, di un Parlamento europeo delle persone disabili, che si terrà nel dicembre 2012 affinché dia un contributo alla relazione dell'UE al comitato della Convenzione.

3.9

Il CESE sollecita le istituzioni europee a prendere azioni adeguate per applicare la Convenzione al loro interno. Tra le misure necessarie figurano le seguenti:

promuovere l'occupazione di persone disabili nelle istituzioni europee ed elaborare politiche per conciliare lavoro e vita familiare;

rivedere i regolamenti interni, le procedure e i metodi di lavoro al fine di assicurare pari opportunità ai lavoratori disabili;

assicurare che nelle procedure di assunzione le persone disabili abbiano l'opportunità di competere con i candidati non disabili su un piede di parità garantendo loro adeguate condizioni;

garantire, laddove necessario, adeguate condizioni per tutti i lavoratori disabili nell'ambito del loro lavoro di tutti i giorni, inclusa l'assistenza personale, l'interpretazione nel linguaggio dei segni, trasporti adeguati, ecc.;

garantire ai disabili l'accesso alla formazione professionale e a quella continua;

migliorare l'accessibilità degli edifici, dei siti web, degli strumenti legati alle TIC e dei documenti;

assicurare che tutte le agenzie dell'UE e gli organi da essa finanziati, tra cui le scuole europee, rispettino la Convenzione;

garantire la partecipazione delle organizzazioni rappresentative dei disabili all' elaborazione delle norme e delle politiche, anche attraverso un finanziamento adeguato.

4.   L'applicazione della Convenzione ONU sui diritti dei disabili da parte dell'UE e degli Stati membri

4.1

Il CESE approva la strategia europea in materia di disabilità 2010-2020, illustrata nella risoluzione del 21 settembre 2011, in quanto strumento politico chiave per implementare la Convenzione dell'ONU sui diritti delle persone con disabilità nell'Unione europea. Al tempo stesso chiede alla Commissione europea di assicurare che la legislazione secondaria esistente e futura rispetti tale Convenzione e preveda la partecipazione e il coinvolgimento dei disabili (9).

4.2

Il CESE chiede una revisione approfondita dell'applicazione della strategia in materia di disabilità con la partecipazione delle parti interessate, anche definendo nuovi obiettivi in questo campo.

4.3

Il CESE chiede al Consiglio e al Parlamento europeo di integrare l'applicazione della Convenzione dell'ONU sui diritti delle persone con disabilità nel quadro finanziario pluriennale dell'UE garantendo che nemmeno un centesimo sia speso in progetti o in infrastrutture che non garantiscano l'accessibilità.

4.4

Il CESE invita il Consiglio e il Parlamento europeo a:

potenziare o a mantenere le disposizioni volte ad attuare la Convenzione dell'ONU nei regolamenti sui fondi strutturali, specie per quanto concerne le condizionalità ex ante (10), i principi di partenariato e i principi orizzontali;

introdurre disposizioni in materia di accessibilità nel Meccanismo per collegare l'Europa e nei regolamenti RTE-T (11);

fare in modo che il programma Orizzonte 2020 (12) garantisca che la ricerca finanziata dall'UE tenga conto delle persone disabili, promuovendo la partecipazione degli utenti e l'accessibilità dei risultati della ricerca, nonché producendo idee nuove e innovative su come applicare la Convenzione nelle norme e nelle politiche dell'UE, comprese quelle in materia di occupazione;

includere disposizioni sulla disabilità nei programmi di sviluppo e di aiuti umanitari dell'UE.

4.5

Il CESE invita la Commissione europea a creare un meccanismo che premi l'eccellenza in termini di conformità alla Convenzione ONU nei progetti finanziati dall'UE relativi allo sviluppo di soluzioni accessibili e all'inclusione delle persone con disabilità.

4.6

Il CESE fa riferimento alle disposizioni sulla disabilità incluse nella strategia Europa 2020, specie per quanto concerne il terzo pilastro sulla inclusione sociale e l'agenda digitale, e chiede di integrare l'applicazione della Convenzione in tutte le iniziative faro.

4.7

Il CESE è preoccupato per l'impatto negativo che le misure di austerità adottate in numerosi Stati membri dell'UE stanno avendo sulle persone disabili e le loro famiglie, aggravando l'esclusione sociale, la discriminazione, la disuguaglianza e la disoccupazione. Sottolinea inoltre che la crisi non può essere un pretesto per rinviare l'attuazione della Convenzione ONU.

4.8

Il CESE chiede al Consiglio europeo di adottare una vera strategia di crescita che preveda misure a favore dei gruppi svantaggiati quali sono i disabili, ad esempio includendo misure per stimolare le opportunità occupazionali, favorendo i servizi che promuovono l'indipendenza e la partecipazione alla collettività, tenendo conto delle persone che divengono disabili in età avanzata, e infine sviluppando infrastrutture accessibili.

4.9

Il CESE invita gli Stati membri ad adottare misure per garantire che i disabili abbiano accesso al mercato del lavoro mediante incentivi fiscali alle imprese e misure che favoriscano l'imprenditorialità, la mobilità occupazionale, la parità di accesso alla protezione sociale e i diritti dei lavoratori.

4.10

Il CESE spera di essere consultato dalla Commissione europea in merito ad una proposta legislativa ambiziosa di Atto europeo in materia di accessibilità, che abbia un ambito di applicazione il più ampio possibile, che contenga per i fornitori di servizi e per i fabbricanti pubblici e privati l'obbligo di garantire la piena accessibilità ai disabili e che definisca in modo chiaro ed esauriente il concetto stesso di accessibilità, coprendo sia gli ambienti virtuali sia quelli costruiti, consentendo l'interoperabilità e la compatibilità con le tecnologie assistive e basandosi sugli standard europei.

4.11

Il CESE chiede al Consiglio di proseguire i lavori sulla proposta di direttiva concernente l'applicazione del principio di pari trattamento tra le persone, indipendentemente dal sesso, dalla religione o dalle convinzioni personali, dalla disabilità, dall'età o dall'orientamento sessuale e di allineare la proposta con la Convenzione dell'ONU includendo una definizione di disabilità e di discriminazione ad essa associata, vietando di discriminare l'accesso ai servizi finanziari e assicurativi, affrontando il problema dell'accesso all'istruzione e, ovviamente, separando la nozione di condizioni adeguate per garantire l'accesso dei singoli cittadini da quella di accessibilità, concetto che comporta un dovere preventivo nei confronti dell'intera categoria dei disabili.

4.12

Il CESE sottolinea che le esigenze delle persone disabili dovrebbero essere integrate in tutti i programmi, le strategie e le politiche a livello UE, rivolgendosi in modo particolare alle donne, ai minori, ai gruppi discriminati come le minoranze etniche e religiose, agli omosessuali e alle lesbiche e agli anziani.

4.13

Il CESE sottolinea inoltre la necessità di garantire il massimo grado di coerenza tra le norme e le politiche interne dell'UE attraverso l'integrazione delle disposizioni della Convenzione nelle sue relazioni esterne, nell'assistenza allo sviluppo e negli aiuti umanitari, anche mediante l'elaborazione di appositi orientamenti.

4.14

Il CESE sollecita in particolare l'UE a coordinare la sua posizione con quella degli Stati membri nei dibattiti ONU che hanno un impatto sui diritti delle persone disabili. L'UE dovrebbe ad esempio assicurare che la sua posizione sul quadro relativo agli obiettivi di sviluppo del millennio tenga conto dei diritti delle persone disabili e che queste ultime vengano menzionate nella revisione completa delle politiche, prevista ogni quattro anni.

4.15

Il CESE chiede all'UE di portare avanti il suo impegno nei confronti della Convenzione anche in altri forum multilaterali attualmente in corso, ad esempio i negoziati che si stanno tenendo presso l'Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale sulla riforma e la liberalizzazione della legislazione relativa ai diritti d'autore.

4.16

Il CESE approva il lavoro svolto finora per quanto concerne il dialogo politico nell'ambito della nuova agenda transatlantica tra gli USA e l'UE sulla riforma in materia di disabilità e, data la prossima ratifica da parte degli Stati Uniti, chiede un ulteriore potenziamento del dialogo politico transatlantico in materia di disabilità al fine di contribuire a far avanzare il processo di riforma globale.

4.17

Il CESE sollecita la Commissione europea a garantire che, all'interno di ciascuna direzione generale, i servizi competenti vengano incaricati di integrare l'applicazione della Convenzione nell'elaborazione delle politiche e delle norme legislative.

4.18

Il CESE chiede al segretariato generale della Commissione di creare uno strumento di valutazione dell'impatto sui diritti dei disabili per quanto concerne tutte le nuove proposte legislative e di includere un modulo sui diritti garantiti dalla Convenzione nella formazione dei nuovi assunti e nella riqualificazione del personale.

4.19

Il CESE sottolinea che conformemente al paragrafo (o) del preambolo e all'articolo 4, paragrafo 3 della Convenzione i disabili devono poter essere coinvolti in tutti i processi decisionali e di formazione delle politiche, nonché in tutte le politiche e i programmi che li riguardano direttamente, e chiede alle istituzioni europee e ai governi nazionali di elaborare procedure adeguate in proposito.

5.   Monitoraggio della Convenzione dell'ONU sui diritti delle persone con disabilità nell'UE

5.1

Il CESE fa osservare che l'articolo 33, paragrafo 2 della Convenzione obbliga gli Stati parti a designare o a creare un proprio dispositivo, comprendenti uno o più meccanismi indipendenti, per «promuovere, proteggere e monitorare» l'applicazione della Convenzione.

5.2

Il CESE chiede al Consiglio di istituire ufficialmente tale dispositivo mediante decisione.

5.3

Il CESE fa osservare che nel designare o creare un tale dispositivo, gli Stati parti devono tener conto del principio di Parigi concernente lo status e il funzionamento delle istituzioni nazionali per la protezione e la promozione dei diritti umani.

5.4

In particolare, il CESE chiede di garantire l'indipendenza del sistema stesso dai punti di contatto governativi e dal meccanismo di coordinamento creato all'interno dell'UE, di definire un mandato per chiunque vi sia coinvolto e di fissare un bilancio che consenta a coloro che partecipano al sistema di portare avanti la loro missione.

5.5

Il CESE sottolinea la necessità di stabilire regole chiare per la consultazione strutturata dei partecipanti al dispositivo nell'ambito dei loro ruoli rispettivi, particolarmente per quanto concerne l'elaborazione della legislazione.

5.6

Il CESE riconosce che conformemente all'articolo 33, paragrafo 3, della Convenzione, la società civile e in particolare i disabili e le organizzazioni che li rappresentano devono essere coinvolti e partecipare attivamente al processo di monitoraggio, anche all'interno dei punti di contatto e dei meccanismi di coordinamento istituti dal Consiglio ai fini dell'applicazione della Convenzione.

5.7

Il CESE ritiene che il Forum europeo per le disabilità, in quanto organizzazione che rappresenta gli 80 milioni di disabili in Europa, dovrebbe essere coinvolto nel monitoraggio della Convenzione a livello europeo e in tutti i processi politici e decisionali sul piano UE relativi alla vita delle persone con disabilità.

5.8

Il CESE crede fermamente che il partenariato sia uno strumento necessario per lo sviluppo economico e sociale sostenibile e che debba basarsi su una prospettiva a lungo termine di partecipazione reale della società civile, cosa che comprende anche una costante formazione delle capacità di tutti i partner e la fornitura di mezzi adeguati di partecipazione (13).

5.9

Il CESE sollecita l'UE a includere nel futuro programma di finanziamento Diritti e cittadinanza risorse a sostegno dell'applicazione della Convenzione, sufficienti a coprire anche la formazione delle capacità e il finanziamento destinato alle organizzazioni rappresentative delle persone con disabilità.

5.10

Il CESE riconosce l'importanza di istituire a livello UE un quadro di conformità alla Convenzione al quale i paesi al di fuori dell'UE, in particolare se appartenenti ad organizzazioni regionali, possano guardare come esempio.

5.11

Il CESE sottolinea che l'UE deve presentare la sua prima relazione periodica al comitato della Convenzione all'inizio del 2013 e spera di essere consultato dalla Commissione europea nella sua elaborazione insieme ad una serie di parti interessate, tra cui la società civile e in particolare il movimento dei disabili.

5.12

Il CESE accoglie favorevolmente tutte le azioni proposte dalla Commissione europea e da Eurostat per migliorare e incrementare la raccolta dei dati e la produzione di statistiche e di indicatori particolareggiati sulla disabilità, al fine di elaborare politiche più efficaci e monitorare in modo più adeguato la loro applicazione. Il CESE attende la pubblicazione dei dati proveniente dal modulo ad hoc sulla disabilità incluso nell'indagine sulla forza lavoro del 2011 e invita la Commissione, Eurostat, l'Agenzia per i diritti fondamentali e gli Stati membri a introdurre sistematicamente il problema della disabilità in tutte le principali indagini e a sviluppare indagini e indicatori che consentano di misurare l'interazione tra le persone con disabilità e gli ostacoli che esse incontrano nella loro vita di tutti i giorni, nonché l'impatto degli strumenti di intervento concepiti per eliminare tali ostacoli.

5.13

Il CESE sollecita l'UE e gli Stati membri ad elaborare campagne di sensibilizzazione sui diritti e gli obblighi sanciti dalla Convenzione rivolgendosi alle autorità pubbliche a tutti i livelli, alle imprese private, ai mezzi di comunicazione, alle università, ai centri di ricerca, alle scuole, ai servizi sociali e sanitari.

5.14

Il CESE chiede agli Stati membri di assicurare l'applicazione della Convenzione ai diversi livelli decisionali integrando le sue disposizioni nella legislazione, nelle politiche e nelle decisioni amministrative ed elaborando piani d'azione sulla disabilità in conformità con la Convenzione.

5.15

Il CESE desidera promuovere i partenariati tra le organizzazioni sindacali, quelle degli imprenditori, dell'economia sociale e dei disabili al fine di favorire l'accesso dei disabili all'occupazione in linea con la Convenzione.

6.   Il CESE e la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità – applicazione sul piano interno

6.1

Il CESE ritiene di dover adottare misure adeguate per applicare al proprio interno la Convenzione e rispettarne gli obblighi. Questo prevede in particolare:

favorire l'occupazione dei disabili nel CESE sviluppando tra le altre cose un programma di apprendistato e promuovendo la candidatura di esperti nazionali disabili tra il personale distaccato;

assicurare processi di assunzione non discriminatori nei confronti dei candidati disabili;

fornire ai disabili l'accesso a servizi di collocamento e a corsi di formazione professionale e continua;

migliorare l'accessibilità degli edifici, dei siti web, degli strumenti TIC e dei documenti;

garantire condizioni adeguate ai lavoratori, ai consiglieri e agli esperti, fornendo tra l'altro assistenza sul piano personale;

organizzare la formazione del personale in modo da fare opera di sensibilizzazione sulla disabilità e sulla Convenzione, anche attraverso l'elaborazione di un opuscolo e di un video su come integrare l'applicazione delle sue disposizioni;

partecipare al gruppo di lavoro interistituzionale sull'applicazione della Convenzione;

integrare la disabilità nelle proprie attività.

6.2

Il CESE sottolinea che i diritti delle persone con disabilità dovrebbero rappresentare una questione trasversale presente in tutti i pareri suscettibili di avere un impatto sulla vita dei disabili stessi.

6.3

Fa inoltre osservare che i diritti sanciti dalla Convenzione dovrebbero essere presi in considerazione nell'ambito dei lavori di tutte le sezioni specializzate, dal momento che si riflettono sui vari settori dell'attività sociale, culturale ed economica.

6.4

A tale proposito, il CESE sottolinea la necessità di istituire un comitato direttivo sull'applicazione e sul monitoraggio della Convenzione, incaricato di chiedere alle diverse istituzioni europee di presentare una relazione sulle loro attività e di raccogliere il punto di vista della società civile, in particolare del Forum europeo per le disabilità in quanto organizzazione rappresentativa delle persone disabili affinché contribuisca alla preparazione e alla presentazione della relazione che l'UE presenta al comitato della Convenzione ONU. Grazie al coinvolgimento di tutti questi soggetti, il comitato direttivo fornirebbe un punto di vista indipendente sullo stato di avanzamento dell'applicazione della Convenzione.

6.5

Il CESE ribadisce la propria funzione a favore del rafforzamento della legittimità democratica dell'UE mettendo l'accento sulla democrazia partecipativa e sul ruolo delle organizzazioni della società civile.

6.6

Il CESE chiede che venga creato un organo che favorisca e coordini il dialogo tra le istituzioni e gli organi dell'UE da un lato e la società civile dall'altro circa l'applicazione della Convenzione a livello europeo.

6.7

Raccomanda infine l'elaborazione di un proprio parere che serva di contributo alla relazione che l'UE presenterà al comitato dell'ONU sui diritti delle persone con disabilità.

Bruxelles, 12 dicembre 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  COM(2011) 665 final.

(2)  http://ec.europa.eu/research/horizon2020/index_en.cfm

(3)  GU C 376 del 22.12.2011, pagg. 81-86.

(4)  GU C 181 del 21.6.2012, pagg. 2-6.

(5)  2010/48/CE.

(6)  16243/10 del 29 novembre 2010.

(7)  SEC(2011) 567 final.

(8)  Lo Stato dell'Unione sulla disabilità è stato indetto dal Presidente della Commissione europea Barroso il 6 dicembre 2011. Ad esso hanno partecipato il Presidente del Consiglio europeo Van Rompuy, il Presidente del Parlamento europeo Buzek e il Presidente del Forum europeo per le disabilità Vardakastanis.

(9)  GU C 376 del 22.12.2011, pagg. 81-86.

(10)  Le condizionalità ex ante relative alla Convenzione, l'accessibilità e la vita indipendente erano già incluse nella proposta della Commissione europea.

(11)  COM(2011) 665 final.

(12)  http://ec.europa.eu/research/horizon2020/index_en.cfm

(13)  GU C 44 dell'11.2.2011, pag. 1.


15.2.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/36


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Anno europeo della salute mentale — per un lavoro e una qualità di vita migliori» (parere d’iniziativa)

2013/C 44/06

Relatore: SCHLÜTER

il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 luglio 2012, ha deciso, conformemente all'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Anno europeo della salute mentale — per un lavoro e una qualità di vita migliori.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 novembre 2012.

Alla sua 485a sessione plenaria, dei giorni 12 e 13 dicembre (seduta del 13 dicembre 2012), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 74 voti favorevoli, 1 voto contrario e 2 astensioni:

1.   Sintesi e raccomandazioni

1.1

La salute mentale è parte integrante della qualità della vita e del benessere di tutti i cittadini dell'UE. L'OMS definisce la salute mentale come «uno stato di benessere nel quale il singolo è consapevole delle proprie capacità, sa affrontare le normali difficoltà della vita, lavorare in modo utile e produttivo ed è in grado di apportare un contributo alla propria comunità» (1). Si tratta di una condizione non rappresentabile adeguatamente mediante dati economici, come quelli relativi al PIL. La crisi in corso ha fatto precipitare milioni di persone in uno stato di angoscia, crisi di senso e nella disoccupazione, con le relative conseguenze sul rischio di suicidio. Per questo, garantire la stabilità psichica è questione di importanza fondamentale per la gioia di vivere di moltissime persone, ben oltre gli aspetti finanziari astratti. Sul piano individuale, la salute psichica rappresenta la premessa necessaria affinché il singolo possa sviluppare il proprio potenziale intellettuale ed emotivo; sul piano sociale, costituisce una risorsa per la coesione e un maggiore benessere sociali, nonché per la prosperità economica.

1.2

L'iniziativa mira a un rafforzamento della salute mentale e a una sensibilizzazione della società in generale. Accanto alle malattie mentali croniche e acute e alle relative disabilità, vengono trattati anche disturbi invalidanti che non possono essere classificati come malattie vere e proprie e che potrebbero avere anche cause o effetti somatici. La tematica della salute mentale presenta sfaccettature molteplici e diverse tra loro, condizionate da aspetti medici e sociali ma anche da circostanze di vita, come l'ambiente lavorativo, la giovinezza, la vecchiaia e la povertà.

1.3

I disturbi mentali possono avere diverse cause e conseguenze (associate o meno a fattori genetici), ad es. traumi, esperienze infantili avverse, consumo di droghe, stress eccessivo, disoccupazione, mancanza di alloggio ed emarginazione. Numerose sono dunque le possibili soluzioni e i settori d'intervento pertinenti. Poiché su tali cause è spesso possibile intervenire, è opportuno tenerle in adeguata considerazione nel quadro di una politica e di un'economia inclusive. L'economia sociale, la società civile e i nuovi approcci di imprenditoria sociale possono svolgere un ruolo fondamentale. La prevenzione, la diagnosi precoce e il trattamento delle malattie psichiche devono essere organizzati secondo un approccio pluridimensionale (psicoterapeutico, medico e socioeconomico). I disturbi e le malattie di tipo psichico devono essere considerati maggiormente nella formazione generale delle professioni sanitarie, degli educatori, degli insegnanti e del personale direttivo. Una promozione della salute sul luogo di lavoro sostenuta dalla mano pubblica e una cultura imprenditoriale moderna possono aiutare le persone con disturbi e limitare l'insorgere di problemi legati al lavoro.

1.4

Un ruolo centrale compete al rafforzamento delle reti civiche, volontarie, familiari e professionali, nonché alla partecipazione degli interessati e delle loro associazioni. La prevenzione e la sensibilizzazione sono compiti che spettano a tutta la società. Servizi di assistenza itineranti in prossimità del domicilio degli interessati nonché la permanenza in case protette possono spesso evitare limitazioni della libertà e il ricovero in strutture ospedaliere. Al riguardo risultano particolarmente importanti gli orientamenti europei e gli esempi di buone pratiche, che prevedono fra l'altro una riduzione adeguata dei ricoveri psichiatrici e dell'utilizzo di medicinali, al fine di contribuire alla creazione di un'assistenza sociospaziale e di altre forme alternative di sostegno. Inoltre, le risorse per la scienza e la ricerca così risparmiate potrebbero essere indirizzate maggiormente verso la conservazione della salute mentale. Anche gli Stati membri finanziariamente più deboli possono procedere a ristrutturazioni e fissare nuove priorità.

1.5

Si dovrebbe anche promuovere in tutta l'UE la sensibilizzazione del grande pubblico a questi temi, in particolare nelle scuole, fin da quella materna, nelle imprese, tra i medici e negli istituti di cura. Inoltre, campagne antistigmatizzazione e un linguaggio non discriminatorio nei mezzi d'informazione possono metter fine alle discriminazioni nei confronti delle persone affette da malattie mentali. Lo stato di salute ha anche ripercussioni economiche significative, per quanto queste siano secondarie in confronto alle conseguenze ben più gravi che ha sul piano personale (2). Occorre chiedersi maggiormente quali interessi e strutture di natura sociale, politica ed economica acutizzino il problema e come si possa promuovere attivamente l'inclusione mediante uno sviluppo efficace delle strutture di assistenza alla persona e mediante il sostegno alle famiglie in quanto primi luoghi di apprendimento nella vita di una persona. I considerevoli progressi della medicina, dell'assistenza professionale e volontaria e dei modelli imprenditoriali per la prevenzione sanitaria devono essere considerati e promossi con maggiore decisione.

2.   Contesto

2.1

Le malattie mentali più diffuse in Europa sono disturbi d'ansia, depressioni e dipendenze. Secondo studi effettuati nel 2010, il 38 % degli europei soffre di una malattia psichica (3); nel 2005 erano il 27 % (4). Ogni anno si suicidano 58 000 persone. Entro il 2020, le depressioni nei paesi industrializzati rappresenteranno il secondo tipo più diffuso di patologie (5). Il tasso di inattività per malattia mentale tra gli affiliati di una grossa cassa malattia tedesca (6) nel periodo 2006-2009, ad esempio, è aumentato del 38 % fra i lavoratori attivi e del 44 % fra i disoccupati. Il numero dei medicinali per il trattamento del sistema nervoso, fra cui gli antidepressivi, prescritti nel periodo indicato è aumentato del 33 % (7). Anche in Gran Bretagna, il 44 % dei datori di lavoro segnala un aumento dei problemi di salute psichica, e il 40 % un aumento dell'assenteismo da stress (8).

2.2

Alla salute e al benessere mentale non è mai stato dedicato un Anno europeo. Tuttavia, i pregiudizi riguardo ai problemi di salute mentale e alle disabilità psicosociali e la stigmatizzazione di chi ne è affetto, da parte della società o sul lavoro, sono ancor oggi all'ordine del giorno. Anche la strategia Europa 2020 chiede, nell'ottica di una crescita inclusiva e sostenibile, una maggiore inclusione sociale di questa categoria e programmi sanitari specifici a livello dell'UE. Inoltre, la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità - il primo atto internazionale sui diritti umani firmato dall'UE - è molto chiara nel riconoscere alle persone con disabilità psicosociali tutta una serie di diritti, che devono essere rispettati e attuati dall'UE con tutte le politiche e le azioni pertinenti. Dedicare un Anno europeo alla salute e al benessere mentale sarebbe pertanto un modo di richiamare la dovuta attenzione su questi impegni.

2.3

Dalla metà degli anni Novanta, la salute mentale è oggetto di alcuni progetti specifici nel settore della politica europea della salute, nei quali è presentata come un valore centrale (9). Nel 2005, la Commissione ha lanciato una consultazione sulla base del Libro verde Migliorare la salute mentale della popolazione. Verso una strategia sulla salute mentale per l’Unione europea  (10).

2.4

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ribadisce quanto espresso nel parere  (11) formulato in merito al Libro verde e sottolinea l'importanza, per la società e per il singolo, della salute mentale in quanto elemento fondamentale del concetto di salute. Per l'Unione europea, che si definisce come una comunità di valori, la salute mentale è un'importante fonte di coesione sociale e di partecipazione di tutti i cittadini. La stessa istanza viene dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità che, per il suo contenuto improntato ai diritti umani, vuole realizzare la partecipazione e una visione olistica dell'uomo.

2.5

La Commissione si occupa dei temi in esame anche in connessione con l'economia, la politica occupazionale e quella sanitaria (sotto l'aspetto della sanità pubblica). In quest'ambito, garantire un elevato livello di protezione della salute rientra nei compiti trasversali dell'UE, come sancito dall'articolo 168 TFUE. Grazie a un Anno europeo della salute mentale, inoltre, l'UE onorerebbe il compito sancito dall'articolo 6 TFUE di «svolgere azioni intese a sostenere, coordinare o completare l'azione degli Stati membri» in settori quali la «tutela e miglioramento della salute umana», azioni che devono avere «finalità europea».

2.6

La strategia dell'UE per la salute mentale ha promosso fra l'altro il Patto europeo per la salute e il benessere mentale, concluso nel 2008 (12), cui fanno riferimento peraltro anche le conclusioni del Consiglio del giugno 2011 (13).

2.7

I convegni tematici tenutisi nel quadro della suddetta strategia non sono stati sufficienti a sensibilizzare un pubblico più vasto e a portare i temi della salute mentale nella quotidianità dei cittadini europei. Questi obiettivi potrebbero essere realizzati grazie a un Anno europeo dedicato a tale tematica: in questo modo, gli enti pubblici di tutti i livelli di governo si occuperebbero dell'argomento, e lo stesso farebbero i soggetti della società civile nel loro molteplice ruolo di esperti, moltiplicatori e imprese sociali. Un Anno europeo della salute mentale dovrebbe anzitutto essere organizzato in modo coerente con la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Le persone affette da una malattia o da una disabilità psichica devono essere riconosciute in quanto soggetti giuridici con pari diritti e devono poter esercitare appieno e in tutti gli ambiti della vita i propri diritti e la propria libertà d'azione (cfr. articolo 12 della Convenzione).

2.8

Molte persone affette da disturbi mentali spesso non ricevono il tipo di trattamento, riabilitazione o aiuto alla partecipazione sociale necessari dal punto di vista tecnico ed etico, nonostante la medicina e i servizi sociali abbiamo compiuto grandi passi avanti in questo settore. La salute mentale è spesso esclusa dalla lista delle priorità in materia di politica della salute. Spesso, e soprattutto in tempi di crisi e di difficoltà finanziarie, anziché a un potenziamento delle strutture assistenziali si assiste a un loro smantellamento, o a un aumento dei costi dei servizi indispensabili e delle possibilità di trattamento. Invece, proprio in tempi di crisi sarebbero necessari investimenti a favore della partecipazione e della formazione, nonché dell'economia sociale: è proprio in simili congiunture che lo Stato non può ritirarsi dal settore dei servizi sociali.

Le liste d'attesa e le grandi distanze sono particolarmente controproducenti nelle situazioni problematiche acute. I ricoveri e le limitazioni della libertà dovrebbero essere ridotti al minimo indispensabile, a favore di servizi itineranti, punti d'incontro, consultori e possibilità di trattamento medico in prossimità del domicilio degli interessati. L'autonomia degli interessati va rafforzata tramite diritti alle prestazioni sanciti dalla legge e mediante sistemi che non sostituiscono le decisioni individuali, ma che sostengono le persone al momento di prendere delle decisioni, anche per quanto riguarda il bisogno di assistenza e la terapia, in modo da non doversi trovare a limitarne la capacità giuridica d'azione. La classificazione secondo categorie patologiche, l'inserimento unilaterale nei meccanismi della psichiatria, la somministrazione di psicofarmaci e l'utilizzo della forza devono essere sottoposti in modo sistematico a un esame critico e al rispetto dei principi dello Stato di diritto e dei diritti umani. In tutti i tipi di istituzioni e forme abitative deve essere prevista la partecipazione alla società, un'occupazione adeguata e un'organizzazione strutturata della giornata. L'influenza degli psicofarmaci sulla capacità di partecipazione e sulla morbilità deve essere considerata con più sensibilità. Non si deve lasciare che l'accessibilità all'assistenza sia limitata da una frammentazione delle strutture e da procedure di domanda lunghe e burocratiche. Gli interventi di emergenza e la prevenzione dei suicidi richiedono servizi facilmente accessibili e dotati della necessaria competenza specialistica. Occorre inoltre introdurre in tutta Europa numeri d'emergenza nazionali e altre possibilità d'intervento adeguate.

2.9

Allo stesso tempo, vanno sempre considerate le reciproche interazioni fra situazione socioeconomica, disoccupazione e difficoltà causate dalla malattia. Vi sono anche persone che hanno bisogno di risorse e di sostegno per poter convivere bene con una malattia psichica. Ciò significa che la promozione delle possibilità di partecipazione e il rafforzamento della posizione giuridica delle persone affette da una malattia psichica cronica e delle persone con disabilità mentale dovrebbero rientrare fra le tematiche dell'Anno europeo.

2.10

L'assistenza data alle persone affette da disturbi mentali deve tenerne in considerazione le esigenze e gli orientamenti filosofici, religiosi e spirituali.

2.11

I fattori sociali sono tutt'altro che trascurabili per il mantenimento della salute mentale, e un buon lavoro, in quanto compito che fornisce senso e identità, svolge un ruolo fondamentale al riguardo. In gran parte, le nostre condizioni quotidiane di vita e di lavoro non sono però più definite da elementi affidabili come tradizioni culturali e decisioni comunitarie e democratiche, bensì da leve e strutture economiche centralizzate. La politica economica e strutturale dovrebbe pertanto tener conto anche della salute mentale degli individui e degli obiettivi in termini di alloggi e condizioni di lavoro dignitosi ed inclusivi.

2.12

L'uomo moderno, in questa società delle molteplici opzioni, dei media e del consumo, si trova di fronte possibilità nuove, ma è anche esposto a nuovi fattori di stress. Ad es. i sistemi educativi spesso non sono in grado di rispondere all'urgente bisogno di una formazione etica, cognitiva e sociale di elevato valore, nonostante quest'ultima possa promuovere la necessaria autonomia e l'equilibrio psichico. La dissoluzione dei rapporti sociali aumenta, portando alla perdita di risorse esterne come amici, familiari, colleghi. Infatti, il frequente cambiamento del posto di lavoro e quindi anche del luogo di residenza, la disoccupazione e l'impegno ridotto nei confronti dei rapporti umani non contribuiscono alla creazione di reti interpersonali nelle vicinanze immediate del domicilio. Per questo, la partecipazione vincolante degli interessati e delle loro associazioni all'organizzazione delle strutture di assistenza e di rete diventa ancor più importante.

2.13

Quando si altera l'equilibrio fra responsabilità personale e sicurezza sociale, il pericolo di una malattia mentale aumenta. Ciò riguarda ad esempio i cosiddetti incentivi al lavoro per l'attivazione, che non possono risultare efficaci a causa della mancanza di posti di lavoro e di un'assenza strutturale di possibilità per i fondatori di nuove imprese. Inoltre, la mancanza di alloggio e i disturbi mentali sono spesso strettamente connessi, per cui l'aiuto deve affrontare entrambe le problematiche. I genitori in situazioni occupazionali precarie e i loro figli sono esposti alla pressione combinata di insicurezza, povertà, necessità educative, mancanza di tempo e stress familiare. L'assistenza deve essere altrettanto diversificata e prevedere anche, ad esempio, un sostegno pedagogico e un'offerta ricreativa per le famiglie finanziati dalla mano pubblica. L'elevato indebitamento statale e le difficoltà finanziarie, come anche lo smantellamento della sicurezza sociale e l'alta disoccupazione rafforzano il rischio di depressioni, stati d'ansia e disturbi ossessivo-compulsivi. In 11 Stati membri il tasso di suicidi nella prima metà del 2011 è aumentato di oltre il 10 %, una tendenza che potrebbe essere significativamente ridotta mediante investimenti adeguati per la sicurezza sociale e i servizi sociali (14).

3.   La salute mentale in ambienti specifici

3.1   Mondo del lavoro

3.1.1

La discontinuità dei rapporti di lavoro, le frequenti ristrutturazioni, la reperibilità costante, la pressione delle scadenze, lo stress eccessivo e le crescenti esigenze in materia di flessibilità e mobilità hanno spesso conseguenze sulla salute psichica (15). Secondo le statistiche sulla disabilità nei Paesi Bassi, nel 2010 i problemi di salute psichica sono stati il motivo principale di congedo di malattia di lunga durata (circa 55 giorni). In Gran Bretagna, secondo le stime dell'HSE (16), si sono persi circa 9,8 milioni di giorni lavorativi per lo stress dovuto al lavoro (2009-2010), e in media ogni persona che soffre di stress da lavoro si assenta 22,6 giorni per malattia. Nel periodo 2010-2011, ciò ha significato 10,8 milioni di giorni lavorativi perduti (17). Altri rischi possono insorgere quando la famiglia, la cura dei familiari e i momenti di evasione culturale, sportiva e spirituale non possono essere conciliati con la vita professionale. Alcuni paesi hanno introdotto dei congedi per assistenza e il diritto a permessi per accudire un familiare. Spesso le imprese devono anche confrontarsi con situazioni problematiche sorte al di fuori dell'ambito di lavoro. I modelli imprenditoriali esemplari in materia di prevenzione sanitaria, inclusione, soluzioni adeguate di lavoro a tempo parziale, assistenza sul luogo di lavoro e formazione specifica dei dirigenti e dei lavoratori dovrebbero essere sostenuti maggiormente dalla mano pubblica. Le culture aziendali innovative possono rafforzare anche la qualità del lavoro e dei prodotti. Una gestione proattiva del rischio di stress, fondata sulla ricerca, l'eliminazione e la riduzione del fattore di stress dovrebbe far parte di una strategia coerente in materia di prevenzione, in applicazione delle disposizioni del Trattato, della direttiva quadro 89/391/CEE concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, e dell'accordo quadro sullo stress lavoro-correlato stipulato tra le parti sociali europee nel 2004.

L'insicurezza nelle questioni professionali ed esistenziali e i fortissimi vincoli strutturali del mercato del lavoro rappresentano altrettanti pericoli aggiuntivi. Occorre mettere limiti chiari alla corsa al continuo rialzo delle prestazioni professionali e al costante peggioramento delle condizioni di lavoro. Spesso quanti risultano perdenti sul mercato del lavoro si vedono attribuire delle colpe personali anche quando non ne hanno. La richiesta di una flessibilità necessaria e legittima che i datori di lavoro rivolgono ai lavoratori ha la stessa validità della richiesta di flessibilità per motivi di famiglia, assistenza e problemi personali che i lavoratori rivolgono ai datori di lavoro (sollecitudine da parte del datore di lavoro e «centratura sulle persone»). Le persone affette da una malattia mentale corrono un rischio maggiore di perdere l'impiego o di diventare inabili al lavoro a causa della loro patologia. In tutto questo svolgono un ruolo decisivo anche i pregiudizi sociali, e in tal modo si perdono manodopera, creazione di valore e risorse in generale.

3.1.1.1

Le quote finora introdotte in alcuni paesi a favore delle persone con disabilità, ad esempio, si sono rivelate strumenti tutt'altro che sufficienti. Piuttosto, serve una politica attiva di inclusione lavorativa a favore delle tante persone finora rimaste escluse e per il bene della società nel suo insieme.

3.1.2

Organismi di consulenza e conciliazione paritari e finanziati dalla mano pubblica possono portare a confrontarsi in modo più aperto con questa tematica. Servirebbero organi aziendali o esterni che rappresentassero gli interessi delle persone con disabilità e con disturbi mentali nel quadro della vita lavorativa. Inoltre, è possibile ridurre i pericoli mediante un'adeguata tutela contro i licenziamenti, la protezione giuridica dei lavoratori, il sostegno ai disoccupati, una gestione della salute sul luogo di lavoro promossa dalla mano pubblica, piani di reintegro nel mondo del lavoro e una politica attiva del mercato del lavoro e della famiglia. A favore dei datori di lavoro, in particolare delle piccole e medie imprese, occorre garantire che la loro competitività rimanga intatta, che si eviti il burocratismo e che le strutture pubbliche di sostegno siano affidabili. I servizi di utilità generale, le associazioni di solidarietà sociale e le altre forze della società civile possono svolgere un ruolo importante di sostegno politico e pratico agli interessati, alle imprese e ai servizi per l'occupazione (18).

3.2   I bambini e i giovani

3.2.1

Le malattie psichiche in età infantile e giovanile sono molto difficili da indagare esattamente da un punto di vista statistico, anche per il fatto che è spesso arduo distinguere tra situazioni patologiche e anomalie comportamentali, nonché fra necessità di consulenza, pedagogiche o di trattamento. Ciò significa che in genere è quasi impossibile distinguere fra i diversi bisogni, e che i confini fra l'uno e l'altro sono assai fluidi. Ad esempio, l'ordine degli psicoterapeuti tedeschi registra una prevalenza annua compresa fra il 9,7 % (malattia psichica) e il 21,9 % (anomalia psichica) (19). Per quanto riguarda la depressione, si osservano sia un aumento del rischio di comparsa della malattia sia un calo dell'età delle persone colpite da un primo episodio di depressione. Gli esperti rilevano fra i bambini e i giovani un numero crescente di disturbi d'ansia e del comportamento, nonché un netto aumento del consumo di psicofarmaci.

3.2.2

Allo stesso tempo, gli asili nido e le scuole segnalano un aumento dei bambini e dei giovani che abbandonano l'istituto (14,4 % a livello UE), anomalie comportamentali, disturbi della concentrazione e fenomeni di violenza. Spesso i problemi sono interconnessi, e vanno di pari passo con disturbi psichici, scarse capacità di resistenza contro l'offerta di consumo (20) e dipendenza da media, computer o di altro tipo, nonché in generale deficit dello sviluppo. È allarmante il crescente consumo di antidepressivi, metilfenidati e farmaci analoghi già in età infantile o giovanile, un fenomeno su cui è urgente raccogliere dati statistici a livello europeo e mettere a punto delle soluzioni alternative.

3.2.3

La crescente insicurezza dei bambini e dei giovani, e anche dei loro genitori, è un problema che la psichiatria dell'età infantile e giovanile non può risolvere, soprattutto non da sola. L'assistenza alla prima infanzia e il sostegno al ruolo centrale delle famiglie sono tanto importanti quanto la presenza di competenze specifiche presso gli asili nido, i pediatri e le scuole. Risulta invece di scarso aiuto quando ogni anomalia comportamentale viene considerata un'anomalia o una malattia psichica, e problemi individuali e sociali complessi vengono unicamente spiegati con un'interpretazione patologizzante (21). Individualizzazione, accesso disuguale all'istruzione, disoccupazione, povertà, esclusione sociale, vergogna personale ed eccessiva pressione da parte dei genitori, nonché sistemi formativi basati su una sempre maggiore competizione fin dalla più giovane età e le limitate opportunità offerte a chi in questa corsa non è in grado di restare nel gruppo di testa, sono tra i possibili fattori che devono essere considerati da un approccio preventivo. Occorre mobilitare la responsabilità comune di tutte le forze sociali: una situazione abitativa ricca di rapporti personali, un'educazione dei giovani basata su un'impostazione appropriata, scuole e asili nido ben organizzati, un'offerta permanente non commerciale di attività del tempo libero, gruppi giovanili, associazioni e attività culturali, nonché una fitta rete di servizi di assistenza professionale e interdisciplinare, in particolare in materia di consulenza educativa e offerte di istruzione non formale. L'abuso di droghe deve essere affrontato in modo sistematico con attività di diagnosi precoce, prevenzione, consulenza e terapia, nonché mettendo sotto controllo i canali di approvvigionamento. Investire in questo settore consente di evitare danni personali e sociali incalcolabili. L'inclusione degli adolescenti e dei giovani nell'istruzione, nel lavoro e in altre forme di occupazione costruttiva deve essere una garanzia sancita giuridicamente. In tutti questi settori, un particolare ruolo politico e pratico spetta ai servizi d'interesse generale, alle associazioni di solidarietà sociale e alle forze della società civile.

3.3   Gli anziani  (22)

3.3.1

Una delle principali spiegazioni dell'aumento generale dei casi di malattie psichiche è data dall'allungamento continuo dell'aspettativa di vita. Infatti, in età avanzata aumenta la comorbilità somatica, con conseguente maggiore rischio di depressione. Inoltre, alcune malattie dell'età avanzata, come il morbo di Alzheimer e il Parkinson, si accompagnano spesso a una depressione. Una situazione abitativa dinamica e favorevole alla partecipazione, servizi sociali raggiungibili e itineranti, possibilità di intraprendere attività di volontariato, eventualmente anche una partecipazione appropriata alla vita professionale ed economica, nonché un adeguato orientamento degli istituti di cura sono fattori essenziali per evitare l'isolamento e favorire la prevenzione sanitaria. Negli spazi sociali, presso i servizi di assistenza e nel personale medico dovrebbero essere create competenze sufficienti in materia di gerontopsichiatria. I modelli di buone pratiche, in particolare per quel che concerne i malati di demenza, meritano maggiore attenzione a livello europeo.

3.3.2

Gli anziani vengono in genere seguiti da medici di famiglia generici, che non procedono con la frequenza necessaria a indirizzare i pazienti verso gli specialisti in neuropsichiatria. Nel caso delle demenze e della depressione, tuttavia, è importante realizzare una diagnosi precoce, il che mette in luce la necessità di un'assistenza regolare a tutto campo: nella maggior parte delle case di riposo manca un'assistenza psichiatrica specializzata regolare. Ciò vale anche per gli altri istituti dedicati agli anziani, ad esempio i consultori. I progressi della medicina, e in particolare della gerontologia, nonché dell'assistenza con ausili tecnici, devono essere sfruttati adeguatamente a favore di tutte le persone che ne hanno bisogno.

3.3.3

Nel complesso, le particolarità della psichiatria dell'età infantile e giovanile e della terza età dovrebbero essere prese in maggiore considerazione sia nei piani di studio di medicina e psichiatria generali sia in quello di psicoterapia.

4.   Politica di destigmatizzazione

4.1

Nell'Anno europeo della salute mentale, l'approccio improntato ai diritti umani dovrebbe avere un'importanza fondamentale. I servizi medici e psicosociali devono sostenere i pazienti e rafforzarne il potenziale di auto-aiuto (empowerment). A tal fine, occorre mettere l'accento sulla dignità e sulla soggettività giuridica dell'individuo, cui si devono rifare le persone che accompagnano quest'ultimo nella sua crisi. Occorre inoltre sviluppare le capacità del personale addetto ai diversi servizi, affinché comprenda meglio le problematiche della salute mentale e le disabilità psicosociali.

4.2

Spesso le persone che si trovano in una situazione di crisi psichica non si confrontano con la propria patologia perché questa è stigmatizzata socialmente, in gran parte per responsabilità dei mezzi d'informazione: l'immagine della malattia mentale che viene trasmessa al grande pubblico ha spesso l'effetto di creare paure e comportamenti di rifiuto, nonché diffidenza nei confronti delle offerte di trattamento corrette. Sono urgentemente necessarie campagne europee di destigmatizzazione della malattia mentale, impostate sul lungo periodo e incentrate sulla prevenzione. Tali campagne devono anche coinvolgere gli operatori di tutti i settori pertinenti sul piano giuridico (giustizia, polizia, uffici pubblici, ecc.), per ottimizzarne le capacità specialistiche e professionali di trattare con le persone affette da una malattia psichica. Le stigmatizzazioni vanno evitate il più possibile anche per quanto riguarda l'organizzazione e il finanziamento dell'assistenza. In particolare, il rafforzamento della capacità di gestire la propria vita dovrebbe essere un'offerta rivolta a tutta la popolazione. La promozione dell'incontro e dello scambio fra gli interessati e le persone senza esperienza psichiatrica dovrebbe essere un elemento centrale di questa politica.

4.3

Anche in campo occupazionale bisognerebbe evitare di creare mondi separati in cui le persone vengono inserite senza il diritto di esprimere una preferenza o una scelta. Il singolo deve anzitutto poter decidere per conto proprio se preferisca l'occupazione assistita in un istituto specializzato oppure nel mondo del lavoro generale. Infatti, con strumenti di aiuto alla partecipazione sul posto di lavoro si possono aumentare in molti casi le possibilità di riprendere l'attività («occupazione assistita» o supported employment) (23). Per una prestazione lavorativa in genere va corrisposto un compenso prestabilito, che dovrebbe essere frutto delle trattative fra le parti sociali. Una somma che si limiti a garantire la sussistenza non è adeguata per le persone con malattie o disturbi psichici. Un esempio relativamente riuscito di graduale reintegrazione è il cosiddetto «modello di Amburgo» (24).

4.4

Concretamente, nell'UE si registrano le seguenti violazioni dei diritti umani nei confronti delle persone con disturbi psichici: limitazioni sproporzionate della libertà e trattamenti forzati senza un consenso informato dell'interessato; spesso inoltre mancano le possibilità di ricorso giuridico. I programmi di deistituzionalizzazione, i servizi di assistenza itineranti vicino al domicilio degli interessati, un'accessibilità degli aiuti senza formalità burocratiche, la sottoscrizione di accordi di trattamento rispettosi dei diritti umani e una politica di destigmatizzazione, anche con il coinvolgimento delle persone interessate in quanto esperte della propria situazione, sono altrettanti elementi importanti al riguardo.

4.5

È necessario riesaminare la strategia dell'UE per la salute mentale. Il CESE ritiene anzitutto necessario verificare il grado di esclusione delle persone affette da una malattia mentale rispetto alla partecipazione alla società in generale e al mercato del lavoro in particolare. Occorre anche riflettere sul modo in cui la prevenzione o una buona assistenza possono evitare l'incapacità al lavoro o una riduzione della capacità lavorativa. Occorre inoltre chiedersi in che misura ad esempio il linguaggio utilizzato nel settore medico, nei mezzi d'informazione e nella società rende difficoltosa o impedisce l'inclusione.

4.6

L'iniziativa in esame aumenta le possibilità di raggiungere un pubblico più ampio in materia di salute mentale e può influenzare l'ordine delle priorità dell'agenda politica e creare un clima propizio alla promozione di idee innovative per il benessere di tutti.

4.7

Per promuovere l'Anno europeo della salute mentale, oltre al CESE occorre coinvolgere anzitutto i soggetti competenti della società civile, compresi i gruppi e le associazioni con esperienza in campo psichiatrico, e quelli del settore sanitario, nonché le direzioni generali interessate della Commissione e i membri del Parlamento europeo e il Comitato delle regioni. A livello nazionale vanno coinvolti i ministeri competenti e i membri dei parlamenti nazionali. Nel complesso, le politiche specifiche devono essere definite avvalendosi di una maggiore partecipazione degli interessati.

4.8

Affinché l'iniziativa ottenga risultati tangibili anche a livello degli Stati membri, si dovrebbe in parallelo utilizzare il Quadro d'azione per la salute mentale ed elaborare un quadro comune di riferimento per le misure relative alla salute psichica nei sistemi sanitari e nel settore della politica sociale, nonché in contesti importanti della vita come la scuola e il luogo di lavoro. Come strumento di apprendimento reciproco si dovrebbero utilizzare esami fra pari simili a quelli del metodo di coordinamento aperto. Le misure devono tradursi in disposizioni giuridiche, normative finanziarie (come nel caso dell'FSE) e diritti per i malati e le imprese. Occorre esaminare se un osservatorio permanente possa consentire di trattare la tematica in modo continuativo. Le relazioni dell'UE sulla salute dovrebbero contenere una maggiore quantità di dati europei sui disturbi mentali e in particolare sul tipo di assistenza e l'incidenza dei ricoveri psichiatrici e del consumo di psicofarmaci. I partner potenziali dei settori più disparati della società dovrebbero trasformarsi, col tempo, in sostenitori duraturi. L'iniziativa e l'Anno europeo stesso non devono avere effetti limitati nel tempo, ma anzi sviluppare una sensibilità duratura e sostenibile per l'argomento e produrre effetti tangibili per le persone interessate.

Bruxelles, 13 dicembre 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  http://www.who.int/mediacentre/factsheets/fs220/en/ (ultima consultazione: 4 ottobre 2012).

(2)  COM(2005) 484 final.

(3)  The size and burden of mental disorders and other disorders of the brain in Europe 2010 («Incidenza dei disturbi mentali e delle altre patologie a carico del cervello in Europa 2010»), H.U. Wittchen et al., European Neuropsychopharmacology (2011) 21, pagg. 655-679.

(4)  http://www.psychiatrie-psychotherapie.de/archives/14 (ultima consultazione: 15 agosto 2012).

(5)  Cfr. nota 1.

(6)  Gesundheitsreport 2010 («Relazione sulla salute 2010»), Techniker Krankenkasse, Germania.

(7)  Cfr. nota 6.

(8)  Catherine Kilfedder, British Telecom, audizione del CESE, 30.10.2012.

(9)  Action for Mental Health. Activities co-funded from European Community Public Health Programmes 1997-2004 («Azioni per la salute mentale. Le attività cofinanziate a titolo dei programmi di sanità pubblica della Comunità europea nel periodo 1997-2004»).

(10)  Cfr. nota 1.

(11)  COM(2005) 484 final.

(12)  Patto europeo per la salute e il benessere mentale, Bruxelles, 12 e 13 giugno 2008.

(13)  309a seduta del Consiglio, EPSCO, 6 giugno 2011.

(14)  Comunicato stampa, Debiti e salute mentale: le vittime della crisi, servizio stampa del PE, 25 giugno 2012.

(15)  Gesundheitsreport 2011 («Relazione sulla salute 2011»), Casse malattia aziendali (BKK), Germania.

(16)  Health and Safety Executive, http://www.hse.gov.uk/

(17)  Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, Bilbao (Spagna).

(18)  GU C 351 del 15.11.2012, pagg. 45-51.

(19)  Cfr. i dati dell'ordine degli psicoterapeuti tedeschi, http://www.bptk.de/presse/zahlen-fakten.html (ultima consultazione: 15 agosto 2012).

(20)  GU C 351 del 15.11.2012, pagg. 6-11.

(21)  Gruppo di lavoro sulla psichiatria della AOLG – Bericht für die Gesundheitsministerkonferenz der Länder in Deutschland 2012 («Relazione per la conferenza dei ministri della Salute tedeschi 2012»), 15 marzo 2012, pag. 20.

(22)  GU C 51 del 17.2.2011, pagg. 55-58.

(23)  Stellungnahme der Verbände des Kontaktgespräches Psychiatrie zum Übereinkommen der Vereinten Nationen über die Rechte von Menschen mit Behinderungen («Parere delle associazioni del Kontaktgespräch Psychiatrie in merito alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità»), Friburgo/Berlino/Stoccarda, 15 maggio 2012.

(24)  Articolo 74 del codice della previdenza sociale V e articolo 28 del codice della previdenza sociale IX (per le persone con disabilità o a rischio concreto di disabilità). Il lavoratore stabilisce con un medico un piano di reintegro in conformità dei progressi della sua guarigione. La certificazione medica contiene il piano di reintegro e, se possibile, una prognosi relativa al probabile momento del recupero completo delle capacità lavorative. Prima che inizi la procedura è necessario il consenso del datore di lavoro e della cassa malattia. Il lavoratore continua a percepire le indennità di malattia dalla sua cassa malattia oppure un'indennità transitoria dell'assicurazione pensionistica.


ALLEGATO

al Parere del Comitato economico e sociale europeo

Il seguente testo, che figurava nel parere della sezione, è stato respinto a favore di un emendamento adottato dall'assemblea, ma ha ottenuto almeno un quarto dei voti espressi:

Punto 3.1.1

Modificare come segue:

[… congedi per assistenza e il diritto a permessi per accudire un familiare.] Questo tipo di misure dovrebbe tener conto della competitività delle imprese e mantenere al minimo gli oneri burocratici. Anche gli sgravi finanziari per le imprese inclusive, favorevoli alla famiglia e con sensibilità sociale possono migliorare la situazione.

Esito della votazione:

Voti favorevoli

:

35

Voti contrari

:

26

Astensioni

:

6


15.2.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/44


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Agricoltura sociale: terapie verdi e politiche sociali e sanitarie» (parere d’iniziativa)

2013/C 44/07

Relatrice: WILLEMS

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 19 gennaio 2012, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Agricoltura sociale: terapie verdi e politiche sociali e sanitarie.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 novembre 2012.

Alla sua 485a sessione plenaria, dei giorni 12 e 13 dicembre 2012 (seduta del 12 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 124 voti favorevoli e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Con agricoltura sociale s'intende un approccio innovativo fondato sull'abbinamento di due concetti distinti: l'agricoltura multifunzionale e i servizi sociali/terapeutico-assistenziali a livello locale. Questo nuovo settore contribuisce, tramite la produzione di derrate agricole, al benessere e all'inclusione sociale di persone con esigenze specifiche. Poiché l'agricoltura sociale va assumendo un rilievo sempre maggiore, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ha deciso di elaborare un parere d'iniziativa sul tema.

1.2

Diffusa ormai in tutta Europa, l'agricoltura sociale si presenta sotto molteplici forme, accomunate da alcune caratteristiche, ma anche contraddistinte da approcci, relazioni intersettoriali e modalità di finanziamento assai eterogenei.

1.3

È tuttavia necessario disporre di una definizione dell'agricoltura sociale a livello europeo per stabilire quali attività rientrino nel settore e definire un quadro e una serie di criteri, inclusi criteri di qualità, la cui osservanza garantisca ad un'iniziativa la possibilità di beneficiare di un sostegno a titolo delle varie politiche dell'UE. La definizione non deve però essere eccessivamente restrittiva, per evitare di confinare entro limiti troppo rigidi una realtà in continua trasformazione.

1.4

L'assenza di un quadro normativo per l'agricoltura sociale, sia a livello europeo che nei singoli paesi, fa sì che le politiche e/o le istituzioni interessate non agiscano in modo coordinato. Il CESE ritiene che le istituzioni dell'UE e le autorità e istituzioni sia regionali che nazionali dovrebbero incentivare e sostenere l'agricoltura sociale adottando un quadro normativo adeguato e propizio, nonché le misure descritte qui di seguito.

1.5

Dal momento che le statistiche disponibili sull'agricoltura sociale sono ancora scarse e disomogenee, a giudizio del Comitato sarebbe opportuno avviare un programma di ricerca statistica per poter disporre di dati quantitativi, valutare in modo più approfondito le dimensioni del settore nei vari paesi dell'Unione e analizzare le diverse forme in cui esso si presenta. La banca dati così costituita potrebbe essere ulteriormente ampliata allo scopo di promuovere programmi di ricerca in ciascuno Stato membro.

1.6

Le attività dell'agricoltura sociale devono essere sostenute da ricerche interdisciplinari in diversi settori che ne convalidino i risultati empirici, ne analizzino gli effetti e i benefici da prospettive diverse (sociale, economica, sanitaria, individuale, ecc.) e assicurino la diffusione delle conoscenze acquisite nella pratica. È necessario, a tale scopo, promuovere e rafforzare la cooperazione avviata a livello UE - con il progetto SoFar (Social Farming) e l'azione COST (European Cooperation in Science and Technology - Cooperazione europea in campo scientifico e tecnologico) - nell'ambito del prossimo programma quadro Orizzonte 2020 per il periodo 2014-2020.

1.7

Il CESE ritiene altrettanto essenziale creare e sviluppare reti dell'agricoltura sociale per la condivisione delle competenze acquisite, lo scambio di esperienze e la sensibilizzazione. È anche auspicabile la creazione di organismi di rappresentanza degli interessi dell'agricoltura sociale in ambito politico e di un'organizzazione centrale di coordinamento a livello UE, poiché consentirebbero di rafforzare sia gli scambi tra gli attori interessati sia il ruolo delle organizzazioni della società civile.

1.8

Inoltre, per assicurare attività di elevata qualità e professionalità nel campo dell'agricoltura sociale, occorre riservare particolare attenzione alla formazione di tutti i soggetti interessati, cioè tanto dei prestatori dei servizi forniti dal settore quanto delle persone con esigenze specifiche beneficiarie di questi ultimi.

1.9

Lo sviluppo dell'agricoltura sociale in tutta Europa richiede un contesto propizio, un maggiore coinvolgimento della società civile e una proficua cooperazione tra i diversi ambiti d'intervento politico e le varie amministrazioni (salute/sociale/agricoltura/occupazione) a livello sia europeo che nazionale, regionale e locale. Questo significa che le autorità pubbliche dovrebbero offrire all'agricoltura sociale non solo un riconoscimento ma anche un sostegno mirato, affinché il settore possa accedere stabilmente a finanziamenti destinati alle sue diverse componenti.

1.10

Un'iniziativa utile da parte della Commissione europea potrebbe anche essere l'istituzione di una struttura permanente che riunisca tutte le direzioni generali interessate al tema dell'agricoltura sociale. Organismi analoghi potrebbero essere creati nei singoli Stati membri. La Commissione dovrebbe inoltre promuovere la realizzazione di uno studio comparato dei sistemi di protezione sociale in vigore negli Stati membri e dei rispettivi costi, con l'obiettivo di accrescere le economie potenzialmente realizzabili grazie a progetti di agricoltura sociale.

1.11

Il CESE si compiace nel constatare che le proposte della Commissione per il periodo 2014-2020 comportano nuove opportunità per l'agricoltura sociale. Il settore dovrà tuttavia beneficiare ancora di un sostegno più adeguato nel corso del prossimo periodo di programmazione, il che richiederà, da parte dell'UE e degli Stati membri, un utilizzo coordinato delle diverse politiche che interessano l'agricoltura sociale. A giudizio del CESE, gli Stati membri e le varie autorità (nazionali ed europee) competenti e responsabili della gestione dei fondi UE dovrebbero rafforzare la loro collaborazione al fine di eliminare gli ostacoli che impediscono il ricorso ai fondi strutturali e agevolare l'accesso a tali risorse da parte dei soggetti presenti sul terreno.

1.12

Poiché il quadro strategico comune consente di associare più fondi nell'ambito di una strategia di finanziamento multiplo, la Commissione dovrebbe invitare gli Stati membri a inserire l'agricoltura sociale nella loro programmazione e a mettere a punto, nell'ambito di un approccio integrato, programmi ad hoc affinché questo settore possa avvalersi in misura maggiore dell'intero ventaglio dei fondi strutturali. Si può anche prendere in considerazione l'idea di creare, a titolo delle politiche di sviluppo rurale, sottoprogrammi tematici dedicati all'agricoltura sociale, o di continuare a finanziare progetti Leader in questo settore.

2.   Osservazioni generali

2.1

Dalla fine del XX secolo l'agricoltura sociale è andata sviluppandosi in tutte le aree rurali europee quale nuova pratica sostenibile sotto il profilo economico, con un numero crescente di esperienze realizzate in questo campo. L'insieme di queste attività confluisce sotto l'etichetta di «agricoltura sociale», benché vengano usati anche altri termini per indicarle, ad esempio farming for health («agricoltura per la salute»), care farming, green care o green therapies («terapie verdi»). Tutte queste locuzioni si riferiscono a un ampio ventaglio di pratiche e attività nel settore delle cure, del reinserimento sociale, della formazione e della riabilitazione di persone svantaggiate, o in quello della formazione di persone con esigenze specifiche. Svolgere questo tipo di attività non solo permette alle persone disagiate di reinserirsi nella sfera produttiva e di ritrovare il contatto con la natura, ma ha anche effetti positivi sul loro benessere e sulle loro condizioni di salute, promuove il loro inserimento sociale, ne migliora la capacità di apprendimento e l'autostima, e rafforza quindi la loro partecipazione alla vita sociale.

Sotto questo aspetto, l'agricoltura sociale costituisce un approccio innovativo fondato sull'abbinamento di due concetti distinti: l'agricoltura multifunzionale e i servizi sociali/terapeutico-assistenziali a livello locale. Da un lato, il settore è strettamente legato al carattere multifunzionale dell'agricoltura e corrisponde perfettamente al concetto di sviluppo rurale, poiché offre agli agricoltori la possibilità di diversificare le loro fonti di reddito. Dall'altro, l'agricoltura sociale apporta benefici alla società in quanto fornisce dei servizi sociali e migliora la qualità dei servizi esistenti a vantaggio degli abitanti delle aree rurali, avvalendosi delle risorse agricole e rurali in senso lato.

2.2

Sebbene le pratiche dell'agricoltura sociale in Europa siano contraddistinte da numerosi elementi comuni, ad esempio il fatto di essere strettamente legate ad attività tradizionali dell'economia rurale e di svolgersi nelle aziende agricole (aziende agricole biologiche, forte intensità di manodopera, grado elevato di multifunzionalità, apertura verso il territorio, grande diversificazione e alta flessibilità), esse presentano però caratteristiche assai diverse nei vari paesi, a seconda delle tradizioni, dei metodi e degli orientamenti da questi adottati. In sintesi, e pur sottolineando che lo spettro dei modelli possibili è ampio, emergono tre approcci principali:

l'approccio istituzionale, nel quale le istituzioni pubbliche/sanitarie hanno una posizione predominante (prevalente in Germania, Francia, Irlanda, Slovenia);

l'approccio privato, fondato su fattorie «terapeutiche» (prevalente nei Paesi Bassi e nella regione fiamminga del Belgio);

l'approccio misto, fondato su cooperative sociali e aziende agricole private (prevalente in Italia).

2.3

Anche gli orientamenti di base presentano delle differenze: se in Italia e in Francia le attività dell'agricoltura sociale rientrano prevalentemente nel settore sociale e terapeutico-assistenziale, nei Paesi Bassi esse presentano invece maggiore attinenza con il sistema sanitario e nella regione fiamminga con il settore agricolo, mentre in Germania, Gran Bretagna, Irlanda e Slovenia si situano a metà strada tra il settore sociosanitario e quello della salute.

2.4

Le modalità di finanziamento sono diverse da paese a paese:

progetti pubblici e iniziative caritative realizzate tramite associazioni di volontariato (Italia, Francia) e cooperative sociali (Italia);

finanziamenti pubblici (settore sanitario/terapeutico e assistenziale/educativo) destinati a strutture pubbliche (Germania, Irlanda, Slovenia), alle aziende agricole (Paesi Bassi) o alle cooperative sociali (Italia);

politica di sviluppo rurale intesa a sostenere l'avvio e la crescita di aziende agricole sociali nel corso del periodo di programmazione strategica 2007-2013 (Italia);

accesso diretto dei prodotti etici ai mercati alimentari e vendita diretta dei prodotti (Francia, Italia).

Va detto però che, nella realtà, le modalità di finanziamento sono spesso più diversificate e si presentano come una combinazione di vari elementi delle modalità sopra descritte.

2.5

Il settore dell'agricoltura sociale è articolato in una grande varietà di forme, quali, ad esempio: aziende agricole private gestite da imprenditori privati ai quali l'agricoltura sociale consente di diversificare le fonti di reddito mantenendo nel contempo la normale attività di produzione di derrate destinate al mercato; imprese o cooperative sociali; associazioni, fondazioni – ossia organizzazioni senza fini di lucro. In altri casi, infine, le attività dell'agricoltura sociale, pur venendo realizzate all'interno di aziende agricole, rientrano tra le competenze di organismi pubblici o di agenzie che operano nel settore della salute.

3.   Definizione dell'agricoltura sociale

3.1

Non è semplice dare una definizione di «agricoltura sociale», dal momento che il termine copre un ampio spettro di pratiche diverse. È tuttavia necessario disporre di una definizione a livello europeo per stabilire quali attività rientrino nel settore e definire un quadro e una serie di criteri, inclusi criteri di qualità, la cui osservanza garantisca ad un'iniziativa la possibilità di beneficiare di un sostegno a titolo delle varie politiche dell'UE. La definizione non deve però essere eccessivamente restrittiva, per evitare di confinare entro limiti troppo rigidi una realtà in continua trasformazione, ma deve invece offrire un quadro sufficientemente flessibile per poter contemplare l'ampio spettro di attività e integrare l'approccio «dal basso verso l'alto» caratteristici dell'agricoltura sociale.

3.2

Benché le attività che rientrano nel settore dell'agricoltura sociale siano estremamente varie, esse sono tuttavia accomunate da due caratteristiche sempre presenti: (1) si svolgono in un'azienda agricola e (2) sono orientate verso persone aventi esigenze specifiche, temporaneamente o in modo permanente, anche in ambito pedagogico. L'agricoltura sociale contribuisce quindi non solo al benessere e alla realizzazione personale dei suoi beneficiari ma anche allo sviluppo delle aree rurali, oltre a consentire migliori scambi e contatti tra queste ultime e le aree urbane.

3.3

Una definizione provvisoria dell'agricoltura sociale potrebbe quindi essere la seguente: un insieme di attività - ad esempio riabilitazione, terapia, posti di lavoro protetti, apprendimento permanente e altre attività intese ad agevolare l'inserimento sociale (secondo la definizione dell'azione COST 866 Green care in agricolture (Terapie verdi in agricoltura) – iniziativa Cooperazione europea in campo scientifico e tecnologico) - che impiegano risorse agricole, sia vegetali che animali, al fine di creare prestazioni sociali nelle aree rurali o periurbane. In questo senso, scopo dell'agricoltura sociale è, tra l'altro, creare le condizioni, all'interno di un'azienda agricola, che consentano a persone con esigenze specifiche di prendere parte alle attività quotidiane di una fattoria, al fine di assicurarne lo sviluppo e la realizzazione individuale e di migliorare il loro benessere.

3.4

Attualmente nell'agricoltura sociale si possono distinguere quattro settori principali di attività:

a)

le attività rieducative e terapeutiche,

b)

l'inserimento nel mondo del lavoro e l'inclusione sociale,

c)

le attività pedagogiche,

d)

i servizi di assistenza alla persona.

4.   Assenza di un quadro giuridico per l'agricoltura sociale sia in ambito UE che a livello nazionale

4.1

Le attività terapeutiche, di inserimento nel mercato del lavoro, di inclusione sociale o pedagogiche realizzate nel quadro dell'agricoltura sociale costituiscono indubbiamente un servizio pubblico di elevato valore, oltre ad apportare un contributo allo sviluppo sostenibile. Inoltre, l'agricoltura sociale può dare un impulso significativo alla crescita a livello locale grazie alla diversificazione delle attività che genera e alla dinamica sottesa a tale processo.

4.2

Le esperienze si sono moltiplicate in un movimento «dal basso verso l'alto», portando alla creazione di reti locali che consentono lo sviluppo globale dei territori. Proprio per questi motivi l'agricoltura sociale corrisponde ai criteri indicati nella pubblicazione dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici (OCSE) del 2006 dal titolo Le nouveau paradigme rural: politiques et gouvernance (Il nuovo modello rurale: politiche e governance) ed è menzionata esplicitamente nelle Analisi delle politiche rurali dedicate ai paesi OCSE (come l'Italia). L'agricoltura sociale è stata inoltre oggetto di studio in occasione della conferenza sullo sviluppo rurale organizzata dall'OCSE nel Quebec (2009). Va detto anche che una serie di iniziative in questo settore vengono finanziate con risorse delle politiche di sviluppo rurale 2007-2013 (assi III e IV del programma Leader) e con misure del Fondo sociale volte a promuovere l'inclusione sociale.

4.3

Man mano che si diffonde a tutti i livelli la consapevolezza delle potenzialità insite nell'agricoltura sociale, tanto le organizzazioni di agricoltori e le comunità locali quanto le istituzioni attive nel campo sociale e della salute assumono un atteggiamento diverso nei confronti di questo settore. Malgrado ciò, solo alcuni paesi (Francia, Italia, Paesi Bassi) hanno introdotto una regolamentazione settoriale, di portata nazionale o regionale. Si riscontra inoltre una generale assenza di collegamento tra le diverse politiche e/o istituzioni implicate nell'agricoltura sociale.

Tuttavia, i soggetti dell'agricoltura sociale iniziano ad organizzarsi per condividere le loro esperienze, un processo in cui occorre riconoscere il ruolo fondamentale svolto dalle reti spontanee di agricoltori sociali.

4.4

Negli ultimi anni la Commissione europea ha avviato una serie di iniziative tese a sostenere le attività dell'agricoltura sociale, come l'azione COST 866 Green care in agricolture e il progetto SoFar (Social Farming, iniziativa finanziata dalla Commissione europea nell'ambito del Sesto programma quadro per la ricerca e lo sviluppo tecnologico); nel dicembre 2009 è stata inoltre lanciata nell'ambito della Rete europea per lo sviluppo rurale un'iniziativa tematica con la partecipazione di 7 Stati membri al fine di esaminare le opportunità e gli ostacoli insiti nei piani di sviluppo rurale nazionali o regionali cofinanziati dal FEASR. Nel 2008 la Germania ha presentato, nel quadro del progetto SoFar, un documento di sintesi sull'agricoltura sociale, a cura del prof. Thomas VAN ELSEN, che è stato poi aggiornato nel 2009.

5.   Azioni da intraprendere

5.1   Riconoscimento dell'agricoltura sociale a livello UE e adozione di un quadro normativo

5.1.1

Di fronte ai beni pubblici che l'agricoltura sociale produce e al suo apporto allo sviluppo sostenibile, le istituzioni dell'UE e i governi degli Stati membri dovrebbero promuovere e sostenere questo settore, tra l'altro adottando, ai diversi livelli, un quadro normativo adeguato e favorevole, riconoscendone il valore aggiunto e migliorandone la governance, oltre che garantendo un contesto propizio e una proficua cooperazione tra i diversi ambiti d'intervento politico e le amministrazioni (salute/sociale/agricoltura/occupazione) a livello sia europeo che nazionale, regionale e locale. Sarebbe inoltre auspicabile realizzare un sostegno pubblico mirato e applicare in modo integrato i fondi strutturali a beneficio dell'agricoltura sociale, nonché incentivare e favorire la ricerca interdisciplinare o anche migliorare la comunicazione e lo scambio di esperienze in questo campo.

5.1.2

Al momento di adottare il quadro normativo si dovranno valutare con particolare attenzione i criteri di qualità da applicare alle attività dell'agricoltura sociale, definire una serie di criteri generali, inclusi criteri di qualità, che le attività del settore dovranno rispettare e adottare i provvedimenti necessari per assicurare un adeguato monitoraggio di tali attività.

