ISSN 1725-2466

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 77

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

52o anno
31 marzo 2009


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

447a sessione plenaria del 17 e del 18 settembre 2008

2009/C 077/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che definisce i livelli di prestazione in materia di emissioni delle autovetture nuove nell'ambito dell'approccio comunitario integrato finalizzato a ridurre le emissioni di CO2 dei veicoli leggeri COM(2007) 856 def. — 2007/0297 (COD)

1

2009/C 077/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla sicurezza dei giocattoli COM(2008) 9 def. — 2008/0018 (COD)

8

2009/C 077/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Un mercato unico per l'Europa del XXI secolo COM(2007) 724 def.

15

2009/C 077/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Iniziativa europea per lo sviluppo del microcredito a sostegno della crescita e dell'occupazione COM(2007) 708 def./2

23

2009/C 077/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 76/769/CEE del Consiglio per quanto riguarda restrizioni dell'immissione sul mercato e dell'uso di talune sostanze e preparati pericolosi (diclorometano) COM(2008) 80 def. — 2008/0033 (COD)

29

2009/C 077/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica delle direttive 68/151/CEE e 89/666/CEE del Consiglio per quanto riguarda gli obblighi di pubblicazione e di traduzione di taluni tipi di società COM(2008) 194 def. — 2008/0083 (COD)

35

2009/C 077/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE per quanto riguarda taluni obblighi di comunicazione a carico delle medie imprese e l'obbligo di redigere conti consolidati COM(2008) 195 def. — 2008/0084 (COD)

37

2009/C 077/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle iscrizioni regolamentari dei veicoli a motore a due o tre ruote (versione codificata) COM(2008) 318 def. — 2008/0099 (COD)

41

2009/C 077/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al sedile del conducente dei trattori agricoli o forestali a ruote (versione codificata) COM(2008) 351 def. — 2008/0115 (COD)

41

2009/C 077/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di diritto delle società relativa alle società a responsabilità limitata con un unico socio (versione codificata) COM(2008) 344 def. — 2008/0109 (COD)

42

2009/C 077/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento (CE) n. …/… del Parlamento europeo e del Consiglio sul certificato protettivo complementare per i medicinali (versione codificata) COM(2008) 369 def. — 2008/0126 (COD)

42

2009/C 077/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili COM(2008) 19 def. — 2008/0016 (COD)

43

2009/C 077/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Promuovere la dimostrazione in tempi brevi della produzione sostenibile di energia da combustibili fossili COM(2008) 13 def.

49

2009/C 077/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sulla prima valutazione dei piani nazionali d'azione per l'efficienza energetica ai sensi della direttiva 2006/32/CE concernente l'efficienza degli usi finali dell'energia e i servizi energetici — Procedere insieme nel campo dell'efficienza energetica COM(2008) 11 def.

54

2009/C 077/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo L'Internet degli oggetti

60

2009/C 077/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sui contenuti creativi online nel mercato unico COM(2007) 836 def.

63

2009/C 077/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2005/35/CE relativa all'inquinamento provocato dalle navi e all'introduzione di sanzioni per violazioni COM(2008) 134 def. — 2008/0055 (COD)

69

2009/C 077/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio per agevolare l'applicazione transfrontaliera della normativa in materia di sicurezza stradale COM(2008) 151 def. — 2008/0062 (COD)

70

2009/C 077/19

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema I negoziati internazionali sul cambiamento climatico

73

2009/C 077/20

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla fornitura di informazioni alimentari ai consumatori COM(2008) 40 def. — 2008/0028 (COD)

81

2009/C 077/21

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull'immissione sul mercato e sull'uso dei mangimi COM(2008) 124 def. — 2008/0050 (COD)

84

2009/C 077/22

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'impatto dello sviluppo dei mercati dell'energia sulle catene del valore industriali in Europa

88

2009/C 077/23

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro bianco — Un impegno comune per la salute: Approccio strategico dell'UE per il periodo 2008-2013 COM(2007) 630 def.

96

2009/C 077/24

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Estendere le misure antidiscriminazione al di là del settore dell'occupazione: per un'unica direttiva globale contro la discriminazione

102

2009/C 077/25

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il multilinguismo

109

2009/C 077/26

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La considerazione delle esigenze degli anziani

115

2009/C 077/27

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Per un'evoluzione equilibrata dell'ambiente urbano: sfide e opportunità

123

2009/C 077/28

Parere del Comitato economico e sociale europeo L'economia dell'UE: Rassegna 2007 — Spostare più avanti la frontiera della produttività in Europa

131

2009/C 077/29

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo — L'applicazione di misure antiabuso nel settore dell'imposizione diretta — all'interno dell'UE e nei confronti dei paesi terzi COM(2007) 785 def.

139

2009/C 077/30

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Governance e partenariato a livello nazionale e regionale e per progetti di politica regionale (consultazione da parte del Parlamento europeo)

143

2009/C 077/31

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Esenzioni fiscali applicabili all'introduzione definitiva di beni personali di privati provenienti da uno Stato membro (versione codificata) COM(2008) 376 def. — 2008/0120 (COD)

148

2009/C 077/32

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La strategia UE-Africa

148

2009/C 077/33

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le relazioni tra l'UE e l'Ucraina: un nuovo ruolo dinamico per la società civile

157

IT

 


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

447a sessione plenaria del 17 e del 18 settembre 2008

31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che definisce i livelli di prestazione in materia di emissioni delle autovetture nuove nell'ambito dell'approccio comunitario integrato finalizzato a ridurre le emissioni di CO2 dei veicoli leggeri

COM(2007) 856 def. — 2007/0297 (COD)

(2009/C 77/01)

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 22 febbraio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che definisce i livelli di prestazione in materia di emissioni delle autovetture nuove nell'ambito dell'approccio comunitario integrato finalizzato a ridurre le emissioni di CO2 dei veicoli leggeri

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 15 luglio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore IOZIA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 140 voti favorevoli e 4 voti contrari.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE, nei suoi pareri in merito alla riduzione delle emissioni di CO2, ha sempre sostenuto con forza tutte le iniziative legislative della Commissione che perseguano l'obiettivo di raggiungere traguardi concreti e visibili nella riduzione dei gas a effetto serra, come contributo fondamentale nella lotta ai cambiamenti climatici.

1.2

Il CESE condivide gli obiettivi del presente regolamento che persegue progressive e concrete riduzioni delle emissioni di CO2 con la proposta di raggiungere il traguardo dei 130 g/km entro il 2012, attraverso il ricorso ai miglioramenti tecnologici dei motori.

1.3

Esso inoltre auspica un impegno di tutte le parti interessate affinché, attraverso un approccio integrato, si possa raggiungere il traguardo dei 120 g/km entro il 2012 secondo quanto previsto dalle comunicazioni della Commissione del febbraio 2007, e sollecita il Consiglio e il Parlamento europeo a una rapida approvazione di tutta la legislazione che possa positivamente incidere sulla lotta al cambiamento climatico.

1.3.1

Il CESE raccomanda alla Commissione di fissare obiettivi di lungo periodo, analogamente a quanto indicato dal Parlamento europeo: sarà necessario individuare soluzioni più coraggiose per il 2020.

1.4

In particolare, auspica una rapida approvazione della proposta di direttiva COM(2005) 261 def. sulla fiscalità delle vetture private, il miglioramento della direttiva 1999/94/CEE sull'etichettatura delle emissioni di CO2 e invita la Commissione a coordinare e proporre iniziative in merito alla pubblicità e al marketing del settore automobilistico per promuovere le vetture più economiche in termini di consumo.

1.5

La scelta di un intervento legislativo specifico per il settore automobilistico appare necessaria allo scopo di chiudere il periodo degli impegni volontari assunti dalle imprese, poiché tali impegni, pur apprezzabili per gli importanti avanzamenti conseguiti sul fronte del miglioramento delle prestazioni delle autovetture in termini di riduzione delle emissioni di CO2, sono risultati però insufficienti per il raggiungimento degli obiettivi prefissati.

1.6

Nell'approvare la strategia ed il percorso previsto, il CESE, richiede che i provvedimenti siano realisticamente realizzabili, in un corretto equilibrio fra gli indispensabili miglioramenti ambientali, la salvaguardia occupazionale di un industria dove operano 13 milioni di lavoratori e il pieno mantenimento della competitività delle imprese europee in un settore certamente strategico per l'economia europea.

1.7

Esso considera positivamente la scelta legislativa del regolamento in quanto strumento adatto a garantire l'immediato rispetto delle decisioni che verranno adottate evitando quindi possibili distorsioni della concorrenza. È fondamentale un'attenta valutazione e una più generale condivisione dei tempi e delle basi concrete degli interventi proposti per mantenere e rafforzare in un mercato globale la competitività delle imprese europee e per impedire all'interno la formazione di artificiosi vantaggi fra i diversi segmenti delle produzione del settore.

1.8

A tal fine, il CESE propone alla Commissione di prendere in considerazione la possibilità di superare l'attuale schema di definizione per quanto riguarda il sistema di valori sui limiti di emissione basato esclusivamente sulla massa dei veicoli (operativo in Giappone), con un approfondimento di parametri alternativi quali, ad esempio, quello dell'impronta (passo della vettura per la sua carreggiata), già operativo per gli autoveicoli da trasporto negli USA.

1.9

Il CESE sollecita una più approfondita attenzione alla inclinazione della funzione lineare (percentuale di inclinazione) per la sua diretta influenza sugli oneri da suddividere tra i costruttori. La stessa Commissione nel documento di sintesi della valutazione di impatto, [SEC(2007) 1724], dichiara: «Da una prima analisi pare emergere che, per avere un'applicazione equilibrata di questi criteri, andrebbero studiate in modo più approfondito le pendenze che si situano tra il 50° e l'80°», ammettendo implicitamente che lo studio di impatto su un tema così sensibile debba essere fortemente migliorato. La scelta di un'inclinazione di 60° lascia aperti i problemi e potrebbe ingenerare un contenzioso con alcuni costruttori che ritengono tale scelta né equa, né equilibrata. Il CESE raccomanda che la scelta definitiva, dopo tutti gli approfondimenti necessari, non determini nessun vantaggio, né nessun danno.

1.10

Ulteriore aspetto che richiede un'attenta valutazione è costituito dalla messa in atto delle penalità previste dall'articolo 7 del regolamento in esame. Il CESE ne condivide l'introduzione per l'evidente scopo persuasivo che esprimono e ritiene che la forte progressività che esse presentano non consenta all'industria europea di adeguare nei tempi previsti la propria filiera a questi valori. Le misure appaiono squilibrate rispetto a quelle previste per altri settori e intrinsecamente squilibrate tra costruttori di autoveicoli piccoli e medi e costruttori di autoveicoli grandi, incidendo relativamente molto di più sui primi.

1.11

Il CESE ritiene che tali misure siano progressivamente molto elevate e che esse si riversino alla fine sul regime dei prezzi finali e quindi a carico dell'acquirente con possibile distorsione della concorrenza rallentando il rinnovamento del parco auto. Invita la Commissione ad operare perché le eventuali risorse derivanti da questa misura restino all'interno del circuito automobilistico e possano rappresentare un incentivo per la sostituzione delle vetture più inquinanti, per programmi informativi che sensibilizzino verso una maggiore attenzione ai valori delle emissioni di CO2 nella fase di acquisto, oltre che contribuire, in termini aggiuntivi, alle ingenti risorse necessarie nel campo della ricerca e sviluppo.

1.12

Per l'importanza dei risultati potenziali il CESE considera infatti fondamentale per i progressi attesi del settore il ruolo della ricerca scientifica partendo dalla considerazione che ad una prima fase dove i risultati possono essere ottenuti con l'utilizzo della tecnologia esistente, si può ragionevolmente ritenere che il futuro richiederà «la rottura tecnologica dell'esistente» con la messa in atto di un livello di tecnologia più avanzata.

1.13

La scelta della ricerca richiede secondo il CESE, ingenti risorse e un consistente impegno di indirizzo, a partire dall'esigenza di operare un coordinamento delle iniziative già in corso nei singoli Stati membri, nelle università e in tutti i centri tecnologici di eccellenza operanti ai diversi livelli, prevedendo e favorendo una diretta partecipazione delle imprese produttrici.

1.14

A questo scopo il CESE ritiene che una mobilitazione dell'insieme del mondo scientifico possa essere conseguita attraverso la creazione, specifica per il settore automobilistico, di un'iniziativa tecnologica congiunta (ITC).

1.15

Il CESE ritiene che l'analisi di impatto non appare sufficientemente approfondita, come evidenziato dallo stesso Comitato di valutazione dell'analisi di impatto. Nel documento SEC(2007) 1725 viene infatti richiesto di chiarire gli effetti che si potrebbero avere sul raggiungimento degli obiettivi, spiegando i possibili scostamenti dai risultati ex-ante del modello Tremore. Ulteriori analisi devono essere prodotte su altre variabili sensibili quali il prezzo dei carburanti, l'incremento autonomo della massa (AMI). Va rafforzata l'analisi e la valutazione degli impatti regionali, in particolare sull'occupazione, sull'industria dei fornitori del settore auto e sulla competitività internazionale.

1.16

Per il successo di una strategia così approfondita a parere del CESE appare necessario mettere in campo adeguate misure di accompagnamento e di difesa della struttura industriale operante in Europa, per difendere e possibilmente rafforzare gli attuali livelli di competitività e la salvaguardia di una occupazione di qualità operante nel settore. Il CESE ritiene auspicabile l'adozione di un «phasing in» che ponga l'obiettivo da raggiungere nel 2012 non inferiore all'80 % degli obiettivi finali, aumentando tale limite progressivamente, per incontrare definitivamente l'obiettivo finale entro il 2015.

1.17

Un elemento importante per il raggiungimento degli obiettivi ambientali e per la salvaguardia della competitività è costituito dall'applicazione tassativa dei limiti di emissione a tutte le autovetture commercializzate in Europa ma prodotte all'esterno del territorio comunitario. Tali limiti si applicheranno sulle autovetture importate.

1.18

Nel considerare questa proposta l'inizio di un percorso che affronti in termini globali le problematiche ambientali legate al trasporto, il CESE sollecita la Commissione a predisporre rapidamente norme legislative adeguate che affrontino la problematica della riduzione della CO2 per quanto riguarda i veicoli leggeri da trasporto, i veicoli pesanti e il comparto delle due ruote, raccogliendo tutti i dati relativi alle emissioni di questi veicoli.

1.19

Il CESE rileva che la pur importante politica settoriale del comparto automobilistico non esaurisce l'impegno più complessivo sulla politica generale dei trasporti ma ne costituisce una indicazione decisiva per guidare l'intero settore verso i traguardi ambientali già perseguiti da altri comparti della struttura industriale europea.

1.20

Il CESE sottolinea e auspica che parallelamente alle misure previste, specifiche per il settore, si persegua il raggiungimento dei risultati attesi agendo sul lato della domanda di trasporto. Secondo il CESE è indispensabile favorire una rigida politica di trasferimento di quote sempre più elevate e consistenti del trasporto gomma verso modalità che generino meno gas ad effetto serra, quali il trasporto ferroviario, la navigazione fluviale, il trasporto collettivo, possibilmente su mezzi a emissioni molto basse.

1.21

Il CESE non condivide la proposta di deroga temporanea inserita all'articolo 9 del regolamento, nei termini in cui viene proposta, per una evidente disparità di trattamento tra costruttori. È indispensabile a parere del CESE che non si concretizzi nessun vantaggio regolamentare che alteri la concorrenza.

1.22

Il CESE raccomanda di elaborare un modello di internalizzazione nel calcolo del CO2 di tutte le emissioni connesse alla produzione delle automobili. L'impronta di CO2 dovrebbe essere tenuta in considerazione per quanto riguarda l'intero ciclo di vita degli autoveicoli.

1.23

Perché questo traguardo sia raggiunto è necessario aprire un dibattito sugli stili di vita sul cui argomento il CESE ha espresso recentemente pareri specifici. È infatti convinzione condivisa che proseguendo in questa tendenza di crescita del numero degli autoveicoli privati, di incremento della loro dimensione e privilegiando i veicoli di trasporto che producono elevati livelli di emissioni di gas a effetto serra e di NOx, il traguardo della riduzione del 20 % della CO2 non sarà raggiunto, e questo non può e non deve essere accettato.

2.   Introduzione: contesto della proposta

2.1

La convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici approvata a nome della Comunità europea con decisione 94/69/CE del 15 dicembre 1993 impone a tutte le parti l'obbligo di elaborare ed attuare programmi volti ad attenuare i cambiamenti climatici.

2.2

La Commissione, raccogliendo tale indicazione ha progressivamente sviluppato una serie di interventi legislativi che hanno consentito nel gennaio 2007 all'Unione europea di proporre nei negoziati internazionali una riduzione globale del 30 % di emissioni di gas a effetto serra rispetto ai valori del 1990, con riduzione del 20 % entro il 2020. Tali obiettivi sono stati in seguito approvati dal Consiglio e dal Parlamento europeo.

2.3

Nell'esame dei singoli settori si è constatato che rispetto al dato complessivo che ha visto nel periodo 1990-2004 una diminuzione di circa il 5 % delle emissioni di gas a effetto serra, nel settore dei trasporti tali emissioni nello stesso periodo sono risultate in aumento del 26 %.

2.4

Questa considerazione ha posto l'esigenza di interventi legislativi specifici allo scopo di ricondurre il settore delle auto all'interno di una tendenza globale di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, con particolare riferimento al settore delle autovetture che presentano una situazione critica in quanto responsabili del 12 % delle emissioni complessive di biossido di carbonio (CO2) che costituisce, come è noto, il principale gas a effetto serra.

2.5

Il settore auto registra da una parte un significativo progresso tecnologico, che ha consentito nel periodo 1995-2004 di diminuire del 12,4 % le emissioni di CO2, risparmiando carburante e dall'altra un costante incremento della domanda di trasporto e un continuo aumento della dimensione dei veicoli che ha di fatto annullato totalmente tale vantaggio, anzi ha visto incrementare le emissioni totali del trasporto di gas a effetto serra.

2.6

Tale andamento rende assai poco probabile, in assenza di specifiche iniziative, il raggiungimento del traguardo prefissato dei 120 g di CO2/km per le emissioni medie del nuovo parco macchine.

3.   Passi fondamentali della strategia della Commissione

3.1

La strategia comunitaria per la riduzione delle emissioni di CO2 ha preso corpo a partire dal 1995. Essa si è basata su:

impegni volontari dell'industria automobilistica ad abbattere le emissioni,

migliore informazione dei consumatori,

promozione di automobili a maggiore risparmio di carburante attraverso misure fiscali.

3.2

Nel 1998 l'Associazione europea dei costruttori di automobili (ACEA) si è impegnata a ridurre le emissioni medie per le autovetture nuove a 140 g CO2/km entro il 2008, a cui ha fatto seguito un impegno dei costruttori giapponesi (JAMA) e coreani (KAMA) per un identico impegno entro il 2009.

3.3

La Commissione su questo argomento ha riconosciuto tali impegni, emanando le raccomandazioni 1999/125/CE (relativa all'accordo volontario ACEA), 2000/303/CE (relativa all'accordo volontario KAMA), e 2000/304/CE (relativa all'accordo volontario JAMA). E per quanto riguarda il controllo delle emissioni, ha approvato la decisione n. 1753/2000/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un sistema di controllo della media delle emissioni specifiche di CO2 prodotte dalle autovetture nuove.

3.4

Il 7 febbraio 2007 la Commissione ha adottato per il settore specifico due comunicazioni parallele:

la prima, sui risultati del riesame della strategia comunitaria per ridurre le emissioni di CO2 delle autovetture e dei veicoli leggeri, COM(2007) 19 def. (parere CESE TEN/301, relatore: RANOCCHIARI),

la seconda, su un quadro normativo competitivo nel settore automobilistico per il XXI secolo — CARS 21, COM(2007) 22 def. (parere CESE INT/351, relatore: DAVOUST).

3.5

In esse si mettevano in evidenza i progressi ottenuti per la realizzazione dell'obiettivo dei 140 g CO2/km entro il 2008-2009, ma si affermava che in assenza di altri provvedimenti l'obiettivo del raggiungimento dei 120 g CO2/km per auto di nuova produzione non sarebbe stato raggiunto.

3.6

Entrambe queste comunicazioni proponevano l'adozione di un approccio integrato orientato in due direttrici:

la riduzione obbligatoria delle emissioni di CO2 ottenuta tramite il miglioramento delle tecnologie motoristiche al fine di raggiungere l'obiettivo medio di 130 g/km,

la riduzione di ulteriori 10 g/km da raggiungere attraverso misure complementari costituite da altri dispositivi tecnologici da installare sulle autovetture (indicatore di cambio marcia, indicatore della pressione pneumatici, pneumatici a bassa resistenza al rotolamento, condizionatori ad alta efficienza, ecc.) e da un utilizzo più elevato di biocarburanti.

3.7

Nelle stesse comunicazioni la Commissione indicava che l'obiettivo medio relativo al parco auto nuovo dovesse tenere conto dei seguenti elementi:

neutralità sul piano della concorrenza,

scelte socialmente eque e sostenibili,

evitare qualsiasi distorsione indebita della concorrenza tra costruttori,

totale compatibilità con gli obiettivi di Kyoto.

3.8

Il quadro proposto e riconfermato sia dal Consiglio Competitività sia dal Consiglio Trasporti poggia sulla garanzia che tutti i produttori automobilistici intensifichino i loro sforzi per la produzione di autovetture più ecologiche ma nel rispetto di massima efficienza in termine di costi.

3.9

Ciò significa che la riduzione delle emissioni di CO2 deve attuarsi in un approccio integrato che coinvolga tutti gli attori sottolineando l'opportunità di una proposta legislativa che raggiunga gli obiettivi preposti dentro un quadro di mantenimento della competitività globale dell'industria automobilistica.

4.   La proposta della Commissione

4.1

La proposta di regolamento in esame, COM(2007) 856 def., ha come obiettivo di «ridurre le emissioni di CO2 dei veicoli leggeri» e di perseguire il raggiungimento dei 130 g/km entro il 2012. Essa si applica ai veicoli a motore di categoria M1 di cui all'allegato II della direttiva 2007/46/CE ed ai veicoli a norma dell'articolo 2, paragrafo 2, del regolamento (CE) che siano immatricolati per la prima volta nella Comunità e che non siano stati precedentemente immatricolati al di fuori del territorio comunitario.

4.2

La proposta, rientrando in un approccio integrato, sarà completata da altri provvedimenti in grado di ridurre le emissioni di ulteriori 10 g CO2/km per arrivare quindi all'obiettivo finale dei 120 g CO2/km, come previsto nella comunicazione COM(2007) 19 def.

4.3

Per definire i livelli di emissione di CO2 il regolamento tiene conto:

delle implicazione di tali interventi per i mercati e la competitività dei costruttori,

della promozione dell'innovazione,

della riduzione del consumo energetico.

4.4

Il regolamento in esame mira inoltre a:

incoraggiare l'industria automobilistica affinché investa nelle nuove tecnologie,

promuovere attivamente l'innovazione eco-compatibile,

tenere conto degli sviluppi tecnologici futuri,

rafforzare la competitività dell'industria europea,

creare posti di lavoro di elevata qualità.

4.5

Secondo la Commissione il presente regolamento è coerente con gli altri obiettivi e le politiche dell'Unione e ha visto la luce dopo un'ampia consultazione e con il contributo diretto di un gruppo di lavoro opportunamente costituito nell'ambito del programma europeo per il cambiamento climatico (gruppo CARS 21) con la diretta partecipazione di tutte le parti interessate.

4.6

Base giuridica. La base giuridica è l'articolo 95 del Trattato CEE che appare appropriata per garantire la parità di trattamento a tutti i soggetti e presenta un elevato grado di protezione della salute e dell'ambiente.

4.7

Principio di sussidiarietà e di proporzionalità. La proposta rispetta tali principi in quanto, pur non rientrando nelle competenze esclusive della Comunità, evita l'insorgenza di ostacoli al mercato unico e, adottando misure legislative a livello comunitario, semplifica gli interventi per ridurre in modo armonizzato l'impatto delle autovetture in termini di cambiamento climatico.

4.8

Scelta dello strumento legislativo. La proposta di un regolamento, secondo la Commissione, appare la scelta più adatta per garantire l'immediato rispetto delle disposizioni che saranno assunte, evitando distorsioni della concorrenza con possibili ricadute sul mercato interno.

4.9

Monitoraggio. Le emissioni di biossido di carbonio delle autovetture nuove, misurate in modo armonizzato in base alla metodologia stabilita dal regolamento (CE) n. 715/2007, devono essere rilevate dai singoli Stati membri e successivamente comunicate alla Commissione, attraverso la procedura prevista all'articolo 6.

4.10

Certificato di conformità. I costruttori hanno l'obbligo secondo la direttiva 2007/46/CE di rilasciare un certificato di conformità che deve accompagnare ogni vettura e che costituirà lo strumento indispensabile sulla cui base gli Stati membri concedono l'immatricolazione e la messa in circolazione di una nuova autovettura, con la sola esclusione delle deroghe previste dall'articolo 9 del regolamento stesso.

4.11

Indennità per emissioni in eccesso. L'articolo 7 del regolamento in esame propone che a partire dal 2012 in presenza di emissioni che superino l'obiettivo prefissato venga imposto al costruttore o al responsabile del raggruppamento di versare un'indennità per le emissioni in eccesso. Tali indennità, che assumono un andamento fortemente crescente negli anni successivi a tale data come previsto dallo stesso articolo, sono da considerarsi entrate del bilancio dell'Unione europea.

5.   La proposta strategica del Parlamento europeo

5.1

Nella sua risoluzione adottata il 24 ottobre 2007 il Parlamento europeo ha accolto favorevolmente la strategia della Commissione ma ha proposto che gli obiettivi di emissione siano applicati dal 2011 per raggiungere con la sola evoluzione della tecnologia automobilistica i 125 g CO2/km entro il 2015. Il Parlamento europeo ha insistito sulla seconda fase con un obiettivo a lungo termine attraverso il raggiungimento di 95 g entro il 2025 auspicando il raggiungimento di prospettiva di 70 g entro il 2025, con verifica dell'andamento dei risultati raggiunti entro il 2016.

6.   Importanza del comportamento dei consumatori

6.1

Il comportamento dei consumatori assume una notevole importanza nel raggiungimento di positivi risultati sulla riduzione delle emissioni di CO2 per le autovetture. Per tale ragione la Commissione ha avviato lavori preparatori di modifica della direttiva 1999/94/CE relativa alla informazione dei consumatori sulla conformità delle nuove autovetture agli obiettivi di emissione, che comportano un risparmio di carburante con lo scopo di incrementare il contributo degli utilizzatori verso il raggiungimento degli obiettivi attesi.

7.   Osservazioni generali

7.1

Il CESE, come già in precedenti pareri sulle proposte legislative relative alla riduzione delle emissioni di CO2 proposte dalla Commissione, conferma il suo sostegno a tutte le iniziative comunitarie che abbiano come scopo il raggiungimento di concreti traguardi nella riduzione dei gas ad effetto serra, quale aspetto fondamentale nella lotta ai cambiamenti climatici.

7.2

Il CESE concorda sugli obiettivi della presente proposta di regolamento con le osservazioni di seguito riportate e sollecita il Consiglio ed il Parlamento europeo ad una rapida approvazione di tutta la legislazione che possa incidere positivamente sul cambiamento climatico, attualmente in itinere.

7.3

Il CESE invita le istituzioni europee ad una sollecita approvazione della proposta di direttiva COM(2005) 261 def. sulla fiscalità delle vetture private, che contribuirà ad accelerare il raggiungimento dell'obiettivo, stimolando le imprese ad un impegno maggiore e a impegnarsi per un rapido miglioramento della direttiva 1999/94/CEE sull'informazione attraverso specifiche etichette delle emissioni di CO2 e a coordinare e proporre iniziative in merito alla pubblicità e al marketing del settore automobilistico, che prevedano misure di promozione delle vetture più economiche in termini di consumo e di interdizione alla pubblicità per i veicoli più inquinanti.

7.4

Nello specifico del presente regolamento, il CESE sostiene la scelta dell'articolo 95 del Trattato poiché appare adatto a garantire la parità di trattamento di tutti i soggetti e presenta un elevato grado di protezione della salute e dell'ambiente.

7.5

Esso considera positivamente la scelta legislativa del regolamento in quanto strumento adatto a garantire l'immediato rispetto delle disposizioni che saranno adottate, evitando le possibili distorsioni della concorrenza. Tale scelta appare necessaria a seguito di un periodo nel quale gli impegni volontari assunti dall'industria automobilistica, pur apprezzabili per i risultati conseguiti sul fronte del miglioramento delle prestazioni delle autovetture in termine di emissione di CO2, sono risultati insufficienti per raggiungere gli obiettivi prefissati.

7.6

Il CESE approva la proposta di riduzione a 130 g/km delle emissioni di CO2 attraverso il ricorso dei miglioramenti tecnologici dei motori, ma deplora il fatto che ormai non appaia più perseguibile il traguardo più stringente originariamente previsto per il 2012, cioè 120 g/km. Esso è consapevole che la Commissione propone ora di raggiungere tale traguardo per vie diverse, attraverso un approccio integrato comprendente il miglioramento delle norme tecniche per i pneumatici, la sensibilizzazione dei consumatori, incentivi alla guida ecologica (1) e, soprattutto, un maggiore ricorso ai biocarburanti. Dati però i sempre maggiori dubbi sulla fattibilità e sull'auspicabilità del traguardo relativo all'impiego di biocarburanti nel settore dei trasporti, il CESE non ritiene che si tratti di un'alternativa soddisfacente.

7.7

Il CESE raccomanda quindi alla Commissione di indicare ora ulteriori traguardi perché l'industria automobilistica, nei prossimi anni, migliori le prestazioni dei veicoli prodotti sotto il profilo delle emissioni di carbonio. Il CESE è convinto che stabilendo adesso una sequenza di traguardi più stringenti per gli anni futuri si darà all'industria europea una chiara indicazione degli standard da applicare, permettendole così di adattare di conseguenza i suoi piani di produzione.

7.8

Esso considera il raggiungimento di questo traguardo un contributo importante da parte del settore automobilistico nella lotta ai gas ad effetto serra nel settore dei trasporti, poiché porterebbe a ridurre in tale periodo le emissioni di CO2 di 400 milioni di tonnellate.

7.9

Per gli ambiziosi traguardi da raggiungere e per quelli auspicati per un futuro più lontano, a parere del CESE appare necessario il contributo fondamentale di consistenti investimenti nel campo della ricerca e sviluppo, capace di coinvolgere e coordinare le iniziative in corso nei singoli Stati membri, nelle università, in tutti i centri tecnologici di eccellenza del settore, prevedendo inoltre una diretta partecipazione delle imprese produttrici.

7.9.1

Il CESE segnala l'esigenza alla Commissione e agli Stati membri che vengano assunte misure di sostegno al reddito, anche sotto forma di incentivi fiscali, per le famiglie numerose che sono costrette ad utilizzare automobili grandi. Andrebbero studiate anche le situazioni dei mercati dell'Est, dove la vita media del parco auto è molto elevata e dove vengono vendute le auto di seconda o terza mano più inquinanti. Occorrerebbe trovare la possibilità in questi paesi di incentivare il ricambio, attraverso specifici provvedimenti. È evidente che i paesi a più baso reddito pro-capite non potranno godere dei benefici di una riduzione generalizzata delle emissioni, non potendo acquistare le nuove auto più efficienti, ma anche con ogni probabilità più care.

7.10

Appare chiaro che, se i risultati per i prossimi anni possono ragionevolmente essere conseguiti con l'utilizzo della tecnologia esistente, sarà invece necessario pensare nel futuro a processi di «rottura tecnologica dell'esistente» con la messa in atto di un livello di tecnologia più avanzata.

7.11

A questo scopo il CESE ritiene che un elevato livello di mobilitazione dell'insieme del mondo scientifico possa essere conseguito attraverso la creazione di una iniziativa tecnologica congiunta (ITC) sulla base dello schema di co-finanziamento fra un consistente budget europeo e un analogo contributo da parte delle imprese, come recentemente proposto per settori importanti quali le celle a idrogeno e a combustibile, l'aeronautica ed il trasporto aereo, i medicinali innovativi, i sistemi informatici e la nanoelettronica.

7.12

Il CESE è favorevole alla politica della messa in atto di penalità nel mancato raggiungimento degli obiettivi proposti a partire dal 2012 come previsto dall'articolo 7 del regolamento in esame poiché ne condivide lo scopo persuasivo, ma ritiene che le stesse debbano essere stanziate per attività che interessano l'industria automobilistica come:

rafforzare tutte le iniziative di ricerca e sviluppo,

investire nel campo della formazione professionale,

finanziare misure che incentivino i proprietari di vetture anziane e inquinanti alla loro sostituzione,

realizzare campagne di informazione per sensibilizzare i consumatori a tenere in conto il fattore emissioni di gas nocivi nei loro acquisti,

sostenere il trasporto pubblico locale.

7.13

Il CESE ritiene se queste misure e la loro forte progressività non siano adeguate alla capacità dell'industria europea di adeguare la propria filiera produttiva ai nuovi limiti. Le misure delle penalità, che quasi sicuramente si riverseranno sul regime dei prezzi finali, appaiono particolarmente elevate, potendo costituire un fattore di distorsione della concorrenza e determinando una situazione di penalizzazione per il settore, rispetto ad altri settori. Occorrerà trovare una soluzione che armonizzi tali oneri, tenendo conto dei costi medi che vengono sopportati dagli altri comparti produttivi interessati al contenimento delle emissioni di CO2.

7.14

Il CESE propone alla Commissione di prendere in considerazione la possibilità di superare l'attuale schema di definizione per quanto riguarda il sistema di valori sui limiti di emissione basati sulla massa dei veicoli, con parametri alternativi quali ad esempio quello dell'impronta (l'impronta di un'autovettura è calcolata moltiplicando il passo dell'autovettura per la sua carreggiata).

7.15

L'inclinazione della funzione lineare (cioè la percentuale di inclinazione) influenzerà gli oneri da suddividere tra i costruttori e i risultati ambientali. Più tale inclinazione è vicina a 100, meno oneri sopporteranno i costruttori di auto con massa elevata, viceversa, più l'inclinazione è vicina a zero maggiore sarà l'impegno per raggiungere gli obiettivi (un'inclinazione di 80° consente un surplus di emissioni di 6 g, un'inclinazione di 20° un surplus di emissioni di solo 1,5 g). La Commissione ha indicato un'inclinazione di 60° (4,6 g di surplus consentiti). Il Comitato sollecita la Commissione a riflettere ulteriormente su tale proposta, per evitare nel modo più assoluto di emanare un regolamento che possa favorire o sfavorire una qualsiasi impresa europea.

7.16

Se la Commissione dovesse mantenere questa impostazione, relativamente alla scelta della massa, non avrebbe molto senso rivedere nel 2010 la pendenza e l'incremento della massa dovrebbe essere considerato a partire dal 2013.

7.17

Il CESE sollecita la Commissione a predisporre rapidamente nuove norme legislative adeguate che siano in grado di limitare le emissioni di CO2, per quanto riguarda i veicoli leggeri da trasporto, i veicoli pesanti e le due ruote, per i quali occorre avere dati attendibili e verificati sulle emissioni effettive.

7.18

Il CESE invita la Commissione a tenere nella giusta considerazione, insieme agli irrinunciabili aspetti della difesa dell'ambiente, un'attenta valutazione degli effetti che lo sviluppo di tale complesso processo può produrre sull'occupazione di 13 milioni di lavoratori che oggi operano nell'insieme della filiera del settore automobilistico. Con l'aumento del prezzo del petrolio e la richiesta dei consumatori di risparmiare sul prezzo dei carburanti, i produttori europei di auto, producendo auto più efficienti, potrebbero avere un vantaggio competitivo che potrebbe favorire l'impiego nell'UE.

7.19

È necessario, ad avviso del CESE, mettere in campo adeguate e concrete misure di ricerca in tecnologie nuove, innovative ed efficienti, allo scopo di mantenere, e possibilmente rafforzare, gli attuali livelli di competitività dell'industria automobilistica europea ed un'occupazione di qualità.

7.20

Elemento importante di tale processo è costituito a parere del CESE dall'applicazione puntuale e tassativa dei limiti d'emissione a tutte le autovetture commercializzate in Europa ma prodotte all'esterno del territorio comunitario. Tali limiti saranno calcolati sulla base delle importazioni.

7.21

Il CESE ritiene che le previste relazioni sui progressi raggiunti, previste nel 2010, costituiscano un importante momento di verifica dell'insieme della strategia e pertanto chiede di essere associato a tali valutazioni periodiche con conseguente possibilità di esprimere il proprio parere.

7.22

Il CESE ritiene che l'analisi d'impatto non appare sufficientemente approfondita. Lo stesso parere del Comitato di valutazione delle analisi d'impatto ha suggerito, vista l'importanza dell'argomento, di considerare più approfonditamente alcuni punti cruciali.

7.23

Nel documento SEC(2007) 1725 viene infatti richiesto di chiarire l'impatto sulla composizione della flotta e gli effetti che esso potrebbe avere sul raggiungimento degli obiettivi, spiegando i possibili scostamenti dai risultati ex ante del modello Tremove (2); una ulteriore analisi della sensibilità di alcune variabili quali il prezzo del carburante, l'incremento autonomo della massa (AMI); dovrebbero essere valutati gli impatti regionali, in particolare sull'occupazione; viene infine suggerita una ulteriore valutazione sull'industria dei fornitori del settore auto, sulla competitività internazionale. Il CESE concorda con questi suggerimenti e auspica che l'analisi di impatto sia approfondita e completa.

7.24

Il CESE sottolinea l'esigenza di affiancare alle misure predisposte un rafforzamento della politica di riduzione della domanda di trasporto attraverso il trasferimento di quote sempre più consistente del trasporto su gomma verso modalità che generino meno gas ad effetto serra, quali il trasporto ferroviario, la navigazione fluviale, il trasporto collettivo, ecc.

7.25

Il CESE non condivide la proposta di deroga temporanea inserita all'articolo 9 del regolamento. Così come è scritta, contraddice la parità di trattamento tra imprese, creando di fatto una distorsione alla concorrenza su questo specifico segmento di mercato con prodotti simili, dalle caratteristiche simili. Il CESE ritiene infatti che la deroga vada accordata a tutti i costruttori (collegati o non ad altri) che competono sullo stesso segmento di mercato che per altro è lo 0,2 %.

7.26

Il CESE raccomanda alla Commissione di fissare obiettivi di lungo periodo, analogamente a quanto indicato dal Parlamento europeo: a partire dal 2020 sarà necessario individuare soluzioni più coraggiose, ponendo particolare attenzione alla loro realizzabilità. È indispensabile continuare a ridurre le emissioni, dando segnali univoci di volontà di perseverare su questa strada.

7.27

Il CESE raccomanda di elaborare un modello di internalizzazione nel calcolo del CO2 di tutte le emissioni connesse alla produzione delle automobili. In alcuni paesi, ad esempio, molti componenti giungono da molto lontano, contribuendo ad innalzare le emissioni per auto prodotta, prima della messa in strada. L'impronta di CO2 dovrebbe essere tenuta in considerazione per quanto riguarda l'intero ciclo di vita degli autoveicoli, compreso il CO2 necessario per la demolizione.

7.28

Il CESE, in alcuni recenti pareri, ha esortato la Commissione ad aprire un dibattito sugli stili di vita. Condividendo gli obiettivi proposti, fa notare che se il trend di crescita del numero degli autoveicoli privati, dei veicoli da trasporto merci su strada e degli altri modi di trasporto che producono elevate emissioni di gas effetto serra e di NOx continuerà nelle attuali percentuali e si realizzeranno le previsioni di incremento previste dalla Commissione, sarà impossibile realizzare l'obiettivo di riduzione del CO2 del 20 % previsto dalle recenti proposte della Commissione.

Bruxelles, 17 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Parere CESE (relatore: RANOCCHIARI), GU C 44 del 16.2.2008.

(2)  Tremove è un modello di analisi di valutazione di effettività di costo di misure tecniche e non tecniche che hanno l'obiettivo di ridurre le emissioni dall'intero settore dei trasporti e di migliorare la qualità dell'aria di 21 paesi: UE 15, Svizzera, Norvegia, Repubblica ceca, Ungheria, Polonia e Slovenia (i quattro nuovi paesi sono stati scelti sulla base della disponibilità di dati).


31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/8


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla sicurezza dei giocattoli

COM(2008) 9 def. — 2008/0018 (COD)

(2009/C 77/02)

Il Consiglio, in data 17 marzo 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato, di consultare il Comitato economico e sociale in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla sicurezza dei giocattoli

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 15 luglio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore PEGADO LIZ.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 49 voti favorevoli, 1 voto contrario e 8 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE approva l'iniziativa della Commissione di rivedere la direttiva sulla «Sicurezza dei giocattoli», iniziativa i cui unici difetti sono di essersi fatta attendere e di non essere abbastanza ambiziosa.

1.2

Il Comitato osserva che la valutazione d'impatto su cui si basa la proposta risale al 2004 e non ha preso in considerazione tutti gli Stati che attualmente formano l'UE.

1.3

Considerando il numero sempre più elevato di allarmi causati da giocattoli, evidenziato dal RAPEX nella sua ultima relazione, il CESE trova singolare che tale valutazione d'impatto non abbia tratto conclusioni sulla relazione esistente tra la direttiva e gli incidenti subiti dai bambini per causa dei giocattoli. È ancor più sorpreso del fatto che non si sappia quale potrebbe essere l'incidenza della proposta all'esame sul numero e sulla gravità dei futuri incidenti causati dai giocattoli, il che dovrebbe essere la preoccupazione e la motivazione principale dell'iniziativa oggetto del presente parere.

1.4

La Commissione riconosce la mancanza o la scarsa disponibilità di dati statistici affidabili e oggettivi sugli incidenti causati dai giocattoli nell'Unione europea. Il CESE suggerisce pertanto alla Commissione di creare, con la collaborazione delle autorità competenti degli Stati membri, un sistema adeguato di informazione statistica relativa a tali incidenti, analogo quanto meno a quello che già esiste in alcuni ordinamenti giuridici e che è accessibile a tutti coloro che intervengono nella catena di produzione e commercializzazione, al fine di scongiurare eventualità del genere (1).

1.5

Dal punto di vista giuridico, il CESE ritiene che la proposta dovrebbe basarsi non solo sull'articolo 95 del Trattato ma sopratutto sull'articolo 153. Considera infatti che una protezione efficace dei bambini sia ben più importante del semplice obiettivo di agevolare il commercio internazionale dei giocattoli.

1.6

Tenendo conto dell'ambito di applicazione e del carattere della nuova proposta, alla luce dell'esperienza acquisita nell'applicazione della direttiva attuale nei diversi Stati membri, e considerando che l'approccio adottato è quello di un'armonizzazione totale, giudica inoltre il regolamento uno strumento giuridicamente più adeguato della direttiva.

1.7

Il CESE è lieto che dal punto di vista tecnico-giuridico la proposta sia stata formulata in modo coerente e ben strutturato ed è in linea di massima d'accordo con le misure innovative, in particolare per quanto concerne:

l'estensione della definizione di «giocattolo» e l'adozione del concetto di «uso prevedibile» tenendo conto del comportamento dei bambini,

il potenziamento dei controlli negli Stati membri,

l'elaborazione di norme adeguate in materia di prevenzione e di informazione sulla sicurezza dei giocattoli (avvertenze e istruzioni).

1.8

Il CESE si rammarica tuttavia che la proposta non abbia tenuto conto (o abbia tenuto conto in maniera insufficiente) di alcuni aspetti di estrema importanza, quali:

a)

l'esigenza di optare chiaramente a favore del principio di precauzione;

b)

la necessità di rendere più rigorose la formazione e l'educazione dei responsabili della protezione dei bambini in contatto con i giocattoli;

c)

la precisazione di alcuni concetti troppo ambigui e incerti, ad esempio il concetto di giocattolo, o della portata del danno;

d)

la non equiparazione degli importatori o dei mandatari ai fabbricanti, il che chiaramente libera i soggetti che intervengono nella catena di distribuzione e di vendita dei giocattoli da ogni responsabilità in caso di risarcimento dei danni causati;

e)

procedure di valutazione della conformità inadeguate alla natura delle PMI.

1.9

Il Comitato invita pertanto la Commissione a rivedere la sua proposta di direttiva tenendo conto delle osservazioni formulate nel presente parere e a trasformarla in uno strumento più credibile ed efficace di protezione e di sicurezza dei bambini in contatto con i giocattoli.

1.10

Il CESE chiede al PE e al Consiglio di accogliere i suoi suggerimenti e le sue raccomandazioni, inserendoli nel processo legislativo che porterà all'adozione della nuova direttiva.

2.   Introduzione: sintesi della proposta

2.1

È stato negli anni '70 che la Commissione ha reso pubblica, per la prima volta, la sua intenzione di legiferare nel settore della sicurezza dei giocattoli con diverse proposte, poi ritirate per mancanza di consenso politico. Per dar seguito alla risoluzione del Consiglio del 23 giugno 1986 (2) concernente la tutela e la sicurezza dei consumatori, la Commissione ha infine presentato una nuova proposta in cui ha individuato, in termini maggiormente consensuali, la necessità di armonizzare a livello europeo la definizione di «giocattolo», le norme per la sua fabbricazione, i principali requisiti di sicurezza, le condizioni di commercializzazione e le garanzie di non pericolosità nell'uso da parte dei bambini.

2.2

La direttiva 88/378/CEE del 3 maggio 1988, pubblicata all'epoca (3), è una delle prime iniziative legislative dettate dal «nuovo approccio» nel settore dell'armonizzazione tecnica e della standardizzazione, basata sulla risoluzione del Consiglio del 7 maggio 1985 (4).

2.3

In merito alla proposta di direttiva presentata all'epoca (5), il CES aveva formulato un parere favorevole in cui tuttavia deplorava «i lunghi ritardi registrati nel suo processo di elaborazione» e, partendo dalla premessa secondo cui «tutti i giocattoli devono essere sicuri e che i bambini — per la loro età ed inesperienza — sono vulnerabili ai possibili pericoli e debbono avere diritto ad una particolare protezione», sottolineava la necessità di «vedere il problema della sicurezza dei giocattoli nel contesto della direttiva sui prodotti difettosi, il cui campo di applicazione è più vasto» (6).

2.4

La direttiva del 1988 ha nel frattempo subito una serie di rettifiche (7), è stata ampiamente modificata dalla direttiva 93/68/CEE del 22 luglio 1993 (8), ed è stata infine oggetto di una comunicazione della Commissione relativa alla sua applicazione (9).

2.5

Nel 1992 e nel 2001 sono state adottate e pubblicate due direttive sulla sicurezza generale dei prodotti che trattano in modo generico la sicurezza dei giocattoli (10), la seconda delle quali sottolinea in modo particolare le «modifiche introdotte nel Trattato, in particolare nell'articolo 152 relativo alla sanità pubblica e nell'articolo 153 riguardante la protezione dei consumatori, e alla luce del principio di precauzione».

2.6

Vent'anni dopo la pubblicazione della direttiva del 1988, la Commissione propone una nuova direttiva in materia, affermando che nel frattempo le norme in vigore sono diventate obsolete, che il loro ambito di applicazione e i concetti utilizzati devono essere riformulati ai fini di una maggiore chiarezza e adeguati alle nuove realtà esistenti, che è necessario garantire la coerenza tra le sue disposizioni e il quadro normativo generale, recentemente proposto (11), relativo alla commercializzazione dei prodotti, e soprattutto che il recepimento e l'attuazione della direttiva nei vari Stati membri hanno messo in evidenza gravi lacune e disparità alle quali è opportuno rimediare.

2.7

La proposta ora all'esame si basa su tre importanti studi tecnici che costituiscono parte integrante del documento stesso; i primi due studi riguardano i requisiti e l'uso di talune sostanze chimiche considerate pericolose e impiegate nella fabbricazione di giocattoli, mentre il terzo studio è una valutazione di impatto generale, la cui relazione finale risale al 2004.

2.8

Mediante la proposta all'esame, la Commissione intende realizzare i seguenti obiettivi:

A)

Rafforzare i requisiti di sicurezza, in particolare per quanto concerne:

a)

l'uso di sostanze chimiche;

b)

la prevenzione e l'informazione da fornire a consumatori e utilizzatori;

c)

i rischi di soffocamento per inalazione o per ostruzione delle vie aeree;

d)

i giocattoli contenuti nei prodotti alimentari;

e)

la definizione dell'obbligo generale di sicurezza.

B)

Rendere più efficace e coerente l'applicazione della direttiva, attraverso in particolare:

a)

un rafforzamento delle misure di vigilanza del mercato negli Stati membri;

b)

informazioni sulle sostanze chimiche nel fascicolo tecnico;

c)

l'apposizione del marchio CE;

d)

la valutazione della sicurezza.

C)

Adeguare la direttiva al quadro legislativo generale in materia di commercializzazione dei prodotti.

D)

Chiarire l'ambito di applicazione e migliorare la definizione dei concetti utilizzati.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE si congratula con la Commissione per la sua iniziativa, che se ha un difetto è quello di essersi fatta attendere, visto che la direttiva oggetto di revisione ha più di 20 anni e che i parametri e i metodi di produzione dei giocattoli hanno subito nel frattempo profondi cambiamenti, così come sono cambiati i gusti e le abitudini dei loro naturali destinatari. Il CESE ritiene, inoltre, che la proposta potrebbe porsi degli obiettivi più ambiziosi, integrando nelle sue disposizioni le preoccupazioni derivanti dai fatti recentemente verificatisi e pubblicamente denunciati e rispecchiati, del resto, non solo in dichiarazioni e prese di posizioni ripetute del commissario incaricato della protezione dei consumatori, ma anche nella risoluzione del PE del settembre 2007, di cui il CESE condivide il contenuto (12). Per tale motivo si rammarica per il fatto che la sua discussione con il CESE non sarà seguita anche dalla DG SANCO, che non è stata direttamente coinvolta nella sua elaborazione

3.2

Il CESE continua a trovare motivi di perplessità nel fatto che la valutazione d'impatto, su cui si basa la presente proposta, è stata elaborata più di quattro anni fa e non prende in considerazione la situazione in tutti gli Stati membri. Aggiunge che non è chiaro quanto si sia tenuto conto, nella sua elaborazione, dei rappresentanti dei consumatori e delle famiglie e quale ne sia stato l'effettivo grado di partecipazione e in che misura siano stati consultati.

3.3

Alla luce della denuncia da parte della Commissione di supposte carenze nell'applicazione della direttiva, il CESE si meraviglia che la proposta non sia accompagnata dalle iniziative adottate dalla Commissione per imporre la corretta applicazione della menzionata norma comunitaria.

3.4

Il CESE trova difficile capire come in presenza della mancanza o dell'insufficienza riconosciute dei dati statistici, che la Commissione ammette, sia possibile trarre conclusioni adeguate in merito sia alla situazione su cui intervenire sia all'efficacia delle misure proposte. Si sa tuttavia che il mercato europeo dei giocattoli, stimato a 17,3 miliardi di euro a prezzi al dettaglio 2002 e con un volume di importazioni che ammonta a più di 9 miliardi di euro, è un settore florido al quale prendono parte circa 2 000 imprese, in maggioranza PMI, che danno lavoro direttamente a più di 100 000 persone (13).

3.5

Il CESE ritiene che la natura stessa della proposta in causa costringerebbe a considerare come base giuridica non solo l'articolo 95, ma anche necessariamente l'articolo 153, nella misura in cui il contenuto della proposta non riguarda esclusivamente la realizzazione del mercato interno, ma concerne una categoria particolarmente vulnerabile di consumatori, che in nessun modo può considerarsi assimilabile a quella di «consumatore medio».

3.6

Inoltre, il fatto che i bambini siano consumatori indiretti di giocattoli, in quanto non sono essi ad acquistarli, ma i loro genitori e altri adulti che li mettono a loro disposizione perché li utilizzino, dovrebbe indurre la Commissione ad essere più rigorosa nel rispecchiare, in debita misura, nella formulazione dell'articolato della proposta, la necessità di informazione e educazione di questa classe di consumatori.

3.7

Il CESE, comprendendo la scelta della Commissione, in questo caso, di optare per l'armonizzazione totale, riafferma la sua ferma convinzione che, in casi come questo, si avrebbe tutto da guadagnare dall'uso dello strumento «regolamento» al posto di una direttiva per gli evidenti miglioramenti in termini di certezza e sicurezza giuridica che dal primo derivano, nella misura in cui si evitano le situazioni di recepimento ritardato e manchevole e le conseguenti disparità di applicazione, come la Commissione riconosce essere avvenuto con la direttiva in vigore (14).

3.8

Data la natura della materia, lo sviluppo costante dello «stato dell'arte», la possibilità di incidenti di percorso, chiaramente evidenziati con i casi Mattel e Fisher Price, e infine il preoccupante aumento del numero di allarmi collegati ai giocattoli, messo in risalto dal RAPEX nella sua ultima relazione annuale (2007), il che rende quello dei giocattoli di gran lunga il settore con il maggior numero di segnalazioni (31 %) (15), si sarebbe potuto sperare che la presente proposta avesse tratto tutti gli insegnamenti da quanto successo (soprattutto dal fallimento del sistema «Post-market Surveillance») e avesse reso il testo più attuabile e applicabile, in grado di contribuire ad una maggiore sicurezza del mercato dei giocattoli, nel dubbio proibendo tutto ciò che, anche se in assenza di un sufficiente grado di certezza, possa legittimamente far nascere il sospetto di pericolosità, sebbene ridotta, nel quadro dell'utilizzazione dei giocattoli da parte dei bambini, tenendo anche conto dei loro comportamenti imprevedibili; tuttavia non è così.

3.9

Per quanto riguarda il marchio CE, il CESE si limita a ricordare e riprodurre nel presente parere quanto già detto nel suo precedente parere in merito al Quadro comune per la commercializzazione dei prodotti, vale a dire: «… Una mancanza di credibilità del marchio CE rappresenta la mancanza di credibilità dell'intero sistema… e, in ultima istanza, l'adeguatezza stessa della legislazione impostata sul nuovo approccio» (16).

Il CESE invita la Commissione a rendere conforme il testo definitivo della presente proposta a quello adottato per l'insieme delle proposte relative al Quadro comune summenzionato (17).

3.10

Il CESE condivide per intero la proposta del PE di creare un marchio europeo di sicurezza (per il consumatore) per i giocattoli, attribuito da organismi terzi indipendenti e si rammarica che la proposta non abbia accolto tutti i suggerimenti contenuti nella risoluzione del Parlamento europeo del settembre 2007. Condivide tuttavia le preoccupazioni espresse dalle PMI, relative non tanto al minor grado di sicurezza dei giocattoli da esse prodotti e commercializzati quanto, come riferito nel parere già citato, alla proporzionalità dei mezzi usati ai fini della certificazione della conformità, soprattutto per i prodotti non di serie o a serie limitata (18).

3.11

A parere del CESE dai giocattoli deve essere completamente eliminata qualsiasi sostanza debitamente riconosciuta come potenzialmente pericolosa, in un quadro che sia proporzionale, equilibrato e attuabile per i fabbricanti responsabili e applicabile da parte delle autorità.

3.12

Il CESE approva la recente decisione della Commissione sui «giocattoli magnetici» ma resta comunque sorpreso dal fatto che la proposta di direttiva oggetto del presente parere non abbia nemmeno affrontato la questione. Di fronte alla gravità dei pericoli e degli incidenti già verificatisi con questo tipo di giocattoli, appare poco incisiva la reazione della Commissione, la quale si è limitata a lanciare un semplice «appello» agli Stati membri affinché appongano, ciascuno a modo suo, una «avvertenza».

3.13

Per quanto concerne le sanzioni, il CESE reputa che sarebbe giustificata una definizione più precisa del loro livello e della loro natura, analogamente a quanto la Commissione ha già fatto in campi in cui la nocività dei comportamenti censurabili è ben inferiore dal punto di vista sociale.

3.14

In linea di massima, il CESE deplora che si perda l'occasione di mettere la protezione dei bambini europei, per lo meno sullo stesso livello di quanto accade, anche su iniziativa degli stessi produttori, in alcuni Stati membri o in altri paesi in cui determinati tipi di giocattoli sono semplicemente proibiti, come segnala un recentissimo studio commissionato dal PE (19).

3.15

Il CESE è consapevole dell'accanita concorrenza internazionale che caratterizza l'industria dei giocattoli. Invita pertanto la Commissione, il Parlamento europeo e il Consiglio a tenere conto della competitività del settore quando apporteranno eventuali modifiche alla direttiva nel corso del suo iter di adozione. L'obiettivo non è quello di abbassare gli standard di sicurezza dei giocattoli a detrimento della protezione del consumatore, e in particolare dei minori, ma di perseguire un rigoroso rispetto delle regole del commercio internazionale, affinché le imprese europee possano competere in condizioni di parità.

3.16

Il CESE sollecita, infine, la Commissione a mostrarsi sensibile alle preoccupazioni sociali collegate alla fabbricazione dei giocattoli, soprattutto nei paesi terzi in cui i bambini di tenera età vengono impiegati per la loro fabbricazione in condizioni umanamente inaccettabili sotto il profilo degli orari e dei luoghi di lavoro e con la manipolazione diretta ogni giorno di prodotti tossici e altamente pericolosi, e ad assumere una posizione chiara di difesa del giocattolo ecologico e di quello etico.

4.   Osservazioni particolari

4.1   Articolo 1 e Allegato I — Elenco dei prodotti espressamente non considerati giocattoli

Il CESE prende atto dell'intenzione della Commissione di procedere all'aggiornamento della definizione di giocattolo, permettendo che essa si applichi a tutti i prodotti che non siano concepiti unicamente per fini di gioco.

Il CESE sottolinea nondimeno che la definizione attuale di giocattolo è insufficiente per conseguire gli obiettivi proposti in quanto non solo non consente l'aggiornamento necessario allo sviluppo del mercato tecnologico, ma sancisce anche un elenco di prodotti non inseriti nell'ambito di applicazione della direttiva, di cui si contesta la pertinenza, segnatamente gli oggetti decorativi per le feste e le festività, la bigiotteria, i giochi che utilizzano proiettili appuntiti, i prodotti concepiti per essere utilizzati a scopo educativo nelle scuole o in altri contesti pedagogici e le attrezzature sportive.

In effetti, la base per creare un regime speciale di protezione degli utilizzatori di prodotti fa riferimento alla natura dell'utilizzatore, in particolare alla sua vulnerabilità. L'utilizzatore non distingue la finalità di ciascun oggetto che gli viene presentato e molte volte i prodotti sono considerati giocattoli dai bambini, dai genitori e dagli stessi commercianti che li catalogano e li vendono come giocattoli. Per quanto detto, il CESE non capisce come i giocattoli utilizzati a scopo educativo nelle scuole, per esempio, non rientrino nell'ambito di applicazione della direttiva, posto che non esiste alcuna differenza per quanto riguarda la natura dell'utilizzatore.

Il CESE sottolinea la necessità di includere, conformemente al principio di precauzione, tutte le attrezzature e i prodotti accessibili e potenzialmente utilizzabili come giocattoli per minori di 14 anni nel quadro di protezione offerto dalla direttiva.

Il CESE invita così la Commissione a rivedere la definizione di cui all'articolo 1 e l'elenco allegato, rendendoli compatibili l'una con l'altro.

4.2   Articoli da 2 a 5

Il CESE esprime il suo totale disaccordo sulla distinzione tra fabbricante e importatore, posto che la direttiva 2001/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla sicurezza generale dei prodotti equipara l'importatore al produttore, se nello Stato membro quest'ultimo non ha rappresentanti. Il mantenimento della distinzione non solo non salvaguarda, come dovuto, il diritto al risarcimento dei danni subiti dagli utilizzatori (dato che la responsabilità riguarda solo ed esclusivamente il fabbricante), ma non armonizza, come dovrebbe, le norme comunitarie e ciò metterà necessariamente in causa i principi di certezza e sicurezza delle relazioni giuridiche.

Il CESE ritiene quindi che, ai fini dell'applicazione della presente direttiva, i rappresentanti/mandatari e gli importatori (quando non esistono rappresentanti ufficiali del fabbricante) debbano essere considerati fabbricanti, al contrario di ciò che vuole la presente proposta che li equipara solo nel caso in cui gli importatori immettano nel mercato giocattoli con il loro nome o marchio o se apportano modifiche al prodotto, sebbene essi non influenzino il processo di produzione.

Il CESE respinge la distinzione, sotto il profilo della responsabilità, tra mandatario e fabbricante. In effetti il CESE teme che il mantenimento della norma possa impedire la salvaguardia dei diritti dei consumatori, in particolare il diritto al risarcimento dei danni, nelle situazioni in cui nello Stato membro sia stabilito soltanto il mandatario.

In generale, il CESE favorisce il mantenimento delle disposizioni della direttiva in vigore che rendono corresponsabili per la sicurezza del giocattolo tutti coloro che intervengono nella catena di commercializzazione.

Il Comitato ritiene che la definizione di danno debba comprendere le situazioni che potrebbero verificarsi a lungo termine come conseguenza diretta degli incidenti avvenuti.

4.3   Articolo 9

Il CESE apprezza la modifica al paragrafo 2, quando precisa che per stabilire la pericolosità del giocattolo si terrà conto dell'uso prevedibile dello stesso, in considerazione del comportamento abituale dei bambini (evidenzia, tuttavia, che il considerando n. 16 potrà permettere l'interpretazione contraria).

Il CESE ritiene, tuttavia, che il fabbricante dovrà avere l'obbligo di prevedere possibili usi meno adeguati del suo prodotto, ma ragionevolmente attribuibili ai bambini. Si rivela inoltre incongruente il mantenimento di un criterio di prevedibilità quando la relazione della stessa proposta sottolinea la necessità di prendere in considerazione il comportamento spesso imprevedibile dei bambini al momento della progettazione del giocattolo.

Il CESE non è d'accordo con la redazione del paragrafo 3, dal momento che stabilisce, non solo una presunzione ineliminabile, ma anche criteri vaghi e indeterminati, come quelli risultanti dai concetti di prevedibilità e normalità; ciò escluderà, in fin dei conti, l'obbligo del fabbricante di mantenersi aggiornato, al livello dei risultati scientifici e tecnici del settore, mentre il suo prodotto è distribuito nel mercato, obbligo che è il corollario della salvaguardia della sicurezza generale dei prodotti (20).

Di fatto, il dovere di evitare che vi siano difetti nei prodotti non si esaurisce con la loro immissione nel mercato. Il fabbricante o il suo eventuale rappresentante locale hanno il dovere di accompagnare, osservare e vigilare continuamente i giocattoli, permettendo di scoprire imperfezioni non conosciute, né conoscibili al momento della loro immissione nel mercato o difetti provenienti dall'usura, logoramento o invecchiamento prematuro del giocattolo.

4.4   Articolo 10

Il CESE si congratula con la Commissione per la sua intenzione di esigere che le avvertenze siano apposte in modo chiaro, visibile e leggibile nei punti vendita, in maniera da garantire una conoscenza effettiva del consumatore prima dell'acquisto. Ritiene tuttavia che esse debbano apparire non solo sull'imballaggio ma anche sugli stessi prodotti.

Il Comitato ritiene comunque che, nei punti vendita le avvertenze dovranno contenere non solo informazioni sull'età minima e massima degli utilizzatori, ma anche un'indicazione sul peso che i minori devono avere per utilizzare certi giocattoli, come pure indicazioni sull'eventuale necessità che gli utilizzatori siano sotto la vigilanza di chi li sorveglia mentre usano il prodotto.

Il CESE invita inoltre a redigere le avvertenze in modo adeguato alle esigenze degli utilizzatori, tenendo conto della loro particolare sensibilità.

Il CESE rinnova il suo appello in favore della promozione di azioni di formazione dirette ai genitori e a coloro che si occupano di minori per sensibilizzarli alle precauzioni da tenere e ai rischi derivanti dall'uso dei giocattoli. Tuttavia, il fatto che la sicurezza dei bambini sia in definitiva responsabilità di genitori, tutori, insegnanti, professori, sorveglianti, ecc., non può essere una scusa per ridurre la responsabilità dei produttori, degli importatori e dei venditori al dettaglio per quanto attiene alla sicurezza globale dei giocattoli.

In considerazione del fatto che molte volte l'etichetta è redatta in lingue diverse da quelle nazionali, il CESE ritiene che il paragrafo 3 non dovrebbe prevedere soltanto la facoltà degli Stati membri di esigere la redazione delle avvertenze e delle istruzioni di sicurezza nella lingua ufficiale o nelle lingue ufficiali dello Stato membro in cui i prodotti sono commercializzati, ma renderla obbligatoria.

4.5   Articoli 12 e 26

Pur ammettendo la necessità del mantenimento delle presunzioni di conformità, il CESE ritiene che sia più adeguata allo «stato dell'arte» l'istituzione di un regime di inversione dell'onere della prova in caso di incidente che provoca un danno.

4.6   Articolo 17

Il CESE mette in rilievo la scelta della Commissione di imporre ai fabbricanti un'analisi dei pericoli intrinseci derivanti dall'utilizzazione del giocattolo, invece di permettere che tale analisi si incentri soltanto sui rischi inerenti alla sua utilizzazione. Il Comitato ritiene tuttavia che tale analisi vada condotta per tutta la durata di vita del giocattolo, indipendentemente dal verificarsi del danno, così da evitare casi analoghi a quello che ha coinvolto la Mattel.

4.7   Articolo 18

Il CESE reputa che la valutazione di conformità andrebbe applicata a tutte le categorie di giocattoli, non circoscrivendola ai casi elencati al paragrafo 3, garantendo uniformità di criteri e creando un marchio europeo di sicurezza come proposto dal PE (21).

Tenendo conto del fatto che si sta parlando di un settore tecnico in cui non esistono conoscenze concrete specifiche o statistiche su incidenti verificatisi a causa dell'utilizzazione del prodotto, il CESE sottolinea la necessità che la Commissione applichi nella presente proposta il principio di precauzione, in termini identici a quelli definiti nel Libro bianco sulla sicurezza alimentare del gennaio 2000 (22).

4.8   Allegato II — Requisiti particolari di sicurezza

I — Proprietà fisico-meccaniche

Il CESE ritiene appropriato estendere l'ambito di applicazione del terzo paragrafo del punto 4 a bambini di età inferiore ai 60 mesi, dato che fino a questa età esiste ancora la possibilità che il bambino usi il giocattolo senza la debita precauzione e prudenza, portandolo alla bocca, anche se non era questa l'intenzione del fabbricante al momento di progettare il prodotto.

D'altro canto il CESE ritiene che non si siano presi in considerazione:

gli imballaggi dei prodotti, ma in particolare gli imballaggi costituiti da sacchetti di plastica,

la possibilità che certe parti del giocattolo si stacchino e siano ingerite dai bambini,

le proprietà dei giocattoli nel caso in cui si rompano.

III — Proprietà chimiche

Pur approvando le modifiche proposte, il CESE sottolinea la necessità di applicare immediatamente il principio di precauzione per quanto concerne le proprietà chimiche. Studi condotti dall'Organizzazione Mondiale della Sanità hanno infatti dimostrato che l'esposizione a tali prodotti potrebbe causare alcune malattie croniche, che continuano a colpire i bambini dopo l'età di 3 anni.

Il Comitato sottolinea quindi la necessità non solo di proibire tutte le sostanze CMR, comprese quelle della categoria 3, purché siano state debitamente riconosciute come potenzialmente pericolose, nella fase di progettazione dei prodotti, ma anche di vietarne la presenza nei materiali che li compongono, conformemente alla direttiva concernente i prodotti cosmetici. Il CESE mette inoltre in guardia la Commissione sull'eccesso di permissività esistente per quanto riguarda non solo i limiti di migrazione autorizzati, ma anche i cosiddetti interferenti endocrini che possono limitare il normale sviluppo dei bambini.

Per quanto concerne l'uso di sostanze allergeniche, il CESE raccomanda alla Commissione di vietare il ricorso a qualsiasi fragranza o agente sensibilizzante che possa contenere non soltanto sostanze allergeniche in quanto tali (le quali andrebbero assolutamente vietate), ma anche altre sostanze che hanno conseguenze dirette sul sistema immunitario dei bambini.

In base a una visione realistica dell'attuabilità delle misure, considerando inoltre la struttura dell'industria del giocattolo, in cui operano in grande maggioranza PMI, e le modifiche sostanziali introdotte dalla direttiva, soprattutto nel campo delle proprietà chimiche, il CESE raccomanda un periodo di transizione di 5 anni.

Il CESE sottolinea infine la necessità di promuovere la compatibilità tra la proposta all'esame e le norme relative alla sicurezza alimentare, soprattutto per quanto attiene ai materiali utilizzati nei giocattoli destinati ai bambini di età inferiore ai 36 mesi. Invita pertanto la Commissione ad autorizzare, al momento della progettazione del giocattolo, unicamente le sostanze consentite nei materiali a contatto diretto con i prodotti alimentari.

IV — Proprietà elettriche

Secondo il CESE l'allegato dovrebbe prevedere norme specifiche per i prodotti che richiedano l'uso di pile, in particolare di quelle a base di mercurio.

4.9   Allegato V — Avvertenze

A parere del CESE dovranno esservi avvertenze speciali, destinate a bambini con disabilità fisiche e mentali, relative alle loro specifiche condizioni, in modo che i genitori o coloro che se ne occupano possano conoscere preventivamente i rischi inerenti all'uso del giocattolo.

Per quanto riguarda l'utilizzazione dei giocattoli negli alimenti, il CESE ritiene che dovrà esistere un'indicazione specifica apposta in modo visibile e indelebile che segnali il fatto che l'alimento contiene un giocattolo, consentendo che questo sia visibile indipendentemente dalla forma in cui è imballato.

Bruxelles, 18 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  National Electronic Injury Surveillance System (NEISS), gestito dalla Consumer Product Safety Commission (CPSC) negli USA.

(2)  GU C 167 del 5.7.1986, pag. 1.

(3)  GU L 187 del 16.7.1988, pag. 1. Parere CES GU C 232 del 31.8.1987, pag. 22.

(4)  GU C 136 del 4.6.1985, pag. 1.

(5)  COM(1986) 541 def., GU C 282 dell'8.11.1986, pag. 4.

(6)  Parere CES 639/87, relatrice: Alma WILLIAMS (GU C 232 del 31.8.1987, pag. 22).

(7)  GU L 281 del 14.10.1988, pag. 55; GU L 37 del 9.2.1991, pag. 42.

(8)  GU L 220 del 30.8.1993, pag. 1; pareri CES GU C 14 del 20.1.1992, pag. 15 e GU C 129 del 10.5.1993, pag. 3.

(9)  GU C 297 del 9.12.2003, pag. 18.

(10)  Direttiva 92/59/CEE del 29 giugno 1992 (GU L 228 dell'11.8.1992, pag. 24) — parere CES (GU C 75 del 26.3.1990, pag. 1) e direttiva 2001/95/CE del 3 dicembre 2001 (GU L 11 del 15.1.2002, pag. 4); in merito alla proposta di quest'ultima direttiva (COM(2000) 139 def.) il CES ha adottato il parere CES 1008/2000 del 20 settembre 2000, relatrice: Alma WILLIAMS (GU C 367 del 20.12.2000, pag. 34). WILLIAMS era stata relatrice di un precedente parere d'iniziativa in materia, adottato dal CES l'8 dicembre 1999 (CES 1131/1999 — GU C 51 del 23.2.2000, pag. 67).

(11)  Pacchetto di proposte COM(2007) 36, 37 e 53 def. del 14 febbraio 2007, oggetto del parere INT/352-353-354 del CESE (CESE 1693/2007 del 13 dicembre 2007, relatore: PEZZINI).

(12)  Cfr. per tutti il discorso del commissario Meglena KUNEVA del 12 settembre 2007 dinanzi al Parlamento europeo, i suoi interventi nelle riunioni con il vicepresidente esecutivo di Mattel International il 20 settembre 2007 e con una delegazione di fabbricanti di giocattoli che comprendeva la Hornby, la Lego e la Mattel il 9 aprile 2008 e la conferenza stampa del 22 novembre 2007. Cfr. anche la risoluzione del Parlamento europeo Doc. P6-TA (2007) 0412 del 26 settembre 2007.

(13)  Dati ripresi pubblicati nel sito della Commissione.

(14)  Direttiva 88/378/CEE del Consiglio del 3 maggio 1988 (GU L 187 del 16.7.1988, pag. 1). È importante notare che, contrariamente alla proposta all'esame, per quanto riguarda i prodotti cosmetici (COM(2008) 49 def./2 del 14 aprile 2008), la Commissione ha voluto giustamente sostituire lo strumento giuridico della direttiva con il regolamento. È inoltre opportuno aggiungere che la modifica del protocollo relativo alla sussidiarietà nel Trattato di riforma, con l'eliminazione della preferenza per le direttive sarà un altro argomento ancora a favore di questa soluzione in futuro.

(15)  Stando a tale relazione, nella sola estate 2007, sono stati ritirati dal mercato più di 18 milioni di giocattoli perché contenevano calamite e circa 2 milioni di giocattoli in quanto pitturati con tinte contenenti piombo.

(16)  Parere CESE 1693/2007 del 13 dicembre 2007, relatore: PEZZINI (INT/352/353/354), punto 5.2.11. Al successivo punto 5.2.12, il Comitato aggiunge, con manifesto interesse, quanto segue:

«Il modo migliore per rafforzare lo status ed il significato del marchio CE, come definito nella decisione del Consiglio 93/465/CEE, dovrebbe essere ricercato attraverso una riforma radicale del marchio stesso:

chiarire che non deve essere usato e considerato come un sistema di marcaggio o di etichettatura per il consumo, né una garanzia di qualità o di certificazione o di approvazione da parte di terzi indipendenti, ma solo come una dichiarazione di conformità e di documentazione tecnica, che il fabbricante o l'importatore sono tenuti a produrre, in conformità ai requisiti del prodotto, sotto la loro piena responsabilità, di fronte alle autorità ed al consumatore,

razionalizzare le diverse procedure di valutazione della conformità,

rafforzare la tutela giuridica del marchio CE, attraverso la sua registrazione come marchio collettivo, che permetta alle autorità pubbliche di intervenire rapidamente e di reprimere gli abusi, ma mantenere la possibilità di marchi nazionali aggiuntivi,

rafforzare i meccanismi di sorveglianza del mercato ed i controlli doganali di frontiera,

avviare, da parte dei produttori e dei consumatori, uno studio che esamini gli aspetti positivi e negativi di un eventuale codice di condotta volontario sull'efficacia delle proliferazioni dei marchi di qualità e di etichette europei e nazionali — volontari e non — ed i loro rapporti con il marchio CE».

(17)  COM(2007) 36, 37 e 53 def. del 14 febbraio 2007.

(18)  Parere citato alla nota 16, punti 5.2.7.1 e 5.2.9. Cfr. anche i pareri del CESE sulle misure politiche a favore delle PMI (INT/390), relatore: CAPPELLINI, e sui prodotti cosmetici (INT/424), relatore: KRAWCZYK.

(19)  Study on Safety and Liability Issues Relating to Toys (PE 393.523), a cura di AA Frank Alleweldt — Project Director; Anna Fielder — Lead Author; Geraint Howells — Legal Analist; Senda Kara, Kristen Schubert e Stephen Locke.

(20)  Cfr. a tale proposito, la sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 29 maggio 1997 (causa C-300/95), Raccolta della giurisprudenza 1997, pagina I-02649.

(21)  Risoluzione del Parlamento europeo del 19 settembre 2007 sui giocattoli pericolosi (Doc P6-TA (2007) 0412 del 26.9.2007).

(22)  COM(1999) 719 def. del 12 gennaio 2000.


31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/15


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Un mercato unico per l'Europa del XXI secolo

COM(2007) 724 def.

(2009/C 77/03)

La Commissione, in data 20 novembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Un mercato unico per l'Europa del XXI secolo

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 15 luglio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore CASSIDY e dai correlatori HENCKS e CAPPELLINI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 51 voti favorevoli, 2 voti contrari e 4 astensioni.

1.   Sintesi — conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE sottolinea l'importanza della strategia di Lisbona per mantenere i benefici del mercato unico e garantire il suo sviluppo e il suo consolidamento.

1.2

Un mercato unico efficiente, concorrenziale e favorevole all'innovazione è essenziale affinché l'Europa possa trarre i massimi benefici dalla globalizzazione salvaguardando nel contempo i suoi standard di protezione sociale. In tale contesto il CESE esprime preoccupazione per le recenti sentenze della Corte europea di giustizia in merito al distacco di lavoratori, e ne sta esaminando le ripercussioni sull'acquis comunitario in materia di politica sociale (1).

1.3

Il CESE sottolinea che per sviluppare il mercato unico è importante promuovere e mettere a frutto i risultati della ricerca scientifica e dell'innovazione, assistere i fornitori nazionali di tecnologia nella diffusione a livello europeo dei prodotti e delle tecnologie d'avanguardia e promuovere, diffondere e sfruttare a livello transnazionale i risultati della ricerca. Il mercato unico rappresenta uno strumento essenziale per la realizzazione dell'Agenda di Lisbona: esso ha l'obiettivo di favorire i consumatori e di stimolare la crescita economica e l'occupazione, sopprimendo progressivamente le barriere alla libera circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali. Malgrado sussistano ancora numerose barriere, il fatto che la maggiore integrazione abbia portato benefici è innegabile.

1.4

Il pacchetto di misure proposto dalla Commissione nel quadro del riesame del mercato unico rappresenta una buona base per il rilancio di quest'ultimo. Il suo successo, tuttavia, dipenderà in larga misura dalla capacità e dalla volontà di governi e parti sociali dei singoli paesi di assumersi le proprie responsabilità e di mettere a disposizione le risorse necessarie per trasformare i discorsi teorici in realtà.

1.5

Una delle sfide maggiori è l'applicazione corretta e uniforme della legislazione e delle norme in vigore: per migliorare la comprensione delle finalità della legislazione e per individuare soluzioni non normative è essenziale realizzare valutazioni di impatto, ridurre gli adempimenti amministrativi e i costi di adeguamento alla legislazione derivante dalla frammentazione fiscale del mercato interno e consultare in maniera più efficace le parti sociali e i soggetti interessati, in particolare le PMI.

1.6

Le piccole e medie imprese danno un contributo essenziale al funzionamento efficace del mercato unico. Nelle loro diverse forme, svolgono un ruolo importante soprattutto nel settore dei servizi e sono cruciali per il raggiungimento dei compromessi sociali su cui si fonda l'economia dell'UE. Sia lo Small Business Act che la Carta delle piccole e medie imprese ne riconoscono l'importanza nell'ambito dei processi di formazione delle politiche e delle istituzioni dell'Unione europea e degli Stati membri. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene però che vada prestata maggiore attenzione al ruolo delle PMI nella fase di attuazione delle politiche, con particolare riferimento al contributo da loro prestato alla realizzazione degli obiettivi delle politiche economiche, ambientali e sociali.

1.7

Il CESE sottolinea che il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione è un importante strumento di solidarietà, il quale fornirà un aiuto mirato per trovare un altro impiego ai lavoratori che perdono il posto a causa di mutamenti nell'andamento degli scambi mondiali. Il CESE si compiace del fatto che i dipendenti delle PMI saranno ammessi a beneficiare di tale strumento, ma si rammarica dell'esclusione dei lavoratori autonomi, i quali saranno esposti agli stessi mutamenti.

1.8

Il CESE invita la Commissione e gli Stati membri a garantire che siano stanziate risorse adeguate per migliorare l'applicazione delle norme del mercato unico. Bisogna inoltre sviluppare iniziative che consentano di realizzare sinergie tra la politica del mercato unico e le altre politiche che sono importanti per il buon funzionamento di quest'ultimo, in particolare la politica della concorrenza, quella sociale e quella ambientale.

1.9

La Commissione europea e gli Stati membri devono fare in modo che le nuove iniziative normative che dovrebbero contribuire al buon funzionamento del mercato unico prendano in considerazione sia l'impatto sulla competitività delle imprese europee che le ripercussioni sociali e ambientali. Per garantire alle imprese e ai consumatori coerenza e certezza giuridica e per evitare che le nuove iniziative si contraddicano a vicenda, bisognerebbe che tutte le nuove proposte, a livello sia europeo che nazionale, fossero sottoposte ad un «test di compatibilità con il mercato unico» (2) e valutate in base al loro impatto sociale.

1.10

Ai cittadini e alle imprese andrebbe garantito un accesso alla giustizia facile e a prezzi contenuti, che comprenda mezzi di ricorso e meccanismi di risoluzione delle controversie adeguati. A questo proposito, andrebbe migliorato lo sviluppo di strumenti extragiudiziali di risoluzione delle controversie.

1.11

Il CESE non può che approvare l'obiettivo della comunicazione sui SIG, del 20 novembre 2007, di «consolidare il quadro normativo UE applicabile ai servizi di interesse generale, compresi i servizi sociali e sanitari, fornendo soluzioni concrete per problemi concreti ove esistano» e combinando azioni settoriali e azioni incentrate su questioni precise.

1.12

Poiché il diritto primario dell'UE, cioè i Trattati, riconosce che i SIEG fanno complessivamente parte dei «valori comuni» dell'UE e che essi contribuiscono alla sua «coesione sociale e territoriale», è indispensabile coniugare iniziative settoriali (che tengano conto della specificità di ciascun settore) e problematiche trasversali.

1.13

Iscrivendo nel diritto primario la distinzione tra SIEG e SIG non economici, così come la necessità di far rispettare i principi comuni di funzionamento dei SIEG, il Protocollo dimostra quanto sia più che mai necessario procedere a un chiarimento dei concetti e dei regimi esistenti per non dipendere più da un approccio basato solo sui singoli casi legislativi o contenziosi.

1.14

Sebbene il Parlamento europeo abbia ripetutamente chiesto di garantire ai servizi sociali di interesse generale (SSIG) un'effettiva certezza giuridica, le proposte contenute nella comunicazione si limitano a fornire una serie di risposte alle «domande frequenti», certamente utili ma senza valore giuridico vincolante.

1.15

Il CESE propone quindi un approccio plurimo e progressivo che coniughi la dimensione settoriale a quella tematica, portando all'adozione di iniziative legislative quando risultino necessarie e/o ad adeguare tali principi e condizioni ai diversi settori interessati (approccio orizzontale a orientamento settoriale).

2.   Principali elementi delle comunicazioni della Commissione

2.1

Il pacchetto in esame propone un insieme di iniziative basate su cinque documenti di lavoro e due comunicazioni, dedicate rispettivamente ai SIG e alla dimensione sociale del mercato unico (3).

2.2

Il CESE ha elaborato pareri su tutti questi temi (4). Di recente ha adottato un parere d'iniziativa sulla dimensione esterna del mercato unico e attualmente ne ha in preparazione uno sulla sua dimensione sociale e ambientale (5).

3.   Osservazioni generali — Un'applicazione più efficace

3.1

Il CESE apprezza il fatto che il documento della Commissione in esame (COM(2007) 724 def.) insista sulla necessità di conferire maggiore potere ai consumatori e alle PMI per aiutarli a trarre vantaggio dal mercato unico e rispondere meglio alle loro aspettative e preoccupazioni. Giudica quindi positivo che la politica del mercato unico presti particolare attenzione ai settori collegati al consumo, come l'energia, le telecomunicazioni, i servizi finanziari al dettaglio e il commercio all'ingrosso e al dettaglio.

3.2

Il successo della futura politica del mercato unico dipende dalla capacità congiunta degli Stati membri e della Commissione di migliorarne il funzionamento. Il mercato unico è non solo opus in fieri, ma anche un settore in cui l'UE e gli Stati membri esercitano competenze concorrenti. Occorre una maggiore adesione da parte degli Stati membri, che spesso non si fanno carico delle loro responsabilità nella gestione del mercato unico e creano così nuovi ostacoli che vanno a intaccare la fiducia che i cittadini dovrebbero avere nei suoi confronti. Andrebbe inoltre riconosciuto maggiormente l'importante ruolo di sostegno al mercato unico svolto dalle parti sociali.

3.2.1

La Commissione intende dare maggiore priorità a una corretta applicazione delle norme: occorre infatti predisporre strumenti che garantiscano una maggiore efficacia pratica della legislazione. Per facilitare l'applicazione delle norme sono fondamentali un recepimento corretto e puntuale della legislazione comunitaria e la semplificazione amministrativa. Il corretto recepimento della direttiva sui servizi è particolarmente importante per conseguire gli obiettivi di crescita e occupazione che questa si prefigge.

3.3

Fornire soluzioni semplici e rapide ai problemi incontrati dai cittadini e dalle imprese nel mercato unico dovrebbe rimanere una priorità. Uno strumento particolarmente utile è la rete Solvit, ma purtroppo è poco usata per scarsa conoscenza del suo funzionamento e della sua utilità e per mancanza di risorse adeguate, soprattutto a livello nazionale. Il CESE raccomanda quindi vivamente di adottare ogni iniziativa che possa porre rimedio alla situazione, comprese quelle volte a garantire che i centri Solvit siano dotati di risorse sufficienti — sia umane che finanziarie — e ad ampliarne il campo d'azione.

3.4

Il CESE appoggia l'intenzione della Commissione di semplificare e accelerare i procedimenti per infrazione, dando priorità ai casi che presentano maggiori rischi e assumono un rilievo economico senza tuttavia compromettere l'efficacia dei deterrenti attuali.

3.5

Molto rimane ancora da fare nel settore della sorveglianza del mercato dei prodotti locali e importati: dovranno intervenire non solo la Commissione ma anche le autorità degli Stati membri.

3.6

Il CESE auspica che la Commissione dia maggiore risalto all'assistenza alle PMI, collegando la politica in materia agli obiettivi sociali ed ambientali dell'UE, e che essa giunga ad abolire tutte le barriere nazionali non tariffarie, comprese le barriere alla libera circolazione dei capitali e dei lavoratori (6).

3.7

Più in generale, è tuttora essenziale che la Commissione continui a svolgere un ruolo di primo piano in quanto custode dei Trattati ed eserciti il suo diritto di iniziativa per consentire il buon funzionamento del mercato unico.

3.8

Il CESE ritiene importante proseguire gli sforzi volti a ridurre ulteriormente i costi dovuti alla frammentazione fiscale del mercato unico mediante l'adozione di disposizioni comunitarie in materia, che favoriranno lo sviluppo di attività transfrontaliere e consolideranno il mercato interno.

4.   Il miglioramento normativo

4.1

Il CESE condivide l'obiettivo di garantire un più largo coinvolgimento nella formazione delle politiche e l'intenzione di ampliare la partecipazione delle parti interessate. A questo fine, è fondamentale realizzare sistematicamente valutazioni di impatto.

4.2

Nella preparazione di tali valutazioni è essenziale consultare le parti interessate rappresentative. Le valutazioni dovrebbero essere attentamente esaminate da un corpo di esperti esterni e indipendenti comprendente anche gruppi di utenti finali della legislazione.

4.3

Bisogna inoltre garantire la riduzione degli adempimenti amministrativi a carico delle imprese senza tuttavia compromettere il conseguimento di risultati per la società.

4.4

Per assicurare coerenza e certezza giuridica alle imprese e ai consumatori ed evitare che le nuove iniziative generino nuove barriere, occorrerebbe sottoporre le nuove proposte, a livello sia europeo che nazionale, a un «test di compatibilità con il mercato unico» integrato da una valutazione delle conseguenze sociali e ambientali (7). L'esistenza di testi giuridici poco chiari, spesso attuati e interpretati in modo diverso, genera contraddizioni nell'ambito del diritto comunitario.

4.5

È di fondamentale importanza disporre di informazioni e dati migliori sull'applicazione pratica delle norme del mercato unico. La Commissione dovrebbe dimostrare maggiore apertura nel rivelare i dati relativi agli Stati membri che non adempiono i loro obblighi e nell'aiutare le parti sociali degli Stati membri rendendo l'elaborazione delle relazioni nazionali più coerente e trasparente.

5.   La dimensione esterna del mercato unico (8)

5.1

Il CESE conviene con la Commissione nel ritenere che la globalizzazione sia una potente fonte di dinamismo e competitività e che il mercato unico sia una carta vincente da sfruttare per superare le sfide della globalizzazione.

5.2

La liberalizzazione degli scambi commerciali è giustamente considerata il primo pilastro della strategia comunitaria in questo settore: il successo dell'UE verrà valutato in base all'esito finale del ciclo di Doha e al completamento degli ampi negoziati in corso, avviati nel quadro della strategia per un'Europa globale, per la conclusione di accordi di libero scambio.

5.3

Le questioni legate alle norme giuridiche e tecniche svolgono un ruolo sempre più determinante ai fini della capacità delle imprese di svolgere attività internazionale. Gli organismi europei di normazione, quali il CEN, il Cenelec e l'ETSI, in collaborazione con organismi consultivi come la Normapme (9), dovrebbero garantire che le norme tecniche siano accessibili a tutte le imprese, e specialmente alle piccole imprese, in tutta l'UE e anche nei paesi in via di sviluppo.

5.4

La Commissione sottolinea a ragione la necessità di migliorare la cooperazione, l'equivalenza e la convergenza internazionale sul piano normativo. L'obiettivo a lungo termine dovrebbe essere l'accettazione generalizzata di un'unica norma sottoposta a un unico esame.

5.5

Le normative comunitarie devono contribuire a mantenere la competitività. L'imposizione di adempimenti troppo gravosi alle imprese europee non sarà compensata da un'accettazione internazionale delle norme UE. La cooperazione normativa con i paesi partner non porterà frutti senza uno spirito di innovazione e di apertura verso altri approcci.

5.6

Il CESE giudica incoraggiante l'impegno alla valutazione comparativa delle normative comunitarie rispetto alle migliori pratiche internazionali, in particolare quelle dei maggiori partner commerciali dell'UE. La valutazione comparativa dovrebbe essere inserita sistematicamente nelle valutazioni d'impatto comunitarie e l'UE dovrebbe essere aperta alla cooperazione normativa con i suoi maggiori partner. Dovrebbe inoltre accettare ufficialmente le norme internazionalmente riconosciute per la valutazione di conformità.

5.7

Andrebbero incoraggiate le iniziative dell'UE per assumere la leadership a livello mondiale nella definizione delle regole e nello sviluppo di norme tecniche internazionali di qualità basate su dati scientifici per i prodotti industriali e alimentari. Le norme tecniche comuni dovrebbero essere accompagnate da obiettivi normativi comuni. Il CESE raccomanda pertanto alle autorità di regolamentazione internazionali di privilegiare accordi bilaterali e la formazione di reti.

5.8

L'UE dovrebbe continuare a sostenere il libero scambio, assicurando nel contempo un adeguato grado di sorveglianza del mercato per prevenire l'importazione di prodotti non conformi alle norme di sicurezza. La Commissione dovrebbe tuttavia garantire che non vi sia abuso protezionistico di queste misure e dei sistemi emergenti di norme tecniche private (10).

6.   La dimensione sociale del mercato unico

6.1

Il CESE concorda nel ritenere che la dimensione sociale contribuirà a migliorare il funzionamento del mercato unico, in linea con la strategia per la crescita e l'occupazione e grazie alla grande importanza che questa attribuisce alla salute economica delle PMI.

6.2

Dato che l'integrazione nel mercato del lavoro rappresenta la migliore garanzia contro l'esclusione sociale, la Commissione deve incentrare il suo piano a favore delle opportunità, dell'accesso e della solidarietà su un migliore sfruttamento del potenziale europeo di forza lavoro nell'ambito di società in rapida trasformazione. Essa deve operare di concerto con le parti sociali per fare in modo che ciò si applichi particolarmente alle categorie vulnerabili, ai gruppi di immigrati e alle minoranze.

6.3

Per rispondere alle sfide della globalizzazione, cioè sviluppo tecnologico e trasformazione delle realtà sociali e ambientali, occorre orientare le politiche verso il conseguimento di obiettivi sociali tramite l'incremento dei tassi d'occupazione e la creazione delle condizioni quadro per un netto aumento della produttività.

6.4

Il CESE ha sottolineato in un suo parere (11) l'importanza di integrare la «flessicurezza» in tutte le politiche dell'UE (12). Le PMI e, in particolare, i lavoratori autonomi rivestono un ruolo essenziale per il funzionamento efficace di mercati del lavoro flessibili. A questo fine, è necessaria una migliore comprensione del ruolo delle PMI nell'attuazione della politica sociale.

7.   Un mercato unico trainato dall'innovazione

7.1

Il CESE sottolinea che per sviluppare il mercato unico è importante promuovere e mettere a frutto i risultati della ricerca scientifica e dell'innovazione, assistere i fornitori nazionali di tecnologia nella diffusione a livello europeo dei prodotti e delle tecnologie d'avanguardia e promuovere, diffondere e sfruttare a livello transnazionale i risultati della ricerca. La qualità del mercato unico può incidere fortemente sulla capacità di innovazione dell'Europa. Occorre coordinare gli sforzi in materia di R&S a livello europeo tra i cluster di PMI, le grandi imprese, gli istituti di ricerca, le università e il nuovo Istituto europeo di innovazione e tecnologia.

7.2

Ai fini della capacità di innovazione dell'Europa è fondamentale progredire verso un sistema brevettuale più competitivo in termini di costi e certezza giuridica. A tal fine occorre tra l'altro proseguire lo sviluppo di una giurisdizione brevettuale comune europea, in grado di garantire a tutte le imprese un massimo di qualità, efficacia rispetto ai costi ed affidabilità, nonché un brevetto comunitario che risponda anch'esso a tali requisiti, a beneficio in particolare delle PMI. Occorre inoltre tutelare attivamente i diritti di proprietà intellettuale mediante misure europee e internazionali volte a contrastare efficacemente la piaga sempre più grave della contraffazione e della pirateria.

7.3

L'innovazione nella gestione della politica sociale dovrebbe investire tutta la gamma delle organizzazioni dell'economia sociale (ad esempio, le cooperative) che, data un'adeguata vigilanza delle autorità di regolamentazione, sono in grado di avvicinare la fornitura dei servizi alle comunità di utenti.

7.4

La nuova politica del mercato unico dovrà svolgere un ruolo chiave nella costruzione di un'economia mondiale sostenibile sotto il profilo dell'ambiente.

8.   Politica di tutela dei consumatori

8.1

Per un mercato unico efficace è importante una politica dei consumatori equilibrata. Il CESE ritiene che i consumatori siano cruciali per la nuova visione della Commissione di un mercato unico realmente includente. Si dovrebbe quindi prestare maggiore attenzione alle esperienze dei consumatori sul mercato, per esempio realizzando valutazioni d'impatto o includendo gli interessi dei consumatori nell'Agenda di Lisbona.

8.2

L'accento va posto su un mercato comune che sia vantaggioso sia per le imprese che per i consumatori e sul ruolo che può svolgere il settore dei servizi nel sistema economico accrescendo la qualità e la fiducia dei consumatori. Questi ultimi dovrebbero effettivamente poter accedere ai beni e ai servizi offerti in tutta l'UE, mentre le imprese dovrebbero essere in grado di offrire i loro beni e servizi in tutta l'UE con la stessa facilità che sul mercato nazionale. L'armonizzazione, abbinata al riconoscimento reciproco, fornisce una base idonea per creare tale situazione vantaggiosa per tutti (13).

9.   Comunicazione Un mercato unico per l'Europa del XXI secolo — I servizi di interesse generale, compresi i servizi sociali di interesse generale: un nuovo impegno europeo  (14)

9.1

In molti dei suoi pareri (15), il CESE ha espresso preoccupazione per la persistente mancanza di certezza giuridica in merito ai SIG.

9.2

La comunicazione sui SIG sottolinea il ruolo dello speciale Protocollo sui servizi di interesse generale allegato al Trattato di Lisbona (protocollo SIG), che secondo la Commissione ha lo scopo di creare un quadro di riferimento coerente per l'azione comunitaria fornendo al tempo stesso una solida base per la definizione dei servizi di interesse generale (16).

9.3

La comunicazione, invece, accenna solo brevemente al nuovo articolo 16 del Trattato di Lisbona, senza svilupparne le implicazioni. Tale articolo introduce in realtà una nuova base giuridica per i SIEG, affidando al Consiglio e al Parlamento il compito di stabilire, mediante regolamenti e secondo la procedura legislativa ordinaria, i principi e le condizioni, in particolare economiche e finanziarie, che permetteranno ai SIEG di assolvere i loro compiti.

9.4

L'effettiva attuazione del principio per cui deve prevalere il corretto assolvimento dei compiti dei SIEG, che sarà resa possibile dal nuovo articolo 16 del Trattato di Lisbona, permetterà di ricorrere con meno frequenza all'arbitraggio della Corte di giustizia.

9.5

Il Trattato di Lisbona contiene numerose innovazioni, nella fattispecie l'articolo 16 di cui sopra e un riferimento ai SIG in genere e ai SIG di carattere non economico. Esso contribuisce a riportare la questione dei servizi di interesse generale nel campo d'azione dell'UE, in linea con il principio di sussidiarietà.

9.6

Per il CESE, il nuovo Trattato di Lisbona (in particolare l'articolo 16 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e il Protocollo SIG) è solo il punto di partenza di un nuovo approccio tendente a una maggiore certezza giuridica e a una regolamentazione più coerente dei regimi nazionali e comunitari in materia di SIG.

9.7

Il Protocollo SIG costituisce un manuale per l'applicazione delle norme in materia di SIG, che siano di tipo economico o non economico. Esso non risolve tuttavia il problema della distinzione tra queste due categorie.

9.8

Iscrivendo nel diritto primario la distinzione tra SIEG e SIG non economici, così come la necessità di far rispettare i principi comuni di funzionamento dei SIEG, il Protocollo dimostra quanto sia più che mai necessario procedere a un chiarimento dei concetti e dei regimi esistenti per offrire certezza giuridica sia alle imprese e agli organismi incaricati della gestione dei servizi, sia ai loro principali beneficiari.

9.9

La comunicazione sui SIG propone di «consolidare il quadro normativo UE applicabile ai servizi di interesse generale, compresi i servizi sociali e sanitari, fornendo soluzioni concrete per problemi concreti ove esistano» e combinando azioni settoriali e azioni incentrate su questioni precise.

9.10

Nel far ciò bisognerà evidentemente tener conto delle specificità di ciascuno dei settori interessati. Dato però che il diritto primario riconosce che i SIEG fanno complessivamente parte dei «valori comuni» dell'UE e che essi contribuiscono alla sua «coesione sociale e territoriale», è indispensabile coniugare iniziative settoriali (che tengano conto della specificità di ciascun settore) e problematiche trasversali.

9.11

Il CESE propone quindi un approccio plurimo e progressivo che coniughi la dimensione settoriale a quella tematica, portando all'adozione di iniziative legislative quando risultino necessarie e/o ad adeguare i principi e le condizioni in oggetto ai diversi settori interessati (approccio orizzontale a orientamento settoriale).

10.   La situazione specifica dei servizi sociali di interesse generale

10.1

Il CESE sottolinea l'importanza della strategia di Lisbona per mantenere i benefici del mercato unico e garantire il suo sviluppo e il suo consolidamento.

10.2

La Commissione ha introdotto il concetto di servizi sociali di interesse generale (SSIG) e lo ha sviluppato nel Libro bianco sui servizi di interesse generale, in due comunicazioni (17) e in un documento di lavoro interno (18).

10.3

La comunicazione non propone una definizione dei SSIG e li distingue in due grandi gruppi: da un lato, i regimi legali e complementari di sicurezza sociale e, dall'altro, «altri servizi prestati direttamente alla persona».

10.4

La prudenza della Commissione dimostra chiaramente quanto sia difficile definire i SSIG a causa dell'estrema specificità e varietà dei loro compiti, profondamente ancorati nelle preferenze collettive nazionali se non locali.

10.5

Nel 2003, nel corso della consultazione relativa al Libro verde sui servizi di interesse generale, i soggetti del settore dei SSIG (enti pubblici locali, operatori, rappresentanti degli utenti) hanno abbondantemente segnalato un sentimento di crescente incertezza giuridica rispetto alle normative comunitarie a loro applicabili, date le loro specificità in particolare per quanto riguarda l'affidamento. Hanno sottolineato che si trovavano in una «zona grigia» pregiudizievole all'assolvimento dei loro compiti. Ciò, allo stesso tempo, ha spinto:

la Commissione a intraprendere uno specifico processo di riflessione (comunicazione, studi, ecc.),

il legislatore a escludere in gran parte i SSIG dal campo d'applicazione della direttiva sui servizi (19),

il Parlamento europeo a chiedere in due occasioni maggiore certezza giuridica (20).

10.6

La Commissione, tuttavia, non adotta questo approccio, che è in evidente contraddizione con l'approccio settoriale da essa privilegiato, e conta di limitare le sue proposte a una serie di risposte alle «domande frequenti» e a un servizio di informazione interattivo, certamente utili ma senza valore giuridico vincolante.

10.7

Per rispondere alla domanda di certezza giuridica, ai sensi tra l'altro dell'articolo 16 del Trattato sul funzionamento dell'UE, che dischiude nuove prospettive per quanto riguarda il posto e il ruolo dei SIEG nell'Unione europea, SSIG compresi, occorre portare avanti il lavoro di chiarimento dei concetti e dei regimi comunitari applicabili alle attività di servizio pubblico.

11.   La comunicazione Opportunità, accesso e solidarietà: verso una nuova visione sociale per l'Europa del XXI secolo

11.1

Il CESE accoglie con favore gli obiettivi enunciati nella comunicazione Opportunità, accesso e solidarietà: verso una nuova visione sociale per l'Europa del XXI secolo  (21), una comunicazione che è rivolta ai cittadini, alla società civile e alle imprese dell'UE, comprese le PMI, e si fonda su strumenti europei fondamentali come il mercato unico, la strategia di Lisbona per la crescita e l'occupazione e la strategia in materia di sviluppo sostenibile.

11.2

Le trasformazioni attualmente in corso nelle società europee (tra queste: il passaggio all'Europa a 27 con 500 milioni di cittadini, i cambiamenti demografici, la globalizzazione, i progressi tecnologici e lo sviluppo economico) possono portare nuove opportunità di lavoro e nuove abilità, ma l'adattamento ai cambiamenti comporta sempre un rischio di disoccupazione e di esclusione.

11.3

Il CESE sostiene l'idea che l'UE debba svolgere un ruolo più incisivo nel facilitare, anticipare e incoraggiare tali trasformazioni strutturali promovendo nel contempo i valori europei a livello mondiale. La comunicazione delinea una nuova visione sociale per l'Europa del XXI secolo, imperniata sulle «opportunità di successo», ed è intesa a completare il processo di consultazione che aveva come scadenza il 15 febbraio 2008. Nel dibattito sulle trasformazioni sociali e sul concetto di realtà sociale europea è stato coinvolto, tra gli altri, anche l'Ufficio dei consiglieri per le politiche europee (BEPA), insieme agli Stati membri e alle istituzioni europee. Il CESE accoglie positivamente l'obiettivo che consiste nel garantire che le conclusioni finali di tale dibattito contribuiscano alla preparazione dell'agenda sociale rinnovata, che dovrà essere presentata nel 2008 e tener conto del nuovo quadro istituzionale definito dal Trattato di Lisbona.

11.4   Ipotesi e osservazioni generali

11.4.1   Realtà sociali in trasformazione

Tutti gli Stati membri stanno vivendo trasformazioni rapide e profonde. In particolare, gli europei manifestano ansia e preoccupazione per le generazioni future (cfr. anche i precedenti pareri e iniziative del CESE, il documento del BEPA, contenente una panoramica dettagliata delle tendenze sociali in atto, e la relazione della Commissione sulla situazione sociale per il 2007).

11.4.2   Una visione sociale per l'Europa imperniata sulle «opportunità di successo»: promuovere il benessere attraverso le opportunità, l'accesso e la solidarietà

«Opportunità — per avviarsi nella vita con buone premesse, realizzare il proprio potenziale e sfruttare al meglio le possibilità offerte da un'Europa innovativa, aperta e moderna.

Accesso — metodi nuovi e più efficaci per accedere all'istruzione, avanzare nel mercato dell'occupazione, beneficiare di un'assistenza sanitaria e di una protezione sociale di qualità e partecipare alla vita culturale e sociale.

Solidarietà — promuovere la coesione sociale e la sostenibilità del modello sociale e garantire che nessuno venga escluso.»

11.4.2.1

Il CESE concorda con la Commissione nel ritenere che non vi sia una soluzione unica valida per tutta l'Europa e che le sfide comuni richiedano un'azione congiunta sostenuta da una cittadinanza attiva.

11.4.2.2

Per conseguire una crescita sostenuta e ridurre il rischio di défaillance del sistema di protezione sociale, è fondamentale combattere l'esclusione sociale e migliorare le condizioni di vita creando opportunità per i singoli cittadini. La fiducia e la speranza sono fondamentali per il progresso, la modernizzazione e la disponibilità al cambiamento.

11.4.3   Principali aree di intervento

Per conseguire gli obiettivi di «opportunità, accesso e solidarietà», l'UE deve investire:

1)

nei giovani: le nuove trasformazioni sociali e la nuova economia basata sull'innovazione e la tecnologia richiedono maggiore impegno in termini di istruzione e di competenze; investire nei giovani significa esercitare un impatto positivo sia sullo sviluppo economico che sulla coesione sociale. L'agenda di Lisbona ha posto l'istruzione al centro del sistema sociale ed economico europeo, trasformando la conoscenza in un fattore di competitività per l'Europa nel contesto globale;

2)

nell'obiettivo di rendere i percorsi professionali gratificanti: per un'economia e un mercato del lavoro dinamici occorrono norme flessibili e standard sociali elevati (cfr. «flessicurezza»);

3)

nella longevità e nella salute: l'allungamento dell'aspettativa di vita costituisce un peso per i sistemi di previdenza sociale, ma crea anche nuove opportunità economiche in termini di nuovi servizi, beni e tecnologie. L'UE dovrebbe promuovere nuove politiche sociali che consentano di sfruttare queste opportunità e di rimediare alle carenze degli attuali sistemi di protezione sociale;

4)

nella parità tra i sessi: i nuovi modelli economici inducono nuovi schemi sociali. Ad esempio, le politiche del lavoro dovrebbero adeguarsi coerentemente ai nuovi requisiti della parità tra i sessi. Alcune delle proposte della Commissione affrontano le questioni del divario retributivo, del regime fiscale e delle pratiche favorevoli alla famiglia sul luogo di lavoro;

5)

nel coinvolgimento attivo e nella non discriminazione: le recenti tornate di allargamento hanno rivelato profonde disparità economiche e sociali tra Stati membri e tra regioni. La Commissione mira a promuovere una nuova politica di coesione basata sull'accettazione della diversità, sull'inclusione attiva, sulla promozione dell'uguaglianza e sull'eliminazione delle discriminazioni;

6)

nella mobilità e nel successo dell'integrazione: il mercato unico ha portato ad un aumento della mobilità dei cittadini che ha avuto ripercussioni anche per le PMI. Ciò rende quindi necessari nuovi approcci su scala europea basati sull'integrazione;

7)

nella partecipazione civica, nella cultura e nel dialogo: questi aspetti svolgono un ruolo importante nella coesione sociale, coinvolgendo nel contempo risorse economiche collegate all'innovazione e allo sviluppo tecnologico.

11.4.4   Il ruolo dell'UE

11.4.4.1

Il CESE sottolinea il fatto che, benché le politiche elencate siano principalmente di competenza degli Stati membri, l'UE e le parti sociali svolgono un ruolo importante nel guidare e sostenere le azioni e le riforme correlate. L'acquis comunitario è uno strumento essenziale in particolare per quanto riguarda l'allargamento e le politiche di coesione, il Trattato di Lisbona e la Carta dei diritti fondamentali.

11.4.4.2

Il CESE è favorevole alle cinque strategie seguenti, enunciate nella comunicazione:

predisporre quadri strategici d'intervento: l'UE ha già definito obiettivi comuni volti ad armonizzare gli interventi degli Stati membri nei settori della Strategia europea per l'occupazione, dell'Agenda di Lisbona e delle politiche sociali. Ora dovrà concentrarsi sul raggiungimento di tali obiettivi e sul tentativo di rendere operativi i principi comuni,

sostenere i valori dell'Europa e garantire pari condizioni: il quadro giuridico europeo svolge un ruolo fondamentale nell'orientare le politiche nazionali verso obiettivi comuni,

condividere le esperienze e le buone pratiche: il CESE condivide l'idea della Commissione secondo cui le migliori pratiche, lo scambio di esperienze, le valutazioni comuni e le valutazioni inter pares delle innovazioni sociali devono entrare a far parte del grande dibattito sulle politiche nazionali ed europee, nel quale dovrebbero essere attivamente coinvolte anche le istituzioni nazionali, regionali e locali, le parti sociali e le ONG,

sostenere l'azione a livello locale, regionale e nazionale: le politiche comunitarie di coesione e i fondi strutturali hanno contribuito a ridurre le differenze di prosperità e di tenore di vita nell'ambito dell'UE. Negli ultimi anni tali strumenti sono stati associati più strettamente alle priorità strategiche di «crescita e occupazione» dell'Unione (per il periodo 2007-2013 il Fondo sociale europeo ha stanziato 75 miliardi di euro per dotare i lavoratori di nuove competenze e incoraggiare le imprese innovative). Il CESE sottolinea che il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione è un importante strumento di solidarietà: esso dovrebbe consentire di prendere misure concrete per attenuare l'impatto della globalizzazione sui gruppi più vulnerabili e sulle imprese, comprese le PMI. È quindi fondamentale partecipare al dibattito sul bilancio dell'UE dopo il 2013, in modo da integrarvi i risultati della consultazione sociale,

sensibilizzare l'opinione pubblica e creare una solida base di conoscenze: il CESE accoglie positivamente iniziative come gli Anni europei delle pari opportunità per tutti (2007), del dialogo interculturale (2008) e della lotta contro la povertà e l'esclusione sociale (2010). Le fondazioni e agenzie esistenti — la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, la neoistituita Agenzia europea dei diritti fondamentali e l'Istituto europeo per la parità — contribuiranno sempre più a informare i responsabili del processo decisionale, a sensibilizzare l'opinione pubblica e a promuovere una consultazione sistematica (e non soltanto elettronica). A questo processo dovrebbero essere associati anche il CESE, gruppi di esperti indipendenti, organizzazioni di rappresentanza e istituti di ricerca a livello europeo/nazionale. Il CESE esorta a coinvolgere maggiormente tutte le parti interessate nell'opera di sensibilizzazione e di miglioramento della qualità dei risultati relativi a problematiche sociali (offerta di dati, statistiche, indicatori comuni e sistemi di monitoraggio affidabili, ecc.).

Bruxelles, 18 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  INT/416, R/CESE 1120/2008.

(2)  Come richiesto dal Parlamento europeo nella risoluzione del 4 settembre 2007 sulla revisione del mercato unico: superare gli ostacoli e le inefficienze attraverso una migliore attuazione e applicazione (2007/2024 INI).

(3)  Il «pacchetto» della Commissione del 20 novembre 2007 è composto dalla comunicazione Un mercato unico per l'Europa del XXI secolo (COM(2007) 734 def.), che stabilisce una serie di iniziative destinate a riposizionare il mercato unico, e da cinque documenti di lavoro intitolati:

The single market: review of achievements (SEC(2007) 1521)

Instruments for a modernised single market policy (SEC(2007) 1518)

Implementing the new methodology for product, market and sector monitoring: Results of a first sector screening (SEC(2007) 1517)

The external dimension of the single market review (SEC(2007) 1519)

Initiatives in the area of retail financial services (SEC(2007) 1520).

Esistono altre due comunicazioni intitolate:

Servizi d'interesse generale, compresi i servizi sociali d'interesse generale: un nuovo impegno europeo (COM(2007) 725 def.) accompagnata da diversi documenti di lavoro (SEC(2007) 1514, SEC(2007) 1515 e SEC(2007) 1516),

Opportunità, accesso e solidarietà: verso una nuova visione sociale per l'Europa del XXI secolo (COM(2007) 726 def.).

(4)  CESE 267/2008 (GU C 162 del 25.6.2008); CESE 1262/2007 (GU C 10 del 15.2.2008), CESE 62/2008 (GU C 151 del 17.6.2008).

(5)  CESE 481/2008 (GU C 204 del 9.8.2008) e INT/416, R/CESE 1120/2008.

(6)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Piccole e medie imprese, essenziali per conseguire una maggiore crescita e rafforzare l'occupazione — Valutazione intermedia della politica moderna a favore delle PMI, COM(2007) 592 def., accessibile alla pagina

http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:52007DC0592:IT:NOT

(7)  Cfr. il parere CESE 794/2007.

(8)  CESE 481/2008 (GU C 204 del 9.8.2008).

(9)  Organizzazione europea dell'artigianato e delle piccole e medie imprese per la standardizzazione.

(10)  Relazione dell'OMC sul commercio mondiale 2005 Exploring the Links between Trade, Standards and the WTO, consultabile alla pagina

http://www.wto.org/english/res_e/booksp_e/anrep_e/world_trade_report05_e.pdf

(11)  CESE 767/2008 (SOC/283), COM(2007) 359 def.: Verso principi comuni di flessicurezza: Posti di lavoro più numerosi e migliori grazie alla flessibilità e alla sicurezza.

(12)  CESE 999/2007 (GU C 256 del 27.10.2007).

(13)  Cfr. conclusioni del Consiglio europeo del 13-14 marzo 2008.

(14)  COM(2007) 725 def.

(15)  CESE 427/2007 (GU C 161 del 13.7.2007), CESE 976/2006 (GU C 309 del 16.12.2006), CESE 121/2005 (GU C 221 dell'8.9.2005) e CESE 1125/2003 (GU C 80 del 30.3.2004).

(16)  COM(2007) 725 def. del 20 novembre 2007, riquadro 3, pag. 10.

(17)  Comunicazione della Commissione Attuazione del programma comunitario di Lisbona:i servizi sociali d'interesse generale nell'Unione europea (COM(2006) 177 def. del 26 aprile 2006) e I servizi di interesse generale, compresi i servizi sociali di interesse generale: un nuovo impegno europeo (COM(2007) 725 def. del 20 novembre 2007).

(18)  Frequently Asked Questions concerning the Application of Public Procurement Rules to Social Services of General Interest (SEC(2007) 1514 del 20 novembre 2007).

(19)  Cfr. l'articolo 2, paragrafo 1 e paragrafo 2, lettera j) della direttiva sui servizi.

(20)  Relazione Rapkay del 14 settembre 2006 e relazioni Hasse Ferreira e Toubon del 2007.

(21)  COM(2007) 726 def.


31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/23


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Iniziativa europea per lo sviluppo del microcredito a sostegno della crescita e dell'occupazione

COM(2007) 708 def./2

(2009/C 77/04)

La Commissione europea, in data 13 novembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Iniziativa europea per lo sviluppo del microcredito a sostegno della crescita e dell'occupazione

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 15 luglio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore PEZZINI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere all'unanimità.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato accoglie con favore le iniziative della Commissione volte a dare un più forte sostegno alla creazione e alla crescita della microimpresa, nonché al rafforzamento e allo stimolo dello spirito imprenditoriale per allargare la base produttiva e occupazionale della Comunità, in un'ottica di maggiore competitività, di maggiore coesione e di migliore qualificazione dell'economia della conoscenza, secondo gli obiettivi della rinnovata agenda della strategia di Lisbona.

1.2

Il Comitato mentre plaude all'iniziativa tesa a creare una nuova struttura comunitaria di sostegno al microcredito, ritiene però insufficiente una semplice azione di stimolo rivolta agli Stati membri, dato che il settore non bancario, escluso dalle direttive bancarie CE, presenta un'insufficiente base normativa in molti Stati membri e una difformità di disposizioni di base.

1.3

Un'azione pilota per microinvestimenti, socialmente responsabili, che accomuni istituti di microcredito bancari e non bancari in un sistema a rete europeo — attraverso la realizzazione di Memorandum of Understanding for Socially Responsible Investments, con i singoli istituti ed il supporto delle associazioni di categoria, — dovrebbe mirare prioritariamente, a parere del Comitato, ai soggetti «con deboli possibilità di credito bancario»:

per lo sviluppo di progetti di lavoro vero, produttivo e dignitoso,

per il potenziamento e l'allargamento della base produttiva, cooperativa ed occupazionale,

per la riattivazione delle capacità di empowerment dell'individuo, con la costruzione di percorsi di avvicinamento, accompagnamento e valorizzazione delle persone a rischio di esclusione produttiva, economica e sociale.

1.4

Il Comitato è convinto che l'applicazione delle nuove tecnologie in modo innovativo al microcredito sia in grado di incrementare, con un sistema a rete, il raggio di azione della microfinanza, aumentare la concorrenza, e ridurre così i costi per gli utenti.

1.5

Il Comitato ritiene, altresì, che un'azione di sostegno al microcredito debba essere accompagnata da un'azione di crediti formativi, per facilitarne lo sviluppo e il successo sul mercato, per evitare esclusioni sociali e per realizzare sempre meglio gli obiettivi indicati dalla strategia di Lisbona.

1.6

Pur condividendo che i cambiamenti per quanto riguarda il quadro istituzionale e giuridico a sostegno del microcredito rivestano prevalentemente il livello degli Stati membri e che siano attuati attraverso i meccanismi del ciclo annuale di governance del processo di Lisbona, il Comitato ritiene che sia indispensabile potenziare il sistema di riferimento europeo, in particolare per:

la realizzazione di una rete di accordi sugli investimenti socialmente responsabili (MOU), tra il creando Fondo europeo per il microcredito e i singoli istituti di microcredito sul territorio, affinché il sistema a rete di microcredito sia basato su standard compatibili di solidità, di solvibilità, di diversificazione del portafoglio (1), di trasparenza e di lotta all'usura,

la predisposizione di un sistema comunitario di rating degli istituti MFI sia bancari che non bancari, per migliorarne la qualità, l'affidabilità e la disponibilità di informazioni sui rischi e le performance, con l'adozione di format comuni che permettano il dialogo e lo scambio di buone prassi e allo stesso tempo consentano l'attribuzione, su base temporanea, di un marchio europeo MCI di qualità e visibilità per attrarre fondi e aumentare la fiducia dei potenziali percettori,

l'attivazione di strumenti comunitari di informazione e formazione degli interessati agli interventi di microcredito sia sulle possibilità e modalità d'intervento che sulle esigenze e modalità di predisposizione di business plan progettuali — in base a format semplificati e armonizzati — da parte dei potenziali percettori,

la predisposizione di strumenti comunitari di formazione permanente e di capacity building per i quadri direttivi e gli operatori degli istituti MFI, in base a pacchetti di know-how tecnici comuni, per rispondere ai cambiamenti della microfinanza, alle nuove esigenze dell'utenza, alla necessità di basi comuni che facilitino il dialogo e lo scambio di buone prassi in una dimensione europea,

la creazione di un sistema europeo a network di banche dati sulla base di criteri armonizzati che permetta la raccolta e l'elaborazione di dati standardizzati sulle transazioni effettuate e sui rischi connessi, anche per ridurre i costi di risk assessment inerenti alle singole operazioni di microcredito.

1.7

Per quanto concerne la proposta di un'apposita struttura comunitaria di sostegno presso il dipartimento Jeremie del Fondo europeo per gli investimenti, il Comitato ritiene che tale soluzione non permetterebbe di dare una visibilità ottimale all'iniziativa mentre, d'altro canto, sarebbe limitativa del ruolo di coordinamento che essa dovrebbe avere nei confronti delle varie iniziative già in essere, né di affiancare alle attività di assistenza tecnica le altre attività. Il Comitato ritiene quindi che debba essere costituito un dipartimento a sé stante, che possa agire da Fondo per il microcredito.

1.8

Il finanziamento e l'assistenza tecnica da parte della nuova struttura non dovrebbe peraltro riguardare i soli istituti MCI nuovi e non bancari, ma ricomprenderli tutti per non incappare in distorsioni di concorrenza.

1.9

L'iniziativa comunitaria MFI dovrebbe includere anche il rafforzamento del dialogo sociale e del dialogo tra i vari soggetti della società civile, e la valorizzazione delle reti europee di scambio di buone prassi, quali l'European Microfinance Network, il Microfinance Center e la Piattaforma europea di microfinanza.

1.10

Secondo il Comitato, l'iniziativa MFI deve valorizzare il ruolo delle associazioni imprenditoriali, nella verifica dell'affidabilità e della competenza dei proponenti, nello sviluppo di un forte potenziale relazionale e fiduciario, nel sostegno e accompagnamento, anche formativo e di consulenza, per far emergere le capacità autonome dei beneficiari e per ridurre e semplificare gli oneri amministrativi, in particolare nella preparazione dei business plan.

1.11

L'istituzione di un fondo per il microcredito, razionalmente collegato con le istituzioni finanziarie, con le amministrazioni dello Stato (2), con le organizzazioni di categoria e con i consorzi e cooperative di garanzia (Confidi), può rappresentare un'esperienza importante, per orientare l'ingegneria finanziaria verso forme di «gestione sociale» del credito.

1.12

Una visione sociale del credito, che può essere anche alla base della creazione di un fondo per il microcredito, è strettamente legata ai principi della responsabilità sociale delle imprese e ai valori di una migliore e più diffusa occupazione.

1.13

Il sostegno alla certificazione ambientale EMAS può, meglio di altri strumenti, favorire una crescita sociale delle imprese e agevolare la diffusione, consapevole, di un fondo per il microcredito.

2.   Introduzione

2.1

L'Osservatorio PMI ha rilevato, nell'aprile del 2007, che l'ostacolo maggiore all'innovazione di prodotto e di processo, per le PMI europee, risiede nell'accesso al credito, seguito dalla difficoltà nel reperire risorse umane qualificate. Mentre per le imprese di maggiori dimensioni i problemi si incentrano nelle risorse umane.

2.2

I principali gap che si constatano sul mercato, sono rappresentati da carenze di capitali d'avviamento, da un'insufficiente offerta di fondi e da un'inadeguatezza della domanda. Tali questioni sono state affrontate dalla Commissione nella sua comunicazione Attuare il programma comunitario di Lisbona: Finanziare la crescita delle PMI — Promuovere il valore aggiunto europeo  (3), sulla quale il Comitato ha avuto modo, a più riprese, di pronunciarsi (4).

2.3

In particolare, il CESE ha rilevato che «occorre potenziare le politiche di aiuto all'avvio e allo sviluppo delle imprese, anche consentendo loro di iniziare in modo più rapido e meno costoso la propria attività, adottando misure per migliorare l'accesso al capitale di rischio, aumentando i programmi di formazione d'impresa — misure intese a facilitare il loro accesso alle reti e ai servizi di pubblica utilità — e creando una rete più fitta di servizi di sostegno per le piccole imprese» (5).

2.3.1

Il Comitato ribadisce, come già sottolineato in precedenti pareri (6), che «anche le società cooperative, le imprese consociate e le cooperative mutualistiche, oltre alle imprese in fase di avvio e alle microimprese innovative, possono contribuire al rafforzamento della competitività e della capacità innovativa nell'UE».

2.4

D'altra parte il Comitato ha sottolineato che «un problema fondamentale è facilitare l'accesso ai mercati finanziari» e che «gli istituti di credito e altri attori finanziari interessati, come i fondi di capitale di rischio (venture capital), dovrebbero essere incoraggiati ad adottare un atteggiamento più favorevole all'assunzione del rischio» (7).

2.5

La Commissione europea ha annunciato, nell'autunno del 2007, l'esame di una serie di iniziative per le PMI, tra le quali un'iniziativa europea per l'istituzione di una nuova struttura di sostegno al microcredito (8).

2.6

Il microcredito è generalmente riconosciuto da tutti come uno strumento finanziario avente un grande impatto sulla imprenditorialità, sullo sviluppo economico e sull'inclusione sociale produttiva, ma che presenta ancora molte carenze e imperfezioni dovute alle difficoltà nell'ottenimento di investimenti nel capitale iniziale d'impresa, specie quando il richiedente è inoccupato, di recente immigrazione, appartenente a una minoranza etnica o risiede in una regione della Convergenza.

2.7

Un altro problema nasce dal fatto che, per l'istituzione finanziaria, vi sono delle economie di scala legate ai costi fissi della transazione come la raccolta di informazioni, la valutazione, il seguito dato al prestito. Ciò è particolarmente vero per l'erogazione di microprestiti specie ad attività autonome e a PMI insufficientemente trasparenti e con limitate capacità di fornire una adeguata informazione all'istituzione finanziaria.

2.8

La definizione internazionale di microcredito è: «un prestito di dimensioni ridotte — al di sotto di 25 000 euro in Europa (9) e di 100 000 USD negli Stati Uniti — a percettori di basso reddito, che generalmente non hanno accesso al credito bancario o perché sono insufficientemente solventi e/o perché il costo di transazione è considerato troppo elevato» (10). Dalla definizione di microcredito è escluso il credito al consumo.

2.9

Il Comitato concorda con la Commissione sul ruolo importante svolto dal microcredito nella realizzazione della strategia di Lisbona per la crescita e l'occupazione e nella promozione dell'integrazione sociale, e ritiene essenziale che venga preservata la sua funzione principale di promozione della crescita del lavoro autonomo e dello sviluppo di microimprese, senza trasformarlo in mero aiuto sociale.

2.10

Secondo il Comitato, il microcredito nell'UE deve rispondere ai problemi evidenziati dai fallimenti del mercato nell'assicurare l'accesso al credito per imprenditorialità necessario per iniziare o ampliare attività economicamente produttive, anche nell'ambito della politica di assistenza e di cooperazione allo sviluppo (11).

2.11

A livello comunitario, il CIP — Micro-credit Guarantee, sostenuto dal FEI (12), assicura un sistema di garanzie per il microcredito, erogato da istituzioni locali a microimprese (13); attualmente però non vi è una normativa specifica comunitaria sul microcredito, a parte quella per il settore del microcredito bancario, che è sottoposto alla regolamentazione bancaria europea (14), oltre a riferimenti al microcredito che si trovano in vari programmi e iniziative comunitarie (15).

2.12

D'altra parte, negli Stati membri il settore del microcredito è regolato e gestito in modi differenti. Solo due Stati membri prevedono legislazioni specifiche, che disciplinano il settore non bancario della microfinanza (16), anche se esistono normative antiusura in altri quattro Stati membri (17).

2.13

Il Consiglio europeo di primavera ha indicato, tra l'altro, un interesse prioritario immediato, per una «ulteriore agevolazione dell'accesso ai finanziamenti anche attraverso gli strumenti finanziari dell'UE esistenti» (18) e per «promuovere una maggiore partecipazione complessiva della forza lavoro per combattere la segmentazione e per garantire l'inclusione sociale attiva».

2.14

Il Comitato ritiene che un quadro giuridico e di sostegno più ampio potrebbe contribuire a una maggiore promozione della creazione di nuove imprese produttive ed al loro consolidamento, evitando rischi di emarginazione ed esclusione dal sistema produttivo, che possono alimentare piaghe sociali e criminali, come il ricorso all'usura.

3.   La proposta della Commissione

3.1

La Commissione formula due line d'azione:

varo di un programma di riforme, da parte degli Stati membri, volto a migliorare le condizioni per il microcredito, a seconda delle circostanze e delle priorità nazionali, con un possibile aiuto comunitario nell'indicazione di obiettivi quantitativi e di buone prassi,

creazione di una nuova struttura comunitaria di sostegno al microcredito, all'interno di Jeremie, che sviluppi assistenza tecnica e sostegno di consolidamento degli organismi/istituti di microcredito, nonché azioni di divulgazione e di comunicazione adeguate.

4.   Quadro di sviluppo del microcredito, a sostegno della crescita e dell'occupazione

4.1

Il microcredito costituisce una leva di inserimento sociale e permette alle persone e alle imprese economicamente deboli ed escluse dal sistema bancario classico, di accedere a risorse finanziarie, indispensabili alla creazione e allo sviluppo di attività generatrici di reddito.

4.2

A livello comunitario, il Small Business Act per l'Europa (19), il cui obiettivo dichiarato è di definire principi e misure concrete per migliorare l'ambiente delle PMI europee, dovrebbe permettere di identificare ed abbattere gli ostacoli che impediscono di liberare le potenzialità della minore impresa, con maggiori sforzi di semplificazione, migliore accesso al credito, regole appropriate per l'energia e l'ambiente.

4.3

A parere del Comitato, dovrebbe essere realizzato anche un migliore coordinamento dei numerosi strumenti attivati al riguardo, facendo tesoro dell'esperienza di quelli già in passato realizzati e degli strumenti tuttora operanti, per quanto riguarda il microcredito, come ricordato nella comunicazione della Commissione stessa (20), e cioè:

l'iniziativa Jeremie,

le garanzie di microcredito del programma CIP (21); gli EMN e MFC (22) del programma di azione di lotta all'esclusione sociale,

le iniziative del Fondo sociale europeo,

i programmi di sviluppo rurale del FEASR (23).

4.3.1

Il Comitato ritiene che, nella definizione della nuova azione comunitaria per il microcredito, sia opportuno tener in debito conto le esperienze positive che sono state realizzate nella messa a punto e nell'applicazione pluriennale concreta dall'EU/ACP — Microfinance Framework Programme della DG Europaid.

4.4   L'ingegneria finanziaria e il «Fondo europeo per il microcredito»

4.4.1

Le istituzioni finanziarie europee, a partire dall'inizio degli anni Ottanta (24), e soprattutto grazie alle riflessioni e ai suggerimenti nati nei dibattiti che si sono tenuti nelle «Conferenze europee dell'artigianato e della piccola impresa» (25), hanno diffuso e sostenuto, negli Stati membri, la cultura dell'ingegneria finanziaria (26).

4.4.2

La necessità di dare concreta attuazione a linee operative, che riducessero le difficoltà di accesso al credito, e contribuissero a organizzare l'ingegneria finanziaria, spinse la Commissione e la BEI, anche sotto la pressione delle Organizzazioni europee delle piccole imprese, a far nascere il FEI (27), il quale, dopo una prima breve parentesi, nella quale si occupò anche di sostenere le reti di comunicazione (28), ha rivolto il suo impegno a sostenere, con diverse forme di garanzia, e soprattutto con azioni di ingegneria finanziaria, gli interventi di sostegno rivolti alle micro, alle piccole e alle medie imprese (PMI).

4.4.3

Grazie ai programmi pluriennali della Commissione, rivolti alle micro, piccole e medie imprese ed alla cooperazione, e ultimamente attraverso l'Asse uno del CIP (29), le azioni di ingegneria finanziaria si sono sviluppate attraverso:

la garanzia fideiussoria sui prestiti, concessa alle «cooperative e ai consorzi fidi» (confidi) delle PMI,

la garanzia di cartolarizzazione (30) del fondo rischi dei confidi,

la garanzia fideiussoria sul capitale, concessa tramite il «credito mezzanino» (31),

gli investimenti di capitali di rischio, il sostegno alla ecoinnovazione, il trasferimento di tecnologia,

gli interventi dei business angels.

4.4.4

Il CESE, in più occasioni, ha avuto modo di esprimere il proprio apprezzamento per gli interventi attuati, soprattutto negli ultimi quindici anni, dalla Commissione, dalla BEI e dal FEI, per il sostegno della piccola impresa. Esso ha riconosciuto l'ampliamento e la modernizzazione del sostegno finanziario della BEI alle PMI (32), ma ritiene che si potrebbero aumentare gli sforzi, anche attraverso programmi concordati con:

la BEI, per i capitali e con il FEI, per le garanzie fideiussorie,

le istituzioni finanziarie dei singoli Stati,

le organizzazioni rappresentative delle micro, delle piccole e delle medie imprese,

i confidi, i quali già operano in regime di ingegneria finanziaria, concedendo la garanzia fideiussoria, che oscilla tra il 50 e l'80 %, del prestito erogato alle imprese.

4.4.5

A livello dei singoli Stati, potrebbe essere costituita una rete di microcreditfondi , dotata di fondi a rotazione, alimentati dalla BEI, e con garanzie aggiuntive del FEI, che dovrebbe articolarsi a diversi livelli. A livello regionale (NUTS II) e a livello provinciale (NUTS III), l'erogazione dei prestiti potrebbe avvenire attraverso l'organizzazione dei confidi, ove esistano (33). I confidi hanno già una notevole esperienza nel campo del seed capital e, con un opportuno fondo rischi, controgarantito dal FEI, potrebbero concedere, a loro volta, una garanzia fideiussori.

4.4.5.1

Questa nuova proposta dovrebbe essere chiarita per quanto attiene alla creazione del microcreditfondo da parte della BEI e della Commissione europea. L'obiettivo di questa iniziativa è quello di appoggiare le istituzioni di microfinanza in Europa attraverso il reperimento di fondi (sovvenzioni, prestiti, crediti mezzanini o strumenti rappresentativi del capitale) e l'assistenza tecnica. Il FEI sta istituendo questo microfondo con un capitale iniziale di circa 40 milioni di euro (di cui 20 milioni di euro provenienti dalla BEI) per queste attività di sostegno e, a parere del CESE, dovrebbe, in futuro, gestire il fondo.

4.4.6

Il microprestito potrebbe essere sufficiente per l'acquisto di materiali e di semplici attrezzature, necessari per l'inizio di un'attività imprenditoriale, o per il rinnovo di attrezzature, sempre necessarie, in una microimpresa (34).

4.4.6.1

Particolare attenzione dovrebbe essere riservata, a parere del Comitato, al microcredito rivolto alle donne imprenditrici. In questi casi dovrebbe essere posta una maggiore attenzione alla flessibilità, alla modalità e ai criteri di erogazione del credito, per venire incontro a obiettive condizioni di disagio sociale e psicologico, che possono acuirsi in casi di:

appartenenza a minoranze,

situazioni familiari difficili,

spinte verso l'autoesclusione sociale.

4.4.6.2

Le modalità e la gestione del microcredito, rivolto allo sviluppo dell'attività femminile, dovrebbero tener conto, in modo prevalente, delle priorità di inserimento e di reinserimento sociale ed economico delle donne nel tessuto produttivo della società, tenuto conto della necessità di impegnarsi contro il pericolo della disistima, e rafforzare lo sviluppo della cultura imprenditoriale e la capacità di assumere maggiori responsabilità e rischi.

4.4.7

Il microprestito dovrebbe rivolgersi, anche, come opportunità per il giovane che, animato dal desiderio di essere imprenditore di se stesso, con una sufficiente preparazione professionale, ma privo di possibilità economiche, desideri iniziare un'attività autonoma.

4.4.7.1

La prima garanzia sul prestito, che comunque deve essere erogato da un'istituzione finanziaria, bancaria o non bancaria, è costituita dalle attrezzature acquistate. Ma ciò che induce le istituzioni finanziarie a essere meno fiscali nella concessione del prestito (35), è il fatto che esista un «Fondo europeo per il microcredito», dotato di risorse finanziarie e di expertise, in grado di intervenire, periodicamente, attraverso il FEI, i confidi, e le organizzazioni di categoria per sanare eventuali insolvenze accumulate, ma che abbia anche la capacità e la volontà di promuovere standard ottimali di solidità, diversificazione e miglioramento della produzione, trasparenza e lotta all'usura (36).

4.4.8

Le indagini effettuate sulle insolvenze delle micro e delle piccole imprese, negli ultimi dieci anni, nei principali paesi europei, ci dicono che le insolvenze non superano il 4 % dei prestiti erogati (37). Ciò significa che, trattandosi di una percentuale inferiore al 5 %, il moltiplicatore che può essere utilizzato, per garantire il credito concesso dalle istituzione finanziarie, equivale a 20.

4.4.9

Con un moltiplicatore equivalente a 20 e con una garanzia fideiussoria che copra il 50 % della insolvenza di ogni singolo debitore, un confidi, con un fondo rischi di un milione di euro, potrebbe garantire prestiti, fino a 40 milioni di euro, a un gran numero di imprenditori (38).

4.4.9.1

Il sistema dei «Consorzi fidi», attraverso la concessione di garanzie, ha consentito, nel 2007, finanziamenti alle imprese artigiane italiane per circa 6 miliardi di euro.

4.4.10

Ogni anno nascono, nell'UE a 27, circa 500 000 nuove imprese. Un numero leggermente inferiore è rappresentato dalle imprese che muoiono (39). Il 99 % delle imprese che nascono annualmente è rappresentato da PMI e, fra queste, almeno 240 000 sono imprese formate dal solo titolare (40).

4.4.11

Se riprendessimo l'esempio riportato al punto 4.4.9 potremmo, con un milione di euro a fondo rischi, e con l'ingegneria finanziaria, garantire, attraverso un microcreditfondo, un prestito di 25 000 euro a 1 600 piccoli imprenditori.

4.5   La gestione sociale del credito

4.5.1

Come è stato già osservato, il credito rappresenta uno degli strumenti fondamentali nello sviluppo economico e sociale e nella realizzazione di una «economia sociale di mercato».

4.5.2

Per questo motivo, sono emerse man mano, e hanno acquistato spazio, nuove sensibilità verso una visione del credito, non più concepito come semplice rapporto tra il cliente e l'istituto finanziario, ma come uno strumento di alto valore sociale, per i suoi legami con una migliore e più sicura occupazione e con lo sviluppo economico.

4.5.3

Da questa nuova e più ampia visione, discende la necessità di ripartire, tra più soggetti, i rischi legati all'erogazione del credito.

4.5.4

La ripartizione dei rischi del credito tra più enti:

aumenta le garanzie nei confronti delle istituzioni finanziarie,

abbassa il tasso di interesse legato al credito concesso,

agevola la concessione del prestito al richiedente.

4.5.5

In virtù del valore sociale, la concessione di un credito deve sempre più e sempre meglio essere subordinata al principio della responsabilità sociale dell'impresa e richiede, da parte dell'imprenditore, la preparazione e l'adesione ai valori dello sviluppo sostenibile.

4.5.6

La certificazione ambientale EMAS (41), meglio di altre certificazioni, potrebbe essere messa come condizione, all'interno di un processo di ingegneria finanziaria, legata alla funzione sociale del credito.

4.5.7

In questi ultimi anni, solo poche decine di migliaia di imprese hanno potuto utilizzare gli strumenti finanziari comunitari (42). Vi è, quindi, un grosso divario tra la fenomenologia del problema e i risultati ottenuti. Ciò induce a riflettere sulle possibilità concrete di intervenire con sistemi in grado di coinvolgere maggiormente le istituzioni finanziarie e di moltiplicare i risultati.

4.5.8

Il 20 e 21 novembre 1997 il Consiglio europeo straordinario di Lussemburgo, indetto con un solo punto all'ordine del giorno — vale a dire l'occupazione — varò, fra l'altro, tre iniziative concrete per aiutare le aziende a mantenersi competitive sui mercati, e chiese alla Commissione di fare delle proposte che consentissero al mondo economico di rafforzarsi e di aumentare l'occupazione. Le tre iniziative suddette erano: MET-avviamento, JEV (Impresa comune europea) e PMI-garanzia. Di queste iniziative, ben due: MET-avviamento e PMI-garanzia, erano rivolte ad agevolare l'accesso al credito.

4.5.8.1

Alla fine del 2005, oltre 277 000 PMI avevano beneficiato delle facilities  (43) del programma Crescita e occupazione e del MAP (programma pluriennale).

4.5.8.2

Il SME Guarantee Facility è uno dei più importanti programmi europei, rivolti alle PMI (44).

4.5.9

Quando si parla di capitale di rischio nelle micro (23 milioni di imprese in Europa) e piccole imprese (1,1 milioni di imprese in Europa), di cui circa il 90 % sono ditte individuali o società di persone, ci riferiamo al solo 5-6 % di questo universo.

4.5.10

Quindi, il Comitato ritiene che occorra necessariamente ipotizzare forme di sostegno al credito che si rivolgano anche a società di persone, come ipotizzato con gli strumenti dell'ingegneria finanziaria, altrimenti la sua applicazione rimane residuale, impedendo in tal modo alla micro e piccola impresa di crescere in termini di cultura finanziaria.

Bruxelles, 18 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Cfr. gli studi del Premio Nobel Harry Markovitz sulle correlazioni tra diversificazione del portafoglio, la riduzione del rischio e le compensazioni nelle fluttuazioni dei ritorni d'investimento (efficiency curve) con effetti di stabilizzazione del ciclo economico.

(2)  In molti Stati le amministrazioni regionali e locali sostengono, con finanziamenti rivolti ai Confidi, lo sviluppo delle PMI.

(3)  COM(2006) 349 def. del 29 giugno 2006.

(4)  Parere CESE 599/2007, GU C 168 del 20.7.2007, pag. 1 — relatori: VAN IERSEL e GIBELLIERI.

(5)  Parere CESE 982/2007, GU C 256 del 27.10.2007, pag. 8 — relatrice: FAES.

(6)  Parere CESE 1485/2005 sul Programma Competitività e Innovazione 2007-2013, relatori: WELSCHKE e FUSCO.

(7)  Cfr. nota 4 e 5.

(8)  Già dal 1997, con PMI-garanzia, la Commissione organizzò, con il FEI, il sostegno al microcredito.

(9)  SEC(2004)1156; programma competitività e innovazione, decisione n. 1639/2006/CE.

(10)  Cfr. il sito web Eurofi Francia: www.eurofi.net

(11)  Cfr. regolamento (CE) n. 1905/2006 del Parlamento e del Consiglio che istituisce uno strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo.

(12)  FEI, Fondo europeo per gli investimenti.

(13)  Per la definizione di microimprese cfr. la raccomandazione 2003/361/CE.

(14)  Direttiva 2006/48/CE — CRD (Capital Requirement Directive).

(15)  Cfr. l'iniziativa Jeremie; l'iniziativa crescita e occupazione (decisione 98/347/CE); il programma pluriennale per le PMI; il programma competitività e innovazione (decisione n. 1639/2006/CE); il FEASR (regolamento (CE) n. 1698/2005); il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (regolamento (CE) n. 1927/2006).

(16)  Francia e Romania. Inoltre il Regno Unito e la Finlandia, pur non avendo una legislazione specifica, prevedono, nei loro ordinamenti, alcune esenzioni in materia.

(17)  Belgio, Germania, Italia e Polonia.

(18)  13-14 marzo 2008, punto 11.

(19)  Cfr. in proposito anche il parere CESE 977/2008, relatore: CAPPELLINI.

(20)  Cfr. COM(2007) 708 def., allegato 3.

(21)  CIP, Competitiveness and Innovation Program 2007-2013.

(22)  EMN, European Microfinance Network; MFC, Microfinance Center per l'Europa centrale e orientale.

(23)  FEASR, Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale.

(24)  1982: Anno europeo dell'artigianato e della piccola impresa.

(25)  1990: Avignone; 1994: Berlino; 1997: Milano.

(26)  L'ingegneria finanziaria si basa sul principio che, il sostegno finanziario al piccolo imprenditore, che vuole dar vita a una nuova attività, o che vuole investire in nuovi prodotti o in nuovi processi, non può essere circoscritto al rapporto tra il piccolo imprenditore e l'istituzione finanziaria, ma, data la funzione sociale dell'impresa, deve vedere coinvolti altri soggetti, che si assumano responsabilità a livelli diversi e possano ripartirsi parte dei rischi e dei costi.

(27)  FEI, Fondo europeo per gli investimenti. Nacque nel 1994, grazie all'impulso dell'allora DG XXIII (Si trattava della direzione generale nata per sostenere la piccola impresa e l'artigianato, grazie alla quale erano state organizzate le «Conferenze europee»), e della DG II (Economia e finanza). Il FEI nacque con una dotazione finanziaria di un miliardo di ECU, da parte della BEI, di ottocento milioni di ECU, da parte della Commissione, e di duecento milioni di ECU, lasciati, come quote di partecipazione, in frazioni da due milioni ciascuna, alle istituzioni finanziarie europee. Oltre cinquanta istituzioni finanziarie europee aderirono subito all'iniziativa.

(28)  Cfr. metropolitana di Lilla.

(29)  CIP, Asse 1: Sostegno all'imprenditorialità. Asse 2: Sostegno alle TIC. Asse 3: Sostegno all'energia intelligente per l'Europa.

(30)  La cartolarizzazione si attua mediante la cessione di una parte o di tutto il monte debiti di un consorzio fidi (o di una banca) a istituzioni finanziarie specializzate, per consentire, soprattutto ai consorzi fidi, di aumentare la loro possibilità di garanzia di credito nei confronti delle imprese.

(31)  Il mezzanine finance si basa più sui flussi di cassa attesi dalle imprese finanziate che sulle garanzie reali. Esso si può attuare in due forme: 1) Debito subordinato (prestito a tasso fisso o indicizzato); 2) Equity kicker (il creditore/investitore ha diritto a una quota percentuale dell'incremento di valore della proprietà alla quale si riferisce il prestito). La scadenza del mezzanine finance va dai 4 agli 8 anni.

(32)  http://www.eib.org/projects/publications/sme-consultation-2007-2008.htm

(33)  Il sistema dei confidi è ben radicato in molti paesi europei ed è presente e attivo a livello di Federazione europea.

(34)  Le microimprese rappresentano il 94 % di tutte le imprese private, non agricole, europee.

(35)  L'ingegneria finanziaria, togliendo alle istituzioni finanziarie una buona percentuale di rischio, consente loro di erogare, con più facilità e a minori costi, i prestiti, soprattutto ai nuovi e poco conosciuti imprenditori.

(36)  Azioni congiunte, tra banche e associazioni di categoria, rivolte ad una migliore gestione finanziaria delle microimprese, vennero già indicate nei documenti della prima conferenza europea dell'artigianato di Avignone, del 1990 e della seconda conferenza di Berlino del 1994 e vennero sviluppate, in particolare, dal sistema delle «Banche popolari tedesche» con le Organizzazioni di categoria (ZDH).

(37)  Cfr. FedartFidi UE, Federazione europea dei confidi artigiani, degli Stati che hanno sistemi di confidi operativi.

(38)  Il 5 % di 40 milioni di euro corrisponde a 2 milioni, ma il confidi risponde solo per il 50 % del debito non onorato, quindi con 1 milione di euro che ha a disposizione nel proprio fondo rischi. La cartolarizzazione di questo fondo rischi può permettere al Confidi di erogare nuovi prestiti fino a un nuovo plafond di 40 milioni di euro.

(39)  Fonte: Osservatorio europeo delle imprese.

(40)  Nell'UE, il 49 % delle microimprese non ha dipendenti. Si tratta di un'impresa individuale.

(41)  Cfr. il regolamento (CEE) n. 1836/93 e il regolamento (CE) n. 761/2001.

(42)  Documento di consultazione sul programma comunitario in favore dell'imprenditorialità e della competitività, 2006-2010 DG Imprese e industria, 2004, punto 118.

(43)  Fonte: COM(2007) 235 def. — Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sugli strumenti finanziari previsti dal programma pluriennale a favore dell'impresa e dell'imprenditorialità, in particolare delle piccole e medie imprese (PMI) (2001-2006)

(44)  Al 31 dicembre 2005, l'utilizzazione media ha raggiunto il 67 % dello sportello garanzia sui prestiti, il 66 % per lo sportello microcredito e il 65 % per la partecipazione al capitale dell'impresa.


31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/29


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 76/769/CEE del Consiglio per quanto riguarda restrizioni dell'immissione sul mercato e dell'uso di talune sostanze e preparati pericolosi (diclorometano)

COM(2008) 80 def. — 2008/0033 (COD)

(2009/C 77/05)

Il Consiglio, in data 10 marzo 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 76/769/CEE del Consiglio per quanto riguarda restrizioni dell'immissione sul mercato e dell'uso di talune sostanze e preparati pericolosi (diclorometano)

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 15 luglio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore SEARS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato all'unanimità il seguente parere.

1.   Sintesi e raccomandazioni

1.1

La proposta in esame mira a modificare la direttiva del Consiglio 76/769/CEE aggiungendo restrizioni all'immissione sul mercato e all'uso del diclorometano (DCM) quando è usato come componente principale degli svernicianti per usi industriali, professionali e domestici.

1.2

Si tratta dell'ultima modifica di questo tipo della direttiva del Consiglio 76/769/CEE, che verrà sostituita il 1o giugno 2009 dal regolamento (CE) n. 1907/2006 (REACH).

1.3

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) riconosce le notevoli difficoltà scientifiche e politiche che la Commissione ha dovuto affrontare nel proporre e raggiungere un accordo su una modifica proporzionata ed efficace sotto il profilo costi-benefici che, come richiesto dalla direttiva 76/769/CEE, salvaguardi il mercato interno e al tempo stesso garantisca un elevato livello di protezione per la salute umana e per l'ambiente.

1.4

Il CESE concorda sull'esistenza di prove convincenti del fatto che, in caso di elevate concentrazioni di vapore dovute alla notevole volatilità del DCM, si possono verificare casi di perdita di coscienza o di morte. Tali casi sono dovuti a cattive pratiche industriali, compresa una ventilazione insufficiente. Le prove a sostegno di un rischio grave e costante per gli utenti domestici occasionali sono meno convincenti. La proposta di vietare le vendite di DCM risulta quindi sproporzionata e, dati i rischi noti, seppur non ancora quantificati, dei prodotti e dei processi alternativi, è improbabile che possa portare ad una riduzione complessiva del tasso di infortuni registrato attualmente, che è piuttosto modesto.

1.5

Il CESE osserva anche che, come rilevato dai consulenti esterni che hanno lavorato per la Commissione, i rischi specifici del DCM non sono pienamente coperti dai pittogrammi o dalle frasi di rischio e sicurezza attualmente in uso. Lo stesso vale per i rischi per i bambini, più comuni in ambiente domestico. Si tratta però di una carenza imputabile al sistema di etichettatura, non ai prodotti o alle persone interessate. Per correggere questa situazione il CESE avanza quindi raccomandazioni sull'imballaggio e sull'etichettatura.

1.6

Il CESE individua anche altri problemi, soprattutto l'assenza di limiti di esposizione occupazionale (OEL) concordati e di orientamenti o regolamenti sulle buone pratiche industriali. Il TRGS 612 tedesco è considerato un ottimo modello a tale proposito.

1.7

Il CESE sottopone una serie di altri punti di ordine generale all'attenzione della Commissione, del Parlamento europeo e degli Stati membri, nella speranza che si possa raggiungere un accordo. Se ciò non sarà possibile si creerà una frattura nel mercato interno. Gli utilizzatori, sul luogo di lavoro e al di fuori, resteranno esposti ai rischi.

2.   Base giuridica

2.1

Come osservato in precedenza, il regolamento (CE) n. 1907/2006 del 18 dicembre 2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, concernente la registrazione, la valutazione, l'autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH), entrerà in vigore il 1o giugno 2009 e abrogherà e sostituirà una serie di regolamenti e direttive vigenti della Commissione e del Consiglio, fra cui la direttiva del Consiglio 76/769/CEE del 27 luglio 1976 sulle restrizioni in materia di immissione sul mercato e di uso di talune sostanze e preparati pericolosi.

2.2

L'allegato I della direttiva del Consiglio 76/769/CEE stabilisce le restrizioni specifiche che sono state decise e introdotte negli ultimi 30 anni in materia di immissione sul mercato e di uso di talune sostanze e preparati pericolosi. Il 1o giugno 2009 queste diverranno la pietra miliare dell'allegato XVII del regolamento (CE) n. 1907/2006 (REACH).

2.3

Le precedenti modifiche alla direttiva del Consiglio 76/769/CEE (apportate per aggiungere ulteriori misure restrittive) hanno assunto la forma di direttive che richiedevano il recepimento da parte degli Stati membri. Questa volta invece la Commissione presenta una proposta di decisione, che avrà quindi effetto immediato, e non una proposta di direttiva. Non necessiterà quindi di un recepimento mediante norme nazionali che in ogni caso sarebbero state anch'esse abrogate il 1o giugno 2009, con l'entrata in vigore del regolamento (CE) n. 1907/2006 (REACH).

2.4

Tutte le successive proposte di restringere l'immissione sul mercato e l'uso di talune sostanze e preparati pericolosi saranno disciplinate dal regolamento (CE) n. 1907/2006 (REACH).

2.5

Le sostanze (e i preparati che le contengono) per le quali si è ritenuto necessario introdurre restrizioni all'immissione sul mercato e all'uso sono emerse in linea generale da valutazioni di talune «sostanze prioritarie» individuate dagli Stati membri e pubblicate, ai sensi del regolamento (CEE) n. 793/93 del Consiglio, in quattro elenchi prioritari fra il 1994 e il 2000.

2.6

Anche una serie di sostanze non inserite in questi elenchi è stata valutata per verificarne l'impatto sulla salute umana e sull'ambiente e/o sono state avanzate proposte per restringerne l'immissione sul mercato e l'uso, man mano che nuovi problemi sono stati affrontati su richiesta degli Stati membri. Il DCM rientra in questo gruppo di sostanze. Alcuni Stati membri, per una serie di motivi, hanno già imposto o cercato di imporre restrizioni al suo uso, in particolare come componente di svernicianti. Altri Stati membri ritengono che tali misure siano sproporzionate, costose e rischino di portare a risultati meno soddisfacenti per gli utilizzatori. Vi sono prove (o mancano prove sufficienti) per sostenere o respingere l'una e l'altra posizione.

2.7

Il primo esame completo della proposta in sede di Consiglio ha avuto luogo all'inizio di giugno. Se si riuscirà a trovare un compromesso entro i prossimi mesi, è probabile che la proposta andrà avanti come previsto, altrimenti essa verrà a cadere. In quest'ultimo caso continuerà ad esistere, e forse si aggraverà, una frattura nel mercato interno degli svernicianti a base di DCM. A tempo debito il DCM sarà poi valutato nel quadro del regolamento (CE) n. 1907/2006 (REACH), dato che il suo uso nelle attività di sverniciatura è una delle principali vie di esposizione da considerare. Ovviamente non si può sapere quale sarà l'esito di tale processo né quando si potrebbero formulare eventuali raccomandazioni definitive.

3.   Contesto

3.1

Il DCM è un composto idrocarburico alifatico alogenato a basso punto di ebollizione, incolore e di odore dolciastro. Da molti anni è ampiamente utilizzato come solvente ad alta efficacia e bassa infiammabilità, nella produzione di prodotti farmaceutici, aerosol e adesivi e in altri processi quali la sverniciatura e lo sgrassaggio dei metalli, e come solvente di estrazione per gli alimenti.

3.2

Anche se viene considerato uno dei più sicuri composti idrocarburici alogenati a basso peso molecolare, il DCM deve comunque essere utilizzato con attenzione. In Europa è classificato come agente cancerogeno di categoria 3, ovvero è una delle «sostanze da considerarsi con sospetto per i possibili effetti cancerogeni sull'uomo per le quali tuttavia le informazioni disponibili sono insufficienti per procedere ad una valutazione soddisfacente». Deve pertanto essere accompagnato dalla frase R40 («Sospetto effetto cancerogeno. Prove insufficienti»). È considerato anche una sostanza prioritaria ai sensi della direttiva quadro sulle acque.

3.3

Fonte di maggiore preoccupazione, tuttavia, è il fatto che si tratta anche di un potente narcotico, che deprime il sistema nervoso centrale e può portare a perdita di coscienza e morte. Ciò ha determinato una serie di infortuni anche mortali, in genere associati a pratiche di lavoro poco sicure e ad esposizione prolungata ed eccessiva, di norma per usi industriali o professionali su larga scala in vasche di sverniciatura aperte. L'utilizzo in sistemi chiusi, laddove è fattibile, elimina tali rischi.

3.4

I livelli di produzione di DCM in Europa (dai siti presenti in Germania, Francia, Italia, Spagna, Paesi Bassi, Regno Unito e Romania) stanno lentamente calando man mano che si rendono disponibili altri prodotti. Delle circa 240 000 tonnellate prodotte attualmente in Europa se ne esportano circa 100 000. Il 30-50 % della quantità restante va all'industria farmaceutica e il 10-20 % è destinato a essere venduto come DCM «puro» negli svernicianti. Il DCM riciclato proveniente dall'industria farmaceutica rappresenta una quantità analoga. La proposta in esame riguarda esclusivamente l'uso di DCM nella sverniciatura.

3.5

La sverniciatura è un processo noto alla maggior parte delle famiglie come processo essenziale per conservare e trattare oggetti e superfici di legno, metallo, pietra e gesso in ambienti interni ed esterni. Vi è anche una serie di mercati più specialistici, fra cui il restauro artistico, la rimozione di graffiti e la riverniciatura di grandi oggetti mobili quali treni o aerei.

3.6

Gli svernicianti sono suddivisi in modo piuttosto arbitrario in tre categorie: «usi industriali» (ovvero per uso intenso e continuo su un unico sito); «usi professionali» (specialisti che lavorano su più siti, operai edili e imbianchini) e «usi domestici» (singoli che effettuano occasionalmente lavori di manutenzione della casa).

3.7

Il numero effettivo di infortuni per ogni categoria è difficile da determinare. Dato che i sintomi di una dose eccessiva di DCM richiamano quelli di un infarto, vi può essere (ma non è detto) il rischio che venga dichiarato un numero di casi inferiori a quello effettivo. I dati presentati alla Commissione dai consulenti dell'RPA indicano che in Europa, negli ultimi 20 anni, vi sono stati 3-4 infortuni all'anno dovuti all'uso di svernicianti a base di DCM, dei quali uno all'anno mortale. Gli infortuni mortali sono concentrati in Francia (6), Germania (6) e Regno Unito (5), quelli non mortali concentrati nel Regno Unito (36), in Svezia (12) e in Francia (6). Nell'Europa meridionale è stato registrato un solo infortunio nel periodo analizzato dall'RPA (1930-2007): un infortunio mortale avvenuto in Spagna nel 2000 in ambito industriale. Può ben darsi che le condizioni climatiche locali e le pratiche di lavoro siano fattori rilevanti. Nei paesi caldi si tengono sempre le finestre aperte, si ha pertanto una buona ventilazione e i rischi sono trascurabili; nei climi più freddi può verificarsi il contrario.

3.8

Gli infortuni mortali sono equamente suddivisi fra utilizzatori professionali e industriali, mentre il grosso degli infortuni non mortali è stato fatto registrare da operatori classificati come «professionali». Le cause di decesso registrate sono in grande maggioranza un'insufficiente aerazione e l'impiego inadeguato di dispositivi di protezione individuale, specie in presenza di grandi vasche di sverniciatura aperte.

3.9

Un infortunio mortale forse conseguente a uso domestico (o professionale) è stato riportato in Francia nel 1993 e non può più essere verificato, quindi questo dato particolarmente importante è stato contestato. L'unico altro caso riportato di infortunio mortale per un consumatore si è avuto nei Paesi Bassi nel 1960. Possono essere rilevanti anche altri fattori.

3.10

Ovviamente esistono prodotti alternativi agli sverniciatori chimici a base di DCM. Sono generalmente suddivisi in tre gruppi: «sverniciatura fisica/meccanica» (sabbiatura, raschiatura e granigliatura); «sverniciatura termico-pirolitica» (nei forni, su letti fluidi termici o con utilizzo di cannelli ossidrici o pistole termiche) e «sverniciatura chimica» (che può utilizzare solventi ad alta efficacia, compreso il DCM, liquidi o paste corrosivi e in genere fortemente alcalini, acido formico oppure miscele a base di perossido di idrogeno). Ognuno dei processi può funzionare, ed essere preferito agli altri, in determinate circostanze. Tutti pongono rischi di un qualche tipo, dovuti all'impatto delle particelle, al calore, alla possibilità di incendi o esplosioni, a irritazione degli occhi o della pelle o alla composizione dei rivestimenti da rimuovere, in particolare il piombo contenuto nelle vernici utilizzate prima del 1960. In presenza di strati sovrapposti risalenti anche a oltre 100 anni fa in edifici vecchi ma ancora utilizzabili, o addirittura particolarmente ricercati, o in caso di superfici sensibili che non devono essere danneggiate, sarà necessario più di un approccio e un certo grado di sperimentazione.

3.11

Non sono disponibili dati sulla quota complessiva di mercato delle diverse alternative di tutti e tre i gruppi o sui diversi costi per metro quadro sverniciato. Si ritiene che il DCM sia ancora il solvente più ampiamente usato, in particolare per gli usi domestici, dove sono diffuse anche le applicazioni a base di soda caustica. Anche all'interno del gruppo delle sostanze chimiche è difficile confrontare i costi. Vi è un generale consenso sul fatto che gli svernicianti a base di DCM risultano più economici dei prodotti concorrenti su base volumetrica. È probabile che tale vantaggio scompaia se si prende in considerazione l'intero costo dei dispositivi di protezione (se utilizzati) e dello smaltimento dei rifiuti (se rilevante).

3.12

I costi totali sono determinati anche dai tempi di lavorazione. Prodotti e processi che richiedono tempi più lunghi, ma sono meno dannosi, aumentano il costo del lavoro in atto e riducono gli utili. I solventi con punto di ebollizione più elevato consentono di sverniciare un'area più estesa in una sola volta ma richiedono tempi di lavorazione più lunghi. Per un consumatore, esposizioni brevi sono sostituite da esposizioni più lunghe che comportano problemi domestici potenzialmente maggiori (l'assunto dell'RPA secondo cui i consumatori sarebbero meno sensibili al fattore tempo, in quanto svolgono l'attività di sverniciatura nel loro tempo libero, andrebbe senz'altro contestata). Per tutti gli utilizzatori diverranno essenziali nuovi metodi di lavoro e adattamenti del workflow. Per gli utilizzatori industriali qualsiasi passaggio a prodotti a base di acqua diminuisce i costi di ventilazione ma aumenta notevolmente il costo dei lavori da eseguire su vasche di sverniciatura e tubature per ridurre al minimo la corrosione. Considerate tutte queste variabili, diventa estremamente difficile prevedere l'effetto di una data restrizione su un singolo percorso. In queste condizioni i consumatori sono particolarmente a rischio e non è sufficientemente dimostrato, considerati i punti di vista contrastanti a livello governativo, che il fatto di scegliere prodotti e processi alternativi sia nel loro interesse.

3.13

Un solvente comunemente usato in alternativa al DCM, ovverosia il metilpirrolidone (NMP), è stato recentemente classificato come «tossico alla riproduzione di categoria 2», il che comporterà alla fine il divieto di vendere ai consumatori (ma non agli utilizzatori industriali o professionali) formulazioni che lo contengano. Altri solventi, quali l'1,3-diossolano, sono altamente infiammabili.

3.14

I sistemi basati su esteri dibasici (DBE) — miscele di dimetiladipato, succinato e glutarrato — sembrano attualmente le alternative più promettenti, con poche indicazioni che possano far pensare a minacce significative per la salute umana o l'ambiente. Anche il dimetilsulfossido e l'alcool di benzile sembrano relativamente «sicuri». Il fatto che queste sostanze vengano considerate dagli utilizzatori più o meno convenienti sotto il profilo dei costi dipende però da molti fattori e non vi è alcuna garanzia che alla fine vengano scelte come alternative «sicure» di ampio utilizzo.

3.15

In generale è chiaro che non esiste un unico approccio totalmente accettabile e che interventi inadeguati possono anche determinare un aumento dell'attuale tasso di infortuni registrati, che è relativamente basso. La difficoltà sta nell'individuare una soluzione che soddisfi tutte le parti in causa, in particolare Stati membri che hanno esperienze diverse e, con piena ragione, difendono strenuamente le loro posizioni.

4.   Sintesi della proposta della Commissione

4.1

La proposta della Commissione ha l'obiettivo di proteggere la salute umana e l'ambiente, salvaguardando nel contempo il mercato interno del diclorometano, in particolare quando esso è utilizzato come componente principale degli svernicianti per gli usi industriali, professionali e domestici.

4.2

La Commissione propone di vietare tutte le vendite di svernicianti a base di DCM sia ai consumatori che ai professionisti, ad eccezione di quelli appositamente formati e abilitati dalle autorità competenti degli Stati membri. Le vendite agli impianti industriali saranno consentite soltanto laddove siano state adottate misure di protezione, in particolare un'efficace ventilazione e la disponibilità e l'effettivo uso di adeguati dispositivi di protezione individuale. Tutte le formulazioni contenenti DCM dovranno recare la seguente dicitura indelebile: «Solo per usi industriali e professionali» (e presumibilmente soltanto da parte di personale debitamente abilitato).

4.3

Nessun nuovo sverniciante a base di DCM potrà essere immesso sul mercato per essere venduto ai consumatori o agli operatori professionali entro 12 mesi dall'entrata in vigore della decisione. Passati altri 12 mesi, tutte le vendite ai suddetti due gruppi saranno vietate.

4.4

La decisione entrerà in vigore il terzo giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea.

4.5

La proposta è accompagnata da una relazione e da un documento di lavoro dei servizi della Commissione (relazione sulla valutazione d'impatto). Ulteriori informazioni possono essere reperite nelle valutazioni d'impatto preparate per la Commissione da consulenti esterni (RPA, TNO) o nelle relazioni su temi specifici (Etvaread, sull'efficacia dei ritardatori dell'evaporazione). Questi documenti sono stati a loro volta esaminati dal competente comitato scientifico (SCHER). Non esiste una relazione UE di valutazione dei rischi (Risk Assessment Report o RAR) in quanto, nonostante le preoccupazioni già constatate, nessuna delle parti interessate ha indicato il DCM come sostanza prioritaria.

4.6

Anche alcuni Stati membri UE (e altri paesi economicamente importanti che sono partner commerciali, come la Svizzera e gli Stati Uniti) hanno realizzato degli studi a sostegno di particolari posizioni normative e politiche, spesso in forte conflitto tra loro. Le industrie interessate hanno prodotto una grande quantità di dati sui possibili rischi e sui vantaggi relativi di diversi prodotti e processi. Non sorprende sapere che anche in questo caso i risultati sono discordi. Altre parti interessate hanno potuto esporre le loro considerazioni nel corso della Settimana europea della sicurezza e della salute sul lavoro Building in Safety del 2004, dopo un convegno di esperti ospitato dal sindacato danese degli imbianchini. Secondo l'RPA, consultato nell'aprile 2007, l'Ufficio europeo delle unioni di consumatori (BEUC), la Federazione europea dei lavoratori delle miniere, della chimica e dell'energia (EMCEF) e la Confederazione europea dei sindacati (CES) non avevano ancora espresso pareri formali.

5.   Osservazioni generali

5.1

Il CESE riconosce le difficoltà incontrate dalla Commissione nell'elaborazione di una proposta per una modifica proporzionata ed economicamente vantaggiosa della direttiva 76/769/CEE per quanto riguarda l'uso del DCM come solvente per svernicianti. Sono relativamente pochi gli infortuni notificati e verificati, sebbene sia possibile che alcuni non siano stati comunicati. La legislazione vigente non viene sempre osservata e appare inadeguata sotto il profilo dell'etichettatura. Prodotti e processi alternativi esistono, ma non sono stati valutati sufficientemente e presentano tutti qualche rischio. Ci sono buoni motivi per cui i pareri degli Stati membri non coincidono, e non ci sono garanzie che il risultato complessivo sarà favorevole all'uno o a all'altro dei gruppi che più probabilmente ne saranno interessati.

5.2

Il CESE riconosce anche che, visti gli ovvi limiti di tempo, questa è l'ultima occasione di introdurre nuove misure ai sensi della suddetta direttiva. Se gli Stati membri e il Parlamento europeo non riusciranno a trovare una posizione comune e la proposta di decisione (o una sua variante) non sarà adottata e attuata, non sarà più possibile intervenire finché il DCM non sarà stato valutato sotto il profilo di tutti i suoi impieghi a norma del regolamento (CE) n. 1907/2006 (REACH).

5.3

Il CESE è fermamente convinto che un tale ritardo possa e debba essere evitato, nell'interesse della protezione dell'ambiente e della salute di tutti i consumatori, sul luogo di lavoro come altrove. Il CESE, inoltre, deplorerebbe profondamente qualsiasi frattura che dovesse dividere il mercato interno, su questa questione o su qualunque altra. Dovrebbe essere ovvia a tutti gli interessati la necessità di trovare la base per un accordo che abbia l'obiettivo di gestire i rischi e non di sostituire un pericolo con un altro.

5.4

A questo proposito, il CESE constata che il DCM può essere prodotto, stoccato, trasportato e utilizzato con sicurezza in sistemi chiusi. Il DCM non è infiammabile e non contribuisce alla formazione di ozono a livello del suolo. Nei sistemi aperti, invece, come nel caso della sverniciatura, esso presenta evidenti problemi legati alla volatilità (ossia alla tendenza a evaporare rapidamente), alla densità dei vapori risultanti (si accumula nel punto più basso o dove la ventilazione è inadeguata) e al suo effetto narcotico (provoca perdita di conoscenza e morte). Tutto ciò contribuisce ad aumentare i rischi per i bambini. Il DCM è anche classificato come agente cancerogeno di categoria 3 ed è questo il rischio potenziale che prevale sulle etichette dei prodotti che contengono questa sostanza.

5.5

Come hanno fatto notare l'RPA e altri enti, tale indicazione è al contempo fuorviante e insufficiente a proteggere adeguatamente gli utilizzatori sul luogo di lavoro o altrove. Né la normativa attuale né il Sistema mondiale armonizzato di classificazione e di etichettatura dell'ONU prevedono frasi R (Rischio) o S (Sicurezza) che mettano adeguatamente in guardia dal pericolo di narcosi (e conseguente rischio di morte) o, cosa ancora più sorprendente, dal grave rischio per i bambini (che naturalmente si applicherebbe a molti prodotti e processi utilizzati in ambiente domestico).

5.6

Anche concentrare l'attenzione sul possibile, ma non ancora dimostrato, rischio di cancro è fuorviante. Lo SCHER, nel suo parere sulla relazione Etvaread sui ritardatori dell'evaporazione, ha constatato che nei topi il meccanismo metabolico per il punto finale testato non è lo stesso che nell'uomo e che quindi è improbabile, sulla base delle prove addotte, che il DCM sia cancerogeno. Esistono scarse prove derivanti dall'uso effettivo della sostanza. Non sono ancora stati pubblicati i risultati di due importanti studi epidemiologici su coorti esposte al DCM in altre industrie degli Stati Uniti. Le coorti nell'UE potrebbero essere state esposte ad altri agenti cancerogeni come lo stirene. L'RPA non ha presentato prove di rischi reali a questo titolo derivanti da esposizione al DCM usato nella sverniciatura. La dicitura obbligatoria R68 («possibilità di effetti irreversibili»), date le circostanze, non è certo la più utile.

5.7

È opportuno notare, inoltre, che le statistiche presentate dall'RPA sugli incidenti verificatisi nel periodo 1930-2007 dimostrano chiaramente i pericoli derivanti da sovraesposizione grave al DCM, dovuta in genere a pratiche di lavoro poco sicure. Non sono stati raccolti dati corrispondenti per processi e prodotti alternativi. È tuttavia dubbio che si possano estendere questi dati all'uso da parte di «professionisti» o «consumatori» in ambiente domestico. La segnalazione di effetti sulla salute cronici (che si manifestano nel tempo) in contesto industriale può far pensare a problemi in caso di esposizione acuta (di breve durata) da parte di consumatori, ma non è detto. Le statistiche riguardanti eventi fortuiti, e forse qui di questi si tratta, non sono altrettanto facili da estrapolare.

5.8

Gli studi hanno evidenziato anche la mancanza di limiti di esposizione occupazionale per i luoghi di lavoro validi in tutta l'UE. I limiti per una stessa sostanza (il DCM) variano notevolmente da uno Stato membro all'altro, e vi sono variazioni tra sostanze diverse (DCM e DBE o DMSO, per esempio). I produttori devono riconoscere che è loro dovere occuparsi della salute dei loro dipendenti, e perché ciò sia possibile le autorità di regolamentazione devono mettere a punto un quadro normativo coerente e basato sui dati.

5.9

A questo proposito il CESE ha preso atto in particolare delle Regole tecniche per le sostanze pericolose TRGS 612 (per alternative agli svernicianti a base di DCM) approvate dal ministero federale tedesco per il Lavoro e gli affari sociali (BMAS), versione del febbraio 2006. Queste regole, nettamente più particolareggiate dell'attuale proposta della Commissione, potrebbero rappresentare un modello da seguire per chi voglia contribuire a garantire la sicurezza sul luogo di lavoro.

5.10

Nella maggioranza dei casi è opportuno trovare risposta, nell'ordine, ai seguenti interrogativi: (a) è possibile rendere i processi più sicuri mediante sostituzione? (b) se no, perché? e (c) sono state attuate tutte le misure appropriate per rendere sicuro il luogo di lavoro? È importante riconoscere appieno non solo i benefici, ma anche i possibili rischi derivanti dall'impiego di processi e prodotti alternativi. Ci deve essere, soprattutto, una stima dei probabili risultati di qualsiasi decisione di rimuovere da un mercato una quantità significativa di un qualsivoglia materiale. Che cosa faranno realmente gli utilizzatori? Le loro scelte si tradurranno in miglioramenti della loro sicurezza personale?

5.11

A titolo di esempio, si può citare il caso di uno Stato membro che ha già vietato i prodotti a base di DCM a tutti gli utilizzatori industriali e professionali. Il divieto riguarda la vendita di prodotti contenenti DCM, non il DCM stesso. È quindi tuttora possibile realizzare un potente sverniciante mescolando il DCM con il metanolo sul luogo di utilizzo. Il prodotto che ne risulta è più economico, ma è privo degli agenti tensioattivi e dei ritardatori dell'evaporazione, che aumentano sia l'efficacia che la sicurezza dei prodotti formulati correttamente. E questo è un risultato non auspicabile.

5.12

Come hanno fatto presente l'RPA e la Commissione, le distinzioni tra le diverse categorie di utilizzatori sono difficili da giustificare o da mantenere nella pratica. L'unica differenza reale è che le operazioni intensive e continue di sverniciatura realizzate in un sito singolo richiedono grandi vasche aperte di sverniciatura con agenti chimici nei quali vengono immersi i prodotti. Le operazioni fuori sito di norma non richiedono immersione e quindi non comportano l'uso di grandi vasche aperte. I siti singoli sono disciplinati da altre direttive, come la direttiva sulle emissioni da solventi o quella sulle acque reflue, che devono essere rigorosamente applicate. Le operazioni fuori sito dipendono in maggior misura dall'attenzione e dal buon senso delle persone. Quando esiste un datore di lavoro, spetta naturalmente a quest'ultimo assicurare ai dipendenti impegnati nelle operazioni in questione il miglior ambiente di lavoro possibile.

5.13

La categoria «professionisti» dovrebbe inoltre essere divisa, separando chi sia impegnato a tempo pieno in operazioni specializzate di pulizia (eliminazione di scritte sui muri, restauro di facciate, pulizia di treni e aeroplani) da chi debba eseguire operazioni di sverniciatura solo saltuariamente, come preludio — necessario ma dispendioso in termini di tempo — a un'attività più redditizia (operai edili, imbianchini e «consumatori»). Le esigenze, le capacità e le vulnerabilità dei membri di quest'ultimo gruppo sembrano identiche e come tali dovrebbero essere trattate.

5.14

È stata infine presentata la proposta di formare e abilitare determinati operatori, quale possibile deroga che permetterebbe di trovare un compromesso tra i diversi punti di vista. È tuttavia difficile equiparare l'uso di svernicianti a base di DCM a operazioni quali la rimozione dell'amianto o lo smaltimento delle scorie nucleari, per le quali è ovviamente necessaria un'abilitazione. Visti gli elevati costi che comporta l'introduzione e il monitoraggio di questi sistemi, è difficile immaginare come questa proposta possa soddisfare le esigenze di qualcuno.

6.   Osservazioni specifiche

6.1

In considerazione di quanto fin qui osservato, il CESE non ritiene che l'attuale proposta sia proporzionata o che, di per sé, possa contribuire a ridurre il numero degli incidenti sul luogo di lavoro o altrove. Viste le divergenze di natura pratica e politica che esistono tra gli Stati membri, è opportuno prendere in considerazione e applicare quanto prima altre possibili soluzioni.

6.2

Ciò comporterebbe modifiche degli imballaggi e delle etichette degli svernicianti a base di DCM, per ridurre al minimo il rischio di infortuni e per mettere in evidenza i pericoli reali. Le vendite a chi, «professionista» o «consumatore» che sia, non esegua a tempo pieno operazioni di sverniciatura, nei siti o fuori dagli stessi, dovrebbero essere limitate a 1 litro per contenitore e per acquisto. I contenitori utilizzati dovrebbero essere dotati di chiusura a prova di bambino conforme alle definizioni dei regolamenti o delle direttive UE esistenti o nuove e/o delle norme EN-ISO 8317:2004 e 862:2005. Sarebbe utile anche un'imboccatura stretta per evitare perdite, anche se la conseguente necessità di far decantare il prodotto prima di poterlo usare con una spazzola ne limita gli effetti. Se vogliono salvaguardare questi prodotti sul lungo periodo, i produttori devono darsi da fare perché siano introdotti sistemi di applicazione nuovi e più sicuri. La vendita all'ingrosso a tutti gli altri utilizzatori per usi «industriali» o «professionali» dovrebbe riguardare quantità non inferiori ai 20 l. Produttori e fornitori devono riconoscere di avere il dovere, in questi casi, di tutelare la salute dei consumatori e di assicurarsi che siano disponibili informazioni e istruzioni sufficienti per garantire che la manipolazione e lo smaltimento avvengano sempre in condizioni di sicurezza.

6.3

Si dovrebbero sviluppare con urgenza nuovi pittogrammi e frasi «R» (rischio) ed «S» (sicurezza) per i narcotici e per mettere in guardia contro i pericoli per i bambini, a complemento di quelli già in uso. Per gli svernicianti a base di DCM (e altri prodotti con effetti simili), l'avvertenza corretta per tutti gli utilizzatori potrebbe essere: «Narcotico: alte concentrazioni provocano la perdita di conoscenza e la morte»; «Non usare in presenza di bambini o di adulti vulnerabili»; «Non usare in ambienti chiusi: i vapori pesanti possono causare asfissia». Queste indicazioni appaiono giustificate dalle prove disponibili e sono conformi alle esigenze reali. È importante che non si perdano in mezzo a molte altre avvertenze meno importanti. Un'avvertenza efficace e un pittogramma inconfondibile circa la necessità di proteggere i bambini sarebbe probabilmente più efficace di molti altri consigli complicati. L'attuale dicitura S2 («Tenere lontano dalla portata dei bambini») è, a questo fine, inadeguata.

6.4

È inoltre evidente la necessità di disporre di limiti di esposizione occupazionale validi in tutta l'UE per aumentare il livello di sicurezza sul luogo di lavoro. Potrebbe essere un utile risultato del programma REACH nei prossimi anni.

6.5

Buone pratiche di lavoro, e la rigorosa esecuzione di tutti i controlli esistenti, sono ovviamente essenziali per la gestione del rischio, sul luogo di lavoro come altrove. I produttori e i commercianti hanno la responsabilità comune di fornire consigli utili e di garantire che le raccomandazioni possano essere seguite dai consumatori e da chiunque utilizzi materiali o processi pericolosi in modo saltuario. I consigli e le attrezzature di sicurezza devono essere promossi con lo stesso entusiasmo e gli stessi incentivi dei materiali per i quali essi sono necessari.

6.6

La soluzione adottata in Germania con le regole TRGS 612 dovrebbe essere la base dei controlli a livello UE. Se necessario, si possono introdurre anche consigli tecnici aggiuntivi sulla ventilazione o sullo smaltimento dei rifiuti. Le migliori pratiche devono essere rese pubbliche e condivise.

6.7

Gli studi in corso negli Stati Uniti sugli effetti a lungo termine dell'esposizione prolungata al DCM dovrebbero concludersi quanto prima, e i relativi risultati dovrebbero essere presentati allo SCHER per valutazione. Si devono esaminare le possibilità di individuare in Europa coorti adatte a essere studiate.

6.8

Sarebbe anche opportuno realizzare una valutazione sistematica dei rischi derivanti dalla sverniciatura, per poter valutare tutti i prodotti e i processi in base agli stessi parametri. Ciò permetterebbe di avere una migliore comprensione delle loro caratteristiche relative e dei loro rischi e, alla fine, consentirebbe agli utilizzatori di fare scelte più informate sul luogo di lavoro e altrove. Nessuna di queste proposte deve però portare a ritardi nell'adozione delle misure di controllo di cui sopra.

Bruxelles, 17 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/35


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica delle direttive 68/151/CEE e 89/666/CEE del Consiglio per quanto riguarda gli obblighi di pubblicazione e di traduzione di taluni tipi di società

COM(2008) 194 def. — 2008/0083 (COD)

(2009/C 77/06)

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 23 maggio 2008, ha deciso di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica delle direttive 68/151/CEE e 89/666/CEE del Consiglio per quanto riguarda gli obblighi di pubblicazione e di traduzione di taluni tipi di società

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 21 aprile 2008, ha incaricato la sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 447a sessione plenaria del 18 settembre 2008, ha nominato relatore generale IOZIA e ha adottato il seguente parere con 72 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE approva i contenuti di questa direttiva e considera questo intervento un ulteriore passo di una strategia di semplificazione amministrativa come previsto dalla comunicazione Esame strategico del programma per legiferare meglio nell'Unione europea.

1.2

Questo fa seguito ai giudizi positivi espressi dall'Osservatorio del mercato unico del CESE che in numerosi pareri ha sempre appoggiato le iniziative di semplificazione amministrativa assunte nel campo del diritto societario. Esso ritiene che le stesse, riducendo i costi per le imprese, contribuiscono in maniera importante alla competitività delle imprese europee, quando non mettono in discussione la protezione degli interessi di altre parti interessate.

1.3

Il CESE sottolinea che la proposta in esame che riguarda modifiche alle direttive 68/151/CEE (prima direttiva sul diritto societario) e 89/666/CEE (undicesima direttiva sul diritto societario) interviene in termini di semplificazione e di riduzione degli oneri amministrativi su aspetti delicati quali quelli degli obblighi di pubblicazione e di traduzione di taluni tipi di società che spesso sono caricati di oneri sproporzionati e a volte ingiustificati.

1.4

Il CESE sostiene questi interventi proposti ed ottenuti attraverso modeste modifiche dell'acquis comunitario i quali, oltre a ridurre gli oneri amministrativi per le imprese come dimostrato nella valutazione di impatto presentata, eliminano le possibilità di costruire all'interno dell'Unione ostacoli ingiustificati alla libera circolazione di beni e servizi.

1.5

Il CESE considera quindi positivamente questi interventi e si associa al Consiglio nel sollecitare la Commissione a futuri ulteriori interventi per ridurre gli oneri ingiustificati ancora presenti in diversi settori che, senza fornire nessun valore aggiunto agli utilizzatori, gravano sulle imprese e ne riducono la capacità di risposta alle sfide poste oggi da una concorrenza globale.

1.6

Il CESE raccomanda alla Commissione di stimolare gli Stati membri a proseguire nella semplificazione degli atti amministrativi delle imprese, trasferendo su Internet tutti i dati che necessitano di pubblicizzazione ai sensi delle leggi e regolamenti vigenti.

2.   Contesto

2.1

La Commissione, dopo una serie di verifiche iniziate nel 2005, ha lanciato un programma di semplificazione legislativa per ridurre i costi ed i carichi amministrativi delle imprese derivanti dalle vigenti disposizioni legislative, partendo dalla considerazione che i costi inutili costituiscono un freno alle attività economiche della Comunità ed un danno alla competitività delle imprese.

2.2

Il 14 novembre 2006, la Commissione ha presentato una comunicazione dal titolo significativo: Legiferare meglio nell'Unione europea  (1) e un documento di lavoro: Misurazione dei costi amministrativi e riduzione degli oneri amministrativi nell'Unione europea  (2). Entrambe le iniziative mettevano in evidenza l'esigenza di perseguire concreti vantaggi economici per le imprese, quando tale semplificazione sia possibile senza effetti negativi sulle parti utilizzatrici di queste informazioni.

2.3

Tale orientamento strategico è stato successivamente rafforzato da un programma di azione del marzo 2007 per la riduzione degli oneri amministrativi (3), non ancora pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, che fissa l'obiettivo della riduzione del 25 % di tali costi entro il 2012.

2.4

Nel marzo del 2007 sono state adottate con procedura accelerata un certo numero di proposte che perseguono una riduzione dei carichi amministrativi ed il 10 luglio 2007 la Commissione ha presentato una comunicazione contenente le proprie proposte di semplificazione in materia di diritto societario, contabilità e revisione contabile (4).

2.5

Nel corso della riunione del 13-14 marzo 2008, il Consiglio europeo ha successivamente invitato la Commissione a proseguire sulla stessa strada individuando nuove proposte di riduzione (5).

2.6

In questo quadro si colloca la proposta di direttiva in esame che riguarda gli obblighi di pubblicazione e di traduzione nell'ambito del diritto societario, prevedendo la riduzione e/o l'eliminazione dell'obbligo di quelle informazioni che non offrono un valore aggiunto per gli utilizzatori.

3.   La proposta della Commissione

3.1

La direttiva in esame, secondo la Commissione, persegue l'obiettivo di rafforzare la competitività delle società europee attraverso la riduzione e/o l'eliminazione degli obblighi amministrativi presenti nelle vigenti disposizioni che non rispondono alle esigenze degli utilizzatori di tali informazioni e che invece costituiscono un elemento di inutili costi supplementari per le imprese.

3.2

Essa interviene in materia attraverso una modifica delle direttive 68/151/CEE (prima direttiva) e della direttiva 89/666/CEE (undicesima direttiva), per quanto riguarda l'obbligo di pubblicazione e di traduzione nella costituzione di alcune forme di società.

3.3

Per quanto riguarda la prima direttiva, essa fissa una nuovo obbligo minimo rispetto a quanto previsto oggi dall'articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 68/151/CEE sul diritto di società. L'articolo modificato tende all'eliminazione di alcuni degli attuali obblighi di pubblicazione sui bollettini nazionali di informazioni relative alla costituzione di società e alla pubblicazione dei conti annuali che, secondo la vigente legislazione, devono essere pubblicate ogni anno.

3.4

Tale semplificazione non presenta alcuna riduzione del valore aggiunto per gli utilizzatori soprattutto in un'epoca nella quale le informazioni di registro del commercio, per le quali gli Stati membri devono garantire l'accesso alle informazioni necessarie, sono accessibili in rete attraverso un uso sempre più generalizzato dei mezzi elettronici.

3.5

Gli Stati membri sono tenuti a prevedere un accesso elettronico alle informazioni in ordine cronologico e conservano la facoltà di prescrivere modalità aggiuntive solo quando esse non comportino alcun costo aggiuntivo a carico delle società.

3.6

Per quanto riguarda la direttiva 89/666/CEE (undicesima direttiva) sui diritti di società, viene modificata la prassi in atto che impone la traduzione di tutti i documenti che figurano nel proprio dossier anche quando una società registra una nuova succursale.

3.7

L'articolo 4 della nuova direttiva ritiene necessaria la pubblicazione dei documenti in una lingua ufficiale della Comunità e considera sufficiente che tale traduzione sia certificata secondo una procedura riconosciuta dalle autorità di qualsiasi Stato membro. Tale attestazione deve essere accettata da tutti gli Stati membri che non possono imporre altre obbligazioni formali al di fuori di quanto previsto ai paragrafi 1 e 2, raggiungendo l'obiettivo di ridurre al minimo necessario i costi della traduzione e della certificazione.

3.8

La base giuridica della nuova direttiva non viene modificata rispetto alle precedenti e rimane quindi l'articolo 44, paragrafo 2, lettera g) del Trattato, e inoltre la Commissione ritiene che i principi di sussidiarietà e di proporzionalità sono rispettati e giustificati.

3.9

La Commissione indica che le modifiche previste e l'analisi d'impatto hanno superato con consenso il vaglio di una larghissima rappresentanza delle parti interessate (110 parti provenienti da 22 Stati membri). Tali risultati positivi sono pubblicati sul sito web della direzione generale Mercato interno e servizi (DG MARKT).

3.10

I risparmi calcolati dalla Commissione nello studio di impatto dovrebbero ammontare a circa 410 Mio EUR all'anno per la pubblicazione dei conti annuali e circa 200 Mio EUR all'anno per la pubblicazione delle modifiche inserite nei registri. I costi che si dovrebbero risparmiare per le traduzioni e le certificazioni ammontano a circa 22 Mio EUR.

4.   Osservazioni generali

4.1

Il CESE, in numerosi pareri nell'ambito dell'Osservatorio del mercato unico, ha espresso il proprio positivo sostegno alla semplificazione amministrativa nel quadro dell'iniziativa Esame strategico del programma per legiferare meglio nell'Unione europea.

4.2

I pareri del Comitato sostengono pienamente tale programma che contribuisce in maniera concreta all'aumento della competitività delle imprese europee riducendo i costi per le imprese che, nel settore del diritto societario, in larga misura appaiono superati ed eccessivi, senza che gli interventi proposti mettano in discussione la protezione degli interessi delle altre parti interessate.

4.3

Il CESE sottolinea che questo programma, intervenendo in settori delicati come quelli degli obblighi di pubblicazione e di traduzione, non solo diminuisce in maniera consistente i costi come dimostrato nella valutazione di impatto, ma aumenta la credibilità della dimensione europea eliminando, là dove possano nascere, ogni tentazione di costruire al proprio interno ostacoli artificiosi ed ingiustificati alle regole della libera circolazione di beni e servizi.

4.4

Esso prende atto che le iniziative finora avviate vengono assunte dopo un'attenta valutazione degli obiettivi perseguiti, dedicando un'attenta valutazione ai principi fondamentali della sussidiarietà e della proporzionalità, e dopo approfondita consultazione di tutte le parti interessate.

4.5

Il CESE quindi approva i contenuti di questa direttiva che considera un passo apprezzabile di una strategia generale e si associa pienamente al Consiglio nel sollecitare la Commissione a intervenire in ulteriori settori e in altre materie nelle quali la prassi della semplificazione appare essere un passo necessario per ridurre i numerosi obblighi ancora gravanti sulle società.

Bruxelles, 18 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Esame strategico del programma per legiferare meglio nell'Unione europea (COM(2006) 689 def., GU C 78 dell'11.4.2007, pag. 9).

(2)  Misurazione dei costi amministrativi e riduzione degli oneri amministrativi nell'Unione europea (COM(2006) 691 def.).

(3)  Programma d'azione per la riduzione degli oneri amministrativi nell'Unione europea (COM(2007) 23 def.).

(4)  Semplificazione del contesto in cui operano le imprese in materia di diritto societario, contabilità e revisione contabile (COM(2007) 394 def.).

(5)  Presidenza del Consiglio europeo di Bruxelles del 13 e 14 marzo 2008 (doc. 7652/08, concl. 1.).


31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/37


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE per quanto riguarda taluni obblighi di comunicazione a carico delle medie imprese e l'obbligo di redigere conti consolidati

COM(2008) 195 def. — 2008/0084 (COD)

(2009/C 77/07)

Il Consiglio, in data 23 maggio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 44, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE per quanto riguarda taluni obblighi di comunicazione a carico delle medie imprese e l'obbligo di redigere conti consolidati

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 21 aprile 2008, ha incaricato la sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo di preparare i lavori del Comitato in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, conformemente all'articolo 20 e all'articolo 57, paragrafo 1, del Regolamento interno, il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha nominato relatore generale CAPPELLINI e adottato il seguente parere con 59 voti favorevoli, e 1 voto contrario.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato accoglie con favore la proposta di estendere alle imprese di medie dimensioni le esenzioni previste per le piccole imprese dalla quarta direttiva sul diritto societario: tale estensione, infatti, consentirebbe di ridurre gli oneri di informativa finanziaria a carico delle medie imprese.

1.2

Il Comitato accoglie inoltre con favore le modifiche proposte alla settima direttiva sul diritto societario: queste, infatti, si limitano a chiarire l'interazione tra le norme sul consolidamento previste in tale direttiva e i principi internazionali di informativa finanziaria (International Financial Reporting Standards — IFRS).

1.3

Il Comitato manifesta poi un particolare apprezzamento per il fatto che l'obiettivo della semplificazione degli obblighi di informativa finanziaria sia stato rispettato senza alcuna perdita significativa di informazioni per quanti utilizzano i conti delle imprese, e sostanzialmente senza alcuna conseguenza per le altre parti interessate. La semplificazione proposta, infatti, si basa sulle esigenze delle piccole e medie imprese (PMI) e degli utilizzatori di informazioni finanziarie.

1.4

Ad oggi, peraltro, gli studi effettuati e le prove disponibili non sono ancora sufficienti per determinare le esigenze degli utilizzatori, le quali possono variare da uno Stato membro all'altro. Prima di apportare ulteriori modifiche agli obblighi finanziari a carico delle PMI, occorrerebbe infatti esaminare le posizioni attuali degli Stati membri in termini di ricorso alle opzioni previste dalla quarta e dalla settima direttiva. Una siffatta indagine dovrebbe prendere in esame (a) l'effettivo ricorso alle opzioni oggi disponibili da parte degli Stati membri, (b) i motivi addotti da questi ultimi per spiegare tale scelta e (c) i risultati così ottenuti dagli Stati membri in termini di conseguimento dei loro obiettivi.

1.5

Il Comitato raccomanda quindi di intraprendere degli studi in tal senso: questi dovrebbero poi servire da base per formulare proposte razionali ai fini della politica futura in questo campo.

1.6

Gli obblighi contabili hanno formato oggetto di una delle prime armonizzazioni legislative a livello europeo. Il Comitato rammenta che essi costituiscono uno strumento fondamentale per il completamento del mercato interno e sottolinea l'importanza dell'armonizzazione per garantire condizioni eque di concorrenza nell'Unione europea.

1.7

All'interno dell'UE si registra un aumento degli scambi transfrontalieri delle PMI. Vi sono forti argomenti, dunque, a favore di una maggiore armonizzazione dei quadri normativi in materia di informative finanziarie che (a) sostenga la crescita di tali scambi e (b) crei condizioni eque di concorrenza.

2.   Contesto

2.1

Nelle sue conclusioni il Consiglio europeo dell'8 e 9 marzo 2007 ha evidenziato l'importanza della riduzione degli oneri amministrativi per stimolare l'economia europea, specialmente in considerazione dei benefici per le PMI.

2.2

Esso ha evidenziato la necessità di un forte sforzo congiunto dell'Unione europea e degli Stati membri per ridurre gli oneri amministrativi all'interno dell'UE semplificando le regole contabili cui sono soggette le PMI. La base giuridica di tali misure sarebbe l'articolo 44, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea (1).

2.3

La contabilità e la revisione contabile sono state individuate come settori in cui ridurre gli oneri amministrativi che gravano sulle imprese nella Comunità (2).

2.4

Un'attenzione speciale è stata dedicata alla ricerca di soluzioni per alleviare ulteriormente gli oneri in materia di informativa finanziaria a carico delle PMI.

2.5

In passato è stato introdotto un certo numero di modifiche per permettere alle imprese che rientrano nell'ambito di applicazione delle direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE di utilizzare metodologie contabili conformi agli IFRS.

2.6

Conformemente al regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 luglio 2002, relativo all'applicazione di principi contabili internazionali (3), le società i cui titoli sono ammessi alla negoziazione su un mercato regolamentato di uno Stato membro sono tenute a redigere i loro conti consolidati secondo gli IFRS e sono pertanto esentate dalla maggior parte degli obblighi di cui alle direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE. Dette direttive, tuttavia, costituiscono ancora la base della contabilità delle PMI della Comunità.

2.7

Le PMI sono spesso soggette alle stesse norme che si applicano alle imprese più grandi, ma le loro specifiche esigenze in materia contabile sono state raramente analizzate. In particolare, le PMI sono preoccupate del crescente numero di obblighi di comunicazione. La moltiplicazione delle norme in materia di informativa finanziaria crea oneri finanziari e può ostacolare l'utilizzo efficiente dei capitali a fini produttivi.

2.8

L'applicazione del regolamento (CE) n. 1606/2002 ha anche messo in rilievo la necessità di chiarire il legame tra le norme contabili enunciate dalla direttiva 83/349/CEE e gli IFRS.

2.9

Quando le spese di impianto e di ampliamento possono essere iscritte all'attivo, l'articolo 34, paragrafo 2, della direttiva 78/660/CEE prescrive che siano commentate nell'allegato.

2.10

Le piccole imprese possono essere esonerate dall'obbligo di comunicazione conformemente all'articolo 44, paragrafo 2, della stessa direttiva. Per ridurre gli oneri amministrativi inutili, dovrebbe essere possibile esentare dall'obbligo di comunicazione anche le medie imprese.

2.11

La direttiva 78/660/CEE impone la pubblicazione del fatturato ripartito per categorie di attività e per mercati geografici. Sebbene tutte le imprese siano soggette all'obbligo, le piccole imprese possono esserne esentate a norma dell'articolo 44, paragrafo 2, della direttiva. Per ridurre gli oneri amministrativi inutili, dovrebbe essere possibile esentare dall'obbligo di comunicazione anche le medie imprese.

2.12

La direttiva 83/349/CEE impone alle imprese madri di redigere conti consolidati anche se l'unica impresa figlia o tutte le imprese figlie nel loro insieme presentano un interesse irrilevante ai fini dell'articolo 16, paragrafo 3, della stessa direttiva. Pertanto dette imprese rientrano nell'ambito di applicazione del regolamento (CE) n. 1606/2002 e sono tenute a redigere bilanci consolidati secondo gli IFRS. Questo obbligo è considerato oneroso nel caso delle imprese madri che abbiano solo imprese figlie che presentano un interesse irrilevante.

2.13

Pertanto, deve essere possibile esentare un'impresa madre dall'obbligo di redigere conti consolidati e la relazione consolidata sulla gestione qualora essa abbia solo imprese figlie che presentino un interesse irrilevante, sia individualmente che nel loro insieme.

2.14

Poiché gli obiettivi della presente direttiva, vale a dire ridurre gli oneri amministrativi dovuti al rispetto, da parte delle medie imprese, di taluni obblighi di comunicazione e al rispetto, da parte di talune società della Comunità, dell'obbligo di redigere conti consolidati, non possono essere realizzati in misura sufficiente dagli Stati membri e possono dunque, viste le dimensioni e gli effetti dell'azione, essere realizzati meglio a livello comunitario, la Comunità può intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall'articolo 5 del Trattato.

2.15

La presente direttiva si limita a quanto necessario per raggiungere tali obiettivi, in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo.

2.16

Occorre pertanto modificare di conseguenza la direttiva 78/660/CEE e la direttiva 83/349/CEE.

3.   Osservazioni generali

3.1

Le modifiche alla direttiva 78/660/CEE (quarta direttiva sul diritto societario) (4) mirano a semplificare l'informativa finanziaria per le medie imprese (5) e a liberare queste ultime dall'onere dell'informativa finanziaria nel breve periodo. Esse dovrebbero consentire una riduzione degli oneri amministrativi senza perdita delle informazioni pertinenti.

3.2

Le modifiche alla direttiva 83/349/CEE (settima direttiva sul diritto societario) (6) intendono chiarire l'interazione tra le norme sul consolidamento della direttiva stessa e gli IFRS.

3.3   Consultazione e valutazione d'impatto

3.3.1

Il dibattito in merito a una riduzione significativa degli oneri normativi a carico delle PMI nel quadro della quarta e della settima direttiva sul diritto societario è stato lanciato con buon anticipo dalla Commissione contestualmente al processo di consultazione, tenendo conto dell'obiettivo di far prosperare le PMI nel mercato unico europeo. Il problema degli oneri normativi a carico delle PMI deriva sistematicamente dal fatto che si tratta di norme originariamente concepite per le grandi imprese. Queste norme, oltre a non essere necessariamente pertinenti per le PMI, spesso impongono loro considerevoli gravami amministrativi e finanziari.

3.4   Semplificazione in base alle esigenze delle PMI e degli utilizzatori delle informazioni finanziarie

3.4.1

È importante che le discussioni si concentrino non solo sulla «semplificazione» degli obblighi di informativa finanziaria, ma anche sulla «pertinenza» di questi ultimi per le PMI — rispetto alle grandi società quotate in borsa. Il dibattito sulla semplificazione è infatti tendenzialmente incentrato sui costi, mentre il dibattito sulla pertinenza verte sui benefici dell'informativa finanziaria e sulle esigenze di specifici utilizzatori.

3.4.2

La semplificazione della direttiva contabile deve partire dalle esigenze reali delle PMI e di quanti utilizzano i loro conti. Affinché le relazioni finanziarie siano utili e pertinenti, lo studio delle esigenze dei molteplici utilizzatori (istituzioni finanziarie, ai fini del rating; autorità pubbliche, ai fini dell'imposizione fiscale e della lotta al riciclaggio, ecc.) è determinante per l'elaborazione di un quadro europeo dell'informativa finanziaria per le PMI.

3.4.3

È inoltre importante ricordare che le PMI stesse sono grandi utilizzatrici delle informazioni finanziarie, ad esempio in quanto fornitori e parti contraenti nei confronti di altre PMI, in situazioni in cui è importante valutare la capacità creditizia.

3.4.4

Nel contesto della «semplificazione» delle norme contabili a carico delle PMI, è importante eseguire valutazioni di impatto rigorose, che comprendano anche un'analisi dei benefici dell'informativa finanziaria nonché dei costi/oneri amministrativi. Tali valutazioni d'impatto dovrebbero tener conto delle ragioni che hanno portato inizialmente ad imporre gli obblighi di informativa finanziaria nonché degli interessi (ad esempio alla trasparenza) delle parti interessate che si volevano tutelare.

3.5   Armonizzazione in vista della creazione di condizioni di concorrenza eque nell'UE

3.5.1

Le attività commerciali transfrontaliere svolte dalle PMI all'interno dell'UE sono in aumento (7). Ci sono perciò validi motivi per procedere verso l'armonizzazione dei quadri relativi all'informativa finanziaria ed elaborare norme che (a) promuovano l'espansione di questo settore e (b) creino condizioni di concorrenza eque. A questo fine potrebbe essere necessario ridurre le opzioni disponibili e procedere verso la massima armonizzazione, ad esempio nel settore della pubblicazione delle informazioni finanziarie e dell'accesso pubblico a tali informazioni.

3.6   I principi contabili internazionali non devono essere obbligatori per le PMI

3.6.1

Il progetto dell'Organismo internazionale di normalizzazione contabile (International Accounting Standards Board — IASB) per le PMI è la risposta alla richiesta, avanzata da organismi di normazione, esperti contabili e altre parti interessate, di un'alternativa all'applicazione integrale degli IFRS. Benché inizialmente restio a farsi carico del progetto, lo IASB si è persuaso che la maggioranza delle parti interessate voleva portarlo avanti. Si è inoltre persuaso di essere il solo organismo dotato della credibilità e dell'autorità necessaria per stabilire principi contabili di qualità effettivamente applicabili. Il punto di partenza di questo progetto è stato tuttavia l'insieme completo degli IFRS messi a punto per le società quotate in borsa.

3.6.2

Tale insieme di principi è stato sviluppato in funzione dell'uso che viene fatto della normativa finanziaria da parte delle società quotate in borsa e dalle parti interessate. Come già detto sopra, l'uso dell'informativa finanziaria da parte delle PMI è più spesso di tipo interno e informale (rispetto a fornitori, parti contraenti, istituzioni finanziarie, ecc.), anziché determinato da un obbligo giuridico o di altro tipo di rendere conto a una vasta gamma di utilizzatori.

3.6.3

L'applicazione obbligatoria degli IFRS, o di un diverso insieme di nuove norme basate su quelle messe a punto per le società quotate in borsa, imporrebbe alle PMI oneri amministrativi consistenti e costi finanziari probabilmente superiori agli eventuali effetti positivi. Lo stretto legame tra conti annuali e dichiarazioni fiscali costringerebbe inoltre le PMI che operano in Stati membri a tenere due tipi di relazioni finanziarie, cosa che andrebbe ad aggravare l'onere amministrativo.

3.7   Semplificazione delle direttive

3.7.1

Per quanto riguarda le opzioni di semplificazione delle direttive contabili a favore delle PMI basate essenzialmente sull'ampliamento delle opzioni già previste per le PMI nel quadro delle direttive attuali, è importante esaminare il funzionamento di tali opzioni negli Stati membri prima di introdurre nuove direttive. Il Comitato raccomanda inoltre di applicare sistematicamente e a tutti i livelli il principio dell'only once  (8).

3.7.2

Prima di modificare ulteriormente gli obblighi di informativa finanziaria a carico delle PMI, andrebbe considerata la situazione attuale in termini di applicazione delle opzioni previste dalla quarta e dalla settima direttiva sul diritto societario. L'indagine dovrebbe esaminare (a) l'uso delle opzioni esistenti, (b) i motivi addotti dagli Stati membri per giustificare le opzioni scelte e (c) i successi da loro ottenuti nel conseguimento dei loro obiettivi.

3.7.3

Uno dei grandi problemi della situazione attuale deriva dall'adozione di un approccio «dall'alto verso il basso» che (a) si traduce in oneri amministrativi a carico delle PMI e (b) riduce la pertinenza del quadro e dei principi contabili finanziari per tali organismi. In un futuro riesame dell'informativa finanziaria nell'UE sarà opportuno affrontare questo problema con un approccio «dal basso verso l'alto», incentrato sulle esigenze delle PMI e delle altre parti interessate e basato sull'esame dei bisogni degli utilizzatori, come proposto sopra.

Bruxelles, 18 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  GU C 325 del 24.12.2002, pag. 35.

(2)  Progetto UE relativo alla misurazione di riferimento e alla riduzione dei costi amministrativi, seconda relazione intermedia, 15 gennaio 2008, pag. 37. Ad oggi la relazione finale non è ancora stata pubblicata (cfr. la nota 6 al documento COM(2008) 195 def.).

(3)  GU L 243 dell'11.9.2002, pag. 1.

(4)  GU L 222 del 14.8.1978, pag. 11. Direttiva modificata da ultimo dalla direttiva 2006/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 224 del 16.8.2006, pag. 1).

(5)  Quali definite dall'articolo 27 della quarta direttiva sul diritto societario.

(6)  GU L 193 del 18.7.1983, pag. 1. Direttiva modificata da ultimo dalla direttiva 2006/99/CE del Consiglio (GU L 363 del 20.12.2006, pag. 137).

(7)  Cfr. i pareri del CESE sull'importanza del mercato interno:

parere CESE 952/2006 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniAttuazione del programma comunitario di Lisbona: Una strategia per la semplificazione del contesto normativo (INT/296) (GU C 309 del 16.12.2006, pag. 18),

parere esplorativo CESE 89/2007 sul tema Riesame del mercato unico (INT/332) (GU C 93 del 27.4.2007, pag. 25),

parere esplorativo CESE 1187/2008 sul tema Le diverse misure politiche, al di là di finanziamenti adeguati, atte a contribuire alla crescita e allo sviluppo delle piccole e medie imprese (INT/390) (non ancora pubblicato nella GU),

parere esplorativo CESE 979/2008 sul tema Gli appalti pubblici internazionali (INT/394) (non ancora pubblicato nella GU).

(8)  Parere esplorativo CESE 1187/2008 (INT/390), cit. Il principio dell'only once significa che le imprese non dovrebbero essere tenuta a fornire nuovamente le informazioni già ottenute dalle autorità attraverso altri canali a qualsiasi livello (europeo, nazionale, regionale e locale).


31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/41


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle iscrizioni regolamentari dei veicoli a motore a due o tre ruote (versione codificata)

COM(2008) 318 def. — 2008/0099 (COD)

(2009/C 77/08)

Il Consiglio, in data 18 giugno 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle iscrizioni regolamentari dei veicoli a motore a due o tre ruote (versione codificata)

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede commenti da parte sua, il Comitato, in data 17 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha deciso all'unanimità di esprimere parere favorevole al testo proposto.

 

Bruxelles, 17 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/41


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al sedile del conducente dei trattori agricoli o forestali a ruote (versione codificata)

COM(2008) 351 def. — 2008/0115 (COD)

(2009/C 77/09)

Il Consiglio, in data 7 luglio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al sedile del conducente dei trattori agricoli o forestali a ruote (versione codificata)

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede commenti da parte sua, il Comitato, in data 17 settembre 2008 nel corso della 447a sessione plenaria, ha deciso all'unanimità di esprimere parere favorevole al testo proposto.

 

Bruxelles, 17 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/42


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di diritto delle società relativa alle società a responsabilità limitata con un unico socio (versione codificata)

COM(2008) 344 def. — 2008/0109 (COD)

(2009/C 77/10)

Il Consiglio, in data 7 luglio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 44 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di diritto delle società relativa alle società a responsabilità limitata con un unico socio (versione codificata)

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede commenti da parte sua, il Comitato, in data 17 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha deciso all'unanimità di esprimere parere favorevole al testo proposto.

 

Bruxelles, 17 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/42


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento (CE) n. …/… del Parlamento europeo e del Consiglio sul certificato protettivo complementare per i medicinali (versione codificata)

COM(2008) 369 def. — 2008/0126 (COD)

(2009/C 77/11)

Il Consiglio, in data 7 luglio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento (CE) n. …/…. del Parlamento europeo e del Consiglio sul certificato protettivo complementare per i medicinali (versione codificata)

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede commenti da parte sua, il Comitato, in data 17 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha deciso all'unanimità di esprimere parere favorevole al testo proposto.

 

Bruxelles, 17 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


31.3.2009   

IT

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C 77/43


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili

COM(2008) 19 def. — 2008/0016 (COD)

(2009/C 77/12)

Il Consiglio, in data 3 marzo 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 175, paragrafo 1, e dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 16 luglio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore RIBBE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 105 voti favorevoli, 38 voti contrari e 10 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE ha accolto favorevolmente i piani per il clima 2007 del Consiglio europeo, che saranno attuati anche attraverso la direttiva all'esame.

1.2

Il Comitato approva espressamente l'affermazione della Commissione secondo cui l'auspicato sviluppo delle energie rinnovabili (in appresso abbreviate «ER») non è solo opportuno dal punto di vista della politica climatica ma ha/può avere altresì un chiaro impatto positivo sull'approvvigionamento energetico, sulle possibilità di sviluppo a livello regionale e locale, sullo sviluppo rurale, sul potenziale di esportazione, sulla coesione sociale e sulla creazione di posti di lavoro specialmente per quanto riguarda le piccole e medie imprese e i produttori indipendenti di elettricità.

1.3

Pertanto, il CESE approva la proposta di direttiva e l'obiettivo di una quota del 20 % di energie rinnovabili. In tali energie esso ravvisa non solo un contributo alla protezione del clima, ma anche un giusto obiettivo strategico di politica energetica, che porterà a una maggiore autosufficienza energetica e quindi a una maggiore sicurezza di approvvigionamento.