5.1.3

Inoltre, la Commissione europea potrebbe istituire, con la partecipazione di tutte le direzioni generali interessate al tema dell'agricoltura sociale, una struttura permanente in grado di promuovere, monitorare e coordinare lo sviluppo di questo settore in Europa; strutture analoghe potrebbero essere realizzate nei singoli Stati membri.

5.2   Creazione di una banca dati a livello UE

Pur essendo in aumento in tutti i paesi, le aziende attive nel settore dell'agricoltura sociale rappresentano in genere meno dell'1 % del numero totale di aziende agricole. Dal momento però che le statistiche disponibili sull'agricoltura sociale sono ancora scarse e parziali, sarebbe opportuno avviare un programma di ricerca statistica di portata europea per poter disporre di dati quantitativi, valutare in modo più approfondito la presenza dell'agricoltura sociale in Europa e analizzarne le tendenze. La Commissione potrebbe ampliare questa banca dati al fine di promuovere programmi di ricerca in ciascuno Stato membro.

5.3   Promuovere l'inserimento dell'agricoltura sociale nei programmi di ricerca

5.3.1

La cooperazione a livello europeo, avviata con il progetto SoFar e l'azione COST 866 - Green care in agricolture, andrebbe incentivata e rafforzata, poiché la produzione e lo scambio di conoscenze scientifiche, professionali e pratiche in tutta Europa è di fondamentale importanza.

Ai fini di un'analisi più approfondita, l'agricoltura sociale ha bisogno del sostegno della ricerca nei seguenti settori: terapia e medicina, lavoro sociale in agricoltura e, infine, agricoltura e formazione; tale ricerca va realizzata in stretto collegamento con il lavoro svolto sul campo. Per essere riconosciuti dalla medicina, i risultati empirici positivi ottenuti dalla fitoterapia e dalla zooterapia devono essere corroborati da studi scientifici rigorosi. Gli insegnamenti tratti nella pratica circa l'efficace inserimento delle persone nel ritmo quotidiano e annuale dei lavori svolti nelle aziende agricole devono essere documentati e utilizzati per il futuro sviluppo dell'agricoltura sociale.

5.3.2

Ricerche interdisciplinari che analizzino gli effetti e i benefici dell'agricoltura sociale da diverse angolazioni (sociale, economica, sanitaria, individuale) e garantiscano la trasmissione delle conoscenze ricavate dall'esperienza, anche con il contributo degli operatori presenti sul terreno, possono essere una fonte di idee innovative e rafforzare il coinvolgimento in questo settore. Il sostegno scientifico fornito per avviare progetti pilota potrà servire a elaborare dei modelli basati su singole imprese o su cooperative per un'intera regione. Parte degli studi e delle ricerche interdisciplinari condotti dovrebbe esaminare l'impatto dell'agricoltura sociale per quanto riguarda, da un lato, il potenziale di risparmio per i regimi di assicurazione sanitaria, e, dall'altro, il miglioramento della salute e del benessere dei beneficiari delle prestazioni fornite da tale settore. In alcuni Stati – in particolare nei Paesi Bassi – questi aspetti sono già stati oggetto di tutta una serie di analisi e di studi.

5.3.3

Il futuro programma quadro Orizzonte 2020 per il periodo 2014-2020 potrebbe offrire la sede per realizzare tali ricerche, dal momento che in esso trovano spazio anche gli aspetti sociali del settore ricerca e innovazione. È sicuramente auspicabile che Orizzonte 2020 coordini e fornisca sostegno alle attività nel campo dell'agricoltura sociale, in quanto tale programma potrebbe promuovere contatti e scambi tra ricercatori di discipline diverse correlate a questo settore.

5.4   Promuovere l'inserimento dell'agricoltura sociale nei programmi di formazione

Per assicurare attività di elevata qualità e professionalità nel campo dell'agricoltura sociale, occorre riservare particolare attenzione alla formazione di tutti i soggetti interessati, cioè sia dei prestatori che dei beneficiari dei servizi. Sarebbe quindi opportuno elaborare e proporre, in stretta cooperazione con gli istituti di formazione e di ricerca, programmi di formazione permanente rivolti agli imprenditori e ai loro collaboratori responsabili dei beneficiari delle attività di agricoltura sociale, con l'obiettivo di rafforzarne le competenze, nonché valutare le formazioni che potrebbero essere dispensate a tali beneficiari e realizzarle.

5.5   Un ruolo rafforzato per la società civile e un maggiore sviluppo del collegamento in rete

5.5.1

I progetti innovativi di agricoltura sociale spesso vengono sviluppati isolatamente, senza sapere che esistono iniziative analoghe e senza alcuna condivisione delle esperienze. È fondamentale, invece, creare e sviluppare le reti dell'agricoltura sociale ai fini dello scambio di esperienze, della sensibilizzazione sui diversi progetti e della valorizzazione delle buone pratiche. Un primo passo in questa direzione è stato compiuto nel quadro della Rete europea per lo sviluppo rurale, un tipo di rete, questo, che andrebbe potenziato.

5.5.2

Si dovrebbero inoltre promuovere la cooperazione, la pubblicazione di materiale informativo elaborato congiuntamente e una presenza su Internet.

5.5.3

Sarebbe altresì opportuno adoperarsi per istituire organismi di rappresentanza degli interessi dell'agricoltura sociale a livello politico e incoraggiare la creazione di un'organizzazione centrale di coordinamento a livello UE. Quest'ultima potrebbe, con il coinvolgimento della società civile, favorire gli scambi tra i diversi soggetti dell'agricoltura sociale e offrire loro un'assistenza tecnica e amministrativa, garantendo al tempo stesso la promozione degli interessi dell'agricoltura sociale a livello politico - un ambito in cui un ruolo importante spetta alle organizzazioni di agricoltori.

5.5.4

La nuova politica di sviluppo rurale per il periodo 2014-2020 potrebbe mettere in cantiere e realizzare tutte le attività summenzionate, avvalendosi in particolare della Rete europea per lo sviluppo rurale e delle diverse reti nazionali anch'esse dedicate allo sviluppo rurale, allargando quindi ad altri Stati membri la partecipazione alla succitata iniziativa tematica in materia di agricoltura sociale.

5.6   Inclusione dell'agricoltura sociale nella strategia per lo sviluppo sostenibile e nel quadro strategico comune

5.6.1

Un sostegno di una certa entità è stato destinato all'agricoltura sociale nell'ambito dell'attuale politica di sviluppo rurale, e soprattutto degli assi III (diversificazione) e IV (Leader), come pure dell'asse Inclusione sociale dell'FSE. Tuttavia, il riconoscimento del settore in quanto elemento di sviluppo dell'economia rurale dovrebbe permettergli di beneficiare di tutte le azioni promosse e finanziate dai fondi strutturali europei (FEASR, FSE, FESR) e, quindi, di avere accesso a nuove fonti di finanziamento.

5.6.2

Sebbene le proposte della Commissione per il prossimo periodo di programmazione dei fondi strutturali aprano nuove prospettive, dal momento che tra gli obiettivi espliciti della politica di attuazione dei fondi figurano la lotta alla povertà, l'inclusione sociale e la diversificazione delle attività agricole (obiettivi che è possibile combinare in modo ideale nel campo dell'agricoltura sociale), sembra necessario dare maggiore risalto al ruolo dell'agricoltura sociale sia nella programmazione futura che nel contratto di partenariato, allo scopo di offrire al settore un sostegno ancora più forte. A tale proposito, l'UE e gli Stati membri dovrebbero coordinare il ricorso alle diverse politiche che interessano l'agricoltura sociale. A giudizio del CESE, i paesi dell'Unione e le varie autorità (nazionali ed europee) competenti e responsabili della gestione dei fondi UE dovrebbero rafforzare la loro collaborazione al fine di eliminare gli ostacoli che impediscono il ricorso ai fondi strutturali e agevolare l'accesso a tali risorse da parte dei soggetti presenti sul terreno.

5.6.3

Con il nuovo quadro di programmazione l'agricoltura sociale può contare su risorse finanziarie provenienti da più fondi e su un periodo di diversi anni. Il quadro strategico comune consente in effetti di associare tra loro i fondi strutturali nell'ambito di una strategia di finanziamento multiplo. Si dovrebbero perciò invitare gli Stati membri a inserire l'agricoltura sociale nella loro programmazione e a mettere a punto programmi ad hoc affinché questo settore possa avvalersi in misura maggiore dell'intero ventaglio di fondi. È infatti essenziale fare in modo che le autorità nazionali e locali traggano realmente vantaggio da queste opportunità di finanziamento.

Considerate le molteplici dimensioni dell'agricoltura sociale e il suo carattere multifunzionale, il settore e i soggetti interessati trarrebbero grande beneficio da un approccio autenticamente integrato, capace di agevolare e di coordinare meglio il ricorso ai vari fondi disponibili nonché le procedure connesse a tale utilizzo delle risorse.

5.6.4

Un'iniziativa molto utile in tal senso potrebbe essere quella di avviare, nel quadro dello sviluppo rurale, una politica della comunicazione rivolta agli Stati membri, che comprenda anche le attività di monitoraggio e di stesura di relazioni. Si potrebbe anche prendere in considerazione l'idea di creare un sottoprogramma tematico a norma dell'articolo 8 o di rafforzare i progetti Leader incentrati sull'agricoltura sociale.

5.6.5

Per finire, occorrerebbe una più stretta collaborazione tra le direzioni generali della Commissione per agevolare l'accesso dell'agricoltura sociale alle risorse di tutti i fondi strutturali, eliminando gli ostacoli che, fino ad oggi, hanno impedito agli agricoltori di trarre vantaggio dalle politiche regionali.

Bruxelles, 12 dicembre 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


15.2.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/49


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «La qualità dei servizi ferroviari nell’UE» (parere d’iniziativa)

2013/C 44/08

Relatore: CINGAL

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 luglio 2012, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema

La qualità dei servizi ferroviari nell'UE

(parere d'iniziativa).

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 novembre 2012.

Alla sua 485a sessione plenaria, dei giorni 12 e 13 dicembre (seduta del 13 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 137 voti favorevoli, 54 voti contrari e 8 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il presente parere, concernente le attività di trasporto di passeggeri per ferrovia, è stato elaborato alla luce degli obiettivi sui servizi d'interesse generale fissati all'articolo 14 e al protocollo 26 del Trattato di Lisbona, e in questa chiave va letto. Il parere segue inoltre le raccomandazioni contenute nel Libro bianco sui trasporti, nel quale è stata ribadita la necessità di soddisfare gli obiettivi di riduzione dei gas a effetto serra e di garantire una mobilità sostenibile rispettosa dell'ambiente.

1.2

Oltre a voler verificare il grado di realizzazione degli obiettivi di mobilità stabiliti per gli operatori e i diritti e i doveri delle parti in causa, il presente parere intende dunque affrontare l'argomento dell'accesso dei cittadini europei ai servizi d'interesse generale dei trasporti ferroviari nell'Unione e analizzare la qualità di questi ultimi.

1.3

Dato che la qualità dei servizi di trasporto ferroviario è una condizione necessaria ma di per sé insufficiente a garantire lo sviluppo di questo modo di trasporto, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che occorra migliorare i risultati per aumentarne l'attrattiva, basandosi sull'osservazione concreta dei diversi elementi che vi contribuiscono.

1.4

Il CESE chiede che gli stanziamenti previsti per gli investimenti e la manutenzione delle infrastrutture siano oggetto di una programmazione pluriennale e di disposizioni che consentano di garantire un flusso costante di risorse. Vanno prese inoltre in considerazione le sfide relative all'assetto territoriale, al mantenimento della disponibilità delle infrastrutture e alle risorse reali o potenziali da mobilizzare a breve e medio termine.

1.5

Il CESE invita inoltre gli organi europei, nazionali e regionali a ridefinire le condizioni di finanziamento delle diverse componenti d'infrastruttura nel rispetto del principio di sussidiarietà e con l'obiettivo di rafforzare la solidarietà fra i territori. Raccomanda in tale contesto di dare un nuovo orientamento ai fondi assegnati ai trasporti a titolo della politica regionale, la quale rappresenta uno strumento con un forte effetto leva in termini di assetto territoriale.

1.6

Il CESE chiede che un'indagine sulla soddisfazione degli utenti, basata su elementi di valutazione concreti (puntualità, regolarità, fissazione delle tariffe, pulizia, accessibilità, ecc.), venga realizzata da un organo indipendente a livello europeo. La valutazione dovrà essere condotta a partire da una metodologia definita da un comitato direttivo del quale facciano parte tutti i soggetti interessati (utenti, autorità responsabili dell'organizzazione, operatori, lavoratori, ecc.) che sia anche in grado di portare avanti dei controlli.

1.7

Il CESE esprime preoccupazione circa la volontà della Commissione europea di rivedere il regolamento 1370/2007/CE relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia, frutto di un compromesso difficile a livello istituzionale. Precisa inoltre che tale regolamento dà agli Stati membri, in virtù dei principi di proporzionalità e sussidiarietà, numerose possibilità organizzative e che l'equilibrio creato merita di essere valutato alla luce dell'esperienza, così come stabilisce l'articolo 8.2 del regolamento stesso.

1.8

Tenendo conto delle disposizioni del regolamento 1371/2007/CE e delle possibili evoluzioni future, il CESE chiede alla Commissione europea di valutare le seguenti opportunità di miglioramento:

rafforzamento dei diritti in materia di indennizzo in caso di ritardo, stabilendo un rapporto tra la durata del tragitto e il ritardo stesso;

rafforzamento dei diritti in materia di indennizzo dei ritardi attraverso il rimborso diretto da parte dell'operatore senza una ricerca preliminare delle responsabilità in gioco;

semplificazione dell'accesso al modulo e alla procedura di ricorso per ottenere il risarcimento nel quadro di un'azione individuale o collettiva (mediante uso di Internet, allo sportello, ecc.);

potenziamento dei diritti in materia di accesso per le persone con disabilità mediante obbligo di rendere nuovamente accessibili le infrastrutture in tempi brevi (in giornata);

potenziamento dei diritti in materia di sicurezza attraverso l'obbligo di installare dispositivi di avviso al personale di bordo in caso di situazione pericolosa o di problema di salute;

rafforzamento dei diritti dei passeggeri attraverso l'insediamento di mediatori che possano trattare le controversie tra le varie parti.

1.9

Il CESE chiede inoltre alla Commissione europea e agli Stati membri di valutare insieme le seguenti opportunità di miglioramento:

rafforzamento del diritto dei passeggeri alle informazioni concernenti la garanzia in materia di coincidenze;

rafforzamento dei diritti in materia di sicurezza individuando le tratte e le situazioni a rischio, definendo le procedure adeguate e assumendo il personale necessario.

1.10

Nel rispetto del principio di sussidiarietà, il CESE chiede infine agli Stati membri di valutare le seguenti opportunità di miglioramento:

rafforzamento dei diritti dei passeggeri attraverso la possibilità di definire, di comune accordo tra le autorità competenti, i rappresentanti eletti dei comuni interessati, i passeggeri e i loro rappresentanti, i lavoratori e le loro organizzazioni sindacali, un sistema di lettura e di controllo dei livelli dei servizi ferroviari (regolarità, puntualità, accessibilità, pulizia, ecc.);

potenziamento delle procedure di assistenza e di soccorso ai passeggeri in caso di immobilità prolungata dei treni sul binario (più di un'ora).

2.   Osservazioni generali: le esperienze dei cittadini in quanto utenti potenziali o reali delle ferrovie

2.1   Osservazioni generali

2.1.1

Definire una valutazione della soddisfazione dei passeggeri e trovare una posizione comune tra tutti i soggetti su questo tema è tanto più difficile in quanto sono le imprese ad avere gli elementi di analisi, a definire unilateralmente le norme di qualità del servizio e a valutare le proprie attività in base a dette norme (articolo 28 del regolamento 1371/2007/CE). Questo riguarda, ad esempio (ma l'elenco non è completo), il rispetto degli impegni assunti in fatto di puntualità, la regolarità del servizio, la pulizia, l'accoglienza, l'informazione, la fissazione delle tariffe, ecc.

2.1.2

Gran parte dei passeggeri vittime di disfunzioni del servizio ferroviario segnala e lamenta una moltiplicazione degli elementi di perturbazione, riscontra l'impossibilità di verificare la situazione del traffico in tempo reale e segnala un'informazione lacunosa in situazioni perturbate. Da questo, gli interessati ricavano un'impressione di costante degrado in determinati Stati membri. Gli operatori dei servizi ferroviari inoltre non consentono ai passeggeri di accedere facilmente alle disposizioni del regolamento 1371/2007/CE che danno diritto ad una compensazione.

2.1.3

Per quanto concerne i servizi ferroviari sottoposti ad obbligo di pubblico servizio, che assicurano la stragrande maggioranza dei trasporti quotidiani, spesso è stato necessario l'intervento delle autorità responsabili dell'organizzazione dei trasporti o delle autorità competenti per mantenere un adeguato livello di servizio.

2.1.4

Le molteplici offerte di servizi da parte di diversi operatori, senza alcun legame tra loro né coerenza operativa, in un ambiente organizzativo soggetto a notevoli modifiche strutturali e privo della necessaria stabilità e leggibilità, ha provocato un funzionamento basato sulla reattività degli operatori locali, spesso lontani dai circuiti d'informazione in tempo reale, il che ha comportato una serie di disfunzioni e, di conseguenza, l'insoddisfazione dei passeggeri. Alla luce di quanto precede, appare opportuno fare un bilancio della situazione del settore in ciascuno Stato membro, al fine di individuare le possibili piste di miglioramento.

2.2   Elenco incompleto delle disfunzioni riscontrate dai passeggeri e/o dalle loro associazioni:

difficoltà di accesso alle informazioni, segnaletica non funzionante o inadeguata;

tariffe illeggibili oppure difficili da capire;

impossibilità di prevedere un viaggio con sufficiente anticipo rispetto alla partenza del treno, visti i termini massimi per la prenotazione;

problemi di overbooking;

condizioni di accoglienza inadeguate nei treni, nelle stazioni o sui binari (i centri di accoglienza dei passeggeri sono congestionati) oppure mancato rispetto delle norme di igiene (assenza di servizi igienici);

accesso inadeguato per le persone con disabilità sui binari, nelle stazioni, agli impianti di servizio, sui treni; tempi di prenotazione troppo lunghi (48 ore) per l'assistenza da parte di personale specializzato o criteri di assistenza troppo rigidi (peso totale);

mancanza di sicurezza sui treni e nelle stazioni;

ritardi nell'arrivo del treno sul binario, mancata considerazione del cambiamento di binario nelle coincidenze;

due treni che partono ad orari ravvicinati sullo stesso binario allorquando vi sono diversi binari liberi;

spazio insufficiente per i bagagli;

mancata considerazione dei trasporti multimodali (difficoltà di farsi carico delle biciclette, cattiva organizzazione e gestione, o addirittura assenza, di coincidenze con altri modi di trasporto, mancanza d'informazione e d'integrazione tariffaria e dei servizi);

scarsa puntualità, mancanza di regolarità nel servizio, soppressione di treni senza preavviso;

cattiva assistenza ai passeggeri in situazione perturbata, indennizzi insufficienti o negati;

soppressione o riorganizzazione dei servizi senza prima esaminare la situazione con gli utenti, i loro rappresentanti, gli enti territoriali interessati (esempio della soppressione dei treni notturni, modifica degli orari, cadenze, ecc.)

aumento dei tempi di percorrenza tra due fermate;

inadeguata accessibilità ai circuiti di vendita e distribuzione.

2.3   Cause principali delle perturbazioni impossibili da prevedere:

Intemperie, non anticipate da adeguamenti tecnici o da procedure che consentano di garantire la qualità del servizio fornito;

problemi al materiale, come conseguenza di un controllo inadeguato della vita del materiale stesso, della sua durata, della lotta contro la sua obsolescenza, della mancanza di programmazione e della precarietà delle risorse per la manutenzione;

problemi umani, vale a dire suicidi, manifestazioni che riguardano l'accesso a installazioni vulnerabili. Nel presente parere, il CESE non intende fare osservazioni sulle cause e sugli effetti di tali problemi.

2.4   Valutazioni positive ed elementi di soddisfazione in grado di contribuire alla scelta di un nuovo modo di trasporto:

Elevato livello di sicurezza delle persone e degli spostamenti;

professionalità del personale;

possibilità che le ferrovie contribuiscano all'assetto e allo sviluppo dei territori.

3.   Osservazioni specifiche: l'evolversi della situazione nel corso degli ultimi decenni

3.1

La Commissione ha rispettato il principio della libera circolazione dei cittadini sancito dal Trattato, e ha sostenuto il criterio della mobilità sostenibile. Le ferrovie sono considerate un modo di trasporto pubblico di massa che garantisce buone prestazioni e che si adatta alle richieste espresse dalle autorità competenti. Le ferrovie rispettano l'ambiente e si servono d'infrastrutture ancora capillari, oggetto di adeguata manutenzione o che possono essere facilmente rimesse a punto.

3.2

L'UE ha definito una rete europea di linee internazionali, per il cui completamento sono stati o saranno effettuati importanti investimenti. Questa iniziativa dell'Unione deve tuttavia poggiare su una convergenza con gli Stati membri in materia di scelte d'investimento, al fine di dare ai passeggeri europei la possibilità di usufruire di un trasporto «porta a porta» senza eccessivi trasbordi modali.

3.3

L'analisi della situazione di alcune zone servite e della gestione dei relativi servizi ha tuttavia dato luogo a delle scelte strategiche arbitrarie, che non hanno tenuto conto della necessità di pensare i trasporti in modo da ridurre i trasbordi, con un impatto negativo sull'utilizzo dei mezzi pubblici.

3.4

Questo esame, preliminare a scelte gravide di conseguenze, fa sempre più spesso parte delle riflessioni condotte dalle autorità responsabili, le quali devono tuttavia far fronte a problemi di finanziamento dovuti a una mancanza di leggibilità e di stabilità a medio e lungo termine.

3.5

Eppure, i trasporti rappresentano una parte considerevole dei bilanci nazionali e regionali. I cittadini, consapevoli di questa situazione, e soprattutto tenendo conto della crisi attuale, chiedono che vi sia una vera trasparenza e che vengano fornite informazioni attendibili, ricordando nuovamente la mancanza di una controperizia per i nuovi grandi progetti. Come il CESE ha osservato nel parere TEN/479, il dialogo fra le autorità e la società civile è una questione molto importante, in particolare per quanto riguarda gli investimenti nelle infrastrutture di trasporto.

4.   La richiesta rientra nel programma di azioni prioritarie del Comitato

4.1

Il presente parere d'iniziativa costituisce il seguito di lavori precedenti, quali:

il parere TEN/432-433: Spazio ferroviario europeo unico;

il parere TEN/454: Tabella di marcia verso uno spazio unico europeo dei trasporti;

il parere TEN/471: Orientamenti per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti;

il parere TEN/479: Libro bianco sui trasporti: verso l'adesione e l'impegno della società civile;

il parere TEN/480: I diritti dei passeggeri in tutti i modi di trasporto.

4.2

La volontà di creare una rete europea dei trasporti ha logicamente concentrato il grosso dei fondi europei sulle linee principali. Questo approccio è stato accompagnato da scelte che hanno privilegiato la creazione di linee ad alta velocità, spesso a scapito della modernizzazione di altri assi esistenti a causa delle riduzioni di bilancio. Nelle loro riflessioni, i pubblici poteri devono rafforzare l'offerta ferroviaria nell'offerta pubblica di trasporto, facendone addirittura, in alcuni casi, la spina dorsale di un sistema multimodale coerente. In tale contesto, è necessario mobilizzare i diversi fondi europei a favore di una politica coerente di mobilità sostenibile (assegnazione dei fondi per i trasporti della DG Regio).

4.3

Il Comitato chiede pertanto una valutazione oggettiva della situazione attuale dei trasporti ferroviari (vantaggi/svantaggi). La Commissione dovrà effettuare questa valutazione nella più completa trasparenza, garantendo le necessarie informazioni e invitando i cittadini a far conoscere le loro aspettative su un tema che riguarda la stragrande maggioranza di noi (tragitti da casa al lavoro, spostamenti occasionali per motivi professionali, visite familiari, vacanze).

5.   Il CESE desidera richiamare l'attenzione sulla problematica nel suo insieme

5.1

In questo periodo di crisi e di riduzione delle risorse pubbliche a disposizione, una politica di rilancio basata su una strategia di sviluppo sostenibile avrebbe un impatto positivo sull'occupazione e sulla qualità dei posti di lavoro, sulla realizzazione degli obiettivi di scelta di nuovi modi di trasporto e sull'accesso dei cittadini europei ai servizi d'interesse generale nel campo dei trasporti. Il CESE ribadisce pertanto che le grandi opere devono iscriversi in questa strategia globale.

5.2

Il CESE richiama l'attenzione sul fatto che, se alcuni cambiamenti di orario e la scomparsa di determinati treni comportano un peggioramento del servizio, i cittadini possono essere spinti a cambiare residenza o lavoro. Questa mobilità forzata non corrisponde al concetto di mobilità sostenuto dai nostri cittadini. Il CESE sottolinea che questi cambiamenti spesso si traducono nella scelta di un nuovo modo di trasporto (auto o aereo) che va contro la politica auspicata.

5.3

Il CESE invita la Commissione a studiare e preparare un programma europeo di recupero delle reti ferroviarie e/o a sostenere i programmi futuri negli Stati membri. Un programma europeo volto a soddisfare le aspettative dei clienti delle imprese ferroviarie si integrerebbe facilmente nelle strategie europee (strategia di sviluppo sostenibile, Orizzonte 2020). Il dialogo con la società civile in merito alla politica dei trasporti godrebbe di un ampio consenso da parte dei cittadini. Una nuova destinazione dei fondi per i trasporti assegnati a titolo della politica regionale sarebbe uno strumento con un forte effetto leva a favore di detta strategia.

Bruxelles, 13 dicembre 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


15.2.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/53


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Aspetti problematici di una definizione dell’edilizia abitativa sociale come servizio d’interesse economico generale» (parere d’iniziativa)

2013/C 44/09

Relatore: HENCKS

Il Comitato economico e sociale europeo ha deciso, in data 19 gennaio 2012, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Aspetti problematici di una definizione dell'edilizia abitativa sociale come servizio d'interesse economico generale

L'Ufficio di presidenza del Comitato, in data 21 febbraio 2012, ha incaricato la sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione di preparare i lavori in materia. La sezione specializzata ha adottato il proprio parere in data 26 novembre 2012.

Alla sua 485a sessione plenaria, dei giorni 12 e 13 dicembre 2012 (seduta del 13 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 67 voti favorevoli, 5 voti contrari e 4 astensioni.

1.   Il diritto all'alloggio – Principi generali

1.1

Garantire il diritto all'alloggio è un obbligo internazionale degli Stati membri che l'Unione europea è tenuta a prendere in considerazione. Tale diritto infatti è riconosciuto nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo delle Nazioni unite, che recita: «ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari». La Carta sociale riveduta del Consiglio d'Europa stabilisce che «per garantire l'effettivo esercizio del diritto all'abitazione, le Parti s'impegnano a prendere misure destinate a favorire l'accesso a un'abitazione di livello sufficiente; a prevenire e ridurre lo status di“senza tetto” in vista di eliminarlo gradualmente; a rendere il costo dell'abitazione accessibile alle persone che non dispongono di risorse sufficienti». Il diritto all'alloggio è sancito dalla Costituzione di numerosi Stati membri e/o regolato da leggi specifiche intese a garantirne l'effettiva attuazione.

1.2

La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea stabilisce che «al fine di lottare contro l'esclusione sociale e la povertà, l'Unione riconosce e rispetta il diritto all'assistenza sociale e all'assistenza abitativa volte a garantire un'esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti, secondo le modalità stabilite dal diritto dell'Unione e le legislazioni e prassi nazionali».

1.3

Nella maggior parte degli Stati membri l'esercizio di tali diritti si realizza per il tramite di un servizio di interesse economico generale (SIEG), conformemente all'articolo 36 della Carta dei diritti fondamentali, in base al quale «al fine di promuovere la coesione sociale e territoriale dell'Unione, questa riconosce e rispetta l'accesso ai servizi d'interesse economico generale quale previsto dalle legislazioni e prassi nazionali, conformemente ai trattati».

1.4

Ai sensi dell'articolo 106, paragrafo 2, del TFUE, e una volta che l'accesso universale all'alloggio sia stato qualificato come SIEG, le imprese incaricate della gestione di questo servizio sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata dalle autorità nazionali, regionali o locali. La decisione della Commissione del 20 dicembre 2011 («decisione SIEG») limita la fornitura di alloggi sociali sovvenzionati «ai cittadini svantaggiati o ai gruppi sociali più svantaggiati che non sono in grado di trovare un alloggio a condizioni di mercato a causa di limiti a livello di solvibilità».

1.5

Secondo il protocollo n. 26 allegato al Trattato di Lisbona, la principale responsabilità di fornire, commissionare e organizzare i SIEG incombe agli Stati membri e alle loro autorità nazionali, regionali e locali, che in questo campo dispongono di un ampio potere discrezionale e di libertà di scelta democratica.

1.6

Il medesimo protocollo impone agli Stati membri, tra l'altro, di garantire un alto livello di accessibilità economica e la promozione dell'accesso universale ai SIEG.

1.7

L'attuazione del diritto all'alloggio condiziona quella di altri diritti fondamentali, come il diritto alla dignità umana, il diritto alla protezione della vita privata e del domicilio, il diritto di costituire una famiglia, il diritto all'acqua, alla salute, all'energia, ecc. Disporre di un'abitazione dignitosa è essenziale per sviluppare la propria personalità e integrarsi nella società.

1.8

L'esercizio effettivo del diritto all'alloggio dipende essenzialmente, nella maggior parte dei casi, dalla disponibilità di un'offerta adeguata. Molto spesso il diritto all'alloggio prende la forma del diritto all'accesso a un alloggio dignitoso a prezzi accessibili.

1.9

Spesso, però, garantire l'accesso a un alloggio non significa che i poteri pubblici sono tenuti a fornire un alloggio a chiunque ne faccia domanda. Lo Stato o altra autorità pubblica competente ha l'obbligo politico di migliorare, tramite le sue politiche e i suoi programmi, l'accesso all'alloggio per l'intera popolazione.

1.10

Gli Stati membri intervengono, con modalità e intensità molto diverse, nel funzionamento del loro mercato immobiliare nel quadro dell'attuazione di questo diritto fondamentale, con l'obiettivo di consentire ad ogni cittadino di ottenere un alloggio dignitoso a prezzi accessibili. Un adeguato coinvolgimento dei futuri abitanti nella costruzione di abitazioni sociali contribuisce all'accessibilità di questo tipo di alloggi ma anche alle prospettive occupazionali dei partecipanti.

1.11

Da questo punto di vista, l'alloggio costituisce un bene (pubblico o di interesse pubblico) per il quale gli Stati membri stabiliscono, in funzione di scelte politiche e preferenze collettive specifiche, norme minime di abitabilità e confort, regole specifiche in materia di urbanistica e di edilizia, e tassi di sforzo massimi; in qualche caso, poi, regolano l'andamento dei prezzi degli alloggi - come avviene in Germania - o addirittura stabiliscono meccanismi di prestazioni sociali specifiche o agevolazioni fiscali per influire su questa voce fondamentale nelle spese obbligatorie delle famiglie.

2.   L'edilizia abitativa sociale

2.1

Non si può fare a meno di constatare che, malgrado questi dispositivi, per molti cittadini dell'Unione l'accesso a un alloggio dignitoso non è più finanziariamente possibile. Nel 2010 il 5,7 % della popolazione europea non disponeva di un alloggio fisso (fonte: Europe Information Service S.A.), nonostante l'impegno assunto dalla Carta sociale riveduta del Consiglio d'Europa di ridurre lo status di «senzatetto» in vista di eliminarlo gradualmente, il 17,86 % viveva in alloggi sovraffollati o non dignitosi e il 10,10 % delle famiglie lamentava un costo eccessivo dell'alloggio, che superava il 40 % del loro reddito disponibile.

2.2

Diversi Stati membri, inoltre, hanno optato per la definizione e l'organizzazione di un'offerta parallela di alloggi «cosiddetti sociali», a complemento dell'offerta spontaneamente presente sul mercato privato. Questi alloggi vengono messi a disposizione, a specifiche condizioni, essenzialmente da operatori senza scopo di lucro costituiti ad hoc, ma anche da investitori privati, persone giuridiche o fisiche, appositamente incaricati e sovvenzionati da enti pubblici nazionali, regionali o locali.

2.3

Tutti gli Stati membri, ad eccezione della Grecia, dispongono di un parco di alloggi sociali. 25 milioni di famiglie europee occupano pertanto alloggi sociali, le cui condizioni di programmazione territoriale, di accesso e di prezzo sono definite direttamente dalle autorità politiche degli Stati membri.

2.4

Quest'offerta parallela di alloggi contribuisce in particolare, grazie alla sua stabilità e alla disciplina dei suoi prezzi, a ridurre l'ampiezza dei cicli del mercato immobiliare e dei fenomeni delle bolle immobiliari. In questo modo gli Stati membri che dispongono di un numero considerevole di alloggi sociali sono riusciti a sfuggire al fenomeno delle bolle immobiliari e alle loro conseguenze macroeconomiche.

2.5

L'edilizia residenziale sociale è una delle possibili risposte dei poteri pubblici all'incapacità del mercato immobiliare di soddisfare tutte le esigenze abitative e di garantire a tutti un alloggio dignitoso a un prezzo di acquisto/canone di locazione accessibile. Un adeguato coinvolgimento dei futuri occupanti nella costruzione di abitazioni sociali rende più accessibile il prezzo di tali alloggi, migliora l'atteggiamento degli abitanti nei confronti delle abitazioni fornite e permette loro di acquisire o perfezionare delle abitudini e competenze lavorative che aumentano le loro opportunità sul mercato del lavoro.

2.6

L'incapacità del mercato di soddisfare tutte le esigenze abitative non colpisce soltanto le persone che sono del tutto escluse dall'accesso a un alloggio, ma anche quelle che occupano un alloggio insalubre, inadeguato o sovraffollato, oppure che spendono la maggior parte del loro reddito per pagare il canone di locazione o le rate del mutuo.

2.7

Le esigenze abitative variano considerevolmente tra Stati membri e anche all'interno di uno stesso Stato membro, tra paesi dell'Europa occidentale e orientale, nonché tra zone rurali e urbane, e, all'interno di queste ultime, tra il centro cittadino e la periferia.

2.8

Negli Stati membri dell'Unione vengono applicate tre concezioni diverse:

A)

concezione residuale

Gli alloggi sociali sovvenzionati da un ente pubblico sono riservati unicamente a persone svantaggiate o emarginate, chiaramente identificate come tali. Per questi alloggi esistono regole di assegnazione molto rigorose. Il canone di locazione è quasi interamente a carico di un sistema di assistenza sociale. Tale concezione non entra in concorrenza con il settore immobiliare privato e corrisponde appieno alla definizione unionale di servizio di interesse economico generale formulata nella decisione della Commissione europea del 20 dicembre 2011, che limita l'esenzione dall'obbligo di notifica delle compensazioni ricevute per costi di servizio pubblico alla fornitura di «alloggi a cittadini svantaggiati o a gruppi sociali più svantaggiati che non sono in grado di trovare un alloggio a condizioni di mercato a causa di limiti a livello di solvibilità».

In questa categoria rientrano la Bulgaria, Cipro, l'Estonia, l'Irlanda, la Lettonia, la Lituania, Malta, il Portogallo, il Regno Unito, la Romania, la Slovacchia, la Spagna (in parte per il settore degli affitti sociali) e l'Ungheria.

B)

concezione generalista

Secondo questa concezione, beneficiari degli alloggi sociali sono sì le persone svantaggiate o escluse (concezione residuale), ma anche quelle dotate di risorse modeste, che incontrano difficoltà ad accedere a un alloggio adeguato per via della precarietà del loro reddito. L’accesso all'alloggio è, in genere, condizionato a dei massimali di reddito e alla composizione delle famiglie. I canoni di locazione sono regolamentati e restano abbordabili. In linea generale, questa concezione incide in misura limitata sul livello globale dell'offerta di alloggi e sui relativi prezzi, e non crea nessun attrito con il mercato immobiliare privato, poiché i margini di profitto restano molto limitati.

Questa concezione riguarda delle categorie di popolazione più ampie, ma risponde anch'essa ai requisiti unionali di risposta a un'esigenza sociale. Viene applicata in Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Polonia, Repubblica ceca, Slovenia e (per l'accesso alla proprietà) Spagna.

C)

concezione universale, applicata in Danimarca e nei Paesi Bassi, ma in maniera diversa.

Nei Paesi Bassi tale concezione prevede di fornire un alloggio a tutti i cittadini, a prescindere dal reddito (quindi anche - ma non solo - alle persone svantaggiate o con basso reddito), e rappresenta un'offerta complementare rispetto al mercato immobiliare tradizionale. Essa incide fortemente sulle condizioni di mercato e sui prezzi attraverso una politica tariffaria di alloggio basata sui costi effettivi e non rapportata ai valori di mercato, e garantisce al tempo stesso una sicurezza di occupazione dell'alloggio che non è offerta dal settore privato del mercato.

Data l'assenza del requisito di risposta mirata a una determinata esigenza sociale, questa concezione universale dell'alloggio viene contestata dalla Commissione europea, secondo cui essa non corrisponde alla definizione unionale di SIEG-alloggio. La concezione universale non è più in vigore in Svezia, paese che ha rinunciato alla qualifica esplicita di SIEG-alloggio.

In Danimarca la concezione universale è profondamente radicata nel modello del welfare. Essa non limita il concetto di gruppi o cittadini svantaggiati, vulnerabili o esclusi collegandolo a un determinato livello di reddito, ma è incentrata sulla fornitura di abitazioni abbordabili e accessibili alle persone che ne hanno bisogno. Tale concezione completa il mercato immobiliare tradizionale, abolendo gli obblighi sociali legali, garantendo la parità e l'eterogeneità sociale in termini di origini etniche, genere, reddito, età, disabilità ed esigenze di tipo mentale o fisico. La politica dei prezzi è regolamentata e basata sui costi effettivi, il che esclude ogni possibilità di sovracompensazione.

3.   L'edilizia abitativa sociale nel quadro del diritto dell'UE

3.1

Tenuto conto dell'incapacità delle forze del mercato di assicurare da sole un alloggio dignitoso ad ogni cittadino, nel diritto dell'UE l'edilizia abitativa sociale può rientrare tra i servizi di interesse economico generale se qualificata come tale dallo Stato membro interessato e, in tal caso, può beneficiare di sovvenzioni o di compensazioni pubbliche.

3.2

Il protocollo n. 26 allegato al Trattato di Lisbona conferma il ruolo essenziale e l'ampio potere discrezionale delle autorità nazionali, regionali e locali di fornire, commissionare e organizzare i SIEG nel modo più adeguato possibile alle esigenze degli utenti. Gli alloggi sociali sono sottoposti ad obblighi di servizio pubblico stabiliti dai poteri pubblici nazionali, regionali o locali, in particolare per quanto riguarda la programmazione, i prezzi e le condizioni di assegnazione e occupazione. Il medesimo protocollo impone agli Stati membri, tra l'altro, di garantire un alto livello di accessibilità economica dei SIEG, la parità di trattamento e la promozione dell'accesso universale e dei diritti dell'utente.

3.3

Se qualificata come SIEG, l'edilizia abitativa sociale è disciplinata dagli articoli 14 e 106, paragrafo 2, del TFUE come pure dal protocollo n. 26 dei Trattati, che stabilisce in particolare il principio delle preferenze collettive di natura sociale e culturale e di soddisfazione delle esigenze espresse a livello locale in materia di definizione dei SIEG da parte degli Stati membri. Tali disposizioni privilegiano l'adempimento della missione affidata ai servizi di edilizia abitativa sociale rispetto alle regole di concorrenza e del mercato interno entro l'ambito di applicazione di determinate condizioni fissate nella decisione SIEG, come indicato al punto 3.6.

3.4

In applicazione di queste norme dettate dai Trattati, la Commissione ha esentato dall'obbligo di notifica preventiva gli aiuti di Stato concessi agli enti di edilizia residenziale pubblica.

3.5

La possibilità per gli Stati membri di qualificare l'edilizia abitativa sociale come SIEG è sottoposta soltanto a un controllo di errore manifesto da parte della Commissione europea, sotto il controllo della Corte di giustizia dell'Unione europea.

3.6

Al riguardo, in ragione del fatto che il «servizio pubblico presenta un carattere sociale», la Commissione ritiene che l'alloggio sociale debba essere definito «in diretto collegamento con i cittadini svantaggiati o i gruppi sociali più svantaggiati», e non in funzione della diversità delle esigenze abitative che trovano espressione sui mercati immobiliari locali. Questo punto rappresenta una costante fonte di controversie tra la Commissione e taluni Stati membri, enti di edilizia residenziale pubblica e rappresentanti degli assegnatari degli alloggi sociali che sono in disaccordo con questo orientamento della Commissione, mentre altri lo condividono.

4.   Un quadro giuridico destabilizzante per le politiche di edilizia abitativa sociale degli Stati membri

4.1

La prassi decisionale seguita dalla Commissione europea in materia di controllo dell'errore manifesto nella qualifica dell'edilizia abitativa sociale come servizio di interesse generale ha prodotto dei cambiamenti nelle scelte politiche compiute da taluni Stati membri in materia di organizzazione e finanziamento degli alloggi sociali e ha dato luogo a controversie.

4.2

Nei Paesi Bassi, ad esempio, l'applicazione di tale prassi decisionale ha portato a escludere dall'accesso ad alloggi sociali circa 400 000 famiglie, giudicate dalla Commissione europea troppo abbienti per avere diritto a questo tipo di alloggio, ma, nella pratica, non abbastanza ricche per procurarsi un alloggio alle condizioni di mercato.

4.3

In Svezia il rifiuto di applicare questa prassi decisionale ha indotto le autorità pubbliche a escludere l'edilizia abitativa sociale dai servizi di interesse economico generale, rimettendo così in discussione le sue modalità di finanziamento sotto forma di compensazioni per la prestazione di un servizio pubblico, le sole compatibili con il principio del divieto degli aiuti di Stato sancito dal Trattato.

4.4

In Francia l'Unione nazionale dei proprietari immobiliari ha presentato una denuncia contro lo Stato francese presso la Commissione europea, lamentando in particolare il fatto che i massimali di reddito per accedere agli alloggi sociali sarebbero troppo elevati e non consentirebbero di rispettare la prassi decisionale della Commissione.

4.5

Le direttive proposte dalla Commissione in materia di appalti pubblici e concessioni tendono a sottoporre alle loro disposizioni, e in particolare a gara d'appalto, le cooperazioni tra enti di edilizia residenziale pubblica che si configurano come imprese sociali e organismi di diritto pubblico. Estendendo all'insieme delle amministrazioni appaltanti la giurisprudenza relativa alle cooperazioni tra enti pubblici, la Commissione induce così a rimettere in discussione le prassi di cooperazione e condivisione delle risorse necessarie alla modernizzazione degli alloggi sociali, alla loro corretta gestione e al rafforzamento del radicamento sul territorio.

4.6

Questi esempi concreti sono la prova degli effetti diretti prodotti dal diritto dell'UE sulle condizioni di definizione, organizzazione e finanziamento dell'edilizia abitativa sociale da parte degli Stati membri, e indicano la necessità di definire un quadro giuridico favorevole allo sviluppo di questo tipo di edilizia nell'Unione europea.

4.7

Date le sue molteplici dimensioni e la sua forte rappresentatività nell'Unione europea, l'edilizia abitativa sociale svolge un ruolo cruciale nell'attuazione della strategia Europa 2020: concorre attivamente, infatti, all'obiettivo di fare dell'Unione un'economia intelligente, sostenibile e inclusiva, in quanto contribuisce a garantire livelli elevati di occupazione, produttività, inclusione e coesione sociale, nonché a combattere la povertà e i cambiamenti climatici contrastando al tempo stesso la precarietà energetica.

4.8

Anche se ogni Stato membro deve adottare obiettivi nazionali specifici in ciascuno di questi ambiti, compreso lo sviluppo di un'offerta di alloggi sociali, è necessario che tutta una serie di azioni concrete condotte a livello europeo accompagni la strategia Europa 2020 anche nel campo dell'edilizia abitativa sociale.

5.   Politiche di edilizia abitativa sociale inserite appieno negli obiettivi di Europa 2020 e in una migliore governance economica

5.1

L'edilizia abitativa sociale contribuisce attivamente alla realizzazione di diversi obiettivi della strategia Europa 2020, sia per quanto riguarda la strategia di crescita e di attrattività dei territori, di generazione di investimenti e di creazione di posti di lavoro indotti non delocalizzabili, sia in termini di lotta contro la povertà e l'esclusione sociale e di impegno nel combattere i cambiamenti climatici e la precarietà energetica.

5.2

L'Unione europea è il secondo produttore mondiale di abitazioni sociali dopo la Cina, che ha fatto dell'edilizia abitativa sociale una politica di accompagnamento della crescita economica e urbana e di moderazione dei fenomeni delle bolle immobiliari nel settore dell'edilizia privata.

5.3

L'edilizia abitativa sociale è pienamente ammissibile al sostegno dei fondi strutturali per il periodo 2014-2020, conformemente alle proposte della Commissione europea, in particolare in materia di rinnovamento termico e promozione delle fonti di energia rinnovabili, di azioni integrate di sviluppo urbano sostenibile e di lotta all'esclusione tramite l'accesso - per le comunità marginalizzate - all'alloggio e a servizi sociali di qualità a prezzi accessibili.

5.4

L'edilizia abitativa sociale costituisce una risposta concreta ed efficace alla volontà della Commissione e del Consiglio di rafforzare la governance economica della zona euro e segnatamente il controllo delle bolle immobiliari e dei loro effetti devastanti sugli equilibri macroeconomici e sociali. Lo sviluppo di un'offerta parallela di alloggi sociali contribuisce a moderare l'ampiezza di questi fenomeni e a ridurre i cicli dei mercati immobiliari.

5.5

Qualora, per ragioni di bilancio o per un'interpretazione troppo restrittiva della definizione di cittadini svantaggiati o gruppi sociali più svantaggiati, uno Stato membro non fosse più in grado di adattare l'offerta di edilizia abitativa sociale alle esigenze reali dei cittadini, conformemente agli impegni assunti sul piano internazionale in materia di diritto all'alloggio, l'accesso universale a un alloggio dignitoso e abbordabile potrebbe realizzarsi soltanto a costo di una forte ingerenza dei poteri pubblici nel mercato privato.

6.   Far fronte alle nuove sfide energetiche e sociali

6.1

L'edilizia abitativa sociale deve far fronte alla nuova situazione climatica e alla necessità di migliorare il rendimento energetico delle abitazioni già esistenti e di quelle di nuova costruzione. Le politiche di investimento energetico attuate dagli enti di edilizia residenziale pubblica devono beneficiare di un sostegno pubblico in quanto permettono, al tempo stesso, di lottare contro il cambiamento climatico e la precarietà energetica delle famiglie a basso reddito e di promuovere l'occupazione locale e lo sviluppo economico dei territori. La politica di coesione può contribuire attivamente a questa dinamica ed esercitare un effetto leva per mobilitare altri finanziamenti complementari.

6.2

Anche l'invecchiamento della popolazione pone una notevole sfida in vista del necessario adattamento degli alloggi sociali alle esigenze delle persone anziane e non autosufficienti, nonché dello sviluppo di nuovi servizi integrati che consentano a queste ultime di continuare a vivere nella propria abitazione e garantiscano l'accessibilità degli alloggi sociali.

6.3

La sempre maggiore precarietà delle famiglie che beneficiano e/o fanno domanda di un alloggio sociale rafforza l'esigenza di assicurare l'eterogeneità sociale e la qualità dell'offerta sul territorio, come pure di mettere a punto approcci integrati di sviluppo urbano sostenibile che coprano le dimensioni sociali, economiche, urbane e ambientali promosse nella proposta di regolamento FESR della Commissione europea.

7.   Il ruolo dell'Unione europea

7.1

L'Unione europea deve innanzitutto garantire un quadro giuridico propizio allo sviluppo dell'edilizia abitativa sociale negli Stati membri, in termini sia di finanziamento dell'offerta che di modalità di definizione e funzionamento. Tale quadro giuridico favorevole si realizza su diversi piani: controllo dell'errore manifesto nella qualificazione come servizio di interesse economico generale, compatibilità degli aiuti di Stato concessi agli enti di edilizia residenziale pubblica, applicazione delle disposizioni relative agli appalti pubblici e alle cooperazioni tra detti enti ma anche applicazione di aliquote IVA ridotte agli alloggi sociali in quanto beni di prima necessità.

7.2

La Commissione europea dovrebbe riconsiderare la propria prassi decisionale in materia di controllo di errore manifesto nella qualificazione dell'alloggio sociale come servizio di interesse economico generale, poiché può non essere sempre adeguata alle caratteristiche del settore. Deve lasciare agli Stati membri la responsabilità di definire le condizioni di accesso e di prezzo per gli alloggi sociali in relazione alle esigenze e alle preferenze locali nonché alle esigenze reali dei cittadini svantaggiati o dei gruppi sociali più svantaggiati, conformemente alle disposizioni del protocollo n. 26 sui servizi di interesse generale.

7.3

Il CESE si rallegra della decisione della Commissione, da un lato, di prorogare, per gli enti di edilizia residenziale pubblica, l'esenzione dall'obbligo di notifica degli aiuti di Stato sotto forma di compensazioni di servizio pubblico e, dall'altro, di prenderne in considerazione talune specificità, in particolare riguardo alla durata del mandato e agli investimenti a lungo termine.

7.4

Il CESE si compiace della volontà della Commissione, espressa in una comunicazione sull'imprenditoria sociale, di promuovere un ecosistema favorevole allo sviluppo delle imprese sociali nell'Unione europea, anche in materia di accesso all'alloggio, e di favorire la creazione di fondi di investimento solidali. Sottolinea la necessità di preservare il ruolo delle parti sociali negli Stati membri in cui la cultura nazionale ha previsto il coinvolgimento di tali soggetti nella gestione degli alloggi sociali.

7.5

La Commissione, il Parlamento europeo e il Consiglio dovrebbero includere, nelle direttive proposte in materia di appalti pubblici e concessioni, anche la cooperazione tra gli enti di edilizia residenziale pubblica in qualità di organismi di diritto pubblico e di imprese sociali, inserendola nel campo della cooperazione pubblico-pubblico in considerazione della finalità di interesse pubblico perseguita da tali enti e delle loro partecipazioni pubbliche o private.

7.6

La Commissione dovrebbe riconsiderare le proprie proposte sul futuro del sistema comune d'IVA, mantenendo per gli Stati membri la possibilità di applicare un'aliquota ridotta alla costruzione e alla ristrutturazione degli alloggi sociali da parte di tutti gli operatori, che siano pubblici, sociali o privati, in quanto si tratta di beni di prima necessità a carattere locale che non influiscono sul commercio tra Stati membri e sul buon funzionamento del mercato interno.

7.7

L'Unione europea deve altresì sostenere gli Stati membri nello sviluppo dell'offerta di alloggi sociali e nella sua modernizzazione intesa a rispondere alle nuove sfide demografiche, sociali e climatiche, dando così un contributo attivo al conseguimento degli obiettivi della strategia Europa 2020.

7.8

In quest'ottica, il CESE si rallegra della proposta della Commissione relativa ai regolamenti FESR e FSE che consiste nel rendere ammissibili al sostegno dei fondi strutturali 2014-2020 gli investimenti prioritari in materia di rinnovamento termico degli alloggi sociali, di azioni integrate di sviluppo urbano sostenibile, di accesso ad alloggi sociali di qualità e a prezzi accessibili per le comunità marginalizzate e di promozione delle imprese sociali. Il CESE rammenta che l'obiettivo è poter proporre un alloggio sociale di qualità a tutti coloro che ne hanno bisogno.

7.9

Il CESE reputa che tali misure siano necessarie e debbano accompagnare le disposizioni della proposta di direttiva sull'efficienza energetica della Commissione, che impone agli enti di edilizia residenziale pubblica di rinnovare ogni anno il 4 % degli alloggi sociali sul piano del rendimento energetico. Tale obbligo deve essere accompagnato da misure specifiche di finanziamento degli investimenti necessari, in particolare tramite il FESR ma anche mediante un fondo d'investimento da creare a livello europeo.

7.10

Il Parlamento europeo e il Consiglio dovrebbero adottare le proposte della Commissione relative ai regolamenti FESR e FSE che rientrano nel quadro dell'attuazione della strategia Europa 2020 e che, tramite i regolamenti sui fondi strutturali, riconoscono per la prima volta la funzione prioritaria dell'alloggio per quanto riguarda le politiche di investimento degli Stati membri a titolo della politica di coesione 2014-2020.

7.11

La regolazione dei mercati immobiliari degli Stati membri è una sfida essenziale per la stabilità della zona euro, in considerazione dell'impatto macroeconomico e sociale esercitato dai fenomeni delle bolle immobiliari. L'edilizia abitativa sociale contribuisce alla stabilizzazione dei mercati immobiliari e alla regolazione dei cicli di tali mercati.

7.12

Il CESE si rallegra della proposta della Commissione di mettere in atto una sorveglianza macroeconomica rafforzata della zona euro inserendovi un capitolo dedicato agli effetti macroeconomici delle bolle immobiliari. Il CESE ritiene che questo dispositivo di sorveglianza rafforzata debba essere accompagnato da misure intese a promuovere meccanismi di regolazione intelligente dei mercati immobiliari negli Stati membri e a sviluppare un'offerta abitativa sociale e privata: si tratta infatti di due fattori che esercitano un effetto stabilizzante e moderatore dei cicli del mercato immobiliare compatibili con un'urbanizzazione sostenibile.

7.13

Il CESE reputa indispensabile avviare una riflessione sulla possibilità di creare riserve europee di stabilizzazione del finanziamento dell'edilizia abitativa sociale, che fa parte del modello sociale europeo. Andrebbe esaminata l'ipotesi di istituire un libretto di risparmio popolare europeo, con un importo massimo predefinito, dedicato agli alloggi sociali. Il libretto potrebbe essere aperto online presso la BEI, la quale garantirebbe la gestione di tali fondi. Tale procedura svolgerebbe la duplice funzione di stabilizzare gli investimenti negli alloggi sociali e creare un forte senso di appartenenza civica presso i sottoscrittori.

Bruxelles, 13 dicembre 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


15.2.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/59


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Una società civile emergente in Cina: il contributo della società civile all’Anno del dialogo interculturale UE-Cina e i suoi effetti duraturi»

2013/C 44/10

Relatrice: SIGMUND

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 16 settembre 2010, ha deciso di elaborare un parere sul tema:

Una società civile emergente in Cina: il contributo della società civile all'Anno del dialogo interculturale UE-Cina e i suoi effetti duraturi.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il parere in data 20 novembre 2012.

Alla sua 485a sessione plenaria, dei giorni 12 e 13 dicembre 2012 (seduta del 13 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 68 voti favorevoli, 1 voto contrario e 5 astensioni.

1.   Raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) chiede alla Commissione di essere coinvolto nelle attività in corso dei diversi gruppi di lavoro istituiti nel quadro del terzo pilastro, ossia quello del dialogo interpersonale. In quanto piattaforma istituzionale del dialogo civile nell'ambito dell'Unione, il Comitato dispone già di un vasto know-how e di una certa esperienza che potrebbe mettere a frutto nella costruzione di questo dialogo con la Cina. Già nel 1999 il Comitato costatava che «la cultura struttura anche il campo d'azione della società civile« (1) e, nell'accezione ampia che esso ne dà, la considera pertanto una questione orizzontale. Questo approccio lo pone nelle migliori condizioni per accompagnare e sostenere, nel quadro delle sue competenze, la politica di «potere morbido« e la «diplomazia interculturale« messa in atto dall'UE e dalla Cina nel loro dialogo.

1.2

Le iniziative interpersonali dovrebbero essere per quanto possibile rafforzate soprattutto al livello più vicino alla società civile attraverso l'intensificazione degli scambi di studenti, l'attuazione di programmi di tirocinio specifici e il gemellaggio tra città e comuni.

1.3

Occorre tenere conto del potenziamento del turismo culturale: l'esperienza dimostra che questo tipo di turismo, oltre a dare vigore all'economia, contribuisce a migliorare in maniera durevole la comprensione reciproca.

1.4

È necessario esigere il rispetto di standard internazionali in materia di diritti umani e di libertà democratiche fondamentali, che rappresentano presupposti importanti per l'espressione, gli scambi e la diversità nel campo della cultura.

1.5

Il settore dell'istruzione e della formazione (compresa quella degli adulti) deve essere integrato nelle attività comuni poiché il dialogo interculturale offre molteplici possibilità in questo ambito, sia che si tratti dell'apprendimento delle lingue, dell'educazione dei consumatori o dell'informazione sulle questioni ambientali, ecc.

1.6

Nell'ottica di una sensibilizzazione a lungo termine, il Comitato propone di organizzare ogni anno una «Giornata di incontro tra l'UE e la Cina«, con manifestazioni culturali da entrambe le parti.

1.7

Occorre promuovere lo scambio di buone pratiche nel maggior numero di settori possibile (coinvolgendo ad es. soggetti importanti dell'ambito socioeconomico come le parti sociali e gli interlocutori attivi nel campo dei diritti umani, sia ufficiali che appartenenti all'opposizione, ma anche diversi istituti di insegnamento e di istruzione, esperti di settori specifici come le questioni relative ai consumatori, la tutela dell'ambiente, il sistema penitenziario, ecc.).

1.8

In ogni caso occorre migliorare la messa in rete delle iniziative già in corso e lo scambio di informazioni tra tutti i soggetti, poiché attualmente alcune iniziative si svolgono in maniera piuttosto isolata, facendo così perdere effetti sinergici preziosi (si pensi ad es. al dialogo culturale EUNIC-Cina).

1.9

Occorre altresì intensificare la cooperazione tra i media (la televisione e la stampa) come anche le iniziative comuni di formazione e specializzazione dei giornalisti: misure, queste, utili a raggiungere più vaste fasce della popolazione (2).

1.10

Ai sensi dell'art. 167, par. 3, del TFUE, il Comitato esaminerà quali iniziative ulteriori e di lungo termine poter avviare nel quadro della sua cooperazione già in atto con la Cina ed è pronto a offrire ad altri soggetti una piattaforma per lo scambio di informazioni e di punti di vista.

2.   Contesto

2.1

Dall'adozione dell'Agenda europea per la cultura, nel 2007, si è andato affermando sempre di più un nuovo quadro strategico per l'azione esterna dell'Unione nel quale la cultura riveste un ruolo particolare.

Questa politica di «potere morbido« trova prosecuzione e attuazione coerenti nell'Anno del dialogo interculturale UE-Cina 2012 e nelle strutture a lungo termine programmate nel quadro di tale iniziativa nel contesto della «politica interculturale« dell'Unione.

L'approccio europeo è stato peraltro sostenuto quasi allo stesso tempo dal presidente Hu Jintao al XVII congresso del partito comunista cinese, in occasione del quale ha affermato che la Cina deve investire maggiormente nelle sue «risorse di potere morbido«.

2.2

La dichiarazione congiunta UE-Cina del 22 ottobre 2007 sul tema della cultura ha portato a intensificare la cooperazione e il dialogo in questo settore e ha dato impulso a maggiori scambi politici in materia di istruzione e formazione, compreso il multilinguismo.

2.3

Nel maggio 2011 dei rappresentanti di alto livello dell'UE e della Cina hanno convenuto di ampliare questa cooperazione creando un «terzo pilastro« nel quadro del partenariato strategico tra le due parti, vale a dire il dialogo interpersonale ad alto livello UE-Cina. La creazione di questo «terzo pilastro« è stata ufficializzata al vertice UE-Cina del 14 e 15 febbraio 2012.

2.4

In questo contesto si inserisce anche l'Anno del dialogo interculturale UE-Cina 2012, che i dirigenti europei e cinesi hanno convenuto di proclamare in occasione del vertice UE-Cina e che ha preso ufficialmente il via il 1o febbraio 2012 a Bruxelles.

2.5

Il programma che accompagna questa iniziativa non comprende soltanto l'intensificazione delle relazioni culturali ma anche la promozione del dialogo a livello politico e di società civile al fine di instaurare relazioni proficue e di lunga durata tra l'UE e la Cina (3). Secondo le attese, l'Anno del dialogo interculturale deve promuovere, con effetti duraturi, il dialogo tra le società civili dell'UE e della Cina grazie all'unione delle forze e all'individuazione di sinergie.

3.   Introduzione

3.1

Il presente parere si fonda sul parere CESE 413/2006 (elaborato dal relatore SHARMA) e sui risultati dello studio (4) commissionato successivamente dal Comitato, che presenta un'analisi esaustiva e aggiornata della società civile cinese.

3.2

Il parere inquadra le informazioni fornite dallo studio nel contesto dell'evoluzione storica e dell'Anno del dialogo interculturale UE-Cina 2012 nonché dei compiti e delle possibilità che ne derivano.

3.3

Per il Comitato è particolarmente importante l'aspettativa che la Commissione ripone in questa iniziativa, ossia «che l'Anno del dialogo interculturale contribuisca al dialogo tra le società civili dell'UE e della Cina«. In quanto piattaforma istituzionalizzata del dialogo civile nell'ambito dell'Unione, il Comitato è pronto ad assumere un ruolo analogo nel quadro delle relazioni UE-Cina.

3.4

Fin dal 1999 il Comitato si è dichiarato a favore di una nozione allargata del concetto di cultura, comprendente, oltre alle arti e al patrimonio culturale, anche l'istruzione, la formazione e le scienze. Il Comitato ha affermato inoltre che lo sviluppo politico della società civile è anche un processo culturale (5) che caratterizza la vita quotidiana dei cittadini.

3.5

Il CESE ritiene che la mobilità delle persone sia una componente essenziale dello scambio culturale tra i popoli; chiede pertanto che vengano eliminati tutti gli ostacoli che si frappongono a tale libertà.

3.6

Già in merito all'Anno europeo del dialogo interculturale (2008), il Comitato aveva adottato un parere (6) nel quale sosteneva con forza, tra l'altro, anche l'affermazione della Commissione su quanto sia importante il contributo che le differenti culture apportano al nostro patrimonio e ai nostri stili di vita. Tale influsso, già rilevante e meritevole di considerazione nell'ambito dell'Unione, assume un significato particolare nel quadro del dialogo interculturale UE-Cina.

3.7

Nell'ambito della storia e della filosofia del diritto europeo, già nel 1748 Montesquieu (7) aveva messo in evidenza, accanto alla separazione dei poteri, fondamento di ogni sistema democratico, la relazione esistente tra l'ordinamento giuridico, da un lato, e le caratteristiche naturali (geografia e clima) di un paese nonché il livello di sviluppo economico, sociale e culturale di un popolo, dall'altro.

3.8

Nella nozione di cultura quale riconoscimento di valori comuni, sostenuta dal Comitato, è fondamentale, nel quadro di questo importante Anno del dialogo interculturale UE-Cina, condurre e approfondire il dialogo anche sui valori che determinano l'azione politica dell'Unione europea (8). Questo approccio è dettato non soltanto da una necessità politica urgente ma anche da un fondamento giuridico vincolante sancito dall'articolo 21 del TUE (9).

3.9

Inoltre, all'art. 167, par. 3, del TFUE, il titolo XIII (Cultura) contiene il seguente invito: «L'Unione e gli Stati membri favoriscono la cooperazione con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali competenti in materia di cultura, in particolare con il Consiglio d'Europa«. Dato che, nel giudizio unanime dei giuristi, con il termine «Unione« non si intendono soltanto le istituzioni europee bensì, nel loro rispettivo ambito di competenza, anche gli organi consultivi, il Comitato può appellarsi a un mandato di diritto primario a prendere, in questo settore, iniziative opportune nel quadro delle sue attività.

3.10

Un documento di riferimento essenziale per l'Anno del dialogo interculturale UE-Cina 2012 è rappresentato anche dalla risoluzione del Parlamento europeo del 12 maggio 2011 (10) nella quale questa istituzione fa presente il ruolo importante della società civile nel quadro di tale cooperazione sottolineando che «le libertà democratiche e fondamentali, come la libertà di espressione e di stampa, la libertà dal bisogno, dalla paura, dall'intolleranza e dall'odio, la libertà di accesso alle informazioni scritte e digitali, nonché il diritto di connettersi e comunicare - online e offline - costituiscono premesse necessarie per l'espressione culturale, gli scambi culturali e il pluralismo culturale«.

3.11

Sulla base di queste premesse, il Comitato è convinto che il dialogo interculturale tra l'UE e la Cina rappresenti uno strumento prezioso che, fungendo da fondamento della cooperazione portata avanti in campo economico, sociale, giuridico o politico, può contribuire a rafforzare la comprensione e quindi anche la fiducia reciproche. Questa base di collaborazione può conferire anche un carattere più durevole a tutte le iniziative adottate insieme. A tal fine occorrerà tuttavia che tanto gli europei quanto i cinesi creino le necessarie strutture coordinate e definiscano e realizzino dei progetti concreti.

4.   Osservazioni di carattere generale

4.1   I cittadini e lo Stato in Cina

4.1.1

La tradizione cinese, in particolare la filosofia confuciana, attribuiscono all'individuo un valore diverso da quello che gli viene assegnato dalla tradizione europea. La subordinazione dell'individuo a entità collettive più grandi (in passato, i familiari più stretti e il clan, oggi, invece, il partito e lo Stato) ha caratterizzato la società cinese per oltre due millenni. In Europa, con la sua storia secolare di rivalità tra Stati, l'idea di «Stato« è necessariamente diversa da quella invalsa in Cina, dove il concetto di «tian xia« (ossia «tutto quello che vi è sotto il cielo«) rendeva sfumati i confini esterni del paese, fino a quando lo Stato cinese (all'epoca mancese) non si trovò confrontato con il paradigma dei confini nazionali esibito dalle potenze coloniali. Sebbene l'evoluzione storica della struttura politica cinese non sia avulsa dagli sviluppi che hanno dominato la scena mondiale del XX e XXI secolo, il processo di trasformazione interna è ancora in una fase iniziale. Il potere del Partito comunista cinese nei confronti dell'individuo è predominante, poiché il singolo non viene ancora considerato dal partito sufficientemente «illuminato« da essere in grado di assumersi la responsabilità per se stesso, una relazione questa concepita in modo tale da impedire il progresso democratico. Il rapido inserimento della Cina nel consesso internazionale (che ha fatto uscire il paese dall'isolamento volontario scelto negli anni '60) attraverso lo sviluppo di una rete di relazioni assai diversificate (a livello internazionale e bilaterale) offre sempre maggiori possibilità di contatti interpersonali, mettendo in dubbio questa visione.

4.2   I diritti individuali in Cina

4.2.1

Nell'UE, lo sviluppo dello Stato sociale moderno ha fatto progredire la cittadinanza sociale, che si concentra sui diritti individuali garantendo al tempo stesso i diritti collettivi. Occorre tenere conto del fatto che le due grandi aree culturali rappresentate dalla Cina e dall'Europa (con tutte le loro sfaccettature) presentano notevoli differenze, frutto della loro rispettiva evoluzione storica, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra l'individuo e la società. Naturalmente ciò non significa che le violazioni dei diritti umani debbano essere tollerate: si tratta di qualcosa di assolutamente inaccettabile. Tuttavia, bisogna rafforzare la base per un dialogo attivo che consenta un approccio pragmatico, anche attraverso esempi di buone pratiche.

4.2.2

L'influenza del patrimonio culturale sugli atteggiamenti nei confronti della vita e sugli stili di vita attuali descritta all'inizio si percepisce tanto nell'Unione quanto in Cina, lo stesso vale per l'interazione delineata da Montesquieu tra le strutture geografiche, economiche, sociali, storico-politiche, da una parte, e la percezione attuale del diritto e la pratica dell'applicazione dello stesso, dall'altra.

4.2.3

In quanto membro attivo delle Nazioni Unite e delle sue organizzazioni (compresa l'OIL, tra le altre) e ancora di più come membro permanente del Consiglio di sicurezza, la Repubblica popolare cinese ha la responsabilità di garantire l'applicazione dello spirito e dei valori delle Nazioni Unite, nonché di rispettare tutte le risoluzioni in materia di diritti umani (Carta delle Nazioni Unite).

Nella vita quotidiana, la Cina è tuttavia ancora lontana dall'applicare questi valori, in particolare nel campo dei diritti individuali e sociali dei cittadini ma anche di quelli dei consumatori e dei lavoratori. Si registrano infatti costantemente violazioni degli accordi e delle norme internazionali (11); lo stesso si può affermare per il settore dell'ambiente.

4.2.4

La Carta delle Nazioni Unite (12) sancisce che ogni individuo ha diritto alla protezione in qualsiasi circostanza. La discrepanza rispetto al modello tradizionale cinese di società è evidente poiché, nella visione cinese di una società armonica, l'unità e la stabilità pretese dal governo costituiscono la base e il presupposto per l'applicazione dei diritti umani. Tuttavia, le violazioni di questi diritti non possono essere giustificate dalle differenze culturali e devono essere assolutamente condannate.

Come si può osservare, i grandi cambiamenti indotti dalla modernizzazione della Cina interessano anche il rapporto tra la società e l'individuo; questo processo è però ancora in uno stadio embrionale, per cui è impossibile al momento fare previsioni circa la sua evoluzione.

4.2.5

Ai sensi dell'art. 21 del TUE, le istituzioni e gli organi pubblici dell'Unione, compreso quindi il Comitato, sono chiamati a promuovere nel resto del mondo i valori e i principi vincolanti per l'Unione, tra i quali anche l'indivisibilità dei diritti umani e delle libertà fondamentali. A tal fine, qualora gli organi dell'Unione ravvisino casi di mancato rispetto o di violazione di questi valori e principi, essi possono, se necessario, rispondere con una presa di posizione o eventualmente con il ricorso a strumenti politici. Ciò vale anche per le relazioni tra l'Unione e la Cina.

Il Comitato ritiene che una delle maggiori sfide collegate all'Anno del dialogo interculturale stia nel formulare un «dialogo di valori«, al fine di elaborare degli esempi di buone pratiche, soprattutto nel campo dei diritti umani, che consentano di compiere dei primi passi avanti.

In questo contesto, nei lavori futuri va tenuto conto delle esperienze compiute dal Comitato nel quadro della tavola rotonda UE-Cina e dell'Associazione internazionale dei consigli economici e sociali (Aicesis).

4.2.6

Lo scopo di qualsiasi dialogo è sradicare i pregiudizi, acquisire conoscenza e quindi comprensione dei diversi modi di vedere e delle diverse pratiche ed elaborare soluzioni concrete.

Nella consapevolezza reciproca che il principio della dignità della persona sulla quale si fondano i diritti umani determina sostanzialmente qualsiasi sistema politico, nel dialogo interculturale UE-Cina si possono certamente trovare dei meccanismi che consentono di discutere in maniera costruttiva della questione dei diritti umani senza che l'Unione rinunci al diritto di protestare contro violazioni ai suoi occhi inaccettabili.

4.3   La situazione attuale e l'importanza della società civile in Cina

4.3.1

Con ogni probabilità, una delle principali sfide che la Cina si troverà ad affrontare in futuro sarà rappresentata dal fatto che alla povertà esistente si sta sommando un rapido e crescente accumulo della ricchezza privata, per cui la forbice retributiva e patrimoniale si allarga sempre di più. Il problema viene ulteriormente accentuato dall'andamento demografico, ripercuotendosi in misura durevole sulle attività portate avanti dalla società civile.