1.4

L'obiettivo del «20 % di CO2 in meno entro il 2020», che andrà realizzato mediante altre direttive (1), e quello del «20 % di energia finale prodotta a partire da fonti rinnovabili» su cui verte il presente parere sono strettamente correlati e si integrano a vicenda. Vanno però considerati indipendentemente l'uno dall'altro, tanto più che alcune delle ER non hanno sempre necessariamente effetti decisamente positivi sul clima (cfr. il punto 6 relativo agli agrocarburanti).

1.5

Dato che l'adeguamento del nostro sistema energetico, ritenuto necessario, comporterà costi di investimento elevati, è opportuno garantire agli Stati membri un alto grado di flessibilità in modo che possano agire sempre nei casi in cui, con il minimo costo, si può ottenere il massimo vantaggio in termini di protezione climatica e creazione di posti di lavoro.

1.6

Il CESE precisa di essere decisamente favorevole allo sviluppo delle ER e di essere consapevole del fatto che, per raggiungere gli ambiziosi obiettivi del Consiglio (riduzione delle emissioni di CO2 del 60-80 % e maggiore autosufficienza energetica), a medio e lungo termine sarà necessaria una quota molto più elevata di quella del 20 % prevista per il 2020.

1.7

Il Comitato osserva che la scelta strategica di sostituire in parte il gasolio per autotrazione o la benzina con agrocarburanti costituisce inoltre una delle misure meno efficaci e più costose per la prevenzione dei cambiamenti climatici, e comporta un'allocazione estremamente erronea delle risorse. Il Comitato non comprende perché proprio le misure più dispendiose debbano essere anche quelle che ricevono il massimo sostegno politico, tanto più che una lunga serie di domande di natura non solo economica, ma anche ecologica e sociale rimane senza alcuna risposta (cfr. punto 6). Respinge pertanto l'obiettivo specifico del 10 % per gli agrocarburanti.

1.8

Il Comitato approva l'iniziativa dell'UE di introdurre criteri di sostenibilità per gli agrocarburanti. Tuttavia, i criteri ecologici formulati nella proposta non sono abbastanza ambiziosi e le questioni sociali vengono totalmente ignorate. Su questo aspetto, dunque, la proposta di direttiva si rivela totalmente inadeguata (2).

2.   Introduzione

2.1

La proposta definisce gli obiettivi vincolanti di sviluppo delle ER. Per il 2020 sono programmati una quota complessiva di energie rinnovabili del 20 % sul consumo energetico finale nell'UE e un obiettivo minimo obbligatorio del 10 % per la quota di biocarburanti (3) nei trasporti, che ogni Stato membro dovrà conseguire (4).

2.2

Per realizzare l'obiettivo europeo del 20 % andranno attuati gli obiettivi nazionali obbligatori che figurano nell'allegato I, parte A. Nel quadro di appositi piani di azione nazionali, gli Stati membri dovranno stabilire obiettivi per la quota di energia da fonti rinnovabili nel settore dei trasporti/degli agrocarburanti, dell'elettricità e del riscaldamento e raffreddamento, e le misure da adottare per raggiungere detti obiettivi.

2.3

La proposta in esame si basa sulle decisioni del Consiglio europeo di primavera del 2007. Essa viene motivata con l'argomento che l'impiego di energie rinnovabili permette di contrastare il cambiamento climatico. Nella proposta, però, si afferma anche che «il settore delle energie rinnovabili si contraddistingue per la sua capacità di […] utilizzare le fonti energetiche locali e decentrate e di stimolare le imprese ad alta tecnologia di livello mondiale».

2.4

A giudizio della Commissione «le fonti energetiche rinnovabili sono in gran parte fonti interne, non dipendono dalla disponibilità futura di fonti energetiche convenzionali e la loro natura per lo più decentralizzata diminuisce la vulnerabilità delle nostre economie alla volatilità dell'approvvigionamento energetico». Quindi la Commissione vede nella sicurezza di approvvigionamento un ulteriore, importante argomento a favore delle energie rinnovabili, accanto alla prevenzione del cambiamento climatico e al progresso dell'innovazione e dell'economia.

2.5

La Commissione afferma quanto segue: «lo sviluppo del mercato delle fonti energetiche rinnovabili e delle relative tecnologie ha altresì un chiaro impatto positivo sull'approvvigionamento energetico, sulle possibilità di sviluppo a livello regionale e locale, sullo sviluppo rurale, sul potenziale di esportazione, sulla coesione sociale e sulla creazione di posti di lavoro specialmente per quanto riguarda le piccole e medie imprese e i produttori indipendenti di elettricità».

2.6

Il documento non si limita a definire gli obiettivi quantitativi di cui sopra, ma disciplina tra l'altro anche:

il metodo di calcolo della quota di energia da fonti rinnovabili (articolo 5), comprese le importazioni,

la garanzia di origine (articoli da 6 a 10),

l'accesso alla rete elettrica (articolo 14),

i criteri di sostenibilità ambientale degli agrocarburanti e i loro effetti sul clima (articolo 15 e segg.),

i regimi nazionali di sostegno, nell'ottica di prevenire le distorsioni della concorrenza.

2.7

Una volta approvata, la nuova direttiva abrogherà la direttiva 2001/77/CE sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità, che fissa l'attuale obiettivo di portare al 21 % entro il 2010 la quota di elettricità da fonti rinnovabili sul consumo totale di elettricità, e la direttiva 2003/30/CE sulla promozione dell'uso dei biocarburanti o di altri carburanti rinnovabili nei trasporti, che stabilisce che la quota di tali carburanti dovrà raggiungere il 5,75 % entro il 2010.

3.   Osservazioni generali sugli obiettivi principali e sugli obiettivi di protezione climatica fissati dalla direttiva

3.1

Nel 2007, il Consiglio europeo ha ribadito «che gli impegni in materia di riduzione delle emissioni assolute sono la spina dorsale di un mercato globale del carbonio. I paesi sviluppati dovrebbero mantenere un ruolo guida impegnandosi a ridurre collettivamente le loro emissioni di gas ad effetto serra dell'ordine del 30 % entro il 2020 rispetto al 1990, anche nella prospettiva di ridurre collettivamente le emissioni del 60 %-80 % entro il 2050 rispetto al 1990».

3.2

La proposta di direttiva in oggetto è un elemento dell'attuazione di detto proposito. Il CESE ha accolto con compiacimento le decisioni del Consiglio europeo in materia di cambiamento climatico e ha sottolineato che il risparmio e l'efficienza energetica devono avere la massima priorità. Non esistono alternative ad un forte sviluppo delle ER, opportuno non solo sul piano della protezione climatica ma anche in vista della prevedibile penuria di combustibili fossili a medio e lungo termine. Il rapido aumento dei prezzi registrato attualmente per le energie fossili contribuirà a far sì che molte ER raggiungano più rapidamente la convenienza economica.

3.3

Il Comitato apprezza esplicitamente che nella relazione la Commissione, invece di limitarsi a considerare gli aspetti legati al clima, annetta grande importanza anche alle questioni attinenti alla sicurezza di approvvigionamento e all'occupazione. Sottolinea infatti in più occasioni l'importanza che le strutture decentrate di approvvigionamento possono avere, ad esempio, per la forza dell'economia regionale e per le aree rurali (punti 2.4 e 2.5). Pur condividendo pienamente questa concezione, il Comitato considera indispensabile differenziare in misura ben maggiore le varie strategie dell'UE proprio sotto tali aspetti.

3.4

Il CESE condivide l'opinione della Commissione secondo cui un ruolo di leader nell'ambito dello sviluppo e dell'applicazione delle ER avrà effetti positivi per l'Europa non solo sotto il profilo della politica climatica ma anche perché potrebbe in futuro procurare al sistema produttivo europeo vantaggi concorrenziali. La proposta di direttiva è un chiaro segnale di politica energetica, ambientale e industriale che, in vista degli imminenti negoziati mondiali sul clima, viene lanciato anche a tutta la comunità internazionale.

3.5

La cosiddetta «ripartizione degli oneri», vale a dire i contributi nazionali all'obiettivo europeo di riduzione complessiva del CO2 del 20 %, è fissata nella Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio concernente gli sforzi degli Stati membri per ridurre le emissioni dei gas ad effetto serra al fine di adempiere agli impegni della Comunità in materia di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra entro il 2020 (COM(2008) 17 def.) e nella Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2003/87/CE al fine di perfezionare ed estendere il sistema comunitario di scambio delle quote di emissione dei gas a effetto serra (COM(2008) 16 def.).

3.6

Il CESE giudica l'obiettivo di una quota di energie rinnovabili pari al 20 % entro il 2020 politicamente e strategicamente opportuno nonché tecnicamente ed economicamente realizzabile. Si delinea quindi il passaggio a una politica energetica «post-fossile». Il Comitato ritiene che anche gli specifici obiettivi nazionali siano attuabili, tanto più che agli Stati membri verranno sicuramente offerte possibilità flessibili (acquisto supplementare, partecipazione a progetti ecc.). È ovvio che l'adeguamento del sistema energetico avrà necessariamente un costo e non potrà essere realizzato senza mutamenti strutturali. Occorre investire non solo negli impianti di generazione elettrica da fonti rinnovabili, ma anche nelle tecnologie e nelle capacità di stoccaggio dell'energia per compensare le variazioni della produzione dovute all'insufficienza della forza del vento o dell'insolazione, nonché nell'espansione delle linee di trasmissione dell'energia tra Stati membri dell'UE. Se si mette l'accento esclusivamente sulla generazione di energia, non si otterranno i risultati voluti.

3.7

La Germania, ad esempio, promuove la produzione di energia da fonti rinnovabili attraverso una legge concernente l'alimentazione delle reti di energia. La quota di elettricità prodotta in maniera ecologica è attualmente del 15 % mentre i costi aggiuntivi, sostenuti dagli utenti mediante tariffe di alimentazione più elevate, ammontano a circa 3,5 miliardi di euro l'anno. Questo però non tiene conto dei vantaggi economici sotto forma di nuovi posti di lavoro, danni ambientali evitati e aumento del gettito fiscale.

3.8

Per contenere al massimo i costi di realizzazione degli obiettivi, la direttiva prevede che gli obiettivi specifici nazionali possano essere conseguiti anche sostenendo misure per lo sviluppo delle ER in altri paesi. È anche possibile importare elettricità da fonti rinnovabili con garanzia di origine. Il CESE reputa che in linea di principio si tratti di una lodevole iniziativa. Tuttavia è anche d'accordo con gli Stati membri che chiedono che questo commercio sia soggetto ad autorizzazione preliminare per poter evitare che la promozione di energia da fonti rinnovabili finanziata da un paese (5) venga usata per conseguire un risparmio di costi in un altro Stato.

4.   Limitazione della flessibilità nello sviluppo delle ER

4.1

Il CESE ritiene corretta l'impostazione scelta dalla Commissione: definire un obiettivo comune per i tre settori in cui le energie rinnovabili svolgeranno un ruolo importante, cioè: elettricità, riscaldamento e raffreddamento, trasporti, e non tre obiettivi separati. Questa impostazione lascia gli Stati membri liberi di scegliere come dosare gli interventi nei tre settori per raggiungere i rispettivi obiettivi nazionali previsti.

4.2

Tale tendenza alla flessibilità risulta tuttavia sensibilmente compromessa dall'introduzione di un apposito obiettivo vincolante per un'unica parte di uno dei tre settori: la sostituzione del gasolio e della benzina nei trasporti.

5.   Il ruolo specifico degli agrocarburanti nella proposta di direttiva

5.1

La Commissione assegna un ruolo particolare anche agli agrocarburanti.

5.2

Numerosi studi recenti su questo argomento indicano che la biomassa, a differenza dell'energia solare, costituisce una risorsa limitata e che quindi il suo uso condurrà necessariamente a situazioni di concorrenza, nell'uso dei suoli, con le produzioni alimentari o con la tutela della biodiversità. L'intensità di tale concorrenza futura è ancora oggetto di dibattito. Pertanto, prima che la politica formuli indirizzi in materia, occorre procedere ad un'attenta valutazione strategica su quale forma di energia rinnovabile sia la più adeguata in un determinato campo di applicazione. In tale contesto si dovranno effettuare valutazioni di impatto molto attente.

5.3

Nel novembre 2007 il comitato scientifico del ministero federale tedesco dell'Agricoltura ha pubblicato una raccomandazione sull'uso energetico della biomassa, in cui osserva che a lungo termine saranno l'energia solare e quella eolica ad assumere il ruolo principale tra le fonti rinnovabili, anche grazie a un potenziale sensibilmente maggiore a quello della biomassa. Il documento menziona tre argomenti a sostegno di questa tesi:

a)

lo sfruttamento dell'energia solare può avvenire su superfici che non sono in concorrenza con la produzione di biomassa per uso alimentare; inoltre il rendimento energetico per unità di superficie è molto maggiore per il solare che per le bioenergie;

b)

data la carenza globale di superfici coltivabili, con l'aumento dei prezzi del petrolio aumentano anche i prezzi delle bioenergie e di conseguenza anche i prezzi agricoli in generale. Ciò comporta un rincaro delle materie prime per le centrali di produzione delle bioenergie, mentre nel caso dell'energia solare l'aumento dei prezzi di petrolio, carbone e gas comporta un aumento della redditività;

c)

data la scarsità di terreni coltivabili, per accrescere nettamente la superficie destinata alle bioenergie bisogna iniziare a sfruttare superfici sinora incolte (dissodamento di aree verdi, deforestazione) o rendere più intensiva l'attività agricola. Così facendo, tuttavia, si accrescono le emissioni di CO2 e di N2O, quindi il risultato finale dell'estensione delle aree destinate alla produzione di bioenergie può addirittura essere controproducente per la prevenzione dei cambiamenti climatici.

5.4

Dato che le risorse naturali sono limitate e che il passaggio a strutture di approvvigionamento energetico nuove, basate su fonti rinnovabili e quanto più possibile decentrate richiede investimenti relativamente cospicui, è opportuno osservare in modo particolare il principio secondo cui le limitate risorse disponibili devono essere concentrate sulle strategie più efficienti per la prevenzione dei cambiamenti climatici.

5.5

Si constata invece che a livello comunitario alcune tra le produzioni bioenergetiche ben individuate e talvolta sovvenzionate dallo Stato, più precisamente gli agrocarburanti e la produzione di biogas dal mais, comportano elevati costi di contenimento delle emissioni di CO2  (6), che vanno da 150 a oltre 300 euro per tonnellata di CO2.

5.6

Esistono tuttavia produzioni di bioenergie, ad es. la produzione di biogas dal letame (meglio ancora in combinazione con un impianto di cogenerazione calore/energia), la produzione combinata di elettricità e di calore da legno sminuzzato (proveniente dai residui della silvicoltura o dalle colture silvicole a ciclo breve) e l'aggiunta di legno sminuzzato al combustibile in centrali elettriche di grandi dimensioni, per le quali i costi di contenimento si limitano a 50 euro per tonnellata di CO2  (7).

5.7

Anche il Centro comune di ricerca della Commissione europea è giunto alla conclusione che, in termini di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra per ettaro, è molto più efficiente usare la biomassa per generare elettricità che convertirla in agrocarburanti liquidi (8). I moderni impianti di combustione a biomassa sono quasi altrettanto efficienti di quelli che bruciano combustibili fossili: 1 megajoule (MJ) di biomassa sostituisce circa 0,95 MJ di energia di origine fossile. La conversione della biomassa in carburante liquido per autotrazione ha invece un rendimento energetico che generalmente non supera il 30-40 %. Vale a dire che, nel caso dell'impiego nei trasporti, 1 MJ di biomassa sostituisce appena da 0,35 a 0,45 MJ di petrolio greggio.

5.8

La produzione di agrocarburanti comporta una riduzione delle emissioni di CO2 di circa 3 tonnellate per ettaro, mentre le altre produzioni bioenergetiche descritte al punto 5.6 consentono una riduzione di oltre 12 tonnellate per ettaro.

5.9

In considerazione degli aspetti sin qui menzionati, il Comitato si chiede perché la Commissione voglia espressamente stabilire l'obiettivo di una quota del 10 % per gli agrocarburanti. A questo proposito ricorda che il Consiglio europeo di primavera ha affermato che tale obiettivo dev'essere realizzato in maniera efficace sotto il profilo dei costi e rispettando tre condizioni:

che la produzione sia sostenibile,

che gli agrocarburanti di seconda generazione vengano resi disponibili sul mercato, e

che la direttiva 98/70/CE, relativa alla qualità della benzina e del combustibile diesel, venga modificata.

5.10

Per quanto riguarda la sostenibilità di tale produzione sussistono più dubbi che certezze (cfr. anche il capitolo 8) e gli agrocarburanti di seconda generazione non sono ancora disponibili. Non sono quindi soddisfatte almeno due delle tre condizioni indicate dal Consiglio europeo, ma ciò non impedisce alla Commissione di indicare un obiettivo del 10 %.

5.11

La Commissione, per motivare tale scelta, asserisce che quello dei trasporti è il settore dell'economia che registra l'aumento più rapido delle emissioni di gas a effetto serra e che la produzione di agrocarburanti «è attualmente più costosa di altre forme di energie rinnovabili, il che implica che senza una prescrizione specifica non vi sarebbe un loro sviluppo».

5.12

Il CESE non può concordare con questa motivazione.

5.12.1

È indubbio che le emissioni di gas ad effetto serra generate dai trasporti siano fuori controllo, Tuttavia introdurre limiti di emissione più restrittivi e sostituire con agrocarburanti il 10 % del carburante diesel e della benzina non risolverà il problema; anzi non basterà nemmeno a compensare l'aumento delle emissioni del settore trasporti previsto per i prossimi anni.

5.12.2

Il CESE ha più volte indicato come si possa limitare questo problema: applicando politiche di prevenzione del traffico, nonché orientando la scelta tra i vari modi di trasporto in favore di quelli a basso impatto sul clima, quali la ferrovia, i trasporti pubblici locali e le vie navigabili.

5.12.3

Il CESE ritiene che, sul piano tecnico, il futuro del trasporto automobilistico privato non stia nei motori a combustione ma in quelli elettrici alimentati con elettricità prodotta a partire da fonti rinnovabili. L'istituto di ricerca svizzero EMPA (9) ha calcolato che, per far percorrere a un'automobile tipo VW Golf la distanza di 10 000 km, occorre il prodotto annuo di una coltivazione di colza della superficie di 2 062 m2. Utilizzando invece cellule solari si potrebbe produrre la stessa quantità di energia in un anno con una superficie di 37 m2, pari a circa un sessantesimo di quella del campo di colza.

5.12.4

La scelta strategica di sostituire i carburanti convenzionali con agrocarburanti costituisce anche una delle misure di prevenzione del cambiamento climatico meno efficaci e più costose, e comporta un'allocazione estremamente erronea delle risorse. Il Comitato non comprende perché proprio le misure più dispendiose debbano essere anche quelle che ricevono il massimo sostegno politico, tanto più che una lunga serie di domande di natura non solo economica, ma anche ecologica e sociale rimane senza alcuna risposta.

5.12.5

Di conseguenza il Comitato non può condividere l'affermazione della Commissione secondo cui «il maggiore ricorso ai biocarburanti per autotrazione è uno degli strumenti più efficaci» per fare fronte alle sfide in campo.

5.13

Se si pensa che la Commissione si ripropone di autorizzare gli agrocarburanti a condizione che garantiscano una riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra pari almeno al 35 % rispetto ai carburanti fossili, ne risulta che la prevista quota del 10 % comporterà una riduzione delle emissioni del traffico motorizzato, a parità di volume di traffico, pari solo al 3,5 %. Dato che il traffico contribuisce per circa un quarto all'effetto serra complessivo, si può parlare di un potenziale complessivo di riduzione delle emissioni pari all'1 % delle emissioni di gas a effetto serra. Si tratta di un valore del tutto sproporzionato allo sforzo finanziario e ai pericoli connessi.

5.14

Se anche si pensasse che gli agrocarburanti per il settore dei trasporti costituiscano un'utilizzazione ottimale della biomassa, bisognerebbe puntare anche qui all'efficienza assoluta. L'Allegato VII della proposta in esame fa però chiaramente capire che convertire la biomassa in etere o in etanolo non costituisce l'approccio giusto. Infatti qualsiasi trasformazione molecolare (industriale) comporta un impiego, e quindi una perdita, di energia. Sarebbe più appropriato utilizzare direttamente la biomassa prodotta, senza assoggettarla a una trasformazione chimica industriale.

5.15

La cosa è tecnicamente possibile, come mostrano alcuni produttori di trattori che offrono ormai motori alimentati esclusivamente con oli vegetali.

5.16

Il menzionato Allegato VII mostra che le maggiori riduzioni delle emissioni si possono realizzare appunto con la suddetta tecnologia: rispetto ai carburanti fossili l'olio di colza puro consente una riduzione standard delle emissioni pari al 55 %, mentre l'agrodiesel da semi di colza comporta una riduzione di appena il 36 % e l'etanolo da cereali addirittura dello 0 %. Il CESE non capisce quindi perché la Commissione non riconosca esplicitamente l'opportunità di tale metodo, tanto più che esso è il più adatto a far nascere quanto prima strutture decentrate di approvvigionamento energetico, e dunque anche posti di lavoro nell'agricoltura e nelle aree rurali.

5.17

Il CESE ritiene per esempio che sarebbe una buona strategia l'uso — nell'agricoltura stessa oppure negli automezzi comunali o nelle imbarcazioni — di oli vegetali ottenuti in coltivazioni miste ecocompatibili (10). In tal modo gli agricoltori potrebbero essere direttamente coinvolti nello sviluppo di circuiti energetici regionali traendone un profitto diretto. Nel quadro della strategia basata sugli agrocarburanti invece, i produttori agricoli diventerebbero solo produttori di materie prime quanto meno costose possibile per l'industria degli oli minerali, sempre che vengano utilizzate materie prime di produzione europea.

6.   Osservazioni sul tema della sicurezza di approvvigionamento

6.1

La Commissione presume che una gran parte della biomassa richiesta per gli agrocarburanti verrà prodotta al di fuori dell'UE, in regioni più favorite sotto il profilo climatico. Sostituendo le importazioni di petrolio con importazioni di biomassa, però, non si riduce la dipendenza dalle esportazioni ma ci si limita a diversificarla.

6.2

La nuova politica energetica dell'UE non può perseguire seriamente l'obiettivo di sostituire una dipendenza con un'altra.

6.3

Occorrerebbe semmai impostare la nuova strategia di ER principalmente sulle fonti energetiche realmente decentrate, disponibili a livello locale o regionale. In tal modo le bioenergie possono e devono avere un ruolo da svolgere, anche se non quello previsto nella strategia relativa agli agrocarburanti.

7.   Occupazione

7.1

Secondo la Commissione «le energie rinnovabili sono una valida alternativa alle energie convenzionali e vengono fornite tramite le stesse infrastrutture e gli stessi sistemi logistici». Il Comitato considera tale affermazione gravemente fuorviante: le ER provenienti da strutture decentrate a volte si differenziano diametralmente dalle energie «convenzionali» provenienti da grandi strutture centralizzate.

7.2

Una strategia degli agrocarburanti basata su prodotti d'importazione miscelati al carburante diesel e alla benzina si avvale delle strutture «tradizionali», cioè centralizzate, delle compagnie petrolifere globali. Tale strategia consolida le strutture centralizzate di produzione e di distribuzione dell'industria petrolifera, favorendone decisamente gli interessi, ma difficilmente creando nuovi posti di lavoro in Europa (11).

7.3

Puntando invece su soluzioni caratterizzate da maggiore efficienza energetica, come l'uso di legno sminuzzato per generare calore o elettricità, il ricorso a oli vegetali puri di produzione locale, la fornitura di biogas a veicoli o distretti privi di una rete di distribuzione del gas naturale o ancora le tecnologie solari decentrate ecc., si creerebbero nuove possibilità di produzione e di distribuzione, che possono essere organizzate a livello regionale e hanno un forte potenziale occupazionale.

7.4

Con gli impianti solari termici e quelli fotovoltaici decentrati i consumatori (di energia) producono da soli gran parte del loro fabbisogno, il che dimostra anche che un approvvigionamento basato sulle energie rinnovabili è strutturato in maniera sostanzialmente diversa rispetto all'attuale sistema di approvvigionamento.

7.5

Anche altre misure, come quelle volte ad accrescere l'efficienza e il risparmio, possono creare centinaia di migliaia di posti di lavoro in piccole e medie imprese già nella fase di costruzione. Si pensi per esempio all'isolamento di immobili, all'installazione di impianti solari o eolici e alla costruzione di impianti per l'estrazione di biogas. I responsabili politici devono fare in modo che proprio questi potenziali si realizzino. La strategia sugli agrocarburanti prevista dalla direttiva non costituisce la soluzione più efficiente.

7.6

Ciò significa che bisogna assolutamente valutare bene e distinguere con maggiore attenzione le varie fonti rinnovabili anche ai fini delle ricadute occupazionali. Le energie rinnovabili possono davvero promuovere e sostenere le strutture economiche regionali, ma possono anche contribuire a consolidare le grandi strutture centralizzate.

7.7

Ciò vale d'altronde anche per i paesi dove si coltiva la biomassa per gli agrocarburanti. In un documento del marzo 2008 sulla posizione della politica di aiuto allo sviluppo nei confronti degli agrocarburanti, il ministero tedesco competente per gli aiuti allo sviluppo giunge alla conclusione che, ai fini del progresso economico, ecologico e sociale dei paesi in via di sviluppo, una produzione su vasta scala di biomassa destinata all'esportazione, in risposta alla domanda accresciuta dei paesi industrializzati, è altamente rischiosa e non crea posti di lavoro. Nello stesso documento si valuta invece favorevolmente il ricorso alla biomassa, compresa quella prodotta in piccole aziende agricole, ai fini dell'approvvigionamento energetico decentrato.

8.   Osservazioni sui criteri di sostenibilità

8.1

Il CESE si compiace che la Commissione preveda di introdurre criteri di sostenibilità anche per la produzione di agrocarburanti, giudicandolo un importante passo in avanti. Al tempo stesso reputa assolutamente insufficiente la proposta presentata.

8.2

La stessa Commissione sottolinea ripetutamente l'importanza di equilibrare, nell'ambito di una politica di sostenibilità, il pilastro economico, quello ecologico e quello sociale. Tuttavia, questa mancanza totale di considerazione delle questioni sociali nei criteri citati induce già il Comitato a ritenere che la proposta di direttiva in esame non costituisca l'attuazione di una strategia ben ponderata per la sostenibilità o di criteri sostenibili in materia di agrocarburanti, anzi, sotto questo profilo il documento deve essere rielaborato a fondo.

8.3

A causa di modifiche indirette nella destinazione dei terreni, il CESE ritiene pertanto importante che vengano definiti criteri ecologici e sociali efficaci non solo per gli agrocarburanti, ma per tutte le importazioni agricole, compresi i mangimi.

8.4

È un'illusione anche ritenere che stabilendo una data di riferimento (nella fattispecie gennaio 2008) per lo status ambientale di aree quali le foreste primarie o le torbiere se ne possa prevenire la conversione in coltivazioni dedicate alla produzione di agrocarburanti. A tal fine sarebbero necessari un catasto e un sistema di amministrazione e di controllo efficienti ma, come l'esperienza ha mostrato, la maggior parte dei paesi emergenti e in via di sviluppo non ne dispongono.

8.5

Il CESE considera insufficienti i criteri per il mantenimento della biodiversità e la prevenzione dell'uso di terreni con un elevato stock di carbonio, di cui all'articolo 15, paragrafi 3 e 4, della proposta di direttiva. I terreni rilevanti per preservare la biodiversità sono molto più numerosi di quelli citati al paragrafo 3, dalla lettera a) alla lettera c). Lo stesso vale per il paragrafo 4, lettere a) e b) per quanto concerne le riserve di carbonio.

8.6

Nella parte B dell'Allegato VII la Commissione presenta una «stima dei valori tipici e standard dei futuri biocarburanti non presenti sul mercato al gennaio 2008 o presenti in quantità trascurabili». Il CESE ritiene che si dovrebbero prendere a riferimento non già valori stimati, ma solo valori documentabili.

Bruxelles, 17 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Cfr. il punto 3.5.

(2)  Il CESE ha già sottolineato la necessità di criteri di sostenibilità economica e ambientale per gli agrocarburanti nel parere in merito alla relazione sui progressi compiuti nell'uso dei biocarburanti (TEN/286 — CESE 1449/2007, GU C 44 del 16.2.2008, pag. 34) e nel parere Riduzione delle emissioni di gas a effetto serra — trasporti stradali (NAT/354 — CESE 1454/2007).

(3)  Nella proposta di direttiva viene usato ufficialmente il termine «biocarburanti». Il Comitato ha segnalato in numerosi pareri i problemi ecologici causati da questi «bio»carburanti e, dato che il prefisso «bio» induce a pensare che si tratti di prodotti ineccepibili sotto il profilo ecologico (si pensi all'agricoltura «bio»logica), nel proprio parere preferisce usare il termine neutro «agrocarburanti».

(4)  Nella direttiva all'esame «viene proposto che ogni Stato membro consegua una quota del 10 % di energie rinnovabili (principalmente biocarburanti) nel settore dei trasporti entro il 2020».

(5)  O dai suoi consumatori.

(6)  Il concetto di costo di contenimento delle emissioni di CO2 si estende anche agli altri gas a effetto serra, misurati in termini di equivalente CO2.

(7)  Fonte: Nutzung von Biomasse zur Energiegewinnung — Empfehlungen an die Politik (Energia dalla biomassa — Raccomandazioni per i responsabili politici) a cura del comitato consultivo per le politiche agricole presso il ministero tedesco dell'Alimentazione, agricoltura e protezione dei consumatori, novembre 2007.

(8)  Centro comune di ricerca della Commissione europea: Biofuels in the European Context: Facts, Uncertainties and Recommendations, 2008,

http://ec.europa.eu/dgs/jrc/downloads/jrc_biofuels_report.pdf (disponibile solo in inglese).

(9)  L'EMPA è un istituto di ricerca sulla scienza e la tecnologia dei materiali; fa parte del Politecnico federale di Zurigo. Fonte: R. Zah, H. Böni, M. Gauch, R. Hischier, M. Lehmann, P. Wäger (Dipartimento Tecnologia e società dell'EMPA, San Gallo): «Ökobilanz von Energieprodukten: Ökologische Bewertung von Biotreibstoffen. Schlussbericht» (Ecobilancio dei prodotti energetici: valutazione ecologica dei biocarburanti. Relazione finale), aprile 2007. Relazione commissionata dall'Ufficio federale elvetico dell'energia, dall'Ufficio federale dell'ambiente e dall'Ufficio federale dell'agricoltura, e consultabile al seguente indirizzo:

http://www.news-service.admin.ch/NSBSubscriber/message/attachments/8514.pdf

(10)  Cfr. anche il parere sul tema Le fonti energetiche rinnovabili (TEN/211 — CESE 1502/2005 del 15 dicembre 2005, relatrice: SIRKEINEN), punto 3.3.1.

(11)  Cfr. in proposito il già menzionato studio del Centro comune di ricerca della Commissione europea: Biofuels in the European Context: Facts, Uncertainties and Recommendations, 2008,

http://ec.europa.eu/dgs/jrc/downloads/jrc_biofuels_report.pdf (disponibile solo in inglese).


31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/49


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Promuovere la dimostrazione in tempi brevi della produzione sostenibile di energia da combustibili fossili

COM(2008) 13 def.

(2009/C 77/13)

La Commissione europea, in data 23 gennaio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Promuovere la dimostrazione in tempi brevi della produzione sostenibile di energia da combustibili fossili

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 16 luglio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore SIMONS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 143 voti favorevoli, 3 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore il dispositivo proposto nella comunicazione in esame per promuovere i progetti di dimostrazione relativi alle tecnologie di cattura e stoccaggio del CO2 (CCS) nelle centrali elettriche, ma esprime preoccupazione per la mancanza di capacità finanziarie e di opzioni di finanziamento chiaramente definite per il medio (2010-2020) e il lungo periodo (2020 e oltre).

1.2

Occorre assicurare che i proventi generati dal sistema europeo di scambio delle quote di emissioni (emission trading system — ETS-UE), ad esempio con la vendita all'asta, dopo il 2013, delle quote di emissioni da parte del settore produttore di elettricità, suppliscano in parte all'insufficiente capacità di finanziamento della Commissione. È importante notare che sinora a livello UE non è stato proposto alcun sistema finanziario specifico, né le necessarie garanzie.

1.3

È importante che le condizioni finanziarie siano chiare e consolidate al più tardi entro la fine del 2009. Solo così si assicurerà una base finanziaria per avviare la preparazione dei grandi progetti di dimostrazione delle CCS che dovranno essere operativi nel 2015.

1.4

A partire dal 2013 le entrate prodotte dall'ETS-UE andrebbero riscosse a livello nazionale nel quadro dell'applicazione della direttiva ETS-UE riveduta.

1.5

La proposta della Commissione relativa alla destinazione del 20 % dei proventi complessivi delle aste nazionali ETS-UE a misure per la riduzione delle emissioni di CO2 è del tutto inadeguata e costituisce un'opportunità finanziaria mancata. Gli Stati membri dovrebbero essere vivamente esortati a modificare radicalmente la loro posizione sui proventi da ETS-UE, per destinarli invece interamente a tecnologie a bassa emissione di CO2 e ad emissioni zero di CO2 prevedendo un'apposita dotazione per le CCS. In questo modo potrebbero essere reperiti i miliardi di euro necessari per promuovere la dimostrazione in tempi brevi delle tecnologie CCS su vasta scala, ma che attualmente mancano alla Commissione.

1.6

La Commissione dovrebbe predisporre un piano che definisca l'organizzazione e il ruolo della proposta «iniziativa industriale europea», assicurando che essa sia complementare ad altre iniziative senza sovrapporsi ad esse: ad esempio i progetti nel quadro del Settimo programma quadro (7PQ), la piattaforma tecnologica europea per le centrali elettriche a combustibili fossili a emissioni zero (European Technology Platform for Zero Emission Fossil Fuel Power Plants — ETP-ZEP) e il suo programma «ammiraglio» europeo.

1.7

Il CESE conviene sulla necessità di un'infrastruttura europea comune per il trasporto e lo stoccaggio del CO2. In effetti un sistema di trasporto su scala europea è indispensabile per collegare gli Stati membri che potrebbero non essere in grado di creare strutture di stoccaggio a livello nazionale.

1.8

Dato che il trasporto è un elemento essenziale ai fini della creazione di una vasta infrastruttura di CCS, il Comitato propone di adottare l'abbreviazione CCTS (Carbon Capture Transport and Storage, ovvero «cattura, trasporto e stoccaggio del carbonio»), in modo da includere i trasporti.

2.   Antecedenti del parere (1)

2.1

Lo sviluppo dell'intera catena del valore delle tecnologie CCS è tuttora in una fase iniziale e in parte ancora esplorativa. Aumenta invece progressivamente l'efficienza delle centrali che utilizzano tecnologie tradizionali. Visto che nel prossimo decennio l'Europa dovrà far fronte alla forte e urgente necessità di sostituire le capacità di produzione delle centrali, il Comitato raccomanda di adottare un approccio pragmatico che consiste nello sviluppo e nell'uso parallelo di entrambe le tecnologie. Se da un lato il miglioramento del rendimento utile può avvenire per lo più sotto la spinta del mercato, d'altro lato le tecnologie CCS (sia per le centrali che per le infrastrutture) necessitano di un ulteriore sostegno nelle fasi di dimostrazione e di immissione sul mercato.

2.2

Per lo sviluppo delle tecnologie CCS vengono seguiti due approcci: la tecnologia integrata nella centrale, che prevede la separazione del CO2 prima del processo di combustione, e la cosiddetta «tecnologia post-combustione», che prevede il filtraggio del CO2 dai fumi dopo la combustione (CO2 washing, ossia depurazione del CO2). Se sviluppato adeguatamente, questo secondo metodo si presterà ad essere applicato nelle nuove centrali elettriche ad alta efficienza già in costruzione, a condizione che vengano progettate tenendone previamente conto (cioè siano predisposte per integrare le tecnologie di cattura del carbonio, captureready). Queste due opzioni tecnologiche hanno in comune il fatto che il CO2 separato dev'essere trasportato dal sito della centrale in un luogo di stoccaggio adeguato.

2.3

Il nodo centrale per rendere tali processi accettabili alla società e al mondo politico è la garanzia di uno stoccaggio sicuro e a lungo termine del CO2, che in fin dei conti è proprio il problema fondamentale che questa tecnologia comporta per l'ambiente (2).

2.4

Durante una riunione svoltasi ad Aomori (Giappone) il 9 giugno 2008, il Gruppo degli otto paesi più industrializzati (G8) ha convenuto di varare, entro il 2010, 20 grandi progetti in materia di CCS onde favorire lo sviluppo tecnologico e l'abbattimento dei costi ai fini di un'ampia utilizzazione delle tecnologie CCS a partire dal 2020.

2.5

Alla riunione del G8 hanno partecipato rappresentanti dei seguenti paesi: Canada, Cina, Corea del Sud, Francia, Germania, Giappone, India, Italia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti.

2.6

A sostegno dell'impegno assunto in materia di CCS al G8 il ministero dell'Energia degli Stati Uniti (DOE) ha promesso formalmente finanziamenti per l'utilizzo delle tecnologie CCS nella gassificazione integrata a ciclo combinato (Integrated Gasification Combined Cycle — IGCC) o in altri impianti che utilizzino tecnologie avanzate del «carbone pulito» nel quadro del programma statunitense FutureGen. Gli Stati Uniti finanziano anche sette partenariati regionali per il sequestro del carbonio allo scopo di dimostrare l'efficacia dello stoccaggio geologico del CO2.

2.7

L'annuncio del G8 in merito alle CCS è in sintonia con la raccomandazione dell'Agenzia internazionale dell'energia (AIE) di utilizzare le tecnologie CCS nel quadro di un pacchetto di misure per dimezzare le emissioni di gas a effetto serra entro il 2050.

3.   Sintesi della comunicazione della Commissione

3.1

Le tecnologie CCS costituiscono uno strumento fondamentale nel panorama delle tecnologie già disponibili ed emergenti in grado di realizzare le riduzioni di CO2 occorrenti per conseguire gli obiettivi stabiliti per il dopo 2020 (3).

3.2

L'applicazione su ampia scala delle tecnologie CCS nelle centrali elettriche potrà essere praticabile sotto il profilo commerciale tra 10-15 anni, consentendo una valorizzazione autonoma di questa tecnologia entro il 2020, o poco dopo, nell'ambito di un dispositivo basato sul sistema ETS, strumento fondamentale per azzerare le emissioni di CO2 nella produzione di energia a partire da combustibili fossili.

3.3

A tal fine è indispensabile avviare immediatamente le fasi preparatorie: arrivare in tempi brevi allo stadio della dimostrazione è particolarmente necessario per le tecnologie CCS, già sviluppate e utilizzate a livello mondiale in altre applicazioni, in modo che possano essere adattate per il loro utilizzo su ampia scala nel settore della produzione di energia.

3.4

Nel marzo 2007 il Consiglio europeo ha dato il proprio sostegno, ribadito poi nel marzo 2008, all'intenzione della Commissione di incentivare la costruzione e la messa in funzione, entro il 2015, di un massimo di 12 impianti di dimostrazione delle tecnologie sostenibili dei combustibili fossili per la produzione commerciale di elettricità.

3.5

La comunicazione in oggetto, che integra la proposta di direttiva della Commissione sullo stoccaggio geologico del CO2 che istituisce il quadro giuridico comunitario per le CCS, porta avanti questa idea mirando a istituire una struttura che coordini e sostenga in modo efficace le attività di dimostrazione su ampia scala delle tecnologie CCS e a creare le condizioni perché l'industria proceda a investimenti audaci in una serie di impianti.

3.6

È indispensabile che l'Europa avvii non appena possibile un'azione di dimostrazione delle CCS nell'ambito di un quadro strategico integrato che preveda interventi mirati di R&S e misure di informazione e di sensibilizzazione del pubblico. Stando alla Commissione europea, un ritardo di sette anni nel processo di dimostrazione, tale da comportare un ritardo analogo nell'introduzione delle tecnologie CCS a livello mondiale, potrebbe determinare il rilascio su scala mondiale di quantità di emissioni evitabili pari ad oltre 90 Gt di CO2 entro il 2050 (4), corrispondenti a oltre 20 anni delle emissioni totali di CO2 prodotte attualmente nell'UE.

3.7

Per attrarre finanziamenti pubblici sono essenziali impegni chiari e decisi da parte dell'industria europea, supportati da incentivi e garanzie della Commissione. In particolare, gli Stati membri che intendono utilizzare il carbone nel loro futuro mix energetico dovrebbero adottare misure di sostegno a favore della dimostrazione in tempi brevi delle CCS.

3.8

La comunicazione menziona due tipi di ostacoli:

ostacoli di carattere legislativo e riguardanti la sicurezza, i quali possono essere sormontati in tempo e senza costi addizionali di rilievo. Appena disponibile un quadro regolamentare che assicuri la diminuzione dei rischi si potrà affrontare il problema degli ostacoli giuridici,

ostacoli economici: i costi delle tecnologie CCS sono stimati a circa 35 euro per tonnellata di CO2 nel 2020 e si ritiene che potranno essere facilmente coperti grazie al valore delle quote di emissione.

Il documento della Commissione precisa che l'UE avrà la possibilità di svolgere un ruolo di primo piano nella messa a punto di una regolamentazione internazionale sulle tecnologie CCS.

3.9

L'iniziativa industriale europea che la Commissione propone di avviare dovrebbe far convergere gli sforzi di quelli che essa definisce i «pionieri» impegnati a creare una rete di progetti dimostrativi. Questo dovrebbe favorire gli scambi di esperienze e d'informazione, sensibilizzare il pubblico e fornire elementi utili per politiche che consentano una catena del valore completa per le tecnologie CCS. Inoltre, si può prevedere che la suddetta iniziativa industriale europea aiuti ad attrarre fondi nazionali e internazionali.

3.10

La Commissione dichiara di poter apportare solo una parte minima dei fondi necessari e punta quindi sia sulla capacità dei «pionieri» di generare finanziamenti, sia sui fondi pubblici dei governi nazionali e delle ONG internazionali.

3.11

La Commissione definisce tre azioni:

ottenere l'impegno decisivo dei «pionieri» del settore industriale mediante un programma «ammiraglio» e un vero vantaggio commerciale,

permettere sia l'impiego degli aiuti di Stato, a seconda dei casi, sia altre misure preferenziali offerte dagli Stati membri,

mobilitare i finanziamenti al livello dell'UE: iniziativa specifica della Commissione insieme alla BEI onde mettere a punto strumenti per i finanziamenti e la condivisione dei rischi.

Si fa inoltre presente che quanto più l'industria tarderà a cominciare ad adottare le CCS, tanto maggiore sarà il rischio che i decisori politici si vedano costretti a contemplare misure obbligatorie.

3.12

La Commissione tiene conto della necessità d'infrastrutture europee comuni per il trasporto e lo stoccaggio del CO2 e prevede una revisione della disciplina comunitaria in materia di reti transeuropee dell'energia (RTE-E), incluse le tecnologie CCS.

4.   Antecedenti della consultazione della Commissione

4.1

La Commissione europea, facendo seguito alle decisioni del Consiglio europeo del marzo 2007 in materia di protezione del clima e sicurezza dell'approvvigionamento energetico, ha proposto un intero pacchetto di misure, presentate in documenti separati, per realizzare gli obiettivi previsti nelle decisioni del Consiglio. Tali misure riguardano in particolare l'efficienza energetica, il potenziamento delle fonti rinnovabili, nonché lo sviluppo e l'applicazione di tecnologie innovative adeguate. Il Comitato ha elaborato pareri specifici su ognuno di tali argomenti (5).

4.2

In questo contesto assumono un ruolo importante anche i procedimenti finalizzati a una riduzione stabile delle emissioni di gas a effetto serra generate dall'uso delle fonti energetiche fossili. Il presente parere verte proprio su questo aspetto.

4.3

Il presente parere si ricollega a un altro parere predisposto dal Comitato (6) su questa tecnologia, riguardante proprio la proposta di direttiva della Commissione relativa allo stoccaggio geologico del biossido di carbonio testé citata.

5.   Osservazioni di carattere generale

5.1

La comunicazione in esame ribadisce più volte quanto sia vitale per il successo dei suoi programmi dimostrare rapidamente che (a) l'ETS-UE svolgerà un ruolo chiave, e (b) che è possibile un «vero vantaggio commerciale». Manifestamente, l'ETS-UE promette un effettivo vantaggio commerciale ai pionieri, ma questo verrà troppo tardi se entro la fine del 2009 la Commissione non offrirà un quadro normativo chiaro e definitivo per l'ETS-UE dopo il 2012.

Entro la fine del 2009 il settore energetico dovrà disporre di una base solida per prendere decisioni in materia d'investimenti onde avviare la fase di progettazione e costruzione in tempo per l'entrata in funzione dei primi siti CCS nel 2015. Questo aspetto non è stato evidenziato a sufficienza, specie se si considerano la scarsa chiarezza attuale circa l'ETS-UE e le vaghe richieste rivolte dalla Commissione al settore dell'energia e ai governi nazionali, le quali mantengono irrisolta la questione dei finanziamenti.

5.2

Il sistema ETS dell'UE costituisce effettivamente un mercato importante per il carbonio, il quale però potrà rivelarsi molto efficace solo se verrà decisamente orientato alla definizione di un prezzo per le quote di emissione che sia superiore ai costi supplementari sostenuti per le misure intese a ridurre il CO2. Se la Commissione non farà chiarezza circa le regole e la portata delle aste e l'adeguata riscossione dei proventi da esse generati, e se non svolgerà un ruolo guida in tal senso, le eccessive incertezze indurranno i potenziali investitori a propendere per un atteggiamento di attendismo.

5.3

È certo che un'infrastruttura europea comune per il trasporto e lo stoccaggio di CO2 faciliterebbe la realizzazione su vasta scala delle CCS in tutta Europa. Alcuni Stati membri potrebbero non essere in grado di creare, da soli, strutture di stoccaggio a livello nazionale (7). Ove possibile si dovrebbero utilizzare infrastrutture dismesse o nuovi impianti integrati ad altre infrastrutture. Data l'importanza del trasporto, il Comitato proporrebbe persino di adottare esplicitamente l'abbreviazione CCTS (Carbon Capture Transport and Storage — cattura, trasporto e stoccaggio del carbonio) in modo da includere i trasporti, pur riconoscendo che l'abbreviazione CCS è ormai nota e accreditata a livello internazionale.

5.4

Dato che attualmente il suo bilancio non le permette di offrire un congruo contributo, la Commissione accolla alle autorità nazionali un notevole onere per il finanziamento delle tecnologie CCS. Visti l'interesse che le tecnologie in parola presentano per l'Unione europea e la necessità che questa svolga un ruolo di «regia» e supervisione per la riuscita dei progetti di dimostrazione, per i progetti di CCS la Commissione dovrebbe farsi carico di finanziamenti ben maggiori di quanto non preveda attualmente, integrati se del caso da contributi degli Stati membri (8).

5.4.1

Grazie alle aste relative alle quote di emissioni nel quadro dell'ETS-UE è stato possibile supplire alla carenza di finanziamenti da parte della Commissione. Attualmente solo il 20 % è stato allocato a favore delle tecnologie a bassa emissione di carbonio e ad emissione zero di carbonio. Occorre sollecitare gli Stati membri a rivedere radicalmente la loro posizione circa le entrate da ETS-UE, destinandole integralmente alle tecnologie a bassa emissione di carbonio e riservandone un'apposita quota alle CCS (9). In questo modo potrebbero essere reperiti i miliardi di euro necessari per promuovere la dimostrazione in tempi brevi delle tecnologie CCS su vasta scala, ma che attualmente mancano alla Commissione.

5.4.2

Inoltre, come già proposto dal Comitato, la dotazione prevista dal 7PQ potrebbe beneficiare di un congruo incremento del 15 %, corrispondente a un aumento dal 2 % al 3 % del PIL investito in R&S. In tal modo tramite il 7PQ si potrebbe dare un contributo reale alla promozione dei progetti di dimostrazione delle CCS.

5.4.3

Il 7PQ favorisce anche tutta un'altra serie di misure che contribuiscono anch'esse alla preparazione di progetti di dimostrazione su vasta scala. Occorre che le diverse misure siano chiaramente collegate al dispositivo proposto per promuovere i progetti di dimostrazione.

5.5

La Commissione non precisa in che modo la prevista iniziativa industriale europea si ricolleghi alle altre misure e iniziative cui la stessa Commissione partecipa (10). Per assicurare una strategia integrata è indispensabile precisare i provvedimenti che vanno adottati.

5.6

Si prevede che lo sviluppo e l'applicazione delle tecnologie CCS produrranno un notevole impatto positivo sull'occupazione in Europa. Alcuni importanti fornitori di attrezzature e d'infrastrutture di trasporto in relazione alle CCS hanno sede proprio in Europa. Essi mettono a punto, ad esempio, attrezzature e condotte, che inoltre venderebbero e installerebbero ai fini dell'utilizzo delle tecnologie di CCS a livello mondiale. In materia di CCS l'Europa gode di una solida posizione a livello internazionale, che si rafforzerebbe ulteriormente se per queste tecnologie l'UE riuscisse a realizzare rapidamente dimostrazioni su larga scala all'interno dell'Europa (11).

5.7

Con riferimento ai combustibili fossili il Comitato propone di utilizzare l'aggettivo «puliti», anziché «sostenibili». Quest'ultimo termine si presta meglio, ad esempio, per l'energia solare e la bioenergia e meno per le tecnologie CCS: queste rappresentano una soluzione transitoria in quanto permettono di utilizzare i combustibili fossili in maniera pulita fino a quando non si riuscirà a realizzare appieno il passaggio all'approvvigionamento di energia sostenibile.

5.8

Che il confinamento sicuro del CO2 mediante stoccaggio sia fattibile lo dimostra un'ampia casistica, come si illustra in breve qui di seguito:

i)

giacimenti di gas: è dimostrata la fattibilità del confinamento del CO2, ma resta da dimostrare la possibilità di migliorare l'estrazione di gas (enhanced gas recovery — EGR);

ii)

giacimenti di petrolio: è dimostrata la fattibilità del confinamento del CO2, il miglioramento dell'estrazione di petrolio (enhanced oil recovery — EOR) è prassi corrente negli Stati Uniti sudoccidentali dalla metà degli anni '70;

iii)

acquiferi salini: grande potenziale, ma anche notevoli incertezze; necessità di valutazione specifica dei siti, per vari anni buona esperienza con l'acquifera salina Utsira del giacimento Sleipner (progetto norvegese nel Mare del Nord);

iv)

depositi carboniferi: una nicchia interessante per migliorare l'estrazione del metano dai giacimenti carboniferi grazie all'iniezione di CO2. Questo metodo è però ancora nella fase della ricerca;

v)

un aspetto importante della dimostrazione su vasta scala consisterà nel mostrare e fornire all'opinione pubblica la prova che lo stoccaggio del CO2 in siti fra cui i giacimenti di gas presenta livelli di sicurezza pari a quelli conseguiti nell'estrazione di petrolio e gas dai medesimi giacimenti. Il CESE invita la Commissione ad adottare provvedimenti adeguati per informare il pubblico.

6.   Osservazioni specifiche

6.1

Il Comitato accoglie con favore il dispositivo della proposta intesa a promuovere i progetti di dimostrazione relativi alle tecnologie CCS nelle centrali elettriche, illustrato nella comunicazione in esame, ferme restando alcune osservazioni di carattere generale.

6.1.1

La Commissione dovrebbe disporre di una strategia che eviti il sovrapporsi della proposta d'iniziativa industriale europea al programma «ammiraglio» europeo dell'ETP-ZEP. Queste d'iniziative dovrebbero essere opportunamente coordinate e rafforzarsi reciprocamente.

6.1.2

La comunicazione della Commissione accenna alla possibilità di «ampliare l'ambito dell'iniziativa industriale europea al di là della rete di progetti». Non è chiaro però che cosa ciò significhi esattamente. Per di più si precisa che al riguardo resterebbero da determinare le «opzioni di finanziamento per questo ampliamento». Qual è il valore aggiunto di tale ampliamento, e quale il nesso con le altre iniziative menzionate in precedenza in relazione alle tecnologie CCS?

6.2

Il Comitato non approva la proposta di concentrare i mezzi finanziari per lo sviluppo delle dimostrazioni nelle tecnologie CCS perché non la giudica sufficiente.

6.2.1

La comunicazione prospetta un approccio caso per caso, in base al quale le iniziative nazionali verrebbero sottoposte alla Commissione, e quest'ultima deciderebbe quali forme di aiuti di Stato e altri provvedimenti nazionali siano ammissibili. Per il successo dei progetti di dimostrazione nel quadro del programma «ammiraglio» europeo è opportuno che la Commissione abbia un ruolo centrale di coordinamento e di supervisione. Essa è responsabile del finanziamento globale. Questo apporto della Commissione potrebbe essere poi integrato da contributi ad hoc degli Stati membri interessati, i quali dovrebbero quindi ottenere un benestare come aiuti di Stato autorizzati. Al tempo stesso il settore interessato dovrebbe assumere impegni relativi al finanziamento e alla realizzazione.

6.2.2

Qualora la Commissione garantisca, a determinate condizioni, un cofinanziamento europeo proporzionale ad un contributo nazionale ad hoc, ciò costituirebbe un incentivo per le autorità nazionali. Il fatto di prevedere in partenza un cofinanziamento potrebbe evitare buona parte delle incertezze circa il finanziamento dei progetti e accelerarne l'iter.

6.2.3

Facilitare il finanziamento dei progetti di dimostrazione mediante nuovi strumenti di finanziamento è di per sé un'idea interessante. Ma in fin dei conti idee di questo tipo funzioneranno bene solo se comportano un rischio accettabile e se è chiaro in che modo i costi supplementari sostenuti a lungo termine possano essere comunque recuperati nei vari casi.

6.3

Il Comitato può tuttavia convenire sul fatto che l'inserimento delle tecnologie CCS nel sistema ETS-UE costituisce un incentivo importante per lo sviluppo e l'attuazione di grandi progetti di dimostrazione in un contesto europeo. La comunicazione indica anche che i «pionieri» devono poter trarre un «vero vantaggio commerciale».

6.4

La Commissione precisa però anche che l'ETS-UE potrebbe comunque compensare (o più che compensare) i costi supplementari sostenuti nei vari casi. Allo stato attuale questo non può però essere garantito per i seguenti motivi:

non si sa bene che ne sarà dell'ETS-UE dopo il 2012,

introducendo le tecnologie CCS nel sistema ETS-UE permane incertezza circa la formazione dei prezzi delle quote di emissione. I principali interrogativi che si pongono al riguardo sono, ad esempio, il carattere, la portata e il calendario scelto per le aste al livello degli Stati membri nell'ambito dell'Unione europea o l'incidenza del meccanismo di sviluppo pulito (clean development mechanism — CDM),

i costi reali delle tecnologie CCS dopo il 2012 (attività di dimostrazione da realizzare in tempi brevi) e dopo il 2020 (realizzazione per il mercato) dipendono fortemente dai progressi in termini di R&S e dall'andamento dell'economia (ad es. prezzi dei combustibili, costi di progettazione e realizzazione).

6.5

Il sistema ETS-UE può effettivamente offrire ai «pionieri» un vero vantaggio commerciale nei confronti di altre parti. Occorre però studiare meglio come attraverso questo sistema sia possibile creare un fattore economico affidabile e sostenibile, capace di offrire ai «pionieri» un vantaggio competitivo rispetto a chi entra in un secondo momento nel mercato. Occorrerà poi prestare maggiore attenzione agli altri possibili fattori economici.

Bruxelles, 17 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Parere del CESE in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa allo stoccaggio geologico del biossido di carbonio — CESE 1203/2008 (NAT/401), punto 4.

(2)  Cfr. in particolare il rapporto dell'AIE Energy Systems Analysis of CCS Technology; PRIMES Model Scenarios («Analisi dei sistemi energetici delle tecnologie CCS: scenari relativi al modello Primes») e il parere del CESE sullo stoccaggio geologico del biossido di carbonio (CESE 1203/2008) (NAT/401), e più specificamente i punti 5.3.2, 5.15.1 e 5.15.2.

(3)  Sarà indispensabile migliorare l'efficienza del processo di combustione del carbone, ma ciò non basterà per ottenere le riduzioni delle emissioni di CO2 necessarie.

(4)  Fonte: Accademia internazionale di scienze ambientali (IAES).

(5)  NAT/399, NAT/400, NAT/401, TEN/334, TEN/338 e TEN/341.

(6)  Parere della sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente (NAT/401 — CESE 1203/2008) in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa allo stoccaggio geologico del biossido di carbonio e recante modifica delle direttive 85/337/CEE e 96/61/CE del Consiglio e delle direttive 2000/60/CE, 2001/80/CE, 2004/35/CE, 2006/12/CE e del regolamento (CE) n. 1013/2006 [COM(2008) 18 def. — 2008/0015 (COD)].

(7)  Cfr. in particolare il rapporto AIE Energy Systems Analysis of CCS Technology; PRIMES Model Scenarios e relative cartine allegate.

(8)  Sono state tuttavia formulate altre proposte sui modi per sormontare l'impasse in materia di finanziamenti, cfr. l'articolo «Financing woes plague EU Climate technologies» («I problemi finanziari affliggono le tecnologie UE in materia di clima»), pubblicato su EurActive.com del 27 febbraio 2008.

(9)  Sono all'esame del Parlamento europeo proposte per destinare una quota dei proventi da ETS compresa fra i 60 e i 500 milioni di euro a progetti di dimostrazione su vasta scala (si tratta di proposte di modifica alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2003/87/CE al fine di perfezionare ed estendere il sistema comunitario di scambio delle quote di emissione dei gas a effetto serra (COM(2008) 16 def.)).

(10)  Cfr., ad es., il programma «ammiraglio» europeo e l'ETP-ZEP.

(11)  Cfr. rapporto AIE.


31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/54


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sulla prima valutazione dei piani nazionali d'azione per l'efficienza energetica ai sensi della direttiva 2006/32/CE concernente l'efficienza degli usi finali dell'energia e i servizi energetici — Procedere insieme nel campo dell'efficienza energetica

COM(2008) 11 def.

(2009/C 77/14)

La Commissione, in data 23 gennaio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sulla prima valutazione dei piani nazionali d'azione per l'efficienza energetica ai sensi della direttiva 2006/32/CE concernente l'efficienza degli usi finali dell'energia e i servizi energetici — Procedere insieme nel campo dell'efficienza energetica

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 16 luglio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore IOZIA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 142 voti favorevoli, 6 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

In alcuni recenti pareri in materia di efficienza energetica in generale (1) e di efficienza energetica degli immobili in particolare (2), il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si è espresso con forte e praticamente unanime convinzione a favore di una seria politica in materia di efficienza energetica.

1.2

Il CESE deplora che gli Stati membri (SM) non abbiano preparato tempestivamente i piani nazionali di azione per l'efficienza energetica (PNAEE). Il CESE deplora altresì che, salvo poche eccezioni, dai documenti analizzati non si evince un impegno forte e serio degli SM nel realizzare gli obiettivi. In particolare per quello che riguarda gli ambiti di consumo più significativi, cioè il trasporto e le abitazioni.

1.3

Solo due SM hanno rispettato le scadenze, altri quindici hanno ritardato da due a sei mesi, due si sono presentati quando il documento di valutazione della Commissione era terminato ed altri otto con ulteriore ritardo. Solo ai primi di aprile 2008 si sono avuti a disposizione tutti i piani con un ritardo di dieci mesi sulla data prevista.

1.4

Il CESE osserva che il risparmio derivante dai piani di efficienza energetica, nei programmi della Commissione, dovrebbe costituire il primo contributo alla riduzione dei gas a effetto serra (GES). L'obiettivo di riduzione del 20 % al 2020 di consumi energetici comporta una riduzione di emissioni di CO2 di 780 Mteq. A fronte di emissioni nell'UE di 5 294 Mteq al 2006 per l'UE-25 (rapporto Agenzia europea dell'ambiente — AEA — 2006), è evidente il contributo indispensabile che l'efficienza energetica è in condizione di dare.

1.5

Il CESE ricorda che per ottenere il risultato di rispettare un incremento di 2 °C, la concentrazione di GES (attualmente intorno a 425 ppm (3) di CO2 eq. in volume) dovrà attestarsi ben al di sotto del limite di 550 ppm. Tenendo conto che ogni anno la concentrazione aumenta di 2-3 ppm, la stabilizzazione a 450 ppm potrà dare una probabilità del 50 % di raggiungere l'obiettivo di contenere l'aumento della temperatura media entro i 2 °C.

1.6

Gli SM hanno interpretato la redazione dei piani con differenze macroscopiche. Sono stati presentati PNAEE composti di 13 pagine e altri di 221, rendendo praticamente impossibile ogni comparabilità. Molti sono stati redatti solo nella lingua nazionale, accrescendo ulteriormente le difficoltà per la loro comprensione. Il CESE raccomanda l'adozione di un modello come quello definito nell'ambito del progetto Emeees (Evaluation and Monitoring for the EU Directive on Energy End-Use Efficiency and Energy Services) in collaborazione con il Wuppertal Institute for Climate Environment and Energy.

1.7

Gli SM, ad esempio, hanno concordato con l'AEA un modello per le rilevazioni annuali chiamato NIR (National Inventory report). Il CESE ritiene che sia possibile adottare lo stesso procedimento, fermo restando che il modello potrà essere reso più flessibile con appendici specifiche per campi di intervento (abitazioni, trasporto, ecc.).

1.8

Il CESE ritiene che lo strumento degli accordi volontari da stipulare con gli operatori nazionali sia utile, ma nelle convenzioni che vengono riconosciute idonee deve emergere con chiarezza che, in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi, si interverrà con normative obbligatorie.

1.9

La Commissione, peraltro, sta già emanando alcune misure, preannunciate già nel 2006, che renderanno obbligatori risparmi energetici e si appresta, sull'esempio dell'Australia, a eliminare le lampade a incandescenza dal mercato, che consumano il 90 % dell'energia per produrre calore e il 10 % per produrre luce! Il CESE spera che i fabbricanti troveranno modo di ridurre il costo delle lampade fluorescenti, le istituzioni degli Stati membri incentiveranno l'espansione della produzione, le lampade a risparmio energetico diventeranno più resistenti e compatte e si risolveranno i problemi del loro smaltimento.

1.10

Il prossimo rapporto dell'AEA, che sarà pubblicato entro il mese di giugno 2008, dimostra che c'è stata una riduzione dei GES tra il 2005 e il 2006 di 35,8 Mteq di CO2: è interessante notare che il contributo maggiore sia venuto da case private e uffici, con un risparmio di 15,1 Mteq. La produzione di elettricità e calore ha comportato però un incremento di 14 Mteq. Nonostante la diminuzione, il rapporto dimostra che l'UE-27 ha registrato un progresso inferiore dello 0,5 % rispetto al 1990 e alcuni SM devono comunque intensificare i loro sforzi.

1.11

La liberalizzazione del mercato dell'energia potrebbe comportare un'accelerazione del risparmio energetico, in quanto sul mercato si confronteranno sistemi produttivi e distributivi di diversa efficienza, che possono stimolare la ricerca e gli investimenti per ridurre la dispersione. Solo in fase di generazione si perde oltre il 30 % di energia. Il CESE in un recente parere (4) ha sostenuto le proposte della Commissione sul terzo pacchetto energetico, orientate a rendere effettivo il mercato europeo dell'energia.

1.12

Il CESE è convinto che si debba fare meglio e di più di quanto finora realizzato e chiede di conoscere più in dettaglio le valutazioni della Commissione al termine della valutazione dei piani di azione e di essere associato a esprimere il proprio parere su quanto emergerà da questa valutazione.

1.13

Il CESE più volte ha ribadito l'esigenza di coinvolgere la società civile sia in Europa che negli SM, considerando essenziale la piena consapevolezza e il pieno sostegno dei cittadini europei nel realizzare gli obiettivi di efficienza energetica. Vanno prese in seria considerazione le raccomandazioni che provengono dalla società civile. Le misure che saranno adottate dovranno tenere sempre in conto le difficoltà di molti milioni di cittadini nell'affrontare quotidianamente i problemi della vita. Programmi di risparmio energetico che comportano necessariamente oneri devono prevedere un'accurata selezione delle misure e adeguati sostegni ai meno abbienti, che si ritroverebbero a dover fronteggiare oneri crescenti derivanti dagli aumenti dei costi energetici senza poterli ridurre a causa dei costi da affrontare, come nel caso del risparmio energetico nelle abitazioni.

1.14

Il CESE sottolinea l'esigenza che le iniziative nel campo dell'efficienza energetica siano concrete e fattibili e si domanda se non si debba prendere in seria considerazione la necessità di rendere obbligatorie almeno alcune misure, verificando lo scostamento tra piani e risultati concreti, come è avvenuto per le emissioni di autoveicoli per la riduzione in generale di CO2, le emissioni di GES e le energie rinnovabili.

1.15

I PNAEE non dicono con chiarezza quali misure e quali risorse saranno impegnate per coinvolgere gli utenti finali in un grande progetto europeo di efficienza e risparmio energetico. Il CESE in più occasioni ha sottolineato il ruolo essenziale che la società civile organizzata potrebbe giocare nella identificazione di percorsi virtuosi di informazione e diffusione di buone pratiche. Il CESE auspica uno specifico confronto con le istituzioni europee che non appaiono particolarmente impegnate e sensibili.

1.16

Il CESE propone alla Commissione europea e agli Stati membri di mettere in atto uno specifico sistema di monitoraggio integrato, come avviene ad esempio nelle politiche per l'acqua. La carenza di informazione e di valutazione d'impatto delle politiche di efficienza energetica dell'Unione europea verso gli utilizzatori finali (in particolare delle PMI), l'assenza di una metodologia capace di verificare la consistenza tra gli obiettivi internazionali ed europei, e di un processo di monitoraggio relativo ai risultati ottenuti dai suddetti utilizzatori, rendono indispensabile tale sistema.

1.17

In alcuni settori, come il Social Housing, vale a dire l'edilizia sociale, il patrimonio edilizio è costituito da abitazioni molto vecchie ed inefficienti. Oltre 25 milioni di unità abitative richiedono interventi urgenti e complessi. Il CESE auspica che vengano lanciati piani di ristrutturazione degli alloggi pubblici, finanziati con fondi BEI. Di tali interventi non c'è traccia nei PNAEE.

1.18

Il CESE ritiene che strumenti di mercato, simili a quelli già operanti, possano dare un contributo serio. Aprire anche ai consumatori finali un mercato di negawatts, cioè di efficienza energetica elettrica, potrebbe essere un utile incentivo per i cittadini ad adottare comportamenti virtuosi. Se si considera che solo dalla sostituzione delle lampade a incandescenza si potrebbe generare un risparmio equivalente ad almeno 80 centrali da 1 000 MW (pari quasi alla potenza lorda installata in Italia), è evidente l'interesse delle aziende produttrici a sostenere l'efficienza energetica: potranno soddisfare più clienti a parità di generazione elettrica.

1.19

Il CESE auspica che si riprenda un percorso positivo e che gli SM assumano seriamente la politica dell'efficienza e del risparmio energetico e che ciò si traduca in piani nazionali seri, credibili, realistici e con obiettivi misurabili. Dovranno essere anche indicate le risorse che gli SM metteranno a disposizione per sostenere adeguatamente i necessari investimenti dei cittadini e delle imprese.

2.   Introduzione

2.1

Nella comunicazione sulla prima valutazione dei piani nazionali d'azione sull'efficienza energetica (PNAEE), intitolata Procedere insieme nel campo dell'efficienza energetica, la Commissione assolve un dovere derivante dall'applicazione della direttiva 2006/32/CE, che prevede all'articolo 14, paragrafo 5, la stesura di una relazione di valutazione dei 27 piani di azione nazionali, da presentare il 1o gennaio 2008. La seconda relazione sarà presentata entro il 1o gennaio 2012 e la terza entro il 1o gennaio 2015.

2.2

Gli obiettivi cui si riferisce la comunicazione sono fissati nella medesima direttiva all'articolo 4, paragrafo 1, nel quale è richiamato che: «Gli Stati membri adottano e mirano a conseguire un obiettivo nazionale indicativo globale di risparmio energetico, pari al 9 % per il nono anno di applicazione della presente direttiva da conseguire tramite servizi energetici e ad altre misure di miglioramento dell'efficienza energetica».

2.3

La Commissione evidenzia che solo due Stati membri hanno rispettato la scadenza prevista (Finlandia e Regno Unito), altri quindici lo hanno fatto in ritardo (Austria, Bulgaria, Cipro, Danimarca, Estonia, Germania, Irlanda, Italia, Lituania, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Repubblica ceca, Romania e Spagna). Belgio e Slovacchia hanno trasmesso i loro PNAEE alla fine del 2007, in ritardo per essere inseriti nel documento.

3.   La comunicazione della Commissione

3.1

Nei piani esaminati risulta che cinque Stati membri si sono posti obiettivi più ambiziosi di quelli indicati dalla direttiva, altri addirittura molto superiori, ma non hanno indicato impegni ufficiali. Dei 17 piani valutati, 6 non coprono l'intero arco temporale previsto dalla direttiva, cioè fino al 2016. Per quanto riguarda il ruolo esemplare del settore pubblico, si segnalano l'obiettivo dell'Irlanda di riduzione del 33 % dei suoi consumi energetici entro il 2020, la Germania di ridurre le emissioni di CO2 del 30 % entro il 2012, mentre il Regno Unito punta a emissioni zero entro il 2012 per gli edifici dell'amministrazione centrale.

3.2

La relazione cita alcune campagne nazionali, come quella decisa dall'Irlanda con il suo Power of One, allestita sul web per lo scambio di buone pratiche pubblico-privato; la diagnosi energetica dei propri edifici, come in Danimarca, con obbligo di applicazione delle raccomandazioni; la messa a norma in Germania degli edifici federali, per il quale è stato stanziato un importo di 120 milioni di euro; la nomina dei Green Leaders a Malta, funzionari che in ogni ministero si occuperanno di efficienza energetica e promuoveranno le energie rinnovabili.

3.3

Il Regno Unito si affiderà al Code for Sustainable Homes (Codice per abitazioni sostenibili), applicando il livello 3 del codice che comporta un risparmio energetico del 25 % rispetto al codice edilizio del 2006. L'Austria s'impegna a rendere gli edifici pubblici più efficienti di quanto prescriva la legge, mentre la Spagna sostituirà i sistemi di illuminazione pubblica con materiale più efficace e migliorerà sensibilmente l'efficienza energetica nel trattamento e nella distribuzione dell'acqua potabile.

3.4

Polonia e Finlandia imporranno al settore pubblico di realizzare risparmi energetici almeno pari all'obiettivo nazionale, come già realizzato nei confronti delle municipalità, mentre i Paesi Bassi si sono candidati ad un ruolo di leadership ipotizzando che entro il 2010 il 100 % degli appalti pubblici nazionali e il 50 % di quelli regionali e locali dovranno includere criteri di sostenibilità.

3.5

Le politiche d'incentivazione fiscale sono ritenute molto importanti. Germania ed Austria puntano all'efficienza energetica degli immobili, che consumano il 40 % dell'energia; la Lituania prevede l'introduzione di un'aliquota IVA ridotta dal 18 al 9 % per le abitazioni finanziate con fondi pubblici; i Paesi Bassi puntano alla «detrazione per investimenti energetici», destinata alle imprese private; mentre l'Italia ha istituito un regime di abbattimento fiscale lordo fino al 55 % per l'acquisto di elettrodomestici ad alta efficienza energetica (frigoriferi di classe A+, scaldabagni), per materiale di illuminazione e per l'ammodernamento energetico degli edifici.

3.6

Gli accordi volontari sono considerati un valido strumento, in particolare in Finlandia (in questo periodo riguardano il 60 % del consumo finale di energia, con l'obiettivo di arrivare al 90 % entro il 2016), nei Paesi Bassi, ove riguardano essenzialmente le imprese e in Danimarca che invece li riserva al campo degli appalti pubblici. Spagna, Polonia, Regno Unito, Romania e Irlanda dichiarano di volerli introdurre come strumento essenziale per conseguire il risparmio energetico.

3.7

Si affermano nei piani nazionali gli strumenti di mercato (certificati bianchi), ancora presenti in pochi Paesi. L'Italia prevede di prorogare il sistema fino al 2014, la Polonia di introdurli, mentre nel Regno Unito l'Energy Efficiency Commitment (EEC), sarà esteso al 2020: rinominato Carbon Emission Reduction Target, ha obiettivi di risparmio pari al doppio nel periodo 2008-2011. Grande importanza viene data agli ESCO, società di servizi energetici che ancora non hanno avuto lo sviluppo atteso. Questo interessa in particolare Austria, Germania, Irlanda, Italia, Polonia e Spagna.

3.8

Bulgaria, Romania e Regno Unito prevedono l'istituzione di fondi e di meccanismi di finanziamento, rivolti essenzialmente al settore commerciale e residenziale. Le politiche di formazione e d'informazione non sono svolte omogeneamente dalle agenzie per l'energia nazionali, che hanno compiti diversi tra loro; alcuni paesi, come Danimarca e Italia, hanno deciso di decentrare queste funzioni ad agenzie regionali e locali.

3.9

Il trasporto, che assorbe oltre un terzo del consumo d'energia, è considerato in modo particolarmente critico da molti, ma in pratica solo Austria e Irlanda propongono misure concrete per trasferire il traffico verso il trasporto pubblico.

3.10

La maggior parte dei piani presentati punta al mantenimento della situazione esistente e per alcuni Stati membri si registra uno scarto «notevole» tra impegno politico e misure adottate e risorse destinate.

3.11

La Commissione, oltre a seguire da vicino e a monitorare il recepimento della direttiva, cercherà di facilitare l'applicazione utilizzando il programma Energia intelligente per l'Europa. La Commissione creerà una piattaforma web per raccogliere e presentare i contributi delle parti interessate, che saranno coinvolte per sostenere l'applicazione della direttiva e di cui si auspica un coinvolgimento per l'adozione delle misure nazionali e per la redazione dei prossimi PNAEE. Nell'ambito del progetto Energy Efficiency Watch si valuteranno i piani nazionali.

3.12

Nelle conclusioni la Commissione ricorda l'importanza della cooperazione internazionale e la sua iniziativa di creazione di una piattaforma internazionale sull'efficienza energetica per elaborare norme tecniche, scambi e trasferimento di tecnologia. I grandi impegni che l'Europa ha di fronte e la responsabilità che vuole assumere nel campo dei cambiamenti climatici, dell'approvvigionamento energetico sicuro e sostenibile, della riduzione delle emissioni di GES, rendono indispensabili programmi efficaci e certi di miglioramento dell'efficienza energetica.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Il primo, evidente, elemento negativo di questa comunicazione è che la scadenza prevista dalla direttiva per la presentazione dei piani nazionali d'azione di efficienza energetica è stata rispettata solo da due paesi su 27, mentre altri 15 si sono affannati a presentare le loro conclusioni, due si sono presentati fuori tempo massimo, ma degli altri 8 si è perso traccia. Dopo un anno dalla scadenza del 30 giugno 2007 manca ancora uno Stato membro all'appello.

4.2

Il secondo elemento negativo che risalta dalle conclusioni della Commissione è che, salvo poche eccezioni, dai documenti analizzati non si evince un impegno forte e serio come la situazione richiederebbe. Accade sempre più spesso che i capi di Stato e di governo, in rappresentanza degli Stati membri, con molta leggerezza, approvino direttive a Bruxelles che non possono/vogliono rispettare una volta che rientrano a casa. L'agenda di Lisbona ne è stata il più chiaro esempio, ma i libri sono pieni di questi comportamenti dicotomici. E ancora lo saranno.

4.3

Leggendo i piani d'azione nazionali, si evidenzia come manchi uno schema di riferimento, come i piani siano stati redatti in modi e forme completamente diversi, che ne rendono difficile la lettura e quasi impossibile la comparabilità. Nell'ambito del progetto Emeees (Evaluation and Monitoring for the EU Directive on Energy End-Use Efficiency and Energy Services) in collaborazione con il Wuppertal Institute for Climate Environment and Energy, è stato redatto un modello, proprio per favorire la redazione dei piani d'azione nazionali. In una lettera il Belgio lamenta il fatto che questo importante modello sia stato realizzato solo l'11 maggio, pochi giorni prima della scadenza della presentazione dei piani nazionali.

4.4

Si passa dalle 13 pagine di Repubblica ceca e Lituania alle 41 della Romania, alle 89 di Malta, tra i paesi di recente adesione; dalle 37 della Francia, le 102 della Germania, le 211 della Spagna e le 214 del Regno Unito tra i paesi più grandi, fino ad arrivare al fenomeno del Belgio, che per la natura federale dello Stato, produce 4 documenti per un totale di 221 pagine. Il totale delle pagine presentate da 25 Stati membri (Svezia e Portogallo non appaiono ad oggi sul sito della Commissione) assomma a 2 161, con dati, tabelle e misure difformi tra loro. Ognuno ha scelto i suoi parametri di riferimento, le sue metodologie e il suo modello di comunicazione: il risultato è sconfortante, perché non si riesce a capire la direzione di marcia.

4.5

Il materiale pubblicato da Francia, Slovenia, Grecia (solo la bozza), Paesi Bassi e Lussemburgo è nella lingua nazionale (ostacolo insormontabile per il relatore). È molto difficile che lo scambio delle buone pratiche possa passare attraverso la lettura dei documenti in versione originale, ma non è previsto nessun invito né tanto meno obbligo a utilizzare una sola lingua. La Commissione ha provveduto a tradurre tutti i documenti in un'unica lingua, purtroppo i ritardi accumulati nella presentazione dei PNAEE si sono riverberati sui tempi di traduzione.

4.6

Il CESE sottolinea l'incongruenza tra gli obiettivi dei piani nazionali e questi due elementi qui riportati. Piani enciclopedia e piani riassunto: né l'uno né l'altro aiutano a comprendere esattamente verso dove si sta andando. L'eccesso di dettaglio e l'eccesso di sintesi producono lo stesso risultato di difficile lettura e comprensibilità. Il modello Emeees può rappresentare una buona sintesi tra i due opposti. Il CESE raccomanda vivamente di provvedere, per la prossima edizione dei piani nazionali, ad adottare un modello comune, di facile lettura e comparabilità.

4.7

Il CESE valuta negativamente, a parte alcune lodevoli eccezioni, segnalate in questo parere, la sostanziale mancanza di iniziative nel settore pubblico e nell'agricoltura. I PNAEE sono silenziosi e reticenti su questi importantissimi settori.

5.   Osservazioni generali

5.1

Nel gennaio 2007 il Consiglio richiese alla Commissione di emanare dei provvedimenti in campo energetico e del cambiamento climatico, per realizzare degli obiettivi ambiziosi. Questi obiettivi si sono concretizzati nell'emanazione del terzo pacchetto energetico, nel pacchetto sulle energie rinnovabili e il cambiamento climatico, nella direttiva sulla riduzione delle emissioni di CO2 nelle nuove autovetture, nella nuova regolamentazione Energy Star, nel Libro verde sulla mobilità urbana, che prevede, tra l'altro, incentivazioni per automezzi efficienti, nel piano strategico sulle tecnologie riferite all'energia.

5.2

Che cosa caratterizza questi provvedimenti? Alcune indicazioni e molte regole. Purtroppo i governi, dopo aver formalmente approvato i provvedimenti, non sono capaci di sostenere le pressioni delle imprese nazionali e mantenere le scelte effettuate, come nel caso delle emissioni di CO2, e chiedono di modificare quanto hanno collegialmente approvato.

5.3

Il motivo per il quale gli Stati membri non paiono preoccuparsi più di tanto risiede proprio nella direttiva. Al considerando 12, infatti, è sottolineato che: «Pertanto, anche se gli Stati membri si impegnano a compiere uno sforzo per raggiungere l'obiettivo del 9 %, l'obiettivo nazionale in materia di risparmio energetico ha carattere indicativo e non comporta obblighi giuridicamente vincolanti per gli Stati membri quanto al suo conseguimento».

5.4

Questa pratica regolamentare (direttive con obiettivi non obbligatori e senza prevedere sanzioni in caso di inadempienza) ha caratterizzato le iniziative legislative emesse in alcuni anni specifici e in alcune materie specifiche. Gli Stati membri, fino a pochi anni fa, hanno rivendicato la loro sovranità in materia di scelte energetiche, dall'approvvigionamento, alla produzione, alla trasmissione. Ciò ha comportato una sorta di soft law che ha caratterizzato quel periodo. La stessa direttiva sui biocarburanti, la 2003/30/CE, fissava degli obiettivi quantitativi, ma nessun obbligo particolare a realizzarli.

5.5

In queste condizioni e con queste premesse, l'obiettivo di realizzare una riduzione del consumo, attraverso l'efficienza energetica del 20 % entro il 2020, è molto difficile da raggiungere se non verranno adottate misure e/o obiettivi complementari stringenti.

5.6

Il CESE ha sostenuto e sosterrà tutte le iniziative che si porranno nell'ottica di realizzare un sempre più significativo livello di efficienza energetica, considerando che sia le emissioni di CO2, sia la dipendenza energetica dell'UE costituiscono due problemi di primaria grandezza.

5.7

Il CESE sottolinea al contempo la contraddittorietà tra misure generali non obbligatorie e misure specifiche, orientate al raggiungimento del risultato, obbligatorie. Non è obbligatorio il tutto, ma le singole parti lo sono? La Commissione stessa dovrebbe dare il buon esempio dichiarando i risultati di efficienza e risparmio energetico ottenuti nell'ambito dei propri immobili, le iniziative intraprese, i fondi stanziati. Un'appendice di tipo «federale» aiuterebbe a comprendere meglio l'importanza di tali politiche.

5.8

Il CESE pone l'accento sul grande divario tra le aspettative diffuse verso l'adozione di misure idonee ad ottenere significativi incrementi dell'efficienza energetica e i progetti nel complesso deludenti e poco ambiziosi presentati dagli Stati membri e insiste sulla necessità di adottare misure concrete a breve, medio e lungo termine, che diano sostanza agli obiettivi indicati.

5.9

Il CESE raccomanda che, se si dovesse arrivare a questa opportuna conclusione, vengano adottate misure idonee a realizzare gli obiettivi e non venga fatta, come in altre occasioni, una pura azione di cosmesi.

5.10

Il CESE aveva salutato con favore sia l'emanazione della direttiva 2006/32/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 aprile 2006 concernente l'efficienza degli usi finali dell'energia e i servizi energetici (1), sia il successivo piano d'azione per l'efficienza energetica: sviluppare le potenzialità del 19 ottobre 2006 (2), ma questi atti regolamentari e di indirizzo erano ancora condizionati da prezzi relativamente bassi del petrolio. Quando fu presentata la direttiva, il prezzo oscillava intorno ai 42 USD per barile, nel 2004, mentre il prezzo medio del 2006 era di poco inferiore ai 62 USD.

5.11

In quel contesto, era anche comprensibile che gli obiettivi fossero indicativi e che la Commissione nella direttiva non avesse previsto un obbligo cogente per gli Stati membri a realizzare gli obiettivi proposti. Il CESE scrisse: «la migliore energia è quella risparmiata», ma se il risparmio è lasciato alla buona volontà degli Stati membri, senza nessun ulteriore stimolo che quello del senso di responsabilità, allora l'obiettivo diventa veramente aleatorio, o meglio irraggiungibile.

5.12

Ma può l'Unione permettersi di non raggiungere gli obiettivi di riduzione dell'intensità energetica dell'1,5 % all'anno? Di rinunciare a risparmiare 390 Mteq che producono 780 Mt di CO2? Da una parte si confermano obiettivi ambiziosi e cogenti di riduzione del 20 % delle emissioni di GES, di raggiungere il 20 % di energie derivanti da fonti rinnovabili, mentre dall'altra l'obiettivo più immediatamente raggiungibile, che comporta un risparmio immediato, viene lasciato sullo sfondo come una speranza da ipotizzare.

5.13

Il CESE sottolinea come in alcuni paesi l'applicazione dei piani è responsabilità dei governi regionali, senza che vi sia un adeguato livello di coordinamento, il che comporta di fatto una mancanza di armonizzazione e di coerenza territoriale.

5.14

Il CESE deplora la mancanza di effettive opportunità di scelta sul lato dell'offerta e ritiene che debbano essere incrementate tali opportunità, accompagnate da incentivazioni rivolte alle fasce più deboli innanzitutto, al complesso dei consumatori, alle piccole e medie imprese per ottenere rapidamente i risultati attesi. In alcuni paesi le incentivazioni hanno prodotto risultati molto incoraggianti, come nel caso degli elettrodomestici bianchi.

5.15

Il CESE valuta positivamente l'esperienza dell'ESCO e ritiene che vada sostenuta la diffusione di tali servizi ai cittadini e alle imprese. Nuove professioni, nuove opportunità di lavoro qualificato, risultati positivi nel campo dell'efficienza energetica e della riduzione dei GES, sono solo alcune delle componenti positive di tali servizi.

5.16

Il CESE sottolinea che gli SM non stiano facendo abbastanza per raggiungere gli obiettivi fissati ed è convinto che, come nel caso delle emissioni nei trasporti, sia necessario appoggiare le iniziative della Commissione se orientate a rafforzare gli obblighi per gli Stati membri. Lo scorso anno la Commissione ha assunto delle iniziative positive, quali la nuova regolamentazione Energy Star, i cui standard sono ormai diventati obbligatori per gli appalti pubblici per materiali da ufficio; il Libro verde sulla mobilità urbana, che tra l'altro propone di finanziare veicoli più efficienti; il terzo pacchetto energia, che rafforza i poteri dei regolatori nazionali in merito all'efficienza energetica; il piano strategico sulle tecnologie energetiche e la regolamentazione delle emissioni per le nuove auto.

5.17

Altre iniziative sono in programma nei prossimi mesi. Dalle nuove direttive sui requisiti di efficienza energetica o di etichette verdi in molteplici prodotti (ad es. illuminazione pubblica e degli uffici, modi standby e off con consumi minimi) alla nuova regolamentazione, prevista per il 2009, su televisori, frigoriferi e refrigeratori domestici, lavatrici e lavastoviglie, scaldabagni e scaldacqua, personal computer, materiale per la riproduzione di immagini, motori elettrici, pompe di calore e condizionatori. Sempre nel 2009 la Commissione prevede di adottare un'iniziativa concernente le lampadine domestiche a incandescenza, per promuovere in tempi brevi la loro sostituzione. La revisione della direttiva sull'etichettatura delle auto, sull'efficienza dei pneumatici e dei sistemi che monitorano costantemente la pressione e la qualità dei pneumatici, costituiranno l'asse delle nuove strategie nel campo dei trasporti.

5.18

Il CESE giudica indispensabile realizzare un mercato interno dell'energia nel quale, conformemente alle direttive sull'elettricità e il gas, i prezzi siano il risultato di una sana concorrenza.

5.19

Il CESE richiama l'attenzione sulla necessità di prevedere negli Stati membri dell'UE piani di formazione destinati alle scuole (che dovranno conseguentemente impegnarsi attivamente in programmi di efficienza energetica) e programmi di comunicazione volti a sensibilizzare i cittadini circa l'importanza e l'esigenza di un consumo responsabile ed efficiente dell'energia.

5.20

Per quanto riguarda le scuole, di particolare interesse sono alcune gare tra istituti tecnici, con il coinvolgimento attivo degli alunni, nel conseguire il miglior risparmio energetico. Ad esempio in Italia il progetto «datti una scossa», dotato di un premio per realizzare quanto proposto fino a un importo di 25 000 euro ha avuto un grande successo; un altro buon esempio è la eco-maratona internazionale, nella quale un istituto francese ha presentato un prototipo che con un litro di benzina ha percorso 3 039 km! Un team della Danimarca è riuscito a produrre un motore a combustione con l'emissione di 9 g/km, vincendo il Climate Friendly Award.

5.21

Gli strumenti economici che saranno disponibili devono essere efficaci e sostenibili nel tempo. Il CESE ritiene che debba esser data particolare attenzione alla distribuzione degli incentivi, che devono essere diretti ai consumatori finali. Occorre tenere in considerazione anche l'opportunità di riservare una quota di incentivi anche al fornitore di servizi energetici, creando un interesse comune e convergente su politiche di efficienza energetica.

5.22

Al fine di dare ai clienti i segnali di prezzo adeguati, che favoriscano un uso più razionale ed efficiente dell'energia, il CESE chiede alla Commissione europea che vigili sull'eliminazione di tariffe offerte sottocosto, tenendo conto di quanto la legislazione europea ammette nel campo della adeguata promozione delle energie rinnovabili e preservando quanto previsto dalle direttive gas ed elettricità per i consumatori vulnerabili.

Bruxelles, 17 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  CESE 242/2006, relatore: BUFFETAUT e CESE 1243/2007, relatore: IOZIA.

(2)  CESE 270/2008, relatore: PEZZINI.

(3)  Parti per milione.

(4)  CESE 758/2008, relatore: CEDRONE.


31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/60


Parere del Comitato economico e sociale europeo L'Internet degli oggetti

(2009/C 77/15)

La Commissione, in data 7 febbraio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema:

L'Internet degli oggetti.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 16 luglio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore RETUREAU.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 settembre, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 118 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

Il CESE invita la Commissione a:

1.1

investire nella ricerca e sostenere attività di diffusione (come le iniziative organizzate dalla presidenza precedente) e di normazione, in quanto considera l'Internet degli oggetti un settore importante;

1.2

prendere misure per rimuovere le barriere che ostacolano l'adozione di questa tecnologia;

1.3

valutare se i sistemi centralizzati saranno in grado di gestire la quantità di traffico prevedibile per le applicazioni di Internet degli oggetti o se sia preferibile ricorrere a una governance locale (di nomi e servizi) per gestire un'utilizzazione di massa;

1.4

esaminare se le direttive attualmente in vigore garantiscano un'adeguata protezione dei dati e offrano adeguati requisiti di sicurezza o se occorra invece adottare nuove misure legislative;

1.5

considerare la questione delle necessità per alcuni laboratori europei di coniugare finanziamenti universitari e privati per garantire che i risultati della ricerca trovino applicazione in Europa e che i ricercatori non migrino verso centri di ricerca e imprese di altre regioni del mondo (USA);

1.6

per quanto riguarda gli eventuali rischi elettromagnetici, a questi nuovi ambienti, che presentano un'elevata densità di lettori radiofrequenza, e in particolare ai lavoratori che vi operano, andrebbe applicato il principio di precauzione. Questi ultimi dovrebbero essere informati degli eventuali rischi e dotati di strumenti di protezione, previa però una seria valutazione della questione sulla base di studi scientifici;

1.7

va ricordato che lo sviluppo tecnologico deve realizzarsi nell'interesse degli esseri umani e che occorre valutare i rischi etici ad esso correlati;

1.8

per quanto riguarda i servizi transeuropei, la Commissione o l'autorità amministrativa indipendente cui potrebbe essere affidata in futuro la regolamentazione dello spettro dovrebbero considerare le esigenze dell'Internet degli oggetti in termini di spettro;

1.9

la ricerca sarà determinante per vincere la sfida consistente nel riuscire a fornire la capacità di elaborazione necessaria per gestire le future applicazioni in tempo reale dell'Internet degli oggetti.

2.   Proposte della Commissione

2.1

Dopo la comunicazione del 2007 sulle etichette RFID (1) e il convegno su questo tema svoltosi a Lisbona nel novembre scorso, con la presente comunicazione la Commissione passa alla tappa successiva, quella dell'Internet degli oggetti (2).

2.2

A questo proposito, va citata anche la vasta serie di testi e iniziative elaborate dal CESE nel corso degli ultimi anni (3). Il programma i2010 è stato oggetto di una relazione intermedia (4).

3.   Osservazioni e analisi

3.1   Introduzione

3.1.1

Lo sviluppo delle tecnologie informatiche rappresenta una sfida cruciale per le nostre società, tanto più in quanto l'Europa, con il suo mercato unificato, può diventare una regione chiave dell'economia digitale se si dota degli strumenti necessari sia sul piano della ricerca di base e della R&S che su quello politico della governance dell'Internet del futuro.

3.1.2

La crescita e la competitività europea dipendono in larga misura dalle tecnologie informatiche, ed è tempo ormai che l'Europa si affermi al livello della governance politica di Internet, sviluppando nel contempo le indispensabili tecnologie, investimenti, conoscenze e know-how.

3.1.3

Ancor oggi, nell'epoca del Web 2.0 interattivo e mobile, Internet si fonda su una rete mondiale di centinaia di migliaia di server e router, vale a dire computer fissi collegati tramite cavi o fibre ottiche. Ma le connessioni ai terminali mobili, come i telefoni cellulari o gli Internet tablet, utilizzano onde elettromagnetiche. Esse fanno registrare un'espansione molto rapida basata su una serie di standard di connessione diversi (3G, 3G+, HSPDA, Edge, WiFi, WiMax).

3.1.4

Il Web 2.0 è interattivo: l'utente è anche, a titolo individuale oppure in cooperazione con altri, creatore o fornitore di contenuti (enciclopedia Wikipedia, software open source, ecc.). Un elevato numero di PMI opera nella fornitura di programmi informatici, contenuti creativi e soprattutto servizi altamente diversificati (installazione e manutenzione di reti, sicurezza informatica, formazioni, ecc.).

3.1.5

I chip informatici sono sempre più miniaturizzati e, al tempo stesso, più complessi e meno consumatori di energia. Si inseriscono in terminali mobili sempre più leggeri in cui i software incorporati e la potenza di calcolo vengono utilizzati in una prospettiva di integrazione tra telefono, accesso a Internet e geolocalizzazione (chip Sirf 3).

3.2   Verso l'Internet degli oggetti

3.2.1

L'Internet degli oggetti comincia ad affermarsi in un contesto tecnologico complesso a partire dal Web 2.0 e altre tecnologie associate, per lo più già esistenti, la cui fusione segna una tappa fondamentale in questa direzione:

i protocolli IPv6 (5), HTTP (6), FTP, ecc. e un nuovo standard HTML 5 universale per la lettura dei siti (ancora da elaborare),

le etichette RFID (7), e i lettori radiofrequenza che li collegano alle banche dati,

la geolocalizzazione (GPS e presto Galileo),

le reti interconnesse e le capacità di stoccaggio dati,

l'intelligenza artificiale, in particolare nel Web 3.0 (web semantico, il cui linguaggio sarà più vicino al linguaggio naturale) e per la gestione di dati da parte di macchine interconnesse,

le nanotecnologie, in particolare quelle applicate ai microprocessori,

le etichette 2D (codici a barre, Datamatrix) che rimangono utilizzabili, in particolare quando viene associato un contenuto ricco a un indirizzo Internet codificato con Datamatrix, fotografato tramite terminale portatile che collega direttamente al sito (usi diversi: turistici, pubblicitari, informativi, ecc.).

3.2.2

Nel potenziamento degli elementi delle reti del futuro svolgerà un ruolo crescente l'informatica massicciamente parallela: centinaia o anche migliaia di processori possono funzionare in parallelo (8), e non tramite operazioni successive: ciò consente di accelerare drasticamente i calcoli e di concepire più universi virtuali complessi simultaneamente; inoltre, la virtualizzazione permette già di utilizzare in modo molto più completo la potenza dei computer facendo funzionare virtualmente più macchine in una sola, anche con sistemi operativi diversi. Questa tecnica conosce una rapida diffusione.

3.2.3

Senza dubbio l'Europa deve intensificare le ricerche e formare competenze di alto livello teorico e pratico in questo settore, per trattenere i ricercatori che le vengono «sottratti», ora dai grandi laboratori universitari e privati americani e presto da quelli cinesi o indiani. In assenza di iniziative di ampio respiro per garantire la padronanza dell'Internet del futuro, il rischio di un ritardo tecnologico notevole diventa evidente.

3.2.4

Le tecnologie della memoria di massa si evolvono rapidamente: esse sono indispensabili per le banche dati che conterranno la descrizione degli oggetti identificati tramite l'indirizzo Internet. Queste capacità, coniugate alle capacità di elaborazione dei dati, aprono la strada a un'Internet intelligente, che accumulerà nuove conoscenze in banche dati più complete tramite la combinazione e l'elaborazione dei dati ricevuti dagli oggetti e dalle banche dati identificative. Al tempo stesso, la rete diviene essa stessa un computer e memorizza programmi che consentono l'utilizzo di banche dati e interventi umani: richieste complesse, relazioni, ecc.

3.3   Prime applicazioni

3.3.1

Un certo numero di realizzazioni è in via di sperimentazione e alcune applicazioni sono già operative con gli strumenti odierni. Esse vengono utilizzate in settori economici come:

il commercio al dettaglio (Wal-Mart),

la logistica dei trasporti e il controllo delle merci,

la sicurezza in talune imprese.

3.3.2

Le etichette RFID incorporate negli oggetti, nei tesserini d'accesso, sui prodotti in vendita nei supermercati, ad esempio, consentono a un lettore situato a distanza relativamente breve (distanza in funzione della frequenza utilizzata) di accedere simultaneamente all'indirizzo e alle caratteristiche di tutti gli oggetti letti in contemporanea (carrello, container) e di trarne le conseguenze (prezzo da pagare, dichiarazione doganale dettagliata). In Giappone questo sistema può già essere utilizzato per effettuare acquisti, che vengono pagati tramite un altro chip contenuto nel cellulare (si tratta in realtà di un terminale multifunzionale).

3.3.3

Per quanto riguarda la logistica dei trasporti, i dispositivi in questione, in collegamento con la geolocalizzazione, consentono di avere informazioni complete su un ordine in corso di evasione, compresa la sua ubicazione geografica, in tempo reale.

3.3.4

L'Internet degli oggetti è ubiquista: si parla infatti anche di Ubiquitous Internet (Internet ovunque), in cui le informazioni trasmesse dai lettori in diverse tappe dei processi di elaborazione possono essere trattate in modo automatico.

3.3.5

In un certo numero di applicazioni, gli oggetti comunicano, la rete acquisisce informazioni e può prendere decisioni appropriate, ad esempio in applicazioni domotiche come il riconoscimento biometrico delle persone, l'apertura di porte, l'esecuzione di decisioni riguardanti la casa e il suo approvvigionamento, la gestione del riscaldamento, dell'aerazione, delle avvertenze di sicurezza per i bambini, ecc.

3.3.6

L'accesso a determinate macchine o a talune informazioni può essere determinato da lettori di impronte o dispositivi per il riconoscimento morfologico.

3.4   Ubiquità delle reti, privacy e sicurezza

3.4.1

Ma questi trattamenti possono intensificare notevolmente i rischi di violazione della privacy, della riservatezza delle informazioni e delle relazioni tra clienti e fornitori di beni o servizi, in quanto il buon funzionamento dell'Ubiquitous Internet presuppone che le reti contengano una grande quantità di dati personali o addirittura riservati e strettamente privati, come nelle applicazioni mediche.

3.4.2

Occorre chiedersi se gli strumenti giuridici comunitari attuali per la protezione dei dati siano adeguati per le reti del prossimo futuro.

3.4.3

Senza un rafforzamento della protezione e della riservatezza dei dati sensibili, l'Ubiquitous Internet potrebbe diventare uno strumento di trasparenza totale per le persone (come lo è già per gli animali da compagnia nel sistema di identificazione europeo).

3.4.4

Bisognerà soprattutto sorvegliare gli incroci di dati sparsi regolando quelli riguardanti gli oggetti e vietando quelli riguardanti le persone. La diffusione di dati presuppone che questi vengano preventivamente resi anonimi: ciò smentisce gli argomenti di quanti rifiutano di comunicare dati sociologici adducendo come pretesto la protezione della privacy. Non occorre autorizzazione preventiva se i dati sono resi anonimi e poi sottoposti a elaborazione statistica prima della pubblicazione dei risultati.

3.4.5

I dati riservati, da definirsi giuridicamente, dovranno essere protetti tramite forti criptaggi, concedendo l'accesso soltanto alle persone (o macchine) autorizzate.

3.4.6

Rimane aperta, come riconosce la Commissione, la questione dell'innocuità o del rischio associato alle più potenti frequenze ultraelevate (UHF), che troveranno presto largo impiego.

3.4.7

La legislazione sulla protezione dei lavoratori dalle onde elettromagnetiche rischia di risultare gravemente carente per un'esposizione permanente alle alte frequenze e alle frequenze ultraelevate. Gli studi in materia, principalmente incentrati sui possibili effetti dei telefoni cellulari sulla salute degli utenti, non hanno portato a conclusioni certe. Bisognerebbe accelerare e ampliare quanto prima le ricerche sugli eventuali rischi e rimedi prima che taluni tipi di etichette elettroniche di nuova generazione si sviluppino in modo «selvaggio» (9).

3.4.8

Occorre stabilire regole possibilmente universali, o perlomeno europee, per l'uso delle etichette elettroniche RFID, privilegiando il diritto alla protezione della privacy in una prospettiva che vada forse al di là delle persone fisiche, in quanto la legislazione attuale viene applicata in modo disomogeneo e non copre tutte le situazioni legate agli usi attuali e futuri delle etichette RFID e dell'Internet degli oggetti.

3.5   L'Internet del futuro

3.5.1

L'Internet del futuro — nella misura in cui è concepibile formulare previsioni a medio termine in un settore in costante evoluzione — sarà probabilmente una combinazione del Web 3.0 e dell'Internet degli oggetti.

3.5.2

Le diverse componenti dell'Internet del futuro esistono già per la maggior parte: esse vengono ora perfezionate o realizzate, in modo tale che questa nuova Internet possa presto «uscire allo scoperto», rivelarsi come un nuovo paradigma, che modificherà il posto e il ruolo delle reti ubiquiste nella vita dei cittadini e nella crescita economica in una misura ancora difficile da immaginare, ma tale tuttavia da poter provocare una profonda trasformazione sociale e costituire una fonte di sviluppo senza precedenti per le imprese e i paesi che ne padroneggeranno tutti gli aspetti, quelli, cioè, che avranno effettuato in tempo utile gli investimenti necessari per la ricerca, la formazione, la creazione di norme e di nuovi servizi. Ciò potrebbe comportare cambiamenti nei rapporti di forza economici e scientifici su scala mondiale. Si tratta di una sfida ineludibile per l'Europa.

3.5.3

In ultima analisi, l'Internet degli oggetti realizza una fusione tra mondo fisico e mondo digitale, tra reale e virtuale. Gli oggetti intelligenti (smart object) si inseriscono nella rete presente ovunque (ubiquitous network) cui partecipano a pieno titolo. In essa occuperanno un posto molto maggiore di quanto non avessero nella rete partecipativa e umanista costituita dal Web 2.0, che confluirà nella rete allargata a un livello superiore.

3.5.4

Infine, la nuova rete pone problemi di governance per la sua dimensione e i suoi contenuti nuovi, i requisiti in materia di assegnazione dei nomi di dominio che riguardano centinaia di miliardi di nomi, e le norme universali da seguire. Attualmente le RFID sono oggetto di norme private, rapporti commerciali con la EPC global, ma è questa una via praticabile per il pieno sviluppo dell'Internet del futuro?

Bruxelles, 18 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniL'identificazione a radiofrequenza (RFID) in Europa: verso un quadro politico (COM(2007) 96 def.).

(2)  Cfr. gli atti del seminario Towards an RFID Policy for Europe (Verso una politica dell'identificazione a radiofrequenza per l'Europa), pubblicati da Maarten Van de Voort e Andreas Ligtvoet, 31 agosto 2006.

(3)  Ad esempio, il parere del CESE Identificazione a radiofrequenza (RFID), relatore: MORGAN, (GU C 256 del 27.10.2007, pag. 66).

(4)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniPreparare il futuro digitale dell'EuropaRiesame intermedio dell'iniziativa i2010 (COM(2008) 199 def.).

(5)  Internet protocol version 6 (Protocollo Internet versione 6).

(6)  Hypertext Transfer Protocol (HTTP — Protocollo per il trasferimento di informazioni ipertestuali) è un protocollo di comunicazione per il trasferimento delle informazioni nelle intranet e nella rete Web. Originariamente, esso era stato concepito per pubblicare e reperire pagine di ipertesto in Internet.

(7)  Radio Frequency IDentification (identificazione a radiofrequenza).

(8)  L'Università di Stanford lancia un nuovo laboratorio, il Pervasive Parallelism Lab, finanziato dalle più grandi società dell'industria informatica statunitense, tra cui la HP, l'IBM e la Intel.

(9)  Uno studio scientifico britannico, consultabile al sito

http://www.mthr.org.uk, dimostra l'innocuità dei telefoni cellulari su un periodo di più anni.


31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/63


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sui contenuti creativi online nel mercato unico

COM(2007) 836 def.

(2009/C 77/16)

La Commissione europea, in data 3 gennaio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sui contenuti creativi online nel mercato unico

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 16 luglio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore RETUREAU.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 115 voti favorevoli, 1 voto contrario e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Diritti dei consumatori

1.1.1

Il CESE è sostenitore di una tutela dei consumatori di alto livello e, in questo contesto, attende con interesse l'elaborazione della guida per consumatori ed utilizzatori dei servizi della società dell'informazione.

1.1.2

A parere del CESE in questa guida dovrebbero figurare almeno i punti seguenti:

neutralità della rete, per rafforzare la possibilità di scelta dei consumatori,

garanzia di una protezione adeguata dei dati personali ed elevato livello di sicurezza dell'ambiente elettronico,

incentivazione alla creazione di norme di tipo volontario e di marchi di fiducia per il commercio elettronico,

applicabilità dei diritti dei consumatori all'ambiente digitale, specificando i diritti di accesso, il servizio universale e la tutela nei confronti di pratiche commerciali sleali,

definizione di parametri di qualità dei servizi online,

istituzione di un formulario europeo online, semplice, per la denuncia di attività fraudolente,

meccanismi alternativi (extragiudiziali) di risoluzione delle controversie online.

1.2   Interoperabilità

1.2.1

Il CESE sottolinea che l'interoperabilità costituisce un fattore economico centrale e constata che per facilitarla sono di importanza fondamentale gli standard aperti, che contribuiscono inoltre alla sicurezza e all'affidabilità.

1.2.2

La non interoperabilità limita i cittadini europei nel loro accesso ad attrezzature, servizi e contenuti, li obbliga a pagare prezzi più elevati per le attrezzature, riducendone allo stesso tempo la gamma, e li costringe a utilizzare «passerelle digitali», dato che certe parti interessate approfittano di differenze tecniche non necessarie per creare mercati monopolistici.

1.2.3

L'idea dei sistemi di gestione dei diritti digitali (DRM (1)) eurocompatibili sembra al Comitato una falsa buona idea, che pone più problemi di quanti non ne risolva e che potrebbe escludere certi creatori di contenuti dalla diffusione online; inoltre il mercato dei contenuti è mondiale, come dimostrano i blocchi di zona che limitano la libertà degli utilizzatori.

1.3

Il CESE ritiene che l'imposizione fiscale più o meno anarchica di tutti i tipi di supporti digitali o di supporti di memoria, oltretutto fortemente variabile da paese a paese, conduca a distorsioni importanti del mercato.

1.4

Le misure penali e le procedure d'eccezione previste nel progetto di legge «Olivennes» in Francia vanno ben oltre le domande dell'OMC contenute nell'accordo firmato nel 1994 a Marrakech. Come segnalato dalla Corte di giustizia nella sentenza Pro Musicae, nella scelta dei mezzi da utilizzare per far rispettare il diritto d'autore si deve ottemperare al principio di proporzionalità e si tratta di trovare un equilibrio soddisfacente tra i diritti di libertà e gli interessi in questione.

1.5

Per tale ragione il CESE attende con interesse la raccomandazione che la Commissione ha in programma di elaborare sui contenuti creativi online, in modo da pronunciarsi concretamente sulla trasparenza (etichettatura) e su nuove forme di istituzione e di gestione dei diritti digitali su scala europea, sull'incentivazione e sul contributo a regimi innovativi per la diffusione dei contenuti creativi online e sulla ricerca degli strumenti efficaci per porre termine alla copia illegale a fini commerciali e a qualsiasi altra forma di pirateria a danno dei creatori di contenuti.

2.   Proposta della Commissione

2.1

Gli aspetti più rilevanti della comunicazione e delle domande della Commissione riguardano:

la regolazione e l'armonizzazione di un mercato europeo dei contenuti creativi online,

un diritto d'autore e dei diritti connessi europei; licenze multiterritoriali; una migliore protezione dei diritti relativi alla proprietà letteraria e artistica,

dei sistemi di DRM europei, in funzione dei supporti, e interoperabili, in particolare sui contenuti online,

la garanzia della sicurezza delle comunicazioni e dei regolamenti finanziari, lotta contro la pirateria e le frodi, allo scopo di rafforzare la fiducia nell'economia digitale e permettere lo sviluppo dei servizi online,

le questioni riguardanti la copia privata, che saranno sicuramente il problema maggiore da affrontare e che sono al centro di numerose polemiche in Europa, dato che i vari membri dell'Unione europea sono ben lungi dall'avere una legislazione armonizzata in materia.

2.2

Secondo il documento di lavoro di 41 pagine dei servizi della Commissione, pubblicato separatamente dalla comunicazione e solo in inglese (2), visti il carattere transfrontaliero delle comunicazioni online e i nuovi modelli commerciali richiesti dalle nuove tecnologie, le politiche dell'Unione dovrebbero puntare alla promozione e alla diffusione rapida di questi nuovi modelli per diffondere online i contenuti e i saperi. I contenuti creativi distribuiti online sono dei contenuti e dei servizi come i media audiovisivi online (film, televisione, musica, radio), i giochi online, le pubblicazioni online, i contenuti didattici online, i contenuti generati dagli utilizzatori (reti sociali, blog, ecc.)

2.3

Il primo obiettivo, già dichiarato in i2010 (3), è quello di istituire uno spazio unico europeo dell'informazione. I problemi riscontrati persistono, mentre le piattaforme tecnologiche di diffusione si diversificano e si estendono.

2.4

Per quanto concerne il problema della fiducia nell'economia digitale, una questione ricorrente è quella dell'interoperabilità tra i materiali, i servizi e le piattaforme. Taluni ritengono che la criminalizzazione della condivisione di file peer to peer (P2P) o bit torrent e i regimi draconiani dei diritti di proprietà intellettuale non creino un clima di fiducia, tanto più che con l'esplosione dei contenuti creati dagli utilizzatori, che aggiunge una nuova dimensione al loro ruolo nell'economia digitale, sorge una serie di sfide nei confronti delle politiche pubbliche, in molti campi, quali la fiducia e la sicurezza.

2.5

L'uso dei sistemi di DRM è aspramente criticato dalle organizzazioni dei consumatori. Essi comportano anche rischi per la protezione dei dati e non sono facili da gestire per gli utilizzatori. Taluni rappresentanti dell'industria però li difendono e sostengono che i problemi di interoperabilità provengono dai fabbricanti dei materiali e dagli sviluppatori di software.

2.6

Sul mercato mondiale, gli operatori dei mercati nazionali devono far fronte alla diversità delle lingue e alla dimensione ridotta di certi mercati oltre che alla diversità delle regole nazionali riguardanti le licenze. Gli ISP (Internet service provider — fornitori d'accesso Internet) sono favorevoli alle licenze e ai regolamenti multiterritoriali, ma questo non è un approccio favorito in altri settori dell'industria. Le licenze nazionali permetterebbero una migliore remunerazione degli autori; nondimeno un numero elevato di istituzioni di riscossione dei diritti opera in più paesi. Inoltre, le organizzazioni musicali e gli operatori mobili vogliono una semplificazione delle procedure per la riscossione dei diritti.

2.7

Gli ISP criticano anche la diversità dei regimi di riscossione e degli importi dei diritti per la copia privata, sempre più pesanti e complessi e contestano la loro utilità rispetto all'uso dei sistemi di DRM.

2.8

L'assenza di disponibilità di contenuti per la distribuzione online e la frammentazione del mercato, nonché la diversità dei contratti conclusi per diverse forme di sfruttamento rendono marginale la messa online rapida delle creazioni e costituiscono un grave freno allo sviluppo dei servizi.

2.9

Il documento di lavoro della Commissione rispecchia i risultati di due consultazioni e mostra la varietà di posizioni dei diversi interessi in causa. La Commissione vorrebbe comunque avanzare sul terreno (contestato) delle licenze multiterritoriali e di un diritto d'autore europeo, della generalizzazione di sistemi di DRM interoperabili in particolare, e assistere alla creazione di un vero mercato europeo che integri la diversità delle culture.

2.10

L'obiettivo è quello di fare in modo che il mercato europeo dei contenuti online (musica film, giochi ecc.) si quadruplichi da qui al 2010, passando dagli 1,8 miliardi di euro di fatturato nel 2005 a 8,3 miliardi.

3.   Osservazioni

3.1

Il CESE è pienamente cosciente del fatto che Internet permette di raccogliere o distribuire sotto forma digitale beni e servizi secondo metodi che violano il diritto di proprietà immateriale degli autori e dei distributori di contenuti creativi online, consente violazioni della sfera privata oppure nuove forme di frode contro le imprese e i privati.

3.2

Le creazioni più soggette alla messa in circolazione illegale sono i brani musicali contemporanei e, sempre di più, le opere audiovisive, oltre ai software di ogni genere. Il fenomeno ha assunto enormi dimensioni durante il periodo in cui non è stato presentato dai distributori nessun modello commerciale che tenesse conto delle nuove possibilità di violazione dei diritti di proprietà immateriali. Sarebbe stata inoltre necessaria un'iniziativa educativa sull'uso da parte degli adolescenti di Internet, iniziativa che, però, nessuna istituzione ha preso e i progressi in questo campo sono assolutamente insufficienti.

3.3

Le prime reazioni sono state talvolta estreme, ma alcune volte lassiste, anche se più raramente. I distributori hanno istituito dei dispositivi contro la copia (i cosiddetti sistemi di DRM) insieme con la richiesta di compensazioni finanziarie per i titolari dei diritti e di misure penali estremamente dissuasive, ma in pratica inapplicabili, tenuto conto delle dimensioni della frode, salvo nei casi di contraffazioni massicce provenienti in massima parte dall'Est europeo e dall'Asia. Alcune persone sono state colte in flagrante per servire d'esempio dissuasivo, senza però poter misurare la portata reale dell'effetto dissuasivo in mancanza di inchieste indipendenti e di cifre realistiche sugli importi delle perdite causate dalle contraffazioni.

3.4

Il CESE dichiara tuttavia una certa sorpresa dinanzi alla proposta della Commissione di creare dei sistemi di DRM europei e interoperabili sui contenuti diffusi online. Per quanto riguarda la musica, infatti, sono già accessibili milioni di titoli su siti commerciali senza sistemi di DRM; la tendenza è alla loro scomparsa progressiva. Le aziende di distribuzione sono sul punto di sviluppare possibilità d'ascolto diretto senza registrazione o abbonamento speciale che permettono di scaricare un certo numero di brani e prevedono la gratuità ma con pubblicità «obbligatoria», ecc.

3.5

Le protezioni materiali su supporti mobili, ovvero terminali, sono ormai viste più come ostacoli all'uso corretto (fair use) che come protezioni efficaci contro i pirati; esse possono condurre anche a un'integrazione verticale (siti, codifica proprietaria con una perdita di qualità più o meno grande, lettori dedicati: sistemi di distribuzione Apple con codice AAC e lettore iPod o iPhone) che costituisce un sistema anticoncorrenziale. Una protezione frequente, in particolare per i software o i giochi, ovvero certe pubblicazioni online, è fondata su una chiave digitale di sblocco dell'accesso, inviata all'acquirente dopo che questi ha regolato il suo acquisto unitario o il suo abbonamento per una certa durata: si tratta di un sistema abbastanza efficace e già molto diffuso.

3.6

I sistemi di DRM digitali integrati interoperabili appaiono al CESE sistemi superati nella pratica; sarebbe forse preferibile osservare bene gli sviluppi nei diversi settori del mercato dei contenuti online, che sembrano andare in una direzione favorevole alla protezione dei diritti d'autore e dei diritti connessi, sulla base in particolare di codici di condotta appropriati e di modelli commerciali realistici  (4), piuttosto che cristallizzare con un'iniziativa europea una situazione transitoria e in rapida evoluzione.

3.7

In ordine al diritto d'autore e ai diritti connessi, gli accordi e le convenzioni internazionali esistenti costituiscono una base giuridica in linea di principio comune sia per gli Stati membri che nelle relazioni con i paesi terzi. In pratica, però, sussistono delle differenze, malgrado il diritto comunitario. Inoltre, la proposta di un diritto d'autore europeo per il mercato interno renderebbe automatica la protezione in tutti i paesi membri nel momento in cui tali diritti sono riconosciuti in uno di essi e garantirebbe una protezione uniforme.

3.8

Nell'era di Internet e della società della conoscenza è indispensabile trovare un equilibrio effettivo tra l'interesse generale e gli interessi privati. Gli autori e i distributori devono avere una remunerazione equa. I lettori o ascoltatori e utilizzatori devono poter usare ragionevolmente i contenuti legalmente acquisiti, in una cornice privata, in quadro pubblico o nell'insegnamento impartito ai diversi livelli degli istituti d'istruzione.

3.9

È giocoforza prendere atto dell'esistenza di un diritto penale rigoroso, a tutela del diritto d'autore, che prevede nei confronti dei privati che non ne fanno commercio delle sanzioni esorbitanti in diversi paesi, mentre d'altro canto i diritti d'uso e di copia privati sono stati ridotti; per contro i metodi polizieschi imposti ai fornitori dell'accesso Internet, che possono rivelarsi utili per la lotta antiterroristica, sembrano sproporzionati e capaci di violare il diritto all'intimità in un quadro giudiziario unilateralmente favorevole ai distributori. È possibile che tale tipo di legislazione sia alla fine rimessa in questione davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, che si occupa del rispetto della vita privata. La Corte di Lussemburgo, per parte sua, si appella al rispetto dei principi di proporzionalità e alla ricerca di un equilibrio tra i diversi diritti contrapposti (sentenza Pro Musicae).

3.10

Inoltre, alcuni paesi, spesso gli stessi, impongono una tassa su tutti i tipi di supporto digitale, considerandoli come strumenti di pirateria a prescindere dall'uso cui sono destinati. Sebbene tale imposta sia spesso qualificata come «tassa per copia privata» essa genera in effetti redditi considerevoli la cui ripartizione è talvolta lungi dall'essere trasparente. Questo approccio che assimila le copie private di ogni tipo o di «uso corretto» a una violazione dei diritti d'autore e connessi è particolarmente insopportabile per gli utilizzatori onesti delle TIC, vale a dire la grande maggioranza, e per le imprese che li utilizzano ad altri fini che la copia dei brani musicali o di giochi. Per lo meno tali prelievi dovrebbero essere moderati e proporzionali al costo effettivo dello stoccaggio delle unità digitali (percentuale del prezzo di vendita del supporto diviso per la capacità in numero totale di GB, per esempio, perché si constatano distorsioni considerevoli a seconda dei supporti).

3.11

I diritti delle diverse parti devono essere rispettati, ma rispettando anche le direttive in vigore e il principio di proporzionalità, come la Corte di giustizia ha chiaramente affermato nella sua sentenza Pro Musicae (5).

4.   Osservazioni complementari del CESE

4.1

Il Comitato condivide la posizione secondo cui l'interoperabilità, indispensabile alla libera concorrenza, può essere raggiunta solo quando il consumatore può utilizzare il dispositivo di sua scelta per leggere le sue opere. L'unica soluzione a questo problema è che le opere siano codificate in standard aperti, accessibili a tutti. Ebbene, qualsiasi sistema di DRM proibisce in modo prestabilito la lettura di un'opera a qualsiasi dispositivo, materiale o software che non sia stato esplicitamente autorizzato dall'editore del sistema di DRM. Per definizione i sistemi di DRM si basano sulla segretezza dei loro formati chiusi, le cui specifiche tecniche non sono accessibili al pubblico. Per i sistemi non autorizzati e non certificati dall'editore del DRM non vi è alcuna possibilità di entrare in concorrenza. D'altronde a tutt'oggi non esiste alcun sistema di DRM che si basi su standard aperti. Questa soluzione comporterebbe l'istituzione di sistemi di licenze incrociate e certi creatori di contenuti potrebbero ritrovarsi esclusi dal mercato perché, per esempio, non utilizzano i sistemi di DRM. Tutto un settore della creazione digitale, che comprende gli istituti scientifici e i centri di ricerca, le università, il software libero, le creazioni sotto licenze alternative, potrebbe essere escluso dal mercato, che non ammetterebbe che contenuti commerciali, fatto che è incompatibile con la società dell'informazione e della conoscenza alla cui testa l'Europa si vuole collocare.

4.2

Nessuna di queste ipotesi è soddisfacente, per esempio per l'importazione delle opere e dei contenuti provenienti da paesi terzi verso l'Europa e per l'esportazione al di fuori del nostro continente. Il software o i software DRM europei dovrebbero allora essere compatibili con quelli dei mercati esterni, spesso molto più dinamici in materia audiovisiva. I sistemi di DRM costituiscono una porta aperta agli atteggiamenti anticoncorrenziali e ai tentativi d'integrazione verticale nel settore multimediale. Il caso di iTunes di Apple che utilizza un sistema di DRM e una codifica proprietaria, che obbliga in pratica a utilizzare un lettore di tipo iPod o iPhone, illustra tale problema.

4.3

Svelando solo le interfacce applicative di programmazione (API — application programmer's interface) d'un software DRM e non l'intero programma sorgente, cosa che potrebbe rappresentare una tentazione molto forte per taluni fornitori, si correrà sempre il rischio di non permettere una reale interoperabilità.

4.4

I pirati riescono ad aggirare o riprodurre molto rapidamente l'equivalente di qualsiasi sistema di protezione, al punto che i fornitori di contenuti non hanno più fiducia nei sistemi di DRM e sono alla ricerca di nuovi modelli commerciali di diffusione, come l'abbonamento forfettario, l'ascolto libero, ma subordinando la possibilità di scaricare l'opera al pagamento, l'inclusione della pubblicità, ecc. Bisognerebbe dar fiducia al mercato piuttosto che legiferare nella fretta e nella confusione, come nel caso francese, in cui i testi normativi si susseguono e danno luogo a una giurisprudenza contraddittoria. La pressione delle lobby delle major (cinque grandi case dominano il settore dei brani musicali, sei o sette quello dell'audiovisivo) fino ad ora è stata determinante per indurre certi paesi all'abbandono del diritto alla copia privata ed alla criminalizzazione dello scambio di file tra privati. L'ultimo progetto di legge francese si incammina su questa strada senza uscita della repressione esagerata.

4.5

Come il Comitato ha sostenuto in pareri anteriori, il diritto penale dovrebbe applicarsi solo alle contraffazioni a scopo commerciale (produzione e distribuzione, talvolta da parte di organizzazioni criminali); in taluni paesi membri è molto facile, anche su mercati aperti, ottenere software o registrazioni musicali e audiovisive contraffatte; esiste una produzione europea di prodotti contraffatti, ma il grosso delle copie viene dall'Asia. È questo fenomeno massiccio di contraffazione a scopi commerciali che bisognerebbe prendere di mira e sanzionare in via prioritaria, oltre a sviluppare una cooperazione di polizia e giudiziaria per smantellare le reti criminali internazionali.

4.6

Rispetto agli scambi, soprattutto tra adolescenti, vanno sviluppate l'informazione sul fatto che gli autori e produttori devono avere una remunerazione equa per il loro lavoro (soprattutto gli autori che spesso ricevono solo una porzione infima dei diritti percepiti) e l'educazione civica.

4.7

Non tutti gli scambi di file massicci sono necessariamente scambi di file protetti da diritti immateriali pecuniari. Si può trattare di scambi e pubblicazioni gratuite di contenuti diversi (risultati di esperimenti e lavori scientifici, opere soggette a licenze non restrittive in materia di copia o diffusione).

4.8

Tuttavia, è tutta la rete che, secondo il progetto di legge all'esame in Francia, deve essere oggetto di una sorveglianza e prevedere la conservazione nel lungo periodo dei dati personali degli utilizzatori di Internet. I dati dovrebbero essere accessibili ai rappresentanti delle major, mentre, se un tale sistema fosse istituito, sole autorità pubbliche munite di un mandato giudiziario dovrebbero potere accedere a tali dati.

4.9

Il diritto di copia privata diventa un'eccezione, sottoposta a forti restrizioni, nei «contratti» elaborati dai fornitori dei contenuti, in termini di difficile comprensione e che sono in contraddizione con acquisti decisi sul momento, che costituiscono la forma più frequente di acquisto da parte dei consumatori.

4.10

Se gli autori e i distributori professionali sono in pratica i soli a beneficiare di una tale protezione eccessiva da parte della legge, i produttori individuali di contenuti, oppure gli artisti ancora sconosciuti al grande pubblico, gli utilizzatori di licenze alternative (GPl — General Public license — licenza pubblica generica e LPGL Lesser general public license — licenza pubblica generica attenuata, le licenze creative commons, ecc. — una cinquantina di tipi, all'incirca) per parte loro non sono oggetto di alcuna protezione specifica, benché tali licenze siano rette dal diritto d'autore e non siano obbligatoriamente gratuite. Essi dovranno passare preliminarmente davanti a un giudice per depositare una denuncia per contraffazione, fatto che creerebbe una profonda disuguaglianza davanti alla legge tra grandi diffusori transnazionali e piccole imprese o privati.

4.11

In effetti, il Comitato reputa che la legislazione debba assicurare l'elemento fondamentale della protezione dei consumatori in buona fede e la giusta remunerazione degli autori per il loro lavoro.

4.12

Le disposizioni restrittive dell'uso di una licenza legalmente acquisita e l'accesso ai dati personali da parte dei rappresentanti delle major sono in contrasto con gli obiettivi perseguiti, perché i contraffattori commerciali saranno capaci di superare tutti gli ostacoli tecnici e nascondere le loro tracce sulla rete e di fatto saranno accessibili al controllo soltanto gli scambi legali o illegali di dati effettuati da utilizzatori senza scopi commerciali, anche se un numero elevato di questi scambi sono illegali e devono essere combattuti con mezzi appropriati al loro carattere di massa. Alcune condanne «esemplari» e la pubblicità che se ne fa per scoraggiare certi utilizzatori non basteranno a risolvere il problema, perché le probabilità di essere presi sono minime e non preoccuperanno, per esempio, degli adolescenti che non sono consapevoli dei pregiudizi che arrecano ai loro autori preferiti.

4.13

La conservazione dei dati personali di tutti gli utilizzatori di Internet da parte degli ISP per un lungo periodo costituisce di per sé una grave intrusione nella vita privata; è assolutamente necessaria per far rispettare il diritto d'autore e i diritti connessi, o non sarà piuttosto sproporzionata rispetto allo scopo da raggiungere? Si tratta di diritti così assoluti da esigere un'offesa permanente alla vita privata di tutti gli utilizzatori di Internet?

4.14

La conservazione di questi dati può eventualmente servire alla lotta contro il terrorismo, ma in ogni caso gli utilizzatori della rete devono beneficiare delle garanzie legali per la riservatezza delle loro connessioni, che possono tuttavia essere rimosse per un interesse generale predominante, da parte di un'autorità pubblica munita di un mandato regolare e con un obiettivo limitato dai termini del mandato giudiziario.

4.15

Taluni impieghi dei dati possono essere autorizzati in modo generale, a fini di conoscenza e d'analisi, a certe condizioni, in particolare di anonimizzazione dei dati. Per contro bisognerebbe proibire l'incrocio dei file nominativi, la raccolta dei dati nominativi al fine di costruire dei profili per scopi di efficacia pubblicitaria e la loro conservazione e il loro incrocio con l'elenco delle parole-chiave utilizzate nei motori di ricerca e altre pratiche già in uso, a vantaggio segnatamente delle major e di altre grandi società, pratiche che ledono anche il diritto all'intimità dei cittadini.

4.16

In molti paesi si prelevano tasse su tutti i supporti informatici, fissi o mobili, a beneficio esclusivo dei titolari di diritti (soprattutto sui contenuti audiovisivi), anche su supporti non destinati a questo impiego; questo sistema considera tutti gli utilizzatori di un qualunque supporto digitale come potenziali pirati. Talune categorie di utilizzatori dovrebbero essere esentate da tale tassazione, in particolare le imprese. Per contro, i fornitori d'accesso Internet a banda larga che hanno sviluppato le loro reti sulla base dell'uso illegale che se ne poteva fare in certi casi, potrebbero essere tassati ad un aliquota abbastanza bassa, ma legata all'intensità del traffico tra privati, in modo da contribuire agli organismi di riscossione dei diritti d'autore e alla promozione dei nuovi contenuti, ma gli stati non dovrebbero incamerare tutte o una parte di tali tasse, al di là delle spese di riscossione e di ridistribuzione.

4.17

Dovrebbero essere seguiti gli esempi di gestione dei diritti offerti dai paesi scandinavi, in particolare dalla Svezia, piuttosto che le normative e i progetti successivi francesi che sono squilibrati e poco convincenti per quanto riguarda gli aiuti ai giovani creatori di contenuti e alle piccole e medie imprese.

4.18

Dopo un periodo di garanzia di diritti esclusivi per una durata ragionevole, potrebbe subentrare un sistema globale come in Svezia.

4.19

Nel corso dell'esame della proposta di direttiva sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (PI-PLA proprietà industriale, proprietà letteraria e artistica e altri diritti connessi, diritti ad hoc riconosciuti e protetti nell'Unione), il CESE invocava già un'impostazione ferma ma misurata della lotta contro la contraffazione a fini commerciali.

4.20

L'OMC dal canto suo metteva in guardia, nell'Accordo sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale (ADPIC), contro eventuali abusi da parte dei titolari di diritti, che potrebbero limitare la concorrenza o non essere conformi all'interesse generale.

4.21

«Obiettivi: La protezione e il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale dovrebbero contribuire alla promozione dell'innovazione tecnologica nonché al trasferimento e alla diffusione di tecnologia, a reciproco vantaggio dei produttori e degli utilizzatori di conoscenze tecnologiche e in modo da favorire il benessere sociale ed economico, nonché l'equilibrio tra diritti e obblighi» (Accordo ADPIC, articolo 7).

4.22

«Principi: […] 2. Misure appropriate, purché siano compatibili con le disposizioni del presente accordo, possono essere necessarie per impedire l'abuso dei diritti di proprietà intellettuale da parte dei titolari o il ricorso a pratiche che comportino un'ingiustificata restrizione del commercio o pregiudichino il trasferimento internazionale di tecnologia» (Accordo ADPIC, articolo 8, paragrafo 2).

4.23

Le osservazioni del CESE che precedono, già espresse nel suo parere del 29 ottobre 2003 (6) in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle misure e alle procedure finalizzate ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, «sono in particolare conformi agli obiettivi dell'accordo ADPIC dell'OMC (cfr. articolo 7) e ai suoi principi (cfr. articolo 8, paragrafo 2) che dovrebbero figurare nei considerando della direttiva, in quanto le sanzioni eventuali non possono essere del tutto separate dal diritto materiale, né ignorare i possibili abusi di diritto da parte dei titolari di diritti di PI-PLA» (7).

Bruxelles, 18 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Digital Rights Management — Gestione dei diritti digitali (espressione «politicamente corretta» per designare: dispositivi di software o tecniche che impediscono la copia).

(2)  COM(2007) 836 def., Bruxelles 3 gennaio 2008, SEC(2007) 1710 Commission Staff working Document.

(3)  i2010 — Una società europea dell'informazione per la crescita e l'occupazione (COM(2005) 229 def.).

(4)  Vendere la musica in Internet allo stesso prezzo dei CD venduti nei negozi costituisce una rendita eccessiva per i distributori e ciò non incoraggia la ricerca di modelli realistici che tengano conto del prezzo di costo reale e di un utile commerciale non sproporzionato.

(5)  Sentenza della Corte (Grande Sezione) 29 gennaio 2008.

Causa C-275/06

Domanda di pronuncia pregiudiziale

… la Corte (Grande Sezione) dichiara:

«La direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 8 giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno (“direttiva sul commercio elettronico”), la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 maggio 2001, 2001/29/CE, sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti connessi nella società dell'informazione, la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/48/CE, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, e la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 12 luglio 2002, 2002/58/CE, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche), non impongono agli Stati membri, in una situazione come quella oggetto della causa principale, di istituire un obbligo di comunicare dati personali per garantire l'effettiva tutela del diritto d'autore nel contesto di un procedimento civile. Tuttavia, il diritto comunitario richiede che i detti Stati, in occasione della trasposizione di tali direttive, abbiano cura di fondarsi su un'interpretazione delle medesime tale da garantire un giusto equilibrio tra i diversi diritti fondamentali tutelati dall'ordinamento giuridico comunitario. Inoltre, in sede di attuazione delle misure di recepimento delle dette direttive, le autorità e i giudici degli Stati membri devono non solo interpretare il loro diritto nazionale in modo conforme a tali direttive, ma anche evitare di fondarsi su un'interpretazione di esse che entri in conflitto con i detti diritti fondamentali o con gli altri principi generali del diritto comunitario, come, ad esempio, il principio di proporzionalità».

(6)  GU C 32 del 5.2.2004, pag. 15.

(7)  L'«accordo ADPIC», che costituisce l'allegato 1 C dell'accordo che istituisce l'Organizzazione mondiale del commercio (OMC), firmato a Marrakech il 15 aprile 1994 e approvato con la decisione 94/800/CE del Consiglio, del 22 dicembre 1994, relativa alla conclusione a nome della Comunità europea, per le materie di sua competenza, degli accordi dei negoziati multilaterali dell'Uruguay Round (1986-1994) (GU L 336 del 23.12.1994, pag. 1), è intitolato Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio. Nella parte III Tutela dei diritti di proprietà intellettuale figura l'articolo 41, paragrafo 1, che disone: «I membri fanno in modo che le loro legislazioni prevedano le procedure di tutela di cui alla presente parte in modo da consentire un'azione efficace contro qualsiasi violazione dei diritti di proprietà intellettuale contemplati dal presente accordo, ivi compresi rapidi mezzi per impedire violazioni e mezzi che costituiscano un deterrente contro ulteriori violazioni. Le procedure in questione si applicano in modo da evitare la creazione di ostacoli ai legittimi scambi e fornire salvaguardie contro il loro abuso».


31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/69


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2005/35/CE relativa all'inquinamento provocato dalle navi e all'introduzione di sanzioni per violazioni

COM(2008) 134 def. — 2008/0055 (COD)

(2009/C 77/17)

Il Consiglio, in data 4 aprile 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 80, paragrafo 2, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2005/35/CE relativa all'inquinamento provocato dalle navi e all'introduzione di sanzioni per violazioni

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 16 luglio 2008 sulla base del progetto predisposto dal relatore RETUREAU.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato all'unanimità il seguente parere.

1.   Proposte della Commissione

1.1

Il parere del Comitato viene richiesto in merito alle modifiche che la Commissione propone di apportare alla direttiva 2005/35/CE, relativa all'inquinamento provocato dalle navi, per conformarsi alla giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di criminalità ambientale, per quanto attiene alle competenze delle singole istituzioni europee, all'effettività del diritto comunitario e alla prevalenza del TCE sul TUE riguardo alle politiche e agli obiettivi comunitari definiti nei Trattati.

2.   Osservazioni generali

2.1

Il Comitato ribadisce che, in materia penale, la Comunità europea non dispone in linea di principio di alcuna competenza attribuitale dai Trattati.

2.2

Ciò nonostante, la Commissione deve preoccuparsi dell'effettività della legislazione comunitaria, di cui ha l'iniziativa, per garantire l'attuazione delle politiche definite nel TCE che rientrano nelle sue competenze. A tal fine, essa può proporre, nelle sue iniziative legislative, che il diritto degli Stati membri commini sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive, anche penali, alle persone fisiche o giuridiche che istigano a commettere o commettono, con dolo o colpa grave, anche a titolo di concorso o favoreggiamento, violazioni contro l'ambiente di gravità tale da giustificare siffatte sanzioni penali.

2.3

Già nel precedente parere in materia (1) il Comitato aveva criticato le posizioni radicali assunte dalla Commissione riguardo alla portata delle competenze comunitarie in materia penale, e sostenuto un'interpretazione più moderata, alla fine rivelatasi perfettamente conforme alla giurisprudenza della Corte di giustizia (2). Dal 2000 in poi si è perso molto tempo in questo conflitto interistituzionale, che è ormai stato risolto in maniera chiara. In futuro, quindi, si potrà garantire meglio il rispetto delle norme poste a tutela dell'ambiente.

2.4

Il timore talvolta espresso che la futura modifica dei Trattati possa determinare nuovi cambiamenti delle competenze e quindi anche della legislazione, pregiudicandone così la stabilità e la certezza, non appare giustificato né dalla situazione istituzionale attuale né dalla prospettiva dell'applicazione del Trattato di Lisbona. Ad ogni modo, non sembra che gli Stati membri siano disposti a rinunciare alle loro competenze in materia penale, considerate «sovrane», ossia rientranti nel «nocciolo duro» delle attribuzioni dello Stato. Persino un'evoluzione delle competenze delle istituzioni legislative — che comunque, come si può ben immaginare, non sarebbe radicale — non giustificherebbe ipso facto una modifica di fondo del diritto.

2.5

Inoltre, nella causa C-308/06 la Corte di giustizia delle Comunità europee ha statuito di non poter valutare la validità della direttiva 2005/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, alla luce del diritto internazionale pubblico, mettendo così fine alla contestazione sollevata. Del resto, anche se fosse portata dinanzi ad altri giudici internazionali, una siffatta contestazione non potrebbe comunque avere successo per una serie di motivi giuridici e politici che esulano dall'oggetto di questo parere; e in ogni caso, anche se un'altra istanza accettasse di pronunciarsi — con parere consultivo — sulla validità di un progetto di atto normativo comunitario, ciò non sarebbe sufficiente per contestare l'operato del legislatore europeo, forte della prevalenza interna del suo diritto rispetto al diritto nazionale e a quello internazionale e per di più non soggetto a quest'ultimo.

2.6

La proposta di direttiva riguardante l'inquinamento provocato dalle navi, in perfetto accordo con la giurisprudenza comunitaria, impone dunque agli Stati di definire e introdurre sanzioni penali nelle loro legislazioni penali per un ristretto numero di gravi violazioni del diritto comunitario, che essa precisa e chiede loro di sanzionare penalmente, di definire e introdurre nelle loro legislazioni penali sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive, allo scopo di combattere queste violazioni ben definite del diritto comunitario.

2.7

Anche se non si tratta di un'armonizzazione del diritto penale vigente in materia, visto che si tratta semplicemente di invitare gli Stati membri a qualificare e sanzionare penalmente delle violazioni che il legislatore comunitario si limita a individuare, la giurisprudenza della Corte permette tuttavia di introdurre degli obblighi in materia penale per gli Stati membri. Ciò costituisce un modo più efficace di rafforzare le norme europee e di farle rispettare quando riguardino questioni di particolare rilievo.

2.8

Per questi motivi, il Comitato accoglie con favore e appoggia la proposta di modifica della direttiva del 2005, nella convinzione che i nuovi strumenti di individuazione e monitoraggio delle navi che verranno gradualmente introdotti consentiranno di garantirne la piena osservanza, sanzionando le pratiche illegali in maniera efficace e sistematica.

Bruxelles, 17 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  GU C 220 del 16.9.2003, pag. 72.

(2)  Cfr. la sentenza della Corte, del 23 ottobre 2007, nella causa C-440/05, Commissione delle Comunità europee (sostenuta dal Parlamento europeo)/Consiglio dell'Unione europea.


31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/70


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio per agevolare l'applicazione transfrontaliera della normativa in materia di sicurezza stradale

COM(2008) 151 def. — 2008/0062 (COD)

(2009/C 77/18)

Il Consiglio, in data 13 maggio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 71, paragrafo 1, lettera c) del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio per agevolare l'applicazione transfrontaliera della normativa in materia di sicurezza stradale.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 16 luglio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore Jan SIMONS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere all'unanimità.

1.   Conclusioni

1.1

La proposta di direttiva della Commissione mira a realizzare una gestione e un controllo più efficaci ed efficienti delle infrazioni al codice della strada commesse in un altro Stato membro.

1.2

La proposta viene presentata per poter realizzare l'obiettivo che la Commissione si era prefissato nel 2001, ossia dimezzare il numero dei decessi causati da incidenti stradali durante il periodo 2001-2010.

1.3

Quest'obiettivo non potrà essere conseguito se non verranno adottate misure integrative. La proposta in esame rientra in queste misure integrative e si concentra sulle infrazioni al codice della strada commesse in un altro Stato membro.

1.4

Il Comitato ritiene che la proposta di direttiva in esame offra uno strumento idoneo ad affrontare il problema delle infrazioni commesse in un altro Stato membro. Occorre però anche affiancargli controlli e sanzioni reali ed efficaci. Il Comitato invita pertanto il Consiglio dell'Unione europea e gli Stati membri a prevedere con urgenza dei miglioramenti in proposito.

1.5

Il Comitato fa presente che, per accrescere l'efficacia della direttiva proposta dalla Commissione, occorre aggiungere alle infrazioni ivi elencate anche quelle connesse al miglioramento della sicurezza dei trasporti su strada.

1.6

Ai fini dell'efficacia e dell'efficienza il Comitato ritiene che per lo scambio d'informazioni vada utilizzata una rete telematica esistente, ad esempio il sistema Eucaris, perché comporta costi contenuti. Il Comitato consiglia alla Commissione di (far) compiere almeno uno studio di fattibilità per esaminare se sia possibile ampliare i sistemi attuali includendovi lo scambio di dati proposto.

1.7

Circa le sanzioni per le infrazioni, il Comitato auspica che si contemplino anche soluzioni come la patente a punti, il sequestro del veicolo e il ritiro temporaneo della patente, eventualmente combinate a sanzioni pecuniarie.

1.8

Sotto il profilo dell'efficienza il Comitato giudica positivo che la proposta di direttiva preveda, per ogni Stato membro, la designazione di un'autorità centrale competente per l'applicazione delle misure previste.

1.9

Il Comitato non vede il vantaggio supplementare del «Modulo per la notifica dell'infrazione» proposto dalla Commissione nell'allegato. Ritiene che l'importante sia il contenuto, e non già la forma, per cui la Commissione dovrebbe limitarsi a precisare con cura i dati necessari per conseguire l'obiettivo della direttiva.

1.10

Il Comitato approva la proposta della Commissione di prevedere la procedura di comitato per l'applicazione delle misure proposte.

2.   Introduzione

2.1.1

Il Libro bianco La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte (COM(2001) 370 def.) aveva previsto l'obiettivo di dimezzare entro il 2010 il numero dei decessi causati da incidenti stradali. Concretamente ciò significa che, nei 27 Stati membri dell'UE, tale numero dovrà passare dai 54 000 del 2001 a 27 000 nel 2010.

2.1.2

Ebbene, fra il 2001 e il 2007 il numero dei morti è sceso del 20 %, mentre per poter dimezzare il numero dei decessi entro il 2010 questa percentuale avrebbe dovuto essere del 37 %. Ne consegue la necessità d'impegnarsi più a fondo.

2.2   Contenuto della proposta della Commissione

2.2.1

Per preparare la proposta di direttiva la Commissione ha organizzato una seduta d'informazione pubblica e tenuto una riunione con le parti rappresentative interessate. Le conclusioni di entrambi gli incontri sono state tenute presenti nel testo della proposta di direttiva in esame.

2.2.2

La Commissione ritiene che la proposta di direttiva costituisca uno strumento efficace per conseguire in ogni caso l'obiettivo prefissato e assicurare che tutti i cittadini dell'UE vengano messi su un piede di parità.

2.2.3

La proposta mira a migliorare l'applicazione delle sanzioni in vigore per le infrazioni commesse in uno Stato membro diverso da quello in cui è immatricolato il veicolo.

2.2.4

Al momento infrazioni del genere restano spesso impunite. Ad esempio, è noto che nel caso delle infrazioni per eccesso di velocità la percentuale dei conducenti non residenti è compresa fra il 2,5 % e il 30 %.

2.2.5

Visto che, stando alle statistiche disponibili, questo tipo d'infrazioni è all'origine del 30 % degli incidenti mortali, interventi efficaci su questo fronte potrebbero ridurne drasticamente il numero.

2.2.6

Notevoli sono anche le conseguenze di altri tipi d'infrazioni elencate nella proposta di direttiva: la guida in stato di ebbrezza (25 %), il mancato uso della cintura di sicurezza (17 %) e il transito con semaforo rosso.

2.2.7

La Commissione non si propone di armonizzare i codici della strada o le sanzioni pecuniarie, che rimangono di competenza dei singoli Stati membri. La proposta contempla unicamente disposizioni di carattere amministrativo per applicare in maniera efficace ed efficiente al di là delle frontiere le sanzioni previste per le principali infrazioni al codice della strada, in modo da conseguire entro il 2010 l'obiettivo previsto: ossia dimezzare il numero dei decessi causati da incidenti stradali.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1

Nel proprio parere sulla comunicazione della Commissione Programma d'azione europeo per la sicurezza stradale — Dimezzare il numero di vittime della strada nell'Unione europea entro il 2010: una responsabilità condivisa, CESE 1608/2003 (TEN/152) [COM(2003) 311 def.], adottato l'11 dicembre 2003, il Comitato aveva espresso perplessità circa gli obiettivi, a suo avviso ambiziosi, della Commissione. E in effetti risultano ora necessarie misure integrative per conseguire gli obiettivi previsti.

3.2

Il Comitato ritiene che l'intervento dell'Unione europea per l'applicazione transfrontaliera delle sanzioni previste in caso d'infrazione al codice della strada presenti evidenti vantaggi. Conviene con la Commissione sul fatto che occorre fare tutto il possibile per realizzare comunque l'obiettivo, stabilito nel 2001, consistente nel dimezzare entro il 2010 il numero dei decessi causati dagli incidenti stradali, e considera che la proposta di direttiva in esame offra una possibilità per compiere un notevole progresso nella direzione voluta, a condizione però che sia anche accompagnata da controlli e sanzioni effettivi ed efficaci. Il Comitato fa pertanto appello anche al Consiglio e agli Stati membri affinché potenzino questi controlli e sanzioni, ciascuno in funzione delle competenze e della situazione rispettive.

3.3

Il metodo proposto dalla Commissione appare semplice: una rete per lo scambio telematico dei dati, le cui modalità dovranno essere precisate, consentirà agli Stati membri di applicare sanzioni agli automobilisti di altri Stati membri che abbiano commesso infrazioni sul loro territorio. Non è ancora chiaro quale tipo di rete e quali metodi la Commissione si proponga di adottare.

3.4

Nell'articolo 4 della proposta di direttiva la Commissione precisa che lo scambio delle informazioni dovrà avvenire sollecitamente, tramite una rete telematica europea da istituire entro 12 mesi. In un altro punto del documento, sempre riguardo allo scambio d'informazioni, è detto che verrà utilizzato un sistema d'informazione comunitario già esistente, il che permetterà anche di contenere i costi. La Commissione non chiarisce però quale sistema verrà utilizzato per lo scambio dei dati. Il Comitato conviene con la Commissione sul fatto che per risparmiare tempo e denaro la soluzione migliore sta nell'utilizzare un sistema informativo preesistente dell'Unione europea.

3.5

In pratica il Comitato si riferisce ad un metodo come quello adottato nel contesto della decisione del Consiglio sul rafforzamento della cooperazione transfrontaliera, soprattutto nella lotta al terrorismo e alla criminalità transfrontaliera, che prevede l'uso della tecnologia Eucaris (sistema europeo d'informazione sui veicoli e le patenti di guida). È il sistema attualmente utilizzato da 18 Stati membri, che verrà adottato da tutti e 27 gli Stati membri quando la decisione del Consiglio entrerà in vigore. Esso comporta costi decisamente contenuti rispetto a quelli di altre reti.

3.6

Il Comitato consiglia alla Commissione di far compiere almeno uno studio di fattibilità per tutti i sistemi esistenti, incluso l'Eucaris, allo scopo di esaminare se sia possibile ampliarli, includendovi lo scambio di dati proposto.

3.7

Il Comitato giudica positivamente la proposta della Commissione di limitarsi a decidere una base giuridica per lo scambio di dati sull'immatricolazione dei veicoli, in modo da compiere la scelta più appropriata, lasciando che siano poi gli Stati membri a determinare l'iter da seguire. Ciò è in linea con il principio di sussidiarietà.

3.8

Il Comitato fa tuttavia presente che l'applicazione delle normative sarebbe più efficace se nell'Unione europea venissero conclusi accordi per introdurre, a livello nazionale, disposizioni e controlli armonizzati, ad esempio in materia di limiti di velocità, tassi di alcolemia consentiti, politica sanzionatoria, ecc. Sarebbe in effetti opportuno che il Consiglio arrivi infine a dei risultati su questo fronte.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Alla luce dell'obiettivo ricercato, ossia dimezzare il numero di decessi provocati da incidenti stradali tra il 2001 e il 2010, e tenuto conto delle statistiche intermedie, riferite alla fine del 2007, che evidenziano l'impossibilità di realizzare il suddetto obiettivo senza misure integrative, il Comitato ritiene che la cooperazione transfrontaliera proposta dalla Commissione per i seguenti tipi d'infrazione:

eccesso di velocità,

guida in stato di ebbrezza,

mancato uso della cintura di sicurezza, e

transito con semaforo rosso.

costituisca un passo nella buona direzione, visto che, stando ai dati a disposizione della Commissione, ciò permetterebbe di risparmiare ogni anno 200-250 vite umane.

4.2

Il Comitato giudica necessario che all'articolo 1 della proposta di direttiva la Commissione aggiunga altri tipi d'infrazioni da perseguire al di là delle frontiere: ad esempio uso del telefono cellulare senza auricolare durante la guida, gli stili di guida aggressivi, la violazione del divieto di sorpasso, la guida nei sensi vietati e la guida sotto l'effetto di stupefacenti. Come già aveva osservato nel parere in merito alla comunicazione della Commissione Programma d'azione europeo per la sicurezza stradale — Dimezzare il numero di vittime della strada nell'Unione europea entro il 2010: una responsabilità condivisa, il Comitato giudica necessario fare tutto il possibile per realizzare questo obiettivo.

4.3

Circa le sanzioni per le infrazioni, il Comitato auspica che si contemplino anche soluzioni come la patente a punti, il sequestro del veicolo e il ritiro temporaneo della patente, eventualmente combinate a sanzioni pecuniarie.

4.4

Il Comitato approva la proposta, contenuta all'articolo 6 del documento della Commissione, secondo cui ciascuno Stato membro nomina un'autorità centrale incaricata di coordinare l'applicazione della direttiva.

4.5

Sotto il profilo del principio di sussidiarietà il Comitato non ritiene tuttavia opportuno che all'articolo 5 della proposta della direttiva la Commissione prescriva un modello per la notifica delle infrazioni. Ciò che conta, infatti, è il contenuto, e non già la forma. A giudizio del Comitato la Commissione deve limitarsi a definire accuratamente i dati da fornire.

4.6

Nell'articolo 8 della proposta di direttiva la Commissione prevede di farsi assistere da un comitato per l'applicazione della normativa in materia di sicurezza stradale, e il Comitato approva la procedura di comitato proposta.

Bruxelles, 17 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/73


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema I negoziati internazionali sul cambiamento climatico

(2009/C 77/19)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 e 17 gennaio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

I negoziati internazionali sul cambiamento climatico.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente (Osservatorio dello sviluppo sostenibile), incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 settembre 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore OSBORN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 130 voti favorevoli, 3 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Sintesi e raccomandazioni

1.1

Il cambiamento climatico rappresenta una delle sfide maggiori che il mondo si trova ad affrontare nel XXI secolo. Per evitare cambiamenti catastrofici, bisognerà che entro la metà del secolo le emissioni mondiali complessive di gas a effetto serra diminuiscano in misura sostanziale e che le emissioni dei paesi industrializzati siano ridotte del 60-80 % rispetto ai livelli del 1990.

1.2

I negoziati internazionali sul cambiamento climatico avviati a Bali nel dicembre 2007 rivestono un'importanza cruciale, in quanto influiranno in maniera decisiva sulla portata dell'azione globale da intraprendere da qui al 2020. È fondamentale che alla conferenza di Copenaghen, che si svolgerà nel 2009, questi negoziati abbiano un esito positivo.

1.3

L'Unione europea si è prefissa un obiettivo vincolante, impegnandosi a ridurre entro il 2020 le emissioni di gas a effetto serra del 20 % rispetto ai livelli del 1990. Inoltre ha posto sul tavolo dei negoziati l'offerta di realizzare una riduzione maggiore, pari al 30 % rispetto ai livelli del 1990, se altri paesi sottoscriveranno un impegno analogo. La Commissione poi, nel quadro del pacchetto energia del 23 gennaio 2008, ha formulato proposte su come si potranno raggiungere i suddetti obiettivi di riduzione del 20-30 %.

1.4

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) appoggia vigorosamente l'iniziativa assunta dall'UE nei negoziati, e in particolare l'impegno unilaterale a ridurre le emissioni del 20 % entro il 2020 per far avanzare i negoziati.

1.5

Ritiene tuttavia che la sfida posta dal cambiamento climatico sia tanto grave da richiedere che si faccia tutto il possibile per andare oltre. L'UE dovrebbe puntare alla riduzione del 30 % che ha offerto di realizzare, a determinate condizioni, entro il 2020, cercando, nel quadro dei negoziati, di indurre altri paesi industrializzati a sottoscrivere impegni analoghi e di ottenere impegni significativi da parte delle economie emergenti, le cui emissioni sono in rapido aumento.

1.6

Per esercitare la massima influenza sui negoziati, l'UE deve essere in grado di dimostrare la sua credibilità tenendo fede agli impegni assunti. A questo fine, essa dovrà dotarsi entro la fine del 2008 di un pacchetto di misure concrete per conseguire la riduzione del 20 %.

1.7

Il CESE ritiene che, per conseguire una riduzione del 30 % entro il 2020 — cosa che, a suo giudizio, è il vero obiettivo — occorrerà probabilmente adottare un ulteriore insieme di provvedimenti a livello nazionale ed europeo. Esorta quindi a intervenire quanto prima per adottare una seconda tranche di misure che consenta di ottenere quest'ulteriore riduzione.

1.8

Il CESE attende con impazienza le prossime proposte della Commissione sull'adeguamento al cambiamento climatico e raccomanda l'adozione di strategie nazionali di adeguamento complementari per ciascuno Stato membro.

1.9

Raccomanda inoltre di sviluppare nuove iniziative per sostenere il rafforzamento delle capacità e il trasferimento di tecnologia nel settore della mitigazione e dell'adeguamento ai cambiamenti climatici.

1.10

Per rispondere adeguatamente ai cambiamenti climatici saranno necessarie profonde trasformazioni nell'economia mondiale e nei flussi degli investimenti e di altre risorse. Il CESE raccomanda di esaminare più approfonditamente quale sia l'entità delle risorse richieste e quale complesso di strumenti, pubblici e privati, sia necessario per gestire tali flussi. È dell'avviso che l'entità dello sforzo e la leadership richiesta siano paragonabili alle risorse mobilitate per la creazione del Piano Marshall per la ricostruzione dell'Europa al termine della Seconda guerra mondiale. In questo contesto, l'UE dovrebbe svolgere un ruolo centrale nella promozione del piano necessario.

1.11

Più specificamente, occorreranno finanziamenti per assistere i paesi in via di sviluppo nell'adozione delle misure di mitigazione e di adeguamento. Una fonte di finanziamenti poterebbe essere l'estensione del meccanismo di sviluppo pulito (Clean Development Mechanism — CDM), ma occorre precisarne i criteri e l'attuazione. L'Europa potrebbe fornire parte delle risorse aggiuntive necessarie tramite la vendita all'asta dei permessi di scambio delle quote di emissione.

1.12

È necessaria la mobilitazione degli organismi pubblici di ogni tipo e livello, dei consumatori e dei cittadini in generale.

1.13

L'UE stessa ha un ruolo centrale da svolgere nel guidare e orchestrare questa grande trasformazione. Il CESE esorta tutte le istituzioni comunitarie a svolgere pienamente il ruolo che compete loro nel conseguimento degli obiettivi dell'UE in materia di cambiamento climatico. Dal canto suo, esso farà quanto in suo potere per contribuire a mobilitare la società civile in questa grande impresa comune.

1.14

I parametri dell'accordo mondiale che scaturirà dai negoziati internazionali dei prossimi diciotto mesi devono essere stabiliti al più presto possibile, in modo che lo sforzo politico possa poi concentrarsi sulla comunicazione della sfida e sull'ottenimento di sostegno, fiducia e impegno da parte di tutti i settori della società a livello globale: solo così sarà possibile realizzare i grandi cambiamenti che si renderanno necessari. Un siffatto accordo non può essere negoziato a porte chiuse: tutti i settori della società devono essere coinvolti. Le misure di abbattimento devono dimostrarsi realistiche, economicamente e socialmente sane e realizzabili nei termini proposti.

2.   Contesto

2.1

Il cambiamento climatico rappresenta una delle sfide maggiori cui è confrontato il mondo nel XXI secolo. Il quarto rapporto di valutazione del gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC), pubblicato nel dicembre 2007, documenta i cambiamenti già intervenuti a seguito dell'enorme incremento delle emissioni di gas a effetto serra prodotte dall'uomo negli ultimi due secoli, nonché gli ulteriori, allarmanti cambiamenti che si verificheranno se non si interverrà con urgenza nei prossimi anni per limitare le emissioni mondiali. L'IPCC ha sottolineato la necessità di contenere l'aumento della temperatura media mondiale entro i 2 °C rispetto ai livelli preindustriali, se si vogliono evitare conseguenze catastrofiche. Per conseguire questo obiettivo, bisognerà che entro la metà del secolo le emissioni mondiali di gas a effetto serra diminuiscano in misura sostanziale e che le emissioni dei paesi industrializzati siano ridotte del 60-80 % rispetto ai livelli del 1990.

2.2

Negli ultimi vent'anni, la comunità internazionale ha cercato di concordare un intervento collettivo per limitare le emissioni dei gas a effetto serra. Nel 1992 è stata adottata a Rio la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici, successivamente rafforzata con l'adozione, nel 1997, del Protocollo di Kyoto, con cui i paesi firmatari si impegnano a compiere sforzi specifici per ridurre le emissioni entro il 2012. Tuttavia, viene generalmente riconosciuto che questi accordi e azioni sono soltanto il punto di partenza e che negli anni a venire occorrerà adottare azioni molto più incisive e complete per conseguire l'obiettivo fissato per la metà del secolo. I negoziati internazionali sul cambiamento climatico avviati a Bali nel dicembre 2007 rivestono quindi un'importanza cruciale, in quanto influiranno in maniera decisiva sulla portata dell'azione globale da intraprendere da qui al 2020. È fondamentale che alla conferenza di Copenaghen, che si svolgerà nel 2009, questi negoziati abbiano un esito positivo.

2.3

Obiettivi per il 2020. La Road Map di Bali fa riferimento a un capitolo del quarto rapporto di valutazione dell'IPCC, nel quale si dimostra che, per conseguire l'obiettivo a lungo termine di limitare il riscaldamento globale a 2 gradi al di sopra dei livelli preindustriali, sarà necessario ridurre le emissioni dei paesi industrializzati del 25-40 % rispetto al 1990 entro il 2020.

2.4

Chiaramente saranno i paesi sviluppati a dover procedere alla riduzione più drastica, in termini assoluti, delle loro emissioni, visto che, a livello pro capite, essi sono stati e sono tuttora i primi artefici del cambiamento climatico. L'Europa deve fare la sua parte. Gli USA dal canto loro devono riallinearsi alla strategia internazionale e sottoscrivere seri impegni di riduzione. Anche la Russia dovrà contribuire, accettando obiettivi più realistici rispetto a quelli di Kyoto.

2.5

L'UE sta svolgendo un ruolo di primo piano in tali negoziati. Il Consiglio ha adottato una prospettiva a lungo termine che prevede una riduzione delle emissioni dei paesi industrializzati del 60-80 % entro il 2050. Come misura transitoria verso il conseguimento di tale obiettivo a lungo termine, l'UE si è data l'obiettivo vincolante di ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 20 % rispetto ai livelli del 1990 entro il 2020 e ha messo sul tavolo dei negoziati un'offerta di riduzione del 30 % se altri paesi sottoscriveranno un impegno analogo. Nel quadro del pacchetto energetico del 23 gennaio 2008, la Commissione ha poi varato una serie di proposte che indicano come conseguire gli obiettivi di riduzione del 20-30 %.

2.6

Diventa inoltre importante che i paesi in via di sviluppo sottoscrivano da parte loro seri impegni per contribuire a limitare i cambiamenti climatici. Le grandi economie emergenti di Cina, India, Brasile e alcuni altri paesi sono già o stanno rapidamente diventando a loro volta importanti fonti di emissioni di gas a effetto serra e sarà importante che gestiscano le loro economie in modo tale da ridimensionare drasticamente il tasso di incremento delle loro emissioni, portandolo a livelli molto inferiori a quelli che raggiungerebbe in uno scenario che non tenesse conto della grave situazione esistente.

2.7

L'accordo mondiale cui puntano i negoziatori prevede sostanzialmente che i paesi industrializzati si impegnino ad adottare obiettivi e misure impegnative di riduzione delle proprie emissioni e che essi offrano ai paesi in via di sviluppo assistenza finanziaria e tecnologica in cambio dell'impegno, da parte di questi ultimi, a gestire la loro crescita e il loro sviluppo in modo tale da limitare per quanto possibile l'aumento delle emissioni di gas a effetto serra.

3.   Osservazioni generali

3.1

Da parte sua il CESE ha seguito fin dall'inizio sia l'andamento generale dei negoziati che il pacchetto di misure proposto dalla Commissione per consentire all'UE di tenere fede agli impegni assunti. Per seguire direttamente i negoziati, esso ha inviato piccole delegazioni, in rappresentanza della società civile europea, nell'ambito delle delegazioni UE, prima alla Conferenza dei firmatari della Convenzione a Bali e successivamente all'incontro intersessionale svoltosi a Bonn. Il CESE si avvale inoltre dei suoi contatti con le organizzazioni e raggruppamenti della società civile in paesi importanti per esaminare più in profondità le posizioni che questi assumono e il ruolo che può svolgere la società civile nel promuovere il raggiungimento di un accordo e la sua attuazione.

3.2

Il CESE ha all'esame i diversi elementi del pacchetto della Commissione sul clima e l'energia in una serie di pareri distinti che vengono sintetizzati e citati come riferimento nel presente parere d'iniziativa. In questo parere, che intende tracciare una panoramica globale, il CESE esamina lo stato di avanzamento e le prospettive dei negoziati in generale e il ruolo che vi svolge l'Europa. Dopo la sua adozione il CESE intende organizzare una serie di eventi parallelamente alle riunioni negoziali in programma a Poznan nel dicembre 2008 e a Copenaghen nel dicembre 2009 per aiutare la società civile a rispondere e a rapportarsi ai negoziati in corso.

3.3

La Road Map dei negoziati concordata a Bali individua quattro pilastri principali per lo svolgimento dei negoziati:

impegni a livello nazionale e misure per limitare le emissioni di gas a effetto serra di qui al 2020 e contribuire a mitigare il cambiamento climatico,

misure per gestire l'adeguamento ai cambiamenti climatici inevitabili,

misure a sostegno del trasferimento tecnologico e del rafforzamento delle capacità per attenuare il cambiamento climatico e favorire l'adeguamento a tale fenomeno,

la creazione di strumenti finanziari adeguati per sostenere le misure di mitigazione e di adeguamento, il trasferimento tecnologico, ecc.

3.4

Le osservazioni contenute nel presente parere sono strutturate intorno a questi quattro pilastri.

4.   Migliore mitigazione dei cambiamenti climatici attraverso la limitazione o la riduzione delle emissioni (pilastro 1)

4.1

Obiettivi. Il CESE concorda con l'IPCC nel ritenere che una riduzione delle emissioni dei paesi industrializzati dell'ordine del 25-40 % rispetto ai livelli del 1990 sia un obiettivo adeguato da stabilire per il 2020. Oggi sarebbe probabilmente impossibile realizzare riduzioni maggiori entro tale termine.

4.2

Il CESE sostiene vigorosamente l'iniziativa assunta dall'UE nei negoziati. Apprezza la leadership dimostrata dall'UE nell'impegnarsi unilateralmente a ridurre le proprie emissioni del 20 % entro il 2020 per far avanzare i negoziati. Ritiene tuttavia che la gravità della sfida dei cambiamenti climatici sia tale da richiedere che si faccia il possibile per realizzare la riduzione del 30 % proposta dall'UE, a determinate condizioni, per il 2020, cercando nei negoziati di indurre altri paesi industrializzati a sottoscrivere impegni analoghi e di ottenere impegni significativi da parte delle economie emergenti, le cui emissioni sono in rapido aumento.

4.3

Se l'unico frutto dei negoziati sarà l'impegno ad una riduzione del 20 % da parte dell'UE e un impegno altrettanto modesto da parte degli altri paesi, a giudizio del CESE essi saranno da considerarsi un grave fallimento.

4.4

Attuazione. Per l'UE, gli interventi proposti dalla Commissione nel pacchetto sul clima e l'energia costituiscono un piano di attuazione molto positivo e costruttivo per consentire all'Europa di tenere fede al suo impegno di ridurre le emissioni del 20 % entro il 2020. Il CESE ha elaborato pareri distinti per ciascun elemento del piano. In sintesi, esso li appoggia ferme restando le osservazioni seguenti:

il CESE condivide le riforme proposte e l'estensione del sistema di scambio delle quote di emissione. L'adozione di limiti più rigorosi e il maggiore ricorso alla vendita all'asta delle quote sono da considerarsi sviluppi positivi, in quanto sono pienamente conformi al principio «chi inquina paga», evitano che si ottengano profitti senza merito alcuno grazie agli elevati prezzi mondiali (windfall profits), permettono di incentivare e finanziare gli impianti e i prodotti a basse emissioni di carbonio e favoriscono l'innovazione. Data l'entità degli investimenti necessari sia in Europa che nei paesi in via di sviluppo per procedere alle trasformazioni, il CESE invita tuttavia a utilizzare almeno il 50 % degli introiti provenienti dalla vendita all'asta delle quote per sostenere le misure di contenimento dei cambiamenti climatici e di adeguamento, anziché il 20 % come proposto dalla Commissione (1). Apprezza inoltre la decisione del Consiglio e del Parlamento europeo di inserire anche il trasporto aereo nel sistema comunitario di scambio delle quote di emissione a partire dal 2012,

appoggia le proposte di condivisione degli oneri per i settori che non sono oggetto di scambio e invita le istituzioni a non compromettere l'obiettivo generale nel dibattito sulle basi della condivisione degli obiettivi in questo settore (2),

appoggia con vigore l'impegno verso un progresso più rapido in materia di energia rinnovabile. Raggiungere l'obiettivo di una quota di energia rinnovabile pari al 20 % entro il 2020 sarebbe un'ottima premessa per conseguire un aumento molto più elevato entro il 2050 (3),

deplora che la questione cruciale dell'efficienza energetica — ambito in cui l'obiettivo dell'aumento del 20 % entro il 2020 non è obbligatorio — sembri avere meno importanza di quanto meriti, come dimostra chiaramente la relazione della Commissione sui piani nazionali per l'efficienza energetica: la maggior parte degli Stati membri non ha stabilito puntualmente i propri piani nazionali, la qualità di tali piani è molto variabile e alcuni di essi sono evidentemente troppo poco ambiziosi, malgrado sia spesso possibile realizzare risparmi energetici notevoli con un investimento iniziale relativamente modesto, ammortizzabile in tempi molto brevi (4),

pur accogliendo con favore il quadro legislativo proposto dalla Commissione per la cattura e lo stoccaggio del carbonio, esprime preoccupazione per l'insufficienza dei finanziamenti messi a disposizione dei progetti di dimostrazione previsti e la lentezza dei progressi verso l'applicazione su scala industriale. Tale aspetto riveste invece importanza cruciale per i paesi che saranno costretti a dipendere fortemente dal carbone e da altri combustibili fossili ancora per molti anni (5).

4.5

L'Unione europea ha riposto grande fiducia nel sistema di tetti e scambio delle quote di emissione, investendo un grande capitale politico nel fare di tale sistema uno strumento essenziale per garantire le necessarie riduzioni. Il sistema europeo di scambio delle quote di emissione (ETS) è già diventato il più grande al mondo, ed è destinato a svilupparsi ulteriormente dopo il 2012. In un primo tempo esso ha avuto un impatto limitato sulle emissioni in Europa, in quanto la generosità dei tetti e delle assegnazioni iniziali ha fatto sì che il prezzo del carbonio fosse molto basso. L'adozione di limiti più severi ha fatto aumentare il prezzo del carbonio: tale limitazione, unita ad altri fattori che determinano il rincaro dei combustibili fossili, eserciterà probabilmente un maggiore impatto sulla produzione energetica europea e sulle altre industrie.

4.6

In generale il CESE ritiene che il rafforzamento del sistema di scambio delle quote di emissione influirà positivamente sulle imprese e l'occupazione europea, incoraggiando il rapido sviluppo di processi e prodotti energeticamente più efficienti e a basso tenore di carbonio che domineranno il mercato futuro. In questo modo non solo si creeranno nuovi posti di lavoro, ma si ridurrà anche la dipendenza dell'UE dalle importazioni, rafforzandone la sicurezza energetica.

4.7

Se fin qui l'UE è stata la prima a mobilitarsi in questo settore, ora l'obiettivo fondamentale è incoraggiare lo sviluppo di sistemi di scambio negli USA e in altri paesi, e collegare tutti questi sistemi in un mercato globale comune del carbonio. Lo sviluppo di un mercato del carbonio veramente mondiale potrebbe svolgere un ruolo di primo piano nel garantire una riduzione delle emissioni in tutto il mondo nel modo più efficiente ed economicamente razionale. Il CESE appoggia vivamente l'iniziativa Partenariato di azione internazionale sul carbonio (International Carbon Action Partnership — ICAP), intesa a consentire che i vari sistemi di scambio delle quote di emissione che vanno emergendo in diverse parti del mondo possano evolversi in maniera armonica per confluire verso un mercato unico mondiale. Lo sviluppo di un mercato internazionale del carbonio all'interno di un sistema mondiale di limitazione delle emissioni dovrebbe rappresentare un rischio minore, per la posizione competitiva dell'Europa, rispetto a un sistema limitato alla sola UE.

4.8

Potrebbe inoltre essere utile stabilire accordi internazionali di tipo settoriale, che definiscano piani e strategie più dettagliati per garantire la progressiva riduzione delle emissioni dei principali settori interessati e dei loro prodotti. Questo tipo di accordi va visto tuttavia come una forma di supporto all'attuazione di obiettivi nazionali rigorosi concordati a livello internazionale, non come un'alternativa all'adozione di obiettivi nazionali vincolanti. La storia degli ultimi vent'anni dimostra infatti che in questo campo gli accordi settoriali di tipo volontario producono scarsi risultati, che i loro effetti sono tardivi e che è impossibile applicarli in maniera efficace.

4.9

Per quanto riguarda i trasporti, il CESE ribadisce la convinzione che una strategia di sviluppo sostenibile di lungo periodo debba partire da una rivalutazione fondamentale dei fattori trainanti della domanda di trasporto e riesaminare come le politiche in materia di pianificazione territoriale, infrastrutture e trasporti pubblici possano, nel corso del tempo, arrestare la crescita sfrenata della domanda di trasporto e alla lunga anche ridurla. La pianificazione non deve basarsi sul presupposto che l'aumento del traffico sia inevitabile e che il solo modo di limitare le emissioni dei trasporti sia migliorare le caratteristiche tecniche del carburante e la progettazione dei motori, per quanto importanti siano questi aspetti.

4.10

Quanto alle misure tecniche, il CESE ritiene necessario introdurre obiettivi rigorosi in materia di emissioni degli autoveicoli non solo a breve termine (120 grammi di CO2 al chilometro entro il 2012-2015), ma anche a medio termine, in modo da procedere ad una riduzione molto più drastica entro il 2020 (6). Nel contempo sarebbe opportuno dare maggiore impulso allo sviluppo e alla rapida introduzione di veicoli alimentati elettricamente o a idrogeno, che non producono emissioni di carbonio.

4.11

Il CESE è meno ottimista della Commissione quanto alla possibilità di raggiungere l'obiettivo del 10 % per i biocarburanti nel settore dei trasporti. Visti i problemi legati alla produzione della maggior parte dei biocarburanti (potenziale di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra), e visto l'impatto ambientale e sociale di questa produzione, sarà necessario adottare criteri di sostenibilità più rigorosi rispetto a quelli proposti dalla Commissione, in modo da garantire che i biocarburanti siano introdotti soltanto laddove esercitano un impatto reale e significativo nel ridurre le emissioni nette di carbonio e che non si traducano in pressioni inaccettabili sui terreni agricoli e la produzione alimentare. Inoltre, allo stato attuale, le considerazioni economiche indicano chiaramente che è molto più conveniente (perlomeno per ora e nel prossimo futuro) usare la biomassa per produrre elettricità o calore che usarla sotto forma di combustibile.

4.12

Misure aggiuntive per conseguire l'obiettivo del 30 %. Il CESE ritiene che se il pacchetto sarà adottato entro la fine del 2008 e l'attuazione avviata tempestivamente nel 2009, l'UE avrà buone possibilità di raggiungere l'obiettivo di riduzione del 20 % entro il 2020.

4.13

Dubita, tuttavia, che sia possibile realizzare l'obiettivo di riduzione del 30 % entro il 2020 semplicemente adottando traguardi più ambiziosi per i singoli elementi del pacchetto e aumentando il ricorso ai crediti del CDM, come suggerito dalla Commissione. Esso ritiene che per conseguire questi obiettivi più ambiziosi sarà probabilmente necessaria una gamma più ampia e completa di misure sia a livello dell'UE che degli Stati membri.

4.14

A livello europeo, il CESE ritiene che, fra gli elementi aggiuntivi di un secondo pacchetto di misure, andrebbero considerati i seguenti:

condurre un'azione più incisiva per promuovere l'efficienza energetica in tutti i principali settori e prodotti tramite la regolamentazione e la definizione di standard,

adottare ulteriori misure per accelerare lo sviluppo e l'introduzione delle energie rinnovabili,

fornire un appoggio più deciso allo sviluppo dei veicoli alimentati elettricamente o a idrogeno,

estendere il sistema di scambio delle quote di emissione di carbonio alle emissioni del trasporto marittimo (il CESE non è certo che le discussioni attualmente in corso presso l'Organizzazione marittima internazionale siano in grado di portare a un'azione sufficientemente incisiva e tempestiva),

intensificare gli sforzi collettivi per adottare obiettivi nazionali di riduzione più rigorosi nel quadro di un accordo di condivisione dello sforzo.

4.15

A livello nazionale, il CESE reputa che, per conseguire obiettivi individuali più ambiziosi nel quadro di un accordo di condivisione degli oneri, gli Stati membri e i loro leader politici dovranno adoperarsi molto più attivamente per far sì che il pubblico, le imprese, i sindacati e altre organizzazioni della società civile si uniscano in partenariato e partecipino al necessario sforzo comune.

I cittadini devono essere incoraggiati e incentivati ad apportare il proprio contributo, ad esempio migliorando l'efficienza energetica delle loro abitazioni e utilizzando forme di energia più ecologica per l'illuminazione e il riscaldamento, acquistando beni e servizi più efficaci sotto il profilo energetico e riducendo le emissioni di carbonio nei loro spostamenti abituali e in quelli effettuati a fini ricreativi. Il CESE ritiene che siano sempre più numerosi i cittadini e le organizzazioni della società civile che sarebbero pronti ad agire, se ricevessero un segnale politico forte ed efficace circa ciò che ci si attende da loro, oltre ad adeguati incentivi all'azione.

Numerosi enti locali e regionali hanno già dato prova di lungimiranza e coraggiosa leadership politica in materia: essi vanno incoraggiati e incentivati a fare di più.

Analogamente, è necessario spingere le imprese a compiere ulteriori progressi. Esse devono essere incoraggiate e incentivate a migliorare costantemente l'efficienza energetica delle loro attività e a utilizzare energia prodotta da fonti a basse emissioni di carbonio. Si dovrebbe ricorrere più sistematicamente e più vigorosamente a strumenti normativi intesi a migliorare le prestazioni energetiche di tutti i tipi di prodotti e servizi. Occorre inoltre incaricare l'industria edile di potenziare l'efficienza energetica sia del processo di costruzione che degli edifici utilizzati.

Anche i sindacati hanno un ruolo importante da svolgere. Molti dei loro iscritti sono impegnati in prima linea nel miglioramento dell'efficienza energetica e nella diffusione delle informazioni pratiche, e il loro potenziale contributo deve essere riconosciuto e incoraggiato. I sindacati devono poi essere pienamente coinvolti nel processo di trasformazione dell'industria e dell'economia, nel cammino verso la riduzione delle emissioni. Se ben gestiti, i nuovi metodi di produzione dovrebbero fornire altrettante possibilità occupazionali dei vecchi metodi di produzione ad alta intensità di carbonio, mantenendo nel contempo buone condizioni di lavoro.

4.16

Per migliorare la credibilità dell'UE a livello internazionale, è estremamente importante che ogni singolo Stato membro faccia tutto il possibile per garantire non solo che sarà rispettato l'obiettivo generale di Kyoto per l'UE-15, ma che entro il 2012 saranno raggiunti anche gli obiettivi individuali di Kyoto. La comunicazione della Commissione Progressi verso il conseguimento degli obiettivi di Kyoto  (7) afferma che soltanto tre Stati membri dell'UE-15 «sono sulla buona strada per conseguire il loro obiettivo nel 2010 ricorrendo unicamente alle politiche e alle misure nazionali già in vigore», e che soltanto altri otto «dovrebbero raggiungere i rispettivi obiettivi se si terrà conto degli effetti dei meccanismi di Kyoto, dei pozzi di assorbimento del carbonio e delle politiche e misure supplementari, che sono già in corso di discussione al loro interno». Per tre Stati membri raggiungere gli obiettivi di Kyoto sembra impossibile. Inoltre, l'ampio ricorso ai crediti dei meccanismi flessibili previsti dal protocollo di Kyoto, soprattutto il CDM, dimostra che in molti Stati membri rimane ancora molta strada da fare per operare la necessaria trasformazione verso una società a basse emissioni di carbonio.

5.   Adattamento ai cambiamenti climatici (pilastro 2)

5.1

Anche adottando un'azione efficace per ridurre le emissioni globali in futuro, con ogni probabilità il riscaldamento globale aumenterà ulteriormente nei prossimi decenni a causa delle emissioni già prodotte. Il CESE ha già adottato un parere in risposta al Libro verde della Commissione sull'adattamento ai cambiamenti climatici (8). In sintesi, esso ritiene che l'UE debba stabilire una strategia globale per gestire l'adeguamento al cambiamento climatico nell'UE, all'interno della quale ciascuno Stato membro dovrebbe elaborare piani nazionali di adeguamento più precisi. All'adattamento andrebbe inoltre data maggiore priorità nella ricerca, nelle analisi, nei bilanci, nei programmi di investimento e in altre misure. Il CESE si augura che nel Libro bianco sull'adattamento al cambiamento climatico, previsto per l'autunno del 2008, la Commissione proponga misure dettagliate per progredire su questo fronte.

5.2

Al di fuori dell'UE, molte regioni del mondo in via di sviluppo, già fortemente colpite dal cambiamento climatico e destinate a esserlo ancor più in futuro, dispongono di meno risorse per fronteggiarlo. L'UE e gli altri paesi OCSE dovranno quindi porsi come priorità l'incremento dell'assistenza finanziaria e di altro tipo alle regioni del mondo particolarmente vulnerabili, e aiutarle a far fronte a questo problema. Le considerazioni legate al cambiamento climatico devono essere integrate in tutte le politiche di sviluppo.

5.3

Sarà poi necessario un forte impegno per sostenere la gestione sostenibile delle foreste nel mondo in via di sviluppo e limitare le pressioni commerciali, che continuano a provocare una deforestazione su vasta scala in molte parti dei sistemi climatici mondiali. Il CESE ha in preparazione un parere specifico sul cambiamento climatico e la gestione delle risorse forestali.

6.   Azione in ambito di sviluppo e trasferimento di tecnologie (pilastro 3)

6.1

Affinché la transizione verso un'economia con minori emissioni di carbonio abbia successo, il mondo dovrà operare una nuova rivoluzione industriale. Sarà necessario un passaggio netto a forme più pulite di produzione energetica e a nuove tecnologie per catturare le emissioni di carbonio e altri gas a effetto serra, nonché una spinta continua per far sì che i modelli di produzione e di consumo diventino più efficienti e meno dispendiosi di energia. Ciò richiederà una forte intensificazione dei programmi di ricerca in materia da parte del settore pubblico e di quello privato, nonché la creazione di programmi di investimento di ampia portata intesi a riattrezzare l'industria e a trasformare i prodotti e i servizi. Molte delle tecnologie necessarie esistono già, ma occorre diffonderne maggiormente l'applicazione.

6.2

Nell'UE ciò richiederà spostamenti radicali nei programmi di spesa comunitari e nazionali per sostenere la ricerca, lo sviluppo e gli investimenti nel settore. Bisognerà inoltre fornire incentivi fiscali e di altro tipo alle imprese e ad altri attori affinché realizzino gli investimenti richiesti.

6.3

Sarà necessario individuare i tipi di tecnologia e di servizi più adatti ad aiutare le economie emergenti e i paesi in via di sviluppo a gestire il loro sviluppo nel modo più sostenibile e con le minori emissioni di carbonio possibili, nonché a realizzare la transizione in maniera adeguata. Una volta individuate nuove tecnologie che possono rivelarsi particolarmente utili per questi paesi, aiutandoli ad adattarsi al cambiamento climatico o ad attenuare l'impatto ambientale del loro futuro sviluppo, sarà opportuno trovare il modo di introdurle rapidamente, diffusamente e a costi accessibili. Si deve sottolineare che talvolta sono proprio le economie emergenti a lanciare o promuovere alcune delle nuove tecnologie necessarie. Il trasferimento di tecnologie non dovrebbe essere considerato esclusivamente come un percorso a senso unico dal Nord verso il Sud, ma anche come uno strumento inteso ad agevolare la rapida diffusione delle tecnologie più importanti in tutto il mondo, a prescindere dalla loro provenienza.

6.4

Il CESE esorta l'UE a esaminare con urgenza, insieme ai suoi partner, come mettere rapidamente a disposizione dei paesi in via di sviluppo le tecnologie più avanzate ed efficaci in termini di emissioni di carbonio a prezzi accessibili, in particolare le tecnologie riguardanti la produzione di energia elettrica, le industrie ad alta intensità energetica, i trasporti e, quando questa tecnologia sarà disponibile, il sequestro del carbonio. I paesi che verosimilmente continueranno a dipendere fortemente dal carbone per la produzione di energia elettrica dovranno essere messi in condizione di utilizzare le più recenti tecnologie del carbone pulito e di introdurre la tecnologia di sequestro del carbonio non appena sarà disponibile.

6.5

Tale assistenza nel trasferimento tecnologico dovrebbe consentire ai paesi in via di sviluppo interessati di gestire il proprio sviluppo in modo tale da produrre meno emissioni di carbonio di quanto avverrebbe altrimenti e potrebbe essere ragionevole subordinarne in parte la concessione a un adeguato impegno, da parte di questi paesi, ad attivarsi anche autonomamente per limitare il potenziale aumento delle loro emissioni.

6.6

Parallelamente ai negoziati sul clima, l'UE e gli USA dovrebbero intraprendere una nuova iniziativa per liberalizzare gli scambi di beni e servizi rispettosi del clima nel quadro dell'OMC. Questa iniziativa dovrebbe essere strutturata in modo tale da consentire a tutti — paesi sviluppati, paesi in via di sviluppo ed economie emergenti — di trarre vantaggi dalla liberalizzazione, ad esempio promuovendo (l'ulteriore) sviluppo delle tecnologie e dei servizi ambientali nei paesi in via di sviluppo.

7.   Aumento dei finanziamenti e degli investimenti per sostenere la mitigazione e l'adeguamento (pilastro 4)

7.1

I paesi in via di sviluppo necessiteranno di aiuti su vasta scala da parte del mondo sviluppato per essere in grado di fare la propria parte nel fronteggiare le sfide del cambiamento climatico, senza compromettere i loro obiettivi di sviluppo. Sarà particolarmente importante garantire che in futuro il loro progresso sia quanto più possibile a bassa intensità di carbonio e non riproduca lo schema di un'eccessiva dipendenza dalla produzione ad alta intensità di carbonio che ha caratterizzato (negativamente) lo sviluppo del Nord.

7.2

I paesi in via di sviluppo più colpiti dal cambiamento climatico e meno dotati di risorse per gestire l'adeguamento necessiteranno inoltre di un'assistenza supplementare. Avranno bisogno di programmi più avanzati per la protezione delle coste, la prevenzione delle inondazioni, l'alleviamento delle siccità, la riconversione dei terreni agricoli, le misure in materia di salute pubblica e di altro tipo.

7.3

Il CESE si compiace del fatto che a Bali tutti i paesi abbiano riconosciuto che per gestire questo trasferimento saranno necessarie nuove risorse, investimenti e meccanismi. Tuttavia, salvo qualche onorevole eccezione, in passato il mondo sviluppato non ha dimostrato di saper tenere fede alla promessa di fornire risorse aggiuntive per gli obiettivi dello sviluppo sostenibile. Questa volta è essenziale per l'intero pianeta che tali risorse aggiuntive vengano veramente mobilitate e impegnate.

7.4

Il CESE ha preso atto delle stime della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) e di altre organizzazioni, secondo le quali quando i programmi saranno pienamente operativi, ogni anno dovranno essere erogate dal settore pubblico e privato insieme risorse pari a centinaia di miliardi di dollari. In ogni caso, raccomanda che l'UNFCCC, la Commissione e/o l'OCSE e le istituzioni finanziarie internazionali intervengano con urgenza per quantificare con maggiore precisione il fabbisogno, garantire che vengano assunti gli impegni necessari per ottenere un finanziamento adeguato e fare in modo che i programmi intrapresi esercitino un impatto decisivo sul problema mondiale del cambiamento climatico. Una nuova fonte di finanziamento potrebbero essere i proventi della messa all'asta delle assegnazioni, nelle fasi future del meccanismo di scambio delle quote di carbonio, proventi che rischiano tuttavia di essere insufficienti, da soli, rispetto ai compiti da realizzare.

7.5

Il CDM ha avuto un discreto successo nel convogliare nuove risorse verso opportuni investimenti nei paesi che non figurano nell'allegato I. La distribuzione dei progetti però è stata fortemente deviata verso la Cina e altre economie emergenti, e sono stati manifestati forti dubbi circa l'addizionalità e la qualità di molti dei progetti. Affinché il meccanismo possa contribuire adeguatamente a garantire una reale riduzione delle emissioni di carbonio nel modo più efficiente possibile, è essenziale che i criteri di accettazione dei progetti vengano adeguatamente applicati e monitorati.

7.6

Il CESE raccomanda che l'UE e gli altri soggetti interessati studino quanto prima come eliminare le lacune di questo meccanismo per il prossimo periodo, e come rendere pienamente operativo il programma. In futuro il CDM dovrebbe dare priorità ai progetti che contribuiscono in maniera significativa non soltanto a ridurre le emissioni, ma anche a favorire la transizione verso economie con bassi livelli di emissioni di carbonio. Nelle economie emergenti in particolare non sembra utile continuare a finanziare semplici progetti di efficienza energetica («low hanging fruits»), che verrebbero comunque realizzati dai paesi in questione. Per questi ultimi un'opzione valida potrebbe essere l'adozione di «CDM settoriali», eventualmente uniti a obiettivi di tipo «no-lose» (9).

7.7

In tutto il mondo sarà essenziale che il settore privato investa massicciamente in una produzione a più bassa intensità di carbonio. Le misure prese dall'UE e dai governi nazionali dovranno soprattutto essere intese a incentivare il settore privato a realizzare tali investimenti.

7.8

I costi e gli investimenti necessari saranno dell'ordine di migliaia di miliardi di dollari nei prossimi cinquant'anni: si tratta di grandi somme. Tali investimenti stanno tuttavia già diventando necessari con il diminuire degli approvvigionamenti mondiali di combustibili fossili e il conseguente aumento dei prezzi di questi ultimi. Al di là dei cambiamenti climatici diventa quindi sempre più importante, da un punto di vista economico, diversificare l'approvvigionamento energetico riducendo il ricorso ai combustibili fossili e utilizzare le risorse rimanenti in modo più efficiente. Queste considerazioni valgono anche dal punto di vista della sicurezza, in quanto sia la scarsità dei combustibili fossili che i cambiamenti climatici già in atto costituiscono una potente fonte di instabilità e di conflitto in molte regioni del mondo.

7.9

In questa prospettiva, la necessità di rispondere rapidamente alla minaccia dei cambiamenti climatici non rappresenta un onere aggiuntivo per l'economia mondiale, ma semplicemente un forte motivo in più per procedere tempestivamente a trasformazioni economiche e industriali comunque necessarie. Nel periodo in cui il prezzo del petrolio era di 60 dollari al barile, il rapporto Stern stimava che il costo delle misure necessarie nei cinquant'anni successivi per affrontare il cambiamento climatico avrebbe potuto essere pari all'1 % del PIL mondiale. Ora che il prezzo del barile ha superato i 100 dollari, investire nelle energie rinnovabili e nelle misure a favore dell'efficienza energetica appare economicamente molto più interessante. Analogamente, i costi netti aggiuntivi delle misure per affrontare i cambiamenti climatici saranno probabilmente molto più contenuti e per alcune applicazioni potrebbero anche essere negativi: ciò dimostra che un'azione efficace contro il cambiamento climatico rappresenterà di fatto un beneficio netto per l'economia mondiale negli anni a venire.

7.10

Perciò, non bisogna pensare che rispondere in maniera adeguata ai cambiamenti climatici sia un oneroso obbligo che frenerà la crescita economica: si tratta piuttosto di un'opportunità per essere all'avanguardia nella prossima rivoluzione economica e industriale. L'UE ha svolto un ruolo guida nel dibattito politico sui cambiamenti climatici. Ma deve fare ancora di più per trasformare questa posizione politica d'avanguardia in un ambiente economico altrettanto attivo e vigoroso, in grado di incitare le imprese e le società europee a effettuare gli investimenti necessari per diventare leader mondiali e a vincere la sfida della competitività nell'economia a basse emissioni di carbonio del futuro.

7.11

Alcuni osservatori hanno parlato della necessità di un nuovo Piano Marshall: il CESE condivide questa analogia, che dà un'idea della dimensione della sfida e degli sforzi che saranno necessari. Effettivamente, è necessaria una prospettiva della portata del Piano Marshall per unire i paesi di tutto il mondo di fronte a una minaccia mondiale comune, affidando ai paesi più ricchi e potenti il duplice compito di fungere da esempio e di aiutare gli altri quanto più generosamente possibile.

7.12

È necessaria la mobilitazione degli organismi nazionali e pubblici di ogni tipo e livello, delle imprese di ogni genere, dei consumatori e dei cittadini in generale.

8.   Conclusioni

8.1

Il cambiamento climatico è già in atto, con gravi conseguenze in tutto il mondo. Nei prossimi anni, con l'aumentare delle concentrazioni di gas a effetto serra e il più rapido incremento delle temperature, è previsto un aggravamento dei problemi ad esso dovuti. La comunità internazionale deve intervenire urgentemente per stabilire e attuare obiettivi ambiziosi di riduzione delle emissioni entro il 2020, per poi passare a riduzioni più drastiche negli anni successivi. Quanto prima si potranno effettuare le riduzioni, tanto più esse saranno efficaci nel rallentare il tasso di aumento della temperatura mondiale.

8.2

I paesi industrializzati hanno emissioni pro capite molto più elevate del resto del mondo: essi devono quindi adottare obiettivi più rigorosi e intraprendere azioni più severe per ridurle. L'Europa deve fare in modo di onorare gli impegni assunti per il 2012 e successivamente impegnarsi a effettuare una riduzione del 30 % entro il 2020 — il limite più alto del suo spettro. Per essere credibile in queste sue ambizioni, essa deve adottare un ulteriore pacchetto di misure solide e realistiche che le consentano di conseguire questi obiettivi, Deve inoltre pianificare fin d'ora le ulteriori riduzioni che si renderanno necessarie dopo il 2020.

8.3

Anche i paesi in via di sviluppo devono essere coinvolti. Sarà necessario fare uno sforzo particolare per garantire che i settori delle economie emergenti a più elevato consumo energetico si dotino di metodi di produzione in grado di assicurare la massima efficienza energetica e di ridurre al minimo le emissioni di carbonio. Questi paesi avranno bisogno di un aiuto significativo e mirato da parte dei paesi sviluppati.

8.4

I parametri dell'accordo mondiale che scaturirà dai negoziati internazionali dei prossimi diciotto mesi devono essere stabiliti al più presto possibile, in modo che lo sforzo politico possa poi concentrarsi sulla comunicazione della sfida e sull'ottenimento di sostegno, fiducia e impegno da parte di tutti i settori della società a livello globale: solo così sarà possibile realizzare i grandi cambiamenti che si renderanno necessari. Un siffatto accordo non può essere negoziato a porte chiuse: tutti i settori della società devono essere coinvolti. Le misure di abbattimento devono dimostrarsi realistiche, economicamente e socialmente sane e realizzabili nei termini proposti.

8.5

La trasformazione globale necessaria è comparabile, come dimensione, alla rivoluzione industriale degli ultimi due secoli, grazie alla quale è stato possibile utilizzare l'energia contenuta nei combustibili fossili per aumentare fortemente la capacità produttiva e la produzione della società. Il mondo adesso ha bisogno di una seconda rivoluzione industriale, che sostituisca i combustibili fossili con altre forme di energia e ottimizzi l'efficienza energetica in modo da raggiungere livelli di produzione e crescita paragonabili, senza però gravare l'atmosfera con emissioni non sostenibili di gas a effetto serra. Ciò richiede investimenti massicci, adattamenti normativi appropriati e mirati, strumenti fiscali e altri strumenti economici, nonché significativi cambiamenti nel comportamento economico e nello stile di vita individuale. Ciascuno di noi dovrà comprendere la sfida ed impegnarsi nei cambiamenti che si imporranno.

Bruxelles, 17 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Si veda il parere del CESE 1201/2008, adottato il 9 luglio 2008.

(2)  Si veda il parere del CESE 1202/2008, adottato il 9 luglio 2008.

(3)  Si veda il parere del CESE 1511/08, adottato il 17 settembre 2008.

(4)  Si veda il parere del CESE 1513/08, adottato il 17 settembre 2008.

(5)  Si veda il parere del CESE 1203/2008, adottato il 9 luglio 2008.

(6)  Si veda il parere del CESE 1500/08, adottato il 17 settembre 2008.

(7)  COM(2007) 757 def.

(8)  GU C 120 del 16.5.2008, pag. 38.

(9)  Obiettivi «no-lose»: si tratta dell'impegno a ridurre le emissioni di un certo quantitativo, senza penalizzazioni nel caso in cui l'obiettivo non venga raggiunto, ma con la possibilità di vendere crediti se le riduzioni superano l'impegno assunto.


31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/81


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla fornitura di informazioni alimentari ai consumatori

COM(2008) 40 def. — 2008/0028 (COD)

(2009/C 77/20)

Il Consiglio, in data 10 marzo 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla fornitura di informazioni alimentari ai consumatori

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 settembre 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore José María ESPUNY MOYANO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 77 voti favorevoli, 3 voti contrari e nessuna astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

il CESE si rallegra per quest'iniziativa della Commissione, che servirà a facilitare la comprensione da parte del consumatore e comporterà una semplificazione legislativa.

1.2

Il CESE fa tuttavia osservare che l'informazione di cui al punto 3.4.1, se non è prima accompagnata da debite azioni di formazione del consumatore finale, perde una grande parte del suo valore e dei suoi obiettivi. In questo senso, il CESE si rammarica che la proposta non sia affiancata da misure di sostegno alla formazione dei consumatori, tanto a livello nazionale che comunitario. Un primo passo molto utile potrebbe essere costituito, almeno, da una guida delle azioni prioritarie a questo fine, allegata al regolamento.

1.3

Per quanto riguarda la menzione dell'origine, rimangono in vigore le disposizioni della regolamentazione attuale. A tale proposito il CESE, considerato l'interesse dimostrato dai consumatori nei riguardi dell'origine dei prodotti alimentari, si rammarica che la nuova proposta di regolamento non ne preveda la menzione obbligatoria in etichetta. Il Comitato ritiene tuttavia che sarebbe opportuno differenziare tra prodotti di prima e di seconda trasformazione, e di determinare caso per caso l'obbligatorietà di menzionare i principali ingredienti agricoli di questi ultimi.

1.4

il CESE esprime la sua profonda preoccupazione in relazione allo sviluppo dei «sistemi nazionali» supplementari descritti nel capitolo VII della proposta, che non portano elementi positivi complementari, ma diventano pretesti per interferire con la libertà di circolazione nel mercato interno. Questo rischio è particolarmente significativo per le PMI in quanto, come fa notare nella sua proposta la stessa Commissione, oltre il 65 % delle imprese alimentari commercializza i suoi prodotti in altri Stati membri. Per le PMI ne deriveranno maggiori difficoltà a inviare i loro prodotti in altri Stati membri, un aumento dei costi e una riduzione della competitività. Tali effetti negativi potrebbero essere evitati soltanto se questi «sistemi nazionali» fornissero informazioni complementari, non obbligatorie sulle etichette, ma disponibili tramite altri mezzi (Internet, linee telefoniche gratuite …).

1.5

il CESE comprende che, per ragioni di coerenza, la Commissione intenda applicare un regime di esenzioni per i prodotti alcolici, regime che potrà essere riesaminato entro cinque anni dall'entrata in vigore del regolamento, in seguito ai risultati della relazione obbligatoria corrispondente.

1.6

il CESE suggerisce che gli Stati membri si dotino del necessario elenco di infrazioni e sanzioni, al fine di evitare la mancata applicazione di queste disposizioni comuni. Esse dovrebbero essere armonizzate, cosicché in tutti gli Stati membri a comportamenti uguali corrispondano sanzioni di analoga gravità.

1.7

Nello stesso spirito, il CESE chiede alla Commissione e agli Stati membri di compiere uno sforzo per articolare gli strumenti di informazione e, in particolare, una base di dati aperta alla consultazione pubblica, che contenga le informazioni che devono essere obbligatoriamente riportate sulle etichette dei diversi alimenti. Ciò farebbe sì che le imprese, i consumatori e le autorità utilizzassero gli stessi orientamenti al momento di applicare la normativa.

1.8

Per quanto riguarda la leggibilità, l'attuazione pratica del requisito dei 3 mm proposto dalla Commissione non sembra realizzabile. Sarebbe opportuno considerare diversi aspetti, quali la quantità di informazioni, le dimensioni e la forma dell'imballaggio, ecc. Un valore di riferimento accettabile potrebbe essere quello del carattere utilizzato nella Gazzetta ufficiale UE.

1.9

infine, in nome della chiarezza e della semplificazione che si dichiara di perseguire, il CESE ritiene che i riferimenti alle norme abrogate avrebbero dovuto essere più espliciti, facilitando così la lettura e l'applicazione del regolamento.

2.   Sintesi della proposta della Commissione

2.1

La proposta intende consolidare in un regolamento la legislazione attuale sull'etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari (compresa l'etichettatura nutrizionale), ai fini della loro modernizzazione, semplificazione e chiarificazione.

2.2

La proposta abrogherà le disposizioni precedentemente in vigore in materia d'etichettatura dei prodotti alimentari, cioè le direttive 2000/13/CE, 90/496/CEE (entro cinque anni), 87/250/CEE, 94/54/CE, 1999/10/CE, 2002/67/CE, 2004/77/CE e il regolamento (CE) n. 608/2004.

2.3

Gli obiettivi principali della proposta sono il conseguimento di un livello elevato di tutela dei consumatori e il corretto funzionamento del mercato interno.

2.4

Il campo d'applicazione è ampliato per tenere conto di tutti gli aspetti legati all'informazione sui prodotti alimentari messa a disposizione del consumatore finale dagli operatori economici, e per coprire anche i prodotti alimentari serviti dalle collettività e quelli destinati al loro approvvigionamento.

2.5

I principi generali e gli obblighi d'etichettatura della legislazione precedente sono mantenuti, rafforzando alcuni aspetti, come le responsabilità di ogni anello della catena alimentare o i casi in cui è obbligatoria l'indicazione del paese d'origine.

2.6

Per quanto riguarda l'etichettatura nutrizionale (dichiarazione nutrizionale), vi è una modifica importante rispetto alla normativa precedente, con l'introduzione dell'obbligo di indicare sei sostanze nutritive, sia in quantità che in percentuale delle razioni giornaliere raccomandate.

2.7

Altro cambiamento importante: la coabitazione con i «sistemi nazionali» d'etichettatura nutrizionale, aggiuntivi rispetto al regolamento, che espandono le modalità di presentazione delle informazioni nutrizionali presenti sulle etichette con requisiti volontari definiti a livello nazionale.

2.8

È previsto che molte delle eventuali modifiche alla proposta siano effettuate attraverso la procedura di comitatologia. sono contemplati diversi periodi transitori per facilitare la sua entrata in vigore.

2.9

Gli allegati riprendono in dettaglio alcuni punti dell'articolato, come: gli ingredienti che causano allergie o intolleranze, le indicazioni obbligatorie complementari, i prodotti ai quali non si applica l'obbligo della dichiarazione nutrizionale, la denominazione dei prodotti alimentari, l'indicazione quantitativa e la designazione degli ingredienti, l'indicazione della quantità netta, il termine minimo di conservazione o la data limite di consumo, il titolo alcolometrico, i consumi di riferimento, il valore energetico e l'espressione e la presentazione della dichiarazione nutrizionale.

2.10

Infine, l'entrata in vigore del regolamento è prevista 20 giorni dopo la sua approvazione, ma l'applicazione effettiva delle indicazioni obbligatorie e della dichiarazione nutrizionale è rinviata di tre anni (cinque per la seconda nel caso delle PMI).

3.   Osservazioni generali

3.1   Consolidamento, aggiornamento e semplificazione

3.1.1

Da quasi 30 anni, la legislazione europea sull'etichettatura, sulla presentazione e sulla pubblicità dei prodotti alimentari contribuisce al mantenimento di un livello elevato di tutela dei consumatori ed al buon funzionamento del mercato interno.

3.1.2

La proposta attuale intende consolidare, aggiornare e semplificare la normativa esistente, ridurre gli oneri amministrativi e aumentare la trasparenza nei riguardi dei consumatori. Il CESE condivide questi obiettivi, ma si rammarica per la complessità del testo proposto, che potrebbe impedire l'applicazione diretta del regolamento.

3.2   Sviluppo di «sistemi nazionali» addizionali

3.2.1

Non vi è alcun dubbio che un regolamento che consolidi ed aggiorni l'attuale normativa dispersa in vari atti si tradurrebbe in una maggiore omogeneità del livello di tutela dei consumatori e in una migliore armonizzazione. Tuttavia, il CESE esprime la sua preoccupazione in ordine all'introduzione dei «sistemi nazionali» prevista agli articoli 44 e seguenti, dato che questi possono comportare una minaccia per gli obiettivi d'armonizzazione e d'omogeneità. In base a queste nuove disposizioni, nei diversi Stati membri si potranno adottare sistemi nazionali con requisiti addizionali che, benché volontari, aggiungeranno altre informazioni sulle etichette e potrebbero confondere i consumatori.

3.2.2

Il problema risulta ancora più grave se si tiene conto del fatto che, in ogni mercato nazionale, si vendono dei prodotti che provengono da molti altri Stati membri. Questi prodotti potranno avere diverse indicazioni elaborate nei loro stati d'origine, che potrebbero non essere necessariamente comprese da un consumatore che non vi è abituato.

3.3   Informazioni obbligatorie

3.3.1

La proposta riproduce nei suoi articoli la grande maggioranza delle indicazioni obbligatorie previste dalla legislazione in vigore e che si sono rivelate utili per la tutela della salute e degli interessi dei consumatori (come la denominazione, l'elenco degli ingredienti, la quantità, la data limite di consumo, il nome o la ragione sociale e l'indirizzo di un responsabile). Alcune di queste indicazioni sono approfondite negli allegati.

3.3.2

L'esperienza di questi ultimi anni dimostra che questi requisiti sono utili e devono essere mantenuti. Alla luce di tale esperienza, il CESE auspica che sia resa obbligatoria anche l'indicazione dell'origine degli alimenti e dei prodotti di prima trasformazione, nonché dei principali ingredienti utilizzati per la preparazione dei prodotti di seconda trasformazione, sulla base di una valutazione caso per caso.

3.4   Dichiarazione nutrizionale

3.4.1

Occorre cominciare con una riflessione sulla necessità dell'educazione nutrizionale destinata ai consumatori europei affinché essi siano in grado di adottare un regime alimentare equilibrato. Il consumatore europeo ha bisogno di una formazione di base in materia di nutrizione, perché altrimenti qualsiasi informazione che gli sia fornita non sarà né compresa né ben utilizzata. Le misure di aumento dell'informazione nutrizionale sono ragionevoli, ma non va dimenticato che, in mancanza di una formazione nutrizionale, queste misure non avranno l'effetto voluto.

3.4.2

Tenuto conto degli squilibri nutrizionali della popolazione europea, sarà necessario accompagnare ogni misura d'informazione con un grande sforzo di formazione.

3.4.3

La proposta comporta, per varie ragioni, un cambiamento sostanziale rispetto alla legislazione in vigore. In primo luogo, rende obbligatoria l'informazione nutrizionale mentre, nella direttiva 90/496/CEE, questa era volontaria. In secondo luogo, fissa come indicazioni obbligatorie le informazioni seguenti: valore energetico, grassi, acidi grassi saturi, carboidrati, zuccheri e sale. In terzo luogo, occorrerà indicare non soltanto la quantità di questi elementi ma anche la percentuale della razione giornaliera raccomandata che essi rappresentano, per informare il consumatore sulla quantità adeguata che può consumare nel quadro di un regime alimentare equilibrato. Infine, il progetto dispone che, sull'imballaggio, queste informazioni devono trovarsi nella parte principale del campo visivo ed essere presentate in un determinato ordine.

3.4.4

Tenuto conto della quantità di informazioni obbligatorie che appaiono già sulle etichette, occorrerà valutare precisamente quali siano le informazioni nutrizionali utili per il consumatore. Il passaggio da un'etichettatura nutrizionale volontaria a una obbligatoria costituirà già di per sé un cambiamento importante per un buon numero di PMI del settore agroalimentare. Le informazioni obbligatorie potrebbero quindi essere limitate a quelle attualmente fornite a titolo facoltativo, ossia l'indicazione del valore energetico e del contenuto di proteine, glucidi e lipidi.

3.4.5

Il principale vantaggio del modello d'etichettatura nutrizionale proposto dalla Commissione è quello di fornire un'informazione (razioni giornaliere raccomandate) che indica al consumatore in che modo il prodotto debba formare parte del suo regime. Questo modello d'etichettatura non valuta il prodotto in sé stesso ma nel quadro di un regime alimentare, come raccomandano i nutrizionisti.

3.5   Rafforzamento dell'informazione obbligatoria sul paese d'origine del prodotto alimentare

3.5.1

La regolamentazione attuale obbliga già ad indicare il paese d'origine del prodotto alimentare nei casi in cui il consumatore rischi di essere indotto in errore.

3.5.2

Il CESE ritiene che l'indicazione d'origine non solo risponda alle esigenze dei consumatori, ma contribuisca anche efficacemente a migliorare la trasparenza sui mercati e a sostenere il futuro sviluppo del settore agricolo e delle aree rurali di tutta l'UE. La creazione di un legame diretto con il territorio dal quale proviene il prodotto alimentare e l'indicazione dei modelli di produzione ai quali gli alimenti sono collegati sono i fattori essenziali su cui si basa il modello di sviluppo europeo, fondato sul rispetto di regole in grado di garantire sicurezza alimentare, sicurezza ambientale, benessere degli animali e standard adeguati di salute pubblica.

3.5.3

Pertanto l'indicazione dell'origine deve essere resa obbligatoria per tutti i prodotti agricoli e per quelli alimentari non trasformati o di prima trasformazione. Per gli alimenti di seconda trasformazione, si dovrà valutare caso per caso se debba essere indicata sull'etichetta la provenienza delle materie prime agricole utilizzate in misura prevalente per la preparazione del prodotto finale.

Bruxelles, 18 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/84


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull'immissione sul mercato e sull'uso dei mangimi

COM(2008) 124 def. — 2008/0050 (COD)

(2009/C 77/21)

Il Consiglio, in data 18 marzo 2008, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 37 e 152, paragrafo 4, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull'immissione sul mercato e sull'uso dei mangimi

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 settembre 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore ALLEN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato all'unanimità il seguente parere.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE accoglie con favore la proposta di regolamento della Commissione europea.

1.2

Il CESE accoglie altresì con favore la proposta di cui all'articolo 4, paragrafo 1, e all'articolo 5, paragrafo 1, che prevede l'applicazione di alcune sezioni pertinenti del regolamento che stabilisce requisiti per l'igiene dei mangimi e del regolamento che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, agli alimenti per animali da compagnia e ai mangimi per animali destinati alla produzione di alimenti.

1.3

È importante che le autorità responsabili dell'esecuzione dei controlli ufficiali possano accedere a qualunque informazione utile concernente la composizione o le proprietà dichiarate dei mangimi che essi immettono sul mercato. Ciò consente infatti di verificare la veridicità delle indicazioni che figurano sull'etichetta.

1.4

Gli operatori del settore dei mangimi che per la prima volta introducono un mangime nel mercato europeo e che usano mangimi o materie prime per mangimi importati da paesi extracomunitari devono garantire che i prodotti importati rispondano agli stessi standard imposti alle materie prime prodotte all'interno dell'UE. Le autorità di controllo devono poter verificare l'osservanza di detti standard.

1.5

Occorre garantire che la persona che risponde al numero di telefono gratuito riportato sull'etichetta degli alimenti per animali da compagnia sia adeguatamente qualificata per rispondere ai quesiti dei consumatori e che tali quesiti siano trattati rapidamente.