4.3.2

Le organizzazioni della società civile in Cina, per il modo in cui si sono formate e per effetto delle strutture politiche esistenti, non sono in grado di agire come fanno le organizzazioni analoghe in seno all'Unione. Sebbene alcune di esse possiedano, di fatto, un certo grado di autonomia, esse sono comunque sottoposte a un pesante controllo burocratico. Nel migliore dei casi, esse dispongono di una «autonomia dipendente« (13), il che significa praticamente che i diritti delle organizzazioni o degli attori della società civile non sono neppure lontanamente paragonabili a quelli riconosciuti nell'Unione europea e nei paesi democratici in generale (in particolare per quanto riguarda la libertà di espressione e di riunione).

4.3.3

Alcune università cinesi dispongono già di centri di studio sulle questioni legate ai diritti umani, come ad esempio l'Università cinese di scienze politiche e diritto (Chinese University of Political Science and Law - CUPL), che ospita la EU-China Law School (Accademia di diritto UE-Cina), fondata e gestita congiuntamente dall'UE e dalla Repubblica popolare cinese. All'Accademia di diritto dell'Università cinese di Renmin è previsto che lo studio della materia «diritti umani« sia integrato nella formazione di base di tutti gli studenti, in particolare di quelli di giurisprudenza. Inoltre, si sta promuovendo la cooperazione con la Corte europea dei diritti dell'uomo con sede a Strasburgo attraverso pubblicazioni, conferenze di oratori esterni, tirocini, ecc.

5.   Conclusioni

5.1

Il Comitato ritiene che la creazione di nuove strutture di dialogo, o il potenziamento di quelle esistenti, tra le due società civili rappresenti, grazie all'Anno del dialogo interculturale UE-Cina, un modo promettente per favorire la comprensione delle differenze e adottare misure capaci di creare fiducia.

5.2

In considerazione del fatto che le due grandi aree culturali costituite dalla Cina e dall'Europa (con tutte le loro sfaccettature) presentano notevoli differenze, frutto della loro rispettiva evoluzione storica, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra l'individuo e la società, nonché dei rispettivi sistemi politici, il dialogo interculturale dovrebbe avvenire in una gamma creativa ampia di piattaforme, forum e attività, cui devono partecipare, oltre agli organi ufficiali, gli esperti e i rappresentanti della società civile, ed essere basato su diritti umani riconosciuti a livello internazionale.

5.3

Sarebbe un'occasione persa se all'Anno del dialogo interculturale UE-Cina non seguissero iniziative concrete e di lungo termine in strutture appropriate. Nella sua veste di piattaforma istituzionalizzata della società civile organizzata nell'ambito dell'Unione, il Comitato è pronto a partecipare in maniera determinante alla realizzazione di tali strutture e a contribuire alla creazione di effetti sinergici.

Bruxelles, 13 dicembre 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Cfr. la nota 5.

(2)  Cfr. ad esempio la cooperazione instaurata tra CRI (Radio Cina Internazionale) e la radiotelevisione nazionale austriaca ORF (Österreichischer Rundfunk)/Alpha Bayern con coproduzioni periodiche.

(3)  «L'anno del dialogo interculturale UE-Cina persegue i seguenti obiettivi principali:

promuovere e intensificare il dialogo interculturale e la comprensione reciproca tra l'UE e la Cina attraverso i contatti personali;

instaurare un dialogo strategico duraturo su questioni di interesse comune; e

contribuire a consolidare il partenariato strategico UE-Cina.«

(4)  Baocheng Liu, University of International Business and Economics, Pechino: Report on Civil Society («Relazione sulla società civile«), maggio 2011.

(5)  CES 851/99: Il ruolo e il contributo della società civile organizzata nella costruzione europea, GU C 329 del 17.11.1999, pag. 30.

(6)  CESE 590/2006: Anno europeo del dialogo interculturale (2008), GU C 185 dell'8.8.2006, pag. 42.

(7)  Charles-Louis de Secondat, barone de Montesquieu: Lo spirito delle leggi.

(8)  Art. 2 TUE: «L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini«.

(9)  Art. 21, par. 1: «L'azione dell'Unione sulla scena internazionale si fonda sui principi che ne hanno informato la creazione, lo sviluppo e l'allargamento e che essa si prefigge di promuovere nel resto del mondo: democrazia, Stato di diritto, universalità e indivisibilità dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, rispetto della dignità umana, principi di uguaglianza e di solidarietà e rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale«.

(10)  A7-0112/2011: Risoluzione del Parlamento europeo sulla dimensione culturale delle azioni esterne dell'Unione europea.

(11)  Cfr. parere CESE, GU C 110 del 9.5.2006, pag. 68, punto 2.2.6. e segg.

(12)  Dichiarazione universale dei diritti umani, risoluzione 217(III) del 10 dicembre 1948.

(13)  Cfr. Yiyi Lu: The Rise of Dependent Autonomy («L'emergere dell'autonomia dipendente«).


15.2.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/64


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Rio+20: situazione attuale e prospettive future» (supplemento di parere)

2013/C 44/11

Relatore: WILMS

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 novembre 2012, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, lettera A), delle Modalità d'applicazione del Regolamento interno, di elaborare un supplemento di parere sul tema:

Rio+20: situazione attuale e prospettive future

(supplemento di parere).

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 novembre 2012.

Alla sua 485a sessione plenaria, dei giorni 12 e 13 dicembre 2012 (seduta del 13 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 152 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Conclusioni

1.1.1

Il documento finale della conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile tenutasi quest'anno a Rio di Janeiro (conferenza Rio+20), intitolato Il futuro che vogliamo, si è rivelato meno incisivo di quanto auspicato dal Comitato economico e sociale europeo (CESE). In particolare, esso non tiene sufficientemente conto della situazione di emergenza in cui versa il nostro pianeta. Tuttavia, il documento finale contiene anche diversi elementi sui quali l'UE può basare la propria azione. Particolarmente degni di nota sono l'accordo globale su un'«economia verde» (green economy) quale strumento fondamentale dello sviluppo sostenibile (inclusa la considerazione della dimensione sociale), così come l'accordo per l'avvio di un processo che sfoci nella definizione di obiettivi globali dello sviluppo sostenibile strettamente correlati agli obiettivi di sviluppo del millennio.

1.1.2

Il CESE constata con soddisfazione la forte mobilitazione della società civile tanto nel processo preparatorio della conferenza Rio+20 quanto nel corso di quest'ultima; ciò ha contribuito a generare molte idee innovative e a stringere nuove alleanze.

1.1.3

Il CESE ha svolto appieno la sua funzione di intermediario tra la società civile e le istituzioni UE sia nella fase preparatoria di Rio+20 che nel corso della conferenza. Gli sforzi profusi dal CESE per promuovere il dialogo con la società civile all'interno e all'esterno dell'Unione europea sono stati accolti con favore dalle altre istituzioni UE.

1.2   Raccomandazioni

1.2.1

Il CESE ritiene che il processo di follow-up di Rio+20 e l'attuazione delle decisioni adottate nel corso della conferenza debbano prevedere il coinvolgimento e la partecipazione della società civile. Accoglie pertanto con grande favore tutti gli sforzi profusi in questa direzione dalle altre istituzioni dell'UE. Il CESE continuerà, come aveva già fatto nella fase preparatoria della conferenza Rio+20, a promuovere il dialogo con la società civile sulle questioni legate alla sostenibilità, coinvolgendo anche le organizzazioni e le reti europee della società civile, nonché i consigli economici e sociali nazionali e i consigli per lo sviluppo sostenibile.

1.2.2

Il CESE si impegnerà attivamente nella definizione degli obiettivi globali per lo sviluppo sostenibile, promuovendo, come già avvenuto nella fase preparatoria della conferenza Rio+20, il dialogo con la società civile a livello UE, ma anche con i partner della società civile nei paesi terzi. In questo senso, si adopererà in particolare per aggregare i soggetti interessati dal processo di definizione degli obiettivi di sostenibilità, da un lato, e dal processo degli obiettivi del millennio, dall'altro. Inoltre, grazie alla sua esperienza e alla sua composizione, il CESE potrà contribuire in particolare a dare una forma concreta all'economia verde, inclusa la dimensione sociale, e a garantire i diritti di partecipazione della società civile a livello globale.

1.2.3

Il CESE accoglie con favore le conclusioni del Consiglio del 25 ottobre 2012 relative a Rio+20, in cui si annunciano misure ambiziose di follow-up della conferenza, da realizzare nell'ambito della strategia Europa 2020 e della strategia dell'UE per lo sviluppo sostenibile, e si compiace inoltre della futura revisione di quest'ultima strategia. Il CESE ritiene necessario condurre un ampio dibattito con la società civile sullo sviluppo sostenibile nell'UE, e continuerà a promuovere questo aspetto anche nei suoi lavori futuri.

2.   Il contributo del CESE alla conferenza Rio+20

2.1

Nel suo parere del 22 settembre 2011 in merito alla comunicazione della Commissione «Rio+20: verso un’economia verde e una migliore governance» (CESE 1386/2011) (1), il CESE ha illustrato le sue posizioni rispetto ai temi della conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile di giugno (conferenza Rio+20), alimentando in questo modo il processo decisionale interistituzionale, e ha inoltre adottato un piano di azione per il periodo precedente alla conferenza. L'obiettivo era in particolare quello di promuovere il dialogo con la società civile europea e non europea sui temi al centro della conferenza di Rio. Alla luce delle richieste formulate dal Comitato, il presente parere si propone di fare un bilancio dalla conferenza Rio+20 e di illustrare le prospettive per il suo follow-up.

2.2

Il CESE ha adottato un duplice approccio nei confronti della conferenza Rio+20.

2.2.1

A livello europeo, ha cercato il dialogo con le organizzazioni e le reti europee della società civile, sulla base del suo parere adottato nel settembre 2011, organizzando in particolare un importante convegno della società civile nel febbraio 2012. Tale convegno è sfociato nell'adozione di una serie di richieste fondamentali da trasmettere ai negoziatori di Rio, integrate in seguito nel parere del Comitato La posizione del CESE in merito alla preparazione della Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile (Rio+20) (CESE 486/2012) (2), in tempo utile prima della definizione del mandato negoziale da parte del Consiglio UE di marzo 2012. In questo modo, il CESE ha tenuto fede alla sua funzione di mediatore tra la società civile europea e le istituzioni UE.

2.2.2

Parallelamente, il CESE ha discusso i temi di Rio anche a livello bilaterale con i suoi partner istituzionali, in particolare di Brasile, Cina e Russia. Un incontro multilaterale tenutosi a maggio 2012 ha infine consentito di raggiungere un accordo sui principali messaggi comuni che, a Rio de Janeiro, hanno costituito la base per il dialogo della società civile con i rappresentanti provenienti anche da altri paesi.

2.3

Il CESE ha partecipato attivamente alla conferenza Rio+20 organizzando in totale tre eventi, con un buon livello di partecipazione: due dialoghi, organizzati congiuntamente con il Consiglio brasiliano per lo sviluppo sociale ed economico sulle questioni legate alla sostenibilità, con la partecipazione di rappresentanti della società civile provenienti in un'occasione dal Brasile e nell'altra dagli Stati BRIC; e un terzo evento, dedicato ai modelli di partecipazione della società civile, che si è svolto nel padiglione dell'UE con la partecipazione del Presidente della Commissione europea. I membri della delegazione del CESE presenti alla conferenza Rio+20 costituivano parte integrante della delegazione UE, da cui il chiaro auspicio di rafforzare la cooperazione interistituzionale anche nell'ambito del processo di follow-up di Rio.

3.   La valutazione della conferenza Rio+20 da parte del CESE

3.1

Il CESE si compiace del fatto che il documento conclusivo della conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile, tenutasi quest'anno a Rio di Janeiro (conferenza Rio +20), intitolato Il futuro che vogliamo, testimoni l'impegno globale a favore dello sviluppo sostenibile nella sua dimensione ecologica, sociale ed economica. Il CESE si rammarica tuttavia del fatto che l'esito dei negoziati si sia rivelato nel complesso meno vincolante di quanto auspicato dalla società civile e dal Comitato stesso nel suo parere in materia. In particolare, il documento non tiene sufficientemente conto della situazione di emergenza in cui versa il nostro pianeta, e altrettanto deplorevole è l'assenza al suo interno di ogni riferimento ai limiti della capacità di carico della Terra.

3.2

Allo stesso tempo, la conferenza Rio+20 ha suscitato un'ampia mobilitazione della società civile, che si spinge ben oltre quanto negoziato a livello politico. È essenziale continuare ad avvalersi di questa mobilitazione anche nella fase di follow-up di Rio, in modo da far progredire e forgiare i processi avviati con la conferenza. Rio non è stato infatti soltanto un incontro al vertice di leader politici, ma anche il luogo di incontro delle numerose persone volenterose e creative che si battono incessantemente per un cambiamento di paradigma dei nostri modelli economici e che lanciano o propongono innumerevoli iniziative concrete per realizzare una trasformazione.

3.3

Il documento finale contiene tuttavia diversi elementi sui quali anche l'UE può basare la propria azione. Particolarmente degni di nota sono l'accordo globale su un'«economia verde» quale strumento importante dello sviluppo sostenibile (inclusa la considerazione della dimensione sociale), così come l'accordo per l'avvio di un processo che sfoci nella definizione di obiettivi globali dello sviluppo sostenibile strettamente correlati agli obiettivi di sviluppo del millennio.

3.4

Alla luce delle priorità fissate dal CESE nella fase preparatoria della conferenza Rio+20, il documento finale si presta alle seguenti osservazioni:

3.4.1

Una delle principali priorità del CESE in vista di Rio+20 consisteva nella lotta contro la povertà. Il Comitato si è schierato a sostegno dell'accesso a un approvvigionamento alimentare sufficiente, a risorse idriche pulite e all'energia sostenibile. Questo settore occupa un posto importante all'interno del documento finale, anche se molti ritengono che le questioni legate alle possibilità di finanziamento non siano state ancora chiarite in maniera adeguata. Il documento ribadisce gli obiettivi di sviluppo del millennio e gli impegni che ne derivano; tuttavia, il Comitato rileva con disappunto lo scarso accento posto sui diritti delle donne.

3.4.2

La dimensione sociale della trasformazione costituiva un'altra grande priorità del CESE in vista di Rio+20. Il Comitato si è espresso a favore di una transizione equa verso un'economia sostenibile e si compiace pertanto che ne sia fatta menzione per la prima volta in un testo dell'ONU. Altri punti del testo finale che il CESE accoglie con altrettanto favore sono: il riconoscimento delle parti sociali e in particolare dei lavoratori quali soggetti attivi del cambiamento, la promozione del lavoro dignitoso, la parità di genere, il riconoscimento dell'istruzione e della formazione, il riferimento positivo al ruolo che possono svolgere le norme sociali minime.

3.4.3

Il CESE ha segnalato a più riprese, sia prima che durante la conferenza Rio+20, la necessità di coinvolgere in maniera effettiva la società civile. Sebbene il testo di Rio contenga alcuni sviluppi positivi in proposito, il CESE avrebbe auspicato una concretizzazione delle affermazioni generali, come ad esempio un coinvolgimento dei forum multilaterali (quali i consigli economici e sociali) nell'elaborazione delle politiche nazionali a favore di un'economia sostenibile. Per quanto concerne un'altra richiesta formulata dal CESE in materia di governance, vale a dire l'istituzione di una figura di mediatore per le generazioni future al fine di tener conto delle prospettive a lungo termine necessarie per le politiche sostenibili, la conferenza ha richiesto un'ulteriore analisi da parte del Segretariato generale delle Nazioni Unite.

3.4.4

Per quanto riguarda le altre sue richieste essenziali, il CESE accoglie con favore l'accordo in merito a un quadro decennale per i modelli di consumo e di produzione sostenibili, la menzione del principio di conservazione delle risorse, l'annuncio che il PNL dovrà essere completato da altri indicatori, e il riconoscimento del ruolo delle imprese.

4.   Follow-up di Rio+20 a livello delle Nazioni Unite e dell'Unione europea

4.1

Il CESE è convinto che il successo della conferenza Rio+20 si paleserà soltanto con l'attuazione delle decisioni adottate a Rio e dei processi avviati in quella sede. Ritiene inoltre che ciò debba avvenire coinvolgendo la società civile e garantendone l'effettiva partecipazione.

4.2

All'apertura dell'Assemblea generale annuale dell'ONU a New York, sono stati avviati i processi per l'istituzione di un forum politico di alto livello che integri le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile e definisca obiettivi globali di sviluppo sostenibile. Ad avviso del CESE, occorre sottolineare che, nonostante le dichiarazioni piuttosto positive contenute nel documento finale di Rio+20, il coinvolgimento della società civile in tali processi non pare ancora del tutto soddisfacente.

4.3

Quanto alla definizione degli obiettivi di sostenibilità, l'attenzione è incentrata attualmente soprattutto sulle questioni procedurali, non solo per quanto riguarda le possibilità di partecipazione della società civile, ma anche il nesso tra il processo, già in corso, relativo all'agenda di sviluppo post-2015 e il nuovo processo relativo agli obiettivi dello sviluppo sostenibile. Il documento finale Rio+20 fa riferimento alla necessità di collegare i due processi, che i rispettivi soggetti stanno però ancora definendo.

4.4

Già a luglio 2012 il CESE ha organizzato un importante evento della società civile per presentare i risultati di Rio a Bruxelles. In questo contesto, è emerso con chiarezza che l'elaborazione degli obiettivi di sostenibilità rappresenta un tema prioritario per il seguito di Rio, e che occorre condurre un dialogo in materia all'interno della società. Altrettanto univoca è stata la richiesta dei partecipanti di combinare sin dall'inizio il processo di definizione degli obiettivi di sostenibilità e la revisione degli obiettivi di sviluppo del millennio per consentire l'elaborazione di un programma globale di sviluppo per il periodo dopo il 2015. Inoltre, nel corso di questo evento, così come di altre manifestazioni di follow-up a livello della società civile, è stato sottolineato più volte che l'UE deve realizzare ciò che ha chiesto a Rio. Il CESE è pertanto convinto della necessità di verificare se le strategie fondamentali dell'UE rispondano alle richieste da essa formulate a Rio+20 - che si tratti della strategia Europa 2020 nel suo capitolo sulla sostenibilità oppure della strategia dell'UE per lo sviluppo sostenibile.

4.5

Dai dibattiti interistituzionali organizzati dal CESE a seguito di Rio+20 è emersa la volontà di cooperazione e di coinvolgimento della società civile.

4.6

Il CESE accoglie con favore la consultazione pubblica online lanciata dalla Commissione in preparazione della sua comunicazione sulle misure di follow-up di Rio+20, prevista per la primavera del 2013, e la accompagnerà organizzando alcuni eventi congiunti. Per la primavera 2013 è attesa anche la pubblicazione della comunicazione della Commissione sull'agenda di sviluppo post-2015. Il CESE sta attualmente elaborando un parere in merito a questi temi. Secondo l'annuncio del commissario competente, gli aspetti di Rio maggiormente rilevanti per l'ambiente saranno attuati nell'ambito del Settimo programma di azione in materia di ambiente, la cui pubblicazione è prevista entro la fine dell'anno.

4.7

Il CESE accoglie con favore le conclusioni su Rio+20 adottate dal Consiglio dell'Unione europea il 25 ottobre 2012, e in particolare l'accento posto sulla necessità di coinvolgere la società civile. Il CESE si compiace altresì dell'annuncio di misure ambiziose di follow-up della conferenza, da adottare nell'ambito della strategia Europa 2020 e della strategia dell'UE per lo sviluppo sostenibile. Il Comitato esprime soddisfazione per la futura revisione di quest'ultima strategia alla luce dei risultati ottenuti a Rio, come richiesto dal CESE stesso nel suo parere del 21 settembre 2011.

5.   Il ruolo del CESE nel processo post-Rio

5.1

Sia i soggetti della società civile che le altre istituzioni UE chiedono che il CESE continui a partecipare attivamente al follow-up della conferenza Rio+20.

5.2

In questo senso, il Comitato può contribuire continuando a offrire un luogo di dialogo delle componenti della società sulle questioni legate alla sostenibilità e fungendo da mediatore tra la società civile e le altre istituzioni dell'UE, coinvolgendo anche le organizzazioni e le reti europee della società civile, nonché i consigli economici e sociali nazionali e i consigli per lo sviluppo sostenibile.

5.3

Grazie alla sua esperienza, il CESE può inoltre recare un importante contributo alle questioni relative alla struttura della partecipazione della società civile, per quanto riguarda ad esempio i diritti concreti di informazione, ascolto e risposta alle richieste.

5.4

Il CESE è l'unica istituzione dell'UE ad avere istituito un organo specifico per lo sviluppo sostenibile, che consenta di tener conto del carattere trasversale della questione: un approccio più opportuno che mai, dopo Rio. Nelle questioni relative alla «economia verde» il CESE, grazie alla sua composizione, può formulare proposte concrete in merito alle condizioni quadro che devono essere create a tal fine. In particolare, può contribuire a concretizzare la dimensione sociale dello sviluppo sostenibile elaborando proposte operative per una transizione equa verso la sostenibilità. Un ambito del processo di follow-up che necessita urgentemente del contributo del Comitato è la definizione degli obiettivi globali di sviluppo sostenibile. Il CESE può svolgere qui un ruolo importante promuovendo, come già avvenuto nella fase di preparazione della conferenza Rio+20, il dialogo con la società civile a livello UE, ma anche con i partner della società civile nei paesi terzi.

5.5

Il CESE ritiene necessario condurre un ampio dibattito con la società civile in merito allo sviluppo sostenibile nell'UE, e continuerà a promuovere questo punto nei suoi lavori futuri, in particolare per quanto riguarda gli aspetti della strategia Europa 2020 pertinenti per i temi di Rio e la revisione della strategia dell'UE per lo sviluppo sostenibile.

Bruxelles, 13 dicembre 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU C 376 del 22.12.2011, pag. 102-109.

(2)  GU C 143 del 22.05.2012, pag. 39-42.


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

485a sessione plenaria dei giorni 12 e 13 dicembre 2012

15.2.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/68


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro di risanamento e di risoluzione delle crisi degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica le direttive del Consiglio 77/91/CEE e 82/891/CEE, le direttive 2001/24/CE, 2002/47/CE, 2004/25/CE, 2005/56/CE, 2007/36/CE e 2011/35/UE e il regolamento (UE) n. 1093/02010

COM(2012) 280 final — 2012/0150 (COD)

2013/C 44/12

Relatrice: ROUSSENOVA

Il Parlamento europeo, in data 5 luglio 2012, e il Consiglio, in data 10 luglio 2012, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro di risanamento e di risoluzione delle crisi degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica le direttive del Consiglio 77/91/CEE e 82/891/CE, le direttive 2001/24/CE, 2002/47/CE, 2004/25/CE, 2005/56/CE, 2007/36/CE e 2011/35/UE e il regolamento (UE) n. 1093/2010

COM(2012) 280 final — 2012/0150 (COD).

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 novembre 2012.

Alla sua 485a sessione plenaria, dei giorni 12 e 13 dicembre 2012 (seduta del 12 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 153 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la proposta legislativa di istituire un quadro inteso a prevenire le crisi bancarie, salvaguardare la stabilità finanziaria e ridurre i costi per le finanze pubbliche grazie all'introduzione di nuovi strumenti preventivi di intervento precoce e risoluzione delle crisi. Assicurare la risoluzione effettiva delle crisi degli enti creditizi all'interno dell'UE è un elemento essenziale ai fini del completamento del mercato interno. Il CESE, tuttavia, pur appoggiando l'introduzione degli strumenti proposti, invita ad apportare maggiore chiarezza riguardo a quelli che, oltre ad essere nuovi, non sono stati finora mai messi alla prova in occasione di crisi sistemiche. Il CESE auspica che il contenuto di tale direttiva venga coordinato con quello delle disposizioni sull'Unione Bancaria.

1.2

Il CESE condivide la proposta in base alla quale i piani di risoluzione delle crisi devono essere elaborati e aggiornati dalle autorità preposte alla risoluzione delle crisi («autorità di risoluzione delle crisi») in consultazione con le «autorità competenti», ma è convinto che tali piani, siano essi destinati a singoli enti creditizi oppure a gruppi, sarebbero elaborati ed aggiornati meglio se anche le banche fossero coinvolte nel relativo processo. Sulle questioni di rilievo, inoltre, bisognerebbe richiedere, ove opportuno, la consulenza professionale di altri soggetti - come ad esempio associazioni di consumatori e rappresentanti sindacali - eventualmente interessati dai piani di risoluzione delle crisi.

1.2.1

Le banche centrali, compresa la BCE, si trovano nella posizione migliore per effettuare valutazioni su questioni di interesse pubblico, per cui il CESE raccomanda di coinvolgerle nella valutazione dei piani di risanamento e di risoluzione delle crisi, pur nel pieno rispetto della loro indipendenza.

1.3

Bisognerebbe rendere più efficaci gli obblighi di riservatezza riguardo agli enti creditizi e ai relativi piani di risanamento e di risoluzione delle crisi. Norme specifiche della direttiva dovrebbero garantire il rigoroso rispetto della riservatezza delle relative informazioni da parte di tutte le autorità, istituzioni e parti interessate coinvolte nell'elaborazione, nell'aggiornamento e nella valutazione dei piani.

1.4

Il CESE accoglie con favore le norme della direttiva proposta che prevedono l'introduzione di regole e condizioni armonizzate in materia di sostegno finanziario intragruppo, e al tempo stesso fa notare che occorrerebbe garantire un giusto equilibrio tra la tutela degli interessi e diritti del ricevente e la tutela di quelli del trasferente, in caso di disaccordo tra i due soggetti in merito a tale sostegno. Il Comitato condivide appieno le disposizioni dell'articolo 19, paragrafo 1, e propone di estendere i requisiti di cui alla sua lettera f) così da includervi anche tutti i requisiti più elevati in materia di fondi propri e liquidità eventualmente imposti dalle autorità regolatrici del paese dell'ente trasferente.

1.5

Valutare se ricorrano le condizioni essenziali per la nomina di un amministratore straordinario è un compito che spetta alle autorità competenti. Il CESE comprende la necessità per queste ultime di godere di un certo margine di discrezionalità; tuttavia, considerata l'importanza del ruolo e dei poteri attribuiti a tale amministratore, raccomanderebbe di garantire agli enti creditizi una maggiore certezza giuridica introducendo regole e condizioni d'intervento esplicite e definite più chiaramente.

1.6

La nomina di un amministratore straordinario è una misura d'intervento precoce altamente intrusiva, da adottare solo dopo che siano state esaurite misure meno invasive. Tuttavia, potrebbero verificarsi casi in cui il deterioramento significativo della situazione finanziaria dell'ente sopravvenga così rapidamente da rendere necessario procedere a tale nomina senza attendere l'attuazione delle misure d'intervento precoce meno invasive di cui all'articolo 23, paragrafo 1, della direttiva proposta. In tali casi, si dovrebbe poter nominare un amministratore straordinario anche in assenza di una delle condizioni d'intervento previste dall'articolo 24, ossia del fatto che «[…] le altre misure attuate in conformità all'articolo 23 non sono sufficienti ad invertire il processo […]».

1.7

È necessario distinguere e chiarire meglio i poteri e i compiti delle autorità di risoluzione delle crisi. Mentre le autorità competenti e quelle di vigilanza sono responsabili degli interventi precoci, spetta alle autorità di risoluzione delle crisi scegliere e applicare gli strumenti di tale risoluzione. In certi casi, tuttavia, determinati compiti sono assolti sia dalle autorità di vigilanza che da quelle di risoluzione delle crisi. A seconda delle scelte effettuate dagli Stati membri, le autorità di vigilanza potrebbero assolvere i compiti delle autorità di risoluzione delle crisi, ma le due funzioni dovrebbero comunque essere tenute distinte, in modo da ridurre al minimo i rischi di tolleranza. Il CESE è favorevole ad incoraggiare l'introduzione di una distinzione chiara tra i compiti delle autorità di vigilanza e quelli delle autorità di risoluzione delle crisi nonché tra i tempi dei rispettivi interventi.

1.8

La direttiva proposta dispone che l'organo di gestione di un ente creditizio debba informare l'autorità competente quando reputa che l'ente sia in dissesto o a rischio di dissesto. Il CESE ritiene che, se l'iniziativa viene interamente rimessa alla discrezione dell'organo di gestione della banca, la decisione dell'autorità di risoluzione delle crisi potrebbe giungere troppo tardi. La direttiva non dovrebbe dare adito a dubbi quanto al fatto che le autorità di vigilanza abbiano il diritto e l'opportunità di informare l'autorità di risoluzione delle crisi senza aspettare la notifica da parte dell'organo di gestione della banca ogni qualvolta ritengano che dette condizioni siano già soddisfatte, ma la notifica tardi ad arrivare. Essa dovrebbe imporre agli Stati membri di comminare ai membri di tale organo pesanti sanzioni per qualsiasi violazione delle regole di buona pratica professionale.

1.9

L'ampiezza dei poteri attribuiti alle autorità di risoluzione delle crisi, considerato anche il limitato diritto di ricorso concesso ai terzi, desta preoccupazioni quanto alla solidità giuridica della normativa proposta. In molti Stati membri, infatti, e soprattutto in quelli con ordinamenti di common law, con ogni probabilità i giudici rivendicherebbero comunque la loro potestà di controllo giurisdizionale su qualsiasi decisione di un'autorità amministrativa da cui una persona fisica o giuridica dimostri di aver subito un pregiudizio. Ove qualcuno dovesse ritenere l'autorità di risoluzione delle crisi o gli amministratori responsabili di grave scorrettezza professionale, soltanto i giudici godrebbero di una sorta di immunità per le decisioni adottate nell'esercizio delle loro funzioni giurisdizionali, ma nessuna legge o regolamento potrebbe estendere tale immunità ad autorità amministrative come quelle di risoluzione delle crisi, che potrebbero dunque essere condannate in giudizio al risarcimento dei danni.

1.10

Lo strumento del bail-in deve essere spiegato e precisato meglio. Al fine di ridurre al minimo ogni possibile incertezza tra gli investitori, occorrerebbe introdurre regole chiare in materia di passività ammissibili e condizioni minime («soglie») per l'applicazione del bail-in.

1.11

Il CESE accoglie con favore l'introduzione di regole armonizzate in materia di finanziamento, sulla base di contributi ex ante, dei fondi di garanzia dei depositi e dei fondi di risoluzione delle crisi. I criteri per contribuire a finanziare la risoluzione delle crisi appaiono corretti e realistici alla luce della situazione attuale; tuttavia, le condizioni economiche e finanziarie potrebbero mutare inaspettatamente, come si è visto negli ultimi anni. Il CESE suggerisce pertanto di introdurre una norma che consenta di rivedere periodicamente i criteri di contribuzione ex ante.

1.12

Pur ammettendo che affidare a un'unica istituzione i fondi di garanzia dei depositi e di risoluzione delle crisi potrebbe recare dei vantaggi, il Comitato accoglie con favore l'approccio della Commissione, che consente a ciascuno Stato membro di decidere liberamente se disporre di uno oppure due meccanismi di finanziamento (fondi). In un caso o nell'altro, la direttiva dovrebbe dettare norme realistiche che garantiscano la capacità del fondo di garanzia dei depositi di assolvere in qualsiasi momento la sua funzione principale, che è quella di proteggere i depositanti al dettaglio, tenendo conto di quanto verrà stabilito dall'Unione bancaria.

1.13

Il CESE accoglie con favore l'introduzione nell'UE di un meccanismo efficace di risoluzione delle crisi degli enti creditizi in dissesto, in quanto si tratta di un elemento essenziale ai fini del completamento del mercato interno. Con un sistema europeo di meccanismi di finanziamento, tutti gli enti creditizi sarebbero soggetti a regole di finanziamento della risoluzione di pari efficacia, e nel contempo si contribuirebbe alla stabilità del mercato unico e si garantirebbero condizioni uniformi di concorrenza. Il Comitato gradirebbe che fosse adottata al più presto una tabella di marcia realistica per l'introduzione del futuro sistema di meccanismi di finanziamento.

1.14

Il CESE auspica comunque che la direttiva persegua l'obiettivo di arrivare a una maggiore integrazione e convergenza della normativa a partire dai paesi della zona euro.

2.   Introduzione

2.1

La Commissione propone una direttiva (1) diretta ad instaurare un quadro politico efficace per gestire i fallimenti bancari in modo ordinato ed evitare il contagio ad altri enti, dotando le autorità pertinenti di strumenti e poteri comuni ed efficaci per prevenire le crisi bancarie, salvaguardando la stabilità finanziaria e riducendo al minimo le perdite a carico dei contribuenti in caso di insolvenza. Nella proposta attuale, la Commissione precisa le posizioni già espresse in una sua comunicazione (2) riguardo a un quadro dell'UE per la gestione delle crisi nel settore finanziario. Il nuovo quadro normativo intende offrire un'alternativa alle procedure nazionali di insolvenza esistenti, e in particolare alle misure di salvataggio (bailout), ed è in linea con le «caratteristiche essenziali» dei regimi efficaci di risoluzione delle crisi elaborati dal Consiglio per la stabilità finanziaria (Financial Stability Board - FSB) (3) e coi principi concordati nelle riunioni del G-20.

2.2

Le misure di salvataggio comportano costi enormi per le finanze pubbliche, provocano distorsioni della concorrenza, fanno aumentare l'azzardo morale (moral hazard) e sono attualmente considerate un'opzione insoddisfacente nel caso in cui la chiusura di una banca minacci di scatenare un contagio. Il quadro normativo proposto, invece, è inteso a:

ridurre l'impatto sui contribuenti dei costi del salvataggio delle banche;

dotare le autorità pubbliche dei poteri necessari per prevenire, affrontare precocemente e risolvere le crisi degli enti creditizi;

introdurre strumenti di risoluzione delle crisi e in particolare quello del bail-in, che consentirà alle autorità di risoluzione delle crisi di ridurre gli importi dovuti ai creditori non garantiti di un ente in dissesto e di convertire tali crediti in capitale azionario.

2.3

Il 12 settembre 2012 la Commissione ha proposto di introdurre un meccanismo di vigilanza unico per le banche della zona euro. La responsabilità finale per gli specifici compiti di vigilanza relativi alla stabilità finanziaria di tutte le banche della zona euro incomberà alla Banca centrale europea (BCE). Le autorità di vigilanza nazionali continueranno a svolgere un ruolo importante nella vigilanza corrente nonché nella preparazione e attuazione delle decisioni della BCE. Quest'ultima potrà adottare misure di intervento precoce quando una banca violi o rischi di violare i requisiti patrimoniali di vigilanza. Una volta raggiunto un accordo sui sistemi di garanzia dei depositi esistenti e sulla proposta di direttiva sul risanamento e la risoluzione delle crisi degli enti creditizi, la Commissione prevede di elaborare la proposta di un meccanismo unico di risoluzione delle crisi, cui spetterebbe coordinare l'applicazione degli strumenti di risoluzione alle banche nel quadro di un'Unione bancaria (UB).

3.   Osservazioni generali

3.1

Gli avvenimenti degli ultimi anni hanno mostrato che le crisi degli enti creditizi vanno affrontate preventivamente, in modo da evitarne, per quanto possibile, il dissesto; un'amara lezione tratta dalla prima crisi del 2007 è che un grosso dissesto singolo quasi sempre induce una crisi sistemica, con le conseguenze sociali ed economiche che ben conosciamo. Tale interesse pubblico è una giustificazione sufficiente per discostarsi dai principi consolidati e generalmente accettati del diritto fallimentare.

3.2

Allo stato attuale le procedure di risoluzione delle crisi degli enti creditizi non sono armonizzate a livello europeo, e il CESE accoglie con favore la proposta di istituire un quadro normativo inteso a prevenire le crisi bancarie, salvaguardare la stabilità finanziaria e ridurre i costi per le finanze pubbliche grazie all'introduzione di nuovi strumenti e di nuove procedure. Il Comitato è ben consapevole che, da soli, i nuovi strumenti e le nuove procedure di prevenzione, intervento precoce e risoluzione delle crisi sono difficilmente in grado di risolvere crisi sistemiche, ma reputa anche che essi, se applicati in modo appropriato e coerente, potrebbero contribuire ad evitarne l'insorgere. Il CESE, pur appoggiando l'introduzione di strumenti di risanamento e di risoluzione delle crisi, avverte che alcuni di essi (segnatamente quello del bail-in) non sono stati ancora messi alla prova in crisi sistemiche e che l'esperienza acquisita con la loro applicazione è ancora insufficiente, per cui andrebbero utilizzati con particolare cautela.

3.3

Il CESE apprezza lo sforzo di instaurare un quadro normativo per gestire in modo ordinato il dissesto degli enti creditizi, e condivide l'assunto che «a causa di questo rischio sistemico e dell'importante funzione svolta dagli enti, le procedure ordinarie di insolvenza potrebbero non essere appropriate in alcuni casi» (4). Riconosce inoltre che, ogni qualvolta l'interesse pubblico imponga di risolvere in modo ordinato la situazione di dissesto di una banca, è necessario affidarne il governo ad un'autorità specializzata nella risoluzione delle crisi, diversa da quella giudiziaria. Una tale autorità di risoluzione delle crisi è in effetti un'autorità amministrativa dotata di poteri tradizionalmente riservati alle autorità giudiziarie, ragion per cui il trasferimento di poteri richiede determinati emendamenti normativi e potrebbe comportare una serie di conseguenze:

i poteri delle autorità di risoluzione, sotto forma di normativa quadro, dovrebbero essere stabiliti a livello di Unione europea;

i poteri delle autorità di risoluzione delle crisi dovrebbero essere fissati, sulla base di quanto stabilito a livello di Unione, dai parlamenti nazionali, i quali dovrebbero nel contempo autorizzare e disciplinare il trasferimento di prerogative dall'ordine giudiziario alle autorità bancarie;

i diritti dei terzi sono previsti da norme di diritto fallimentare, per cui occorrerebbe modificare queste ultime per accogliere un regime specifico per le banche, oppure i parlamenti nazionali dovrebbero adottare una normativa a sé stante;

in ogni caso, la Commissione riconosce che qualsiasi emendamento normativo dovrebbe comunque essere coerente con la Carta dei diritti fondamentali, e specialmente con il diritto di proprietà, il diritto a un ricorso effettivo e il diritto a un giudice imparziale.

3.4

Il CESE accetta le conclusioni della Commissione secondo cui i costi per la messa in opera del quadro proposto derivano da un eventuale aumento dei costi di finanziamento per gli enti, a causa della rimozione dell'implicito sostegno statale e dei costi relativi ai fondi di risoluzione delle crisi. Il Comitato condivide la preoccupazione della Commissione che questi maggiori costi possano essere trasferiti ai clienti o agli azionisti, facendo scendere i tassi sui depositi, aumentando i tassi sui prestiti (5) e le commissioni bancarie o riducendo il rendimento del capitale azionario. Nella sua valutazione d'impatto, la Commissione afferma che, anche se le banche dovranno far fronte a «un certo» aumento dei costi operativi, il costo totale delle operazioni e della stesura dei piani di risanamento e di risoluzione delle crisi sarà «trascurabile» o «irrilevante» (6).

3.5

La preoccupazione espressa dalle banche riguardo al fatto che i costi saranno tutt'altro che trascurabili è stata contestata sia dalla Commissione che dalle parti sociali. Il Comitato condivide il punto di vista della Commissione riguardo ai potenziali vantaggi a lungo termine del quadro proposto. Quanto all'impatto a breve-medio termine dei costi su tutte le parti interessate, esso andrebbe valutato e considerato attentamente da ciascuno Stato membro nell'elaborare le proprie norme nazionali, che dovrebbero tener conto delle rispettive esigenze e situazioni specifiche.

3.6

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione di istituire un'Unione bancaria con un meccanismo di risoluzione unico, e reputa che la normativa vigente in materia di risanamento e di risoluzione delle crisi debba essere modificata in linea con il funzionamento del nuovo meccanismo. Nel contempo, però, reputa assai difficile che una combinazione di vigilanza a livello europeo e risoluzione a livello locale possa produrre buoni risultati, specie nei casi di dissesto di enti creditizi importanti sul piano sistemico che operano in diversi Stati membri. L'ideale sarebbe che la competenza europea in materia di disciplina e vigilanza bancarie fosse integrata da una competenza europea in materia di risoluzione delle crisi e assicurazione dei depositi (7). La Commissione prevede di proporre un meccanismo unico di risoluzione delle crisi (8); ad oggi, tuttavia, è difficile stimare quando tutto ciò potrebbe tradursi in realtà.

4.   Osservazioni specifiche

4.1   Piani di risanamento e di risoluzione delle crisi

4.1.1

Particolare attenzione andrebbe riservata al fabbisogno di risorse umane. L'elaborazione dei piani di risanamento e di risoluzione delle crisi, infatti, è un lavoro altamente specializzato, mentre di solito il personale delle banche o delle pubbliche amministrazioni non comprende esperti dotati delle competenze ed esperienze necessarie. Per le autorità di vigilanza e di risoluzione delle crisi, la necessità di procurarsi sufficienti risorse umane con capacità professionali specifiche e altamente sviluppate costituirà un grave problema. Un problema che, però, non può essere evitato, dato che sia l'affidabilità dei piani che la fiducia nell'adeguatezza di qualsiasi intervento presuppongono l'elevata qualità professionale della loro intera concezione.

4.1.2

Il CESE condivide la proposta che le autorità di risoluzione delle crisi debbano, in consultazione con le autorità competenti, elaborare e aggiornare almeno una volta all'anno piani di risoluzione delle crisi, indicandovi una serie di opzioni applicative per l'uso degli strumenti di risoluzione; ma è convinto che tali piani, siano essi destinati a singole banche oppure a gruppi, sarebbero elaborati e aggiornati meglio se anche le banche fossero coinvolte nel relativo processo, come suggerito dalla stessa Commissione nella comunicazione COM(2010)579 final (9) e nella valutazione d'impatto che accompagna la direttiva proposta (10), la quale però non prevede espressamente questa misura. Sulle questioni di rilievo, inoltre, bisognerebbe richiedere, ove opportuno, la consulenza professionale di altri soggetti - come ad esempio associazioni di consumatori e rappresentanti sindacali - eventualmente interessati dai piani di risoluzione delle crisi.

4.1.3

Ogni qualvolta, però, occorra valutare i piani alla luce dell'interesse pubblico, non sarebbe sufficiente coinvolgere, da un lato, le autorità di vigilanza e di risoluzione delle crisi e, dall'altro, gli enti creditizi. A trovarsi nella posizione migliore per effettuare valutazioni di questo tipo sono le banche centrali. Per valutare se i singoli piani di risanamento e risoluzione delle crisi di più enti creditizi possano essere attuati simultaneamente in situazioni sistemiche, nonché in che misura queste singole soluzioni inciderebbero sul sistema finanziario nel suo insieme in un contesto nazionale o transfrontaliero, è infatti necessario un approccio macroprudenziale; e la competenza ed esperienza specifiche delle banche centrali ne fanno i soggetti più idonei ad applicare tale approccio. Il CESE raccomanda pertanto di consentire alle banche centrali di partecipare alla valutazione dei piani di risanamento e di risoluzione delle crisi alla luce dell'interesse pubblico, pur nel pieno rispetto della loro indipendenza. Può darsi che in futuro anche la BCE, nella sua duplice veste di banca centrale e autorità unica di vigilanza, debba effettuare valutazioni analoghe dei piani degli enti creditizi.

4.1.4

Bisognerebbe rendere più efficaci gli obblighi di riservatezza riguardo agli enti creditizi e ai relativi piani di risanamento e di risoluzione delle crisi. Norme specifiche della direttiva dovrebbero garantire il rigoroso rispetto della riservatezza delle relative informazioni da parte di tutte le autorità, istituzioni e parti interessate coinvolte nell'elaborazione, nell'aggiornamento e nella valutazione dei piani.

4.2   Sostegno finanziario intragruppo

4.2.1

Il CESE accoglie con favore le norme della direttiva proposta che prevedono l'introduzione di regole e condizioni armonizzate in materia di sostegno finanziario intragruppo. Nel contempo, però, avverte che occorrerebbe garantire un giusto equilibrio tra la tutela degli interessi e diritti del ricevente e la tutela di quelli del trasferente, in caso di disaccordo tra i due soggetti in merito a tale sostegno. Il CESE condivide appieno le disposizioni dell'articolo 19, paragrafo 1, e fa notare che occorrerebbe includere tra i requisiti di cui alla lettera f) di tale norma anche tutti i requisiti più rigorosi in materia di fondi propri e liquidità eventualmente imposti dalle autorità regolatrici del paese dell'ente trasferente.

4.3   Amministrazione straordinaria

4.3.1

Valutare se ricorrano le condizioni essenziali per la nomina di un amministratore straordinario ai sensi dell'articolo 24, paragrafo 1, è un compito che spetta alle autorità competenti (11). Il CESE riconosce la necessità di condizioni d'intervento flessibili e maggiore elasticità per consentire alle autorità competenti di godere di un certo margine di discrezionalità; tuttavia, considerata l'importanza del ruolo e dei poteri attribuiti a tale amministratore, raccomanderebbe di garantire agli enti creditizi una maggiore certezza giuridica introducendo regole e condizioni d'intervento esplicite e definite più chiaramente. L'esperienza acquisita dimostra che in molti casi i segnali precoci di allarme sono di natura qualitativa, per cui la loro percezione dipende, più che da calcoli e indicatori quantitativi, dall'esperienza e dalle capacità delle autorità di vigilanza o da un'efficiente attività di indagine. In questi casi, se mancano regole chiaramente definite che esonerino le autorità di vigilanza da responsabilità per il loro giudizio, tali autorità possono esitare a prendere l'iniziativa, perdendo così una preziosa opportunità per intervenire precocemente e con tempestività. Regole e condizioni d'intervento chiare sono essenziali anche perché, in caso di cattiva gestione vera o supposta, terzi potrebbero proporre ricorso non solo contro l'amministratore straordinario, adducendo la sua responsabilità personale, ma anche contro le autorità di vigilanza, adducendo il loro errore di giudizio nel valutare la necessità di avviare una procedura d'intervento precoce o nello scegliere la persona di tale amministratore.

4.3.2

La direttiva introduce una sequenza ben precisa nell'applicazione delle diverse misure d'intervento precoce. La nomina di un amministratore straordinario è una misura d'intervento precoce altamente intrusiva, da adottare solo dopo che siano state esaurite misure meno invasive. Tuttavia, potrebbero verificarsi casi in cui il deterioramento significativo della situazione finanziaria dell'ente sopravvenga così rapidamente da rendere necessario procedere a tale nomina senza attendere l'attuazione delle misure d'intervento precoce meno invasive di cui all'articolo 23, paragrafo 1, della direttiva proposta. In tali casi, si dovrebbe poter nominare un amministratore straordinario anche in assenza di una delle condizioni d'intervento previste dall'articolo 24, ossia del fatto che «le altre misure attuate in conformità all'articolo 23 non sono sufficienti ad invertire il processo».

4.3.3

Il Comitato invita la Commissione a prendere in considerazione uno scenario in cui la nomina di un amministratore straordinario potrebbe scatenare una corsa agli sportelli e a proporre misure appropriate per evitarne il verificarsi. In certi casi e in talune situazioni, infatti, tale nomina potrebbe costituire per il mercato un segnale che la banca in questione sta attraversando gravi difficoltà finanziarie, e quindi provocare una corsa a ritirare il denaro depositato presso la banca stessa. La situazione potrebbe essere anche più difficile se si procedesse simultaneamente alla nomina di più amministratori straordinari per più enti creditizi a livello nazionale o transfrontaliero, e il settore facesse registrare forti corse agli sportelli e una crisi di fiducia. Il Comitato ritiene che occorra introdurre precise disposizioni per impedire il verificarsi di simili sviluppi già nel corso della fase di intervento precoce. La futura autorità unica di vigilanza dovrebbe avere la forza sufficiente ed essere attrezzata in modo adeguato per affrontare simili situazioni con tempestività.

4.4   Risoluzione delle crisi

4.4.1

È necessario chiarire meglio i poteri e i compiti delle autorità di risoluzione delle crisi. Mentre le autorità competenti e quelle di vigilanza sono responsabili degli interventi precoci, spetta alle autorità di risoluzione delle crisi scegliere e applicare gli strumenti di tale risoluzione. In certi casi, tuttavia, determinati compiti sono assolti sia dalle autorità di vigilanza che da quelle di risoluzione delle crisi. Per esempio, ai sensi dell'articolo 27, paragrafo 1, lettera a), «l'autorità competente o l'autorità di risoluzione delle crisi stabilisce che l'ente è in dissesto o a rischio di dissesto». A seconda delle scelte effettuate dagli Stati membri, le autorità di vigilanza potrebbero assolvere i compiti delle autorità di risoluzione delle crisi, ma le due funzioni dovrebbero comunque essere tenute distinte, in modo da ridurre al minimo i rischi di tolleranza (12). Il CESE è favorevole a incoraggiare l'introduzione di una distinzione chiara tra i compiti delle autorità di vigilanza e quelli delle autorità di risoluzione delle crisi nonché tra i tempi dei rispettivi interventi. Secondo il Comitato, le procedure di valutazione e notifica riguardanti le condizioni per la risoluzione delle crisi dovrebbero basarsi su distinzioni chiare tra i compiti delle diverse autorità coinvolte ed essere rese più semplici onde accelerare la decisione e l'esecuzione della risoluzione stessa.

4.4.2

L'obbligo per l'organo di gestione di un ente creditizio di informare l'autorità competente quando reputa che l'ente sia in dissesto o a rischio di dissesto sarebbe del tutto appropriato, se non fosse per delle perplessità relative ai tempi di tale notifica. L'esperienza acquisita, infatti, dimostra che la notifica potrebbe essere ritardata da vari fattori, uno dei quali è costituito dai possibili dubbi circa la conformità alle norme sui requisiti patrimoniali. Il CESE ritiene pertanto che, se l'iniziativa venisse interamente rimessa alla discrezione dell'organo di gestione della banca, la decisione dell'autorità di risoluzione delle crisi potrebbe giungere troppo tardi. L'articolo 74 non dovrebbe dare adito a dubbi quanto al fatto che le autorità di vigilanza abbiano il diritto e l'opportunità di informare l'autorità di risoluzione delle crisi senza aspettare la notifica da parte dell'organo di gestione della banca ogni qualvolta ritengano che dette condizioni siano già soddisfatte ma la notifica tardi ad arrivare. L'articolo 101, paragrafo 1, lettera d), e paragrafo 2 dovrebbe imporre agli Stati membri di comminare ai membri di tale organo pesanti sanzioni per la violazione dell'articolo 74, paragrafo 1 - non dell'articolo 73, paragrafo 1, come nella proposta di direttiva.

4.4.3

L'articolo 27, paragrafo 1, lettera c), della direttiva proposta indica, tra le condizioni per la risoluzione, il fatto che l'azione di risoluzione della crisi sia «necessaria nell'interesse pubblico». La valutazione di tale interesse è un ambito in cui le banche centrali sono nella posizione più indicata per fornire elementi di informazione, date la competenza e l'esperienza specifiche di cui dispongono nel valutare la stabilità finanziaria, la continuità dei servizi essenziali, la protezione dei fondi pubblici e la tutela dei depositanti. È quindi giusto includerle tra le autorità chiamate a valutare se le condizioni per la risoluzione siano state soddisfatte, ma si dovrebbe far ciò già in una fase precoce, specie quando si tratta di valutare più enti creditizi in un contesto nazionale o transfrontaliero. Può darsi che, nell'ambito della futura Unione bancaria, la BCE, agendo nella duplice veste di banca centrale e autorità unica di vigilanza nonché in stretta cooperazione con il CERS, sia in posizione più adatta e sia meglio attrezzata per effettuare simili valutazioni alla luce dell'interesse pubblico. In quest'ottica, l'eventuale introduzione di un meccanismo unico di risoluzione delle crisi risulterebbe particolarmente utile.

4.4.4

L'interesse pubblico in gioco nel dissesto delle banche giustifica un'allocazione delle perdite diversa da quella normalmente prevista dai regimi di insolvenza; così, la direttiva proposta stabilisce una precisa gerarchia dei crediti in cui gli azionisti sono i primi, seguiti dai creditori non garantiti, secondo l'ordine fissato dall'articolo 43. Il CESE non ha obiezioni alla gerarchia dei crediti proposta, ma desidera richiamare l'attenzione sul fatto che i «creditori» sono anche, tecnicamente e giuridicamente, tutti i depositanti/clienti. Con l'eccezione dei «creditori interessati», l'articolo 2 non fornisce alcuna definizione dei «creditori» e dei «depositanti» e delle loro diverse categorie. Il CESE apprezzerebbe che questi termini fossero chiaramente definiti, tanto più se si tiene presente il fatto che attualmente la posizione dei depositanti nell'ordine dei creditori non è armonizzata, ma varia da uno Stato membro all'altro.

4.4.5

I depositi della pubblica amministrazione sono anch'essi soggetti a regimi diversi da uno Stato membro all'altro. Possono rientrare oppure no tra le passività ammissibili e ammessi al bail-in, a seconda che rientrino tra i depositi garantiti («coperti»), fino a un determinato importo, e a seconda che siano cartolarizzati. Inoltre, i depositi della p.a. rientranti tra le passività ammissibili e ammesse al bail-in sono di fatto denaro dei contribuenti. Tuttavia, ci si può chiedere se un'operazione che utilizzi fondi pubblici possa effettivamente essere definita un bail-in.

4.4.6

La direttiva proposta conferisce all'autorità di risoluzione delle crisi ampi poteri decisionali in merito all'ordine delle passività da sottoporre a bail-in. L'autorità di risoluzione delle crisi può esercitare i suoi poteri di riduzione persino sulle passività dell'ente creditizio nei confronti dei soggetti che gli hanno fornito beni o servizi ritenuti non «essenziali per il funzionamento quotidiano delle (…) operazioni» dell'ente stesso (articolo 38, paragrafo 2, lettera e), ii), il che significa che, per esempio, un fornitore di servizi di catering o alberghieri può veder ridotti i suoi crediti se detta autorità decide che tali servizi non sono «essenziali». La par condicio creditorum è un principio fondamentale di tutte le procedure concorsuali che deve essere rispettato anche in questo caso.

4.4.7

Il CESE comprende la necessità di assicurarsi che gli enti creditizi dispongano a bilancio di un importo sufficiente di passività assoggettabili ai poteri di bail-in. L'emissione di strumenti di debito assoggettabili a bail-in potrebbe porre dei problemi, dato che farebbe quasi venir meno la differenza tra i debiti subordinati e quelli di primo rango non garantiti; sui mercati meno sviluppati, poi, tale operazione potrebbe risultare ancor più impegnativa e costosa, se non addirittura impossibile, in periodi di crisi, specialmente nel caso di crisi sistemiche. Il Comitato raccomanda che la proposta di un'applicazione armonizzata, a livello dell'UE, dei requisiti minimi di ammissibilità dei debiti - che la Commissione dovrebbe assicurare mediante atti delegati - sia ponderata e modulata con attenzione, tenendo conto del grado di sviluppo del mercato finanziario locale di ciascuno Stato membro.

4.4.8

Lo strumento del bail-in deve essere spiegato e precisato meglio. Al fine di ridurre al minimo ogni possibile incertezza tra gli investitori, occorrerebbe introdurre regole chiare in materia di passività ammissibili e condizioni minime («soglie») per l'applicazione del bail-in.

4.5   Questioni giuridiche: diritti dei terzi

4.5.1

I diritti dei terzi sembrano essere meno tutelati rispetto a quelli riconosciuti dal diritto fallimentare nella maggior parte degli Stati membri. La considerazione dell'interesse pubblico prevale sulla tutela dei diritti dei privati e l'allocazione delle perdite segue una logica diversa. L'articolo 78 conferisce un diritto di ricorso giurisdizionale avverso la decisione dell'autorità di risoluzione delle crisi, ma limita tale impugnazione alla legittimità di tale decisione e delle sue modalità di attuazione nonché alla congruità delle compensazioni concesse. Le decisioni di detta autorità non possono essere inibite, né sono soggette a una qualsivoglia sospensione automatica. Anche nel caso dell'annullamento di una decisione dell'autorità di risoluzione delle crisi i diritti dei terzi sono limitati alla compensazione della perdita subita dal ricorrente (articolo 78, paragrafo 2, lettera d)).

4.5.2

In una situazione di emergenza come quella di dissesto di una banca, le normali procedure di insolvenza sono senz'altro inappropriate; tuttavia, l'ampiezza dei poteri attribuiti alle autorità di risoluzione delle crisi, considerato anche il limitato diritto di ricorso concesso ai terzi, desta preoccupazioni quanto alla solidità giuridica della normativa proposta. In molti Stati membri, infatti, e soprattutto in quelli con ordinamenti di common law, con ogni probabilità i giudici rivendicherebbero comunque la loro potestà di controllo giurisdizionale su qualsiasi decisione di autorità amministrativa da cui una persona fisica o giuridica dimostri di aver subito un pregiudizio.

4.5.3

La preoccupazione espressa al punto precedente è stata criticata da diverse parti, con motivazioni tanto giuridiche che sociali, per cui in merito il CESE si rimette alla valutazione degli organi legislativi competenti. Tuttavia, esso richiama l'attenzione su un aspetto di un certo rilievo: ove qualcuno dovesse ritenere l'autorità di risoluzione delle crisi o gli amministratori responsabili di grave scorrettezza professionale, soltanto i giudici godrebbero di una sorta di immunità per le decisioni adottate nell'esercizio delle loro funzioni giurisdizionali, mentre nessuna legge o regolamento potrebbe estendere tale immunità ad autorità amministrative come quelle di risoluzione delle crisi, che potrebbero dunque essere condannate in giudizio a risarcire i danni, nel qual caso il risarcimento sarebbe pagato con denaro pubblico.

4.6   Finanziamento delle risoluzioni delle crisi

4.6.1

La Commissione si è già occupata della questione del finanziamento della risoluzione delle crisi in due comunicazioni – quella sui fondi di risoluzione per il settore bancario e quella sul quadro dell'UE per la gestione delle crisi nel settore finanziario (13). La proposta di direttiva in esame precisa ulteriormente le proposte già formulate in quelle due comunicazioni. Il CESE, da parte sua, ha già illustrato la propria posizione su queste due comunicazioni in merito in due pareri (14), in entrambi i quali ha espresso il suo sostegno alla proposta della Commissione di creare una rete armonizzata di fondi nazionali di risoluzione ex ante delle crisi e raccomandato di progettare questa rete in modo accurato, tenendo conto anche delle condizioni specifiche esistenti in ciascuno Stato membro.

4.6.2

Secondo la direttiva proposta, i costi di risoluzione delle crisi non coperti dagli azionisti e dai creditori dovrebbero esserlo da risorse aggiuntive fornite dal settore bancario; ove necessario, si può ricorrere al sostegno dei fondi di garanzia dei depositi. Il CESE accoglie con favore l'introduzione di regole armonizzate in materia di finanziamento, sulla base di contributi ex ante, dei fondi di garanzia dei depositi e dei fondi di risoluzione delle crisi. I criteri per contribuire ex ante a finanziare la risoluzione delle crisi appaiono appropriati e realistici alla luce della situazione attuale; tuttavia, le condizioni economiche e finanziarie potrebbero mutare inaspettatamente, come si è visto negli ultimi anni. Considerando che un fondo di risoluzione delle crisi impiegherebbe dieci anni per coprire interamente i costi, il CESE raccomanda di introdurre una norma che consenta di rivedere periodicamente i criteri di contribuzione ex ante.

4.6.3

Il CESE comprende bene l'esigenza di solidarietà, e condivide le proposte in materia di prestiti tra meccanismi di finanziamento (articolo 97) e di messa in comune dei meccanismi di finanziamento nazionali in caso di risoluzione delle crisi di gruppo (articolo 98). Tuttavia, realizzare la messa in comune dei meccanismi di finanziamento prima che questi abbiano raggiunto il loro livello-obiettivo e un certo grado di armonizzazione non sarebbe affatto semplice. La maggior parte degli Stati membri accetta che i suoi fondi di risoluzione delle crisi e di garanzia dei depositi debbano basarsi sul finanziamento ex ante, ma il finanziamento ex post è tuttora preferito da alcuni Stati membri. I requisiti posti dagli articoli 97, paragrafo 2, e 98 porranno dei problemi ai paesi le cui banche centrali non hanno il potere di erogare i prestiti previsti dagli articoli 96 e 98. Il Comitato invita la Commissione a introdurre misure e raccomandazioni specifiche intese a superare queste difficoltà e ad accelerare il processo di armonizzazione.

4.6.4

Se è vero che affidare a un'unica istituzione sia il fondo unico di garanzia dei depositi che quello di risoluzione delle crisi potrebbe recare dei vantaggi, è anche vero però che ad oggi una soluzione siffatta appare difficile per taluni Stati membri, dato che molti fondi di garanzia dei depositi dispongono di mezzi finanziari insufficienti. Il Comitato accoglie con favore l'approccio della Commissione, che consente a ciascuno Stato membro di decidere liberamente se disporre di uno oppure due meccanismi di finanziamento (fondi). Nel contempo, però, il CESE raccomanda che la direttiva detti norme che garantiscano la capacità di ciascun fondo di garanzia dei depositi di assolvere in qualsiasi momento la sua funzione principale, che è quella di proteggere i depositanti al dettaglio.

4.6.5   Il CESE accoglie con favore l'impegno della Commissione per instaurare un sistema europeo di meccanismi di finanziamento tale da garantire che tutti gli enti creditizi siano soggetti a regole di finanziamento della risoluzione delle crisi di pari efficacia. Assicurare un finanziamento efficace della risoluzione delle crisi con parità di condizioni per tutti gli Stati membri è nel massimo interesse di ciascuno di essi, nonché del mercato unico finanziario, poiché contribuisce a garantire stabilità e condizioni uniformi di concorrenza. Il Comitato invita ad adottare al più presto una tabella di marcia realistica per l'introduzione del futuro sistema di meccanismi di finanziamento della risoluzione delle crisi.

Bruxelles, 12 dicembre 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  COM(2012) 280 final.

(2)  COM(2010) 579 final.

(3)  Cfr. Caratteristiche essenziali dei regimi efficaci di risoluzione delle crisi per gli enti finanziari, FSB, ottobre 2011.

(4)  COM(2012) 280 final, relazione, pag. 4.

(5)  Secondo le stime della Commissione, l'aumento dei costi di finanziamento può incidere sugli investimenti e ridurre la crescita del PIL dello 0,1-0,4 % annuo (cfr. valutazione d'impatto della Commissione, SWD(2012) 166, pag. 69, e SWD(2012) 167).

(6)  Idem, pag. 68.

(7)  Cfr. CERS, Relazioni del comitato scientifico consultivo - Forbearance, resolution and deposit insurance («Rischi di tolleranza, risoluzione delle crisi e garanzia dei depositi»), n. 1 (luglio 2012), pag, 23 (disponibile solo in lingua inglese).

(8)  Cfr. COM(2012) 510 final.

(9)  Cfr. COM(2010) 579 final, Un quadro dell'UE per la gestione delle crisi nel settore finanziario, pag. 6.

(10)  Cfr. la valutazione d'impatto della Commissione, SWD(2012) 166, pag. 26, e SWD(2012) 167, pag. 64.

(11)  Le autorità competenti devono valutare se si siano verificati «un deterioramento significativo della situazione finanziaria dell’ente», «gravi violazioni delle disposizioni legislative, […]», «gravi irregolarità amministrative, e se le altre misure attuate in conformità all’articolo 23 non sono sufficienti ad invertire il processo» (corsivi aggiunti).

(12)  Nella comunicazione COM(2010) 579 la Commissione spiega che ciascuno Stato membro deve individuare un'autorità di preposta alla risoluzione delle crisi investita dei poteri in materia, e che ciò consentirà agli Stati membri di mantenere le disposizioni nazionali esistenti, che, a seconda dei casi, investono della responsabilità per le procedure di risoluzione il ministero delle Finanze, la banca centrale o un regime di garanzia dei depositi. La Commissione rileva che in molti paesi vige una corretta separazione tra autorità di risoluzione e autorità di vigilanza, e ritiene che tale separazione sia rilevante al fine di limitare i rischi di tolleranza. Le autorità di risoluzione delle crisi dovrebbero inoltre essere organi amministrativi e non giudiziari.

(13)  Cfr. COM(2010) 254 final e COM(2010) 579 final.

(14)  Si tratta dei pareri del CESE in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e alla Banca centrale europea Fondi di risoluzione per il settore bancario (GU C 107 del 6.4.2011, pag. 16) e alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca centrale europea Un quadro dell'UE per la gestione delle crisi nel settore finanziario (GU C 248 del 25.8.2011, pag. 101).


15.2.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/76


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta modificata di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante disposizioni comuni sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione, sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca compresi nel quadro strategico comune e disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo di coesione, e che abroga il regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio

COM(2012) 496 final — 2011/0276 (COD)

2013/C 44/13

Relatore: MALLIA

Correlatore: GRUBER

Il Consiglio, in data 27 settembre 2012, e il Parlamento europeo, in data 22 ottobre 2012, hanno deciso, conformemente al disposto degli articoli 177 e 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta modificata di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante disposizioni comuni sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione, sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca compresi nel quadro strategico comune e disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo di coesione, e che abroga il regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio

COM(2012) 496 final — 2011/0276 (COD).

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 novembre 2012.

Alla sua 485a sessione plenaria, dei giorni 12 e 13 dicembre 2012 (seduta del 12 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 154 voti favorevoli, 3 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

La politica di coesione è la politica fondamentale dell'UE. Il suo obiettivo è realizzare la convergenza economica, sociale e territoriale dell'UE nella sua totalità e in tutti gli Stati membri. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) è d'accordo nel ritenere che gli obiettivi politici dei fondi del Quadro strategico comune (QSC) debbano essere in linea con la strategia Europa 2020. Questo allineamento non deve tuttavia comportare un indebolimento dell'obiettivo principale della politica europea di coesione, quello cioè della convergenza.

1.2

La politica di coesione, in quanto principale fonte di crescita e strumento per realizzare gli obiettivi della strategia Europa 2020, specialmente nei paesi più colpiti dalla crisi attuale, dovrebbe mantenere il livello di finanziamento perlomeno ai livelli attuali e prevedere una distribuzione equa delle risorse onde assicurare che non siano ridotti i finanziamenti a favore degli Stati membri meno sviluppati.

1.3

Il CESE appoggia la creazione di un QSC inteso a rafforzare il coordinamento e la complementarità tra i principali strumenti di finanziamento dell'UE. Un efficace QSC contribuirà anche a eliminare l'inefficiente e superflua separazione oggi esistente tra i fondi principali.

1.4

Il CESE teme che i ritardi nel raggiungere un accordo politico sul pacchetto legislativo relativo alla coesione, di cui fa parte anche il QSC, incideranno negativamente sulla preparazione dei contratti di partenariato e quindi su un efficace inizio del periodo di programmazione 2014-2020.

1.5

Le azioni indicative di elevato valore aggiunto europeo individuate in ciascun obiettivo tematico devono dar priorità agli investimenti intesi a rafforzare la convergenza socioeconomica e territoriale dell'UE. È inoltre importante che l'elenco delle azioni non sia considerato esaustivo, così da consentire risposte specifiche per paese.

1.6

Il QSC pone molto l'accento sulla realizzazione di progetti multifondo. Si tratta di un importante miglioramento rispetto al periodo di programmazione 2007-2013. Non viene tuttavia fatto alcun accenno alla realizzazione di progetti multitematici, i quali hanno invece considerevoli potenzialità di apportare un più elevato valore aggiunto. Il QSC dovrebbe prevedere espressamente questa possibilità.

1.7

Il più intenso coordinamento richiesto dal QSC deve tuttavia tradursi in una riduzione degli oneri amministrativi a carico delle autorità di gestione e attuazione nonché dei beneficiari. Il coordinamento va rafforzato all'interno sia degli Stati membri che della Commissione, in modo da sfruttare le sinergie tra politiche e strumenti e ridurre sovrapposizioni, complessità e burocrazia. Prima dell'attuazione concreta la Commissione dovrà quindi procedere a un'analisi completa delle nuove procedure amministrative.

1.8

La società civile organizzata (1) deve essere coinvolta in maniera significativa nell'elaborazione dei contratti di partenariato. Pur riconoscendo che ciascuno Stato membro e ciascuna regione dispone di propri meccanismi e strutture per il coinvolgimento della società civile, il CESE ritiene necessario un monitoraggio di tali processi da parte della Commissione. Qualora si dovesse riscontrare un insufficiente coinvolgimento della società civile, la Commissione non dovrebbe accettare il contratto di partenariato fintanto che non si sia posto rimedio.

1.9

Il concetto di partenariato, tuttavia, non va limitato alla sola fase della programmazione. Il principio del partenariato deve essere applicato anche in tutte le altre fasi (attuazione, monitoraggio e valutazione).

1.10

I contratti di partenariato per la strategia Europa 2020 non dovrebbero essere incentrati sulle raccomandazioni specifiche per paese. Dovrebbero invece essere basati su diversi elementi, come i programmi nazionali di riforma, che sono concepiti in base alla situazione dei singoli Stati membri, mentre le raccomandazioni specifiche non necessariamente lo sono. Dovrebbero inoltre essere incentrati sulle strategie nazionali per la riduzione della povertà, la parità tra i sessi, la disabilità e lo sviluppo sostenibile.

1.11

È necessaria una maggiore flessibilità per consentire agli Stati membri e alle regioni di rispondere nel modo più efficace ed efficiente agli obiettivi comuni che vengono stabiliti, rispettando al tempo stesso le specificità territoriali, economiche e sociali. Inoltre, il QSC deve contenere un preciso riconoscimento delle specificità territoriali che incidono sull'attuazione dei fondi che fanno parte di esso.

2.   Introduzione

2.1

Il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), il Fondo sociale europeo (FSE), il Fondo di coesione (FC), il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP) sono i cinque fondi dell'UE gestiti dagli Stati membri e dalla Commissione. Per perseguire gli obiettivi di ciascun fondo in modo più efficace la Commissione propone un più stretto coordinamento tra loro che consenta di evitare sovrapposizioni e massimizzare le sinergie.

2.2

Al fine di facilitare l'elaborazione dei contratti di partenariato e dei programmi operativi, la Commissione propone la creazione di un Quadro strategico comune (QSC), onde migliorare la coerenza tra i cinque fondi rispetto agli impegni politici assunti nel contesto della strategia Europa 2020 e agli investimenti effettuati sul campo. Il QSC prende le mosse dagli 11 obiettivi tematici individuati nel regolamento contenente disposizioni comuni (RDC).

2.3

Il QSC è inteso a migliorare il coordinamento e garantire un uso più mirato dei finanziamenti europei. Esso contribuirà anche a eliminare l'inefficace e superflua separazione oggi esistente tra i fondi principali. Si tratta di uno sviluppo positivo, che dovrebbe migliorare l'efficacia della politica di coesione e aumentarne l'impatto, e in quanto tale, gode di tutto il sostegno del CESE.

3.   Lancio e adozione del QSC

3.1

Occorrono orientamenti chiari su quale sia il modo più efficace di utilizzare i fondi del QSC nei contratti di partenariato per centrare una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.

3.2

In risposta alle preoccupazioni espresse dal Parlamento e dal Consiglio, la Commissione propone di suddividere gli elementi del QSC tra: i) un nuovo allegato all'RDC, e ii) un atto delegato, contenente principalmente le «azioni indicative di elevato valore aggiunto europeo».

3.3

Il CESE sostiene l'approccio proposto dalla Commissione purché esso garantisca:

una rapida adozione del QSC;

maggiore chiarezza su che cosa può e che cosa non può essere finanziato;

la capacità degli Stati membri di adottare azioni in risposta ai loro precipui problemi territoriali.