1.6

Le disposizioni di cui all'articolo 17, paragrafo 1, lettere a) e b) dovrebbero applicarsi in tutti i casi. Ciò significa che la categoria di animali a cui è destinato il mangime e le istruzioni per un uso corretto devono sempre figurare sull'etichetta di un mangime composto.

2.   Contesto

2.1

Attualmente, la circolazione di materie prime per mangimi e di mangimi composti è disciplinata da 5 direttive del Consiglio già esistenti e da circa 50 atti modificativi o esecutivi. La legislazione è estremamente dispersiva, con numerosi riferimenti incrociati che ne rendono difficile la comprensione e l'applicazione uniforme nei diversi Stati membri. Per quanto concerne, ad esempio, il livello autorizzato di vitamina D3 nei mangimi composti, due paesi hanno applicato la direttiva in modo differente.

2.2

Solo il 2,6 % dei mangimi composti prodotti nell'UE è oggetto di scambi intracomunitari, il che denota la possibile presenza di ostacoli al commercio e una mancanza di coerenza nell'applicazione delle direttive esistenti.

2.3

Va rilevato che, nel 2005, 5 milioni di allevatori nell'UE a 25 hanno prodotto latte, carne suina, pollame, manzo e vitello per un valore totale di 129 miliardi di euro. Gli acquisti di mangimi composti hanno raggiunto una cifra pari a 37 miliardi di euro. Il settore europeo dei mangimi (escludendo gli alimenti per animali da compagnia) dà lavoro diretto a 100 000 persone distribuite in circa 4 000 imprese.

2.4

In termini quantitativi, circa il 48 % dei mangimi utilizzati sono foraggi grossolani prodotti nelle aziende agricole, ad esempio erba, insilato, fieno, mais, ecc. Il 32 % degli alimenti è rappresentato da mangimi composti acquistati.

2.5

In Europa, circa 62 milioni di famiglie possiedono un animale da compagnia. Il valore del mercato comunitario di alimenti per animali da compagnia, che dà lavoro diretto a 21 000 persone, è stimato a 9 miliardi di euro all'anno.

2.6

L'etichetta serve, da un lato, per la corretta attuazione della normativa, della tracciabilità e del controllo e, dall'altro, a comunicare le necessarie informazioni all'utilizzatore del prodotto.

2.7

Preoccupazioni sono emerse sul fatto che l'attuale legislazione sull'etichettatura degli alimenti per animali da compagnia può indurre i consumatori in errore sulla qualità e la natura degli ingredienti di tali prodotti.

3.   Definizioni degli alimenti per animali

3.1

Gli alimenti per animali rientrano in 4 categorie:

a)

le materie prime per mangimi, destinate direttamente all'alimentazione come l'erba o i cereali, o le materie prime che possono essere usate per la preparazione di mangimi composti;

b)

gli additivi per mangimi, vale a dire sostanze quali micro-organismi o preparati (diversi dalle materie prime per mangimi e dalle premiscele) aggiunti appositamente ai mangimi perché svolgano talune funzioni;

c)

i mangimi composti, ossia miscele di materie prime per mangimi, contenenti o meno additivi per mangimi, destinati all'alimentazione degli animali per via orale sotto forma di mangimi completi o complementari;

d)

i mangimi medicati, vale a dire mangimi che contengono prodotti medicinali veterinari destinati all'alimentazione degli animali e non sottoposti ad ulteriore trasformazione.

3.2

Le materie prime per mangimi e i mangimi composti sono di gran lunga gli alimenti più comunemente utilizzati.

4.   La proposta della Commissione

4.1

La proposta fa parte del programma della Commissione, attualmente in corso, teso a semplificare il diritto comunitario. Essa è conforme alla politica della Commissione, finalizzata a migliorare la regolamentazione, come pure alla strategia di Lisbona.

4.2

Attualmente, le norme generali per la commercializzazione degli alimenti per animali, compresi gli animali da compagnia, sono ripartite tra direttive diverse, in funzione del tipo di mangime considerato. La direttiva 79/373/CEE concerne i mangimi composti. La direttiva 93/74/CEE stabilisce le regole per la circolazione di alimenti per animali destinati a particolari fini nutrizionali («mangimi dietetici»). La direttiva 96/25/CE stabilisce le norme generali relative alla circolazione e all'uso di materie prime per mangimi. La direttiva 82/471/CEE stabilisce le condizioni di commercializzazione di determinati prodotti utilizzati per l'alimentazione animale e appartenenti alla categoria delle materie prime per mangimi (le cosiddette «bioproteine»). La proposta all'esame razionalizza, semplifica, aggiorna e modernizza le suddette disposizioni.

4.3

Il regolamento sulle encefalopatie spongiformi trasmissibili (999/2001) vieta di nutrire gli animali destinati alla produzione di alimenti con farina di carne e di ossa. Il regolamento relativo ai sottoprodotti di origine animale (1774/2002) fissa le condizioni per l'alimentazione degli animali con tali prodotti. Il regolamento sugli alimenti e i mangimi geneticamente modificati (1829/2003) stabilisce le norme per l'uso di mangimi geneticamente modificati. L'obiettivo del regolamento sull'igiene dei mangimi (183/2005) è di garantire la sicurezza durante il processo di produzione dei mangimi. Per questi regolamenti, che rispondono al nuovo approccio integrato sulla sicurezza alimentare «dai campi alla tavola», non sono previste modifiche.

4.4

L'obiettivo del nuovo regolamento proposto è in generale quello di consolidare, rivedere e aggiornare le direttive esistenti in materia di circolazione e di etichettatura delle materie prime per mangimi e dei mangimi composti.

4.5

Il principio di sussidiarietà si applica in quanto la proposta non ricade nell'ambito di competenza esclusiva della Comunità. La proposta è conforme al principio di proporzionalità poiché armonizza il quadro normativo che disciplina la commercializzazione e l'uso dei mangimi.

4.6

La nuova proposta elimina i requisiti superflui in materia di etichettatura, che sono fonte di inefficienze. Essa suggerisce di introdurre obblighi di etichettatura degli ingredienti analoghi a quelli richiesti per gli alimenti. In base alle nuove regole, non è più necessario indicare tutte le materie prime in percentuale ma solo in base all'ordine decrescente del loro peso. Al momento, tutte le materie prime utilizzate in un mangime composto per animali destinati alla produzione di alimenti devono figurare sull'etichetta quale percentuale del peso complessivo, con una tolleranza del ± 15 %. L'agricoltore non può disporre dell'effettiva percentuale di materia introdotta. In base alla nuova proposta, tuttavia, se un produttore indica spontaneamente le percentuali, queste ultime dovranno essere esatte. L'indicazione della percentuale esatta è inoltre prevista qualora la materia prima interessata sia messa in evidenza sull'etichetta di un mangime composto. Per quanto concerne la composizione dei mangimi, l'allevatore può infine richiedere al fabbricante informazioni supplementari che non siano l'ordine di peso decrescente delle materie prime; il fabbricante può esimersi dal fornire tali informazioni aggiuntive solo se ciò rappresenta una violazione del segreto industriale.

4.7

Il nome dell'operatore del settore dei mangimi che per la prima volta introduce un mangime composto nel mercato comunitario deve essere chiaramente indicato sull'etichetta.

4.8

Tutte le informazioni fornite volontariamente sull'etichetta devono essere precise e comprensibili per l'utilizzatore finale.

4.9

La Commissione sarà tenuta a mantenere e ad aggiornare un elenco delle materie prime di cui è vietata la commercializzazione. La Commissione può inoltre adottare orientamenti per precisare la distinzione tra materie prime per mangimi, additivi per mangimi e medicinali per uso veterinario.

4.10

I requisiti per ottenere un'autorizzazione per l'immissione sul mercato del prodotto devono essere proporzionati all'importanza del rischio, in modo da garantire che le nuove materie prime siano adeguatamente indicate ai fini di un loro uso corretto. Un approccio organico — dai campi alla tavola — verso la sicurezza alimentare (cfr. regolamento (CE) n. 178/2002) consente tranquillamente di ridurre le procedure amministrative in questo ambito. Sottoporre tutte le bioproteine e tutte le nuove materie prime per mangimi a una procedura di autorizzazione preliminare all'immissione sul mercato non appare giustificato.

4.11

Si rileva la tendenza a ricorrere in misura crescente, per le razioni alimentari, a prodotti secondari a causa dell'intensificarsi della concorrenza tra imprese produttrici di mangimi, di prodotti alimentari e di combustibili per l'acquisizione dei cereali di base. La mancanza di informazioni chiare sui prodotti fa sì che il potenziale di tali materie prime non sia sfruttato appieno.

4.12

Si propone a tutte le parti interessate (e agli utilizzatori) di partecipare alla elaborazione di un catalogo delle materie prime per mangimi più completo e adeguato agli sviluppi del mercato rispetto all'attuale lista non esaustiva presente nella direttiva. Le parti interessate sono inoltre invitate a elaborare codici comunitari per una corretta etichettatura, nell'ambito dell'etichettatura volontaria, con un codice per ciascun alimento per animali da compagnia e un altro codice per mangimi per animali destinati alla produzione di alimenti. La Commissione fornirà consulenza nella preparazione — su base volontaria — del catalogo e dei codici, che saranno entrambi soggetti ad approvazione finale da parte della stessa Commissione in base al processo di coregolamentazione.

4.13

Di norma, l'etichettatura degli additivi per mangimi composti sarà obbligatoria solo nel caso di additivi sensibili. Gli altri potranno essere dichiarati su base volontaria, in linea con un codice di buona pratica promosso dalle parti interessate e approvato tramite procedura di coregolamentazione.

4.14

Per quanto riguarda gli alimenti per animali da compagnia, l'obiettivo è di perfezionarne l'etichettatura per agevolare l'acquirente, evitando che possa cadere in errore. Per qualsiasi indicazione nutritiva deve poter essere verificata l'attendibilità scientifica. Ai sensi dell'articolo 19 «sull'etichetta degli alimenti per animali da compagnia è indicato un numero di telefono gratuito per consentire al consumatore di ottenere altre informazioni (…) riguardo: a) agli additivi per mangimi addizionati all'alimento e b) alle materie prime per mangimi aggiunte, classificate per categoria (…)».

4.15

Gli alimenti per animali destinati a particolari fini nutrizionali possono essere commercializzati in quanto tali solo se soddisfano le loro caratteristiche nutritive considerate essenziali, se sono autorizzati e se figurano nell'elenco elaborato conformemente all'articolo 10. Ai sensi dell'articolo 13, paragrafo 3, «l'etichettatura o la presentazione dei mangimi non dichiara che (…) i mangimi prevengono, trattano o curano una malattia».

4.16

L'etichettatura e la presentazione dei mangimi non devono indurre il consumatore in errore. Tutte le indicazioni obbligatorie devono essere poste ben in evidenza sull'imballaggio.

4.17

Incombe all'operatore del settore dei mangimi che per la prima volta introduce un mangime nel mercato comunitario la responsabilità delle indicazioni dell'etichettatura e dell'obbligo di presenza ed esattezza del suo contenuto.

5.   Osservazioni generali

5.1

Il livello di sicurezza di alimenti e mangimi è notevolmente aumentato grazie alla nuova legislazione alimentare generale, al regolamento sull'igiene dei mangimi e alle relative misure di applicazione. Il miglioramento del sistema di tracciabilità e l'introduzione del principio HACCP (analisi dei pericoli e punti critici di controllo) nelle imprese del settore garantiscono in linea di massima una maggiore sicurezza dei mangimi.

5.2

È essenziale che nessuna delle modifiche proposte comprometta le norme di sicurezza necessarie per quanto riguarda gli animali da produzione alimentare.

5.3

Gli operatori del settore dei mangimi devono fornire alle autorità competenti tutte le informazioni necessarie per garantire un'adeguata osservanza delle norme.

5.4

La riduzione degli oneri amministrativi è in genere ben accolta dato che in molti settori si rileva un eccesso di regolamentazione in termini di procedure cartacee.

5.5

L'uso di farine di carne ed ossa per nutrire ruminanti destinati alla produzione di alimenti non deve in nessun caso essere autorizzato. Il regolamento (CE) n. 999/2001 recante disposizioni per la prevenzione, il controllo e l'eradicazione di alcune encefalopatie spongiformi trasmissibili vieta la somministrazione di farine di carne ed ossa ai ruminanti. Questi tipi di farine sono utilizzabili negli alimenti per animali da compagnia. La proposta di regolamento in esame non suggerisce alcun cambiamento nell'uso di tali farine, dato che la questione non rientra nel suo campo di applicazione e dovrà invece essere discussa nel quadro della proposta di regolamento recante norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano.

5.6

I mangimi composti vengono generalmente prodotti nelle vicinanze degli allevamenti. Di conseguenza, i relativi impianti di produzione spesso si trovano nelle zone rurali in cui esistono poche alternative occupazionali. Per quanto concerne il trasporto dei mangimi alle aziende agricole, è inoltre opportuno disporre di una rete di distribuzione locale che eviti ai mezzi di trasporto di dover percorrere lunghe distanze per le consegne, riducendo in tal modo le emissioni di gas a effetto serra.

5.7

La Commissione sottolinea che il commercio intracomunitario di mangimi composti è abbastanza limitato e fa osservare che il nuovo regolamento proposto migliorerà la concorrenza in quanto è destinato a incrementare gli scambi intracomunitari di mangimi composti.

6.   Osservazioni particolari

6.1

In linea di massima, il CESE accoglie favorevolmente la proposta di semplificare, razionalizzare e migliorare l'efficienza amministrativa del settore dei mangimi per animali.

6.2

Il nuovo regolamento proposto conferisce maggiore libertà e responsabilità agli operatori del settore dei mangimi. L'articolo 12, paragrafo 1, stabilisce che «incombe al fabbricante di mangimi la responsabilità delle indicazioni dell'etichettatura e dell'obbligo di presenza e esattezza del loro contenuto»; tali indicazioni, inoltre, devono essere in linea con gli obblighi derivanti dal regolamento in esame, nonché dagli altri regolamenti pertinenti, quali il 183/2005, il 178/2002 e il 1831/2003. Se il regolamento (CE) n. 882/2004 stabilisce norme generali relative all'effettuazione di controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa, spetta all'Ufficio alimentare e veterinario (UAV) della Commissione garantirne la corretta applicazione. Gli operatori del settore dei mangimi che per la prima volta introducono un mangime nel mercato europeo e che utilizzano prodotti importati da paesi extracomunitari devono sottostare ad adeguati controlli volti a comprovare che le importazioni rispondono agli stessi standard imposti alle materie prime prodotte all'interno dell'UE.

6.3

Il fatto di attribuire ai fabbricanti di mangimi più ampie responsabilità nella gestione della loro attività significa che l'eventuale presenza di mangimi contaminati con sostanze tossiche o di mangimi nocivi per l'allevamento animale o per l'ambiente, soprattutto per quanto riguarda le nuove materie prime per mangimi, potrebbe provocare notevoli danni al settore dell'allevamento di animali per la produzione alimentare, prima che vengano prese adeguate contromisure. Questo potrebbe avere conseguenze ancor più gravi qualora il fabbricante non disponesse di risorse finanziarie sufficienti per risolvere il problema.

6.4

L'acquirente di mangimi per animali, vale a dire l'allevatore, deve essere adeguatamente protetto dalle perdite finanziarie, sociali ed economiche conseguenti ad una eventuale catastrofe. Le relative disposizioni devono pertanto essere adottate nel quadro di uno strumento giuridico specifico e alla luce della relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sulle disposizioni legislative, sui sistemi e sulle pratiche vigenti negli Stati membri e a livello comunitario in relazione alla responsabilità nei settori degli alimenti e dei mangimi, nonché su sistemi affidabili di garanzie finanziarie nel settore dei mangimi (1).

6.5

In questo settore è doveroso osservare il principio di precauzione, visti i gravi errori commessi in passato.

6.6

Data la tendenza degli acquirenti a privilegiare gli operatori locali del settore, è improbabile che si registri un aumento importante del commercio intracomunitario di mangimi composti per gli animali destinati alla produzione alimentare. Questa situazione potrebbe cambiare se delle imprese multinazionali dovessero assumere il controllo di ampi segmenti del settore dei mangimi per animali.

6.7

Il rischio che delle multinazionali tentino di assumere il controllo di ampi segmenti dell'industria produttrice di mangimi, con conseguente riduzione della concorrenza, esiste realmente. Se mai ciò dovesse verificarsi, potrebbe calare notevolmente il numero di mangimifici e potrebbero intensificarsi gli scambi intracomunitari. Non per questo il mercato diventerebbe più competitivo.

6.8

Quello che serve ai proprietari di animali da compagnia è un'adeguata informazione sul cibo di maggior qualità per i loro animali piuttosto che un elenco degli ingredienti. È altresì importante stabilire le quantità corrette di mangimi da somministrare a determinati animali da compagnia e precisare se si tratta di un integratore alimentare o di un mangime completo.

6.9

Dato l'aumento della domanda mondiale di proteine, è indispensabile incrementare in modo massiccio gli investimenti a favore della ricerca e dello sviluppo nel settore dei mangimi.

Bruxelles, 17 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  GU C 246 del 20.10.2007, pag. 12.


31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/88


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'impatto dello sviluppo dei mercati dell'energia sulle catene del valore industriali in Europa

(2009/C 77/22)

Il Comitato economico e sociale europeo in data 17 gennaio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

L'impatto dello sviluppo dei mercati dell'energia sulle catene del valore industriali in Europa.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 giugno 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore ZBOŘIL e del correlatore KERKHOFF.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 62 voti favorevoli, 5 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato constata che il contesto dei mercati dell'energia è cambiato e riconosce la necessità di mitigare il cambiamento climatico di origine antropica riducendo le emissioni di gas a effetto serra. I costi del cambiamento climatico e l'adozione di approcci economicamente vantaggiosi alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra sono temi importanti del confronto sulla politica climatica. Tali questioni risultano ancor più importanti se si considera che, per soddisfare il fabbisogno energetico dell'intera popolazione mondiale, le forniture energetiche su scala globale dovranno raddoppiare entro il 2050. Bisognerà mettere a punto politiche sostenibili in campo energetico e climatico che raggiungano i loro obiettivi, preservando al medesimo tempo le catene del valore industriali come spina dorsale dell'economia europea, anche in considerazione dei costi dei danni associati al cambiamento climatico. Questo è decisamente nell'interesse della stessa UE.

1.2

Le industrie dei materiali di base, dovendo necessariamente utilizzare una ingente quantità di energia per trasformare le materie prime in questo tipo di materiali, risentono pesantemente di qualsiasi variazione nei costi dell'energia, delle tasse sull'energia e di misure finanziarie analoghe. Ad ogni modo, l'impronta energetica dei materiali di base deve essere accertata su tutta la catena del valore industriale, giacché non ha senso considerarla in modo isolato.

1.3

Il Comitato reputa che, nell'economia europea, la crescita e l'innovazione siano possibili solo se esiste una solida base industriale. La presenza di industrie dei materiali di base competitive e innovative è un presupposto fondamentale per le catene del valore industriali. In effetti, il sostegno alle tecnologie ambientali e alle energie rinnovabili è un obiettivo importante; tuttavia, anche lo sviluppo delle tecnologie ambientali richiede catene del valore industriali altamente performanti, le quali dipendono a loro volta dalla disponibilità e dalla competenza delle industrie dei materiali di base. Le innovazioni legate all'ambiente, in particolare, si possono ottenere solo attraverso una cooperazione che investa l'intera catena del valore. Solo un approccio integrale che copra l'intera sequenza delle catene del valore può portare a risultati positivi.

1.4

Il Comitato ricorda che gli edifici, rappresentando il 40 % della domanda finale di energia nell'Unione europea, sono i maggiori consumatori di energia. Fino a metà del potenziale di miglioramento dell'efficienza energetica può essere realizzato nel settore edilizio e a un costo negativo. Tali economie potrebbero già da sole consentire all'UE di rispettare gli impegni assunti nel quadro del Protocollo di Kyoto, e inoltre possono essere realizzate utilizzando tecnologie già esistenti. Migliorare le prestazioni energetiche degli edifici ha peraltro solo effetti positivi: creazione di posti di lavoro utili, riduzione dei costi operativi, maggiore comfort e ambiente più pulito. Questo aspetto dovrebbe costituire una priorità assoluta per l'Unione europea. Il Comitato riconosce altresì l'importanza dei materiali di base nuovi e perfezionati per le apparecchiature domestiche e per ufficio e per altri settori come l'energia o i trasporti.

1.5

L'eventuale trasferimento delle industrie ad alta intensità energetica in paesi extraeuropei ridurrebbe notevolmente l'attrattiva degli insediamenti industriali in Europa, comportando un rallentamento della crescita economica e una perdita di posti di lavoro e pregiudicando il modello sociale europeo. A causa dell'interdipendenza insita nelle catene del valore industriale, non è possibile compensare queste perdite a breve termine facendo leva su altri settori, ad esempio le tecnologie ambientali, giacché in tal caso anche tali settori perderebbero competitività.

1.6

Le industrie ad alta intensità energetica devono in effetti contribuire al raggiungimento degli obiettivi in materia di politica energetica e climatica. È però necessario che i requisiti imposti a tal fine siano concepiti in modo tale da poter escludere in larga misura eventuali svantaggi competitivi nel contesto economico mondiale. Per loro natura, le industrie dei materiali di base sono altamente sensibili all'impatto dei costi dell'energia: per questo gli strumenti di politica energetica e ambientale devono essere analizzati e studiati accuratamente sotto il profilo dell'impatto sulla competitività di tali industrie.

1.7

Le industrie ad alta intensità energetica necessitano di un approvvigionamento energetico sicuro, proveniente da un mix energetico europeo adeguato che non dovrebbe escludere alcuna fonte energetica (carbone, energie rinnovabili, energia nucleare) e dovrebbe essere basato su un efficace contesto concorrenziale dei mercati dell'elettricità e del gas, in modo da tradursi in prezzi di approvvigionamento energetico ragionevoli. Gli interessi delle politiche energetiche nazionali dovrebbero essere ancorati più profondamente in una strategia europea integrata, poiché finora il mercato dell'energia non ha tenuto il passo con il mercato unico dei beni industriali. Indipendentemente dalla decisione di alcuni Stati membri di rinunciare all'uso dell'energia nucleare, mantenere nell'UE una produzione di elettricità a partire dalla fissione nucleare significherebbe anche preservare un know-how in questo campo in Europa. Ovviamente, mantenere l'opzione del nucleare richiederebbe un elevato livello di sicurezza e personale ben formato (1).

1.8

Per la lotta al cambiamento climatico è estremamente importante giungere a un accordo internazionale ambizioso in materia di tutela del clima. Tale accordo deve prevedere obblighi di riduzione delle emissioni per tutti i principali paesi che producono emissioni (conformemente al principio delle responsabilità comuni, ma differenziate), comprese le industrie ad alta intensità energetica, al fine di garantire una concorrenza leale e condizioni eque. In mancanza di tale accordo, sarebbe da contemplare l'assegnazione gratuita dei diritti di emissione alle imprese ad alta intensità energetica a rischio di «rilocalizzazione delle emissioni di carbonio» (carbon leakage) nel quadro del sistema europeo di scambio delle quote di emissione (Emission-Trading System — ETS), in modo da contrastare i rischi per la competitività dei singoli siti industriali e per la crescita economica in Europa. La scelta finale del metodo di assegnazione dovrebbe basarsi sulle prestazioni (ad esempio, sulla scorta di un'analisi comparativa), sulla base delle migliori tecniche disponibili.

1.9

Per preparare il terreno per un contributo a lungo termine alla realizzazione degli obiettivi della politica energetica e climatica, il Comitato raccomanda vivamente di concentrarsi sulla ricerca e sullo sviluppo di nuove tecnologie, tanto più che i processi produttivi sono ormai ampiamente maturi. Laddove non esistano ancora soluzioni tecniche, i requisiti relativi a una maggiore efficienza energetica e gli obiettivi di riduzione delle emissioni non possono essere soddisfatti. Esistono già delle strutture operative, come le piattaforme tecnologiche, ma questi sforzi necessitano di un coordinamento molto maggiore di quanto previsto ad esempio nel piano strategico europeo (piano SET) (2). Bisogna tuttavia lasciare il tempo necessario per ottenere i progressi tecnologici perseguiti e la commerciabilità necessaria ai fini della competitività globale.

1.10

Il Comitato, grazie ai suoi rapporti specifici con gli attori economici, dovrebbe illustrare i problemi delle catene del valore industriali, che talvolta non ricevono la dovuta considerazione da parte degli organi politici.

2.   L'impatto dell'energia, in quanto fattore di produzione, sulle catene del valore industriali in Europa

2.1

La produzione di materiali di base come l'acciaio, l'alluminio e altri metalli non ferrosi, prodotti chimici, cemento, calce, vetro, pasta di legno e carta è il presupposto indispensabile per le catene del valore industriali. I prodotti industriali necessitano di materiali strutturali e funzionali di base con specifiche proprietà meccaniche, fisiche e chimiche che essi non possiedono allo stato naturale. Le prestazioni dei prodotti industriali, infatti, dipendono dall'utilizzo di materiali con un particolare profilo di applicazione e dalla loro ottimizzazione in termini di consumo di sostanza e di energia, qualità, affidabilità, efficienza economica, durata, impatto ambientale, ecc. Il continuo sviluppo di tali materiali incide quindi in modo sostanziale sul livello di innovazione tecnologica di tutti i prodotti immaginabili. Per catena del valore si intende una serie di imprese o di attori che collaborano al fine di soddisfare la domanda del mercato relativa a determinati prodotti o servizi. Dal momento che, nelle catene del valore industriali, le industrie a valle consumano in proporzione meno energia per i loro processi di fabbricazione, non è opportuno considerare i prodotti finiti in modo isolato: la loro impronta energetica va calcolata su tutta la catena del valore. Un aumento dei costi dell'energia, infatti, non solo incide al livello della produzione dei materiali di base, ma al medesimo tempo può comportare, sempre che il mercato lo consenta, un aumento dei prezzi dei prodotti industriali intermedi e finali a valle a causa del rincaro dei materiali di base.

2.2

La presenza di un'industria dei materiali di base competitiva e innovativa è un fattore importante quando si tratta di decidere l'ubicazione dei successivi anelli della catena di creazione del valore industriale, come avviene per l'industria automobilistica, quella meccanica o quella edile. Essa garantisce infatti lo sviluppo congiunto di materiali ideati su misura e adattati in modo da soddisfare le singole esigenze degli utilizzatori. Per soddisfare la domanda di consegne just-in-time da parte dei consumatori è anche necessaria la vicinanza fisica dei fornitori. Se mancano gli idonei materiali di base, la catena del valore industriale perde di forza innovatrice e di competitività. Questo vale soprattutto per le piccole e medie imprese, molte delle quali operano, ad esempio, nel settore della lavorazione dell'acciaio.

2.3

La produzione di materiali di base richiede generalmente grandi quantità di energia, specie se la si compara con le successive fasi di produzione. Il consumo di energia per unità di valore nelle industrie ad alta intensità di energia è almeno 10 volte (e fino a 50 volte) superiore a quello delle industrie a valle, come l'ingegneria meccanica. In Germania, ad esempio, il consumo energetico primario per unità di valore aggiunto è pari a 4,5 kg di carbone equivalente per il cemento, a 2,83 kg per l'acciaio e a 2,02 kg per la carta, mentre nel settore dell'ingegneria meccanica è solo di 0,05 kg (3). Ciò è dovuto al fatto che i materiali di base vanno ricavati da materie prime naturali attraverso una conversione fisica o chimica, il che richiede alte temperature per la combustione e per i processi di liquefazione e riduzione, come pure elettricità per l'elettrolisi. Anche la fabbricazione di prodotti semifiniti presenta consumi energetici elevati. In molti casi, le fonti energetiche primarie non vengono utilizzate per la produzione di calore e elettricità, ma come materie prime o agenti di riduzione, ad esempio nei processi di riduzione eseguiti durante la produzione di ferro. È importante anche segnalare che la qualità delle materie prime sta progressivamente peggiorando e che la loro lavorazione richiede generalmente più energia.

2.4

Il fabbisogno energetico complessivo di un prodotto industriale va visto in relazione sia all'eventuale risparmio energetico derivante dalle innovazioni apportate al prodotto stesso, sia alle applicazioni di tale prodotto in altri settori. Un tale raffronto presuppone necessariamente una cooperazione tra i fornitori di materiali di base e i produttori delle filiere a valle, in cui i materiali di nuova concezione svolgono un ruolo considerevole. Per esempio, le centrali elettriche a maggiore efficienza energetica e minor consumo di fonti energetiche primarie necessitano di acciai termoresistenti ad altro rendimento. Analogamente, il consumo di carburante nel settore dei trasporti, ad esempio, può essere ridotto utilizzando materiali leggeri per la costruzione delle automobili.

3.   La situazione in vari mercati energetici (carbone, petrolio, gas, elettricità) e il loro impatto sulle industrie ad alta intensità energetica (4)

3.1

Le industrie che producono materiali di base (cemento, acciaio, metalli non ferrosi, prodotti chimici, vetro, polpa di legno e carta) utilizzano i combustibili fossili sia sotto forma di energia che come materie prime, e risentono quindi in vario modo dell'evoluzione dei costi delle varie fonti energetiche. Il greggio, ad esempio, viene utilizzato nell'industria chimica come materia prima per la produzione della plastica e di altri prodotti petrolchimici. L'andamento dei mercati del petrolio ha avuto un impatto anche sui prezzi di acquisto del gas e dell'elettricità poiché i prezzi del gas sono ancora legati a quello del petrolio. Anche gli sviluppi nel mercato del carbone incidono sul costo dell'elettricità per le industrie ad alta intensità energetica. A ciò si aggiunga che l'industria siderurgica utilizza il carbone e il coke anche come agenti di riduzione.

3.2

L'autonomia statica delle riserve di petrolio, vale a dire delle risorse attualmente sfruttabili sul piano tecnico e in modo redditizio, è di circa 40 anni. Essa potrebbe però aumentare notevolmente se, in futuro, si riuscissero a sfruttare economicamente altre risorse, in particolare gli idrocarburi non convenzionali come la sabbia bituminosa. L'evoluzione dei prezzi del petrolio è caratterizzata da un aumento dei consumi, soprattutto in Cina e India. Le conseguenze di questa situazione sono acuite dal rafforzamento della posizione dei paesi dell'OPEC sul mercato, cosa che rende la diversificazione delle fonti di approvvigionamento sempre più difficile per via della distribuzione diseguale delle riserve. La concentrazione regionale della produzione in paesi caratterizzati da notevole instabilità politica ed economica è destinata ad accrescere tale incertezza, vista l'impossibilità di calcolare le eventuali future restrizioni dell'approvvigionamento, con tutti i conseguenti effetti collaterali sui prezzi.

3.3

L'autonomia statica delle riserve mondiali di gas naturale copre un arco di circa 60 anni, ed è quindi superiore a quella del petrolio. Il gas naturale è la fonte di energia primaria che fa registrare la crescita più rapida in Europa. La dipendenza dell'UE dalle importazioni di gas naturale sta aumentando a un ritmo ancor maggiore dei relativi consumi. Mentre i singoli giacimenti di petrolio e di gas in alcuni paesi europei quali i Paesi Bassi, il Regno Unito e la Norvegia si vanno progressivamente esaurendo, le importazioni di gas — provenienti in gran parte da un'unica fonte, la Russia — sono in aumento. A lungo termine c'è da attendersi così un aumento dei prezzi del gas; inoltre, una tale dipendenza da un'unica fonte può tradursi nella possibilità, per la Russia, di esercitare la propria influenza politica sull'UE. Il fatto che le riserve strategiche di gas dell'UE siano per loro natura limitate non fa che aumentare la possibilità di un tale scenario.

3.4

Le riserve di carbone estraibile in modo economicamente redditizio sono di gran lunga maggiori rispetto a quelle di petrolio e di gas. In generale si stima che l'autonomia statica delle riserve di carbone sia di circa 150 anni. Inoltre, tali riserve sono distribuite in modo più uniforme tra i diversi continenti e per lo più si trovano in paesi politicamente stabili come gli Stati Uniti o l'Australia. A causa dell'aumento della domanda, negli ultimi anni il prezzo del carbone, come quello di altre fonti energetiche, è aumentato notevolmente.

3.5

L'elettricità è una forma di energia secondaria prodotta principalmente a partire dal carbone, dal gas, dall'energia nucleare e dalle fonti primarie di energia rinnovabile, anche se in alcuni Stati membri gran parte della produzione è ancora basata sul petrolio. Il costo della produzione di elettricità è determinato in larga misura dalla composizione del mix di fonti energetiche utilizzato. Il carbone e i combustibili nucleari costituiscono due delle fonti energetiche che permettono di garantire il carico di base in modo efficace rispetto ai costi, mentre le energie rinnovabili nell'UE necessitano di un ulteriore sviluppo. Rispetto ad altre fonti energetiche primarie, quelle rinnovabili sono state finora caratterizzate da costi relativamente alti, anche perché il prezzo delle energie convenzionali non riflette la gran parte degli effetti esterni. Nel caso dell'energia eolica e fotovoltaica si viene ad aggiungere una disponibilità limitata e fluttuante con conseguenti problemi al livello delle reti, che andranno adattate per tener conto del futuro aumento dell'approvvigionamento energetico a partire da fonti rinnovabili. A seconda delle regioni, alcune fonti rinnovabili sono meno costose di altre: l'energia fotovoltaica, ad esempio, può essere economicamente vantaggiosa in regioni soleggiate come l'Europa meridionale, mentre nell'Europa settentrionale risulta antieconomica.

4.   Un contesto in divenire per i mercati dell'energia

4.1

I mercati dell'energia operano in un ambiente dinamico al quale concorrono vari fattori economici, politici e sociali che interagiscono fra loro in modo complesso. L'industria si trova di fronte a un cambiamento delle condizioni e dei costi delle forniture energetiche, che a sua volta si traduce in eccessiva incertezza. La crescente dipendenza dell'Europa dalle importazioni di energia e i previsti ulteriori rincari in tale ambito accrescono le apprensioni riguardo alla capacità di soddisfare la domanda di energia in futuro. È ampiamente riconosciuto che garantire la sicurezza e l'affidabilità dell'approvvigionamento energetico a prezzi accessibili e stabili è fondamentale per lo sviluppo economico e sociale, e che ciò dovrebbe essere parte integrante di una politica energetica efficace e coerente.

4.2

In seguito ai repentini cambiamenti intervenuti di recente nel contesto economico europeo e mondiale è necessario che il settore dell'energia sviluppi nuove idee e nuove politiche per rispondere meglio alle esigenze di sicurezza dell'approvvigionamento. Mentre in passato tale aspetto era tradizionalmente considerato appannaggio dei governi degli Stati membri, la situazione attuale del mercato europeo dell'energia impone alle forze di mercato di svolgere un ruolo complementare. In un mercato liberalizzato la sicurezza e la competitività hanno un costo. Per ottenere una sicurezza dell'approvvigionamento a lungo termine, la politica europea comune dell'energia diventa un elemento di importanza strategica (5).

4.3

Le fonti energetiche fossili non sono rinnovabili e in molti casi le risorse petrolifere e di gas naturale dell'UE sono già completamente esaurite. Questo dato andrebbe visto nel contesto della crescita dei consumi in paesi emergenti come la Cina e l'India. Nel caso del petrolio, in particolare, vi è tutta una serie di altri giacimenti non convenzionali (p. es. le sabbie bituminose) il cui sfruttamento è ancora complicato e costoso ed emette grandi quantità di gas a effetto serra. È probabile, quindi, che l'esaurimento dei giacimenti finisca per comportare un aumento dei costi di estrazione e tradursi alla fine in un incremento dei prezzi.

4.4

Nell'UE, la quota delle importazioni di fonti energetiche primarie rispetto ai consumi complessivi è attualmente pari a circa il 50 % e ci si attende che nel prossimo futuro (2030) salga al 70 %. In particolare per il petrolio e il gas, l'UE dipende quindi dalle importazioni da un numero limitato di paesi (come quelli dell'OPEC e la Russia) che detengono una posizione di forza sul mercato. Considerato che tali paesi e regioni sono spesso caratterizzati da una notevole instabilità politica ed economica, la stabilità degli approvvigionamenti non è garantita. Il recente rincaro del greggio ha dimostrato la vulnerabilità economica dell'UE, ed è quindi importante che essa disponga di risorse energetiche proprie e che le risorse esistenti vengano sviluppate in modo sostenibile. La dipendenza dalle importazioni ha profonde ripercussioni sulla sicurezza degli approvvigionamenti: questo vale per tutte le forme di energia eccetto il carbone, poiché quest'ultimo viene importato da uno spettro più ampio di Stati che — caso vuole — sono anche considerati stabili. A ciò si aggiunga che l'Europa dispone di giacimenti di carbone propri e economicamente redditizi: l'estrazione della lignite nell'UE, infatti, ha costi relativamente ridotti.

4.5

Nei mercati dell'elettricità e del gas, un tempo caratterizzati da un naturale monopolio e da una portata nazionale, è in corso un processo di liberalizzazione e di integrazione. Quando le reti sono regolamentate, la concorrenza in materia di produzione e commercializzazione dovrebbe portare a una diminuzione dei prezzi e a una maggiore efficienza. Questa strategia ha determinato un certo grado di convergenza dei prezzi tra paesi limitrofi. Tuttavia, a parte qualche eccezione, la segmentazione nazionale dei mercati dovuta alle tradizionali strozzature nella rete di trasmissione, ha falsato la concorrenza tra gli Stati membri.

4.6

Inoltre, i prezzi del gas e di altre fonti energetiche primarie, che rappresentano la parte preponderante dei costi di produzione dell'elettricità (cfr. punto 3.5), hanno fatto registrare aumenti enormi negli ultimi anni. Infine, non vi sono più sovraccapacità di produzione elettrica e l'industria elettrica sta attraversando un periodo caratterizzato da ingenti investimenti. Tutti questi fattori hanno portato a un rincaro dei prezzi nonostante i continui progressi (ad esempio la progressiva integrazione della regione dell'Europa centro-occidentale: Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi). La concentrazione della produzione e della distribuzione dell'energia è un fenomeno presente anche al di fuori dell'Unione europea e non c'è alcuna relazione tra questo fenomeno e il livello dei prezzi del gas o dell'elettricità.

4.7

La decisione politica dell'UE di mitigare il cambiamento climatico di origine antropica tagliando drasticamente le emissioni di gas a effetto serra sta già esercitando un effetto notevole sui mercati energetici, e la sua importanza non cessa di crescere. Di conseguenza ci si è concentrati molto di più sull'efficienza energetica, che va aumentata sensibilmente in modo che l'intensità di CO2 dei consumi energetici possa diminuire in tutta sicurezza. Alla luce di questi elementi, l'accettabilità dei combustibili fossili ad elevate emissioni di carbonio sta diminuendo, mentre le fonti a basse emissioni di carbonio (come il gas) o le tecnologie quasi prive di emissioni di CO2 (come le energie rinnovabili e, per alcuni versi, l'energia nucleare), godono ora di maggiore prestigio, anche se non in tutti gli Stati membri.

4.8

Garantire all'UE un approvvigionamento energetico sicuro è diventata una sfida importante in termini di adozione delle tecnologie appropriate e disponibili, ed è sempre più anche una corsa contro il tempo. In passato alcuni Stati membri dell'UE avevano deciso di rinunciare all'energia nucleare, con tutte le restrizioni che ciò avrebbe comportato sul piano del mix di fonti energetiche. Inoltre, la costruzione di centrali a carbone e dell'infrastruttura necessaria per la trasmissione dell'energia ha incontrato qualche resistenza da parte della popolazione, il che potrebbe finire per bloccare sempre più spesso la costruzione di centrali a carbone, come è avvenuto ad esempio a Ensdorf, in Germania, a causa delle iniziative di gruppi di cittadini. Perfino alcuni impianti di fonti rinnovabili come le turbine eoliche incontrano sempre più resistenze. L'accettazione pubblica di tutti i tipi di energia (non solo di quella nucleare) è diventata una questione seria che va affrontata con la massima attenzione se si vuole portare la produzione elettrica a un livello tale da soddisfare il fabbisogno dei cittadini e dell'economia dell'UE.

4.9

Di conseguenza, la capacità di generazione di elettricità nell'UE stagna, solo pochi nuovi progetti sono in corso attualmente e non si può escludere del tutto che l'UE dovrà affrontare problemi in futuro. L'imminente modernizzazione del parco di centrali europee costituisce al medesimo tempo una sfida e un'opportunità. È indispensabile ora lanciare immediatamente ai potenziali investitori il segnale che solo gli investimenti nelle tecnologie a basse emissioni di carbonio sono economicamente validi.

5.   Le strategie di adeguamento dell'industria

5.1

Numerose sono le pressioni subite dalle industrie che producono materiali di base ad alta intensità energetica affinché si adeguino alla globalizzazione dei mercati e all'evolversi della situazione sui mercati dell'energia. Da un lato, le imprese devono affermarsi nei confronti della concorrenza internazionale sviluppando prodotti e processi innovativi; dall'altro, esse sono obbligate a farsi carico di costi energetici sempre più elevati per garantire il rispetto delle decisioni politiche su un'adeguata riduzione delle emissioni di CO2 e dei livelli di consumo energetico.

5.2

In seguito alla globalizzazione sono aumentate le interazioni economiche a livello internazionale. I fornitori dei paesi in via di sviluppo hanno recuperato terreno sul piano tecnologico e offrono ormai una produzione ad alta intensità di manodopera a prezzi più ragionevoli. I fornitori di materiali di base hanno reagito a questa sfida ottimizzando i propri processi produttivi, specializzandosi in prodotti di alta qualità tecnologica e sviluppando prodotti personalizzati in stretta cooperazione con i clienti. Sempre più spesso, tra i fornitori di materiali e i clienti sono stati creati partenariati volti a offrire un'ampia gamma di servizi.

5.3

I costi dell'energia rappresentano una quota significativa dei costi di produzione dei materiali nelle industrie ad alta intensità energetica. Ridurre il consumo specifico di energia è quindi nell'interesse economico di tali industrie. Negli ultimi decenni sono stati ottenuti risultati ragguardevoli in questo campo. Le industrie ad alta intensità di energia dell'UE sono leader mondiali di efficienza energetica nella fase di produzione.

5.4

Ulteriori sfide a tali industrie provengono dalle recenti richieste del mondo politico di abbattere le emissioni di CO2 e aumentare l'efficienza energetica. In molti casi le tecnologie e i processi di fabbricazione esistenti hanno già raggiunto i propri limiti fisici e chimici (6): ad esempio, il livello di impiego degli agenti di riduzione nell'industria siderurgica durante il ciclo altoforno-convertitore ha già raggiunto il minimo sul piano chimico-fisico e non può essere ridotto ulteriormente senza che ciò vada a scapito della domanda dei clienti e dei volumi di produzione. Prima che si possano apportare ulteriori miglioramenti degni di nota sul piano dell'efficienza energetica, servirebbero conquiste tecnologiche fondamentali ancora da definire e per le quali resta necessaria un'attività di ricerca e sviluppo. Questo richiede sforzi enormi da parte dell'industria. Per questo motivo esistono sin d'ora progetti di ricerca congiunti a lungo termine e progetti di dimostrazione nel quadro delle piattaforme tecnologiche e di iniziative come la cattura e lo stoccaggio del biossido di carbonio (CCS). Quanto affermato vale anche per altre industrie che producono emissioni di processo, come quella della calce e del cemento. Anche sul piano dell'approvvigionamento energetico la ricerca e lo sviluppo costituiscono un'importante sfida a lungo termine, ad esempio per quanto riguarda la CCS o le tecnologie rinnovabili.

5.5

Lo sforzo delle industrie dei materiali di base per mettere a punto tecnologie di produzione rivoluzionarie con consumi energetici inferiori richiederà del tempo. L'introduzione di nuovi processi deve avvenire in sincronia non solo con i processi tecnici, ma anche con i cicli di investimento delle aziende. In fondo, il presupposto fondamentale per l'introduzione di nuovi processi è la loro redditività economica, che a sua volta va valutata tenendo conto della concorrenza sul mercato mondiale. Per questo motivo e per altri fattori (oneri amministrativi, risorse finanziarie limitate e conseguenti incertezze economiche) bisogna mettere in conto diversi decenni perché l'industria dei materiali di base possa compiere importanti passi avanti sul piano dei risparmi energetici. In questo le industrie ad alta intensità di energia si distinguono da quelle del settore della produzione di elettricità che, pur facendo registrare anch'esse miglioramenti graduali sul fronte dell'efficienza in linea con i cicli di innovazione, possono trasferire più rapidamente ai consumatori vincolati i costi di tali miglioramenti e altri oneri amministrativi correlati.

5.6

L'efficienza energetica dei prodotti industriali può essere migliorata notevolmente utilizzando materiali di base nuovi e molto avanzati, fabbricati in collaborazione con altri comparti quali l'industria automobilistica o i progettisti di centrali elettriche, in modo da ottenere componenti con una maggiore resistenza termica o un minor peso. Anche la presenza di sistemi adeguati di controllo dei processi consente di raggiungere livelli di qualità superiori sul piano dell'efficienza energetica. Le stesse apparecchiature necessarie per la produzione delle energie rinnovabili sono costruite con materiali strutturali e funzionali di base (le turbine eoliche, ad esempio, sono fatte di acciaio e di materie plastiche ad alte prestazioni). Se il potenziale è grande, altrettanto grande resta però la necessità di compiere ricerche nel campo dei materiali, dato che la maggior parte dei nuovi sviluppi non è ancora sufficientemente matura per un uso commerciale.

6.   L'impatto della politica energetica sulle catene del valore industriali

6.1

La politica energetica influisce sui mercati dell'energia attraverso la combinazione di diversi strumenti. Uno di essi è il quadro regolamentare per un mercato interno dell'energia elettrica e del gas, la cui elaborazione procede lentamente, ma non ha ancora consentito di realizzare l'auspicato obiettivo di stabilizzazione dei prezzi. Sulla produzione di energia e sul consumo energetico dell'industria potrebbe incidere e incide inoltre pesantemente il sistema ETS, concepito come strumento per ridurre sensibilmente le emissioni. La validità dell'ETS sarà misurata dal suo impatto sulle emissioni di gas a effetto serra in Europa, dalla sua pertinenza e dalla sua capacità di fungere da esempio per stimolare un'azione a livello globale e/o trasformarsi in un sistema globale completo. Il problema principale è dato dal fatto che il sistema non è globale, ma limitato all'Unione europea, il che comporta il rischio di rilocalizzazioni di emissioni in industrie concorrenti a livello internazionale. Anche per questo motivo, in sede di negoziati sui cambiamenti climatici, l'UE dovrebbe premere per un'applicazione del sistema ETS a livello internazionale. Gli aspetti problematici del sistema riveduto proposto andrebbero quindi affrontati con grande attenzione per minimizzare l'impatto previsto sul piano dei costi.

6.2

Nel 2005 sono stati introdotti dei massimali assoluti per le emissioni di CO2 delle centrali elettriche e delle attrezzature di processo nelle industrie ad alta intensità di energia. Nel caso delle industrie ad alta intensità energetica, le cui emissioni sono strettamente legate ai volumi di produzione a causa delle limitazioni tecnologiche, ciò fa lievitare notevolmente i costi di un eventuale aumento della produzione che superi il volume previsto. La vendita all'asta dei diritti di emissione, il cui inizio è previsto nel 2013, comporterebbe un notevole aumento dei costi di produzione di tutti i materiali di base, costi che nella maggior parte dei casi non possono essere trasferiti ai consumatori a valle.

6.3

L'UE intende ridurre le emissioni di CO2, mantenere la dipendenza dalle importazioni a livelli gestibili e promuovere le tecnologie destinate all'esportazione aumentando la quota delle fonti energetiche rinnovabili. Finanziare il lancio delle energie rinnovabili costituirebbe un contributo intelligente a questi obiettivi, ma andrebbero evitati i regimi di aiuto permanenti. Alla fine le energie rinnovabili devono diventare competitive sul mercato. L'attuale evoluzione dei prezzi dell'energia e il progresso tecnico in materia di energie rinnovabili hanno già migliorato notevolmente la competitività delle fonti rinnovabili. Nell'UE, per la promozione delle energie rinnovabili nel settore dell'elettricità vengono attualmente utilizzati sistemi di sovvenzioni nazionali, che prevedono sistemi di quote variabili a seconda dei casi per lo scambio dei certificati e tariffe di alimentazione per le energie rinnovabili. I costi aggiuntivi delle energie rinnovabili vengono generalmente trasferiti nel prezzo dell'elettricità ai consumatori finali. Attualmente le industrie ad alta intensità di energia, come tutti i consumatori, devono ancora contribuire al finanziamento delle energie rinnovabili attraverso i prezzi dell'elettricità.

6.4

Se certi settori, ad esempio alcune branche dell'ingegneria meccanica, traggono beneficio dai mercati delle energie rinnovabili, tali vantaggi vanno però considerati in rapporto alle conseguenze negative nelle industrie dei materiali di base. Inoltre, se i materiali di base finissero per essere tagliati fuori per effetto dei costi supplementari legati alle sovvenzioni concesse alle energie rinnovabili (7), questo potrebbe avere un impatto sulla catena della fornitura di tali settori, e quindi sulla loro competitività. Questa situazione potrebbe almeno essere evitata introducendo, per queste industrie, dei massimali di costo. Se è vero che lo sviluppo del mercato delle energie rinnovabili apre anche opportunità di esportare tecnologie — ad esempio quella eolica — in regioni in cui possono essere utilizzate con profitto, si dovrebbe anche tener presente che non solo le imprese europee ma, a sua volta, anche l'economia europea traggono vantaggio dai mercati sovvenzionati in Europa: ad esempio, i materiali fotovoltaici in Europa provengono in gran parte dal Giappone.

6.5

L'energia nucleare è una componente importante del mix energetico di molti Stati membri dell'UE, laddove altri paesi hanno invece deciso di rinunciare a questa forma di produzione di elettricità. In questi paesi non esistono fonti che consentano di produrre elettricità a prezzi ragionevoli e basse emissioni di CO2 per garantire il carico di base, e l'energia nucleare deve quindi essere sostituita con combustibili fossili o energie rinnovabili (8). Ne consegue che i prezzi dell'elettricità, le emissioni di CO2 e i prezzi dei certificati di emissione potrebbero aumentare, con ovvie ripercussioni sulle industrie ad alta intensità di energia.

6.6

Molti Stati membri dell'UE stanno introducendo tasse volte a ridurre il consumo energetico o a tagliare le emissioni di CO2. In un Libro verde sugli strumenti economici per la politica climatica, la Commissione europea valuta l'ipotesi di armonizzare tali strumenti in Europa e di introdurre ulteriori incentivi per ridurre le emissioni di CO2, sennonché ciò esporrebbe le industrie ad alta intensità di energia ai forti rincari dell'elettricità e dell'energia. Tali costi supplementari, come si è detto, potrebbero essere solo in parte compensati dalle misure a favore dell'efficienza energetica.

7.   L'ambiente mondiale

7.1

Le politiche in materia di energia e cambiamento climatico non si fermano più ai confini nazionali o regionali: la sicurezza degli approvvigionamenti, la scarsità delle risorse energetiche e, soprattutto, il cambiamento climatico sono sfide di portata mondiale. Il cambiamento climatico potrà essere combattuto in modo efficace solo se tutte le regioni del mondo parteciperanno a tale sforzo. Per contro, le ambiziose misure per ridurre le emissioni nell'UE resteranno inefficaci fino a quando l'espansione industriale in paesi a rapida crescita come la Cina sarà in grado di annullarne velocemente gli effetti.

7.2

Le crescenti interazioni tra scambi globali e flussi di capitali stanno intensificando la concorrenza tra le regioni del mondo. Anche le industrie ad alta intensità di energia sono sempre più esposte alla concorrenza globale per quanto riguarda i clienti e il capitale: in primo luogo, infatti, esse sono in diretta competizione con altri fornitori di materiali al di fuori del territorio dell'UE; in secondo luogo, i comparti manifatturieri che dipendono pesantemente dalle esportazioni, come l'industria automobilistica o quella meccanica, trasferiscono sull'industria dei materiali la pressione esercitata dai mercati mondiali al livello dei costi. Per quanto riguarda la situazione concorrenziale internazionale bisogna distinguere tra industrie ad alta intensità energetica e settori a carattere regionale come quello energetico.

7.3

La combinazione tra la sfida globale posta dalla politica energetica e da quella climatica, da un lato, e la concorrenza industriale su scala mondiale, dall'altro, fa sì che alcune industrie ad alta intensità energetica delocalizzino per evitare di incorrere in costi eccessivi. Tale fenomeno avviene quando le regioni extraeuropee non impongono alle proprie industrie obblighi finanziari comparabili a quelli dell'UE. Tutti i singoli elementi che compongono la politica climatica e energetica dell'UE dovrebbero essere saldamente fondati su valutazioni realistiche delle risorse (naturali, umane e sociali) e del loro potenziale sviluppo in un determinato arco di tempo (ad esempio, il periodo di riferimento della strategia di Lisbona, ecc.), al fine di sfruttare tali risorse per un futuro sostenibile per tutti. Le riflessioni strategiche dell'UE dovrebbero riflettere questi principi strategici fondamentali.

7.4

La delocalizzazione delle produzioni comporterebbe probabilmente un aumento delle emissioni nei paesi extraeuropei e, di conseguenza, i processi produttivi di tali paesi potrebbero senz'altro presentare un'efficienza energetica inferiore rispetto a quella dei paesi di origine delle imprese delocalizzate. Altre emissioni sarebbero invece determinate dal trasporto, verso l'Europa, dei prodotti delocalizzati. In ogni caso, anche se si delocalizzasse verso siti efficienti, le perdite sarebbero comunque insostenibili perché la produzione verrebbe scalzata fuori dall'Europa, con una conseguente perdita di posti di lavoro e di know-how tecnico, anche nel campo delle tecnologie ambientali. La riduzione delle emissioni di gas a effetto serra a livello mondiale dovrebbe essere un elemento decisivo della politica comunitaria in materia.

7.5

La delocalizzazione delle industrie ad alto consumo energetico porterebbe a un calo dell'occupazione e a un rallentamento della crescita economica. La perdita del collegamento diretto con i materiali di base riduce anche l'attrattiva di un determinato sito per le filiere industriali a valle e provoca un'erosione di tutti i livelli della catena del valore. Sta di fatto, però, che l'economia europea necessita di un proprio nucleo industriale. Un'economia basata unicamente sui servizi non è sostenibile: molti servizi ad alto valore aggiunto, infatti, sono legati all'industria e, quindi, correrebbero anch'essi il rischio di perdere le loro basi industriali. Inoltre, la leadership dell'UE nel campo della tecnologia e dell'innovazione (sul piano ambientale, ma non solo) dipende dalla presenza sul suo territorio di industrie di base.

Bruxelles, 17 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Associazione nucleare mondiale, World Nuclear Power Reactors 2007-08 and Uranium Requirements (Reattori nucleari nel mondo (2007-2008) e fabbisogno di uranio)

http://www.world-nuclear.org/info/reactors.html

(2)  Sul piano SET, cfr. la comunicazione COM(2007) 723 def.

(3)  Fonte: Istituto federale tedesco di statistica (Destatis).

(4)  Cfr. ad esempio la rivista BM Statistical Review of World Energy, giugno 2007.

(5)  Cfr. il parere (TEN/312) sul tema Verso una politica comune dell'energia (CESE 236/2008 fin).

(6)  Cfr. le presentazioni relative all'audizione pubblica organizzata il 7 maggio 2008 nel quadro del presente dossier (CCMI/052), consultabili sul sito della CCMI:

http://eesc.europa.eu/sections/ccmi/index_en.asp

(7)  Cfr. ad esempio Pfaffenberger, Nguyen, Gabriel, Ermittlung der Arbeitsplätze und Beschäftigungswirkungen im Bereich Eneuerbarer Energien (Indagine sui posti di lavoro e impatto sull'occupazione nel settore delle energie rinnovabili), dicembre 2003.

(8)  L'energia idraulica rimane circoscritta a un numero limitato di paesi, come ad esempio quelli scandinavi, che presentano condizioni naturali vantaggiose.


ALLEGATO 1

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Qui di seguito si riportano gli emendamenti che, pur essendo stati respinti durante il dibattito, hanno ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi:

1.   Punto 1.9

Inserire un nuovo punto, formulato come segue:

«A medio e lungo termino, tuttavia, è indispensabile che l'economia europea si converta a metodi di produzione e prodotti a basse emissioni di carbonio. Se nei paesi industrializzati si vuole ottenere, entro il 2050, una riduzione delle emissioni di CO2 del 60-80 % — livello ritenuto necessario per evitare un cambiamento climatico incontrollato — è controproducente proteggere i comparti industriali ad alta intensità di carbonio. L'Europa deve procedere nella trasformazione della sua economia, per ottenere un vantaggio competitivo in quanto punta di lancia dell'innovazione tecnologica e dare impulso alle trasformazioni in altri paesi. Continuando come se niente fosse, limitandosi a perseguire un modesto miglioramento dell'efficienza dei prodotti ad alta intensità energetica, sarà impossibile realizzare questa terza rivoluzione industriale.»

Esito della votazione

Voti favorevoli: 23, voti contrari: 27, astensioni: 12

2.   Punto 6.7

Inserire un nuovo punto:

«Tuttavia a medio e lungo termine è necessario che l'economia europea si converta a processi produttivi e a prodotti a basso tenore di carbonio. Se nei paesi industrializzati vogliamo realizzare riduzioni delle emissioni di anidride carbonica del 60-80 % entro il 2050, riduzioni che vengono ritenute necessarie per evitare un mutamento climatico incontrollato, è controproducente tutelare i settori ad alta intensità di biossido di carbonio. È semmai necessario che l'Europa prosegua la conversione della propria economia, per potere, grazie alla propria posizione di avanguardia nell'innovazione tecnologica, procurarsi un vantaggio concorrenziale e incoraggiare il cambiamento in altri paesi. Se si opta per lo status quo, limitandosi a perseguire modesti aumenti di efficienza nelle produzioni ad elevata intensità energetica, risulterà impossibile realizzare questa terza rivoluzione industriale.»

Il testo proposto è simile a quello del punto 1.9 (capitolo «Conclusioni e raccomandazioni»), ma verrebbe inserito al punto 6 («L'impatto della politica energetica sulle catene del valore industriali»). Dato che il punto 1.9 è stato respinto, il presente emendamento relativo al punto 6.7 decade.

3.   Punti 7.4 e 7.5

Riunire i due punti in un punto unico e modificare come segue:

«La Una delocalizzazione delle produzioni potrebbe comportare comporterebbe probabilmente un aumento delle emissioni nei paesi extraeuropei e, di conseguenza, se i processi produttivi di tali paesi potrebbero senz'altro presentare presentassero un'efficienza energetica inferiore rispetto a quella dei paesi di origine delle imprese delocalizzate, cosa che appare tuttavia improbabile, visto l'aumento dei prezzi dell'energia per le nuove strutture. Altre emissioni sarebbero invece determinate dal trasporto, verso l'Europa, dei prodotti delocalizzati. In ogni caso, anche se si delocalizzasse verso siti efficienti, le perdite sarebbero comunque insostenibili perché la produzione verrebbe scalzata fuori dall'Europa, con una conseguente perdita di posti di lavoro e di know-how tecnico, anche nel campo delle tecnologie ambientali. La riduzione delle emissioni di gas a effetto serra a livello mondiale dovrebbe essere un Un elemento decisivo per ridurre le emissioni di gas a effetto serra a livello mondiale resta quindi un accordo sul clima. della politica comunitaria in materia.

La delocalizzazione delle industrie ad alto consumo energetico porterebbe a un calo dell'occupazione e a un rallentamento della crescita economica. La perdita del collegamento diretto con i materiali di base riduce anche l'attrattiva di un determinato sito per le filiere industriali a valle e provoca un'erosione di tutti i livelli della catena del valore. Sta di fatto, però, che l'economia europea necessita di un proprio nucleo industriale. Un'economia basata unicamente sui servizi non è sostenibile: molti servizi ad alto valore aggiunto, infatti, sono legati all'industria e, quindi, correrebbero anch'essi il rischio di perdere le loro basi industriali. Inoltre, la leadership dell'UE nel campo della tecnologia e dell'innovazione (sul piano ambientale, ma non solo) dipende dalla presenza sul suo territorio di industrie di base.»

Esito della votazione

Voti favorevoli: 21, voti contrari: 41, astensioni: 3


ALLEGATO 2

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Qui di seguito si riportano i brani del parere della CCMI che, pur essendo stati soppressi sulla base degli emendamenti adottati dall'Assemblea, hanno ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi:

1.   Punto 4.9

«I rischi di alcune tecnologie vengono ingigantiti, e i loro benefici economici ampiamente sottostimati. L'Agenzia tedesca dell'energia, ad esempio, prevede che in Germania, nel 2020, a seconda dell'andamento della domanda, mancheranno da 11 700 a 15 800 MW di capacità di produzione energetica garantita (1). Questo significa che in tutta l'UE è imminente la prospettiva di una insufficiente capacità di generazione elettrica e che, se non si interverrà, il prezzo da pagare sarà molto alto. Secondo altri studi è possibile superare questo deficit aumentando l'efficienza energetica e la produzione a partire da fonti rinnovabili. In ogni caso, occorrerebbe un mix energetico tale da comprendere tutte le fonti energetiche, e le parti interessate dovrebbero fare presenti in modo chiaro ed esplicito queste esigenze alla popolazione.»

Esito della votazione

Voti contrari al mantenimento del brano: 36, voti favorevoli al mantenimento del brano: 20, astensioni: 5

2.   Punto 6.3

«Questa situazione può essere evitata introducendo dei massimali di costo per le industrie ad alta intensità energetica, al fine di conciliare il sostegno alle energie rinnovabili e la competitività internazionale delle industrie dei materiali di base. A prescindere da questo, se il sostegno fornito alle energie rinnovabili non è equilibrato, esso costituisce una minaccia per le catene del valore di determinate industrie, come quelle basate sui prodotti della silvicoltura (2). Il risultato potrebbe essere fra l'altro la scomparsa, nell'UE, di industrie tradizionali come quella della polpa di legno e della carta.»

Esito della votazione:

Voti contrari al mantenimento del brano: 37, voti favorevoli al mantenimento del brano: 20, astensioni: 4


(1)  Agenzia tedesca dell'energia (DENA), Kurzanalyse der Kraftwerks- und Netzplanung in Deutschland (Breve analisi della pianificazione delle centrali e della rete in Germania), marzo 2008.

(2)  McKinsey e Pöyry (a cura di), Bio-energy and the European Pulp and Paper Industry — An Impact Assessment (La bioenergia e l'industria europea della polpa di legno e della carta: valutazione d'impatto), CEPI, agosto 2007.


31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/96


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro bianco — Un impegno comune per la salute: Approccio strategico dell'UE per il periodo 2008-2013

COM(2007) 630 def.

(2009/C 77/23)

La Commissione, in data 23 ottobre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al:

Libro bianco — Un impegno comune per la salute: Approccio strategico dell'UE per il periodo 2008-2013

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 18 luglio 2008, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice CSER.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 114 voti favorevoli, 4 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE accoglie con favore il Libro bianco Un impegno comune per la salute e sottolinea il legame che c'è tra la salute da un lato, e dall'altro la prosperità economica e la competitività; sottolinea inoltre il diritto dei cittadini di poter influire sulla propria salute fisica e mentale e di ricevere prestazioni sanitarie di qualità.

1.2

Si compiace che il Consiglio abbia riconosciuto valori fondamentali e comuni nel campo della salute, quali l'universalità, l'accesso a un'assistenza di buona qualità, l'equità e la solidarietà (1). Il CESE si attende che gli sviluppi nel campo della sanità pubblica si basino sui suddetti valori fondamentali, e che venga applicato il principio dell'integrazione degli aspetti sanitari nelle varie politiche, noto come «la salute in tutte le politiche». Ritiene pertanto che occorra armonizzare la politica commerciale, quella economica e quella della concorrenza nel mercato interno, e metterle al servizio dell'obiettivo politico dell'UE di garantire un livello elevato di servizi sanitari pubblici per preservare, sorvegliare e migliorare la salute umana.

1.3

Il Comitato condivide e sostiene il giudizio della Commissione secondo cui non vi può essere alcuna forma di cittadinanza europea attiva se i diritti fondamentali, e tra essi quelli dei malati, non sono conosciuti, messi in evidenza e garantiti, e se manca un'adeguata informazione in materia. In assenza di tali elementi non si può concepire alcuna politica europea della salute.

1.4

Il Comitato approva le priorità della Commissione, e in particolare la lotta contro le gravi malattie e le minacce di più grave entità per la salute a carattere transfrontaliero, le misure riguardanti la sorveglianza e il sistema di allerta nel caso di catastrofi, la lotta contro il tabagismo e l'abuso di alcol e la protezione della salute pubblica.

1.5

Il contributo continuo e coordinato delle competenti agenzie dell'UE (2) è essenziale per garantire l'accettazione della strategia e la sua messa in opera.

1.6

Il Comitato è favorevole a una raccolta più mirata di dati a livello comunitario e alla loro valutazione comune per accrescere le possibilità di riuscita della strategia. Oltre a definire indicatori realistici e comparabili bisogna adoperarsi per aggiornare le banche dati e sviluppare metodi di verifica dell'esattezza dei dati raccolti. Il Comitato ricorda che è essenziale proteggere con il massimo rigore i dati personali.

1.6.1

Il CESE ritiene che i pazienti che necessitano di cure transfrontaliere dovrebbero disporre di informazioni più ampie sul loro diritto a beneficiare di prestazioni sanitarie di qualità. Dovrebbe esser cura degli Stati impedire che la libera prestazione di servizi crei situazioni di dumping sociale, che danneggerebbero il personale sanitario, la sua professionalità e in fin dei conti anche i pazienti.

1.7

Il CESE si compiace che la Commissione giudichi opportuno eliminare le profonde disuguaglianze esistenti sia all'interno degli Stati membri che tra di essi. Fa tuttavia presente alla Commissione la necessità di stare attenti a non contribuire ad accrescere tali disuguaglianze sostenendo il diritto alla mobilità dei pazienti e migliorando la mobilità dei lavoratori del settore sanitario.

1.8

Il CESE accoglie con favore il proposito della Commissione di rafforzare e promuovere la prevenzione e si compiace dei suoi sforzi per sostenere dei programmi di sensibilizzazione alla salute destinati a differenti classi di età. In tale contesto, assumono un ruolo importante le trasmissioni radiofoniche e televisive del servizio pubblico: queste dovrebbero essere concepite in funzione dei meno abbienti, che costituiscono una parte considerevole della popolazione dell'Unione europea, e in particolare dei bambini e degli adolescenti, che spesso non hanno altre possibilità di accedere a conoscenze e informazioni obiettive e realmente utili.

1.9

Il CESE propone di avviare una campagna di lunga durata, dal titolo Cittadini europei in buona salute, che accompagni la strategia quinquennale fino alla sua conclusione. Grazie ad un programma annuale evolutivo e a un sistema di feedback (flusso di informazioni di ritorno) la campagna dovrebbe permettere di procedere a una valutazione costante della strategia e a tutti gli adattamenti eventualmente necessari. Il Comitato raccomanda alla Commissione di estendere fino a dieci anni la durata sia della strategia che del programma/campagna a lungo termine, allo scopo di favorire lo sviluppo di un comportamento più attento alla salute da parte dei cittadini dell'UE.

1.10

Il CESE ribadisce l'esigenza di coinvolgere ampiamente tutti gli attori interessati negli sforzi rivolti a fare conoscere la strategia, a suscitare la discussione in merito a essa e ad attivarla. Considera infatti che solo con la trasparenza e la cooperazione sarà possibile garantire l'accettazione della strategia da parte del pubblico e la realizzazione del principio della democrazia partecipativa.

1.11

Il CESE fa presente alla Commissione l'importanza cruciale della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro e chiede che, con l'aiuto delle parti sociali e degli Stati membri, si rafforzi la cooperazione coordinata in questo campo nelle politiche comunitarie, e si migliorino la prevenzione e la protezione.

1.12

Il Comitato auspica che specialisti delle differenti politiche e rappresentanti delle parti sociali, delle organizzazioni professionali e della società civile creino dei forum a livello locale, regionale, nazionale e comunitario. Questi forum di cooperazione a vari livelli potrebbero costituire una rete in grado di favorire lo scambio di informazioni e costituirebbero un mezzo adeguato per consentire agli interessati di esprimere le loro istanze, permettendo così di distinguere tra le politiche nazionali e quelle comunitarie e contribuendo all'accettazione di entrambe. L'educazione dei cittadini ai comportamenti da tenere individualmente e collettivamente in caso di crisi sanitarie gravi dovrebbe essere uno dei temi oggetto dei forum suddetti, e in particolare di quelli seguiti da ampie fasce di popolazione, e permetterebbe, eventualmente, di gestire le situazioni difficili in modo efficace e nell'interesse di tutti.

1.13

Il CESE raccomanda che l'UE istituisca forum analoghi nel quadro della sua politica internazionale, associandovi le parti in causa e collaborando con le organizzazioni internazionali, in modo da consentire anche a tale livello il dibattito sugli obiettivi della sua politica e la definizione e l'attuazione delle strategie.

1.14

Il CESE appoggia l'innovazione nei sistemi sanitari degli Stati membri e si compiace dello sviluppo in corso nel campo dell'assistenza sanitaria on line. Nondimeno, per assicurare il rispetto del principio di sussidiarietà e l'effettivo esercizio dei diritti dei pazienti, ribadisce la necessità di proseguire lo studio di tali aspetti e delle possibili soluzioni.

1.15

Il CESE si rammarica che una strategia così importante per ogni cittadino dell'Unione non disponga di un bilancio autonomo. Per garantire a questa nuova strategia un'attuazione efficace, invita ad esaminare il bilancio dell'UE (3), per individuare i progetti che si ripercuotono sulla salute dei cittadini e garantirne la valutazione e il monitoraggio, e successivamente l'armonizzazione. Durante l'intero periodo di riferimento della strategia, oltre al finanziamento dei progetti, bisogna adoperarsi per ottenere, per il periodo successivo al 2013, anche un finanziamento di bilancio per i nuovi compiti che diventeranno ricorrenti.

2.   Osservazioni generali

2.1

La salute e la garanzia di prestazioni sanitarie di qualità sono una componente del modello sociale europeo, basato su valori imprescindibili quali la solidarietà, e dovrebbero quindi essere sviluppate attivamente (4).

2.2

Il diritto a influire sulla propria salute mentale e fisica e ad accedere alle cure necessarie rientra nei diritti fondamentali dei cittadini europei e costituisce uno dei principi propulsori di una cittadinanza europea attiva.

2.3

Occorre mettere al centro il cittadino europeo e lavorare insieme alla costruzione di una cultura comunitaria della salute e della sicurezza.

2.4

Nell'Unione europea è fondamentale lottare contro la povertà e garantire a tutti l'accesso a prestazioni sanitarie di qualità; si tratta infatti di indicatori fondamentali, non solo nel campo della salute, ma anche in quello della promozione della competitività (5).

3.   Contenuto del Libro bianco

3.1

La Commissione europea ha organizzato due consultazioni sul tema della salute, dalle quali è emerso che esiste un generale sostegno per l'attuazione in Europa di una nuova strategia in materia, come pure l'auspicio di una cooperazione più intensa tra la Commissione e gli Stati membri per migliorare ulteriormente la protezione della salute nell'Unione.

3.2

Nel corso della consultazione sono state sottolineate varie questioni essenziali:

la lotta contro le minacce per la salute,

le disuguaglianze nel campo della salute, comprese quelle legate al genere,

l'importanza di informare e di sensibilizzare i cittadini,

la qualità e la sicurezza delle prestazioni sanitarie transfrontaliere,

la definizione dei principali fattori legati allo stile di vita che incidono sulla salute, tra cui l'alimentazione, l'esercizio fisico, il consumo di alcol, il fumo e la salute mentale,

la necessità di migliorare il sistema di informazione europeo per sostenere la strategia europea in materia di salute.

3.3

Il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007, completa e precisa l'articolo 152 del Trattato CE, sostituendo al concetto di «salute umana» quello di «salute fisica e mentale». Il nuovo Trattato estende inoltre l'azione della Comunità in materia, aggiungendovi la sorveglianza, l'allarme e la lotta contro gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero.

3.4

Il Libro bianco ribadisce i valori condivisi in questo campo, quali il diritto a prestazioni di qualità, l'equità e la solidarietà. La Commissione ha elaborato la sua strategia comune sulla base di quattro principi fondamentali:

i valori comuni nel campo della salute,

la salute come bene più prezioso,

la necessità di inserire la salute al centro di tutte le politiche,

il rafforzamento del ruolo dell'UE nelle questioni sanitarie a livello mondiale.

3.5

Su tale base la Commissione definisce tre obiettivi principali per i prossimi anni:

la protezione della salute in un'Europa che invecchia,

la protezione dei cittadini dalle minacce alla loro salute,

la promozione di sistemi sanitari dinamici e di nuove tecnologie.

Per realizzare tali obiettivi, la Commissione formula inoltre 18 proposte di azione.

4.   Osservazioni particolari

4.1

Il CESE concorda con i principi fondamentali indicati nel Libro bianco. Accoglie pertanto con favore il principio di integrare la salute in tutte le politiche (HIAP, Health in All Policies): esso presuppone una cooperazione molto più stretta tra la Commissione, le parti sociali, le organizzazioni della società civile, il mondo accademico e i mezzi di informazione affinché la strategia possa essere promossa e attuata.

4.2

Il Comitato riconosce le tre sfide principali cui deve far fronte la sanità pubblica in tutto il mondo e cioè: la lotta contro un mondo microbiologico in continuo cambiamento, lo sforzo di far evolvere le abitudini e i comportamenti umani e infine la lotta per conseguire una maggiore visibilità e mezzi finanziari più consistenti (6). Esso è altresì cosciente dei principali problemi che l'UE deve affrontare e delle risorse di cui essa dispone a questo fine:

l'invecchiamento demografico, che costituisce una sfida sempre più ardua nel campo sia della diagnostica che delle cure e dei trattamenti,

le minacce per la salute, come le epidemie causate da malattie infettive e il bioterrorismo, che costituisce una fonte di sempre più viva preoccupazione,

il cambiamento climatico e i rischi nascosti della globalizzazione, e,

parallelamente, anche del rapido sviluppo delle nuove tecnologie e di quello altrettanto rapido dei mezzi di promozione della salute e di prevenzione e trattamento delle malattie.

4.3

Il CESE sottolinea quanto sia importante che tutte le parti in causa (i poteri pubblici, le parti sociali, le organizzazioni della società civile e in particolare le associazioni dei pazienti e quelle di difesa dei consumatori) possano svolgere un ruolo attivo e determinante sia nell'individuazione e nella risoluzione dei problemi che nello sviluppo di un comportamento attento alla salute.

4.4

Il Comitato si rammarica del fatto che non siano state coinvolte le parti sociali, gli attori della società civile, le organizzazioni professionali e le associazioni di pazienti. Esso auspica una collaborazione con i poteri pubblici, a livello locale, regionale, nazionale ed europeo, nel quadro del partenariato sociale, e ribadisce che l'uso efficace delle risorse finanziarie costituisce una delle condizioni indispensabili per realizzare la strategia dell'UE per la salute e il successo economico.

5.   La salute dei cittadini europei

5.1

Il CESE concorda con la Commissione nel ritenere che, nel quadro dell'attuazione dell'agenda dei cittadini, i diritti civili e i diritti dei pazienti debbano costituire il punto di partenza centrale della politica europea in materia di salute. Nell'interesse della salute di ciascuno occorre sviluppare la solidarietà, che è l'elemento propulsivo del modello sociale europeo (7).

5.2

Il Comitato sostiene la cittadinanza europea attiva, la quale è inconcepibile senza un atteggiamento consapevole sul fronte della salute. Tuttavia, malgrado gli sforzi sinora profusi dall'UE e dai suoi Stati membri, permangono grandi divari per quanto riguarda lo stato di salute dei cittadini (8), il loro accesso a uno stile di vita sano nonché le pari opportunità, in particolare (9) tra uomini e donne e a livello dei gruppi sfavoriti o vulnerabili. Il CESE invita la Commissione a fare in modo che, una volta che siano stati individuati gli svantaggi di cui soffrono particolari gruppi, vengano elaborate delle soluzioni specifiche e dei sistemi di aiuto, favorendo la cooperazione tra Stati membri. Sottolinea inoltre che promuovere programmi specifici destinati a monitorare e a preservare la salute delle persone anziane sarebbe utile per l'intera società e consentirebbe di tenere conto delle dinamiche demografiche.

5.3

Considerando i divari esistenti all'interno degli Stati membri e tra essi, il Comitato accoglie con favore l'obiettivo comune in base al quale le politiche in materia di salute dovrebbero contribuire alle strategie intese a ridurre e ad eliminare la povertà. Se da un lato la spesa sanitaria continua ad aumentare, d'altro canto tale aumento non dovrebbe in nessun caso comportare un abbassamento del tenore di vita o un impoverimento dei singoli e delle famiglie, all'interno o all'esterno dell'UE. Occorre pertanto fornire una gamma adeguata di servizi sanitari pubblici e di servizi sociali, garantendo che siano erogati in maniera equa, che abbiano costi accessibili e che siano disponibili a livello locale. Bisogna infatti evitare di allargare ulteriormente il fossato che nelle nostre società separa i ricchi e i poveri.

5.4

Il CESE ritiene che tutti i cittadini europei dovrebbero avere la possibilità di operare le proprie scelte in materia di salute, sia fisica che mentale, e di avere pari diritti in materia di assistenza sanitaria. Tale uguaglianza potrà essere raggiunta solo dedicando speciale attenzione ai gruppi sfavoriti, ad esempio le persone colpite da condizioni persistenti di povertà, appartenenti a gruppi marginali o escluse per motivi religiosi. Per migliorare la salute pubblica occorre inoltre dedicare maggiore attenzione alla salute mentale, in particolare presso i gruppi più sfavoriti (10).

5.5

Il CESE ritiene che per sostenere le attività dell'UE e quelle dei singoli cittadini gli Stati membri dovrebbero continuare a promuovere il dialogo interculturale, specie per quanto riguarda l'offerta e l'utilizzazione dei servizi sanitari. Grazie al riconoscimento e al sostegno della diversità culturale e del multilinguismo si può contribuire notevolmente a far accettare come legittima e a consolidare una condotta consapevole delle esigenze di salute, e a stimolare l'assistenza reciproca (11) e il ricorso tempestivo alla prevenzione, ai servizi sanitari e alle cure.

5.6

Il Comitato invita la Commissione ad elaborare delle proposte che permettano di integrare in ogni politica dell'UE l'obiettivo di sviluppare nelle popolazioni un comportamento attento alla salute. L'obiettivo è fornire un'informazione indipendente sulla salute mentale e fisica anche ai cittadini sprovvisti di accesso a Internet e alle persone sfavorite, il cui numero è purtroppo in crescita. Per realizzare tale obiettivo si dovrebbe pensare a una collaborazione con radio e reti televisive pubbliche perché diffondano informazioni sulla salute pubblica e su quella individuale (ad esempio per quanto riguarda la prevenzione), nonché le informazioni utili per accedere tempestivamente alle strutture sanitarie. Si potrebbe inoltre ricorrere a strumenti di comunicazione come Internet, accessibili ai pazienti e agli operatori della sanità.

5.7

Il CESE sottolinea che anche iniziative come la campagna contro il tabagismo, la definizione di norme comuni in materia di etichettatura dei prodotti alimentari, la promozione della ricerca farmaceutica e lo sviluppo e la promozione della salute on line comportano tutti un valore aggiunto. In molti campi anche lo scambio di buone pratiche e la valutazione delle prestazioni possono svolgere un ruolo essenziale per garantire un impiego efficiente ed efficace delle limitate risorse finanziarie disponibili.

5.8

Il CESE ritiene che la politica di sostegno alla famiglia, come pure una formazione e un supporto adeguati, siano importanti per sviluppare un atteggiamento attento nei confronti della salute. Tale sensibilizzazione potrebbe iniziare dalla gravidanza delle future madri (12). Al fine di promuovere la cittadinanza europea il Comitato raccomanda di lanciare la campagna a lungo termine «Cittadini europei in buona salute».

5.9

Pur essendo un convinto fautore della libera circolazione dei lavoratori e pur riconoscendo i diritti dei pazienti, il CESE richiama l'attenzione della Commissione sul fatto che la mobilità dei pazienti e dei lavoratori del settore sanitario non deve in alcun caso aggravare le disparità già esistenti nel settore della salute, che andrebbero anzi eliminate (13).

5.10

Il CESE ritiene che l'esistenza di servizi sociali e sanitari adeguati e di buona qualità costituisca un'indispensabile condizione preliminare per la disponibilità di un numero adeguato di lavoratori qualificati. È quindi opportuno retribuire meglio gli addetti al settore sanitario e garantire loro un migliore riconoscimento sociale e morale, onde rendere tale settore più attraente per i giovani. Il Comitato esprime preoccupazione per lo stato di salute dei lavoratori più anziani del settore sociale e sanitario, i quali risentono del logoramento dovuto al lavoro e dello stress professionale. Per tale ragione il Comitato ritiene necessario rivalutare il lavoro svolto nel settore dei servizi sociali e sanitari, e sottolineare che i loro addetti svolgono una funzione di grande valore per la promozione della salute nell'intera società.

5.11

A livello nazionale è necessario impegnarsi attivamente nell'elaborazione di una strategia ben strutturata in materia di salute, obiettivo che potrà essere raggiunto solo se gli saranno assegnati sufficienti mezzi finanziari e/o risorse provenienti dai sistemi di sicurezza sociale. Gli Stati membri non devono infatti investire solo nella prosperità della loro popolazione, ma anche nel benessere dei singoli cittadini.

6.   Le questioni transfrontaliere e globali

6.1

Il CESE riconosce che in relazione a salute e globalizzazione l'UE può svolgere un ruolo importante tanto all'interno quanto all'esterno delle proprie frontiere: essa può infatti contribuire alla soluzione di problemi sanitari di portata mondiale, fornire delle risposte comunitarie alle catastrofi, alle pandemie e alle nuove sfide poste dal cambiamento climatico, rimediare alla carenza globale di lavoratori del settore sanitario attraverso un apposito fondo di compensazione (14) e promuovere l'accesso internazionale ai medicinali.

6.2

Le minacce per la salute attuali e in prospettiva (HIV/AIDS), che sono di natura transfrontaliera, confermano sempre più il valore aggiunto che l'UE può apportare, dato che gli Stati membri non sono in grado di trovare soluzioni a tali problemi intervenendo (problemi di accesso alle triterapie). Ciò vale in particolare nel caso delle malattie infettive, contro le quali occorre rafforzare i controlli e la protezione e organizzare la prevenzione in maniera coordinata.

6.3

Il CESE si rammarica della mancanza di specifiche proposte di azione della Commissione a favore dei lavoratori del settore sanitario, che sono attori chiave del successo della strategia per la salute. La correlazione tra la carenza di manodopera specializzata e l'insufficienza o la mancanza di prestazioni sanitarie è innegabile.

6.4

Il CESE ribadisce l'importanza di un'applicazione etica dei diritti dei pazienti nella relazione tra medici, pazienti e lavoratori del settore sanitario. In un mondo che cambia e che si sviluppa, caratterizzato dallo sviluppo dinamico delle tecnologie in campo sanitario, l'etica e la protezione dei dati personali rivestono un ruolo ancora più importante che in passato. Sono problematiche cui occorre pertanto dedicare speciale attenzione nel quadro dell'insegnamento e della formazione continua.

6.5

Il CESE richiama l'attenzione sulla sempre più grave mancanza di lavoratori del settore sanitario e sull'invecchiamento di quelli attivi. Bisogna pertanto applicare un approccio etico al reclutamento di tale personale, che preveda una politica adeguata in materia di integrazione, qualificazione e retribuzione degli addetti provenienti sia dall'UE che da paesi terzi. Occorre valutare la possibilità di favorire il ritorno nei rispettivi paesi dei lavoratori sanitari qualificati migranti, al fine di contribuire allo sviluppo del sistema sanitario dei loro paesi di origine. Per quanto riguarda le migrazioni intracomunitarie del personale sanitario, gli Stati membri dovrebbero evitare che la libera prestazione di servizi si traduca in un dumping sociale, perché ciò danneggerebbe il personale sanitario, la sua professionalità e in fin dei conti i pazienti.

7.   L'adozione e l'applicazione della strategia

7.1

Il CESE si rammarica della mancanza d'informazioni e di dati sufficienti, obiettivi, comparabili e analizzabili sulla situazione sanitaria dei cittadini europei. Non esiste alcun sistema di monitoraggio che permetta raffronti tra Stati membri o regioni e anche le informazioni sulla salute e sicurezza sul lavoro evidenziano grandi scarti e zone d'ombra (15). Le competenti agenzie dell'UE hanno un ruolo importante da svolgere in tale contesto.

7.2

Il Comitato raccomanda di continuare a impegnarsi a livello locale, regionale, nazionale ed europeo per predisporre statistiche pertinenti e definire indicatori.

7.3

Il successo della strategia di Lisbona rinnovata dipende anche dalla salute e dalla sicurezza dei lavoratori. Dal momento che un adulto trascorre un terzo della propria vita nel luogo di lavoro, le condizioni di quest'ultimo rivestono una particolare importanza per la salute. Condizioni di lavoro pericolose e dannose per la salute sono all'origine di perdite valutabili dal 3 al 5 % del PIL. La prevenzione costituisce il modo migliore per vigilare sulla salute e la sicurezza sul luogo di lavoro e per garantirle in modo permanente. A condizione di sottoscrivere e rispettare gli accordi collettivi, le PMI, che impiegano l'80 % dei lavoratori, dovrebbero beneficiare di un sostegno particolare, dato che si trovano in una posizione di forte svantaggio in termini di possibilità e di mezzi finanziari rispetto alle multinazionali. Il CESE si rammarica inoltre del fatto che nelle misure di protezione sul luogo di lavoro non rientrino anche i lavoratori autonomi.

7.4

Il Comitato è favorevole a un adeguamento dei sistemi sanitari degli Stati membri nel senso di un innalzamento degli standard di servizio. Nel quadro dell'eliminazione delle disparità all'interno degli Stati membri e tra di essi, occorre prendere in esame non soltanto la responsabilità degli stessi Stati membri, ma anche il ruolo svolto dalle regioni: questo tuttavia non deve tradursi in un aggiramento delle competenze a livello nazionale. A questo proposito il Comitato esprime grande preoccupazione per le riforme dei servizi sanitari pubblici attualmente condotte in alcuni Stati membri, che vanno nel senso di ridimensionare i sistemi di assicurazione sociale e di privatizzare in larga misura la sanità pubblica.

7.5

Il CESE accoglie con favore l'obiettivo della Commissione di favorire e rafforzare la prevenzione e in particolare di migliorare la salute degli anziani, dei bambini e dei giovani; la realizzazione di tali obiettivi dipenderà anche dalle proposte di azione in materia di tabagismo, di alimentazione, di alcol, di salute mentale (compreso il morbo di Alzheimer) e di prevenzione del cancro, temi questi che rivestono particolare rilevanza per i gruppi verso i quali è diretta la strategia (16).

7.6

Il Comitato si compiace dei progressi compiuti in campo tecnologico. Tuttavia non ritiene che la salute on line costituisca una soluzione in grado di garantire il livello necessario di parità di opportunità, dato che non sono ancora note le opinioni degli operatori del settore al riguardo. Se da un lato è del tutto giustificato mirare a una riduzione dei costi e a un approccio più incentrato sulla persona, dall'altro non vengono precisati a sufficienza i diritti dei pazienti e i compiti degli Stati membri in materia di sviluppo e di controllo.

7.7

Il CESE è favorevole a una più intensa cooperazione e a nuove iniziative con le organizzazioni internazionali. Dal momento che l'UE svolge un ruolo importante nel campo degli aiuti internazionali, il Comitato è favorevole al rafforzamento della cooperazione con l'OMS.

7.8

L'UE potrà contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell'OMS per il XXI secolo solo a condizione di collaborare efficacemente con gli Stati membri, le agenzie delle Nazioni Unite, l'OMS stessa, l'OIL, varie altre organizzazioni internazionali e l'Organizzazione internazionale per le migrazioni. Bisogna anche rafforzare le relazioni con organizzazioni finanziarie internazionali quali l'FMI e la Banca mondiale, e favorire la nascita, a livello internazionale, di forum di discussione con le parti sociali e le organizzazioni professionali e della società civile, e più in particolare con le associazioni dei pazienti e con le associazioni di difesa dei consumatori.

7.9

Il Comitato chiede che, nel quadro del rafforzamento della presenza dell'UE a livello internazionale, gli sia conferito, nell'ambito delle sue competenze, un ruolo più attivo nei dibattiti internazionali su determinati temi, in particolare quelli riguardanti le conseguenze del cambiamento climatico per la salute umana.

7.10

La strategia in campo sanitario dovrebbe sempre figurare in tutti gli ordini del giorno della politica europea di vicinato e della politica internazionale dell'UE, in modo da poter far fronte insieme alle pandemie, alle nuove minacce per la salute, alle conseguenze delle catastrofi e ai nuovi problemi sanitari derivanti dal cambiamento climatico o da altri fattori.

8.   Risorse e mezzi finanziari

8.1

Il CESE ribadisce l'importanza di tener conto della strategia per la salute in ogni settore della politica europea. Per realizzare questo obiettivo si devono però garantire risorse finanziarie adeguate, dato che, stando al Libro bianco, non si prevedono fondi aggiuntivi provenienti dal bilancio comunitario. Pertanto il Comitato dubita che i controlli comunitari e le proposte di rafforzare i meccanismi di sorveglianza e di reazione alle minacce per la salute avranno successo se non sarà previsto un adeguato finanziamento. Sia ai fini dell'efficacia dei finanziamenti dei progetti sia per il carattere ripetitivo delle politiche comunitarie, sarebbe opportuno predisporre un finanziamento continuo specifico per ciascun compito (17).

Bruxelles, 18 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Conclusioni del Consiglio sui valori e i principi comuni dei sistemi sanitari dell'Unione europea (2006/C 146/01).

(2)  L'Agenzia per i diritti fondamentali con sede a Vienna, l'Agenzia europea per la salute e la sicurezza di Bilbao, il Centro europeo di prevenzione e controllo delle malattie ecc.

(3)  Cfr. il parere del CESE, del 12 marzo 2008, sul tema La riforma del bilancio dell'UE e le future modalità di finanziamento, relatrice: FLORIO (GU C 204 del 9.8.2008).

(4)  Cfr. il parere del CESE, del 6 luglio 2006, sul tema Coesione sociale: dare un contenuto al modello sociale europeo (parere di iniziativa), relatore: EHNMARK (GU C 309 del 16.12.2006).

(5)  Cfr. il parere del CESE sul tema Attuazione della strategia di Lisbona.

(6)  Intervento della direttrice generale dell'OMS Margaret Chan al Comitato regionale per l'Europa dell'OMS, Belgrado, Serbia, 18 settembre 2007:

http://www.who.int/dg/speeches/2007/20070918_belgrade/en/index.html

(7)  Cfr. il parere del CESE, del 26 settembre 2007, sul tema I diritti del paziente (parere d'iniziativa), relatore: BOUIS (GU C 10 del 15.1.2008).

(8)  Cfr. lo studio di impatto: in Italia il numero di anni di vita in buona salute per gli uomini è di 71, contro 53 in Ungheria.

(9)  Cfr. il parere del CESE, del 13 dicembre 2006, in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniUna tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010, relatrice: ATTARD (GU C 318 del 23.12.2006).

(10)  Parere del CESE, del 17 maggio 2006, in merito al Libro verdeMigliorare la salute mentale della popolazioneVerso una strategia sulla salute mentale per l'Unione europea, relatore: BEDOSSA (GU C 195 del 18.8.2006).

(11)  Cfr. il parere del CESE, del 20 aprile 2006, in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l'Anno europeo del dialogo interculturale (2008), relatrice: CSER (GU C 185 dell'8.8.2006).

(12)  Come nel caso della rete di infermiere che in Ungheria accompagna i bambini e le loro famiglie dal concepimento al diciottesimo anno di età.

(13)  Parere del CESE, del 27 ottobre 2004, in merito alla Comunicazione della CommissioneSeguito del processo di riflessione di alto livello sulla mobilità dei pazienti e sugli sviluppi dell'assistenza sanitaria nell'Unione europea, relatore: BEDOSSA (GU C 120 del 20.5.2005).

(14)  Parere del CESE, dell'11 luglio 2007, sul tema La salute nel contesto del fenomeno migratorio (parere esplorativo) relatori: CSER e SHARMA (GU C 256 del 27.10.2007).

(15)  Parere del CESE 994/2008 del 29 maggio 2008 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniMigliorare la qualità e la produttività sul luogo di lavoro: strategia comunitaria 2007-2012 per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro (COM(2007) 62 def.), relatrice: CSER (GU C 224 del 30.8.2008).

(16)  Parere del CESE, del 30 maggio 2007, in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniStrategia comunitaria volta ad affiancare gli Stati membri nei loro sforzi per ridurre i danni derivanti dal consumo di alcol, relatori: VAN TURNHOUT e JANSON (GU C 175 del 27.7.2007) e parere del CESE, del 28 settembre 2005, sul tema L'obesità in Europaruolo e responsabilità degli interlocutori della società civile (parere di iniziativa) relatrice: SHARMA (GU C 24 del 31.1.2006).

(17)  Parere del CESE, del 5 luglio 2006, in merito alla Proposta di decisione del Consiglio relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee (…/…/CE, Euratom), relatrice: CSER (GU C 309 del 16.12.2006).


31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/102


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Estendere le misure antidiscriminazione al di là del settore dell'occupazione: per un'unica direttiva globale contro la discriminazione

(2009/C 77/24)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 gennaio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Estendere le misure antidiscriminazione al di là del settore dell'occupazione: per un'unica direttiva globale contro la discriminazione.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 18 luglio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore CROOK.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 112 voti favorevoli, 3 voti contrari e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il diritto alla parità di trattamento è allo stesso tempo un diritto universale e un principio basilare del diritto comunitario, sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. La Carta dei diritti fondamentali trae origine dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, dagli altri strumenti internazionali sottoscritti da tutti gli Stati membri dell'UE e dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri.

1.2

In virtù dell'articolo 13 del Trattato CE, l'Unione europea si impegna a combattere, in tutti i settori di sua competenza, «le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali». Il Trattato di Lisbona fa della lotta contro la discriminazione un obiettivo specifico dell'UE.

1.3

Le discriminazioni fondate sui motivi di cui all'articolo 13 possono minare gli obiettivi della Comunità europea stabiliti all'articolo 2 del TCE, tra i quali figurano la promozione di «un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, la parità tra uomini e donne […], il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra gli Stati membri».

1.4

Per garantire lo sviluppo di società democratiche e tolleranti che consentano l'espressione della diversità e la piena partecipazione e integrazione di tutti i cittadini nella vita economica e sociale, è importante garantire una protezione efficace contro le discriminazioni anche al di fuori del settore dell'occupazione.

1.5

Dinanzi al perdurare delle disparità di trattamento e delle forme di discriminazione nell'UE è necessario agire, tanto più che quest'ultima danneggia non solo i singoli, ma anche le società europee in generale. L'attuale legislazione UE in materia di discriminazione non è adeguata a questo scopo. Infatti, in materia di occupazione e condizioni di lavoro i cittadini sono protetti contro tutti i motivi di discriminazione di cui all'articolo 13 del TCE, e la legislazione UE tutela dalle discriminazioni fondate sulla razza o l'origine etnica in materia di protezione sociale (compresa la sicurezza sociale e l'assistenza sanitaria), di benefici sociali, di istruzione e accesso a beni e servizi (compresi gli alloggi), oltre che da quelle fondate sul sesso per quel che concerne l'accesso a beni e servizi. Per quanto riguarda le discriminazioni fondate sulla religione, sulle convinzioni personali, sulla disabilità, sull'età e sull'orientamento sessuale, il diritto comunitario non prevede alcuna protezione al di fuori del settore dell'occupazione. La legislazione comunitaria contro la discriminazione non ha strumenti per riconoscere la discriminazione multipla e offrire protezione in questo caso.

1.6

Il quadro attuale della protezione giuridica nell'UE è complesso. Se molti Stati membri dispongono di leggi che vanno al di là dei requisiti comunitari, sia pure con ampie variazioni quanto al contenuto, alla natura e al grado di protezione offerti, altri invece soddisfano a malapena i requisiti minimi. Nonostante i comprovati benefici che l'attività degli enti specializzati per le pari opportunità apporta alla lotta contro la discriminazione e alla promozione della parità di trattamento, la legislazione UE impone l'intervento di tali organismi solo in relazione alle questioni riguardanti l'origine razziale o etnica e la parità dei sessi. Molti Stati membri hanno istituito organismi per le pari opportunità i cui mandati coprono tutti o parte degli altri motivi di discriminazione elencati all'articolo 13 del TCE o parte di essi.

1.7

Il CESE ritiene ingiustificabile che l'UE conservi un sistema di norme, basato su un chiaro impegno del Trattato a combattere la discriminazione fondata su sei specifici aspetti, che continua a mantenere delle disparità di protezione, con un grado inferiore di protezione e con garanzie più limitate di parità di trattamento per taluni motivi di discriminazione. In assenza di un obbligo vincolante a rispettare una norma comune UE, gli Stati membri non sono realmente incentivati ad emanare leggi che prevedano gli stessi diritti per tutti i motivi di discriminazione.

1.8

Il CESE teme che il conseguimento degli obiettivi dell'UE rischi di essere fortemente ostacolato da questo sistema gerarchico di protezione dalla discriminazione. Esso potrebbe impedire la libera circolazione dei lavoratori e delle merci: i lavoratori, infatti, potrebbero essere restii a spostarsi in paesi dove godrebbero di meno diritti, e i fornitori di beni e servizi potrebbero essere danneggiati dall'obbligo di rispettare norme diverse in materia di pari opportunità, a seconda dei paesi. Tale stato di cose è contrario alla coesione sociale e rischia di ridurre la partecipazione alla società civile.

1.9

Il CESE ritiene ormai necessaria una nuova legislazione UE che proibisca le discriminazioni basate sulla religione, sulle convinzioni personali, sulla disabilità, sull'età e sull'orientamento sessuale anche al di fuori del settore dell'occupazione. In linea con i principi di sussidiarietà e di proporzionalità di cui all'articolo 5 del TCE, solo grazie a un'azione a livello comunitario è possibile giungere a un elevato livello di protezione giuridica in tutti gli Stati membri.

1.10

L'intervento comunitario dovrebbe assumere la forma di una direttiva unica tale da coprire tutti e quattro i motivi di discriminazione. Affinché la legislazione UE e quella nazionale siano coerenti e omogenee, la nuova direttiva dovrebbe applicarsi a tutti i settori diversi dall'occupazione e dalle condizioni di lavoro coperti dalla direttiva per la parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica. Il CESE ritiene che una direttiva unica offra importanti vantaggi: essa infatti garantirebbe la massima chiarezza alle imprese e ad altri fornitori di beni e servizi, incoraggiandoli a conformarsi rapidamente alle sue disposizioni, assicurerebbe una protezione estremamente efficace contro la discriminazione multipla e favorirebbe la coesione sociale.

1.11

Il CESE accoglie pertanto con favore la decisione della Commissione, annunciata il 2 luglio 2008, di proporre una nuova direttiva che attui il principio della parità di trattamento indipendentemente dalla religione o dalle convinzioni personali, dagli handicap, dall'età o dalle tendenze sessuali.

1.12

La nuova legislazione deve assolutamente garantire che il diritto alla parità non risulti sminuito o svilito, e che non finisca per ridurre il grado di tutela dalla discriminazione previsto dalla legislazione europea o nazionale in vigore. La nuova direttiva dovrebbe offrire un quadro di riferimento per il rispetto degli obblighi in materia di parità previsti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità; dovrebbe prevedere adeguamenti tali da consentire ai disabili di accedere e partecipare pienamente alla vita della società; dovrebbe rendere possibile l'adozione di misure che consentano azioni positive e trattamenti preferenziali per motivi di età e di disabilità, qualora ciò sia coerente con il principio della parità di trattamento; non deve consentire una giustificazione generale della discriminazione diretta, bensì permettere la discriminazione laddove serva a promuovere la parità di trattamento e il rispetto della dignità umana; dovrebbe richiedere l'istituzione o il rafforzamento degli enti specializzati per le pari opportunità, in modo che possano occuparsi della parità di trattamento anche in relazione agli altri quattro motivi di discriminazione.

2.   La parità: un principio fondamentale del diritto comunitario

2.1

Il diritto alla parità di trattamento è allo stesso tempo un diritto universale e un principio fondamentale del diritto comunitario. Esso trae origine dagli strumenti internazionali sottoscritti da tutti gli Stati membri dell'UE e dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, ed è sancito dagli articoli 21 e 22 della Carta dei diritti fondamentali.

2.2

Il diritto alla non discriminazione tra donne e uomini sul posto di lavoro, sancito oltre 30 anni fa, è stato un elemento centrale nello sviluppo dell'Unione. La parità di trattamento tra i sessi resta essenziale ai fini di un mercato interno equo, della libertà di circolazione e della costruzione di una società europea forte e coesa.

2.3

Gli anni '90 hanno visto crescere la consapevolezza della necessità di misure intese a contrastare la discriminazione fondata su motivi diversi dal sesso e in settori diversi dall'occupazione. L'integrazione dell'articolo 13 del TCE nel Trattato di Amsterdam ha segnato una tappa importante che ha conferito all'UE nuovi poteri e ne ha rafforzato l'impegno a favore della parità di trattamento. In virtù dell'articolo 13, l'Unione europea si impegna a combattere le discriminazioni fondate non solo sul sesso, ma anche sulla razza o l'origine etnica, sulla religione o le convinzioni personali, sulla disabilità, sull'età o sull'orientamento sessuale.

2.4

Riconoscendo la pressante necessità di agire contro la discriminazione basata su questi motivi, nel 2000 il Consiglio ha adottato due direttive: la direttiva che attua il principio della parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica (2000/43/CE) e la direttiva che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (2000/78/CE). Nel 2004, inoltre, il Consiglio ha adottato la direttiva che attua il principio della parità di trattamento tra donne e uomini per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura (2004/113/CE).

2.5

Nel preambolo di tutte e tre le direttive si fa riferimento all'articolo 6 del Trattato sull'Unione europea, il che conferma ogni volta che il diritto alla parità è un principio basilare fondato sui diritti sanciti dagli strumenti internazionali di cui tutti gli Stati membri sono firmatari e dalle tradizioni costituzionali comuni a tutti gli Stati membri.

2.6

Tale interpretazione è stata confermata dalla Corte di giustizia delle Comunità europee con la pronuncia pregiudiziale sulla causa Werner Mangold contro Rüdiger Helm  (1) (interpretazione della direttiva del Consiglio 2000/78/CE in relazione alla discriminazione legata all'età):

«74. […] tale direttiva [2000/78/CE], ai sensi del suo articolo 1, ha il solo obiettivo di stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali, dal momento che il principio stesso del divieto di siffatte forme di discriminazione, come risulta dai considerando 1 e 4 della detta direttiva, trova la sua fonte in vari strumenti internazionali e nelle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri.

75. Il principio di non discriminazione in ragione dell'età deve pertanto essere considerato un principio generale del diritto comunitario. […]»

Non vi è motivo di ritenere che la Corte non confermerebbe l'applicazione di tale principio anche in relazione alle altre forme di discriminazione previste dalla direttiva 2000/78/CE.

2.7

Nella causa S. Coleman contro Attridge Law e Steve Law, per la quale alla Corte di giustizia delle Comunità europee era stata chiesta una pronuncia pregiudiziale circa l'applicazione della direttiva del Consiglio 2000/78/CE, l'Avvocato generale, nelle sue conclusioni, ha affermato quanto segue (2):

«8. L'articolo 13 CE è un'espressione dell'impegno dell'ordinamento giuridico comunitario nell'assicurare il principio di parità di trattamento e di non discriminazione. […] La giurisprudenza della Corte è chiara quanto al ruolo della parità di trattamento e del divieto di discriminazione nell'ambito dell'ordinamento giuridico comunitario. L'uguaglianza non è soltanto un ideale politico e un'aspirazione, ma uno dei principi fondamentali del diritto comunitario. […]»

2.8

Sia la direttiva per la parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica (3) che la direttiva quadro in materia di occupazione (4) ribadiscono il punto di vista del Consiglio, secondo cui le discriminazioni sulla base dei motivi elencati all'articolo 13 del TCE possono minare il conseguimento degli obiettivi della Comunità europea stabiliti dall'articolo 2 dello stesso TCE, tra cui la promozione di un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, la parità tra uomini e donne, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra gli Stati membri.

2.9

Il Trattato di Lisbona attribuisce nuova importanza alla lotta contro la discriminazione sulla base dei motivi elencati all'articolo 13 (5), facendone un obiettivo specifico dell'UE nel quadro della definizione e dell'attuazione delle proprie politiche e attività (6).