3.4

La Commissione propone anche però che tutti gli elementi del QSC contenuti nell'allegato e nell'atto delegato possano a loro volta essere modificati con un atto delegato. Il CESE ritiene che questa proposta sia inaccettabile e che essa annulli quanto ottenuto con l'inclusione dei principali elementi del QSC nell'RDC sotto forma di allegato.

3.5

Il ruolo della Commissione nello stabilire se si tratti di un emendamento tecnico o di un emendamento più sostanziale dovrebbe essere chiaramente specificato nel regolamento in modo da evitare che possano sorgere problemi interpretativi.

3.6

Il CESE sente il dovere di esprimere la sua preoccupazione per il fatto che non si è ancora giunti a un accordo politico sul pacchetto legislativo riguardante la coesione, che comprende anche il QSC. Un ritardo prolungato potrebbe incidere negativamente sulla preparazione dei contratti di partenariato e quindi su un efficace inizio del periodo di programmazione 2014-2020.

3.7

La natura e la forma dei proposti contratti di partenariato deve essere precisata. L'RDC fornisce informazioni sugli elementi da includere nel contratto di partenariato, ma non si sa ancora quale forma debba assumere esattamente questo documento.

4.   Collegare la politica di coesione a Europa 2020

4.1

La strategia Europa 2020 è stata adottata allo scopo di stimolare una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Poiché è evidente che i fondi del QSC possono dare un contributo positivo al raggiungimento degli obiettivi principali della strategia Europa 2020, è logico che gli obiettivi politici di tali fondi vengano allineati alla strategia Europa 2020.

4.2

La strategia Europa 2020 è fondamentale per il raggiungimento di un giusto equilibrio tra una sana disciplina di bilancio e la crescita e lo sviluppo dell'Unione europea. Il conseguimento degli obiettivi fissati dalla strategia Europa 2020 sarà la sfida più importante per gli Stati membri meno sviluppati dell'Unione europea. I paesi che applicano una disciplina di bilancio responsabile avranno particolarmente bisogno di sostegno e di solidarietà da parte dell'UE attraverso la sua politica di coesione. Il finanziamento di tale politica, pertanto, deve essere mantenuto per lo meno al livello attuale e nessun tipo di limitazione sarà considerato accettabile.

4.3

Il CESE sostiene questo approccio e ribadisce la sua posizione per cui tutte le politiche europee devono puntare a realizzare la tanto necessaria crescita. Nell'esprimere tale posizione, il CESE è tuttavia fermamente convinto che gli obiettivi chiave dell'integrazione economica, sociale e territoriale debbano rimanere la priorità principale della politica di coesione dell'UE. Il valore aggiunto della politica di coesione non deve essere compromesso in nessun momento.

4.4

Il CESE è inoltre fermamente convinto che le azioni indicative di elevato valore aggiunto europeo previste per ciascun obiettivo tematico debbano dare priorità alle iniziative intese a rafforzare lo sviluppo socioeconomico e territoriale dell'UE nella sua totalità.

5.   L'approccio tematico

5.1

Il CESE accoglie con favore la concentrazione tematica proposta dalla Commissione come strumento per ridurre la frammentazione degli sforzi, per i quali è effettivamente necessario un forte coordinamento tra i vari fondi del QSC e anzi tra tutti gli altri programmi e iniziative dell'UE.

5.2

Il QSC dovrebbe chiarire e confermare che all'interno di ciascuna area tematica spetta ai singoli Stati membri decidere quale fondo debba svolgere un ruolo chiave nel raggiungimento degli obiettivi fondamentali.

5.3

Gli obiettivi fondamentali enunciati nel QSC sono sicuramente validi, ma anche la flessibilità deve occupare un posto importante. I contratti di partenariato devono tener conto degli interessi locali e regionali e deve essere possibile stanziare fondi per specifiche priorità regionali. Il CESE è fermamente convinto che i principi di sussidiarietà e di proporzionalità debbano continuare a svolgere una funzione centrale nell'attuazione della politica di coesione dell'UE.

5.4

Se i singoli obiettivi tematici indicano le azioni da intraprendere nel quadro dei fondi specifici, occorre chiarire l'aspetto della complementarità, in quanto non è evidente quali degli strumenti proposti nel quadro dei vari fondi e delle diverse azioni siano reciprocamente complementari. Il CESE ritiene che le azioni proposte per ciascun obiettivo tematico debbano dare priorità agli investimenti che accelerano la coesione socioeconomica. È importante che possano essere aggiunte azioni indicative, così da permettere risposte specifiche per paese.

5.5

Il CESE è del'avviso che, sebbene tutti gli 11 temi prescritti dal RDC siano validi, sarebbe opportuno stabilire un nucleo centrale con i temi che tutti gli Stati membri devono affrontare. Al di là di questo nucleo, ciascuno Stato membro dovrebbe poi avere la flessibilità di orientare il proprio contratto di partenariato verso altri temi (dell'elenco predefinito) che si addicono alla sua particolare situazione.

5.6

Altri temi specifici che dovrebbero essere inseriti accanto agli 11 attuali sono i seguenti:

1.

migliorare l'accessibilità per le persone affette da disabilità e con mobilità ridotta;

2.

rafforzare la capacità delle parti interessate alla politica di coesione (2);

3.

rispondere alla sfida demografica.

Queste nuove aree tematiche dovrebbero essere inserite nell'RDC.

5.7

Le azioni riguardanti i metodi di trasporto sostenibili e i sistemi di gestione dei trasporti sono attualmente escluse dall'obiettivo tematico 4 (sostenere il passaggio ad un'economia a basse emissioni di CO2). Questo punto andrebbe rettificato, dato il ruolo dei trasporti nelle emissioni.

5.8

Gli obiettivi tematici sono definiti all'articolo 9 dell'RDC, mentre le priorità d'investimento di ciascun fondo sono stabilite nei rispettivi progetti di regolamento. Tra gli obiettivi tematici e le priorità d'investimento dei fondi non vi è una perfetta corrispondenza e ciò genera una certa incertezza e forse confusione su quali obiettivi seguire. Questa questione va affrontata con particolare urgenza, dato che in alcuni Stati membri il processo di definizione del contratto di partenariato è già iniziato.

5.9

Il QSC pone molto l'accento sulla realizzazione di progetti multifondo ma non fa alcun accenno a progetti multitematici, i quali hanno invece considerevoli potenzialità di apportare un più grande valore aggiunto. Il QSC dovrebbe prevedere espressamente questa possibilità.

6.   Il Fondo europeo di sviluppo regionale e il Fondo di coesione

6.1

Il CESE ha già esposto in modo dettagliato il suo punto di vista su questi due fondi in due suoi pareri dedicati rispettivamente all'uno (3) e all'altro (4).

6.2

È previsto che il FESR contribuisca a tutti gli 11 obiettivi tematici.

6.3

Non è chiaro tuttavia quanto debba incidere esattamente l'«orientamento» individuato: si deve dare la preferenza a un settore rispetto a un altro, o devono essere i singoli Stati membri a decidere? Il CESE è decisamente a favore di questa seconda alternativa, che consente di adottare approcci specifici per paese/regione.

6.4

Il CESE è fermamente convinto che il FESR debba innanzitutto continuare a fornire un sostegno essenziale alle PMI. Tale sostegno dovrebbe presentarsi sotto forma di messa a disposizione di strumenti di finanziamento, creazione di reti di PMI e fornitura di infrastrutture essenziali (5).

6.5

Il CESE esprime preoccupazione, tuttavia, per la proposta di escludere totalmente dai finanziamenti del FESR le grandi imprese. Queste infatti occupano un posto rilevante nella R&S e le attività di R&S dovrebbero perciò essere ammissibili ai finanziamenti, altrimenti si rischia di aggravare la situazione già critica di ritardo in cui si trova l'Europa rispetto ad altri paesi suoi concorrenti come gli USA e il Giappone.

6.6

Il CESE ritiene che, poiché il livello delle risorse finanziarie non può essere accresciuto in misura significativa, una possibilità ulteriore sia quella di definire più chiaramente gli obiettivi e fare in modo che le priorità di investimento proposte siano legate più precisamente agli obiettivi (6).

6.7

Il Fondo di coesione è destinato a contribuire a 4 aree tematiche legate all'ambiente, allo sviluppo sostenibile e ai trasporti (TEN-T).

6.8

Per evitare di ripetere gli errori commessi in passato disperdendo i finanziamenti del Fondo in troppi progetti, il CESE ribadisce ancora una volta il suo invito a concentrare di più i finanziamenti su progetti di più ampio respiro che si prevede contribuiscano maggiormente a ridurre le disparità tra gli Stati membri e a realizzare la coesione sociale, territoriale ed economica.

6.9

Nel realizzare questi grandi progetti, gli Stati membri devono garantire la coerenza e la complementarità con altri fondi e iniziative dell'UE (come ad esempio il Meccanismo per collegare l'Europa, il programma LIFE e le varie strategie macroregionali) per fare in modo che venga utilizzato appieno il potenziale dei diversi fondi e iniziative. Ciò è estremamente importante ad esempio quando si tratta di sviluppare le infrastrutture energetiche e di trasporto. È fondamentale che i diversi strumenti siano mutualmente compatibili, piuttosto che in concorrenza tra loro.

7.   Il Fondo sociale europeo

7.1

L'FSE è destinato a contribuire a quattro obiettivi tematici: occupazione e mobilità professionale; istruzione, competenze e formazione permanente; promozione dell'inclusione sociale e lotta alla povertà nonché rafforzamento della capacità amministrativa. Esso dovrebbe tuttavia contribuire anche agli altri obiettivi tematici.

7.2

Questa impostazione è in linea con le opinioni espresse dal CESE nel parere sul Fondo sociale europeo (7), in cui il Comitato sostiene che l'FSE dovrebbe essere lo strumento di elezione per l'attuazione degli obiettivi della strategia Europa 2020, in particolare per quanto riguarda occupazione, istruzione, inclusione sociale e lotta alla povertà - considerazione molto pertinente nella situazione attuale, caratterizzata da una disoccupazione crescente e da una perdita di posti di lavoro senza precedenti.

7.3

Il CESE sostiene vivamente la proposta della Commissione europea di destinare all'inclusione sociale e alla lotta alla povertà almeno il 20 % delle dotazioni nazionali complessive del FSE.

8.   Il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale

8.1

Nel contesto della riforma della PAC per il 2020, delle proposte per il quadro finanziario pluriennale 2014-2020 e della situazione economica attuale, la Commissione europea ha presentato una proposta per un nuovo regolamento sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) (8). Il nuovo FEASR interviene a sostegno delle priorità della strategia Europa 2020, si basa sulla proposta relativa all'RDC ed è in linea con il quadro di governance economica dell'UE.

8.2

Nel suo parere sul pacchetto relativo alla riforma della PAC (9), il CESE accoglie con favore la proposta di migliorare l'allineamento della PAC alla strategia Europa 2020 e alla strategia per lo sviluppo sostenibile delle aree rurali.

8.3

Tuttavia, è importante che gli Stati membri siano in grado di stabilire le loro priorità in modo flessibile, così da trovare un equilibrio tra sostegno agli obiettivi specifici della PAC stabiliti dai Trattati e rafforzamento della strategia Europa 2020. Bisogna garantire una costante coerenza tra i due pilastri.

8.4

In questa fase non è chiaro in che misura le priorità del FEASR si inseriranno in quelle del QSC. Le misure adottate nell'ambito del FEASR dovrebbero quindi fornire incentivi agli agricoltori, ai proprietari di foreste e ad altri soggetti che intendono contribuire a creare/garantire posti di lavoro e crescita economica realizzando al tempo stesso azioni a favore dello sviluppo sostenibile e contro i cambiamenti climatici.

8.5

Ciò dovrebbe essere accompagnato da un forte collegamento con il Partenariato europeo per l'innovazione sulla produttività e sostenibilità dell'agricoltura inteso a potenziare la «crescita verde» in tutte le aree rurali dell'UE.

8.6

Per le misure relative all'ambiente e ai cambiamenti climatici il FEASR prevede una quota minima del 25 %, cosa che il CESE apprezza. Tuttavia, dedicare alle misure per il clima il 20 % dei finanziamenti sembra eccessivo. Occorre quindi elaborare ulteriormente questo aspetto nel QSC.

9.   Il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca

9.1

Il 2 dicembre 2011, la Commissione ha adottato una proposta di regolamento che, in linea con il quadro finanziario pluriennale (QFP) e la strategia Europa 2020, istituisce un nuovo fondo che costituirà il quadro finanziario per la politica comune della pesca (PCP) e la politica marittima integrata dell'UE per il periodo 2014-2020 (10).

9.2

Le azioni fondamentali proposte nel documento della Commissione possono in linea di massima essere sostenute. È indispensabile adottare un approccio integrato con tutti gli altri settori di intervento.

9.3

Come nel caso del FEASR, il QSC dovrebbe permettere un accostamento flessibile degli obiettivi, mantenendo al tempo stesso la coerenza tra gli obiettivi specifici della PCP e quelli della strategia Europa 2020.

9.4

Il QSC potrebbe apportare maggiore trasparenza nell'eventualità di conflitto tra le politiche UE, come ad esempio la direttiva quadro sulle acque e le disposizioni in materia di igiene animale.

10.   Principi orizzontali e obiettivi politici

10.1

Il QSC pone la promozione della parità tra uomini e donne e della non discriminazione, l'accessibilità per le persone affette da disabilità e lo sviluppo sostenibile come principi orizzontali da applicare a tutti i fondi e quindi in tutti i programmi operativi. Il CESE sostiene questi due principi e incita a procedere a un'efficace analisi di tutti i progetti proposti e a un adeguato monitoraggio di tutti i programmi per garantire l'integrazione di questi principi.

10.2

Il CESE ritiene che un altro principio orizzontale da applicare sia quello di «comunicare l'Europa». Dato il generale indebolimento e la perdita di fiducia nel progetto europeo, ciascun progetto intrapreso tramite la politica di coesione deve, grazie al suo valore aggiunto, dimostrare come l'UE può fare la differenza nella vita dei cittadini.

11.   Necessità di flessibilità, semplificazione e dinamismo

11.1

La semplificazione delle procedure deve essere in cima all'agenda sia della Commissione che delle autorità di gestione degli Stati membri. Pur riconoscendo che si deve rendere conto di ciascun euro speso, è inaccettabile che i processi di gestione e di richiesta dei finanziamenti europei continuino a essere così onerosi che i beneficiari che più ne hanno bisogno (ad esempio le PMI e le ONG) finiscano per essere penalizzati (11). Inoltre, bisogna adoperarsi in ogni modo per garantire che vengano selezionati per il finanziamento soltanto progetti che apportano un autentico valore aggiunto.

11.2

Al fine di garantire un vero e proprio valore aggiunto il QSC dovrebbe portare a un'autentica riduzione degli oneri e dei costi amministrativi, sia per i beneficiari che per le autorità di attuazione. La maggiore intensità di coordinamento richiesta dal QSC potrebbe tuttavia tradursi in un incremento degli oneri amministrativi a carico delle autorità di gestione e di attuazione, che a sua volta potrebbe dar luogo a oneri e complessità aggiuntive per i beneficiari, La Commissione dovrà quindi procedere a un'analisi completa e formale delle attuali e delle nuove procedure amministrative prima dell'attuazione concreta.

11.3

È opportuno potenziare il coordinamento all'interno sia degli Stati membri che della Commissione in modo da sfruttare le sinergie tra le varie politiche e i diversi strumenti, limitando i doppioni e riducendo la complessità e la burocrazia. Questo richiede una maggiore articolazione tra i servizi della Commissione responsabili dei fondi del QSC e un coordinamento all'interno di ciascuno di detti servizi in tutte le fasi di negoziazione e applicazione, al fine di garantire un approccio più coerente e armonizzato, facendo al tempo stesso attenzione a non creare ulteriori oneri burocratici.

11.4

Il proposto ricorso all'e-governance per una maggiore efficienza viene giudicato positivamente. Esso non dovrebbe tuttavia essere limitato ai fondi del QSC, bensì comprendere tutti i flussi di finanziamenti UE ed essere accessibile a tutti.

11.5

Attualmente è previsto che il Parlamento europeo e il Consiglio possano chiedere alla Commissione di presentare una proposta di revisione del QSC in caso di profonde modifiche alla strategia Europa 2020. A nostro avviso, questa impostazione è troppo restrittiva. Il CESE è del parere che dovrebbe essere possibile adeguare il QSC al mutamento delle circostanze, specialmente se si verificano cambiamenti significativi nelle condizioni socioeconomiche che giustifichino una risposta su scala UE.

11.6

Un'analoga flessibilità dovrebbe essere concessa agli Stati membri, che dovrebbero poter adeguare i loro programmi nazionali a tutta una serie di circostanze, e non soltanto agli obiettivi tematici della politica.

11.7

Il CESE invita la Commissione a prevedere una revisione periodica obbligatoria del QSC che consenta di apportare cambiamenti significativi.

12.   L'approccio basato sul contratto di partenariato

12.1

Il principio di partenariato enunciato all'articolo 5 del RDC è un principio essenziale che contribuirà a migliorare l'efficacia della politica di coesione dell'UE e in quanto tale merita un forte sostegno da parte sia del Consiglio che del Parlamento.

12.2

La consultazione dei soggetti interessati nell'elaborazione dei contratti di partenariato sarà fondamentale affinché gli obiettivi tematici si traducano in azioni e obiettivi concreti per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.

12.3

Tali contratti dovrebbero applicare gli elementi definiti nel QSC ai rispettivi contesti nazionali e fissare impegni definitivi per la realizzazione delle priorità previste nelle disposizioni relative ai fondi del QSC. Per poter applicare concretamente il principio di partenariato, è necessario adottare un approccio «dal basso» nel processo decisionale, tenendo debitamente conto dei punti di vista della società civile prima che i contratti siano firmati dalla Commissione e dagli Stati membri.

12.4

La Commissione ha proposto un codice di condotta per l'elaborazione dei contratti di partenariato: si tratta di un documento valido che fornisce indicazioni utili agli Stati membri per il coinvolgimento della società civile. Il CESE non capisce perché il Consiglio abbia respinto questo codice di condotta e lo invita a ripristinarlo.

12.5

Se spetta agli Stati membri adeguare i loro processi per il coinvolgimento della società civile, è invece dovere della Commissione assicurare che tutti gli attori interessati siano coinvolti in modo attivo e significativo. Il CESE è tuttavia dell'avviso che attualmente la Commissione non disponga degli strumenti e dei meccanismi di monitoraggio necessari per farlo. L'incapacità, da parte degli Stati membri, di coinvolgere la società civile in modo significativo dovrebbe portare alla «non conclusione» del contratto di partenariato. Inoltre, il concetto di partenariato dovrebbe essere esteso oltre la fase della programmazione e applicato anche nelle fasi dell'attuazione, del monitoraggio e della valutazione.

12.6

Il CESE sottolinea la necessità di fornire alla società civile un'informazione completa sul «nuovo approccio» adottato dalla Commissione per i fondi del QSC e i contratti di partenariato. Il processo e le modalità di coinvolgimento della società civile in tutte le fasi di elaborazione e attuazione del contratto di partenariato devono essere spiegati tramite un processo di comunicazione chiara ed efficace in modo da garantire una partecipazione effettiva della società civile al processo di partenariato.

12.7

I contratti di partenariato per la strategia Europa 2020 non dovrebbero essere incentrati sulle raccomandazioni specifiche per paese. Dovrebbero invece essere basati su diversi elementi, come i programmi nazionali di riforma, che sono concepiti in base alla situazione specifica dei singoli Stati membri, mentre le raccomandazioni specifiche non necessariamente lo sono. Dovrebbero inoltre essere incentrati sulle strategie nazionali per la riduzione della povertà, la parità tra i sessi, la disabilità e lo sviluppo sostenibile.

13.   L'aspetto territoriale del QSC

13.1

Il QSC deve riconoscere espressamente le specificità territoriali - principalmente collegate alle dimensioni e al profilo delle strutture economiche, sociali e territoriali – che incidono sull'attuazione dei fondi del QSC. Si tratta di un aspetto importante del QSC in quanto grazie ad esso gli Stati membri potranno assicurare che il partenariato sia concepito per soddisfare le loro esigenze specifiche di sviluppo e quindi per i loro territori.

13.2

Per garantire l'impegno nei confronti della strategia Europa 2020, è necessaria una maggiore flessibilità, che consenta agli Stati membri e alle regioni di rispondere nel modo più efficace ed efficiente agli obiettivi comuni che vengono definiti, rispettando al tempo stesso la diversità e le specificità territoriali, economiche e sociali.

13.3

Il QSC dovrebbe quindi fornire ulteriori indicazioni su come affrontare le sfide e le specifiche esigenze territoriali nel contratto di partenariato. Ciò vale in particolare per i territori di cui all'articolo 174 del TFUE.

13.4

Il CESE raccomanda di tenere in maggior conto le disparità territoriali nel criterio di assegnazione utilizzato per i fondi del QSC.

Bruxelles, 12 dicembre 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  La società civile organizzata è quella parte della società civile che trova espressione in organizzazioni che sono esse stesse componenti fondamentali della società. In altri termini, la società civile organizzata comprende tutte le organizzazioni non statali create su iniziativa privata e i loro membri, che sono attivamente impegnati nella definizione della politica pubblica in base alle loro preoccupazioni e in virtù delle loro specifiche conoscenze, abilità e campo d'azione. Secondo questa definizione rientra nella società civile organizzata una vasta gamma di organizzazioni: federazioni dei datori di lavoro, sindacati, associazioni create per promuovere questioni di interesse generale nonché le cosiddette organizzazioni non governative (ONG).

(2)  Il primo e il secondo tema sono ripresi dal parere del CESE Fondi strutturali - disposizioni generali, GU C 191 del 29.6.2012, pag. 30.

(3)  GU C 191 del 29.6.2012, pag. 44.

(4)  GU C 191 del 29.6.2012, pag. 38.

(5)  Ad esempio, la creazione di zone industriali.

(6)  Si veda ad es. il parere del CESE sul Fondo europeo di sviluppo regionale, GU C 191 del 29.6.2012, pag. 44.

(7)  GU C 143 del 22.5.2012, pag. 82.

(8)  COM(2011) 627 final del 19 ottobre 2011.

(9)  GU C 191 del 29.6.2012, pag. 116.

(10)  COM(2011) 804 final - 2011/0380 (COD).

(11)  Secondo l'Unione europea dell'artigianato e delle piccole e medie imprese (UEAPME), soltanto il 2-3 % delle PMI beneficia dei finanziamenti UE, che rappresentano soltanto l'1-2 % del totale dei finanziamenti a disposizione delle PMI.


15.2.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/83


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni «Relazione sulla politica di concorrenza 2011»

COM(2012) 253 final

2013/C 44/14

Relatore: PALMGREN

La Commissione europea, in data 30 maggio 2012, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Relazione sulla politica di concorrenza 2011

COM(2012) 253 final.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 dicembre 2012.

Alla sua 485a sessione plenaria, dei giorni 12 e 13 dicembre 2012 (seduta del 12 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere all'unanimità.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) elabora ogni anno una valutazione della relazione della Commissione sulla politica di concorrenza, e coglie l'occasione per avanzare una serie di osservazioni e suggerimenti. Il CESE apprezza la struttura nuova e funzionale della relazione, struttura che lo stesso Comitato, in precedenti pareri, aveva già proposto di adottare.

1.2

Si rammarica tuttavia che detta relazione non presti attenzione a una serie di materie sulle quali il CESE ha in passato lanciato un monito, e si limiti alle questioni tradizionali di cui si occupa la DG Concorrenza, rivelando in tal modo una visione stretta e limitata di quelli che sono gli aspetti principali della politica di concorrenza. I problemi che meritano attenzione vanno ben al di là dei soliti pilastri che la relazione annuale affronta, vale a dire il problema delle fusioni e delle concentrazioni, le posizioni di monopolio, gli aiuti di Stato e i meccanismi di promozione della concorrenza nell'ottica dei consumatori.

1.3

Un'importante priorità è quella di combattere lo squilibrio di concorrenza importato dai partner commerciali esterni che sfruttano il mancato rispetto di principi e diritti fondamentali in campo sociale e ambientale per conquistare quote di mercato nello spazio dell'UE.

1.4

Una rinazionalizzazione delle politiche per via della crisi e i possibili conflitti tra gli interessi degli Stati membri, nonché le misure protezionistiche dei governi, rappresentano una minaccia potenziale che può avere gravi conseguenze per il mercato unico e la politica di concorrenza. In particolare nell'attuale congiuntura economica occorre garantire il buon funzionamento dei mercati e fare in modo che il contesto economico crei le condizioni di una nuova crescita economica. La politica di concorrenza deve essere articolata e integrata con altre politiche, ad esempio la politica del commercio estero e la politica del mercato interno, costituendo un sistema coerente atto a difendere efficacemente gli interessi dei consumatori e dei produttori europei, nel contesto dell'economia sociale di mercato, e a conseguire risultati in termini di crescita economica e di occupazione. La politica di concorrenza, la politica commerciale, la politica industriale e la politica del mercato interno devono equilibrare gli interessi dei consumatori e delle imprese, garantendo sempre condizioni di mercato eque per tutti.

1.5

La politica di concorrenza dovrebbe riflettere la politica industriale integrata dell'UE, dal momento che si può garantire la crescita sostenibile e il benessere dei cittadini solo a condizione che l'UE abbia una base industriale forte, differenziata, competitiva e in grado di creare posti di lavoro.

1.6

La relazione di quest'anno è la 41a della serie, e passa in rassegna le tappe fondamentali dello sviluppo della politica di concorrenza e la loro importanza per gli obiettivi dell'Unione europea.

1.7

Il CESE concorda con la Commissione sul fatto che la difesa e il rispetto delle norme sulla concorrenza contribuiscono a obiettivi più ampi e di lunga durata, come il miglioramento del benessere dei consumatori, il sostegno alla crescita, l'occupazione e la competitività dell'UE, in conformità con la strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.

1.8

La cooperazione fra la Commissione e le autorità nazionali competenti in materia di concorrenza è della massima importanza, per quanto riguarda sia il monitoraggio degli aiuti di Stato sia l'impatto dell'introduzione di restrizioni della concorrenza e la credibilità dell'intero sistema in questo ambito. La cooperazione fra le autorità deve essere flessibile e prevedere una comunicazione attiva.

1.9

Il CESE invita la Commissione a cooperare attivamente con le autorità dei paesi terzi preposte alla concorrenza per difendere mercati aperti ed equi. Il Comitato apprezza la riflessione in corso sulla modernizzazione del regime degli aiuti di Stato. L'UE infatti deve adoperarsi per garantire condizioni di concorrenza quanto più possibile uniformi a livello mondiale, in modo che le imprese dell'Unione non siano poste in una situazione di svantaggio nella competizione con le loro concorrenti di altri paesi, che non devono seguire norme rigorose e conformarsi a rigide disposizioni e restrizioni (ad es. nel mercato dei prodotti alimentari o nei settori ad elevata intensità energetica) eppure continuano a mantenere il libero accesso al mercato dell'UE e a quello mondiale.

1.10

Il CESE ha ripetutamente richiamato l'attenzione sull'esigenza di migliorare gli strumenti di tutela giuridica dei consumatori. Nota pertanto con rammarico che nel 2011 non è stata adottata la proposta legislativa in materia di azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust.

1.11

È importante che l'azione antitrust della Commissione e le misure normative si integrino a vicenda con l'obiettivo di creare mercati finanziari sicuri, solidi ed efficienti, in particolare per l'Area unica dei pagamenti in euro (SEPA), nel settore dei dati dei servizi finanziari e in quello delle agenzie di rating del credito.

2.   Contenuto della relazione 2011

2.1

Il 2011 si è svolto all'insegna di una certa turbolenza. La crisi finanziaria si è trasformata in una crisi del debito pubblico in parte della zona euro, minacciando il settore bancario e la stabilità di bilancio di molti paesi europei, e ha avuto anche l'effetto di compromettere gravemente i flussi di credito verso l'economia reale.

2.2

La relazione della Commissione si articola in tre sezioni: La politica di concorrenza nell'attuale contesto economico, La politica di concorrenza in un contesto più generale e Il dialogo sulla concorrenza con le altre istituzioni, coi riflettori puntati in particolare sui servizi finanziari, il settore alimentare e quello dell'aviazione. La nuova struttura ha lo scopo di spiegare meglio in che modo la Commissione applica la politica della concorrenza e come tale politica contribuisce all'economia europea e ad aumentare il benessere dei cittadini dell'UE.

2.3

La nuova struttura della relazione della Commissione, che il CESE aveva proposto in precedenti pareri, funziona bene: la relazione è pertinente, concentrata sulle questioni fondamentali e sulle tendenze in atto e fornisce un quadro eccellente degli elementi principali che fanno parte della politica di concorrenza, con numerosi esempi di casi concreti. Si potrebbero aggiungere dati quantitativi che aiutino a valutare meglio l'importanza relativa delle diverse azioni e dei diversi problemi. La relazione è utilmente integrata da una grande quantità di informazioni aggiuntive, disponibili sulle pagine internet della direzione generale Concorrenza.

2.4

La comunicazione illustra come, nel 2011, la Commissione ha utilizzato la politica della concorrenza in quanto strumento per affrontare la crisi finanziaria e del debito e come, in generale, tale politica e le azioni adottate per applicarla durante l'anno hanno contribuito a realizzare gli obiettivi più ampi della strategia Europa 2020.

3.   La politica di concorrenza nell'attuale contesto economico

3.1   Osservazioni generali

3.1.1

In tempi come questi possono emergere richieste di difese protezionistiche che sono comprensibili date le numerose ingiustizie constatate dalla pubblica opinione, in particolare il fatto che l'Europa continua a non agire in tale contesto, come invece fanno alcuni dei suoi partner internazionali. Anche se la storia ci ricorda che la difesa e il rispetto delle regole di concorrenza non devono diminuire in un periodo di crisi economica, un comportamento ingenuo e unilaterale dell'Europa, che in questo settore importante osserva principi che altri non rispettano, provocherebbe un indebolimento del quadro di concorrenza e pregiudicherebbe ancor più il ritmo della crescita a medio e a lungo termine.

3.1.2

La politica di concorrenza può svolgere un ruolo importante in una strategia efficace per uscire dalla crisi e dar forma a un ambiente post crisi in grado di prevenire possibili distorsioni della concorrenza.

3.1.3

La crisi finanziaria ha avuto un effetto drammatico sull'economia reale, riducendo i prestiti alle famiglie e alle imprese, con gravi effetti a catena sugli investimenti e sull'occupazione. Numerosi Stati membri hanno dovuto introdurre misure di austerità e tagli alla spesa pubblica anziché continuare a investire in misure di rilancio dell'economia. La crisi ha finito per avere, ed ha ancora, un impatto su tutti i cittadini in quanto consumatori e lavoratori, nonché sulle imprese e sulle condizioni in cui operano. Una politica della concorrenza valida, efficace ed equilibrata ha un effetto significativo sul benessere di tutti gli strati della società.

3.2   Osservazioni specifiche

3.2.1

Dall'inizio della crisi, e fino al 31 dicembre 2011, si sono spesi 1 600 miliardi di euro in aiuti di Stato al fine di salvare e ristrutturare le banche europee. La Commissione ha adottato 39 decisioni in materia di ristrutturazione, con piani di cui ora sta controllando l'effettiva attuazione. Nonostante questi sforzi massicci, la crisi è progressivamente peggiorata.

3.2.2

Dal punto di vista di tutti i soggetti economici e sociali è importante garantire che i mercati continuino a funzionare in una situazione in cui gli Stati e i loro sistemi bancari (cioè le banche) stanno ricevendo aiuti ingenti. È anche nell'interesse di tutti i cittadini che il sostegno alle banche sia monitorato adeguatamente.

3.2.3

Il buon funzionamento dell'area unica dei pagamenti in euro (Single Euro Payment Area - SEPA) è strettamente legato al livello di sviluppo del sistema bancario nei vari paesi, che presenta differenze significative. In molti paesi, la sfida risiede nello sviluppare il sistema dei pagamenti in modo da poter sfruttare i vantaggi della SEPA. Per far questo, occorre che il sistema bancario sia tarato sulle esigenze dei clienti e sia disposto ad aiutare le imprese, in particolare quelle piccole, a prepararsi alla piena realizzazione dell'area. In molti paesi, come la Finlandia, l'introduzione della SEPA si è svolta senza quasi incontrare ostacoli. Un problema molto discusso è stata la moltiplicazione dei costi delle operazioni bancarie, dovuta al ritiro delle carte che funzionavano soltanto come bancomat.

3.2.4

Un argomento sollevato dalla Commissione è la standardizzazione dei pagamenti elettronici: i servizi di pagamento elettronici offrono la possibilità di realizzare considerevoli economie di scala, col risultato che la concentrazione del mercato è connaturata a questo settore. Un sistema efficace di bonifici reca un evidente vantaggio all'intera economia, e per questo è importante che la Commissione presti attenzione ai servizi di pagamento elettronici in quanto settore economico: il principio di base dovrebbe essere creare condizioni eque per la concorrenza. Va osservato che sia il mercato dei bonifici che quello delle carte di credito e di debito è dominato da un numero ridotto di operatori.

3.2.5

I mercati finanziari forniscono servizi più efficienti quando sono trasparenti, aperti, concorrenziali e regolati in un modo da adempiere la funzione di finanziare l'economia reale. È proprio quel che la Commissione sta cercando di ottenere con le inchieste antitrust sul mercato degli strumenti derivati negoziati fuori borsa (OTC) e sul settore dei servizi di pagamento, nonché sulla diffusione di dati relativi alle operazioni e di informazioni finanziarie al mercato. La relazione potrebbe comprendere alcune cifre che indichino l'estensione del problema dei derivati OTC: ci sono motivi per pensare a una regolamentazione e una vigilanza più severe di questo mercato.

3.2.6

Inoltre, la stretta sulle regolamentazioni bancarie, adesso e nel prossimo futuro, non dovrebbe ridurre i prestiti, cosa che comprime gli investimenti delle imprese e rende più difficile accedere al capitale operativo.

3.2.7

Il CESE chiede alla Commissione di continuare a monitorare la situazione della concorrenza nel mercato delle agenzie di rating, dato il modo di operare di queste ultime e gli eventuali conflitti d'interessi con i loro clienti, che possono dare origine a distorsioni della concorrenza.

4.   La politica di concorrenza in un contesto più generale

4.1   Osservazioni generali

4.1.1

Una parte molto importante delle azioni della Commissione nel settore della politica di concorrenza è stata dedicata a valutare gli effetti della crisi sui mercati finanziari. Quanto fatto per l'applicazione delle norme in materia di concorrenza e la sensibilizzazione alla politica della concorrenza serve anche a realizzare obiettivi più ampi, come aumentare il benessere dei consumatori o sostenere la crescita, l'occupazione e la competitività nell'UE in linea con la strategia Europa 2020 per la crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.

4.1.2

La Commissione crede in teoria di operare per aumentare il benessere dei consumatori e per salvaguardare le pari opportunità tra gli operatori economici applicando la sua politica in materia di fusioni, che ricerca un equilibrio tra i benefici economici delle fusioni e altri parametri, come prezzo, scelta, qualità e innovazione. Quest'approccio si è rivelato abbastanza efficace nel settore delle telecomunicazioni e dovrebbe essere esteso al maggior numero possibile di settori. Bisogna tuttavia essere realisti e riconoscere che negli ultimi decenni sono nati gruppi sempre più grandi che hanno lasciato sempre meno spazio alle PMI di vari settori e che hanno limitato in modo evidente la possibilità di nuovi operatori potenzialmente validi di entrare nel mercato. Questo naturalmente ostacola il dinamismo e l'innovazione e soprattutto la creatività che, da diversi punti di vista, arrecano generalmente dei vantaggi alla società.

4.1.3

Il Comitato sottolinea che la politica della concorrenza è strettamente legata ad altri settori d'intervento, in particolare alle misure volte a una migliore regolamentazione, alla politica industriale e alla politica per le PMI. Le norme che tengono conto delle esigenze delle piccole imprese e delle condizioni in cui operano sono una garanzia di mercati funzionanti.

4.1.4

Quest'anno, la pubblicazione da parte della Commissione di orientamenti operativi per la valutazione dell'impatto sulla competitività settoriale all'interno del sistema di valutazione d'impatto dell'istituzione ha rappresentato un passo positivo. Questo nuovo strumento merita di essere accolto con favore, non da ultimo dal punto di vista della politica di concorrenza.

4.1.5

Il CESE richiama l'attenzione sull'importanza dell'attività della Commissione nella cooperazione con le autorità dei paesi terzi preposte alla concorrenza. Tale cooperazione costituisce un presupposto fondamentale per l'attuazione efficace della politica di concorrenza, che garantisce anche condizioni di concorrenza quanto più possibile uniformi a livello mondiale.

4.1.6

Il CESE chiede alla Commissione di continuare a migliorare la normativa sulla compensazione degli obblighi di servizio pubblico per i servizi che soddisfano bisogni sociali, come già si fa con l'assistenza sanitaria e l'assistenza di lunga durata, gli asili nido, l'accesso e il reinserimento nel mercato del lavoro, l'edilizia popolare, nonché l'assistenza e l'integrazione sociale a favore delle categorie vulnerabili.

4.1.7

Il CESE raccomanda di includere nella politica di concorrenza il coordinamento con le altre DG la cui azione incide considerevolmente sulla situazione della concorrenza a livello UE. Ciò contribuirà a modernizzare in modo realistico l'OMC. Sono necessari meccanismi per tener conto delle diverse realtà, rispetto delle norme sociali, ambientali, regole sulla sicurezza dei prodotti ecc., un'azione volta a combattere efficacemente (e non solo in teoria) l'abuso di posizione dominante delle grandi catene di distribuzione che stanno progressivamente distruggendo i loro concorrenti più piccoli e i loro fornitori di dimensioni minori, l'introduzione di meccanismi di controllo degli atti di negoziazione, che spesso altro non sono che atti d'imposizione, creazione di meccanismi per smantellare (e penalizzare) gli abusi di posizione dominante, in qualsiasi settore si verifichino, e definizione di strumenti per rimediare agli squilibri di concorrenza che esistono tra gli operatori con sede nei grandi centri di consumo e quelli che svolgono la loro attività in periferia, i cui costi di contesto non devono essere ignorati.

4.2   Osservazioni specifiche

4.2.1

Il CESE si augura che il brevetto unico europeo possa essere applicato, e confida che le iniziative della Commissione abbattano i costi delle operazioni, in particolare per quanto riguarda i brevetti (1). Il brevetto europeo è destinato a sostituire il sistema attuale, in cui i brevetti devono essere richiesti separatamente in ciascun paese dell'UE. Secondo i calcoli della Commissione, i costi relativi possono facilmente raggiungere 32 000 euro, mentre negli Stati Uniti equivalgono a soli 1 850 euro.

4.2.2

Il Comitato è convinto che il processo di standardizzazione europeo debba essere accelerato, semplificato, modernizzato e reso più inclusivo (2). Sarà necessario valutare in modo più regolare se il sistema di standardizzazione europeo sia in grado di adeguarsi in modo sufficiente al rapido mutare del contesto e di contribuire agli obiettivi strategici interni ed esterni dell'Europa, in particolare nel campo della politica industriale, dell'innovazione e dello sviluppo tecnologico.

4.2.3

Quella per i generi alimentari è una delle spese quotidiane dall'impatto più immediato per i consumatori, e per questo è molto importante che vi sia una reale concorrenza nel settore alimentare. È tuttavia utile ricordare che numerosi fattori, che esulano per lo più dal quadro della politica di concorrenza, possono incidere sui prezzi alimentari. Il primo di tali fattori è il rincaro delle materie prime.

4.2.4

Va inoltre notato che sussistono differenze di potere negoziale tra i vari soggetti che operano nella filiera alimentare, e tra questi i produttori primari e i piccoli operatori sono i più vulnerabili. Il CESE aspetta quindi con interesse i risultati del Forum di alto livello per un migliore funzionamento della filiera alimentare, istituito nel 2010.

4.2.4.1

Sarebbe inoltre utile che nel quadro dell'attuazione del diritto della concorrenza e della definizione del mercato pertinente venisse applicato un approccio più omogeneo a livello europeo, tenendo conto del mercato unico.

4.2.5

I produttori europei sono obbligati a conformarsi a norme molto rigorose, mentre concorrenti di altri continenti, che godono di libero accesso al mercato dell'UE, operano in un quadro normativo molto meno rigido. Ne risulta una sostanziale distorsione della concorrenza, perché il costo della produzione in paesi terzi è minore. Ciò vale anche per le imprese europee ad elevata intensità energetica, le quali devono conformarsi a normative ambientali rigorose ed a obiettivi di efficienza energetica che richiedono investimenti onerosi, mentre i loro concorrenti, che pure operano nello stesso mercato globale, non devono far fronte a costi dello stesso ordine. È quindi opportuno modernizzare il regime degli aiuti di Stato al fine di stabilire condizioni di parità a livello mondiale, coordinando questa riforma con le iniziative condotte dalla Commissione a livello di strumenti di politica commerciale (3).

4.2.6

Dotarsi di mercati competitivi è il modo migliore per avere aziende attrezzate per un successo di lungo periodo. Una forte politica della concorrenza è un elemento essenziale di una politica coerente ed integrata volta a promuovere la competitività dell'industria europea. Una delle sfide della concorrenza globale sta nel dover competere con paesi in cui il quadro legislativo è molto meno rigoroso e i costi, le condizioni di lavoro e la legislazione in materia di sicurezza sociale sono diversi dai nostri. Nel parere 1176/2011 (4), il CESE osserva che alcune forme di aiuti di Stato alla costruzione navale possono ritenersi giustificate e che, ad esempio, le tecnologie verdi dovrebbero essere inserite in questo quadro. Il CESE ritiene che l'attuale iniziativa in materia di aiuti di Stato costituisca un passo importante in direzione di un nuovo dinamismo nella politica industriale, in linea con la strategia Europa 2020. Per quanto riguarda la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, che è uno dei cinque obiettivi principali di questa strategia, il CESE sostiene gli orientamenti adottati dalla Commissione europea in materia di aiuti nazionali concessi alle industrie che consumano grandi quantità di energia, come ad esempio i produttori di acciaio, di alluminio, di prodotti chimici o di carta (5). Destinati a prevenire le rilocalizzazioni delle emissioni di carbonio, questi aiuti di Stato puntano a compensare, a partire dal 2013, l'incremento dei prezzi dell'energia elettrica derivante dall'applicazione del sistema per lo scambio di quote di emissioni (ETS-UE) e a favorire gli investimenti nelle centrali elettriche ad elevata efficienza.

4.2.7

Il settore dell'editoria sta attraversando un processo di modernizzazione, dovuto in particolare alla digitalizzazione. Si tratta di un settore fondamentale non solo per la fioritura della cultura europea, ma anche per l'innovazione. Attualmente, l'editoria sta passando al supporto digitale, il che avrà conseguenze significative: il catalogo dei libri elettronici (e-book) si sta ampliando, ed è quindi del tutto opportuno che la Commissione risponda ai tentativi di limitare la concorrenza e lo sviluppo in questo settore.

4.2.8

Vi è una domanda crescente di fonti energetiche sostenibili per rispettare i nuovi requisiti in materia di energia. Il CESE sostiene le proposte della Commissione finalizzate a modernizzare e sviluppare l'infrastruttura energetica dell'Europa in modo da rendere possibile un approvvigionamento sicuro, stabile e sostenibile per l'UE.

4.2.9

L'energia del futuro dovrà essere trasportata su lunghe distanze più frequentemente e in quantità maggiori di quanto non accada oggi, e gli Stati membri potranno sfruttare i vantaggi delle fonti di energia nazionali solo con infrastrutture energetiche transeuropee. Ciò vale per le fonti rinnovabili di energia come l'energia idroelettrica, quella eolica e quella solare, ma tali infrastrutture ottimizzerebbero anche l'uso dei combustibili fossili come petrolio, gas naturale e carbone (6).

4.2.10

Il CESE si esprime a favore di un quadro giuridico standardizzato dell'UE per l'intero settore dell'aviazione, che impedisca le pratiche di sovvenzionamento incontrollate e garantisca pari condizioni a tutti gli operatori del mercato, anche a livello locale (7). Il Comitato raccomanda di rendere possibili gli aiuti di Stato per investimenti nelle infrastrutture aeroportuali e gli aiuti all'apertura di nuove compagnie aeree solo in casi rigidamente definiti, e di limitare tali aiuti nel tempo e nell'intensità. Esso inoltre chiede una politica di lungo termine per quanto riguarda lo sviluppo degli aeroporti regionali, e ritiene che gli orientamenti per il settore dell'aviazione possano essere applicati con successo soltanto in presenza di chiare priorità politiche per lo sviluppo degli aeroporti regionali. La gestione degli aeroporti regionali è una grossa questione di politica imprenditoriale. Il CESE fa qui riferimento al parere relativo al cosiddetto pacchetto «Migliorare gli aeroporti», riguardante l'assegnazione di fasce orarie e i servizi di assistenza a terra negli aeroporti dell'Unione.

4.2.11

Il CESE ha già più volte richiamato l'attenzione sull'esigenza di migliorare in maniera credibile gli strumenti di tutela dei diritti dei consumatori in tale contesto. Per tale ragione nota con rammarico che la proposta legislativa in materia di azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust dell'UE non è stata adottata nel 2011 e non si prevede che possa essere adottata fino alla fine del 2012.

4.2.12

Il CESE esprime soddisfazione per il consolidamento del quadro istituzionale di applicazione del diritto in materia di concorrenza, grazie al quale un organo amministrativo come la Commissione adotta decisioni soggette a un controllo giurisdizionale completo per garantire una protezione adeguata dei diritti fondamentali delle persone interessate da tali decisioni.

5.   Il dialogo sulla concorrenza con le altre istituzioni

5.1

La Commissione ha pieni poteri per quel che concerne l'applicazione delle norme UE in materia di concorrenza, fatto salvo il controllo da parte dei tribunali europei, e allo stesso tempo il commissario per la Concorrenza e i suoi servizi partecipano a un continuo dialogo strutturato col Parlamento europeo sulle questioni relative al settore. Inoltre, la Commissione tiene informato il Comitato economico e sociale europeo circa le principali iniziative politiche, e partecipa alle riunioni del gruppo di studio e della sezione. Il CESE prende atto con soddisfazione del fatto che la cooperazione con il Comitato viene espressamente menzionata nella relazione.

Bruxelles, 12 dicembre 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU C 68 del 6.3.2012, pag. 28.

(2)  GU C 68 del 6.3.2012, pag. 35.

(3)  Modernizzazione degli aiuti di Stato dell'UE, GU C 11 del 15.1.2013, pag. 49.

(4)  GU C 318 del 29.10.2011, pag. 62.

(5)  Comunicazione della Commissione, Orientamenti relativi a determinati aiuti di Stato nell'ambito del sistema per lo scambio di quote di emissione dei gas a effetto serra dopo il 2012 (2012/C 158/04), GU C 158 del 5.6.2012.

(6)  GU C 143 del 22.5.2012, pag. 125.

(7)  GU C 299 del 4.10.2012, pag. 49.


15.2.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/88


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni «Una strategia europea per le tecnologie abilitanti — Un ponte verso la crescita e l’occupazione»

COM(2012) 341 final

2013/C 44/15

Relatore: MORGAN

La Commissione europea, in data 26 giugno 2012, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Una strategia europea per le tecnologie abilitanti — Un ponte verso la crescita e l'occupazione

COM(2012) 341 final.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 dicembre 2012.

Alla sua 485a sessione plenaria, dei giorni 12 e 13 dicembre 2012 (seduta del 12 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 102 voti favorevoli, 2 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

La comunicazione in esame è la seconda che la Commissione europea dedica alle tecnologie abilitanti (Key Enabling Techniques - KET). In merito alla prima (1), nel settembre 2010 il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ha adottato un parere (2) in cui, pur accogliendo con favore il fatto che l'UE prestasse una particolare attenzione alle KET, esprimeva gravi riserve riguardo all'efficacia delle proposte della Commissione, considerate le carenze percepite nel settore delle alte tecnologie nell'Unione europea.

1.2

Al punto 1.10 di tale parere il CESE formulava le seguenti raccomandazioni:

far fronte all'incapacità del mercato interno di incentivare le imprese e sviluppare una strategia industriale che consenta di colmare il grave deficit europeo in termini di società ad alta tecnologia;

riportare la produzione in Europa e aiutare le nuove imprese a crescere;

rendere più accessibili per le imprese i finanziamenti a favore delle tecnologie innovative;

creare incentivi finanziari che consentano di trasformare l'UE in un luogo vantaggioso per l'innovazione e le attività imprenditoriali nel settore delle KET;

avviare una riforma radicale della scuola e dell'università in modo da formare i talenti necessari;

promuovere la creazione, attorno alle università e ai centri di ricerca, di consorzi (cluster) di imprese innovative ad alta tecnologia;

riconoscere che il mondo ormai è cambiato e adottare politiche commerciali aggressive sul piano internazionale;

garantire che l'iniziativa sia onnicomprensiva e integri tutte le altre azioni correlate intraprese dalle varie DG della Commissione.

Nel presente parere il CESE ribadisce queste raccomandazioni.

1.3

Nella comunicazione in esame la Commissione propone che gli sforzi dell'UE a favore della R&S si risolvano in una strategia basata su tre pilastri, a sostegno non solo della R&S ma anche di linee pilota per sviluppare prototipi e sistemi avanzati di produzione per tradurre le tecnologie in prodotti. In tale contesto, il CESE formula due raccomandazioni. La prima è di evitare che, concentrandosi sui due nuovi pilastri di tale strategia, l'UE finisca per trascurare o ridurre il suo impegno a favore della R&S, quando proprio la ricerca, e in particolare quella di base, è il terreno di coltura necessario per far nascere le KET del futuro. La seconda è di integrare questo approccio, che sembra puntare sulla «spinta tecnologica» (spingere nuove tecnologie verso il mercato), con uno basato sulla «domanda del mercato» (da parte dei fabbricanti già affermati). Di conseguenza, il CESE vorrebbe che si attribuisse un maggiore rilievo allo sviluppo delle capacità delle imprese manifatturiere dell'UE.

1.4

Il CESE è, in linea di massima, favorevole al Piano d'azione delineato nella sezione 3 di questo parere. In ogni caso, date le disparità esistenti tra gli Stati membri, il CESE accoglierebbe con favore programmi d'azione strutturati in funzione delle capacità e delle possibilità di ciascuna regione.

1.5

Certi elementi del Piano d'azione richiederanno probabilmente un impulso più forte, e specialmente aiuti di Stato più moderni, capitale di rischio, negoziati a livello globale sui diritti di proprietà intellettuale, negoziati commerciali per il settore delle industrie ad alta tecnologia, nonché istruzione e formazione migliori a tutti i livelli, con una particolare attenzione per quelle rivolte ad ingegneri e scienziati.

1.6

Benché il Piano d'azione affronti il tema della gestione del progetto per le KET, le relative modalità non sono indicate con chiarezza, per cui il programma potrebbe non ricevere l'impulso necessario.

2.   Introduzione

2.1

La Commissione ha incaricato un gruppo ad alto livello (GAL) di esaminare le reazioni alla sua prima comunicazione e di elaborare una relazione (3) al riguardo, pubblicata poi nel giugno 2011. In seguito a ciò, la seconda comunicazione della Commissione definisce una «strategia europea per le tecnologie abilitanti».

2.2

Nella sua relazione, il GAL individua le principali difficoltà incontrate dall'Europa nel tradurre le idee in prodotti commerciabili, nell'attraversare cioè quella che viene riconosciuta a livello internazionale come la «valle della morte». Per attraversare questa valle, il gruppo di esperti raccomanda una strategia articolata in tre pilastri:

il pilastro della ricerca tecnologica, basato su strutture tecnologiche, sostenuto da organizzazioni di tecnologia e ricerca;

il pilastro dello sviluppo del prodotto, basato su linee pilota e progetti dimostrativi, sostenuto da consorzi industriali;

il pilastro della fabbricazione competitiva, basato su strutture di produzione competitive a livello globale, sostenuto dalle cosiddette «imprese ancora» (anchor companies).

2.3

La proposta è quella di sviluppare un'industria per la fabbricazione avanzata che generi una fonte di entrate derivanti dalle esportazioni, sostenere i produttori a valle di strumenti capaci di realizzare le tecnologie produttive più avanzate in Europa (macchine utensili, software, servizi, ecc.), e garantire lo sviluppo e il miglioramento dei sistemi di fabbricazione (tecnologia e processi) per costruire in Europa stabilimenti di produzione efficienti, moderni e ad alta tecnologia.

2.4

Le undici raccomandazioni formulate sono le seguenti:

rendere le KET una priorità tecnologica per l'Europa;

applicare a livello UE la definizione di ricerca e sviluppo (R&S) in base alla scala TRL (Technology Readiness Level);

sfruttare appieno la gamma delle definizioni pertinenti di R&S;

riorientare i programmi di finanziamento UE per le attività di R&S;

adottare un approccio strategico nei confronti dei programmi KET;

stabilire una serie di regole adeguate per l'attuazione dei programmi KET;

combinare i meccanismi di finanziamento;

stabilire disposizioni per gli aiuti di Stato in materia di KET;

elaborare una politica competitiva a livello globale in Europa in materia di proprietà intellettuale;

costruire, rafforzare e garantire le competenze in materia di KET;

istituire un osservatorio e un organismo consultivo europeo per le KET.

3.   Contenuto essenziale della comunicazione

3.1

«Sulla base delle attuali ricerche, delle analisi economiche delle tendenze del mercato e del loro contributo alla soluzione delle questioni sociali, la micro/nanoelettronica, la nanotecnologia, la fotonica, i materiali avanzati, la biotecnologia industriali e le tecnologie di produzione avanzate sono state identificate come le tecnologie abilitanti dell'UE».

3.2

Nella sezione della comunicazione dedicata all'«analisi della situazione», la Commissione formula le seguenti osservazioni:

l'UE è un leader mondiale nello sviluppo delle tecnologie abilitanti;

l'UE non mette a frutto la sua base di conoscenze;

la principale debolezza dell'UE risiede nella sua incapacità di tradurre la sua base di conoscenze in beni e servizi;

l'assenza di una produzione relativa alle tecnologie abilitanti è pregiudizievole per due ragioni: nel breve periodo andranno perse opportunità di crescita e di creazione di posti di lavoro, mentre nel lungo periodo si ridurrà anche la base di conoscenze.

3.3

La comunicazione ascrive tali fallimenti ai seguenti motivi:

mancanza di una definizione e di una concezione comuni delle tecnologie abilitanti;

insufficienza delle politiche dirette a sfruttare gli effetti sinergici delle tecnologie abilitanti e a ridurre i tempi necessari per la loro utilizzazione commerciale;

mancanza di progetti dimostrativi e proof of concept;

uso e coordinamento inefficaci delle risorse pubbliche;

scarsa disponibilità di fonti adeguate di capitale di rischio;

frammentazione del mercato interno dell'UE e differenze normative tra le regioni e tra gli Stati membri;

carenza di forza lavoro qualificata e di imprenditori.

3.4

La strategia proposta nella comunicazione mira a:

focalizzare le politiche dell'UE nel prossimo quadro finanziario pluriennale sulla ricerca e l'innovazione e la politica di coesione, e a far sì che le attività di prestito della BEI siano dirette in via prioritaria a favorire l'applicazione delle tecnologie abilitanti;

coordinare le attività UE e nazionali in modo da ottenere sinergie e complementarità tra tali attività e, quando necessario, la messa in comune di risorse;

predisporre semplici ed efficaci strutture dedicate di governance dentro e fuori la Commissione che permettano di attuare pienamente la strategia per le tecnologie abilitanti e di sfruttare le sinergie ai vari livelli;

mobilitare gli strumenti commerciali esistenti per garantire una concorrenza equa e condizioni di eguaglianza sul piano internazionale.

3.5

Il Piano d'azione della Commissione si può sintetizzare nei seguenti termini:

3.5.1

Adeguamento degli strumenti UE

Orizzonte 2020

Dotazione di 6,7 miliardi di euro

Riequilibrio verso linee pilota/progetti dimostrativi

Progetti trasversali

Criteri di selezione

Fondo europeo di sviluppo regionale

Specializzazione intelligente

Azioni specifiche

Ammodernamento delle norme in materia di aiuti di Stato

Accordo con la Banca europea per gli investimenti

Promozione delle competenze multidisciplinari necessarie

3.5.2

Coordinamento

Sinergie con le politiche di innovazione industriale

Memorandum d'intesa delle parti interessate del settore industriale

3.5.3

Governance

gruppo di coordinamento delle KET nell'ambito di Orizzonte 2020

gruppo esterno dedicato alle questioni relative alle KET (KET Issues Group)

3.5.4

Competenze – La Commissione:

nel quadro di Orizzonte 2020 proseguirà e rafforzerà le azioni per attrarre l'interesse dei giovani per le tecnologie abilitanti;

incoraggerà la creazione da parte dell'EIT di una CCI sulla produzione a valore aggiunto che integrerà imprese, ricerca e istruzione superiore in questo campo;

pubblicherà entro il 2012 una comunicazione sulle sfide in rapida evoluzione per l'offerta di competenze nell'UE;

svilupperà partenariati tra il mondo dell'istruzione e le imprese, come le alleanze della conoscenza per l'istruzione superiore, e

studierà i modi per aumentare l'offerta di forza lavoro qualificata nei settori delle tecnologie abilitanti, anche ricorrendo a persone altamente qualificate provenienti da paesi terzi.

3.5.5

Scambi commerciali

La Commissione si adopererà per creare un ambiente commerciale favorevole e condizioni eque di concorrenza sul piano mondiale. Intende per questo facilitare l'accesso al mercato e le opportunità di investimento, evitare le distorsioni del mercato internazionale, migliorare la tutela dei diritti di proprietà intellettuale, promuovere la reciprocità in particolare negli appalti pubblici, ridurre l'uso delle sovvenzioni e le barriere tariffarie e non tariffarie a livello mondiale e verificare il rispetto delle norme dell'UE e dell'OMC.

4.   L'industria manifatturiera europea ad alta tecnologia

4.1

La strategia sulle KET è intesa a promuovere la fabbricazione, da parte di imprese stabilite nell'UE, di prodotti ad alta tecnologia essenziali per la vita quotidiana dei cittadini dell'Unione e delle imprese europee, all'orizzonte 2020 ed oltre. Attualmente i prodotti ad alta tecnologia fabbricati da imprese stabilite in Europa non sono abbastanza competitivi sul mercato globale, anche se la R&S europea è considerata di livello mondiale. Il problema, qui, non si ravvisa tanto in un deficit di capacità e competenze da parte delle imprese manifatturiere europee ad alta tecnologia, quanto piuttosto in una carenza di trasmissione dalla R&D all'industria manifatturiera. La strategia della Commissione, infatti, consiste nello «spingere» la tecnologia verso le imprese manifatturiere. Il CESE, invece, ritiene che, per rendere davvero efficace tale trasmissione, occorrano imprese manifatturiere capaci di introdurre con successo tale tecnologia sul mercato; e, sempre secondo il CESE, in Europa non vi è un numero sufficiente di imprese in grado di competere sui mercati mondiali dei prodotti ad alta tecnologia.

4.2

Le tabelle che figurano in appresso sono tratte dall'edizione 2012 dell'analisi del Financial Times (FT) sulle 500 società più grandi del mondo («Global 500») e le 500 società più grandi di ciascuna delle regioni economiche principali («Regional 500»). L'analisi riportata qui è solo quella relativa ai settori manifatturieri ad alta tecnologia.

4.3

Le società quotate non esauriscono certo il panorama delle imprese interessate, ma il CESE reputa che esse rappresentino comunque un indicatore accurato della forza relativa delle principali regioni economiche del mondo per quanto concerne tali settori manifatturieri.

Nella tabella sottostante, che riguarda le «Global 500», è indicato il numero delle società censite in ciascuno dei settori manifatturieri ad alta tecnologia. La regione «Mercati emergenti» (ME) comprende, tra gli altri, i quattro paesi BRIC. Su questo piano, l'Europa è leader soltanto nel settore dell'ingegneria industriale; la tabella successiva, tuttavia, che riguarda le «Regional 500», offre un quadro più completo.

FT Global 500

Settore

Numero di società

 

 

Mondo

USA

Giappone

ME

EUR

 

Farmaceutico & biotecnologie

22

11

2

0

6

Novartis (4), Roche (4), GSK, Sanofi- Aventis, AstraZeneca, Novo Nordisk Shire

Impianti informatici (hardware)

16

10

1

2

3

ASML, Ericsson, Nokia

Software & servizi informatici

13

7

1

4

1

SAP

Automobilistico & ricambi

17

3

5

5

4

Daimler, VW, BMW, Continental

Chimico

18

7

1

4

5

Bayer, BASF, Air Liquide, Syngenta (4), Linde

Attrezzature sanitarie

13

10

0

0

3

Fresenius, Synthes (4), Essilor

Industria generale

12

5

1

5

1

Siemens

Ingegneria industriale

13

4

3

1

5

ABB (4), Volvo, Atlas Copco, MAN, Sandvik

Aerospaziale & difesa

7

5

0

0

2

Rolls Royce, EADS

Attrezzature & servizi petroliferi

11

7

0

0

2

Sarpem, Transocean (4)

Beni per il tempo libero

4

0

3

0

1

Philips Electrical

Elettronico & elettrico

4

1

1

1

1

Schneider Electric

4.4

La tabella successiva, infatti, indica, oltre al numero delle società, anche la capitalizzazione di mercato aggregata. Ciò rispecchia in modo più preciso la forza di ciascuna regione economica, mentre la capitalizzazione di mercato misura le dimensioni e il successo relativo di ciascun settore regionale.

4.5

L'Europa detiene una posizione di leadership mondiale nei settori della chimica e dell'ingegneria industriale, e una posizione forte nel settore farmaceutico e delle biotecnologie così come nel settore automobilistico. Gli Stati Uniti dominano il settore delle attrezzature sanitarie nonché quelli dell'hardware e del software, mentre sia il Giappone che i Mercati emergenti sono più forti dell'Europa nel settore dell'hardware.

4.6

Da questa analisi emerge chiaramente l'opportunità, per il programma sulle KET, di perseguire una strategia di rafforzamento dei settori in cui l'Europa è debole e di sfruttare quelli in cui essa gode di una relativa forza. Uno sforzo particolare andrebbe compiuto per i settori delle tecnologie mediche e delle attrezzature sanitarie.

FT Regional 500 – Settori manifatturieri tecnologici

Settore

Numero di Società (#) e Valore di mercato (miliardi di $)

 

USA

Giappone

ME

Europa

 

#

$

#

$

#

$

#

$

Farmaceutico & biotecnologie

21

948

27

176

8

48

15

708

Impianti informatici (hardware)

33

1,391

18

146

9

146

7

111

Software & servizi informatici

25

1,083

12

58

5

109

7

126

Automobilistico & ricambi

9

161

38

446

10

115

13

290

Chimico

16

286

32

133

16

262

22

384

Attrezzature sanitarie

29

495

5

20

1

4

10

114

Industria generale

7

409

8

36

9

87

5

125

Ingegneria industriale

13

247

34

217

15

143

21

275

Aerospaziale & difesa

12

269

0

0

1

5

9

115

Attrezzature & servizi petroliferi

16

324

0

0

1

10

2

119

Beni per il tempo libero

2

25

14

118

0

0

1

20

Elettronico & elettrico

10

125

27

153

7

77

6

61

Energia alternativa

0

0

0

0

1

4

0

0

5.   Il punto di vista del CESE

5.1

Dal 1957 ad oggi, nell'UE sono sorte soltanto tre imprese ad alta tecnologia attive a livello globale: ASML, Nokia e SAP. In questo settore, l'Unione europea è costantemente rimasta indietro. Questo, se paragonato ai successi ottenuti dalle imprese statunitensi nello stesso periodo e ai progressi compiuti in seguito dal Giappone, da Taiwan, dalla Corea del Sud e, più di recente, dalla Cina, potrebbe sembrare un fallimento complessivo del capitalismo e dell'imprenditorialità europei.

5.2

Mentre gli Stati Uniti praticano in molti settori una politica di capitalismo liberista, il suo complesso militar-industriale, collegato con le sue università leader a livello mondiale, ha creato un terreno estremamente fertile per le invenzioni e ha elaborato numerosissime idee che possono essere sfruttate commercialmente da una cultura d'impresa ampiamente diffusa e in un mercato di grandi dimensioni.

5.3

I governi dei paesi asiatici sostengono attivamente con aiuti e tutele statali le nuove imprese fino al loro consolidamento sul mercato. Questi paesi si sono rivelati tanto aperti agli investimenti esteri nell'alta tecnologia quanto capaci di attirarli, e le tecnologie ivi introdotte grazie agli investimenti esteri sono ormai state assorbite e vengono ora sfruttate.

5.4

La situazione in Europa è molto diversa, e la mancanza di omogeneità rappresenta qui un fattore di grande rilievo. Sotto quasi ogni aspetto, che si tratti di PIL pro capite, tassi di disoccupazione, infrastrutture aziendali, infrastrutture universitarie, rendimento scolastico, mercati dei capitali, flessibilità del mercato del lavoro, diffusione di Internet, ecc., esistono profonde differenze tra le sei sottoregioni dell'UE individuate dalla Banca mondiale, vale a dire l'UE-15 Nord (isole britanniche, paesi nordici), l'UE-15 centrale (i sei paesi fondatori, meno l'Italia, più l'Austria), l'UE-15 Sud (i 4 Stati mediterranei), l'UE-12 Nord (paesi baltici), l'UE-12 centrale (PL, CZ, HU, SI, SK) e l'UE-12 Sud (RO e BG).

5.5

Nel tentativo di creare capacità per KET di spessore mondiale, sarebbe opportuno adeguare le politiche e i programmi a ciascuno di quei sei gruppi di Stati membri, in modo da tener conto della qualità delle loro università e istituti di ricerca, delle competenze scientifiche e tecnologiche della loro forza lavoro, delle capacità e dei mercati della loro industria manifatturiera ecc. Questo consentirebbe di stabilire delle priorità verso cui orientare gli sforzi per le singole regioni, con le regioni meglio piazzate ad assumere il ruolo di capofila. Le politiche di coesione proposte nella comunicazione dovrebbero essere considerate alla luce di questo contesto.

5.6

La Commissione, coadiuvata da osservatori e agenzie, svolge la sua funzione regolatrice nell'UE per mezzo di strumenti normativi e di aiuti finanziari. Tale funzione può essere svolta efficacemente nei settori in cui un unico commissario europeo può assumersi la piena responsabilità di un'iniziativa; tuttavia, il progetto delle KET coinvolge le competenze di almeno sei commissari europei, e il CESE dubita che esso potrà avere successo senza una concentrazione di autorità e un sistema di governance più diretto.

5.7

Gran parte delle convinzioni tradizionali devono essere messe in discussione; e l'adozione di un approccio di tipo regionale ne è un esempio. Il Gruppo di alto livello e la Commissione riconoscono entrambi che, per quanto attiene ai progetti KET, i meccanismi relativi agli aiuti di Stato devono essere rivisti. Nella comunicazione in esame, la Commissione non pone sulle proposte relative ai diritti di proprietà intellettuale la stessa enfasi che caratterizza invece la relazione del GAL (5). Il CESE si compiace di quanto affermato nella comunicazione riguardo al commercio, ma ritiene che le politiche commerciali in vigore non abbiano tutelato sufficientemente gli interessi dell'UE. Questo è un altro settore che trarrebbe vantaggio da una nuova governance e da un perseguimento davvero deciso degli interessi UE.

5.8

Il CESE accoglie con soddisfazione il fatto che il GAL abbia spostato l'attenzione dal sostegno alle attività di R&S verso un approccio equilibrato a tre pilastri. In questo senso, il settimo programma quadro (7PQ) non sembra essere del tutto sufficiente. Inoltre, il CESE teme che nell'UE non vi siano abbastanza imprese dotate delle capacità, dei prodotti e della dimensione globale necessari per promuovere e commercializzare i risultati del pilastro R&S. L'intera proposta si basa sul presupposto che il secondo e il terzo pilastro consentano alle KET di affermarsi sul mercato. In realtà, ciò avviene molto più spesso grazie ad imprese manifatturiere ad alta tecnologia come Apple, BMW, Bayer, Rolls Royce o Airbus. L'UE deve elaborare, insieme agli Stati membri, una strategia volta a sostenere e sviluppare un maggior numero di imprese europee di livello mondiale che realizzino prodotti finali. Le imprese esistenti dovrebbero essere incentivate ad ampliare le loro linee di prodotti con nuovi manufatti ad elevata intensità di KET destinati ai mercati globali. La comunicazione afferma a più riprese che le KET possono generare crescita e occupazione. Il CESE sostiene al riguardo un punto di vista diverso, poiché sono le imprese che utilizzano le KET a creare crescita e occupazione. L'UE ha bisogno di più imprese con prodotti e mercati in grado di sfruttare tali tecnologie.

5.9

Quando non sono le imprese ormai consolidate e specializzate in prodotti finali a introdurre con successo le tecnologie abilitanti sui mercati, a farlo sono gli imprenditori, i quali, a loro volta, sono sostenuti in gran parte da venture capitalists o da imprese consolidate attirate dalle loro idee. IBM ha finanziato Microsoft e salvato Intel; Apple ha finanziato ARM Holdings, che adesso rivaleggia con Intel; Google e Facebook sono state oggetto di investimenti da parte di ricchi investitori dell'industria ad alta tecnologia; Google è stata poi sostenuta da venture capitalists e Facebook da Microsoft. Gli imprenditori nordeuropei responsabili di Skype e Angry Birds hanno ricevuto capitali di rischio da Londra e dalla California.

5.10

Il progetto KET rappresenta un microcosmo della sfida più ampia posta dalla creazione di benessere nell'UE. La formula degli Stati Uniti è orientata al mercato, quella dell'Asia ai provvedimenti statali; alcuni Stati membri dell'UE, come la Germania e i paesi nordici, perseguono politiche di successo, ma molti altri no. A livello di tutta l'UE, la presente comunicazione mette le limitate risorse dell'Unione a disposizione del programma KET; il CESE teme tuttavia che questo modello di creazione di ricchezza non si rivelerà abbastanza efficace per affrontare la concorrenza globale.

6.   Osservazioni specifiche

6.1

Il CESE teme che il «riequilibrio» verso il secondo e il terzo dei tre «pilastri» possa comportare un ridimensionamento della R&S nell'UE. Se così fosse, il CESE sarebbe contrario a tale riequilibrio. Per le innovazioni della prossima generazione, infatti, è necessaria una ricerca di base robusta: la tecnologia moderna si basa perlopiù proprio sui risultati inattesi della ricerca di base.

6.2

Dato che l'UE non dispone di un complesso militare/industriale delle dimensioni di quello statunitense (o cinese), è necessario stimolare e impegnare la scienza europea in altri modi. Ecco il valore di progetti come Galileo e ITER.

6.3

Il CESE si compiace del particolare rilievo accordato dal documento in esame all'istruzione e alle competenze. Tuttavia, osserva anche che nella comunicazione si mette in evidenzia il calo del numero dei laureati in discipline scientifiche e ingegneristiche nell'UE. Il deficit dell'Unione nelle scienze e nell'ingegneria, a tutti i livelli di istruzione, è il tallone d'Achille sia della competitività dell'UE in generale che del progetto sulle KET in particolare. Considerate la portata e l'urgenza del problema, i piani delineati nella comunicazione appaiono del tutto inadeguati.