3.   L'importanza di una protezione efficace contro la discriminazione al di fuori del settore dell'occupazione

3.1

La direttiva quadro in materia di occupazione stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro contro le forme di discriminazione basate sulla religione o su convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale. La direttiva per la parità di trattamento garantisce a tutte le persone, indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica, la parità di trattamento in materia non solo di occupazione e di condizioni di lavoro, ma anche di protezione sociale (compresa la sicurezza sociale e l'assistenza sanitaria), benefici sociali, istruzione e accesso a beni e servizi disponibili al pubblico (compresi gli alloggi).

3.2

La direttiva sulla parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi viene a integrare la protezione dalla discriminazione fondata sul sesso in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, sancita dalle direttive adottate sulla base dell'articolo 141 del TCE (7), e attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne nell'accesso a beni e servizi e la loro fornitura.

3.3

Sia nella direttiva per la parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica (8) sia in quella sulla parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi (9), il Consiglio ha riconosciuto che per garantire la piena partecipazione di tutti alla vita economica e sociale, la protezione contro la discriminazione andrebbe estesa al di là del settore dell'occupazione.

3.4

Il CESE ha riconosciuto (10) l'importanza della e-accessibilità nel combattere la discriminazione e consentire la piena partecipazione di tutti i gruppi alla società, e ha raccomandato che la legislazione fondata sull'articolo 13 raggiunga uno standard comune elevato in materia di misure a favore della e-accessibilità.

3.5

Secondo il Comitato, per conseguire gli obiettivi di Lisbona è essenziale eliminare le discriminazioni anche al di fuori del settore dell'occupazione. In caso contrario, le discriminazioni in settori quali la protezione sociale, l'assistenza sanitaria, l'istruzione, gli alloggi o l'accesso a servizi pubblici e privati d'interesse generale ostacoleranno il progresso verso una crescita sostenibile e verso la creazione di posti di lavoro più numerosi e di migliore qualità.

4.   Parità e non discriminazione: la situazione attuale nell'Unione europea

4.1

Il 2007, Anno europeo delle pari opportunità per tutti, ha offerto alle istituzioni europee, ai governi nazionali e alla società civile un'occasione preziosa per riflettere sul valore della parità e dell'eliminazione della discriminazione ai fini di una società più inclusiva sul piano sociale. Come osserva il Consiglio, l'iniziativa ha messo chiaramente in evidenza che «continuano ad essere presenti nell'UE disuguaglianze e discriminazioni basate sul sesso, sulla razza o l'origine etnica, sull'età, sulla disabilità, sulla religione o le convinzioni personali, o sull'orientamento sessuale, con grave danno per gli uomini e le donne che ne sono oggetto e per l'intera società europea» (11).

4.2

L'Anno europeo ha anche messo in evidenza le divergenze esistenti nell'attuale legislazione UE riguardo alla protezione dalla discriminazione, descritte ai punti 3.1 e 3.2 del presente documento. Il CESE teme che i comportamenti che negano la parità di trattamento, compresi i modelli istituzionali discriminanti, per uno qualsiasi dei motivi elencati all'articolo 13 del TCE in settori quali l'assistenza sanitaria, l'istruzione, l'accesso a beni e servizi e gli alloggi, possano contribuire a perpetuare la disuguaglianza nell'accesso all'occupazione e incidere profondamente sulla qualità della vita delle persone e sulla loro capacità di partecipare pienamente alla vita della società.

5.   Discriminazione multipla

5.1

Il Consiglio ha osservato che «l'anno europeo ha evidenziato le accresciute difficoltà derivanti dalla discriminazione multipla» (12).

5.2

Il concetto di «discriminazione multipla» riconosce la complessità dell'identità di ogni individuo. Si tratta infatti di una forma di discriminazione o di molestia fondata su uno o più degli aspetti che costituiscono tale identità.

5.3

Nel dicembre 2007, l'Istituto danese per i diritti umani ha pubblicato uno studio dal titolo Tackling Multiple Discrimination — Practices, policies and laws («La lotta alla discriminazione multipla: prassi, politiche e leggi») (13). Da un'analisi accademica e giuridica e dalla consultazione degli attori interessati, gli autori concludono che per sconfiggere la discriminazione e la disuguaglianza servono anzitutto soluzioni praticabili contro la discriminazione multipla (14).

5.4

La legislazione UE in materia di discriminazione e le leggi nazionali di recepimento dovrebbero essere in grado di offrire protezione e diritto di ricorso contro tutte le forme di discriminazione multipla. Affinché ciò sia possibile, è indispensabile che il livello di protezione sia uguale per tutti i possibili motivi di discriminazione. Al momento, però, nella legislazione comunitaria, ciò è vero solo per il settore dell'occupazione.

6.   La protezione giuridica contro le discriminazioni nei diversi Stati membri dell'UE

6.1

Benché non tutti gli Stati membri abbiano ad oggi adeguatamente recepito la direttiva per la parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica e la direttiva quadro in materia di occupazione (15), molti di essi dispongono di leggi che vietano la discriminazione più severe rispetto alle direttive fondate sull'articolo 13 del TCE.

6.2

Uno studio analitico (16) pubblicato nel dicembre 2006 ha esaminato le legislazioni nazionali che, nei settori diversi da quello dell'occupazione e delle condizioni di lavoro, proibiscono la discriminazione fondata sul sesso, sull'orientamento sessuale, sulla disabilità, sulla religione o sulle convinzioni personali e sull'età. Secondo gli autori, forse ciò che più sorprende nei paesi europei studiati è (1) il fatto che la maggior parte di essi è intervenuta imponendo requisiti che vanno ben oltre i requisiti CE e assicura una protezione giuridica di qualche tipo contro gran parte delle forme di discriminazione oggetto dello studio, e (2) l'eterogeneità del livello e della natura di tale protezione nei diversi paesi (17).

6.3

Lo studio rileva forti disparità in relazione tanto ai motivi quanto agli ambiti di attività che formano oggetto di protezione, ma anche per quanto riguarda la forma giuridica di volta in volta utilizzata: costituzioni nazionali, leggi contro la discriminazione in generale, leggi nazionali o regionali, o ancora leggi specifiche in settori particolari, ad esempio gli alloggi o l'istruzione. Per ciascuno dei motivi di discriminazione e dei settori che formano oggetto di protezione, nei vari Stati membri si sono osservate divergenze tra la natura, la forma e la portata delle eccezioni e dei diritti alla non discriminazione (18). Il raffronto tra Stati membri operato da Bell, Chopin e Palmer (19) conferma le variazioni e le difformità constatate.

6.4

Come riconosciuto dal Consiglio nella sua risoluzione sul follow-up dell'Anno europeo delle pari opportunità per tutti, gli enti specializzati per le pari opportunità sono, o potrebbero essere, i principali protagonisti della lotta contro la discriminazione e della promozione delle pari opportunità in tutti gli Stati membri, grazie, in particolare, al loro ruolo cruciale di sensibilizzazione. La direttiva per la parità di trattamento indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica, la direttiva sulla parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi, e la direttiva sulla parità di genere (rifusione) (20) impongono agli Stati membri di istituire enti specializzati per far valere i diritti alle pari opportunità sulla base della razza e del sesso. Nessuna norma stabilisce però che si debbano creare enti specializzati per promuovere la parità di trattamento sul piano della religione o delle convinzioni personali, della disabilità, dell'orientamento sessuale o dell'età. Le competenze degli enti specializzati creati negli Stati membri sono quanto mai eterogenee: se alcuni si limitano alla razza e all'origine etnica, altri si occupano di tutti i motivi di discriminazione di cui all'articolo 13 TCE, e altri ancora (21). A livello europeo esiste la rete Equinet (22), composta di enti indipendenti o statali responsabili dell'applicazione, all'interno degli Stati membri, della legislazione antidiscriminatoria.

6.5

Dopo aver riesaminato la tutela giuridica dalla discriminazione fondata sull'orientamento sessuale in tutta l'UE (23), l'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali ha raccomandato che la legislazione UE assicuri a tutti il diritto alla parità di trattamento per tutti i motivi di discriminazione di cui all'articolo 13 TCE.

6.6

Secondo il CESE non vi è nessuna giustificazione per l'esistenza di un sistema legislativo UE contro la discriminazione, basato sull'impegno sancito nel Trattato a combattere la discriminazione basata sul sesso, sulla razza o sull'origine etnica, sulla religione o sulle convinzioni personali, sugli handicap, sull'età o sulle tendenze sessuali, che consente e mantiene un grado di protezione inferiore e garanzie di parità di trattamento più limitate per taluni di questi motivi di discriminazione.

6.7

In assenza di una legislazione uniforme a livello UE, che copra tutti i motivi di discriminazione, gli Stati membri non sono realmente motivati ad emanare leggi uniformi. La Commissione e il Consiglio non dispongono di basi giuridiche che ne giustifichino l'intervento nei casi in cui la protezione dalla discriminazione si dimostri inadeguata o diseguale, come attualmente avviene.

6.8

Il CESE ammette che emanare leggi contro la discriminazione non è di per sé sufficiente a sradicare tale piaga da un paese. Ritiene però che ciò consentirebbe quanto meno di dimostrare che lo Stato riconosce il pregiudizio arrecato dalla discriminazione ai cittadini e alla società, nonché il proprio impegno a valersi degli strumenti giuridici di cui dispone per porre fine a questa situazione. Viceversa, l'assenza di leggi antidiscriminazione trasmette un messaggio molto diverso, dando l'impressione (erronea) che la discriminazione non esista o non costituisca un problema abbastanza grave da richiedere misure preventive formali, oppure, per dirla in termini politici, dando l'impressione che le obiezioni dei potenziali autori di discriminazione a qualsiasi forma di regolamentazione prevalgano sulla volontà di migliorare la qualità di vita di tutti i cittadini e di creare una più forte coesione sociale.

6.8.1

Vi sono buoni motivi per ritenere che le misure non legislative informali intese a promuovere le buone pratiche non siano riuscite a sradicare comportamenti discriminatori fortemente consolidati.

6.8.2

Comunque sia, la legislazione contro la discriminazione non sarà sufficiente di per sé a conseguire gli obiettivi, se non sarà accompagnata da un programma globale di sensibilizzazione e di educazione, nonché da un'attuazione efficace.

7.   La gerarchizzazione dei diritti alla parità: un ostacolo al conseguimento degli obiettivi comunitari

7.1

Il CESE ritiene che mantenere l'attuale e incoerente sistema gerarchico delle misure comunitarie antidiscriminazione significhi ostacolare il conseguimento degli obiettivi comunitari, in quanto:

si frappone alla libera circolazione dei lavoratori, che in certi Stati membri godono di un numero minore di diritti antidiscriminazione applicabili: ad esempio, il 69,2 % dei partecipanti alla consultazione online lanciata dalla Commissione, dal titolo Discriminazione — È importante?, ha affermato che il livello di protezione giuridica dalle discriminazioni fondate su età, disabilità, religione e orientamento sessuale nei settori al di fuori del lavoro influenzerebbe la sua decisione di trasferirsi in un altro Stato membro (24),

potrebbe ostacolare la libera circolazione delle merci, in quanto nei vari Stati membri i fornitori devono rispettare norme diverse in materia di parità nell'accesso ai beni e ai servizi. Ad esempio, il 26,3 % delle imprese che hanno preso parte alla consultazione del Gruppo pilota di imprese europee sulla discriminazione (25) ha affermato che il livello di tutela legale offerto da un altro Stato membro contro la discriminazione per motivi di età, disabilità, religione e orientamento sessuale, in termini di accesso a beni e servizi, nonché alloggi, è tale da influenzare la capacità delle imprese di esercitare un'attività economica in tale paese,

incide sulla qualità della vita, dato che in assenza di una proibizione vincolante è più probabile che la discriminazione e le molestie sfuggano al controllo, e che restino in piedi le barriere al godimento pieno e paritario dei diritti economici e sociali,

è contrario alla coesione sociale, poiché è incapace di garantire un riconoscimento pieno e paritario a tutte le categorie della società,

riduce il livello di partecipazione alla società civile da parte di gruppi e comunità importanti.

7.2

Date le già espresse preoccupazioni riguardo al persistere della discriminazione, il Consiglio, nella risoluzione sul follow-up dell'Anno europeo delle pari opportunità per tutti:

osserva che «la discriminazione può condurre alla povertà e all'esclusione sociale, impedendo la partecipazione e l'accesso alle risorse»,

rileva che «il Parlamento europeo e la società civile hanno propugnato l'estensione della tutela giuridica contro la discriminazione a settori al di là dell'impiego e dell'occupazione»,

invita gli Stati membri e la Commissione europea a «intensificare gli sforzi volti a prevenire e a combattere le discriminazioni […] nell'ambito del mercato del lavoro o al di fuori di esso» e a «garantire e rafforzare l'efficacia degli enti specializzati per le pari opportunità».

8.   Necessità di una nuova direttiva

8.1

Per rispondere alle apprensioni del Consiglio e garantire uno standard di protezione minimo e uniforme in tutta l'UE, occorre una nuova legislazione che attui il principio della parità di trattamento a prescindere da fattori come la disabilità, la religione o le convinzioni personali, l'orientamento sessuale e l'età al di fuori del settore dell'occupazione.

8.2

Data la natura e la portata delle questioni legate agli attuali livelli di discriminazione, il loro impatto sul conseguimento degli obiettivi dell'UE e la necessità di un livello elevato di protezione comune a tutti gli Stati membri, l'azione degli Stati membri non è sufficiente. Si impone pertanto un'azione a livello comunitario, conformemente ai principi di sussidiarietà e di proporzionalità di cui all'articolo 5 del TCE.

8.3

Il CESE raccomanda che la nuova legislazione assuma la forma di una direttiva unica che proibisca la discriminazione fondata sulla disabilità, sulla religione o sulle convinzioni personali, sull'orientamento sessuale e sull'età in tutti i settori diversi da quello dell'occupazione coperti dalla direttiva sulla parità di trattamento indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica, e che preveda la creazione o il potenziamento degli enti specializzati per le pari opportunità, in modo che siano pienamente abilitati a lavorare su tutti gli aspetti disciplinati dalla direttiva stessa. È questa una delle principali raccomandazioni formulate dall'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali (26).

8.3.1

Pur riconoscendo che la tutela garantita dalle esistenti direttive contro la discriminazione potrebbe essere migliorata, anche attraverso il riconoscimento più chiaro della discriminazione istituzionale, l'attuale priorità del CESE consiste nel garantire un livello di tutela dalla discriminazione per i motivi di cui sopra pari a quello esistente per la discriminazione fondata sulla razza o l'origine etnica.

8.4

Il CESE riconosce che la reazione iniziale di molte organizzazioni, soprattutto le piccole imprese, di fronte a qualsiasi nuova proposta legislativa, sarà quella di esprimere seria preoccupazione per i costi legati all'adeguamento alle nuove norme. Per le imprese, la stratificazione delle norme rende la conformità «estremamente difficoltosa» (27). Il CESE non è convinto che l'adozione di una direttiva unica volta a creare un quadro comune europeo per la protezione dalla discriminazione al di là del campo dell'occupazione comporterebbe nuovi e considerevoli costi. In molti casi, infatti, i costi di adeguamento alle nuove norme sarebbero ampiamente compensati dall'aumento della clientela conseguente all'avvenuto sradicamento della discriminazione. Dai risultati della consultazione del Gruppo pilota di imprese europee risulta che l'89,9 % delle imprese ritiene che la Commissione europea debba proporre leggi in questo settore per garantire lo stesso livello di tutela contro la discriminazione in tutta l'Europa (28).

8.5

Pur essendo consapevole degli argomenti a favore dell'adozione di direttive singole per ognuno dei fattori di discriminazione, il CESE riterrebbe nettamente preferibile un'unica direttiva che li comprendesse tutti e quattro. Una tale direttiva unica, infatti:

offrirebbe la massima chiarezza e trasparenza ai singoli individui e ai fornitori di beni e servizi. Siamo consapevoli che raramente il settore privato è favorevole a nuove forme di regolamentazione; pertanto, stabilire standard comunitari distinti per ciascun fattore di discriminazione, in momenti diversi e senza alcuna certezza di uniformità, renderà molto più difficile conformarvisi, soprattutto per le piccole imprese con risorse limitate,

consentirebbe di reagire efficacemente e di porre rimedio alla discriminazione multipla. Una protezione uniforme e equivalente per tutti i motivi di discriminazione permetterebbe infatti alle vittime di discriminazioni o di molestie fondate su uno o più aspetti della loro identità di chiedere un giusto e adeguato risarcimento,

renderebbe la legislazione comprensibile e accessibile. Nella risoluzione sul follow-up dell'Anno europeo delle pari opportunità per tutti, il Consiglio accenna al fatto che il pubblico conosce poco la legislazione in materia di discriminazione (29). Accrescere la consapevolezza di tale aspetto è di gran lunga più difficile quando i diritti alla parità di trattamento subiscono complesse variazioni, nella legislazione comunitaria o nazionale, in funzione dei motivi di discriminazione e dei settori,

eviterebbe qualsiasi forma di gerarchizzazione nel quadro del sistema europeo dei diritti alla parità di trattamento. La coesione sociale si basa sull'impegno condiviso e sul senso di appartenenza dei membri della società: essa sarà dunque molto più difficile da realizzare se il contenuto della legislazione trasmetterà ai diversi gruppi il messaggio che i diritti alla parità di trattamento di alcuni sono più importanti di quelli di altri.

8.6

Al di là del settore dell'occupazione, la direttiva sulla parità di trattamento indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica ha stabilito i principali settori di competenza comunitaria per i quali sarebbe utile e necessario prevenire la discriminazione fondata sulla disabilità, la religione o le convinzioni personali, l'orientamento sessuale e l'età. Il CESE raccomanda vivamente di includere a pieno titolo questi stessi settori nel campo di applicazione della nuova direttiva.

8.7

Il CESE ammette che, conformemente al principio di sussidiarietà, in alcuni settori di attività (ad esempio, gli alloggi, l'istruzione e certi altri servizi pubblici), l'organizzazione e la prestazione dei servizi, nonché altri aspetti normativi, sono in primo luogo di competenza degli Stati membri, al livello nazionale o regionale. Il CESE ritiene che, in linea con l'articolo 5 del TCE, solo una legislazione di livello comunitario consentirà di garantire norme comuni generali di alto livello in materia di parità di trattamento in tutti questi settori.

8.8

Il CESE accoglie pertanto con favore la decisione della Commissione, annunciata il 2 luglio 2008, di proporre una nuova direttiva che attui il principio della parità di trattamento indipendentemente dalla religione o dalle convinzioni personali, dagli handicap, dall'età o dalle tendenze sessuali. Visto che la Commissione ha ricevuto le versioni precedenti del presente parere, il CESE si augura che tale decisione sia stata agevolata dalle argomentazioni e dalle conclusioni preliminari del proprio gruppo di studio, che raccomandava una direttiva nella forma adesso proposta dalla Commissione. Si augura inoltre che il presente parere, nella sua versione definitiva, possa incoraggiare gli Stati membri a riconoscere il valore e l'importanza della legislazione UE contro la discriminazione, aiutandoli a contribuire al suo positivo sviluppo e alla sua approvazione.

8.9

Il CESE appoggia la decisione della Commissione di proporre una direttiva che sia quanto più possibile coerente con le altre direttive fondate sull'articolo 13 del TCE, che adotti le stesse definizioni dei concetti di discriminazione diretta e indiretta, di molestie e di azione positiva, che si applichi a tutte le persone presenti in un determinato Stato membro, inclusi i cittadini di paesi terzi, e che imponga agli Stati membri obblighi identici di garantire il diritto al risarcimento, sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive, la protezione dalla vittimizzazione e il trasferimento dell'onere della prova. Altrettanto importante è l'obbligo di sensibilizzare i cittadini e di incoraggiare il dialogo con le parti sociali e le ONG.

8.10

Il CESE raccomanda al Consiglio e alle altre istituzioni UE di analizzare la direttiva proposta tenendo conto dei seguenti aspetti, affinché essa, nella sua forma finale, consegua gli obiettivi descritti.

8.10.1

Non regressione: la nuova direttiva non deve essere usata per ridurre il grado di protezione dalla discriminazione insito in qualsiasi legislazione UE, e agli Stati membri dovrebbe essere proibito addurre l'attuazione della nuova direttiva a motivo per ridurre il livello di protezione esistente in ciascuno di essi.

8.10.2

Diritti alla parità e adeguamenti ragionevoli a favore dei disabili: al di fuori del settore dell'occupazione, la piena partecipazione dei disabili è ostacolata da barriere almeno altrettanto forti. La nuova direttiva dovrebbe costituire un quadro di riferimento per gli Stati membri che consenta loro di far fronte agli obblighi di parità di trattamento e di non discriminazione previsti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.

8.10.2.1

La nuova direttiva dovrebbe imporre a tutti coloro che hanno il compito di fornire protezione sociale, compresa la sicurezza sociale e l'assistenza sanitaria, benefici sociali, istruzione o beni e servizi, incluso l'alloggio, di:

a)

prevenire le esigenze di accessibilità delle persone con disabilità, compreso l'accesso all'ambiente fisico, ai trasporti e alle informazioni; e

b)

procedere preventivamente ad adeguamenti ragionevoli, eliminando le barriere che impediscono ai disabili la massima partecipazione e uso.

8.10.2.2

La nuova direttiva dovrebbe definire come forme di discriminazione la mancata garanzia di un livello di accessibilità ragionevole o la mancata introduzione di adeguamenti ragionevoli per uno specifico individuo disabile, a meno che tali misure non impongano al fornitore del servizio un onere sproporzionato.

8.10.3

Discriminazione multipla: la direttiva dovrebbe confermare che il principio della parità di trattamento include la protezione dalla discriminazione multipla, in modo da rendere tale protezione effettiva sia nella legislazione UE che in quella nazionale.

8.10.4

Azione positiva: le disuguaglianze sono assai radicate anche in settori diversi da quello dell'occupazione e delle condizioni di lavoro (ad esempio, l'istruzione, la sanità, gli alloggi e l'accesso a servizi quali alberghi, ristoranti, servizi finanziari e viaggi). Quindi, per garantire nella pratica la parità assoluta, la nuova direttiva dovrebbe esplicitamente consentire agli Stati membri di mantenere o adottare misure intese a prevenire o a compensare gli svantaggi legati alla discriminazione fondate sulla religione o sulle convinzioni personali, sulla disabilità, sull'età o sull'orientamento sessuale.

8.10.5

Trattamento preferenziale sulla base della disabilità o dell'età: la nuova direttiva dovrebbe riconoscere le pratiche esistenti negli Stati membri volte a concedere un trattamento preferenziale sulla base dell'età o della disabilità. Molti di questi benefici contribuiscono a migliorare l'inclusione sociale degli anziani, dei giovani e dei disabili. La nuova direttiva non dovrebbe dissuadere le organizzazioni pubbliche o private dall'offrire tali benefici, quando sono intesi a superare o attenuare gli ostacoli fisici, finanziari o psicologici a una partecipazione paritaria. Essa dovrebbe consentire agli Stati membri di mantenere queste misure, a condizione che rispondano a un obiettivo legittimo e compatibile con il principio di parità di trattamento, e che gli strumenti per conseguire questo obiettivo siano congrui.

8.10.6

Le eventuali eccezioni dovranno essere definite con grande precisione. Il CESE concede che, in determinate circostanze, un trattamento differenziato — sulla base di uno dei motivi di discriminazione che formano oggetto di protezione — possa essere opportuno e necessario, ma respinge l'inserimento di una giustificazione generale alla discriminazione diretta. Le eccezioni al divieto di discriminazione non dovrebbero essere tali da svuotare la direttiva del suo effetto di protezione. D'altra parte, la direttiva non dovrebbe essere inutilmente appesantita da un lungo elenco di eccezioni specifiche applicabili in particolari circostanze. Nel quadro della nuova legislazione, il trattamento differenziato dovrebbe essere consentito soltanto là dove si rivelasse utile a promuovere e migliorare la parità di trattamento e la dignità umana, senza compromettere l'effetto delle disposizioni antidiscriminazione.

8.10.7

Applicazione dei diritti: la nuova direttiva, nel riconoscere l'importanza e il valore della società civile organizzata, dovrebbe prevedere la facoltà di avviare procedimenti legali o amministrativi, a nome o a sostegno di persone oggetto di discriminazione, per le associazioni o le organizzazioni che hanno un interesse legittimo nel garantire il rispetto delle norme.

8.10.8

Enti specializzati: sembra evidente che la conoscenza e l'attuazione delle leggi nazionali e la promozione della parità di trattamento trarrebbero grande beneficio dalla presenza di un ente specializzato indipendente dotato delle risorse e delle competenze necessarie a svolgere le funzioni di cui alla direttiva sulla parità di trattamento indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica (30), e alla direttiva sulla parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi (31). La nuova direttiva dovrebbe richiedere la creazione di un ente o di enti (o l'estensione delle competenze di un ente già esistente) per la lotta contro la discriminazione fondata sulla religione o sulle convinzioni personali, sulla disabilità, sull'età o sull'orientamento sessuale. Tali enti dovrebbero inoltre essere incaricati di valutare regolarmente i risultati delle politiche di lotta contro le diverse forme di discriminazione.

Bruxelles, 18 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  [2005] CGCE C-144/04 del 22 novembre 2005.

(2)  [2008] CGCE C-303/06 del 31 gennaio 2008.

(3)  Considerando 9.

(4)  Considerando 11.

(5)  Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (versione consolidata modificata dal Trattato di Lisbona), articolo 19.

(6)  Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (versione consolidata modificata dal Trattato di Lisbona), articolo 10.

(7)  Ad esempio, le direttive 76/207/CEE e 2002/73/CE

(8)  Considerando 12.

(9)  Considerando 9.

(10)  Parere del CESE del 30 maggio 2007 sul tema La futura legislazione in materia di e-accessibilità, relatore: HERNÁNDEZ BATALLER (GU C 175 del 27.7.2007)

(11)  Risoluzione del Consiglio del 5 dicembre 2007 sul follow-up dell'Anno europeo delle pari opportunità per tutti (2007), pag. 1.

(12)  Id. pag. 3.

(13)  Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, 2007, ISBN 978-92-79-06953-6.

(14)  Id. pag. 7.

(15)  Cfr. M. Bell, I. Chopin e F. Palmer, Developing Anti-Discrimination Law in Europe — The 25 EU Member States Compared (Lo sviluppo delle normative antidiscriminazione in Europa: un raffronto tra i 25 Stati membri), luglio 2007, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, 2007, ISBN 978-92-79-06572-9.

(16)  Cfr. A. McColgan, J. Niessen e F. Palmer, Comparative Analyses on National Measures to Combat Discrimination Outside Employment and Occupation («Analisi comparative sulle misure nazionali intese a combattere la discriminazione al di là dell'occupazione e delle condizioni di lavoro»), VT/2005/062, Migration Policy Group and Human European Consultancy, dicembre 2006.

(17)  Id. pag. 3.

(18)  Op. cit., cfr. le tabelle comparative alle pagg. 36-45, e M. Bell, I. Chopin e F. Palmer (nota 13).

(19)  Op. cit., cfr. le tabelle comparative alle pagg. 383-113.

(20)  Direttiva 2006/54/CE.

(21)  Cfr. M. Bell, I. Chopin e F. Palmer, Developing Anti-Discrimination Law in Europe — The 25 EU Member States Compared (Lo sviluppo delle normative antidiscriminazione in Europa: un raffronto tra i 25 Stati membri), luglio 2007, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, 2007 — ISBN 978-92-79-06572-9, pagg. 108-113.

(22)  Cfr. www.equineteurope.org.

(23)  Olivier de Schutter, Homophobia and Discrimination Grounds of Sexual Orientation in the EU Member States: Part I — Legal Analysis (Omofobia e discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale negli Stati membri dell'UE — Parte I: Analisi giuridica), 2008, Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali.

(24)  Consultazione on-line, luglio-ottobre 2007.

(25)  12.7.2007-31.8.2007, domanda 4a.

(26)  Olivier de Schutter, Homophobia and Discrimination Grounds of Sexual Orientation in the EU Member States: Part I — Legal Analysis (Omofobia e discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale negli Stati membri dell'UE — Parte I: Analisi giuridica), 2008, Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali.

(27)  Confederazione delle imprese europee: risposta alla consultazione online lanciata dalla Commissione dal titolo Discriminazione — È importante?, 12 ottobre 2007.

(28)  12.7.2007-31.8.2007, domanda 4b.

(29)  Consultazione on-line — ottobre 2007, pag. 1.

(30)  Articolo 13.

(31)  Articolo 12.


31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/109


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il multilinguismo

(2009/C 77/25)

Con lettera del 4 febbraio 2008 la vicepresidente della Commissione europea Margot WALLSTRÖM, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato CE, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere esplorativo sul tema:

Il multilinguismo.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 18 luglio 2008, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice LE NOUAIL MARLIÈRE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 144 voti favorevoli, 8 voti contrari e 13 astensioni.

Sintesi del parere e delle conclusioni

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE), considerato che questo argomento assume un carattere sempre più politico ed economico, si duole di constatare che la Commissione, lungi dal proporre un programma concreto che faccia seguito al suo «nuovo quadro strategico per il multilinguismo» del 2005, ha voluto presentare una nuova strategia per la fine del proprio mandato.

Il Comitato raccomanda alla Commissione e agli Stati membri di accelerare il dibattito sugli obiettivi perseguiti prima di precisare le decisioni relative alle azioni che andrebbero intraprese nel quadro di un coordinamento nel settore della cultura e dell'insegnamento.

Per quanto riguarda in particolare la scelta della prima lingua straniera da insegnare e imparare, il Comitato incoraggia gli Stati membri e la Commissione a sottolineare l'importanza di scegliere lingue diverse dall'angloamericano, e a promuovere l'apprendimento e la pratica delle lingue europee a livello degli scambi extracomunitari.

Considerato lo stretto legame intercorrente tra le necessità linguistiche dei cittadini europei, la strategia europea per l'occupazione e gli obiettivi di convergenza previsti nella programmazione dei fondi strutturali europei, in particolare del Fondo di coesione, il Comitato esorta a utilizzare tali fondi per promuovere la conoscenza di due lingue straniere oltre alla lingua materna, e anzi a farne una priorità per l'impiego dei fondi. Aggiunge inoltre che questo obiettivo dovrebbe prevedere due aspetti qualitativi: mantenere la vitalità delle lingue europee e diversificare la conoscenza di lingue non comunitarie utili agli europei per gli scambi culturali, sociali, politici ed economici, promuovendo la conoscenza delle culture e la pace e l'amicizia tra i popoli.

Considerando che la situazione non sembra evolvere in modo favorevole per le persone che hanno meno possibilità di accedere a un impiego dignitoso (ossia dichiarato e beneficiante di protezione sociale) e per quelle che vivono più lontano dai centri urbani o turistici, chiede che la Commissione e gli Stati membri, nel quadro delle misure che intendono attuare, badino a non creare discriminazioni o differenze di trattamento e facciano in modo che tali misure non creino nuove esclusioni e nuove frustrazioni. A tal fine raccomanda loro in particolare di consultare le parti sociali e le organizzazioni della società civile che operano nei settori in questione.

Dato che la Commissione si adopera in vista di una consultazione interservizi, le misure proposte dovrebbero tener conto del contesto del miglioramento della regolamentazione, in modo da non risultare pregiudizievoli alla competitività delle PMI.

La Commissione e gli Stati membri dovrebbero aver cura di valutare con precisione, nel quadro del sistema europeo delle qualifiche, le forme di apprendimento informale e formale, in modo da misurarne l'impatto e consentire i trasferimenti e il riconoscimento delle qualifiche dei cittadini e dei lavoratori dipendenti a prescindere dal loro statuto.

Anche nel quadro della concertazione sociale, il Comitato esorta gli Stati membri e la Commissione a incoraggiare le professioni legate alle lingue come l'insegnamento, la traduzione e l'interpretazione, perché possa essere garantito l'impiego delle lingue ufficiali nella comunicazione istituzionale; ricorda che il fabbisogno in questo campo non è sufficientemente coperto, così come non lo è nel settore privato.

1.   Introduzione

Il 6 settembre 2006, poco prima della creazione di un nuovo portafoglio relativo al multilinguismo e al dialogo culturale, e della nomina del commissario Leonard ORBAN, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ha adottato un parere in cui si è pronunciato su un nuovo quadro strategico per il multilinguismo (1).

Qualche tempo dopo, il 25 ottobre 2007, il commissario ORBAN, intervenendo di persona dinanzi all'Assemblea plenaria del CESE su invito del Presidente DIMITRIADIS, ha manifestato il proprio interesse per i lavori del Comitato.

Desiderando presentare una nuova strategia sul multilinguismo, il commissario ha chiesto al Comitato un parere esplorativo in materia.

Il Comitato intende così in questa sede:

valutare il seguito riservato alla precedente strategia della Commissione e alle raccomandazioni che all'epoca esso aveva formulato al riguardo,

riassumere le azioni intraprese dalla Commissione,

dar seguito alla richiesta di parere rivoltagli nel quadro più generale di una vasta consultazione pubblica organizzata dalla Commissione e dell'audizione del 15 aprile 2008, pronunciandosi in tempo utile affinché la Commissione possa tener conto delle sue raccomandazioni nella comunicazione che intende presentare nel settembre 2008.

2.   Osservazioni generali

2.1

Il Comitato constata che questo argomento cresce di importanza ogni giorno che passa non perché si tratti di un tema alla moda, ma perché si colloca in un contesto quanto mai concreto di globalizzazione che vede la partecipazione di attori sempre più diversi e numerosi. Situazioni nuove necessitano di soluzioni e risposte nuove. Il mondo sta cambiando nei settori economici e tecnici, ma anche in quelli sociali, politici, culturali e civili. Alcuni fenomeni, pur esistendo da sempre o da molto tempo, assumono oggi particolare intensità e diventano visibili, se non addirittura fondamentali.

2.2

Nei settori più svariati — al lavoro come nei rapporti commerciali, turistici o relativi al tempo libero — la dimensione culturale sta seguendo un'evoluzione che il Comitato deve aver cura di comprendere in tutte le sue sfaccettature per potersi fare portavoce delle apprensioni dei cittadini europei e rivolgere alle istituzioni proposte pratiche e intelligenti, in particolare partecipando alle consultazioni e promuovendo dibattiti.

La diversità e la ricchezza dei punti di vista dimostrano l'interesse dei cittadini europei per questo argomento che reca l'impronta della loro comune umanità.

2.3

Nel suo precedente parere il CESE raccomandava che:

«la Commissione illumini […] gli Stati membri, indicando loro con esattezza le azioni complementari da attuare nel quadro dei piani nazionali e dichiarando esplicitamente che il multilinguismo o il plurilinguismo costituiscono un contributo all'integrazione politica e culturale dell'UE, oltre a rappresentare uno strumento di comprensione e integrazione sociale,

l'ampiezza dell'offerta in materia di insegnamento sia concertata a livello europeo per poter arrivare, sul lungo periodo, ad una situazione in cui la riserva di competenze dei cittadini non si riduce a un numero limitato di lingue,

si promuovano e si incoraggino tutte le pratiche multilingui nell'ambito professionale, culturale, politico, scientifico sociale,

gli esperti coinvolti non siano esclusivamente degli specialisti delle discipline sociali e scientifiche ma che tra essi figurino anche professionisti del settore quali linguisti, interpreti, traduttori, insegnanti e operatori linguistici,

nell'elaborazione di questi orientamenti si tenga debitamente e maggiormente conto delle attuali generazioni di adulti giovani e meno giovani, incoraggiando l'apprendimento permanente e garantendo il rispetto dei loro diritti culturali, al momento in cui la Commissione entrerà nella fase programmatica,

la Commissione si avvalga non solo dei lavori effettuati in ambito universitario ma anche delle attività svolte dalle associazioni attive in questo campo e che essa sostenga le iniziative popolari avviate dalle reti di associazioni della società civile.»

2.4

Il Comitato sottolineava in sostanza la necessità di coinvolgere il maggior numero possibile di cittadini nelle strategie di apprendimento, pratica e conoscenza delle lingue, e di reperire strumenti realistici per realizzare questo obiettivo. Metteva inoltre in guardia dal creare nuove discriminazioni sociali e esortava a riflettere in modo organico sul numero di lingue che costituiscono una risorsa nell'Unione europea, in modo da poterne superare le barriere linguistiche, culturali ed economiche. Raccomandava inoltre un approccio equilibrato tra la dimensione economica, culturale e civica e un serio sforzo di recupero riguardo ai temi dell'occupazione e del lavoro.

2.5

Il Comitato ricordava anche che le aree linguistiche e culturali del mondo hanno subito un'evoluzione al pari dei sistemi politici ed economici e che, purtroppo, la tendenza di alcune lingue a estinguersi va di pari passo con l'assimilazione o la scomparsa di determinati gruppi sociali e politici. L'Europa deve far fronte alle stesse sfide di altre regioni del mondo, vale a dire: 1) la tendenza a vedersi imporre una lingua unica nei rapporti transnazionali, 2) a fronte della diversità delle sue lingue regionali, la stessa minaccia di veder scomparire alcuni idiomi. Vi sono però delle differenze: in particolare, lo status delle sue lingue nazionali ufficiali in questa compagine politica ed economica unificata (o in via di essere unificata, a seconda di come si considera il grado di integrazione dell'UE).

2.6

L'UE si trova di fronte alla stessa ansia identitaria che caratterizza qualsiasi approccio culturale e linguistico, anche se ha dei punti di forza che essa stessa si è creata nel corso della propria costruzione: ad esempio, gli strumenti a favore della coesione sociale e territoriale, i criteri comuni in materia di democrazia rappresentativa e partecipativa e i modelli sociali fondati su un certo grado di solidarietà.

2.7

Tuttavia, quando si abbinano sfide demografiche e interessi culturali, emergono alcune importanti questioni che bisogna avere il coraggio di formulare: fino a che punto gli europei sono interessati alle loro lingue, a condividerle, salvaguardarle, farle vivere e non lasciarle morire o, in breve, a parlarle tra loro e con gli altri?

3.   Osservazioni particolari

3.1

Il 14 settembre 2007 la Commissione ha avviato una procedura di consultazione pubblica conclusasi il 15 aprile 2008 con un convegno, nel corso del quale essa ha presentato dinanzi a numerose associazioni e organizzazioni attive nel campo culturale o pedagogico:

i risultati del gruppo degli intellettuali presieduto da Amin Maalouf,

i risultati del Business Forum presieduto da Etienne Davignon,

la relazione del Centro nazionale britannico delle lingue (ELAN) sulle conseguenze della mancanza di competenze linguistiche delle imprese sull'economia europea,

i risultati delle consultazioni formali dei Comitati (CESE e CdR),

i risultati della consultazione degli Stati membri: conferenza interministeriale del febbraio 2008,

le raccomandazioni del gruppo ad alto livello sul multilinguismo,

gli altri contributi ricevuti nell'ambito della consultazione online.

3.2

Durante i dibattiti, sono state individuate numerose sfide:

sfide economiche,

sfide politiche: multilinguismo e integrazione regionale,

sfide culturali: multilinguismo e interculturalità,

la comunicazione personale e collettiva può portare a considerare la lingua uno strumento di comunicazione come gli altri. Quale futuro per la letteratura?

multilinguismo e plurilinguismo: alcuni si chiedono se sia davvero necessario avere competenze personali plurilingui in un contesto linguistico che sta diventando monolingue,

il Consiglio d'Europa ha sottolineato la necessità di proteggere le lingue minoritarie e di facilitarne l'uso se si vuole lottare efficacemente contro i nazionalismi: il multilinguismo al servizio della diversità non deve presentare rischi di esclusione,

numerosi sono i partecipanti che esprimono frustrazione e segnalano diseguaglianze per quanto riguarda le lingue, il confronto delle lingue europee in Europa e nel mondo e la giustapposizione delle politiche culturali nazionali,

diritti culturali e diritti sociali: molti si chiedono quali saranno gli strumenti a disposizione per questo tipo di impegni. È stato sollevato il caso specifico dei rom per quanto riguarda, in generale, la loro integrazione e, in particolare, la possibilità di apprendere e conservare la loro lingua,

per quanto riguarda l'occupazione e il lavoro, il diritto di lavorare nella propria lingua senza vedersi imporre conoscenze sproporzionate ai compiti inerenti al proprio posto di lavoro, e le questioni di sicurezza dovute a un ambiente multilingue mal gestito o non gestito affatto.

3.3   Obiettivi generali presentati dalla Commissione durante l'audizione per promuovere la diversità linguistica

3.3.1

Diversificare le competenze linguistiche nell'UE («l'inglese non basta»)

L'ambizione espressa dal commissario al Multilinguismo Leonard ORBAN nell'intervento fatto durante l'audizione e in altre occasioni consiste chiaramente nel cercare di invertire la tendenza all'utilizzo della sola lingua inglese.

3.3.2

Nel settore sociale:

affermare il ruolo delle lingue ai fini della coesione sociale,

facilitare l'integrazione degli immigrati, incoraggiare l'apprendimento delle lingue dei paesi di accoglienza, promuovere l'uso e la salvaguardia della lingua materna e la sua trasmissione alle giovani generazioni, considerare le lingue degli immigrati come risorsa e arricchimento.

3.3.3

Nel settore economico:

sviluppare le competenze linguistiche per promuovere l'occupazione dei lavoratori e la competitività delle imprese,

integrare trasversalmente gli aspetti relativi al multilinguismo nelle politiche europee, partendo dal loro inventario (situazione attuale).

3.3.4

Aspetti del multilinguismo concernenti la politica estera dell'UE

La Commissione conferma «l'obiettivo di Barcellona», secondo il quale ogni cittadino deve parlare la propria lingua materna + 2 lingue straniere, e più precisamente la lingua materna + una lingua internazionale + una cosiddetta lingua «del cuore» o «adottiva» (concetto, questo, ispirato dalla relazione del gruppo presieduto da Amin Maalouf).

3.3.5

Strumenti e metodi

La Commissione intende promuovere l'apprendimento informale del tipo business literacy system, che accelera la comprensione e la facilità di accesso. Fornisce però pochi dettagli al riguardo, limitandosi a precisare che si tratta di offrire ai cittadini europei l'occasione di entrare in contatto con elementi linguistici esogeni, ad esempio negli autobus o in altri luoghi pubblici, e che l'apprendimento avverrà tramite una graduale familiarizzazione.

3.3.6

Per il futuro

La Commissione intende avvalersi di una cooperazione strutturale tra gli Stati membri in un quadro strategico a medio termine e apportare un valore aggiunto europeo allo sviluppo di questa politica.

3.4   Relazione ELAN (2)

La relazione dell'ELAN sottolinea l'importanza che le imprese dispongano di una manodopera qualificata plurilingue. Tuttavia essa non individua una tipologia delle necessità in base all'occupazione o al posto di lavoro, né in base al settore di attività. La Commissione farebbe meglio a incaricare la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro di Dublino (o un altro organismo europeo) di stilare una classificazione più precisa delle necessità professionali sia delle imprese che dei lavoratori.

3.4.1

Relazione del gruppo «Business Forum» presieduto da Etienne Davignon (3)

Questa relazione, pubblicata a fine giugno 2008, illustra il motivo per cui, dal punto di vista del «Business Forum», è importante investire nelle competenze linguistiche. Passa inoltre in rassegna quanto è già stato fatto per promuovere l'apprendimento delle lingue in un contesto imprenditoriale e rivolge alle imprese raccomandazioni su come migliorare le loro prestazioni a livello di comunicazione commerciale «multilingue». In particolare, raccomanda alle imprese di fare il punto delle competenze linguistiche esistenti al loro interno, rivedere le politiche di assunzione e le strategie di sviluppo nel campo delle risorse umane, investire nella formazione linguistica, assumere dipendenti madrelingua per le varie lingue, utilizzare le tecnologie linguistiche, valersi di traduttori e interpreti, comunicatori e mediatori, e migliorare la mobilità internazionale dei dipendenti. Il documento rivolge altresì raccomandazioni all'Europa e alle sue istituzioni, nonché alle autorità locali, regionali e nazionali, e presenta una serie di argomenti a favore del multilinguismo.

3.5   Relazione del gruppo presieduto da Amin Maalouf (4)

Il Comitato approva l'iniziativa della Commissione di consultare un gruppo di intellettuali di vaglia. All'audizione del 15 aprile il rappresentante del gruppo ha definito il documento Maalouf «probabilmente la relazione meglio scritta e di più facile lettura tra tutte le relazioni mai elaborate dalla Commissione», il che in un certo senso è vero. La relazione si ripropone di far riflettere gli europei sull'apprendimento di una lingua internazionale e di una lingua «affettiva, di adozione», ossia su un apprendimento disinteressato, non economico, basato sull'interesse personale. Questa proposta, pur generosa nel riconoscere il ruolo delle lingue quali vettori di cultura e comunicazione, presuppone che tutti i cittadini abbiano lo stesso grado di interesse e il tempo necessari per queste preoccupazioni linguistiche, il che non è affatto vero non solo per motivi culturali, ma anche perché la maggior parte dei cittadini europei non può permettersi finanziariamente di seguire quelle pratiche culturali che Pierre Bourdieu definisce «qualificanti».

Se è vero, ad esempio, che sempre più europei o giovani europei hanno interesse a praticare le lingue straniere europee o extraeuropee, è anche vero che un numero crescente di loro ha difficoltà sempre maggiori a vivere e far crescere i propri figli. Senza voler vedere ovunque lotte di classe, resta il fatto che la società europea è segmentata e che sarà necessario ricorrere ai finanziamenti del Fondo di coesione soprattutto per quanto riguarda gli obiettivi di Lisbona.

Il possibile contributo del programma Grundtvig e di quelli sulla formazione degli adulti e sulla formazione continua andrebbero quindi quantificati nel quadro della concertazione tra i servizi della Commissione prima di essere presentati agli Stati membri, al Consiglio e al Parlamento europeo. Questo permetterebbe di dare un valore aggiunto europeo alla competenza degli Stati membri in materia di istruzione.

Il Comitato fa notare che questo non risolve la questione della scelta dell'inglese come prima lingua straniera di insegnamento, a meno che questo compito non venga affidato interamente agli Stati membri e ai genitori, e che la Commissione non affronta questo argomento con franchezza. Indubbiamente «l'inglese non basta», ma resta pur sempre la lingua accettata dall'Unione per gli scambi internazionali. La strada proposta è solo un inizio, non una soluzione. Il Comitato richiama l'attenzione della Commissione, degli Stati membri, del Consiglio e del Parlamento europeo su questo punto.

3.6   Progetto di parere del Comitato delle regioni (5)

Nel proprio parere il Comitato delle regioni afferma che la questione delle lingue è estremamente importante per gli enti territoriali in quanto investe non solo le questioni relative all'occupazione, ma anche quelle relative alla convivenza tra cittadini europei ed extraeuropei, a tutti i livelli della società e in tutti i settori di attività, dalla sanità (carenza di manodopera) al turismo, ai servizi alle persone, all'insegnamento scolastico e prescolastico fino all'integrazione degli immigrati. Inoltre, essa struttura la vita di un numero crescente di regioni. Pertanto, il Comitato delle regioni raccomanda giustamente di ricorrere ai finanziamenti del Fondo di coesione e chiede di essere consultato a monte delle decisioni strategiche.

3.7   Relazione informativa in merito al Documento di lavoro della Commissione — Relazione sull'attuazione del piano d'azione «Promuovere l'apprendimento delle lingue e la diversità linguistica» (6)

Il Comitato teme che il fatto di negare la necessità di risorse europee possa portare all'inerzia, ossia a un'evoluzione delle disposizioni senza alcun rapporto con l'evoluzione dei bisogni, e che il risultato possa rivelarsi deludente a medio e lungo termine. Invita pertanto gli Stati membri a riflettere su questo punto: la televisione non basta e l'apprendimento informale dev'essere misurabile. Tuttavia il Comitato riconosce che il metodo di coordinamento scelto dalla Commissione dovrebbe costituire un progresso sul piano amministrativo, anche se non necessariamente un passo nella direzione dei cittadini.

4.   Conclusioni

4.1

Il Comitato reputa che l'evidente buona volontà della Commissione abbia qualche cosa di prodigioso, sennonché, al di là della richiesta rivolta agli Stati membri affinché adeguino i loro sistemi di istruzione, essa non propone alcun intervento sostanziale dell'Unione europea.

4.2

Il Comitato raccomanda che gli Stati membri continuino a perseguire questo approccio tenendo conto della necessità di diversificare l'offerta didattica a favore di lingue di comunicazione internazionale diverse dall'inglese.

4.3

Gli Stati membri, nel quadro dell'offerta di lingue europee che propongono a tutti i livelli di insegnamento (prescolare, primario, secondario, superiore e formazione continua), dovrebbero continuare a promuovere i legami di consanguineità e di prossimità linguistica o geografica, badando alla diversità di tale offerta.

4.4

La formazione degli adulti, così come è concepita dalla Commissione  (7) , deve tener conto della necessità di coinvolgere un numero maggiore di cittadini nello sforzo di conoscere la propria lingua materna e due lingue straniere. Ciò deve avvenire adeguando l'offerta didattica, suscitando l'interesse e promuovendo la motivazione mediante misure di prossimità concrete, associando il know-how delle organizzazioni della società civile già attive sul terreno e i professionisti del settore pubblico e privato, facilitando il dialogo sociale e civile e avendo cura che le nuove iniziative non creino discriminazioni e conseguenti disparità tra i cittadini con un accesso limitato allo scambio interculturale.

4.5

La democratizzazione e le forme di apprendimento informale come quelle promosse dalla Commissione devono essere oggetto di valutazioni precise nel quadro del sistema europeo delle qualifiche al fine di:

misurare l'impatto delle azioni avviate dagli Stati membri, dalla Commissione e dagli altri attori coinvolti, statali e non statali,

consentire i trasferimenti e il riconoscimento delle qualifiche dei cittadini e dei lavoratori salariati, indipendentemente dal loro statuto.

4.6

Associare concretamente gli enti locali e territoriali alla definizione della futura offerta pedagogica, in linea con le ambizioni espresse dalla Commissione.

4.7

Dato che le considerazioni della Commissione sulle necessità economiche delle imprese interessano in primo luogo le imprese stesse e i lavoratori dipendenti, è opportuno che gli Stati membri e la Commissione esortino le parti sociali a inserire questo argomento tra i temi del dialogo sociale per esaminare insieme le sfide e trovare le migliori soluzioni e pratiche adeguate.

4.8

L'immersione in un ambiente naturale, necessaria alla pratica di una lingua e indissociabile da un apprendimento consolidato, deve essere consentita e incoraggiata a tutti i livelli e per tutti i cittadini, anche se forse questa esigenza è particolarmente avvertita dalle fasce meno esposte agli scambi transnazionali, vale a dire quelle meno mobili; a tal fine andrebbero trovati mezzi concreti e risorse materiali. Non si può obbligare nessuno a viaggiare, ma va tenuto presente che alcuni hanno meno mezzi di altri. L'inglese non basta, e neppure la televisione.

4.9

Per quanto riguarda le lingue degli immigrati, si dovrebbe mettere l'accento sul fatto che esse costituiscono una risorsa. A questo proposito esistono più scuole di pensiero: alcuni ritengono che gli immigrati abbiano il dovere di apprendere la lingua del paese di accoglienza per integrarsi o anche solo per accedere al territorio dell'UE, mentre altri considerano che essi abbiano il diritto di conoscere la lingua del paese che li accoglie per poter lavorare, vivere e difendere i propri diritti, e che le autorità pubbliche abbiano il compito di organizzare questo tipo di formazione. In ogni caso, dalla teoria alla pratica il passo non è breve. Numerose esperienze dimostrano che non tutte le buone pratiche sono state incoraggiate e che, al contrario, a numerose associazioni sono stati bloccati i finanziamenti. Oggigiorno la sfida da affrontare sul piano pedagogico è immensa poiché non si impara allo stesso modo a tutte le età. A questo proposito il Comitato raccomanda di effettuare degli studi sullo scambio interculturale che sta alla base dell'apprendimento linguistico  (8). Il Comitato insiste sulla necessità di consultare e coinvolgere tutti gli operatori didattici e pedagogici dall'insegnamento prescolare a quello degli adulti, fino all'apprendimento lungo tutto l'arco della vita. Le due categorie maggiormente interessate sono i discenti e gli insegnanti, anche per quanto riguarda la futura convalida delle cosiddette conoscenze informali (9).

4.10

Le lingue parlate in Europa comprendono le lingue regionali e nazionali e quelle parlate dagli immigrati. Il loro contributo è notevole e la gestione della diversità culturale in Europa avverrà in funzione di due sfide: la promozione della diversità culturale europea e la tolleranza e il rispetto degli immigrati. La coesione sociale e territoriale dell'UE non è più solo economica o politica; in futuro e già oggi essa è inscindibile dalla sua dimensione culturale.

4.11

Anche le lingue degli immigrati, a medesimo titolo delle lingue materne dei cittadini europei, devono poter essere trasmesse ai discendenti e, dato che nessuna lingua sopravvive se non viene parlata, gli immigranti dovrebbero anche essere considerati una risorsa per trasmettere o insegnare la loro lingua materna a coloro che desiderano diversificare le proprie modalità comunicative.

4.12

Questo significa che la società civile europea oggi ha altre aspirazioni e che non basta più decantarle i vantaggi dell'essere poliglotta in un ambiente multilingue; essa vorrà veder riconosciute le proprie iniziative in seno alle associazioni, vorrà che siano riconosciute le proprie necessità e, in ogni caso, vorrà delle risorse per realizzare tali obiettivi, siano esse di origine pubblica o privata.

4.13

Questo presuppone anche che le parti sociali accettino di adottare una visione a lungo termine e definiscano insieme le qualifiche richieste, le formazioni iniziali e continue da mettere a punto e gli investimenti, tanto pubblici quanto privati, di cui tener conto, avendo cura di migliorare la competitività delle imprese.

4.14

Se l'apprendimento delle lingue è anche considerato una necessità per la competitività e la realizzazione degli obiettivi della strategia di Lisbona, allora la raccomandazione di cui sopra assume un senso tutto particolare.

4.15

La Carta dei diritti fondamentali prevede agli articoli 20 e 21 la promozione della diversità linguistica e il divieto delle discriminazioni fondate sulla lingua. La Commissione dovrebbe quindi esaminare quali Stati membri dispongono di una legislazione in materia, rivolgendosi, se necessario, all'Agenzia per i diritti fondamentali; dovrebbe altresì valutare se il fatto che gli Stati membri posseggono regimi di applicazione diversi non crei distorsioni e disparità di trattamento tra cittadini europei, in particolare sul piano della mobilità, delle assunzioni, ecc. A questo proposito occorre distinguere ad esempio tra due livelli di pertinenza: da un lato, il livello di conoscenze linguistiche necessario per l'esecuzione di compiti legati al posto di lavoro occupato (contatti con il pubblico o con clienti stranieri) e, dall'altro, la trasmissione delle istruzioni necessarie all'esecuzione dei compiti da svolgere nella lingua di chi esegue tali compiti.

4.16

Per quanto riguarda in particolare l'attuazione, il Comitato presterà attenzione alle proposte della Commissione nella strategia che presenterà nel settembre 2008 e ai progressi compiuti rispetto alla strategia precedente.

4.17

Per quanto riguarda i diritti culturali dei cittadini europei, quelli dei cittadini extraeuropei che risiedono nell'UE e la cooperazione esterna dell'UE, la Commissione dovrebbe eventualmente far perno sulla convenzione dell'Unesco sulla diversità culturale e proporre, di concerto con le associazioni e le ONG già attive nel settore culturale, delle linee direttrici che tengano conto delle conseguenze che la ratifica di tale convenzione da parte degli Stati membri ha per l'Europa.

4.18

La mobilità viene promossa dalle parti sociali e auspicata da un certo numero di datori di lavoro, di lavoratori e di autorità pubbliche (tra cui la Commissione) come se si trattasse di una panacea contro la disoccupazione e la carenza di manodopera. Le barriere linguistiche ricevono ancora troppo poca attenzione: a questo proposito si possono citare le difficoltà di seguire, nel quadro dell'apprendimento lungo tutto l'arco della vita, una formazione professionale e perseguire al medesimo tempo degli obiettivi linguistici, o l'impossibilità di iscrivere i figli alla scuola di propria scelta quando seguono i genitori che esercitano la mobilità professionale (si pensi ad esempio ai rom in diversi paesi europei e ad alcuni gruppi di italiani in Germania). La Commissione non dovrebbe affidarsi ai soli Stati membri, ma dovrebbe anche chiedere loro informazioni sulle discriminazioni per motivi linguistici tra bambini di cittadinanza europea nelle scuole.

4.19

Vanno ricordate anche le difficoltà incontrate dalle amministrazioni degli Stati membri nell'applicazione della direttiva sul distacco dei lavoratori e quelle incontrate dalle parti sociali per motivi di comprensione sul terreno, difficoltà che la Commissione non ha ignorato ma che, come già detto, dovrebbero essere oggetto di un'adeguata concertazione con tutte le parti coinvolte (Commissione, Stati membri, parti sociali, autorità locali, nazionali, servizi di collocamento, ecc.) (10).

4.20

Bisognerà infine pensare alle risorse disponibili per il regime linguistico delle istituzioni al di là della comunicazione istituzionale ufficiale: il Comitato fa notare che resta una questione complessa, dato che un gran numero di documenti pubblici non viene tradotto, cosa che ripropone il problema delle risorse disponibili. Si pensi in particolare alle pagine che seguono quelle introduttive dei siti Internet delle istituzioni europee, e in particolare del Consiglio e della presidenza dell'UE.

Bruxelles, 18 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Parere del CESE, del 26 ottobre 2006, in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Un nuovo quadro strategico per il multilinguismo (relatrice: LE NOUAIL MARLIÈRE, GU C 324 del 30.12.2006).

(2)  Cfr. la relazione ELAN sulle conseguenze della mancanza di competenze linguistiche delle imprese sull'economia europea, consultabile al seguente indirizzo:

http://ec.europa.eu/education/policies/lang/doc/elan_fr.pdf (in francese), oppure http://ec.europa.eu/education/policies/lang/doc/elan_en.pdf (in inglese).

(3)  Cfr. la relazione del Business Forum all'indirizzo:

http://ec.europa.eu/education/languages/pdf/davignon_it.pdf

(4)  Cfr. la relazione del gruppo ad alto livello sul multilinguismo presieduto da Amin Maalouf Una sfida salutare. Come la molteplicità delle lingue potrebbe rafforzare l'Europa, consultabile al seguente indirizzo:

http://ec.europa.eu/education/languages/archive/doc/maalouf/report_it.pdf.

(5)  Cfr. il parere del Comitato delle regioni sul multilinguismo (relatore: PELLA, CdR 6/2008 fin).

(6)  COM(2007) 554 def./2 del 15 novembre 2007.

(7)  Cfr. in particolare i documenti COM(2006) 614 def. e COM(2007) 558 def.

(8)  http://www.newcomers.com. Noureddine Erradi ha lavorato per molti anni per i centri di formazione per immigrati nei Paesi Bassi e ha messo a punto strumenti pedagogici destinati ai formatori e ai consulenti politici di agenzie e enti territoriali.

(9)  Cfr. il parere della sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza in merito all'Istituzione del sistema europeo di crediti per l'istruzione e la formazione professionale (ECVET), relatrice: LE NOUAIL MARLIÈRE (GU C 224 del 30.8.2008).

(10)  Cfr. il parere del CESE sul tema Distacco di lavoratori nell'ambito della prestazione di servizi — Massimizzarne i vantaggi e le potenzialità garantendo la tutela dei lavoratori (relatrice: LE NOUAIL MARLIÈRE, CESE 995/2008).


31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/115


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La considerazione delle esigenze degli anziani

(2009/C 77/26)

La Commissione, in data 18 febbraio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema:

La considerazione delle esigenze degli anziani.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 settembre 2008, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice HEINISCH.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria ha adottato il seguente parere con 106 voti favorevoli, 32 voti contrari e 20 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Motivazione

1.1.1

Il mutamento demografico in Europa è caratterizzato da un vertiginoso incremento della percentuale di cittadini anziani (1), al quale fa riscontro una progressiva diminuzione della popolazione totale. Il Consiglio si è pronunciato a più riprese sull'invecchiamento della popolazione. Tale processo presenta manifestazioni diverse a seconda delle regioni, il che pone l'Unione europea dinanzi a difficili sfide sociali (2). Entro fine 2008 la Commissione emetterà una comunicazione in cui avanzerà delle proposte su come si possa tenere conto delle esigenze di una popolazione in fase di invecchiamento con l'ausilio dei fondi strutturali.

1.1.2

Alla base del presente parere è la necessità di riconoscere, valorizzare e garantire la dignità di coloro che invecchiano, oltre che di evitarne la discriminazione. Bisogna riconoscere che gli anziani non costituiscono una categoria omogenea in termini di abilità, sicurezza finanziaria o esigenze sanitarie e sociali, per cui le politiche e i servizi dovrebbero riflettere l'inadeguatezza di un approccio unico per tutti o di una segmentazione per fasce di età.

1.1.3

Pertanto, il documento verte sulla gamma delle problematiche che incidono sugli individui dal momento del pensionamento fino alla tarda età. Nel campo di osservazione del parere rientrano naturalmente, anche se non lo si dice espressamente di volta in volta, uomini e donne, anziani disabili e anziani immigrati.

1.1.4

Viceversa, il parere non esamina le esigenze dei lavoratori anziani e delle persone anziane non autosufficienti, visto che su tali tematiche sono già state presentate numerose proposte (3). Nondimeno, il CESE desidera sottolineare da un lato l'importanza di applicare l'approccio del ciclo di vita a una società che invecchia, in modo da evitare discriminazioni e stereotipizzazioni, e dall'altro la necessità di politiche integrate tra le generazioni.

1.1.5

Perché gli anziani possano continuare a partecipare alla vita della società e vivere un'esistenza decorosa è essenziale che abbiano la sicurezza finanziaria e la possibilità di accedere su base volontaria ad attività capaci di dare senso alla loro vita, come la partecipazione a programmi di formazione continua, il lavoro retribuito o volontario e l'impiego delle nuove tecnologie. Inoltre, i trasporti, l'energia, gli alloggi e le cure sanitarie dovrebbero essere disponibili e accessibili anche sul piano dei prezzi.

1.2   Raccomandazioni

1.2.1

Al fine di garantire agli anziani, sempre più numerosi sia in campagna che in città, condizioni di vita e possibilità di occupazione accettabili anche nel nuovo contesto, il Comitato chiede che si adottino le seguenti misure:

compilazione regolare di relazioni sulle situazioni nazionali e regionali,

raccolta e diffusione di esempi di buone pratiche degli Stati membri,

promozione di una nuova immagine della vecchiaia, che riconosca il contributo dato dagli anziani (compresi gli immigrati) nel corso della loro vita, e la dignità della vecchiaia nella politica, nell'economia e nella società,

campagne mediatiche sull'invecchiamento attivo,

occorre in particolare adottare misure in materia di servizi di interesse generale, infrastrutture, fornitura di beni e di servizi, finanziamenti, alloggio, servizi sanitari, organizzazione della fase terminale della vita e partecipazione alla vita sociale.

Destinatari: Stati membri, Parlamento europeo, Comitato delle regioni e Comitato economico e sociale europeo.

Istituzione di un gruppo di esperti sull'invecchiamento che si affianchi al gruppo di esperti della Commissione europea sulle questioni demografiche (4),

creazione di un'Alleanza europea «Vivere attivamente la terza età» sul modello dell'Alleanza europea per le famiglie (5), che organizzi tra l'altro seminari e conferenze a livello europeo,

creazione di un centro europeo per la ricerca sull'invecchiamento con il compito di elaborare, sintetizzare e scambiare le conoscenze esistenti, determinare le nuove esigenze in termini di ricerca e promuovere la relativa ricerca,

creazione di un asse interdisciplinare sull'invecchiamento con dotazioni proprie nell'ambito dell'Ottavo programma quadro di ricerca,

allestimento di un portale Internet europeo con informazioni al pubblico riguardo alle misure messe a punto da tutte le direzioni generali in relazione all'invecchiamento,

creazione di portali Internet locali, regionali e nazionali sul modello del portale Internet europeo,

sostenere la creazione di un fondo demografico  (6) nel quadro dei fondi strutturali, per compensare finanziariamente quelle regioni che si adoperano attivamente per contrastare il mutamento demografico (ad esempio, con una politica della famiglia attiva),

introduzione di nuove priorità nel programma per l'apprendimento permanente, per includervi la formazione di «accompagnatori» addetti a facilitare la transizione verso nuove fasi della vita.

Destinatari: presidenze del Consiglio UE, Parlamento europeo, Commissione europea.

1.2.2

A tal fine occorre adottare un approccio per una gestione sostenibile che possa allo stesso tempo contribuire all'attuazione della strategia di Lisbona per la crescita e l'occupazione.

2.   Osservazioni generali

2.1

Il presente parere esplorativo si concentra sulla necessità di un intervento in materia nelle varie regioni europee. In tutti i paesi si ravvisa l'esigenza di una ridistribuzione delle risorse disponibili (7) che sia legata a un incremento degli oneri finanziari per gli abitanti delle città e delle campagne. Allo stesso tempo si delinea una forte esigenza di adattare le infrastrutture comunali (8). Servono in particolare approcci innovativi e integrativi per mettere le regioni e i comuni in grado di affrontare l'evoluzione demografica.

3.   Gli ambiti in cui occorre intervenire

Perché gli anziani abbiano la sicurezza di una vita sana e attiva è necessario che alcune condizioni di fondo siano soddisfatte, ad esempio negli ambiti seguenti:

3.1   I servizi d'interesse generale

3.1.1

I servizi d'interesse generale sono un presupposto fondamentale per il rispetto della dignità umana e garantiscono il diritto dei singoli a vedere pienamente tutelati i loro diritti fondamentali. Inoltre, contribuiscono all'esercizio dei diritti civici nella pratica. In concreto, tali servizi riguardano tra l'altro l'assetto territoriale e l'ambiente (9), e in particolare le infrastrutture comunali. Il calo della popolazione, specie nelle aree rurali (10), è tale che, per motivi economici, in futuro certi servizi essenziali non saranno più disponibili o redditizi, saranno completamente aboliti o non saranno più in grado di rispondere alle mutate esigenze. Si tratta al riguardo di garantire i servizi di base e la loro accessibilità per l'intera popolazione, tenendo conto in particolare delle specifiche esigenze delle persone più anziane e più bisognose di assistenza. Gli ambiti in questione sono:

l'approvvigionamento energetico, in particolare elettricità, gas e riscaldamento,

l'approvvigionamento idrico e il trattamento delle acque reflue, la gestione e la prevenzione dei rifiuti,

la sicurezza e la pulizia degli luoghi pubblici,

i servizi e le amministrazioni pubbliche.

3.1.2   Le infrastrutture di trasporto e la fornitura di beni e servizi rispondenti alle esigenze della vita quotidiana

L'autonomia e la mobilità sono premesse fondamentali della qualità della vita e di un invecchiamento attivo (11)  (12). A tal fine è necessaria la presenza di:

negozi facilmente raggiungibili e accessibili che vendano prodotti per le esigenze di ogni giorno a prezzi convenienti, come pure di servizi importanti come uffici postali, banche, farmacie, cimiteri, edifici e impianti pubblici, in particolare quelli messi a disposizione dai comuni per consentire la partecipazione alla vita della società: ad esempio, servizi amministrativi, uffici civici, consultori, ecc.,

trasporti pubblici (locali) accessibili e a prezzi ragionevoli,

servizi di trasporto garantiti, specie nelle aree a bassa densità demografica,

spazi pubblici accessibili (sentieri pedonali, panchine pubbliche, illuminazione stradale, sicurezza dei trasporti, ecc.).

3.1.3   Gli alloggi

Gli alloggi attualmente disponibili non sempre rispettano le esigenze legate all'invecchiamento della popolazione europea, soprattutto la necessità di continuare a condurre una vita autonoma a casa propria. La progettazione e gli standard relativi ai nuovi alloggi devono tenere conto della perdita delle facoltà fisiche, sensitive o cognitive legata alla vecchiaia, e valersi inoltre di sistemi efficienti dal punto di vista energetico e tecnologico (come la cosiddetta «domotica per categorie deboli»), in modo da favorire una continua autonomia. Un tale approccio sarebbe altresì vantaggioso sul piano intergenerazionale.

Le autorità responsabili negli Stati membri per il rispetto dei requisiti in materia di alloggi dovrebbero garantire l'esistenza di servizi in grado di adattare gli attuali alloggi e promuovere nuovi approcci alla progettazione degli alloggi e alla vita in comunità, comprese le opportune misure finanziarie e giuridiche.

3.1.4   I servizi sanitari

Con l'avanzare dell'età diventa sempre più importante disporre di servizi sanitari affidabili, vicini a dove si abita e conformi alle esigenze degli anziani (13). La disponibilità di tale tipo di servizi è messa in serio pericolo nelle regioni rurali e/o periferiche a bassa densità demografica dall'ulteriore calo della popolazione, unito all'invecchiamento dello stesso personale medico ancora in servizio. Diventa urgente estendere per quanto possibile l'assistenza sanitaria, grazie a una solida rete territoriale. In tale ambito rientrano (compresa la tutela dei diritti delle persone anziane in quanto pazienti (14)):

cure mediche, specie geriatriche, e terapie di riabilitazione da parte di personale medico e paramedico specializzato in gerontologia e geriatria,

cure ambulatoriali e assistenza di base da parte di servizi di prossimità,

servizi di cure palliative e di sostegno psicologico alle famiglie,

consulenza e informazioni su diritti dei pazienti e sulle possibilità di assistenza,

servizi di consulenza e di informazione, come pure strutture e incentivi per la prevenzione (sensibilizzazione sull'importanza di una dieta sana, dell'esercizio fisico, di evitare le cadute e di uno stile di vita sano e gratificante),

ricorso a strumenti tecnici e sistemi di assistenza senza per questo sostituire l'assistenza umana (cfr. il capitolo sulle nuove tecnologie),

la promozione o la creazione di sistemi di assistenza sociale formali e informali, compresi uffici civici e consultori, gruppi di autosostegno, gruppi di persone che si prendono cura di familiari anziani e assistenza di prossimità.

In diversi Stati membri esistono già modelli consolidati in relazione alle possibilità di assistenza su elencate (15).

3.2   Disposizioni riguardanti le situazioni di emergenza e una fine dignitosa della vita

3.2.1   Le situazioni di emergenza

Servono disposizioni specifiche per i casi legati a situazioni di emergenza come inondazioni, periodi di calore prolungati o catastrofi, affinché le persone più anziane che non sono in grado di aiutare se stesse possano essere assistite tempestivamente.

3.2.2   Questioni relative alla fine della vita

Come debba configurarsi la fase finale della vita è una questione controversa e soggetta a regole divergenti nei diversi Stati membri (eutanasia attiva e passiva). A tal fine è essenziale la certezza del diritto, in modo che i desideri degli anziani possano essere presi in considerazione anche in caso di problemi cognitivi progressivi, ad esempio per quanto riguarda l'impiego di strumenti atti a prolungare la vita. Le disposizioni testamentarie possono essere una soluzione, ma va garantita la tutela delle persone particolarmente vulnerabili. Un ruolo importante a questo riguardo spetta alle cure palliative e al movimento Hospice. In sostanza, il principio guida deve essere quello di assicurare la dignità fino all'ultimo.

Nell'Unione europea di oggi, in cui il 25 % della popolazione ha almeno 60 anni, è necessario adottare un quadro che induca gli Stati membri a introdurre nel loro ordinamento misure tali da creare la certezza giuridica necessaria per consentire ai cittadini di preparare serenamente la fine della propria vita.

Il CESE vorrebbe quindi incoraggiare un confronto tra gli Stati membri circa l'eventualità di creare un quadro sulle problematiche relative alla fine della vita, che possa poi condurre all'elaborazione di misure giuridiche negli Stati membri.

3.3   Integrazione sociale e partecipazione alla vita della società

L'integrazione sociale e la partecipazione alla vita della società sono esigenze umane di base che investono molteplici ambiti della vita degli anziani: tra i principali, famiglia e amici, lavoro retribuito, volontariato e attività significative, come pure apprendimento lungo tutto l'arco della vita e partecipazione alla vita culturale e sociale.

3.3.1   L'integrazione sociale attraverso i rapporti familiari e di amicizia

L'ambiente sociale degli anziani sta subendo una radicale trasformazione (16). Cresce il numero degli anziani che vivono da soli, i quali in certe grandi città rappresentano già il 50 % di tutti i nuclei familiari. Servono di conseguenza misure sociali e/o organizzative e innovazioni tecniche che:

sostengano le reti familiari e non, prevedendo misure adeguate volte a conciliare la vita familiare e quella professionale di coloro che prestano assistenza agli anziani (17),

in proposito il CESE prende atto dei lavori che portano avanti sia la Commissione, nell'ambito dell'Agenda sociale rinnovata, sia le parti sociali europee per quanto concerne l'esigenza di conciliare vita familiare e professionale,

contribuendo ad attività transgenerazionali (18),

promuovendo in generale l'iniziativa personale e l'impegno civico e

promuovendo altresì la costruzione di alloggi pensati per diverse fasce d'età.

3.3.2   Integrazione e partecipazione attraverso attività significative

L'integrazione sociale e la partecipazione alla vita della società possono avvenire tanto attraverso il lavoro retribuito quanto attraverso il volontariato. Pertanto, per favorire una vita socialmente attiva quanto più lunga possibile è necessario intervenire in entrambi i settori.

3.3.2.1   Partecipazione attraverso il lavoro

Per consentire ai pensionati che, vuoi per ragioni economiche vuoi a scopo di realizzazione professionale, desiderano partecipare alla vita sociale tramite un lavoro (cfr. punto 1.1.3 che specifica su quale pubblico si concentra il documento), si potrebbero prendere i seguenti provvedimenti:

garantire, conformemente alla direttiva sulla parità di trattamento in materia di occupazione (19), una transizione più flessibile dalla vita attiva al pensionamento, adeguare i sistemi pensionistici e fiscali nel quadro di un approccio all'occupazione che abbracci tutte le generazioni di adulti (20), rispettare il principio della parità di retribuzione. Negli Stati membri i limiti di età dovrebbero in linea di principio sancire il diritto al pensionamento, e non già il divieto di continuare a lavorare su base volontaria,

creare posti di lavoro e ambienti di lavoro adeguati agli anziani, migliorando tra l'altro le condizioni sul piano delle sollecitazioni fisiche, della salute, della sicurezza, dei ritmi e dell'organizzazione del lavoro,

utilizzare e, se del caso, adeguare le tecnologie disponibili al fine di sostenere i processi lavorativi,

eliminare i possibili ostacoli e promuovere nuove forme di contratti che coprano questo periodo specifico di transizione tra il periodo precedente il pensionamento e la vita da pensionato ed offrano una sicurezza giuridica in modo da non creare un nuovo precariato,

favorire un cambiamento di mentalità nell'impresa per giungere a una strategia globale in materia di occupazione che promuova in modo mirato le competenze individuali indipendentemente dall'età (21).

3.3.2.2   Partecipazione tramite volontariato e attività significative

Per valorizzare il potenziale delle persone anziane e, al tempo stesso, affidare loro compiti pregnanti e rispondenti alle loro molteplici capacità, sono necessarie le misure seguenti:

raccogliere e preservare le conoscenze acquisite con l'esperienza, comprese quelle afferenti ai comportamenti sociali e a particolari attività artigianali e artistiche,

sostenere forme innovative di trasferimento delle conoscenze, compreso il sostegno alle altre generazioni (22),

consentire forme flessibili di transizione tra vita professionale e pensione e prevedere l'abbinamento tra impegno professionale e attività benefiche senza perdite finanziarie e su base volontaria,

sostenere le attività di volontariato (23) tramite la formazione permanente e il coinvolgimento in progetti locali e sopraregionali,

aprire le istituzioni in modo da rafforzare la partecipazione degli anziani al volontariato, senza che ciò si traduca nell'eliminazione di posti di lavoro retribuiti.

3.4   Istruzione e partecipazione alla vita della società

I presupposti fondamentali per la partecipazione degli anziani alla vita della società e per il loro impegno attivo sono l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita e il coinvolgimento in attività commisurate alle loro esigenze. A tal fine è necessario adattare come segue l'offerta a livello locale, regionale e sopraregionale:

offerte formative lungo tutto l'arco della vita volte a preservare le capacità dei lavoratori anziani. In tale contesto anche le imprese sono invitate a consentire e favorire l'adozione delle misure corrispondenti. Nel contempo occorrerà prevedere una serie di incentivi (ad esempio di natura fiscale),

offerte di formazione continua generale (24) per tutta la durata della vita e a tutti i livelli (dai livelli di base alla formazione universitaria),

controllo e garanzia della qualità delle offerte formative,

riconoscimento in tutta l'UE dei diplomi (25), delle qualifiche e delle competenze conseguiti anche in età avanzata per consentire la mobilità transfrontaliera (26) e valorizzazione delle conoscenze ottenute in modo informale,

offerte formative nel quadro della preparazione alla pensione,

formazione di «accompagnatori» addetti a facilitare la transizione verso nuove fasi della vita (27),

apprendimento transgenerazionale al posto dell'apprendimento per fasce d'età (oggetto: lo scambio reciproco tra generazioni),

offerte formative in materia di impegno transgenerazionale (ad esempio servizi di nonni),

offerte formative sulle principali questioni finanziarie e giuridiche (28) (per tutelare gli interessi delle persone anziane, in particolare per quanto riguarda il commercio via Internet),

offerte formative sulle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione,

possibilità informative che siano al tempo stesso disponibili e accessibili (giornali, radio, TV, Internet),

attività sportive differenziate in base alle capacità e agli interessi individuali,

attività ricreative e turistiche (29) che tengano conto delle specifiche esigenze culturali (30).

3.5   Gli anziani in quanto consumatori

Le persone anziane hanno molteplici bisogni in relazione tanto all'approvvigionamento di generi di uso quotidiano (cfr. punto 3.1.2) e di beni di consumo durevoli, quanto alla disponibilità di strumenti tecnici e di sistemi di assistenza (cfr. punto 3.6), oltre che di servizi di ogni tipo, il che dovrebbe offrire nuove prospettive di occupazione ai più giovani.

Ecco alcune premesse di fondo:

una concezione generale dei prodotti improntata ai principi del «design universale» o del «design per tutti» (31), tra cui la presenza di informazioni leggibili e comprensibili sui beni di consumo,

prevenzione di discriminazioni basate sull'età e sulla disabilità nell'accesso ai servizi, in particolare a quelli finanziari (32),

osservanza dei diritti dei consumatori anche in relazione alle persone anziane,

il profilo degli immigrati pensionati è mutato nel corso degli anni. Molti di essi dispongono di minori risorse finanziarie durante il pensionamento e possono avere esigenze sanitarie e sociali coperte solo in piccola parte dai vigenti sistemi sanitari e previdenziali. Viene così a crearsi per essi una situazione di stallo per il fatto che i diritti maturati a livello nazionale non sono più coperti dalle politiche del paese di origine, né tanto meno lo sono nel paese ospitante. Per cambiare questa situazione, cosa per la quale il livello europeo appare appropriato e benefico per i cittadini, occorre una maggiore comprensione e un più ampio dibattito al riguardo in tutta l'UE.

3.6   Accesso alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC)

Nei settori dell'alloggio, della salute, della partecipazione alla vita sociale e della formazione, come pure per accedere ai servizi amministrativi in linea, il ricorso alle nuove tecnologie appare sempre più necessario perché gli anziani possano condurre una vita autonoma e attiva. Lo stesso vale per i servizi di interesse generale destinati agli anziani e per le attività correlate di sviluppo economico a livello regionale e sovraregionale (33). Ecco alcuni elementi centrali a tal fine:

lavorare, ben a monte, sul software per garantirne la massima accessibilità e sull'hardware per uno uso ottimale delle sue potenzialità da parte di chi non ha (più) familiarità con queste apparecchiature,

disponibilità e accessibilità di tecnologie dell'informazione e della comunicazione, compresi sistemi di domotica per categorie deboli, tecnologie di apprendimento in linea (e-learning), salute in linea (e-health), cure in linea (e-care) e riabilitazione in linea (e-rehabilitation). Le tecnologie possono aiutare, ma non rimpiazzare i contatti personali (34),

semplificazione dell'accesso alle apparecchiature e alle reti tecniche e del loro utilizzo, vista la crescente complessità di tali sistemi, e loro adattamento alle esigenze specifiche delle persone anziane (problemi di vista, riduzione delle sensazioni tattili, ecc.),

considerazione delle esigenze degli utilizzatori anziani e misure volte ad accrescere la loro motivazione come utenti,

coinvolgimento di tutte le parti interessate e salvaguardia dei criteri etici e giuridici, in particolare nell'utilizzo dei sistemi di controllo elettronici nei casi di demenza senile,

misure di accompagnamento come servizi integrati di consulenza, di installazione e di manutenzione, come pure servizi sociali,

attenzione ai cambiamenti derivanti dalle trasformazioni sociali e dalle nuove esperienze e interessi delle nuove generazioni di anziani.

3.7   Garanzie finanziarie

È importante incoraggiare gli Stati membri a garantire agli anziani un'esistenza sicura e, quindi, dignitosa, indipendentemente dal contributo di questi ultimi alla vita sociale, per tutta la durata della pensione.

I mutamenti strutturali, le riforme delle pensioni e dei sistemi sociali attualmente in corso e l'aumento del costo della vita e la riduzione del potere d'acquisto fanno aumentare la percentuale di persone che rischiano di vivere la loro vecchiaia in povertà. Tale condizione interessa in particolare, in alcuni Stati membri, le donne anziane e i lavoratori che hanno avuto lunghi periodi di disoccupazione.

Per mantenere la sostenibilità dei sistemi di protezione sociale gli Stati membri devono incoraggiare le persone ancora professionalmente attive ad avvalersi di sistemi complementari (collettivi o individuali) di previdenza sociale, vigilando sulla solvibilità degli attori privati che operano in questo campo. Gli Stati membri devono inoltre garantire a tutti i cittadini un reddito minimo che consenta agli anziani di condurre una vita dignitosa, indipendentemente dalle vicissitudini della vita.

4.   Osservazioni particolari e raccomandazioni

Perché si possa creare una base solida per le necessarie strategie di ristrutturazione e innovazione, il Comitato sollecita l'adozione delle seguenti misure al livello tanto degli Stati membri quanto dell'UE.

4.1   Misure al livello degli Stati membri

4.1.1   Compilazione di relazioni sulle situazioni nazionali e regionali

Occorre anzitutto procedere a un'analisi precisa delle situazioni regionali. Il Comitato invita la Commissione a compilare sistematicamente relazioni sulle rispettive situazioni dei singoli Stati membri dell'UE, in cui figurino tra l'altro dati sul potenziale occupazionale delle persone anziane.

4.1.2   Elaborazione e diffusione del materiale informativo

Il Comitato giudica essenziale che le informazioni, le conoscenze e le esperienze, compresi i risultati delle ricerche condotte finora e i nuovi dati di volta in volta acquisiti, siano messe a disposizione delle associazioni di categoria, del pubblico interessato e degli stessi anziani. Bisogna in particolare migliorare la diffusione dei risultati della ricerca tra i ricercatori, i politici e gli utilizzatori (gli anziani e chi li rappresenta).

4.1.3   Trattamento e collegamento delle esperienze in atto negli Stati membri

Il Comitato invita la Commissione a raccogliere, comparare e valutare le esperienze consolidate in ambito regionale, e ad appurare se siano collegabili ad altri settori e trasferibili ad altre regioni. L'obiettivo è raccogliere esempi di buone pratiche da mettere a disposizione del pubblico (35).

4.1.4   Promozione di una nuova immagine della vecchiaia

In una società che invecchia, le persone non possono più essere considerate «inattive» non appena abbandonano la vita professionale. A questo riguardo si impone un cambiamento di mentalità a tutti i livelli (politica, economia, società). Gli Stati e le regioni sono particolarmente in grado di avviare con cadenza regolare campagne di promozione del tema l'«invecchiamento attivo».

4.1.5

Il Comitato propone di indire una campagna mediatica europea per forgiare un'immagine della vecchiaia che riconosca il contributo dato dagli anziani (compresi gli immigrati) alla vita sociale nel corso della loro vita e la dignità della loro condizione.

4.2   Misure a livello europeo

4.2.1

Istituzione di un gruppo di esperti sull'invecchiamento che si affianchi al gruppo di esperti della Commissione europea sulle questioni demografiche.

4.2.2

Creazione di un'Alleanza europea «Vivere attivamente la terza età», sul modello dell'Alleanza europea per le famiglie (36), allo scopo di incoraggiare l'idea dell'invecchiamento attivo negli Stati membri tramite lo scambio di esperienze e di promuovere la collaborazione e l'apprendimento reciproco nell'Unione europea. Questa Alleanza sarebbe nella posizione ideale per organizzare conferenze e seminari a livello europeo.

4.2.3   Creazione di un centro europeo per la ricerca sull'invecchiamento

Dalle relazioni sulla situazione corrente e sulle esperienze maturate si evince quali aspetti fattuali e quali specificità regionali richiedano ancora ulteriori ricerche (37). A ciò si aggiunga la necessità di sintetizzare le conclusioni dei precedenti programmi quadro di ricerca e dei dati statistici, come pure di diffondere tali conclusioni su più vasta scala e integrarle nelle politiche e nelle pratiche correnti (38). Per raccogliere, integrare e diramare i dati statistici e le altre informazioni pertinenti disponibili, sarebbe particolarmente opportuno creare un centro europeo di ricerca sull'invecchiamento sul modello del National Institute of Ageing statunitense.

4.2.4   Creazione di un asse interdisciplinare sull'invecchiamento nell'ambito dell'Ottavo programma quadro di ricerca

L'inserimento, nell'ambito dell'Ottavo programma quadro di ricerca, di un asse interdisciplinare sull'invecchiamento dotato di un bilancio a sé stante garantirebbe il raggruppamento delle attività di ricerca.

4.2.5   Allestimento di un portale Internet europeo comune

Un tale portale permetterebbe al pubblico, in particolare agli anziani, di accedere a tutte le misure delle singole direzioni generali in relazione al tema dell'invecchiamento. Il materiale informativo sarebbe consultabile attraverso i link corrispondenti.

4.2.6   Creazione di portali Internet locali, regionali e nazionali sul modello del portale Internet europeo

4.2.7   Sostegno al Fondo demografico nel quadro dei fondi strutturali (39)

Data la situazione particolarmente precaria delle regioni in cui la popolazione è in calo, il Fondo demografico europeo dovrebbe avere un effetto benefico soprattutto per le regioni rurali e per le regioni con un tasso di crescita inferiore alla media e promuovere buone iniziative.

4.2.8

Introduzione di nuove priorità nel programma per l'apprendimento permanente, per includervi la formazione di «accompagnatori» addetti a facilitare la transizione da una fase all'altra della vita.

4.3

Sulla base delle misure proposte, sarà possibile sviluppare approcci commisurati alle necessità per poter formulare proposte di interventi e misure politiche. Il CESE invita la Commissione a tenere conto di queste proposte nella comunicazione prevista.

Bruxelles, 18 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Cfr., ad esempio, la relazione informativa della sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza CES 930/99 fin e il documento di lavoro dei servizi della Commissione europea Il futuro demografico in Europa: dati statistici (trad. provv.), SEC(2007) 638 def.

(2)  Cfr. COM(2006) 571 def. del 12 ottobre 2006; SEC(2007) 638; EPC & EC (DG ECFIN): The impact of ageing on public expenditure (L'impatto dell'invecchiamento sulla spesa pubblica), Special Report n. 1/2006.

(3)  Cfr. tra l'altro: parere del CESE, del 16 dicembre 2004, sul tema Aumentare il tasso d'occupazione dei lavoratori anziani e differire l'uscita dal mercato del lavoro, relatore: DANTIN (GU C 157 del 28.6.2005), parere del CESE, del 28 ottobre 2004, sul tema Modernizzare la protezione sociale per sviluppare un'assistenza sanitaria ed un'assistenza a lungo termine di qualità, relatore: BRAGHIN (GU C 120 del 20.2.2005), parere del CESE, del 26 settembre 2007, sul tema I diritti del paziente, relatore: BOUIS (GU C 10 del 15.1.2008), parere del CESE, del 24 ottobre 2007, sul tema I maltrattamenti alle persone anziane, relatrice: HEINISCH (GU C 44 del 16.2.2008), parere del CESE, del 13 marzo 2008, sul tema Garantire l'accesso universale alle cure di lunga durata e la sostenibilità finanziaria dei sistemi di cura di lunga durata per gli anziani, relatrice: KLASNIC (GU C 204 del 9.8.2008).

(4)  Decisione della Commissione 2007/397/CE.

(5)  Cfr. http://ec.europa.eu/employment_social/families/index_en.html

(6)  Cfr. punto 4.5.2 del parere CESE, del 13 dicembre 2007, in merito alla Quarta relazione sulla coesione economica e sociale, relatore: DERRUINE (GU C 120 del 16.5.2008).

(7)  Cfr. i pareri CESE sul tema L'impatto dell'invecchiamento della popolazione in termini economici e di bilancio, relatrice: FLORIO (GU C 161 del 13.7.2007) e sul tema Le esigenze di ricerca nel campo dei cambiamenti demografici, relatrice: HEINISCH (GU C 74 del 23.3.2005).

(8)  Cfr. il parere CESE sul tema Una valutazione indipendente dei servizi di interesse generale, relatore: HENCKS (GU C 162 del 25.6.2008).

(9)  Cfr. i pareri CESE sul tema L'impatto e le conseguenze delle politiche strutturali sulla coesione dell'Unione europea, relatore: DERRUINE (GU C 93 del 27.4.2007) e sul tema L'agenda territoriale (GU C 168 del 20.7.2007).

(10)  Per esempio, le aree rurali di Francia, Spagna, Portogallo e Germania orientale, certe zone dell'Europa orientale e alcune aree rurali periferiche di Svezia e Finlandia; cfr. lo studio The Spatial Effects of Demographic Trends and Migration (Gli effetti sul territorio delle tendenze demografiche e della migrazione), ESPON project 1.1.4, relazione finale 2002.

(11)  Cfr. il parere CESE in merito al Libro verde — Verso una nuova cultura della mobilità urbana, relatore: HERNÁNDEZ BATALLER e correlatore: BARBADILLO LÓPEZ (GU C 224 del 30.8.2008); il parere della Piattaforma europea degli anziani (AGE) sul Libro verde in oggetto (COM(2007) 551 def.), http://ec.europa.eu/transport/clean/green_paper_urban_transport/index_en.htm, o ancora lo studio di Mollenkopf et al. (a cura di) Enhancing Mobility in Later Life — Personal Coping, Environmental Resources, and Technical Support (Migliorare la mobilità in tarda età: capacità di reazione personale, risorse ambientali e sostegno tecnico), Amsterdam, IOS Press, 2005.

(12)  Esempi di misure complementari volte a mantenere l'autonomia degli anziani esistono in Francia (Hautes Corbières, Conseil Général de Seine et Marne — Discours colloque Andass), Germania (Berlino e Francoforte sul Meno) e Regno Unito (Newcastle).

(13)  Cfr., ad esempio, la pubblicazione della DG SANCO Healthy Ageing: keystone for a sustainable Europe (L'invecchiamento attivo: la chiave di volta per un'Europa sostenibile),

http://ec.europa.eu/health/ph_information/indicators/docs/healthy_ageing_en.pdf.

(14)  Cfr. i pareri CESE 1447/2004, 1465/2007, 1256/2007 e la nota 3 del parere CESE 501/2008.

(15)  Ad esempio, in Finlandia (Preventive work in Jyväskylä — Finland.ppt) e in Francia (Poitiers.pdf, Strasbourg.pdf, Le Guide de l'Aidant familial).

(16)  Parere CESE sul tema Le esigenze di ricerca nel campo dei cambiamenti demografici, relatrice: HEINISCH (GU C 74 del 23.3.2005). Cfr. anche i pareri CESE sul tema I rapporti fra le generazioni, relatore: BLOCH-LAINÉ (GU C 157 del 28.6.2005), sul tema La famiglia e l'evoluzione demografica, relatore: BUFFETAUT (GU C 161 del 13.7.2007), sul tema Il ruolo delle parti sociali nella conciliazione della vita professionale, familiare e privata, relatore CLEVER (GU C 256 del 27.10.2007) e Promuovere la solidarietà fra le generazioni, relatore: JAHIER (GU C 120 del 16.5.2008).

(17)  Cfr., ad esempio, le attività dell'associazione fiamminga VVSG (Associazione fiamminga per l'invecchiamento — VVSG-Vergrijzing-GRV-2006.pdf) e dell'associazione svedese degli enti locali e regionali (Sweden — Care for the Elderly in Sweden Today.pdf).

(18)  Cfr., ad esempio, il programma modello del ministero federale tedesco per la Famiglia, gli anziani, le donne e i giovani Generationsübergreifende Freiwilligendienste (Servizi di volontariato transgenerazionali).

(19)  Direttiva 2000/78/CE.

(20)  L'esempio della Finlandia mostra come, attraverso incentivi positivi (anziché perdite finanziarie) e limiti flessibili di età (tra i 63 e i 68 anni) sia possibile strutturare il momento dell'abbandono della vita attiva in base alle esigenze individuali o allungare la vita lavorativa.

(21)  Cfr, ad es., G. Naegele e A. Walker, A Guide to Good Practice in Age Management («Guida alle buone prassi nella gestione dell'età»), Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, Dublino, 2006.

(22)  Il FSE finanzia ad esempio un progetto nel Regno Unito, che offre agli ex dirigenti ultracinquantenni la possibilità di consigliare e fornire consulenza e assistenza a giovani colleghi e laureati in più di 200 PMI.

(23)  Cfr. il parere CESE sul tema Le attività di volontariato, il loro ruolo nella società europea e il loro impatto, relatrice: KOLLER (GU C 325 del 30.12.2006).

(24)  Cfr. i pareri CESE in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma d'azione integrato nel campo dell'apprendimento permanente, relatore: KOERYFIDIS (GU C 221 dell'8.9.2005), in merito alle Competenze chiave per l'apprendimento permanente, relatrice: HERCZOG (GU C 195 del 18.8.2006) sulla costituzione del Quadro europeo delle qualifiche e dei titoli per l'apprendimento permanente, relatrice: RODRIGUEZ, del 30 maggio 2007 (GU C 175 del 27.7.2007), e in merito al Piano d'azione in materia di educazione degli adulti — È sempre il momento di imparare, relatrice: HEINISCH (GU C 204 del 9.8.2008).

(25)  Tale riconoscimento non pregiudica la direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali.

(26)  Ad esempio, in occasione di tirocini o attività di volontariato per persone anziane.

(27)  Si cita qui a esempio il progetto Transizione — Formazione per accompagnatori dei processi di formazione della prima infanzia, nel quadro del programma Socrates Grundtvig 1.1

(http://www.elternverein-bw.de).

(28)  Vedere la comunicazione della Commissione intitolata Educazione finanziaria (COM(2007) 808 def. del 18 dicembre 2007, pag. 7).

(29)  Al riguardo cfr., ad esempio, il progetto Travelagents

(www.travelagentsproject.org).

(30)  Al riguardo cfr., ad esempio, il progetto AAMEE

(http://ww.aamee.eu/).

(31)  Cfr., al riguardo, il sito della Rete europea di design per tutti e accessibilità elettronica (EDeAN):

http://www.edean.org/

(32)  La concessione di piccoli crediti potrebbe ad esempio rivelarsi utile per consentire agli anziani di fondare un'attività autonoma al momento del pensionamento o in caso di disoccupazione.

(33)  Cfr. il parere Persone anziane/Nuove TIC, relatrice: DARMANIN (GU C 234 del 30.8.2008), la relazione del Parlamento europeo RR/34694EN.doc, PE396.494v03-00, e il saggio di Malanowski, R. Özcivelek e M. Cabrera Active Ageing and Independent Living Services: The Role of Information and Communication Technology (Invecchiamento attivo e servizi per una vita autonoma: il ruolo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione), JRC Scientific and Technical report, Eur2436 En-2008.

(34)  Cfr., al riguardo, il piano d'azione Invecchiare bene nella società dell'informazione (COM(2007) 332 def.), il programma congiunto di ricerca domotica per categorie deboli (http://www.aal-europe.eu/), le attività di ricerca del Settimo programma quadro per la ricerca e lo sviluppo tecnologico (2007-2013) (http://ec.europa.eu/research/fp7/index_en.cfm) e il programma Seniorwatch 2 — Valutazione del mercato delle tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni rivolto agli anziani

(http://ec.europa.eu/information_society/activities/einclusion/research/ageing/index_en.htm).

(35)  Ad esempio nel Galles, sulla base dell'esperienza acquisita con il commissario per i minori, è stata istituita la figura del commissario per gli anziani, il cui compito è sorvegliare la politica e la legislazione in tale campo, proporre l'esecuzione di studi in materia e assegnare i relativi incarichi.

(36)  Cfr. http://ec.europa.eu/employment_social/families/european-alliance-for-families-de.html

(37)  Cfr., al riguardo, il parere CESE del 24 maggio 2000 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni — Verso uno spazio europeo della ricerca, (GU C 204 del 18.7.2000).

(38)  Raccomandazione del Sesto programma quadro per la ricerca. Cfr. il parere CESE sul tema Verso il Settimo programma quadro per la ricerca: Le esigenze di ricerca nel campo dei cambiamenti demografici — Qualità di vita degli anziani ed esigenze tecnologiche, relatrice: HEINISCH (GU C 74 del 23.3.2005).

(39)  Cfr. il regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio, dell'11 luglio 2006, recante disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo di coesione e che abroga il regolamento (CE) n. 1260/1999. Cfr. anche il parere sulla Quarta relazione sulla coesione economica e sociale, relatore: DERRUINE (GU C 120 del 16.5.2008).


31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/123


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Per un'evoluzione equilibrata dell'ambiente urbano: sfide e opportunità

(2009/C 77/27)

In data 25 ottobre 2007 Jean-Pierre JOUYET, sottosegretario di Stato incaricato degli Affari europei presso il governo francese, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, ha invitato il Comitato economico e sociale europeo, a nome della futura presidenza francese, a elaborare un parere esplorativo sul tema:

Per un'evoluzione equilibrata dell'ambiente urbano: sfide e opportunità.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 14 luglio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore VAN IERSEL e dal correlatore GRASSO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere all'unanimità.

AMBIENTE URBANO: SFIDE E OPPORTUNITÀ

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Le città, in tutta la loro varietà, sono al centro degli sviluppi demografici e socioeconomici che hanno luogo in Europa. L'impatto e i risultati che producono dipendono dalle loro dimensioni e dalla loro gamma di attività, come pure dalla qualità di vita e di lavoro sul loro territorio.

1.2

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) condivide le idee di fondo esposte nella Carta di Lipsia sulle città europee sostenibili e nell'Agenda territoriale dell'Unione europea (1). Osserva che diverse direzioni generali (DG) della Commissione e programmi e agenzie europee affrontano sempre più spesso il tema delle opportunità e delle sfide del contesto urbano, spesso con riferimento all'agenda di Lisbona. Un Libro verde sulla coesione territoriale è previsto per l'autunno del 2008.

1.3

È auspicabile un ulteriore approfondimento e ampliamento del dibattito europeo in merito alle città resilienti e sostenibili, e alle città-regione o aree metropolitane di tutta Europa. A questo fine il CESE consiglia di costituire un gruppo di alto livello dell'UE sul tema «Sviluppo urbano e sostenibilità».

1.4

In seno a questo gruppo di alto livello dovrebbe essere rappresentata una conoscenza approfondita degli interessi specifici delle città. Il Libro verde sulla coesione territoriale può essere un buon punto di partenza.

1.5

In collaborazione con la Commissione, cioè con il gruppo interservizi sulle questioni urbane, il gruppo di alto livello potrà contribuire a rendere più efficace e mirato il dibattito europeo sulle città, tra l'altro definendo una proposta di agenda e un elenco di questioni pertinenti per le città, le aree metropolitane e i governi  (2). Il dibattito poggerà quindi su nuove basi e la cooperazione tra Commissione e Consiglio verrà snellita dal punto di vista operativo. Il gruppo evidenzierà inoltre la responsabilità che è propria dei governi.

1.6

Poiché è essenziale disporre di dati affidabili, la Commissione e Eurostat potranno contribuire allo scopo estendendo le rilevazioni statistiche dei livelli NUTS (3) 3 e 2 ai dati riguardanti le città, le aree metropolitane e le rispettive reti. Per costruire banche dati adeguate sarebbe auspicabile prendere accordi con gli Stati membri, gli istituti statistici nazionali e i centri di ricerca (4).

1.7

L'ORATE (5) si trova in una posizione ideale come centro di analisi e di conoscenza, per il monitoraggio degli sviluppi e come piattaforma per gli scambi analitici tra gli Stati membri.

1.8

In diversi settori sono i governi centrali a porre le condizioni, ma il processo di attuazione e gli interventi concreti si svolgono per lo più a livello decentrato, ad esempio per quanto riguarda l'accessibilità interna ed esterna, l'ambiente, l'insegnamento scolastico, le condizioni di vita familiare, l'imprenditorialità, la conoscenza e la ricerca, l'occupazione, la migrazione, le minoranze e la diversità etnica e culturale, gli investimenti e i servizi pubblici, la capacità di attrarre investimenti (esteri), i partenariati pubblico-pubblico e pubblico-privato, compresi i finanziamenti privati, e così via.

1.9

L'Europa ha bisogno di città e di aree metropolitane ben attrezzate. La dinamica tecnologica e l'integrazione economica internazionale fanno sì che le città siano direttamente esposte alle tendenze e alla concorrenza internazionale. Non sorprende, e anzi è promettente, il fatto che molte città e aree metropolitane stiano definendo nuove aspirazioni. Le migliori tra di loro rappresentano infatti poli in cui si concentrano competenze e conoscenza a tutti i livelli e investimenti orientati al futuro.

1.10

A causa degli spostamenti demografici, delle migrazioni, delle esigenze ecologiche e delle ripercussioni dei cambiamenti economici globali, spesso le stesse città devono anche affrontare sfide rilevanti, che rischiano di gravare fortemente su di loro e a volte di dar vita a deplorevoli divisioni tali da pregiudicarne le prospettive favorevoli.

1.11

Poiché le città di tutta Europa manifestano tendenze e caratteristiche simili a prescindere dalle loro peculiarità culturali e socioeconomiche, un continuo dibattito e un approccio di livello europeo saranno tali da arricchire gli ambienti e i contesti nazionali. Al riguardo sarà proficuo ricorrere non solo ad analisi e alla definizione di approcci auspicabili, soprattutto analisi comparative e migliori prassi trasparenti nel campo degli approcci integrati, ma anche al metodo aperto di coordinamento.

1.12

Data la necessaria complementarità tra gli obiettivi e gli strumenti (giuridici, fiscali e finanziari) delle politiche di governo e l'attuazione regionale e locale di tali politiche, è probabile che nuove prospettive possano provenire da un dibattito di alto livello su una gamma di scenari, nonché da analisi ed esercizi comparativi, a prescindere dalle differenze culturali e istituzionali tra gli Stati membri.

1.13

Il CESE sottolinea la necessità che le DG della Commissione adottino consensualmente un approccio comune nei confronti delle città e delle aree metropolitane. La visibilità di un tale approccio comune dovrebbe anche indurre i governi nazionali a pervenire ad approcci urbani integrati, una richiesta, questa, che le città rivolgono spesso ai rispettivi governi e alla UE.

1.14

Le analisi e le operazioni di benchmarking dovranno concentrarsi su un'ampia gamma di aspetti ricapitolati nel punto 4.12: aspetti interconnessi di un'agenda per la coesione delle zone urbanizzate e per la città sostenibile di domani. Nell'insieme tali aspetti rispecchiano a livello regionale l'agenda di Lisbona, la quale offre un contesto quanto mai adeguato. Istituti ed enti pubblici e privati, oltre che diverse grandi città, stanno già facendo molto in questo senso, ma manca ancora un approccio globale, trasparente e coerente.

1.15

La maggior parte delle grandi città e delle aree metropolitane è di fronte a scelte complesse e difficili. Un impegno e un sostegno paneuropeo sul fronte delle analisi potrà certamente aiutarle ad affrontare le opportunità e le sfide. A titolo illustrativo, sarebbe auspicabile indire premi (annuali) o creare marchi europei relativi ai temi urbani. Vi sono eccellenti esempi in tutti i settori: urbanistica, progettazione edilizia, migrazione, minoranze e diversità, mobilità, tecnologia e mercato, progetti ecologici, risparmio energetico, edilizia residenziale di qualità ecc., esempi che andrebbero messi in risalto in tutta Europa.

1.16

La governance è una questione cruciale e molto problematica (6). Spesso si trascura o ci si dimentica di chiedersi chi sia competente e chi debba rispondere per che cosa. Per le città, qualità come la capacità di leadership, la visione e la coerenza sembrano in ogni caso premesse fondamentali (7).

1.17

In tutta Europa esistono complesse strutture amministrative, per lo più di lunga data, ma in genere non concepite per praticare moderne politiche regionali a lungo termine in zone densamente popolate. Per questo può essere quanto mai utile un dibattito europeo su come si possa dare maggiore efficacia alla governance multilivello. Lo stesso vale per le nuove forme di partenariato pubblico-pubblico e pubblico-privato nelle città, che sempre più si rivelano un indispensabile sostegno.