6.4

Il CESE ha di recente adottato un parere in merito alla comunicazione sulla modernizzazione degli aiuti di Stato (6). Per quanto concerne le KET, valgono le preoccupazioni espresse ai punti 1.5.1 (definizione di «carenza del mercato»), 1.6.3 e 1.6.4 («parità di condizioni») di quel parere. Vi è il rischio che, nello sforzo di preservare la competizione nell'ambito del mercato interno, l'UE finisca per compromettere la sua competitività esterna.

6.5

Nella comunicazione in esame si osserva che, nell'ultimo decennio, nell'UE la disponibilità di capitale di rischio ha fatto registrare un netto calo, e si propone perciò di sostituire tale risorsa con i fondi UE. È una proposta lodevole, ma di per sé non è sufficiente: il CESE raccomanda che l'UE, in cooperazione con gli Stati membri, crei le precondizioni necessarie per favorire gli investimenti di capitale di rischio in Europa.

6.6

La Commissione ha informato il CESE delle proprie intenzioni riguardo al KET Issues Group, l'organo subentrato al gruppo di alto livello: «si propone che, oltre a rappresentanti per ciascuna delle sei KET (nanotecnologie, microelettronica, biotecnologia, fotonica, materiali avanzati e tecnologie di produzione avanzate), facciano parte del nuovo organo anche rappresentanti per le combinazioni di più KET (la maggior parte dei prodotti innovativi si basa su una tale combinazione), nonché un numero di rappresentanti dei settori industriali a valle (come quelli aeronautico, automobilistico, edile, energetico, alimentare, dei dispositivi medici, delle attrezzature e della progettazione, ecc.) maggiore che nel primo gruppo di alto livello (dato che il fine della strategia per le KET è rafforzare la produzione industriale dei prodotti basati su queste tecnologie)».

6.7

Il successo dell'Issues Group nell'aiutare più di 118 imprese di livello regionale del settore manifatturiero ad alta tecnologia a diventare imprese di livello mondiale, e – cosa più importante di tutte – nell'aiutare le prossime 118 a emergere a livello regionale, dipenderà in larga misura dalle imprese rappresentate e dalla loro influenza su questo più ampio (di gran lunga più ampio) organo consultivo.

Bruxelles, 12 dicembre 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  COM(2009) 0512 final.

(2)  GU C 48 del 15.2.2011, pag. 112.

(3)  http://ec.europa.eu/enterprise/sectors/ict/files/kets/hlg_report_final_en.pdf

(4)  Le società contrassegnate da un asterisco (*) non sono dell'Unione europea, ma svizzere

(5)  Il GAL raccomanda che l'UE adatti le disposizioni in materia di aiuti di Stato per agevolare le attività di ricerca, sviluppo e innovazione e gli investimenti su larga scala nelle KET, in particolare tramite l'introduzione di una clausola generale di allineamento nella normativa UE sugli aiuti di Stato, la revisione del meccanismo di riduzione in materia di aiuti agli investimenti di notevole entità, termini più lunghi per le notifiche, procedure più celeri e l'utilizzo di progetti di interesse europeo comune.

(6)  GU C 11 del 15.1.2013.


15.2.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/95


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla intermediazione assicurativa» (rifusione)

COM(2012) 360 final — 2012/0175 (COD)

2013/C 44/16

Relatrice: NYGREN

Il Parlamento europeo, in data 11 settembre 2012, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla intermediazione assicurativa (rifusione)

COM(2012) 360 final — 2012/0175 (COD).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 dicembre 2012.

Alla sua 485a sessione plenaria, dei giorni 12 e 13 dicembre 2012 (seduta del 13 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere all'unanimità.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con soddisfazione l'iniziativa della Commissione in merito alla rifusione della direttiva sull'intermediazione assicurativa, e in linea di massima ne approva le proposte, ritenendo adeguata la maggior parte di esse e fondati gli obiettivi perseguiti.

1.2

Tuttavia, alcuni aspetti della rifusione proposta non sono stati analizzati in misura sufficiente e richiedono quindi un ulteriore esame prima di poter essere attuati. In alcuni casi occorre definire con maggior precisione alcuni concetti affinché le disposizioni possano raggiungere l'effetto previsto.

1.3

Gli obblighi di informazione previsti dalla proposta sono in linea di massima adeguati e presentano vantaggi per i consumatori.

1.4

In base alla normativa proposta, l'intermediario assicurativo e l'impresa di assicurazione devono adottare le misure necessarie a individuare i conflitti di interesse che possono insorgere nel quadro dell'intermediazione di prodotti assicurativi, e informare il cliente al riguardo. Il CESE ritiene che si tratti di una disposizione importante, di cui condivide senz'altro l'obiettivo, ma anche che essa possa essere migliorata con le modifiche in appresso indicate.

1.5

Il CESE si compiace dell'introduzione di ulteriori requisiti specifici in materia di protezione dei clienti nel quadro dell'acquisto di prodotti d'investimento assicurativi. Spesso si tratta di risparmi pensionistici che presentano una notevole rilevanza finanziaria per il consumatore e riguardano un periodo di tempo piuttosto lungo. Tali prodotti sono spesso complessi, e finora è stato difficile per il consumatore esaminare e valutare in anticipo i vari contenuti e le diverse condizioni. Pertanto la protezione degli interessi dei consumatori riveste un'importanza molto maggiore in questa categoria di prodotti assicurativi, rispetto ai prodotti assicurativi semplici di minore rilievo economico.

2.   Sintesi del documento della Commissione

2.1

La direttiva sulla intermediazione assicurativa (IMD1) è l'unico atto legislativo dell'Unione che disciplina la commercializzazione dei prodotti assicurativi per garantire i diritti del consumatore. La direttiva è stata adottata nel 2002 e avrebbe dovuto essere recepita dagli Stati membri entro il gennaio 2005. La direttiva stabilisce alcuni principi generali al fine di garantire un'armonizzazione minima, per cui il suo recepimento negli ordinamenti interni è avvenuta in modo molto diverso da uno Stato membro all'altro. La necessità di rivedere l'IMD1 era già emersa nel corso delle verifiche sull'attuazione della direttiva svolte dalla Commissione nel periodo 2005-2008.

2.2

Le turbolenze finanziarie hanno evidenziato quanto sia importante garantire un'efficace tutela dei consumatori in tutti i settori finanziari. Nel 2010, il G20 ha chiesto all'OCSE e ad altre organizzazioni internazionali competenti di elaborare dei principi comuni in materia di prestazione di servizi finanziari al fine di rafforzare la tutela dei consumatori. L'attuale proposta di revisione dell'IMD1 dovrebbe essere considerata anche in tale contesto.

2.3

La direttiva rifusa in esame (IMD2) mira adesso a migliorare la regolamentazione del mercato assicurativo, garantendo condizioni paritarie tra tutti i soggetti che partecipano alla vendita di prodotti assicurativi e rafforzando la protezione degli assicurati.

2.3.1

Gli obiettivi globali dell'attuale riesame sono garantire una concorrenza leale, la tutela dei consumatori e l'integrazione dei mercati; individuare, gestire e attenuare i conflitti di interesse; garantire che le qualifiche professionali dei venditori siano commisurate alla complessità dei prodotti venduti; semplificare le procedure per l'accesso transfrontaliero ai mercati assicurativi in tutta l'UE.

2.3.2

La proposta in esame estende il campo d'azione della direttiva dalla semplice distribuzione per il tramite di intermediari assicurativi ad ogni forma di distribuzione dei diversi prodotti assicurativi.

2.3.3

Secondo la Commissione, la proposta costituisce, in generale, una direttiva di «armonizzazione minima» in base alla quale gli Stati membri dispongono di un ampio margine per rendere più stringenti gli obblighi al fine di rafforzare la tutela dei consumatori.

3.   Osservazioni del CESE in merito alla proposta di direttiva

3.1

Il CESE accoglie con soddisfazione l'iniziativa della Commissione in merito alla rifusione della direttiva sull'intermediazione assicurativa, e in linea di massima ne approva le proposte, ritenendo adeguata la maggior parte di esse e fondati gli obiettivi perseguiti. Il Comitato è inoltre favorevole alla proposta di procedere al riesame della direttiva cinque anni dopo la sua entrata in vigore. Tuttavia alcuni aspetti della rifusione proposta non sono stati analizzati in misura sufficiente e richiedono quindi un ulteriore esame prima di poter essere attuati.

3.2   Campo di applicazione e definizioni

3.2.1

L'articolo 1 della normativa proposta estende considerevolmente il campo di applicazione della direttiva rispetto alla legislazione in vigore. Nella proposta la definizione di «intermediazione assicurativa» viene estesa in modo da comprendere non solo gli intermediari autonomi ma anche i dipendenti di imprese di assicurazione. Tale estensione può costituire uno sviluppo positivo, poiché adesso l'intero mercato assicurativo è soggetto alle stesse regole. Anche le banche rientrano nel campo di applicazione della direttiva, nella misura in cui la gamma dei prodotti che esse offrono comprende anche prodotti assicurativi.

3.2.2

Secondo il CESE, è essenziale che le condizioni di vendita siano disciplinate indipendentemente dalla categoria professionale del settore assicurativo che la effettua. Per questo appare sorprendente che la normativa proposta menzioni specificamente la gestione professionale di sinistri o i servizi di accertamento del danno.

3.3   Requisiti professionali e organizzativi

3.3.1

Il CESE accoglie con grande favore il fatto che gli Stati membri debbano provvedere affinché gli intermediari assicurativi e i membri del personale delle imprese di assicurazione che svolgono attività di intermediazione assicurativa aggiornino continuamente le loro cognizioni e capacità. In tale contesto è importante sottolineare che spetta ai datori di lavoro garantire che i loro dipendenti abbiano accesso allo sviluppo professionale necessario per esercitare le loro funzioni in maniera efficace e soddisfacente.

3.3.2

A questo proposito il CESE sottolinea che sarebbe auspicabile che tutti gli intermediari assicurativi (tanto dipendenti che liberi professionisti) fossero tenuti per legge ad attestare di aver ricevuto una formazione idonea all'esercizio della loro professione.

3.3.3

Ai sensi dell'articolo 8, paragrafo 2, della direttiva rifusa, le persone che svolgono attività dirette di intermediazione assicurativa devono possedere un certificato penale immacolato in riferimento a illeciti penali connessi con reati contro il patrimonio o altri reati in relazione ad attività finanziarie. Secondo il CESE, le attività di controllo necessarie dovrebbero poter essere espletate dalle autorità nazionali competenti allo scopo di garantire la riservatezza ed evitare procedure complesse e costose. In questo contesto, potrebbe creare problemi il fatto che i criteri relativi all'iscrizione di un eventuale reato nel certificato penale variano da un paese all'altro, per cui tale disposizione potrebbe avere effetti diversi a seconda del paese in cui si applica.

3.4   Obblighi di informazione

3.4.1

In base alla normativa proposta, tutte le informazioni, comprese le comunicazioni di marketing, devono essere chiare e non fuorvianti. Dal materiale fornito deve risultare chiaramente se esso contiene comunicazioni di marketing oppure altre informazioni. Gli intermediari assicurativi devono inoltre informare il cliente della misura in cui si tratta di una consulenza in materia di prodotti assicurativi. Deve essere chiaro se l'intermediario agisce per conto di un'impresa di assicurazione oppure in maniera indipendente, e da chi viene remunerato. A giudizio del CESE, la proposta è in linea di massima adeguata e presenta vantaggi per i consumatori.

3.4.2

Può esservi il rischio che l'intermediario cerchi di sottrarsi alle sue responsabilità in materia di consulenza informando il cliente che la consulenza non è prevista. Le disposizioni proposte possono quindi dare adito a problemi interpretativi; se si vuol mantenerle, allora è necessario completarle con una regola in base alla quale, qualora si constatasse in seguito che l'intermediario ha effettivamente prestato consulenze in merito ai prodotti oggetto della mediazione, ciò non deve pregiudicare la possibilità del cliente di ottenere un risarcimento per il danno dovuto a una consulenza negligente.

3.4.3

Molti dei prodotti assicurativi più semplici vengono venduti senza servizi di consulenza, per esempio tramite Internet. L'articolo 18 della direttiva rifusa riguarda le vendite senza consulenza. Ai sensi del paragrafo 1, lettera b), di tale articolo, l'intermediario è tenuto a specificare, nei confronti del cliente, le ragioni su cui si fonda qualsiasi consulenza eventualmente fornita su uno specifico prodotto assicurativo, benché, come si è detto, l'articolo si applichi a situazioni in cui non sono previsti servizi di consulenza. Dato che la formulazione risulta contraddittoria, è necessario chiarire questo punto della proposta.

3.4.4

Per quanto riguarda le modalità delle informazioni ai consumatori, l'articolo 20 della direttiva rifusa stabilisce che qualsiasi informazione deve essere comunicata su supporto cartaceo. Il numero stesso delle deroghe dimostra che non si tratta più di una regola generale. Sarebbe per contro più opportuno imporre l'obbligo di fornire, su supporto cartaceo, le principali informazioni relative al prodotto che contengano anche indicazioni su dove trovare ulteriori informazioni relative al prodotto stesso.

3.5   Conflitti di interesse e trasparenza

3.5.1

In base alla normativa proposta, l'intermediario assicurativo e l'impresa di assicurazione devono adottare le misure necessarie ad individuare i conflitti di interesse che possono insorgere nel quadro dell'intermediazione di prodotti assicurativi, e informare il cliente al riguardo. Il CESE ritiene che si tratti di una disposizione importante, di cui condivide senz'altro l'obiettivo; ritiene tuttavia che essa possa essere migliorata con le modifiche in appresso indicate.

3.5.2

L'articolo 17, paragrafo 1, lettere da d) a g), detta una serie di disposizioni in merito alle informazioni da fornire al cliente riguardo alla natura del compenso ricevuto dall'intermediario in relazione al contratto di assicurazione. Il CESE approva il fatto di fornire informazioni in merito alle modalità con cui il compenso viene fissato, ma teme che informazioni eccessivamente particolareggiate in merito (cfr. in proposito la lettera f)) possano risultare fuorvianti per il cliente al momento di prendere una decisione definitiva. È importante che il cliente sia reso edotto dell'importo totale del prodotto, ma anche che sia informato della quota destinata all'intermediario assicurativo nonché dell'eventuale compenso che quest'ultimo riceverà dall'impresa di assicurazione.

3.5.3

L'articolo 17, paragrafo 4, impone l'obbligo di fornire informazioni sul compenso dell'intermediario per ciascuno dei pagamenti, qualora il cliente effettui dei pagamenti previsti dal contratto di assicurazione dopo averlo stipulato. Alla luce delle possibilità di pagamento automatiche che hanno ormai preso piede nel caso dei contratti di assicurazione a lungo termine (ad es. l'addebito permanente), la disposizione proposta appare eccessiva: è infatti sufficiente che il cliente riceva informazioni riguardo al compenso dell'intermediario una volta all'anno.

3.5.4

Il CESE approva la proposta formulata all'articolo 21 in merito alla vendita abbinata, ossia l'obbligo per l'intermediario assicurativo di informare il cliente della possibilità di acquistare separatamente i diversi componenti del pacchetto proposto.

3.5.5

L'introduzione del principio generale della parità di condizioni per i canali di distribuzione è molto importante al fine di garantire un'informazione equilibrata e la trasparenza senza rischi di distorsione della concorrenza.

3.6   Requisiti supplementari per la tutela dei consumatori in relazione ai prodotti di investimento assicurativi

3.6.1

Il CESE si compiace dell'introduzione di ulteriori requisiti specifici in materia di protezione dei clienti nel quadro dell'acquisto di prodotti di investimento assicurativi. Tra i prodotti assicurativi semplici e quelli con carattere di investimento esistono differenze considerevoli. Spesso, in quest'ultimo caso, si tratta di risparmi pensionistici, che presentano una notevole rilevanza finanziaria per il consumatore e riguardano un periodo di tempo piuttosto lungo. Tanto la fase di accumulazione quanto quella di liquidazione, infatti, possono estendersi su diversi decenni. Tali prodotti sono spesso complessi, e finora è stato difficile per il consumatore esaminare e valutare in anticipo i vari contenuti e le diverse condizioni. Pertanto la protezione degli interessi dei consumatori riveste un'importanza molto maggiore in questa categoria di prodotti assicurativi, rispetto ai prodotti assicurativi semplici di minore rilevanza economica.

3.6.2

Il CESE raccomanda di fornire una definizione più esatta dei prodotti in questione. A tale proposito, nell'articolo 2, paragrafo 4 della normativa proposta si rimanda al regolamento sui documenti contenenti le informazioni chiave per i prodotti di investimento. A giudizio del Comitato, tale definizione è troppo vaga, poiché nella normativa proposta vengono stabiliti requisiti più specifici in termini di protezione dei clienti in relazione a questi casi di intermediazione, ed è quindi importante definire in modo preciso e pertinente il campo di applicazione di tali disposizioni, in modo da conseguire nella pratica l'auspicata protezione dei clienti (1).

3.6.3

Quando l'intermediario informa il cliente che la consulenza sui prodotti assicurativi è fornita su base indipendente, allora, ai sensi dell'articolo 24, paragrafo 5, lettera b), non può accettare né ricevere onorari, commissioni o altri benefici monetari pagati o forniti da terzi. Il CESE accoglie con favore questa proposta, tenuto conto della particolare necessità di proteggere i consumatori in situazioni di questo tipo.

3.7   Risoluzione stragiudiziale delle controversie

3.7.1

A sensi dell'articolo 13, gli Stati membri garantiscono che siano istituite procedure adeguate, efficaci, imparziali e indipendenti per la risoluzione delle controversie da parte dei consumatori. A questo proposito il CESE sottolinea l'importanza che tali dispositivi prevedano effettive possibilità di controllo e che venga data l'opportunità di verificare le questioni relative alla prova nel quadro di un dibattimento orale, in modo da soddisfare i requisiti della direttiva. Inoltre il CESE sottolinea che va garantita, al tempo stesso, anche la possibilità di intentare un'azione legale dinanzi ad un'autorità giudiziaria, in modo che i consumatori non abbiano a disposizione soltanto la forma alternativa di risoluzione delle controversie.

3.8   Sanzioni

3.8.1

Ai sensi dell'articolo 26, gli Stati membri provvedono affinché le loro misure e sanzioni amministrative siano effettive, proporzionate e dissuasive. Il Comitato condivide questo obiettivo.

3.8.2

Al tempo stesso, tuttavia, l'articolo 28, paragrafo 2, lettera f) stabilisce che, nel caso di una persona fisica, possono essere comminate sanzioni amministrative pecuniarie fino a 5 000 000 EUR. Il CESE considera tale importo veramente eccessivo, anche se si tratta dell'importo massimo irrogabile a titolo di sanzione amministrativa. Si può dubitare della fondatezza di questa disposizione, in particolare perché riguarda una sanzione amministrativa e non un risarcimento di danni stabilito da un giudice a favore di un soggetto danneggiato.

3.9   Segnalazione di violazioni

3.9.1

L'articolo 30 stabilisce che occorre mettere in atto meccanismi efficaci per incoraggiare la segnalazione di violazioni. A questo proposito il CESE sottolinea che i dipendenti delle imprese di assicurazione devono avere la possibilità di segnalare eventuali violazioni delle norme alle autorità di controllo competenti senza incorrere in conseguenze sul piano del diritto del lavoro o di altro tipo. Questo aspetto è importante per la garantire la certezza giuridica, una concorrenza senza distorsioni e, naturalmente, la protezione dei consumatori. Le possibilità di segnalazione devono valere anche per il sospetto di violazione di una normativa in vigore. Non è sufficiente rinviare i dipendenti delle imprese assicurative e di intermediazione unicamente a procedure interne di segnalazione delle irregolarità.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

È estremamente importante definire che cosa siano i prodotti di investimento assicurativo, poiché per questi ultimi valgono normative più rigorose che per gli altri prodotti assicurativi. Pertanto la definizione contenuta nel relativo articolo – «un contratto di assicurazione che potrebbe anche essere classificato come »prodotto di investimento« […]» – appare formulata in modo inadeguato. In questo modo, infatti, si dà adito a interpretazioni divergenti su cosa possa essere un prodotto di investimento assicurativo.

4.2

Ad avviso del Comitato, non è chiara neppure la definizione di «consulenza». In svariati punti della normativa proposta vengono fatti dei tentativi di definire tale concetto. Per cominciare, all'articolo 2, paragrafo 9, la consulenza è definita come la fornitura di una raccomandazione personale a un cliente. Si tratta di una definizione molto ampia, e del resto non è affatto chiaro se sia possibile un'intermediazione di prodotti assicurativi senza consulenza.

4.2.1

Un ulteriore tentativo di definire il concetto di «consulenza» si riscontra in un altro punto della direttiva rifusa. Nel capo VI, infatti, l'articolo 17, paragrafo 1, lettera c) stabilisce che l'intermediario assicurativo è tenuto a informare il cliente del fatto che la consulenza viene fornita in base a un'analisi imparziale. All'articolo 18, paragrafo 3, vengono illustrate le caratteristiche di una consulenza basata su un'analisi imparziale, che deve essere fondata «sull'analisi di un numero sufficiente di contratti di assicurazione disponibili sul mercato, che […] consenta [all'intermediario assicurativo o all'impresa di assicurazione] di formulare una raccomandazione, secondo criteri professionali, in merito al contratto assicurativo idoneo a soddisfare le esigenze del consumatore».

4.2.2

L'articolo 24, paragrafi 3 e 5, presenta invece una formulazione ancora diversa. Si tratta, in questo caso, di una consulenza «fornita su base indipendente». La normativa proposta prevede che tale consulenza possa basarsi su «un'analisi del mercato ampia o più ristretta».

4.2.3

In sintesi, si può dunque affermare che nella proposta si tiene conto di svariate tipologie di intermediazione:

intermediazione senza consulenza, ad esempio nel caso di vendita via Internet;

intermediazione con consulenza fornita come una raccomandazione personale;

intermediazione con consulenza in base a un'analisi imparziale, con l'indicazione dei relativi requisiti;

intermediazione con consulenza fornita su base indipendente

basata su un'analisi del mercato ampia, oppure

su un'analisi più ristretta.

4.2.4

Anche una consulenza fornita su base indipendente deve, come indicato sopra, soddisfare determinati requisiti. Non è chiaro, tuttavia, se tali requisiti formali debbano essere soddisfatti tanto nel caso di un'analisi di mercato ampia quanto nel caso di un'analisi più ristretta.

4.3   Articolo 17

4.3.1

Il CESE concorda sul fatto che, per il consumatore, è importante essere informato in merito ai conflitti di interesse e che debba esservi una certa trasparenza riguardo alle forme di compenso. L'accento, tuttavia, dovrebbe essere posto non soltanto sulla trasparenza nelle questioni di compenso, ma anche sui sistemi di «gestione delle prestazioni», che sono alla base sia dei compensi variabili sia dell'andamento della retribuzione fissa. I conflitti di interesse possono verificarsi anche senza che vi siano forme di compenso variabile, ad esempio quando l'intermediario è tenuto a conseguire determinati obiettivi operativi. Spesso, in questi casi, si tratta di obiettivi relativi alla vendita di un determinato prodotto, ma anche di obiettivi di carattere indiretto. Essi rischiano di innescare dei conflitti di interesse tra gli obiettivi stabiliti dall'impresa di assicurazione e l'esigenza dei clienti di acquistare prodotti assicurativi adeguati.

Bruxelles, 13 dicembre 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Parere CESE 1841/2012, del 14 novembre 2012, in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai documenti contenenti le informazioni chiave per i prodotti d'investimento (non ancora pubblicato in GU).


15.2.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/99


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la sperimentazione clinica di medicinali per uso umano, e che abroga la direttiva 2001/20/CE

COM(2012) 369 final — 2012/0192 (COD)

2013/C 44/17

Relatrice: KÖSSLER

Il Consiglio, in data 7 settembre 2012, e il Parlamento europeo, in data 11 settembre 2012, hanno deciso, conformemente al disposto degli articoli 114 e 168, paragrafo 4 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la sperimentazione clinica di medicinali per uso umano, e che abroga la direttiva 2001/20/CE

COM(2012) 369 final — 2012/0192 (COD).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 dicembre 2012.

Alla sua 485a sessione plenaria, dei giorni 12 e 13 dicembre 2012 (seduta del 12 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 105 voti favorevoli, 1 voto contrario e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) riconosce che la ricerca clinica è un settore di attività scientifica essenziale e in costante evoluzione, il cui obiettivo è comprendere le malattie e mettere a punto trattamenti farmacologici per i pazienti.

1.2

Nel contesto del progresso scientifico in materia di ricerca clinica e dello sviluppo di terapie innovative, occorre tenere nella massima considerazione la tutela dei «soggetti» (come definiti dal regolamento) da rischi ed oneri sproporzionati. Inoltre, il benessere dei singoli soggetti deve avere la priorità su qualsiasi altro interesse.

1.3

Fino a quando sarà in vigore, il regolamento proposto sarà lo strumento normativo di riferimento per valutare le tecniche di sperimentazione innovative e in fase di sviluppo. Considerato il ritmo con cui la scienza e la tecnologia si evolvono, nonché l'impatto che tale evoluzione avrà sulla conduzione dei test e sulla sperimentazione dei prodotti nei test clinici, è opportuno prevedere l'obbligo di valutare periodicamente il regolamento al fine di modificarlo ove necessario.

1.4

Il CESE chiede che venga creata uno spazio unico di governance a livello UE per i test clinici, all'interno del quale i pazienti possano sottoporsi a diversi test clinici in diversi Stati membri indipendentemente dal loro paese di origine o residenza e in cui vengano osservati i principi etici, scientifici e tecnici universalmente validi in base ai quali gli stessi test clinici vengono valutati.

1.5

Il CESE accoglie favorevolmente e difende strenuamente l'attuazione e l'uso di un portale unico per i test clinici, siano essi multinazionali o di un solo paese, senza che vi sia la necessità di introdurre ulteriori dati in uno qualsiasi dei sistemi nazionali. Ciò è destinato a ridurre gli oneri amministrativi creati dall'attuale direttiva e a garantire l'armonizzazione delle condizioni di presentazione delle domande da parte delle autorità nazionali. Inoltre, il portale unico garantisce un processo più snello per quanto concerne il ciclo di vita dei test clinici, in quanto rende più facile coinvolgere in una sperimentazione ulteriori Stati membri.

1.6

Il CESE approva la procedura coordinata di valutazione, suddivisa in due parti, prevista dal regolamento. Essa darà luogo a un sistema chiaro e comprensibile, in base al quale non vi saranno doppie valutazioni da parte degli organi competenti e i pazienti avranno accesso ai test clinici nel più breve tempo possibile e più o meno allo stesso momento in tutti gli Stati membri interessati.

1.7

Il CESE chiede di includere espressamente nel regolamento la valutazione da parte dei comitati etici indipendenti (in linea con le disposizioni del punto 15 della Dichiarazione di Helsinki, del Capo II del regolamento proposto e della direttiva 2001/20/CE). La valutazione etica rappresenta una fase cruciale del processo di autorizzazione dei test clinici in quanto assicura il rispetto dei diritti dei pazienti. L'approvazione di un test clinico non dovrebbe essere concessa fino a quando un comitato etico indipendente non abbia espresso parere favorevole.

1.8

Il CESE chiede all'UE di sostenere e agevolare la cooperazione e lo scambio d'informazioni scientifiche tra gli Stati membri nell'ambito di una rete che colleghi i comitati etici designati dai diversi paesi. Il CESE riconosce il fatto che esiste già EurecNet, ma chiede di istituire, al suo posto, un organo ufficiale incentrato sul paziente. Il regolamento dovrebbe dettare disposizioni concernenti la rete dei comitati etici.

1.9

Il CESE condivide pienamente la distinzione, operata dal regolamento, delle sperimentazioni cliniche «a basso livello di intervento».

1.10

Il CESE accoglie favorevolmente l'intenzione di rafforzare le garanzie in materia di trattamento dei dati personali, a condizione che vi sia un giusto equilibrio tra i diritti delle persone e l'uso sicuro dei dati sui pazienti a scopo di ricerca sanitaria.

1.11

Il CESE approva la creazione del gruppo di coordinamento e consultivo per le sperimentazioni cliniche (CTAG) di cui all'articolo 81 del regolamento.

1.12

Se è vero che, il più delle volte, gli studi clinici vengono condotti per sperimentare farmaci, è altresì opportuno ricordare che, in alcuni casi, i test clinici – o gli studi di prestazione clinica – possono essere effettuati anche nel settore della strumentazione medica e della diagnosi in vitro, e infatti due recenti proposte della Commissione (regolamento relativo ai dispositivi medici (1) e regolamento relativo ai dispositivi medico-diagnostici in vitro (2)) dettano requisiti in materia di studi di prestazione clinica. In particolare nell'ambito della «medicina personalizzata», i test congiunti di un prodotto farmaceutico e di un dispositivo medico-diagnostico sono destinati a diventare sempre più numerosi. Bisognerebbe pertanto assicurarsi che i requisiti e le procedure di presentazione delle domande concernenti i prodotti farmaceutici e i dispositivi medici siano compatibili, e ridurre, nei limiti del possibile, il rischio di duplicazioni.

1.12.1

Il CESE prende atto che i dati presentati nell'ambito di una richiesta di autorizzazione all'immissione in commercio dovranno essere basati su test clinici che siano stati iscritti, prima di essere avviati, in un pubblico registro. Quest'ultimo deve essere un registro primario riconosciuto dalla Piattaforma internazionale dei registri delle sperimentazioni cliniche (International Clinical Trials Registry Platform) dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), oppure un registro approvato dal Comitato internazionale dei collaboratori delle riviste medico-scientifiche (ICMJE).

2.   Sintesi della proposta della Commissione

2.1

Negli ultimi anni, il numero delle domande di autorizzazione alle sperimentazioni cliniche nell'UE è diminuito in modo significativo (il 25 % in meno dal 2007 al 2011), mentre sono aumentati i costi da sostenere per condurre sperimentazioni cliniche e il tempo medio d'attesa per avviarle. La direttiva 2001/20/CE ha avuto, secondo la Commissione, numerose ripercussioni dirette sul costo e sulla fattibilità delle sperimentazioni cliniche, il che, a sua volta, ha portato a una diminuzione delle attività di sperimentazione clinica nell'UE.

2.2

Il regolamento proposto mira a rendere più rapide, facili ed economiche le sperimentazioni cliniche, grazie a norme armonizzate in materia di autorizzazione e conduzione di tali sperimentazioni. Questo permette di incrementare l'attrattività dell'UE come luogo di test clinici, di ridurre i costi della sperimentazione e di promuovere la salute pubblica.

2.3

Il testo normativo proposto assume la forma di un regolamento e sostituisce la direttiva 2001/20/CE. Solo la forma giuridica del regolamento garantisce che gli Stati membri basino la loro valutazione di una domanda di autorizzazione a una sperimentazione clinica su un testo identico, piuttosto che su misure di recepimento nazionali divergenti. Essa, inoltre, consente alle parti interessate di programmare e condurre le sperimentazioni cliniche, incluse quelle multinazionali, sulla base di un unico quadro regolamentare.

2.4

La proposta copre i seguenti aspetti principali: procedura di autorizzazione a una sperimentazione clinica, comunicazioni in materia di sicurezza, consenso informato, fabbricazione ed etichettatura del prodotto oggetto di sperimentazione, conduzione della sperimentazione, risarcimento dei danni, responsabilità (ricercatore, sponsor, co-sponsor), persona di contatto dell'UE e ispezioni.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE accoglie favorevolmente la revisione della normativa europea sui test clinici in quanto rappresenta per l'Europa l'opportunità di dimostrare che essa agisce come uno spazio unico coerente nel regolamentare e gestire la conduzione degli studi clinici e che costituisce per gli sponsor un luogo attraente dove condurre le loro ricerche cliniche e offrire ai pazienti la possibilità di sottoporsi alla sperimentazione.

3.2

Il CESE riconosce che i test clinici nell'UE sono in calo (in particolare la ricerca universitaria ha subito una drastica riduzione); un declino dovuto non solo alle carenze della normativa europea, ma anche ad una serie di fattori confondenti. Anche negli Stati Uniti il numero degli studi clinici è calato, e la crisi economica di questi ultimi anni potrebbe aver contributo al declino. Tuttavia, ciò non toglie che la normativa europea possa ora contribuire a ribaltare questa situazione.

3.3

Il CESE fa osservare che il regolamento proposto potrebbe rallentare il ritmo di tale declino, ma, se adottato nella sua versione attuale, non sarà in grado di arrestarlo o d'invertire la tendenza. Essa offre tuttavia un'opportunità per creare un ambiente più favorevole alla ricerca clinica nell'UE, il che potrebbe facilitare la definizione di un quadro più competitivo per la ricerca clinica globale.

3.4

Il CESE sottolinea che la ricerca scientifica avanza via via che aumenta la nostra conoscenza tecnica e scientifica. Per assicurarsi che il regolamento continui a sostenere la ricerca clinica in Europa, è necessario sottoporlo periodicamente a revisione – con piena facoltà di apportarvi le necessarie modifiche. È quanto si afferma anche nella comunicazione della commissione intitolata Una politica industriale integrata per l'era della globalizzazione Riconoscere il ruolo centrale di concorrenzialità e sostenibilità  (3), in cui si legge che le «valutazioni sistematiche della legislazione devono entrare a far parte integrante della regolamentazione intelligente».

3.4.1

Il CESE chiede di disporre che, una volta trascorso un periodo sufficiente ad acquisire una certa esperienza applicativa, si effettui una valutazione dell'applicazione del regolamento e si presenti una relazione in merito, prestando particolare attenzione ai diversi tipi di studi clinici autorizzati e al progresso scientifico e tecnologico.

3.4.2

Il CESE chiede di introdurre nel regolamento la seguente clausola di revisione: «Cinque anni dopo l'entrata in vigore del presente regolamento, e in seguito ogni cinque anni, la Commissione presenta al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sull'applicazione del presente regolamento in cui fornisce informazioni complete sui diversi tipi di sperimentazioni cliniche autorizzate ai sensi del regolamento stesso e definisce piani per le modifiche eventualmente necessarie».

3.4.3

Il CESE chiede alla Commissione di valutare, nella relazione, l'impatto del progresso scientifico e tecnologico sull'applicazione del regolamento.

3.5

Il CESE fa osservare che, a causa degli adempimenti amministrativi obbligatori, attualmente sproporzionati per le sperimentazioni cliniche a basso livello d'intervento, in Europa la ricerca clinica condotta dalle università è diminuita. Senonché, i test clinici a baso livello d'intervento, che vengono appunto effettuati principalmente dalle università, sono di fondamentale importanza per il progresso e lo sviluppo della pratica medica.

3.5.1

Il CESE approva la distinzione degli studi clinici a basso livello d'intervento prevista all'articolo 5, paragrafo 2, lettera d), del regolamento, in quanto riduce gli onerosi obblighi amministrativi che gravano sugli sponsor e ristabilisce in tal modo l'acceso del paziente a questo tipo di sperimentazione.

3.6

Per il CESE il regolamento deve garantire la creazione di uno spazio unico di governance europea dei test clinici, dando così ai pazienti la possibilità di informarsi in materia e di sottoporsi consecutivamente a diversi studi clinici in diversi Stati membri, indipendentemente dal loro paese di origine o residenza e nel rispetto dell'universalità dei principi etici, scientifici e tecnici in base ai quali gli studi clinici sono valutati. Tali principi sono stati sanciti dalla Conferenza internazionale sull'armonizzazione degli orientamenti per la corretta prassi clinica, e sono conformi ai principi stabiliti dalla Dichiarazione di Helsinki dell'Associazione medica mondiale (WMA) sui principi etici per la ricerca medica che coinvolge soggetti umani. Il CESE ritiene che il regolamento dovrebbe fare riferimento alla Dichiarazione di Helsinki non solo nei considerando ma anche all'articolo 9.

3.7

Il CESE ritiene che l'introduzione di uno spazio unico europeo senza frontiere per la conduzione di test clinici rappresenterebbe un cambiamento radicale in grado di rendere l'Europa una destinazione più attraente per gli studi clinici e di garantire ai pazienti europei l'accesso alle cure più innovative.

3.8

Per contribuire all'attuazione del calendario previsto nell'ambito del meccanismo di tacito accordo, il CESE sottolinea la necessità di specificare, nel testo del regolamento, che la sperimentazione può avere inizio alla data della notifica a meno che lo Stato membro non fornisca motivazioni per la mancata accettazione della stessa sperimentazione. Tuttavia, si deve constatare che i termini previsti dal regolamento proposto nell'ambito del meccanismo di tacito accordo sono chiaramente troppo brevi e andrebbero pertanto prorogati.

3.9

Il CESE riconosce la necessità di un sistema che aiuti i comitati etici a condividere le esperienze e le conoscenze e ad imparare gli uni dagli altri. La piattaforma di questa rete deve essere coordinata e finanziata a livello UE. Raccomanda inoltre di rendere obbligatorio il coinvolgimento dei pazienti, in quanto solo un'adeguata rappresentanza di questi ultimi farà sì che le decisioni adottate rispecchino i loro interessi e le loro realtà, nonché la loro partecipazione al processo di valutazione di cui all'articolo 9.

3.10

Il CESE raccomanda di incrementare la cooperazione tra i comitati etici al fine di aiutare gli Stati membri a raggiungere una maggiore efficienza, a conseguire più ampie economie di scala e ad evitare una duplicazione degli sforzi. Il regolamento dovrebbe facilitare la creazione di strutture durevoli che prevedano la partecipazione di tutte le autorità competenti degli Stati membri e che si basino sui progetti pilota esistenti e sulla consultazione di un'ampia gamma di soggetti interessati. Il regolamento dovrebbe pertanto fungere da base giuridica per il costante sostegno dell'UE a favore di detta cooperazione. Esso consentirebbe inoltre di rendere più efficace la valutazione degli aspetti elencati agli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1.

3.10.1

Il CESE riconosce che l'assicurazione sui test clinici comporta notevoli costi per gli sponsor e in pochi anni potrebbe portare ad un ulteriore aumento del costo dei medicinali. Tuttavia, il tentativo della Commissione europea di ridurre i costi dell'assicurazione sulla responsabilità civile per gli sponsor non dovrebbe portare a una diminuzione della sicurezza dei partecipanti in caso di sinistro, cosa che potrebbe avvenire qualora venisse soppresso l'obbligo di contrarre un'assicurazione. Il CESE si oppone all'abolizione generale dell'obbligo assicurativo, ma è d'accordo che in determinati casi chiaramente definiti possano essere autorizzate delle eccezioni.

3.10.2

Nel creare un meccanismo di compensazione è opportuno specificare maggiormente una serie di dettagli, precisando in particolare da chi e come detto meccanismo verrebbe finanziato. La definizione di meccanismi nazionali di compensazione comporta il rischio di coperture finanziarie diverse nei singoli Stati membri. Inoltre, sistemi assicurativi diversi di responsabilità civile sui medicinali e i prodotti, così come regole nazionali diverse sempre in materia di responsabilità civile, potrebbero portare a un eventuale deterioramento in caso di danno arrecato ai soggetti.

3.11

La semplificazione delle comunicazioni in materia di sicurezza, e in particolare la loro centralizzazione nell'ambito dell'Agenzia europea per i medicinali, rappresentano un importante risultato e dovrebbero consentire di ridurre l'inutile carico di lavoro amministrativo legato alla farmacovigilanza, aumentando al massimo la capacità dell'UE di individuare in tempo utile gli eventi pertinenti.

3.11.1

Il CESE raccomanda di non introdurre nel regolamento categorie specifiche di malattie o determinati tipi di prodotti farmaceutici. L'obiettivo del regolamento dovrebbe essere quello di garantire la sicurezza dei partecipanti e l'affidabilità dei dati prodotti. L'eventuale inserimento di malattie specifiche nel regolamento con una loro propria classificazione rischierebbe di risolversi in un eccesso di nuove classificazioni, ingenerando confusione per gli sponsor e per le autorità nazionali competenti. C'è il serio pericolo che un sistema di classificazione molto esteso sia in contraddizione con i due obiettivi del regolamento, che sono la semplificazione e l'armonizzazione.

3.12

Il CESE approva la creazione del gruppo di coordinamento e consultivo per le sperimentazioni cliniche (CTAG) in quanto passo fondamentale per assicurare una vera e propria armonizzazione della ricerca clinica in tutta Europa. Per assicurare che il gruppo funzioni nel modo più corretto possibile, le riunioni dovrebbero essere aperte solo alle parti elencate all'articolo 81. Occorre tuttavia fare in modo che le parti interessate ai sensi del regolamento all'esame abbiano la possibilità di rivolgere domande al gruppo o proporre argomenti nel dibattito in esso condotto. Questo permetterebbe di aumentare la trasparenza e di conseguire un equilibrio tra tutti i soggetti che partecipano alla sperimentazione clinica, pazienti inclusi.

3.12.1

Il CESE chiede pertanto di inserire il seguente testo all'articolo 81, paragrafo 5: «Su richiesta di un gruppo di soggetti interessati, la Commissione rivolge al CTAG una o più domande pertinenti ai sensi dell'articolo 81, paragrafo 2 affinché se ne discuta nell'ambito della prima riunione possibile, e, se necessario, convoca il CTAG a tale scopo. Qualora si rifiuti di rivolgere una domanda al CTAG o di convocare il CTAG come richiesto da un gruppo di soggetti interessati, la Commissione comunica il rifiuto ai richiedenti per iscritto specificandone i motivi. Nel caso in cui il CTAG avvii una discussione ai sensi della presente disposizione, la Commissione si assicura che il gruppo richiedente venga informato dell'esito della discussione stessa.»

3.13

Pur sostenendo l'obiettivo della Commissione di rafforzare le garanzie in materia di trattamento dei dati personali, il CESE sottolinea la necessità di trovare un giusto equilibrio tra i diritti delle singole persone e l'uso sicuro dei dati sui pazienti a scopo di ricerca sanitaria. In particolare, nel caso in cui i pazienti che si sottopongono a test clinici abbiano dato il loro ampio consenso informato all'uso dei campioni e dei dati a scopo di future ricerche, è necessario che vengano rispettati la buona prassi clinica e i principi etici per l'uso dei dati stessi.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Il CESE sostiene fermamente l'idea di una struttura unica di governance europea per la sperimentazione clinica che agevoli in modo significativo la conduzione della ricerca clinica nell'UE e che serva da parametro e da obiettivo per qualsiasi modifica o revisione del regolamento.

4.2

Il CESE chiede di inserire nel regolamento disposizioni concernenti la rete di comitati etici.

4.2.1

I membri di questa rete saranno designati dagli Stati membri, i quali comunicheranno alla Commissione i loro nomi e i loro recapiti. I membri parteciperanno e contribuiranno alle attività della rete. La rete si baserà sul principio della buona governance, che comprende la trasparenza, l'obiettività, l'indipendenza delle perizie effettuate, la correttezza delle procedure e un'adeguata consultazione dei soggetti interessati, con il coinvolgimento significativo dei pazienti in tutte le fasi.

4.2.2

Gli obiettivi della rete di comitati etici saranno i seguenti:

a)

sostenere la cooperazione tra i comitati o gli organi etici nazionali e locali al fine di snellire ed armonizzare le procedure di rilascio delle autorizzazioni di un comitato etico;

b)

promuovere l'analisi della natura e del tipo d'informazioni che possono essere scambiate;

c)

evitare doppie valutazioni;

d)

fare in modo che i pazienti che si sottopongono a test clinici nell'UE siano protetti conformemente agli stessi principi etici universali;

e)

promuovere l'armonizzazione paneuropea delle qualifiche e della formazione dei membri dei vari comitati etici.

4.2.3

Il CESE è favorevole a che tale rete di comitati venga finanziata a titolo del Programma di ricerca dell'UE. Possono avere diritto al sostegno UE solo quelle autorità e quegli organi della rete designati come beneficiari dagli Stati membri partecipanti.

4.3

Il CESE riconosce che i termini per la partecipazione di un nuovo Stato membro non sono competitivi né in linea con i termini previsti per la parte II della valutazione da parte degli Stati membri interessati, stabiliti all'articolo 7. Un nuovo Stato membro può contestare, in quanto parte interessata, le conclusioni dello Stato membro relatore contenute nella parte I soltanto per i seguenti motivi:

a)

notevoli disparità nella normale pratica clinica tra lo Stato membro interessato e lo Stato membro relatore, a causa delle quali un paziente riceve un trattamento deteriore rispetto alla normale pratica clinica;

b)

violazione delle legislazioni nazionali di cui all'articolo 86. In tal caso le valutazione dovrebbe poter essere formulata entro un termine più breve dei 10/20 giorni proposti, ad esempio entro dieci giorni. Inoltre, la possibilità di sospendere i termini onde ottenere ulteriori chiarimenti dovrebbe essere in linea con i termini previsti per la parte II della valutazione da parte degli Stati membri interessati, di cui agli articoli 7 e 14, paragrafo 8.

4.4

Per quanto concerne il processo di valutazione, il CESE raccomanda che tutti gli Stati membri valutino la richiesta di autorizzazione in base al soddisfacimento, oltre che delle condizioni di cui all'articolo 7, paragrafo 1, anche dei requisiti di protezione dei pazienti. Per evitare lungaggini nelle procedure di autorizzazione alla sperimentazione clinica, che ritarderebbero l'accesso dei pazienti agli studi clinici, il CESE propone la seguente modifica alla prima frase dell'articolo 7, paragrafo 2: «Ciascuno Stato membro interessato completa la propria valutazione, incluso il parere del comitato etico nazionale, entro dieci giorni dalla data di convalida conformemente all'articolo 6, paragrafo 4

4.5

Alla fine dell'articolo 8, paragrafo 6, il CESE propone di aggiungere la frase seguente: «Lo sponsor può dare inizio alla sperimentazione clinica alla data della notifica, a meno che lo Stato membro interessato non comunichi il proprio disaccordo in conformità al paragrafo 2.»

4.6

Al fine di garantire la sicurezza dei pazienti, il Comitato chiede di estendere con urgenza i termini temporali proposti nel regolamento. Occorre in particolare estendere i termini previsti all'articolo 5, paragrafo 2, da 6 a 14 giorni, all'articolo 5, paragrafo 4, terzo comma, da 3 a 7 giorni, all'articolo 6, paragrafo 4, da 10 a 25 giorni, da 25 a 35 e da 30 a 40 giorni, e all'articolo 17, paragrafo 2, da 4 a 10 giorni.

4.7

Gli standard di protezione di cui agli articoli 31 e 32 del regolamento proposto dovrebbero basarsi sulle norme della direttiva 2001/20/CE, o per lo meno prevedere per gli Stati membri l'opzione di non partecipazione (opt-out) per quanto concerne la tutela dei gruppi vulnerabili.

4.8

Per quanto concerne la documentazione relativa alla Conformità alle buone prassi di fabbricazione (GMP) per i medicinali in fase di sperimentazione (Allegato I, punto 6), il CESE sottolinea che la domanda dovrà essere accompagnata da una dichiarazione che attesti che tale documentazione è contenuta nel fascicolo e può essere oggetto di ispezione al fine di garantire costantemente la sicurezza dei pazienti.

Bruxelles, 12 dicembre 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  COM(2012) 542 final.

(2)  COM(2012) 541 final.

(3)  COM(2010) 614 final.


15.2.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/104


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla gestione collettiva dei diritti d’autore e dei diritti connessi e sulla concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali per l’uso online nel mercato interno

COM(2012) 372 final — 2012/0180 (COD)

2013/C 44/18

Relatore: LEMERCIER

Il Consiglio, in data 10 settembre 2012, e il Parlamento europeo, in data 11 settembre 2012, hanno deciso, conformemente al disposto degli articoli 50 e 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla gestione collettiva dei diritti d'autore e dei diritti connessi e sulla concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali per l'uso online nel mercato interno

COM(2012) 372 final — 2012/0180 (COD).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 dicembre 2012.

Alla sua 485a sessione plenaria, dei giorni 12 e 13 dicembre 2012 (seduta del 12 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 116 voti favorevoli, nessun voto contrario e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) approva e sostiene la proposta della Commissione di una direttiva relativa alla governance delle società di gestione collettiva dei diritti digitali e alla concessione di licenze multiterritoriali per le opere musicali nel mercato unico.

1.2

Ritiene, infatti, che l'ambito di applicazione sia stato ben scelto, in ragione dell'importanza della musica nei mercati dei contenuti culturali online, e che in questo modo si acquisiranno conoscenze su una modalità di gestione transfrontaliera dei diritti che possa servire da modello, o quanto meno da ispirazione, per la vendita online di qualsiasi contenuto multimediale e di libri.

1.3

Il CESE ha preso in considerazione lo studio d'impatto (1) così come le reazioni degli ambienti professionali e dei consumatori, e condivide il punto di vista secondo il quale è opportuno definire un quadro giuridico uniforme per le società di gestione e creare una sorta di passaporto europeo di licenza per la musica online.

1.4

Il Comitato richiama l'attenzione sull'esigenza di fornire un sostegno alle società di gestione collettiva in una fase transitoria, affinché tali società si adattino a questa forma di distribuzione transfrontaliera che pone loro una serie di problemi tecnici e organizzativi di cui il CESE è consapevole.

1.5

Il CESE approva la base giuridica proposta (articoli da 50 a 54 del TFUE), relativa alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione di servizi nel mercato interno. Per quanto riguarda l'applicazione della direttiva sui servizi, si dovrebbe riflettere sul fatto che le società di gestione collettiva non hanno fini di lucro e presentano peculiarità proprie che le differenziano dalle imprese.

1.6

I creatori si trovano spesso in una situazione di grande precarietà, dal momento che il loro successo è aleatorio e i loro redditi irregolari. Le società di gestione collettiva possono aiutarli a realizzare azioni culturali fornendo un sostegno ai repertori più fragili e agli artisti a inizio carriera. Basate sul principio di solidarietà, le società di gestione collettiva recano assistenza agli autori in difficoltà e aiutano a promuovere nuovi talenti. Di fatto, le società di gestione collettiva contribuiscono in misura significativa allo sviluppo dell'ambiente culturale europeo e dell'economia della cultura.

2.   La proposta della Commissione

2.1

Secondo la Commissione, l'acquis dell'UE in vigore in materia di diritto d'autore si limita alla definizione del diritto d'autore e dei diritti connessi, alle limitazioni ed eccezioni e alle relative disposizioni.

2.2

Pochissime disposizioni della direttiva «diritto d'autore» e degli atti correlati (2) trattano della gestione collettiva dei diritti, e nessuna stabilisce un quadro di riferimento per il funzionamento delle società di gestione collettiva. Le norme imperative relative alla governance di tali società e alla trasparenza che già esistono e che continuano a essere sviluppate nascono dalla giurisprudenza della Corte di giustizia e dalle decisioni della Commissione.

2.3

Tuttavia, nella pratica, le normative differiscono da uno Stato membro all'altro. Anche le regole relative alle società di gestione sono eterogenee, ma sono soprattutto le modalità e le prassi di controllo dell'utilizzo dei fondi raccolti e della ripartizione a favore degli aventi diritto a variare notevolmente e a essere spesso carenti dal punto di vista della trasparenza. In alcuni paesi sono state riscontrate persino delle pratiche che rasentano l'abuso dei beni sociali.

2.4

Lo scopo della proposta è «istituire una normativa adeguata per la gestione collettiva dei diritti svolta da società di gestione collettiva per conto dei titolari dei diritti. A tal fine, essa propone:

norme che garantiscono una migliore governance e maggiore trasparenza di tutte le società di gestione collettiva, e

incoraggia e agevola la concessione di licenze multiterritoriali per i diritti d'autore su opere musicali da parte delle società di gestione collettiva che rappresentano gli autori».

2.5

Solo un atto giuridico appropriato (in questo caso una direttiva) a livello europeo può consentire di raggiungere gli obiettivi fissati, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità.

2.6

Il CESE approva gli obiettivi della proposta e le altre disposizioni giuridiche previste per raggiungerli. È altresì favorevole alla base giuridica scelta per la direttiva, ovvero gli articoli 50 e da 51 a 54 del TFUE, e apprezza il fatto che la proposta non abbia alcuna incidenza sul bilancio.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE si è già pronunciato (3) sulle norme essenziali che dovrebbero essere adottate in forma vincolante in materia di gestione collettiva dei diritti e di funzionamento delle società di gestione, al fine di garantire una ripartizione equa dei fondi raccolti a favore degli autori e degli altri aventi diritto, nonché un funzionamento trasparente della gestione, sotto il controllo dei membri delle società di gestione e di un'autorità amministrativa o giudiziaria indipendente di revisione contabile, la quale dovrebbe pubblicare una relazione periodica sull'attività di ogni società di gestione, come già avviene in vari Stati membri.

3.2

Lo spirito del progetto di direttiva dovrebbe essere conforme a quello della direttiva «diritto d'autore», secondo la quale qualunque armonizzazione del diritto d'autore e dei diritti correlati deve basarsi su un livello di tutela elevato. La tutela di tali diritti contribuisce, infatti, a mantenere e a sviluppare la creatività, nell'interesse degli autori, degli interpreti o esecutori, dei produttori, delle imprese e del pubblico in generale.

3.3

La scelta del mercato della musica per una proposta legislativa si può spiegare con l'importanza relativa della musica nel mercato europeo rispetto ad altre offerte culturali, oltre che con motivi tecnici, dato che la musica non esige un adattamento linguistico dell'offerta.

3.4

Sarebbe forse stato preferibile presentare due progetti di direttiva, una di portata generale sulle società di gestione collettiva e l'altra relativa alle licenze multiterritoriali per la distribuzione di musica online.

3.5

Ciononostante, il CESE è disponibile ad accettare una direttiva unica, tenuto conto del ruolo fondamentale delle società di gestione collettiva nella diffusione della musica: sono proprio queste società, infatti, che si trovano nella posizione migliore per gestire le licenze, raccogliere i compensi per i titolari dei diritti e incaricarsi della loro distribuzione. Tuttavia, nello scegliere liberamente di affidare la gestione dei propri diritti a una società di gestione collettiva, i titolari devono conservare la possibilità di controllarne l'utilizzo e di verificare che la gestione finanziaria sia trasparente ed equa.

3.6

Il CESE ritiene che norme facoltative, come quelle auspicate dalle società di gestione, siano insufficienti a garantire agli autori e agli aventi diritto le regole di gestione aperte, chiare e uniformi alle quali aspirano. Le regole di soft law contribuirebbero, in pratica, a mantenere una diversità e un ruolo eccessivi delle regole territoriali che dominano e frammentano il mercato europeo della diffusione di contenuti culturali online.

3.7

Il CESE è del parere che la direttiva sia l'atto adeguato, in quanto unifica il diritto consentendo nel contempo agli Stati membri di procedere ad adeguamenti nell'applicazione, per tenere conto delle circostanze e delle particolarità nazionali.

3.8

Per quanto attiene alle società di gestione, il CESE è completamente d'accordo con l'affermazione secondo cui «indipendentemente dal settore, la gestione collettiva dei diritti fornita ai membri e agli utilizzatori deve diventare più efficace, accurata, trasparente e responsabile». Tali requisiti s'iscrivono con la massima naturalezza nel contesto dell'Agenda digitale per l'Europa e della strategia Europa 2020 «per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva», nonché delle comunicazioni della Commissione Un mercato unico dei diritti di proprietà intellettuale e Un quadro coerente per rafforzare la fiducia nel mercato unico digitale del commercio elettronico e dei servizi on-line, nonché del seguito del Libro verde sulla distribuzione online di opere audiovisive nell'Unione europea.

3.9

«La raccomandazione 2005/737/CE della Commissione sulla gestione transfrontaliera collettiva dei diritti d'autore e dei diritti connessi nel campo dei servizi musicali online autorizzati ha invitato gli Stati membri a promuovere un contesto normativo adatto alla gestione dei diritti d'autore e dei diritti connessi per la prestazione di servizi musicali online autorizzati e a migliorare gli standard in materia di governance e trasparenza delle società di gestione collettiva».

3.10

Tuttavia, le raccomandazioni non costituiscono norme imperative: la proposta di direttiva viene a colmare tale lacuna.

3.11

Inoltre, «la presente proposta integra la direttiva 2006/123/CE, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, che mira a creare un quadro giuridico per assicurare la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi tra gli Stati membri. Le società di gestione collettiva sono soggette alle disposizioni della direttiva 2006/123/CE in qualità di fornitori di servizi di gestione collettiva». Il CESE si chiede se la direttiva sui servizi debba essere applicata integralmente, mutatis mutandis, alle società di gestione collettiva. Si dovrebbero studiare in modo più approfondito le caratteristiche specifiche di tali società, che non hanno fini di lucro.

3.12

La proposta di direttiva è stata quindi concepita in totale coerenza con il diritto vigente e con le prospettive tracciate dai programmi di sviluppo del mercato interno, e in conformità agli accordi internazionali di cui gli Stati membri sono parti contraenti. Pertanto il CESE approva le disposizioni proposte.

3.13

Al pari della Commissione, il CESE, in totale coerenza con i propri precedenti pareri, predilige l'opzione di un quadro di governance e trasparenza che codifichi i principi esistenti e fornisca un quadro più elaborato di regole in materia, aumentando le possibilità di controllo delle società di gestione collettiva. Solo l'esame annuale della gestione, da parte sia dell'insieme degli affiliati sia di un'autorità o un'istituzione indipendente, può garantire il rispetto della buona governance.

3.14

Ciononostante, il CESE si pone alcuni interrogativi in merito alle capacità tecniche di numerose società di gestione, che attualmente operano nel territorio dell'Unione, di farsi carico senza difficoltà della gestione di licenze multiterritoriali.

3.15

Un altro problema importante è rappresentato dall'aggregazione dei repertori; la Commissione propone un «passaporto europeo», in grado di agevolare notevolmente tale aggregazione e, di conseguenza, la concessione delle licenze. Ciò «consentirebbe di stabilire norme comuni […] e creerebbe una pressione concorrenziale che spingerebbe le società a sviluppare pratiche di concessione di licenze più efficienti». Il CESE condivide questo approccio.

3.16

Approva, inoltre, la base giuridica dell'articolo 50 del TFUE (ex articolo 44 TCE) relativo alla libertà di stabilimento, e degli articoli 53 (ex 47) e 62 (ex 55) del TFUE (quest'ultimo rinvia agli articoli dal 51 al 54 del TFUE sulla libera prestazione di servizi).

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Il diritto d'autore e i diritti connessi devono favorire la creazione artistica tramite un compenso equo o proporzionale da versare ai titolari dei diritti per un periodo che va da 50 a 95 anni, a seconda dei diritti protetti e delle legislazioni dei paesi membri dell'OMPI. Tale compenso dovrebbe garantire una sicurezza materiale sufficiente per consentire ai beneficiari di continuare a creare. In pratica, tuttavia, nel settore musicale e non solo, sono molto pochi gli autori che possono vivere dei loro diritti, in particolare per via del funzionamento, da essi definito «opaco», delle società di gestione collettiva, ma anche in ragione del fatto che la produzione e la distribuzione sono controllate da oligopoli transnazionali.

4.2

Nella pratica, le somme dovute dagli utilizzatori di licenze vengono per gran parte riscosse da società di raccolta e gestione dei diritti, nazionali o internazionali, che le ridistribuiscono tra gli autori affiliati:

in funzione di criteri di ripartizione propri a ciascuna società di gestione collettiva per le riscossioni forfettarie, il che è alla base dell'opacità della loro attività, oppure

sulla base di conti individuali, quando i titolari dei diritti e le opere coperte da licenza sono identificati individualmente (ciò si applica alla distribuzione online, dove l'informazione completa necessaria è più facilmente disponibile).

4.3

Ciononostante, la quota effettivamente corrisposta ai titolari di diritti in Francia, ad esempio, è generalmente compresa tra il 9 e il 10 % delle entrate dell'industria musicale, che si tratti di vendita di CD oppure di distribuzione online, sebbene i costi relativi a quest'ultima siano molto più contenuti di quelli della distribuzione offline. Le società di produzione, soprattutto le major, percepiscono, rispettivamente, circa il 50 % delle entrate offline e oltre il 60 % online; le spese di funzionamento percepite dalle società di gestione sono spesso molto elevate, e l'affiliazione comporta l'obbligo di concedere alla società l'esclusiva su tutte le proprie opere. Inoltre, spesso i produttori fatturano agli autori delle spese di pubblicità o di altro tipo che riducono ulteriormente la quota percepita.

4.4

Il CESE osserva che il progetto di direttiva risponde alle esigenze di armonizzazione nel mercato interno, secondo la base giuridica scelta, e al tempo stesso alle richieste di trasparenza, equità e controllo della gestione formulate dai titolari dei diritti, come pure di compensi equi per gli affiliati, per quanto riguarda le società di gestione collettiva. Troppi affiliati, infatti, hanno l'impressione di non percepire mai nulla, mentre un piccolo numero fa la parte del leone (4); il CESE osserva altresì che i contratti iniqui imposti dalle major dell'edizione e della distribuzione del settore musicale restano in vigore e continueranno a impedire alla maggior parte degli autori e degli aventi diritto di percepire un compenso equo per il loro lavoro. Il progetto legislativo è quindi incompleto, a giudizio del Comitato, e non basta a garantire un'autentica promozione della cultura e delle opere letterarie e artistiche tramite una corretta remunerazione di autori e creatori.

4.5

Si tratta, infine, di disposizioni «minime», che lasciano un ampio margine di manovra agli Stati membri nella trasposizione, per permettere loro di meglio rispondere alle richieste di autori e creatori e promuovere al meglio la cultura e la sua diffusione. Il CESE non condivide dunque l'analisi effettuata da alcune assemblee legislative, le quali ritengono che la direttiva proposta non rispetti il principio di sussidiarietà perché sarebbe troppo prescrittiva e dettagliata. Invita inoltre la Commissione riflettere sulle modalità atte a consentire agli autori di trarre effettivamente profitto dalla riduzione dei costi di distribuzione per la diffusione di musica online, poiché l'aumento delle entrate viene accaparrato da un unico attore del mercato, che spera così di compensare il calo delle entrate della distribuzione offline. In effetti, le major, tramite contratti iniqui e intense attività di lobbying a favore di normative molto repressive rispetto agli scambi online, si sforzano di mantenere un'economia della scarsità di fronte a Internet, che permette invece una diffusione di massa illimitata a un costo molto basso.

4.6

Gli artisti dovrebbero esercitare un maggiore controllo sulla promozione delle loro opere online e sulle entrate da esse generate. Dovrebbero avere la possibilità di distribuire direttamente talune opere, a titolo gratuito o a costi contenuti, al fine di promuoverle. L'avvento di Internet ha reso possibili nuove fonti di finanziamento del lavoro degli autori, come l'appello al finanziamento delle produzioni future da parte degli ascoltatori. La direttiva dovrebbe prevedere un maggiore controllo da parte degli autori e offrire loro più ampie possibilità.

4.7

Il CESE accoglie con favore l'articolo 38, che invita gli Stati membri a prevedere sanzioni per garantire il rispetto delle disposizioni recepite nel diritto nazionale.

4.8

Il titolo II tratta del primo aspetto della direttiva, quello dell'organizzazione e del funzionamento delle società di gestione collettiva, qualunque natura esse abbiano. I requisiti di trasparenza e gli obblighi d'informazione, questioni sulle quali il CESE insiste in modo particolare, sono trattati in modo soddisfacente nel capo 5 del titolo II (articoli da 17 a 20).

4.9

Sono previste alcune disposizioni complementari che rafforzano ulteriormente gli obblighi di trasparenza. L'articolo 8 affronta, in particolare, le funzioni di sorveglianza, che offrono ai membri garanzie di corretta gestione; il CESE appoggia le disposizioni previste a tale scopo. Il titolo IV, relativo alle controversie (articoli da 34 a 40), comprese le procedure per i reclami (articolo 37), completa in modo efficace le disposizioni relative al funzionamento delle società di gestione dei diritti, consentendo ai membri di contestare una gestione dei loro diritti ritenuta scorretta.

4.10

Per quanto riguarda alcuni dei criteri proposti per non imporre le licenze multiterritoriali alle società di gestione collettiva di piccole dimensioni, il CESE riconosce il rischio di concentrazioni nel mercato, con possibili distorsioni della concorrenza a scapito degli attori di dimensioni minori, come quelli di alcuni paesi scarsamente popolati, o di alcune minoranze nazionali, il cui apporto alle culture dell'Europa potrebbe giustificare misure specifiche di sostegno per partecipare al mercato europeo delle licenze. Il CESE è del parere che, in ragione di tali considerazioni di diversità culturale, ai sensi dell'articolo 107 del TFUE, le società di gestione collettiva di piccole dimensioni nei suddetti paesi dovrebbero poter beneficiare di sostegni pubblici, per avere la possibilità di valorizzare direttamente i propri cataloghi a livello europeo e offrire autonomamente licenze multiterritoriali.

4.11

Le disposizioni previste per evitare conflitti d'interesse, garantire la trasparenza e l'efficacia della gestione, nonché l'informazione dei membri delle società di gestione collettiva sono pertinenti, in particolare l'articolo 9 che stabilisce gli obblighi delle persone che gestiscono effettivamente l'attività della società di gestione collettiva.

4.12

Il titolo III (articoli da 21 a 33) riguarda le licenze europee per i diritti online su opere musicali. L'articolo 21 (Licenze multiterritoriali nel mercato interno) definisce il principio del controllo effettivo del rispetto delle disposizioni del titolo III da parte delle autorità competenti (cfr. la loro definizione all'articolo 39).

4.13

L'articolo 22 (Capacità di trattare licenze multiterritoriali) riguarda disposizioni fondamentali della seconda parte. Le società di gestione collettiva competenti a concedere licenze multiterritoriali devono avere le capacità per trattare per via elettronica, in modo efficiente e trasparente, i dati necessari per la gestione di tali licenze, per fatturare agli utilizzatori, riscuotere i proventi dei diritti d'autore e distribuire gli importi dovuti ai titolari dei diritti. Il CESE approva i requisiti dettagliati (paragrafo 2) e il loro carattere di requisiti minimi, ma sottolinea le difficoltà pratiche che potrebbero sorgere nel valutare se abbiano o meno carattere dirimente.

4.14

È necessario fissare i requisiti applicabili alle società di gestione collettiva. L'articolo 23 (Trasparenza delle informazioni sui repertori multiterritoriali) chiede «informazioni aggiornate che consentano di identificare il repertorio musicale online rappresentato. Ciò comprende le opere musicali rappresentate, i diritti rappresentati, integralmente o in parte, e gli Stati membri rappresentati», mentre l'articolo 24 (Correttezza delle informazioni sui repertori multiterritoriali) chiede alla società di gestione collettiva di disporre «di procedure che consentano ai titolari dei diritti e ad altre società di gestione collettiva di opporsi al contenuto dei dati di cui all'articolo 22, paragrafo 2, o alle informazioni fornite a norma dell'articolo 23». Il CESE ritiene che la società di gestione collettiva debba accettare ogni forma di prova legale e procedere con diligenza alle rettifiche necessarie.

4.15

La necessità per la società di gestione collettiva di controllare l'utilizzo dei diritti da parte dei fornitori dei servizi ai quali abbia concesso una licenza multiterritoriale la obbliga a offrire la possibilità di dichiarare online l'utilizzo effettivo dei diritti con una modalità riconosciuta dagli eventuali standard volontari e prassi in vigore. Il CESE approva la possibilità di rifiutare comunicazioni degli utilizzatori in un formato proprietario se le società di gestione collettiva avevano offerto la possibilità di presentare la comunicazione per mezzo di uno standard adottato nel settore per lo scambio elettronico dei dati.

4.16

Il CESE sottolinea che il ricorso a standard aperti e liberi, anche per la fatturazione online (articolo 25) costituirebbe una soluzione adeguata e accettabile in tutte le circostanze e che sarebbe opportuno precisarlo in tale articolo.

4.17

Il CESE approva i requisiti indicati all'articolo 25 in materia di fatturazione: correttezza, puntualità, immediatamente dopo l'utilizzo della licenza multiterritoriale, nonché l'obbligo di offrire rimedi giurisdizionali al fornitore di servizi in caso di contestazione della fattura. Il pagamento ai titolari dei diritti deve avvenire secondo criteri di correttezza e puntualità (articolo 26). Il CESE approva altresì i requisiti dettagliati d'informazione dei titolari dei diritti che accompagnano il pagamento, nonché la giustificazione degli onorari percepiti.

4.18

Il CESE sostiene le disposizioni degli articoli 27 e 28 e dell'articolo 29 (Obbligo di rappresentanza di un'altra società di gestione collettiva per la concessione di licenze multiterritoriali), ai sensi del quale una società di gestione che non concede né offre la concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere del proprio repertorio può chiedere a un'altra società di gestione collettiva che soddisfa i requisiti stabiliti dalla direttiva di stipulare un accordo di rappresentanza relativo a tali diritti.

4.19

Il CESE chiede di chiarire la formulazione dell'articolo 29, paragrafo 1: esiste o meno l'obbligo di accettare il mandato nelle circostanze previste?

4.20

Il CESE approva altresì le disposizioni relative alla concessione di licenze multiterritoriali di cui all'articolo 30 (Accesso alle licenze multiterritoriali), all'articolo 31 (Concessione di licenze multiterritoriali da parte di controllate di società di gestione collettiva) e all'articolo 32 (Condizioni di concessione delle licenze per i servizi online).

4.21

Il CESE approva la deroga (articolo 33) secondo cui i requisiti di cui al titolo III non si applicano alle società di gestione collettiva che concedono, sulla base dell'aggregazione facoltativa dei diritti richiesti, una licenza multiterritoriale per i diritti online su opere richieste da un'emittente per i propri programmi radiofonici o televisivi.

Bruxelles, 12 dicembre 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  SWD(2012) 204 final (solo in inglese) e SWD(2012) 205 final.

(2)  Direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti connessi nella società dell'informazione; diversi atti correlati (direttive e raccomandazioni) tra cui la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 marzo 2010, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi (direttiva 2010/13/UE sui servizi di media audiovisivi).

(3)  GU C 68 del 6.3.2012, pag. 28 e GU C 318 del 29.10.2011, pag. 32.

(4)  http://senat.fr/lc/lc30_mono.html – Studio comparativo sulle società di gestione collettiva in Europa.


15.2.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/109


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 443/2009 al fine di definire le modalità di conseguimento dell’obiettivo 2020 di ridurre le emissioni di CO2 delle autovetture nuove

COM(2012) 393 final — 2012/0190 (COD)

e alla

proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 510/2011 al fine di definire le modalità di conseguimento dell’obiettivo del 2020 di ridurre le emissioni di CO2 dei nuovi veicoli commerciali leggeri

COM(2012) 394 final — 2012/0191 (COD)

2013/C 44/19

Relatore: IOZIA

Il Parlamento europeo, in data 11 settembre 2012, e il Consiglio, in data 11 settembre 2012, hanno deciso, conformemente al disposto degli articoli 192, paragrafo 1, e 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 443/2009 al fine di definire le modalità di conseguimento dell'obiettivo 2020 di ridurre le emissioni di CO 2 delle autovetture nuove

COM(2012) 393 final — 2012/0190 (COD)

e alla

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 510/2011 al fine di definire le modalità di conseguimento dell'obiettivo del 2020 di ridurre le emissioni di CO 2 dei nuovi veicoli commerciali leggeri

COM(2012) 394 final — 2012/0191 (COD).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 dicembre 2012.

Alla sua 485a sessione plenaria, dei giorni 12 e 13 dicembre 2012 (seduta del 12 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 116 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ha sempre sostenuto, nei suoi pareri, tutte le iniziative della Commissione legate alla riduzione delle emissioni di CO2, che perseguono l'obiettivo di un'Europa «carbon free» entro il 2050 dove il settore dei trasporti dovrebbe ridurre del 60 % le proprie emissioni.

1.2

Il CESE ricorda che il Consiglio europeo ha confermato nel febbraio 2011 l'obiettivo dell'UE di ridurre le emissioni di gas serra dell'80-95 % entro il 2050 rispetto ai livelli del 1990 (1). Secondo il gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici, i paesi sviluppati devono realizzare collettivamente gli obiettivi di riduzione, tenendo conto degli sforzi necessari da parte dei paesi in via di sviluppo. Questo dovrebbe permettere di ridurre le emissioni del 50 % a livello globale entro il 2050 seguendo un obiettivo di riduzione post Kyoto in un quadro giuridico globale da adottarsi entro il 2015 e da attuarsi dal 2020.

1.3

Il CESE condivide di fissare obiettivi sempre più stringenti per la lotta ai mutamenti climatici, principalmente per il settore dei trasporti su strada che contribuisce al 24 % delle emissioni totali dell'UE di anidride carbonica (CO2), il principale gas ad effetto serra (GHG), in aumento di quasi il 23 % tra il 1990 e il 2010. Questa tendenza non è sostenibile alla luce della politica climatica dell'Unione europea.

1.4

Il CESE sostiene le modifiche delle due proposte, pur rilevando che bisognerà agire in maniera armonica ed efficiente nell'impiego delle risorse, sicuro e competitivo, che sopprima tutti gli ostacoli che si frappongono al mercato interno dei trasporti, promuova tecnologie pulite e renda più moderne le reti di trasporto. Il CESE esorta a dare rapida attuazione ai regolamenti tenendo conto delle sue proposte.

1.5

Il CESE attribuisce particolare importanza al fissare obiettivi a lungo termine anche dopo il 2020, per non perdere competitività del mercato unico. La prospettiva di fissare nuovi obiettivi post 2020 entro il 2014 è sostenuta dal CESE, a condizione che sia svolta una rigorosa ed approfondita valutazione d'impatto. Il CESE raccomanda un riesame degli obiettivi entro il 2017, alla luce dello sviluppo delle tecnologie, delle previsioni sugli andamenti di mercato e delle esigenze di contrastare le emissioni di gas effetto serra. Le imprese giustamente reclamano un quadro normativo stabile ed anticipato, che si deve coniugare con la concreta possibilità di raggiungere obiettivi molto ambiziosi.

1.6

Il CESE raccomanda, come nei precedenti pareri, di elaborare un modello di internalizzazione nel calcolo di CO2 di tutte le emissioni connesse alla produzione delle automobili. L'impronta di CO2 dovrebbe essere tenuta in considerazione perché riguarda l'intero ciclo di vita degli autoveicoli.

1.7

Il CESE apprezza la proposta della Commissione di valutare entro il 2014 il parametro di utilità da adottare. Infatti, da tempo sostiene l'opportunità di privilegiare l'impronta rispetto alla massa, per sostenere lo sviluppo di veicoli a minor impatto ambientale, più leggeri e con consumi inferiori.

1.8

Il CESE sollecita la Commissione a riflettere ulteriormente sulla proposta della funzione lineare (% di inclinazione), ricordando che indicare una percentuale del 60 comporta un surplus di 4,6 g di CO2 per gli autoveicoli. Più la percentuale si avvicina al 100, più sono favoriti i veicoli pesanti.

1.9

Per i veicoli commerciali leggeri, la Commissione ha adottato una proposta con una inclinazione del 100 %, per la quale meno oneri sopporteranno i costruttori di veicoli commerciali leggeri (VCL) con massa elevata.

1.10

Il CESE è favorevole alla politica messa in atto per le penalità post 2020, armonizzazione a 95 euro per grammo di CO2 per le auto e i VCL e ritiene che debbano essere stanziate per attività di rafforzamento per l'industria automobilistica.

1.11

Il CESE ritiene che sia essenziale mantenere la leadership globale per la mobilità sostenibile; pertanto, un'introduzione tardiva e poco ambiziosa delle nuove tecnologie potrebbe condannare a un declino irreversibile l'industria dei trasporti dell'Unione europea sul mercato globale in rapido sviluppo.

1.12

Il CESE raccomanda l'adozione di un'etichettatura delle caratteristiche tecniche delle emissioni dei singoli modelli, che sia comparabile, chiara ed esaustiva su tutte le emissioni nocive. Va cambiato l'attuale sistema, che lascia agli Stati membri la scelta sulla etichettatura. Occorre un sistema di etichettatura unico in Europa e possibilmente concordato con gli altri partner internazionali. Attualmente la stessa auto può ricevere etichette diverse di emissione, a seconda dello Stato membro, se per esempio esso adotta il sistema del «relative label» piuttosto che adottare quello che ogni persona di buon senso adotterebbe, ossia l'«absolute label», basato sul valore assoluto delle emissioni prodotte invece che sulla comparazione con i competitori nel segmento di appartenenza.

1.13

Per quanto riguarda gli obiettivi futuri, il CESE raccomanda per i VCL un phase in adeguato al lead time del settore (7-10 anni invece di 5-7 delle auto). Le caratteristiche produttive dei VCL non consentono un adeguamento così rapido dei design, oltretutto in una situazione di crisi del mercato molto acuta in diversi paesi.

2.   Le proposte della Commissione

2.1

La Commissione europea, in data 11 luglio 2012, ha adottato due proposte di modifica per i regolamenti (CE) n. 443/2009 e (UE) n. 510/2011 al fine di definire le modalità di conseguimento dell'obiettivo del 2020 di ridurre le emissioni di CO2 delle autovetture e dei veicoli commerciali leggeri.

2.2

La Commissione intende conseguire per il 2020 i seguenti obiettivi:

147 g di CO2/km mediamente per i veicoli commerciali leggeri nuovi,

95 g di CO2/km per le autovetture nuove.

2.3

Per raggiungere l'obiettivo al 2020, la Commissione identifica le seguenti modalità per le autovetture nuove:

la proposta mantiene come parametro di utilità la massa del veicolo in ordine di marcia;

la curva del valore limite rimane lineare, con una pendenza del 60 % rispetto al parco di riferimento, che corrisponde ancora al parco veicoli del 2006 ed è conforme alla curva dei valori limite per il 2015;

tra il 2020 e il 2023 sono introdotti supercrediti per le autovetture le cui emissioni sono inferiori a 35 g CO2/km con un coefficiente moltiplicatore pari a 1,3 e nei limiti di un totale cumulato di 20 000 veicoli per costruttore per l'intera durata del programma;

l'obiettivo in materia di deroghe per i costruttori «di nicchia» è aggiornato per il 2020;

i costruttori responsabili della registrazione di un numero di autovetture nuove inferiore a 500 unità all'anno sono dispensati dall'obbligo di prevedere un obiettivo di riduzione delle emissioni di CO2;

è autorizzata una maggiore flessibilità quanto ai tempi delle decisioni per la concessione di deroghe ai costruttori di volumi ridotti;

si tiene conto delle ecoinnovazioni quando si realizza una procedura di prova rivista;

l'indennità per le emissioni in eccesso è mantenuta a 95 EUR per g/km per autoveicolo;

2.4

Per raggiungere l'obiettivo al 2020, la Commissione identifica le seguenti modalità per i veicoli commerciali leggeri:

il parametro di utilità resta la massa del veicolo in ordine di marcia;

la curva del valore limite è lineare, con una pendenza del 100 % rispetto al parco di riferimento;

i costruttori responsabili della registrazione di un numero di veicoli commerciali leggeri inferiore a 500 unità all'anno sono dispensati dall'obbligo di conseguire il loro obiettivo per le emissioni specifiche;

è autorizzata una maggiore flessibilità quanto ai tempi delle decisioni per la concessione di deroghe ai costruttori di volumi ridotti;

si tiene conto delle ecoinnovazioni quando si realizza una procedura di prova rivista;

l'indennità per le emissioni in eccesso è mantenuta a 95 EUR per g/km per autoveicolo.

2.5

Gli obiettivi fissati permetteranno di ridurre le emissioni medie provenienti dalle autovetture nuove da 135,7 g di CO2/km nel 2011 a 95 g di CO2 per km nel 2020, con un obiettivo obbligatorio di 130 g di CO2/km nel 2015. Le emissioni dai furgoni saranno ridotte da 181,4 g di CO2/km nel 2010 (l'ultimo anno per cui sono disponibili dati) a 147 g CO2/km nel 2020, con un obiettivo obbligatorio di 175 g di CO2/km nel 2017.

3.   Introduzione

3.1

Il CESE condivide, come nei precedenti pareri riguardanti le proposte legislative sulle azioni antropiche che causano un aumento delle emissioni di CO2, lo scopo di raggiungere obiettivi sempre più stringenti di riduzione di gas a effetto serra e ritiene che un adattamento dei comportamenti dei produttori e consumatori sia fondamentale per mitigare i cambiamenti climatici. In questo contesto, non si può quindi trascurare ogni ragionevole intervento che porti alla riduzione concreta di emissioni per le auto ed i veicoli commerciali leggeri che rappresentano insieme circa il 15 % delle emissioni totali di CO2 dell'UE, comprese le emissioni provenienti dall'approvvigionamento di combustibile.

3.1.1

Il CESE ritiene che il rafforzamento della legislazione europea post 2020 sia essenziale per mantenere la leadership globale della tecnologia principalmente per i suoi notevoli investimenti nell'innovazione, in combinazione con un mercato interno esigente.

3.1.2

Il CESE sostiene con convinzione le modifiche del quadro legislativo in materia di riduzione di anidride carbonica per auto e VCL nuove dopo il 2020, che abbiano obiettivi chiari posti da una legislazione efficiente, offrendo una direzione precisa e stabile per gli investimenti che promuoveranno ulteriormente l'innovazione da parte dei costruttori dei veicoli e dei fornitori di componenti, rafforzando ancor di più il vantaggio competitivo dell'industria europea del settore.

3.1.3

Il CESE ritiene che l'introduzione di regole moderne e unificate consentirà una migliore vigilanza del mercato al fine di creare un clima di sana competitività tra i produttori europei di tecnologie più efficienti sotto il profilo dei consumi ed emissioni.

3.1.4

Il CESE rileva che ci sono risparmi netti per i consumatori, dall'analisi della Commissione si desume che gli obiettivi per il 2020 sono raggiungibili ed economicamente sani. I target stimati sono efficienti dal punto di vista dei costi, la tecnologia è facilmente disponibile sul mercato e la sua attuazione dovrebbe dare un impulso all'occupazione portando benefici ai consumatori e all'industria.

4.   Osservazioni

4.1   Auto - COM(2012) 393 final

4.1.1

Il CESE ricorda che le autovetture sono responsabili di circa il 12,5 % delle emissioni totali di CO2 dell'Unione europea. La quantità di CO2 prodotta è direttamente proporzionale alla quantità di carburante consumata, quindi i veicoli a bassa intensità di anidride carbonica sono più efficienti nei consumi di combustibile e più economici da gestire durate il periodo di vita.

4.1.2

Il mercato dell'auto ha fortemente risentito della crisi economica in atto negli ultimi cinque anni. Le nuove immatricolazioni nei primi nove mesi del 2012 sono diminuite del 7,6 % e del 10,8 % nel mese di settembre, comparati allo stesso periodo del 2011.

4.1.3

Il CESE osserva con soddisfazione l'andamento delle politiche attuate e la presa di coscienza da parte dei consumatori, come si evince dai recenti studi dell'Agenzia europea dell'ambiente. I nuovi veicoli immatricolati tendono a essere sempre più performanti rispetto alle emissioni prodotte, e hanno quasi raggiunto nel 2012 l'obiettivo intermedio per il 2015.

Andamento delle emissioni di CO2 per le nuove automobili per tipologia di carburante (EU27) (2)

Image

4.1.4

Il CESE ritiene sia fondamentale fare ricorso all'analisi costi-benefici per i risparmi netti per i consumatori. Per ogni autovettura nuova, si risparmieranno in media circa 340 euro di combustibile il primo anno, per un totale stimato che varia da 2 904 a 3 836 euro nella vita delle autovetture (tredici anni) in relazione all'obiettivo intermedio del 2015.

4.2   Il CESE ribadisce la proposta di adottare l'impronta come parametro di utilità al posto della massa. I vantaggi che ne deriverebbero sarebbero:

riduzione ulteriore delle emissioni;

riduzione della massa degli autoveicoli;

risparmio notevole di carburante;

sviluppo dei materiali e ricerca;

stimolo verso consumi più sobri, che privilegino la funzionalità e l'efficienza.

4.3   Il CESE ritiene che la scelta di mantenere la funzione lineare al 60 % vada nella direzione contraria a quella, annunciata, di voler ulteriormente migliorare il profilo delle emissioni delle auto prodotte. Il compromesso politico raggiunto tutela poche imprese europee, ma danneggia il complesso dei cittadini.

4.4   Veicoli commerciali leggeri - COM(2012) 394 final

4.4.1

Il CESE ricorda che i veicoli commerciali leggeri (VCL) sono responsabili di circa l'1,5 % delle emissioni totali di CO2 dell'Unione europea. La quantità di CO2 prodotta è direttamente proporzionale alla quantità di carburante consumata, quindi i veicoli a bassa intensità di anidride carbonica sono più efficienti nei consumi di combustibile e più economici da gestire durate il periodo di vita.

4.4.1.1

Il carburante, per i VCL rappresenta circa un terzo dei costi di proprietà, che viene stimato a circa 2 400 euro l'anno in diesel.

4.4.1.2

Le emissioni per i VCL sono aumentate del 26 % dal 1990 al 2010.

4.4.2

Il mercato dei VCL ha fortemente risentito della crisi economica degli ultimi anni dove le nuove immatricolazioni hanno subito la peggior flessione nel 2009 (– 29,5 %) ma, diversamente dal settore delle auto, il trend è stato in rialzo nel 2010 (+ 8,7 %) e 7,5 % nel 2011. Nei primi dieci mesi del 2012 ancora una caduta delle vendite del 10,6 %.

4.4.3

Il CESE ritiene che la proposta in oggetto, ricalcando l'impatto del regolamento per le auto, sottovaluti le differenze tra auto e VCL quali:

il ciclo di sviluppo e produzione più lungo di quello delle automobili;

la missione di questi veicoli, utilizzati per un'attività economica per la quale l'efficienza e robustezza del motore e i relativi consumi di carburante rappresentano spesso la voce più importante tra i costi operativi di tale attività. Non a caso il 97 % della flotta VCL è a tecnologia Diesel;

il profilo dagli acquirenti, per oltre il 90 % sono PMI artigianali molto sensibili alla variazione dei costi.

4.4.4

Il CESE ritiene sia fondamentale fare ricorso a un'analisi costi-benefici che tenga conto, da una parte, dell'incremento dei costi cui si andrà incontro per adeguare le nuove auto e i nuovi VCL alle normative e, dall'altra, dei risparmi netti per i consumatori. Per ogni VCL nuovo, il risparmio medio sui costi è di circa 400 euro di combustibile il primo anno, e stimato tra 3 363 e 4 564 euro nella vita dei VCL sulla durata di tredici anni in relazione all'obiettivo intermedio del 2017.

4.4.5

Alla luce di quanto sopra il CESE, nel confermare la necessità della riduzione delle emissioni di CO2, è favorevole a un nuovo phase in per gli obiettivi futuri adeguato al lead time del settore (7-10 anni invece di 5-7 delle auto).

4.5   Informazione e standardizzazione

4.5.1   Il CESE ritiene, al pari della Commissione, che agli utilizzatori finali arrivino informazioni attendibili, chiare e comparabili sui risparmi economici e ambientali sui veicoli da acquistare.

4.5.2   Uno strumento che si è rivelato molto efficace è l'etichettatura. Il CESE raccomanda alla Commissione di prendere in esame la possibilità di estendere l'obbligo di etichettatura in materia di emissioni, calcolate secondo il principio del ciclo di vita (LCA). Una informazione chiara, esaustiva, accessibile, e soprattutto di immediata comprensione, renderebbe la scelta dei consumatori più avvertita e consapevole, innestando un circuito virtuoso di buone pratiche.

4.5.3   L'attuale direttiva 1999/94 non stabilisce requisiti precisi ma solo un «minimo» di informazione al riguardo che ha lasciato ampia libertà interpretativa ai singoli Stati membri. Infatti alcuni hanno utilizzato il «relative label» che offre informazioni ambigue parametrate sul segmento cui appartiene l'auto, senza indicazione precisa delle emissioni di quel mezzo. Con questo sistema si induce in errore il consumatore, il quale vedendo un'etichetta di prima categoria è indotto a pensare che l'auto produca in assoluto poche emissioni, ed invece il dato è relativo solo alla propria categoria. Così un'auto del segmento F, di lusso, potrebbe emettere 5 volte quanto un'utilitaria e ricevere la classe A, mentre una utilitaria essere, relativamente al suo segmento, in classe D. La Commissione, analogamente a quanto realizzato ad esempio per gli elettrodomestici, dovrebbe indicare quello che ogni persona di buon senso vorrebbe: un «absolute label» che, per esempio, dà la A a chi emette meno di 100 g/km, la B a chi emette da 101 a 120, con l'indicazione precisa delle emissioni di ciascuna e con gli stessi colori in tutta Europa.

4.5.4   Il CESE approva le misure adottate per diffondere l'informazione destinata ai consumatori.

4.5.5   Il CESE sostiene tutte le iniziative in materia di educazione dei consumatori da intraprendere nel tempo che portino a scelte oculate per rispetto ai veicoli «CO2 free» ed a benefici economici dovuti ai risparmi che si avranno nel tempo.

4.5.6   Il CESE nota con piacere che gli operatori sono chiamati a proseguire i loro sforzi in campo di Ricerca&Sviluppo, per garantire investimenti in nuove tecnologie per veicoli verdi, e che sarà essenziale mantenere la proposta della Commissione UE di investire 80 miliardi di euro previsti nel bilancio di Orizzonte 2020 per il periodo 2014-2020.

4.5.7   Energia

4.5.7.1

Il CESE sottolinea l'idea di sviluppare una strategia che favorisca mezzi di trasporto (autoveicoli e VCL) ecologici, per lottare contro le emissioni di CO2.

4.5.7.2

Il CESE raccomanda la possibilità di un passaggio graduale del parco auto europeo a emissioni zero che porti a un cambio del vettore per raggiungere gli obiettivi prefissati a lungo termine.

4.5.8   Prodotti sostenibili

Il CESE ha sottolineato in più occasioni l'importanza capitale dello sviluppo sostenibile per il futuro dell'Europa. Sostiene di conseguenza gli orientamenti forniti dalla Commissione per rendere i prodotti più durevoli e incoraggiare la progettazione ecocompatibile generalizzata a tutti i prodotti, principalmente a quelli che utilizzano risorse fossili.

Bruxelles, 12 dicembre 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  COM(2011) 885 final.

(2)  http://www.eea.europa.eu/publications/monitoring-co2-emissions-from-new


15.2.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/115


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni «La strategia dell’UE per l’eradicazione della tratta degli esseri umani (2012-2016)»

COM(2012) 286 final

2013/C 44/20

Relatrice: OUIN

La Commissione europea, in data 19 giugno 2012, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — La strategia dell’UE per l’eradicazione della tratta degli esseri umani (2012-2016)

COM(2012) 286 final.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 novembre 2012.

Alla sua 485a sessione plenaria, dei giorni 12 e 13 dicembre 2012 (seduta del 13 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 104 voti favorevoli, nessun voto contrario e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la strategia per l'eradicazione della tratta degli esseri umani, alla quale desidera collaborare. Sottolinea tuttavia che il termine «eradicazione» appare poco realistico data l'ampiezza attuale del fenomeno, il clima di relativa tolleranza che lo circonda e la scarsità delle risorse destinate a combatterlo.

1.2

Il Comitato sottolinea che la strategia non potrà essere applicata senza l'aiuto attivo della società civile, in contatto con le vittime. Le associazioni di assistenza alle vittime hanno bisogno di mezzi finanziari per svolgere il proprio compito.

1.3

Il Comitato propone di distinguere la tratta finalizzata allo sfruttamento sessuale dagli altri tipi (lavoro, accattonaggio, matrimoni fittizi, traffico d'organi), affinché sia chiaro per tutti quale fenomeno si debba combattere. Il CESE inoltre propone di creare un marchio per le città ostili allo sfruttamento sessuale delle donne e dei bambini.

1.4

Allo stesso tempo, il Comitato chiede un trattamento differenziato per i bambini (Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia).

1.5

Gli Stati europei dovrebbero ratificare rapidamente la convenzione dell'OIL sul lavoro dignitoso per i lavoratori domestici e tutte le convenzioni internazionali che affrontano questo tema.

1.6

Il Comitato insiste per una protezione delle vittime di livello sufficiente, tale da consentir loro di reinserirsi nella sfera legale della società da cui sono state escluse (protezione qualora esse sporgano denuncia, accesso a un alloggio, all'assistenza sanitaria, ecc.). Affinché tale reinserimento sia sostenibile, le vittime dovrebbero avere la possibilità di trovare un lavoro in un mercato del lavoro inclusivo sostenuto da finanziamenti pubblici.

1.7

La lotta alla tratta di esseri umani deve prefigurarsi come una politica trasversale dotata di una dimensione sociale autentica, che va oltre la repressione del fenomeno. Vanno create sinergie con le altre strategie: a favore dell'inclusione dei Rom, contro la povertà, la tossicodipendenza, gli abusi sessuali nei confronti dei bambini, ecc.

2.   Introduzione

2.1

La schiavitù non è consegnata definitivamente ai libri di storia: esiste ancora, anche nei paesi più sviluppati. La persistenza, se non addirittura l'espansione della tratta degli esseri umani sul territorio dell'Unione europea è una cancrena che mina alla radice la democrazia nell'UE. Quando in uno Stato di diritto le persone sono vendute da altre persone a fini di sfruttamento sessuale, lavoro o accattonaggio forzato, e adesso anche di traffico d'organi e matrimoni fittizi, e i criminali che gestiscono il traffico ne ricavano profitti considerevoli, a essere colpita è la stessa credibilità dei principi di rispetto dei diritti umani che l'Unione si è impegnata a diffondere nel mondo.

2.2

La tratta degli esseri umani è vietata dall'articolo 5 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. La direttiva 2011/36/UE concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, che adotta un approccio globale e mette l'accento sui diritti umani e sulle vittime, e tiene conto della dimensione di genere, dovrebbe consentire, una volta che gli Stati membri l'avranno recepita entro il 6 aprile 2013, di affrontare meglio il problema. Vi sono anche altri strumenti giuridici che possono permettere di combattere i trafficanti di esseri umani, come quelli che riguardano i diritti delle vittime, la parità uomo-donna, lo sfruttamento sessuale dei bambini o la lotta contro quanti assumono consapevolmente cittadini di paesi terzi in soggiorno irregolare.

2.3

Tanti strumenti giuridici, di carattere frammentario, possono sovrapporsi o causare doppioni, e messi insieme non rappresentano una politica: ciò rende necessario adottare una strategia che definisca delle priorità, colmi le lacune e renda coerenti i vari testi. È questo l'oggetto della strategia in esame.

2.4

Una delle caratteristiche della situazione attuale è la grande distanza che separa le dichiarazioni di principio e la realtà dei fatti. Nei principi, l'Unione europea, gli Stati membri e i cittadini sono risolutamente contrari alla tratta degli esseri umani, considerata una forma di schiavitù moderna. Nei fatti, ciascuno di noi, cittadino, assistente sociale, medico, operatore di polizia, politico eletto, può incrociare le vittime della tratta (ragazze straniere giovanissime che si prostituiscono sui marciapiedi delle città europee, bambini che chiedono l'elemosina) o partecipare indirettamente allo sfruttamento degli esseri umani acquistando prodotti a un prezzo così basso da far sospettare che, almeno in una fase della catena di fabbricazione, vi sia stato del lavoro forzato. Nei fatti vi è una grande tolleranza collettiva, un assordante silenzio attorno alla tratta degli esseri umani. La gente per lo più chiude gli occhi, non vuole vedere, non si sente coinvolta, mentre tutti abbiamo un ruolo da svolgere.

2.5

Nel testo in esame, la Commissione propone una strategia d'azione per essere più efficace, e il Comitato, che si è già pronunciato in questo senso riguardo alla proposta di direttiva (1), non può che sostenere quest'approccio.

2.6

La strategia potrà riuscire solo se la società civile ne sarà la protagonista. In questo settore, le organizzazioni della società civile sono quelle che comprendono meglio la questione e che possono quindi aiutare a individuare le vittime e agire per la prevenzione. La polizia, la giustizia, gli ispettori del lavoro ecc. sono indispensabili ma, se i servizi dello Stato potessero da soli eradicare la tratta degli esseri umani, questa sarebbe già scomparsa. Associare le organizzazioni della società civile all'attuazione della strategia è la sola garanzia di efficacia. È necessario un sostegno finanziario per le organizzazioni che si occupano di aiutare le vittime.

2.7

Il testo propone cinque priorità: individuare, proteggere e assistere le vittime della tratta; intensificare la prevenzione; potenziare l’azione penale nei confronti dei trafficanti; migliorare il coordinamento e la cooperazione tra i principali soggetti interessati e la coerenza delle politiche; dare risposta alle problematiche emergenti, in particolare l'utilizzo di Internet da parte delle reti criminali.

3.   Osservazioni del Comitato

3.1

Il Comitato si è già pronunciato su vari temi riguardanti la tratta degli esseri umani in numerosi pareri: fra gli altri, quelli relativi allo sfruttamento sessuale dei minori (2), ai diritti delle vittime (3) e all'approccio globale in materia di migrazione e mobilità (4).

Individuare le vittime

3.2

Nel suo parere dell'ottobre 2010, il Comitato insisteva sulla protezione delle vittime fin dal momento in cui sono riconosciute come tali. Tutto il problema sta in tale riconoscimento e nell'onere della prova che pesa su persone vulnerabili, che non parlano la lingua del posto, sono sorvegliate dai loro sfruttatori, hanno paura, non conoscono i loro diritti e non sanno a chi rivolgersi. È in materia di individuazione delle vittime che occorre realizzare progressi, perché sia possibile un maggiore ascolto. Alcune organizzazioni sindacali hanno avviato azioni pilota per formare i lavoratori che potrebbero entrare in contatto con le vittime del lavoro forzato, per individuarle, sapere come avvicinarle, assisterle e proteggerle. Lo stesso lavoro dovrebbe essere condotto dagli enti pubblici e dalle associazioni con le persone che potrebbero entrare in contatto con le vittime della tratta finalizzata allo sfruttamento sessuale (circa l'80 % delle vittime). Occorre dare una ben più ampia diffusione agli strumenti disponibili, alle formazioni, agli orientamenti e alle guide procedurali perché si sappia come e a chi rivolgersi qualora si sospetti di trovarsi di fronte a un caso di tratta di esseri umani.

3.3

Bisogna rovesciare la tendenza attuale: quando una vittima si rivolge a un'associazione di aiuto, spesso viene indirizzata verso un'altra associazione giudicata più competente. In questo modo, le vittime devono in alcuni casi raccontare la propria storia a decine di persone prima di trovare un vero sostegno. Al contrario, occorre che tutti si sentano in grado di ascoltare e aiutare le vittime. A tal fine, vi è la necessità di essere informati, formati, attrezzati per sapere quel che bisogna dire e far fare, e occorre anche che le associazioni e i servizi sociali lavorino in rete.

3.4

Servono anche trattamenti specializzati a seconda delle vittime, in particolare quando si tratta di bambini. L'interesse superiore del minore deve essere il principio guida, e occorre inserire la lotta contro l'accattonaggio forzato praticato dai bambini nella strategia europea per l'integrazione dei rom.

Intensificare la prevenzione

3.5

Il Comitato apprezza che sia stato messo l'accento sulla dimensione di genere. Infatti, quasi l'80 % delle vittime della tratta è di sesso femminile, e la maggior parte di loro è condannata a prostituirsi contro la propria volontà. Lo sfruttamento sessuale rappresenta infatti il 76 % del fenomeno del traffico di esseri umani. La persistenza di questo traffico a fini di sfruttamento sessuale mette in evidenza le disuguaglianze esistenti fra uomini e donne. Il fatto che tante donne, spesso giovani, siano introdotte nelle città più ricche dell'Unione europea per farle prostituire solleva la questione dell' immagine che i clienti hanno di queste donne (e delle donne in generale) e pregiudica le azioni condotte su altri fronti per stabilire la parità uomo-donna.

3.6

Il Comitato raccomanda pertanto di distinguere chiaramente la tratta degli esseri umani a fini di sfruttamento sessuale da quella finalizzata al lavoro e all'accattonaggio forzati e dal traffico d'organi e di considerare a parte lo sfruttamento sessuale dei minori. Gran parte della tratta di esseri umani (80 %) è finalizzata allo sfruttamento sessuale. Di qui l'importanza di chiamar le cose con il loro nome, affinché sia chiaro cosa si combatte: i trafficanti sembrano appartenere a una nebulosa lontana e irraggiungibile, ma i clienti e le vittime sono invece persone che ognuno incrocia per le strade delle città europee.

3.7

Intensificare la prevenzione significa anzitutto affrontare la questione della domanda. Finché ci saranno clienti, ci saranno trafficanti. Ridurre la domanda richiede un'educazione alla parità fra i sessi fin dalla più tenera età e in tutti gli ambienti, nonché una più grande mescolanza nelle professioni. Quando la forza lavoro è mista, quando uomini e donne praticano le stesse professioni e hanno gli stessi livelli di responsabilità, diventa più difficile crearsi delle fantasie sulle donne e vederle come un oggetto di consumo sessuale da poter acquistare. Un'educazione alla sessualità che tenga conto della dimensione affettiva e della dignità umana è essenziale. Quando i genitori tacciono sui rapporti sessuali, i giovani cercano d'informarsi su Internet, e rischiano di ricevere immagini negative che possono influire sulla loro concezione futura dei rapporti uomo-donna.

3.8

Se la dimensione di genere è importante, occorre anche un trattamento differenziato fra bambini e adulti. Va ricordato che i rapporti sessuali coi bambini sono un crimine. Occorre assegnare alla lotta contro questo fenomeno mezzi tanto più importanti in quanto, con il moltiplicarsi su Internet di siti pornografici con immagini di bambini, alcuni adulti arrivano a dimenticare o ignorare le leggi. Bisogna anche educare i bambini alla sessualità e spiegare loro il rispetto che è loro dovuto (5).

3.9

Prevenire significa anche combattere la povertà che costringe la gente a lasciare la propria patria e i contrabbandieri di esseri umani che ne approfittano. Attirati dal sogno di accedere all'opulenza occidentale, gli immigrati clandestini in situazione di vulnerabilità, senza documenti, senza denaro, senza possibilità di comunicare, con la paura di essere scoperti dalla polizia, si ritrovano alla mercé dei trafficanti, che li riducono in schiavitù nonostante fossero arrivati di propria volontà, senza essere stati costretti con la forza a lasciare il proprio paese.

3.10

Quanto al lavoro forzato, il suo aumento desta preoccupazione. Occorre inoltre analizzare attentamente gli eventuali abusi chiarendo lo status del lavoratore «alla pari» o dei pellegrini impiegati da talune istituzioni religiose, dal momento che il confine tra volontariato e lavoro forzato è a volte poco netto.

Potenziare l’azione penale nei confronti dei trafficanti

3.11

Nel suo parere precedente, il Comitato insisteva sull'aspetto finanziario delle indagini, che resta una questione di attualità. Le attività criminali connesse con la tratta degli esseri umani, infatti, sono tra le più remunerative. A livello mondiale, i profitti realizzati con lo sfruttamento delle vittime della tratta a fini di lavoro forzato sono calcolati nell'ordine di 31,6 miliardi di dollari. Di questi, 15,5 miliardi, ossia il 49 %, sono generati nei paesi industrializzati (6). Le indagini finanziarie su scala europea sono parte essenziale della caccia ai trafficanti. Il Comitato chiede la confisca dei beni prodotti dalla tratta degli esseri umani e il loro riutilizzo per risarcire le vittime e lottare contro questo fenomeno.

3.12

Un regime di protezione delle vittime che tenga conto della dimensione di genere è un altro aspetto importante da affrontare. Dato il loro ruolo fondamentale per riuscire a portare a buon fine le procedure penali contro i trafficanti, le vittime devono sentirsi al sicuro. Il loro regime di protezione deve garantir loro anche un alloggio, l'assistenza sanitaria, la sicurezza personale. Affinché il loro reinserimento sia sostenibile, le vittime dovrebbero avere la possibilità di trovare un'occupazione in un mercato del lavoro inclusivo sostenuto da finanziamenti pubblici. Solo così potranno acquisire la pratica e l'esperienza lavorative indispensabili per la loro riabilitazione e per una integrazione di successo in un mercato del lavoro aperto. Dopo essere state costrette a vivere in una situazione di emarginazione, le vittime devono essere aiutate a integrarsi nella legalità.

3.13

Occorre firmare convenzioni coi paesi d'origine degli immigrati clandestini per aiutarli a lottare più efficacemente contro i trafficanti, che non sono perseguiti per il reato di tratta degli esseri umani nonostante riforniscano le reti criminali di potenziali vittime.

Migliorare il coordinamento, la cooperazione e la coerenza

3.14

Il Comitato accoglie con favore il progetto di una coalizione europea delle imprese contro la tratta. L'impegno delle imprese è essenziale per combattere il lavoro forzato nei paesi terzi, ma anche all'interno dell'Unione europea. Questa coalizione dovrebbe estendersi alle piccole imprese subappaltatrici dei grandi gruppi nei settori in cui è nota una presenza significativa del lavoro nero: ristorazione, edilizia, agricoltura. La lotta contro la tratta degli esseri umani è una dimensione essenziale della responsabilità sociale delle imprese e riguarda anche il lavoro sommerso o il lavoro forzato nei paesi terzi, presso tutti i subappaltatori in tutte le fasi della catena di produzione. Con la globalizzazione dei processi produttivi, le imprese multinazionali hanno un ruolo fondamentale da svolgere per verificare le modalità di fabbricazione dei prodotti che utilizzano.

3.15

Allo stesso tempo, gli accordi commerciali devono recare clausole che vietino esplicitamente la circolazione di beni e servizi realizzati mediante il lavoro forzato.

3.16

È noto che la schiavitù non è scomparsa dal settore dei servizi, in particolare quelli domestici. Uno strumento di lotta contro questo tipo di abusi è stato adottato dall'OIL nel giugno 2011, con la convenzione 189 relativa a «un lavoro dignitoso per i lavoratori domestici» (7). Il CESE raccomanda ai 27 Stati membri dell'UE di ratificare rapidamente non solo tale convenzione, ma anche tutti gli strumenti internazionali che riguardano la tratta di esseri umani (8).

3.17

Il Comitato è favorevole alla creazione di una piattaforma della società civile, per consentire che in ogni associazione potenzialmente coinvolta e dotata delle competenze necessarie vengano diffuse informazioni e organizzate formazioni sulla dimensione della tratta degli esseri umani.

3.18

È essenziale nominare relatori nazionali e organizzare meglio la raccolta dei dati. Bisogna uniformare la raccolta dei dati affinché ogni paese adotti le stesse modalità. I relatori nazionali, in quanto responsabili principali della lotta contro la tratta di esseri umani, potranno coordinare l'azione dei vari servizi e delle varie associazioni coinvolte, che non sempre lavorano insieme: immigrazione, protezione dell'infanzia e della gioventù, ispettori del lavoro, associazioni di lotta contro la violenza sulle donne, ecc. Europol svolge un ruolo importante in questo caso, visto che i trafficanti non si fermano alle frontiere.

3.19

Coordinare le azioni esterne dell'UE e parlare esplicitamente della tratta degli esseri umani negli accordi di libero scambio servono per attirare l'attenzione su questo fenomeno troppo spesso mascherato o sottovalutato.

3.20

I poteri pubblici locali, e in particolare le amministrazioni comunali delle grandi città, in quanto soggetti più vicini alla realtà locale, sono nella posizione ideale per lottare contro lo sfruttamento sessuale delle vittime della tratta. Il Comitato raccomanda la creazione di un marchio, a cura di un'autorità indipendente, che individui le città più ostili alla tratta degli esseri umani e più attive contro la prostituzione e l'accattonaggio forzato. Ci sono marchi per la qualità dell'aria o dell'acqua; l'ambiente umano non è forse altrettanto importante?

3.21

È indispensabile altresì valutare l'efficacia dei finanziamenti concessi dall'UE, realizzare, divulgare, tradurre guide di buone pratiche e procedure efficaci e adeguate per i diversi soggetti, polizia, giustizia, comuni e associazioni.

Dare risposta alle preoccupazioni emergenti

3.22

Il reclutamento delle vittime e dei clienti su Internet è una minaccia di tipo nuovo. Occorre analizzarla e passare al contrattacco, utilizzando Internet e le reti sociali per diffondere un messaggio di responsabilità e rispetto per la dignità umana. Sarebbe un peccato mettere in primo piano solo i pericoli, reali, di Internet, visto che questo nuovo strumento può anche essere utilizzato per aiutare a diffondere messaggi positivi e rappresentare un mezzo di prevenzione.

Bruxelles, 13 dicembre 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU C 51 del 17.2.2011, pagg. 50-54.

(2)  GU C 48 del 15.2.2011, pagg. 138-144.

(3)  GU C 43 del 15.2.2012, pagg. 39-46.

(4)  GU C 191 del 29.6.2012, pagg. 134-141.

(5)  GU C 24 del 28.1.2012, pagg. 154-158.

(6)  Patrick Belser, Forced Labor and Human Trafficking: Estimating the Profits (Lavoro forzato e tratta degli esseri umani: una stima dei profitti), documento di lavoro, Ginevra, Ufficio internazionale del lavoro, 2005).

(7)  Convenzione dell'OIL che al momento non è stata ancora ratificata da alcuno Stato europeo (hanno proceduto alla ratifica due soli paesi, l'Uruguay e le Filippine).

(8)  Protocollo ONU per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare di donne e bambini, allegato alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale, Serie Trattati, vol. 2237, pag. 319; Convenzione sulla lotta contro la tratta di esseri umani (CETS n. 197), Consiglio d’Europa, Varsavia, 16 maggio 2005. Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, New York, 18 dicembre 1979, Serie Trattati, vol. 1249, pag. 13; Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, del 20 novembre 1989, Nazioni Unite, Serie Trattati, vol. 1577, pag. 3; Convenzione OIL sul lavoro forzato del 1930 (n. 29); Convenzione OIL sull’abolizione del lavoro forzato, 1957 (n. 105); Convenzione OIL sulle forme peggiori di lavoro minorile, 1999 (n. 182).


15.2.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/119


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio relativa al partenariato europeo per l’innovazione «Produttività e sostenibilità dell’agricoltura»

COM(2012) 79 final

2013/C 44/21

Relatore: CHIRIACO

La Commissione europea, in data 29 febbraio 2012, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio relativa al partenariato europeo per l'innovazione «Produttività e sostenibilità dell'agricoltura»

COM(2012) 79 final.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 novembre 2012.

Alla sua 485a sessione plenaria, dei giorni 12 e 13 dicembre 2012 (seduta del 12 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 125 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene necessario che l'Unione europea continui a garantire un adeguato livello di intervento pubblico nella promozione dell'innovazione in agricoltura. Al riguardo, secondo il CESE è necessario garantire un migliore coordinamento tra politiche di ricerca in senso stretto e politiche agrarie a favore dell'innovazione, con particolare riferimento a quelle finanziate dalla PAC. Il CESE ritiene, inoltre, che la discussione sul PEI «Produttività e sostenibilità dell'agricoltura» possa rappresentare l'occasione per fornire un contributo anche al processo di riforma della politica agricola comune post 2013.

1.2

Il CESE chiede che la strategia promossa con il PEI «Produttività e sostenibilità dell'agricoltura» ponga una adeguata attenzione all'obiettivo del rafforzamento e del consolidamento del settore della trasformazione industriale europea. Solo attraverso una adeguata integrazione tra i diversi anelli della catena agroalimentare sarà possibile, infatti, garantire contemporaneamente un incremento dell'offerta agricola europea, un adeguata valorizzazione ed un sicuro accesso al mercato delle produzioni primarie europee.

1.3

Il CESE ritiene necessario promuovere una riflessione sull'indicatore proposto dalla Commissione per la valutazione delle performance delle azioni PEI in termini di sostenibilità. Il CESE, infatti, pur riconoscendo il decisivo contributo che una soddisfacente funzionalità dei suoli è in grado di fornire alla sostenibilità ritiene necessario non trascurare di utilizzare altri indicatori di performance che permettano di valorizzare il contributo che alcune prassi agricole possono fornire, in particolare, alla conservazione delle risorse naturali.

1.4

Secondo il CESE il PEI «Produttività e sostenibilità dell'agricoltura» non dovrà trascurare di sostenere l’implementazione di innovazioni organizzative in grado di ottimizzare le relazione tra gli attori delle filiere agroalimentari nazionali ed europee. Un adeguato livello di redditività per gli operatori agricoli, il miglioramento del funzionamento delle catene agroalimentari di approvvigionamento, il recupero del potere di mercato dei soggetti agricoli e una più equa ripartizione del valore tra gli attori delle filiere agroalimentari rappresentano, infatti, obiettivi cruciali anche per evitare la scomparsa delle attività agricole in molte aree rurali europee.

1.5

Il CESE chiede che la Commissione assicuri una adeguata partecipazione e coinvolgimento dei rappresentanti del partenariato economico, sociale ed istituzionale agricolo nella governance del PEI al fine di promuovere la massima efficacia ed efficienza delle attività che verranno realizzate.

1.6

Il CESE ritiene che l'approccio PEI dispiegherà effetti positivi solo se i gruppi operativi potranno effettivamente trasformarsi in soggetti capaci di innescare processi di sviluppo con obiettivi misurabili, piuttosto che nuovi partenariati semplicemente indirizzati a chiedere dei finanziamenti pubblici. Il CESE, inoltre, concorda con la proposta formulata dalla Commissione europea di garantire un adeguato coordinamento dei vari gruppi operativi del PEI «Produttività e sostenibilità dell'agricoltura» mediante la creazione di una rete dei PEI nell'ambito della Rete rurale europea.

1.7

Secondo il CESE l'iniziativa PEI «Produttività e sostenibilità dell'agricoltura» fornisce un contributo importante per l'innovazione in agricoltura attraverso la messa in rete degli operatori e la connessione tra i luoghi di creazione dell'innovazione ed i luoghi di adozione. Il CESE ritiene che questo approccio dovrà permettere di avere soggetti intermedi che connettano i diversi attori coinvolti nelle traiettorie di innovazione. Secondo il CESE l'impatto del PEI «Produttività e sostenibilità dell'agricoltura» dipende infatti dall'attivo coinvolgimento di innovation brokers capaci di creare e consolidare rapporti di cooperazione per l'innovazione tra numerosi e diversi attori.

1.8

Il CESE ritiene prioritario integrare le iniziative dei gruppi operativi dei PEI con azioni nel campo del ricambio generazionale, dell’assistenza tecnica, della formazione, in particolare per i giovani agricoltori, del sostegno agli investimenti strutturali, della promozione e della valorizzazione delle produzioni agricole, della creazione di nuovi sbocchi di mercato (ad esempio filiere corte) e della diversificazione del reddito di impresa mediante un accesso prioritario alle risorse presenti nei programmi di sviluppo rurale.

1.9

Il CESE chiede l’attivazione di specifiche misure che garantiscano coordinamento e sinergia tra il PEI «Produttività e sostenibilità dell'agricoltura» e gli altri in materia di «Materie prime» e «Acqua».

2.   I partenariati europei per l'innovazione (PEI)

2.1

La Commissione europea nella comunicazione Iniziativa faro Europa 2020 - L'Unione dell'innovazione propone i partenariati europei per l'innovazione (PEI) (1). La Commissione ritiene che i PEI dovranno contribuire a risolvere diverse problematiche di grande importanza per la società tra cui quella di rendere disponibili alimenti sani o di alta qualità grazie a metodi produttivi sostenibili.

2.2

La Commissione europea ha finora promosso un primo partenariato sperimentale in materia di invecchiamento attivo e in buona salute (2). Parallelamente sono state presentate le seguenti tre proposte di partenariato:

Materie prime (3);

Produttività e sostenibilità dell'agricoltura (4);

Acqua (5).

2.3

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ha già manifestato interesse nei riguardi del partenariato europeo. Nonostante ciò, ha ricordato le numerose misure e procedure generali che sono già state assunte al riguardo. Il CESE ha segnalato, infatti, la necessità di tenere conto di queste esperienze dando seguito alle iniziative intraprese. Secondo il CESE, tutto il lavoro già realizzato finora dalla Commissione e dalle altre parti interessate dovrà essere riconosciuto, consolidato e utilizzato nella costruzione di nuove iniziative. Al riguardo, il CESE raccomandava di garantire la necessaria armonizzazione delle nuove misure e degli strumenti proposti per renderli compatibili con i processi già in corso, al fine di evitare ulteriori complicazioni e duplicazioni e per assicurare la continuità, la certezza giuridica e la stabilità necessarie (6). Il CESE chiedeva, infine, di garantire il rispetto del principio di volontarietà, la geometria variabile, la trasparenza e una forma di governance chiara e facilmente gestibile nell'implementazione dei partenariati europei per l'innovazione (7).

3.   Sintesi della comunicazione

3.1

La Commissione europea ha presentato nell'ambito dell'iniziativa L'Unione dell'innovazione una comunicazione per la promozione di un nuovo partenariato europeo per l'innovazione nel campo della «Produttività e sostenibilità dell'agricoltura».

3.2

La Commissione europea assegna al PEI «Produttività e sostenibilità dell'agricoltura» due obiettivi:

Promuovere la produttività e l'efficienza del settore agricolo invertendo entro il 2020 la recente tendenza alla diminuzione dell'incremento di produttività;

Garantire la sostenibilità dell'agricoltura conseguendo il raggiungimento, entro il 2020, di un livello soddisfacente di funzionalità dei suoli.

In questo senso il PEI intende contribuire all'efficace collegamento tra la ricerca e la tecnologia più all'avanguardia e i soggetti interessati, tra cui gli agricoltori, le imprese, l'industria, i servizi di consulenza e le ONG.

4.   Considerazioni generali

4.1

Il CESE sostiene l'iniziativa promossa dalla Commissione per il lancio dei partenariati europei per l'innovazione (PEI). Il CESE, in particolare, concorda con la scelta della Commissione di riservare una specifica iniziativa nell'ambito dei PEI al tema della «Produttività e sostenibilità dell'agricoltura». Secondo il CESE, infatti, questa iniziativa può rappresentare una interessante occasione anche per promuovere una riflessione tra gli stakeholder agroalimentari finalizzata all'identificazione di obiettivi prioritari strategici di sviluppo per l'agricoltura europea verso il 2050. Al riguardo il CESE invita la Commissione a tenere conto di alcune sue proposte formulate in alcuni sui precedenti pareri (8).

4.2

Il CESE ritiene che una delle principali sfide per il futuro dell'agricoltura sia rappresentata dall'individuazione di un paradigma produttivo che permetta di rendere compatibile la produzione agricola con il rispetto dell'ambiente e della sostenibilità. Il raggiungimento di questo obiettivo è reso complesso da alcuni elementi che concorrono a definire recentemente lo scenario che caratterizza l'agroalimentare a livello mondiale. La fluttuazione dei prezzi delle derrate agricole, la finanziarizzazione del settore agricolo, la crescente utilizzazione dei prodotti agricoli a fini energetici e le implicazioni della crisi economica globale rappresentano seri ostacoli alla creazione di nuove prassi agricole più produttive e sostenibili. Al riguardo il CESE, evidenziando l'importanza della ricerca e dell'innovazione, ritiene che il PEI «Produttività e sostenibilità dell'agricoltura» possa fornire un importante contributo per affrontare questa decisiva sfida per il futuro dell'agricoltura europea.

4.3

Il CESE evidenzia che le performance in termini di competitività dell'intero sistema agroalimentare europeo sono influenzate in maniera decisiva dal contributo fornito dai settori della trasformazione industriale e della commercializzazione alimentare. Al riguardo il CESE invita la Commissione a non sottovalutare il contributo che le importazioni di materie prime agricole forniscono ai risultati economici conseguiti della filiere agroalimentari europee. Al riguardo la strategia promossa con il PEI «Produttività e sostenibilità dell'agricoltura» dovrà porre adeguata attenzione all'obiettivo del rafforzamento e del consolidamento del settore della trasformazione industriale europea. Solo attraverso una adeguata integrazione tra i diversi anelli della catena agroalimentare sarà possibile, infatti, garantire contemporaneamente un incremento dell'offerta agricola europea, un adeguata valorizzazione ed un sicuro accesso al mercato delle produzioni primarie europee.

4.4

Il CESE rileva che la Commissione, nell'ambito della comunicazione, non propone una definizione di produttività in agricoltura. Una riflessione sul concetto di produttività in agricoltura deve necessariamente partire da una definizione condivisa di output agricolo. Il CESE in diversi pareri (9) ha, infatti, sottolineato l'importanza di preservare il modello agricolo europeo (MAE) ricordando come la popolazione dell'Unione si preoccupi delle varie funzioni dell'agricoltura (produzione di alimenti e fibre, protezione dell'ambiente e dello sviluppo rurale, contributo alla vivibilità delle aree rurali, sviluppo territoriale equilibrato, qualità alimentare e benessere animale). Secondo il CESE, quindi, ogni sforzo di promuovere e migliorare la produttività in agricoltura dovrebbe essere focalizzato sull'obiettivo di valorizzare il carattere multifunzionale dell'agricoltura, promuovendo uno sviluppo equilibrato del settore e non trascurando nessuno degli output del MAE.

4.5

Secondo il CESE, il concetto di produttività agricola non dovrebbe inoltre trascurare di valorizzare il contributo che i diversi fattori forniscono alla produzione. Infatti, molte analisi sulla produttività agricola tendono a valorizzare esclusivamente il contributo dei fattori tecnici (suolo, acqua, concimi, fitofarmaci, sementi), dimenticando di sottolineare il contributo fondamentale fornito dal fattore umano soprattutto per la realizzazione delle produzioni di qualità. Secondo il CESE, quindi, non sarà possibile definire una strategia di promozione e valorizzazione della produttività in agricoltura senza adottare idonee azioni (formazione, sicurezza) per il miglioramento della qualità del lavoro agricolo.

4.6

In vista dell'implementazione del PEI «Produttività e sostenibilità dell'agricoltura», il CESE ritiene opportuno promuovere una riflessione sul concetto di sostenibilità anche al fine di tener conto delle peculiarità del MAE nonché delle evoluzioni e delle sfide che caratterizzano lo scenario globale. In merito al rapporto tra agricoltura e sostenibilità, il CESE intende, innanzitutto, ricordare il contributo fornito dalla multifunzionalità al raggiungimento di questo obiettivo. Al riguardo, il CESE ritiene opportuno evidenziare che la multifunzionalità è un carattere peculiare insito dell'agricoltura e che pertanto va salvaguardato e valorizzato anche nell'ottica di promuovere lo sviluppo sostenibile.

4.7

Il CESE ricorda i notevoli progressi compiuti dal settore agricolo europeo nei riguardi delle tre componenti dello sviluppo sostenibile (economica, sociale e ambientale). Il CESE ricorda però che lo sviluppo sostenibile non può essere garantito senza rivolgere un'adeguata attenzione alla dimensione istituzionale della sostenibilità. Per questo, il CESE intende evidenziare la necessità di promuovere anche mediante le azioni del PEI «Produttività e sostenibilità dell'agricoltura» un adeguato livello di partecipazione e di coinvolgimento di tutti gli attori del settore agricolo per massimizzare il contributo che il MAE può fornire all'obiettivo dello sviluppo sostenibile.

4.8

Il CESE concorda con la scelta della Commissione di individuare nella sostenibilità dell'agricoltura uno degli obiettivi prioritari del PEI. Al riguardo il CESE ritiene però necessario promuovere una riflessione sull'indicatore proposto dalla Commissione per la valutazione delle performance delle azioni PEI in termini di sostenibilità. Il CESE, infatti, pur riconoscendo il decisivo contributo che una soddisfacente funzionalità dei suoli è in grado di fornire alla sostenibilità ritiene necessario non trascurare di utilizzare altri indicatori di performance che permettano di valorizzare il contributo che alcune prassi agricole possono fornire, in particolare, alla conservazione delle risorse naturali.

4.9

Il CESE ritiene infine opportuno promuovere un approfondimento sul concetto di innovazione in agricoltura che permetta di evidenziare e considerare le peculiarità del MAE. Tra gli anni «60 e »80, anche grazie alle innovazioni introdotte con la rivoluzione verde, si è registrato un deciso aumento della produzione agricola. Questo miglioramento delle performance produttive è avvenuto, però, a discapito della sostenibilità ambientale dell'agricoltura per l'uso sempre più massivo di prodotti chimici (fertilizzanti, erbicidi e pesticidi) e di carburanti per le lavorazioni meccanizzate. Sebbene il CESE sia convinto che la sicurezza alimentare rappresenti un diritto umano fondamentale, ritiene che quello della rivoluzione verde non rappresenti il paradigma per affrontare in futuro questa cruciale sfida globale. In questo senso, i processi innovativi in agricoltura dovranno essere rivolti a sostenere una strategia organica di sviluppo per il settore che, puntando sull'uso efficiente di tutti i fattori produttivi (suolo, acqua, lavoro, energia) e sulla valorizzazione delle produzioni di qualità, sostenga il carattere multifunzionale dell'agricoltura.

4.10

Il CESE è convinto sostenitore dell'importanza di valorizzare e difendere il MAE. È necessario, infatti, riconoscere il carattere multifunzionale dell'agricoltura valorizzando il contributo che essa è in grado di fornire all'obiettivo di garantire uno sviluppo sostenibile. Questo ampliamento delle funzioni e dei compiti assegnati all'agricoltura determina la necessità di ripensare le strategie innovative rivolte al settore. Secondo il CESE, vanno, infatti, ridefiniti i confini e gli ambiti di intervento ricordando le crescenti interazioni esistenti tra l'agricoltura e gli altri settori produttivi. In questo senso, le strategie di intervento innovativo dovranno essere sempre meno settoriali e sempre più rivolte a quell'insieme di attività che vanno sotto il nome di bioeconomia.

4.11

Il CESE invita la Commissione a non trascurare nessuna forma di innovazione potenzialmente implementabile nel settore agricolo. Al riguardo, non sottovalutando l'importanza di garantire un adeguato supporto alla creazione e diffusione dell'innovazione di processo in agricoltura, il CESE invita a prestare maggiore attenzione alle innovazioni implementabili nell'ambito delle fasi di commercializzazione, a quelle connesse alla sperimentazione di nuove forme di organizzazione di imprese e a quelle finalizzate a ottimizzare le relazione tra gli attori delle filiere agroalimentari nazionali ed europee.

4.12

In merito alle innovazioni di prodotto, il CESE ricorda la crescente attenzione manifestata dai soggetti privati in merito allo sviluppo, alla diffusione e alla commercializzazione dei functional foods. Il CESE, non trascurando l'importanza economica e sanitaria di queste nuove tipologie merceologiche, evidenzia la necessità di sostenere processi di innovazione di prodotto che, pure integrando le iniziative private, tengano maggiormente conto della necessità di produrre sostanziali benefici per l'intera collettività.

4.13

Il CESE ritiene che la Commissione abbia assegnato obiettivi molto ambiziosi al PEI «Produttività e sostenibilità dell'agricoltura». Secondo il CESE, per garantire il miglior esito all'iniziativa è necessario assicurare la massima sinergia tra il PEI «Produttività e sostenibilità dell'agricoltura» e le diverse politiche comunitarie (Imprese, Azioni per il clima, Politiche intersettoriali, Economia, finanze e fiscalità, Occupazione e diritti sociali, Energia e risorse naturali, Ambiente, consumatori e salute, Relazioni esterne e affari esteri, Regioni e sviluppo locale, Scienza e tecnologia). Al riguardo particolare attenzione dovrà essere posta per garantire coerenza tra l'iniziativa PEI e i contenuti e gli strumenti della politica agricola comune.

4.14

Il CESE ritiene importante evidenziare l'impatto che le scelte assunte dall'UE in materia di politiche commerciali possono avere in termini di performance di produttività dei settori agricoli. Per le colture proteaginose ad esempio la scelta comunitaria di ridurre le forme di sostegno ha determinato una perdita di competitività degli operatori europei del settore. Secondo il CESE questo caso evidenzia che il miglioramento delle produttività di alcuni settori agricoli non dipende esclusivamente dall'aumento delle risorse trasferite al settore ma può essere anche conseguito non trascurando di adottare efficaci misure commerciali. Al riguardo è opportuno evidenziare che nell'ottica di garantire la redditività degli agricoltori è necessario che ad ogni politica finalizzata all'incremento della produttività agricola, corrispondano interventi che garantiscano il necessario accesso al mercato all'incremento nella quantità delle produzioni agricole realizzato.

4.15

Il CESE ricorda che il mondo nel suo complesso ed i singoli paesi hanno tratto enormi benefici dalla crescita della produttività in agricoltura. Una parte notevole di questi benefici è da assegnare al progresso tecnologico derivante dagli investimenti pubblici svolti nei campi della ricerca e sviluppo nel settore agricolo. Le evidenze empiriche disponibili suggeriscono che comunque i benefici sono stati molto superiori ai costi. Secondo il CESE è necessario che l'Unione europea continui a garantire un adeguato livello di intervento pubblico nella promozione dell'innovazione in agricoltura. Al riguardo, secondo il CESE è necessario garantire un migliore coordinamento tra politiche di ricerca in senso stretto e politiche agrarie a favore dell'innovazione, con particolare riferimento a quelle finanziate dalla PAC. È opportuno migliorare il contributo che sia i pagamenti diretti disaccoppiati del primo pilastro sia le misure strutturali dello sviluppo rurale possono fornire alla diffusione del progresso tecnico.

4.16

Il CESE evidenzia che la discussione sul PEI «Produttività e sostenibilità dell'agricoltura» avviene parallelamente a quella che riguarda il nuovo quadro finanziario pluriennale dell'Unione europea. Al momento infatti non è ancora nota con certezza l'entità delle risorse che l'UE intende destinare alla realizzazione delle diverse politiche comunitarie. Il CESE ritiene importante che l'UE, in coerenza con gli obiettivi della strategia Europa 2020, sostenga adeguatamente i programmi di ricerca e di innovazione realizzati a livello europeo. Con riguardo al settore agricolo il CESE chiede che sia almeno garantito lo stanziamento di 5,1 miliardi di euro espressamente riservato alla ricerca e innovazione in agricoltura previsto nell'ambito della proposta di QFP 2014-2020.

5.   Considerazioni specifiche

5.1

Il CESE apprezza lo sforzo condotto dalla Commissione europea di introdurre una nuova forma di governance per l'implementazione dei processi di innovazione, ma chiede chiarimenti in merito ai criteri che verranno utilizzati per la definizione della composizione del consiglio direttivo che sovraintenderà alla definizione del programma pluriennale strategico di lavoro del PEI.

5.2

Il CESE ritiene importante garantire la massima sinergia tra il PEI «Produttività e sostenibilità dell'agricoltura» e le altre esperienze finora promosse dalla Commissione in materia di promozione dell'innovazione di settore (Comitato permanente per la ricerca agricola, ERA-NET e piattaforme tecnologiche europee). Già in precedenza, il CESE (10) aveva evidenziato il valore aggiunto e i benefici derivanti dalla programmazione congiunta nel settore della ricerca agricola in termini di impatto sulla competitività europea. Il CESE chiede, inoltre, delucidazioni sulle misure che saranno assunte per garantire il coordinamento e la sinergia tra il PEI «Produttività e sostenibilità dell'agricoltura» e gli altri in materia di «Materie prime» e «Acqua».

5.3

Il CESE ritiene che il quadro presentato dalla Commissione in merito al PEI «Produttività e sostenibilità dell'agricoltura» sia molto ambizioso. Secondo il CESE l'approccio bottom up proposto per il funzionamento dei gruppi operativi è, infatti, da considerare come una positiva innovazione. Il CESE, parallelamente, propone una riflessione in merito alle potenziali problematiche e difficoltà in termini di governabilità che potrebbero originarsi nell'implementazione della nuova strategia PEI. Secondo il CESE, infatti, l'approccio PEI dispiegherà effetti positivi solo se i gruppi operativi potranno effettivamente trasformarsi in soggetti capaci di innescare processi di sviluppo con obiettivi misurabili, piuttosto che nuovi partenariati semplicemente indirizzati a chiedere dei finanziamenti pubblici.

5.4

Secondo il CESE, è necessario garantire che l'implementazione dell'approccio PEI avvenga senza creare ulteriori difficoltà e complicazioni ai soggetti potenzialmente coinvolti nei gruppi operativi. In particolare, il CESE sottolinea che l'attuazione dell'iniziativa PEI potrebbe generare dei costi amministrativi per le autorità di gestione e gli organismi pagatori coinvolti nelle attività di selezione, pagamento, monitoraggio e controllo connesse all'implementazione dell'approccio PEI. Secondo il CESE, questa eventualità rischia di depotenziare il valore aggiunto dell'iniziativa PEI, anche in termini di rapporto tra benefici e costi.

5.5

Il CESE si compiace del fatto che la Commissione, per l'implementazione del PEI «Produttività e sostenibilità dell'agricoltura», adotti l'approccio sistemico proposto dalla Banca mondiale con l'Agricultural Innovation System – AIS finalizzato alla creazione di una rete di organizzazioni, imprese e individui con l'obiettivo di portare sul mercato nuovi prodotti, nuovi processi e nuove forme di organizzazione, di concerto con le istituzioni e con le politiche che influenzano il modo in cui diversi agenti interagiscono, condividono, accedono, scambiano e valorizzano le conoscenze. Questo approccio evidenzia l'importanza di avere soggetti intermedi che connettono i diversi attori coinvolti nelle traiettorie di innovazione. Secondo il CESE l'impatto del PEI «Produttività e sostenibilità dell'agricoltura» dipende quindi dall'attivo coinvolgimento di innovation brokers capaci di creare e consolidare rapporti di cooperazione per l'innovazione tra numerosi e diversi attori.

5.6

Il CESE concorda con la proposta formulata dalla Commissione europea di garantire un adeguato coordinamento dei vari gruppi operativi del PEI «Produttività e sostenibilità dell'agricoltura» mediante la creazione di una rete dei PEI nell'ambito della Rete rurale europea. Al riguardo il CESE richiede maggiori chiarimenti su quelli che saranno i provvedimenti operativi che saranno assunti dalla Commissione europea per mettere la Rete rurale europea nelle condizioni di svolgere questo nuovo compito con particolare riguardo alle azioni finalizzate alla formazione del personale con adeguate abilità e competenze.

5.7

Le nuove sfide globali (liberalizzazione dei mercati, aumento della popolazione e scarsità delle risorse naturali) determinano una crescente attenzione al tema dell'innovazione in agricoltura. Le evidenze disponibili mostrano criticità connesse ad una velocità di innovazione inferiore a quella auspicata e al prevalere di tipologie di innovazione classiche, quali quelle meccaniche e quelle varietali, su quelle legate a nuovi mercati, trasformazione diretta, nuove tecniche di coltivazione e certificazioni. Secondo il CESE l'iniziativa PEI «Produttività e sostenibilità dell'agricoltura» fornisce un contributo importante per l'innovazione in agricoltura attraverso la messa in rete degli operatori e la connessione tra i luoghi di creazione dell'innovazione ed i luoghi di adozione.

5.8

Il CESE ricorda che la propensione all'innovazione in agricoltura è altresì influenzata dalle caratteristiche individuali dell'imprenditore o della sua famiglia, dalle peculiarità strutturali dell'azienda e dalle condizioni di mercato e di contesto generale (culturale ed istituzionale) in cui opera l'azienda. Al riguardo il CESE ritiene prioritario integrare le iniziative dei gruppi operativi dei PEI con azioni nel campo del ricambio generazionale, dell’assistenza tecnica, della formazione, in particolare per i giovani agricoltori, del sostegno agli investimenti strutturali, della promozione e della valorizzazione delle produzioni agricole, della creazione di nuovi sbocchi di mercato (ad esempio filiere corte) e della diversificazione del reddito di impresa mediante un accesso prioritario alle risorse presenti nei programmi di sviluppo rurale.

5.9

Il CESE ricorda che, nell'ambito della programmazione dello sviluppo rurale 2007-2013, è stata introdotta una nuova misura finalizzata alla promozione di esperienze di «cooperazione per lo sviluppo di nuovi prodotti, processi e tecnologie nei settori agricolo e alimentare e in quello forestale» (11). Il CESE ritiene opportuno garantire coordinamento e sinergia tra le azioni del PEI «Produttività e sostenibilità dell'agricoltura» e queste esperienze finora maturate nell'ambito dello sviluppo rurale. Al riguardo, sarebbe opportuno analizzare, attraverso i risultati delle valutazioni intermedie dei PSR, le criticità e i punti di forza finora emersi nell'implementazione dei progetti di cooperazione, per farne tesoro nella progettazione operativa delle azioni PEI «Produttività e sostenibilità dell'agricoltura».

Bruxelles, 12 dicembre 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  COM(2010) 546 final - Iniziativa faro Europa 2020 - L'Unione dell'innovazione.

(2)  COM(2012) 83 final - Portare avanti il piano strategico di attuazione del partenariato europeo per l'innovazione nell'ambito dell'invecchiamento attivo e in buona salute.

(3)  COM(2012) 82 final - Garantire l'accesso alle materie prime per il futuro benessere dell'Europa - proposta di partenariato europeo per l'innovazione concernente le materie prime.

(4)  COM(2012) 79 final - Partenariato europeo per l'innovazione - Produttività e sostenibilità dell'agricoltura.

(5)  COM(2012) 216 final - Partenariato europeo per l'innovazione relativo all'acqua.

(6)  Parere CESE sul tema L'Unione dell'innovazione (GU C 132 del 3.5.2011, pag. 39, punto 3.5).

(7)  Parere CESE sul tema L'Unione dell'innovazione (GU C 132 del 3.5.2011, pag. 39, punto 4.4).

(8)  Parere CESE sul tema Il futuro dei giovani agricoltori europei (GU C 376 del 22.12.2011, pag. 19-24, punto 3.5) e parere CESE sul tema Il ruolo della donna nell'agricoltura e nelle zone rurali (GU C 299 del 4.10.2012, pag. 29-33).

(9)  Parere CESE sul tema Riforma della PAC nel 2013 (GU C 354 del 28.12.2010, pagg. 35-42, parere CESE sul tema La PAC verso il 2020 (GU C 191 del 29.6.2012, pagg. 116-129) e parere CESE sul tema Futuro della PAC (GU C 132 del 3.5.2011, pagg. 63-70).

(10)  Parere CESE sul tema Ricerca agricola (GU C 128 del 18.5.2010, pag. 107, punto 1.3).

(11)  Articolo 29, regolamento (CE) 1698/05 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR).


15.2.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/125


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1342/2008 del Consiglio, del 18 dicembre 2008, che istituisce un piano a lungo termine per gli stock di merluzzo bianco e le attività di pesca che sfruttano tali stock

COM(2012) 498 final

2013/C 44/22

Relatore unico: BURNS

Il Consiglio, in data 1o ottobre 2012, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 43, paragrafo 2, del TFUE, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1342/2008 del Consiglio, del 18 dicembre 2008, che istituisce un piano a lungo termine per gli stock di merluzzo bianco e le attività di pesca che sfruttano tali stock

COM(2012) 498 final.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 novembre 2012.

Alla sua 485a sessione plenaria, dei giorni 12 e 13 dicembre 2012 (seduta del 12 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 131 voti favorevoli, 1 voto contrario e 2 astensioni.

1.   Conclusione

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la proposta di regolamento in oggetto. Restano tuttavia irrisolte alcune questioni che, pur limitate di numero, sono comunque importanti. La priorità immediata è quella di adottare al più presto il nuovo regolamento.

2.   Introduzione

2.1

La revisione del piano a lungo termine per gli stock di merluzzo bianco (1) è una questione di importanza fondamentale non soltanto per il benessere degli stock interessati, ma anche perché tale piano è all'origine del controllo dello sforzo di pesca (numero di giorni di attività in mare) di numerose flotte. Esso prevede riduzioni automatiche annue sia dello sforzo che del totale ammissibile di catture (TAC) qualora si verifichino determinate condizioni biologiche. Le riduzioni si applicano indipendentemente da un eventuale miglioramento dello stock, cioè nel caso in cui tale miglioramento non sia rigorosamente conforme alle condizioni stabilite nel piano. Le riduzioni imposte allo sforzo di pesca sono state molto consistenti: prendendo ad esempio la flotta scozzese adibita alla pesca del coregone, entro il 2014 i giorni di attività in mare per ciascuna nave dovrebbero dimezzarsi rispetto al 2011. Anche se le riduzioni dello sforzo sono volte a ridurre, in modo proporzionale, la mortalità del merluzzo bianco, dimezzando il tempo trascorso in mare si dimezza l'intera attività di pesca.

3.   Contesto

3.1

Un primo piano per la ricostituzione degli stock di merluzzo bianco è stato istituito all'inizio del 2004 (2) e poi seguito, ai primi del 2009, dall'attuale piano a lungo termine per gli stock di merluzzo bianco. Gli strumenti di gestione dello sforzo previsti dai due piani con l'obiettivo di ridurre la mortalità per pesca consistono in una riduzione del TAC (misurato in sbarchi) e, più particolarmente nel piano attuale, in una riduzione automatica dello sforzo di anno in anno. Riprendendo l'esempio di cui sopra, le misure per la ricostituzione degli stock di merluzzo bianco hanno avuto ripercussioni sostanziali su tutta la flotta scozzese. Più in particolare, l'autoriduzione dello sforzo di pesca in conformità del piano attuale ha prodotto danni economici molto gravi, senza apportare agli stock i benefici previsti.

3.2

Ai sensi dell'articolo 34 del regolamento n. 1342/2008, il piano in vigore avrebbe dovuto essere modificato «al più tardi nel terzo anno di applicazione del […] regolamento». La revisione in corso è quindi già in ritardo sui tempi. Dopo alcuni messaggi poco chiari da parte della commissaria responsabile a fine 2012, la Commissione europea esprime ora l'intenzione di proporre un piano pluriennale, destinato a più specie, in sostituzione di quello specifico per il merluzzo bianco. Ciò richiederà chiaramente del tempo, soprattutto perché il supporto scientifico non è ancora disponibile. Tuttavia, tra gli Stati membri in cui si pratica la pesca vi è ora un forte consenso riguardo alla inaccettabilità di autoridurre ulteriormente lo sforzo di pesca.

3.3

Dal momento che nel prossimo futuro non è prevista una revisione integrale del piano, la Commissione ha presentato una proposta di modifica a breve termine. Un'ulteriore complicazione è costituita dalla necessità di adeguare al più presto il piano attuale al TFUE, in quanto il Consiglio non ha più il potere giuridico di avviare da solo un'azione nell'ambito del piano. Ciò creerà degli ostacoli giuridici a un'eventuale azione immediata, lanciata dal Consiglio entro la fine del 2012 per alleviare gli effetti di un'eccessiva riduzione dello sforzo di pesca.

4.   Fattori scientifici

4.1

Il piano relativo al merluzzo bianco è stato valutato formalmente dal Consiglio internazionale per l'esplorazione del mare (CIEM) e dal Comitato scientifico, tecnico ed economico per la pesca (CSTEP) nel 2011. Il Consiglio consultivo regionale per il Mare del Nord (NSRAC) e il Consiglio consultivo regionale per le acque nordoccidentali (NWWRAC) hanno entrambi contribuito a questo processo, formulando insieme agli organi scientifici le seguenti considerazioni:

al momento il piano per il merluzzo bianco non riesce a conseguire il suo obiettivo primario di ridurre la mortalità per pesca di questa specie.

Al pari dell'industria della pesca, lo CSTEP ritiene che non ci si dovrebbe attendere che la mortalità per pesca segua in modo lineare l'andamento degli sforzi di pesca.