1.18

Un'agenda europea di lungo periodo, un impegno rafforzato da parte della Commissione e un monitoraggio a livello europeo possono essere utili per determinare una percezione coerente della direzione da seguire a livello regionale e delle città. L'agenda di Lisbona offre un quadro di riferimento. La coerenza è inoltre indispensabile per coinvolgere nei programmi e nei progetti altre parti interessate pubbliche e private e altri operatori urbani. Tra tali soggetti dovrebbero figurare scuole e istituti di formazione, istituti di istruzione superiore, architetti e urbanisti, parti sociali regionali, camere di commercio, imprese e costruttori, compresi enti privati, servizi sanitari, organizzazioni culturali e così via.

1.19

Un'agenda europea favorirebbe un nuovo modello di sviluppo policentrico ed equilibrato in Europa, dando vita a nuove forme di collettività vitali anche a beneficio della società nel complesso. Questo processo è in corso e, a giudizio del CESE, dovrebbe ottenere pieno riconoscimento e sostegno.

2.   Il contesto

2.1

Il paesaggio demografico mondiale sta cambiando. Dal 2007, per la prima volta nella storia, più della metà della popolazione mondiale vive in città. Il fenomeno della crescente urbanizzazione è presente in tutti i continenti e tende ad accentuarsi.

2.2

Oggi oltre l'80 % degli europei vive in aree urbane e gran parte della popolazione urbana vive in città e agglomerati con più di 500 000 abitanti. In diversi casi, inoltre, questi valori tendono a salire.

2.3

Alle aree metropolitane di Londra (Greater London) e di Parigi (Île-de-France) e alle tradizionali metropoli europee, per lo più capitali, si vanno ormai affiancando altri centri, spesso ambiziosi, che attraggono popolazione e attività economiche.

2.4

Le politiche europee tengono conto fino a un certo punto di questo spostamento demografico e delle sue conseguenze sociali ed economiche. Le città e l'urbanizzazione assumono una rilevanza sempre maggiore per diverse DG della Commissione, come Ricerca, Ambiente, Energia e trasporti, Imprese e industria, Occupazione, Affari sociali e pari opportunità. Anche la politica regionale europea si occupa di urbanizzazione, come dimostrano programmi urbani come Urbact, Jeremie e Jessica (8), e di progetti urbani finanziati dal Fondo sociale europeo (9). La Commissione ha costituito al suo interno un gruppo interservizi sulle questioni urbane.

2.5

Il quadro tracciato rispecchia il crescente interesse e le attività mirate degli stessi Stati membri per lo sviluppo dell'urbanizzazione e delle aree metropolitane.

2.6

Oltre a un numero crescente di studi e analisi sulle città e sull'urbanizzazione negli Stati membri, l'ORATE produce numerose carte geografiche che evidenziano le ultime tendenze demografiche e socioeconomiche.

2.7

Nel 1997 la Commissione ha adottato per la prima volta un approccio complessivo alle città, con la comunicazione La problematica urbana: orientamenti per un dibattito europeo  (10).

2.8

In una serie di riunioni interministeriali informali sullo sviluppo urbano e la coesione territoriale, svoltesi dal novembre 2004 (Rotterdam) al maggio 2007 (Lipsia), il Consiglio dei ministri competenti per lo sviluppo territoriale e le questioni urbane ha sottolineato la rilevanza dello sviluppo urbano e della coesione territoriale in Europa e identificato numerosi ambiti di interesse comune.

2.9

Nel maggio 2007, a Lipsia, questo processo ha dato vita alla Carta di Lipsia sulle città europee sostenibili e all'Agenda territoriale, a cui ha fatto concretamente seguito, durante la presidenza slovena, il progetto «Coordinamento territoriale-urbano».

2.10

Parallelamente alle riunioni interministeriali informali si sono intensificati anche i contatti e gli scambi tra funzionari nazionali di alto livello. Talvolta si invitano gli istituti di ricerca ad approfondire aspetti specifici dello sviluppo urbano (11).

2.11

Malgrado le analisi e gli elenchi delle zone che presentano un processo di urbanizzazione dinamico, resta poco chiaro quale sia l'approccio complessivo della Commissione e del Consiglio nei confronti dell'urbanizzazione e della sua futura evoluzione in Europa.

2.12

Nel febbraio del 2008 il Parlamento europeo ha adottato una Relazione sul seguito dell'Agenda territoriale e della Carta di LipsiaVerso un programma d'azione europeo per lo sviluppo spaziale e la coesione territoriale  (12). Questo documento sottolinea l'importanza di un approccio integrato alla pianificazione regionale e urbana per migliorare la capacità delle regioni e delle città di adattarsi al cambiamento economico, nell'interesse della qualità della vita dei cittadini europei.

2.13

Nel novembre del 2007 il Comitato delle regioni ha adottato un parere in merito alla Quarta relazione sulla coesione economica e sociale  (13), nel quale, «vista l'importanza cruciale delle città europee per il conseguimento degli obiettivi di Lisbona e per l'integrazione sociale — per es. degli immigrati — chiede che la Quinta relazione sulla coesione affronti la dimensione relativa alle città in una specifica sezione».

2.14

Si riscontrano differenze sostanziali tra le città europee: grandi o piccole, fortemente urbanizzate o meno popolate, caratterizzate da una varietà di paesaggi urbani quali, per esempio, i grandi centri e i raggruppamenti di città, ricche e meno sviluppate. Colpisce però anche un denominatore comune: l'esistenza di uno spontaneo movimento demografico verso i centri urbani e il fatto che le grandi città stanno diventando più attraenti dal punto di vista economico e che si trovano ormai ad affrontare problemi simili.

2.15

Il quadro completo delle opportunità e delle sfide diventa tanto più visibile in quanto, oggigiorno, un'urbanistica efficace non si limita alla pianificazione territoriale e abitativa, ma tiene esplicitamente conto anche di tutti i fattori socioeconomici collegati, nell'ambito di un approccio cosiddetto olistico. Vengono elaborati progetti urbanistici e di pianificazione sempre più rivolti al futuro in base a una concezione integrata degli aspetti territoriali, ecologici, economici e sociali.

2.16

I governi, tuttavia, anche se stanno favorendo lo sviluppo progressivo delle città, spesso adottano approcci ambigui. Le modalità di realizzazione dei processi di sviluppo e il grado di efficacia della loro gestione differiscono, a volte nettamente, da un paese all'altro e perfino da una città all'altra. Lo stesso vale sicuramente anche per lo sviluppo delle città-regione o delle aree metropolitane.

2.17

Il CESE ha espresso valutazioni generali sul processo di urbanizzazione fin dal 1998, nel suo parere sulla comunicazione La problematica urbana: orientamenti per un dibattito europeo, al quale hanno fatto seguito altri pareri, tra cui due specificamente dedicati al tema Le aree metropolitane europee: implicazioni socioeconomiche per il futuro dell'Unione, nel 2004 e nel 2007. Sempre nel 2007 è stato pubblicato un parere sull'agenda territoriale dell'UE. Diversi altri pareri del CESE vertono su settori specifici di interesse per le città e per l'urbanizzazione (cfr. allegato).

3.   Analisi ed evoluzione

3.1

Le città e il modo in cui le persone vivono in collettività rispecchiano i periodi storici e la corrispondente evoluzione della società.

3.2

Accanto a cause strategiche e politiche, le principali forze motrici che hanno plasmato le collettività, le città e le loro interconnessioni sono state l'economia e la sicurezza.

3.3

La storia moderna delle città europee prende il via con la loro formazione, sull'intero continente, da parte di società agricole ormai mature che si aprono alle attività economiche e commerciali. Le fasi successive dell'industrializzazione modificano le città esistenti e ne creano di nuove. Dalla fine del XIX secolo l'industrializzazione determina una crescita esponenziale di queste città. Nella maggior parte di esse la lunga evoluzione storica, tra l'altro, del patrimonio culturale, delle zone industriali e degli spazi abitativi è perfettamente visibile.

3.4

Negli ultimi decenni i tradizionali bacini industriali hanno subito modifiche radicali. Molti di essi hanno attraversato, e in certi casi continuano ad attraversare, una fase dolorosa di ristrutturazione dovuta alla graduale scomparsa dei tradizionali processi industriali.

3.5

Sono in atto nuovi processi innescati dalle dinamiche tecnologiche e dalla globalizzazione. Si assiste, da un lato, al passaggio dalla produzione di massa a produzioni su misura, alla specializzazione articolata e al rinnovamento continuo e, dall'altro, a una forte espansione del settore dei servizi. La mobilità cresce a dismisura e si verificano spostamenti demografici, tra l'altro, dalle zone rurali verso le città e conseguenti all'immigrazione.

3.6

Nel mondo occidentale l'ambiente degli esseri umani sta diventando infinito e virtuale e sta assumendo orizzonti molto ampi, gli stessi sviluppi che interessano anche l'ambiente fisico quotidiano di tutti i campi dell'attività umana.

3.7

Per molte persone quest'ambiente quotidiano non si limita più al loro paese o alla loro città bensì, sempre più spesso, si estende su entità regionali più ampie, il che dà luogo a un nuovo tipo di urbanizzazione.

3.8

Le città-rete o regioni-rete si stanno consolidando spontaneamente e/o per scelta, basti osservare gli sviluppi in atto nelle grandi città e nelle aree metropolitane europee. Nell'odierna società urbanizzata si registra l'emergere di una nuova realtà geografica, composta da zone di influenza economica dominanti e da un gran numero di sottozone che, di norma, non corrispondono più agli attuali enti amministrativi.

3.9

Un tratto essenziale di queste nuove città-regioni è la loro dimensione critica, necessaria per gestire correttamente l'urbanizzazione a beneficio di tutti i cittadini e della loro qualità di vita e di lavoro. Questa dimensione può variare molto da un caso all'altro a seconda di condizioni specifiche di ordine geografico, economico e demografico.

3.10

Dopo un decennio di ricerche e di dibattiti interni sulla «futura carta geografica» della Germania, nel 2004 sono state identificate 11 aree metropolitane classificate come zone di influenza economica dominanti. Nonostante reazioni inizialmente scettiche, l'idea è ora in fase di ulteriore sviluppo. La relazione e l'interdipendenza tra aree metropolitane e aree rurali è un tema di grande attualità.

3.11

Nello stesso periodo, in Francia, la DIACT (14) ha condotto degli studi che hanno consentito di identificare un certo numero di metropoli. Nel gennaio 2008 è stato presentato il documento programmatico Imaginer les métropoles d'avenir («Immaginare la metropoli del futuro») (15), che può stimolare un'ulteriore promozione di questi centri in Francia e l'adozione di una legislazione idonea allo scopo. Anche nel Regno Unito si sono svolte molte attività incentrate sulle città-regione.

3.12

Iniziative con finalità più o meno simili vengono prese da altri governi e/o enti locali e regionali. In contesti come i paesi scandinavi, i paesi baltici, l'Irlanda e l'Austria, esse riguardano soprattutto le città capitali e zone limitrofe, mentre nei Paesi Bassi si incentrano sulla conurbazione del Randstad. In paesi estesi come la Spagna, l'Italia e la Polonia, invece, stanno sorgendo diversi centri dominanti.

3.13

Accanto ai centri dominanti va emergendo una trama di sottocentri che fa dell'urbanizzazione, per quanto non certo diffusa in modo uniforme sul continente, una caratteristica saliente del paesaggio europeo.

3.14

Gli attuali sviluppi sociali ed economici stanno dando vita a un'Europa policentrica e urbanizzata che non sarà più ristretta a un'area geografica limitata, come la tradizionale «banana blu», o a un gruppo esclusivo di città capitali.

4.   Opportunità e sfide

4.1

Un interrogativo cruciale è come sarà, e come dovrà essere, la città sostenibile dell'Europa di domani per essere una collettività attraente agli occhi dei suoi cittadini? Ai fini di un dibattito europeo sulla complessa evoluzione urbana, vanno distinti un certo numero di fattori e di tendenze dominanti che spesso abbracciano realtà diverse, all'interno di grandi città o città-regioni o fra di esse, in tutta Europa.

4.2

Si tratta fra l'altro dei seguenti fattori e tendenze:

cambiamenti demografici, tra cui:

l'invecchiamento della popolazione,

le città come poli di attrazione di giovani professionisti,

la crescente diversità etnica e culturale a seguito dell'immigrazione,

identificazione dei raggruppamenti di città e comuni come città-rete e regioni-rete o come aree metropolitane,

trasporti e mobilità: crescente interconnessione delle zone di influenza economica in tutta Europa e oltre,

investimenti e sedi di gruppi internazionali, compresi anche i servizi alle imprese,

numero crescente di centri di ricerca e di conoscenza,

ascesa di nuovi comparti industriali e del terziario, e accento sulla creatività,

mercati del lavoro dinamici e in evoluzione,

sviluppo di portali,

edilizia residenziale moderna e un corrispondente assetto territoriale,

instaurarsi di nuove alleanze all'interno delle aree urbanizzate,

rilancio dei centri cittadini e riduzione dell'espansione urbana,

tempo libero ed eventi,

accento sulla cultura (incluso il patrimonio storico e naturale) e sulle strutture culturali.

4.3

Nel frattempo i problemi esistenti nelle città si aggravano ed emergono nuove sfide:

sostenibilità, aspetti ambientali ed energia,

spopolamento dei centri cittadini,

limitazione dell'estensione degli spazi pubblici urbani e sfide legate alla loro qualità,

infrastrutture, sistemi di trasporto e accessibilità,

gestione della mobilità,

sfide per i lavoratori scarsamente qualificati: lavoro, istruzione, alloggio,

sfide derivanti dall'invecchiamento della popolazione,

imprenditorialità carente, soprattutto nelle aree depresse,

migrazione illegale,

istruzione e competenze,

pianificazione territoriale sbagliata o trascurata in una fase precedente, per es. periferie degradate,

sacche di emarginazione e criminalità,

rischio di terrorismo.

4.4

Il paesaggio demografico delle grandi città e delle aree metropolitane rappresenta spesso una sfida, ma offre anche una serie di opportunità. La situazione cambia da città a città e dipende non solo dalla composizione della popolazione e dalle opportunità economiche, ma anche dalle politiche nazionali. L'attuazione di efficaci politiche integrate nei paesi ospitanti porta in genere a un (più) alto grado di integrazione.

4.5

Il rapporto tra zone rurali e città è un vero problema. Ben diversamente dall'opinione popolare e politica generalmente accettata, e dalla percezione spesso invalsa di una opposizione tra città e campagna, tra «noi» e «loro», un rapporto armonioso tra le zone rurali e le città è cruciale per le condizioni di vita e di lavoro all'interno delle aree metropolitane. Tutto ciò è in perfetta sintonia con il nuovo modello di sviluppo policentrico.

4.6

Sebbene i punti di partenza delle città possano essere diversi, per via di livelli di sviluppo divergenti, la maggior parte delle differenze, in realtà, sono sfumate. Essenzialmente gli schemi di urbanizzazione dei nuovi Stati membri sono espressione degli stessi fenomeni, anche se per ora con un certo scarto. Rinnovare costituisce uno degli obiettivi principali. Poiché la crescita economica si tradurrà in un aumento della spesa pubblica, degli investimenti privati e dei livelli di reddito, l'urbanizzazione presenterà man mano le stesse caratteristiche in tutta l'Europa.

4.7

Nei documenti programmatici e nei progetti presentati in materia di urbanizzazione, la Commissione fa ormai sistematicamente riferimento all'agenda di Lisbona, collegamento — questo — evidenziato sempre di più anche nei documenti del Consiglio e degli Stati membri. Negli orientamenti strategici comunitari la Commissione da un lato definisce le città «motori dello sviluppo regionale e centri dell'innovazione», ma dall'altro sottolinea la necessità di accrescere la coesione interna, contrastando l'esclusione sociale e la criminalità, e di migliorare la qualità della vita nei quartieri poveri.

4.8

L'agenda di Lisbona ha preso il via come processo calato dall'alto. Nel frattempo, però, la Commissione e il Consiglio si sono convinti che vadano attivate anche forze provenienti dal basso. Tra queste forze, molto importanti sono le città in pieno sviluppo: una parte decisiva della modernizzazione delle strutture socioeconomiche e territoriali europee viene svolta mediante investimenti pubblici e privati e provvedimenti concreti, nelle regioni e nelle città. In genere le città sono il livello geografico più adatto a far interagire i settori pubblico, privato e universitario, da un lato, e la società civile, dall'altro, al fine di creare quell'innovazione di cui l'Europa ha bisogno.

4.9

Il CESE è quindi dell'idea che le grandi città e le aree metropolitane debbano identificare la propria agenda di Lisbona nei settori della competitività, dello sviluppo sostenibile, della coesione sociale e dell'inclusione. Una siffatta agenda dovrebbe offrire ai decisori politici e a tutte le altre parti interessate a livello regionale una struttura rivolta al futuro e un programma di lungo periodo. Così facendo, promuoverà la fiducia in se stesse delle città e delle città-regione, accrescendone la capacità espressiva sul piano nazionale e internazionale.

4.10

Nelle zone europee più densamente popolate servirà un'agenda regionale di lungo periodo a carattere integrato o olistico, cioè in grado di collegare tra loro tutti gli aspetti. Quanto migliori saranno le condizioni per gli investimenti privati, tanto maggiori saranno le possibilità di creare posti di lavoro e prestare servizi pubblici e assistenza a categorie vulnerabili come gli anziani (soli) e i lavoratori scarsamente qualificati (16). Un'attenzione mirata e specifica alla sostenibilità e alla qualità generale dell'ambiente edificato concorrerà ad accrescere l'attrattiva di tali città e regioni per la popolazione oltre che per gli investitori (internazionali). Il miglioramento delle normative a sostegno della coesione sociale faciliterà la creazione di posti di lavoro. Conferendo alle strategie un carattere globale e continuativo se ne accrescerà la credibilità agli occhi della popolazione (17).

4.11

Inoltre, si dovrebbe tenere presente che i mercati spesso non funzionano a causa di costrizioni spaziali legate agli alloggi, alla politica di sviluppo, alle infrastrutture, ai trasporti e alla mobilità. La soluzione a tali costrizioni va trovata di norma a livello metropolitano. L'integrazione dei mercati può anche rendere obsoleti i confini nazionali (18).

4.12

Gli aspetti interconnessi di un'agenda per zone urbanizzate di qualità e coese e per la città sostenibile di domani sono i seguenti:

creazione delle premesse per uno sviluppo economico in linea con i tempi, che tenga conto delle PMI oltre che degli investimenti e delle sedi dei gruppi internazionali; promozione del clustering economico,

corretta attuazione delle normative europee e semplificazione delle norme regionali e locali,

politiche del lavoro e dialogo sociale regionale,

istruzione e formazione a tutti i livelli e per tutte le categorie, compresi l'apprendimento permanente, i percorsi scuola/lavoro e l'e-learning,

condizioni di vita favorevoli alle famiglie, per es. servizi di custodia dell'infanzia a prezzi contenuti,

R&S, cioè strutture di ricerca, campus tecnologici e parchi scientifici, innovazione,

infrastrutture fisiche:

partecipazione alle reti transeuropee,

gestione della mobilità (19),

sistemi di trasporto pubblico multimodale,

partenariati pubblico-privato, compresi i finanziamenti privati,

infrastrutture virtuali:

telecomunicazioni,

TIC come requisito fondamentale e diffusione della banda larga e dell'interconnettività,

sviluppo sostenibile:

attuazione delle politiche ambientali,

prevenzione degli aspetti negativi dell'espansione urbana, promozione della densità urbana,

ambiti specifici quali la gestione dei rifiuti, la gestione idrica e l'efficienza energetica, per es. nell'edilizia e negli alloggi, nei trasporti (pubblici), mediante la tariffazione stradale, ecc.

coesione sociale (20):

urbanistica e architettura sostenibili,

edilizia popolare per le fasce più bisognose,

servizi di interesse pubblico (sanità, istruzione e sicurezza) di pari livello nell'intera regione,

reti di trasporto pubblico nell'intera regione, compresi i collegamenti con i quartieri depressi,

attenzione specifica alla diversità etnica e culturale e al dialogo interculturale,

soppressione delle barriere che complicano la vita di una parte dei cittadini — in particolare le persone anziane e i disabili,

interventi pubblici per ridurre l'alto tasso di disoccupazione tra i giovani dei quartieri poveri: istruzione, nuove attività economiche, promozione dell'imprenditorialità, eventi,

cultura, strutture culturali, eventi,

sport e tempo libero,

turismo,

promozione di un'identità regionale collettivamente sentita.

4.13

Per la città e la città-regione di oggi è decisiva una Baukultur  (21) all'avanguardia, cioè una concezione complessiva dell'architettura imperniata su un approccio olistico in cui architetti, urbanisti, progettisti, il settore edilizio, i costruttori e gli utenti finali lavorino insieme per creare e mantenere un ambiente edificato di qualità e per trovare soluzioni che rendano le città sostenibili (22).

5.   Urbanizzazione e governance

5.1

L'Europa ha bisogno di città resilienti e sostenibili e di città-regione o aree metropolitane in grado di presentarsi sulla scena internazionale.

5.2

Ciò colloca la governance in cima all'agenda politica. Anche se vi è un ampio consenso sull'analisi delle opportunità e delle sfide e gli scambi di vedute tra le città sono sempre più frequenti, al di là delle condizioni specifiche delle singole città è tuttora poco chiaro chi, in situazioni concrete, sia competente per che cosa:

è auspicabile che si adotti una definizione condivisa di grande città e di città-regione (23),

la divisione del lavoro tra i governi nazionali e le grandi città o aree metropolitane e le aspettative riposte in queste ultime variano considerevolmente,

nei paesi in cui le questioni urbane sono di competenza di più di un ministero si creano spesso confusione e malintesi,

il ruolo della Commissione andrebbe definito,

spesso le barriere amministrative che caratterizzano la governance regionale o locale ostacolano l'attuazione degli interventi necessari,

un governo multilivello insoddisfacente causa spesso problemi complessi,

ci sono spesso differenze significative nel modo in cui le città comunicano con la loro popolazione e con i soggetti di valore, e organizzano la «democrazia partecipativa»,

il ruolo delle organizzazioni non governative specializzate, per es. nei settori degli «alloggi», dell'istruzione, delle minoranze, delle imprese e così via, è spesso definito in modo vago, così come la misura in cui le città e le città-regione ne traggono beneficio,

non sempre vi è un approccio coerente ai partenariati pubblico-pubblico e pubblico-privato a favore di programmi urbani, investimenti decisivi e soluzioni creative,

serve un approccio di lungo periodo per la città sostenibile di domani,

la trasparenza e la legittimità sono strumenti indispensabili per le strategie di lungo periodo.

5.3

L'esperienza mostra che la capacità di leadership, la visione e la coerenza sono di norma le tre premesse per una gestione efficace dei cambiamenti e per un progresso costante delle città.

5.4

Dato che le grandi città e le aree metropolitane rappresentano un polo di attrazione e l'ambiente quotidiano per così tante persone, e che la loro potenziale rilevanza socioeconomica per l'Europa non è in discussione, il CESE ritiene necessario un approfondito dibattito sul loro impatto complessivo a livello non solo nazionale, ma anche europeo.

5.5

Poiché fino a poco tempo fa il Trattato non comprendeva disposizioni sullo sviluppo territoriale, oltre che per effetto della sussidiarietà, il ruolo della Commissione e del Consiglio non sono mai stati chiariti. Nel frattempo, consultandosi direttamente con le città, sempre più spesso le DG della Commissione portano avanti un'ampia gamma di progetti nelle aree urbanizzate: gli ambiti interessati sono la R&S, l'ambiente, l'occupazione e i trasporti (24).

5.6

Le città tendono anche a diventare più proattive nei confronti di Bruxelles perché la legislazione europea le tocca da vicino. I temi interessati sono le normative ambientali, gli appalti pubblici, la disoccupazione giovanile, l'ordine pubblico e la sicurezza, la migrazione e le aree depresse.

5.7

Lo stesso vale per l'agenda di Lisbona nel suo complesso. I criteri europei per i vari settori sono sempre più vagliati in vista di una loro applicazione regionale: quali sono gli effetti dell'attuazione delle proposte e/o delle normative adottate sul piano urbano e metropolitano? Gli esempi mostrano che, se non si tiene conto delle specifiche circostanze urbane, i costi d'attuazione possono risultare maggiori dei benefici derivanti dai contributi erogati ai progetti a titolo dei fondi strutturali.

5.8

Su questo sfondo il CESE accoglie con favore l'iniziativa della Commissione europea di presentare a breve un Libro verde sulla coesione territoriale. Il dibattito sul Libro verde costituirà anche l'occasione per approfondire la Carta di Lipsia sulle città europee sostenibili.

5.9

L'agenda delineata al punto 4.12 darà molto lavoro. Di solito, infatti, le situazioni che si incontrano sono oltremodo complesse. Finora, solo in pochi casi sono state definite prospettive strategiche coerenti sulle grandi città e sulle città-regione. In molti casi manca la chiara percezione di una direzione comune, anche a causa delle posizioni ambigue assunte dai governi e delle opinioni divergenti esistenti all'interno delle amministrazioni nazionali e allo stesso livello metropolitano.

5.10

D'altra parte una visione di lungo periodo e una certa coerenza, a livello di area metropolitana, sono indispensabili per accrescere l'impegno delle collettività esistenti e, in definitiva, di quelle nuove, per le parti interessate private e per la formazione di alleanze vantaggiose all'interno della società civile organizzata. Al momento ciò sembra tanto più difficile in quanto il concetto di «area metropolitana» è piuttosto recente, cosa che rende ancora più auspicabile un dibattito proficuo sull'argomento in Europa (25).

5.11

Ciò non significa che tutti i casi siano simili, anzi. A parte le differenze demografiche e socioeconomiche esistenti sul territorio europeo, si riscontra tutta una serie di tradizioni amministrative e culturali diverse tra paesi e regioni. Le situazioni concrete, gli stili di vita e le opinioni in materia organizzativa variano notevolmente. In alcuni casi è stata decisiva la presenza di un'unica idea o visione portante per il futuro. Più in generale, può darsi che l'agenda di Lisbona sia utile per identificare punti in comune per il dibattito e per l'approccio da adottare.

5.12

Spesso il governo centrale non lascia alle città un margine di manovra sufficiente perché possano determinare il loro destino. Le politiche sono in gran parte calate dall'alto, così come le procedure burocratiche. Promuovendo l'autodeterminazione, invece, si potrebbero creare le condizioni giuste per applicare strategie e politiche sufficientemente auspicabili. Ridefinendo la posizione delle grandi città e delle città-regione o delle aree metropolitane, queste ultime potrebbero diventare vere e proprie «collettività responsabili».

5.13

L'autodeterminazione e il rispetto reciproco tra le città e il loro ambiente circostante stimolerà gli enti locali e regionali ad assumere le loro responsabilità e a render conto del loro operato, e contribuirà a diffondere un auspicabile atteggiamento proattivo nella società civile e nel settore privato.

5.14

Ai fini di una maggiore efficacia, in molti casi sarà necessario ridisegnare gli attuali enti amministrativi locali e regionali (comuni ecc.) e le loro competenze.

5.15

La popolazione delle città europee potrebbe diversificarsi ancora di più, sotto il profilo sia dell'occupazione e del reddito che della cultura. Tutti gli ingredienti necessari per un'urbanizzazione più ricca sono potenzialmente presenti, sennonché, se non si gestiranno i processi correttamente, le potenzialità esistenti non saranno sfruttate e si rischierà di minare la coesione della società.

5.16

Tenere dibattiti mirati, definire programmi di azione e attuare un monitoraggio efficace a livello europeo possono essere interventi quanto mai utili per determinare, a livello regionale, una percezione coerente della direzione da seguire. Tale coerenza non solo è necessaria per i soggetti pubblici, ma risulterà indispensabile anche per coinvolgere altre parti interessate pubbliche e private e altri operatori urbani.

Bruxelles, 17 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Carta di Lipsia sulle città europee sostenibili e Agenda territoriale dell'Unione europea — Verso un'Europa della diversità regionale più competitiva e sostenibile, adottate in occasione della riunione interministeriale informale in materia di sviluppo urbano svoltasi a Lipsia il 24-25 maggio 2007.

(2)  Per il contenuto di tale agenda si potrebbe usare come criterio guida ciò che il sottosegretario di Stato francese all'Assetto territoriale FALCO ha dichiarato il 16 luglio 2008 alla commissione REGI del Parlamento europeo: «… in collaborazione con i responsabili politici locali, intendiamo elaborare un sistema di riferimento comune per città sostenibili e solidali. Si tratterà, più concretamente, di lanciare un processo condiviso per l'elaborazione di criteri e indicatori comuni in grado di dare un contenuto operativo alle raccomandazioni della Carta di Lipsia».

(3)  Nomenclatura delle unità territoriali statistiche stabilita da Eurostat. NUTS 2: da 800 000 a 3 000 000 abitanti; NUTS 3: da 150 000 à 800 000 abitanti.

(4)  L'istituto di ricerca olandese TNO ha sviluppato un sistema di monitoraggio di un'ampia gamma di variabili a livello metropolitano: demografia, economia (valore aggiunto, produttività del lavoro) mercato del lavoro (occupazione, istruzione, forza lavoro), ambiente (qualità dell'aria), infrastrutture, mercato degli uffici, turismo ecc. I dati utilizzati provengono da Eurostat e da altre fonti e confrontano la conurbazione olandese del Randstad con altre 19 grandi metropoli europee nel periodo 1995-2006. I dati di Eurostat sono resi compatibili con quelli dell'OCSE e aggiornati di anno in anno. In tale esercizio di monitoraggio potrebbero rientrare anche altre aree metropolitane.

(5)  Osservatorio in rete dell'assetto del territorio europeo.

(6)  Cfr. la sezione 5 del presente parere.

(7)  Al riguardo, lo sviluppo determinato di Bilbao negli ultimi venti anni rappresenta un esempio impressionante e convincente.

(8)  Urbact II (2007) fa parte dell'iniziativa della Commissione Regioni per il cambiamento economico, finalizzata all'attuazione della strategia di Lisbona-Göteborg. Jeremie, ovvero Migliore accesso ai finanziamenti per le PMI (2005), è un'iniziativa congiunta della Commissione europea, della Banca europea per gli investimenti e del Fondo europeo per gli investimenti. Jessica, acronimo inglese di Sostegno europeo congiunto per investimenti sostenibili nelle aree urbane (2006), è un'iniziativa congiunta della Commissione europea, della Banca europea per gli investimenti e della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa.

(9)  Cfr. anche il documento Guide to the urban dimension of Community policies 2007-2013 («Guida alla dimensione urbana delle politiche comunitarie 2007-2013»), realizzata dal gruppo interservizi della Commissione sullo sviluppo urbano.

(10)  COM(97) 197 def., GU C 226 del 20.7.1998, pag. 36.

(11)  Degno di nota al riguardo è il progetto messo a punto dalla sezione olandese dello European Urban Knowledge Network, gestito dal Nicis Institute in cooperazione con gli Stati membri, riguardo agli strumenti di governo, giuridici e fiscali atti a promuovere le città sostenibili. Si tratta di un progetto realizzato nel quadro della presidenza francese su richiesta della Délégation Interministérielle de la Ville. Lo European Urban Knowledge Network è un'organizzazione di rete cui partecipano 16 Stati membri.

(12)  P6_TA-PROV(2008)0069.

(13)  CdR 97/2007 fin.

(14)  Delegazione interministeriale per l'assetto e la competitività territoriale (ex DATAR).

(15)  Si tratta di un rapporto del deputato francese Dominique Perben, ex ministro dei Trasporti, commissionato dal presidente della Repubblica Sarkozy e dal primo ministro Fillon. Perben propone una diagnosi dei processi di urbanizzazione e metropolizzazione in Europa e in Francia, seguita dall'enumerazione di «sfide e azioni» per le grandi città e le città-regione francesi con oltre 500 000 abitanti. Presenta inoltre 19 proposte concrete sul piano operativo e legislativo. Il tema sarà sollevato anche durante la presidenza francese dell'UE (secondo semestre 2008).

(16)  Convegno della DG Occupazione, affari sociali e pari opportunità sul tema Harnessing an Entrepreneurial Spirit for Inclusive Local Employment Development («Imbrigliare lo spirito imprenditoriale per uno sviluppo inclusivo dell'occupazione locale»), 25 aprile 2008.

(17)  In Germania un'area metropolitana di nuova concezione è definita neue Verantwortungsgesellschaft, cioè «nuova collettività responsabile», cfr. il saggio di Manfred Sinz (ministero federale dei Trasporti, dell'edilizia e dell'urbanistica) From Metropolitan Regions to Communities of Responsibilities («Dalle regioni metropolitane alle collettività responsabili»).

(18)  Ne è un esempio la capacità di assorbimento del mercato finanziario di Londra. In un altro contesto si potrebbero menzionare i casi di regioni come Lilla-Courtrai, Copenaghen-Malmö e Vienna-Bratislava.

(19)  Cfr. anche il Libro verde della Commissione Verso una nuova cultura della mobilità urbana, COM(2007) 551 def.

(20)  Il tema è approfondito nella relazione del governo francese Une Nouvelle Politique pour les Banlieues («Una nuova politica per le periferie»), presentata al Palazzo dell'Eliseo l'8 febbraio 2008. La relazione formula una serie di proposte dirette a contrastare il rischio della creazione di ghetti urbani: in particolare, presenta iniziative statali e regionali/locali in materia di istruzione, formazione, creazione di posti di lavoro e imprenditoria nei quartieri poveri. La presidenza francese ha in programma diversi convegni europei su questa problematica.

(21)  Baukultur as an impulse for growth. Good examples for European CitiesBaukultur come incentivo alla crescita: buoni esempi per le città europee»), studio pubblicato nell'aprile 2007 dal ministero federale tedesco dei Trasporti, dell'edilizia e dell'urbanistica.

(22)  Convegno del Consiglio europeo degli architetti sul tema Designing for the Future: Architecture and Quality of Life («Progettare per il futuro: architettura e qualità della vita»), Bruxelles, 10 aprile 2008.

(23)  Un utile esempio è anche la definizione di Metropolitan Statistical Area (MSA) negli Stati Uniti, unità amministrativa già nota, dal 1959, come Standard Metropolitan Statistical Area.

(24)  Un esempio eloquente è la relazione della DG Politica regionale Regions and Innovation («Regioni e innovazione») del marzo 2007, riguardante un'ampia gamma di progetti.

(25)  Anche i consigli economici e sociali (CES) di livello nazionale o regionale possono svolgere un ruolo positivo, come illustra la relazione sul futuro della conurbazione olandese del Randstad presentata dal CES dei Paesi Bassi nell'aprile 2008:

http://www.ser.nl/~/media/Files/Internet/Talen/Engels/2007/2007_04.ashx


31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/131


Parere del Comitato economico e sociale europeo L'economia dell'UE: Rassegna 2007 — Spostare più avanti la frontiera della produttività in Europa

(2009/C 77/28)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 gennaio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

L'economia dell'UE: Rassegna 2007 — Spostare più avanti la frontiera della produttività in Europa.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 giugno 2008, sulla base del progetto predisposto del relatore MORGAN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 108 voti favorevoli, 4 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il presente parere è l'ultimo di una serie di pareri che il CESE ha dedicato ai temi della governance economica nell'UE e poggia sulla comunicazione della Commissione L'economia dell'UE: Rassegna 2007Spostare più avanti la frontiera della produttività in Europa COM(2007) 721 def.

1.2

La Rassegna 2007 parte dalla constatazione che, benché l'Unione europea sia una delle economie più avanzate e produttive al mondo, permane tuttavia uno scarto significativo nel tenore di vita, misurato dal PIL, tra l'UE e l'economia più avanzata del mondo, gli Stati Uniti. La causa principale di questa situazione è l'andamento divergente della produttività in alcuni settori industriali e Stati membri.

1.3

Se i dati relativi agli Stati Uniti forniscono un utile termine di paragone per valutare le prestazioni relative dei singoli Stati membri, il presente parere punta innanzitutto a confrontare tra loro gli Stati membri dell'UE. Alcuni fattori quali i modelli sociali, l'orario di lavoro e il tasso di attività riguardano il confronto con gli Stati Uniti, ma non sono questi gli aspetti che interessano ai fini del presente parere, che affronta semplicemente la questione del perché alcuni paesi dell'UE creino più ricchezza e più occupazione di altri.

1.4

L'idea centrale della relazione della Commissione è che l'attuazione dell'agenda di Lisbona contribuirà allo stesso tempo a incrementare sia l'occupazione che la prosperità. Alcune politiche fondamentali possono dare un contributo significativo in questo senso. Esse devono perseguire i seguenti obiettivi:

promuovere livelli più elevati d'investimento in R&S,

creare istituti di ricerca e di istruzione di livello internazionale in stretta collaborazione con l'industria,

creare un mercato unico aperto, competitivo e perfettamente funzionante,

promuovere un approccio integrato per rafforzare sia la flessibilità che la sicurezza nel mercato del lavoro (il CESE ricorda che tale approccio deve essere oggetto di negoziato tra le parti sociali),

migliorare la qualità delle finanze pubbliche.

1.5

Queste politiche diventano ancor più pertinenti alla luce dei cambiamenti all'economia globale che sono emersi dal Consiglio UE di Lisbona del 2000. Le nuove sfide comprendono non solo l'attuale crisi finanziaria, ma l'equilibrio della domanda e dell'offerta per i combustibili fossili, i dati sui cambiamenti climatici, la crescente scarsità di prodotti alimentari e la domanda in aumento di materie prime in generale. Tali questioni rendono gli investimenti nella R&S e una ricerca di livello mondiale ancora più fondamentali e mettono in evidenza la necessità di un mercato unico competitivo sostenuto da disposizioni efficaci di flessicurezza nel mercato del lavoro e da finanze pubbliche sane.

1.6

I fattori macroeconomici sia dal lato della domanda che dell'offerta sono stati oggetto di un'analisi approfondita nei precedenti pareri sulla governance economica citati nell'introduzione, in cui il CESE ha sottolineato che le misure dal lato dell'offerta per migliorare la competitività devono essere accompagnate da un mix di politiche macroeconomiche che sostenga i redditi, la domanda e l'occupazione. Scopo del presente parere è quello di mostrare che, nonostante l'importanza dei fattori connessi alla domanda, esiste una correlazione significativa tra le riforme del lato dell'offerta proposte dall'agenda di Lisbona e la crescita del PIL.

1.7

Secondo la tabella di valutazione di Lisbona 2007 (Lisbon Scorecard) (1), pubblicata di recente, i sette paesi che hanno ottenuto i risultati migliori sono, nell'ordine, Danimarca*, Svezia*, Austria*, Paesi Bassi*, Finlandia*, Irlanda* e Regno Unito* seguiti da Germania e Francia (2). Tra i nuovi Stati membri conducono la classifica Slovenia* ed Estonia*. I paesi dell'Europa a 15 più in basso nella classifica sono Spagna, Grecia, Portogallo e Italia. I Paesi Bassi, l'Austria e l'Estonia sono segnalati per l'attuazione complessivamente più efficace della strategia di Lisbona, mentre la Grecia e l'Italia risultano i paesi meno efficaci. In che modo il fatto di avere conseguito i migliori risultati nell'attuazione del programma di Lisbona incide sulla produttività e sull'occupazione?

1.8

Sebbene entrino in gioco molti altri fattori pertinenti, il presente parere giunge alla conclusione che esiste una stretta correlazione tra l'attuazione della strategia di Lisbona e l'aumento dell'occupazione e del PIL pro capite. In linea generale vale anche il contrario e cioè che i paesi che non sono riusciti ad attuare le riforme di Lisbona fanno registrare risultati tendenzialmente peggiori. Sulla base di queste conclusioni il CESE incoraggia gli Stati membri ad attuare quanto prima il programma di Lisbona nella sua totalità.

1.9

Occorre mettere in rilievo l'importanza di ciascun elemento nel programma. Il CESE attende con particolare impazienza di vedere maggiori investimenti nella conoscenza, nell'istruzione e nella R&S. Non vi è dubbio che la concorrenza stimoli l'innovazione e quindi le economie dell'UE devono affrontare la concorrenza per raccogliere le sfide della globalizzazione. La riallocazione dei fattori di produzione dalle industrie e dei settori in declino verso industrie e settori emergenti e in espansione è necessaria per massimizzare la produttività delle economie degli Stati membri. Ciò implica, a sua volta, la destinazione di risorse alla flessicurezza da parte degli Stati membri. Infine, è chiaro che i risultati economici degli Stati membri dipendono largamente dalla buona gestione delle finanze pubbliche.

1.10

Nel parere presentato dal CESE al Consiglio di Lisbona nel marzo 2000 (3), si legge: «Il Comitato è convinto che l'Europa disponga dell'innovazione, della creatività, delle conoscenze e delle imprese necessarie per eccellere nel nuovo modello. Ma queste capacità devono essere mobilitate. Gli ostacoli devono essere trasformati in opportunità. Le sanzioni devono essere trasformate in incentivi. L'ultimo decennio ha visto la liberalizzazione delle industrie europee: adesso è il momento di liberare le energie dei cittadini europei, uomini e donne». Nel 2008 resta ancora molto da fare per raggiungere questi obiettivi, ma l'agenda di Lisbona è la strada da seguire.

2.   Introduzione

2.1

Il presente parere è l'ultimo di una serie di pareri che il CESE ha dedicato ai temi della governance economica nell'UE e si basa sulla comunicazione della Commissione L'economia dell'UE: Rassegna 2007Spostare più avanti la frontiera della produttività in Europa COM(2007) 721 def. Il parere precedente del settembre 2007 aveva analizzato la Rassegna 2006Rafforzare l'area dell'euro: le principali priorità politiche.

2.2

Nel presente parere il CESE cerca di mettere in relazione la crescita dell'occupazione negli Stati membri e il loro PIL pro capite con le diverse raccomandazioni politiche contenute nella comunicazione della Commissione. Sotto questo aspetto il parere si differenzia dal precedente parere relativo alla Rassegna 2006, che analizzava le situazioni socioeconomiche nazionali e gli obiettivi politici divergenti che orientano le azioni dei singoli Stati membri.

2.3

In pareri ancora anteriori, risalenti all'ottobre (4) e al febbraio 2006 (5), il CESE aveva esaminato i gli indirizzi di massima per le politiche economiche 2005-2008, mentre nel marzo 2004 aveva emesso il suo parere sugli indirizzi di massima per le politiche economiche 2003-2005 (6). Inoltre, il CESE ha ricevuto le raccomandazioni della Commissione relative agli indirizzi di massima 2008-2010 ma, rilevando che essi sono rimasti invariati rispetto a quelli per il 2005-2008, ha deciso, alla luce dei suoi precedenti lavori sul tema, di basarsi sulla Rassegna 2007 dell'economia UE per elaborare il presente parere.

2.4

Nell'ottobre 2006 il CESE ha esaminato le regole concernenti gli obiettivi generali della stabilità dei prezzi, della crescita e dell'occupazione. Nel presente parere sono le politiche e non le regole ad avere una posizione di primo piano. Nel febbraio 2006 il CESE ha pubblicato il proprio parere sui GOPE 2005-2008 che, sebbene affrontasse un ampio ventaglio di questioni, in materia di crescita occupazionale e produttività sosteneva lo stesso programma politico che è alla base di questo parere. In entrambi i documenti il CESE prendeva in esame i fattori economici che influiscono sulla domanda. In questo parere, invece, prende in esame le proposte della Commissione per le riforme riguardanti il lato dell'offerta.

2.5

Il CESE sottolinea che le misure dal lato dell'offerta per migliorare la competitività devono essere accompagnate da un mix di politiche macroeconomiche che sostenga i redditi, la domanda e l'occupazione. Il CESE ha affrontato la questione del mix di politiche appropriato nel suo parere, sempre valido, del marzo 2004.

2.6

Il documento della Commissione European Economy 8/2007 comprende la comunicazione Spostare più avanti la frontiera della produttività in Europa, nonché quattro capitoli di complessive 149 pagine che affrontano le seguenti questioni:

1.

Le tendenze della produttività in Europa: è il momento della svolta?

2.

Valutare la produttività a livello dell'industria

3.

Esiste un trade-off tra produttività e occupazione?

4.

Politiche mirate all'aumento della produttività: un'altra prospettiva.

Il CESE esprime rammarico per il fatto che la Commissione, in tema di rafforzamento della competitività, si limiti a formulare raccomandazioni che si concentrano solo sul lato dell'offerta.

Il presente parere valuta le politiche presentate nel quarto capitolo.

3.   Sintesi della comunicazione della Commissione

3.1

La Rassegna 2007 parte dalla constatazione che, benché l'Unione europea sia una delle economie più avanzate e produttive al mondo, permane tuttavia uno scarto significativo nel tenore di vita tra l'UE, in quanto misurato dal PIL, e l'economia più avanzata del mondo, gli Stati Uniti. La causa principale di questa situazione è l'andamento divergente della produttività tra i diversi settori industriali e tra gli Stati membri.

3.2

Adottando nel 2000 la strategia di Lisbona, l'UE ha attribuito la massima importanza all'innalzamento della produttività unito ad una robusta crescita occupazionale. I principali elementi di questa strategia erano la costruzione della conoscenza, il rafforzamento della competitività e la promozione della flessibilità.

3.3

Per costruire la conoscenza sono necessari investimenti migliori e più elevati nella R&S e nel capitale umano. L'efficacia dell'istruzione e l'efficienza in termini di costo devono essere garantite in tutta l'UE.

3.4

Stimolare la concorrenza è essenziale sia per il livello che per il tasso di crescita della produttività. Studi condotti sul campo confermano che l'apertura dei mercati alla concorrenza incide positivamente non solo sulla produttività e sulla crescita, ma anche sull'occupazione.

3.5

Una maggiore flessibilità è indispensabile per adattare agevolmente le strutture di produzione ad una maggiore specializzazione e a un'ulteriore diversificazione in nuovi settori che presentano un vantaggio comparato relativo. Negli ultimi anni gli Stati membri hanno attuato alcune misure per incoraggiare la mobilità delle imprese e del lavoro, ma altre e più ampie azioni sono necessarie.

3.6

Se ne conclude che è necessario un cambiamento di mentalità. Alcune politiche fondamentali possono dare un contributo significativo in questo senso. Esse devono perseguire i seguenti obiettivi:

promuovere livelli più elevati d'investimento in R&S,

creare istituti di ricerca e di istruzione di livello internazionale in stretta collaborazione con l'industria,

creare un mercato unico aperto, competitivo e perfettamente funzionante,

promuovere un approccio integrato per rafforzare sia la flessibilità che la sicurezza nel mercato del lavoro (il CESE ricorda che tale approccio deve essere oggetto di negoziato tra le parti sociali),

migliorare la qualità delle finanze pubbliche.

3.7

Molte convinzioni largamente diffuse sono state smentite: non solo i grandi paesi e le grandi imprese possono essere leader in campo tecnologico: gli scambi commerciali non sono l'unico veicolo di diffusione delle tecnologie. I paesi piccoli possono essere all'avanguardia in settori specialistici e le piccole imprese lanciano spesso nuove tecnologie innovative; la mobilità internazionale dei lavoratori e il capitale finanziario sono i veicoli principali di diffusione delle tecnologie.

3.8

Al momento si constata l'emergere di un largo consenso sulle cause che limitano la crescita della produttività e sulle misure necessarie per incrementarla. Le restrizioni riguardanti i mercati del lavoro e dei prodotti, la scarsa apertura agli investimenti diretti esteri (IDE), le barriere che limitano sia l'accesso alle nuove tecnologie che il loro sviluppo e la loro diffusione sono tutti fattori importanti che possono frenare la crescita della produttività per lunghi periodi.

3.9

Poiché la realizzazione di guadagni di produttività è influenzata dall'uscita dal mercato delle strutture meno produttive, le politiche che incentivano la riallocazione di risorse sono importanti. Se l'aumento della produttività porta a redditi più elevati, è lecito attendersi che la domanda dei consumatori si sposti verso i servizi. Dato che molte industrie dei servizi fanno registrare un alto valore aggiunto e una produttività sostenuta, l'economia potrà anche permettersi di creare nuovi posti di lavoro in settori con una produttività veramente bassa.

4.   Produttività e occupazione

4.1

Il PIL pro capite non dipende solo dall'agenda di Lisbona. Sul PIL agiscono fattori come, ad esempio, lo sviluppo di mercati emergenti, la situazione dell'Europa orientale e della Russia, le tendenze dei prezzi dell'energia e delle materie prime, il cambiamento tecnologico e la globalizzazione in generale. Sulla domanda interna influiscono il livello dei salari e dell'occupazione e il potere d'acquisto. Il controllo della domanda è in larga misura funzione della politica fiscale e monetaria, mentre il credito per alimentare la domanda sia delle imprese che dei consumatori dipende in ultima istanza dalle banche centrali. Se i mercati finanziari continuano a essere in crisi, il credito tenderà probabilmente a scarseggiare, la domanda ne soffrirà e il PIL ne risentirà.

4.2

I fattori macroeconomici sono stati oggetto di un'analisi approfondita nei precedenti pareri del CESE dedicati alla governance economica citati nell'introduzione. Scopo del presente parere è mostrare che, nonostante l'importanza dei fattori connessi alla domanda, esiste una correlazione significativa tra le riforme relative all'offerta proposte dall'agenda di Lisbona e la crescita del PIL.

4.3

La tabella 1 presenta i dati del PIL relativo pro capite. Si sono scelti due periodi: il 1999, anno dell'introduzione dell'euro, e il 2007. Il periodo tra questi due anni comprende per i nuovi Stati membri (NSM) l'adesione all'UE. In questo periodo negli USA il PIL pro capite rispetto a quello dell'UE 27 è sceso dal 161,8 % al 150,9 %. Anche stando così le cose, i cosiddetti vecchi Stati membri non sono stati capaci di trarre vantaggio da questo declino relativo del PIl USA, poiché il PIL dei paesi dell'UE-15 è sceso dal 115,3 % al 111,7 % e quello dei paesi della zona euro dal 114,5 % al 109,8 %, sempre prendendo come riferimento l'UE-27.

4.4

Alla luce di questi dati sul PIL, che cosa rivelano le statistiche sull'occupazione? La tabella 2 fornisce i dati relativi all'occupazione per il 1998 (anno in cui furono avviati i primi negoziati di adesione con i NSM) e per il 2006 (ultimi dati disponibili). I dati relativi alla disoccupazione sono forniti fino al 2007. In questo periodo, l'occupazione negli Stati Uniti è scesa dal 73,8 % al 72 % della forza lavoro, mentre il tasso di disoccupazione è salito dal 4,5 % al 4,6 %. Nello stesso periodo, la zona euro ha iniziato a recuperare in termini di occupazione, che è cresciuta dal 59,2 % al 64,8 %, mentre la disoccupazione è scesa dal 10,1 % al 7,4 %. I dati dell'UE-15 sono leggermente migliori e quelli dell'UE-25 leggermente peggiori di quelli della zona euro.

4.5

Secondo la tabella di valutazione di Lisbona 2007 (Lisbon Scorecard), pubblicata di recente, i sette paesi che hanno ottenuto i risultati migliori sono, nell'ordine, Danimarca*, Svezia*, Austria*, Paesi Bassi*, Finlandia*, Irlanda* e Regno Unito*, seguiti da Germania e Francia. Tra i nuovi Stati membri conducono la classifica Slovenia* ed Estonia*. I paesi dell'Europa a 15 più in basso nella classifica sono Spagna, Grecia, Portogallo e Italia. I Paesi Bassi, l'Austria e l'Estonia sono segnalati per l'attuazione complessivamente più efficace della strategia di Lisbona. La Grecia e l'Italia sono i paesi meno efficaci. In che modo il fatto di essere all'avanguardia nell'attuazione del programma di Lisbona incide sulla produttività e sull'occupazione?

4.6

In termini di PIL relativo pro capite il Lussemburgo e la Norvegia sono davanti agli USA. I paesi che presentano uno scarto rispetto agli USA non superiore al 20 % sono l'Irlanda* (al primo posto), i Paesi Bassi*, l'Austria*, la Svezia*, la Danimarca*, il Belgio e, di misura, il Regno Unito* e la Finlandia*. Lo stesso vale, al di fuori dell'UE, per l'Islanda, la Svizzera e il Giappone. Tra i NSM, Cipro e la Slovenia* registrano i valori più prossimi alla media dell'UE-27, mentre l'Estonia* ha realizzato i progressi più impressionanti, seguita da Lettonia, Lituania, Ungheria e Slovacchia.

4.7

I dati sull'occupazione mostrano un forte parallelismo con il quadro relativo al PIL. L'occupazione negli USA è poco sopra al 70 % della forza lavoro. Nella tabella, tutti i paesi che non appartengono all'UE, e anche il Giappone e i paesi che non fanno parte della zona euro (Danimarca*, Svezia* e Regno Unito*), hanno un livello di occupazione superiore al 70 %. Nella zona euro solo i Paesi Bassi* e l'Austria* superano la soglia del 70 %, mentre l'Irlanda e la Finlandia vi sono molto vicine. Tra i NSM, Cipro e l'Estonia* fanno segnare i tassi più alti, vicini al 70 %.

4.8

Il tasso di disoccupazione USA è del 4,6 %. L'Irlanda*, i Paesi Bassi*, l'Austria*, la Danimarca*, Cipro e la Lituania fanno registrare risultati migliori degli USA, al pari della Norvegia. Le cifre di Lussemburgo, Regno Unito*, Repubblica ceca, Estonia* e Slovenia* sono comprese entro un divario percentuale di un punto e quelli di Svezia*, Lettonia e Malta entro uno scarto di due punti percentuali rispetto agli USA.

4.9

Da questa analisi risulta che si dovrebbero studiare le politiche e le tendenze dei paesi ai primi posti della tabella di valutazione di Lisbona, vale a dire Danimarca*, Svezia*, Austria*, Paesi Bassi*, Finlandia*, Irlanda* e Regno Unito* e, tra i NSM, Estonia* e Slovenia*. Ai fini del presente parere i paesi summenzionati costituiranno un «elenco di riferimento» e sono contrassegnati da un asterisco. Si prenderà in esame in che misura le politiche relative alla conoscenza, alla concorrenza, all'innovazione e alle finanze pubbliche abbiano contribuito al successo di questi paesi. Dall'altro lato, le politiche di Spagna, Grecia, Portogallo e Italia saranno sorvegliate come «gruppo di controllo». Le iniziative politiche di due grandi economie come la Francia e la Germania continuano inoltre ad avere un grande peso per l'UE. Entrambi questi paesi sono caratterizzati da schieramenti politici polarizzati che hanno reso difficili le riforme, anche se adesso si iniziano a intravedere i primi risultati.

5.   Investimenti nella conoscenza

5.1

Il PISA (Programme for International Student Assessment) è il programma dell'OCSE per la valutazione internazionale delle competenze degli studenti. La tabella 3 propone una sintesi dello studio PISA 2006 per quanto riguarda le competenze in materia di lettura, matematica e discipline scientifiche di ragazzi di 15 anni appartenenti a paesi OCSE e ad altri Stati.

5.2

Lasciando da parte la Corea, il Giappone e la Svizzera, i paesi che hanno ottenuto tutte A (cioè un risultato che è, in termini statistici, significativamente al di sopra della media OCSE) sono la Finlandia* (miglior risultato in assoluto), i Paesi Bassi*, il Belgio e l'Estonia* I paesi che ottengono due A sono la Repubblica ceca, l'Austria*, la Slovenia* e l'Irlanda*. I paesi dell'elenco che hanno ottenuto una A sono la Danimarca*, la Svezia* e il Regno Unito, la Germania e la Polonia. La Germania e il Regno Unito* hanno ottenuto A per le materie scientifiche. Il Regno Unito* registra il terzo miglior risultato per le competenze scientifiche al livello 6, dopo la Slovenia* e la Finlandia*. Tutti i paesi dell'elenco di riferimento raggiungono il livello A. I paesi del gruppo di controllo figurano in fondo alla classifica, insieme agli USA.

5.3

Data la stretta correlazione tra la performance dei sistemi d'istruzione e i risultati delle economie degli Stati membri, il CESE ritiene che la Commissione sia sicuramente nel giusto quando propone di fare della qualità dell'istruzione una politica fondamentale dell'UE.

5.4

L'Università Jiao Tong di Shanghai ha messo a punto un metodo per la classificazione delle università che, in confronto ad altri metodi esistenti, presenta la caratteristica di essere in linea con la priorità che l'UE dà alle discipline scientifiche e alla ricerca.

5.5

Secondo lo studio PISA, le prestazioni del sistema scolastico statunitense risultano molto mediocri. È nel campo dell'istruzione universitaria che gli USA mantengono un vantaggio competitivo. La tabella 4 fa riferimento alla classifica stilata dall'Università Jiao Tong. Tra le prime 20 migliori università al mondo figurano 17 università americane, due britanniche e una giapponese. Il Regno Unito, un paese dell'elenco di riferimento, conta dieci università classificate tra le prime cento. Al di fuori dell'UE, si distinguono il Giappone (6 università), il Canada (4), l'Australia (2), la Svizzera (3), la Norvegia (1) e Israele (1). Cinque paesi dell'elenco di riferimento sono rappresentati nella classifica delle prime 100 università al mondo: il Regno Unito*, i Paesi Bassi* (2), la Danimarca* (1), la Svezia* (4) e la Finlandia* (1). Non vi figura invece nessun paese del gruppo di controllo. È ora che Bologna, Salamanca e Coimbra riacquistino la fama di un tempo. Inoltre, la Germania è presente con 6 università e la Francia con 4.

5.6

Oltre al Regno Unito, sono solo 6 i paesi europei presenti nell'elenco delle 100 migliori università al mondo, e quindi 20 paesi dell'UE non vi figurano. Sembra che la politica della Commissione sia finalizzata a colmare questa lacuna attraverso la creazione dell'Istituto europeo di tecnologia. Anche se il CESE appoggia questo progetto, è difficile capire come esso possa svilupparsi senza indebolire la presenza dell'UE fra le prime 100 università. Una strategia alternativa potrebbe essere quella di rivedere le politiche nazionali per lo sviluppo delle università di punta. Particolarmente necessaria è una collaborazione più stretta tra le università e l'industria per sviluppare le conoscenze e le competenze che consentano alla scienza e alla tecnologia del XXI secolo di creare ricchezza e occupazione.

5.7

Un altro indicatore del livello dell'istruzione universitaria negli Stati membri sono i dati Eurostat relativi al numero di laureati nelle discipline scientifiche e tecnologiche su 1 000 persone di età compresa tra i 20 e i 29 anni. Per gli USA questa cifra è di 10,6. Gli Stati membri che hanno uno scarto di meno di un punto percentuale rispetto agli USA sono il Belgio*, la Germania, la Grecia, l'Italia, la Lettonia, l'Austria*, la Polonia, la Romania, la Slovenia* e la Slovacchia. Gli Stati membri che fanno segnare un numero di laureati nettamente più alto sono la Danimarca* (14,7), l'Irlanda* (24,5), la Francia (22,5), la Lituania (18,9), la Finlandia* (17,7), la Svezia* (14,4) e il Regno Unito* (18,4). Tutti i paesi contrassegnati da un asterisco (*) figurano nell'elenco di riferimento. L'Italia e la Grecia sono gli unici paesi del gruppo di controllo presenti in questo gruppo. Incrementare il numero di laureati nelle discipline scientifiche e tecnologiche deve essere una priorità dei sistemi d'istruzione secondaria e universitaria.

5.8

Uno degli obiettivi del progetto di Lisbona è di far salire gli investimenti europei in R&S al 3 % del PIL. I 2/3 di questa percentuale dovrebbero provenire dal settore privato. Due paesi dell'elenco di riferimento, Svezia* e Finlandia*, investono più del 3 %. Altri due, Danimarca* e Austria*, investono una somma compresa tra il 2 % e il 3 % e lo stesso fanno Germania e Francia. I paesi che investono una somma compresa tra l'1 % e il 2 % del PIL sono Belgio, Repubblica ceca, Estonia*, Irlanda*, Paesi Bassi*, Slovenia*, Spagna e Regno Unito*, la maggior parte dei quali figura nell'elenco di riferimento. Tutti gli altri Stati membri investono meno dell'1 %, ad eccezione di Ungheria e Italia, (entrambi intorno all'1 %). L'Italia e la Spagna fanno parte del gruppo di controllo. Per colmare questo divario si potrebbe ragionevolmente chiedere ai governi di contribuire alla R&S in misura pari all'1 % del PIL. Sarebbe ideale che tale contributo fosse convogliato verso le università e gli istituti di ricerca per aiutarli a farsi una reputazione e a profilarsi nella comunità scientifica internazionale. Attualmente i governi dell'UE-15 spendono in questo settore fra lo 0,30 % e lo 0,40 % e quelli dei NSM fra lo 0,50 % e lo 0,60 % del PIL. Si potrebbe e si dovrebbe fare di più, almeno per sviluppare le conoscenze scientifiche necessarie per affrontare il cambiamento climatico e l'inquinamento.

5.9

Per quanto riguarda le agevolazioni fiscali per le misure di R&S finanziate dal settore privato, il CESE ha già presentato un parere alla Commissione (7). Secondo il CESE, tutti gli Stati membri dovrebbero adottare le pratiche migliori e introdurre incentivi fiscali per promuovere maggiormente gli investimenti del settore privato nella R&S, in particolare da parte delle PMI.

5.10

Esiste una relazione circolare tra l'istruzione, la ricerca, l'innovazione, le conoscenze tecniche e le tendenze occupazionali. In un circolo virtuoso la base nazionale di conoscenze e competenze attira gli investimenti esteri, il trasferimento delle conoscenze e l'immigrazione. Senza questa base, i lavoratori qualificati sono indotti a tentati di cercare un ambiente dove le loro qualifiche sono valorizzate e ciò può innescare un circolo vizioso di emigrazione e di fuga dei cervelli.

5.11

Per le politiche di ricerca e di istruzione si giunge quindi alla conclusione che molti Stati membri devono riesaminare i loro sistemi d'istruzione secondaria e universitaria e che i governi dovrebbero investire maggiormente nelle attività di R&S. Esiste un legame evidente tra l'efficacia delle politiche, da un lato, e l'occupazione e la produttività, dall'altro, come comprovano i dati sia dell'elenco di riferimento che del gruppo di controllo.

6.   Concorrenza e innovazione

6.1

La comunicazione della Commissione delinea tre politiche atte a incentivare la concorrenza: la liberalizzazione e la regolamentazione delle industrie di rete, la politica di concorrenza e gli effetti positivi del mercato interno.

6.2

Tra i benefici del mercato interno ci sono lo stimolo all'innovazione, che deriva dall'esposizione alla concorrenza esterna, le economie di scala nella produzione, nella distribuzione e nel marketing, possibili in un mercato più ampio, e i trasferimenti di tecnologia, conseguenti all'apertura agli investimenti esteri.

6.3

Gli Stati membri dell'UE non hanno mostrato tutti la stessa apertura e non hanno attirato nella stessa misura gli IDE (investimenti diretti esteri). Gli Stati membri che non hanno beneficiato degli IDE risultano penalizzati per quanto riguarda i trasferimenti di tecnologia, i metodi di gestione, la presenza sul mercato e gli investimenti di capitale. Secondo i dati sugli IDE raccolti da Ernst & Young, nel periodo 1997-2006 i 10 maggiori beneficiari europei di IDE in termini di progetti sono stati:

UK

5 539

Francia

3 867

Germania

1 818

Spagna

1 315

Belgio

1 190

Polonia

1 046

Ungheria

1 026

Irlanda

884

Repubblica ceca

849

Russia

843

6.4

Gli IDE sono stati molto importanti per la crescita economica dei NSM. Poiché la concorrenza internazionale per accaparrarsi gli IDE aumenta e vede scendere in lizza paesi come l'India e la Cina, i NSM dovranno far propria l'economia della conoscenza se vogliono garantire la crescita e l'occupazione. I paesi asiatici sono ai primi posti nelle prove di competenza PISA e sono centinaia di migliaia gli studenti iscritti alle loro università che conseguono una laurea o un master nelle discipline scientifiche e tecnologiche.

6.5

La liberalizzazione e la regolamentazione delle industrie di rete sono misure economiche che possono ridurre considerevolmente i costi e incentivare la produttività. Una politica del genere si articola in tre fasi: innanzitutto la privatizzazione, poi la regolamentazione per consentire ai nuovi operatori di sfidare quelli già presenti sul mercato e, infine, una gestione condivisa delle reti e dei servizi di rete. Nella sua comunicazione Relazione sullo stato di avanzamento della creazione del mercato interno del gas e dell'elettricità  (8), la Commissione impiega come indicatore di una concorrenza effettiva il fatto che i clienti cambino fornitore. La seguente tabella illustra la situazione:

Cambio di fornitore (in percentuale)

 

 

Elettricità

Gas

Germania

Grandi imprese

41

 (9)

 

PMI

7

 (9)

 

Famiglie

5

 (9)

Francia

Grandi imprese

15

14

 

Famiglie

0

0

Spagna

Grandi imprese

25

60

 

PMI

22

60

 

Famiglie

19

2

Regno Unito

Grandi imprese

50+

85+

 

PMI

50+

75+

 

Famiglie

48

47

La concorrenza è generalmente più forte in alcuni paesi dell'elenco di riferimento, benché anche l'Italia e la Spagna abbiano fatto registrare dei progressi.

6.6

La politica di concorrenza mira a favorire l'efficienza e la produttività a tutto vantaggio del consumatore. Questa politica corrisponde all'equilibrio che il CESE cerca di mantenere tra gli interessi dei gruppi che lo compongono.

6.7

La comunicazione giunge alla conclusione che la concorrenza è un elemento fondamentale sia per il livello che per il tasso di crescita della produttività. Colpisce il fatto che le economie dell'elenco di riferimento siano le più aperte dell'UE, abbiano i tassi più alti di produttività, i livelli occupazionali più elevati e la capacità maggiore di assorbire lavoratori migranti. I governi degli Stati membri sbagliano se cercano di erigere delle barriere attorno alle loro economie per paura della concorrenza.

7.   Politiche di riallocazione

7.1

Per riallocazione la Commissione intende la ridistribuzione dei fattori di produzione dalle industrie e dai settori in declino alle industrie e ai settori emergenti e in pieno sviluppo.

7.2

L'assunto principale della comunicazione è che, nella misura in cui la crescita economica è determinata dallo spostamento in avanti della frontiera tecnologica, l'economia sarà esposta a cambiamenti strutturali. Nuovi settori ad alta tecnologia possono guadagnare quote di mercato alle spese di settori in declino. Alcune nuove imprese possono svolgere un ruolo importante, mentre imprese affermate possono essere costrette ad adattarsi o scomparire.

7.3

Dato che l'economia sarà in ogni caso esposta a cambiamenti strutturali, la sua capacità di adeguamento sarà fondamentale per trarre i massimi benefici dai cambiamenti tecnologici e dalla mobilità della conoscenza. La Commissione, tuttavia, ha l'impressione che gli Stati membri dispongano di capacità limitate per attuare gli adeguamenti necessari a causa della ridotta flessibilità permessa dalle istituzioni del mercato del lavoro e dalle regolamentazioni.

7.4

La comunicazione propone quattro azioni politiche fondamentali per promuovere la riallocazione delle risorse: facilitare l'ingresso sul mercato, ridurre gli oneri amministrativi, regolamentare il mercato del lavoro e procedere all'integrazione dei mercati finanziari.

7.5

Il CESE ha già elaborato alcuni pareri su un certo numero di politiche volte a facilitare l'ingresso sul mercato. Queste politiche prevedono la riduzione degli oneri amministrativi associati alla creazione di imprese, diversi regimi di sostegno per le nuove PMI e una revisione della legislazione sul fallimento. L'accesso ai finanziamenti e la politica di concorrenza per garantire mercati concorrenziali sono elementi importanti per attuare le strategie di riallocazione attraverso la creazione di nuove imprese.

7.6

Benché le grandi e le piccole imprese possano tutte sostenere costi amministrativi, l'onere risulta ben più pesante per le piccole imprese, data la loro dimensione. La riduzione degli oneri amministrativi è uno dei cinque maggiori obiettivi del programma di lavoro dell'UE. Come la comunicazione riconosce, è difficile però ridurre la regolamentazione e i costi amministrativi perché la maggior parte delle misure è stata introdotta per ragioni specifiche: «Servono a correggere le inefficienze del mercato, a proteggere gli operatori o a fornire informazioni ai decisori» (10). Molti gruppi d'interesse europei sosterrebbero che la protezione sociale resa possibile da questa regolamentazione è un elemento chiave dell'acquis comunitario. L'effetto cumulato di queste regolamentazioni produce però comunque costi economici cospicui.

7.7

Una task force in materia di miglioramento della regolamentazione operante nel Regno Unito, corroborata da lavori dell'Ufficio centrale di pianificazione olandese (Central Planning Bureau — CPB), suggerisce che i costi dovrebbero aggirarsi attorno al 3-4 % del PIL (11). Secondo alcune stime, una riduzione del 25 % degli oneri amministrativi nell'UE potrebbe tradursi in un aumento iniziale dell'1 % del PIL reale. L'impatto nel lungo termine sarebbe addirittura maggiore. La riduzione di questi oneri amministrativi è oltremodo auspicabile, ma finora non vi sono segni del fatto che questa iniziativa produrrà mai dei risultati. Poiché l'UE si preoccupa istituzionalmente per prima cosa dell'eventuale cattivo funzionamento del mercato, è poco probabile che questo tipo di miglioramenti venga attuato. È inoltre poco probabile che lo stesso CESE, impegnato com'è ad assicurare ogni possibile protezione ai partecipanti al mercato, appoggi una riduzione significativa degli oneri amministrativi.

7.8

Le strutture del mercato del lavoro incidono in larga misura sulla ridistribuzione del lavoro. L'impatto delle riforme di mercato sulla produttività e sull'occupazione è maggiore se i mercati del lavoro sono flessibili. Anche se non esistono studi affidabili sulla flessibilità del mercato del lavoro, il livello di occupazione dei paesi dell'elenco di riferimento è sicuramente una misura della capacità delle loro legislazioni sul lavoro di adeguarsi ai cambiamenti.

7.9

Naturalmente, la normativa di tutela dell'occupazione è una questione controversa all'interno dell'UE. Invece di modificare la protezione nel contesto dei contratti a tempo indeterminato, molti Stati membri hanno introdotto in parallelo una serie di contratti a tempo determinato. È quest'ultimo tipo di contratto che ha contribuito a gran parte dell'aumento del tasso d'occupazione di cui si è discusso al punto 4. Sebbene i dati non diano la misura effettiva del lavoro a tempo pieno, il livello di crescita occupazionale è incoraggiante e la disoccupazione strutturale in diminuzione.

7.10

Naturalmente, è necessario mitigare i disagi che si creano quando la normativa del lavoro è sufficientemente flessibile da ottimizzare la riallocazione. Gli Stati membri sono pertanto sollecitati ad avviare in parallelo politiche di accompagnamento. In questo processo la flessicurezza è un elemento cruciale. Si devono rendere disponibili risorse in modo che l'apprendimento permanente possa rafforzare l'adattabilità e l'occupabilità e i sistemi di sicurezza sociale possano offrire incentivi per la partecipazione alla forza lavoro e per facilitare la riorganizzazione, mentre le politiche del mercato del lavoro dovrebbero aiutare le persone ad affrontare la disoccupazione e i cambiamenti che accompagnano la transizione verso un nuovo impiego sicuro. Tali politiche sono indispensabili se la protezione del lavoro diventa meno rigida.

7.11

L'integrazione dei mercati finanziari è l'ultima delle politiche di riallocazione. In generale, il grado di frammentazione del sistema finanziario europeo potrebbe essere considerato un ostacolo alla produttività e all'occupazione, specialmente per le nuove imprese. Questi aspetti critici vengono affrontati dalle direttive sui servizi finanziari. Parallelamente al presente parere, il CESE sta elaborando un parere sugli investimenti transfrontalieri dei fondi di capitali di rischio (12). Il ruolo di un sistema finanziario efficiente nel quadro dei cambiamenti strutturali si manifesta in tutta la sua importanza nel finanziamento delle nuove imprese.

8.   Migliorare le finanze pubbliche

8.1

La tabella 5 presenta i dati Eurostat sulle finanze pubbliche degli Stati membri. La media del debito pubblico nella zona euro (12 paesi) si attesta al 68,8 % del PIL e sopravanza sia l'obiettivo UEM di convergenza del 60 % sia le medie rispettivamente dell'UE-15 (63,0 %) e dell'UE-25 (61,9 %). Il debito pubblico dei paesi dell'elenco di riferimento è generalmente inferiore al 50 % del PIL, in molti casi addirittura decisamente inferiore. Fa eccezione l'Austria* (61,7 %). Inoltre, tutti gli Stati presenti in tale elenco hanno ridotto il debito pubblico nel periodo 1999-2006. Riduzioni particolarmente significative si sono registrate in Irlanda*, Paesi Bassi* e Svezia*. Nel gruppo di controllo solo la Spagna registra un debito pubblico inferiore al 50 % del PIL, a seguito di una forte riduzione nel periodo in esame. L'Italia (106,8 %) e la Grecia (95,3 %) sono in fondo alla classifica.

8.2

Nell'UE a 15, Belgio, Irlanda*, Spagna, Lussemburgo, Paesi Bassi*, Finlandia*, Danimarca* e Svezia* registrano un saldo di bilancio positivo. I rimanenti paesi registrano un saldo negativo inferiore a 3 punti percentuali, ad eccezione di Italia (– 4,4 %) e Portogallo (3,9 %). Tra i NSM, la Bulgaria e l'Estonia* hanno un saldo di bilancio favorevole, mentre l'Ungheria, la Polonia e la Slovacchia chiudono con un disavanzo di oltre tre punti percentuali. Cipro e la Slovenia* si distinguono per un saldo negativo di solo 1,2 %. Tra i paesi dell'elenco di riferimento, il Regno Unito, con un disavanzo del 2,7 %, ha fatto registrare un'inversione di rotta e non è riuscito a riportare in equilibrio il proprio bilancio in anni di andamento favorevole dell'economia, tanto che la sua posizione tra le nazioni leader è ora a rischio. Nel gruppo di controllo la Spagna fa registrare una performance di rilievo, mentre l'Italia e il Portogallo rimangono i fanalini di coda.

8.3

Nei suoi pareri annuali sull'economia dell'UE, il CESE si è dichiarato favorevole a finanze pubbliche sane. Un'analisi comparata dei dati fatti registrare dai paesi dell'elenco di riferimento e di quelli del gruppo di controllo mostra che le finanze pubbliche sane sono una componente importante dell'occupazione e della produttività degli Stati membri.

8.4

Dall'analisi comparata delle performance dell'elenco di riferimento e del gruppo di controllo sorge una domanda circa l'impatto delle imposte. La relazione Eurostat sulle imposte UE nel 2005 mostra che nell'UE a 27 l'aliquota d'imposta media corrispondeva al 39,6 % del PIL. Ciò rappresenta un'aliquota superiore di quasi 13 punti percentuali a quelle di USA e Giappone. Tra i paesi OCSE che non appartengono all'UE, la Nuova Zelanda è l'unica a presentare un'aliquota d'imposta effettiva superiore al 35 %. Grazie agli sforzi degli Stati membri di ridurre la pressione fiscale, si è registrata un'inversione di questa tendenza e l'aliquota d'imposta media è adesso tornata ai livelli del 1995.

8.5

In termini di pressione fiscale, la Svezia*, la Danimarca* e la Finlandia* si posizionano tra i primi cinque paesi insieme al Belgio e alla Francia. L'Austria, la Slovenia figurano con l'Italia nel successivo gruppo di cinque. I Paesi Bassi* e il Regno Unito* si trovano rispettivamente in 12a e 13a posizione. Bisogna arrivare alla posizione 22 e 23, occupate rispettivamente da Estonia* e Irlanda*, per trovare un livello di tassazione significativamente basso. Nel gruppo di controllo la pressione fiscale dell'Italia risulta inferiore o uguale a quella fatta registrare da cinque paesi dell'elenco di riferimento. Spagna, Portogallo e Grecia hanno una pressione fiscale inferiore a quella dei paesi dell'elenco di riferimento, ad eccezione di Irlanda ed Estonia. Non c'è alcun argomento evidente per sostenere che i paesi del gruppo di controllo siano sottoposti ad una pressione fiscale troppo pesante.

8.6

Nell'UE la pressione fiscale è più alta che nelle regioni concorrenti. Il regime fiscale di uno Stato membro è fortemente influenzato dalla spesa per la protezione sociale. Da un punto di vista prettamente comunitario è difficile sostenere una riduzione delle imposte quando sono proprio le economie trainanti dell'UE che presentano le aliquote fiscali più elevate. Tuttavia, in una prospettiva globale, le regioni concorrenti hanno livelli d'imposta inferiori e ciò contribuisce probabilmente ai loro alti livelli di innovazione e di imprenditorialità.

Bruxelles, 18 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Centre for European Reform, The Lisbon Scorecard VIII, Is Europe ready for economic storm? (febbraio 2008).

(2)  Gli Stati membri contraddistinti da un asterisco formano parte di un elenco di riferimento dei paesi con i risultati migliori, come si spiega al punto 4.9.

(3)  Parere CESE sul tema L'occupazione, la riforma economica e la coesione sociale, verso un'Europa dell'innovazione e delle conoscenze, GU C 117 del 26.4.2000, pag. 62, punto 2.16.

(4)  Parere CESE sul tema Gli indirizzi di massima per le politiche economiche e la governance economicaLe condizioni per una maggiore coerenza delle politiche economiche in Europa, GU C 324 del 30.12.2006, pag. 49.

(5)  Parere CESE sul tema Gli indirizzi di massima per le politiche economiche (2005-2008), GU C 88 dell'11.4.2006, pag. 76.

(6)  Parere CESE sul tema Indirizzi di massima per le politiche economiche 2003-2005, GU C 80 del 30.3.2004 pag. 120.

(7)  Cfr. parere CESE sul tema Per un utilizzo più efficace degli incentivi fiscali a favore della R&S, GU C 10 del 15.1.2008, pag. 83.

(8)  Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo Relazione sullo stato di avanzamento della creazione del mercato interno del gas e dell'elettricità, COM(2005) 568 def. del 15 novembre 2005.

(9)  Per la Germania non sono disponibili dati sul mercato del gas.

(10)  L'economia dell'UE: Rassegna 2007 — Spostare più avanti la frontiera della produttività in Europa, Commissione europea, direzione generale Affari economici e finanziari, pag. 136.

(11)  L'economia dell'UE: Rassegna 2007Spostare più avanti la frontiera della produttività in Europa, Commissione europea, direzione generale Affari economici e finanziari, pag. 137.

(12)  Eliminare gli ostacoli agli investimenti transfrontalieri dei fondi di capitali di rischio (INT/404).


31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/139


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo — L'applicazione di misure antiabuso nel settore dell'imposizione diretta — all'interno dell'UE e nei confronti dei paesi terzi

COM(2007) 785 def.

(2009/C 77/29)

La Commissione, in data 10 dicembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo — L'applicazione di misure antiabuso nel settore dell'imposizione diretta — all'interno dell'UE e nei confronti dei paesi terzi

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 14 luglio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore BURANI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere all'unanimità.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il documento della Commissione intende gettare le basi per una discussione fra gli Stati membri in materia di imposizione diretta nelle operazioni transfrontaliere. In particolare, esso si propone di trovare soluzioni «coordinate» nell'applicazione di misure antiabuso, un campo nel quale la collaborazione fra le varie amministrazioni risulta carente, con soluzioni improntate ad approcci puramente nazionali.

1.2

Il Comitato si rallegra dell'iniziativa — che si prospetta peraltro di lungo periodo — soprattutto perché la sua conclusione sarebbe — almeno nelle intenzioni — la creazione di un quasi corpus iuris comunitario basato sulle numerose sentenze della Corte di giustizia europea. La casistica esaminata dalla CGCE è abbastanza vasta da costituire un buon punto di riferimento per le autorità fiscali nazionali, le quali peraltro non sembrano sempre intenzionate ad ispirarsene.

1.3

Il punto di partenza sta nell'accordo fra gli SM su quella che viene considerata «pratica abusiva», e quindi sulla distinzione fra «evasione fiscale» ed «elusione fiscale». Il Comitato sottolinea l'importanza delle sentenze della CGCE, che hanno stabilito che — mentre la prima ipotesi costituisce senza dubbio un reato — nella seconda occorre fare una distinzione: l'elusione diventa un reato soltanto se si avvale di «costruzioni di puro artificio», e cioè della creazione di situazioni fittizie. Nemmeno rientra nella categoria degli illeciti la creazione di stabilimenti intesi ad approfittare di aiuti di Stato concessi da altri paesi: qualora essi non fossero conformi al Trattato, la distorsione va combattuta con altri mezzi, risalendo alla fonte e senza coinvolgere il privato.

1.4

Un aspetto di particolare importanza è quello della «capitalizzazione sottile», e cioè la fornitura di finanziamenti a filiazioni estere in luogo di provvedere ad aumenti di capitale. In materia esiste un elevato grado di soggettività da parte delle amministrazioni, e i giudizi sono particolarmente difficili da fornire quando si tratta di istituzioni finanziarie.

1.5

Tralasciando la casistica, per la quale si rinvia al testo di questo parere, il CESE attira l'attenzione su alcuni principi fondamentali sui quali gli SM dovrebbero concordare, magari adottandoli sin d'ora: in primo luogo, si dovrebbe trovare un equilibrio fra l'interesse dello Stato e quello del contribuente, adottando sempre il principio della proporzionalità nel giudicare i casi di «costruzioni di puro artificio»; di qui consegue che occorrono regole per distribuire in modo equo l'onere della prova, ma soprattutto norme che stabiliscano le modalità di acquisizione delle prove da parte delle autorità fiscali, nel rispetto delle leggi.

1.6

In definitiva, il CESE ritiene che in una materia così multiforme e variegata occorra la buona volontà e lo spirito di collaborazione degli SM, che devono trovare un equilibrio tra l'interesse di proteggere le loro finanze e la centralità del cittadino e il rispetto dei suoi diritti. Nel contempo, ritiene suo dovere mettere in risalto il ruolo che le amministrazioni finanziarie dovrebbero avere nel combattere non solo gli abusi, ma anche e soprattutto le costruzioni fittizie (o magari anche reali) che nascondono attività criminali.

2.   Introduzione

2.1

Come annunciato nel 2006 (1), la Commissione ha intrapreso un'opera di coordinamento dei sistemi di imposizione diretta degli Stati membri (SM). Il problema si pone in termini abbastanza espliciti: nell'applicare le misure fiscali che coinvolgono attività transfrontaliere dei contribuenti, ogni amministrazione nazionale ha l'obbligo di assicurare al proprio paese le entrate appropriate, ma la diversità dei sistemi può far sì che insorgano differenze di interpretazione o di applicazione da parte di altre amministrazioni. Di queste differenze possono avvalersi, abusandone, i contribuenti per eludere in tutto o in parte i loro obblighi. D'altra parte, occorre evitare che insorgano casi di doppia imposizione.

2.2

Per evitare queste eventualità la maggior parte degli SM ha adottato una serie di «norme antiabuso»; si tratta peraltro di norme, talora specifiche, talora generali, che divergono da paese a paese. In questa situazione sono possibili — e nei fatti si verificano — situazioni di conflittualità nei confronti dei contribuenti e talora fra gli stessi SM. La Corte di giustizia delle Comunità europee (CGCE), invitata a pronunciarsi in diversi casi singoli, ha emesso delle sentenze che, in assenza di una legislazione comunitaria in materia, forniscono un'utile guida giurisprudenziale. La Commissione se ne è avvalsa per redigere la comunicazione in esame.

2.3

La comunicazione «intende … fornire un contesto per ulteriori discussioni con gli SM e le parti interessate al fine di esplorare la possibilità di soluzioni coordinate». La Commissione ritiene infatti che vi sia una urgente necessità di trovare un «giusto equilibrio fra l'interesse generale a combattere l'abuso e la necessità di evitare restrizioni sproporzionate all'attività transfrontaliera nell'UE»; sarà inoltre necessario coordinare l'applicazione delle misure antiabuso nei rapporti con i paesi terzi.

2.4

Su questi temi la Commissione intende lanciare una discussione fra gli SM, con il concorso delle parti interessate, al fine di giungere a conclusioni condivise che conducano a un coordinamento volontario delle norme e delle procedure. Non si parla di «armonizzazione» — troppo difficile da raggiungere nel breve termine — né tanto meno di misure legislative, praticamente impossibili da prevedere.

3.   Il contenuto della comunicazione

3.1

Il documento della Commissione dedica un'attenzione particolare a definire la terminologia e l'inquadramento della materia, prendendo come base le sentenze della CGCE che hanno stabilito alcuni principi fondamentali. In primo luogo, viene fornita la definizione di pratica abusiva: essa «si verifica solo quando, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa comunitaria, l'obiettivo perseguito da detta normativa non è raggiunto e vi è l'intenzione di ottenere un vantaggio mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento» (2). Una distinzione va fatta in relazione all'elusione fiscale, che viene definita come una «costruzione di puro artificio finalizzata ad eludere la normativa dello SM interessato».

3.2

Un altro principio fondamentale è che «la necessità di impedire l'elusione o l'abuso può costituire un motivo imperativo di interesse generale capace di giustificare una restrizione delle libertà fondamentali». Tuttavia, la legittimità di norme restrittive è condizionata all'osservanza dei principi di proporzionalità; queste norme devono inoltre «avere lo scopo specifico di impedire costruzioni di puro artificio ».

3.3

La CGCE ha adottato dei criteri precisi per definire quella che non è costruzione di puro artificio: di per sé, lo stabilimento di una consociata all'estero non rientra in questa definizione, anche se sia avverata la circostanza che le attività svolte da una dipendenza in un altro SM avrebbero potuto essere svolte dalla casa madre. E neppure vale il solo argomento che alla base delle decisioni di stabilire uno stabilimento secondario vi siano considerazioni di ordine fiscale: se non concorrono pratiche abusive, è perfettamente legittimo approfittare della fiscalità più favorevole di un altro SM. E, infine, non rientra nella definizione neppure il fatto che lo stabilimento di una dipendenza sia deciso per approfittare di aiuti di Stato concessi da un altro SM: le distorsioni derivanti da aiuti di Stato incompatibili con il Trattato vanno risolte alla fonte con altri mezzi, ma questo non autorizza l'adozione di misure unilaterali per combatterne gli effetti lesivi.

3.4

La CGCE ha tuttavia posto dei limiti ad un'interpretazione estensiva di questi principi: essi non valgono quando intervenga un ulteriore elemento di abuso, come per esempio lo stabilimento di società «fantasma» o «schermo», o quando le condizioni delle transazioni finanziarie fra società collegate e residenti in SM diversi si discostano da quelle che sarebbero state convenute fra parti non collegate. Si applica quindi un criterio di prevalenza della sostanza sulla forma.

3.5

La Commissione fa notare che i criteri di cui sopra sono riferiti a casi specifici, ma che sarebbe utile avviare un esercizio sulla loro applicazione pratica a diversi tipi di attività e di strutture imprenditoriali.

3.6

In materia di proporzionalità, la CGCE ammette che gli SM possano adottare criteri di sicurezza (safe harbours) applicabili a situazioni che presentano elevate probabilità di abuso: la definizione di criteri presuntivi ragionevoli è nell'interesse della certezza del diritto per i contribuenti ed è pratica per le amministrazioni.

3.7

La Commissione attira l'attenzione sulla necessità di adottare criteri di equità: l'onere della prova non dovrebbe gravare solo sul contribuente, e questo dovrebbe potersi difendere senza eccessivi oneri amministrativi e con la garanzia che le valutazioni delle autorità fiscali sono sottoposte a un controllo giurisdizionale indipendente. Inoltre, il reddito imponibile valutato alla luce dell'applicazione delle norme antiabuso dovrebbe essere adeguato alla misura in cui è riconducibile alla costruzione di puro artificio. Le transazioni intragruppo dovrebbero inoltre essere esaminate alla luce del principio della piena concorrenza (arm's lenght principle). Ma, in definitiva, tutti questi criteri non dovrebbero impedire agli SM di applicare sanzioni ai contribuenti che si siano resi colpevoli di un ricorso a meccanismi abusivi a fini di elusione.

3.8

Una volta stabiliti i principi generali, il documento della Commissione tratta dell'applicazione pratica delle norme; il contenuto di questa parte verrà richiamato di volta in volta nel capitolo «Considerazioni specifiche» (cfr. oltre).

4.   Considerazioni di carattere generale

4.1

Il CESE considera con estremo favore l'iniziativa della Commissione che, in primo luogo, è volta a coordinare regole e procedure senza cedere a tentazioni di interventi dall'alto secondo un approccio realistico che tiene conto delle regole del Trattato, ma anche delle sensibilità degli SM e, in secondo luogo, è intesa a trovare un equilibrio tra «l'interesse generale» (di ciascuno SM) e «la necessità di evitare restrizioni sproporzionate» del mercato interno.

4.1.1

Il CESE da parte sua raccomanda che sia considerata la centralità del cittadino/contribuente: la coordinazione, se e quando verrà, dovrà in primo luogo essere ispirata ad equità nei suoi confronti: una regola che sembra ispirare le sentenze della CGCE, ma che non è sempre evidente nella pratica.

4.2

La preoccupazione del CESE sembra del resto condivisa dalla CGCE e dalla Commissione: quando si parla del principio di proporzionalità (cfr. punto 3.2 del presente parere) da adottare per evitare norme eccessivamente restrittive nei casi di«costruzioni di puro artificio» (cfr. punto 3.3), è evidente che non ci si riferisce a casi teorici. I casi di infrazione alle regole sono numerosi, e probabilmente non tutti vengono alla luce; ma altrettanto numerosi sono quelli di consociate all'estero la cui legittimità viene messa in dubbio o contestata. L'accoglimento da parte delle amministrazioni fiscali dei principi contenuti nelle sentenze della CGCE consentirebbe alle aziende di operare in un ambiente ispirato alla certezza del diritto, senza eccessive formalità e senza incorrere nel rischio di doppia imposizione.

4.3

È certamente condivisibile l'osservazione della Commissione (cfr. punto 3.5) secondo la quale la casistica dei casi leciti ed illeciti è troppo varia per potere essere alla base di principi di carattere generale, per cui sarebbe necessario avviare un esercizio sulla applicazione pratica di questi ultimi a diverse attività e strutture imprenditoriali. Tuttavia, già l'esame dei casi singoli alla luce delle sentenze della CGCE consentirebbe alle società di fare esse stesse una valutazione preliminare delle probabilità che le loro decisioni di creare consociate all'estero non siano avversate. Questo, naturalmente, se le amministrazioni accetteranno di ispirare la loro condotta alla giurisprudenza della CGCE, sia pure con la facoltà di adattarla a ogni singolo caso. Il «caso per caso» permetterebbe di valutare con equità le situazioni singole, evitando di applicare soluzioni standardizzate ispirate alla prevalenza della forma sulla sostanza.

4.4

Comportamenti di questo genere, sia da parte delle società che delle amministrazioni, permetterebbero di isolare con maggiore facilità le società «fantasma» o «schermo» (cfr. punto 3.4), che costituiscono una esplicita frode. L'esame della casistica in questo settore può essere di ausilio nell'adozione da parte degli SM di criteri di sicurezza (cfr. punto 3.6) limitativi delle libertà fondamentali.

4.5

L'aspetto evocato dalla Commissione in relazione ai criteri di equità (cfr. punto 3.7) merita una particolare attenzione. Un principio del diritto naturale in materia penale è la presunzione d'innocenza, che lascia all'accusa l'onere della prova. Anche se il diritto tributario non sempre si ispira a queste regole, è indubbio che eventuali comportamenti vessatori da parte delle amministrazioni costituirebbero un onere sia per le aziende che per i privati cittadini.

4.5.1

Il CESE concorda sulla raccomandazione di istituire delle regole per distribuire in modo equo l'onere della prova: il rispetto delle libertà fondamentali e la presunzione di innocenza devono essere alla base dei rapporti delle amministrazioni tributarie con i contribuenti. Occorre in proposito una normativa che stabilisca le modalità di acquisizione delle prove da parte delle autorità fiscali, e quali siano i loro limiti di autonomia in presenza di reati penalmente perseguibili, come nel caso di elusione fiscale compiuta con mezzi illeciti, che si configura come evasione fiscale.

5.   Osservazioni specifiche: applicazione delle norme all'interno dell'UE/SEE

5.1

La Commissione evoca il principio secondo il quale «le misure antiabuso devono essere precisamente mirate alle costruzioni di puro artificio finalizzate ad eludere la normativa nazionale (o quella comunitaria in essa recepita)»: un principio sul quale è facile dichiararsi d'accordo, ma che lascia ancora ampio spazio alle interpretazioni. Altrettanto dicasi per la raccomandazione di evitare che le norme siano sproporzionate rispetto all'obiettivo di frenare gli abusi.

5.2

Il CESE ritiene che solo un esame congiunto da parte degli SM, con il concorso della Commissione, delle misure adottate potrebbe portare al loro coordinamento, sempre e comunque alla condizione che esista una sincera volontà di pervenire a questo risultato. Le norme di ciascuna amministrazione sono ispirate alla protezione del bene pubblico, secondo filosofie derivanti da tradizioni e da situazioni diverse: si può sperare in un'attenuazione delle differenze, ma occorrerà del tempo prima di vedere i risultati tradotti in pratica.

5.2.1

Il CESE concorda con il documento della Commissione, che attira l'attenzione sulla necessità di evitare che le misure adottate per evitare l'elusione fiscale transfrontaliera siano applicate alle situazioni meramente interne, ove non sussiste rischio di abuso: misure inutili, anche secondo la CGCE, e controproducenti dal punto di vista della competitività.

5.3

Un argomento importante è quello dell'interpretazione dei concetti di capitale di prestito e capitale netto: uno SM può considerare una transazione come apporto di capitale e un altro considerarla come prestito, permettendo quindi la deducibilità degli interessi; lo stesso vale per le società ibride, considerate società di capitali in uno Stato e società di persone in un altro. Di qui la possibilità di doppie esenzioni o di doppie imposizioni. Si tratta di casi ben noti, che approfittano, o soffrono, delle differenze nelle regole applicate nei diversi SM, ma anche del diverso atteggiamento delle amministrazioni, propense a favorire oppure a scoraggiare gli investimenti transfrontalieri.

5.3.1

Il CESE ritiene che questo sia uno dei problemi più delicati, che dovrebbe costituire il punto di partenza delle future discussioni.

5.4

Le norme sulle società estere controllate (SEC) costituiscono un problema collegato a quello di cui al punto precedente. Di solito gli utili di una SEC sono attribuiti alla casa madre e tassati nel paese di quest'ultima, ma con un trattamento fiscale particolare; secondo la Commissione questa disparità di trattamento costituisce una discriminazione, a meno che essa non sia giustificata da «una situazione oggettiva rilevante». Inoltre queste norme costituirebbero «un ostacolo alla capacità della società madre di stabilirsi in altri SM mediante controllate».

5.4.1

Il CESE chiede che le norme sulle SEC siano attentamente esaminate e, se necessario, rivedute. Esse sono importanti per tutte le società, ma particolarmente per quelle del settore finanziario. Come dice la Commissione, «è essenziale che i contribuenti siano messi in grado di dimostrare … che le loro transazioni commerciali si sono svolte in buona fede»: un'esigenza talvolta difficile da rispettare per le società commerciali, ma che per le imprese del settore finanziario può diventare il problema centrale. Le regole che vigono in questo settore, tanto di carattere giuridico che di controllo prudenziale, costituiscono, infatti, per le società regolarmente controllate, una garanzia; nel contempo la loro complessità, e la loro diversità da paese a paese, potrebbero permettere comode scappatoie per una serie di attività irregolari. Ci si riferisce in particolare a società, talvolta fittizie o magari apparentemente «normali», costituite per fini speculativi o addirittura criminali, che si avvalgono di tecniche sofisticate per sfuggire alla fiscalità ed ai controlli prudenziali. Norme fiscali mirate, meglio dei controlli prudenziali, possono contribuire a far venire alla luce queste attività.

5.5

Le norme sulla capitalizzazione sottile (capitalizzazione attraverso capitale di prestito, una forma surrettizia del capitale netto), già richiamate al precedente punto 4.3, sono un altro punto focale. Esse sono spesso profondamente differenti nei diversi SM in quanto frutto di opinioni e di tradizioni giuridiche divergenti. La convenienza a finanziare le società affiliate con capitale netto piuttosto che con «prestiti» dipende dal differente trattamento dei dividendi e degli interessi, e viene valutata dalle imprese a seconda del regime fiscale vigente nel paese della controllata. Non è raro il caso di controllate stabilite dalla stessa società madre in SM diversi, finanziate con l'uno o con l'altro sistema.

5.5.1

La Commissione auspica che le norme sulla capitalizzazione sottile vengano abolite, o almeno che esse escludano accordi con finanziatori di altri SM. In tal modo verrebbe eliminata la disparità di trattamento fra controllate residenti in funzione della sede della società madre. Essa aggiunge poi che «gli SM dovrebbero proteggere le loro basi imponibili dall'erosione artificiosa basata sul finanziamento strutturato di capitale di prestito, anche all'interno dell'UE/SEE». Il CESE ritiene che non si dovrebbe generalizzare: possono esistere casi nei quali necessità contingenti rendono necessario, o comunque preferibile, il finanziamento via capitale di prestito indipendentemente da considerazioni fiscali.

5.5.2

Le riserve del CESE sembrano trovare un riscontro nella sentenza Thin Cap della CGCE, che ha riconosciuto che «misure intese ad evitare la capitalizzazione sottile sono di per sé permissibili. La loro applicazione deve tuttavia essere limitata alle costruzioni di puro artificio». Questo tipo di capitalizzazione non dovrebbe quindi essere escluso: si tratta semplicemente di rendere più efficaci i controlli per evitare gli abusi e di stabilire regole più precise che garantiscano la trasparenza delle transazioni.

5.6

Dal complesso delle osservazioni che precedono, il CESE crede di poter concludere che nel trattare i diversi argomenti ricorrono concetti vaghi o interpretati in modo diverso, vuoi restrittivo vuoi estensivo, nei diversi SM: come inizio delle discussioni che la Commissione auspica sarà dunque necessaria un'intesa sulla terminologia da usare e sulla portata di ogni termine.

5.6.1

Altrettanto dicasi per quanto riguarda l'elusione fiscale: secondo la CGCE — ma non secondo alcune autorità fiscali — questa non è un reato di per sé ma lo diventa quando è accompagnata da una «costruzione di puro artificio», divenendo in quanto tale una frode perseguibile in via amministrativa e/o penale. Anche su questo principio occorre un accordo preliminare, che verta non solo sulla sua portata ma anche sulle modalità interpretative della «costruzione di puro artificio».

6.   Osservazioni specifiche: applicazione delle norme antiabuso nei confronti di paesi terzi

6.1

Le norme sulle SEC valgono, in linea di massima, anche nei confronti delle filiazioni di società di paesi terzi stabilite nell'UE e delle filiazioni in paesi terzi di società stabilite nell'UE, salvo accordi bilaterali — che esistono in molti casi. Sono peraltro compatibili con il diritto comunitario trattamenti discriminatori per quanto riguarda lo stabilimento di cittadini o società di SM in paesi terzi e viceversa. Questo dovrebbe valere anche per le norme intese a vietare o regolamentare l'apporto di capitale sottile, alle imposte sulle società e particolarmente alle norme specifiche antielusione.

6.2

Il Comitato non ha particolari commenti su questo aspetto, ma desidera sottolineare la necessità di dedicare molta attenzione all'applicazione delle norme antielusione nei confronti di società nuove o di recente costituzione, provenienti da taluni paesi terzi, e di filiazioni di società UE in tali paesi. La situazione internazionale vede una preoccupante estensione a livello mondiale della criminalità, finanziaria e non. In questo campo, ancor meglio e ancor prima della coordinazione fra le amministrazioni, serve una collaborazione convinta ed efficace. Il problema non è tanto di carattere fiscale quanto, e soprattutto, di sicurezza: in questo campo le autorità fiscali possono dare un apporto di estrema importanza.

Bruxelles, 17 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  COM(2006) 823 def. del 19 dicembre 2006.

(2)  Emsland-Staerke C-110/99, punti 52-53; Halifax C-255/02, punti 74-75 (nota della Commissione).


31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/143


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Governance e partenariato a livello nazionale e regionale e per progetti di politica regionale (consultazione da parte del Parlamento europeo)

(2009/C 77/30)

Il Parlamento europeo, in data 22 aprile 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema:

Governance e partenariato a livello nazionale e regionale e per progetti di politica regionale.

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo ha incaricato, in data 25 maggio 2008, la sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale di preparare i lavori in materia. Il progetto di parere è stato predisposto dal relatore VAN IERSEL e dal correlatore PÁSZTOR.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha nominato relatore generale VAN IERSEL e ha adottato il seguente parere con 96 voti favorevoli, 1 voto contrario e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore l'iniziativa del Parlamento europeo in materia di governance e partenariato a livello nazionale e regionale e per progetti di politica regionale.

1.2

A giudizio del CESE, una buona governance presuppone un «governo a più livelli» e l'instaurazione di partenariati con la società civile organizzata rappresentativa a livello regionale.

1.3

Il CESE concorda pertanto con il Consiglio e con la Commissione riguardo all'opportunità di realizzare un efficace sistema di «governo a più livelli» e una migliore governance nell'impiego dei finanziamenti e nell'attuazione delle politiche dell'Unione europea. Il punto non è «se», ma «come» farlo. Si tratta di adeguare le iniziative dal basso verso l'alto (bottom-up) e le condizioni quadro dall'alto verso il basso (top-down).

1.4

Il CESE approva la proposta del Parlamento di istituire ufficialmente un Consiglio UE sullo sviluppo territoriale. Quest'ultimo porrebbe l'accento sulla rilevanza del «governo a più livelli» e rafforzerebbe l'obbligatorietà di discussioni e accordi.

1.5

Il CESE ritiene che il «governo a più livelli» non sia tanto un quadro gerarchico di competenze ripartite fra i vari livelli di governo, quanto piuttosto una struttura flessibile di relazioni fra Commissione, governi ed enti regionali e locali, calibrata in base a situazioni specifiche e considerazioni tematiche. Una buona governance è caratterizzata da relazioni in uno spirito di apertura e da un'applicazione meno rigida del principio di «sussidiarietà».

1.6

L'Europa ha bisogno di regioni e città caratterizzate da fiducia in sé stesse, capacità di recupero e sostenibilità. Come dimostrano numerosi esempi, le regioni e le città ricevono spesso impulsi positivi dalla dinamica dell'internazionalizzazione economica, trovando nuovi modi per venire efficacemente alla ribalta.

1.7

Nonostante l'ampia e spesso complicata varietà di strutture amministrative esistente negli Stati membri, per il futuro il CESE raccomanda vivamente che si applichino procedure e metodi di lavoro che accrescano la responsabilità e l'obbligo di rendere conto di regioni e città (1).

1.8

La prassi dimostra che decentrare le responsabilità e l'obbligo di rendere conto favorisce la leadership e la visione creativa, che di solito costituiscono una solida base per i partenariati pubblico-pubblico nonché per quelli pubblici con diversi soggetti, come parti sociali, camere di commercio, imprese, agenzie per lo sviluppo, organizzazioni dell'edilizia abitativa, enti parastatali, agenzie ambientali, organizzazioni sociali, istituti scolastici di ogni ordine e grado, architetti e artisti.

1.9

Di conseguenza, bisognerebbe offrire alla società civile organizzata rappresentativa a livello regionale l'opportunità di partecipare in modo responsabile e trasparente alla definizione e all'attuazione dei programmi regionali dell'UE. Tenere conto dei punti di vista locali e regionali (non governativi) contribuirà all'accettazione dei valori dell'UE da parte dei cittadini.

1.10

Il CESE ritiene che consultazioni ben strutturate possano portare a partenariati efficaci con soggetti non governativi nell'intero processo di definizione, monitoraggio e valutazione della politica regionale (2).

1.11

Una forma flessibile di «governo a più livelli» e una buona governance, nonché le relative sinergie incentrate su soluzioni su misura, possono risultare estremamente utili per rispondere all'obiettivo ultimo della politica regionale nazionale ed europea: attivare le forze esistenti e le potenzialità nascoste di regioni e città.

1.12

In tale contesto è possibile istituire un programma di scambio europeo per i funzionari regionali e comunali nonché un sistema ben strutturato per scambiare esperienze e diffondere buone pratiche. Al riguardo, gli istituti di ricerca specializzati e le università possono svolgere un ruolo di sostegno.

2.   Contesto

2.1

Dal 2001 la governance è stata posta giustamente in primo piano a causa della crescente esigenza di un collegamento più diretto fra le politiche dell'Unione europea, da un lato, e la loro osservanza e attuazione da parte e all'interno degli Stati membri, dall'altro (3).

2.2

Nella stessa prospettiva, il CESE accoglie con favore la prossima relazione del Parlamento europeo sulla governance e il partenariato a livello nazionale e regionale e per progetti di politica regionale (4). È un segnale positivo che il PE, come istituzione europea, stia mostrando un interesse crescente per le concrete modalità di formulazione della politica regionale negli Stati membri.

2.3

Più in generale, il documento del PE dimostra che dinamiche dello sviluppo, quali l'internazionalizzazione dell'economia e i continui cambiamenti, impongono inevitabilmente degli adeguamenti rispetto alla rigida applicazione del principio di sussidiarietà. Per stare al passo con gli sviluppi mondiali e per attuare efficacemente le politiche europee concordate occorre maggiore flessibilità nell'interazione e nelle sinergie fra i vari livelli di governo. Le nuove procedure per la realizzazione della strategia di Lisbona, che prevedono la condivisione di responsabilità fra Commissione, Consiglio e Stati membri, sono un chiaro esempio di processi di interazione e di attuazione di questo tipo.

2.4

Un «governo a più livelli» in cui la Commissione, le amministrazioni e i governi nazionali, gli enti regionali e locali ricoprono ognuno un proprio ruolo ma condividono anche delle responsabilità nel contesto di un quadro comune, è il prodotto delle stesse dinamiche.

2.5

Le politiche e i progetti regionali vengono formulati nel quadro di pratiche amministrative nazionali e regionali che di solito risultano profondamente complicate ed eterogenee. Tuttavia, è ovviamente nell'interesse dei cittadini e delle imprese che tali politiche e progetti vengano portati avanti in modo corretto e coerente in tutta Europa.

2.6

L'attenzione del Parlamento europeo per tale argomento, come pure i numerosi problemi da risolvere per promuovere la convergenza delle pratiche in tutta Europa allo scopo di ottenere risultati ottimali nell'ambito delle politiche regionali, si riducono sostanzialmente alle considerazioni in materia elaborate nei documenti della Commissione e del Consiglio.

2.7

Diverse riflessioni in materia e i relativi principi vengono formulati nel documento di lavoro dei servizi della Commissione sull'innovazione e la politica regionale (5), in preparazione della riunione ministeriale informale sulla coesione territoriale e la politica regionale delle Azzorre (6). Tali principi sono già stati applicati e in parte realizzati nel periodo 2000-2006. In diversi punti la Commissione sostiene che una maggiore «competitività non può essere raggiunta dai singoli Stati membri o dalle sole regioni: occorre una stretta collaborazione fra tutte le autorità pubbliche di competenza, le imprese, i cittadini e le parti sociali nell'ambito di un partenariato con la Commissione e le istituzioni europee» (7). Inoltre, una valutazione efficace richiede capacità amministrative e istituzionali aggiornate.

2.8

La Commissione sostiene che sarà possibile ottenere progressi solamente sviluppando sistemi di governo innovativi a più livelli, che comprendano un coordinamento strategico e un adeguato mix di strategie per ciascuna regione (poiché non esiste un'unica «strategia miracolosa»), e in cui vengano identificati, a fini di selezione, reti, raggruppamenti e poli d'eccellenza, eventualmente con il sostegno delle agenzie regionali.

2.9

Per il periodo di programmazione 2007-2013, la Commissione ha approfondito i propri obiettivi nell'ambito delle linee guida della strategia comunitaria sulla coesione, con particolare riferimento a competitività, crescita e risorse umane. La Commissione ha stabilito un obiettivo in materia di cooperazione territoriale europea, che si concentra sulla «cooperazione transfrontaliera mediante iniziative e obiettivi congiunti a livello locale e regionale, la cooperazione transnazionale volta allo sviluppo territoriale e la cooperazione e lo scambio di esperienze a livello interregionale» (8).

2.10

I ministri competenti per la coesione territoriale e la politica regionale hanno definito un'agenda per le regioni e le città nell'ambito della Carta di Lipsia e dell'Agenda territoriale (9). La riunione ministeriale informale delle Azzorre ha compiuto il passo successivo, definendo le modalità da seguire per realizzare tale agenda. Nel primo programma d'azione (10) i ministri hanno sottolineato con vigore la loro convinzione che «la governance a più livelli rappresenti uno strumento fondamentale per uno sviluppo spaziale equilibrato dell'UE e si propongono di organizzare, insieme a soggetti selezionati e autorità locali e regionali, l'attuazione delle priorità dell'Agenda territoriale».

2.11

Nell'ambito di tale programma, i ministri hanno inoltre sottolineato che gli obiettivi dell'Agenda territoriale possono essere perseguiti, conformemente alle disposizioni istituzionali all'interno di ciascuno Stato membro, attraverso un forte coinvolgimento dei poteri e dei soggetti nazionali, regionali e locali e il dialogo con la Commissione e le altre istituzioni europee (11). Ancora una volta si può notare l'accento posto sull'esigenza di discutere, interagire e sostenersi reciprocamente nell'intera catena della governance, a partire dai soggetti locali di tutta Europa verso la Commissione e viceversa.

2.12

Nelle cinque linee d'azione i ministri hanno sottolineato la necessità di rafforzare la governance territoriale a più livelli, le nuove forme di partenariato e la governance territoriale, nonché l'esigenza di introdurre una dimensione territoriale/urbana nell'ambito delle politiche settoriali.

2.13

È tuttavia deludente — se non tipico — che nel programma d'azione la competenza per la sua concreta attuazione, almeno sul piano delle definizioni, sia ancora quasi esclusivamente nelle mani degli Stati membri e che gli enti regionali e locali e le altre parti interessate siano raramente citati quale parte indispensabile di tale processo. Prevale ancora il concetto tradizionale di sussidiarietà.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1

Esistono degli ostacoli alla trasparenza, alla coerenza e all'efficienza in fase di programmazione e attuazione delle politiche regionali. Essi sono in parte dovuti alle differenze organizzative e di metodi di lavoro esistenti a livello europeo fra le direzioni generali e tra i fondi europei. In gran parte, però, sono connessi ai difetti e alle lacune inerenti al funzionamento del «governo a più livelli» e all'attuazione di politiche e programmi.

3.2

Il progetto di relazione del PE dimostra giustamente che per migliorare la governance a livello europeo sono state adottate diverse iniziative positive, quali URBAN I e II, Leader e Urbact.

3.3

A giudizio del CESE alcune iniziative, come l'Agenda territoriale, risultano tuttavia piuttosto vaghe. Inoltre, non esistono prove concrete che dimostrino fino a che punto «il governo a più livelli» rappresenta un fattore di successo nell'ambito dei programmi sopramenzionati.

3.4

Sebbene il «governo a più livelli» stia divenendo una pratica più accettata in tutta l'Unione, vi sono ancora carenze per quanto riguarda sia la trasparenza e la coerenza dei metodi di lavoro sia la comunicazione. Ciò è in gran parte dovuto al fatto che l'Unione europea non agisce come uno Stato unitario.

3.5

Inoltre in alcuni casi, a seconda degli interessi nazionali e delle tradizioni culturali, vi sono notevoli divergenze tra i modi in cui i governi nazionali e parti interessate come gli enti territoriali interpretano la posizione dell'UE nell'ambito del concetto di «governo a più livelli».

3.6

Una terza considerazione riguardante i potenziali problemi di un «governo a più livelli» nasce dall'ampia varietà di impostazioni amministrative e politiche esistenti negli stessi Stati membri, che sono profondamente radicate e solitamente inadatte al cambiamento.

3.7

Le suddette considerazioni dimostrano che è pressoché impossibile adottare un approccio uguale per tutti, a livello europeo, nella pianificazione e nella programmazione regionale. Le strutture, gli approcci e gli atteggiamenti nazionali e spesso anche regionali restano decisivi. Ciò nonostante, le circostanze concrete, come gli effettivi sviluppi socioeconomici e finanziari a livello internazionale, impongono di riesaminare le procedure per far sì che le regioni siano capaci di recuperare e adatte al cambiamento.

3.8

La politica regionale dell'Unione europea dovrebbe essere un processo bottom-up (dal basso verso l'alto) come pure top-down (dall'alto verso il basso). Bottom-up perché le regioni devono individuare e migliorare le loro condizioni sociali ed economiche, ambientali e concorrenziali e perché la politica regionale europea (e nazionale) deve essere necessariamente attuata in loco. Top-down per il fatto che le risorse finanziarie e le condizioni quadro sono fornite e definite a livello europeo e nazionale. Comunque, non è mai una strada a senso unico.

3.9

Le iniziative adottate a livello dell'UE e le buone intenzioni degli Stati membri di promuovere approcci amministrativi più efficaci e convergenti in tutta Europa meritano un giudizio positivo. Tuttavia, una buona governance nella politica regionale impone innanzitutto di correggere le rigidità del «governo a più livelli», intervento che sostanzialmente si riduce a modificare stile e mentalità di governo.

3.10

I documenti menzionati nel capitolo 2 dimostrano che il Consiglio condivide ampiamente questo punto di vista. Si tratta certamente di un importante passo in avanti, ma per passare dalle parole all'attuazione pratica la strada è spesso lunga.

3.11

L'attuazione pratica è più agevole da realizzare in quei paesi e regioni che vantano una tradizione decentrata, piuttosto che nei sistemi amministrativi centralizzati. Ulteriori complicazioni emergono, poi, in alcuni Stati membri, dove non esiste una politica regionale ben regolata e dove gli enti regionali non sono ancora completamente consolidati.

3.12

Il CESE sottolinea la necessità di disporre di statistiche europee più valide e accurate come condizione fondamentale per una politica regionale efficace.

3.13

Il CESE sostiene tutti gli sforzi intesi a migliorare la governance europea, che dovrebbero consentire un collegamento migliore e più trasparente tra «politiche» e risultati. Per ottenere dei risultati è indispensabile la partecipazione dei soggetti regionali e locali, pubblici e privati. Essi devono essere coinvolti in modo più visibile. Di norma, la partecipazione comporta un impegno e responsabilità condivisi, il che, a giudizio del CESE, è essenziale.

4.   «Governo a più livelli»: interazione tra Commissione, governi e regioni

4.1

A livello della Commissione, sarebbe opportuna una maggiore coerenza nella presentazione dei vari fondi comunitari connessi alla politica regionale. Il quadro generale dei principi, traguardi e obiettivi delle politiche comunitarie in materia risulta alquanto confuso agli osservatori esterni.

4.2

Occorre un approccio condiviso fra le direzioni generali della Commissione e, a questo proposito, il gruppo interservizi «Affari urbani» (12) può essere di grande aiuto.

4.3

Una presentazione più coesa e la visibilità di un approccio comune a livello dell'Unione possono inoltre dare l'esempio ai governi e ai loro ministeri perché giungano a un approccio integrato per le regioni e le città laddove questo, a livello nazionale, è di norma carente. Sarà comunque utile colmare, in una certa misura, il divario fra il livello europeo e quello regionale e comunale.

4.4

Un'attuazione flessibile del «governo a più livelli» e le relative sinergie possono dare un incentivo positivo all'adeguamento delle pratiche amministrative degli Stati membri. Dato che l'obiettivo ultimo della politica regionale è quello di attivare quanto più possibile le potenzialità (nascoste) di regioni e città, le strutture di governo devono essere organizzate di conseguenza, in modo trasparente e coerente.

4.5

I fondi UE, in stretto coordinamento con i programmi nazionali, devono offrire incentivi stimolanti per sviluppare queste potenzialità.

4.6

La Commissione deve svolgere un ruolo più ampio anche nel collegare le regioni e le città all'Europa e nel promuovere la loro fiducia in sé stesse, la capacità di recupero e la sostenibilità, spiegando, anche a livello decentrato, l'importanza dell'Agenda di Lisbona (che ad oggi non è stata ancora ben compresa), sensibilizzando sul ruolo futuro delle città e delle zone metropolitane nonché diffondendo gli approcci riusciti in tutta l'Europa (13). Gli istituti di ricerca specializzati e le università possono svolgere un ruolo di sostegno a queste iniziative.

4.7

A giudizio del CESE, questo non significa certo introdurre nuove procedure, quanto piuttosto ridurre gli adempimenti burocratici e gli oneri amministrativi e favorire un decentramento mirato e coerente.

4.8

Secondo il CESE il decentramento offre prospettive molto interessanti per il futuro, poiché accresce le responsabilità degli enti regionali e locali e rafforza l'obbligo di rendere conto.

4.9

La responsabilità e l'obbligo di rendere conto sono aspetti essenziali. Rappresentano gli elementi costitutivi di quei requisiti fondamentali di qualsiasi tipo di sviluppo regionale che sono leadership, visione creativa e coerenza. In Europa vi sono eccellenti esempi al riguardo (14).

4.10

L'Unione europea e i governi nazionali dovrebbero tenere conto dei meccanismi e dei metodi di lavoro impiegati dalle regioni e dalle città che hanno successo, comprese le aree metropolitane. Non si tratta di piccoli «Stati», ma di entità di natura diversa la cui gestione diverge sostanzialmente dalla gestione statale.

4.11

Il loro approccio è spesso ispirato da obiettivi concreti che rappresentano il fattore trainante dello sviluppo totale (15); la loro immagine è determinata nella maggior parte dei casi dal miglioramento delle condizioni per gli investimenti (esteri), dai cluster e dalle risorse umane. Al contempo, oggi lo sviluppo sostenibile rappresenta uno dei principali punti all'ordine del giorno, e lo stesso dicasi per l'inclusione sociale e la qualità delle condizioni di vita e di lavoro.

4.12

È inoltre possibile istituire un programma di scambio europeo per i funzionari regionali e comunali. Sarà di grande utilità approfondire la conoscenza di approcci e strategie altrui a livello transfrontaliero, con riferimento, ad esempio, allo sviluppo territoriale, alla promozione dell'attrattiva economica e all'edilizia popolare.

4.13

Il CESE suggerisce di istituire programmi di gemellaggio fra regioni e città in tutta Europa come quelli già esistenti in molti altri settori, che consentano alle loro regioni di abituarsi a programmi e procedure decentrate.

4.14

Tali scambi ben strutturati all'interno dell'Europa possono favorire un cambiamento di mentalità e di atteggiamento in grado di promuovere la capacità d'espressione e di recupero di regioni e città. Come dimostrano numerosi esempi, le regioni e le aree metropolitane ricevono spesso impulsi positivi dalla dinamica dell'internazionalizzazione economica, trovando nuovi modi per venire alla ribalta.

4.15

I programmi comunitari possono sostenere questa consapevolezza, sia attraverso progetti cofinanziati dai fondi, sia grazie a contatti e consulenze mirati offerti da funzionari della Commissione. Un ulteriore aiuto può essere fornito da organi consultivi specializzati operanti a livello transfrontaliero. Sarebbe anche molto utile che il Parlamento europeo sostenesse la strutturazione di tale processo, già in atto.

4.16

Il CESE condivide la proposta avanzata nel documento del Parlamento europeo di istituire ufficialmente un Consiglio UE sullo sviluppo territoriale. Quest'ultimo porrebbe l'accento sulla rilevanza del «governo a più livelli» e rappresenterebbe una buona piattaforma per sviluppare idee in merito ad un approccio olistico nei confronti di regioni e città. Rafforzerebbe inoltre l'obbligatorietà di discussioni e accordi in seno al Consiglio.

4.17

Sulla base del primo programma d'azione (2007) (16) si potrebbe avviare un dibattito europeo sulla modernizzazione dei sistemi e delle prassi amministrative per quanto concerne la relazione Stato-regioni/città. I suoi obiettivi dovrebbero essere: riduzione delle formalità burocratiche, rafforzamento della fiducia, promozione della sostenibilità e della capacità di recupero di regioni e città, trasparenza, riduzione delle distanze fra i livelli decentrati e il livello europeo.

4.18

Tali suggerimenti vanno considerati elementi di una migliore governance delle relazioni fra le autorità pubbliche a tutti i livelli. Dette relazioni non andrebbero, o non andrebbero più, considerate nel quadro di una gerarchia di competenze fra i vari livelli di governo. Al contrario, secondo il CESE, il «governo a più livelli» rappresenta un modello flessibile di relazioni fra Commissione, governi nazionali ed enti regionali e locali, calibrato sulla base di situazioni specifiche e considerazioni tematiche.

5.   La buona governance presuppone l'esistenza di partenariati con la società civile organizzata

5.1

A giudizio del CESE, per una gestione locale e regionale aggiornata occorre il coinvolgimento attivo dei diversi segmenti delle comunità locali e regionali. Essi possono apportare competenze e punti di vista diversificati, rispondenti ad esigenze specifiche. In modo esplicito o implicito, questo fatto è riconosciuto anche in numerose considerazioni del Consiglio (17).

5.2

Il riferimento principale al «partenariato» è contenuto all'articolo 11 del regolamento generale sui fondi strutturali che raccomanda il partenariato, ossia la consultazione e la partecipazione dei soggetti socioeconomici e della società civile organizzata (18).

5.3

A giudizio del CESE la buona governance in materia di politica regionale prevede una partecipazione responsabile e trasparente della società civile rappresentativa e legittima, che è costituita da soggetti ben definiti a livello regionale. La consultazione e la partecipazione dovrebbero riguardare la definizione, la programmazione e la valutazione dei progetti regionali. Tale cooperazione dovrebbe essere avviata anche nel caso dei progetti interregionali e transfrontalieri, tra l'altro nel quadro di un gruppo europeo di cooperazione territoriale (19).

5.4

In termini più generali il CESE ritiene che il decentramento sia salutare per promuovere la responsabilità e l'obbligo di rendere conto degli enti locali e regionali, e che esso attiverà anche soggetti non governativi come parti sociali, camere di commercio, imprese, agenzie per lo sviluppo, organizzazioni dell'edilizia abitativa, enti parastatali, agenzie ambientali e sociali, istituti scolastici di ogni ordine e grado, enti sanitari, architetti e artisti.

5.5

Nonostante le intenzioni espresse dal Consiglio e il dialogo costante condotto tra la Commissione, gli Stati membri e le regioni per promuovere questi partenariati, essi sono stati attuati solo in un numero limitato di casi (20), mentre in molti altri semplicemente non esistono. I buoni esempi andrebbero resi pubblici.

5.6

Per parte sua, anche la società civile rappresentativa deve essere organizzata in modo soddisfacente a livello regionale, e deve disporre di competenze adeguate. Queste condizioni non sono facilmente realizzabili laddove la società civile è scarsamente sviluppata oppure rispecchia un'ampia varietà di interessi talvolta contrastanti.

5.7

La Commissione dovrebbe avere l'opportunità di agire da catalizzatore o promotore di curve di apprendimento nella governance decentrata.

5.8

Anche la consapevolezza e la visione creativa dell'esigenza di cambiamento e di adeguamento nelle regioni e nelle città può favorire lo sviluppo e il miglioramento dei partenariati. L'esperienza dimostra che una visione coerente tra gli enti pubblici crea lo spazio per intensificare la cooperazione con altri soggetti interessati. Si dovrebbe tenere conto, nella stessa prospettiva, dell'articolo 11 relativo al partenariato delle disposizioni generali sui fondi strutturali.

5.9

Le opportunità che si offrono sono tante. Una migliore governance a livello decentrato rafforzerà notevolmente la capacità delle società di recuperare terreno e di affrontare il futuro.

5.10

Tenuto conto dell'intenzione della Commissione europea di pubblicare verso la fine di quest'anno un documento sul tema del partenariato nel quadro della politica di coesione dell'UE, il CESE propone di riprendere l'argomento in modo più dettagliato in un parere a parte.

Bruxelles, 18 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  A giudizio del CESE, «regioni» e «città» non sono necessariamente assimilabili alle corrispondenti entità amministrative esistenti. Si tratta piuttosto di un concetto dinamico che prevede aree socioeconomiche coerenti e include regioni-rete, città e dintorni, comuni interconnessi e aree metropolitane.

(2)  Cfr. il parere del CESE sul tema Il partenariato quale strumento di attuazione dei fondi strutturali, GU C 10 del 14.1.2004, pag. 21.

(3)  Il Libro bianco La governance europea COM(2001) 428 def. illustra, fra l'altro, una nuova visione delle modalità con cui l'Unione europea potrebbe e dovrebbe funzionare: rafforzando la partecipazione, favorendo una maggiore apertura e identificando chiaramente il legame fra le politiche, l'attività normativa e la loro concreta attuazione. L'intento esplicito è quello di migliorare il legame fra l'Europa e i suoi cittadini.

(4)  PE407.539v01-00 — relatore Jean-Marie BEAUPUY.

(5)  SEC(2007) 1547 del 14.11.2007.

(6)  Riunione svoltasi il 23 e 24 novembre 2007 durante la presidenza di turno portoghese.

(7)  Ibid. pag. 6. Cfr. anche pag. 18: fattori determinanti per una «regione di successo».

(8)  Ibid. pag. 17.

(9)  Si tratta della Carta di Lipsia sulle città europee sostenibili e dell'Agenda territoriale dell'Unione europea, verso un'Europa più competitiva e sostenibile composta di regioni diverse — Riunione ministeriale informale sullo sviluppo urbano del 24-25 maggio 2007.

(10)  Primo programma d'azione per l'attuazione dell'Agenda territoriale dell'Unione europea, 23 novembre 2007.

(11)  Ibid. pag. 8.

(12)  Il gruppo interservizi «Affari urbani» risale al 2007. In esso sono rappresentate tutte le attività della DG in settori specifici di interesse delle città.

(13)  La Commissione ha effettuato un'analisi, sotto forma di benchmarking, di 26 regioni francesi.

(14)  Un esempio straordinario è Bilbao, dove venti anni di leadership, visione creativa e coerenza hanno prodotto una metropoli moderna e orientata verso il futuro in una regione che all'inizio degli anni '80 era in cattive condizioni e in piena depressione. La leadership di Bilbao è stata sostenuta finanziariamente dal governo centrale e dal governo basco nonché dalla provincia (esempio di efficiente partenariato pubblico-pubblico) oltre che da solidi partenariati con la società civile organizzata e il settore privato.

(15)  Fra questi, sono esempi interessanti il nodo ferroviario ad alta velocità di Lilla, i Giochi olimpici e il 500o anniversario della scoperta dell'America da parte di Colombo a Barcellona e il nuovo futuristico centro cittadino di Birmingham. In tutti e tre i casi, questi obiettivi trainanti hanno rappresentato il nuovo punto di partenza per un rinnovato sviluppo.

(16)  Cfr. primo programma d'azione, pag. 5: «Occorrono nuove forme di governance a livello territoriale per promuovere un migliore approccio integrato e una cooperazione flessibile fra i diversi livelli territoriali».

(17)  Cfr. capitolo 2.

(18)  Regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio dell'11 luglio 2006, da applicare a tutti i programmi della politica di coesione dell'UE per il periodo 2007-2013. È evidente che i partenariati a livello nazionale, pur essendo importanti, non possono sostituire i partenariati con la società civile a livello regionale.

(19)  Regolamento (CE) n. 1082/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006. Tale regolamento riguardante le operazioni transfrontaliere è limitato alle pratiche amministrative.

(20)  In diverse occasioni il CESE ha raccomandato il partenariato nell'attuazione della politica regionale, ad esempio nei pareri sul tema Il partenariato quale strumento di attuazione dei fondi strutturali, GU C 10 del 14.1.2004, pag. 21, e Il ruolo delle organizzazioni della società civile nell'attuazione della politica comunitaria di coesione e sviluppo regionale, GU C 309 del 16.12.2006, pag. 126. I partenariati regionali dovrebbero essere garantiti anche in altri settori, come il Programma per la competitività e l'innovazione e il Settimo programma quadro, cfr. il parere CESE sul tema La governance territoriale delle trasformazioni industriali: il ruolo delle parti sociali e il contributo del programma quadro per l'innovazione e la competitività, GU C 318 del 23.12.2006, pag. 12.


31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/148


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Esenzioni fiscali applicabili all'introduzione definitiva di beni personali di privati provenienti da uno Stato membro (versione codificata)

COM(2008) 376 def. — 2008/0120 (COD)

(2009/C 77/31)

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 18 giugno 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema:

Esenzioni fiscali applicabili all'introduzione definitiva di beni personali di privati provenienti da uno Stato membro (versione codificata)

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, in data 17 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha deciso all'unanimità di esprimere parere favorevole al testo proposto.

 

Bruxelles, 17 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/148


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La strategia UE-Africa

(2009/C 77/32)

Con lettera datata 11 luglio 2007, il commissario europeo allo Sviluppo e agli aiuti umanitari Louis MICHEL ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere esplorativo sul tema:

La strategia UE-Africa.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 17 luglio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore DANTIN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 89 voti favorevoli, nessun voto contrario e nessuna astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Nel contesto globalizzato del nuovo secolo le relazioni tra l'Europa e l'Africa, sulla scorta dell'esperienza passata, devono subire un'evoluzione radicale, soprattutto nel senso di un partenariato che preveda pari diritti e doveri. Dopo decenni di cooperazione e di aiuti allo sviluppo, infatti, l'estrema povertà dell'Africa si accentua e si intensifica: i frutti di una crescita male indirizzata e a scarso contenuto occupazionale sono ripartiti in modo ineguale e ciò approfondisce le disuguaglianze; oltre il 55 % della popolazione dell'Africa subsahariana vive con meno di un dollaro al giorno; circa il 70 % del numero totale di posti di lavoro è costituito da posti di lavoro informali e di sussistenza, per oltre il 57 % nel settore agricolo. Tutto ciò rende l'idea della drammatica carenza di posti di lavoro dignitosi e produttivi.

1.2

La posta in gioco è rilevante per quanto riguarda in primo luogo lo sviluppo e la stabilizzazione del continente africano, ma anche la sicurezza del continente europeo e la sua capacità di mantenere a lungo una crescita sostenuta.

1.3

Le politiche di sviluppo condotte fino a questo momento dall'Unione europea in applicazione dei diversi accordi (Lomé, Yaoundé, Cotonou) e i finanziamenti destinati a tali politiche non hanno ottenuto i risultati auspicati, in particolare per quanto riguarda la creazione di posti di lavoro dignitosi. Detto questo, poiché la situazione non può restare così com'è e questo stato di cose va cambiato, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si rallegra dell'esito positivo del vertice UE/Africa svoltosi a Lisbona l'8 e il 9 novembre 2007.

1.3.1

Il CESE si rallegra in particolare del fatto che la dimensione del lavoro sia stata presa in considerazione in modo trasversale.

1.4

Il CESE è infatti convinto che lo sviluppo del lavoro dignitoso sia cruciale per quella riduzione delle disuguaglianze e della povertà e per quell'integrazione sociale e costruzione di un'esistenza dignitosa che sono necessarie per neutralizzare estremismi e conflitti e, di conseguenza, dare agli Stati la necessaria stabilità.

1.5

Il CESE ritiene che, per sviluppare il lavoro dignitoso, sia necessario condurre un'azione che si ponga quest'ultimo come obiettivo essenziale e incida sui parametri enunciati di seguito. Tali parametri, pur essendo intrinsecamente diversi, sono legati da forti sinergie che conferiscono loro una reattività reciproca e, nel loro insieme, costituiscono una politica.

1.5.1

Una crescita basata essenzialmente sullo sfruttamento delle ricchezze naturali presenta un basso contenuto occupazionale. La crescita va quindi reindirizzata verso prodotti di prima trasformazione o prodotti finiti. Gli investimenti devono perseguire quest'obiettivo puntando su settori ad alto valore aggiunto.

1.5.2

Il settore privato e, al suo interno, le PMI rivestono un'importanza cruciale. L'UE deve fare dello sviluppo delle PMI una delle direttrici della sua politica di cooperazione.

1.5.3

L'aumento in corso dei prezzi delle materie prime è un ulteriore dato che deve indurre a fare del settore agricolo la priorità strategica dello sviluppo. Occupando una porzione significativa del territorio e della popolazione rurale, tale settore deve concorrere al conseguimento dell'autosufficienza alimentare, allo sviluppo di un'industria di trasformazione e, per questa via, al rallentamento dell'esodo rurale.

Occorre programmare una politica agricola a breve, medio e lungo termine prestando un'attenzione prioritaria al reperimento delle risorse di bilancio per la sua attuazione. L'elaborazione di tale politica dovrà svolgersi in collaborazione con le organizzazioni agricole.

1.5.4

Lo sviluppo delle risorse umane è un fattore imprescindibile di ogni strategia di sviluppo. È quindi necessario analizzare il fabbisogno di posti di lavoro e il mercato del lavoro, effettuare previsioni e anticipare le sfide principali riguardanti l'adeguatezza della formazione al lavoro.

1.5.5

Anche se l'integrazione economica regionale e subregionale ha fatto registrare sensibili progressi, il potenziale commerciale non è ancora stato pienamente sfruttato. Occorre in particolare coordinare le misure prese per armonizzare le procedure doganali, sviluppare le infrastrutture e assicurare la libera circolazione dei cittadini. Sotto questo profilo il CESE si rammarica che non si sia ancora conclusa la negoziazione regionale degli Accordi di partenariato economico aventi per oggetto, tra l'altro, l'integrazione regionale.

1.5.6

Il dialogo sociale deve accompagnare e migliorare qualsiasi politica di sviluppo, soprattutto attraverso la contrattazione collettiva. Bisogna perciò istituire organizzazioni datoriali e sindacali forti e indipendenti o rendere tali quelle che esistono.

1.5.7

La partecipazione degli agenti non statali è imprescindibile dallo sviluppo del lavoro e deve quindi essere al centro della strategia comune UE/Africa. A questo titolo, gli agenti non statali devono essere coinvolti nell'elaborazione e nell'attuazione dei Programmi indicativi nazionali e regionali.

1.5.8

Condizionando la fiducia degli investitori, una buona governance è un presupposto essenziale per il lavoro e deve essere considerata nella sua globalità, con un'attenzione particolare al rispetto dei diritti umani e dei lavoratori (comprese le libertà sindacali), alle norme sul lavoro e alla corruzione. In merito a quest'ultimo punto, l'UE e gli Stati membri devono condizionare la concessione di aiuti finanziari alla possibilità di rintracciarne l'impiego.

2.   Introduzione

2.1

Con lettera datata 11 luglio 2007, il commissario europeo allo Sviluppo e agli aiuti umanitari Louis MICHEL ha chiesto al CESE di elaborare un parere esplorativo sulle varie questioni sollevate dalla comunicazione Dal Cairo a Lisbonail partenariato strategico UE-Africa, in particolare su come ridurre il deficit occupazionale in Africa.

2.2

Il CESE si compiace di questa richiesta che, pur rientrando nel quadro delle politiche di sviluppo che vengono condotte in Africa da decenni, punta a sondare il futuro che si sta delineando, in particolare, attraverso le decisioni del vertice UE-Africa contenute nella dichiarazione Il partenariato strategico, accompagnata da un Primo piano d'azione (2008-2010) destinato ad attuarla.

2.3

Consultando il CESE sul tema del lavoro, la Commissione esprime la scelta di fare di quest'ultimo l'obiettivo essenziale della sua politica di sviluppo e, al tempo stesso, indica che gli agenti economici e sociali hanno un ruolo da svolgere nell'eliminazione della povertà mediante la creazione di posti di lavoro dignitosi. Il CESE se ne compiace.

Nel presente parere il CESE, dopo aver rapidamente passato in rassegna le politiche trascorse e i loro risultati a fronte della situazione attuale dell'Africa nonché le politiche future, tenterà di evidenziare gli interventi essenziali che, a suo giudizio, dovranno essere realizzati per contribuire alla creazione di posti di lavoro dignitosi. Questo tentativo sarà effettuato alla luce degli orientamenti e del piano d'azione che sono stati deliberati al vertice UE-Africa svoltosi a Lisbona l'8 e 9 dicembre 2007. Per far ciò il CESE si baserà soprattutto sui suoi lavori precedenti sullo sviluppo dell'Africa (1).

3.   Considerazioni generali

3.1

Il continente africano è composito, essendo costituito da Stati spesso diversi in termini di storia, cultura, etnie, ricchezze proprie (minerali metalliferi, petrolio, diamanti ecc.), clima o ancora di democrazia, buona governance, rispetto dei diritti dell'uomo ecc. Tutto ciò determina una variabilità di livelli economici e sociali che fa sì che sia rischioso considerarlo e osservarlo come un insieme unico e monolitico. Ciò non toglie che un certo numero di caratteristiche siano comuni, prime tra tutte le relazioni con l'Europa: quelle passate, quelle future o ancora quelle di una storia condivisa che darà vita a un futuro comune, partecipe di una dinamica di cambiamento anch'essa condivisa.

3.2

Nel contesto globalizzato del nuovo secolo, infatti, le relazioni tra l'Europa e l'Africa, sulla scorta dell'esperienza passata, devono subire un'evoluzione radicale: a rischio di mettere alcuni partner, su ciascuno dei due continenti, di fronte alle loro contraddizioni, vanno fondate sulla consapevolezza che è necessario costruire un futuro comune, che dovrà poggiare, più che su una storia temporaneamente condivisa, sulla compassione o sulla fedeltà, su sfide e rischi comuni e su una logica di interessi reciproci.

3.3

La posta in gioco è rilevante. A quindici chilometri di distanza dall'Europa, il continente africano concentra sul proprio territorio tutti i «gravi rischi» del mondo contemporaneo: migrazione incontrollata, epidemie emergenti, catastrofi climatiche e ambientali, minaccia terroristica e così via. Allo stesso tempo è anche il continente dotato del maggiore potenziale, sotto il profilo sia delle risorse naturali che della domanda prevedibile di consumo e di investimenti.

3.4

È vero che l'Unione europea rimane tuttora il primo partner economico del continente africano e il suo principale donatore. Questo monopolio storico, però, è ormai intaccato dall'offensiva dei «finanziatori emergenti», soprattutto la Cina ma anche l'India, i grandi paesi dell'America latina, le monarchie del Golfo e perfino l'Iran, come pure dal ritorno degli Stati Uniti, interessati allo stesso tempo a mantenere la sicurezza del loro approvvigionamento energetico, a contrastare la minaccia del terrorismo, a estendere il terreno della lotta per i valori cristiani e democratici e a contrastare la tendenza alla «infiltrazione» cinese, che ritengono preoccupante (2).

3.5

È però chiaro che, d'ora in poi, sia la sicurezza del continente europeo che la sua capacità di mantenere a lungo una crescita sostenuta dipenderanno in modo diretto e immediato dallo sviluppo e dalla stabilizzazione del continente africano. Sul medio e lungo periodo, l'Europa non potrà essere un'isola di prosperità a quindici chilometri da un continente contraddistinto dalla miseria. Ne va dello sviluppo sostenibile dell'Unione europea, che deve rendersi conto del fatto che d'ora in poi l'Africa sarà «la sua frontiera».

3.6

«La strategia dell'Europa nei confronti dell'Africa è stata a lungo caratterizzata da un rapporto asimmetrico donatore-beneficiario, accompagnato da una falsa buona coscienza ideologica e da una visione unilaterale dei nostri interessi. Questa visione antiquata, non realistica, si è dimostrata terribilmente nociva. Si deve voltar pagina per passare a un partenariato di nuova concezione, tra partner uguali nei diritti e nei doveri che praticano una logica di interessi condivisi fondata su parametri come lo sviluppo sostenibile, una buona governance economica, fiscale e sociale, il trasferimento di tecnologia e così via (3)».

3.6.1

La strategia basata quindi sul rapporto asimmetrico donatore-beneficiario, o finanziatore-beneficiario, e concretizzatasi soprattutto nel contenuto dei vari accordi che hanno disciplinato o disciplinano le relazioni tra i due blocchi, risulta «fallimentare» se si guarda a quella che è l'attuale situazione economica e sociale dell'Africa (4). Bisogna quindi cambiare questo stato di cose.

Questa strategia ha fatto entrare i paesi africani in uno stato di dipendenza, soprattutto finanziaria, rendendo più difficile lo sviluppo del dinamismo necessario per fare ingresso positivamente nell'economia mondiale.

3.6.1.1

Infatti, dopo decenni di aiuti allo sviluppo erogati dall'Unione europea, da molti Stati membri (spesso paesi ex colonizzatori) e da organismi internazionali come la Banca mondiale, l'estrema povertà dell'Africa si accentua e si intensifica.

3.6.1.2

Mentre paesi o regioni emergenti come la Cina, l'India, il Sudest asiatico, il Brasile diventano potenze economiche e si inseriscono nel commercio internazionale, l'Africa, salvo rare eccezioni, non decolla.

3.6.1.3

Come mai un paese come la Corea del Sud, che fino a pochi anni fa viveva «per il riso e con il riso», è diventato uno dei leader mondiali della costruzione elettronica e navale, dei servizi informatici, della costruzione di automobili ecc. e non l'Africa?

3.6.1.4

L'Europa è tuttora il maggior importatore di prodotti africani. Malgrado ciò, benché per quasi 25 anni siano stati applicati dazi doganali asimmetrici, le esportazioni dei paesi africani verso l'UE sono diminuite di oltre la metà, passando dall'8 % del volume del commercio mondiale nel 1975 al 2,8 % nel 2000. Questo trattamento preferenziale sui dazi doganali, quindi, si è rivelato insufficiente, in quanto la scarsa competitività dei prodotti dei paesi africani ha condizionato le capacità di esportazione di questi ultimi verso l'Europa.

3.6.1.5

I frutti della crescita, sostanzialmente derivanti dallo sfruttamento delle risorse naturali, sono ripartiti in modo ineguale, cosa che approfondisce le disuguaglianze in quanto lascia i poveri altrettanto poveri, se non di più, e rende i ricchi ancora più ricchi. Tutto ciò è ben lontano da un buon governo dell'economia ispirato a preoccupazioni di tipo etico. Numerosi africani denunciano questa situazione:

«(Bisogna) rimpatriare i fondi acquisiti illegalmente nei paesi d'origine e depositati nelle banche straniere.» (5)

«Siamo malati di malgoverno: certi paesi oggi sono più poveri rispetto a prima che iniziasse lo sfruttamento del petrolio o dei diamanti, altri sono governati da leader la cui ricchezza personale supera il valore del debito nazionale! Il male non viene dall'esterno, ma da noi stessi.» (6)

4.   Dal Cairo a Lisbona: una nuova strategia Africa-UE

4.1

Le politiche condotte finora e i fondi loro destinati non sempre hanno conseguito i risultati auspicati, soprattutto per quanto riguarda la creazione di posti di lavoro dignitosi. Detto questo, poiché la situazione non può restare così com'è, il CESE si compiace per l'esito positivo del vertice di Lisbona dell'8 e 9 dicembre 2007. Si compiace in particolare della volontà politica che ha permesso di completare o addirittura ridisegnare sia le attività di cooperazione, dando loro un nuovo orientamento, sia, per questa via, i rapporti commerciali e politici tra i due continenti.

4.2

Sette anni dopo il vertice del Cairo, infatti, il vertice di Lisbona ha gettato le basi di un nuovo partenariato strategico, inter pares, tra l'Africa e l'Unione europea, fondato su valori, principi e interessi comuni che consentano di affrontare insieme alcune sfide globali sulla scena internazionale: pace e sicurezza, governance e diritti umani, migrazioni, energia e cambiamento climatico, commercio, infrastruttura e sviluppo.

4.3

Il carattere originale e innovativo di tale strategia, al di là del suo contenuto, sta nell'aver affiancato alla dichiarazione una fase operativa consistente in otto piani d'azione prioritari (cfr. Allegato I del presente parere), cioè una sorta di tabelle di marcia o programmi di lavoro destinati a tradurre in mosse concrete le scelte e le priorità strategiche identificate dai due blocchi continentali. I progressi conseguiti nell'attuazione degli otto piani d'azione, che, sul modello dell'Accordo di Cotonou, sono estremamente ambiziosi, saranno misurati in occasione del prossimo vertice nel 2012.

4.4

Il CESE giudica positivamente il fatto che, al di là delle dichiarazioni di principio, pure importanti, sia stata disposta la creazione di una struttura di lavoro che ne permetterà la concreta traduzione operativa, cosa che permetterà anche di valutarne l'attuazione a partire dal 2010.

4.5

Il CESE sottolinea che ognuno degli otto partenariati tradotti in piani d'azione sarà in grado di contribuire allo sviluppo del lavoro dignitoso nel momento in cui sarà fatta una scelta politica in tal senso e nella misura in cui sarà accompagnato da apposite politiche del lavoro (cfr. capitolo 7).

4.6

Al di là dei documenti, tuttavia, i problemi e gli ostacoli denunciati da certi responsabili africani non possono essere dissimulati dalla buona volontà manifestata da entrambe le parti in occasione del vertice. Essi lasciano intravedere che una nuova strategia, per quanto innovativa nel creare un partenariato equilibrato, non può cancellare in poco tempo il rapporto esistente, qualificato ancora oggi come rapporto da dominante a dominato:

si critica aspramente la burocrazia dell'UE, mentre «con la Cina è talmente facile ottenere subito i trattori di cui abbiamo bisogno …»,

si chiede all'UE di risarcire l'Africa per la colonizzazione e per il saccheggio dei suoi beni oppure di accettare i suoi immigrati …,

si esprimono dubbi sulla possibilità che gli Accordi di partenariato economico (APE) siano conclusi in un vero spirito di partenariato …,

si denunciano divergenze molto marcate in merito alla crisi dello Zimbabwe …

Sembra che la strada sarà ancora lunga e piena di insidie prima che entrambe le parti vincano la scommessa in un contesto di fiducia ritrovata.

4.6.1

Da questo punto di vista il CESE ritiene che, nel contesto di un partenariato equilibrato tra Unione europea e Africa, spetti anzitutto agli stessi governi africani assumersi la responsabilità della buona governance , della lotta alla corruzione e della destinazione degli investimenti diretti o esteri alla riduzione della povertà nel proprio paese. Quest'assunzione di responsabilità, che ne rafforza la sovranità, è il passaggio ineludibile per rinnovare il partenariato. Ciò rende essenziale il principio di un'adesione effettiva a tale partenariato equilibrato, che trova il suo pieno significato nel perseguimento dello sviluppo del lavoro dignitoso.

4.7

Il CESE nota con soddisfazione che è stato dato ampio spazio alla società civile, sia in termini istituzionali (relazioni tra il CESE dell'UE e l'Ecosoc dell'UA) (7), sia per quanto riguarda il complesso degli agenti non statali (ANS) che costituiscono la società civile organizzata (8). Da questo punto di vista, perché la volontà manifestata prenda forma e si traduca nei fatti sarà necessario, pena il fallimento, tener conto delle difficoltà incontrate sotto questo aspetto nell'attuazione dell'Accordo di Cotonou.

Tutto sommato, il CESE approva l'indirizzo progressista impresso alla strategia UE-Africa per tutto il continente.

5.   Il lavoro dignitoso, obiettivo irrinunciabile per un'efficiente strategia UE-Africa

5.1

Secondo l'articolo 55 della Strategia UE-Africa, le questioni legate al lavoro, e in particolare la sicurezza sociale, la scarsità di opportunità lavorative e la promozione in Africa del lavoro dignitoso, saranno affrontate congiuntamente, dovendo dare la priorità alla creazione di posti di lavoro utili nell'economia formale, al miglioramento delle attuali condizioni di vita e di lavoro in linea con il programma dell'ONU Per un lavoro dignitoso e all'integrazione dell'economia informale in quella formale.

5.2

Il CESE si compiace del fatto che la strategia UE-Africa abbia ufficialmente preso in considerazione la problematica del lavoro dignitoso, in quanto ritiene che lo sviluppo di quest'ultimo, in termini quantitativi ma anche qualitativi, sia cruciale per quella riduzione delle disuguaglianze e della povertà e per quell'integrazione sociale che sono necessarie per neutralizzare estremismi e conflitti e, di conseguenza, dare agli Stati la necessaria stabilità.

6.   Il lavoro in Africa

Il tasso di attività della popolazione africana è elevato (68,6 %). Pur essendo elevato anche il tasso di disoccupazione (10,3 %), il problema più grave è dato dalla mancanza di posti di lavoro dignitosi e produttivi: il 46,2 % della popolazione, di cui il 55,4 % vive nell'Africa subsahariana, vive con meno di un dollaro al giorno. In altre parole, una quota consistente della popolazione attiva è dedita a occupazioni informali, generalmente di sussistenza, che equivalgono al 68 % del numero totale di posti di lavoro, il 57,2 % dei quali sono compresi nel settore agricolo primario e occupati in gran parte da giovani e donne. Queste ultime, allo stesso tempo, svolgono il ruolo determinante di fulcro della famiglia e della comunità economica, rappresentando così la trama organizzativa del tessuto socioeconomico africano (cfr. Allegato II del presente parere).

7.   Creare posti di lavoro dignitosi e produttivi

Considerando ciò che precede, la priorità per l'Africa è creare posti di lavoro dignitosi, produttivi e liberamente scelti, gli unici capaci di contribuire efficacemente all'eliminazione della povertà, alla costruzione di una vita degna e all'introduzione di una protezione sociale efficiente e aperta a tutti, tutto ciò integrando a tutti i livelli non solo la dimensione di genere, ma anche quella giovanile, in quanto i giovani portano in sé il futuro dell'Africa e, in parte, la solidarietà tra le generazioni.

Di fatto, senza posti di lavoro produttivi sarebbe illusorio pretendere di conseguire un tenore di vita dignitoso, lo sviluppo economico e sociale e la realizzazione individuale, obiettivi che presuppongono anzitutto lo sviluppo delle risorse umane e delle imprese private. Per funzionare a pieno regime, questa dinamica deve essere inserita in un contesto propizio al suo svolgimento, in cui siano presenti democrazia, Stato di diritto, buona governance, rispetto dei diritti umani e sociali e così via.

Nella strategia UE-Africa adottata al vertice di Lisbona la dimensione lavorativa è presente in modo trasversale. Scopo di questo capitolo è approfondire questa tematica cruciale per mezzo di analisi e proposte di indirizzo. Ciò presuppone una riflessione sui principali dispositivi in grado di agevolare il raggiungimento dell'obiettivo, secondo un'ottica prettamente macroeconomica. Tuttavia, per approssimare la diversità degli interventi, in un secondo tempo sarebbe utile compilare un inventario delle varie attività svolte dalle ONG europee attive in Africa nel settore negli aiuti allo sviluppo, mettendo così in luce l'eterogeneità dei programmi che esse realizzano, specialmente insieme a enti e/o raggruppamenti locali (cooperative, associazioni di orticoltori, istituti scolastici o sanitari, ecc.), e che concorrono allo sviluppo del lavoro.

Oltre a quanto precede, il CESE tiene però a sottolineare con forza anche un altro punto, e cioè che lo sviluppo dell'Africa e la conseguente creazione di posti di lavoro dignitosi e produttivi possono avvenire solo in un contesto di maggiore stabilità degli Stati che compongono il continente. Ebbene, un gran numero di paesi è tuttora prigioniero di conflitti interminabili. I combattimenti degli ultimi dieci anni in Guinea, Liberia e Sierra Leone, paesi provvisti di risorse naturali e soprattutto di diamanti e legname, hanno precipitato la loro regione in una grave crisi che ha dato origine a un consistente flusso di rifugiati. Senza parlare del conflitto del Darfur che imperversa in Sudan, della «guerra dimenticata» dell'Uganda settentrionale, delle condizioni di scarsa sicurezza che perdurano nelle zone orientali e settentrionali della Repubblica Centrafrica, dell'instabilità del Congo e così via. Considerato il contesto, l'Unione europea e, più in generale, la comunità internazionale hanno un importante ruolo da svolgere in questa problematica decisiva per il futuro del continente. Al di là delle atrocità commesse, che nessuno può ignorare o accettare, è infatti chiaro che, se da una parte il lavoro può contribuire alla stabilità degli Stati, dall'altra la loro instabilità impedisce il loro sviluppo economico e quindi la creazione di posti di lavoro.

7.1   Per una crescita a forte contenuto occupazionale

7.1.1

Pur con forti oscillazioni tra un paese e l'altro, in termini di crescita economica il 2006 è stato un anno fausto per l'Africa, con un tasso pari al 6,3 % nell'Africa settentrionale e al 4,8 % in quella subsahariana.

7.1.2

Sono cifre ragguardevoli, soprattutto se confrontate ai risultati dell'Unione europea. Tuttavia, a causa di una produttività che ristagna o addirittura regredisce, di una destinazione sbagliata degli investimenti, del basso valore aggiunto che caratterizza gran parte delle produzioni industriali o agricole, dell'esplosione demografica e dell'enorme carenza di posti di lavoro dignitosi, solo una crescita a due cifre sarebbe in grado di garantire un miglioramento allo stesso tempo quantitativo e qualitativo dei posti di lavoro. Secondo le stime effettuate, occorrerebbe un tasso di crescita pari almeno al 9 % per iniziare a concretizzare positivamente gli Obiettivi del Millennio, che in ogni caso, purtroppo, non comprendono obiettivi in materia di lavoro.

7.1.3

La crescita attuale non crea molta occupazione perché poggia su basi inadeguate. Generalmente, infatti, ha origine da un maggiore sfruttamento, a condizioni di lavoro spesso ai limiti dell'accettabile, di ricchezze naturali la cui redditività recentemente è esplosa, soprattutto nei paesi produttori di petrolio, con l'aumento del prezzo del barile di greggio. Oltre ad essere aleatoria in quanto soggetta alla variazione dei prezzi, questa situazione non crea neanche un posto di lavoro in più. Lo stesso dicasi per le altre risorse naturali nella misura in cui sono generalmente esportate allo stato grezzo. Per giunta le classi medie che incamerano gli utili del risveglio d'attività economica in genere consumano prodotti importati. Neanche questo tipo di consumo, quindi, ha effetti sull'occupazione locale.

7.1.4

È necessario che gli utili ricavati dall'estrazione del greggio, di cui non sempre si sa dove e come sono impiegati, siano investiti nella lavorazione di prodotti ad alto valore aggiunto, che darebbero origine a una crescita a forte contenuto occupazionale. Lo stesso dicasi per le altre risorse naturali o per quelle agricole che, nel quadro di una politica agricola strutturata, finanziata e prioritaria, a loro volta possono favorire lo sviluppo di un'industria agroalimentare (cfr. punto 7.4 e Allegato IV del presente parere).

7.1.5

Una crescita creatrice di un numero ottimale di posti di lavoro non potrà risultare dal semplice sfruttamento delle materie prime o dalle produzioni agricole tradizionali e di massa (canna da zucchero, cotone, banane, arachidi, cacao ecc.). Avrà invece bisogno che sia sviluppata anche un'industria di trasformazione che produca beni lavorati a forte valore aggiunto, cosa che, a lungo termine, sarà il miglior modo per evitare il deterioramento dei termini di scambio e per consentire ai paesi interessati di entrare a far parte dell'economia subregionale, regionale e poi mondiale e approfittarne così per passare a una nuova fase di sviluppo.

7.2   Per investimenti più diversificati

Se non vi è, o quasi, creazione di posti di lavoro senza crescita, non vi è crescita senza investimenti di qualità.

È generalmente assodato che, per ottenere un tasso di crescita annuo elevato per diversi esercizi (cfr. punto 7.1.2), servirebbe un tasso d'investimento compreso tra il 22 e il 25 % del PIL, mentre negli ultimi anni esso ha raggiunto appena il 15 %. Per avvicinarsi a un tale ritmo di accumulo vanno effettuati due tipi di investimenti, di seguito trattati distintamente.

7.2.1   Gli investimenti endogeni

7.2.1.1

In primo luogo si deve investire in settori ad alto valore aggiunto e/o a forte capacità produttiva, che presentano un grosso potenziale per la creazione di posti di lavoro: infrastrutture, agricoltura e sviluppo sostenibile, conservazione dell'ambiente, industria culturale, trasporti, pesca, sfruttamento forestale, TIC, industria (prima trasformazione e prodotti finiti) ecc. In secondo luogo si deve investire in segmenti di mercato che concorrano a creare un contesto idoneo ad attrarre investimenti diretti esteri (IDE). Si deve inoltre progressivamente formare un circolo virtuoso che colleghi investimenti endogeni, produzione, commercio, utili, nuovi investimenti endogeni ecc.

7.2.1.2

Al contrario degli IDE gli investimenti endogeni, ossia la mobilizzazione delle risorse finanziarie interne, permetteranno all'Africa di determinare da sola le sue priorità di sviluppo.

7.2.1.3

Dove trovare i fondi per questi investimenti endogeni?

Vanno mobilizzati gli enormi utili, visibili o nascosti, generati dallo sfruttamento delle risorse naturali (petrolio, gas, carbone, diamanti, legname, minerali: cromo, platino, cobalto, oro, manganese, rame, ferro, uranio, ecc.) (9). (Come vengono impiegati oggi? E come vengono impiegati, per esempio, gli utili ricavati dalla vendita dello zucchero a tre volte il suo prezzo sul mercato mondiale?)

L'introduzione di imposte sul valore aggiunto (IVA) ha permesso di aumentare le entrate pubbliche solo in misura limitata e incompleta. Si può fare meglio.

In alcuni paesi migliorare la riscossione delle imposte permetterebbe di raddoppiare il gettito fiscale.

La notevole variabilità del rapporto gettito fiscale/PIL (dal 38 % in Algeria e in Angola a meno del 10 % in Niger, Sudan e Ciad) indica che i paesi in cui tale rapporto è molto basso hanno un notevole potenziale di accrescimento del proprio gettito.

Optare per l'emersione del lavoro informale consentirebbe di ampliare la base imponibile e di allargare così la base di risorse.

Nel complesso questi miglioramenti dovrebbero permettere di contribuire all'espansione, quantitativa e qualitativa, delle politiche pubbliche.

In un certo numero di paesi i fondi inviati dai lavoratori emigrati, che nel 2004 hanno raggiunto la cifra di circa 16 miliardi di USD, sono un'importante fonte di sviluppo (10). Il totale dei fondi contabilizzati o meno offrirebbe risorse finanziarie superiori agli aiuti pubblici allo sviluppo (APS) e agli investimenti diretti esteri (IDE). Non essendo una fonte d'indebitamento tali fondi, se passassero per i sistemi bancari ufficiali dei paesi africani, nel momento in cui questi fossero sicuri, credibili ed efficienti, potrebbero avere un'incidenza considerevole sulle capacità d'investimento. Anche solo da questo punto di vista risulta chiaro quanto sia importante per i paesi africani l'immigrazione, al punto da giustificare che qualsiasi modifica alla regolazione dei flussi migratori sia oggetto di discussioni approfondite tra l'UE, i singoli Stati membri e i paesi africani interessati (11).

La fuga di capitali continua a privare i paesi africani di una notevole quantità di risorse per l'investimento. I flussi di capitale in uscita equivalgono a due volte il debito totale del continente africano  (12), cosa che induce alcuni esperti ad affermare che l'Africa è «creditrice netta» rispetto al resto del mondo. Queste risorse, se destinate a investimenti produttivi, permetterebbero di creare posti di lavoro e di procurare un reddito ad ampi segmenti della popolazione. Oltre a fermare l'emorragia, i governi potrebbero esaminare la possibilità di concedere temporaneamente una sanatoria per il rientro di questi capitali, come è stato fatto in certi paesi europei.

Con queste prospettive e a patto di intraprendere le riforme necessarie, soprattutto in materia di finanze e di bilancio, l'Africa potrebbe riuscire a mobilitare una quantità ben maggiore di risorse interne per finanziare gli investimenti produttivi di sua scelta.

7.2.2   Gli investimenti diretti esteri (IDE)

L'apporto di investimenti diretti esteri (IDE) è cruciale per lo sviluppo economico del continente. Essi infatti, se destinati a scopi adeguati, contribuiscono sensibilmente al processo di sviluppo dei paesi che li ricevono, specialmente mettendo a loro disposizione capitali e tecnologie e poi apportando competenze, know-how e accesso al mercato, cosa che contribuisce ad accrescere l'efficacia nell'utilizzo delle risorse e la produttività di questi paesi.

7.2.2.1

Negli anni '80 il flusso medio annuo di IDE destinati all'Africa era raddoppiato rispetto al decennio precedente, raggiungendo 2,2 miliardi di USD. Successivamente esso è aumentato in misura spettacolare, fino a raggiungere 6,2 miliardi di USD negli anni '90 e 13,8 miliardi di USD negli anni 2000-2003. Oggi, invece, i flussi diretti verso il continente equivalgono ad appena il 2-3 % del totale mondiale, dopo aver raggiunto un massimo del 6 % a metà degli anni '70, e a meno del 9 % dei flussi destinati ai paesi in via di sviluppo, contro un massimo del 28 % raggiunto nel 1976.

7.2.2.2

Una delle caratteristiche proprie dei flussi di IDE destinati all'Africa è l'attrazione esercitata su di loro dalle risorse naturali, che ne spiega la ripartizione disuguale attraverso il continente. Ventiquattro paesi africani, la cui economia è considerata dipendente dal petrolio e dai minerali metalliferi, hanno ricevuto in media tre quarti dei flussi di IDE degli ultimi due decenni.

7.2.2.3

È dunque necessario modificare la destinazione degli IDE, soprattutto a vantaggio di settori manifatturieri che, grazie ai trasferimenti di tecnologia, garantiscano un'ampia diversificazione di produzioni competitive. Perché gli IDE siano diversificati ed efficaci, l'Africa dovrà proseguire i suoi sforzi per creare un contesto generale propizio e attraente. Gli IDE, infatti, possono arrivare e contribuire allo sviluppo solo se sono soddisfatte certe condizioni preliminari: qualità del tessuto economico e delle infrastrutture, dimensioni del mercato interessato (è quindi importante l'integrazione regionale), formazione della manodopera (cfr. il capitolo sulle risorse umane), rafforzamento e stabilità dei pubblici poteri e buona governance. Inoltre, per essere efficienti gli IDE devono rientrare in una visione precisa dell'economia nazionale e della sua possibile partecipazione alla partita subregionale, regionale e mondiale. A questo scopo va concepita una vera e propria strategia nazionale di sviluppo, come è avvenuto nel Sudest asiatico negli anni '70 e '80.

7.2.2.4

Gli IDE, tuttavia, non possono risolvere tutti i problemi, tanto meno nel campo della buona governance, della democrazia, dello Stato di diritto, del rispetto dei diritti dell'uomo, della corruzione, della fuga di capitali ecc. A proposito di questa constatazione, è opportuno sottolineare che negli ultimi anni gli IDE provenienti dalla Cina sono nettamente cresciuti, soprattutto per effetto dei notevoli sforzi diplomatici culminati nel vertice Cina-Africa. La Cina concentra i propri IDE quasi esclusivamente sulle industrie estrattive in modo da garantirsi le materie prime necessarie all'espansione della sua economia.

7.2.2.5

In dieci anni il volume degli scambi sino-africani è aumentato di venti volte, passando da 3 miliardi di USD nel 1998 a 55 miliardi di USD nel 2006. Dal punto di vista degli interessi africani, però, il metodo cinese solleva diverse perplessità. Spesso, infatti, rafforza governi i cui indirizzi politici non vanno nel senso della democrazia, dello Stato di diritto e della riduzione della povertà (13). Particolarmente significativo, da questo punto di vista, è l'atteggiamento cinese nei confronti dei conflitti del Darfur o dello Zimbabwe. Anche sul piano dello sviluppo, inoltre, il metodo della Cina è preoccupante (cfr. Allegato III del presente parere).

7.2.2.6

Sul versante degli investimenti in Africa, gli Stati membri dell'UE sono molto presenti. Per far sì che lo siano ancora di più si può prevedere:

di offrire incentivi tangibili alle imprese dell'UE, sotto forma, ad esempio, di crediti di imposta,

di utilizzare gli strumenti di sviluppo esistenti dopo averli rivisti e potenziati: rafforzare, ad esempio, il Fondo investimenti della BEI e migliorarne l'efficacia, in modo da farne una risorsa utile per il settore privato,

di istituire uno strumento/organo di garanzia degli investimenti adeguatamente finanziato, sul modello di quanto precisato dall'articolo 77, paragrafo 4, dell'Accordo di Cotonou.

7.3   Fare delle PMI lo strumento dello sviluppo economico

Il settore privato, il suo rafforzamento e la sua diversificazione rivestono un'importanza cruciale per lo sviluppo sostenibile, la creazione di posti di lavoro e, di conseguenza, la riduzione della povertà.

Ebbene, nella maggior parte dei paesi africani manca in qualche modo un legame tra, da un lato, il settore informale e le imprese molto piccole (IMP), che attengono più all'ambito della sopravvivenza sociale che a quello dell'impulso all'economia propriamente detta, e, dall'altro, le filiali di grandi imprese straniere, che funzionano in modo quasi autarchico e, di conseguenza, contribuiscono poco all'economia locale.

Si pone quindi il problema di favorire l'emersione di quelle piccole e medie imprese (PMI) in grado di dar vita a un tessuto economico omogeneo che contribuirebbe allo sviluppo del settore privato indispensabile allo sviluppo del continente.

Per favorire lo sviluppo delle PMI bisognerebbe in particolare:

approfondire l'integrazione regionale (cfr. punto 7.8) per superare la ristrettezza dei mercati locali,

ridurre i gravami amministrativi, accrescere la credibilità degli apparati giudiziari e adattare ai bisogni delle PMI le infrastrutture, anche immateriali (per es. di comunicazione),

estendere le possibilità esistenti per finanziare la creazione e il funzionamento di PMI (cfr. punto 7.2.1 «Gli investimenti endogeni»). A questo fine si dovrebbe in particolare migliorare il contesto produttivo introducendo, per esempio, aiuti al mercato e alla commercializzazione, aiutare le PMI a soddisfare i requisiti finanziari formali ed estendere l'offerta di finanziamenti ricorrendo maggiormente al settore privato non finanziario.

L'Unione europea deve fare dello sviluppo delle PMI una delle direttrici della sua politica di cooperazione in Africa. Attraverso gli Stati membri e le loro imprese, deve favorire e promuovere la creazione di PMI, soprattutto incoraggiando gli investimenti per mezzo di incentivi fiscali (crediti d'imposta, prestiti agevolati, ruolo della BEI ecc.) e mediante:

trasferimenti di tecnologia sistematici («saper fare e far sapere») eventualmente in grado di dare il via, successivamente, a programmi di ricerca e sviluppo. Qualsiasi impresa europea che concluda un contratto per la fornitura di attrezzature, prodotti industriali ecc. dovrebbe impegnarsi a trasferire la propria tecnologia (con la Cina già accade — settore nucleare, aeronautico ecc. — quindi perché non con l'Africa, rispetto a prodotti meno elaborati? Certo, finanziariamente la posta in gioco è minore),

spin-off e creazione di incubatori d'impresa, cosa che si può favorire includendo tra gli obiettivi dei corsi di formazione l'impulso allo spirito imprenditoriale,

sviluppo di «co-imprese», o imprese comuni, in cui siano presenti componenti africane ed europee (capitali, manodopera, dirigenza ecc.).

7.4   Costruire un'agricoltura moderna e competitiva

L'agricoltura, la pesca e la silvicoltura, componenti essenziali dello sviluppo rurale, devono essere le prime priorità strategiche dello sviluppo dell'Africa. Sono i settori all'origine dello sviluppo primario e, disponendo di solide basi su gran parte del territorio, sono fattori strutturanti della vita economica e sociale. Lo sviluppo primario è a sua volta indispensabile per perseguire l'autosufficienza alimentare perché, contribuendo a stabilizzare le popolazioni, ha un rilievo essenziale per l'economia dei paesi africani, tanto più che offre grandi potenzialità per la creazione di posti di lavoro. Considerata l'importanza in Africa del settore agricolo, che impiega il 57,2 % della popolazione attiva totale contro il 5 % nei paesi industrializzati, non può che sorprendere constatare che solo l'1 % delle risorse del nono Fondo europeo di sviluppo è stato destinato a questo settore; una constatazione che rafforza l'idea che è necessario coinvolgere la società civile — e in particolare gli agricoltori — nell'elaborazione dei Piani indicativi nazionali. Per un confronto, la Banca mondiale ha destinato al settore agricolo l'8 % delle sue risorse, una percentuale per sua stessa ammissione insufficiente.

In questa fase di aumento dei prezzi delle materie prime agricole, e quindi dei prodotti alimentari, sui mercati internazionali, è più che mai chiaro che si potrà avere uno sviluppo progressivo dell'agricoltura solo predisponendo una politica agricola seria, strutturata e pianificata sul breve, medio e lungo termine. Tale politica dovrà godere della priorità sotto il profilo del bilancio e finanziario in senso lato, essere adeguata alle limitazioni proprie ai diversi paesi e al continente e, allo stesso tempo, inglobare l'approccio regionale.

Una politica del genere, per essere introdotta con il miglior esito possibile, dovrà essere elaborata e messa in atto esclusivamente con il concorso delle organizzazioni agricole africane e, soprattutto, includere meccanismi di salvaguardia: per es. è normale che il Senegal importi riso dall'Asia mentre possiede zone fluviali irrigabili il cui potenziale non è sfruttato?

Una politica razionale di promozione del lavoro nel settore agricolo potrebbe poggiare, in particolare, sugli aspetti evidenziati nell'Allegato IV del presente parere.

7.5   Le risorse umane al centro della politica del lavoro

Lo sviluppo delle risorse umane è un fattore imprescindibile di ogni strategia di sviluppo. L'istruzione e la formazione svolgono un ruolo di primo piano in questo processo fornendo manodopera flessibile, di qualità e diversificata sul piano dell'occupabilità. È quindi necessario che gli addetti alla programmazione delle risorse umane, in rapporto con gli agenti socioeconomici, analizzino il fabbisogno di posti di lavoro e il mercato del lavoro, effettuino previsioni a medio e lungo termine e anticipino i problemi e le sfide principali riguardanti l'adeguatezza della formazione al lavoro. Da questo punto di vista l'esempio dei paesi emergenti o di recente sviluppo come la Corea è generalmente edificante.

L'UE e i suoi Stati membri, data la loro esperienza in materia di formazione e di finanziamenti mirati e selettivi a rintracciabilità garantita, dovranno svolgere un ruolo essenziale. In questo contesto l'UE offre agli studenti africani la possibilità di partecipare a numerosi programmi di istruzione. Si tratta di un punto importante, in quanto solo una popolazione istruita può garantire lo sviluppo del continente africano.

I vari interventi che si potrebbero attuare per mettere le risorse umane al centro della promozione del lavoro sono presentati nell'Allegato V del presente parere.

7.6   L'integrazione regionale

È cosa ampiamente nota che esistono enormi potenzialità per sviluppare il commercio intra-africano e creare spazi economici più vasti.

Anche se l'integrazione economica regionale e subregionale ha fatto registrare sensibili progressi, soprattutto con la creazione dell'Unione africana, il potenziale commerciale non è ancora stato pienamente sfruttato. Occorre coordinare meglio le misure prese per armonizzare le procedure doganali, ridurre gli ostacoli tariffari e non tariffari, migliorare i trasporti e le comunicazioni investendo maggiormente nello sviluppo delle infrastrutture regionali e assicurare la libera circolazione dei cittadini, in particolare abrogando gli obblighi di visto, tutte cose da far rientrare in una politica di pianificazione territoriale che permetta di garantire una coerenza complessiva.

Lo sviluppo economico dell'Africa dipende anzitutto e in primo luogo dall'approfondimento del suo mercato interno, che è in grado di sviluppare una crescita endogena che consentirebbe al continente di stabilizzarsi e consolidarsi nell'ambito dell'economia mondiale. L'integrazione regionale e lo sviluppo del mercato interno sono i punti di partenza, le molle che permetteranno all'Africa di aprirsi al commercio mondiale con esito positivo.

Sotto questo profilo il CESE si rammarica che non si sia ancora conclusa la negoziazione regionale degli Accordi di partenariato economico, che per l'appunto hanno per oggetto, tra l'altro, l'integrazione economica.

7.7   Il dialogo sociale

Il dialogo sociale è necessario e cruciale per sviluppare posti di lavoro dignitosi e produttivi e, di conseguenza, deve essere parte integrante dell'attuazione della Strategia comune. La piena partecipazione delle parti sociali alla vita economica e sociale, infatti, soprattutto attraverso la contrattazione collettiva, non solo risponde a esigenze di democrazia ma è anche fonte di sviluppo della società, pace sociale e competitività economica. Il dialogo sociale è lo strumento ideale per conseguire quel consenso socioeconomico che è portatore di sviluppo. Lo sviluppo economico, infatti, non può essere ottimale se non è accompagnato in parallelo dallo sviluppo sociale. I due concetti devono procedere di pari passo per creare la dinamica necessaria alla piena efficienza di un progresso economico in grado di produrre un miglioramento dei modi di vita, posti di lavoro dignitosi e il benessere delle popolazioni. Bisogna perciò istituire o ampliare le libertà sindacali e di contrattazione collettiva nonché organizzazioni datoriali e sindacali forti e indipendenti, che dispongano delle capacità e delle competenze tecniche necessarie per svolgere fino in fondo il proprio ruolo.

7.8   La società civile organizzata

La partecipazione degli agenti non statali è imprescindibile dallo sviluppo del lavoro dignitoso e deve quindi essere al centro della Strategia comune. Tale partecipazione, infatti, oltre a rispondere a esigenze di democrazia partecipativa, apporta il know-how e le competenze sul terreno di chi ogni giorno intraprende, produce, coltiva e così via. A questo titolo, gli agenti non statali devono essere coinvolti nell'elaborazione dei Programmi indicativi nazionali e regionali (PIN e PIR), essere considerati agenti di sviluppo a pieno titolo e usufruire di aiuti pubblici allo sviluppo e delle disposizioni dell'Accordo di Cotonou sugli aiuti al potenziamento delle capacità. A questo proposito si rinvia, in particolare, al capitolo 3 del parere del CESE 1497/2005, che sottolinea la necessità di dare alla società civile organizzata un carattere strutturato ovvero istituzionale (piattaforme, reti, Comitato ecc.) che le consenta di acquisire quell'unità temporale e spaziale necessaria ai dibattiti e alla definizione dei propri orientamenti. Da questo punto di vista, un esempio da seguire in Africa è la creazione del Consiglio consultivo della società civile da parte dell'Accordo di partenariato economico (APE) Cariforum-CE, concluso nel dicembre 2007 (cfr. dichiarazione finale della 25a riunione dei gruppi di interesse socioeconomico ACP/UE, svoltasi dal 4 al 6 marzo 2008 a Bruxelles: Un partenariato migliore per uno sviluppo migliore). Eseguendo il mandato conferitogli dall'Accordo di Cotonou il CESE, per mezzo del suo Comitato di monitoraggio ACP-UE, ha svolto un ruolo significativo contribuendo al coordinamento, alla riflessione collettiva e alla messa in rete della società civile.

7.9   Una buona governance

Poiché condiziona la fiducia degli investitori, una buona governance è fondamentale per l'Africa anche solo da questo punto di vista. La promozione di una governance democratica, necessaria a tutti i livelli amministrativi, è quindi un elemento cruciale del dialogo previsto dal partenariato Europa-Africa; tale governance deve essere considerata nella sua globalità e includere il rispetto dei diritti umani e dei lavoratori (comprese le libertà sindacali), le norme sul lavoro, lo Stato di diritto, il potenziamento delle istituzioni e degli apparati statali (la cui debolezza e incapacità spesso frenano l'attuazione delle iniziative di cooperazione), la partecipazione della società civile a una reale democrazia partecipativa e, infine, la lotta alla corruzione. In merito a quest'ultimo punto, l'Unione europea e gli Stati membri devono imporre condizioni negli accordi di partenariato, condizionando la concessione di aiuti finanziari alla possibilità di rintracciarne l'impiego. In effetti, ogni anno, su cento miliardi di dollari di aiuti, trenta miliardi si volatilizzano (14) (cfr. i punti 3.6.1.5 e 7.2.1.3, ultimo trattino).

Bruxelles, 18 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  CESE 1205/2004, Il ruolo delle organizzazioni femminili in quanto attori non statali nell'ambito dell'Accordo di Cotonou, relatrice: FLORIO, settembre 2004.

CESE 1497/2005, Come integrare la dimensione sociale nei negoziati sugli accordi di partenariato economico, relatori: PEZZINI e DANTIN, dicembre 2005.

CESE 753/2006, Dare la priorità all'Africa: il punto di vista della società civile europea, relatore: BEDOSSA, maggio 2006.

CESE 673/2007, Migrazione e sviluppo: opportunità e sfide, relatore: SHARMA, dicembre 2007.

Relazioni del Comitato di monitoraggio ACP-UE del CESE, Les ressources humaines pour le développement (Le risorse umane per lo sviluppo), relatori: KING e AKOUETE, maggio 2007.

(2)  Nathalie Delapalme, Elise Colette, Union Européenne/Afrique: Le partenariat stratégique (Unione europea/Africa: il partenariato strategico), Notes de la Fondation Robert Schuman, dicembre 2007.

(3)  Intervento del commissario europeo Louis MICHEL al convegno UE-Cina-Africa organizzato dalla Commissione europea, Bruxelles, 28 giugno 2007.

(4)  Replica del commissario europeo Louis MICHEL a un intervento di fronte all'Assemblea parlamentare paritetica in sessione a Kigali, 18-22 novembre 2007.

(5)  Vertice straordinario dell'Unione africana sui temi del lavoro e della lotta alla povertà, Ouagadougou, 3-9 settembre 2004, dichiarazione conclusiva (articolo 16).

(6)  Intervento del presidente del Consiglio economico e sociale di un paese francofono dell'Africa occidentale di fronte all'Assemblea generale dell'UCESA (Unione dei Consigli economici e sociali africani), Ouagadougou, 13-14 novembre 2007.

(7)  Cfr. articoli 104 e 105 della dichiarazione.

(8)  Cfr. articoli 106-110 della dichiarazione.

(9)  L'Africa possiede da sola la quasi totalità delle riserve mondiali di cromo (principalmente nello Zimbabwe e in Sudafrica), il 90 % delle riserve di platino (Sudafrica, ecc.) e il 50 % delle riserve di cobalto (RDC, Zambia, ecc.).

(10)  Cfr. CESE 673/2007, Migrazione e sviluppo: opportunità e sfide, relatore: SHARMA, dicembre 2007.

(11)  Secondo incontro congiunto CESE-UCESA (Unione dei consigli economici e sociali africani). Dichiarazione dei presidenti.

(12)  Le développement économique en Afrique (Lo sviluppo economico in Africa), relazione dell'Unctad, 26 settembre 2007.

(13)  Assemblea parlamentare paritetica ACP/UE, progetto di relazione Les IDE dans les Etats ACP (Gli IDE nei paesi ACP), relatori: Astrid LULLING e Timothy HARRIS, Kigali, novembre 2007.

(14)  Le développement économique en Afrique (Lo sviluppo economico in Africa), relazione dell'UNCTAD, 26 settembre 2007; intervista al Segretario di Stato per la Francofonia del governo francese, Le Monde, 16 gennaio 2008.


31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/157


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le relazioni tra l'UE e l'Ucraina: un nuovo ruolo dinamico per la società civile

(2009/C 77/33)

Il Comitato economico e sociale europeo, nella sessione plenaria del 16 e 17 gennaio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Le relazioni tra l'UE e l'Ucraina: un nuovo ruolo dinamico per la società civile.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 17 luglio 2008, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice HELLAM.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 129 voti favorevoli, 4 voti contrari e 8 astensioni.

1.   Sintesi

1.1

Con il presente parere il CESE intende incoraggiare una migliore applicazione del principio della titolarità comune e del partenariato tra la società civile ucraina, il governo ucraino e le istituzioni dell'UE, approfondendo le relazioni tra l'UE e l'Ucraina e facendo della politica dell'UE nei confronti dell'Ucraina uno strumento efficace per sostenere il processo di riforma e la modernizzazione del paese.

1.2

Per l'Ucraina l'Unione europea è sia un obiettivo che un fattore di cambiamento. Il CESE è convinto che l'integrazione dell'Ucraina nell'Unione europea e il processo di riforma nel paese richiedano una società civile forte e sostenibile (1), il che presuppone, da parte sia dell'UE che del governo ucraino, una politica a lungo termine a favore dello sviluppo della società civile.

1.3

Per rinforzare il ruolo della società civile è necessario un quadro di politiche complessivamente propizie alle relazioni tra l'UE e l'Ucraina.

1.4

In proposito sarebbe importante offrire all'Ucraina la prospettiva di adesione all'UE; analogamente, si dovrebbe rendere credibile la prospettiva dell'esenzione dal visto e andrebbe proposta all'Ucraina una tabella di marcia al riguardo. Il CESE propone di inserire questi elementi nel nuovo accordo di associazione (2) tra l'UE e l'Ucraina, in modo che esso possa servire da strumento per promuovere il processo di riforma e conferire alla società civile un ruolo importante.

1.5

Circa le misure specifiche destinate alla società civile, il governo ucraino dovrebbe adoperarsi per creare nel paese un quadro regolamentare ad essa favorevole, e agli attori della società civile andrebbe assegnato un ruolo stabile nel processo politico e nel dialogo sociale. Al medesimo tempo l'UE dovrebbe contribuire a definire una strategia per la creazione delle capacità per la società civile ucraina. È necessario prestare un'attenzione particolare e un sostegno costante allo sviluppo del dialogo sociale a tutti i livelli.

1.6

Il CESE riconosce i progressi compiuti dall'Ucraina in materia di consolidamento della democrazia, rafforzamento dello Stato di diritto e rispetto dei diritti dell'uomo, cosa che contribuirà a migliorare le relazioni con l'UE, ad approfondire l'integrazione economica e a creare legami politici privilegiati.

1.7

Il CESE invita a concludere rapidamente i negoziati relativi all'accordo di associazione. Inoltre propone di assicurare, in stretta collaborazione con la società civile ucraina, che tale accordo preveda la creazione di un organismo congiunto della società civile capace di conferire a quest'ultima un peso notevole nelle relazioni fra l'Unione europea e l'Ucraina.

2.   L'UE e l'Ucraina: progressi globali sul piano della cooperazione e opportunità offerte dalla situazione attuale

2.1

Promuovere la democrazia, il buon governo e le economie di mercato nei paesi limitrofi rimane una priorità centrale delle misure di politica estera dell'UE. A tal fine l'UE ha lanciato la politica europea di vicinato (PEV), i cui principi fondamentali sono il partenariato e la titolarità comune, la differenziazione e l'assistenza su misura.

2.2

Nel quadro della politica europea di vicinato, nel gennaio 2004 sono state avviate le consultazioni con l'Ucraina in vista della definizione di un piano d'azione UE-Ucraina adottato poi dal Consiglio dell'UE nel dicembre 2004. Le conseguenze della «rivoluzione arancione» del dicembre 2004 (che ha dimostrato il grande potenziale della società civile in Ucraina) e la posizione pro-europea assunta dal governo «arancione» del Presidente Viktor Yushenko e di Yulia Tymoshenko hanno incoraggiato l'UE ad inserire nel piano d'azione ulteriori incentivi. Il piano d'azione, che ha una durata triennale ed è stato adottato ufficialmente alla riunione del Consiglio di cooperazione UE-Ucraina del 21 febbraio 2005, ha creato un quadro completo e ambizioso per la cooperazione con l'Ucraina, indicando tutti i principali settori in cui erano necessarie delle riforme (dialogo politico e riforma politica, riforme economiche e sociali e sviluppo, riforma regolamentare e del mercato, cooperazione in materia di giustizia e affari interni, trasporti, energia, società dell'informazione e ambiente, contatti tra le persone).

2.3

All'Ucraina è stata prospettata l'apertura dei negoziati sul nuovo quadro contrattuale (accordo di associazione), a condizione che venissero organizzate elezioni parlamentari libere ed eque nel 2006, e fossero condotti dei negoziati su un'area di libero scambio approfondita dopo la sua adesione all'OMC. Altri incentivi offerti all'Ucraina nel quadro del piano d'azione sono la facilitazione del rilascio dei visti, finanziamenti più cospicui e maggiori opportunità di contatti tra le persone.

2.4

I negoziati relativi all'accordo di associazione sono stati avviati nel marzo 2007 e quelli per disposizioni relative a una zona di libero scambio rafforzata nel febbraio 2008, dopo l'adesione dell'Ucraina all'OMC. Tra il marzo 2007 e il luglio 2008 si sono svolte nove tornate negoziali. Nel 2008 è entrato in vigore l'accordo di facilitazione del rilascio dei visti firmato nel 2007.

2.5

Il processo di negoziazione dell'accordo di associazione avrà notevoli implicazioni per le relazioni tra l'UE e l'Ucraina e per il processo di riforma interno in Ucraina. I negoziati offrono alle autorità ucraine un'opportunità unica per avviare un processo di consultazione trasparente e sistematico con le organizzazioni della società civile che potrebbe garantire il sostegno del paese alle riforme previste dal nuovo accordo. Offrono inoltre alla società civile ucraina la possibilità di consolidarsi per individuare i propri interessi e farli presenti alle autorità incaricate di negoziare l'accordo.

2.6

È importante garantire che i negoziati tra l'UE e l'Ucraina siano un processo trasparente e tengano conto delle potenziali conseguenze che l'accordo comporterà per i vari gruppi sociali e per i diversi settori interessati dalle riforme interne in Ucraina. Sarà un accordo senza precedenti in quanto il livello di cooperazione politica e di partecipazione al mercato comune non è prestabilito. Durante i negoziati l'UE non ha uno schema preciso da seguire, sarà quindi necessario coinvolgere maggiormente le diverse parti interessate ucraine e della stessa UE. Inoltre, il nuovo accordo con l'Ucraina è destinato a diventare un modello per gli accordi negoziati dall'UE con altri paesi limitrofi.

3.   Le attività del CESE legate all'Ucraina

3.1

Dal 2003 il CESE ha instaurato, e intensificato, le sue relazioni con le organizzazioni della società civile ucraina e, nel 2004, ha dedicato uno studio e un parere alla società civile in Ucraina, Russia, Moldova e Bielorussia. Negli ultimi anni le relazioni UE-Ucraina hanno avuto un rapido sviluppo. Sono in corso i negoziati per la definizione di un accordo di associazione, e la società civile e il CESE sono stati invitati a svolgere un ruolo più ampio e importante nelle future relazioni tra le due parti. Nel febbraio 2006 il CESE ha organizzato a Kiev una conferenza sul ruolo della società civile ucraina nell'attuazione della politica europea di vicinato. La dichiarazione finale ha sancito l'impegno del CESE a sostenere lo sviluppo della società civile in Ucraina.

3.2

Qualche mese più tardi è stato istituito il Consiglio economico e sociale nazionale tripartito dell'Ucraina (NTSEC). Il 24 e 25 ottobre 2007 una sua delegazione, guidata dal ministro del Lavoro ucraino, si è recata in visita al CESE. Inoltre, il gruppo di contatto Vicini dell'Est europeo ha dedicato una riunione speciale alla società civile ucraina.

3.3

Vi è un consenso generale sulla disponibilità ad avviare una cooperazione strutturata tra il CESE e lo NTSEC. Il CESE desidera però poter contare su una rappresentanza più ampia della società civile ucraina, includendo anche le organizzazioni non governative attive oltre ai sindacati e ai datori di lavoro, che sono rappresentati allo NTSEC. La società civile ucraina dovrebbe pertanto creare una piattaforma in cui siano rappresentati sia lo NTSEC che esponenti delle altre organizzazioni della società civile (OSC).

4.   Situazione politica e questioni economiche e sociali in Ucraina

4.1

Dal 2004 e dalla rivoluzione arancione in poi l'Ucraina appare come una giovane democrazia all'avanguardia rispetto alla maggior parte dei propri vicini post-sovietici. Le elezioni libere ed eque sono diventate una pratica comune e la libertà di parola e di associazione conquistate durante la rivoluzione arancione sono state mantenute.

4.2

Tuttavia, quando nel 2005 si è calmata l'euforia della rivoluzione arancione, l'Ucraina si è trovata impantanata in una situazione di instabilità e rivalità politica sfociata nelle gravi crisi politiche che hanno lasciato tutti i rami del potere in conflitto reciproco e hanno discreditato il sistema giudiziario e le forze dell'ordine ucraine. Da allora la politica in Ucraina è stata caratterizzata dall'instabilità politica e dall'incapacità di avviare riforme di ampia portata. La politica europea di vicinato e il relativo piano d'azione, pur avendo fornito una sorta di modello per le riforme in Ucraina, nel complesso non sono riusciti a conquistare l'adesione dell'elite politica e della società in generale all'obiettivo dell'integrazione europea.

4.3

L'economia ucraina ha continuato a crescere, ma il tasso di inflazione è aumentato sempre di più, nel 2007 ha superato il 16 % e nel 2008 la dinamica inflazionistica è proseguita poiché il governo non è stato in grado di introdurre contromisure. Anche se negli ultimi anni la povertà è diminuita drasticamente, oltre il 20 % della popolazione vive ancora sotto la soglia della povertà e il reddito medio è di circa 150 euro al mese. Il contesto regolamentare ucraino continua a presentare numerosi ostacoli agli investimenti diretti esteri e alla creazione di imprese. Nel complesso l'Ucraina non ha saputo attuare riforme macroeconomiche di ampia portata, e la crescita economica è dovuta perlopiù a fattori non legati alla politica del governo.

4.4

Nonostante le numerose dichiarazioni politiche non si registrano progressi sostanziali nella lotta contro la corruzione in Ucraina. Secondo l'indagine internazionale del 2007 sulla trasparenza, circa il 70 % degli ucraini non crede che le autorità siano efficaci su tale fronte. Gli interessi dei gruppi di pressione precostituiti e il favoritismo sono predominanti nell'influenzare il processo decisionale. Nel paese è urgente migliorare la struttura rappresentativa, le forme di mediazione tra lo Stato e la società, lo Stato di diritto e le pratiche anticorruzione.

5.   La situazione della società civile e il suo ruolo nell'integrazione europea dell'Ucraina

5.1   Situazione della società civile in Ucraina

5.1.1

Stando alle statistiche ufficiali l'Ucraina conta oltre 50 000 organizzazioni della società civile (OSC) registrate. Secondo le autorità statali circa il 90 % delle OSC ha un bilancio annuo compreso tra i 50 000 e i 300 000 dollari. D'altra parte, il fatto che oltre l'80 % dei cittadini ucraini non sia attivo in alcun tipo di organizzazione di volontariato dimostra che il grado di partecipazione civica degli ucraini è basso rispetto a quello dei cittadini delle democrazie occidentali e dei paesi dell'Europa centro-orientale.

5.1.2

I motivi sono molti: la diffidenza della popolazione nei confronti delle organizzazioni e del processo politico in generale, ereditata dalle «attività rituali forzate» dell'epoca sovietica, la disillusione relativa ai risultati delle riforme democratiche e del mercato, la mancanza di una classe media forte e il persistere di reti sociali informali. Queste caratteristiche, unite alla diffidenza dello Stato nei confronti dell'attivismo della base, hanno portato l'Ucraina a ristagnare nella sua attuale situazione di stato semidemocratico.

5.1.3

Si possono comunque segnalare dei progressi. Nel 2005-2006 un certo numero di organizzazioni della società civile ha lavorato a una «Dottrina della società civile» per presentare le proprie istanze alle autorità pubbliche. La maggior parte delle proposte ivi formulate è stata ripresa nel Progetto di sostegno delle autorità pubbliche all'Istituto della società civile. Nel novembre 2007, al convegno nazionale sul tema «Le politiche pubbliche per promuovere lo sviluppo della società civile. Nuove priorità», sono state presentate al nuovo governo e al nuovo parlamento delle proposte per lo sviluppo della società civile e del dialogo civile.

5.1.4

Per completare la normativa sulle OSC è necessaria una nuova legge sulle organizzazioni civiche che preveda una procedura di registrazione delle OSC più semplice e meno costosa, consenta alle persone giuridiche di costituire delle organizzazioni, abolisca le attuali restrizioni territoriali relative alle attività delle OSC e permetta loro di tutelare i diritti di tutti gli individui.

5.1.5

Un altro problema per lo sviluppo della società civile in Ucraina è la mancanza di finanziamenti statali. Secondo alcune fonti i finanziamenti pubblici costituiscono solo il 2 % delle entrate delle OSC, un livello che è estremamente basso rispetto al 30-40 % dei paesi limitrofi dell'Europa centrale. Nella maggior parte dei vecchi Stati membri dell'UE, invece, tali finanziamenti sono la principale fonte di entrate delle OSC.

5.2   Dialogo sociale

5.2.1

I sindacati sono stati riuniti in seno alla Federazione dei sindacati (FPU), alla Confederazione nazionale dei sindacati e ai Sindacati ucraini liberi. La Confederazione nazionale delle organizzazioni sindacali ucraine (NKPU) è un centro sindacale nazionale nato nel 2004 dalla scissione della Federazione dei sindacati ucraini. Nonostante queste strutture formalmente sviluppate, finora i sindacati hanno svolto un ruolo modesto nel proteggere gli interessi dei propri membri, ad esempio sul fronte della sicurezza sul lavoro.

5.2.2

Per quanto riguarda le associazioni ucraine delle imprese e dei datori di lavoro, alcune di loro (come ad esempio la Federazione ucraina dei datori di lavoro, la Camera di commercio e dell'industria ucraina, ecc.) sono abbastanza potenti e sono in grado di promuovere i propri interessi. Tuttavia in Ucraina non esistono né una normativa in materia di lobby né forme di consultazione strutturate per consentire a tali associazioni di far presenti i loro interessi.

5.2.3

Conformemente al decreto presidenziale sullo sviluppo del dialogo sociale in Ucraina (3), nel 2006 è stato istituito il Consiglio economico e sociale nazionale tripartito (NTSEC) come organo consultivo facente capo al Presidente della Repubblica. Sono stati altresì creati consigli economici e sociali territoriali tripartiti a livello regionale.

5.2.4

Tali istituzioni hanno l'obiettivo di sviluppare il dialogo sociale e di coinvolgere i rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro nella definizione e attuazione della politica sociale ed economica nazionale.

5.3   Il ruolo della società civile nel processo di integrazione europea dell'Ucraina

5.3.1

Anche se, come indicato sopra, la società civile ucraina è piuttosto debole, alcune organizzazioni attive della società civile hanno svolto un ruolo importante nella promozione dei valori europei seguendo da vicino l'operato delle autorità e sostenendo misure specifiche, come pure fornendo know-how alle autorità, monitorando l'opinione pubblica e sensibilizzando maggiormente i cittadini sull'UE. Tali attività vengono generalmente svolte con il sostegno finanziario della comunità dei donatori internazionali, anche se spesso sono in linea con gli obiettivi dei corrispondenti programmi statali e se giuridicamente è possibile fornire un sostegno alle attività delle OSC attingendo al bilancio nazionale.

5.3.2

L'impatto di queste misure sui progressi concreti dell'Ucraina nell'integrazione europea e sulla sua europeizzazione è piuttosto limitato. Questo dipende dalla posizione debole e dalle limitate capacità della società civile, che non è né consolidata né organizzata a sufficienza per poter influenzare i decisori politici. Inoltre, il legame tra le organizzazioni della società civile e i comuni cittadini è piuttosto confuso, e quindi le organizzazioni della società civile e gli attivisti hanno scarse possibilità di mobilitare i cittadini e di formare l'opinione pubblica. Inoltre, l'instabilità della situazione politica costituisce un altro grande ostacolo che impedisce alla società civile di avere un impatto.

5.3.3

Se le organizzazioni della società civile riescono a promuovere determinate decisioni politiche è grazie a singoli politici o funzionari aperti e cooperativi. La nomina del vice primo ministro per l'Integrazione europea nel dicembre 2007 ha stimolato la partecipazione della società civile. Gli esperti della società civile vengono ora associati all'elaborazione dei programmi nazionali nel campo dell'integrazione europea e sono consultati in merito a varie questioni di competenza del vice primo ministro.

5.3.4

Al di là del ruolo attivo che sembra esercitare un numero limitato di ONG, la società civile nel suo insieme percepisce l'integrazione europea come qualcosa di astratto. A meno che diverse organizzazioni della società civile (sindacati, associazioni professionali, organizzazioni dei consumatori, ecc.) comprendano che l'integrazione europea è importante per la vita quotidiana e che le riforme avranno delle conseguenze per ogni singolo individuo, esse continueranno ad avere un ruolo passivo.

6.   Conclusioni e raccomandazioni per un nuovo ruolo dinamico della società civile nelle relazioni UE-Ucraina

6.1

Per rafforzare il ruolo della società civile occorrono sia un contesto politico generale favorevole a livello delle relazioni UE-Ucraina sia misure specifiche intese proprio a rafforzare tale ruolo.

6.2

Per quanto riguarda il clima politico generale e la dinamica delle relazioni UE-Ucraina, sembrano fondamentali i seguenti aspetti:

6.2.1

nell'accordo di associazione andrebbe offerta all'Ucraina la prospettiva dell'adesione all'UE. Una tale prospettiva darà maggior vigore alle componenti favorevoli alle riforme, ivi compresa la società civile riformista. Gli incentivi offerti dalla potenziale adesione all'UE aiuteranno ad attuare le riforme nella società e a sconfiggere gli oppositori. Secondo gli esperti ucraini e internazionali, anche il semplice riferimento all'articolo 49 del TUE, in virtù del quale ogni Stato europeo che soddisfi i criteri stabiliti può chiedere di diventare membro dell'Unione, invierebbe già un segnale forte all'Ucraina.

6.2.2

La prospettiva dell'esenzione dal visto andrebbe resa credibile, e andrebbe proposto all'Ucraina un calendario per concretizzarla. A causa degli ostacoli incontrati attualmente per viaggiare, gli attori della società civile hanno poche possibilità di instaurare un vero partenariato con i loro omologhi dell'UE. In generale, un regime di esenzione dal visto rafforzerà i contatti tra le persone e contribuirà a far conoscere le norme, i valori e le pratiche europee in Ucraina.

6.2.3

Sia l'UE che l'Ucraina dovrebbero fare tutto il possibile per garantire che la stessa Ucraina tragga il massimo beneficio dalle agenzie e dai programmi dell'UE cui può accedere (4). Al medesimo tempo occorre trovare nuove possibilità per rafforzare la dimensione relativa ai contatti tra le persone, e quindi svilupparle ulteriormente.

6.3

Le misure specifiche destinate a rafforzare il ruolo della società civile dovrebbero basarsi sui tre seguenti pilastri:

6.3.1

in primo luogo, agli attori della società civile andrebbe assegnato un ruolo importante nel processo politico (concezione, attuazione e controllo delle misure), in particolare per quanto riguarda le politiche inerenti all'UE.

6.3.2

Gli attori della società civile devono essere consultati nel quadro dei negoziati relativi all'accordo di associazione tra l'UE e l'Ucraina, della definizione di priorità annuali di cooperazione (attualmente attraverso i lavori di istituzioni congiunte create dall'accordo di partenariato e cooperazione (APC) e poi conformemente alle disposizioni istituzionali dell'accordo di associazione, appena questo entrerà in vigore), della revisione di medio periodo delle attuali prospettive finanziarie (documento di strategia dello strumento europeo di vicinato e partenariato (ENPI) 2007-2013 relativo all'Ucraina) e dello sviluppo di programmi nazionali nell'ambito dell'ENPI (in particolare definizione delle priorità per i finanziamenti destinati all'Ucraina quale sostegno di bilancio nel quadro dello stesso ENPI).

6.3.3

Sia l'UE che l'Ucraina dovrebbero incoraggiare e sostenere il controllo indipendente da parte della società civile, e tenerne conto.

6.3.4

In secondo luogo, l'UE e il governo ucraino dovrebbero puntare a creare, in Ucraina, un contesto regolamentare favorevole alla società civile. Questo offrirebbe fra l'altro alle OSC ucraine delle possibilità di finanziamenti nazionali (compresi i finanziamenti pubblici, ad esempio mediante il subappalto di servizi), riducendo così la loro attuale dipendenza dai donatori stranieri.

6.3.5

In terzo luogo, l'UE dovrebbe contribuire a sviluppare una strategia di creazione di capacità per la società civile ucraina. Attualmente questa è piuttosto frammentata e il suo impatto sul processo politico è limitato o addirittura inesistente. La politica dell'UE e quella del governo ucraino dovrebbero puntare a fare della società civile un partner forte, e in questo contesto la creazione di capacità è un aspetto estremamente importante. Ciò presuppone:

opportunità di finanziamenti UE migliori e più accessibili soprattutto per le OSC della base, concentrati non solo sui progetti ma anche sullo sviluppo istituzionale e la sostenibilità generale,

programmi di formazione per il rafforzamento delle capacità destinati alle OSC ucraine e incentrati sulla gestione dei progetti, il collegamento in rete, le competenze in materia di difesa di determinate istanze, ecc., che contribuiscano a informare meglio la società civile ucraina in merito alle opportunità già offerte dall'UE (anche sul piano dei finanziamenti),

assistenza volta a rafforzare le iniziative individuali della società civile, compresa la creazione di coalizioni e piattaforme tra le OSC ucraine.

6.3.6

Inoltre, l'accordo di associazione tra l'UE e l'Ucraina deve servire come strumento per il processo di riforma e accentuare il ruolo della società civile. A parte la summenzionata prospettiva di adesione dell'Ucraina all'UE, la decisione del Consiglio relativa all'accordo di associazione dovrebbe contenere un riferimento all'articolo 310 del Trattato CE (5), che dà mandato all'UE di concludere accordi di associazione con i paesi terzi.

6.3.7

L'accordo dovrebbe menzionare esplicitamente l'impegno di entrambe le parti (l'UE e l'Ucraina) a rafforzare ulteriormente la società civile in Ucraina e a fare in modo che possa partecipare al dialogo civile e al processo politico.

6.4

L'accordo dovrebbe inoltre contemplare la creazione di un organismo congiunto della società civile nel contesto istituzionale UE-Ucraina. In proposito il CESE raccomanda di instaurare relazioni solide e di lungo respiro con la società civile ucraina, anzitutto strutturandole, ad esempio, mediante un workshop (nell'ottobre 2008) per discutere in maniera più approfondita la creazione di questo organismo congiunto con la società civile ucraina.

6.4.1

L'organismo congiunto sarebbe composto da membri del CESE e da un ugual numero di membri di un organo che rappresenta la società civile organizzata ucraina. La delegazione ucraina potrebbe essere composta sia da membri del Consiglio economico e sociale nazionale tripartito dell'Ucraina (NTSEC) (rappresentanti dei datori di lavoro, dei sindacati e del governo) sia da rappresentanti della società civile non facenti parte dello NTSEC. Tale organismo congiunto sarebbe presieduto da due copresidenti nominati dalle due parti. Si riunirà due volte all'anno (una volta a Bruxelles e l'altra in Ucraina) e potrebbe essere consultato dal consiglio congiunto o esaminare di propria iniziativa vari argomenti di interesse comune che riguardano la società civile. Questo organismo congiunto della società civile UE-Ucraina potrebbe avere i seguenti obiettivi principali:

garantire il coinvolgimento della società civile organizzata nelle relazioni UE-Ucraina,

promuovere il dibattito pubblico e la sensibilizzazione, in Ucraina, sulle relazioni con l'UE e sull'integrazione europea della stessa Ucraina,

promuovere il coinvolgimento della società civile ucraina nell'attuazione del piano d'azione nazionale e del nuovo accordo di associazione (appena entrerà in vigore), e rafforzare la sua partecipazione al processo decisionale a livello nazionale,

agevolare il processo di creazione delle capacità istituzionali e il consolidamento delle organizzazioni della società civile in Ucraina in vari modi, costituendo fra l'altro reti informali e organizzando visite, workshop e altre attività,

permettere ai rappresentanti ucraini di familiarizzarsi con il processo consultivo dell'Unione europea e, più in generale, con il dialogo fra le parti sociali e civili nell'UE.

Bruxelles, 18 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Nel presente parere la società civile è costituita da tre gruppi che si distinguono in base alle attività svolte: 1) organizzazioni di interesse, che rappresentano e promuovono gli interessi e i valori di particolari gruppi o della società nel suo insieme, 2) organizzazioni di servizi, che forniscono servizi ai loro membri o a gruppi più ampi di utenti, e 3) organizzazioni di sostegno, che forniscono risorse per l'assistenza ai bisognosi o consentono di svolgere determinate attività. Le organizzazioni della società civile comprendono i sindacati, le associazioni datoriali e imprenditoriali, le organizzazioni che difendono determinate istanze e quelle che forniscono servizi sociali o rappresentano segmenti vulnerabili della società o interessi particolari, come le organizzazioni giovanili e le associazioni dei consumatori. A questo proposito cfr. A. Zimmer e E. Priller (ed.): Future of Civil Society. Making Central European Nonprofit Organizations work [Il futuro della società civile: rendere performanti le organizzazioni mitteleuropee senza scopo di lucro], edizioni VS Verlag für Sozialwissenschaften, pag. 16.

(2)  Tale accordo prima era denominato «accordo rafforzato». La dichiarazione congiunta del vertice UE-Ucraina (9 settembre 2008) esorta a concludere un accordo di associazione tra l'UE e l'Ucraina.

(3)  Decreto del Presidente ucraino n. 1871, del 29 dicembre 2005.

(4)  Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo relativa all'impostazione generale volta a consentire la partecipazione dei paesi partner dell'ENP (Politica europea di prossimità) ai programmi e alle agenzie comunitari (COM(2006) 724 def.).

(5)  Cfr. O. Sushko, R. Khorolsky, O. Shumylo, I. Shevliakov (2007): The New Enhanced Agreement between Ukraine and the EU: Proposals of Ukrainian Experts [Il nuovo accordo rafforzato tra l'Ucraina e l'UE: proposte di esperti ucraini], KAS Policy Paper 8 [Quaderni della Fondazione Konrad Adenauer n. 8]. Per ulteriori dettagli cfr. anche C. Hillion (2007): Mapping-Out the New Contractual Relations between the European Union and Its Neighbours: Learning from the EU-Ukraine «Enhanced Agreement», [Pianificare le nuove relazioni contrattuali tra l'UE e i suoi vicini: trarre insegnamento dall'accordo rafforzato UE-Ucraina], in: European Foreign Affairs Review n. 12, pagg. 169-182.


ALLEGATI

 

ALLEGATO I

COMPOSIZIONE DELLA SOCIETÀ CIVILE UCRAINA E LIVELLO DI ATTIVITÀ PER REGIONE

52 693

ONG e relativi centri

20 186

organizzazioni religiose

18 960

sindacati

15 867

partiti politici e relativi uffici

10 705

organizzazioni caritative

6 003

unioni di condomini

5 480

società di consumatori

982

unioni di credito

473

unioni di società di consumatori

I dati sono aggiornati al 1o luglio 2007 e tengono conto di tutte le organizzazioni della società civile registrate. Gli esperti ritengono tuttavia che, di tutte queste organizzazioni, quelle attive a livello sociale non siano più di 2 500.

Fra le regioni più attive figurano le seguenti:

Leopoli e Kiev città

oltre 4 000 OSC

Provincia di Zaporizhzhia

circa 1 500 OSC

Provincia di Dnipropetrovsk

quasi 1 000 OSC

Provincia di Odessa

circa 1 000 OSC

Provincia di Luhansk

oltre 750 OSC

Fonte:

M. Latsyba (2008): Development of Civil Society in Ukraine [Lo sviluppo della società civile in Ucraina], Centro di studi politici ucraino indipendente.

ALLEGATO II

SETTORI DI AZIONE PRIORITARIA DELLE OSC UCRAINE

Attività concernenti i bambini e i giovani

45 %

Soluzione di problemi sociali

35 %

Tutela dei diritti dell'uomo

31 %

Pubblica istruzione

28 %

Sviluppo del settore delle OSC

19 %

Al 1o gennaio 2007 il ministero della Giustizia registrava 1 791 OSC completamente ucraine:

412

organizzazioni professionali

77

associazioni di veterani e disabili

332

organizzazioni sportive o di educazione fisica

56

organizzazioni ambientaliste

168

associazioni attive nel campo dell'istruzione e della cultura

45

organizzazioni femminili

153

associazioni attive nel campo scienza, della tecnologia e dell'arte

36

organizzazioni per la tutela delle vittime della catastrofe di Chernobyl

153

organizzazioni giovanili

13

organizzazioni che si occupano dell'infanzia

137

organizzazioni per la promozione di relazioni amichevoli a livello nazionale

9

organizzazioni di datori di lavoro

114

sindacati e relative associazioni

3

organizzazioni per la tutela del patrimonio storico e culturale

Fonti:

M. Latsyba (2008): Development of Civil Society in Ukraine. Ukrainian Independent Centre for Policy Studies, op. cit. e relativo rinvio a Creative Centre Counterpart (2006): NGO Status and Development Dynamics, 2002-2005.

ALLEGATO III

COMPOSIZIONE COMPARATIVA DELLE ENTRATE DELLE OSC

Paesi analizzati

Provenienza dei finanziamenti delle OSC in %

Finanziamenti pubblici

Pagamento per i servizi prestati dalle OSC

Finanziamenti privati, escluso il costo del lavoro dei volontari

UK

45 %

43 %

11 %

Germania

64 %

32 %

3 %

Francia

58 %

35 %

8 %

Polonia

24 %

60 %

15 %

Romania

45 %

29 %

26 %

Ungheria

27 %

55 %

18 %

Slovacchia

21 %

54 %

25 %

Repubblica ceca

39 %

47 %

14 %

Russia

1 %

36 %

63 %

UCRAINA

2 %

25 %

72 %

Fonte:

M. Latsyba (2008): Development of Civil Society in Ukraine, op. cit., sulla base delle seguenti fonti:

 

Lester M. Salomon et al. (2003): Global Civil Society. An Overview [La società civile a livello mondiale. Una rassegna]. The Johns Hopkins University, USA.

 

Istituto della società civile (2005): NGO Funding in Ukraine. Analytical Study [Il finanziamento delle ONG in Ucraina. Uno studio analitico], Kiev.

 

Fondazione «Istituto per l'economia locale» (2003): The Role of Non-Commercial Sector in the Economic Development of Russia [Il ruolo del settore senza scopo di lucro nello sviluppo economico della Russia], Mosca.