Una valutazione analitica completa è disponibile solo per il Mare del Nord. Per la Scozia occidentale esiste una valutazione che indica però solo le tendenze. Nel Mare del Nord la mortalità per pesca è effettivamente calata, mentre è aumentata la biomassa riproduttiva, ma non al ritmo richiesto nel piano. Si osservi che il piano per la ricostituzione degli stock di merluzzo bianco del 2004 aveva stabilito un obiettivo di mortalità per massa che sta per essere raggiunto, quando invece aveva previsto che per la ricostituzione di tali stock sarebbero stati necessari 10 anni.

Nella Scozia occidentale, nonostante un fortissimo calo dei livelli di sforzo, la mortalità per pesca resta complessivamente elevata. Si conclude pertanto che entrano in gioco altri fattori, compresa una sottovalutazione del fenomeno predatorio.

Considerando che qualunque valutazione formale degli stock presenta un ritardo dovuto al tempo necessario per portarla a termine e che in genere il giudizio espresso dai pescatori coinvolti costituisce una previsione accurata dei risultati, la ricostituzione degli stock di merluzzo bianco risulta in realtà in una fase ben più avanzata rispetto a quanto suggerito nei pareri.

5.   Osservazioni generali

5.1

In linea generale il CESE accoglie positivamente la proposta. Le modifiche al piano attuale, se attuate correttamente, dovrebbero contribuire a raggiungere gli obiettivi e ad evitare ulteriori danni economici senza alcun vantaggio biologico.

6.   Osservazioni specifiche

6.1   Valori di riferimento e utilizzo

6.1.1

L'articolo 4 viene modificato in modo da escludere la possibilità (non intenzionale da parte del legislatore) che gli Stati membri esercitino livelli di sforzo superiori a quanto previsto dal piano ricorrendo semplicemente a metodi diversi per il calcolo dello sforzo al momento di fissare i valori di riferimento e di determinare l'utilizzo dello sforzo.

6.1.2

Il CESE, pur restando dell'avviso che il controllo dello sforzo si è dimostrato uno strumento impreciso e ampiamente inefficace, giudica ragionevole e logico chiedere agli Stati membri di determinare l'utilizzo annuo dello sforzo adottando un metodo coerente con quello utilizzato per fissare i valori di riferimento.

6.2   Stock su cui non siano disponibili informazioni sufficienti

6.2.1

All'articolo 9 (procedimento per la fissazione dei TAC in assenza delle informazioni necessarie per applicare gli articoli 7 o 8) si propone di sostituire alle riduzioni automatiche del 25 % un approccio individualizzato (e dunque più flessibile), ma sempre saldamente ancorato ai pareri scientifici disponibili.

6.2.2

La facoltà per il Consiglio di applicare una riduzione degli sforzi di pesca e dei TAC inferiore alla riduzione automatica del 25 % richiesta dal piano attuale nei casi in cui non siano disponibili valutazioni analitiche costituisce una proposta sensata e adeguata, che consentirà al Consiglio di adottare un approccio individualizzato avvalendosi dei pareri scientifici più completi a disposizione.

6.3   Esclusione delle navi che catturano quantitativi trascurabili di merluzzo bianco

6.3.1

L'ex articolo 11 viene diviso in articolo 11, articolo 11 bis e articolo 11 ter. Anziché esentare i gruppi di navi specificati da ciascuno Stato membro, le esclusioni sono ora basate su criteri generalmente applicabili a tutte le navi che li soddisfano, indipendentemente dallo Stato di appartenenza. L'articolo modificato evita inoltre al Consiglio di dover adeguare costantemente il valore di riferimento.

6.3.2

Le barriere amministrative da superare per ottenere l'esclusione di navi che catturano quantitativi trascurabili di merluzzo bianco sono risultate sproporzionate e hanno vanificato l'intenzione del dispositivo in esame. Il CESE accoglie pertanto con favore questo snellimento delle disposizioni in materia di esclusioni.

6.3.3

Sono necessari alcuni chiarimenti su come funzionerebbero le nuove esclusioni di fronte al potenziale sovrapporsi di elementi quali la selettività dell'attrezzatura da pesca, la distribuzione spaziale delle catture e la profondità. Per esempio, alcuni attrezzi utilizzati in zone ad alta intensità di merluzzo bianco catturano pochissimi esemplari di questa specie, mentre altri attrezzi utilizzati in zone con una presenza relativamente scarsa di merluzzi bianchi ne possono catturare contingenti elevati.

6.3.4

I consigli consultivi regionali (RAC) dovrebbero essere coinvolti nella definizione dei criteri utilizzati per individuare le zone ad alta densità di merluzzo bianco e delle modalità di applicazione pratica del nuovo approccio.

6.3.5

Le misure transitorie introdotte fanno sì che i gruppi di navi già esentati dal regime siano soggetti ai criteri in vigore al momento dell'esclusione.

6.3.6

È sensato mantenere una certa continuità nel caso dei gruppi di navi che già soddisfano i criteri di esclusione esistenti.

6.4   Esclusione delle attività di pesca pienamente documentata dal regime di gestione dello sforzo

6.4.1

Viene inserito un nuovo articolo 11 quater. Sono esentate dal regime dello sforzo di pesca le navi che partecipano a prove di attività di pesca pienamente documentata, nell'ambito delle quali tutte le catture vengono imputate al contingente.

6.4.2

È assolutamente logico esentare dal regime dello sforzo le navi in grado di documentare integralmente le loro catture, in quanto il loro contributo alla mortalità del merluzzo bianco è totalmente registrato e imputato al contingente autorizzato. Non vi è pertanto ragione di continuare a includerle in tale regime. Il CESE, tuttavia, non riesce a comprendere la motivazione del divieto di trasferire contingenti di merluzzo bianco da e verso le navi escluse dal regime. L'elemento più rilevante è che si può dimostrare una riduzione sostanziale dei rigetti nel Mare del Nord sin dall'introduzione delle attività di pesca pienamente documentata. Nella peggiore delle ipotesi, il CESE ritiene che questa disposizione così mal concepita impedirà alle navi di partecipare alle prove di attività di pesca contingentata, rivelandosi pertanto del tutto controproducente. Il CESE ritiene necessarie ulteriori informazioni da parte degli Stati membri, nonché ulteriori discussioni per chiarire questa posizione; in generale, però, la gestione dei contingenti rientra tra i settori di competenza degli Stati membri e tale dovrebbe restare.

6.5   Flessibilità nella definizione dei TAC e dei livelli di sforzo

6.5.1

All'articolo 12, paragrafo 4, le modifiche vengono introdotte sulla base degli stessi motivi invocati per l'articolo 9.

6.5.2

All'articolo 12 viene aggiunto un nuovo paragrafo 6, che prevede la possibilità per il Consiglio di decidere di non applicare ulteriori riduzioni dello sforzo di pesca una volta che il massimale di sforzo sia stato ridotto per quattro anni consecutivi.

6.5.3

La facoltà conferita al Consiglio di congelare le riduzioni dello sforzo di pesca richieste dal piano è fondamentale, in quanto consente di evitare danni socioeconomici gravi e irreversibili a carico delle imprese e delle comunità di pesca. Gli Stati membri, i RAC, ma anche lo CSTEP hanno messo in risalto il carattere impreciso e sproporzionato di questo approccio e le sue conseguenze spesso controproducenti. La conseguenza più saliente di questa nuova flessibilità sarà una riduzione anticipata dei rigetti.

6.6   Periodo di gestione della composizione delle catture

6.6.1

L'articolo 13 viene riformulato per eliminare possibili interpretazioni divergenti tra le varie versioni linguistiche. Viene ora chiarito che la condizione secondo cui le catture di merluzzo bianco devono essere inferiori al 5 % del totale si riferisce alla composizione delle catture nell'arco del periodo di gestione e non in una singola bordata.

6.6.2

Nel contesto della riforma in atto della politica comune della pesca e di un possibile obbligo di sbarcare tutte le catture, si accolgono con favore le modifiche proposte, che avrebbero l'effetto di ridurre i rigetti di merluzzi adulti. In questo senso dovrebbe rivelarsi utile la possibilità di soddisfare secondo criteri di flessibilità i requisiti relativi al 5 % della composizione delle catture nel corso dell'intero periodo di gestione.

6.7   Riduzione dei rigetti

6.7.1

All'articolo 14 si rafforza l'obbligo per gli Stati membri di affrontare il problema dei rigetti (cosa che non avviene nell'ambito della normativa vigente), e il livello di controllo e monitoraggio viene determinato sulla base della gestione del rischio.

6.7.2

Il CESE è fermamente convinto che, per garantire in futuro la ricostituzione degli stock di merluzzo bianco, le navi da pesca dovranno utilizzare vari tipi di attrezzature per evitarne la cattura e, nell'industria ittica, gli incentivi economici dovranno andare di pari passo con gli obiettivi di gestione. Le iniziative volte a 0evitare la cattura del merluzzo bianco si sovrappongono in larga misura con quelle per la riduzione dei rigetti. Di fronte allo squilibrio tra i TAC fissati per il merluzzo bianco del Mare del Nord e l'effettiva abbondanza della specie in tali acque, è soprattutto grazie al fatto di evitare le catture ricorrendo alla chiusura delle attività di pesca in tempo reale, ai contingenti di cattura, agli attrezzi selettivi, alla sospensione stagionale e temporale della pesca che si è ridotta la pressione di cattura su questo pesce. Il monitoraggio e un approccio basato sul rischio rispecchieranno senza dubbio questo modello.

Bruxelles, 12 dicembre 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Regolamento (CE) n. 1342/2008 del Consiglio, GU L 348 del 24.12.2008, pagg. 20–33.

(2)  Regolamento (CE) n. 423/2004 del Consiglio, GU L 70 del 9.3.2004, pagg. 8–11.


15.2.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/128


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al «Pacchetto controlli tecnici» contenente i seguenti tre documenti: Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai controlli tecnici periodici dei veicoli a motore e dei loro rimorchi e recante abrogazione della direttiva 2009/40/CE

COM(2012) 380 final — 2012/0184 (COD);

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 1999/37/CE del Consiglio relativa ai documenti di immatricolazione dei veicoli

COM(2012) 381 final — 2012/0185 (COD);

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai controlli tecnici su strada dei veicoli commerciali circolanti nell’Unione e che abroga la direttiva 2000/30/CE

COM(2012) 382 final — 2012/0186 (COD)

2013/C 44/23

Relatore: RANOCCHIARI

Il Consiglio, in data 7 e 10 settembre e 8 ottobre 2012, e il Parlamento europeo, in data 11 settembre 2012, hanno deciso, conformemente al disposto degli articoli 91 e 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al:

Pacchetto controlli tecnici contenente i seguenti tre documenti: Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai controlli tecnici periodici dei veicoli a motore e dei loro rimorchi e recante abrogazione della direttiva 2009/40/CE

COM(2012) 380 final — 2012/0184 (COD)

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 1999/37/CE del Consiglio relativa ai documenti di immatricolazione dei veicoli

COM(2012) 381 final — 2012/0185 (COD)

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai controlli tecnici su strada dei veicoli commerciali circolanti nell'Unione e che abroga la direttiva 2000/30/CE

COM(2012) 382 final — 2012/0186 (COD).

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 novembre 2012.

Alla sua 485a sessione plenaria, dei giorni 12 e 13 dicembre 2012 (seduta del 12 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 130 voti favorevoli, 2 voti contrari e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene, condivide ed appoggia - pur con i rilievi esposti più avanti nel parere le proposte della Commissione per almeno tre motivi:

la riduzione dell'incidentalità e delle sue conseguenze, spesso tragiche, deve assumere sempre di più rilevanza anche per gli ulteriori aumenti della circolazione stradale attesi nei prossimi anni;

il perseguimento dell'obiettivo di riduzione di incidentalità richiede uno sforzo organico e corale che supera le competenze dei singoli Stati;

è necessaria una maggiore uniformità delle regole e dei controlli per evitare che un aspetto fondamentale della vita sociale, come quello della sicurezza stradale, sia affrontato con metodi e tempi non omogenei e in qualche caso molto distanti fra loro.

1.2

Il CESE rileva tuttavia che nonostante le premesse tese a perseguire una uniformità previsionale, il metodo adottato dalla Commissione nella redazione del pacchetto, metodo che consiste nell'utilizzo combinato di prescrizioni regolamentari e soft law, lascia una notevole autonomia agli Stati membri, rendendo difficile e comunque più lenta una completa armonizzazione dei controlli, tale da consentire che controlli e certificati di conformità rilasciati in uno Stato membro siano automaticamente riconosciuti in tutti gli altri.

1.3

Inoltre, a parere del CESE, il processo di armonizzazione così avviato dovrebbe trovare il suo naturale completamento con la creazione di un certificato europeo di conformità che sostituisca gli attuali certificati nazionali, consentendo di effettuare i controlli periodici in qualsiasi Stato membro senza più l'obbligo di rimpatriare il veicolo nello Stato membro in cui è registrato.

1.4

Il CESE valuta positivamente sia l'ampliamento degli apparati tecnici e tecnologici soggetti a controllo, sia la elencazione dei controlli da effettuare. Il controllo anche di apparati fino ad ora lasciati alla esclusiva competenza delle case costruttrici come ABS ed ESC è da sostenere. È inoltre giusta la scelta di distinguere i veicoli anche in funzione della loro vetustà e del chilometraggio, aspetti questi che hanno una importanza particolare sulla manutenzione dei veicoli e sul loro livello di sicurezza.

1.5

Il CESE valuta positivamente anche la proposta di assoggettare ai controlli di revisione su strada i veicoli trasporto merci detti leggeri (VCL, peso massimo ammesso fino a 3,5 t). Rileva peraltro che tale tipologia di veicoli conta un parco circolante imponente. La previsione di un minimo del 5 % da controllare ogni anno appare francamente molto ambiziosa.

1.6

A questo proposito il CESE chiede che venga effettuata una indagine conoscitiva a livello dei singoli Stati membri sulla consistenza del parco di unità mobili di revisione, affinché gli Stati membri provvedano alle necessarie integrazioni in tempo utile.

1.7

Ancora in tema di ampliamento dei veicoli da controllare, il CESE concorda pienamente sulla necessità di inserirvi anche i motocicli. Ritiene però che le tempistiche di revisione (4 + 2 + 1) siano eccessive per questi veicoli che effettuano annualmente un chilometraggio molto limitato. In questa ottica il CESE propone pertanto, almeno in una prima fase, una frequenza più ridotta (4 + 2 + 2).

2.   Introduzione

2.1

I controlli tecnici sui veicoli a motore svolgono una funzione essenziale a supporto della sicurezza stradale. Ogni giorno in Europa oltre cinque persone perdono la vita in incidenti dovuti a difetti tecnici del veicolo. Si calcola che a tali difetti siano riconducibili, almeno come concausa, il 6 % degli incidenti automobilistici e l'8 % degli incidenti di motocicli.

2.2

La normativa europea in materia risale al 1977 e ha subito, nell'ultimo decennio, soltanto aggiornamenti minori a fronte di un traffico stradale triplicato e a una profonda evoluzione tecnologica dei veicoli.

2.3

Un'analisi comparativa tra i sistemi in vigore negli Stati membri per l'ispezione periodica dei veicoli effettuata dalla Commissione europea ha evidenziato una serie d'insufficienze che – secondo recenti studi inglesi e tedeschi – consentono la circolazione di circa un 10 % di autovetture con difetti tecnici che non supererebbero controlli più adeguati e moderni.

2.4

Da questi e altri studi è emerso che:

non tutti gli apparati più importanti del veicolo sono attualmente soggetti a controlli come, ad esempio, il sistema frenante antibloccaggio (ABS) e il controllo elettronico di stabilità (ESC);

la definizione e valutazione dei difetti non è aggiornata e armonizzata in tutta l'Unione europea;

le attrezzature usate per i controlli non sono sempre adeguate, mancando disposizioni precise in materia, vincolanti per tutta l'UE. Così pure gli ispettori addetti al controllo tecnico dovrebbero possedere un livello di conoscenze e competenze sempre in linea con l'evoluzione tecnologica, al fine di garantire una qualità omogenea del loro lavoro in tutta l'UE;

alcune categorie di veicoli non sono soggette alle ispezioni periodiche (PTI). È il caso, ad esempio, dei motocicli in ben undici Stati membri;

i controlli non sono sufficientemente frequenti, in particolare per i veicoli commerciali, ma più in generale per i veicoli che percorrono molti chilometri e per i più vecchi;

non è effettuata una supervisione adeguata sui centri d'ispezione da parte delle autorità competenti;

dati e informazioni necessarie per i controlli delle apparecchiature elettroniche a bordo non sono sempre disponibili per i controllori, come pure i risultati dei controlli non sono disponibili per le autorità di polizia.

2.5

Alla luce di quanto sopra, il CESE condivide e sostiene l'iniziativa della Commissione europea che, ampliando e aggiornando l'ambito di applicazione dei controlli tecnici, potrà contribuire all'obiettivo di ridurre gli incidenti stradali mortali del 50 % entro il 2020 come pure di ridurre – attraverso maggiori e più frequenti controlli delle emissioni – l'impatto ambientale del traffico stradale, in particolare per quanto riguarda il CO2.

3.   Il pacchetto di proposte della Commissione

Si tratta di tre proposte legislative:

un regolamento (COM(2012) 380 final) relativo ai controlli tecnici periodici dei veicoli a motore e dei loro rimorchi e recante abrogazione della direttiva 2009/40/CE;

un secondo regolamento (COM(2012) 382 final) relativo ai controlli tecnici su strada dei veicoli commerciali circolanti nell'Unione e che abroga la direttiva 2000/30/CE;

una direttiva (COM(2012) 381 final) che modifica la direttiva 1999/37/CE del Consiglio relativa ai documenti di immatricolazione dei veicoli.

3.1   Le novità nella proposta di regolamento sui controlli tecnici periodici (PTI, Periodical technical inspections) COM(2012) 380 final

3.1.1

Campo di applicazione. Sarà esteso ai motocicli a due o più ruote in tutta l'UE. Non saranno inoltre più esenti i trattori agricoli con velocità superiore ai 40 km/h. (Categoria T5) e i rimorchi leggeri entro le 3,5 t (Cat. O1 e O2).

3.1.2

Date e frequenza dei controlli. Per le autovetture (Cat. M1) (i veicoli di categoria M sono quelli con almeno 4 ruote, adibiti al trasporto passeggeri, suddivisi in 3 classi in base al numero dei posti e alla loro massa massima: M1 9 posti; M2 > 9 posti e < 5 t; M3 > 9 posti e > 5 t. I veicoli di Cat. N sono quelli con almeno 4 ruote adibiti al trasporto di merci. Anche qui tre classi in base alla massa: N1 < 3,5 t; N2 < 12 t; N3 > 12 t. La categoria O si riferisce ai veicoli con rimorchi e la T ai trattori a ruote) il primo PTI dopo quattro anni dall'immatricolazione, il secondo dopo altri due e in seguito ogni anno. Le auto e i veicoli commerciali leggeri (N1) che alla data del primo controllo hanno percorso oltre 160 000 km. dovranno essere sottoposti a controlli annuali (4-1-1 invece di 4-2-1) e questo varrà anche per i motocicli. Resta ferma la possibilità per gli Stati membri che già lo prevedano di applicare termini più ravvicinati per i controlli. Agli stessi Stati membri è infine lasciata la decisione sulla periodicità dei controlli per i veicoli d'interesse storico, ivi compresi i motocicli, tutti comunque non soggetti al nuovo regolamento.

Per i veicoli M2, M3, N2, N3, O3, O4 e T5 il primo controllo dovrà invece effettuarsi un anno dopo l'immatricolazione. Lo stesso per gli M1 registrati come taxi o ambulanze.

3.1.3

Contenuto dei controlli, valutazione delle carenze e relative sanzioni. I componenti per la sicurezza (ABS ed ESC) e l'ambiente (sistema di controllo delle emissioni) vanno aggiunti alla lista dei controlli da effettuare.

I difetti riscontrati in sede di ispezione saranno classificati - in base a parametri comuni indicati nell'allegato III della proposta - come lievi (nessun rischio sulla sicurezza) gravi (in grado di pregiudicare la sicurezza del veicolo e degli altri utenti della strada) e pericolosi (rischio grave e immediato che comporta il blocco del veicolo). I difetti lievi dovranno essere riparati senza obbligo di un test successivo. Per quelli gravi, l'autorità competente decide le condizioni d'uso del veicolo fino a che il difetto non sia stato riparato prevedendo un secondo controllo entro sei settimane. In casi di carenze pericolose viene revocata l'immatricolazione del veicolo in attesa delle correzioni dei difetti e susseguente rilascio di un nuovo certificato di conformità.

3.1.4

Impianti e apparecchiature di controllo. I centri di controllo avranno cinque anni di tempo dalla data di applicazione del regolamento per adeguare i propri impianti ed attrezzature ai requisiti minimi richiesti dal regolamento stesso.

3.1.5

Cooperazione fra Stati membri. Dopo tre anni dall'entrata in vigore del regolamento i centri di controllo dovranno trasmettere, solo per via elettronica, i risultati dei loro interventi o certificati di conformità alle autorità competenti del proprio Stato che designerà un punto di contatto nazionale responsabile dello scambio di informazioni con gli altri Stati membri e la Commissione in merito all'applicazione del regolamento. La prova che un veicolo ha passato un controllo in uno degli Stati membri sarà riconosciuta anche dagli altri.

3.2   Le novità nella proposta di regolamento sui controlli tecnici dei veicoli commerciali su strada COM(2012) 382 final

3.2.1

Questa proposta intende ampliare l'ambito di applicazione della direttiva in vigore, concentrando comunque gli interventi sulle imprese ad alto rischio e riducendo quelli sugli operatori che mantengono i loro veicoli in maniera corretta. La definizione dei profili di rischio (all. I della proposta) sarà effettuata sulla base dei risultati dei precedenti controlli tecnici effettuati negli appositi centri e su strada, tenendo conto dei difetti rilevati.

3.2.2

Attualmente i controlli su strada si effettuano sui veicoli commerciali di oltre 3,5 t. La proposta estende tali controlli ai veicoli commerciali leggeri (N1) e loro rimorchi (O1 e O2).

3.2.3

Ogni Stato membro dovrà compiere, annualmente, ispezioni stradali su almeno il 5 % dei veicoli registrati sul proprio territorio.

3.2.4

Come accennato sopra, sarà stabilito, a livello nazionale, il profilo di rischio (basso, medio e alto) sulla base dei precedenti di ogni operatore. Tale profilo sarà comunicato all'operatore interessato, sapendo che le società ad alto rischio subiranno la priorità nelle ispezioni stradali.

3.2.5

I test saranno effettuati in maniera graduale. È previsto un controllo iniziale a vista sulle condizioni del veicolo e la sua documentazione, mentre un controllo più dettagliato, se necessario, seguirà quello iniziale utilizzando unità di controllo mobili o il centro di controllo più vicino.

3.2.6

Un'ulteriore novità sarà rappresentata dal controllo della fissazione del carico (all. IV) responsabile, secondo la Commissione, di un quarto degli incidenti che coinvolgono veicoli commerciali.

3.2.7

I risultati delle ispezioni su strada saranno inoltrati dalle autorità competenti allo Stato membro nel quale è registrato il veicolo.

3.3   Le novità nella proposta di direttiva sui documenti di immatricolazione COM(2012) 381 final che modifica quella in vigore 1997/37

3.3.1

I dati sui veicoli immatricolati saranno conservati in registri elettronici nazionali nei quali saranno riportati i risultati dei controlli tecnici periodici.

3.3.2

I dati tecnici che hanno consentito l'omologazione del veicolo e che non sono riportati sul documento di immatricolazione dovranno essere messi a disposizione dell'ispettore ai fini dei controlli tecnici.

3.3.3

In un'ottica di sicurezza stradale, vengono definiti con maggiore precisione i casi di revoca e cancellazione dell'immatricolazione come pure le re-immatricolazioni e la demolizione dei veicoli.

4.   Considerazioni generali

4.1

Accade spesso che operatori del trasporto merci siano sanzionati in occasione di ispezioni sulle strade all'estero per carenze che non sarebbero sanzionate nel paese in cui sono registrati. Appare quindi giusta la direzione imboccata dalla Commissione con questo pacchetto di proposte inteso a porre anche le fondamenta per un'armonizzazione dei controlli a livello europeo. Il processo così avviato dovrebbe completarsi, in una seconda fase, con il mutuo riconoscimento di tutti gli Stati membri dei rispettivi certificati di conformità, e la conseguente creazione di un certificato europeo che potrà sostituire quelli nazionali.

4.2

Infatti, l'obbligo di rimpatriare il veicolo nello Stato membro in cui è registrato per ottenere il certificato continua a rappresentare un onere importante sia per le auto sia per i veicoli commerciali. Con il riconoscimento reciproco deve essere possibile far effettuare i controlli in un qualsiasi Stato membro.

4.3

Più in generale, il CESE osserva che l'approccio scelto dalla Commissione nella redazione di questo pacchetto, approccio che consiste nell'utilizzo combinato di misure regolamentari e soft law, rischia di lasciare una notevole autonomia agli Stati membri, rendendo difficile e più lenta una completa armonizzazione e standardizzazione dei controlli, tale da consentire che controlli e certificati di conformità rilasciati in uno Stato membro siano automaticamente riconosciuti in tutti gli altri.

4.4

Esempio del perdurare di differenze anche notevoli è la previsione che gli Stati membri possano mantenere termini più ravvicinati per i controlli (punto 3.1.2). È comprensibile che la Commissione non voglia imporre revisioni al ribasso per quei paesi che già da tempo hanno stabilito cadenze di controlli più frequenti. È però anche vero che l'accettazione di situazioni molto diverse non facilita quella uniformità di regole che dovrebbero essere il fine di queste proposte: un PTI uguale per tutta la UE.

4.5

Alla luce di quanto sopra il CESE auspica che gli Stati membri, pur rimanendo liberi di scegliere frequenze di controllo più ravvicinate, si impegnino a riconoscere la validità dei controlli effettuati in un altro Stato che aderisce alle tempistiche e alle prove minime previste dal regolamento.

4.6

Ancora in termini di frequenze dei controlli, il CESE si domanda se sia opportuno prevedere per i veicoli di categoria L (ciclomotori, motocicli, tricicli e quadricicli) le stesse tempistiche previste per l'automobile.

4.6.1

È giusto che anche i veicoli di categoria L vengano sottoposti a revisioni periodiche, superando l'anomalia di molti Stati membri in cui i controlli per gli "L" non erano addirittura previsti.

4.6.2

Tuttavia per tali veicoli, spesso di costo contenuto e utilizzati prevalentemente in città, le revisioni dovrebbero rimanere semplici, onde limitare gli investimenti in equipaggiamenti di prova specifici e la loro frequenza stabilita in 4.2.2. invece di 4.2.1 in virtù delle percorrenze medie annuali ben inferiori. I veicoli L percorrono infatti tra 2 800 e 5 300 km l'anno, rispetto ai 15 000 km delle auto.

4.6.3

La periodicità potrebbe essere rivalutata in futuro tenendo conto dei dati, con copertura finalmente europea, raccolti durante le revisioni periodiche, ferma restando, anche in questo caso, la libertà degli Stati membri di continuare ad effettuare ulteriori prove e frequenze più ravvicinate già in essere.

4.7

Il CESE auspica infine che insieme alla standardizzazione e maggiore accuratezza dei controlli si possa avviare un piano che, partendo dall'esistenza delle nuove norme, si preoccupi di sensibilizzare tutti i cittadini, soprattutto i più giovani, ad un più attento e responsabile utilizzo dei veicoli a motore, evitando in particolare di effettuarvi interventi tecnici che possono alterarne i requisiti di sicurezza, in particolare sui motocicli.

5.   Osservazioni particolari

5.1

Il CESE che apprezza la decisione della Commissione di prevedere il regime di PTI anche per i trattori con velocità superiore ai 40 km/h (T5), si domanda perché gli stessi non siano invece sottoposti a possibili controlli su strada.

5.2

La proposta sui controlli, nei suoi allegati tecnici, prevede le condizioni minime che devono rispettare i centri di controllo, ma non è chiaro fino a che punto tali condizioni si applichino anche ai centri mobili.

5.3

La fissazione del 5 % dei veicoli da controllare su strada sul totale circolante (punto 3.2.3) appare ambiziosa tenuto conto dell'elevato numero di veicoli commerciali leggeri (VCL) in circolazione che verranno aggiunti a quelli medi e pesanti già controllati. Basti pensare che solo nel biennio 2010/2011 sono stati registrati più di tre milioni di VCL contro 450 000 circa di medi e pesanti e che i VCL rappresentano oltre l'80 % del parco commerciale circolante.

A questo proposito il CESE riterrebbe opportuna una rilevazione sulla consistenza del parco delle unità mobili di revisione nell'UE affinché gli Stati membri provvedano alle necessarie integrazioni in tempo utile.

Bruxelles, 12 dicembre 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


15.2.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/133


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni «Energie rinnovabili: un ruolo di primo piano nel mercato energetico europeo»

COM(2012) 271 final

2013/C 44/24

Relatrice: SIRKEINEN

La Commissione, in data 6 giugno 2012, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Energie rinnovabili: un ruolo di primo piano nel mercato energetico europeo

COM(2012) 196 final.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 novembre 2012.

Alla sua 485a sessione plenaria, dei giorni 12 e 13 dicembre 2012 (seduta del 13 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 163 voti favorevoli, 30 voti contrari e 26 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con soddisfazione la comunicazione della Commissione, che apre un dibattito indispensabile sulla ridefinizione delle fonti energetiche rinnovabili (FER) e delle relative politiche d'accompagnamento.

1.2

Il CESE esprime serie preoccupazioni per l'aumento dei prezzi per i consumatori, anche a causa dei costi elevati di un gran numero di regimi nazionali di sostegno. Una situazione, questa, che incontra una crescente opposizione. Il Comitato chiede alla Commissione di elaborare uno studio sull'evoluzione, attuale e prevista, dei prezzi nel settore dell'energia nel suo complesso, e sostiene l'obiettivo di mantenere i costi al livello più basso possibile, se non addirittura di ridurli, e garantire che le tecnologie per le FER divengano competitive e, in ultima analisi, orientate al mercato.

1.3

A giudizio del Comitato, il modo migliore per soddisfare i requisiti di efficienza e quelli del mercato interno consiste nell'instaurare un sistema di regimi nazionali di sostegno comune a tutti gli Stati membri dell'UE e adattato alle singole tecnologie. Questi regimi dovrebbero essere applicati per un periodo limitato, finché le tecnologie non risultino competitive, non offrire sovracompensazioni e garantire un sostegno su misura alle soluzioni che implicano progetti locali di piccole dimensioni. Tuttavia, finché il mercato interno dell'energia non funziona adeguatamente, i regimi di sostegno vanno elaborati in funzione delle diverse zone di prezzo o dei singoli Stati membri.

1.4

Invece di concentrare i principali sforzi su un modello centralizzato, bisogna porre maggiormente l'accento sull'impulso allo sviluppo di soluzioni decentrate, a livello locale. Dette soluzioni possono e devono essere stimolate dai vantaggi offerti a livello locale. La regolamentazione, le misure di sostegno e l'accesso alle reti devono essere chiari, semplici ed affidabili in modo da facilitare la partecipazione dei piccoli (auto)produttori.

1.5

Le tecnologie per le FER offrono opportunità importanti, come pure altre tecnologie intese a ridurre le emissioni di gas a effetto serra quali il «carbone pulito», lo stoccaggio dell'elettricità, la gestione della domanda, l'utilizzo del carbonio, la fissione e la fusione nucleari, o la riduzione di altre emissioni di gas a effetto serra (GES) come il metano, ecc. In molti casi gli sviluppi sono chiaramente promettenti e vanno adeguatamente incoraggiati. Occorre in particolare sostenere la dimostrazione e la diffusione tempestive delle nuove tecnologie.

1.6

Il CESE raccomanda che, dopo il 2020, la Commissione concentri i suoi sforzi su una politica di decarbonizzazione. Una politica che, in definitiva, potrebbe rinunciare a obiettivi in materia di energia rinnovabile e concentrarsi invece su un chiaro obiettivo di riduzione delle emissioni di GES, basato sulle esigenze di riduzione di tali gas a lungo termine, nonché puntare a un prezzo del carbonio sufficientemente elevato da indurre gli attori interessati ad adottare misure di efficienza energetica migliori e a contribuire agli investimenti nella R&S, senza tuttavia essere eccessivo per i consumatori e la competitività industriale. Vi è inoltre bisogno di azioni mirate per accelerare lo sviluppo delle FER e degli investimenti nelle relative tecnologie, dal momento che, in ultima istanza, esse permetteranno di realizzare un vero cambiamento. Tali misure dovrebbero, per essere davvero ottimali, essere comuni a tutti gli Stati membri dell'UE e adattate alle singole tecnologie.

1.7

Il CESE accoglie con favore i propositi della Commissione in merito ai passi da intraprendere nel prossimo futuro allo scopo di migliorare il quadro attuale in materia di energie rinnovabili. È necessario adottare quanto prima disposizioni volte a integrare l'energia rinnovabile nei mercati dell'energia, nonché affrontare con urgenza questioni come la connessione alla rete, il bilanciamento e le tariffe di rete.

2.   Introduzione

2.1

Il maggior ricorso alle fonti energetiche rinnovabili è essenziale per l'attuale politica energetica dell'UE visto che dovrebbe contribuire sia alla riduzione delle emissioni di GES che alla sicurezza dell'approvvigionamento energetico e alla creazione di nuovi posti di lavoro. Pertanto, l'obiettivo dell'Unione di portare al 20 % entro il 2020 la quota di energia ricavata da FER costituisce uno degli obiettivi principali della strategia Europa 2020.

2.2

Per oltre un decennio il CESE, in diversi pareri, ha sostenuto l'obiettivo di accrescere l'uso delle FER e formulato osservazioni e raccomandazioni in merito alle politiche proposte sulla base dell'esperienza pratica maturata nell'ambito della società civile (1).

2.3

Il maggiore ricorso alle FER costituisce uno sviluppo positivo che, secondo la Commissione, attualmente supera l'obiettivo del 20 %. In base alla Tabella di marcia per l'energia 2050, occorre assicurare uno sviluppo positivo. Una forte crescita dell'uso delle FER costituisce una delle opzioni cosiddette no regrets («senza rimpianti», ovvero che non ci faranno rimpiangere di non aver agito) di tale tabella. Nel luglio 2012 il CESE ha presentato il proprio parere in merito alla Tabella di marcia per l'energia 2050, pronunciandosi a favore di questa conclusione generale sulle energie rinnovabili (2).

2.4

Il rapido aumento delle FER sta sollevando problemi legati ai costi, all'incidenza sul mercato dell'energia e al fabbisogno di infrastrutture. È quindi tempo di considerare opzioni strategiche per il futuro. Gli investitori stanno già considerando il periodo oltre il 2020 e avrebbero bisogno anche di segnali chiari in merito alle politiche future per poter garantire gli elevati livelli di investimenti necessari in questo campo.

3.   La proposta della Commissione

3.1

La Commissione si prefigge di continuare a sviluppare le energie rinnovabili e a promuovere soluzioni innovative. Secondo il commissario europeo per l'Energia, per realizzare questo obiettivo con un buon rapporto costi-benefici occorre, in sintesi, produrre energia eolica e solare laddove è conveniente sotto il profilo economico e commercializzarla all'interno dell'UE.

3.2

La Commissione chiede che l'UE adotti un approccio più coordinato ai regimi di sostegno e ricorra maggiormente allo scambio di energie rinnovabili all'interno dell'UE.

3.3

Nella comunicazione vengono esaminate le sfide che la politica energetica si trova attualmente ad affrontare, e le possibili opzioni strategiche, in relazione ai seguenti punti:

integrare le energie rinnovabili nel mercato interno,

apertura del mercato dell'energia elettrica ed energie rinnovabili,

trasformare le nostre infrastrutture,

rafforzare la posizione dei consumatori,

promuovere l'innovazione tecnologica, e

garantire la sostenibilità dell'energia rinnovabile.

3.4

La Commissione presenterà delle proposte per una politica in materia di energie rinnovabili per il periodo successivo al 2020. Per avviare questo processo, la valutazione d'impatto allegata alla comunicazione esamina tre possibili opzioni politiche post 2020:

1)

decarbonizzazione senza imposizione di obiettivi in materia di energie rinnovabili, facendo affidamento sugli obiettivi di riduzione delle emissioni di GES e sul mercato del carbonio.

2)

mantenimento del sistema attuale, con obiettivi vincolanti in materia di energie rinnovabili, riduzione delle emissioni ed efficienza energetica negli Stati membri.

3)

gestione migliore e più armonizzata dell'intero settore europeo dell'energia, trainata da un obiettivo UE in materia di energie rinnovabili.

Da un raffronto generico risulta che, rispetto all'opzione 3, le opzioni 1 e 2 soddisfano maggiormente i criteri fissati dalla Commissione. Tuttavia, nessuna delle opzioni è scevra da inconvenienti rispetto a detti criteri.

3.5

La comunicazione indica infine quattro ambiti principali in cui occorre intensificare gli sforzi fino al 2020: il mercato dell'energia, i regimi di sostegno, i meccanismi di cooperazione e la cooperazione energetica nel Mediterraneo.

4.   Osservazioni del CESE

4.1

Il CESE accoglie con soddisfazione la comunicazione della Commissione, che apre un dibattito indispensabile sulla ridefinizione delle FER e delle relative politiche d'accompagnamento. Inoltre, concorda in linea generale con l'analisi – presentata dalla Commissione – della situazione attuale, delle sfide e delle opzioni disponibili. Il Comitato formula quindi le seguenti osservazioni.

Integrare le energie rinnovabili nel mercato interno

4.2

Il CESE si compiace del fatto che la Commissione metta in rilievo la crescita repentina della spesa destinata alle energie rinnovabili e dei relativi costi – nonostante la diminuzione dei costi unitari – nonché i costi previsti degli investimenti in produzione, infrastrutture/reti ed energia di bilanciamento. Il CESE esprime serie preoccupazioni per l'aumento dei prezzi per i consumatori di energia, che può avere un impatto sproporzionato sui consumatori a basso reddito, aumento dovuto anche ai costi elevati di un gran numero di regimi nazionali di sostegno. Una situazione, questa, che incontra una crescente opposizione. Persino i costi unitari potrebbero non continuare a scendere al tasso attuale quando sarà stata utilizzata la maggior parte delle opzioni efficienti sotto il profilo dei costi. Il Comitato chiede alla Commissione di elaborare uno studio sull'evoluzione, attuale e prevista, dei prezzi nel settore dell'energia nel suo complesso, e sostiene l'obiettivo di mantenere i costi al livello più basso possibile, se non addirittura di ridurli, e garantire che le tecnologie per le FER divengano competitive e, in ultima analisi, orientate al mercato.

4.3

Per quanto riguarda i regimi di sostegno, il CESE conviene sul fatto che le modifiche apportate ai regimi di sostegno di diversi paesi mentre erano in vigore abbiano creato gravi problemi. Anche le politiche a breve termine non risultano soddisfacenti, dal momento che non sono in grado di coprire i costi supplementari reali a carico degli investitori. Occorre garantire non solo la prevedibilità, ma anche l'efficienza in termini di costi dei regimi di sostegno, e incoraggiare la competitività in campo tecnologico. Pertanto è corretto porre l'accento sull'esposizione ai prezzi di mercato. È necessario che la Commissione dia impulso alla riforma dei regimi di sostegno, anche per evitare la frammentazione del mercato interno, con l'obiettivo ultimo di eliminare gradualmente le sovvenzioni.

4.4

Peraltro, un regime europeo unico che copra tutte le tecnologie FER non sarebbe efficiente. Vi è invece bisogno di sistemi flessibili pienamente adattati alla maturità e alla situazione delle singole tecnologie. A giudizio del Comitato, il modo migliore per soddisfare i requisiti di efficienza e quelli del mercato interno consiste nell'instaurare un sistema di regimi nazionali di sostegno comune a tutti gli Stati membri dell'UE e adattato alle singole tecnologie. Questi regimi dovrebbero essere applicati per un periodo limitato, finché le tecnologie non risultino competitive, e non offrire sovracompensazioni. Vi è bisogno di regimi adeguati favorevoli a soluzioni che implichino progetti locali di piccole dimensioni (cfr. il punto 4.11).

4.5

Tuttavia, finché il mercato interno non funziona correttamente e il livello dei prezzi varia da uno Stato membro all'altro, a causa della mancata attuazione della legislazione UE e delle strozzature esistenti nelle infrastrutture di trasmissione, i regimi di sostegno vanno elaborati in funzione delle diverse zone di prezzo o dei singoli Stati membri per ottenere una maggiore efficienza ed evitare sovracompensazioni.

4.6

Per quanto riguarda l'obiettivo di stimolare la cooperazione e gli scambi, il CESE sostiene con forza una maggiore cooperazione tra gli Stati membri nel campo dell'energia, se non addirittura una vera e propria politica energetica comune: una Comunità europea dell'energia (CEE). Il CESE sostiene anche le proposte formulate nel capitolo della comunicazione dedicato a tale argomento.

Apertura del mercato dell'energia elettrica ed energie rinnovabili

4.7

Il CESE concorda con le osservazioni della Commissione circa la necessità di integrare le FER nel mercato interno dell'energia elettrica e le sfide poste da tale integrazione. I segnali dei prezzi di mercato, compresi quelli del carbonio nel quadro del sistema UE di scambio di quote di emissioni (ETS), devono essere globali. in modo da stimolare adeguatamente gli investimenti. Il Comitato sostiene il principio in base al quale tutti i produttori di elettricità, compresi i produttori di FER, assumono le medesime responsabilità, anche in materia di bilanciamento.

4.8

I «meccanismi di pagamento sulla base della capacità» mediante i quali i governi determinano i necessari livelli di capacità produttiva di riserva risultano problematici, in quanto si giustificano per il fatto che i segnali del mercato non garantiscono l'efficienza in termini di costi di tali impianti. Qualora dovesse risultare necessario un mercato delle capacità, esso dovrebbe presentare carattere paneuropeo, e nella prima fase dovrebbe possibilmente essere regionale nel contesto dell'UE o per lo meno coordinato con i paesi vicini.

4.9

Occorre approfondire e quantificare ulteriormente il problema dei prezzi all'ingrosso dell'elettricità, che potrebbero subire pressioni al ribasso a causa della maggior presenza di energia eolica e solare (con costi marginali vicini allo zero). In questo contesto bisogna tenere conto dell'effetto contrario del sistema di scambio delle quote di emissione. Una maggiore quantità di energia elettrica da fonti rinnovabili probabilmente provocherebbe una volatilità assai maggiore dei prezzi all'ingrosso dell'elettricità, causando così anche altri problemi. In ogni caso, un basso costo marginale dell'energia non significa necessariamente un prezzo più basso per l'utente, dato che quest'ultimo, in un modo o nell'altro, è tenuto a pagare per tutti gli investimenti e la produzione, nonché per la trasmissione, il bilanciamento e il sostegno.

Trasformare le nostre infrastrutture

4.10

Il CESE, che ha accolto con soddisfazione il pacchetto sulle infrastrutture energetiche transeuropee e adottato un parere sull'argomento (COM(2011) 658 final) (3), sottolinea la necessità di adottare e applicare tale pacchetto. Tuttavia, se l'obiettivo prefissato è quello di «produrre energia eolica e solare laddove è conveniente sotto il profilo economico e commercializzarla all'interno dell'UE», i costi degli investimenti nelle infrastrutture necessarie possono risultare troppo elevati. Inoltre, uno scarso coinvolgimento dei cittadini potrebbe accrescere i costi e i rischi politici.

4.11

Bisogna porre maggiormente l'accento sull'impulso allo sviluppo di soluzioni decentrate, a livello locale. Tali soluzioni possono e devono essere stimolate dai vantaggi offerti sempre a livello locale, e concentrarsi su diverse tecnologie come la biomassa (compresi i residui) e l'energia geotermica oltre all'energia eolica e solare, in funzione della situazione locale. La regolamentazione, le misure di sostegno e l'accesso alle reti devono essere chiari, semplici ed affidabili, in modo da facilitare la partecipazione dei piccoli (auto)produttori. La creazione di sistemi energetici ibridi locali, abbinati a delle reti e a una gestione intelligenti, consentirebbe di mirare all'autosufficienza energetica a livello locale. Tuttavia, anche questo approccio presenta dei limiti, poiché vi è bisogno di un bilanciamento basato essenzialmente sui carburanti fossili finché non si trova una soluzione concreta ed economicamente sostenibile al problema dello stoccaggio dell'elettricità (cfr. a questo proposito Friedrich Wagner, Features of an electricity supply system based on variable input, Istituto Max Planck per la fisica dei plasmi).

Rafforzare la posizione dei consumatori

4.12

È evidente che gli interessi dei consumatori sono al centro della posizione del CESE in materia di energia, e ciò risulta chiaramente da diversi pareri adottati dal Comitato sull'argomento (4). In questo contesto una delle questioni da affrontare riguarda il conflitto tra prezzi elevati dell'energia come incentivi per favorire il risparmio e il rischio di povertà energetica. Il CESE sostiene l'approccio della Commissione inteso a rafforzare la posizione dei consumatori poiché è dell'avviso che non sia possibile conseguire buoni risultati senza la loro partecipazione attiva. Occorre peraltro dedicare maggiore attenzione alla necessità di garantire la libertà di scelta dei consumatori.

4.12.1

Come affermato più volte dal CESE, la sensibilizzazione e l'istruzione sono fattori essenziali per rafforzare la posizione dei consumatori. In questo contesto i consumatori devono disporre di informazioni chiare e facilmente accessibili in merito alla quota a loro carico del sostegno alle FER, generalmente denominata spesa totale nazionale pro capite per il sostegno alle FER. L'ideale sarebbe che queste informazioni fossero inserite nelle fatture energetiche.

Promuovere l'innovazione tecnologica

4.13

Le tecnologie per le FER offrono opportunità importanti, come pure altre tecnologie intese a ridurre le emissioni di gas a effetto serra, quali il «carbone pulito», lo stoccaggio dell'elettricità, la gestione della domanda, l'utilizzo del carbonio, la fissione e la fusione nucleari, o la riduzione di altre emissioni di GES come il metano, ecc. In molti casi gli sviluppi – chiaramente promettenti – vanno adeguatamente incoraggiati. Come il CESE ha sottolineato più volte in passato, è essenziale elaborare e orientare correttamente gli strumenti di finanziamento in funzione della maturità raggiunta dalle diverse tecnologie. Occorre in particolare sostenere la dimostrazione e la diffusione tempestive delle nuove tecnologie. Per questo è essenziale garantire le risorse destinate al piano strategico per le tecnologie energetiche (SET Plan). È urgente intervenire quanto prima, poiché sembra che negli Stati Uniti il settore privato abbia di recente aumentato i propri investimenti globali in ricerca e sviluppo nel campo dell'energia, e ciò potrebbe ripercuotersi sulla competitività dell'UE.

4.14

Sembra che, secondo la Commissione, sia possibile promuovere adeguatamente l'innovazione e quindi l'occupazione se si dispone di finanziamenti comuni sufficienti e di determinati obiettivi vincolanti. Tuttavia, questi fattori da soli non sono in grado di garantire risultati positivi. Vi è bisogno anche di mercati aperti e di un corretto funzionamento delle regole di concorrenza, dal momento che quest'ultima induce le imprese a perseguire l'innovazione e a rinnovarsi.

Garantire la sostenibilità dell'energia rinnovabile

4.15

È essenziale garantire la sostenibilità dell'intero sistema energetico. Ciò vale per tutte le sue componenti, non solo per la bioenergia. L'impatto ambientale e territoriale dell'uso delle FER varia da una fonte energetica all'altra. È necessario introdurre dei criteri di sostenibilità, per cui il sostegno finanziario da parte dei fondi UE dovrebbe essere concesso soltanto se la produzione di energia da FER soddisfi tali criteri. Il CESE sostiene il messaggio della comunicazione circa la sostenibilità della bioenergia, ma sottolinea anche che le nuove proposte non devono comportare alcun aumento degli oneri amministrativi per i produttori e gli utilizzatori. Per quanto possibile, i requisiti devono fondarsi sugli attuali sistemi di monitoraggio, informazione e comunicazione, ad esempio quelli applicati in molti Stati membri nel settore della silvicoltura sostenibile.

La politica in materia di energie rinnovabili dopo il 2020

4.16

Come già affermato al punto 2.4, il CESE ritiene necessario avviare i preparativi per una politica in materia di energie rinnovabili post 2020.

4.17

Nella valutazione d'impatto (che allo stato attuale presenta diverse carenze, come ad esempio la mancanza di determinate tabelle) inizialmente la Commissione presenta un'opzione di «scenario invariato» (status quo) che il CESE non condivide. Per quanto riguarda le altre tre opzioni in merito a un quadro politico futuro, il Comitato esprime preoccupazione per gli aspetti di seguito indicati.

4.17.1

L'opzione della decarbonizzazione senza obiettivi in materia di energie rinnovabili post 2020 non sembra garantire un incremento nell'uso di tali energie. Tuttavia, essa costituisce l'opzione più adatta a un mercato energetico aperto e produrrebbe i risultati più efficaci sotto il profilo dei costi, oltre a rafforzare il sistema ETS. Questa opzione assicurerebbe uno sviluppo positivo dell'uso delle FER, alla luce del marcato sviluppo che queste hanno registrato finora, degli investimenti attuali e futuri in R&S e in altri settori, degli obiettivi vincolanti in materia di clima e delle future politiche delineate dalla Commissione.

4.17.2

Il mantenimento dell'attuale regime con obiettivi nazionali vincolanti sarebbe efficace e benefico almeno per una parte del settore delle energie rinnovabili, ma non garantirebbe l'efficienza in termini di costi della decarbonizzazione. Stabilire dei prezzi fissi nel quadro di questa opzione, inoltre, comprometterebbe seriamente il sistema di scambio delle quote di emissione. Gli Stati membri dovrebbero ridefinire le proprie politiche per soddisfare le condizioni previste, e ciò ostacolerebbe il funzionamento del mercato interno dell'energia nonostante tutti gli sforzi per rafforzare la cooperazione e gli scambi. Gli obiettivi vincolanti hanno effettivamente contribuito a dare impulso allo sviluppo delle tecnologie delle energie rinnovabili nell'UE, ma è possibile che in futuro questo non sia più un aspetto rilevante.

4.17.3

L'opzione di una gestione migliore nonché più armonizzata dell'intero settore europeo dell'energia, trainata da un obiettivo ambizioso dell'UE in materia di energia rinnovabili, potrebbe, secondo il CESE, presentare numerosi vantaggi importanti, in linea con il concetto di Comunità europea dell'energia (5). Questa opzione dovrebbe essere preferita fino a quando non siano stati fissati obiettivi di riduzione delle emissioni di GES basati sulle esigenze di riduzione di tali gas a lungo termine. Tuttavia, i rischi - rilevati dalla Commissione – di costi più elevati e di difficoltà di accettazione da parte del pubblico appaiono rilevanti. Inoltre, è probabile che sia necessario creare anche una nuova e articolata struttura amministrativa.

4.18

Il CESE raccomanda alla Commissione di concentrare la sua attività post 2020 su una politica di decarbonizzazione, essenzialmente fondata sulla prima opzione. Tale politica non dovrà fondarsi su obiettivi in materia di energia rinnovabile, bensì su un chiaro obiettivo di riduzione delle emissioni di GES e un prezzo del carbonio sufficientemente elevato da indurre gli attori interessati ad adottare misure per una migliore efficienza energetica e a contribuire agli investimenti nella R&S, senza tuttavia essere eccessivo per i consumatori e la competitività industriale. Vi è inoltre bisogno di azioni mirate per accelerare lo sviluppo delle FER e gli investimenti nelle relative tecnologie, dal momento che, in ultima istanza, esse permetteranno di realizzare un vero cambiamento. Tali misure dovrebbero, per essere davvero ottimali, essere comuni a tutti gli Stati membri dell'UE e adattate alle singole tecnologie.

Prossime tappe

4.19

Già nel prossimo futuro sarà necessario adottare una serie di misure per migliorare il funzionamento del quadro attuale in materia di energie rinnovabili. Il CESE accoglie con soddisfazione i propositi della Commissione. È indispensabile adottare quanto prima disposizioni volte a integrare l'energia rinnovabile nei mercati dell'energia, nonché affrontare con urgenza questioni come la connessione alla rete, il bilanciamento e le tariffe di rete.

Bruxelles, 13 dicembre 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU C 65 del 17.3.2006, pagg. 105-113.

(2)  GU C 229 del 31.7.2012, pagg. 126-132.

(3)  GU C 143 del 22.5.2012, pagg. 125-129.

(4)  GU C 44 dell'11.2.2011, pagg. 53-56; GU C 48 del 15.2.2011, pagg. 81-86; GU C 68 del 6.3.2012, pagg. 15-20.

(5)  Cfr. il punto 4.5 e www.eesc.europa.eu/eec


ALLEGATO

al Parere del Comitato economico e sociale europeo

I seguenti emendamenti, che hanno ottenuto almeno un quarto dei voti espressi, sono stati respinti nel corso delle deliberazioni:

Punto 1.5

Modificare come segue:

Le tecnologie per le FER offrono opportunità importanti, come pure altre tecnologie intese a per ridurre le emissioni di gas a effetto serra quali il «carbone pulito», lo stoccaggio dell'elettricità, la gestione della domanda, l'utilizzo del carbonio, la fissione e la fusione nucleari, o la riduzione di altre emissioni di gas serra come il metano, ecc. In molti casi gli sviluppi sono chiaramente promettenti e vanno adeguatamente incoraggiati. Occorre in particolare sostenere la dimostrazione e la diffusione tempestive delle nuove tecnologie.

Esito della votazione (gli emendamenti relativi ai punti 1.5 e 4.13 sono stati messi ai voti e respinti congiuntamente)

Voti favorevoli

:

68

Voti contrari

:

113

Astensioni

:

21

Nuovo punto 4.3

Aggiungere un nuovo punto dopo il punto 4.2:

Per quanto riguarda l'aumento dei prezzi dell'energia nel settore delle energie rinnovabili, il CESE segnala che:

mentre negli ultimi anni il prezzo del petrolio non ha smesso di aumentare, i costi di produzione delle energie rinnovabili diminuiscono in maniera costante e rapida. Ciò significa che queste ultime potranno ben presto competere con i combustibili fossili, che peraltro vengono in parte sovvenzionati.

È probabile che i prezzi delle energie fossili continueranno a salire, data la loro sempre minore disponibilità in futuro e l'aumento dei costi di estrazione.

Alla conferenza Rio+20 del giugno 2012, l'UE si è impegnata (cfr. punto 225 della dichiarazione finale) a eliminare gradualmente le sovvenzioni nocive e inefficaci ai combustibili fossili, che incoraggiano gli sprechi e compromettono lo sviluppo sostenibile. Secondo le stime della Banca mondiale, tali sovvenzioni ammontano a 775 miliardi di dollari americani all'anno. Se l'UE traducesse in pratica questo impegno, l'attuale differenza di prezzo tra le energie fossili e quelle rinnovabili sarebbe meno accentuata, anche nel caso in cui non venisse mantenuta l'altra promessa - quella di «internalizzare i costi esterni». Il CESE invita la Commissione a effettuare i calcoli corrispondenti e a pubblicarli.

La Germania, lo Stato membro che ha visto lo sviluppo più massiccio del settore delle energie rinnovabili negli ultimi anni, ha adottato una normativa che esenta i maggiori consumatori di energia da determinati costi legati all'alimentazione di corrente da fonti di energia rinnovabili, con l'obiettivo di non compromettere la loro competitività a livello internazionale. L'elenco delle imprese esentate da queste «riscossioni» diventa sempre più lungo e, di conseguenza, suddetti costi vengono ripartiti tra un numero sempre minore di consumatori. Addirittura i campi da golf, i produttori di patatine fritte e i macelli possono beneficiare dell'esenzione. Poiché questa situazione può difficilmente essere giustificata con la competitività internazionale, il governo tedesco prevede attualmente di accorciare in maniera drastica l'elenco, cosa che contribuirà a contenere i costi.

Grazie alle elevate capacità per la produzione di elettricità a partire da fonti di energia rinnovabili di cui dispone la Germania (30 000 MW di capacità eolica e circa 29 000 MW di fotovoltaico, rispetto ai circa 10 000 MW delle centrali nucleari) i prezzi dell'elettricità in borsa non sono mai stati così bassi, soprattutto a metà giornata. Tuttavia i fornitori di energia, sebbene possano così acquistare energia a basso costo, non trasferiscono questi ribassi ai consumatori finali!

Nonostante l'aumento dei prezzi dell'elettricità, l'opinione pubblica tedesca è ampiamente favorevole alla cosiddetta «transizione energetica». Ciò è da ricondurre in particolare al fatto che numerosi singoli, cooperative di energia di recente fondazione e aziende municipalizzate producono essi stessi l'elettricità – attività che consente loro di ricavare dei guadagni e creare posti di lavoro a livello locale.

Esito della votazione

Voti favorevoli

:

69

Voti contrari

:

105

Astensioni

:

21

Punto 4.13

Modificare come segue:

Le tecnologie per le FER offrono opportunità importanti, come pure altre tecnologie intese a per ridurre le emissioni di gas a effetto serra, quali il «carbone pulito», lo stoccaggio dell'elettricità, la gestione della domanda, l'utilizzo del carbonio, la fissione e la fusione nucleari, o la riduzione di altre emissioni di gas serra come il metano, ecc. In molti casi gli sviluppi – chiaramente promettenti – vanno adeguatamente incoraggiati. Come il CESE ha sottolineato più volte in passato, è essenziale elaborare e orientare correttamente gli strumenti di finanziamento in funzione della maturità raggiunta dalle diverse tecnologie. Occorre in particolare sostenere la dimostrazione e la diffusione tempestive delle nuove tecnologie. Per questo è essenziale garantire le risorse destinate al piano strategico per le tecnologie energetiche (SET Plan). È urgente intervenire quanto prima, poiché sembra che negli Stati Uniti il settore privato abbia di recente aumentato i propri investimenti globali in ricerca e sviluppo nel campo dell'energia, e ciò potrebbe ripercuotersi sulla competitività dell'UE.

Esito della votazione (gli emendamenti relativi ai punti 1.5 e 4.13 sono stati messi ai voti e respinti congiuntamente)

Voti favorevoli

:

68

Voti contrari

:

113

Astensioni

:

20


15.2.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/140


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sulle valutazioni complessive dei rischi e della sicurezza («prove di stress») delle centrali nucleari nell’Unione europea e attività collegate

COM(2012) 571 final

2013/C 44/25

Relatore generale: MORDANT

La Commissione europea, in data 12 ottobre 2012, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sulle valutazioni complessive dei rischi e della sicurezza («prove di stress») delle centrali nucleari nell'Unione europea e attività collegate

COM(2012) 571 final.

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 17 settembre 2012, ha incaricato la sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori (articolo 59 del Regolamento interno), il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 485a sessione plenaria dei giorni 12 e 13 dicembre 2012 (seduta del 13 dicembre), ha nominato relatore generale MORDANT e ha adottato il presente parere con 98 voti favorevoli e 6 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Sebbene la gestione dei rischi dipenda soprattutto dalla resistenza delle centrali nucleari, secondo il Comitato economico e sociale europeo (CESE) occorre tener conto di tutti i rischi connessi a tali impianti, compresi quelli esterni per la popolazione, l'ambiente e l'economia.

1.2

Il CESE reputa indispensabile prevedere, in ogni centrale nucleare, una gestione degli incidenti, ossia una formazione del personale e delle azioni di informazione e consultazione della popolazione locale, consentendole così di prendere parte all'elaborazione delle consegne in caso d'incidente e avvalendosi della loro conoscenza del luogo; ritiene inoltre che occorra prevedere anche una gestione successiva agli incidenti (approccio a lungo termine).

1.3

Il CESE sostiene l'intenzione della Commissione di effettuare una revisione ambiziosa della direttiva sulla sicurezza nucleare e la esorta a non prendere in considerazione in tale processo soltanto gli aspetti tecnici, ma anche la condizione dei lavoratori e i vari problemi che possono interessare i cittadini (dal punto di vista della salute, dello stress, della condizione psicologica, dei timori ecc.).

1.4

Il CESE osserva che non in tutti gli Stati membri esiste una autorità indipendente incaricata della sicurezza con competenze in materia di regolamentazione, così come non esiste un approccio comune dei paesi UE in materia di regolamentazione della sicurezza nucleare: per questo motivo il Comitato raccomanda un'armonizzazione mediante la direttiva.

1.5

A giudizio del CESE, l'informazione del pubblico e la partecipazione dei cittadini potrebbero basarsi sulle disposizioni della convenzione di Århus applicate al settore nucleare: tale strumento, che prevede l'informazione, la partecipazione/concertazione e l'accesso alla giustizia, è stato firmato dall'UE e dai suoi Stati membri.

1.6

Il CESE è dell'avviso che l'Unione, a seguito delle prove di stress effettuate e delle raccomandazioni formulate dalla Commissione, debba introdurre dei meccanismi di monitoraggio e di verifica che comprendano la presentazione con cadenza periodica alle istituzioni europee di relazioni in materia da parte degli Stati membri.

1.7

Il CESE considera importanti la stretta cooperazione e la condivisione delle informazioni fra gestori, fornitori, autorità nazionali di regolamentazione e istituzioni europee raccomandate nella comunicazione, e ritiene che debbano interessare anche i cittadini, il personale del settore e i suoi rappresentanti, in particolare nelle zone di confine, dove è necessaria un'armonizzazione delle procedure.

1.8

Il CESE insiste con forza affinché i vari scenari di incidente comportino l'analisi dell'arresto di tutti i reattori di una centrale a causa di un blackout elettrico e di una perdita di refrigerante in contemporanea. Raccomanda inoltre di rivedere le procedure che presuppongono che il reattore in cui si è verificato l'incidente continui ad essere alimentato da un altro reattore del sito, di verificare l'equipaggiamento di emergenza (illuminazione esterna per consentire gli spostamenti del personale, gruppi diesel di riserva) e di aumentare l'alimentazione idrica delle piscine di stoccaggio degli elementi combustibili esausti.

1.9

Il CESE osserva che l'energia nucleare deve continuare a costituire parte integrante del mix energetico dell'UE, dal momento che in un futuro prevedibile non disporremo di nessuna fonte di produzione di energia elettrica di base a basse emissioni di carbonio e in quantità sufficiente, senza tuttavia che ciò pregiudichi l'approvvigionamento di elettricità a causa di una tecnologia carente o di incidenti. Per questo motivo, invita la Commissione a promuovere la realizzazione di uno studio sui fattori organizzativi e umani, poiché tali fattori costituiscono le fondamenta della sicurezza e della protezione nucleari.

1.10

Il CESE approva l'intenzione della Commissione di proporre un atto legislativo sull'assicurazione e la responsabilità in campo nucleare, che attualmente non coprono tutti i rischi effettivi: secondo il Comitato, infatti, occorre tenere conto soprattutto degli aspetti sociali, ambientali ed economici tramite la costituzione di fondi a carico dei produttori europei di energia elettrica dal nucleare. Vi è infatti il rischio che le eventuali vittime possano non essere tutelate, o addirittura risarcite, in misura adeguata.

1.11

Il CESE esprime preoccupazione per il ricorso al subappalto (talvolta fino all'80 % del personale) senza che venga effettivamente valutata l'incidenza di queste pratiche sulla sicurezza; la perdita di competenze che ne deriva, inoltre, rende più vulnerabili le équipe che lavorano negli impianti. Il Comitato è dell'avviso che si debba investire di più nella formazione del personale delle centrali.

1.12

La comunicazione non affronta la questione della vita utile delle centrali, che pure solleva degli interrogativi sotto il profilo della sicurezza. A giudizio del CESE, si tratta di un aspetto determinante nel valutare la sicurezza degli impianti nucleari, decidere se debbano eventualmente essere sostituiti da centrali di nuova generazione e programmare fin d'ora tale sostituzione. La proroga della vita utile di una centrale nucleare deve essere concessa dalle autorità nazionali di regolamentazione unicamente sulla base delle buone pratiche riconosciute a livello internazionale.

1.13

Il CESE raccomanda alla Commissione di introdurre una profilassi uniforme in caso di incidente grave, valida su tutto il territorio del'UE, intesa a prevenire effetti avversi tiroidei tramite l'assunzione di iodio stabile; raccomanda inoltre, in seguito agli insegnamenti tratti dalla catastrofe di Fukushima, di ampliare (a 20-30 km) la zona di evacuazione intorno alle centrali situate in aree densamente popolate.

2.   Introduzione

2.1

L'incidente di Fukushima (11 marzo 2011) ha indotto ad effettuare dei controlli sulla sicurezza degli impianti nucleari, in Europa e nel mondo. L'Unione europea conta infatti 145 reattori, 13 dei quali chiusi o in fase di smantellamento, per un totale quindi di 132 reattori in esercizio, distribuiti su 58 siti ubicati talvolta in zone di frontiera. Malgrado nell'UE non si siano mai verificati incidenti di tali proporzioni, era comunque necessario rivedere tutti i dispositivi in grado di garantire il massimo livello possibile di sicurezza, di protezione e di radioprotezione. Tra i paesi vicini dell'UE, hanno partecipato alle prove di stress anche la Svizzera e l'Ucraina.

2.2

Per quanto riguarda l'Unione europea, il Consiglio europeo del marzo 2011 ha dichiarato nelle sue conclusioni che «occorre riesaminare la sicurezza di tutte le centrali nucleari dell'UE sulla scorta di una valutazione esauriente e trasparente dei rischi e della sicurezza («prove di stress»)». Pertanto, in tutti gli Stati membri è stato avviato un processo di verifica articolato in tre fasi:

autovalutazioni da parte degli operatori nucleari;

esame delle autovalutazioni da parte delle autorità nazionali di regolamentazione;

revisioni inter pares delle relazioni nazionali a cura di esperti nazionali e della Commissione europea nel periodo gennaio - aprile 2012;

Tutti gli Stati membri partecipanti hanno trasmesso le rispettive relazioni di avanzamento e relazioni finali alla Commissione entro i termini stabiliti. (COM(2011)784) final.

2.3

Inoltre, il Consiglio europeo ha chiesto alla Commissione di invitare i paesi vicini dell'UE ad associarsi all'esercizio di prove di stress, e di esortare l'Unione a riesaminare «il quadro normativo e regolamentare vigente per quanto riguarda la sicurezza degli impianti nucleari» e di proporre, «entro la fine del 2011, i miglioramenti che si riveleranno necessari». Va ricordato che si è potuto dare inizio a questo processo di verifica della sicurezza solo a seguito di un mandato conferito alla Commissione dal Consiglio europeo.

3.   Sintesi della comunicazione della Commissione

3.1

La relazione finale ha constatato che le centrali nucleari europee utilizzano in generale standard di sicurezza elevati, ma ha anche raccomandato di migliorare una serie di aspetti relativi alla sicurezza in pressoché tutti gli impianti.

3.2

Le autorità nazionali di regolamentazione hanno comunque concluso che nessuna centrale dovesse essere chiusa.

3.3

Le prove di stress hanno dimostrato che né gli standard di sicurezza raccomandati dall'Agenzia internazionale dell'energia atomica (AIEA) né le buone pratiche a livello internazionale vengono integralmente applicati in tutti gli Stati membri.

3.4

La Commissione provvederà a monitorare attentamente l'attuazione delle raccomandazioni e, in parallelo, proporrà delle misure legislative intese a rafforzare ulteriormente la sicurezza nucleare in Europa.

3.5

Dallo svolgimento delle prove di stress, oltre ad una serie di raccomandazioni su numerosi miglioramenti tecnici specifici da adottare nelle centrali, è emerso che gli standard e le pratiche internazionali non vengono applicati in modo sistematico. Occorre altresì trarre i dovuti insegnamenti dall'incidente di Fukushima, in particolare per quanto riguarda: i rischi derivanti da terremoti e inondazioni, la presenza e l'impiego di strumentazione sismica all'interno della centrale, la realizzazione di sistemi di sfiato filtrato dell'edificio di contenimento e l'adozione di equipaggiamenti specifici per gli interventi d'emergenza in caso di incidenti, nonché la realizzazione di una sala controllo di emergenza esterna alla centrale.

3.6

Le autorità nazionali di regolamentazione elaboreranno e renderanno pubblici entro la fine del 2012 dei piani d'azione nazionali corredati di un calendario di attuazione. La Commissione, in stretta collaborazione con le suddette autorità, intende presentare nel giugno del 2014 una relazione sull'applicazione delle raccomandazioni formulate in seguito alle prove di stress.

3.7

La Commissione ha esaminato il quadro normativo europeo in vigore per la sicurezza nucleare e presenterà, all'inizio del 2013, una proposta di revisione della direttiva in materia che includerà modifiche riguardanti soprattutto le esigenze di sicurezza, il ruolo, l'indipendenza e le prerogative delle autorità nazionali di regolamentazione, la trasparenza e il monitoraggio.

3.8

Presenterà successivamente altre proposte, la prima sull'assicurazione e la responsabilità in campo nucleare e la seconda sui livelli massimi ammissibili di radioattività negli alimenti e nei mangimi. La realizzazione delle prove di stress ha messo in luce anche l'esigenza di approfondire i lavori in materia di protezione nucleare (ossia la prevenzione di atti dolosi), settore in cui i principali responsabili sono gli Stati membri.

4.   Osservazioni generali

4.1

Occorre sottolineare gli ampi sforzi e le ingenti risorse finanziarie destinati alle prove di stress, come pure il fatto che sono stati realizzati in modo adeguato. Mediante il processo di svolgimento delle prove, i 14 Stati membri in cui sono in esercizio centrali nucleari hanno partecipato alle valutazioni «su base volontaria», dando così un contributo prezioso all'adozione di norme comuni in materia di sicurezza e di protezione. Va detto però che queste valutazioni si basano sull'autovalutazione da parte dell'operatore, seguita da un esame dell'autovalutazione da parte delle autorità nazionali di regolamentazione e, infine, da una revisione inter pares. L'UE, a seguito delle prove di stress effettuate e delle raccomandazioni formulate dalla Commissione, deve introdurre dei meccanismi di monitoraggio e di verifica.

4.2   Risultanze relative al quadro giuridico

4.2.1

Malgrado sia entrata in vigore la direttiva sulla sicurezza nucleare, gli Stati membri non hanno adottato un approccio totalmente conforme alla direttiva in materia di regolamentazione della sicurezza e della protezione nucleari. Il processo di revisione della direttiva UE dovrebbe codificare con maggior precisione le norme in materia di sicurezza nucleare; occorre inoltre applicare in modo rigoroso le disposizioni relative all'attuazione e alla procedura di infrazione.

4.2.2

Revisione della direttiva sulla sicurezza nucleare. Due Stati membri – la Polonia e il Portogallo – non hanno ancora completato entro il termine stabilito (22 luglio 2011) il recepimento della direttiva sulla sicurezza nucleare (direttiva 2009/71/Euratom del Consiglio, del 25 giugno 2009, che istituisce un quadro comunitario per la sicurezza nucleare degli impianti nucleari.) «È di fondamentale importanza assicurare che gli insegnamenti tratti dall'incidente di Fukushima e le conclusioni scaturite dalle prove di stress siano attuati adeguatamente e in modo omogeneo nell'UE e che trovino riscontro nel quadro legislativo» (COM(2012) 571 final). Il CESE appoggia la revisione in corso e chiede in particolare che l'UE si veda attribuire un ruolo di controllo più incisivo. Tuttavia, tale processo non deve limitarsi agli aspetti tecnici, su cui vertono le prove di stress, poiché la sicurezza dipende anche dal fattore umano, ossia i cittadini, i lavoratori e i loro rappresentanti. Sarebbe significativo se le clausole di trasparenza e partecipazione del pubblico previste dalla direttiva sulla sicurezza nucleare fossero basate sulla convenzione di Århus, che è già stata firmata dall'UE e da quasi tutti gli Stati membri quantomeno per la parte relativa alla partecipazione dei cittadini.

4.2.3

È importante sottolineare l'esigenza di un'armonizzazione tra i paesi UE delle norme di radioprotezione e preparazione alle emergenze extra sito: «Nell'UE vi sono 47 centrali nucleari, per un totale di 111 reattori, che interessano una popolazione di 100 000 persone in un raggio di 30 km: le misure di prevenzione extra sito sono quindi di primaria importanza. La responsabilità di tali misure incombe a varie autorità nazionali, regionali e locali» (COM(2012) 571 final). Per questo motivo il CESE appoggia risolutamente la revisione della legislazione europea in questo settore e la necessità di coinvolgere la popolazione locale.

4.2.4

Assicurazione e responsabilità in campo nucleare Si tratta di una materia su cui non esistono disposizioni a livello europeo, anche se «L'articolo 98 del Trattato Euratom prevede tuttavia l'emanazione di direttive del Consiglio che stabiliscano misure vincolanti al riguardo. La Commissione esaminerà quindi, in base ad una valutazione d'impatto e entro i limiti della competenza dell'UE, in che misura occorra migliorare la posizione delle potenziali vittime di un incidente nucleare in Europa» (COM(2012) 571 final). Il CESE appoggia la decisione della Commissione di proporre un atto legislativo in questo campo, poiché attualmente le assicurazioni non coprono adeguatamente i rischi; tale atto legislativo dovrebbe coprire anche i rischi sociali, ambientali ed economici e il risarcimento «in ultima istanza», che oggi rimane di competenza dello Stato.

4.2.5

Revisione della normativa su alimenti e mangimi«L'esperienza maturata con i fatti di Fukushima e di Cernobil insegna che occorre operare una distinzione tra gli strumenti che disciplinano l'importazione di alimenti da paesi terzi e quelli che riguardano la commercializzazione di alimenti in caso di incidenti verificatisi nell'UE» (COM(2012) 571 final). È opportuno procedere ad una revisione della normativa in materia.

4.3

Nelle specifiche delle prove di stress vengono descritti gli aspetti coperti dalla verifica, ma non quelli che ne sono esclusi. Sono stati infatti esclusi dal processo, e di conseguenza dalla valutazione, i seguenti fattori: l'obsolescenza delle centrali e gli effetti derivanti dalla proroga della loro vita utile, la cultura della sicurezza e l'indipendenza, gli standard e la coerenza delle autorità nazionali di regolamentazione. Si può ritenere che almeno alcuni di questi fattori abbiano contribuito a determinare l'ampiezza e l'impatto della catastrofe di Fukushima, ossia dell'incidente che ha indotto l'UE ad effettuare le prove di stress.

4.4

In quest'ottica, il CESE non può che appoggiare la proposta di attivare il Centro comune di ricerca della Commissione europea e di istituire un laboratorio europeo permanente sulla sicurezza nucleare, ma rileva che si tratta pur sempre di valutazioni sotto il profilo tecnico. Il CESE ribadisce che, a suo avviso, occorre mettere a punto formazioni di alto livello adattate al settore nucleare. Occorre inoltre istituire un'autorità amministrativa europea responsabile della sicurezza nucleare, oltre a quella competente per la radioprotezione e all'autorità di controllo in materia di proliferazione nucleare.

4.5

Il Comitato osserva che è anche necessario investire nella formazione del personale dei vari siti. In alcuni paesi si osserva un ricorso piuttosto sistematico al subappalto senza che venga effettivamente valutata l'incidenza di queste pratiche sulla sicurezza. La perdita di competenze che ne deriva rende più vulnerabili le équipe che lavorano nelle centrali.

4.6

Rafforzare la collaborazione internazionale e migliorare il quadro giuridico a livello mondiale in materia di sicurezza nucleare.«La maggioranza delle nazioni che partecipano a tale gruppo di lavoro concorda sull'esigenza di tener conto degli standard di sicurezza dell'AIEA, dei principi di indipendenza ed efficacia della regolamentazione, di maggiore impiego delle valutazioni tra pari e di una maggiore apertura e trasparenza.» (COM(2012) 571 final). Va osservato che le proposte di condivisione e rafforzamento delle norme sono guidate dai principi di indipendenza, trasparenza e apertura: ci si può chiedere però se questo possa bastare, se poi le norme non vengono applicate.

5.   Osservazioni specifiche

5.1   Trasparenza

5.1.1

Per quanto riguarda l'informazione della popolazione - che pure è un principio fondamentale della convenzione di Århus, basata sui tre pilastri che sono la concertazione, la partecipazione e l'accesso alla giustizia – si deve constatare che, a parte un accenno alla trasparenza, si tratta di un tema che non viene affrontato nel quadro delle prove di stress. Eppure anche i cittadini rappresentano una componente indispensabile della sicurezza e della protezione nucleari. Tuttavia, il coinvolgimento dei cittadini non è stato all'altezza della posta in gioco. La partecipazione del pubblico, infatti, non è stata facile: le scadenze erano troppo ravvicinate per consentire l'esame dei vari dossier; in occasione degli incontri pubblici non sempre è stato garantito un servizio di interpretazione e diverse associazioni non hanno potuto partecipare per ragioni finanziarie. Nonostante ciò, il livello di trasparenza raggiunto ha permesso ad alcune organizzazioni della società civile di svolgere un'analisi molto dettagliata delle relazioni.

5.1.2

«I guasti che si verificano nelle centrali nucleari, anche negli Stati membri che vantano altrimenti un bilancio positivo in termini di sicurezza, confermano la necessità di effettuare periodicamente revisioni approfondite della sicurezza e di procedere a valutazioni dell'esperienza operativa e mettono in luce l'esigenza di una stretta cooperazione e della condivisione d'informazioni fra gestori, venditori, autorità di regolamentazione e istituzioni europee, in sedi quali la piattaforma europea di scambio delle esperienze operative mantenuta dal Centro comune di ricerca (JRC) della Commissione.» Non è possibile tuttavia che le informazioni siano condivise soltanto tra «gestori, venditori, autorità di regolamentazione e istituzioni europee» (COM(2012) 571 final): anche i cittadini europei devono essere coinvolti nel processo, conformemente ad uno dei tre principi fondamentali (informazione, concertazione/partecipazione, accesso alla giustizia) della convenzione di Århus.

In Francia, ad esempio, esistono tre organismi che operano a tutela dei cittadini: lo Haut comité pour la transparence et l'information sur la sécurité nucléaire (HCTISN - Comitato ad alto livello per la trasparenza e l'informazione nel campo della sicurezza nucleare), le Commissions locales d'information (CLI - commissioni locali di informazione) e l'Association nationale des comités et commissions locales d'information (ANCCLI - Associazione nazionale dei comitati e delle commissioni locali di informazione) (legge del giugno 2006), i quali hanno preso parte alle évaluations complémentaires de sûreté (valutazioni complementari sulla sicurezza) realizzate dallo Stato francese. Lo HCTISN ha partecipato all'elaborazione delle specifiche e ha incaricato un gruppo di lavoro di svolgere audizioni nei diversi siti per fornire una descrizione dettagliata delle condizioni di lavoro del personale. Le CLI e l'ANCCLI, per parte loro, hanno svolto delle analisi delle relazioni degli operatori che sono confluite nella relazione dell'Autorità francese per la sicurezza nucleare (ASN).

Per quanto riguarda guasti e incidenti, questi organismi hanno accesso sia alle lettere inviate a conclusione di un'ispezione che alle risposte fornite dagli operatori. Tenuto conto di queste possibilità dei cittadini francesi, si può affermare che la partecipazione del pubblico alle valutazioni degli incidenti consente di intavolare più agevolmente un dialogo costruttivo con la popolazione.

5.2

Una delle considerazioni importanti formulate dalla Commissione nella comunicazione è la seguente: «[…] le autorità nazionali di regolamentazione non hanno ravvisato ragioni tecniche che impongano la chiusura di alcuna centrale nucleare in Europa e hanno censito una serie di buone pratiche» (COM(2012) 571 final) L'affermazione è tuttavia accompagnata da una serie di raccomandazioni e richieste di miglioramenti da realizzare entro un termine ben preciso: quali saranno le conseguenze se questo non viene rispettato? Determinate richieste di ordine tecnico – ad esempio, il rafforzamento della platea di un reattore (Fessenheim, in Francia), la bunkerizzazione di edifici (piscine di stoccaggio del combustibile) – potrebbero essere impossibili da soddisfare: quale decisione prenderanno gli Stati membri interessati? Va anche ricordato che in alcune centrali non sono state realizzate le misure di protezione raccomandate in seguito agli incidenti di Three Mile Island e di Cernobil.

5.3   Risultanze relative alle procedure e ai quadri di sicurezza

Dopo l'incidente di Fukushima, i punti fondamentali sono i seguenti:

5.3.1   Valutazione e gestione dei rischi esterni

Non era mai stata presa in considerazione l'ipotesi di un blackout elettrico e di una perdita di refrigerante in contemporanea in tutti i reattori di una centrale. Pertanto, i sistemi di protezione predisposti (gruppi diesel di riserva, vasche d'acqua) si sono rivelati inefficaci, tanto più in quanto gli altri reattori del sito avrebbero dovuto sostituirsi a quello non più funzionante.

5.3.2

Si osservano «differenze considerevoli» da uno Stato membro all'altro in materia di analisi probabilistiche della sicurezza (COM(2012) 571 final): occorrerebbe quindi allineare le diverse analisi allo scenario più pessimistico. Non bisogna confidare troppo nelle scarse probabilità di un incidente, poiché questo è causato in genere da una serie di piccole negligenze che si susseguono o, peggio ancora, si sovrappongono. Inoltre, l'analisi condotta su Fukushima ha dimostrato che i rischi che si verificassero un terremoto e uno tsunami erano stati sottovalutati, quando invece alcuni esperti avevano evidenziato che si trattava di eventi non soltanto possibili, ma che si erano in realtà già verificati negli anni ‧30. La tendenza era invece quella di ritenere impossibili» determinati incidenti.

Eppure, già l'incidente di Three Mile Island aveva dimostrato che il nocciolo di un reattore può effettivamente fondere, mentre le analisi condotte parecchi anni dopo hanno permesso di constatare che il recipiente a pressione, pur essendo incrinato in più punti, aveva resistito. A Cernobil, invece, la lava («corium») è dilagata ovunque. A Fukushima, infine, la fusione parziale dei tre noccioli (nn. 1, 2, 3) ha probabilmente danneggiato le platee dei reattori.

5.3.3   La gestione degli incidenti gravi

Si dovrebbero prendere in considerazione tutti i possibili scenari, nel tentativo di adottare misure capaci, per quanto possibile, di ridurre al minimo l'impatto dell'incidente: di queste, una delle principali è la formazione del personale. Per essere in grado di garantire una gestione extra sito, inoltre, occorre preparare la gestione degli incidenti coinvolgendo la popolazione locale, consentendole così di prendere parte all'elaborazione delle consegne in caso d'incidente e avvalendosi della loro conoscenza del luogo.

La catastrofe di Fukushima ha altresì dimostrato, ancora una volta, l'importanza della gestione successiva agli incidenti: se è vero che se ne devono incaricare le autorità locali, regionali e nazionali, è, questo, un ambito in cui occorre in ogni caso consultare la popolazione locale, farle prendere parte alle esercitazioni e sfruttarne le conoscenze specifiche. La gestione post incidente richiede un approccio a lungo termine.

5.4   Raccomandazioni fondamentali scaturite dalle prove di stress sulla sicurezza

5.4.1   Raccomandazioni relative alle misure di sicurezza nelle centrali nucleari esistenti:

Seguito riservato dai paesi partecipanti ai risultati emersi dalle prove di stress

L'acquisto di apparecchiature mobili dovrebbe consentire di evitare incidenti gravi o di attenuarne gli effetti; occorre inoltre potenziare le apparecchiature (quelle maggiormente protette, a prova di eventi esterni) e migliorare la formazione del personale.

Piano d'azione volto ad assicurare l'applicazione delle raccomandazioni

In primo luogo, occorre valutare l'importanza relativa delle diverse raccomandazioni «al fine di stabilire un ordine di priorità ed assegnare i finanziamenti ai settori che recano i maggiori benefici in termini di sicurezza» (COM(2012) 571 final). Quanto ai reattori di nuova generazione, essi sono concepiti per corrispondere, in linea di massima, a tutte le misure suggerite dalle raccomandazioni; è necessario tuttavia rafforzare la capacità di regolamentazione in materia di sicurezza nucleare in Europa.

Competenza in materia di monitoraggio e di verifica:

Il monitoraggio e la verifica sono di competenza degli Stati membri, che tuttavia dovrebbero presentare con cadenza periodica alle istituzioni europee delle relazioni in materia.

5.4.2   Raccomandazioni relative alle procedure

A livello UE occorre «definire orientamenti europei sulla valutazione dei pericoli naturali, compresi terremoti, inondazioni e condizioni meteorologiche estreme, e dei margini di sicurezza, al fine di migliorare la coerenza tra gli Stati membri» (COM(2012) 571 final). La Commissione raccomanda che questo compito venga affidato alla WENRA - Western European Nuclear Regulators' Association (Associazione delle autorità di regolamentazione nucleare dell'Europa occidentale). Sarebbe utile ricorrere ad una consultazione come quella prevista dalla convenzione di Århus in modo tale da stabilire un livello minimo di partecipazione della popolazione locale dei siti delle centrali alla definizione degli orientamenti;

occorre inoltre: rendere sistematiche le ispezioni e valutazioni decennali, mantenendo nel contempo dei programmi di manutenzione delle apparecchiature commisurati alla loro importanza;

rivedere e aggiornare le relazioni sulla sicurezza dei reattori con cadenza perlomeno decennale;

prevedere apparecchiature di emergenza, nonché la creazione di centri di reazione alle emergenze protetti e di squadre di soccorso dotate di apparecchiature mobili.

5.5

I vari scenari di incidente devono assolutamente comportare l'analisi dell'arresto di tutti i reattori di una centrale a causa di un blackout elettrico e di una perdita di refrigerante in contemporanea. È necessario rivedere le procedure che presuppongono che il reattore in cui si è verificato l'incidente continui ad essere alimentato da un altro reattore del sito, e controllare l'equipaggiamento di emergenza: illuminazione esterna per consentire gli spostamenti del personale, gruppi diesel di riserva; occorre inoltre ovviamente verificare lo stoccaggio dei combustibili esausti nelle piscine, la cui l'alimentazione idrica deve essere potenziata.

5.6

«A parere della Commissione, l'estensione della valutazione della sicurezza alle disposizioni di preparazione all'emergenza e di risposta extra sito apporta un contributo supplementare importante al miglioramento della sicurezza della popolazione.» (COM(2012) 571 final). A giudizio del CESE, occorre anche uniformare le procedure in vigore tra paesi confinanti. Per quanto riguarda le attività delle CLI: nella CLIS (Commission locale d'information et de surveillance = commissione locale d'informazione e di vigilanza) di Fessenheim siedono rappresentanti della Svizzera e della Germania, mentre rappresentanti tedeschi e lussemburghesi sono membri di quella di Cattenom. Rappresentanti del Belgio assistono alle riunioni della CLI di Chooz e potrebbero partecipare anche a quelle della commissione di Gravelines. È sicuramente opportuno predisporre la reazione agli incidenti in collaborazione con la popolazione locale: la gestione della situazione successiva ad un incidente può infatti richiedere un periodo anche molto lungo, e ovviamente è la popolazione locale a risentire dei danni con conseguenti gravi ripercussioni sociali, economiche e ambientali. Le assicurazioni sottoscritte dagli operatori delle centrali non coprono affatto tutti i costi derivanti da un incidente: è lo Stato a doversene fare carico, vale a dire i cittadini.

5.7   Risultanze fondamentali e raccomandazioni scaturite dalle valutazioni della sicurezza

5.7.1

La relazione finale del Gruppo ad hoc del Consiglio sulla protezione nucleare (AHGNS) (http://register.consilium.europa.eu/pdf/en/12/st10/st10616.en12.pdf) illustra le analisi condotte dal Gruppo su cinque temi: protezione fisica, impatto di aeromobili dovuto ad atti dolosi, attacchi informatici, preparativi per le emergenze nucleari, esercitazioni e formazione. Tuttavia, dal momento che la sicurezza nazionale resta di competenza degli Stati membri, sarebbe necessario:

ratificare la convenzione sulla protezione dei materiali nucleari (proliferazione),

proseguire i lavori nel campo della protezione nucleare,

stabilire dei collegamenti tra la sicurezza, la radioprotezione e la protezione nucleari.

L'assenza di studi sui fattori organizzativi e umani costituisce una grave lacuna, mentre è assolutamente necessario analizzare questi elementi fondamentali della sicurezza.

5.7.2

In materia di incidenti, erano stati sollevati degli interrogativi circa la necessità di prendere in considerazione l'ipotesi di atti dolosi e dell'eventualità di un impatto di aeromobili. La questione è stata esaminata in un seminario a livello europeo, e, in particolare, l'ipotesi di un impatto di aeromobile di grandi dimensioni ha permesso di evidenziare le diverse impostazioni dei paesi UE. Tuttavia, nella società permangono forti dubbi e interrogativi, ed è quindi opportuno tenerne conto. Va detto infatti che gli edifici di contenimento dei reattori oggi in funzione non sarebbero in grado di resistere all'impatto di un aeromobile di grandi dimensioni, mentre invece quelli del nuovo tipo EPR (reattore europeo ad acqua pressurizzata) devono soddisfare una serie di nuove prescrizioni di costruzione: ci si può chiedere se questi nuovi requisiti siano sufficienti.

5.7.3   Misure di rafforzamento della protezione nucleare:

riduzione della minaccia di incidente chimico, biologico, radiologico, nucleare (CBRN) di origine dolosa, compresi gli atti di terrorismo e il rilevamento di materiali radioattivi e nucleari;

revisione della direttiva 2008/114/CE relativa all'individuazione e alla designazione delle infrastrutture critiche europee, prevista per il 2013;

presentazione, entro la fine del 2012, di una proposta legislativa della Commissione sulla protezione delle reti e delle informazioni;

adozione della proposta di revisione del meccanismo UE di protezione civile, che agevola la cooperazione fra gli Stati membri nell'ambito degli interventi di soccorso della protezione civile in caso di incidenti gravi, compresi quelli radiologici e nucleari.

5.8   Prospettive

5.8.1

Va osservato che la catastrofe di Fukushima ha indotto l'UE ad organizzare delle prove di stress, vale a dire un esercizio di una portata senza precedenti, e che è stata resa accessibile al pubblico una fitta documentazione. Malgrado ciò, resta il fatto che è necessario proseguire il lavoro di attento monitoraggio, poiché in tutti gli Stati membri vanno introdotti dei miglioramenti ed eliminate delle carenze in materia di regolamentazione.

5.8.2

Va inoltre sottolineato che le prove di stress non hanno analizzato adeguatamente i fattori umani e organizzativi né hanno preso in considerazione la loro incidenza sulla sicurezza. Per quanto concerne invece la preparazione alle situazioni di emergenza e la gestione di lungo periodo di una crisi di questo tipo, è indispensabile avviare una concertazione in proposito con tutti gli attori interessati e coinvolgere i semplici cittadini.

5.8.3

La Commissione raccomanda le seguenti azioni:

attuare quanto prima le raccomandazioni formulate in seguito alle prove di stress. La Commissione vigilerà sull'applicazione di tali misure e pubblicherà, in collaborazione con l'ENSREG (Gruppo dei regolatori europei in materia di sicurezza nucleare), una relazione in proposito nel 2014. Inoltre, il piano d'azione deve prefiggersi di attuare entro il 2015 la maggioranza dei miglioramenti della sicurezza richiesti;

proporre al Consiglio un mandato di partecipazione attiva al gruppo di lavoro sulla trasparenza (principio raccomandato anche dall'AIEA; sulla trasparenza il progetto europeo RISCOM ha messo a punto un «modello RISCOM»); il CESE propone al riguardo di basarsi sulle disposizioni della convenzione di Århus;

contribuire al rafforzamento della protezione nucleare per il tramite degli Stati membri e delle istituzioni dell'UE.

Il CESE raccomanda in questa sede la partecipazione/la concertazione con la popolazione locale.

5.8.4

Il CESE ritiene che dall'esercizio delle prove di stress debba scaturire l'adozione dei più elevati standard di sicurezza nel settore dell'energia nucleare, che rappresenta il 30 % della produzione di energia elettrica nell'UE. Si tratta di una misura fondamentale, se vogliamo che questa importante fonte di energia elettrica a basse emissioni di carbonio continui a dare il proprio contributo al mix energetico dell'Europa e al conseguimento dell'obiettivo di riduzione dei gas a effetto serra.

Bruxelles, 13 dicembre 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


15.2.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/147


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni «Partenariato europeo per l’innovazione relativo all’acqua»

COM(2012) 216 final

2013/C 44/26

Relatrice: LE NOUAIL MARLIÈRE

La Commissione europea, in data 10 maggio 2012, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Partenariato europeo per l'innovazione relativo all'acqua

COM(2012) 216 final.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 novembre 2012.

Alla sua 485a sessione plenaria, dei giorni 12 e 13 dicembre 2012 (seduta del 13 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 126 voti favorevoli, 5 voti contrari e 11 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la comunicazione della Commissione europea sul partenariato europeo per l'innovazione (European Innovation Partnership, EIP) (in prosieguo «il partenariato») relativo all'acqua ma propone alcuni chiarimenti e miglioramenti intesi ad eliminare gli ostacoli che impediscono il corretto sviluppo dell'innovazione nel settore delle risorse idriche.

1.2

L'innovazione relativa all'acqua in Europa dovrebbe basarsi su un approccio integrale - che tenga conto dell'intero ciclo idrico e che preveda come obiettivo principale da raggiungere in tutta Europa «un buono stato delle acque superficiali e sotterranee», come previsto dalla direttiva quadro europea in materia di acque (1) - e sullo sviluppo della protezione della risorsa mediante l'applicazione del principio «chi inquina paga», che dovrebbe costituire un deterrente sufficiente a prevenire l'inquinamento ed evitare l'immunità di quanti sarebbero costretti a pagare.

1.3

Il piano strategico di attuazione delle priorità del partenariato deve tener conto del fatto che oltre un milione di persone in Europa non hanno accesso a risorse idriche sicure, pulite e a buon mercato, e diversi milioni non dispongono di servizi igienico-sanitari. Il soddisfacimento dei bisogni di queste persone costituisce una priorità in un'ottica di inclusione e di lotta contro la povertà.

1.4

I fornitori pubblici di servizi idrici, gli utenti e i consumatori devono avere più peso nel processo decisionale sul partenariato relativo all'acqua. È inoltre necessario che il partenariato stesso si traduca in un miglioramento del coordinamento di tutti gli operatori, che i vantaggi dell'innovazione raggiungano il livello locale e che sia facilitata la partecipazione delle organizzazioni rappresentative della società civile alle nuove reti e gruppi che si verrebbero a creare.

1.5

A giudizio del CESE occorre mettere a disposizione in maniera trasparente i risultati delle ricerche finanziate per i partenariati per l'innovazione relativi all'acqua, attraverso il Settimo quadro europeo di ricerca e di sviluppo, tenuto conto dello specifico carattere essenziale dell'acqua per le popolazioni.

1.6

Il CESE sconsiglia di considerare le innovazioni in questo settore sensibile dal solo punto di vista della protezione commerciale e raccomanda di facilitarne l'accesso alle diverse istanze, organismi ed enti territoriali locali, nonché alle imprese dell'economia sociale.

1.7

Il CESE chiede alla Commissione di raddoppiare gli sforzi per garantire la trasparenza e il coordinamento di alcune importanti iniziative in corso collegate al complesso tema dell'acqua. Occorre ad esempio che la Commissione fornisca alcune precisazioni riguardo alle sinergie e al funzionamento congiunto dei recenti partenariati relativi all'acqua, l'agricoltura e le materie prime.

1.8

Non vi sarà una vera politica di ricerca e di innovazione per l'acqua senza trasparenza e senza una politica dell'occupazione inclusiva che preveda fin da ora garanzie in materia di adeguatezza del numero dei lavoratori, formazione, riconoscimento delle qualifiche e tecnologie in grado di migliorare la salute e la sicurezza – sia nei processi di depurazione e di trattamento dell'acqua sia nei servizi igienico-sanitari – e di assicurare l'ottimizzazione di tutte le missioni nella loro diversità e a tutti i livelli.

1.9

Il CESE richiama l'attenzione sul ruolo delle reti di organizzazioni della società civile, che dovrebbe essere riconosciuto e valorizzato, oltre a formare oggetto di ricerca per quanto riguarda il potenziale di innovazione che presentano tali reti, per via della loro esperienza e del loro capitale di conoscenze.

2.   Introduzione

2.1

Con la sua strategia Europa 2020, l'UE intende rimettere in sesto l'economia europea per consentirle di tornare a generare occupazione, competitività e coesione sociale.

2.2

La strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva sottolinea il ruolo centrale che svolgono la conoscenza e l'innovazione nella crescita. Nella sua proposta di programma quadro dell'UE per la ricerca e l'innovazione (2014-2020) (2), la Commissione ha suggerito un aumento del bilancio dell'UE destinato alla R&S portandolo a 80 miliardi di euro per Orizzonte 2020, e gli Stati membri si sono impegnati realizzare l'obiettivo dell'UE di investire in media il 3 % del PIL dell'Unione nella ricerca entro il 2020 (cfr. anche il parere del CESE INT/571 sul finanziamento della ricerca e dell'innovazione (3)).

2.3

Per questo motivo lo Spazio europeo della ricerca (SER) è al centro della strategia Europa 2020 e dell'iniziativa faro L'Unione dell'innovazione  (4), e il Consiglio europeo ha chiesto che il SER fosse completato entro il 2014 (5). L'iniziativa L'Unione dell'innovazione mira a garantire che i nuovi prodotti e servizi ad alta intensità di conoscenza contribuiscano in maniera significativa alla crescita e all'occupazione, e a limitare la fuga di cervelli. Per conseguire tale obiettivo è indispensabile poter contare su una base scientifica di livello veramente mondiale.

2.4

Secondo la proposta in esame (6), i partenariati europei per l'innovazione proposti dall'iniziativa faro Europa 2020 L'Unione dell'innovazione  (7), propongono un approccio strategico e un quadro per affrontare le carenze strutturali e metodologiche del sistema europeo di ricerca e innovazione in modo da accelerare le innovazioni in grado di apportare un contributo significativo per risolvere le sfide che la società deve affrontare. I suddetti partenariati potrebbero costituire una modalità di condivisione delle competenze e delle risorse rispetto a priorità politiche cruciali, tramite la mobilitazione e il collegamento di tutte le parti interessate, al di là delle politiche, dei settori di interesse e dei confini nazionali, affinché i cittadini possano usufruire più velocemente dei potenziali vantaggi derivanti dai progressi ottenuti e dall'innovazione (come raccomanda il CESE nel suoi pareri INT/599 Partenariati nella ricerca e nell'innovazione  (8) e NAT/546 Piano d'azione per l'ecoinnovazione (Eco-AP)  (9)). È importante sottolineare che ad eccezione dei 40 milioni di euro previsti nell'ambito del Settimo programma quadro per la ricerca e lo sviluppo, il partenariato relativo all'acqua non prevede alcun tipo di finanziamento supplementare rispetto alle risorse attuali e che il suo obiettivo è limitato alla ricerca di sinergie e al coordinamento degli strumenti esistenti.

2.5

L'importanza dell'innovazione nel settore della gestione delle risorse idriche è un fatto riconosciuto dagli Stati membri dell'UE. Il 21 giugno 2011 il Consiglio dell'Unione europea ha invitato la Commissione «a studiare un partenariato per l'innovazione in materia di acque in stretta cooperazione con gli Stati membri, al fine di raggiungere un uso sostenibile ed efficiente delle risorse idriche» (10).

2.6

L'importanza dell'impegno da parte dell'Europa per una gestione sostenibile dell'acqua in quanto risorsa fondamentale emerge chiaramente dall'iniziativa faro Un'Europa efficiente nell'impiego delle risorse  (11) nell'ambito della strategia Europa 2020. La Tabella di marcia verso un'Europa efficiente nell'impiego delle risorse  (12) evidenzia gli incrementi di efficienza che è possibile ottenere. Gli obiettivi strategici del partenariato europeo per l'innovazione, da conseguire entro il 2020, sono i seguenti:

(i)

fornire a tutti gli utilizzatori risorse idriche sicure, disponibili e a buon mercato, garantendo al contempo la presenza di sufficienti risorse idriche per l'ambiente;

(ii)

conseguire un relativo disaccoppiamento tra l'esaurimento delle risorse idriche e il livello di attività economica nei settori chiave dell'UE;

(iii)

mantenere e migliorare il «buono stato» delle acque nei bacini fluviali di tutta l'UE.

2.7

La Commissione sta elaborando un programma relativo alla salvaguardia delle risorse idriche europee, che rappresenta una tappa fondamentale nella tabella di marcia verso l'efficienza nell'impiego delle risorse. Il documento presenterà, entro la fine del 2012, la risposta politica alle sfide rappresentate dai problemi e dalle lacune in materia di attuazione dell'attuale quadro per la gestione delle risorse idriche dell'UE. Tale progetto e il partenariato per l'innovazione saranno messi a punto in stretto coordinamento. Inoltre, il partenariato si baserà sul Piano d'azione per l'ecoinnovazione (13).

2.8

La politica per la protezione delle risorse idriche dovrebbe poter prevedere una compensazione per le restrizioni dell'attività economica imposte nelle aree interessate da forme gravi di inquinamento. In questi casi particolari, gli aiuti di Stato aggiornati potrebbero essere adeguati e consentire di tenere conto del piano europeo per la protezione delle risorse idriche.

3.   Considerazioni generali

3.1

Il gruppo di lavoro per il partenariato europeo per l'innovazione relativo all'acqua, nella sua prima riunione del 25 settembre, ha individuato otto ambiti prioritari:

l'interconnessione energia/risorse idriche – Quella della produzione energetica è un'industria ad elevato consumo d'acqua che ha pertanto una significativa impronta idrica;

la gestione delle risorse idriche – Una corretta gestione è indispensabile per la gestione sostenibile delle risorse idriche;

il finanziamento dell'innovazione – Occorrerebbe finanziare la cooperazione tra attori del settore pubblico (partenariati pubblico/pubblico) nonché tra attori pubblici e privati. La spesa pubblica deve soddisfare gli interessi pubblici senza alimentare i profitti privati;

il riutilizzo e il riciclo dell'acqua – L'innovazione in questo settore deve basarsi su un approccio integrale che tenga conto dell'intero ciclo idrico. L'acqua è una risorsa rinnovabile: per assicurarne un utilizzo sostenibile è indispensabile evitare di perturbare il ciclo idrico

il trattamento delle acque e delle acque reflue – In questo settore l'innovazione negli ultimi decenni è stata insufficiente, specialmente per quanto concerne il trattamento delle acque reflue municipali. Un metodo importante per riottenere risorse dalle acque reflue consiste nel recupero dei nutrienti.

gestione dei rischi relativi ad eventi estremi collegati alle risorse idriche (inondazioni e siccità);

modelli di gestione e monitoraggio;

servizi ecosistemici.

3.2

Secondo la relazione del programma comune OMS/UNICEF di monitoraggio dell'acqua e dei servizi igienico-sanitari, entro il 2015 circa il 92 % della popolazione mondiale avrà accesso all'acqua potabile migliorata (sistemi di canalizzazione o pozzi protetti), rispetto all'89 % (pari a 6,1 miliardi di esseri umani) del 2010.

3.3

Sebbene le Nazioni Unite riconoscano il diritto universale all'acqua e ai servizi igienico-sanitari, oltre l'11 % della popolazione mondiale, ovvero 783 milioni di persone, non ha ancora accesso a fonti di acqua potabile sicura e due miliardi e mezzo di persone non dispongono di reti fognarie.

3.4

L'acqua è indispensabile per quasi tutte le attività umane, economiche e sociali: produzione industriale, energetica, agricola, trasporti, attività ricreative, conservazione della biodiversità e del patrimonio culturale e naturale. Non ci può essere sicurezza alimentare o energetica in Europa o nel mondo se non ci si preoccupa della risorsa primaria, ovvero l'acqua, che con la terra costituisce una delle principali sfide del XXI secolo. La seconda metà del secolo precedente ci ha purtroppo lasciato in eredità ambienti naturali acquatici degradati, indeboliti, prosciugati e inquinati.

3.5

Il futuro di questa risorsa è seriamente ipotecato da un modello di sviluppo economico devastante per l'ambiente che considera l'acqua un bene naturale sfruttabile come tutti gli altri, provocando in tal modo il sovrasfruttamento delle falde freatiche, l'inquinamento dei suoli, dei corsi d'acqua e degli oceani, nonché l'alterazione del ciclo idrico e il peggioramento dello stato ecologico della risorsa e del suo impatto sulla biodiversità, a livello sia europeo che mondiale. Affinché una politica dell'acqua possa risultare equa, efficace e sostenibile, bisogna accettare che l'acqua non sia considerata come un bene ma come un patrimonio universale da proteggere e da difendere (14).

3.6

La gestione dell'acqua dovrebbe permettere di rispondere ai bisogni delle popolazioni, assicurando al tempo stesso la conservazione della risorsa per le generazioni future. È quindi urgente prendere pienamente coscienza e la ricerca per l'innovazione dovrebbe inquadrarsi in questa prospettiva. Ciò mette in evidenza l'importanza del partenariato relativo all'acqua, in quanto strumento atto a migliorare l'efficacia materiale e finanziaria della gestione integrata delle risorse idriche.

3.7

Questo obiettivo non può essere tuttavia conseguito lasciando il controllo e la gestione delle risorse unicamente alle imprese e ai grandi gruppi privati mondiali, né accelerando la privatizzazione dell'innovazione e della ricerca in questo settore vitale: viceversa, gli strumenti migliori per costruire società eque, sostenibili, pacifiche e democratiche sono proprio i servizi pubblici di qualità e quindi gli investimenti in tali servizi, sostenuti da politiche fiscali corrette a favore dell'innovazione e della ricerca, saranno parte della soluzione alla crisi economica, favorendo l'accesso universale ai servizi vitali e fondamentali e alla crescita economica. Tale presupposto giustifica l'istituzione di partenariati fondati sulla gestione pubblica delle risorse idriche e sulla ricerca finanziata con fondi pubblici attraverso il Settimo programma quadro.

3.8

A livello europeo, gli Stati membri dovrebbero esercitare la loro influenza per opporsi alla liberalizzazione dei servizi idrici e igienico-sanitari, perché essi vengano considerati servizi pubblici di interesse generale e perché l'Europa si impegni più direttamente a livello internazionale a favore dell'effettiva applicazione del diritto all'acqua. Il CESE sconsiglia di considerare le innovazioni in questo settore sensibile dal solo punto di vista della protezione commerciale e raccomanda di facilitarne l'accesso alle diverse istanze, organismi ed enti territoriali locali, nonché alle imprese dell'economia sociale.

3.9

I processi e le soluzioni adottate nel quadro del partenariato relativo all'acqua dovrebbero entrare a far parte delle misure di adattamento intese ad affrontare gli effetti previsti dei cambiamenti climatici.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Il Comitato prende atto della costituzione di un gruppo di esperti di alto livello e di una task force con lo scopo di elaborare una strategia per il partenariato relativo all'acqua, approfittando anche per definire le priorità dell'innovazione in materia di politica dell'acqua e per rafforzare l'applicazione effettiva del diritto a un'acqua sana, sia quantitativamente che qualitativamente, in modo da incoraggiare una gestione sostenibile delle risorse.

4.2

Tale obiettivo può essere conseguito adottando processi di innovazione che prevedano l'utilizzo delle tecnologie innovative più moderne, tenendo conto dello stato della gestione integrata dei bacini a livello regionale e a condizione di controllare le attività di prevenzione dell'inquinamento. La gestione sostenibile delle risorse dovrà essere assicurata per mezzo di una ripartizione tra i diversi impieghi, garantendo uno sviluppo umano, economico e ambientale sostenibile dei territori attraverso la pianificazione degli utilizzi nel quadro della gestione integrata delle risorse idriche, il ripristino della qualità degli ambienti acquatici, la promozione di processi di controllo dei consumi e di prevenzione delle forme di inquinamento in tutta la catena di utilizzo (dal consumo al ritrattamento) e infine il divieto dei processi inquinanti e il sanzionamento dei soggetti che inquinano.

4.3

Questi obiettivi devono essere conseguiti mediante un finanziamento corretto e un contributo equo e proporzionato – ripartito tra tutti gli utilizzatori e gli utenti, industriali, agricoli e domestici – gestiti dalle autorità pubbliche attraverso la ricerca della «migliore governance», come raccomanda il CESE nel suo parere esplorativo NAT/495 Integrazione della politica dell'acqua  (15).

4.4

Una politica dell'acqua equa ed efficace e l'attuazione del partenariato relativo all'acqua richiedono una politica dell'occupazione innovativa che preveda che i lavoratori formati e qualificati, specialmente per i posti di lavoro creati o trasformati, siano protetti da uno statuto unico garante dell'esercizio della loro missione di gestione di un bene pubblico e possano altresì esercitare il diritto, loro riconosciuto, di intervenire in ambito economico, sociale e ambientale. Infine, dovrebbero essere ricercate misure innovative volte a ridurre la gravosità delle condizioni di lavoro e l'impatto sulla salute per coloro che operano nel settore dei servizi igienico-sanitari.

4.5

Realizzazione di indagini epidemiologiche tra i lavoratori delle reti fognarie, rafforzamento dei comitati per l'igiene, la sicurezza e le condizioni di lavoro, miglioramento dei successivi controlli medici, sistemi di protezione e strumenti di rilevamento del gas e degli inquinanti sono solo alcuni dei temi di ricerca, sia sociali che tecnici, che dovrebbero essere approfonditi durante l'elaborazione del piano strategico di attuazione delle priorità del partenariato per l'innovazione da parte del gruppo di lavoro.

4.6

Esistono anche altre questioni, come garantire l'accesso universale, preservare la risorse e conciliare l'interesse generale, che il gruppo di lavoro dovrebbe prendere fin da ora in considerazione durante l'elaborazione del piano strategico di attuazione delle priorità del partenariato, che dovrà proporre e la cui adozione è prevista il 18 dicembre 2012.

4.7

Un partenariato relativo all'acqua che funzioni secondo il piano strategico proposto e adottato deve comprendere anche le appropriate piattaforme tecnologiche europee, non soltanto come fonte di informazione sullo stato effettivo delle cose in un dato luogo/settore, ma anche come soggetti che partecipano alla ricerca, allo sviluppo e all'attuazione delle nuove tecnologie (16).

4.8

Accanto ai temi orizzontali e alle priorità stabilite, il CESE raccomanda che nei singoli progetti di innovazione si presti attenzione anche all'interazione tra l'acqua e il suolo, in particolare laddove si tratterà della gestione delle acque di superficie.

4.9

I periodi di siccità, gli incendi e le inondazioni aumenteranno sia in durata che in entità, rendendo quindi necessaria, malgrado le politiche di austerità, la conservazione di servizi pubblici dell'acqua, di soccorso e di gestione delle calamità adatti a questo nuovo ambiente imprevedibile. La ricerca di innovazioni deve concentrarsi anche sul ruolo dell'acqua nella preservazione degli ecosistemi e della biodiversità.

4.10

Le autorità pubbliche e le aziende idriche devono adottare misure intese a prevenire l'inquinamento delle acque, che non soltanto mantengano la qualità dell'acqua in maniera sostenibile ma impediscano altresì il verificarsi di danni potenzialmente irreversibili dovuti a fattori di rischio noti (inquinanti organici persistenti, interferenti endocrini) ma anche ignoti, derivanti dall'accumulo di sostanze chimiche, tra cui le nanoparticelle, che si possono verosimilmente considerare come fattori di rischio supplementari. È essenziale valutare questi nuovi rischi, che potrebbero costituire una grave minaccia per la salute pubblica.

4.11

La tariffazione dell'acqua si propone di contribuire a preservare la risorsa in termini quantitativi. Il CESE raccomanda una tariffazione che tenga conto dell'accesso da parte di tutti, in considerazione del suo carattere essenziale e non commerciale; sottolinea tuttavia che la tariffazione non risolve il problema in quanto non si tratta soltanto della quantità ma anche della qualità dell'acqua. Per tale motivo devono essere adottate misure pubbliche intese a sensibilizzare i privati e gli utenti industriali e agricoli in merito all'alterazione della qualità dell'acqua e agli strumenti meno costosi per porre rimedio a questo problema, ossia la prevenzione.

4.12

Sotto l'effetto del cambiamento climatico e delle attività umane l'acqua si rarefa, aumenta l'intensità dell'inquinamento e si amplificano le conseguenze. È un problema che l'Europa deve affrontare e sul quale deve svolgere le ricerche necessarie. Essa deve infatti contribuire a far progredire la comunità internazionale in materia, utilizzando la propria politica di cooperazione e sviluppo per mobilitare i fondi di aiuto allo scopo di sviluppare l'accesso all'acqua e ai mezzi per porre rimedio alla sua alterazione (17).

4.13

Il CESE osserva che gli effetti delle disparità regionali nell'insieme del territorio europeo sono particolarmente accentuati in questo ambito (siccità e inondazioni) e devono costituire un aspetto di cui è necessario che tengano conto gli orientamenti del gruppo di redazione: alcuni si chiedono se non sia possibile «garantire una compensazione tra le zone in cui c'è troppa acqua e quelle in cui non ce n'è abbastanza».

4.14

Non vi sarà una vera politica di ricerca e di innovazione per l'acqua senza trasparenza e senza una politica dell'occupazione inclusiva che preveda fin da ora garanzie in materia di adeguatezza del numero dei lavoratori, formazione, riconoscimento delle qualifiche e tecnologie in grado di migliorare la salute e la sicurezza - sia nei processi di depurazione e di trattamento dell'acqua sia nei servizi igienico-sanitari - e di assicurare l'ottimizzazione di tutte le missioni nella loro diversità e a tutti i livelli.

4.15

Secondo l'UN-Water Decade Programme on Capacity Development («Programma decennale ONU-Acqua per lo sviluppo delle capacità») e la sua recente pubblicazione Water and the Green Economy. Capacity Development Aspects («L'acqua e l'economia verde, aspetti relativi allo sviluppo delle capacità») (2012) (18), occorre rinquadrare il problema nella giusta dimensione per rispondere alle sfide poste dovunque dalla rarefazione e dal deterioramento della qualità dell'acqua, fenomeni imputabili all'impiego di metodi di sviluppo aggressivi in tutto il mondo. In altri termini, non è possibile contenere indefinitamente le contaminazioni, poiché anche l'acqua è un vettore. D'altra parte esistono già molte nuove tecnologie che corrono però il rischio di diventare obsolete non appena vengono introdotte, fintanto che non vengono presi in considerazione tutti gli elementi allo stesso tempo: ad esempio, per dissalare l'acqua serve energia, mentre affinché l'acqua possa essere riutilizzata per i cosiddetti impieghi secondari (agricoltura) essa non deve aver subito effetti di inquinamento a catena.

4.16

L'Agenzia europea per l'ambiente, nel suo ultimo rapporto annuale (2011) ha espresso le stesse preoccupazioni. Ne consegue quindi che l'acqua, anche se rinnovata e trattata, non è certo inesauribile, né qualitativamente né quantitativamente, e che la ricerca e l'innovazione nel settore dell'acqua devono essere ampliate per renderne l'utilizzo durevole e sostenibile in tutti i settori, nonché per controllare i fenomeni di inquinamento e in particolare l'inquinamento diffuso (19).

4.17

Il CESE richiama l'attenzione sul ruolo delle reti di organizzazioni della società civile, che dovrebbe essere riconosciuto e valorizzato, oltre a formare oggetto di ricerca per quanto riguarda il potenziale di innovazione che presentano tali organizzazioni, per via della loro esperienza e del loro capitale di conoscenze.

4.18

Il CESE ricorda che le norme di qualità dell'acqua dovrebbero essere le stesse in tutto il territorio europeo, così come i criteri della sua valutazione.

4.19

L'acqua, il suo utilizzo, la sua gestione e il suo futuro suscitano passioni, interessi e inquietudini diverse a seconda degli interlocutori. A questo proposito il CESE ribadisce la necessità di considerare seriamente sia la consultazione obbligatoria nel quadro della gestione integrata dei bacini idrografici, sia la consultazione obbligatoria delle organizzazioni della società civile in merito alla partecipazione dei cittadini alle decisioni che li riguardano in materia di ambiente e al loro accesso alla giustizia, previsti nel quadro della convenzione di Aarhus; chiede inoltre alla Commissione di presentare una relazione di valutazione su questi due punti, affinché l'UE possa utilizzarne i dati utili per le sue ricerche sull'innovazione e a titolo di contributo della società civile ai partenariati.

4.20

Il CESE sconsiglia di trattare le innovazioni in questo ambito sensibile dal solo punto di vista della protezione commerciale; raccomanda inoltre di facilitarne l'accesso alle diverse istanze, organismi ed enti territoriali locali, nonché alle imprese dell'economia sociale. A questo proposito si interroga sulla partecipazione dei «servizi del ministero cinese della Scienza e della tecnologia», al comitato direttivo ad alto livello del «Partenariato europeo per l'innovazione relativo all'acqua» (20): se infatti nell'ambito della cooperazione esterna allo sviluppo, il CESE potrebbe approvare una partecipazione diretta alla definizione di una strategia europea da parte del suddetto ministero, ci si chiede perché gli altri paesi emergenti siano invece rappresentanti da appena uno di loro? E perché a questa «task force europea» non partecipano altri paesi interessati da alcuni necessari trasferimenti di tecnologie (21)?

Bruxelles, 13 dicembre 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque.

(2)  COM(2012) 392 final - Un partenariato rafforzato per lo Spazio europeo della ricerca a favore dell'eccellenza e della crescita.

(3)  GU C 318, del 29.10.2011, pag. 121 e GU C 218 del 23.07.2011, pag. 87.

(4)  COM(2010) 546 final - Iniziativa faro Europa 2020 - L'Unione dell'innovazione.

(5)  «L'Europa ha bisogno di uno spazio della ricerca unificato per attrarre talenti e investimenti. Le restanti lacune devono pertanto essere colmate rapidamente e lo spazio europeo della ricerca deve essere completato entro il 2014 al fine di creare un reale mercato unico della conoscenza, della ricerca e dell'innovazione» (Conclusioni del Consiglio europeo, febbraio 2011 e marzo 2012).

(6)  COM(2012) 216 final - Partenariato europeo per l'innovazione relativo all'acqua.

(7)  COM(2010) 546 final - Iniziativa faro Europa 2020 - L'Unione dell'innovazione.

(8)  GU C 229, del 31.7.2012, pag. 39.

(9)  GU C 351, del 15.11.2012, pag. 65.

(10)  Conclusioni del Consiglio dell'Unione europea del 21 giugno 2011 (doc. 11308/11).

(11)  COM(2011) 21 final - Un'Europa efficiente nell'impiego delle risorse.

(12)  COM(2011) 571 final - Tabella di marcia verso un'Europa efficiente nell'impiego delle risorse.

(13)  COM(2011) 899 final. Innovazione per un futuro sostenibile - Piano d'azione per l'ecoinnovazione (Eco-AP).

(14)  L'acqua «è un bene comune dell'umanità e un bene pubblico. L'accesso all'acqua dovrebbe essere un diritto universale e fondamentale», afferma la risoluzione (P7_TA2012-0273), elaborata da Richard SEEBER (PPE-AT) e approvata per alzata di mano il 3 luglio 2012.

(15)  GU C 248 del 25.8.2011, pag. 43.

(16)  GU C 299, del 4.10.2012, pagg. 12-16.

(17)  GU C 229, del 31.7.2012, pagg. 133-139.

(18)  Water and the Green Economy. Capacity Development Aspects (2012). Cur: Reza Ardakanian, Dirk Jaeger, UNW-DPC, Bonn, Germania.

(19)  GU C 229 del 31.7.2012, pagg. 116-118.

(20)  Commissione europea: Partenariato europeo per l'innovazione relativo all'acqua – comitato direttivo ad alto livello.

(21)  GU C 68 del 6.3.2012, pag. 28.


ALLEGATO I

al Parere del Comitato economico e sociale europeo

Il seguente emendamento, che ha ottenuto oltre un quarto dei voti espressi, è stato respinto nel corso delle deliberazioni:

Punto 2.8

Modificare come segue:

La politica per la protezione delle risorse idriche dovrebbe poter prevedere una compensazione per le restrizioni dell'attività economica imposte per garantire la conservazione delle risorse idriche nelle aree interessate da forme gravi di inquinamento. In questi casi particolari, gli aiuti di Stato aggiornati potrebbero essere adeguati e consentire di tenere conto del piano europeo per la protezione delle risorse idriche.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

46

Voti contrari:

63

Astensioni:

27


15.2.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/153


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea per gli investimenti «Azione per la stabilità, la crescita e l’occupazione»

COM(2012) 299 final

2013/C 44/27

Relatore generale: VERBOVEN

In data 14 agosto 2012, la Commissione europea ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea per gli investimenti — Azione per la stabilità, la crescita e l'occupazione

COM(2012) 299 final.

L'Ufficio di presidenza del Comitato, in data 10 luglio 2012, ha incaricato il comitato direttivo Europa 2020 di preparare i lavori del Comitato in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 485a sessione plenaria dei giorni 12 e 13 dicembre 2012 (seduta del 13 dicembre), ha nominato VERBOVEN relatore generale e ha adottato il seguente parere con 114 voti favorevoli, 40 voti contrari e 9 astensioni.

1.   Raccomandazioni

Su richiesta della Commissione, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ha deciso di elaborare un parere in merito alla comunicazione sul tema Azione per la stabilità, la crescita e l'occupazione. Il CESE pone in evidenza la stretta interconnessione che caratterizza questi tre aspetti, ognuno dei quali richiede l'assunzione di specifiche responsabilità da parte dei soggetti interessati. Il presente parere verte in particolare sulla responsabilità comune delle parti sociali e della società civile organizzata, così come sul contributo che queste, e in particolare i lavoratori e i datori di lavoro, possono fornire, sottolineando il loro ruolo nella definizione e nell'applicazione di strategie volte a rimettere in moto la crescita economica, creare nuovi e migliori posti di lavoro e ripristinare la stabilità finanziaria.

1.1

Il Comitato sottolinea il fatto che la partecipazione e la consultazione sono presupposti essenziali per definire, realizzare correttamente e portare a buon fine i cambiamenti strategici e le riforme strutturali.

Il Comitato fa presente che:

i cambiamenti strutturali nella strategia socioeconomica possono trasformare le opportunità occupazionali presenti e future tra le varie categorie, influendo molto spesso in maniera considerevole sulla distribuzione dei redditi;

la concertazione sociale e il dialogo civile rafforzano la credibilità e l'accettazione da parte della società delle misure socioeconomiche previste;

la partecipazione è importante anche per uno stretto monitoraggio della strategia applicata nella realtà e dei suoi risultati, il che consente alle organizzazioni della società civile e alle parti sociali di fare valutazioni e lanciare per tempo gli opportuni segnali di allarme, se del caso;

le organizzazioni sociali, e in particolare le parti sociali, sono, in molti casi, anche i soggetti stessi che devono tradurre in pratica le proposte strategiche.

1.2

Il Comitato condivide la necessità di una governance economica europea più forte per garantire che l'unione monetaria funzioni meglio e a beneficio di tutti. Nel contempo, occorre però trarre al più presto insegnamenti dalla realtà. A tal fine, la concertazione e il dialogo sociali sono fattori indispensabili, sia sul piano economico che su quello delle finanze pubbliche e della coesione sociale.

1.3

Il Comitato accoglie con favore la proposta della Commissione di creare un quadro di valutazione con degli indicatori in materia di occupazione e di istituire un monitoraggio strutturale dei piani nazionali per l'occupazione. Le parti sociali europee dovrebbero essere coinvolte da vicino nella definizione di tale quadro con gli indicatori e i criteri necessari a valutare i piani nazionali per l'occupazione.

1.4

Per quanto concerne la fissazione dei salari, il Comitato richiama l'attenzione della Commissione sul fatto che i salari e le contrattazioni salariali rientrano nell'ambito di competenza delle parti sociali, come del resto sancisce anche il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.

1.5

Il Comitato invita quindi i responsabili decisionali europei ad ancorare strutturalmente la concertazione e la partecipazione sociali nelle diverse azioni strategiche collegate alla strategia Europa 2020. L'esperienza sul campo mostra infatti che l'attenzione si è spostata dal livello nazionale a quello europeo, con il conseguente indebolimento del ruolo e della qualità della concertazione e della partecipazione sociali a livello nazionale.

1.6

Il Comitato raccomanda di coinvolgere fin dalle prime battute, nel quadro del semestre europeo, le parti sociali (attraverso il dialogo sociale europeo) e la società civile organizzata nell'elaborazione della valutazione annuale della crescita. Auspica inoltre con forza un analogo coinvolgimento anche nella definizione delle priorità delle direttive in materia di politiche occupazionali e degli orientamenti economici di massima.

2.   Introduzione

2.1

Il 30 maggio 2012 la Commissione europea ha pubblicato una comunicazione sul tema Azione per la stabilità, la crescita e l'occupazione (COM(2012) 299 final). Tale comunicazione rappresenta un punto di svolta nel semestre europeo, che inizia con l'analisi annuale della crescita da parte della Commissione e si conclude con le raccomandazioni specifiche per ciascun paese che saranno approvate dal Consiglio europeo.

2.2

Su richiesta della Commissione, il Comitato economico e sociale europeo ha deciso di elaborare un parere in merito alla comunicazione Azione per la stabilità, la crescita e l'occupazione. Il parere verte su un aspetto specifico, in particolare sulla responsabilità comune delle parti sociali e della società civile organizzata e sul contributo che esse possono apportare. Il CESE sottolinea il ruolo che possono svolgere nella definizione e nell'applicazione di strategie atte a rimettere in moto l'economia, creare nuovi e migliori posti di lavoro e ripristinare la stabilità finanziaria.

Con questo parere, e dopo aver esaminato determinati settori strategici, il Comitato intende formulare delle raccomandazioni sulle modalità in cui le parti sociali e i rappresentanti della società civile organizzata dei diversi Stati membri possono svolgere un ruolo di maggiore rilievo, più incisivo e determinante nel quadro del semestre europeo. Inoltre, in una fase successiva, il Comitato elaborerà un parere in merito all'Analisi annuale della crescita 2013, in cui verranno analizzati tutti i principali settori politici delineati dalla Commissione.

2.3

Il Comitato constata in primo luogo che la comunicazione della Commissione limita il riferimento al ruolo delle parti sociali e della società civile organizzata a tre aspetti: il capitale umano, le retribuzioni e il «cambiamento» come tema generale (cfr. oltre al punto 4.1). A tale riguardo, il Comitato tiene tuttavia a sottolineare che la concertazione sociale e il dialogo civile riguardano molti più ambiti e aspetti, tra cui l'innovazione, le riforme economiche, la politica industriale, lo sviluppo sostenibile, l'imprenditorialità, la creazione di nuovi e migliori posti di lavoro, la lotta contro la povertà e la protezione sociale. Pertanto, con il presente parere, il Comitato intende innanzitutto mettere in evidenza l'importanza della concertazione sociale e del dialogo civile (cfr. il punto 3), per poi soffermarsi sui tre settori specifici nei quali la comunicazione della Commissione fa esplicito riferimento al ruolo della concertazione e del dialogo (punto 4). Nell'ultimo punto del parere, il Comitato formula alcune proposte volte ad ancorare strutturalmente la concertazione e la partecipazione nelle priorità politiche della strategia Europa 2020.

3.   La concertazione e il dialogo sociali sono una chiave essenziale per il successo della strategia

3.1

Il Comitato sottolinea il fatto che la partecipazione e la consultazione non sono un lusso bensì presupposti fondamentali per definire, realizzare correttamente e portare a buon fine i cambiamenti strategici e le riforme strutturali.

i cambiamenti strutturali nella strategia socioeconomica possono trasformare le opportunità occupazionali presenti e future tra le varie categorie, influendo molto spesso in maniera considerevole sulla distribuzione dei redditi. In questo contesto, la concertazione sociale e il dialogo strutturato garantiscono che gli sforzi volti a riportare l'economia sui binari giusti siano ripartiti in maniera equa. La concertazione e la partecipazione, da un lato, e la giustizia sociale, dall'altro, sono quindi strettamente legate tra loro.

Questa constatazione implica anche che la concertazione sociale e il dialogo civile, se rispettati, rafforzino la credibilità e l'accettazione, da parte della società, delle misure socioeconomiche adottate, e possano dunque garantire anche il buon esito della strategia. In effetti, una strategia che ci si aspetta sia applicata in maniera coerente nel tempo poiché gode di ampio consenso sociale creerà un clima di fiducia notevolmente migliore, capace di favorire l'innovazione e gli investimenti reali. Per contro, una strategia che provoca forti scosse ma che induce presto a tornare sui propri passi perché le decisioni prese non godono del sostegno da parte delle categorie interessate creerà perplessità e confusione tali da compromettere poi la sua stessa efficacia e pertinenza. In altre parole, investire nella concertazione e nel dialogo sociali rappresenta un buon investimento nel capitale sociale di una società.

La partecipazione è importante anche per uno stretto monitoraggio della strategia applicata nella realtà e dei suoi risultati. In questo senso, le organizzazioni della società civile organizzata e le parti sociali svolgono una funzione importante in materia di avvertimento precoce: esse sono in grado di rilevare tempestivamente le nuove tendenze e anche le conseguenze impreviste o indesiderate di una strategia e di farne oggetto di discussione con i responsabili decisionali.

Infine, le organizzazioni sociali, e in particolare le parti sociali, coincidono, in molti casi, con i soggetti che devono tradurre in pratica le proposte strategiche. Per giungere a un'applicazione adeguata di una strategia è fondamentale che questa sia condivisa da coloro che sono chiamati ad attuarla.

3.2

Il Comitato richiama espressamente l'attenzione della Commissione, del Consiglio europeo e di altri responsabili decisionali sia a livello europeo che nazionale sulla necessità di un rigoroso rispetto della concertazione e del dialogo sociali. Non si possono fare dichiarazioni altisonanti sull'importanza della partecipazione e poi continuare sulla propria strada senza tenere conto del contributo e delle proposte degli attori sociali sul campo. Questo atteggiamento provoca una perdita di capitale sociale e di fiducia da parte della società e sfocia in cortocircuiti sul piano non solo sociale ma anche economico.

3.3

In questo contesto si inserisce anche la cosiddetta «clausola orizzontale» (articolo 9 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) che impone all'Unione europea di tenere conto di determinati criteri e obiettivi di natura sociale nella definizione e nell'attuazione delle sue politiche e azioni. Si tratta in particolare della promozione di un elevato livello di occupazione, della garanzia di un'adeguata protezione sociale, della lotta contro l'esclusione sociale e di un elevato livello di istruzione, formazione e tutela della salute. La partecipazione degli attori sociali alla politica è una conseguenza logica e indispensabile di questa clausola orizzontale.

4.   Settori strategici specifici nei quali la Commissione fa riferimento alla concertazione e al dialogo sociali

4.1

Il Comitato constata che nella comunicazione in esame la Commissione fa riferimento all'importanza e al ruolo delle parti sociali e della società civile organizzata in tre punti, in particolare nei seguenti passaggi:

Governance - pag. 3, par. 2 – «Dobbiamo far emergere consenso e fiducia in merito alla necessità di operare cambiamenti e alle scelte da compiere. Le parti sociali svolgeranno un ruolo importante in questo dialogo

Sfruttare il potenziale del capitale umano - pag. 6, par. 5 – «Nel suo recente pacchetto sull'occupazione la Commissione ha proposto una serie di misure concrete per una ripresa che sia fonte di occupazione in tutta l'UE. La Commissione, gli Stati membri, le parti sociali e le parti interessate dei settori pubblico e privato dovranno collaborare per attuare le misure specifiche proposte per sfruttare il potenziale occupazionale di settori chiave quali le TIC (tecnologie dell'informazione e della comunicazione), la sanità e l'economia verde. Il monitoraggio rafforzato dei piani nazionali per l'occupazione attraverso l'analisi comparativa e il quadro di valutazione proposti dalla Commissione darà ulteriore slancio alle riforme volte a creare posti di lavoro […].»

Lottare contro la disoccupazione e le conseguenze sociali della crisi - pag. 15, par. 4 – «Alcuni Stati membri hanno attuato ampie riforme dei loro sistemi di fissazione dei salari e di indicizzazione affinché l'andamento salariale rifletta meglio l'andamento della produttività. Sono stati fatti progressi limitati in altri paesi dove il funzionamento di determinati sistemi di indicizzazione salariale è stato individuato come una possibile minaccia per la competitività. In futuro questi paesi dovranno trovare, in consultazione con le parti sociali, il modo di ovviare al problema. Nei paesi con un avanzo delle partite correnti è stato operato un certo riequilibrio a favore della domanda interna, anche attraverso aumenti salariali, e si deve proseguire su questa via.»

4.2

Il Comitato esprime apprezzamento per la scelta della Commissione di coinvolgere le parti sociali e la società civile organizzata, almeno per quanto riguarda i tre settori specifici di cui sopra. Nel contempo, tuttavia, desidera formulare le seguenti osservazioni.

4.3

Il Comitato condivide la necessità di una governance economica europea più forte per garantire che l'unione monetaria funzioni meglio e a beneficio di tutti. Nel contempo, occorre però trarre al più presto insegnamenti dalla realtà. Se una determinata politica economica provoca un nuovo rallentamento della crescita, trascinando diverse economie europee in una nuova recessione che rischia di compromettere sia la stabilità (livelli di disavanzo e di debito pubblico che rimangono elevati) sia la coesione sociale (tassi di disoccupazione elevati e in aumento), i responsabili decisionali devono prendere la cosa seriamente e invertire il corso di questa politica. La concertazione sociale serve a migliorare la strategia che gode del sostegno di un'ampia fascia della popolazione e non, invece, a ostinarsi malgrado tutto a portare avanti una politica rivelatasi nefasta sia per l'economia che per le finanze pubbliche e la coesione sociale.

4.4

Il Comitato accoglie con favore la proposta della Commissione di creare un quadro di valutazione con degli indicatori in materia di occupazione e di istituire un monitoraggio strutturale dei piani nazionali per l'occupazione. Le parti sociali europee dovrebbero essere coinvolte da vicino nella definizione di tale quadro con gli indicatori e i criteri necessari a valutare i piani nazionali per l'occupazione.

4.5

Il terzo ambito nel quale la Commissione fa specifico riferimento al ruolo e al coinvolgimento degli attori e delle parti sociali è quello delle retribuzioni, rispetto al quale, nella terminologia della Commissione, occorre «consultare» le parti sociali nel quadro della riforma dei sistemi di determinazione dei salari. A questo riguardo, il Comitato richiama l'attenzione della Commissione sul fatto che i salari e le contrattazioni salariali, ma anche i sistemi di determinazione dei salari, in numerosi Stati membri rientrano nella competenza autonoma delle parti sociali che al riguardo negoziano e concludono dei contratti collettivi. Questo ruolo delle parti sociali che consiste nel negoziare in modo autonomo non può essere ridotto a una semplice consultazione. La competenza delle parti sociali in materia di concertazione non può essere ristretta a una mera funzione consultiva. L'autonomia delle parti sociali e della concertazione sociale, del resto, è sancita anche negli articoli 152 e 153, paragrafo 5, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, nei quali viene formulato anche il principio secondo cui l'Unione è tenuta a rispettare i sistemi nazionali delle relazioni industriali. Sulla base di queste considerazioni è largamente insufficiente e addirittura fuori luogo proporre che le parti sociali debbano essere «consultate» ad esempio nel quadro di una riforma del meccanismo di indicizzazione soprattutto quando, nel relativo modello nazionale di concertazione sociale, tali meccanismi vengono negoziati e fissati dalle parti sociali stesse nell'ambito dei contratti collettivi.

Nel merito, il Comitato si chiede se la Commissione non attribuisca un'eccessiva importanza al ruolo degli adeguamenti salariali verso il basso. Da un'analisi più approfondita delle raccomandazioni specifiche per ciascun paese che accompagnano la comunicazione della Commissione emerge che per 16 dei 17 paesi interessati da raccomandazioni in materia di salari, queste mirano a indebolire le dinamiche salariali, o mediante una riforma dell'indicizzazione, la limitazione dei salari minimi e il decentramento delle contrattazioni salariali o mediante l'aumento della flessibilità salariale per le retribuzioni più basse. Gli squilibri che caratterizzano l'unione monetaria europea sono tuttavia prevalentemente di natura strutturale e derivano soprattutto dal fatto che la globalizzazione produce effetti divergenti sui diversi membri dell'unione monetaria (cfr. nota a piè di pagina del documento di lavoro 12/136, 2012 del FMI External Imbalances in the Euro Area (Squilibri esterni nella zona euro). Rimane il fatto che non si può vincere la concorrenza con i paesi a basso costo di manodopera ricorrendo alle riduzioni salariali.

5.   Ancoraggio strutturale della concertazione sociale e dei processi di partecipazione

5.1

Infine, il Comitato invita i responsabili decisionali europei ad ancorare strutturalmente la concertazione sociale e l'idea della partecipazione sociale nelle diverse azioni strategiche. L'esperienza sul campo mostra infatti che, per una serie di ragioni e non da ultimo a causa delle riforme istituzionali cui la Commissione sottopone continuamente tali azioni, il processo decisionale europeo ha un impatto crescente sulla concertazione e sulla partecipazione sociale a livello nazionale. In questo contesto, il Comitato ritiene che sia assolutamente inaccettabile che la concertazione e la partecipazione sociale a livello nazionale vengano degradate a finzione minando alle basi le tradizioni nazionali in materia di concertazione o addirittura ignorandole del tutto (problemi di rispetto del calendario nella procedura di concertazione e centralizzazione della definizione dei programmi di riforma da parte di istanze nazionali che hanno poco o nulla a che vedere con la concertazione sociale/partecipativa).

5.2

In linea con il calendario del semestre europeo, il Comitato propone quindi quanto segue:

Le parti sociali (attraverso il dialogo sociale europeo) e la società civile organizzata devono essere coinvolte fin dalle prime battute nell'elaborazione della valutazione annuale della crescita.

Un analogo coinvolgimento viene auspicato con forza anche nella definizione delle priorità delle direttive in materia di politiche occupazionali e degli orientamenti economici di massima.

Nell'elaborazione dei piani di riforma nazionali deve essere organizzato un dialogo ampio e maggiormente partecipativo con le parti sociali e la società civile, il che presuppone una revisione del calendario in maniera tale da garantire il tempo sufficiente per condurre un dibattito approfondito da cui possano scaturire proposte e approcci alternativi e adeguatamente fondati. Il Comitato propone inoltre di elaborare una relazione finale sul dialogo a livello nazionale in cui siano esposti i diversi punti di vista e suggerimenti, e di allegare tale documento alle relazioni sui singoli paesi redatte dalla Commissione. Questa analisi consentirà di capire quali siano gli ambiti in cui la partecipazione sociale svolge un ruolo di rilievo.

Un'altra tappa nel processo del semestre europeo è rappresentata dalla pubblicazione, da parte della Commissione, delle raccomandazioni specifiche per ciascun paese. A tale riguardo, occorre che le parti sociali e la società civile organizzata siano informate e consultate in tempo utile.

Infine, per quanto concerne la partecipazione sociale, è necessario armonizzare le raccomandazioni specifiche per ciascun paese in relazione alla strategia Europa 2020, da un lato, e le analisi e le raccomandazioni collegate alla procedura in materia di squilibri macroeconomici eccessivi, dall'altro. Occorre inoltre dare ampia possibilità alle parti sociali e alla società civile organizzata di far sentire la propria voce, facendo conoscere il proprio punto di vista in materia.

Bruxelles, 13 dicembre 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


15.2.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/157


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 2187/2005 del Consiglio relativo alla conservazione delle risorse della pesca attraverso misure tecniche nel Mar Baltico, nei Belt e nell’Øresund

COM(2012) 591 final — 2012/0285 (COD)

2013/C 44/28

Il Parlamento europeo, in data 22 ottobre 2012, e il Consiglio, in data 5 novembre 2012, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 43 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 2187/2005 del Consiglio relativo alla conservazione delle risorse della pesca attraverso misure tecniche nel Mar Baltico, nei Belt e nell'Øresund

COM(2012) 591 final — 2012/0285 (COD).

Avendo concluso che il contenuto della proposta è soddisfacente, il Comitato, nel corso della 485a sessione plenaria dei giorni 12 e 13 dicembre 2012 (seduta del 12 dicembre 2012), decide di esprimere parere favorevole al testo proposto con 129 voti favorevoli, nessun voto contrario e 1 astensione.

Bruxelles, 12 dicembre 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


15.2.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/158


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla modifica della proposta della Commissione COM(2011) 626 final/3 di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli (regolamento OCM unica)

COM(2012) 535 final — 2012/0281 (COD)

2013/C 44/29

Il Parlamento europeo, in data 22 ottobre 2012, e il Consiglio, in data 24 ottobre 2012, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Modifica della proposta della Commissione COM(2011) 626 final/3 di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli (regolamento OCM unica)

COM(2012) 535 final — 2012/0281 (COD).

Avendo concluso che il contenuto della proposta è soddisfacente, il Comitato, nel corso della 485a sessione plenaria dei giorni 12 e 13 dicembre 2012 (seduta del 12 dicembre), ha deciso di esprimere parere favorevole sul testo proposto con 124 voti favorevoli e 5 astensioni.

Bruxelles, 12 dicembre 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


15.2.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/159


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla modifica della proposta della Commissione COM(2011) 625 final/3 di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme sui pagamenti diretti agli agricoltori nell’ambito dei regimi di sostegno previsti dalla politica agricola comune

COM(2012) 552 final — 2011/0280 (COD)

2013/C 44/30

Il Parlamento europeo, in data 22 ottobre 2012, e il Consiglio, in data 24 ottobre 2012, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Modifica della proposta della Commissione COM(2011) 625 final/3 di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme sui pagamenti diretti agli agricoltori nell'ambito dei regimi di sostegno previsti dalla politica agricola comune

COM(2012) 552 final — 2011/0280 (COD).

Avendo concluso che il contenuto della proposta è soddisfacente, il Comitato, nel corso della 485a sessione plenaria dei giorni 12 e 13 dicembre 2012 (seduta del 12 dicembre 2012), decide di esprimere parere favorevole al testo proposto con 127 voti favorevoli, 2 voti contrari e 2 astensioni.

Bruxelles, 12 dicembre 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


15.2.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/160


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla modifica della proposta della Commissione COM(2011) 627 final/3 di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR)

COM(2012) 553 final — 2012/0282 (COD)

2013/C 44/31

Il Parlamento europeo, in data 22 ottobre 2012, e il Consiglio, in data 24 ottobre 2012, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Modifica della proposta della Commissione COM(2011) 627 final/3 di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR)

COM(2012) 553 final — 2012/0282 (COD).

Avendo concluso che il contenuto della proposta è soddisfacente, il Comitato, nel corso della 485a sessione plenaria dei giorni 12 e 13 dicembre 2012 (seduta del 12 dicembre 2012), decide di esprimere parere favorevole al testo proposto con 137 voti favorevoli e 4 astensioni.

Bruxelles, 12 dicembre 2012

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON