ISSN 1725-2466

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 309

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

49o anno
16 dicembre 2006


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

II   Atti preparatori

 

Comitato economico e sociale europeo

 

428a sessione plenaria del 6 luglio 2006

2006/C 309/1

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema regolamentazione della concorrenza e consumatori

1

2006/C 309/2

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Attuare il programma comunitario di Lisbona: Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Potenziare la ricerca e l'innovazione — Investire per la crescita e l'occupazione: una strategia comune COM(2005) 488 def.

10

2006/C 309/3

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sui medicinali per terapie avanzate recante modifica della direttiva 2001/83/CE e del regolamento (CE) n. 726/2004 COM(2005) 567 def. — 2005/0227 (COD)

15

2006/C 309/4

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Attuazione del programma comunitario di Lisbona: Una strategia per la semplificazione del contesto normativo COM(2005) 535 def.

18

2006/C 309/5

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il codice doganale comunitario (codice doganale aggiornato) COM(2005) 608 def. — 2005/0246 (COD)

22

2006/C 309/6

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro bianco: La politica dei servizi finanziari per il periodo 2005-2010 COM(2005) 629 def.

26

2006/C 309/7

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Consiglio recante approvazione dell'adesione della Comunità europea all'Atto di Ginevra dell'Accordo dell'Aia concernente la registrazione internazionale dei disegni e modelli industriali, adottato a Ginevra il 2 luglio 1999COM(2005) 687 def. — 2005/0273 (CNS) e alla — Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 6/2002 e il regolamento (CE) n. 40/94 allo scopo di rendere operativa l'adesione della Comunità europea all'Atto di Ginevra dell'Accordo dell'Aia concernente la registrazione internazionale dei disegni e modelli industriali COM(2005) 689 def. — 2005/0274 (CNS)

33

2006/C 309/8

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce le regole per la partecipazione di imprese, centri di ricerca e università alle azioni nell'ambito del Settimo programma quadro e per la diffusione dei risultati della ricerca (2007-2013) COM(2005) 705 def. — 2005/0277 (COD)

35

2006/C 309/9

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio (Euratom) che stabilisce le regole per la partecipazione di imprese, centri di ricerca e università alle azioni nell'ambito del Settimo programma quadro della Comunità europea dell'energia atomica e per la diffusione dei risultati della ricerca (2007-2011) COM(2006) 42 def. — 2006/0014 (CNS)

41

2006/C 309/0

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio che abroga il regolamento (CEE) n. 4056/86, che determina le modalità di applicazione degli articoli 85 e 86 del Trattato ai trasporti marittimi, e che modifica il regolamento (CE) n. 1/2003 estendendone il campo di applicazione al cabotaggio e ai servizi di trasporto con navi da carico non regolari COM(2005) 651 def. — 2005/0264 (CNS)

46

2006/C 309/1

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La sicurezza aerea

51

2006/C 309/2

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai rifiuti COM(2005) 667 def. — 2005/0281 (COD)

55

2006/C 309/3

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo Piano d'azione 2006-2008 per la semplificazione e il miglioramento della politica comune della pesca COM(2005) 647 def.

60

2006/C 309/4

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Strategia tematica per l'uso sostenibile delle risorse naturali COM(2005) 670 def. — [SEC(2005) 1683 + SEC(2005) 1684]

67

2006/C 309/5

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio concernente la lotta contro la cocciniglia di San José COM(2006) 123 def. — 2006/0040 (CNS)

71

2006/C 309/6

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Rischi e problemi relativi alla fornitura di materie prime all'industria europea

72

2006/C 309/7

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sul sistema europeo di statistiche integrate della protezione sociale (Sespros) COM(2006) 11 def. — 2006/0004 (COD)

78

2006/C 309/8

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le relazioni fra l'UE e la Comunità andina delle nazioni

81

2006/C 309/9

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il futuro della dimensione nordica

91

2006/C 309/0

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Politica europea di prossimità

96

2006/C 309/1

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di Decisione del consiglio relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee (//CE, Euratom) COM(2006) 99 def. — 2006/0039 (CNS)

103

2006/C 309/2

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio sull'esenzione dall'imposta sul valore aggiunto e dalle accise delle merci importate da viaggiatori provenienti da paesi terzi COM(2006) 76 def. — 2006/0021 (CNS)

107

2006/C 309/3

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Attuazione del programma comunitario di Lisbona: stimolare lo spirito imprenditoriale attraverso l'istruzione e l'apprendimento COM(2006) 33 def.

110

2006/C 309/4

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro bianco su una politica europea di comunicazione COM(2006) 35 def.

115

2006/C 309/5

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Coesione sociale: dare un contenuto al modello sociale europeo

119

2006/C 309/6

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il ruolo delle organizzazioni della società civile nell'attuazione della politica comunitaria di coesione e sviluppo regionale

126

2006/C 309/7

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio relativo alla costituzione di un'impresa comune per la realizzazione del sistema europeo di nuova generazione per la gestione del traffico aereo (SESAR) COM(2005) 602 def. — 2005/0235 (CNS)

133

2006/C 309/8

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il futuro dei servizi di interesse generale

135

IT

 


II Atti preparatori

Comitato economico e sociale europeo

428a sessione plenaria del 6 luglio 2006

16.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 309/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema regolamentazione della concorrenza e consumatori

(2006/C 309/01)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 luglio 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema regolamentazione della concorrenza e consumatori.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali e cittadinanza, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 maggio 2006, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SÁNCHEZ MIGUEL.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 5 luglio 2006, nel corso della 428a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 134 voti favorevoli, nessun voto contrario e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

La libera concorrenza comporta benefici per tutti i soggetti che partecipano al mercato, e in particolare per i consumatori. Tuttavia, l'inosservanza delle disposizioni giuridiche in materia ha avuto notevoli conseguenze sulle imprese concorrenti. Di fatto, le regole hanno un obiettivo sanzionatorio volto ad attenuare gli effetti economici della mancanza di concorrenza tra le imprese.

1.2

Finora ai consumatori sono mancati gli strumenti giuridici appropriati derivati dalla normativa in materia di concorrenza, che consentissero loro di intervenire o di reclamare il risarcimento dei danni provocati sul mercato da pratiche concorrenziali illecite. È solo a partire dai grandi cambiamenti che intervengono nel mercato interno, specie con la liberalizzazione dei servizi economici di interesse generale, che prende il via il dibattito sull'esigenza di strumenti che permettano ai consumatori di partecipare alla politica della concorrenza.

1.3

Il primo passo è stata la nomina, nella DG Concorrenza, di un funzionario con compiti di collegamento con i consumatori, incaricato di trattare con le organizzazioni dei consumatori le questioni di concorrenza per le quali il loro parere rivesta particolare importanza. A tre anni dalla sua introduzione, si può dire che l'efficacia di tale figura è stata limitata dalla mancanza dei mezzi idonei a eseguire tale compito.

1.4

Nel frattempo nei principali settori liberalizzati si è verificata una vera e propria limitazione della libera concorrenza, con effetti di esclusione per i concorrenti e con una netta limitazione dei diritti economici dei consumatori. Una delle ragioni di questo impatto negativo è la dimensione nazionale della liberalizzazione adottata dalla maggior parte degli Stati membri con un ritorno al protezionismo in favore delle imprese nazionali. La Commissione deve disporre degli strumenti necessari per porre termine a questa situazione.

1.5

L'articolo 153, paragrafo 2, del Trattato CE offre alla Commissione la base giuridica per definire nelle politiche comunitarie e in special modo in quella di concorrenza, un'azione orizzontale di tutela dei consumatori. Ciò consente di tenere conto, nelle modalità di attuazione degli articoli 81 e 82 del Trattato, anche degli interessi dei consumatori oltre che di quelli delle imprese concorrenti danneggiate dall'inosservanza delle disposizioni in materia di concorrenza. Gli Stati membri, a loro volta, dovranno orientare le proprie disposizioni nazionali a questa finalità.

1.6

A tal fine dovranno adottare misure che garantiscano il risarcimento dei danni e dei pregiudizi, specie economici, eventualmente causati dal ricorso a pratiche vietate.

1.7

Inoltre, il sistema di informazione e di consultazione dei consumatori va rafforzato. Se la DG Concorrenza vuole mantenere la figura del funzionario al collegamento, deve anche dotarla dei mezzi necessari per il suo lavoro, mentre la DG SANCO dovrebbe coinvolgere gli organi di cui dispone per intervenire meglio nelle questioni della concorrenza direttamente collegate agli interessi dei consumatori. Si ritiene, a tale proposito, che la rete europea della concorrenza possa adattare la sua attività per dare spazio alle informazioni e osservazioni che le organizzazioni dei consumatori nazionali o comunitarie desiderino fornire per rendere più efficiente la politica della concorrenza nei mercati e veder riconosciuti i loro diritti economici.

2.   Orientamento attuale della politica europea della concorrenza

2.1

La libera concorrenza è un principio di base dell'economia di mercato, che ha come presupposto la libera iniziativa degli operatori economici e, in generale, di tutti coloro che partecipano al mercato. Le disposizioni che disciplinano la concorrenza contenute nel Trattato sono nate dall'esigenza di contemperare la libera concorrenza nel mercato e i diritti di tutti i soggetti che ne fanno parte. In piena epoca di liberalizzazioni, la Commissione europea (1) ha affermato la necessità di trovare un equilibrio tra gli interessi delle imprese e quelli dei consumatori in considerazione delle nuove situazioni economiche, non previste dalle disposizioni in materia di concorrenza. La Commissione, inoltre, si è detta favorevole a rendere efficaci gli strumenti volontari e a promuovere il dialogo tra consumatori ed imprese, in modo da accrescere la fiducia dei consumatori nel mercato, dato che la concorrenza da sola non basta a crearla.

2.2

Come emerge dalla relazione della Commissione sulla politica della concorrenza 2004 (2) e da un intervento del commissario Kroes (3), la situazione attuale è caratterizzata da alcune novità. Sia la relazione che l'intervento sottolineano che bisogna dirigere gli interventi verso i settori che, secondo l'Agenda di Lisbona, sono essenziali per il mercato interno e la competitività, ma soprattutto bisogna tenere conto degli interessi dei consumatori e dell'incidenza dei cartelli e dei monopoli sui loro diritti. Si può ritenere che tale posizione preluda all'inserimento della protezione del consumatore come una delle misure di regolamentazione del mercato basata sulla domanda e non più esclusivamente sull'offerta, com'è avvenuto sinora.

2.3

Va segnalato che definire la politica di concorrenza spetta all'UE, in collaborazione con gli Stati membri, non soltanto per il fatto che questa è applicabile al mercato unico e quindi alle operazioni transfrontaliere, ma anche perché la finalità di tale politica è armonizzare le norme nazionali in modo che non vengano attuate politiche nazionali protezionistiche volte a favorire i mercati nazionali discriminando i concorrenti. A tal fine, risulta essenziale il ruolo svolto dalle istituzioni comunitarie e specialmente dalla Commissione, la quale è competente non soltanto in materia di formulazione di proposte legislative per la disciplina della concorrenza, ma anche in tema di controllo delle concentrazioni e degli aiuti di Stato, in cui l'interesse generale prevale su quello del singolo Stato.

2.4

La liberalizzazione dei servizi di interesse generale e la regolamentazione dei servizi finanziari ha fatto sì che si cercasse di mettere in relazione la politica di concorrenza e le altre politiche della Commissione, specialmente quella relativa ai consumatori. Nell'ultima relazione sulla concorrenza, relativa al 2004, viene menzionato tra gli obiettivi di un'applicazione rigorosa di questa politica il rafforzamento degli interessi e della fiducia dei consumatori nei confronti del mercato interno.

2.5

Malgrado queste dichiarazioni di principio, dall'analisi delle diverse disposizioni che costituiscono la politica europea della concorrenza emergono pochi cambiamenti concreti; la situazione è rimasta praticamente immutata. Nel 2003, in occasione della Giornata europea della concorrenza (4), viene annunciata la nomina di un «funzionario con compiti di collegamento con i consumatori» all'interno della DG Concorrenza, con competenze in ciascuno dei campi in cui si suddivide tale politica, allo scopo di vigilare sugli interessi dei consumatori. Si stanno anche pubblicando opuscoli informativi (5) destinati ad orientare e aggiornare i consumatori circa il contenuto della politica di concorrenza e di come essa possa incidere sui loro interessi.

2.6

Tra i compiti assegnati al funzionario di collegamento con i consumatori (6) vanno segnalati i seguenti:

fungere da referente per le organizzazioni di consumatori e per i singoli consumatori (7),

stabilire contatti regolari con le suddette organizzazioni, in particolare con il Gruppo consultivo europeo dei consumatori (GCEC),

mettere a conoscenza le associazioni dei consumatori delle questioni di concorrenza, in merito alle quali la loro opinione sia importante, consigliandoli circa la maniera di esprimerla,

mantenere le relazioni con le autorità nazionali garanti della concorrenza per quanto concerne le questioni che riguardano i consumatori.

2.7

Questo orientamento della politica di concorrenza verso la considerazione, tra l'altro, degli interessi dei consumatori, dovrebbe essere orizzontale, superando la rigida ripartizione delle competenze tra la DG COMP e la DG SANCO. Occorrerebbe quindi un coordinamento permanente non solo tra le differenti politiche europee, ma anche tra esse e quelle nazionali, al fine di realizzare una libera concorrenza sul mercato e favorire così gli agenti economici e sociali e i consumatori.

3.   Politiche comunitarie in materia di concorrenza che hanno conseguenze per i consumatori

3.1

Si può dire che la politica di concorrenza abbia subito nell'ultima fase un'importante trasformazione e non solo per la forte incidenza della cosiddetta globalizzazione economica, ma anche per l'esigenza di conciliare la liberalizzazione dei servizi con altri obiettivi di interesse pubblico, come la garanzia del pluralismo e dell'affidabilità dei prestatori di tali servizi. La politica di concorrenza si è impegnata a svolgere un ruolo importante in relazione agli obiettivi di competitività — definiti nell'Agenda di Lisbona e incentrati sul corretto funzionamento dell'economia di mercato e soprattutto delle concentrazioni economiche, fondamentali per garantire il successo dell'economia europea nel confronto con i nostri concorrenti internazionali — salvaguardando al tempo stesso i diritti dei vari concorrenti e specialmente dei consumatori europei.

3.2

L'esigenza di dare une definizione concreta della politica di concorrenza che interessa i consumatori richiede un esame degli articoli nei quali tale politica viene disciplinata, vale a dire quelli corrispondenti del Trattato e le relative modalità di attuazione. In alcuni casi queste modalità sono state modificate di recente, in altri sono in attesa di essere adottate.

3.3   Accordi e pratiche restrittive

3.3.1

Gli accordi tra imprese rientrano tra le relazioni del mercato che servono a facilitarne il buon funzionamento. Tali accordi, tuttavia, non sempre nascono per favorire la concorrenza, bensì proprio il contrario, e già al momento in cui fu istituito il mercato comune si considerò l'esigenza di vietarli qualora avessero la finalità di impedire, limitare o falsare il libero gioco della concorrenza. Altrettanto vale per le associazioni tra imprese, la cui fattispecie più significativa è quella dei cartelli, che funzionano come unioni tra imprese, senza apparente coordinamento tra esse. Essi sono vietati quando il loro contenuto limita o impedisce la libera concorrenza.

3.3.2

Il fondamento giuridico sia degli accordi che delle decisioni di associazione tra imprese è di tipo contrattuale, che dà origine a obblighi reciproci. In entrambi i casi la loro validità è subordinata alla conformità delle disposizioni giuridiche applicabili. Il problema qui esaminato è quello degli effetti che essi producono nei confronti di terzi e, in modo particolare, sulle regole che disciplinano la concorrenza nel mercato.

3.3.3

L'obiettivo delle disposizioni è, in definitiva, impedire che si arrivi a ottenere il risultato, cioè la limitazione della concorrenza; tuttavia esse si spingono più oltre, annullando di pieno diritto tutti gli accordi e le decisioni, con gli effetti pratici che questo comporta per quanto riguarda il risarcimento dei danni causati ai concorrenti e all'economia in generale attraverso la distorsione del funzionamento dei mercati.

3.3.4

La complessità delle situazioni a cui si applica l'articolo 81 del Trattato, sia nei mercati nazionali che nel mercato interno europeo, ha indotto la Commissione a elaborare il pacchetto modernizzazione (8), che permette di adattare le disposizioni del Trattato alla giurisprudenza dei tribunali e al numero considerevole di situazioni incontrate nel corso della sua applicazione.

3.3.5

Anche le norme di esenzione per categoria sono state aggiornate attraverso il regolamento CE 772/2004 (9), contenente nuovi criteri di esenzione, conformi alle attuali esigenze del mercato e in particolare agli accordi sui trasferimenti di tecnologie. Data l'esigenza di una norma chiara che permetta di promuovere accordi tra imprese senza incorrere in divieti, bisogna definire dei limiti entro i quali detti accordi possano essere negoziati e garantire prima di tutto che in nessun caso a subire le conseguenze negative di tali esenzioni siano i consumatori.

3.4   Abuso di posizione dominante

3.4.1

L'articolo 82 vieta l'abuso, da parte di una o più imprese, di una posizione dominante nel mercato comune o in una parte sostanziale di questo. Questa disposizione non impedisce la formazione di posizioni dominanti, anzi, semmai la tendenza è stata di favorire le concentrazioni economiche per consentire alle imprese europee di competere a livello mondiale, bensì intende impedire che il predominio acquisito venga utilizzato per imporre agli altri concorrenti le proprie condizioni, eliminando così la concorrenza. La disposizione dell'articolo non si preoccupa dell'origine della posizione dominante, a differenza dell'articolo 81, che invece si basa sull'origine degli accordi o delle decisioni per dichiararli nulli.

3.4.2

La posizione dominante ha effetti differenti da quelli delle pratiche concordate, dato che essa non sembra avere effetti sulla concorrenza, nella misura in cui questa può essere già limitata a causa della situazione stessa, vale a dire l'assenza di concorrenti o la loro irrilevanza sul mercato. Invece, sembra necessario, quindi è deciso l'intervento a favore dei consumatori, che subiranno le conseguenze negative delle imposizioni create dall'impresa in posizione dominante (10).

3.4.3

La Commissione ha cominciato a intervenire quindi nei principali settori, in cui a causa della loro liberalizzazione tardiva le imprese godevano di posizioni dominanti nella maggior parte degli Stati membri, come per esempio nelle telecomunicazioni (11), o nei quali in ragione di importanti innovazioni tecnologiche non si trovavano di fronte a una concorrenza effettiva da parte dei loro concorrenti, come per esempio è il caso Microsoft (12). In entrambi i casi si è accertato un abuso di posizione dominante. Nel primo caso, l'abuso riguardava la determinazione dei prezzi per la prestazione dei servizi di telecomunicazioni (13); la relativa decisione è stata significativa anche perché ha riguardato un settore economico soggetto a priori a regolamentazione da parte dello Stato, ma ciò malgrado la Commissione ha ritenuto di dover intervenire sebbene i prezzi fossero assoggettati ad una regolamentazione settoriale.

3.4.4

Nel secondo caso, quello della Microsoft, la questione era più complicata in quanto l'impresa nordamericana ha un quasi monopolio con i suoi sistemi informatici. La Commissione ha tuttavia ritenuto che vi fosse stata una violazione dell'articolo 82, per abuso di posizione dominante sul mercato dei sistemi operativi per computer, essendosi Microsoft rifiutata di fornire informazioni necessarie ai fini dell'interoperabilità e soprattutto per aver reso obbligatorio acquistare, insieme al sistema operativo Windows, anche il programma Media Player. La Commissione non solo ha comminato ingenti ammende per infrazione molto grave, ma ha imposto una serie di misure concernenti la divulgazione dei sistemi operativi e la vendita separata delle varie componenti del sistema Windows.

3.5   Il controllo delle concentrazioni

3.5.1

Nel Trattato CE non è stato inserito alcun articolo concreto per regolamentare le concentrazioni di imprese, in un primo tempo perché non vi erano operazioni economiche di questo tipo, e in un secondo momento perché le stesse autorità degli Stati membri hanno appoggiato tali processi di concentrazione allo scopo di favorire la competitività delle imprese nazionali. Nondimeno, quando tali concentrazioni hanno provocato la nascita di posizioni dominanti, sono stati applicati gli articoli 81 e 82, ma con una riserva, nel senso che non si è esercitato un controllo a priori di tali concentrazioni, bensì si è intervenuti nei soli casi di abuso di posizione dominante.

3.5.2

Per porre rimedio a questo vuoto e consentire un controllo effettivo, il Consiglio, sulla base degli articoli 83 e 308 del Trattato, che gli consentono di dotarsi di poteri d'azione aggiuntivi per raggiungere gli scopi della Comunità, in questo caso la libera concorrenza, ha adottato vari regolamenti, fino a giungere al regolamento attuale, 139/2004 (14), che modifica e migliora il regolamento CE/1310/97 (15) e soprattutto include la giurisprudenza derivata dalla sentenza Gencor/Commissione (16).

3.5.3

Il nuovo regolamento modifica tra l'altro alcuni aspetti concernenti la competenza, demandando alle autorità nazionali le questioni che a giudizio della Commissione o di almeno tre Stati membri siano di rilevanza nazionale, e in tal modo alleggerendo notevolmente il lavoro delle autorità comunitarie competenti. Il Comitato ritiene tuttavia che tale rinvio possa aver luogo solo quando la questione non riguardi una parte sostanziale del mercato comune, giacché in questo caso sarebbe più facile porre rimedio alla limitazione della concorrenza e proteggere le parti interessate, in special modo i consumatori, dai relativi effetti.

3.5.4

Per quanto riguarda le modifiche apportate agli aspetti sostanziali, va segnalata la definizione più chiara non soltanto delle soglie quantitative di cui all'articolo 1, ma anche delle soglie concettuali previste dall'articolo 2, in modo che risulti chiaro quando ci si trova di fronte ad una posizione dominante e soprattutto ad una riduzione sostanziale della concorrenza.

3.5.5

Tra gli altri aspetti che sono stati modificati, quelli procedurali rivestono importanza non minore degli altri menzionati sopra. In questo caso la modifica, di particolare rilevanza, consiste nella proroga delle scadenze per la presentazione dei fascicoli agli Stati membri: ciò consente alle parti interessate di intervenire in modo più adeguato, sebbene pur sempre nei limiti definiti dalle disposizioni nazionali. Lo stesso vale per la scadenza imposta alle parti richiedenti; in questo caso il termine di 15 giorni lavorativi per di più in una fase molto precoce del procedimento potrebbe sembrare troppo rigido perché le parti richiedenti stesse non conoscerebbero le argomentazioni eventualmente ricevute dalla Commissione in merito all'operazione per la quale avviene la notifica. Va comunque fatto presente che non è previsto, in alcuna fase della procedura, l'intervento dei consumatori; inoltre il testo non prevede più, tra gli aspetti relativi alla valutazione delle concentrazioni, la considerazione degli interessi dei lavoratori delle imprese in questione e degli aspetti occupazionali.

3.6   Casi tipici di limitazione della concorrenza

3.6.1

Sia nell'articolo 81 che nell'articolo 82 il legislatore comunitario ha enumerato in maniera non esaustiva ciò che intende per pratiche vietate; quelle di cui all'articolo 81, in particolare, sono le pratiche collusive, mentre quelle di cui all'articolo 82 riguardano l'abuso di posizione dominante. Bisogna anzitutto chiarire che non si tratta di liste chiuse, bensì di un campione di pratiche frequenti che configurano entrambi i comportamenti di cui sopra, potendosi individuare altre pratiche con gli stessi effetti e di conseguenza soggette allo stesso divieto.

3.6.2

Le pratiche elencate nei due articoli sono molto simili:

fissare i prezzi,

limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti,

ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento,

applicare ad altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni equivalenti,

subordinare la conclusione di contratti all'accettazione di prestazioni supplementari.

3.6.3

In base alla situazione da cui prendono le mosse, queste pratiche si possono classificare in due categorie:

a)

abuso nel campo della concorrenza, che comprende un gran numero di pratiche anticoncorrenziali, come il rifiuto di effettuare la fornitura, la fissazione di prezzi inferiori al prezzo reale, i premi di fedeltà o la discriminazione nei prezzi. Questo comportamento ha l'effetto economico di ridurre o impedire la concorrenza sul mercato o in una parte sostanziale di esso;

b)

abuso o sfruttamento sleale nei confronti delle imprese che dipendono dalla posizione dominante di un'altra o di altre per l'acquisto di beni o servizi, attraverso prezzi sleali, discriminazione, inefficienza o negligenza o addirittura abusi del diritto di proprietà industriale.

3.6.4

Uno dei tipi di abuso più frequenti si verifica nella determinazione di prezzi, in senso ampio, come nel caso degli sconti, dei margini, delle condizioni di pagamento o dei ribassi. Vanno inoltre aggiunte pratiche come quella di non fornire preventivi, non adeguarsi ai listini dei prezzi e non vendere a prezzi differenti da quelli offerti. In tutti questi casi chi subisce un danno sono i consumatori, i quali, malgrado le disposizioni specifiche che ne tutelano i diritti, si trovano in una situazione di inferiorità di fronte alle imprese che occupano una posizione dominante sul mercato e spesso costituiscono addirittura l'unica fonte di offerta per il mercato in questione.

3.7   Evoluzione della concorrenza in alcuni settori liberalizzati

La politica di concorrenza contemplata nel Trattato CE è pensata in funzione dei settori tradizionali dell'economia europea, ragion per cui l'evoluzione delle sue modalità di applicazione è andata di pari passo con i nuovi fenomeni economici, che richiedevano un livello più elevato di competitività. Le modalità con cui è stata effettuata la liberalizzazione di importanti settori del mercato ha avuto ripercussioni negative per i consumatori, dal momento che nella maggior parte dei casi dei servizi pubblici sono diventati imprese con posizioni dominanti sui rispettivi mercati, con le quali è difficile competere per i loro concorrenti.

3.7.1   Energia

3.7.1.1

Negli ultimi anni si è registrato un considerevole avanzamento nella liberalizzazione del settore energetico europeo (elettricità e gas), che faceva parte fino a tempi recenti del settore pubblico e come tale era soggetto a controllo per quanto riguardava i prezzi e le condizioni di fornitura. La Commissione aveva previsto che il mercato venisse liberalizzato a partire dal luglio 2004 per le utenze non domestiche e a partire dal luglio 2007 per quelle domestiche. La prima previsione non si è realizzata per intero e dato lo stato attuale delle cose, la liberalizzazione totale per il consumo domestico è impraticabile.

3.7.1.2

La situazione è complicata e i risultati della gestione delle reti privatizzate non sono soddisfacenti, specie nel caso delle reti elettriche, per le quali i gestori si limitano a una manutenzione a basso costo, con conseguenze rilevanti per gli utenti e frequenti interruzioni della somministrazione di elettricità.

3.7.1.3

Ciò nondimeno, l'attuale regolamento relativo all'elettricità (17), che promuove gli scambi transfrontalieri di elettricità, può servire ad accrescere la concorrenza nel mercato interno attraverso un meccanismo di compensazione in favore degli operatori dei sistemi di trasmissione e mediante l'introduzione di tariffe non discriminatorie, trasparenti e indipendenti dalla distanza.

3.7.1.4

La Commissione ha inoltre istituito all'interno della rete europea delle autorità garanti della concorrenza un sottogruppo incaricato dell'energia, allo scopo di discutere e di mettere a punto un accordo relativo all'applicazione ai mercati dell'energia delle norme comunitarie in materia di concorrenza.

3.7.2   Telecomunicazioni

3.7.2.1

Il settore delle telecomunicazioni è stato oggetto di una riforma legislativa nel 2002 (18), in particolare per l'aggiornamento delle disposizioni in materia di comunicazioni elettroniche, allo scopo di adeguare alle nuove tecnologie l'utilizzazione delle reti. I risultati del recepimento da parte degli Stati membri sono stati disuguali. È per questo che la 9a relazione sull'attuazione del quadro normativo per le comunicazioni elettroniche nell'UE (19) si concentra sul recepimento di detto quadro normativo nelle legislazioni nazionali, nonché sui compiti di pertinenza delle autorità nazionali di regolamentazione.

3.7.2.2

La 9a relazione riferisce che il numero di operatori non è mutato, quantunque alcuni di essi siano rimasti in attività unicamente nel loro mercato di origine; d'altro canto la pressione concorrenziale tra operatori si è trasferita dai mercati internazionali e dalle chiamate a lunga distanza al settore delle chiamate locali, con una progressiva riduzione degli operatori tradizionali in questo settore. Ciò ha favorito i consumatori in termini di prezzi delle chiamate, ma non in relazione a certi abusi commessi dalla loro posizione iniziale al momento di stipulare nuovi contratti.

3.7.2.3

La vigilanza sullo stato della concorrenza nei mercati delle telecomunicazioni permette di controllare, in certa misura, gli operatori con posizione dominante, al fine di imporre loro specifici obblighi volti a prevenire abusi nell'imposizione ai consumatori delle condizioni e dei prezzi. In ogni caso la Commissione ha eseguito un ampio monitoraggio dell'attuazione della direttiva 2002/77/CE in ciascuno Stato membro (20), allo scopo di correggere i difetti riscontrati, i quali non soltanto limitavano la concorrenza ma si ripercuotevano anche sugli interessi dei consumatori.

3.7.3   Trasporti

Il settore dei trasporti va considerato in base ai differenti modi di trasporto; il presente documento prenderà in esame principalmente il trasporto aereo, quello ferroviario e quello marittimo, che sono oggetto di importanti modifiche, volte in particolare a proteggere i passeggeri nel caso del trasporto aereo e a salvaguardare la sicurezza del trasporto marittimo.

3.7.3.1   Il trasporto aereo

3.7.3.1.1

Nel 2003 la Commissione ha avviato un dialogo con il settore dell'aviazione civile, allo scopo di elaborare una posizione comune per applicare la politica della concorrenza alle alleanze e alle fusioni che stavano avendo luogo nel settore. Nel corso dello stesso anno si evidenziò l'esigenza di modificare il regolamento CE/1/2003 integrando il trasporto aereo tra l'Unione e paesi terzi, allo scopo di creare un «cielo aperto» che permettesse di intervenire nelle alleanze tra compagnie aeree europee e di paesi terzi, in particolare statunitensi. Nello stesso periodo la Commissione ha esaminato vari accordi tra imprese, per alcuni dei quali si è stimato vi fosse incompatibilità con le norme in materia di concorrenza (21), mentre per altri si è provveduto a modificare il contenuto e il periodo di validità.

3.7.3.1.2

Sempre nello stesso periodo è stato approvato il regolamento che definisce i diritti dei passeggeri (22).

3.7.3.2   Trasporto ferroviario

3.7.3.2.1

Il regolamento 1/2003 conferisce alle autorità nazionali garanti della concorrenza la facoltà di applicare le norme in difesa della concorrenza al settore ferroviario. Da allora le autorità sia comunitarie che nazionali devono determinare, in collaborazione con la DG Trasporti ed energia, gli argomenti di interesse comune nel contesto della liberalizzazione del settore.

3.7.3.2.2

Il primo pacchetto di direttive concernenti la liberalizzazione del settore ferroviario era finalizzato a realizzare la libera circolazione nel campo dei trasporti transfrontalieri di merci e a creare un quadro di riferimento per l'accesso ai servizi sia merci che passeggeri, assegnando i relativi itinerari, le tariffe ecc.

3.7.3.2.3

Il secondo pacchetto comprendeva la liberalizzazione dei mercati nazionali del trasporto merci e del mercato nazionale e internazionale del trasporto di passeggeri.

3.7.3.2.4

L'obiettivo globale consiste nel mettere a punto un approccio comune per l'applicazione al settore ferroviario della legislazione in materia di concorrenza, onde evitare decisioni contraddittorie tra autorità nazionali e Commissione.

3.7.3.3   Trasporto marittimo

3.7.3.3.1

Il settore marittimo è uno di quelli maggiormente caratterizzati da esenzioni per categoria, concernenti in particolare le conferenze e i consorzi marittimi; tali esenzioni si basano sul regolamento CE/823/2000, attualmente in corso di revisione (23), e sono intese ad applicare l'articolo 83, paragrafo 1, del Trattato CE, in forza del quale i suddetti consorzi e conferenze possono superare il limite previsto dalle disposizioni in vigore, a condizione di trasmettere alla Commissione la relativa notifica e di ottenere l'autorizzazione attraverso la procedura di opposizione.

3.7.3.3.2

Nella prassi alcuni consorzi hanno utilizzato gli accordi per attuare pratiche non previste dall'esenzione, come per esempio la determinazione di prezzi; ciò ha indotto la Commissione (24) ad intervenire limitando il contenuto degli accordi. Il Tribunale di primo grado (25) si è pronunciato in termini simili in merito ad un accordo tra compagnie di trasporto marittimo, volto a non concedere ai clienti sconti rispetto alle tariffe pubblicate a motivo di spese e maggiorazioni.

3.8   Effetti per i consumatori delle liberalizzazioni esaminate

3.8.1

Le modalità con cui è stata effettuata la liberalizzazione dei settori summenzionati, essendo stata attuata su scala nazionale, ha sortito effetti negativi dal punto di vista del mercato interno. A causa della nascita di oligopoli, i consumatori sono stati privati di una reale concorrenza, in grado di far scendere i prezzi e di favorire la competitività delle imprese. La Commissione dovrebbe inoltre studiare gli effetti prodotti sinora, specie in relazione ai consumatori, dalle concentrazioni nei settori liberalizzati.

3.8.2

In termini generali la mancanza di trasparenza, le tariffe elevate e ingiustificate che sopportano i clienti industriali e i consumatori, come pure l'integrazione verticale tra imprese, non hanno inciso sulla concorrenza effettiva dei mercati liberalizzati, bensì, al contrario, le condizioni previste dai contratti per i consumatori hanno spesso violato le norme di contrattazione stabilite per i contratti tipo destinati al pubblico.

3.8.3

Il problema riguarda gli strumenti a disposizione dei consumatori per vedere riconosciuti i propri diritti nei confronti delle imprese, in particolare grazie ad azioni legali basate sulle norme in materia di concorrenza e specialmente sugli articoli 81 e 82 del Trattato. I ricorsi alle autorità garanti della concorrenza, Commissione e autorità nazionali, vengono avanzati per lo più dalle imprese e la Corte di giustizia non ha statuito in merito ad alcun reclamo avanzato da privati.

3.8.4

La presentazione, da parte della Commissione, del Libro verde Azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie (26) fornirà ai consumatori uno strumento, che sarà esaminato nel parere del CESE in materia.

4.   Protezione dei consumatori nel contesto della politica della concorrenza

4.1

È evidente che esiste un corpus giuridico specifico concernente i consumatori, i loro diritti e i loro doveri (27). L'articolo 153, paragrafo 2, del Trattato CE stabilisce che «Nella definizione e nell'attuazione di altre politiche o attività comunitarie sono prese in considerazione le esigenze inerenti alla protezione dei consumatori». Si tratta di una politica di carattere orizzontale e come tale dovrebbe riflettersi nel contenuto di tutte le politiche che hanno ripercussioni sui consumatori. Per quanto riguarda la politica della concorrenza non vi sono dubbi: nel mercato di cui tale politica si occupa i consumatori rappresentano la domanda.

4.1.1

Il presente capitolo intende evidenziare quali diritti dei consumatori, e in che modo, subiscono le conseguenze della politica della concorrenza, e in particolare del mancato rispetto della relativa normativa nel mercato interno. I consumatori saranno considerati come parti in causa nel quadro di detta politica, onde tenere conto dei loro interessi nei casi concreti in cui la Commissione deve intervenire per salvaguardare le regole del mercato.

4.2   Diritti economici

4.2.1

I diritti economici del consumatore consistono nell'assenza di qualsiasi pregiudizio valutabile in termini economici che impedisca al consumatore o all'utente l'utilizzazione e il godimento dei beni e dei servizi acquistati alle condizioni concordate con il venditore. Il principio di base che disciplina questa materia è quello della buona fede e del giusto equilibrio tra le parti; ogni atto o clausola contrari a tale principio possono essere considerati abusivi e contrari agli interessi del consumatore.

4.2.2

Nel definire le disposizioni comunitarie si è dedicata grande considerazione alla relazione tra la politica di salvaguardia della concorrenza e la libertà di scelta del consumatore. Sia il vecchio articolo 85, paragrafo 3, che l'attuale articolo 81 del Trattato CE stabiliscono che gli accordi tra imprese sono consentiti quando, pur limitando la concorrenza, comportano un vantaggio per i consumatori. Un esempio tipico è dato dalla ripartizione di aree geografiche tra concorrenti allo scopo di coprire l'intero mercato quantunque alcune aree non siano redditizie.

4.2.3

La tutela del mercato dal punto di vista della protezione del consumatore si effettua vigilando sulla possibilità di intese orizzontali, sotto forma di accordi volontari, cartelli sui prezzi, centrali di acquisti, ripartizione del mercato, come pure di accordi verticali, contratti tipo che regolano la relazione tra produttori, importatori ecc. Inoltre si controlla l'abuso di posizione dominante attraverso pratiche che rendono difficile o impediscono l'accesso al mercato da parte dei concorrenti, come per esempio la determinazione di prezzi eccessivamente elevati o bassi, o di prezzi volti a escludere i concorrenti, oppure l'applicazione di vantaggi discriminatori nei confronti di un cliente e rispetto ad altri.

4.2.4

Ogni anno la Commissione presenta sistematicamente, nella relazione sulla concorrenza, un numero elevato di decisioni concernenti casi di pratiche concordate e di abusi di posizione dominante, nonché alcune sentenze della Corte di giustizia che, in molti casi modificano l'interpretazione delle norme o rendono addirittura necessario modificare la legislazione.

4.2.5

Negli ultimi anni i casi trattati dalla Commissione sono diminuiti; ciò è in gran parte dovuto all'azione ferma delle autorità nazionali sui rispettivi mercati nonché, in particolare, alla definitiva soppressione del sistema di notifica. Nell'ambito della DG Concorrenza sono stati risolti mediante decisioni formali 24 casi, ossia un numero molto basso se si confronta con quello relativo al controllo delle concentrazioni, dove si è registrato un numero elevato di decisioni formali (231) (28) in base al sistema previsto dal regolamento modificato; nella nuova fase tale numero si ridurrà, dato che nella maggior parte dei casi la competenza spetterà all'autorità nazionale.

4.2.6

Diversi dei casi trattati riguardavano direttamente i consumatori o rivestivano particolare interesse per loro. Le decisioni individuali hanno riguardato i settori della telefonia mobile, della radiodiffusione e delle linee aeree (29), mentre gli interventi relativi alle iniziative settoriali hanno avuto per oggetto i trasporti, le libere professioni, i veicoli a motore e i mezzi di comunicazione (30). In tutte e due i contesti, i casi analizzati concernevano abusi relativi ai prezzi, con l'applicazione dell'articolo 82 per la determinazione di prezzi volti a escludere la concorrenza o di prezzi di fornitura abusivi (31).

4.3   Diritto di informazione e di partecipazione

4.3.1

L'efficacia della politica dei consumatori si misura in termini di partecipazione alle politiche che li interessano, di modo che è necessario integrarli in tutte le politiche dalle quali sinora sono stati esclusi. Già la strategia in materia di politica dei consumatori (32) prevedeva, tra l'altro, l'obiettivo di un'adeguata partecipazione delle organizzazioni dei consumatori alle politiche comunitarie. L'anno successivo è stato infatti nominato, nella DG Concorrenza, il funzionario incaricato del collegamento con i consumatori.

4.3.2

Le organizzazioni dei consumatori dispongono di un forum, il comitato dei consumatori, che costituisce il meccanismo di intervento nella politica specifica dei consumatori; manca tuttavia un'applicazione più estesa che consenta la partecipazione ad altre politiche. La sfida attuale per i consumatori consiste nell'avere la possibilità e la capacità di contribuire alle iniziative comunitarie in tutte le fasi del processo decisionale dell'UE. Occorrerà trovare dei requisiti minimi che permettano loro di partecipare agli organi consultivi, come accade attualmente nel caso dell'agricoltura, e in particolare agli organi di nuova formazione, come quelli per i trasporti, per l'energia, per le telecomunicazioni, o qualsiasi altro organo eventualmente istituito.

4.3.3

Per quanto concerne l'argomento del presente documento, formalmente non esiste alcuna partecipazione; i consumatori non vengono nemmeno consultati in merito agli argomenti che il Trattato considera di loro interesse, e specificamente in merito alle esenzioni di pratiche concordate, di cui all'articolo 81, paragrafo 3, nonché alle pratiche abusive che limitano la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori, articolo 82, lettera b). Tocca quindi alla DG Concorrenza e alle organizzazioni dei consumatori predisporre i meccanismi di partecipazione e di consultazione, attraverso norme concordate, così come stabiliva il Libro bianco sulla governance europea (33); tali meccanismi avranno un impatto sul mercato interno.

4.3.4

La DG SANCO deve assumere una responsabilità analoga. Attraverso il gruppo consultivo permanente essa potrebbe intervenire nelle questioni di concorrenza che abbiano riflessi per i diritti dei consumatori.

4.3.5

Il diritto di informazione dei consumatori in materia di concorrenza è stato rafforzato dalla nomina del funzionario incaricato del collegamento con essi. Le organizzazioni europee dei consumatori vengono informate regolarmente, e le associazioni nazionali e i singoli consumatori dispongono di una pagina web (34) che contiene addirittura un formulario per i reclami (35) relativi ai danni eventualmente provocati dal comportamento anticoncorrenziale delle imprese.

5.   Organismi

A parere del Comitato, per rendere effettivo il diritto di informazione e partecipazione dei consumatori, si deve, da un lato, assicurare che essi siano legittimamente rappresentati dalle loro organizzazioni e, dall'altro, definire l'organismo in cui tale partecipazione si realizzi effettivamente, così come si segnala nei punti che seguono.

5.1   Dei consumatori

5.1.1

Le organizzazioni dei consumatori sono regolamentate da norme nazionali che prevedono requisiti minimi per il loro riconoscimento e la loro legittimazione a rappresentare i consumatori vittime di pratiche proibite.

5.1.2

A livello europeo vengono riconosciute a tutti gli effetti le organizzazioni che sono registrate presso la DG SANCO, le quali hanno diritto a essere informate e consultate e sono coinvolte in tutte le questioni che sinora sono considerate di loro competenza.

5.1.3

Può presentarsi un problema in caso di applicazione di tale legittimazione, che ha in qualche misura un carattere escludente, alle questioni di concorrenza, che solitamente consistono di violazioni di concreti diritti dei consumatori, e sono talora limitate sotto il profilo territoriale e tematico. Per potere intervenire su tale questione bisognerebbe discutere estesamente il concetto di legittimazione.

5.2   Rete europea delle autorità garanti della concorrenza

5.2.1

Il regolamento CE 1/2003 (36) e il cosiddetto pacchetto modernizzazione definiscono i mezzi di cooperazione tra la Commissione e le autorità competenti in materia di concorrenza attraverso la Rete europea delle autorità garanti della concorrenza (ECN) (37). Quest'ultima ha avviato la propria attività nel 2003 attraverso un gruppo di lavoro che ha studiato le questioni più generali, come pure il funzionamento del sistema di comunicazione tra le varie autorità. Attualmente la rete è pienamente operativa ed è suddivisa in 14 sottogruppi che si occupano di problemi settoriali (38).

5.2.2

Il regolamento 1/2003 concede alla Rete i mezzi necessari per la mutua assistenza e per agire conformemente alle istruzioni dell'autorità competente, nonché in generale per raccogliere tutte le informazioni necessarie per consentire la risoluzione dei casi. La rete esegue anche le ispezioni richieste dalle autorità nazionali e i cui risultati vengono trasmessi conformemente alla procedura stabilita, affinché siano accessibili a tutte le parti coinvolte.

5.2.3

Riveste particolare importanza l'intervento della Rete nel programma in materia di trattamento favorevole, dato che gli Stati membri hanno sottoscritto una dichiarazione in cui si impegnano a rispettare le regole stabilite nella citata comunicazione. In tal modo i tribunali nazionali competenti hanno a disposizione uno strumento pratico concernente la concorrenza, allorché si occupano di aggiornare la giurisprudenza della Corte di giustizia (39).

5.2.4

La comunicazione che deve aver luogo tra la Rete, le autorità garanti della concorrenza e i tribunali permette di conoscere le richieste concernenti accordi e abusi di posizione dominante, nonché la relativa procedura; in tal modo le decisioni relative all'istruzione dei ricorsi vengono adottate più rapidamente che in passato.

5.2.5

L'azione della rete serve anche per constatare le infrazioni, e la sua azione quasi preventiva riduce gli effetti negativi sui concorrenti e sui consumatori. È inoltre importante segnalare l'intervento nelle procedure di esenzione, nelle quali si deve valutare se il risultato sia positivo per i consumatori e addirittura se una parte dell'accordo debba specificare i benefici concreti che se ne attendono per essi.

Bruxelles, 5 luglio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Piano di azione in materia di politica dei consumatori 1999-2001.

(2)  SEC(2005) 805 def. del 17.6.2005. Parere CESE GU C 110 del 9.5.2006, pag. 8.

(3)  Pronunciato il 15 settembre 2005 a Londra, nel quadro della Giornata europea dei consumatori e della concorrenza.

(4)  Il 6 dicembre 2003, a Roma, il commissario Monti annuncia la nomina del signor Rivière y Martí.

(5)  La politica di concorrenza in Europa e il cittadino. Ufficio delle pubblicazioni delle Comunità europee — Lussemburgo.

(6)  Cfr. XXXIII relazione sulla politica di concorrenza 2003, pag. 6 e segg. SEC(2004) 658 def. del 4.6.2004. Parere CESE GU C 221 dell'8.9.2005.

(7)  Si può prendere contatto attraverso l'indirizzo e-mail: comp-consumer-officer@cec.europa.eu

(8)  Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l'applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato, modificato successivamente dal regolamento (CE) n. 411/2004 (GU L 68 del 6.3.2004); regolamento (CE) n. 773/2004 della Commissione del 7 aprile 2004 relativo ai procedimenti della Commissione in applicazione degli articoli 81 e 82 del Trattato (GU L 123 del 27.4.2004, pag. 18). Sono state inoltre pubblicate varie comunicazioni e linee direttrici volte a definire le relazioni procedurali tra le autorità nazionali competenti e la Commissione, come pure tra questa e le autorità giudiziarie.

(9)  Regolamento (CE) n. 772/2004, della Commissione del 27 aprile 2004 relativo all'applicazione dell'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato CE a categorie di accordi di trasferimento di tecnologia (GU L 123 del 27.4.2004, pag. 11).

(10)  Data la mancanza di una definizione nel Trattato, la Corte di giustizia ha dovuto delimitare nella sua giurisprudenza la nozione di posizione dominante; essa considera tale la posizione economica occupata da una o più imprese quando queste possono avvalersene per impedire un'effettiva concorrenza sul mercato, attraverso un comportamento indipendente dai loro concorrenti, dai loro clienti e dai consumatori.

(11)  Causa Deutsche Telekom AG, COMP/C-1/37.451, GU L 263 del 14.10.2003. pag. 9.

(12)  Causa Microsoft COMP/37/792.

(13)  Deutsche Telekom ridusse sensibilmente le tariffe di interconnessione per i servizi di accesso a Internet a banda larga sulla propria rete fissa di telecomunicazioni.

(14)  Regolamento (CE) n. 139/2004, del Consiglio, del 20.1.2004, sul controllo delle concentrazioni tra imprese, GU L 24 del 29.1.2004; regolamento (CE) n. 802/2004, della Commissione, del 7.4.2004, concernente l'applicazione del regolamento (CE) n. 139/2004, GU L 133 del 30.4.2004, pag. 1.

(15)  Il regolamento (CE) n. 4064/89, (GU L 395 del 30.12.1989, pag. 1) e le modifiche inseritevi con l'atto di adesione di Austria, Finlandia e Svezia, sono stati modificati dal regolamento citato. Il nuovo regolamento costituisce pertanto una rifusione di tutti i testi giuridici, nonché degli articoli oggetto di interpretazione giurisprudenziale.

(16)  Causa T-102/96, in cui la Corte ha definito il concetto di posizione dominante e quello di sostanziale riduzione della concorrenza, includendovi situazioni la cui interpretazione era in precedenza dubbia, come per esempio gli oligopoli.

(17)  Regolamento (CE) n. 1228/2003 relativo alle condizioni di accesso alla rete per gli scambi transfrontalieri di energia elettrica — GU L 176 del 15.7.2003, pag. 1.

(18)  Direttiva 2002/77 CEE (GU L 249 del 17.9.2002, pag. 21).

(19)  COM(2003) 715 def.

(20)  Un ampio resoconto di tale monitoraggio figura nella XXXIII relazione della Commissione sulla politica della concorrenza — 2003, pag. 41 e segg.

(21)  La Commissione ha rifiutato di autorizzare l'accordo fra Air France e Alitalia, nella sua prima versione, e ha chiesto l'intervento di altre parti interessate perché formulassero osservazioni. Nel caso di British Airways e Iberia la Commissione ha limitato la validità dell'accordo a 6 anni.

(22)  Regolamento (CE) n. 261/2004 (GU L 46 del 17.2.2004, pag. 1).

(23)  GU C 233 del 30.9.2003, pag. 8.

(24)  Causa Wallenius/Wilhelmsen/Hyundai, 2002.

(25)  Causa IV/34.018, GU L 268 del 20.10.2000, pag. 1.

(26)  COM(2005) 672 def. del 19.12.2005.

(27)  Parere CESE 594/2006 — INT/263, relatore: PEGADO LIZ.

(28)  Cfr. la relazione annuale sulla politica di concorrenza 2003, pag. 191 e segg.

(29)  Cfr. il riquadro 3 della relazione 2003, relativo ai prezzi abusivi nel settore delle telecomunicazioni; il riquadro 2 della relazione 2004, pag. 28: Utilizzazione delle reti per la diffusione e la vendita dei diritti relativi ad eventi sportivi; relazione annuale 2004, pag. 43.

(30)  Cfr. la relazione annuale 2004, Trasporti, pag. 52; relazione annuale 2003, Libere professioni, pag. 6; relazione annuale 2004, Distribuzione di veicoli, pag. 44.

(31)  Particolare importanza ha rivestito il caso British Telecomunications, GU L 360, trattandosi di un monopolio statale.

(32)  Comunicazione della commissione Strategia della politica dei consumatori 2002-2006 COM(2002) 208 def.

(33)  COM(2001) 248 def.

(34)  Pagina web:

http://europa.eu.int/comm/consumers/redress/compl/index_en.htm

(35)  In allegato.

(36)  Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio del 16 dicembre 2002 concernente l'applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato, modificato successivamente dal regolamento CE/411/2004, GU L 68 del 6.3.2004, pag. 1.

(37)  Comunicazione della Commissione sulla cooperazione nell'ambito della rete delle autorità garanti della concorrenza (GU C 101 del 27.4.2004).

(38)  Nel 2004 sono stati presi in considerazione 298 casi, dei quali 99 erano stati trasmessi dalla Commissione e 199 dalle autorità nazionali garanti della concorrenza.

(39)  Comunicazione della Commissione sulla cooperazione con le giurisdizioni nazionali per l'applicazione degli articoli 81 e 82 del Trattato (GU C 101 del 27.4.2004, pag. 54).


16.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 309/10


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Attuare il programma comunitario di Lisbona: Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Potenziare la ricerca e l'innovazione — Investire per la crescita e l'occupazione: una strategia comune

COM(2005) 488 def.

(2006/C 309/02)

La Commissione europea, in data 12 ottobre 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 maggio 2006, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice FUSCO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 5 luglio 2006, nel corso della 428a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 152 voti favorevoli e 3 astensioni.

1.   Antecedenti e sintesi della comunicazione della Commissione

1.1

L'obiettivo della comunicazione della Commissione è quello di presentare un approccio comune  (1) in materia di ricerca e innovazione nel quadro dell'attuazione del programma di Lisbona, conformemente alle decisioni adottate dal Consiglio europeo di Lisbona nel marzo 2000, con le quali è stato fissato l'obiettivo di fare dell'UE, entro il 2010, «l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale». Si ricorda inoltre che questo stesso Consiglio europeo aveva altresì approvato il progetto presentato dalla Commissione nella sua comunicazione Verso uno spazio europeo della ricerca  (2).

1.2

Il Consiglio europeo di Barcellona, nelle sue conclusioni del marzo 2002, ha fissato l'obiettivo di aumentare gli investimenti dell'UE nella ricerca e sviluppo (R&S) fino ad arrivare al 3 % nel 2010 e di aumentare fino ai 2/3 la quota dei finanziamenti del settore privato; successivamente, il Consiglio europeo di Bruxelles del marzo 2003 ha esortato tutte le parti in causa a prendere iniziative concrete al riguardo.

1.3

Dal canto suo la Commissione, nella comunicazione del 30 aprile 2003Investire nella ricerca: un piano d'azione per l'Europa, ha presentato le azioni giudicate necessarie a livello nazionale ed europeo per dar seguito alla precedente comunicazione del settembre 2002 intitolata Più ricerca per l'EuropaObiettivo: 3 % del PIL  (3) . Dai primi dati ufficiali sulla R&S si evince che nel 2003 l'intensità di R&S è rimasta pressoché invariata all'1,93 % del PIL dell'UE a 25. Soltanto la Finlandia e la Svezia hanno raggiunto l'obiettivo fissato.

1.4

Nel marzo 2005 il Consiglio europeo ha adottato una versione aggiornata della strategia di Lisbona (4). La volontà politica comune espressa in tale sede è stata ribadita nell'ottobre 2005 a Hampton Court, in occasione della riunione informale dei capi di Stato e di governo europei, per rispondere all'esigenza imperativa di una maggiore competitività di fronte a una concorrenza globalizzata.

1.5

Il primo documento di iniziativa presentato dalla Commissione dopo la sua accettazione della strategia di Lisbona aggiornata è la comunicazione del giugno 2005 sulla società europea dell'informazione nel 2010 (i2010) (5), con la quale essa invitava gli Stati membri a definire le rispettive priorità per la società dell'informazione nell'ambito dei loro Programmi nazionali di riforma da presentare entro l'ottobre 2005, al fine di contribuire agli obiettivi menzionati nella comunicazione stessa

1.6

Le opzioni e le azioni proposte sono motivate dal contrasto tra la situazione esterna e quella interna: da un lato una concorrenza mondiale accanita e dall'altro rigidità e frammentazione dei mercati nazionali a fronte della necessità di creare uno spazio europeo unico e di garantire la mobilità dei lavoratori altamente qualificati. La Commissione, riconoscendo che in questo settore dispone solo di competenze limitate, ha precisato che intende svolgere soprattutto un ruolo di catalizzatore.

1.7

La comunicazione è volta a consolidare la correlazione tra ricerca e innovazione sia attraverso una politica di ricerca incentrata sullo sviluppo di nuove conoscenze e relative applicazioni e sul contesto in cui si iscrive la ricerca stessa, sia attraverso una politica dell'innovazione incentrata sulla trasformazione delle conoscenze in valore economico e successo commerciale. La strategia per una migliore regolamentazione prevede che qualunque misura con potenziali ripercussioni sulla competitività formi oggetto di una valutazione d'impatto.

1.8

La valutazione allegata alla comunicazione prende in considerazione, scegliendo poi l'ultima, le tre opzioni politiche seguenti (6):

non intervenire,

attuare una politica di integrazione,

adottare un approccio comune.

1.9

Il piano d'azione proposto nella comunicazione è suddiviso in quattro parti:

la ricerca e l'innovazione al centro delle politiche dell'UE,

la ricerca e l'innovazione al centro dei finanziamenti dell'UE,

la ricerca e l'innovazione al centro dell'attività economica,

migliorare le politiche per la ricerca e l'innovazione.

1.10

Sono previste diciannove azioni che riguardano tre settori principali: iniziativa pubblica e regolamentazione, aspetti finanziari e tassazione (7), ruolo degli attori privati (8).

1.11

Se da un lato la comunicazione sembra essere concepita sulla falsariga della precedente comunicazione del 2003, dall'altro la Commissione introduce un elemento nuovo aggiungendo che i Programmi nazionali di riforma (PNR) devono assolutamente comprendere anche la ricerca e l'innovazione. I PNR riceveranno quindi aiuti comunitari destinati ad attività d'interesse europeo, potranno avvalersi di consulenze intese a garantire uno sviluppo coordinato delle politiche e avranno a disposizione delle piattaforme specifiche di apprendimento reciproco in tutte le regioni in cui la cooperazione transfrontaliera presenta un forte valore aggiunto. D'altronde, anche il Patto di stabilità riconosce gli sforzi in materia di R&S e quindi autorizza le relative spese al di fuori del tetto del 3 % del PIL previsto per il deficit.

1.12

Il Comitato ha deciso di tener conto anche della relazione di Esko Aho, benché questa non sia — strettamente parlando — oggetto della presente consultazione, poiché la Commissione, al punto 3.1 della sua comunicazione al Consiglio europeo di primavera del 2006 (Potenziare gli investimenti destinati alla conoscenza e all'innovazione), cita tale relazione invece della comunicazione COM(2005) 488 def. Il Comitato si duole che tale documento non sia stato oggetto né di una consultazione né di una valutazione preventiva e, pertanto, lo inserisce nel presente dibattito.

1.13

La genesi della relazione è la seguente. Nell'ottobre 2005, ad Hampton Court, è stato creato un gruppo formato da 4 personalità e coordinato da Esko Aho. Nel gennaio 2006 il gruppo ha presentato alla Commissione, in vista del Consiglio europeo di primavera del 2006, una relazione in cui formulava delle raccomandazioni intese ad accelerare l'attuazione delle iniziative intraprese a livello europeo e nazionale a sostegno della ricerca e dell'innovazione. La relazione si basa sulla comunicazione in esame, ma propone una maggiore integrazione [opzione 2, documento SEC(2005) 1289]. Nel marzo 2006 la relazione è stata presentata al Consiglio Competitività e al Consiglio europeo di Bruxelles. Quest'ultimo ha rilevato l'importanza della relazione Aho e ha invitato la Commissione a valutarla entro il settembre 2006 (9).

2.   Osservazioni generali

2.1

Il Comitato accoglie con soddisfazione la comunicazione in esame, che prende le mosse dal partenariato per la crescita e l'occupazione, poiché affronta l'intero settore della ricerca e dell'innovazione, compresa l'innovazione non tecnologica. Essa delinea azioni che vanno al di là del 3 % fissato a Barcellona (10) e descrive in termini generali gli impegni assunti dalla Commissione, specificando le misure di sostegno alla ricerca e all'innovazione sia in corso che programmate (11).

2.2

Come si afferma nella comunicazione, la concorrenza per attirare investimenti nella ricerca e nell'innovazione cresce costantemente a livello mondiale, anche in paesi emergenti quali la Cina, l'India e il Brasile. «Il divario negli investimenti per la ricerca tra l'Unione europea e gli Stati Uniti già supera 120 miliardi di € e sta rapidamente aumentando» (12). In Europa le dimensioni di questa concorrenza sono tali che nessuno Stato membro può farcela da solo. Le sinergie transnazionali sono dunque l'unica strada per promuovere la ricerca e l'innovazione e trasformarle in crescita e occupazione. La ricerca e l'innovazione sono anche necessarie per rendere più sostenibile l'economia dell'UE, trovando soluzioni per armonizzare la crescita economica, lo sviluppo sociale e la protezione dell'ambiente.

2.3

Con il piano d'azione del 2003 la maggior parte degli Stati membri ha iniziato ad adottare delle misure nazionali per stimolare la R&S nel settore privato e a fissare degli obiettivi per portare gli investimenti nella ricerca al 2,6 % del PIL nel 2010. In questo contesto assumono un'importanza particolare le agevolazioni fiscali (13). Tuttavia si stima che l'intensità delle attività di ricerca nell'UE sia rimasta più o meno invariata, anche nel settore privato. La situazione è preoccupante.

2.4

La giustificazione delle misure previste apre il dibattito sul raffronto tra la produttività degli Stati membri dell'UE e quella di altri paesi.

2.4.1

Anzitutto esistono diverse definizioni di produttività (il rapporto tra la quantità di beni o servizi prodotta e il numero di unità del fattore di produzione impiegato). L'unità di misura utilizzata più spesso è monofattoriale (si tiene conto solo del lavoro) e ha come indicatore la produzione oraria per ogni lavoratore nel settore industriale. Si tratta di un parametro più facile da calcolare ma parziale; inoltre, in questo caso il capitale viene considerato un fattore esogeno al processo di produzione.

2.4.2

In secondo luogo, non si deve generalizzare nel raffronto tra l'Europa e gli Stati Uniti. Al contrario, bisogna riconoscere le importanti differenze presenti in ogni settore e in ogni Stato, anche in paesi come gli Stati Uniti. In Europa ci sono dei settori e dei paesi competitivi, in cui si registrano progressi notevoli a livello della produttività. Per quanto riguarda l'UE nel suo insieme, secondo O'Mahony e van Ark (2003), dal calcolo dei costi per unità di lavoro nel settore manifatturiero si evince che nel campo dell'alta tecnologia l'Europa non è competitiva rispetto agli Stati Uniti, ma in altri settori lo è. Tuttavia, la concorrenza nelle industrie tradizionali è dovuta principalmente al basso livello dei salari nei paesi terzi e non agli Stati Uniti, e questo crea forti pressioni sull'UE. Dosi, Llerana e Labini (2005) hanno una visione più critica della situazione e reputano che l'esigenza di una politica industriale europea non sia più un tabù.

2.4.3

In terzo luogo, il parametro migliore sarebbe la produzione multifattoriale, ossia il fattore di produttività totale (total factor productivity, TFP) ottenuto adeguando il PIL per tener conto delle differenze relative a tutti gli input utilizzati (Calderon 2001); esso consentirebbe infatti un migliore raffronto tra i vari paesi. Per spiegare le differenze di produttività tra i vari paesi, alcuni studi empirici hanno classificato in tre gruppi i fattori di aumento della produttività della manodopera e/o il fattore totale. Considerata l'interdipendenza tra i diversi paesi, però, Calderon afferma che le differenze in termini di TFP sembrano dovute alla velocità di diffusione delle tecnologie (tramite il commercio, gli investimenti esteri diretti o l'immigrazione) (14).

2.4.4

Se ciò che fa la differenza è garantire la rapidità di diffusione delle tecnologie, allora le PMI innovanti sarebbero indispensabili in quanto creano i nuovi mercati. Per lo stesso motivo, la scelta delle priorità strategiche per la ricerca e l'innovazione potrebbe promuovere una diffusione più rapida delle conoscenze.

2.4.5

Infine, fonte di preoccupazione appare, sia negli Stati Uniti che in Europa, la necessità di garantire la disponibilità di personale qualificato e la localizzazione degli investimenti delle imprese, soprattutto tenuto conto della Cina, che deve anch'essa far fronte alla mancanza di 75.000 lavoratori altamente qualificati per poter diventare un'economia dei servizi.

2.5

Detto questo, ci si trova di fronte a due visioni a livello «macro» che caratterizzano le scelte politiche: da un lato si afferma l'urgente necessità di un'innovazione sul piano organizzativo quale presupposto indispensabile per l'innovazione tecnica (Lam 2005 e OCSE 2005), cosa che vale anche per le istituzioni europee (Sachwald 2005, Sapir et al. 2003, Esko Aho 2006); dall'altro si sottolinea però che la ragione per cui le imprese non investono abbastanza nella R&S e nell'innovazione in Europa sarebbe la mancanza di un mercato «favorevole all'innovazione» in cui lanciare nuovi prodotti e servizi (Esko Aho 2006). Il Comitato osserva tuttavia che lo spirito imprenditoriale e l'assunzione di rischi restano indispensabili.

2.6

L'incapacità del mercato di creare innovazione è ampiamente riconosciuta in letteratura, a partire da Arrow (1962) e da Dasgupta e Stiglitz (1980). I programmi quadro comunitari sono largamente fondati sulla ratio di un sostegno attivo di livello «micro» alla R&S nelle imprese. Tale sostegno viene fornito sotto forma di una combinazione di aiuti alla R&S e di misure intese a promuovere la cooperazione per superare gli ostacoli più demoralizzanti (facilitare la ricerca di partner e promuovere dinamiche congiunte in grado di produrre dei vantaggi in termini di immissione nel mercato, di downstreaming e di economie di scala). Queste iniziative, però, non sono state sufficienti per innescare una dinamica di innovazione sostenibile nell'insieme dell'UE.

2.7

Il Comitato si compiace pertanto che la Commissione abbia posto l'accento sul livello «meso», settoriale e trasfrontaliero. Gli strumenti del partenariato, le reti, i cluster, gli agglomerati, i forum e i dialoghi sottolineano l'importanza che hanno i collegamenti, i fattori esterni, gli spillover tra le imprese e altri organismi, nonché i fattori geografici, per facilitare l'innovazione. Tutte queste piattaforme di coordinamento consentiranno di individuare più facilmente sia i fattori in grado d'influire sul livello di investimenti nell'innovazione sia i «colli di bottiglia».

2.8

L'approccio adottato e le azioni proposte non sono però accompagnati da alcuna indicazione relativa alla dotazione finanziaria, laddove per ottenere buoni risultati sono invece necessarie ingenti risorse e capacità di coordinamento. Inoltre, nell'unico punto della comunicazione al Consiglio europeo di primavera 2006 in cui la Commissione cita la comunicazione in esame, essa ricorda che «le proposte legislative produrranno effetti concreti solo dopo essere state adottate dal Consiglio e dal Parlamento europeo. Inoltre, molte delle azioni di finanziamento dipendono dalla messa a punto definitiva delle prospettive finanziarie 2007-2013 e dalla loro applicazione». Anche le azioni proposte hanno quindi solo un carattere indicativo.

2.9

Il Comitato invita la Commissione a fornire quanto prima delle indicazioni in merito alla dotazione finanziaria, prevedendo anche un meccanismo chiaro di seguito e di valutazione della comunicazione all'esame, con una scadenza ben precisa, per esempio il 2008. Inoltre, a parere del Comitato è necessario che la Commissione presenti un documento che riunisca tutte le relazioni dei gruppi di esperti riguardanti direttamente il tema della comunicazione, e contenga anche una valutazione delle raccomandazioni in esse formulate. Tali raccomandazioni dovranno essere coerenti con l'opzione prescelta e con le azioni intraprese. Infine, nel quadro degli sforzi per superare l'attuale frammentazione, sarebbe auspicabile disporre di un elenco delle persone responsabili per il coordinamento delle azioni proposte nel documento COM(2005) 488 a tutti i livelli: regioni, Stati membri e istituzioni europee. Nel quadro dell'Indagine sulle tendenze dell'innovazione in Europa (TrendChart), la Commissione ha compiuto sforzi notevoli nella compilazione delle relazioni sui singoli paesi, nelle quali vengono descritti gli organismi di ricerca e innovazione; questi dati potrebbero essere utilizzati come base per il summenzionato esercizio di mappatura. Sarebbe interessante anche riflettere sulle esperienze di «agenzia virtuale» fatte negli Stati Uniti nel settore della ricerca e dell'innovazione.

2.10

Il Comitato osserva inoltre che nella comunicazione all'esame non vi è alcuna definizione dei concetti principali (ricerca, innovazione, conoscenza e tecnologia). Eppure la Commissione ha finanziato la ricerca transeuropea effettuata per arrivare a tali definizioni e Eurostat e l'OCSE hanno definito il concetto di innovazione. Nell'ultimo Quadro di valutazione dell'innovazione in Europa sul rapporto tra gli input e gli output innovativi viene sviluppato il concetto di efficienza dell'innovazione e si afferma che la R&S costituisce un input per l'innovazione. Inoltre, sarebbe necessario distinguere meglio tra le azioni destinate alla ricerca e all'innovazione in quanto tali e le politiche intese a creare condizioni tali da favorire l'innovazione (p. es. formazione, accoglienza e inquadramento di risorse umane mobili, sostegno alle PMI e alle regioni meno favorite per l'introduzione di TIC qualora i costi siano proporzionalmente più significativi che per altri attori). Ciò significa che si dovrebbe distinguere meglio tra l'innovazione intesa come «immissione nel mercato di nuovi prodotti e servizi», e l'innovazione come processo. Il primo tipo di innovazione è una condizione necessaria, ma non è sufficiente ai fini di una crescita endogena dinamica.

2.11

Il Comitato segue molto attivamente questo argomento e ha elaborato numerosi pareri su tutta l'ampia tematica su cui verte il documento COM(2005) 488. Per ragioni di spazio, in questa sede il Comitato ricorda solo brevemente tali pareri, e in primo luogo quello sullo Spazio europeo della ricerca (CESE 595/2000), nel quale figurano già tutti gli argomenti affrontati nella comunicazione all'esame. In questo contesto sottolinea in particolare il punto 7 di tale parere, relativo alla «Ricerca e innovazione tecnica», e il punto 8 concernente la necessità di «Scambi di personale tra istituti di ricerca e industria».

2.12

Il parere del Comitato sulla scienza e la società in Europa (CES 724/2001) sottolinea il ruolo della ricerca fondamentale nella maggior parte delle grandi scoperte. Il parere sulla ricerca di base in Europa (15) e sulla sua interazione con la ricerca applicata, al punto 2.5 affronta invece la questione dei brevetti. In tale parere il Comitato sottolinea l'urgenza di creare un sistema di brevetti «europei» che preveda, come negli Stati Uniti, un periodo di grazia tra la pubblicazione scientifica relativa a una determinata invenzione e il brevetto di utilizzazione dell'invenzione. Il brevetto comunitario deve poter essere ottenuto rapidamente ed avere costi modesti. Il Comitato deplora il ritardo di un tale brevetto, dovuto a questioni linguistiche.

2.13

Nel suo parere sui ricercatori nello Spazio europeo della ricerca (16) il Comitato appoggia la Carta europea dei ricercatori; inoltre, al punto 5.4 sottolinea la necessità di prevedere scambi di personale tra il mondo accademico e l'industria e raccomanda di valorizzare maggiormente gli esperti con esperienza pluriennale, prevedendo al medesimo tempo la compatibilità e il riconoscimento di numerose componenti della sicurezza sociale, mentre al punto 5.5.5 esorta ad adeguare le disposizioni relative agli alloggi e a garantire l'«unità familiare». Il Comitato ricorda altresì il suo parere sulla scienza e la tecnologia (17) e quello sul Settimo programma quadro di ricerca (18) nel quale, oltre a sottolineare l'importanza del programma, ne illustra le modalità di finanziamento e l'organizzazione in sottoprogrammi e 9 ambiti di ricerca sui quali ha poi elaborato pareri specifici (19).

2.14

Nel suo parere sulla competitività e l'innovazione (2007 2013) (20) il Comitato sottolinea l'importanza di coinvolgere le PMI e le parti sociali nel processo di innovazione. Per riuscire a innovare con successo è infatti necessaria la loro piena partecipazione (21). Nel suo ultimo parere sul quadro politico per rafforzare l'industria manifatturiera dell'UE, il Comitato si compiace dell'adozione di un approccio settoriale, ma ricorda che per garantire il coordinamento sono necessarie risorse adeguate, di cui denuncia la carenza. Auspica inoltre che si presti la dovuta attenzione alle qualifiche dei lavoratori, che restano un tema intersettoriale. Una tale politica industriale caratterizzata da una maggiore integrazione è molto importante in quanto l'industria manifatturiera dà lavoro ad oltre 34 milioni persone ed è la destinataria di più dell'80 % delle spese del settore privato per la R&S nell'UE.

3.   Osservazioni specifiche

3.1

Il Comitato si compiace in particolare degli sforzi profusi dalla Commissione da un lato per creare un sistema europeo di proprietà intellettuale competitivo e dall'altro per definire le regole per la diffusione dei risultati della ricerca per il periodo 2007-2013. A tale proposito raccomanda di prestare un'attenzione particolare alla gestione dei brevetti d'innovazione nel contesto e per il tramite degli strumenti di cui al punto 2.7.

3.2

Un migliore sistema di diffusione delle conoscenze è fondamentale ai fini della competitività. A tale proposito vanno segnalate l'iniziativa dei Centri relais innovazione (CRI) e la proposta della Commissione di utilizzare dei buoni, nel quadro del Programma quadro per la Competitività e l'Innovazione (CIP), per la fornitura di servizi di consulenza alle PMI nell'ambito delle loro strategie di innovazione. I raggruppamenti transfrontalieri dovrebbero facilitare la diffusione delle conoscenze; la loro importanza sarà riconosciuta in una futura comunicazione sui cluster in Europa. Inoltre, a partire dal 2006 verrà messa a punto una banca dati sui cluster.

3.3

Il Comitato insiste sull'importanza della dimensione sociale dell'innovazione e della valorizzazione del capitale umano e sociale in quanto produttore di ricerca e innovazione, ed auspica che la prossima versione del Manuale di Oslo (OCSE-Eurostat) contenga anche statistiche che tengano conto di questo aspetto, nonché indicatori relativi al capitale umano qualificato e alle sedi di produzione dell'innovazione (università, altri istituti di istruzione e piattaforme miste industria-organismi statali-università).

3.4

Per quanto riguarda gli aiuti di Stato all'innovazione, che avrebbero un sostanziale effetto di leva sulle spese delle imprese per la ricerca, il Comitato si compiace dell'attenzione riservata alle PMI ed esorta la Commissione a considerare la creazione di posti di lavoro come un investimento nella ricerca e nell'innovazione se i nuovi posti sono proprio in tali settori. Sottolinea altresì la necessità di promuovere le PMI innovative in fase di start-up mediante strumenti come il capitale di rischio e garantendo la partecipazione del Fondo europeo per gli investimenti.

3.5

Un fattore importante ai fini dell'innovazione è la disponibilità di risorse umane adeguate a tutti i livelli, considerata la concorrenza globale menzionata al 2.4.5. La comunicazione all'esame si concentra sulle risorse umane nel campo della ricerca. Si dovrebbe però affrontare anche la questione dei posti di lavoro qualificati in settori diversi da quello scientifico. È necessario altresì creare un equilibrio tra l'offerta e la domanda di qualifiche e conoscenze specifiche, in base alle necessità dei vari settori. Per poter trovare delle soluzioni rapide ed efficaci sarebbe utile la partecipazione di tutte le parti sociali e delle altre parti interessate. Il Comitato invita la Commissione ad avviare un dibattito su questo argomento.

3.6

Parallelamente, ai fini della mobilità sarebbe necessario compiere dei progressi per quanto riguarda l'elaborazione di carte europee comuni delle competenze necessarie nei singoli settori o ambiti, senza peraltro dimenticare la dimensione qualitativa dell'istruzione (valori, pari opportunità). Dato che anche la DG Occupazione e la DG Istruzione e cultura si occupano del tema delle «risorse umane», sarebbe importante integrare le loro iniziative in materia di ricerca e innovazione nella comunicazione all'esame, al fine di coprire tutti gli aspetti della questione.

3.7

Il Comitato invita la Commissione a promuovere la ricerca e l'innovazione in tutti i settori possibili: i problemi di competitività non esistono infatti solo nel settore delle alte tecnologie. Fra le azioni proposte si potrebbe inserire anche la gestione strategica dei cambiamenti dovuti a un'adozione massiccia delle nuove tecnologie nelle PMI. In tale contesto sarebbe essenziale la partecipazione delle parti sociali e delle altre parti interessate.

3.8

Il Comitato concorda con la relazione di Esko Aho sul fatto che le imprese con più di 250 dipendenti non ricevono tutta l'attenzione necessaria, probabilmente anche in quanto la definizione di PMI è troppo limitata rispetto a quella utilizzata negli Stati Uniti e in Giappone. Il Comitato considera la particolare attenzione prestata ai finanziamenti per le PMI innovative come un fattore necessario per creare un'economia europea dell'innovazione in cui vi sia coesione sociale. Non sorprende il fatto che l'Emilia Romagna, che fa parte della rete Paxis (Pilot action of excellence on innovative start-ups), sia una delle regioni più attive di un paese come l'Italia, che pure presenta anche indicatori dell'innovazione meno positivi. Inoltre, i servizi di sostegno alle imprese devono essere specializzati per poter rispondere alle particolarità delle PMI nelle loro diverse forme (cooperative, altre imprese dell'economia sociale, ecc.).

3.9

Il Comitato gradirebbe che la Commissione menzionasse le azioni intraprese a favore della ricerca e dell'innovazione in cooperazione con altre regioni del mondo. La Commissione ha già adottato un approccio globale nell'Indagine sulle tendenze dell'innovazione in Europa e in molte altre iniziative. Dalla comunicazione COM(2001) 346 def., del 25 giugno 2001, intitolata «La dimensione internazionale dello spazio europeo della ricerca (SER)» si evince che il programma INCO del 6PQ ha favorito esplicitamente la partecipazione dei paesi terzi e che questo approccio dovrebbe continuare nel 7PQ. Tali progetti potrebbero essere valorizzati ulteriormente dedicando loro una sezione specifica. Inoltre, anche il ruolo delle aree urbane e metropolitane per l'innovazione merita uno studio più approfondito.

3.10

Il Comitato raccomanda alla Commissione di valutare il calendario relativo agli investimenti nelle tecnologie, alla liberalizzazione e alla ristrutturazione, considerato che le imprese, e soprattutto quelle più grandi, dovranno far fronte contemporaneamente a cambiamenti nel controllo societario e alle necessità di investimenti nella ricerca e nell'innovazione (per esempio nel settore dell'energia, dei trasporti e delle industrie di rete).

3.11

Il Comitato fa notare inoltre che potrebbe essere necessario trovare un giusto equilibrio tra la promozione dell'innovazione in materia di marketing e di licenze congiunte di nuovi prodotti e servizi da parte delle imprese e il diritto della concorrenza.

3.12

Reputa inoltre che l'innovazione sia piuttosto un «input» ai fini di un'economia competitiva caratterizzata dalla coesione sociale che non un risultato finale. Pur sapendo che si tratta di una sfida, il Comitato esorta la Commissione a elaborare statistiche e a promuovere studi per quantificare meglio i legami tra l'innovazione, la competitività e la coesione sociale. L'obiettivo dovrà essere quello di valutare in modo chiaro ed efficace i risultati ottenuti e di comunicarli ai cittadini in modo convincente. Come hanno affermato Dosi, Llerena e Labini, è necessario svolgere compiti ambiziosi e tecnologicamente audaci, giustificabili per il loro intrinseco valore sociale e politico.

3.13

Il Comitato considera l'innovazione come un sistema e, pertanto, esso invita la Commissione a coordinare il suo intervento con la Banca europea per gli investimenti (BEI) per garantire delle sinergie tra i programmi di quest'ultima, il Fondo europeo per gli investimenti, il Settimo programma quadro di ricerca e il programma quadro per la competitività e l'innovazione (CIP) in modo che tale sistema sia dinamico e ben strutturato.

Bruxelles, 5 luglio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  SEC(2005) 1289, allegato al documento COM(2005) 488 def. Si tratta di una valutazione d'impatto, nella quale la Commissione sceglie la terza opzione dell'approccio comune.

(2)  GU C 204 del 18.7.2000.

(3)  COM(2002) 499 def.

(4)  Lavorare insieme per la crescita e l'occupazioneIl rilancio della strategia di Lisbona, COM(2005) 24 def. del 2.2.2005 e Azioni comuni per la crescita e l'occupazione. Il programma comunitario di Lisbona, COM(2005) 330 def. del 20.7.2005.

(5)  COM(2005) 229 def. e SEC(2005) 717 del 1o giugno 2005i2010Una società europea dell'informazione per la crescita e l'occupazione. La comunicazione, il cui obiettivo è quello di promuovere la crescita e l'occupazione nelle industrie della società dell'informazione e nel settore dei media, è incentrata sulle TIC, settore economico a cui si deve il 40 % dell'aumento della produttività e il 25 % della crescita del PIL dell'UE.

(6)  SEC(2005) 1289 — Valutazione d'impatto.

(7)  Mobilitazione delle risorse pubbliche e private, agevolazioni fiscali, fondi strutturali europei, accesso delle PMI ai finanziamenti.

(8)  Partenariati tra università e industria, poli e cluster, servizi proattivi di sostegno alle imprese e servizi innovativi.

(9)  Consiglio europeo di Bruxelles del 23 e 24 marzo 2006: conclusioni della presidenza.

(10)  Lo si evince dal documento INI/2006/2005, in cui il Parlamento europeo analizza la comunicazione COM(2005) 488 def. del 12.10.2005.

(11)  SEC(2005) 1253 allegato al documento COM(2005) 488 def., Fasi di attuazione.

(12)  COM(2003) 226 def., punto 2.

(13)  Otto Stati membri le hanno già introdotte e in tali paesi esse corrispondono al 13 % degli investimenti diretti nella ricerca.

(14)  Idem (Calderon 2001), pag. 19.

(15)  GU C 110 del 30.4.2004.

(16)  GU C 110 del 30.4.2004.

(17)  GU C 157 del 26.6.2005.

(18)  GU C 65 del 17.3.2006.

(19)  Nanotecnologie, biotecnologia, ricerca biomedica, tecnologie dell'informazione, ricerca energetica (compresa quella relativa alla fusione nucleare ), spazio e ricerca nel campo della sicurezza.

(20)  GU C 65 del 17.3.2006.

(21)  «In Europa il 98 % delle imprese è costituito da piccole e medie imprese (PMI): esse rappresentano il 55 % dei posti di lavoro del settore privato e hanno un notevole potenziale innovativo per quanto riguarda i processi di produzione, i prodotti e i servizi».


16.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 309/15


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sui medicinali per terapie avanzate recante modifica della direttiva 2001/83/CE e del regolamento (CE) n. 726/2004

COM(2005) 567 def. — 2005/0227 (COD)

(2006/C 309/03)

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 10 gennaio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 maggio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore BEDOSSA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 5 luglio 2006, nel corso della 428a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 150 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Sintesi

1.1

Il Comitato si compiace della Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sui medicinali per terapie avanzate recante modifica della direttiva 2001/83/CE e del regolamento (CE) n. 726/2004.

1.2

Dinanzi all'accelerazione dei progressi scientifici, soprattutto nel settore delle biotecnologie, è importante adoperarsi per una maggiore chiarezza, competenza e rigore.

1.3

La proposta in esame ha lo scopo di predisporre un quadro coerente in materia di terapie avanzate, colmare l'attuale lacuna normativa e prevedere una valutazione specifica rigorosa da parte dell'Agenzia europea di valutazione dei medicinali in questi nuovi settori. Così facendo si potrà:

rispondere adeguatamente alle esigenze dei pazienti e alle attese delle imprese interessate dalla ricerca e sviluppo nel settore della medicina rigenerativa,

garantire ai pazienti europei un livello elevato di protezione della salute,

assicurare una sicurezza giuridica globale mantenendo nel contempo un buon livello di flessibilità sul piano tecnico per adeguarsi alle realtà dell'evoluzione scientifica e tecnologica.

1.4

Per tener conto delle specificità dei medicinali per terapie avanzate occorre adottare un quadro giuridico esauriente, solido e applicabile in tutti gli Stati membri.

1.5

Si è optato per un regolamento perché questo appare come lo strumento giuridico più idoneo, tanto più che la creazione di un sistema legislativo specifico è la condizione sine qua non per risolvere i problemi di sanità pubblica che permangono nell'Unione europea in relazione ai medicinali per terapie avanzate.

1.6

Tuttavia, la proposta in esame presenta alcuni aspetti che possono generare difficoltà applicative a causa della definizione fornita rispetto alla proposta di direttiva sui dispositivi medici. Nel testo definitivo è necessario chiarire vari interrogativi e possibili dubbi:

ci si può infatti chiedere quali vantaggi apporti questa nuova regolamentazione, visto che i medicinali per terapie avanzate di terapia genica e di terapia cellulare sono già disciplinati dalle direttive specifiche sui prodotti farmaceutici,

le definizioni che figurano in particolare all'articolo 2, lettera b), appaiono complicate e hanno una funzione piuttosto accessoria,

è inoltre chiaro che una legislazione nazionale sui prodotti farmaceutici può impedire l'applicazione di una legislazione europea,

di conseguenza, in questo caso sarebbe stato preferibile adottare un approccio più flessibile, prevedendo accordi di riconoscimento reciproco,

la questione dei prodotti autologhi nel settore ospedaliero e di origine non industriale pone anche il problema dei prodotti border-line (o «di confine») di origine diversa e di applicazione europea.

2.   Osservazioni di carattere generale

2.1

Seguono alcune osservazioni, interrogativi e raccomandazioni riguardanti singoli articoli della proposta di regolamento (1).

2.2

Le definizioni riguardanti la terapia genica e la terapia cellulare somatica non presentano in genere alcun problema, tanto più che grazie alla riflessione e all'esperienza maturata è stato possibile raggiungere un consenso. I prodotti in oggetto sono classificati come medicinali e sono già disciplinati in quanto tali nella Comunità.

2.2.1

La definizione di un prodotto ottenuto grazie all'ingegneria tissutale risulta più complessa. L'attuale versione dell'articolo 2, paragrafo 1, lettera b), nell'affermare al primo trattino che un prodotto di ingegneria tissutale «contiene o consiste in cellule o tessuti…», senza specificare «come parte integrante», di fatto ingloba tra i medicinali innovanti anche i dispositivi medici che contengono «con un'azione accessoria» prodotti di ingegneria tissutale, svuotando di significato quanto previsto dalla proposta di direttiva sui dispositivi medici attualmente in discussione.

2.2.2

Anche il secondo trattino dell'articolo 2, paragrafo 1, lettera b), è formulato in modo da ingenerare problemi di applicazione e in particolare di sovrapposizione con la direttiva sui dispositivi medici: poiché i prodotti di ingegneria tissutale rientrano nella normativa sui farmaci, sarebbe auspicabile far riferimento alla loro attività primaria di trattamento o prevenzione delle malattie, o di modifica di funzioni fisiologiche con un'azione farmacologica, immunologica o metabolica, e non limitarsi alla proprietà di «ristabilire, correggere o modificare un tessuto umano», proprietà peraltro comune anche ad alcuni tipi di dispositivi medici.

2.3

Per quanto si debbano riconoscere gli sforzi compiuti per delimitare in maniera ottimale la nozione di «prodotto ottenuto grazie all'ingegneria cellulare», non risulta chiara la differenza rispetto alla terapia cellulare (trapianto di midollo osseo, trapianto di cellule staminali, trapianto delle cellule staminali del sangue del funicolo ombelicale, cellule staminali adulte o embrionali, ecc.).

2.4

Per tentare di chiarire questa definizione il Comitato propone di procedere ad una riflessione sulla base degli esempi offerti da prodotti attualmente considerati come frutto dell'ingegneria tessutale. Così facendo si faciliterebbe la comprensione, tanto più che nessuno nega l'esistenza di un dibattito e di controversie, specie riguardo alle cellule staminali embrionali.

2.5

Se si eccettua il caso delle cellule staminali embrionali umane (HESC), gli aspetti etici non presentano più alcun problema.

2.6

La principale controversia riguarda le modalità di produzione delle cellule staminali. In particolare, la produzione di queste cellule mediante trasferimento nucleare (ossia clonazione) presenta notevoli problemi etici, e sinora nell'Unione europea non si è potuto raggiungere alcun effettivo consenso in proposito. Le riserve più frequenti riguardano il rischio della clonazione riproduttiva, del traffico di ovociti e dell'immissione in commercio di parti del corpo umano.

2.7

Queste pratiche sono infatti condannate esplicitamente dalla Convenzione europea sulla bioetica (Convenzione di Oviedo del 1998) e dal Comitato internazionale di bioetica (Unesco, 1997).

2.8

Mancando un consenso fra gli Stati membri dell'Unione europea, l'uso delle HESC rimane nell'ambito di competenza dei singoli Stati membri.

2.9

La precisazione contenuta nel considerando n. 6 del regolamento in esame (2) è quindi essenziale perché prende manifestamente in considerazione l'attuale dibattito e rammenta che la normativa proposta «non deve interferire con le decisioni adottate dagli Stati membri circa l'opportunità di autorizzare o meno questo o quel tipo di cellule umane, ad esempio cellule staminali embrionali o cellule animali».

2.10

Il regolamento in esame non dovrebbe nemmeno «incidere sull'applicazione della legislazione nazionale che proibisce o limita la vendita, la fornitura o l'utilizzazione di medicinali contenenti, consistenti in/derivati da tali cellule».

3.   Osservazioni particolari

3.1

L'armonizzazione dei principi applicabili a tutti gli altri medicinali biotecnologici moderni attualmente disciplinati a livello comunitario richiede una procedura centralizzata di autorizzazione, e quindi una valutazione scientifica unica della qualità, sicurezza ed efficacia dei medicinali per terapie avanzate.

3.2

Per la loro stessa natura, però, queste terapie avanzate richiedono delle procedure precliniche e cliniche specifiche rispetto ai trattamenti della medicina classica, specie sotto il profilo delle competenze, del piano di gestione dei rischi e della farmacovigilanza successiva all'autorizzazione d'immissione in commercio (AIC).

3.3

Il progetto di regolamento in esame evidenzia giustamente la necessità di sviluppare nelle commissioni di valutazione nell'ambito del comitato per i medicinali per uso umano (CHMP) (3) delle competenze specifiche per la valutazione di questi prodotti, soprattutto coinvolgendo le associazioni dei pazienti nei loro lavori.

3.4

Il CESE giudica determinante la proposta d'istituire un comitato per le terapie avanzate (CAT) (4) che dovrà essere consultato dal CHMP dell'Agenzia europea di valutazione dei medicinali su ogni aspetto riguardante la valutazione dei dati relativi ai medicinali per terapie avanzate prima di formulare il proprio parere scientifico definitivo.

3.5

In effetti, creando il suddetto comitato sarà possibile riunire i migliori e, al momento attuale, notoriamente rari esperti disponibili a livello comunitario nel campo dei medicinali per terapie avanzate insieme a rappresentanti selezionati dei soggetti interessati.

3.6

La creazione di questo comitato è decisamente opportuna perché consentirà di definire, oltre alle procedure scientifiche, le norme di buona prassi clinica e di buona prassi di fabbricazione e di seguirne la valutazione fino all'autorizzazione d'immissione in commercio e oltre.

3.7

La menzione secondo cui «le cellule o i tessuti umani contenuti nei medicinali per terapie avanzate debbono provenire da donazioni volontarie e gratuite» è importante perché contribuisce a tener conto dell'esigenza permanente d'innalzare le norme di sicurezza dei tessuti e delle cellule e di evitare il rischio d'immissione in commercio di parti del corpo umano, con un risultato positivo per la protezione della salute umana.

3.8

La funzione consultiva dell'Agenzia europea di valutazione dei medicinali viene confermata e sarà determinante a tutti i livelli, sia per la produzione dei medicinali per terapie avanzate, le buone prassi di fabbricazione e le regole riguardanti il prospetto delle caratteristiche del prodotto, l'etichettatura e il foglietto illustrativo, sia in vista di una successiva delimitazione rispetto ad altri comparti (ad es. i cosmetici o taluni prodotti medici), per rispondere ai problemi che rischiano di manifestarsi con l'evolvere del progresso scientifico.

3.8.1

Taluni constatano che le procedure utilizzate possono comportare costi elevati (in effetti, le autorizzazioni nazionali sono più economiche) e sollevano la questione della concessione di periodi transitori più lunghi a livello nazionale (5 anni, mentre il periodo transitorio previsto nell'Unione europea è di soli 2 anni). La procedura nazionale decentrata può comportare un ostacolo sotto il profilo dell'accessibilità, in quanto può esistere in alcuni Stati e non essere prevista in altri.

3.9

Infine, la proposta in esame affronta opportunamente la problematica economica (5): nella concorrenza mondiale che coinvolge l'industria della salute è indispensabile che l'Unione europea si affermi pienamente sia al livello del mercato interno sia a livello extracomunitario.

3.10

Le incognite economiche legate alle incertezze o ai rapidi sviluppi in campo scientifico e i costi rilevanti degli studi provocano forti ritardi nella realizzazione d'investimenti significativi e durevoli nel settore dei medicinali, e più precisamente di quelli per le terapie avanzate.

3.11

Per di più, questi studi, necessari per dimostrare la qualità e la sicurezza non clinica dei medicinali per terapie avanzate, vengono effettuati sempre più spesso da piccole e medie imprese che non traggono origine da pregresse esperienze in campo farmaceutico (in generale, si tratta di spin-off di laboratori di biotecnologie o produttori di dispositivi medici).

3.12

Il Comitato giudica pertinente la proposta d'istituire «un sistema di valutazione e certificazione preliminari della qualità e della sicurezza dei dati non clinici da parte dell'Agenzia, indipendentemente da eventuali domande di autorizzazione all'immissione in commercio».

3.12.1

Tuttavia, poiché l'ingegneria tessutale permette di ottenere prodotti messi a punto da PMI, nuove imprese e spin-off che non provengono dal settore farmaceutico, s'impongono i seguenti rilievi:

che cosa deve coprire il regolamento in esame per diventare operativo? C'è forse il rischio che, pur riguardando tecnologie promettenti, esso susciti notevoli dibattiti ?

La composizione del CAT presenta anche il problema della dipendenza di quest'ultimo dal CHMP, il quale è composto da un rappresentante per ciascuno Stato membro.

Il quadro legislativo utilizzato non è adeguato, poiché si tratta di prodotti farmaceutici non tradizionali che implicheranno modifiche in altri testi.

Le precauzioni adottate per quanto riguarda l'impiego di cellule staminali possono provocare un veto nei paesi interessati: la redazione deve quindi essere adeguata per evitare che insorgano problemi a livelli dei dettagli.

3.13

Merita di essere sostenuto, anzi incoraggiato, l'obiettivo di facilitare la valutazione di qualsiasi successiva richiesta di commercializzazione presentata sulla base dei medesimi dati.

3.14

Occorrerà tuttavia essere vigilanti e se del caso adattare tale disposizione per tener conto dei rapidi sviluppi dei dati scientifici (ad es. sotto il profilo della durata di validità dei dati e delle condizioni per la loro conservazione), proteggere costantemente la salute dei pazienti, e più in generale, rispettare le regole etiche.

3.15

La relazione prevista «sull'attuazione del […] regolamento alla luce dell'esperienza acquisita» potrebbe offrire l'opportunità di un dibattito nell'ambito degli organi interessati (in particolare il CAT e il CHMP).

3.15.1

Tuttavia la subordinazione del CAT al CHMP in quanto meccanismo originale di esperti facente capo a quest'ultimo appesantisce eccessivamente le procedure e può provocare contraddizioni forse inutili.

3.16

Più in generale, la pubblicazione della relazione generale, prevista al capitolo 8, articolo 25, potrebbe includere non solo «informazioni approfondite circa i vari tipi di medicinali per terapie avanzate autorizzati nel quadro del presente regolamento», ma anche informazioni e risultati circa gli incentivi di cui al capitolo 6 (articoli 17, 18 e 19: consulenza scientifica, raccomandazione scientifica circa la classificazione delle terapie avanzate e certificazione della quantità e dei dati non clinici).

4.   Conclusioni

4.1

Nell'insieme il Comitato giudica che la proposta di regolamento in esame sia pertinente e utile: essa permette di seguire gli sviluppi scientifici e di stabilire le definizioni e le condizioni d'impiego dei medicinali per terapie avanzate nell'interesse dei pazienti.

4.1.1

Se dal punto di vista del paziente le nuove tecnologie lasciano intravedere grandi speranze di eliminare le sofferenze umane e rispondere ad attese legittime, soprattutto nell'utilizzo della medicina rigenerativa, d'altro canto la vigilanza sulle ricerche in questo ambito va effettuata mediante test essenziali, i cui protocolli devono offrire la garanzia di una sicurezza assoluta per i pazienti. Questa presuppone, fra gli obiettivi principali (punto 2.1 della motivazione che precede la proposta di regolamento in esame), oltre a un elevato livello di protezione sanitaria, anche un sistema di gestione della qualità. Non va poi trascurato il problema delle sostanze rimaste inutilizzate, da risolvere assicurando il rispetto dell'ambiente.

4.2

Il testo in esame è importante soprattutto in materia di terapia genica e di terapia cellulare somatica. Le precauzioni adottate al livello sia delle definizioni che dell'utilizzo dei prodotti di ingegneria tessutale evidenziano bene il fatto che il progetto di regolamento in esame non pretende di risolvere il dibattito etico, che rimane aperto e che si impernia sostanzialmente su interpretazioni diverse dei valori umani, né di contribuirvi andando oltre quanto deciso al livello dei singoli Stati.

4.2.1

Il progetto di regolamento crea le premesse per colmare il vuoto normativo che esiste fra la materia in esso trattata e il progetto di direttiva sui dispositivi medici. La valutazione del rischio, come principio generale, riguarda il campo d'applicazione relativo ai medicinali per terapie avanzate e ai dispositivi medici. Una complicazione può venire dai prodotti combinati (cioè dispositivi medici che contengono elementi d'ingegneria tessutale): in tal caso occorre garantire qualità e sicurezza insieme, e la valutazione deve riguardare anche l'efficacia nell'uso di un medicinale innovante nello specifico dispositivo medico.

4.3

Il Comitato esprime dunque un parere favorevole in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sui medicinali per terapie avanzate recante modifica della direttiva 2001/83/CE e del regolamento (CE) n. 726/2004 qui esaminata, indicando peraltro i punti critici per i quali è opportuno trovare soluzioni chiare che assicurino la corretta applicazione della direttiva.

Bruxelles, 5 luglio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  COM(2005) 567 def.

(2)  COM(2005) 567 def.

(3)  CHMP: comitato per i medicinali per uso umano dell'Agenzia europea di valutazione dei medicinali.

(4)  CAT: comitato per le terapie avanzate.

(5)  Cfr. COM(2005) 567 def., considerando n. 23.


16.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 309/18


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Attuazione del programma comunitario di Lisbona: Una strategia per la semplificazione del contesto normativo

COM(2005) 535 def.

(2006/C 309/04)

La Commissione europea, in data 9 dicembre 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 maggio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore CASSIDY.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 5 luglio 2006, nel corso della 428a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 146 voti favorevoli e 6 astensioni.

1.   Conclusioni generali e raccomandazioni del CESE

1.1

Il documento oggetto del presente parere, richiesto dalla Commissione, fa seguito alla comunicazione del marzo 2005 intitolata Una migliore regolamentazione per la crescita e l'occupazione nell'Unione europea  (1).

1.2

Tramite la semplificazione ci si prefigge di creare un quadro normativo di qualità elevata, più comprensibile e di più facile utilizzo.

1.3

La semplificazione dovrebbe aumentare il rispetto per la legislazione dell'UE e al tempo stesso rafforzarne la legittimità.

1.4

Il Comitato ritiene che agli Stati membri spetti una grande responsabilità nel garantire che le misure dell'UE siano correttamente recepite nelle legislazioni nazionali e applicate. Il Comitato riconosce che l'accordo interistituzionale Legiferare meglio  (2) fornisce un codice di condotta per gli Stati membri al fine di un recepimento ed un'applicazione migliori delle direttive CE. L'importante è che ne risulti un quadro normativo a livello nazionale quanto più equilibrato nei contenuti e nello stesso tempo quanto più semplice possibile per le imprese, i lavoratori, i consumatori e i diversi attori della società civile.

1.5

Il Comitato auspica che gli attori socioprofessionali vengano associati alle procedure di comitatologia in materia di semplificazione delle normative, adottando un modello analogo ai comitati SLIM, ma in modo più sistematico e in una fase a monte della formulazione della normativa, piuttosto che a posteriori come avveniva appunto nel caso di SLIM.

1.6

Il Comitato auspica un più frequente ricorso al tipo di consultazione che si è svolta tra la Commissione e le parti interessate per l'elaborazione del documento in esame, ritenendo che ciò darebbe un contribuito concreto alla coregolamentazione (3) menzionata al punto 3, lettera d), della comunicazione. Deplora tuttavia la mancanza di riferimenti all'«autoregolamentazione» (4), procedura che il CESE raccomanda già da tempo (5).

1.6.1

Per quanto riguarda l'autoregolamentazione, il Comitato riconosce però anche il pericolo che non vengano adottate normative vincolanti per gli attori interessati, ma che questi stessi concludano accordi volontari a cui possono o meno attenersi.

1.7

La Corte di giustizia delle Comunità europee svolge un ruolo sempre più importante nell'interpretazione delle direttive comunitarie; essa si è trovata a dover interpretare il testo, talvolta ambiguo, di talune direttive adottate attraverso il processo di codecisione. La Corte, inoltre, viene sempre più spesso invitata a fornire indicazioni ai tribunali nazionali nei settori in cui le loro attività sono complementari. Il Comitato prende atto dei progressi compiuti dalla Corte, che ha ridotto del 12 % il numero dei procedimenti pendenti relativi alla mancata notifica, all'errata trasposizione e al mancato rispetto delle direttive CE da parte degli Stati membri.

1.8

Il Comitato riconosce l'importanza della comunicazione in esame per quanto riguarda l'attuazione del programma di Lisbona, che ha accumulato un deplorevole ritardo a causa della riluttanza dei governi degli Stati membri a dare attuazione agli impegni sottoscritti a Lisbona.

1.9

Il CESE accoglie con particolare favore l'impegno della Commissione a fare un uso più ampio delle tecnologie dell'informazione e auspica che la Commissione garantisca che, quali che saranno i dispositivi volti a migliorare le TI, essi siano compatibili con quelli nazionali (o viceversa).

1.10

Il CESE ha sempre sostenuto la dichiarazione comune Advancing regulatory reform in Europe («Progressi della riforma della regolamentazione in Europa») firmata il 7 dicembre 2004 (6) dai sei Stati membri che si sono succeduti alla presidenza del Consiglio tra il 2004 e il 2006, e spera che venga fatta propria anche dalle presidenze future (7).

1.11

Il CESE ha preso conoscenza delle relazioni del Parlamento europeo sul tema Legiferare meglio e, in particolare, della relazione Gargani su una strategia per la semplificazione del contesto normativo (8).

1.12

Il Comitato riconosce la grande determinazione con cui l'attuale Commissione sta dando seguito alle iniziative settoriali SLIM (Simpler Legislation for the Internal Market) e BEST (Business Environment Simplification Taskforce). L'azione quadro (febbraio 2003 — dicembre 2004) ha portato all'esame di circa 40 settori di azione e all'adozione, da parte della Commissione, di circa 40 proposte di semplificazione. Ad oggi, sono ancora in sospeso 9 proposte di semplificazione legate a quel programma.

1.13

Il Comitato riconosce che l'allargamento dell'Unione europea a 25 Stati membri ha anche reso più gravoso l'onere derivante dalla regolamentazione sia per i servizi della Commissione che per le amministrazioni dei nuovi Stati membri.

1.14

Semplificare e migliorare la legislazione sono attività complementari, che rientrano nelle competenze del Consiglio, del Parlamento e della Commissione, e per cui è prevista, in alcuni casi, la consultazione del CESE e del CdR.

1.15

Il Comitato ribadisce quanto già espresso a più riprese in precedenti pareri, ossia l'importanza di alleggerire gli oneri normativi e finanziari per le imprese, soprattutto per le PMI.

2.   Introduzione

2.1

Nel corso degli anni, il Comitato ha adottato numerosi pareri sul tema della semplificazione, a partire da una richiesta del Consiglio europeo del 1995: in tale occasione era stato istituito un gruppo di lavoro incaricato di esaminare le modalità per semplificare le norme dell'UE.

Nei suoi pareri, il CESE è giunto alle seguenti conclusioni:

occorre instaurare un dialogo tra il CESE e il Comitato delle regioni, nonché i consigli economici e sociali degli Stati membri,

il processo di semplificazione non richiede nuove idee, ma piuttosto di mettere in atto quelle già enunciate dalle istituzioni europee e dal Consiglio europeo di Lisbona,

le proposte legislative dovrebbero rispettare i seguenti criteri:

le disposizioni sono comprensibili e di facile utilizzo?

sono univoche nel loro intento?

sono coerenti con la legislazione in vigore?

il campo di applicazione delle disposizioni deve essere ampio come previsto?

le scadenze fissate per l'attuazione sono realistiche e danno alle imprese e alle altre parti direttamente interessate la possibilità di adeguarsi?

quali procedure di revisione sono previste per garantire un'applicazione uniforme e per valutare costi ed efficacia?

le parti interessate sono molto favorevoli all'ipotesi di ricorrere maggiormente all'autoregolamentazione e alla coregolamentazione,

non sono state finora valutate sufficientemente le possibilità di ricorrere a una regolamentazione meno dettagliata e meno puntigliosa, che lasci spazio alla coregolamentazione e all'autoregolamentazione  (9) .

2.2

Vi è una necessaria interazione tra la semplificazione, da un lato, e un recepimento ed un'applicazione migliori della legislazione, dall'altro. La comunicazione in esame sembra aver tenuto conto delle conclusioni di precedenti documenti del CESE, riconoscendo che «la semplificazione non è una nuova tematica». Infatti, la serie di comunicazioni della Commissione risale al 1997, ossia due anni dopo il primo invito alla semplificazione da parte del CESE.

3.   Sintesi della comunicazione della Commissione

3.1

La Commissione riconosce che la semplificazione, a livello comunitario e nazionale, deve creare condizioni di vita più favorevoli e meno costose per i cittadini e gli operatori.

3.2

Una parte importante della nuova strategia di semplificazione a livello europeo consiste nella revisione dell'acquis. A questo proposito, la Commissione propone un ambizioso programma modulato triennale, dal 2005 al 2008, fondato sull'esperienza pratica delle parti direttamente interessate e su valutazioni settoriali continue e approfondite.

3.3

L'approccio della Commissione in materia di semplificazione è basato su cinque strumenti (10):

a)

abrogazione — eliminazione di normative irrilevanti o obsolete;

b)

codificazione — consolidamento di un atto e di tutte le modifiche ad esso apportate in un nuovo strumento, senza alterarne la sostanza;

c)

rifusione — consolidamento (come sopra) ma al contempo modifica della sostanza dell'atto;

d)

modifica della strategia normativa — individuazione di un approccio giuridicamente più efficace di quello attuale, ad esempio sostituzione di una direttiva con un regolamento;

e)

un maggiore ricorso alle tecnologie dell'informazione  (11) — agevolazione dell'uso delle TI per aumentare l'efficienza.

3.4

La Commissione è consapevole di poter realizzare il proprio obiettivo solo se tutte le istituzioni dell'UE, e soprattutto gli Stati membri, sosterranno tale strategia. Sarebbe importante che gli Stati membri riconoscessero la necessità di recepire la legislazione dell'UE restando il più possibile vicino alle direttive originarie, approvate nel quadro del processo di codecisione, senza inutili aggiunte (il cosiddetto gold-plating).

3.5

La comunicazione tiene conto dei risultati del vasto processo di consultazione che si è tenuto con gli Stati membri e le parti interessate. Da tale consultazione è emerso che le proposte dell'UE in materia di semplificazione dovrebbero prefiggersi di:

chiarire e migliorare la leggibilità della legislazione,

aggiornare e modernizzare il contesto normativo,

ridurre i costi amministrativi,

accrescere la coerenza dell'acquis,

migliorare la proporzionalità  (12) dell' acquis .

Quest'ultimo è forse il problema di più ampia portata per le parti direttamente interessate.

Nell'allegato 2 alla comunicazione vengono elencate 222 misure di semplificazione. Il programma della Commissione copre il periodo dal 2005 al 2008.

3.6

La prima direttiva sul diritto societario (68/151/CEE) è stata semplificata, aggiornata e modernizzata nel 2003 al fine di sfruttare al meglio i moderni strumenti e tecnologie di informazione ed aumentare la trasparenza delle società per azioni. Tuttavia, la direttiva modificata potrebbe anche rientrare in un'eventuale procedura di rifusione o codificazione. Alla fine dello scorso anno è stata lanciata una consultazione pubblica per raccogliere le opinioni delle parti direttamente interessate su queste diverse opzioni.

4.   Osservazioni di carattere generale

4.1

La semplificazione, in linea di principio, non può essere intesa come un mezzo per far passare una deregolamentazione attraverso la porta di servizio. La semplificazione amministrativa non deve portare a un annacquamento ovvero a uno svuotamento delle norme sociali esistenti, soprattutto quelle relative alla protezione dei lavoratori, dei consumatori e dell'ambiente.

4.2

Il Comitato accoglie con favore la comunicazione e concorda con la Commissione nel rilevare che il successo della semplificazione del contesto normativo dipende tanto dagli Stati membri e dai loro organi di regolamentazione quanto dalle istituzioni europee.

4.2.1

Sarebbe utile elaborare un codice di condotta, come il CESE ha già proposto in alcuni pareri (13) (cfr. anche allegato I).

4.2.2

Il CESE rammenta che il successo del programma di semplificazione non dipenderà soltanto dalla capacità della Commissione di ottenere risultati, ma anche dalla capacità del colegislatore di adottare in un arco di tempo ragionevole le proposte di semplificazione presentate dalla Commissione.

4.2.3

A questo proposito, è utile rammentare che l'accordo interistituzionale Legiferare meglio dispone, al paragrafo 36, che «entro i sei mesi successivi all'entrata in vigore del presente accordo, il Parlamento e il Consiglio, ai quali spetta in quanto autorità legislativa adottare in via definitiva le proposte di atti semplificati, dovrebbero, da parte loro, modificare i propri metodi di lavoro istituendo, ad esempio, strutture ad hoc incaricate specificamente della semplificazione legislativa».

4.3

La comunicazione riconosce l'importanza dell'iniziativa di semplificazione per le PMI e i consumatori. Infatti, quando le normative, a livello dell'UE oppure nazionale, sono redatte in modo insoddisfacente, i consumatori restano nell'incertezza circa i loro i diritti e possibilità di ricorso.

4.4

Il Comitato approva anche l'impegno della Commissione a perfezionare l'impiego della valutazione d'impatto, non solo per individuare i costi per le imprese, ma anche per determinare l'impatto delle normative sui consumatori, sui gruppi svantaggiati (come i disabili) e sull'ambiente. Per conseguire l'obiettivo dichiarato nel quadro del processo di Lisbona, cioè quello di creare «più crescita e occupazione», sarebbero altamente auspicabili valutazioni d'impatto relative ai lavoratori e all'occupazione in generale. Si apprezzano in particolare la proposta di aumentare il ricorso a sportelli unici e il riferimento, contenuto in talune direttive, a «prove e procedure di autocontrollo» per i veicoli a motore.

4.5

Sarebbe utile se la Commissione preparasse una valutazione d'impatto per giustificare la scelta, compiuta in passato, di ritirare talune proposte, come fa attualmente per le nuove proposte.

5.   Osservazioni specifiche

5.1

La comunicazione sostiene che il processo di adattamento delle direttive ai progressi tecnici (comitatologia) debba essere reso più trasparente: il Parlamento europeo si è spesso pronunciato in tal senso. Tuttavia, anche gli Stati membri sono responsabili di questo stato di cose. Infatti, il lavoro di comitatologia viene svolto da «esperti nazionali», e numerosi episodi dimostrano che questi ultimi, nelle attività di comitatologia, non tengono conto delle opinioni dei loro governi (un esempio in tal senso è la direttiva «uccelli» del 1979, i cui allegati tecnici sono stati aggiunti da «esperti» dopo che i ministri avevano approvato il testo della direttiva in sede di Consiglio).

5.2

Occorre sottolineare l'importanza che la semplificazione riveste per i consumatori, le parti sociali ed altre parti interessate. Le discrepanze tra gli atti nazionali di recepimento e i testi originari delle direttive CE su cui i primi sono fondati aumentano considerevolmente il carico di lavoro della Corte di giustizia. Il compito di tale istituzione è, infatti, quello di «interpretare» la normativa comunitaria: essa, tuttavia, si trova sempre più a dover chiarire aspetti che nei testi sono stati trascurati oppure testi per cui la necessità di raggiungere l'unanimità in seno al Consiglio ha impedito di pervenire ad una formulazione soddisfacente, ad esempio in materia fiscale. Tuttavia il fatto che la Corte di giustizia assuma sempre più il ruolo di decisore politico costituisce un problema, in quanto essa non dispone a tal fine di chiari presupposti politici e questo ruolo decisionale esula dal suo mandato. In questo modo essa si trova a prendere decisioni che in realtà spetterebbero alle istituzioni democraticamente elette.

5.3

Il CESE riconosce l'impegno profuso dalla stessa Commissione che ha dato luogo a diverse centinaia di abrogazioni e dichiarazioni di obsolescenza: tali atti, però, pur avendo contribuito in modo considerevole a ridurre il volume dell'acquis, non necessariamente hanno ridotto gli oneri che gravano sulle imprese, sui lavoratori, sui consumatori o su altre parti direttamente interessate. Il Comitato riconosce che vi sono ancora dei settori in cui sono necessari ulteriori atti legislativi a livello dell'UE, al fine di proteggere l'ambiente e tutelare i diritti dei consumatori e dei gruppi svantaggiati (come i disabili o altre minoranze) e garantire che tutti i cittadini possano beneficiare appieno dei vantaggi apportati dal mercato unico.

5.3.1

D'altro lato, al momento il sistema più comunemente impiegato è l'aggiornamento. Tale procedura, mentre da un lato consente di apportare le modifiche necessarie per aggiornare le normative, dall'altro non ne garantisce necessariamente la semplificazione. Accade spesso, invece, che le misure si sovrappongano le une alle altre, cosicché in alcuni Stati membri coesistono normative vecchie e nuove. Tale situazione, evidentemente, genera confusione nelle parti interessate. I responsabili dell'applicazione negli Stati membri possono quindi nutrire dei dubbi sulla conformità dei propri atti con gli istituti giuridici nazionali.

5.3.2

Le caratteristiche di semplificazione di ogni proposta contenuta nel programma modulato dovrebbero essere chiaramente illustrate nella motivazione e, se necessario, nella valutazione di impatto che la accompagna. I servizi della Commissione dovrebbero monitorare attentamente queste proposte nel corso del processo decisionale interistituzionale, al fine di garantire che la dimensione della semplificazione venga preservata, come previsto dagli accordi interistituzionali (Metodo di lavoro accelerato ai fini della codificazione ufficiale dei testi legislativi (14), Accordo interistituzionale ai fini di un ricorso più strutturato alla tecnica della rifusione degli atti normativi (15) e Accordo interistituzionale Legiferare meglio  (16)).

5.4

Il Comitato richiama l'attenzione, ancora una volta, sulla lunga serie di pareri da esso elaborati riguardo alla necessità di legiferare meglio e di semplificare le normative e, in particolare, sul suo recente parere esplorativo Legiferare meglio  (17), formulato su richiesta della presidenza britannica.

5.5

Il Comitato ribadisce l'auspicio, già espresso a più riprese, che il processo volto a migliorare e a semplificare la legislazione prosegua nel solco tracciato dalla dichiarazione delle sei presidenze (18).

Bruxelles, 5 luglio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  COM(2005) 97 del 16.3.2005.

(2)  GU C 321 del 31.12.2003.

(3)  GU C 321 del 31.12.2003.

(4)  GU C 321 del 31.12.2003.

(5)  Relazione informativa sul tema La situazione attuale della coregolamentazione e della autoregolamentazione nel mercato unico, CESE 1182/2004 fin, dell'11.1.2005, relatore VEVER.

(6)  Dichiarazione congiunta delle presidenze dell'UE irlandese, olandese, lussemburghese, britannica, austriaca e finlandese.

(7)  2007: Germania, da gennaio a giugno; Portogallo, da luglio a dicembre; 2008: Slovenia, da gennaio a giugno; Francia, da luglio a dicembre.

(8)  Relazione A6-0080/2006, adottata il 16.5.2006.

(9)  Relazione informativa sul tema La situazione attuale della coregolamentazione e della autoregolamentazione nel mercato unico, CESE 1182/2004 fin, dell'11.1.2005, relatore VEVER.

(10)  Piano d'azione Semplificare e migliorare la regolamentazione, COM(2002) 278 def. e Codificazione della normativa comunitaria, COM(2001) 645 def.

(11)  La Commissione propone un'iniziativa nel settore dei servizi amministrativi on line tramite il lancio di un piano d'azione al riguardo nel 2006.

(12)  Le normative dovrebbero essere commisurate agli obiettivi stabiliti.

(13)  GU C 125 del 27.5.2002.

GU C 14 del 16.1.2001.

(14)  GU C 102 del 4.4.1996.

(15)  GU C 77 del 28.3.2002.

(16)  GU C 321 del 31.12.2003.

(17)  GU C 24 del 31.1.2006, relatore RETUREAU.

(18)  Advancing regulatory reform in Europe (Progressi della riforma della regolamentazione in Europa ) — Dichiarazione congiunta delle presidenze dell'UE irlandese, olandese, lussemburghese, britannica, austriaca e finlandese, firmata il 7.12.2004.


16.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 309/22


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il codice doganale comunitario (codice doganale aggiornato)

COM(2005) 608 def. — 2005/0246 (COD)

(2006/C 309/05)

Il Consiglio, in data 17 gennaio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 maggio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore BURANI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 5 luglio 2006, nel corso della 428a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 152 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Introduzione: principi ispiratori del nuovo Codice

1.1

Il programma d'azione doganale della Comunità (Dogana 2007), approvato dal Consiglio nel 2002, prevedeva fra le sue azioni principali una revisione radicale dell'attuale Codice doganale comunitario [regolamento del Consiglio (CEE) N. 2913/92], diventato obsoleto a seguito delle evoluzioni intervenute nei mercati e nelle tecnologie, dell'adozione di diversi Trattati e soprattutto dei successivi allargamenti dell'Unione.

1.2

L'idea di proporre un Codice totalmente rinnovato deriva dalla considerazione che il Codice vecchio — e tuttora vigente — «non ha seguito né i radicali mutamenti del contesto in cui si svolge il commercio internazionale né l'evoluzione dell'oggetto dell'attività doganale». La proposta in esame è coerente con le politiche comunitarie — in particolare con i principi del mercato interno e della protezione del consumatore, nonché con la strategia di Lisbona — e costituisce la base di azioni ulteriori volte alla razionalizzazione dei regimi e delle procedure doganali, nonché all'adeguamento delle norme in funzione della creazione di standard comuni fra i sistemi informatici degli Stati membri.

1.2.1

Questo complesso di azioni consentirà, secondo la Commissione, di recepire gli indirizzi del Consiglio in materia di e-Government e dell'iniziativa per «una migliore regolamentazione», nonché di conseguire una serie di obiettivi concreti, fra i quali l'aumento della sicurezza delle frontiere esterne, la riduzione dei rischi di frode, nonché una migliore coerenza con le altre politiche comunitarie e in particolare con quella fiscale.

1.3

Il nuovo Codice è stato concepito nel contesto della strategia di Lisbona, che mira a fare dell'Europa «un polo di attrazione per gli investimenti e l'occupazione»; esso è inoltre coerente con le proposte avanzate dalla Commissione, e approvate dal Consiglio nel dicembre 2003, per la creazione di un ambiente semplificato e privo di supporti cartacei. L'indirizzo del Consiglio trova d'altronde applicazione anche nella proposta parallela di decisione concernente «un ambiente privo di supporti cartacei per le dogane e il commercio» [COM(2005) 609 del 30.11.2005] sulla quale il CESE si pronuncerà in un parere separato.

1.4

Le innovazioni del nuovo Codice non sono soltanto di carattere formale o di aggiornamento; di ben maggiore importanza sono infatti i cambiamenti che esso introduce negli indirizzi di politica doganale. Nel corso degli ultimi venti anni le dogane hanno visto progressivamente ridursi la loro funzione di percettori di dazi, con un corrispondente e deciso incremento del loro ruolo di responsabili dell'attuazione di misure non tariffarie in materia in particolare di sicurezza, controllo dell'immigrazione clandestina, lotta contro la contraffazione, riciclaggio di denaro, traffico di stupefacenti, igiene, salute, ambiente e protezione dei consumatori, in aggiunta alla riscossione dell'IVA e delle accise. Il documento della Commissione non cita tuttavia in modo esplicito, sotto la voce «sicurezza», una funzione collaterale che invece sicuramente spetta alle dogane, vale a dire quella di prezioso ausilio al controllo del traffico di armi ed alla lotta contro il terrorismo. Questa omissione trova riscontro in una carenza nella concezione dei sistemi informativi, che il CESE commenta nel successivo punto 3.1.3.1.

1.5

Un'altra innovazione riguarda l'adozione di procedure informatizzate. Nel Codice attualmente vigente tali procedure sono previste — e sono largamente adottate in quasi tutti gli Stati membri — ma mantengono un carattere facoltativo, sia per le dogane nazionali che per gli utenti; il nuovo Codice ne prevede invece l'obbligatorietà, un passo necessario per l'eliminazione dei supporti cartacei, oggetto dell'iniziativa parallela di cui al precedente punto 1.3.

1.6

L'elaborazione del nuovo Codice è coerente con le politiche della Commissione e rispetta le procedure previste in materia di fattibilità, di trasparenza e di valutazione d'impatto. Il CESE rileva con soddisfazione che i settori della società civile interessati sono stati consultati e hanno dato pareri in larga parte favorevoli; concorda con la Commissione per quanto riguarda il rispetto delle basi legali così come dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, mentre si riserva di formulare più oltre qualche commento in materia di valutazione d'impatto.

1.7

La Commissione ha preso in esame quattro diversi approcci alla materia, optando alla fine per una soluzione che prevede una collaborazione rafforzata tra i sistemi informatici doganali nazionali. Questa scelta si giustifica, secondo la Commissione, con la necessità di rispettare il principio di sussidiarietà e la constatata scarsa disponibilità, da parte degli Stati membri, ad accettare una soluzione basata su un sistema europeo centralizzato. Il CESE prende atto di questa scelta obbligata, pur rilevando che quest'ultima opzione avrebbe rappresentato una soluzione più affidabile, più semplice e meno onerosa per gli utenti. Quanto al principio di sussidiarietà, esso si sarebbe declinato a livello europeo piuttosto che nazionale.

2.   Osservazioni di carattere generale

2.1

Nel febbraio dell'anno scorso, il CESE aveva commentato una proposta di regolamento del Parlamento e del Consiglio di modifica del Codice doganale (1), la quale già proponeva delle innovazioni in materia di eliminazione dei supporti cartacei e di gestione integrata delle frontiere esterne. Il Comitato nota con soddisfazione che i principi enunciati nella proposta suddetta, e sui quali esso aveva formulato commenti largamente positivi, sono stati mantenuti nella proposta oggetto del presente parere e concretamente tradotti in disposizioni che, ancora una volta, esso può in linea di massima accogliere con favore.

2.2

Il complesso delle nuove disposizioni denota una più marcata attenzione ai diritti e alle esigenze degli operatori, che si traduce tra l'altro in una serie di disposizioni che tengono conto, se del caso, dei possibili danni che le procedure possono arrecare. Di tale sensibilità è prova sia la semplificazione della normativa, sia il raggruppamento dei regimi doganali, che vengono ridotti dagli attuali tredici a tre: importazione, esportazione e regimi speciali. Grazie poi al lavoro redazionale, due terzi degli articoli del Codice in vigore vengono modificati, unificati o trasferiti alle disposizioni di applicazione, passando così da 258 a 200.

2.2.1

Il CESE dà atto alla Commissione di avere validamente compiuto un lavoro delicato e laborioso, rispettando i principi generali del mercato unico e con un marcato rispetto dei diritti e delle necessità degli operatori. Rileva tuttavia, per inciso, che la mancanza di un regolamento di esecuzione — la cui redazione rientra peraltro nei poteri della Commissione stessa — lascia per il momento un certo margine di incertezza nei confronti di diverse norme: esso formula dunque l'auspicio che un nuovo regolamento di esecuzione sia predisposto ed approvato in tempi brevi.

3.   Osservazioni specifiche

3.1   Titolo I: disposizioni generali

3.1.1

L'articolo 3 elenca i territori nazionali che compongono il territorio doganale della Comunità. L'articolo non solleva particolari commenti, salvo l'incertezza determinata dal paragrafo 3, dove si afferma: «alcune disposizioni della normativa doganale possono applicarsi fuori del territorio doganale della Comunità nel quadro di normative specifiche o di convenzioni internazionali». La certezza del diritto non permette che in una legge si parli di «alcune disposizioni» senza precisare, nel testo stesso o in allegato, di «quali» disposizioni si parli. Sotto il profilo giuridico — ed anche per esigenze di trasparenza — è necessario indicare in modo esplicito e dettagliato a quali territori e a quali normative ci si riferisce. Troppe volte sfuggono al cittadino — ed anche agli esperti — esenzioni e deroghe concesse in varie occasioni e in vari modi: spesso tali esenzioni e tali deroghe costituiscono delle vere e proprie distorsioni di concorrenza, non sempre temporanee.

3.1.2

In linea generale, lo scambio e la protezione dei dati e delle informazioni (articoli 5, 6 e 7) non richiedono particolari commenti, in quanto la normativa proposta rientra nella normale protezione accordata dalle pubbliche amministrazioni alla vita privata del cittadino ed alla riservatezza aziendale. Il CESE considera con particolare favore le disposizioni dell'articolo 8, secondo il quale le autorità doganali sono tenute a fornire informazioni sull'applicazione della normativa doganale, così come a promuovere la trasparenza mettendo gratuitamente a disposizione degli operatori — tramite Internet — la normativa, le decisioni amministrative e i moduli di domanda.

3.1.2.1

Una riflessione particolare merita peraltro il primo paragrafo dell'articolo 5, che impone l'adozione di procedimenti informatici per tutti gli scambi di dati, documenti, decisioni o notifiche fra operatori economici e autorità doganali. Questa disposizione, pienamente corretta quando riguarda aziende o operatori professionali, può causare delle difficoltà se l'importatore (o più raramente l'esportatore) è un privato, e non necessariamente un «operatore economico». Il problema è tutt'altro che secondario, in una fase in cui sta aumentando in modo esponenziale il volume degli acquisti di merci effettuati, via Internet o per corrispondenza, in paesi fuori dell'Unione. Il CESE prende nota del fatto che la materia è in corso di esame secondo la procedura della comitologia, e suggerisce che i privati siano esplicitamente inclusi fra coloro che sono ammessi, secondo l'articolo 93, a presentare dichiarazioni sommarie. Occorrerebbe anche modificare le disposizioni dell'articolo 94 che accordano alle autorità doganali la possibilità di accettare dichiarazioni sommarie di importazione in forma cartacea, ma solo in circostanze eccezionali. In alternativa, o in aggiunta, si potrebbe prendere in esame la possibilità di estendere ai privati la facoltà di presentare la dichiarazione semplificata occasionale (sempre in forma cartacea) prevista dall'articolo 127.

3.1.2.2

Sempre in materia di procedimenti informatici, ma in una linea più generale, il CESE attira l'attenzione sugli elevati costi della nuova procedura informatica integrata; tali costi sono da sostenere in tempi brevi, mentre una parte consistente dei benefici (particolarmente quelli a carattere qualitativo) saranno percepibili solo nel medio-lungo periodo. Taluni Stati membri sembrano sin d'ora preoccupati sia per gli oneri da sostenere sia per l'obbligo di rispettare i termini di messa in opera dei nuovi sistemi; altri — particolarmente quelli più avanzati in materia di informatizzazione — ritengono dispendioso cambiare i loro sistemi di recente adozione per allinearsi a quello comune. Il CESE raccoglie queste perplessità, delle quali la Commissione non potrà non tenere conto: esprime tuttavia l'avviso che l'interesse dell'Europa ad avere un sistema doganale efficiente e moderno merita qualche sacrificio individuale, da compensare eventualmente con un aiuto in termini di risorse, da limitare a casi precisi e di documentata necessità.

3.1.3

L'articolo 10 prevede che gli Stati membri collaborino con la Commissione per «sviluppare, mantenere ed utilizzare un sistema elettronico per la registrazione e l'aggiornamento comune dei dati» riguardanti tutti gli operatori e le autorizzazioni concesse. I dubbi circa la natura ed il funzionamento del sistema sono chiariti dall'articolo 194: ogni Stato membro mantiene il proprio sistema informativo, assicurandone l'interoperabilità con i sistemi degli altri Stati membri secondo norme e standard fissati dalla Commissione, assistita dal comitato del Codice doganale. La data di entrata in vigore del sistema è fissata al 30 giugno 2009. Secondo il CESE, un sistema basato su banche dati nazionali che si scambiano reciprocamente — una volta assicurata l'interoperabilità — informazioni e aggiornamenti rischia di rivelarsi difficile da gestire, oltre che costoso. Soprattutto, è piuttosto improbabile che un tale sistema possa concretamente entrare in funzione entro il termine previsto. Nella valutazione d'impatto la Commissione ha valutato il costo aggiuntivo della messa in opera del sistema in 40-50 milioni di euro all'anno: una cifra che diversi esperti giudicano ottimistica.

3.1.3.1

Esiste peraltro una carenza evidente e di vitale importanza nel progetto di questo sistema, o per lo meno nella sua enunciazione, e cioè l'assenza di qualunque accenno ad una possibilità strutturata di accesso ai sistemi informativi delle autorità preposte alla lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata, beninteso nel rispetto delle norme a protezione della vita privata e delle attività produttive. Questo aspetto è stato più volte, e in diverse occasioni, messo in evidenza dal CESE. Il Consiglio evoca da anni la necessità di una collaborazione fra le varie autorità, di polizia criminale e finanziaria, dogane, servizi segreti, OLAF, Europol, ma purtroppo finora senza grandi risultati.

3.1.4

Un particolare interesse suscita l'articolo 11, relativo alla figura del rappresentante doganale: l'articolo prevede che questi può «espletare gli atti e le formalità previsti dalla normativa doganale» su mandato di un operatore, in nome e per conto di questi (rappresentante diretto), o per conto proprio (rappresentante indiretto). Il paragrafo 2 richiede che il rappresentante doganale sia stabilito all'interno del territorio doganale della Comunità, senza altra precisazione. Il CESE rileva peraltro che nella relazione introduttiva la Commissione afferma che «le norme relative ai rappresentanti sono state modificate con l'abolizione delle precedenti restrizioni», incompatibili con un ambiente informatizzato e con i principi del mercato unico. Se ne dovrebbe dedurre che il rappresentante doganale gode di un'autorizzazione unica (passaporto comunitario) che lo abilita ad agire su tutto il territorio della Comunità ed in nome di qualsiasi operatore, ovunque sia esso stabilito. Sarebbe opportuno riformulare questo articolo in forma più esplicita, rinviando magari ad una regolamentazione a parte le modalità di creazione di un albo, o elenco, o altro, sulla falsariga di quanto previsto per l'operatore economico autorizzato, di cui al punto seguente.

3.1.5

Un'altra figura di interesse è quella dell'operatore economico autorizzato (articoli 4, e da 13 a 16), che è in pratica un'azienda (meno frequentemente un singolo individuo) che presenta garanzie di serietà, solvibilità e professionalità particolari e tali da farla accreditare presso le autorità doganali degli Stati membri come avente diritto ad un certo numero di agevolazioni in materia di controlli e di procedure. La Commissione si riserva di precisare, in base al già citato articolo 196, le modalità di concessione della qualifica di operatore economico autorizzato. Il CESE prende atto di queste disposizioni, intese certamente ad agevolare il commercio internazionale e la creazione di un ambiente favorevole agli scambi; osserva peraltro che molto dipenderà dalle condizioni per la concessione della qualifica e dalle norme per evitare gli eventuali abusi. Non è chiaro, inoltre, se alla figura dell'operatore economico autorizzato sarà concesso o meno il passaporto europeo.

3.1.6

Un passo deciso verso un'armonizzazione dei regimi doganali è costituito dalle disposizioni dell'articolo 22, che impongono agli Stati membri — sia pure in termini piuttosto «elastici» — di adottare sanzioni amministrative e penali applicabili ai casi di infrazione alla normativa doganale comunitaria. Il CESE è senz'altro d'accordo sulla necessità di pervenire ad una regolamentazione armonizzata in questa delicata materia; resta da vedere quale sarà l'accoglienza degli Stati membri ai tentativi di dettare regole o indirizzi in materia penale, un campo nel quale sono da prevedere resistenze o per lo meno riserve.

3.1.7

Gli articoli 24, 25 e 26 trattano dei ricorsi in via amministrativa (l'articolo 23 esclude la materia penale), per i quali prevedono una procedura in due fasi: la prima dinanzi alle autorità doganali e la seconda dinanzi ad un'autorità superiore, giudiziaria o di altro genere. In caso di sanzioni vale il principio generale del solve et repete, salvo quando le autorità doganali ritengano che la misura imposta potrebbe provocare un «danno irreparabile» alla persona che ha presentato il ricorso: un segno di attenzione alle necessità del cittadino, del quale il CESE prende atto con soddisfazione.

3.1.8

L'articolo 27 stabilisce l'ovvio principio della possibilità, per le autorità doganali, di effettuare controlli di ogni genere, fisici, amministrativi, contabili o statistici; stabilisce inoltre che venga messo in opera un sistema elettronico per la gestione dei rischi, inteso a «identificare e valutare i rischi e a consentire di mettere a punto le misure necessarie a farvi fronte». Tale sistema, che gli Stati membri dovrebbero attuare in collaborazione con la Commissione al più tardi il 30 giugno 2009, sarà anch'esso regolato dalle norme che la Commissione detterà in base all'articolo 196. Il CESE si rallegra comunque dell'iniziativa, e spera che la Commissione abbia bene sondato la disponibilità di tutti gli Stati membri a mettere in opera un sistema che risulterà presumibilmente costoso e delicato da gestire.

3.1.9

L'articolo 30 esenta dai controlli e dalle formalità doganali i bagagli a mano e i bagagli registrati dei passeggeri nei viaggi aerei e marittimi intracomunitari, senza pregiudizio, peraltro, dei controlli di sicurezza e dei controlli connessi con i divieti o le restrizioni stabiliti dagli Stati membri: questo equivale a dire che l'esenzione vale soltanto nei paesi che non hanno stabilito divieti o restrizioni. Siccome delle limitazioni esistono sempre e ovunque, non foss'altro che per le merci sottoposte ad accise, la norma generale viene in pratica vanificata e rimane quindi inalterato il potere delle dogane di effettuare sempre dei controlli sui bagagli, siano essi a mano o registrati.

4.   Successivi titoli, da II a VIII: formalità e procedure doganali

4.1

I titoli da II a VIII trattano delle formalità e delle procedure doganali, riprendendo in larga parte il contenuto del Codice attualmente in vigore. Il CESE non intende entrare nell'esame dettagliato di questa materia, già ampiamente discussa nel corso delle consultazioni delle parti interessate effettuate preliminarmente alla redazione del testo. Ci si limita pertanto a commentare taluni articoli di particolare interesse.

4.2

L'articolo 55 stabilisce che l'obbligazione doganale sorge anche nei casi di contrabbando o traffico illegale (definiti come «importazione od esportazione di merci soggette a misure di qualunque specie che ne vietino o limitino l'importazione o l'esportazione»): i diritti doganali sono comunque dovuti, fatta salva l'applicazione di altre misure penali o amministrative. Sono invece esenti dall'obbligazione doganale la moneta falsa e gli stupefacenti fuori dai circuiti autorizzati; tali traffici sono evidentemente visti soltanto sotto il profilo penale, tranne nei casi in cui la legislazione di uno Stato membro preveda che i dazi doganali devono servire di base per la determinazione di sanzioni pecuniarie. Nonostante un parere contrario espresso dalla Corte europea di giustizia, il CESE non ritiene che le amministrazioni doganali debbano perdere un introito legittimo, rinunciando a stabilire un'obbligazione doganale — sanzioni amministrative e penali a parte — almeno per quanto riguarda gli stupefacenti, determinandone il valore al rispettivo prezzo di mercato. Il fatto che un'importazione di droga è criminosa, non cancella il fatto che sempre di un'importazione (illegale) si tratta. Si comprende insomma l'esenzione per la moneta falsa, ma non quella per gli stupefacenti.

4.3

In base all'articolo 61, le autorità doganali possono autorizzare l'operatore a costituire una garanzia globale per il pagamento delle sue obbligazioni doganali. L'articolo 64 stabilisce poi che una delle forme ammesse per tale garanzia è la fideiussione e l'articolo 66 precisa che questa può essere prestata da una «banca o altra istituzione finanziaria ufficialmente riconosciuta accreditata nella Comunità». La disposizione è importante in quanto riconosce che qualsiasi banca o istituzione finanziaria, di qualunque paese europeo, può prestare una fideiussione valida presso la dogana di un altro paese: si tratta di un principio importante e già in vigore, ma che è spesso ostacolato dalle dogane di vari paesi. Resta tuttavia da comprendere il significato della dizione «ufficialmente riconosciuta accreditata nella Comunità» che, ad avviso del CESE, è pleonastica e fuorviante: le banche e istituzioni finanziarie stabilite nella Comunità sono già in possesso del «passaporto europeo», senza necessità di ulteriori precisazioni.

4.4

Sempre in materia di fideiussioni, l'articolo 83 prevede la possibilità per la Commissione di adottare, sempre secondo la procedura «articolo 196», una «procedura speciale» per assicurare il pagamento da parte dei fideiussori. Mancano però indicazioni sul contenuto e sulla portata di tale procedura speciale. Se con questo si fa riferimento alla richiesta di escussione del fideiussore «a prima domanda», non si è certamente in presenza di niente di nuovo, in quanto tale tipo di garanzia già esiste ed è prevista anche da altre regolamentazioni (per esempio dal regolamento contabile dell'UE); se invece si pensa ad altre formule, sarebbe bene precisarle, in quanto il costo di una fideiussione varia a seconda del rischio e delle modalità di escussione del fideiussore.

4.5

L'articolo 83 prevede inoltre che i debiti doganali vengano gravati da interessi per il periodo intercorrente fra la data di scadenza e la data di effettivo pagamento; l'articolo 84 contempla invece il caso inverso, e cioè quando è l'autorità doganale a essere in debito verso l'importatore o esportatore: in tale ipotesi, la norma prevede esplicitamente che nessun interesse è dovuto per i primi tre mesi. Il CESE sottolinea la palese e inammissibile disparità di trattamento fra la pubblica autorità e il cittadino.

5.   Titolo IX: comitato del Codice doganale e disposizioni finali

5.1

Le disposizioni di questo Titolo sono fondamentali per comprendere la struttura del Codice e la sua portata. La chiave di volta è l'articolo 196, il quale prevede che per l'esecuzione della normativa «la Commissione è assistita dal comitato del Codice doganale» (in breve: «il comitato»), che agisce in forza «degli articoli 4 e 7 della decisione 1999/468/CE, tenendo conto dell'articolo 8 della stessa». In pratica, questo significa che la Commissione ha il potere di regolamentare — sia pure con l'assistenza del comitato — l'intera materia del Codice doganale, il che rientra nella normalità delle procedure comunitarie. Il CESE non ha nulla da obiettare in proposito; esprime tuttavia l'auspicio che le regole che saranno adottate siano rispettose delle necessità degli utenti e sufficientemente elastiche da poter essere adeguate tempestivamente alle evoluzioni delle tecniche, della tecnologia e degli usi commerciali.

5.2

In base ai poteri conferitile dal predetto articolo 196, la Commissione (articolo 194) può adottare misure tendenti a stabilire:

norme e standard per l'interoperabilità dei sistemi doganali,

«in quali casi e a quali condizioni la Commissione può emettere decisioni volte a richiedere agli Stati membri di revocare o modificare una decisione»,

«altre misure di applicazione eventualmente necessarie, in particolare quando la Comunità accetta impegni o obblighi in relazione ad accordi internazionali che richiedono l'adattamento delle disposizioni del codice».

5.2.1

I poteri della Commissione sono quindi piuttosto ampi, e includono anche la facoltà di determinare essa stessa (secondo trattino) i casi e le condizioni in cui può imporre agli Stati membri di revocare o modificare una loro decisione. Il CESE osserva che, mentre in relazione agli aspetti previsti dal primo e terzo trattino la Commissione esercita la sua funzione istituzionale di coordinamento e di esecuzione di decisioni prese o avvallate dal Consiglio, nel caso del secondo trattino si è in presenza di un esercizio del potere di tipo anomalo — anche se, tutto sommato, giustificato dalle circostanze e certamente non avversato dal CESE.

5.2.2

In linea generale, il CESE rileva che la decisione di esercitare dei controlli sulle operazioni di ogni genere fatte dai cittadini — ivi comprese le operazioni commerciali e doganali — influenza il libero scambio e deriva dalle scelte politiche, condivise a seconda delle sfere di competenza fra l'UE e gli Stati membri. La Commissione è, evidentemente, l'esecutrice di queste scelte.

5.2.3

Il CESE auspica che la riforma intrapresa in materia doganale non metta in causa il necessario equilibrio fra la libertà di commercio e la sicurezza degli utilizzatori nonché dei consumatori finali, e che essa rispetti la professionalità del personale doganale e quella dei dipendenti degli importatori/esportatori.

Bruxelles, 5 luglio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  GU C110 del 30.4.2004.


16.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 309/26


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro bianco: La politica dei servizi finanziari per il periodo 2005-2010

COM(2005) 629 def.

(2006/C 309/06)

La Commissione, in data 1o dicembre 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al: Libro bianco: La politica dei servizi finanziari per il periodo 2005-2010

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 maggio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore IOZIA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 5 luglio 2006, nel corso della 428a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 152 voti favorevoli, 1 voto contrario e 9 astensioni.

1.   Conclusioni e proposte

1.1

Il CESE condivide la proposta della Commissione di dedicare il prossimo quinquennio al «consolidamento dinamico» dell'industria finanziaria, implementando e rafforzando la legislazione vigente ed evitando al contempo il sovrapporsi di troppi interventi normativi (il cosiddetto gold-plating ), rispettando lo spirito della strategia di Lisbona e le specificità del modello sociale europeo.

1.2

È essenziale, anche a giudizio del CESE, valutare con attenzione il ruolo e l'attività delle autorità di vigilanza, stimolando il miglior coordinamento possibile, secondo quanto previsto per i comitati di livello 3 dal processo Lamfalussy.

1.2.1

Il CESE considera prematuro, allo stato, un'unica autorità di vigilanza europea, che potrebbe contribuire in futuro a facilitare l'integrazione dei mercati, ma ritiene utile oggi suggerire alle autorità europee l'individuazione di un'autorità di vigilanza principale, quella del paese di appartenenza della casa-madre, cui affidare il compito di sovrintendere anche alle attività svolte dalle filiali e dalle società controllate negli altri paesi dell'Unione. I vantaggi per le imprese a dimensione europea e per i consumatori sarebbero evidenti.

1.3

L'aumento dell'efficienza nelle transazioni finanziarie è alla base del crescente peso che le attività finanziarie hanno nell'economia (si tratta della cosiddetta finanziarizzazione dell'economia). La finanziarizzazione dell'economia si traduce in interessanti potenzialità di sviluppo economico ed occupazionale nel settore finanziario; essa può dar luogo a conseguenze negative per l'economia nel suo complesso. Il ruolo importante dei mercati borsistici motivati dal criterio del «valore per gli azionisti» (shareholder value) può trovarsi in rotta di collisione con le strategie industriali. Le pressioni commerciali e finanziarie sui dirigenti d'impresa possono determinare problemi nel lungo periodo ed essere la causa di OPA non meditate, che allo stato, in percentuali significative, hanno determinato distruzione di ricchezza nel breve termine.

1.3.1

Non si deve però dimenticare che a seguito dei processi di consolidamento si assiste, almeno nel medio-breve periodo, a una riduzione dell'occupazione nell'industria finanziaria che alimenta una crescente insicurezza tra gli addetti. Il CESE sottolinea la necessità di tener in conto le ricadute sociali nei processi di consolidamento, auspicando che gli Stati membri adottino adeguati ammortizzatori sociali e sostengano piani di formazione e riqualificazione professionale, indispensabili per realizzare gli obiettivi previsti dalla strategia di Lisbona.

1.4

Il CESE condivide gli obiettivi di semplificazione, codificazione e di impegno alla chiarezza, per realizzare la «migliore regolamentazione» e, a questo proposito plaude all'impegno della Commissione di tenere costanti, frequenti ed aperte consultazioni con tutti i soggetti interessati e di far precedere ogni proposta da una seria valutazione di impatto che comprenda anche la dimensione sociale ed ambientale e le esternalità relative a tutto il sistema economico.

1.4.1

Il CESE chiede che i lavori riguardanti il piano d'azione per i servizi finanziari abbiano maggiore visibilità e formino oggetto di dibattiti anche al di fuori delle cerchie di esperti.

1.5

Il CESE concorda sulla iniziativa proposta dalla Commissione di emanare una comunicazione/raccomandazione sugli OICVM, per cercare di superare gli attuali ostacoli rilevati sulla libera circolazione di questi strumenti finanziari.

1.6

Essenziale sarà rafforzare l'informazione, la cultura finanziaria e la consapevolezza dei consumatori. Opportuna l'intenzione della Commissione di avviare specifiche azioni con le associazioni europee dei consumatori, ma la Commissione dovrebbe essere più attiva nei confronti degli Stati membri, per indurli ad attivare forme più stringenti di coinvolgimento degli stakeholder a livello nazionale. Il CESE è disponibile a collaborare con queste iniziative, attraverso un proprio specifico intervento presso i consigli dei consumatori e i comitati economici e sociali nazionali.

1.7

Le attuali regole di vigilanza, diverse tra gli Stati membri, costringono le imprese a significativi obblighi di redazione di bilanci e di informazione societaria. L'adozione degli IFRS può essere l'occasione adatta per uniformare a livello europeo tali obblighi informativi. Il CESE rileva che lo IASB, organo di normalizzazione internazionale privato, non rispecchia completamente la realtà economica mondiale e auspica che esso si apra alla cooperazione internazionale con altri soggetti quali ad esempio la Commissione europea.

1.8

Per quanto riguarda le direttive proposte per il mercato retail, il CESE si riserva uno specifico giudizio sulla direttiva sul credito al consumo, da approvare al più presto, e su quella sui servizi di pagamento, per la quale sta elaborando un parere ad hoc. Per quanto riguarda quella sui mutui ipotecari, invece, il CESE, pur condividendone gli obiettivi, esprime fondate perplessità sulla effettiva possibilità di creare in tempi brevi un mercato integrato dei mutui. Con riferimento ai sistemi di regolamento e compensazione, infine, il CESE vedrebbe con favore l'adozione di una direttiva quadro.

1.9

La Commissione ha espresso delle perplessità sull'adozione del cosiddetto 26o regime nell'area dei servizi finanziari. Il CESE ne prende atto e si dichiara pronto a valutare, quando saranno fornite dai proponenti le condizioni per un'applicabilità effettiva, la quale dovrà tenere sempre in considerazione gli interessi e i reali vantaggi per i consumatori.

1.10

Per quanto riguarda le iniziative future, il CESE evidenzia:

l'utilità di un intervento sugli OICVM, finalizzato alla parificazione degli standard normativi delle polizze unit linked con gli altri prodotti finanziari,

l'importanza di garantire l'accesso a un conto bancario,

la necessità di eliminare gli ostacoli alla mobilità dei conti bancari transfrontalieri.

1.11

Il CESE è convinto che la qualità degli standard europei in materia di regolamentazione dei servizi finanziari sia molto elevata e che l'UE possa aspirare a diventare punto di riferimento per tutti gli altri paesi. L'Europa dovrebbe aprire un dialogo, oltre che con i paesi di nuova industrializzazione (ad esempio India, Brasile e Cina), come la Commissione propone, anche con quelli in via di sviluppo che necessitano di un notevole aiuto per sviluppare il mercato dei loro servizi finanziari.

1.12

Il CESE affianca tutte le istituzioni europee e nazionali nel contrastare la criminalità e il terrorismo. Anche in questa occasione, nella quale la Commissione sottolinea l'esigenza che il sistema finanziario fornisca una collaborazione piena e continua alle autorità competenti, il CESE sostiene e ribadisce tale appello alle istituzioni finanziarie, ma anche alle autorità competenti le quali dovrebbero far conoscere il seguito delle informazioni ricevute dagli intermediari finanziari.

2.   Premessa

2.1

Il Libro bianco sulla politica in materia di servizi finanziari 2005-2010 individua alcuni obiettivi da realizzare per favorire il consolidamento dinamico dell'industria di tali servizi, nella consapevolezza che un mercato finanziario efficiente è un elemento fondamentale nel perseguimento di una strategia di sviluppo e di crescita economica. La parola d'ordine del Libro bianco è «consolidamento dinamico», che identifica l'obiettivo di rimuovere, nonostante gli importanti risultati già conseguiti con il FSAP 1999-2005 (Piano d'azione per i servizi finanziari), le barriere che ancora sussistono alla libera circolazione dei servizi finanziari e dei capitali.

2.2

Il ruolo essenziale che la regolamentazione svolge nel funzionamento dei mercati finanziari legittima l'attenzione e l'enfasi con cui il Libro bianco si sofferma sulla necessità di implementare e rafforzare la legislazione esistente, evitando allo stesso tempo il sovrapporsi di troppi interventi normativi, soprattutto da parte degli Stati membri (il cosiddetto gold-plating).

2.3

L'analisi della cornice normativa non può prescindere da una riflessione sui limiti, compiti e responsabilità di coordinamento delle autorità di vigilanza nell'UE: allo stato attuale il mantenimento di una base nazionale per la vigilanza può rappresentare ancora la migliore forma di tutela e garanzia per i consumatori e gli investitori, ma non possono essere trascurati due importanti problemi che questa impostazione di fondo pone.

2.3.1

L'esercizio di una vigilanza non integrata a livello soprannazionale limita fortemente l'integrazione dei mercati: bisogna, pertanto, stimolare e consolidare una stretta cooperazione tra le autorità dei paesi membri. In effetti la gestione dei rischi nelle grandi banche europee, attive in più Stati membri, viene effettuata a livello di gruppo, su base consolidata. Occorre che le autorità di sorveglianza siano in grado di valutare correttamente il profilo di rischio di questi grandi gruppi europei.

2.3.2

Il mantenimento di forti prerogative a livello di vigilanza nazionale non deve essere l'occasione per innalzare quelle barriere al «consolidamento dinamico» a livello UE delle quali il Libro bianco auspica una progressiva rimozione.

3.   Osservazioni generali

3.1

In un recente parere il CESE ha formulato le proprie osservazioni sul Libro verde sulla politica sui servizi finanziari (2005-2010). Poiché il Libro bianco riprende molte delle proposte lì avanzate, il CESE ribadisce le valutazioni già formulate, riprendendole sinteticamente in questo parere (1).

3.1.1

Il Libro bianco sottolinea le potenzialità di sviluppo economico e occupazionale del settore dei servizi finanziari. Il Comitato ritiene, tuttavia, che su questo presupposto essenziale del documento si debba riflettere attentamente e con realismo, tenendo presenti diversi fatti ormai ben documentati.

3.2

Il processo di consolidamento del settore può favorire una maggiore efficienza e delle economie di scala che potranno, in ultima analisi, avvantaggiare i detentori di quote del capitale di rischio degli intermediari (attraverso l'aumento della redditività del capitale investito) e i fruitori dei servizi finanziari (attraverso la riduzione del costo degli stessi).

3.3

Allo stesso tempo esiste però un'ampia evidenza empirica che documenta una riduzione dell'occupazione nell'industria finanziaria a seguito dei processi di consolidamento, che alimenta un crescente senso di insicurezza tra gli addetti. Non ci si può nascondere il fatto che i piani industriali presentati in occasioni di fusioni e acquisizioni mettono l'accento soprattutto sui risparmi derivanti da minori costi del personale. Nell'immediato i processi di consolidamento si traducono in una perdita netta di posti di lavoro; si deve tuttavia riconoscere che essi aprono lo spazio per lo sviluppo di servizi e aree di attività innovativi che, a loro volta, avranno impatti positivi sull'occupazione. Riducendo gli ostacoli che impediscono ai fornitori di servizi finanziari di sfruttare appieno le sinergie delle fusioni transfrontaliere si consentirebbe alle banche di produrre i loro servizi a costi inferiori, permettendo politiche di prezzo più favorevoli per i clienti e favorendo pertanto un incremento della domanda. A ciò conseguirebbe uno stimolo degli investimenti da parte degli intermediari finanziari con ricadute positive anche in termini di occupazione. Questi nuovi posti di lavoro, con l'eccezione di settori particolari come i call center e i back office attirano in genere profili professionali più qualificati e meglio retribuiti.

3.4

Anche ammesso, quindi, che il consolidamento del settore non abbia ricadute nette negative sull'occupazione, il Comitato sottolinea con forza che non si può trascurare il gap temporale e di diversa qualifica professionale che intercorre tra la perdita di posti di lavoro esistenti e la creazione di nuovi. Nel momento in cui si sposta l'enfasi dalla difesa del posto di lavoro a quella della possibilità di trovare un lavoro, gli Stati membri dovrebbero mettere l'accento, in via prioritaria, oltre che sulla disponibilità di adeguati ammortizzatori sociali, anche sul sostegno a piani di formazione e di riqualificazione professionale.

3.5

Se i lavoratori percepiscono che le loro qualifiche e le loro competenze sono facilmente spendibili anche in un contesto economico in rapida evoluzione, accetteranno più di buon grado la minore stabilità del posto di lavoro che il «consolidamento dinamico» del settore comporta. Questa constatazione deve indurre a vedere la formazione professionale oltre che come uno strumento di contenimento dell'instabilità sociale, anche come un elemento essenziale e imprescindibile del successo di lungo periodo del piano di «consolidamento dinamico» e, più in generale, della strategia di Lisbona che mira a trasformare l'economia europea nella più importante «economia della conoscenza» del mondo. Occorre peraltro creare un'appropriata rete sociale che contribuisca a mitigare gli effetti, spesso gravi, di tali fasi di transizione.

4.   Osservazioni specifiche

4.1   Il miglioramento normativo

4.1.1

I tre principi guida del processo di miglioramento normativo sono così individuati: semplificazione, codificazione e impegno alla chiarezza. È importante procedere su questa strada, per garantire la necessaria coerenza tra provvedimenti, semplicità di applicazione e uniformità di recepimento.

4.1.2

Il CESE approva le proposte della Commissione sulla «migliore regolamentazione»; condivide in particolare l'impegno a mantenere consultazioni frequenti ed aperte con tutti i soggetti interessati e quello di far sempre precedere ogni proposta da una valutazione d'impatto, incentrata sui costi/benefici economici in senso largo, e cioè comprendenti anche la dimensione sociale ed ambientale. Altrettanto significativo è l'impegno da assumere con il Consiglio e il Parlamento per migliorare la qualità della legislazione e le esternalità relative a tutto il sistema economico.

4.1.3

Il CESE condivide l'opinione della Commissione sulla sfida rappresentata sia dal recepimento corretto e tempestivo, sia dalla successiva corretta applicazione da parte dei 25 Stati membri della legislazione europea, anche in vista degli ulteriori allargamenti, così come condivide l'esigenza di contrastare il gold-plating , e cioè l'adozione unilaterale di regole ulteriori che contrastano con il principio del mercato unico. Di fatto, l'ingiustificata diversità di regole nazionali a tutela dei consumatori rappresenta uno degli ostacoli principali all'integrazione dei servizi finanziari all'interno della UE.

4.1.4

Anche il CESE ritiene fondamentale verificare ex post se le regole abbiano dato i frutti sperati e se, almeno per i settori coperti dal cosiddetto «processo Lamfalussy», l'evoluzione dei mercati sia in linea con quanto in esso previsto.

4.1.5

La verifica della coerenza tra la normativa comunitaria e quella nazionale deve iniziare partendo dai settori più rilevanti o dove maggiori possono essere i problemi di armonizzazione e consolidamento normativo, come nel caso della distribuzione e pubblicità degli OICVM (organismi di investimento collettivo in valori mobiliari). L'aumento della concorrenza e dell'efficienza in questo settore passa necessariamente anche attraverso più ampi margini di manovra a livello distributivo e commerciale, fortemente ostacolati da un quadro normativo non ancora ben definito. Particolarmente opportuna è, pertanto, l'iniziativa della Commissione di preparare una comunicazione/raccomandazione per il 2006 e un Libro bianco nel mese di novembre sull'asset management.

4.1.6

La Commissione proporrà di riassumere in un'unica direttiva tra le 16 direttive esistenti del comparto assicurativo. Il CESE sostiene questa proposta di codificazione e la ritiene un ottimo esempio da seguire anche in altri campi, attraverso l'adozione di atti legislativi che riepilogano, semplificano e riordinano le diverse materie trattate in più direttive.

4.1.7

Il CESE ritiene utile anche il ricorso a procedure di infrazione, laddove si sia registrato un recepimento o un'applicazione scorretti delle norme europee; deve tuttavia notare che in questi ultimi tempi la Commissione è stata molto condizionata dal Consiglio ed ha fatto sempre meno ricorso a tali procedure.

4.1.8

Il miglioramento e la razionalizzazione nel settore dei servizi finanziari al dettaglio non possono trascurare il problema dell'informazione, dell'educazione e della consapevolezza dei consumatori: si tratta infatti di elementi essenziali per l'efficacia di qualsivoglia quadro normativo. È assai opportuna, pertanto, l'intenzione di avviare azioni specifiche a livello europeo con le associazioni rappresentative dei consumatori e con i rappresentanti dell'industria finanziaria, anche se la Commissione dovrebbe impegnarsi di più perché a livello nazionale tali pratiche diventino, se non obbligatorie, almeno fortemente consigliate. Il bollettino europeo per i consumatori è in linea di principio un'ottima iniziativa: bisogna però essere consapevoli che gli strumenti di informazione devono avere come caratteristica una reale prossimità al consumatore. Il CESE chiede alla Commissione di attivarsi nei confronti del Consiglio e del Parlamento per esaminare forme più stringenti di coinvolgimento degli stakeholder a livello nazionale, sull'esempio di quanto si intende realizzare a livello europeo. Lo sviluppo del FIN-NET — strumento attualmente sconosciuto alla stragrande maggioranza dei consumatori — va nella giusta direzione. Nella prospettiva di una revisione del ruolo di questo strumento, il CESE raccomanda di coinvolgere le organizzazioni dei consumatori e della società civile, così come gli attori sociali e si dichiara pronto a sostenere l'iniziativa attraverso, ad esempio, un suo specifico intervento presso i consigli nazionali dei consumatori e i comitati economici e sociali nazionali.

4.1.9

Il CESE ritiene che nel momento in cui la Commissione sostiene l'importanza della diffusione dell'informazione, soprattutto tra consumatori, investitori e impiegati nell'industria finanziaria, non si può sottovalutare il problema della lingua in cui sono redatti i documenti. La Commissione deve porre attenzione a questo problema, facendo tutti gli sforzi necessari per rendere disponibili nel maggior numero di lingue possibili almeno i documenti essenziali.

4.1.10

Il CESE apprezza l'attenzione rivolta ai consumatori e ai dipendenti delle imprese bancarie e finanziarie e l'impegno ad una loro regolare consultazione sui temi che li riguardano. Il valore aggiunto dell'integrazione dei mercati risiede nella soddisfazione del consumatore, ferma restando la necessaria attenzione all'impatto sociale delle decisioni assunte. Non sempre, però, nel passato le direttive in materia finanziaria si sono conformate a questo approccio. Le osservazioni proposte nel paragrafo «Osservazioni generali» vogliono ribadire con forza questa prospettiva d'analisi.

4.1.11

Per quanto riguarda l'interazione con altre aree della politica economica europea, il CESE ha già sottolineato come il regime dell'IVA per i grandi gruppi europei (2), possa essere un ostacolo al rafforzamento dei servizi finanziari e si compiace che la Commissione abbia espresso l'intenzione di presentare una proposta legislativa in tal senso. Si dovrà tuttavia valutare con particolare attenzione l'impatto economico, sociale ed ambientale che può avere un processo, pur auspicabile, di armonizzazione del regime dell'IVA. Il CESE ha comunque già fatto osservare come l'attuale situazione potrebbe rappresentare un ostacolo alla piena integrazione e al pieno sviluppo del mercato finanziario. Esso desidera inoltre richiamare l'attenzione sul problema dell' outsourcing , che potrebbe essere oltremodo incentivato da un quadro fiscale non armonico, con ricadute negative sull'occupazione, sulla qualità dei servizi e sull'affidabilità complessiva del sistema. Il CESE auspica che si proceda ad una attenta riflessione sull'argomento, visti anche i risultati spesso tutt'altro che eccellenti di tale pratica.

4.2   Assicurare una corretta struttura normativa e di vigilanza

4.2.1

L'obiettivo di conseguire un maggiore coordinamento tra le autorità di sorveglianza dei mercati è senza dubbio condivisibile. Questo obiettivo potrebbe essere facilitato da un ruolo progressivamente più incisivo dei comitati di livello 3, armonizzandone le competenze dei membri, nell'ambito del «processo Lamfalussy», ai fini del completamento del quadro normativo europeo. Ciò permetterebbe sia un alleggerimento del lavoro della Commissione sia l'abbassamento del rischio del gold-plating, da parte degli Stati membri o delle autorità di vigilanza.

4.2.2

Il CESE considera prematuro, allo stato attuale, pensare a un'unica autorità di vigilanza europea cui demandare la responsabilità del coordinamento. Nondimeno, esso ritiene che le autorità di vigilanza nazionali debbano cooperare attivamente e continuativamente, cercando di stabilire protocolli di comportamento e di intervento comuni. La maggiore fiducia reciproca che ne conseguirebbe rappresenterebbe un primo passo per avviare un processo che conduca in futuro alla costituzione di un'autorità di supervisione europea per i grandi gruppi finanziari, bancari ed assicurativi attivi in più Stati membri. Una prima importante decisione dovrebbe riguardare l'individuazione di un'autorità di vigilanza principale, nel paese sede della casa-madre, cui demandare la responsabilità della vigilanza sulle filiali e sulle società controllate presenti negli altri paesi europei. Le multinazionali e le autorità di vigilanza potrebbero effettivamente trarre vantaggio dal mercato unico, evitando così di dover moltiplicare la presentazione di bilanci, documenti informativi e dover tener conto di diverse regolamentazioni nazionali.

4.2.3

Il metodo utilizzato, ad esempio, nella direttiva Market abuse va incoraggiato. L'aver presentato un progetto di direttiva molto particolareggiato ha consentito dei recepimenti molto omogenei e ha permesso di lasciare ai regolatori una responsabilità importante: questa è stata altresì condivisa a livello europeo, individuando delle specifiche attività da trasferire tra le diverse autorità di sorveglianza.

4.2.4

L'adozione degli IFRS (International Financing Reporting Standards) è stata un'occasione importante per uniformare e fare convergere verso standard moderni la rappresentazione contabile della gestione d'impresa. Può anche diventare l'occasione per uniformare a livello europeo i tipi di dati che gli intermediari devono fornire alle rispettive autorità di vigilanza. Il CESE ritiene che l'adozione degli IFRS non lasci più alibi a rinvii o ritardi nel perseguimento di tale obiettivo, che è un prerequisito essenziale per un coordinamento e una cooperazione efficiente ed efficace nell'attività di vigilanza a livello europeo. Ci dovrebbe essere comunque un allineamento con i corrispondenti obiettivi nel progetto europeo «Solvency II». Comunque le imprese che non hanno ancora armonizzato i loro bilanci e i loro bilanci consolidati con gli IFRS non dovrebbero avere svantaggi nei confronti di quelle imprese in cui esiste questo obbligo.

4.3   Iniziative legislative in corso e future

4.3.1   Iniziative legislative in corso

4.3.1.1

Il retail banking è interessato da tre iniziative molto importanti. Per quanto riguarda quella sui mutui ipotecari, il CESE (3) ha già espresso alcuni fondati dubbi sulla concreta possibilità di integrare il mercato, alla luce delle implicazioni legali e delle difficoltà sostanziali che sono state evidenziate in un recente parere. Il CESE rimane in attesa di conoscere gli orientamenti della Commissione e le risposte che essa fornirà alle obiezioni avanzate.

4.3.1.2

Gli emendamenti proposti dalla Commissione alla direttiva sul credito al consumo, ora al vaglio del Parlamento, migliorano la precedente proposta, pur non soddisfacendo pienamente i consumatori. Il CESE attende di conoscere l'esito di questo confronto e auspica che in tempi brevi la direttiva venga approvata.

4.3.1.3

Anche la direttiva sui servizi di pagamento assume un ruolo importante. Esiste ancora un'area di opacità per quanto riguarda i servizi di pagamento transfrontalieri. Il sistema finanziario dovrebbe sottomettersi alle regole di concorrenza, trasparenza e comparabilità emanate dalla DG Concorrenza. La costruzione entro il 2010 dell'Area europea unica dei pagamenti (SEPA) è un obiettivo ambizioso e condivisibile, che renderà più efficienti i pagamenti transfrontalieri e garantirà i consumatori. Occorrerà, comunque, prendere in considerazione che sistemi efficienti e poco costosi (per esempio il sistema di addebito diretto) sono già operativi in alcuni Stati membri. Quando si realizzerà SEPA bisognerà tenere in conto gli interessi degli utenti e offrire un valore aggiunto. Il CESE ha in corso l'elaborazione di uno specifico parere in materia di servizi di pagamento, nel quale saranno evidenziate compiutamente le sue valutazioni.

4.3.1.4

La revisione del concetto di partecipazione qualificata, attraverso l'intervento sugli articoli 16 e 15 rispettivamente della direttiva sulle banche e di quella sulle assicurazioni, è un'iniziativa essenziale per impedire che alcune autorità di vigilanza possano ostacolare lo sviluppo equilibrato del mercato interno nascondendosi dietro l'alibi della gestione prudenziale dei sistemi finanziari. Il CESE ritiene che la migliore garanzia della stabilità di un sistema consista nel migliorare la sua efficienza, piuttosto che porre limitazioni al trasferimento del controllo delle imprese.

4.3.1.5

Per quanto riguarda i sistemi di regolamento e compensazione, la mancanza di un quadro di riferimento normativo ha contribuito al permanere di forti diseconomie e di veri e propri abusi. Le compensazioni e i regolamenti transfrontalieri sono più cari e meno efficienti di quelli nazionali. Il CESE vedrebbe con favore l'adozione di una direttiva quadro con l'obiettivo di accrescere la capacità competitiva degli operatori europei anche di fronte ai concorrenti internazionali. Un mercato efficiente ed ordinato attira gli investimenti e l'Europa ha bisogno di questo se vuole perseguire concretamente gli obiettivi della crescita economica e dell'occupazione.

4.3.2   Riflessioni in corso

4.3.2.1

Il CESE condivide le valutazioni della Commissione sugli ostacoli ingiustificati alla piena realizzazione della circolazione dei capitali e degli investimenti transfrontalieri.

4.3.2.2

La Commissione ha espresso perplessità sul cosiddetto 26o regime nell'area dei servizi finanziari. D'altra parte il principio dell'armonizzazione minimale ha portato a troppe differenze. Il principio dell' home country è stato un formidabile strumento di liberalizzazione e di concorrenza nell'ambito dell'UE. Questo principio di fatto sarà tanto più pienamente accettato dagli Stati membri quanto più consolidata è la fiducia reciproca circa la qualità della legislazione interna in ciascuno di essi. In questa prospettiva l'obiettivo della piena armonizzazione normativa è un importante volano che alimenta e consolida le anzidette relazioni di fiducia, che sono alla base del progressivo instaurarsi di una cultura comune. Questo dovrebbe portare all'armonizzazione delle clausole essenziali dei contratti dei servizi finanziari. Il CESE fa presente che d'altro canto, sinora, non è stata addotta alcuna prova dell'applicabilità (effettiva) del 26o regime e che la Commissione dovrebbe in ogni caso avviare un esame approfondito circa la sua applicazione. In un recente parere il CESE ha affermato: «(il 26o regime) potrebbe costituire una opzione praticabile solo dopo che si sarà verificato, attraverso uno studio approfondito delle legislazioni e dei contratti dei venticinque Stati membri, che lo strumento “parallelo” non infrange né i loro regolamenti né le loro legislazioni. In ogni caso le regole di normalizzazione non devono impedire l'offerta di nuovi prodotti, frenando l'innovazione» (4).

4.3.3   Iniziative future

4.3.3.1

Il CESE in un suo recente parere sul Libro verde del luglio 2005 ha evidenziato l'utilità di un intervento sugli OICVM  (5). «I fondi d'investimento si confrontano con prodotti finanziari, come le polizze unit linked , percepiti dagli investitori sullo stesso piano, nonostante abbiano una disciplina normativa assai diversa. Ciò può comportare distorsioni nelle scelte degli investitori, con conseguenze negative sul piano dei costi e su quello dei rischi degli investimenti effettuati. Il Comitato ritiene che non si possa affrontare il problema con una concorrenza al ribasso, allentando i vincoli e le garanzie richieste all'investimento in fondi. È auspicabile, invece, un adeguamento verso l'alto degli standard normativi grazie al quale i prodotti finanziari che nei fatti dimostrano di essere percepiti come un'alternativa diretta all'investimento in fondi, sono sottoposti a requisiti normativi paragonabili a quelli degli investimenti in fondi.» L'asimmetria degli obblighi tra fondi e polizze unit linked, lo sviluppo solo parziale del passaporto europeo, dovuto agli ostacoli che alcune autorità di vigilanza continuano a frapporre, la scarsa trasparenza sui costi, e in particolare quelli di uscita, la frammentazione del mercato e i relativi alti costi sono alcuni dei problemi evidenziati. Il CESE, comunque, guarda con preoccupazione lo sviluppo, in qualche Stato membro, di fondi a capitale garantito senza nessun obbligo di adeguati fondi propri da parte della società di gestione, così che, in caso di andamenti di mercato particolarmente sfavorevoli, ci si potrebbe trovare di fronte ad una protezione inadeguata dei consumatori. Il CESE chiede alla Commissione di eliminare questa mancanza, fissando adeguati obblighi di patrimonializzazione per le società proponenti fondi a capitale garantito e un livello specifico ed adeguato di sorveglianza. La tensione verso una migliore efficienza degli OICVM è particolarmente sentita dal CESE, anche in ragione del fatto che, come significativa componente di schemi di fondi pensione, essi possono dare un contributo importante alla soluzione di un problema giustamente ricordato all'inizio del Libro bianco, vale a dire il finanziamento del rilevante deficit pensionistico che affligge la maggior parte delle economie europee.

4.3.3.2

Il CESE concorda con la Commissione sull'importanza, non solo economica, dell'accesso a un conto bancario. Nell'economia moderna la titolarità di un conto bancario attribuisce di fatto una sorta di cittadinanza economica agli individui. In alcuni paesi dell'Unione tale diritto di cittadinanza viene riconosciuto per via legale, impegnando il sistema finanziario a garantire, a costi minimi di accesso, l'utilizzo di servizi base. In altri Stati si sta sviluppando una forte sensibilità all'argomento da parte delle imprese, che offrono, a pochi euro al mese, un «pacchetto» di servizi collegato al conto corrente.

4.3.3.3

L'intenzione di eliminare gli ostacoli alla mobilità dei conti transfrontalieri è apprezzabile e potrebbe contribuire ad abbassare i prezzi applicati dalle banche. Alla luce della possibilità di aprire conti on line, ciò potrebbe rendere veramente raggiungibile l'obiettivo di assicurare la mobilità intraeuropea dei conti. Occorre però tenere in conto che non tutti i consumatori sono in grado di utilizzare le tecnologie informatiche. La Commissione dovrebbe prospettare una soluzione soddisfacente anche per queste persone, che normalmente appartengono alle fasce più deboli. Va sottolineato che solo il consolidamento di una reale e costruttiva collaborazione tra le autorità di vigilanza può rendere concretamente attuabile questa ipotesi. La Commissione, in data 16 maggio 2006 (6) ha deciso di affidare ad un gruppo di esperti il compito di analizzare il tema della mobilità dei clienti in relazione ai conti bancari, dando seguito alle proposte contenute nel Libro bianco.

4.4   La dimensione esterna

4.4.1

L'ambizioso obiettivo della Commissione di far diventare l'Europa leader nella individuazione di standard a livello globale è sicuramente condivisibile. Coerentemente con le raccomandazioni del Doha round il CESE auspica inoltre che l'Europa guidi i paesi più avanzati nell'impegno di fornire a quelli meno sviluppati un'adeguata assistenza tecnica e finanziaria, sul piano sia normativo che dell'applicazione degli accordi e standard adottati. Il progredire dell'integrazione internazionale deve considerare anche le esigenze delle economie più deboli, che hanno la necessità di attrarre investimenti. Il CESE auspica che la Commissione tenga ben presenti queste esigenze nella trattativa e nel dialogo con le altre economie più avanzate.

4.4.2

La lotta all'utilizzo criminale dei sistemi finanziari vede attivamente impegnato il CESE, che affianca la Commissione e le altre istituzioni europee nel contrastare ogni forma di criminalità, spesso d'altronde legata anche al terrorismo internazionale. La criminalità economica ha numerose manifestazioni: frodi societarie e commerciali, riciclaggio di denaro sporco, evasione fiscale, corruzione. Spesso essa utilizza i canali dei servizi finanziari per completare l'azione criminosa. Il CESE fa appello alle istituzioni finanziarie perché forniscano un aiuto convinto alle autorità competenti. Le quali dovrebbero, d'altro lato, dare sufficienti riscontri alle segnalazioni ricevute dalle istituzioni finanziarie. Se esse, infatti, sono sufficientemente informate del seguito dato alle informazioni fornite alle autorità, a proposito di transazioni sospette, saranno più motivate a continuare ed incrementare gli sforzi necessari.

Bruxelles, 5 luglio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  GU C 65 del 17.3.2006.

(2)  GU C 65 del 17.3.2006.

(3)  GU C 65 del 17.3.2006.

(4)  GU C 65 del 17.3.2006.

(5)  GU C 110 del 17.5.2006.

(6)  Decisione 2006/355/CE della Commissione, del 16 maggio 2006, relativa alla costituzione di un gruppo di esperti sulla mobilità dei clienti in materia di conti bancari (GU L 132 del 19.5.2006).


16.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 309/33


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Consiglio recante approvazione dell'adesione della Comunità europea all'Atto di Ginevra dell'Accordo dell'Aia concernente la registrazione internazionale dei disegni e modelli industriali, adottato a Ginevra il 2 luglio 1999

COM(2005) 687 def. — 2005/0273 (CNS)

e alla

Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 6/2002 e il regolamento (CE) n. 40/94 allo scopo di rendere operativa l'adesione della Comunità europea all'Atto di Ginevra dell'Accordo dell'Aia concernente la registrazione internazionale dei disegni e modelli industriali

COM(2005) 689 def. — 2005/0274 (CNS)

(2006/C 309/07)

Il Consiglio, in data 17 febbraio 2006, ha deciso, conformemente agli articoli 308 e 300 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

Il Consiglio, in data 14 febbraio 2006, ha deciso, conformemente all'articolo 308 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 6/2002 e il regolamento (CE) n. 40/94 allo scopo di rendere operativa l'adesione della Comunità europea all'Atto di Ginevra dell'Accordo dell'Aia concernente la registrazione internazionale dei disegni e modelli industriali

COM(2005) 689 def. — 2005/0274 (CNS).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 maggio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore Bryan CASSIDY.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 5 luglio 2006, nel corso della 428a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 155 voti favorevoli, 3 voti contrari e 2 astensioni.

1.   Sintesi delle conclusioni e raccomandazioni del CESE

Le due proposte della Commissione sono tra loro connesse e quindi saranno esaminate dal CESE in un unico parere.

Il CESE sostiene pienamente le due proposte della Commissione.

2.   Principali elementi delle proposte della Commissione

2.1

L'obiettivo delle proposte in esame è stabilire un collegamento tra i sistemi comunitario e internazionale (o «dell'Aia») di registrazione dei disegni e modelli industriali, grazie all'adesione della Comunità europea all'Atto di Ginevra dell'Accordo dell'Aia. La prima proposta prevede l'approvazione dell'adesione della CE all'Atto di Ginevra, mentre la seconda mira a modificare i relativi regolamenti per rendere operativa tale adesione.

2.2

Il cosiddetto «sistema dell'Aia» si fonda sull'Accordo dell'Aia concernente la registrazione internazionale dei disegni e modelli industriali. L'Accordo è costituito da tre diversi Atti (l'Atto di Londra del 1934, l'Atto dell'Aia del 1960 e l'Atto di Ginevra del 1999), che sono autonomi e coesistono per quanto riguarda le loro disposizioni sostanziali. Le parti dell'Accordo possono decidere di aderire soltanto ad uno degli Atti, a due o a tutti e tre; in ogni caso, esse diventano automaticamente membri dell'Unione dell'Aia, di cui attualmente fanno parte 42 paesi, tra i quali 12 Stati membri dell'UE (1).

2.3

L'adesione della Comunità europea all'Atto di Ginevra permetterebbe ai disegnatori di tutta la CE di chiedere, con il deposito di un'unica domanda, la protezione di un loro disegno o modello nuovo e originale in tutti i paesi che sono parti dell'Atto. In questo modo si offrirebbe ai disegnatori un'ulteriore opzione di tutela dei propri disegni e modelli, che si aggiungerebbe alla protezione garantita a livello nazionale e a quella assicurata a livello comunitario.

2.4

Il risultato sarebbe un sistema più semplice, meno costoso e più efficiente sul piano economico. Nel sistema dell'Aia, infatti, i richiedenti non sono tenuti a fornire traduzioni dei documenti prodotti, a pagare una serie di tasse agli uffici di vari paesi e ad osservare scadenze diverse per il rinnovo delle domande presentate nei singoli Stati. Ciò in quanto, con tale sistema, il richiedente può chiedere la protezione del proprio disegno o modello in tutti i paesi (parti dell'Atto di Ginevra) da lui designati presentando una sola domanda in un solo ufficio e pagando un'unica serie di tasse.

2.5

Il sistema di registrazione comunitario permette ai disegnatori di proteggere disegni o modelli nuovi e originali, caratterizzati dal loro aspetto esteriore, attribuendo dei diritti esclusivi sui disegni o modelli registrati con effetto uniforme sull'intero territorio comunitario. Se è vero che sistemi analoghi di registrazione di disegni o modelli esistono anche nei singoli Stati membri, tuttavia il sistema comunitario rappresenta, per ogni impresa che operi nel mercato europeo, un modo economico e conveniente di ottenere una protezione uniforme in tutta la CE.

2.6

L'Accordo dell'Aia concernente la registrazione internazionale dei disegni e modelli industriali istituisce un sistema, gestito dall'Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (OMPI), in virtù del quale il deposito di una domanda internazionale unica consente di ottenere la protezione di un disegno o modello negli Stati contraenti designati dal richiedente. Il sistema dell'Aia può essere utilizzato da qualunque cittadino di un paese che sia parte dell'Accordo e da qualsiasi persona, fisica o giuridica, residente, domiciliata o stabilita in un tale paese. Attualmente l'OMPI non riceve domande depositate tramite uffici nazionali. Con il deposito diretto presso l'Ufficio internazionale dell'OMPI si prevengono confusioni e duplicazioni e si evita il rischio di dover pagare una tassa anche all'Ufficio per l'armonizzazione nel mercato interno (UAMI), che ha sede ad Alicante.

2.7

Inoltre, uno dei vantaggi del sistema dell'Aia è che agevola sia la registrazione delle eventuali modifiche che il rinnovo della registrazione.

2.8

L'Atto di Ginevra, entrato in vigore il 23 dicembre 2003, ha apportato una serie di modifiche volte a rendere più accessibile il sistema dell'Aia, in particolare consentendo alle organizzazioni internazionali come la CE di aderire agli Atti che lo compongono. Attualmente, sono parti dell'Atto di Ginevra 19 paesi, tra cui Singapore, la Svizzera e la Turchia, mentre alcuni Stati membri devono ancora siglarlo o ratificarlo.

2.9

L'Atto di Ginevra consente di presentare domande di registrazione redatte solo in una delle due lingue ufficiali del sistema (l'inglese e il francese).

2.10

Gli Stati Uniti dovrebbero aderire all'Atto di Ginevra nel novembre 2006, e la loro adesione e quella della CE dovrebbero incoraggiare altri importanti partner commerciali (Cina, Giappone, Corea del Sud) ad aderire a loro volta, consentendo così la registrazione di disegni o modelli in una serie di paesi di notevole rilievo economico.

2.11

La proposta stabilisce un collegamento tra la CE — considerata come un solo paese ai fini dell'Atto di Ginevra — e il sistema dell'Aia, aumentando in tal modo l'utilità di quest'ultimo.

3.   Osservazioni specifiche

3.1

La proposta di decisione del Consiglio (COM(2005) 687 def.) mira a consentire alla CE di agire come un solo paese nell'ambito del sistema dell'Aia in relazione al sistema di registrazione comunitario. Modificando il regolamento (CE) n. 6/2002, la proposta di regolamento del Consiglio rende operativa l'adesione della CE all'Atto di Ginevra.

3.2

Modificando il regolamento (CE) n. 40/94 (marchio comunitario), la stessa proposta consente all'UAMI di riscuotere le tasse dovute per la registrazione internazionale di disegni e modelli a norma dell'Atto di Ginevra.

3.3

La base giuridica della proposta volta a modificare questi due regolamenti è l'articolo 308 TCE.

3.4

Gli atti comunitari che sono oggetto delle due proposte non saranno adottati con la procedura di codecisione, ma con quella di consultazione, per cui sarà richiesto il parere del Parlamento europeo.

3.5

L'adozione di tali atti da parte del Consiglio dovrà avvenire all'unanimità.

4.   Costi

4.1

Concernendo la modifica di regolamenti direttamente applicabili negli Stati membri, le proposte in esame non dovrebbero comportare costi aggiuntivi.

4.2

Attualmente, le domande relative ai disegni e modelli sono soggette a tasse di registrazione e di rinnovo in ciascuno dei paesi in cui sono depositate. Si stima che, in generale, l'importo delle normali tasse di registrazione nazionali sia inferiore a 100 euro. Nel caso della registrazione internazionale, tuttavia, a ciò si aggiungono i costi e gli svantaggi del cambio di valuta.

Bruxelles, 5 luglio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Belgio, Estonia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Slovenia, Spagna e Ungheria. L'UE come tale non è membro del sistema dell'Aia.


16.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 309/35


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce le regole per la partecipazione di imprese, centri di ricerca e università alle azioni nell'ambito del Settimo programma quadro e per la diffusione dei risultati della ricerca (2007-2013)

COM(2005) 705 def. — 2005/0277 (COD)

(2006/C 309/08)

Il Consiglio, in data 1o marzo 2006, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 167 e 172, secondo comma, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 maggio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore WOLF.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 5 luglio 2006, nel corso della 428a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 152 voti favorevoli, 1 contrario e 3 astensioni.

1.   Sintesi

1.1

La proposta della Commissione concerne le condizioni, le regole e le procedure in base alle quali le imprese, le università, i centri di ricerca ed altre persone giuridiche possono beneficiare di un sostegno a titolo del Settimo programma quadro di ricerca e sviluppo tecnologico (RST).

1.2

Il Comitato approva la maggior parte del quadro normativo proposto, individuandovi miglioramenti e un potenziale di netta semplificazione delle procedure amministrative. Quanto alle disposizioni di attuazione interne alla Commissione, non ancora presentate, il Comitato, nell'ottica della semplificazione perseguita, raccomanda di vegliare anche in questo caso a una maggiore uniformazione e un'attuazione coerente, ad esempio per quanto riguarda i criteri applicabili.

1.3

Dato che le disposizioni di attuazione interne alla Commissione non sono state ancora presentate, non è però possibile allo stadio attuale valutare alcune conseguenze specifiche del quadro giuridico proposto. In questi casi (ad esempio il rimborso dei costi aggiuntivi), il Comitato raccomanda di mantenere, almeno per il momento, la normativa già esistente, onde evitare un'eventuale discriminazione dei diversi beneficiari.

1.4

Il Comitato approva i nuovi massimali di finanziamento previsti per i vari settori di attività e beneficiari e si compiace in modo particolare del fatto che questo contribuirà a migliorare il sostegno a favore delle PMI.

1.5

Il Comitato raccomanda di mettere su un piano di parità tutti gli organismi di ricerca finanziati con fondi pubblici, a prescindere dalla loro rispettiva forma giuridica.

1.6

Il Comitato raccomanda inoltre di dare maggiore libertà alle future parti contraenti nella scelta non solo della forma contrattuale, ma anche degli strumenti. Questo concerne in particolare i diritti di accesso alle conoscenze acquisite (foreground) e/o preesistenti (background) delle parti. In tale contesto, la gratuità dei diritti di accesso dovrebbe essere offerta come opzione e non essere prescritta indiscriminatamente — come si propone in alcuni casi.

1.7

Per maggiori particolari si rimanda al punto 4.

2.   Introduzione

2.1

Nella proposta relativa al Settimo programma quadro di RST (2007-2013) (1) (in breve: 7PQ) la Commissione ha illustrato gli obiettivi, i contenuti, i temi e il quadro finanziario del sostegno previsto per la ricerca, lo sviluppo tecnologico e la dimostrazione nel summenzionato periodo. Il Comitato ha già adottato pareri specifici (2) in merito sia a tale documento sia alle proposte preparatorie e integrative della Commissione, con particolare attenzione per i cosiddetti programmi specifici (3).

2.2

La proposta all'esame riguarda le condizioni, le regole e le procedure in base alle quali le imprese, le università e i centri di ricerca o altre persone giuridiche possono partecipare alle azioni del 7PQ, ossia beneficiare di un sostegno a titolo di tale programma.

2.3

In questo contesto, un punto fondamentale è l'intenzione della Commissione di semplificare le procedure amministrative legate al sostegno comunitario alla ricerca, intenzione che il Comitato aveva già accolto con favore e incoraggiato in pareri precedenti. A sua volta, esso aveva ribadito la raccomandazione di semplificare le procedure amministrative e di ridurre i relativi oneri, aumentando così l'efficienza dei programmi di ricerca europei. «Il fatto che attualmente le procedure di presentazione e approvazione delle proposte siano troppo onerose in termini di lavoro e di costi crea problemi agli utenti provenienti dal mondo scientifico e dall'industria. È fondamentale che la partecipazione al programma europeo di ricerca basti a ripagare, tra l'altro, il rischio legato alla presentazione di una proposta. Questo vale soprattutto per le entità di dimensioni più modeste, come le PMI o i gruppi di ricerca più piccoli a livello di università e centri di ricerca» (4). Come affermato esplicitamente, le regole per la partecipazione proposte dovranno quindi garantire anche l'auspicata semplificazione.

2.4

La proposta all'esame illustra il quadro normativo fondamentale ai fini di un impiego quanto più efficace, proficuo ed equo possibile delle risorse stanziate dalla Comunità per la ricerca e lo sviluppo (7PQ).

2.5

Le regole proposte per la partecipazione di imprese, centri di ricerca e università dovrebbero quindi offrire un quadro coerente e trasparente per garantire un'attuazione efficace del 7PQ e un accesso agevole al programma da parte di tutti i partecipanti. In tal modo si intende, da un lato, fornire sostegno a una vasta gamma di imprese, centri di ricerca e università e, dall'altro, consentire la partecipazione di soggetti provenienti dalle regioni ultraperiferiche della Comunità.

3.   Sintesi della proposta della Commissione

3.1

Le regole proposte dalla Commissione per la partecipazione al 7PQ sono intese ad attuare molti aspetti della summenzionata semplificazione basandosi sui principi definiti nel Sesto programma quadro (6PQ). Nel presente capitolo vengono riassunti brevemente alcuni punti importanti.

3.2

La proposta della Commissione contempla le seguenti sezioni: disposizioni introduttive, condizioni di partecipazione alle azioni indirette e relative procedure, contributo finanziario della Comunità, regole per la diffusione e la valorizzazione dei risultati, diritti di accesso alle conoscenze preesistenti e a quelle acquisite, Banca europea per gli investimenti.

3.3   Condizioni per la partecipazione alle azioni indirette

3.3.1

Alle azioni indirette devono partecipare almeno tre soggetti giuridici stabiliti ciascuno in uno Stato membro o in un paese associato; in nessun caso due di essi possono essere stabiliti nello stesso Stato membro o paese associato.

3.3.2

Per le azioni di coordinamento e sostegno e quelle di formazione e sviluppo della carriera dei ricercatori, la condizione minima è la partecipazione di un soggetto giuridico.

3.3.3

Per le azioni indirette a sostegno dei progetti di ricerca di frontiera finanziati nell'ambito del Consiglio europeo della ricerca, la condizione minima è la partecipazione di un soggetto giuridico stabilito in uno Stato membro o in un paese associato.

3.4   Contributo finanziario della Comunità

3.4.1

Per le attività di ricerca e sviluppo tecnologico, il contributo finanziario della Comunità può raggiungere al massimo il 50 % dei costi totali ammissibili.

3.4.1.1

Nel caso di organismi pubblici, istituti di istruzione secondaria e superiore, organismi di ricerca (5) e PMI, il relativo contributo della Comunità può arrivare invece fino al 75 % dei costi totali ammissibili.

3.4.2

Per le attività di dimostrazione, il contributo finanziario della Comunità può raggiungere al massimo il 50 % dei costi totali ammissibili.

3.4.3

Per le attività svolte nel quadro di progetti di ricerca di frontiera, azioni di coordinamento e sostegno e azioni per la formazione e lo sviluppo della carriera dei ricercatori, il contributo finanziario della Comunità può arrivare fino al 100 % dei costi totali ammissibili.

3.4.4

Anche per la gestione e i certificati di audit e altre attività non menzionate ai paragrafi 1, 2 e 3 dell'articolo 33, il contributo finanziario della Comunità può arrivare fino al 100 % dei costi totali ammissibili.

3.4.5

Per le reti di eccellenza viene proposto un importo forfetario specifico. A norma delle regole di partecipazione, si tratta di un importo fisso calcolato in funzione del numero di ricercatori coinvolti nella rete di eccellenza e della durata dell'azione.

3.5   Ulteriori regole

Le regole stabiliscono le procedure per la pubblicazione degli inviti a presentare proposte e quelle per la presentazione, la valutazione, la selezione e il finanziamento dei progetti,

il processo di valutazione elaborato nell'ambito dei programmi quadro precedenti resta pressoché invariato. La Commissione elaborerà un modello di convenzione di sovvenzione, il quale preciserà i diritti e gli obblighi reciproci dei partecipanti e quelli nei confronti della Commissione,

sono previsti tre tipi di sovvenzione: il rimborso dei costi ammissibili, un importo forfetario e il finanziamento a tasso forfetario. Per le azioni di ricerca di frontiera, il consiglio scientifico del Consiglio europeo della ricerca proporrà modalità di finanziamento adeguate.

3.6

Per quanto riguarda la diffusione, la valorizzazione e i diritti di accesso (proprietà, protezione, pubblicazione, diffusione e valorizzazione, diritti di accesso alle conoscenze preesistenti e acquisite) si intende garantire la massima continuità possibile con il programma precedente. I cambiamenti introdotti serviranno a garantire ai partecipanti una maggiore flessibilità nell'attuazione dei progetti. È fatta salva la possibilità di escludere le conoscenze preesistenti e di stabilire condizioni diverse da quelle previste dalle regole di partecipazione. A livello delle disposizioni relative alla diffusione e alla pubblicazione vi è una maggiore coerenza.

3.7

Come già nel 6PQ, i partecipanti ad un consorzio saranno responsabili della completa esecuzione degli incarichi loro affidati anche se uno di loro non dovesse rispettare gli impegni presi. Tuttavia non verrà più applicato il principio della responsabilità finanziaria collettiva introdotto nel 6PQ per la maggior parte delle azioni. In funzione di una valutazione dei rischi che il finanziamento comunitario della ricerca comporta per il bilancio dell'Unione, potrebbe essere introdotto un meccanismo per coprire il rischio finanziario dovuto al mancato rimborso dell'importo dovuto alla Comunità dai partecipanti che abbandonano il programma. Le garanzie bancarie, pertanto, saranno richieste solo quando, in via eccezionale, l'anticipo costituisce più dell'80 % della sovvenzione.

4.   Osservazioni del Comitato

4.1

Semplificazione. Il Comitato è favorevole all'obiettivo estremamente importante di una semplificazione di tutte quelle procedure che sono state finora applicate dalla Commissione o che sono state imposte dalla stessa Commissione a coloro che operano nella RST. Il Comitato presenta le sue osservazioni, formulate qui di seguito, come un contributo costruttivo su questo tema ed è consapevole del fatto che la realizzazione di tale obiettivo non è un compito facile, in considerazione delle regole generali di bilancio e dell'esigenza di trasparenza, peraltro sostenuta dal Comitato stesso. Sarebbe particolarmente auspicabile sperimentare, mediante progetti pilota selezionati, procedure amministrative ulteriormente semplificate, nel quadro di quanto giuridicamente possibile; le esperienze maturate potrebbero essere di aiuto nella decisione riguardante le misure future.

4.1.1

Miglioramenti. Il Comitato riconosce gli sforzi compiuti dalla Commissione per raggiungere questo obiettivo e per garantire alla ricerca il miglior sostegno comunitario possibile. Reputa pertanto che in molti punti delle proposte presentate vi siano stati dei sensibili miglioramenti rispetto alle procedure precedenti, come nel caso del rimborso dei costi (articoli 30 e 31), dei diversi tipi di sovvenzione, o anche delle convenzioni di sovvenzione, dei contratti e delle lettere di nomina (articoli 18 e 19). In quest'ultimo caso, però, solo a patto di semplificare anche le modalità di pagamento e soprattutto quelle di rendicontazione. In tale contesto, il Comitato rimanda anche alle sue precedenti raccomandazioni in materia di semplificazione (6), che riguardano anche il coordinamento, a livello di contenuti e di scadenze, tra le procedure richieste dalla Commissione e quelle di altri donatori o di altri organi di controllo (7).

4.1.2

Uniformazione. L'obiettivo dell'uniformazione contribuisce inoltre allo sforzo di standardizzare maggiormente le varie procedure applicate o imposte dalla Commissione, come quella relativa all'indicazione dei costi o alla verifica della capacità finanziaria. In considerazione del mercato interno e ai fini di una maggiore certezza giuridica, il Comitato non può che condividere pienamente questo obiettivo (8). Purtroppo, però, non sarà possibile ottenere una completa uniformazione fino a quando i vari beneficiari degli aiuti esistenti nei diversi Stati membri (p. es. le università) non utilizzeranno a loro volta un sistema di fatturazione standard o adeguato.

4.2

Ulteriori disposizioni e misure. Ai fini della semplificazione e dell'uniformazione sono però necessarie anche ulteriori misure da parte della Commissione, finora solamente annunciate nella proposta all'esame, ad esempio all'articolo 16, paragrafo 4, che recita: «La Commissione adotta e pubblica delle regole destinate a garantire una verifica coerente dell'esistenza e dello statuto giuridico dei partecipanti alle azioni indirette, nonché della loro capacità finanziaria». Dato che le ulteriori misure, che qui di seguito verranno chiamate «disposizioni di attuazione interne alla Commissione», non sono state ancora presentate, in alcuni casi non è possibile valutare, per il momento, le conseguenze che avranno le proposte della Commissione che da esse dipendono.

4.2.1

Interpretazione uniforme e criteri. Il Comitato esprime l'auspicio che in tutti i servizi della Commissione coinvolti venga garantita un'interpretazione uniforme delle disposizioni di attuazione interne alla Commissione, soprattutto per quanto riguarda le disposizioni legislative e finanziarie relative ai progetti, in modo tale che le regole all'esame rappresentino un ulteriore importante passo verso la semplificazione e l'uniformazione e che per i singoli esecutori di RST non ne derivino degli svantaggi rispetto all'applicazione delle modalità vigenti attualmente. In linea generale, laddove la proposta della Commissione lascia ancora un margine di interpretazione, il Comitato raccomanda di colmare questa lacuna apportando ulteriori precisazioni alle disposizioni di attuazione interne alla Commissione, a vantaggio della certezza giuridica.

4.2.2

Misure di sostegno. Gli helpdesk e le stanze di compensazione (clearing houses) già attivati o proposti dalla Commissione dovrebbero garantire che le informazioni fornite dalla Commissione siano coerenti ed uniformi. Il Comitato reputa che si tratti di una misura importante ed utile. Parallelamente si dovrebbe però fare in modo di garantire modalità di intervento uniformi anche nel caso delle procedure interne alla Commissione e nel quadro dei requisiti formulati dai responsabili di progetto e delle decisioni da essi adottate.

4.2.3

Rendicontazione. A parte alcune eccezioni motivate, va evitato anche, ad esempio, che i responsabili di progetto, oltre alle relazioni previste dalle disposizioni vigenti, richiedano ulteriori relazioni intermedie, o che sia necessario fornire le medesime informazioni in più relazioni in forma diversa. (9) È importante anche una standardizzazione della rendicontazione; quello che conta sono infatti i contenuti e non le forme.

4.2.4

Valutazione intermedia ( midterm-assessment ). Ciò nondimeno, considerato che la durata prevista del 7PQ è di sette anni, il Comitato raccomanda di procedere a una valutazione intermedia sia del programma che delle regole di partecipazione a metà di tale periodo, onde apportare gli adeguamenti eventualmente necessari.

4.2.5

Responsabili di progetto. Ai fini della semplificazione, dell'uniformazione e, in generale, dell'efficacia delle procedure amministrative, è importante inoltre che i responsabili di progetto, anche per garantire la necessaria continuità (cfr. il punto seguente), dispongano di un'eccellente esperienza specialistica e conoscano i partecipanti. Non sarebbe sufficiente che i responsabili di progetto si limitassero ad esercitare una funzione puramente amministrativa, senza conoscere profondamente la materia in questione e gli ambienti coinvolti. In questo contesto il Comitato rimanda alle proprie raccomandazioni (10) formulate al riguardo (11) in svariate occasioni.

4.3

Continuità. Dato che ogni nuova disposizione comporta un'interruzione della continuità e quindi ulteriori disfunzioni, occorre valutare attentamente se le modifiche proposte dalla Commissione portino effettivamente a risultati decisamente migliori a fronte dei quali i citati inconvenienti sono irrilevanti, o se invece non vadano mantenute le disposizioni in vigore. Il Comitato approva il fatto che, ai sensi della proposta della Commissione, molte delle regole che hanno dato buoni risultati restino in vigore. Nel caso di alcune modifiche proposte, tuttavia, non è chiaro se in tal modo si possano effettivamente ottenere dei miglioramenti rispetto alle norme vigenti finora. In questo contesto il Comitato raccomanda di tenere presente la continuità.

4.4

Contributo finanziario della Comunitàrimborso dei costi e tipologie di finanziamento. Ferma restando la necessità di chiarire in modo soddisfacente le questioni ancora aperte (p. es. al punto 4.5), il Comitato riconosce che nelle proposte della Commissione al riguardo vi sono stati in gran parte dei miglioramenti, che esso accoglie con favore.

4.4.1

PMI. Il Comitato si compiace soprattutto del fatto che i massimali di finanziamento per le PMI  (12), ad esempio, siano passati dal 50 % al 75 % (articolo 33, paragrafo 1, secondo comma). Reputa che questo sia anche merito delle sue precedenti raccomandazioni, in cui aveva esortato a creare incentivi maggiori e più adeguati per una più ampia partecipazione delle PMI al 7PQ, potenziando in tal modo anche i collegamenti tra le PMI e gli istituti di ricerca (13).

4.4.2

Istituti di istruzione superiore, ecc. Il Comitato si compiace altresì del fatto che i massimali siano stati fissati al 75 % anche per gli organismi pubblici, gli istituti di istruzione secondaria e superiore e gli organismi di ricerca (anche in questo caso articolo 33, paragrafo 1, secondo comma). In tale contesto raccomanda di strutturare in modo più chiaro l'articolo 33 in modo da poter distinguere meglio tra i partecipanti aventi scopo di lucro e quelli del settore non profit.

4.4.3

Tassi medi per il rimborso dei costi relativi al personale. Il Comitato reputa che la possibilità per i partecipanti di fissare tassi medi per il rimborso dei costi relativi al personale (articolo 31, paragrafo 3, lettera a)) rappresenti un vantaggio ai fini della semplificazione.

4.4.4

Costi di gestione. Anche ai fini della necessaria continuità, il Comitato si compiace altresì che sia stato mantenuto il rimborso totale, come previsto finora, dei cosiddetti costi di gestione. La proposta di sopprimere senza riserve il massimale del 7 % previsto finora per tale tipologia di costi appare però discutibile, se non si applicano, secondo altre modalità, criteri estremamente severi alle spese di gestione richieste per i singoli progetti. Effettivamente è vero che l'attuale limite del 7 % si è dimostrato troppo basso proprio a causa degli elevati oneri imposti finora sul piano amministrativo, del coordinamento, ecc., e che quindi andrebbe innalzato. D'altro canto, però, si dovrebbe evitare che un rimborso illimitato di tutti i costi amministrativi porti a una indesiderata lievitazione degli oneri di gestione, invece che alla loro riduzione.

4.5

Costi aggiuntivi nel caso delle università. Secondo la proposta della Commissione non sarà più prevista la possibilità di un finanziamento del 100 % dei costi ulteriori o aggiuntivi (additional cost) (14) contemplata finora per le università e gli organismi di ricerca analoghi. Sebbene in compenso vengano proposti altri modelli di finanziamento, il Comitato reputa che la proposta di sopprimere tale possibilità sia di difficile realizzazione poiché gli organismi in questione, in generale, non applicano una contabilità analitica che consenta di determinare i costi totali (full cost) (15). Inoltre, per quanto concerne il finanziamento a tasso forfetario proposto dalla Commissione in alternativa, non è ancora possibile stabilire se esso non comporterà un notevole peggioramento, in quanto non esistono ancora le disposizioni di attuazione interne alla Commissione previste al riguardo (cfr. sopra). Il Comitato raccomanda pertanto che, qualora tali organismi non dispongano di un consuntivo dei costi totali, venga mantenuta la regola del rimborso del 100 % dei costi aggiuntivi, almeno fino a quando non verrà garantito che altri sistemi di finanziamento (16) non comporteranno svantaggi rispetto all'applicazione delle norme attualmente vigenti.

4.6

Forma giuridica degli organismi di ricerca. A parere del Comitato, tutti gli organismi di ricerca il cui finanziamento di base è a carico dello Stato vanno trattati allo stesso modo sotto tutti i punti di vista (e in tutti gli articoli della proposta, per esempio all'articolo 33, paragrafo 1, e all'articolo 38, paragrafo 2), indipendentemente dalla loro forma giuridica. Ciò significa, ad esempio, che anche le organizzazioni o i centri di ricerca di diritto privato senza scopo di lucro il cui finanziamento di base è a carico dello Stato (17) vanno equiparati agli organismi di diritto pubblico. In fin dei conti la scelta della forma giuridica che gli Stati membri reputano più idonea per organismi di ricerca di questo tipo rientra tra le prerogative giuridiche degli Stati membri e non dovrebbe in alcun caso comportare delle differenziazioni sul piano dei finanziamenti comunitari alla ricerca.

4.7

Proprietà intellettuale. Nel quadro delle norme proposte (articoli da 39 a 43) si dovrebbe garantire che i diritti di proprietà intellettuale frutto delle attività di ricerca finanziate con i soldi dei contribuenti europei non possano essere trasferiti in modo incontrollato ad imprese con sede in paesi extraeuropei.

4.7.1

Software libero ( open source ). Attualmente i software sviluppati nel quadro di progetti di ricerca finanziati dalla Comunità, in generale, hanno la possibilità di essere ampiamente diffusi e largamente utilizzati — e le potenzialità, quindi, per essere sfruttati per versioni commerciali o servizi basati su di essi — solo se sono disponibili come «software libero». A tal fine andrebbe concesso al consorzio il più ampio margine di manovra per quanto riguarda le condizioni di concessione delle licenze.

4.8

Diritti di accesso. Nella parte dedicata ai diritti di accesso (articoli da 48 a 52) (18) alle conoscenze acquisite (foreground) e/o alle conoscenze preesistenti (background) dei partecipanti, i diritti di accesso non riguardano tutte le conoscenze o i diritti acquisiti da una parte contraente (per esempio da un'università o da un centro di ricerca), ma solo quelli che derivano da attività di ricerca o lavori preparatori effettuati dal o dagli enti organizzativi e dai gruppi coinvolti nel progetto comune in questione, e di cui gli altri partecipanti necessitano per poter svolgere il lavoro previsto nel quadro dell'azione indiretta. Il Comitato esprime pertanto parere favorevole in merito all'articolo 48, che consente di chiarire questo punto separatamente per ogni singolo progetto stilando un elenco degli elementi inclusi e/o esclusi  (19) concordato tra le parti. Gli elenchi positivi servono anche ad evitare di rivelare informazioni preesistenti di cui va garantita la riservatezza. Per non ritardare inutilmente l'avvio del progetto sarebbe tuttavia opportuno concedere ad esempio un periodo fino a 6 mesi dall'inizio del progetto per disciplinare questi aspetti.

4.9

Diritti di accesso gratuiti alle conoscenze. Il Comitato nutre perplessità sulle disposizioni volte a concedere a titolo gratuito, senza alcuna eccezione, il diritto di accesso alle conoscenze. Raccomanda in generale di concedere ai partecipanti ai progetti il margine di manovra più ampio possibile per poter giungere all'accordo più adatto a ogni singolo caso. Può essere opportuno, ad esempio, concedere diritti di accesso a titolo gratuito anche agli esecutori di RST.

4.9.1

Conoscenze preesistenti necessarie ai fini dell'attuazione di azioni indirette. Il Comitato, in linea di principio, è favorevole alla proposta di prevedere che gli esecutori di RST concedano sempre a titolo gratuito l'accesso alle conoscenze preesistenti qualora esse siano necessarie ai fini dell'attuazione di un'azione indiretta. Tuttavia, una norma esclusiva di questo tipo, in taluni casi, può creare delle difficoltà alle parti coinvolte. Il Comitato raccomanda pertanto di modificare l'ultimo comma dell'articolo 50, paragrafo 2 (20).

4.9.2

Conoscenze preesistenti necessarie per valorizzare la conoscenze acquisite. È molto problematica, invece, la proposta in base alla quale gli esecutori di RST sono tenuti a concedere l'accesso alle conoscenze preesistenti sempre a titolo gratuito, qualora esse siano necessarie per la valorizzazione delle conoscenze acquisite. Le conoscenze preesistenti sono state acquisite con le risorse degli esecutori di RST, con gli aiuti erogati in precedenza o con i fondi pubblici dello Stato membro interessato e sono quindi soggette agli obblighi e alle condizioni che ciò comporta (21). Qualora venissero applicate le disposizioni proposte dalla Commissione, ci sarebbe il pericolo che proprio gli esecutori di RST particolarmente potenti e quelli che detengono un forte potenziale di know-how non possano o non vogliano partecipare e vengano quindi esclusi dal progetto. Il Comitato raccomanda pertanto di sopprimere o modificare il testo dell'articolo 51, paragrafo 5 (22).

4.9.3

Ricerca di «frontiera». Anche se nel caso della ricerca di «frontiera» si tratta prevalentemente di attività di R&S nel campo della ricerca di base, il Comitato ha fatto notare più volte che in molti casi (23) i confini tra la ricerca di base e le applicazioni sono fluidi. Anche in questo caso, quindi, ci si devono attendere le stesse conseguenze negative menzionate sopra. Una tale situazione andrebbe assolutamente evitata e nel quadro regolamentare se ne dovrebbe pertanto tenere conto. Il Comitato raccomanda perciò di sopprimere l'intero paragrafo 1 dell'articolo 52 oppure di modificarlo in modo adeguato (24).

4.9.4

Gruppi specifici. Nella proposta della Commissione non vi è alcuna definizione delle attività di ricerca destinate a gruppi specifici. Le affermazioni formulate a tale proposito non andrebbero assolutamente confuse o addirittura equiparate a quanto affermato riguardo alla ricerca di frontiera.

4.10

Libera scelta degli strumenti. Il Comitato ribadisce la sua raccomandazione (25) secondo cui i progetti non vanno subordinati a priori a determinati strumenti, ma, al contrario, «i proponenti devono poter adeguare gli strumenti in funzione della struttura e delle dimensioni necessarie e ottimali di ciascun progetto. Solo in questo modo è possibile evitare che vengano creati dei progetti le cui dimensioni e struttura si adattino agli strumenti prefissati piuttosto che ai requisiti ottimali sul piano tecnico-scientifico. Gli strumenti devono servire le condizioni di lavoro e gli obiettivi di ricerca e sviluppo, e in nessun caso deve avvenire il contrario.» Andrebbe perciò mantenuta in particolare la possibilità di ricorrere ai progetti di ricerca specifici mirati (Specific Targeted Research Projects, STREP) in quanto sono particolarmente adatti soprattutto alla partecipazione delle PMI e di gruppi di ricerca più piccoli.

4.11

Soppressione della responsabilità finanziaria collettiva. Il Comitato si compiace che la Commissione intenda sopprimere il principio della responsabilità finanziaria collettiva e ricorda che già nelle raccomandazioni (26) formulate in merito al 6PQ aveva fatto presenti i problemi legati a tale principio.

4.11.1

Fondo per la copertura dei rischi. Il Comitato appoggia pertanto anche l'istituzione del fondo per la copertura dei rischi (articolo 38, paragrafo 1), come garanzia contro eventuali mancati rimborsi degli importi dovuti; in tale fondo verrà versata una piccola percentuale del contributo finanziario corrisposto per le azioni indirette. Tuttavia sarebbe auspicabile che la Commissione, nella pubblicazione del bando, indicasse la forcella entro cui si situa tale percentuale da definire poi in funzione del livello di rischio stimato. Il Comitato si compiace anche del fatto che eventuali somme in eccesso di questi importi accantonati verranno rimborsate al programma quadro e costituiranno entrate assegnate.

4.11.2

Esclusione. Il Comitato raccomanda tuttavia di escludere dal campo di applicazione di tale disposizione (a norma dell'articolo 38, paragrafo 2) tutti gli organismi di ricerca il cui finanziamento di base è a carico dello Stato (27), indipendentemente dalla loro forma giuridica.

4.11.3

Interruzione del progetto. Il Comitato, al contempo, richiama l'attenzione sulla proposta relativa alla responsabilità solidale, sul piano tecnico, dei partecipanti al progetto (articolo 18, paragrafo 4). A parere del Comitato anche il consorzio dovrebbe avere la facoltà di decidere in merito a un'eventuale interruzione del progetto qualora il suo proseguimento non avesse più senso o non fosse più accettabile per motivi tecnico-scientifici o a causa degli eccessivi oneri finanziari. I paragrafi 4 e 5 dell'articolo 18 andrebbero modificati di conseguenza.

4.12

Comitati di programma. La proposta della Commissione prevede che i comitati di programma non abbiano più il compito di approvare i singoli progetti proposti per un finanziamento. A parere del Comitato, ciò dovrebbe avvenire però solo qualora la Commissione, nella scelta dei programmi, segua il voto degli esperti che hanno effettuato la valutazione. In caso contrario, nonché per l'approvazione dei programmi di lavoro e per l'assegnazione dei fondi, dovrebbe restare necessaria l'approvazione da parte dei comitati di programma competenti. Una soluzione di compromesso potrebbe essere quella di presentare al comitato di programma, al termine della valutazione, un piano per l'attuazione dell'invito a presentare proposte (call implementation plan) sul quale il comitato di programma delibera e adotta una decisione formale. Ciò non comporterebbe alcun ritardo in quanto il comitato di programma non deciderebbe più in merito ai singoli progetti.

4.13

Convenzione di sovvenzione. Il pertinente articolo 19, paragrafo 8, fa riferimento alla Carta europea dei ricercatori e al Codice di condotta per l'assunzione di ricercatori. Il Comitato fa notare che tale Carta ha solo carattere di raccomandazione e quindi non deve diventare vincolante in questo modo. Ribadisce inoltre di essere favorevole a diversi elementi della Carta, ma fa comunque presente che in passato aveva raccomandato di rivedere il testo soprattutto a motivo dell'eccesso di regolamentazione e della presenza di alcuni elementi poco chiari (28).

4.14

Banca europea per gli investimenti. Il Comitato accoglie con favore la proposta (e la regolamentazione indicata al riguardo) di concedere alla Banca europea per gli investimenti una sovvenzione per coprire i rischi legati ai prestiti concessi per realizzare gli obiettivi del 7PQ. Tali prestiti dovrebbero essere utilizzati soprattutto per progetti di dimostrazione (per esempio nel campo della ricerca energetica o sulla sicurezza).

Bruxelles, 5 luglio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  COM(2005) 119 def.

(2)  GU C 65 del 17.3.2006 e CESE 583/2006.

(3)  COM(2005) 439, 440, 441, 442, 443, 444, 445 deff.

(4)  GU C 65 del 17.3.2006, punto 1.11.

(5)  La Commissione dà, all'articolo 2, punto 3, della proposta, una definizione di «organismo di ricerca». In altri punti del documento utilizza anche i termini «istituto di ricerca» e «centro di ricerca» come sinonimi.

(6)  GU C 110 del 30.04.2004.

GU C 157 del 28.06.2005.

GU C 65 del 17.03.2006.

(7)  GU C 157 del 28.06.2005 punto 4.17: «Evitare organismi paralleli e sovrapposizioni

(8)  Al di là della proposta all'esame, sarebbe addirittura auspicabile uniformare maggiormente le procedure di pagamento di tutte le misure di sostegno comunitarie, compresi il programma CIP e i fondi strutturali.

(9)  Cfr. anche le due note precedenti.

(10)  Cfr. p. es. il punto 9.8.4 del parere CES 595/2000 (GU C 204 del 18.7.2000).

(11)  Cfr. nota 6

(12)  Così come per gli organismi pubblici, gli istituti di istruzione secondaria e superiore e gli organismi di ricerca.

(13)  In questo contesto il Comitato ricorda la sua raccomandazione di reintrodurre il periodo di grazia nel diritto brevettuale, anche se non sarebbe necessario che dalla pubblicazione scientifica derivi un diritto di priorità. Cfr. CESE 319/ 2004, punto 2.5 e segg. (GU C 110 del 30.4.2004).

(14)  Sistema AC: finanziamento dei costi aggiuntivi diretti ammissibili dei contraenti e versamento di un importo forfetario per i costi indiretti in base al sistema dei costi aggiuntivi (Additional Cost Model, AC). Nel 6QP l'importo forfetario è pari al 20 % del totale dei costi aggiuntivi diretti, esclusi i costi di subappalto.

(15)  Sistema FC: finanziamento dei costi ammissibili diretti e indiretti dei contraenti in base al sistema dei costi totali (Full Cost Model, FC). In tale contesto è previsto il caso particolare del sistema FFC: finanziamento dei costi diretti ammissibili dei contraenti e versamento di un importo forfetario per i costi indiretti in base al sistema dei costi totali con percentuale forfetaria (Full Cost Flat Rate Model, FFC). L'importo forfetario è pari al 20 % dei costi diretti complessivi, esclusi i costi di subappalto. Per tutti e tre i sistemi (FC, FCF e AC) nel 6PQ i costi totali sono dati semplicemente dalla somma dei costi diretti e indiretti.

(16)  In ogni caso, per le attività di ricerca l'eventuale importo forfetario (flat rate) per coprire i costi indiretti (overhead) di cui all'articolo 32 dovrebbe essere pari almeno al 20 % dei costi diretti ammissibili, ad esclusione dei costi di subappalto. Questa regola, che è già prevista nel 6PQ per i sistemi FCF e AC, andrebbe mantenuta per soddisfare l'esigenza di continuità e soprattutto per tener conto del diverso grado di sviluppo dei sistemi di contabilità degli organismi che partecipano al PQ.

(17)  In Germania, per esempio, organizzazioni di ricerca quali le società Helmholtz, Fraunhofer, Leibniz e Max Planck; nei Paesi Bassi, l'organizzazione olandese per la ricerca scientifica — Nederlandse Organisatie voor Wetenschappelijk Onderzoek (NWO).

(18)  Il Comitato fa notare che nella versione tedesca della proposta della Commissione, l'articolo 50, paragrafo 1, e l'articolo 51, paragrafo 1, contengono degli errori di traduzione rispetto alla versione inglese. Il presente parere fa quindi riferimento alla versione inglese del testo, che è corretta!

(19)  Elenco degli elementi inclusi: elenco di tutte le conoscenze o i settori per i quali viene accordato il diritto di accesso. Elenco degli elementi esclusi: elenco delle conoscenze e dei settori per i quali non viene accordato il diritto di accesso.

(20)  L'ultimo comma dell'articolo 50, paragrafo 2, potrebbe essere così formulato: «Gli esecutori di RST concedono gratuitamente i diritti di accesso alle conoscenze preesistenti, fatte salve le eccezioni giustificate convenute da tutti i partecipanti prima della loro adesione alla convenzione di sovvenzione.»

(21)  In Germania, ad esempio, anche alla legge sulle invenzioni dei lavoratori.

(22)  Il paragrafo in questione potrebbe essere così formulato: «Gli esecutori di RST concedono gratuitamente l'accesso alle conoscenze preesistenti necessarie per valorizzare la conoscenze acquisite prodotte nell'ambito dell'azione indiretta, se non diversamente convenuto da tutti i partecipanti prima della loro adesione alla convenzione di sovvenzione.»

(23)  Ad esempio nel campo della microbiologia, delle tecnologie laser e delle TIC.

(24)  L'articolo 52, paragrafo 1, potrebbe per esempio recitare: «Nel caso delle azioni di ricerca di frontiera i diritti di accesso alle conoscenze acquisite ai fini dell'attuazione del progetto sono concessi a titolo gratuito. I diritti di accesso alle conoscenze acquisite ai fini della valorizzazione sono concessi a condizioni eque e ragionevoli o a titolo gratuito, come convenuto da tutti partecipanti prima della loro adesione alla convenzione di sovvenzione.»

(25)  Punto 3.4 (GU C 157 del 28.6.2005).

(26)  GU C 94 del 18.4.2002.

(27)  Cfr. sopra: equiparazione di tutti gli organismi di ricerca che ricevono un finanziamento di base pubblico.

(28)  GU C 65 del 17.03.2006, punto 4.13.2.


16.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 309/41


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio (Euratom) che stabilisce le regole per la partecipazione di imprese, centri di ricerca e università alle azioni nell'ambito del Settimo programma quadro della Comunità europea dell'energia atomica e per la diffusione dei risultati della ricerca (2007-2011)

COM(2006) 42 def. — 2006/0014 (CNS)

(2006/C 309/09)

Il Consiglio, in data 8 marzo 2006, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 7 e 10 del Trattato che istituisce la Comunità europea dell'energia atomica, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 maggio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore PEZZINI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 5 luglio 2006, nel corso della 428a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 156 voti favorevoli, 3 voti contrari e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE accoglie con favore le proposte della Commissione sulle nuove regole per la partecipazione delle imprese, centri di ricerca e università all'attuazione del Settimo programma quadro di ricerca, sviluppo e formazione in campo nucleare per la diffusione dei suoi risultati, per il quinquennio 2007-2011.

1.2

Le proposte sono volte a semplificare e a razionalizzare le procedure e i metodi, per realizzare concretamente la strategia di Lisbona, come ridefinita dai Consigli europei del 2005 e del marzo 2006, e per rispondere ai bisogni dei diversi attori della ricerca e degli utenti finali. Tuttavia, un giudizio definitivo in merito al successo di queste misure potrà essere formulato solo dopo che siano state finalizzate le norme di attuazione.

1.3

Fino al Capo III compreso, le proposte della Commissione sono quasi identiche a quelle presentate per il 7o PQ di ricerca, sviluppo e formazione in campo non nucleare (1), anche se con numerazione differente (2). Il Comitato rinvia pertanto al parere adottato in merito, richiamando e ribadendo le osservazioni ivi contenute (3), che valgono anche per la proposta in esame fino al Capo III incluso.

1.4

Il Comitato ritiene, in particolare, che il programma europeo di fusione nucleare sia da considerare un modello di reale integrazione degli sforzi comunitari e di pieno coordinamento d'azione, nel quadro dell'Accordo europeo per lo sviluppo della fusione (EFDA) e nei contratti di associazione.

1.4.1

Tale programma svolge un ruolo primario per l'UE nel campo della ricerca dell'energia di fusione, si concretizza in un sostegno comunitario costante sotto forma di mezzi finanziari e capitale umano e si arricchisce di un'elevata sostenibilità ambientale, grazie alle attività del progetto ITER/DEMO (4).

1.5

Il Comitato è convinto che l'energia nucleare (5), la quale genera circa un terzo dell'energia elettrica prodotta oggi nell'Unione (6), contribuisca all'indipendenza e alla sicurezza degli approvvigionamenti d'energia (7) e alla sostenibilità dello sviluppo economico europeo, nel rispetto degli Accordi di Kyoto; questo tuttavia a condizione che vengano applicati standard sempre migliori, efficienti e sicuri di trattamento delle scorie, e che si possano sviluppare una ricerca ed una industria europea competitiva nell'area della tecnologia nucleare e dei servizi.

1.6

Il Comitato ritiene appropriati i livelli di finanziamento comunitario indicati per le attività di ricerca, formazione e dimostrazione, coordinamento e sostegno, nonché per le reti di eccellenza e per il regime finanziario previsto per la ricerca sull'energia di fusione.

1.6.1

Il CESE sottolinea la necessità di promuovere la ricerca e l'applicazione di tecnologie pulite e sicure, secondo le esigenze e le caratteristiche dei singoli Stati, e raccomanda di rispettare le decisioni di diversi Stati membri che non considerano l'energia nucleare una soluzione per coprire il loro fabbisogno energetico futuro e tengono conto di questo nei loro programmi di ricerca.

1.7

Il CESE sottolinea il ruolo delle azioni di formazione e dei percorsi previsti per lo sviluppo della carriera dei ricercatori e sottolinea che tali azioni rivestono particolare importanza per il settore privato, per la società civile e per i cittadini.

1.8

Il CESE ritiene fondamentale assicurare, per la partecipazione al 7o PQ Euratom ed ai suoi programmi specifici, un quadro di regole che sia semplice, leggibile, comprensibile, chiaro e trasparente e che soprattutto sia in grado di dare certezza ai potenziali partecipanti, e specie a quelli di minori dimensioni, sui principi e sui criteri che disciplinano l'accesso, la valutazione e la selezione, nonché la formulazione dei contratti e la gestione dei progetti.

1.8.1

Il CESE si rammarica che questo non sempre trovi riscontro nella proposta di regolamento e ritiene comunque che l'efficacia di tali regole vada monitorata da esperti indipendenti, dopo un congruo periodo di tempo, e che la relazione di monitoraggio venga trasmessa al Consiglio e al Comitato.

1.9

Il Comitato ritiene che la valorizzazione e la diffusione dei risultati della ricerca sia indispensabile, per rispettare il principio del value for money applicabile ai contribuenti europei. Ricorda a tale proposito che va trovato, sempre, un giusto equilibrio tra, da un lato, la tutela degli interessi comunitari, delle sensibilità, anche di difesa, degli Stati membri, dei diritti di proprietà intellettuale e industriale e, dall'altro, i rischi, altrettanto importanti, nei quali si potrebbe incorrere nel caso di un'insufficiente diffusione dell'informazione scientifica e tecnica nel settore.

1.9.1

Il Comitato ritiene, infine, indispensabile rafforzare l'IPR-Helpdesk, per un'assistenza puntuale e proattiva rivolta ai potenziali partecipanti ai contratti di sovvenzione, e per le azioni indirette a sostegno della formazione e dello sviluppo dei ricercatori, così come alla fase di preparazione e di sottoscrizione di accordi consortili.

2.   Motivazioni

2.1

Il CESE si compiace che la richiesta di consultazione gli sia stata trasmessa tempestivamente, ed è ben consapevole delle sue competenze esclusive, in materia consultiva, riguardo al Trattato Euratom. Il CESE attribuisce una grande importanza a tali competenze, a causa del carattere estremamente sensibile che riveste per la società l'energia nucleare e della necessità di un'informazione e di una consultazione adeguate.

2.2

L'energia atomica solleva, infatti, una problematica estremamente difficile, in termini di coinvolgimento dei cittadini, per i rischi significativi e per i problemi di trattamento dei rifiuti che essa comporta.

2.2.1

Il CESE auspica che sia evidenziata la preoccupazione di rafforzare i modelli di valutazione delle prestazioni e della sicurezza/affidabilità in questo settore, istituendo meccanismi permanenti di informazione, consultazione e formazione.

2.2.2

Si tratta di organizzare meglio il processo di governance, per definire le più opportune scelte strategiche e rispondere alle preoccupazioni dei cittadini sull'energia atomica e sulle sue conseguenze a lungo termine.

2.3

Il Comitato ha avuto già modo di esprimersi (8), sulle soluzioni avanzate dalla Commissione in materia di semplificazione (9) delle procedure amministrative e di riduzione degli oneri corrispondenti nell'ambito delle proposte di decisione concernenti rispettivamente il Settimo programma quadro, UE e il Settimo programma quadro Euratom adottate il 6 aprile 2005.

2.3.1

La Commissione ha indicato come «fattori critici del successo» dieci misure fondamentali, da attuare per la semplificazione delle procedure di accesso, di partecipazione e di gestione del 7o PQ. Su questo tema il CESE ha rilevato che «le attuali procedure di domanda e di autorizzazione sono troppo complesse e troppo costose e sono fonte di difficoltà per gli utilizzatori provenienti dal mondo della scienza e dell'industria. La partecipazione al programma europeo di ricerca deve risultare conveniente per gli attori interessati» (10) e compensare i rischi che comporta la presentazione di un dossier di candidatura.

2.3.2

Il CESE ha altresì ribadito l'importanza di: «associare più largamente le PMI al processo di ricerca, di sviluppo e d'innovazione» e ha sottolineato che: «le prospettive di successo di PMI, create apposta per sviluppare e commercializzare nuovi prodotti di alta tecnologia, riposano in particolare sulla messa a disposizione di un capitale d'avviamento e di un capitale di rischio sufficienti…». «Ma per far ciò, occorre che anche qui le procedure non oltrepassino una certa soglia, che sia accettabile e adattata alle PMI» (11).

2.3.3

I punti indicati dai servizi della Commissione in materia di semplificazione delle procedure regolamentari riguardano:

un ventaglio ridotto di schemi di finanziamento, che garantiscano continuità con gli strumenti del 6PQ e assicurino una larga flessibilità di utilizzo,

una comunicazione di elevata qualità, completa e tempestiva e di interpretazione univoca e uniforme degli obiettivi e modalità applicative sia per il 7PQ CE che per il 7PQ Euratom,

la razionalizzazione delle indicazioni richieste ai partecipanti, con estensione della modalità di presentazione «2-steps», oltre all'uso sistematico degli strumenti di inoltro informatici,

la protezione degli interessi finanziari UE, senza peraltro l'imposizione di oneri eccessivi sui partecipanti, riducendo al minimo il controllo a priori e basandolo su un'unica lista di criteri predefiniti,

l'autonomia operativa per i consorzi, grazie a contratti che incorporano una grande flessibilità e a un uso esteso delle anticipazioni forfetarie, sulla base di costi imputabili predefiniti e audit esterni indipendenti,

processi di selezione più rapidi, sostituendo la procedura di comitatologia con un'altra più semplice basata sulla procedura d'informazione,

un uso più efficiente delle risorse di bilancio dedicate alla R&S, con un coordinamento più stretto con quelle delle altre politiche previste dalla strategia di Lisbona; e con l'abbattimento dei costi di amministrazione/gestione comunitaria dei progetti, previsti per le attività di R&S,

un uso esteso del finanziamento flat-rate all'interno di un quadro semplificato di formule di finanziamento comunitario,

l'eliminazione degli attuali modelli di relazione sui costi di progetto, modelli che si sono dimostrati eccessivamente complessi, accompagnata da definizioni chiare dei costi ammissibili,

la definizione di tassi di intervento comunitario per tipo d'attività (ricerca, sviluppo, dimostrazione, formazione, disseminazione e uso dei risultati, trasferimento di conoscenze) correlati solo a singole attività, con soglie massime per tipo d'attività, riferite al consorzio e non a singoli partecipanti.

2.4

Il regolamento in esame presenta, inoltre, varie modifiche rispetto al regolamento precedente (12), per quanto concerne, in particolare: l'obiettivo della proposta; le definizioni; la confidenzialità; la valutazione, selezione e attribuzione delle proposte; le forme di sovvenzione; il rimborso dei costi ammissibili; il limite del contributo finanziario comunitario; i rischi del consorzio; la diffusione, valorizzazione e diritti di accesso; le regole specifiche per l'accordo europeo per lo sviluppo della fusione; l'accordo sulla mobilità del personale.

2.4.1

Il Comitato rinvia, per le parti della proposta in esame comuni anche all'analoga proposta relativa al Settimo programma quadro CE (proposta di regolamento del Parlamento e del Consiglio, che stabilisce le regole di partecipazione di imprese, centri di ricerca e università alle azioni nell'ambito del Settimo programma quadro e per la diffusione dei risultati della ricerca (2007-2013) (13), al suo parere relativo a quest'ultima, attualmente in corso di elaborazione (14).

2.5

Il Comitato concorda con i limiti fissati per il finanziamento della ricerca nucleare e per la formazione; si compiace in particolare della possibilità, nel caso di PMI, organismi pubblici, istituti di istruzione ed università e organismi di ricerca (15), di passare da un limite di contributo massimo del 50 % ad uno del 75 %, nonché del fatto che le azioni di coordinamento, sostegno, formazione e sviluppo della carriera dei ricercatori possono raggiungere il 100 % dei costi totali ammissibili.

2.5.1

Il Comitato raccomanda, peraltro, di riassumere in una tabella allegata alla proposta le diverse tipologie di attività ed il relativo tasso d'intervento massimo previsto, così come le eventuali possibilità di cumulo, specie per le infrastrutture di ricerca, con altre tipologie di interventi comunitari (fondi strutturali, ecc.).

3.   Osservazioni generali sulle regole di partecipazione al 7PQ Euratom

3.1

Il CESE ritiene fondamentale assicurare per le regole di partecipazione al 7PQ Euratom e ai suoi programmi specifici, un quadro che sia semplice, leggibile, comprensibile, chiaro e trasparente, ed esistente in tutte le lingue comunitarie. Tale quadro dovrebbe in particolare dare la certezza ai potenziali partecipanti, specie quelli di dimensioni minori, dei principi e dei criteri che disciplinano la disponibilità, le condizioni di partecipazione, la presentazione e la valutazione delle proposte progettuali, le tipologie e gli obblighi contrattuali, i tassi e i sistemi di ripartizione dei cofinanziamenti comunitari, la protezione della proprietà industriale ed intellettuale e la valorizzazione e diffusione delle conoscenze, ferme restando le disposizioni specifiche per la priorità tematica concernente l'energia di fusione.

3.1.1

Il Comitato raccomanda, in particolare, il reinserimento esplicito dei criteri di selezione e di aggiudicazione per le azioni indirette di cui all'articolo 14, fatti salvi eventuali criteri specifici particolari. Tali criteri generali sono:

l'eccellenza scientifica e tecnologica e il grado di innovazione,

la capacità di realizzazione dell'azione indiretta e di gestione efficace di risorse e di competenze,

la pertinenza, rispetto agli obiettivi del programma specifico e del programma di lavoro,

il valore aggiunto europeo, la massa critica di risorse attivate e il contributo alle politiche comunitarie,

la qualità del piano di valorizzazione e di diffusione delle conoscenze, il potenziale di promozione dell'innovazione e la chiarezza progettuale di gestione della proprietà intellettuale,

il rispetto dei principi etici e della parità di genere.

3.2

Il Comitato ha già preso posizione sulle tematiche generali attinenti alla semplificazione e razionalizzazione dei programmi quadro di ricerca nucleare comunitaria, nei suoi pareri sul 7PQ Euratom e sui due programmi specifici riguardanti, rispettivamente: l'energia nucleare, con particolare riferimento alla ricerca sull'energia di fusione, e le attività di ricerca nucleare del Centro comune di ricerca. Un parere sulla proposta di regole di partecipazione relative al 7PQ di ricerca comunitaria non nucleare, è parimenti in corso di elaborazione da parte del Comitato (16).

3.3

Per quanto attiene alle norme riguardanti il programma Euratom, il Comitato desidera insistere, in particolare, sulla necessità di una semplificazione più radicale delle formalità riguardanti la presentazione dei dossier.

3.3.1

Si compiace peraltro che la responsabilità in solido, a suo tempo prevista nel 6PQ Euratom e che poteva costituire un ostacolo significativo alla partecipazione di soggetti di piccole e medie dimensioni (imprese, università…), sia stata rimossa nella proposta in esame e sostituita con una somma da definire che dovrebbe essere attorno all'1 % del contributo comunitario (17), posta a garanzia del rischio di non-copertura nei consorzi (articolo 37). Nel settore Euratom, infatti, una parte importante delle attività di ricerca può essere affidata anche a soggetti di piccole e medie dimensioni, per le quali tale norma avrebbe potuto rappresentare un serio ostacolo alla partecipazione.

3.4

Il CESE avanza riserve sulla pluralità di possibili deroghe alle regole di partecipazione previste negli oltre 50 articoli proposti, nonché sulle ampie possibilità di diversi criteri e regolamentazioni che verrebbero stabiliti nei programmi di lavoro annuali, nei programmi specifici e negli inviti a presentare proposte. Tali deroghe riguardano in particolare: il numero di partecipanti e condizioni supplementari di accesso (articolo 11); i principi di valutazione, di selezione e di attribuzione (articolo 14, paragrafo 1); le eccezioni alla pubblicazione di bandi di gara (articolo 13); i criteri di valutazione con possibilità di fissare criteri specifici supplementari (articolo 14 paragrafo 2); il contributo finanziario comunitario alle reti d'eccellenza (articolo 34, paragrafi 1 e 3).

3.4.1

In particolare, per quanto riguarda le reti di eccellenza, il Comitato sottolinea la sua preoccupazione per la determinazione del contributo in forma forfetaria, perché ritiene che tale forma potrebbe rivelarsi fittizia e priva di riscontri con la realtà. Una tale situazione potrebbe nuocere allo sviluppo delle reti di eccellenza, necessario al raggiungimento degli obiettivi concreti del programma.

3.5

Il Comitato sottolinea che la necessaria flessibilità di gestione e di definizione dei bisogni delle singole azioni non dovrebbe andare a discapito della chiarezza, certezza e trasparenza dei requisiti di partecipazione richiesti, dei criteri di valutazione e selezione predefiniti e di un quadro certo per i finanziamenti e cofinanziamenti proposti.

3.6

Il Comitato ritiene che quando il contratto di sovvenzione preveda, per il consorzio di ricerca, la possibilità di ricorrere a bandi di gara per effettuare alcuni lavori o per estendere alcune attività, tali gare debbano essere organizzate secondo le norme definite dalla Commissione, per garantire la massima trasparenza ed accessibilità all'informazione.

3.7

Il CESE sottolinea l'importanza delle disposizioni di monitoraggio e di controllo dei programmi e delle azioni indirette di ricerca, dimostrazione, coordinamento e formazione in campo nucleare; suggerisce altresì di stabilire per tali funzioni e per quelle di gestione dei bandi di gara, valutazione, selezione e seguito contrattuale e auditing dei progetti acquisiti a finanziamento una soglia massima di spesa, che non dovrebbe essere superiore, come costo globale, ad un importo quantificabile tra il 7 % ed il 10 % delle risorse comunitarie globali del 7PQ Euratom. Questo al fine di riservare il massimo delle risorse alle attività primarie vere e proprie di ricerca, dimostrazione e formazione ed all'ottenimento di risultati concreti e trasferibili in applicazioni di mercato, e cioè l'obiettivo finale di un programma quadro comunitario di ricerca.

3.7.1

Al riguardo il CESE raccomanda che la rilevazione, l'archiviazione e la gestione dei dati del monitoraggio vengano inseriti in una banca dati integrata, nel quadro dell'IDABC (18).

3.8

Il Comitato accoglie favorevolmente le indicazioni della Commissione per quanto concerne i tipi di sovvenzione proposti per il rimborso dei costi ammissibili: importo forfetario e finanziamento a tasso forfetario; suggerisce tuttavia di chiarire la metodologia più adatta, anche in relazione alla semplificazione dei costi ammissibili, e di allegare alla proposta di regolamento un prospetto delle varie opzioni, così da facilitarne la comprensione da parte dei potenziali utenti.

3.9

Per quanto concerne le diverse tipologie di contributo finanziario della Comunità, così come descritte agli articoli 32 e 34, il Comitato raccomanda di riassumerle in una tabella, allegata alla proposta, insieme al relativo tasso d'intervento massimo previsto ed alle eventuali possibilità di cumulo, specie per le infrastrutture di ricerca, con gli interventi a titolo dei fondi strutturali e di coesione, della Banca europea per gli investimenti e del Fondo europeo degli investimenti, senza altresì trascurare quanto previsto dall'Iniziativa JEREMIE (19), che dovrebbe agevolare la partecipazione al 7PQ Euratom delle entità di minori dimensioni.

3.10

Quanto alle regole proposte per la diffusione, valorizzazione e diritti d'accesso alle conoscenze, il Comitato ritiene indispensabile, al di là della distinzione tra conoscenze pregresse ed acquisite e delle eccezioni in campo militare e di sicurezza, rafforzare l'IPR-Helpdesk per garantire una'ssistenza puntuale e proattiva ai potenziali partecipanti ai contratti di sovvenzione (cfr. articolo 18, paragrafi 5 e 6, nonché articolo 19 e articolo 21) e per le azioni indirette a sostegno della formazione e dello sviluppo dei ricercatori, così come alla preparazione e sottoscrizione di accordi consortili, che stabiliscono regole supplementari (articolo 23), concernenti la diffusione e valorizzazione dei risultati e i diritti di proprietà intellettuale.

3.11

Infine, per quanto riguarda l'area tematica Ricerca sull'energia di fusione, il Comitato ha sottolineato ampiamente, nei due pareri citati, l'importanza della ricerca sulla fusione termonucleare controllata, del progetto ITER del programma preparatorio DEMO e degli studi di confinamento (20).

3.11.1

Il Comitato prende atto del fatto che il tasso annuo di base del contributo finanziario della Comunità proposto per la suddetta area tematica non dovrebbe superare il 20 % per tutta la durata del 7PQ Euratom. Reputa che questo tasso fornisca il necessario effetto leva per un contributo fondamentale, da parte degli Stati membri, a un programma comunitario ben coordinato (cfr. punto 1.4) in grado di offrire l'indispensabile base, il punto di sostegno e l'input per l'impresa comune ITER e DEMO. Se da un lato questo tasso può essere adeguato all'inizio, dall'altro c'è da chiedersi se sarà un incentivo sufficiente per l'intera durata del programma per far sì che gli Stati membri partecipino in misura soddisfacente al necessario finanziamento. Per precauzione, il Comitato raccomanda pertanto di elevare il tasso al 25 %, che equivarrebbe comunque solo alla metà o ad un terzo (facendo riferimento all'articolo 32, paragrafo 1) del contributo finanziario altrimenti erogato dalla Comunità. Inoltre il Comitato reputa che, come regola generale, andrebbero applicati i massimali più elevati.

3.11.2

Per quanto riguarda il tasso massimo di finanziamento comunitario pari al 40 % proposto per i progetti cooperativi specifici nell'ambito dei contratti di associazione, con sostegno prioritario alle azioni concernenti ITER/DEMO e a quelle realizzate nell'ambito dell'Accordo sulla mobilità del personale, il Comitato dubita che, a lungo termine, questo tasso possa essere sufficiente per avviare il necessario cofinanziamento da parte degli Stati membri per tutti i progetti o azioni auspicati. In questo contesto fa riferimento all'articolo 52, paragrafo 2.

4.   Osservazioni particolari

4.1

Il Comitato si domanda perché sia stata soppressa nella Sottoparte 1 Inviti a presentare proposte la disposizione relativa alla possibilità di far precedere tali inviti da inviti a manifestazioni di interesse, per permettere di individuare e valutare con precisione obiettivi e necessità dell'azione, evitando così costi amministrativi inutili sia per la preparazione di proposte che non possono essere accettate, sia per la selezione e valutazione di tali proposte da parte della Commissione e dei valutatori indipendenti.

4.2

Gli inviti a manifestare interesse potrebbero essere accompagnati dall'organizzazione di Proposers Information Days, intesi ad avvicinare e far partecipare la potenziale utenza scientifica e industriale alla definizione dell'azione di politica comunitaria di ricerca nucleare.

4.3

Il CESE sottolinea i rischi nei quali si potrebbe incorrere nel caso di un'insufficiente diffusione dell'informazione scientifica e tecnica nel settore. Pur riconoscendo che è necessario formulare alcune riserve in proposito, ritiene che non si debbano chiudere le porte. Ciò potrebbe concretizzarsi nella definizione di un protocollo tecnico molto preciso dei contenuti e delle modalità di diffusione, che tenga conto delle esigenze di sicurezza e di affidabilità, ma salvaguardi al massimo la trasparenza.

4.4

Secondo il CESE, sarebbe importante dare ampia informazione e diffusione alle regole che disciplinano, da una parte, la verifica dell'esistenza dei presupposti e, dall'altra, lo statuto giuridico dei partecipanti. Allo stesso modo, dovrebbero essere predisposte alcune regole chiare e comprensibili, per tutti gli attori della ricerca, sulle procedure semplificate, previste per la presentazione, in due fasi, delle proposte, dei criteri e dei requisiti dei due livelli di valutazione.

4.4.1

Dette regole dovrebbero essere messe a disposizione, non solo degli esperti valutatori, ma anche dei proponenti, secondo criteri e ponderazioni univoche ed uniformi.

4.5

Il CESE desidera inoltre sottolineare la pertinenza, di organizzare non solo per i ricercatori, ma anche per i rappresentanti della società civile e per tutti i cittadini, delle azioni di formazione ed informazione sulla sicurezza/affidabilità dell'energia nucleare, nonché di rafforzare strumenti e procedure per lo sviluppo di modelli, attendibili e incontestabili, per valutare l'affidabilità e la sicurezza dell'energia atomica.

4.6

Per quanto attiene alla valorizzazione dei risultati della ricerca, alla loro diffusione e alla protezione della proprietà intellettuale e industriale, occorrerebbe, a parere del Comitato, che, oltre alle discipline e tutele previste dalla proposta di regolamento, dalle convenzioni di sovvenzione, dagli accordi di consorzio, dall'articolo 24 e dalle altre disposizioni del Trattato Euratom  (21) , dai contratti d'associazione, dall'Accordo europeo di sviluppo della fusione, dall'impresa comune ITER e relativi accordi internazionali, nonché infine da accordi multilaterali come l'Accordo sulla mobilità del personale, sia prevista la più ampia diffusione di una «Guida al proponente IPR-Euratom» rinnovata, che riassuma, in modo chiaro e trasparente, vincoli ed opportunità per i potenziali partecipanti alle attività di ricerca, dimostrazione, formazione e sviluppo del 7PQ Euratom.

Bruxelles, 5 luglio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  COM(2005) 705 def.

(2)  Vi sono infatti alcune eccezioni: ad esempio le disposizioni in tema di ricerca di «frontiera».

(3)  Per esempio, le osservazioni sulla forma giuridica degli organismi di ricerca, sui diritti di accesso alle conoscenze, sui diritti di proprietà intellettuale, sul rimborso dei costi, sulle forme di finanziamento e sulla semplificazione, sulle concezioni di sovvenzione, sui principi generali della Carta europea dei ricercatori e i rilievi sullo status giuridico degli istituti di ricerca.

(4)  Cfr. anche punto 3.11.

(5)  Cfr. GU C 110 del 30.4.2004 — relatore CAMBUS.

(6)  Energia prodotta nell'UE-25 nel 2004: Nucleare 31,2 %; Gas naturale 24,3 %; Petrolio 17,1 %; Carbon fossile 13,1 %; Lignite 10,2 %; Energia primaria 4,1 %. Energia consumata, nello stesso periodo: Petrolio 39,2 %; Gas naturale 25,4 %; Nucleare 14,8 %; Carbon fossile 13,7 %; Lignite 4,9 %; Energia primaria 2,0 % (Eurostat, Energia, 5/2006).

(7)  Nel 2004 le importazioni lorde — Tasso di dipendenza energetica — nell'UE-25, hanno rappresentato il 53,8 %, di cui petrolio e prodotti petroliferi 33,2 %. Dipendenza energetica dei quattro maggiori Stati dell'UE: IT 87,7 %; DE 64,6 %; FR 54,3 %; UK 5,2 %. L'unica nazione UE che non ha dipendenza energetica è la DK, che ha un attivo del 53,5 %. (Eurostat, Energia, 5/2006).

(8)  Cfr. GU C 65 del 17.3.2006 — relatore WOLF.

(9)  COM(2005) 119 def. — SEC(2005) 430/431 del 6.4.2005.

(10)  Cfr. GU C 65 del 17. 3.2006, paragrafo 1.11 — relatore WOLF.

(11)  Cfr. GU C 65 del 17.3.2006, paragrafo 1.12 e 4.15.2 — relatore WOLF.

(12)  Regolamento Euratom 2322/2002 del Consiglio.

(13)  COM(2005) 705 def. del 23.12.2005.

(14)  Cfr. CESE 557/2006 (INT/309) — relatore WOLF.

(15)  Cfr. CESE 557/2006, punto 4.6 (INT/309) — relatore WOLF.

(16)  Idem nota 9.

(17)  Cfr. CESE 557/2006, punto 4.11.2 (INT/309) — relatore WOLF.

(18)  Cfr. GU C 80 del 30.3.2004 — su IDABC (Interoperable Delivery of European eGovernment Services to Public Administrations, Businesses and Citizens).

(19)  Cfr. GU C 110 del 9.5.2006 — relatore PEZZINI.

(20)  Cfr. GU C 65 del 17.3.2006 — relatore WOLF, paragrafi 6.1 e seguenti.

(21)  Cfr. nota 10.


16.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 309/46


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio che abroga il regolamento (CEE) n. 4056/86, che determina le modalità di applicazione degli articoli 85 e 86 del Trattato ai trasporti marittimi, e che modifica il regolamento (CE) n. 1/2003 estendendone il campo di applicazione al cabotaggio e ai servizi di trasporto con navi da carico non regolari

COM(2005) 651 def. — 2005/0264 (CNS)

(2006/C 309/10)

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 10 febbraio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 83 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 30 maggio 2006, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice BREDIMA-SAVOPOULOU.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 5 luglio 2006, nel corso della 428a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 156 voti favorevoli, 1 voto contrario e 7 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato approva la proposta di estendere ai settori del cabotaggio e del trasporto con navi da carico non regolari, le disposizioni generali di applicazione delle regole di concorrenza del regolamento (CE) n. 1/2003 (1) e si rallegra del dibattito in corso tra la Commissione e l'industria dei trasporti navali per quanto riguarda l'applicazione degli articoli 81 e 82 a quest'ultimo settore. In assenza di reclami e di precedenti legali nel settore del trasporto con navi da carico non regolari, saranno necessarie maggiori informazioni sul suo funzionamento e sugli accordi in esso operanti. Il Comitato si compiace dell'iniziativa della Commissione di lanciare uno studio sulle caratteristiche economiche e giuridiche dei servizi di trasporto con navi da carico non regolari. In nome della certezza giuridica, esso esorta la Commissione ad adottare (prima di abrogare l'esclusione dal campo di applicazione del regolamento (CE) n. 1/2003) degli orientamenti sull'autovalutazione della compatibilità con le regole della concorrenza dell'UE delle varie forme di accordi di cooperazione vigenti nell'ambito di tali servizi.

1.2

In riferimento al settore delle compagnie di trasporti di linea, il Comitato prende atto della proposta della Commissione di abrogare l'esenzione di categoria dalle regole di concorrenza del Trattato CE a favore delle conferenze di compagnie marittime di linea; la proposta è motivata con il fatto che le quattro condizioni cumulative dell'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato CE non sarebbero più soddisfatte. La Commissione ritiene che con l'abrogazione si otterrà una riduzione dei costi di trasporto, mantenendo nel contempo l'affidabilità dei servizi su tutte le rotte commerciali, e migliorando anche la competitività dell'industria europea. Il Comitato attende, per un giudizio definitivo, di vedere se l'effetto dell'abrogazione proposta sarà sostenibile.

1.3

Il Comitato raccomanda alla Commissione di prendere altresì in considerazione, nel quadro della suddetta abrogazione, oltre ai fattori puramente concorrenziali, anche l'aspetto della sicurezza (la perdita di trasporti marittimi di qualità nelle acque europee in seguito alla rinuncia a battere la bandiera dell'UE).

1.4

Il Comitato raccomanda alla Commissione di prendere altresì in considerazione, nel quadro della suddetta abrogazione, oltre ai fattori puramente concorrenziali, anche l'aspetto delle risorse umane (l'impatto sull'occupazione dei lavoratori marittimi europei).

1.5

Il Comitato prende nota dell'intenzione della Commissione di emanare orientamenti adeguati sulla concorrenza nel settore marittimo in modo da favorire la transizione senza attriti ad un regime interamente concorrenziale. La Commissione intende pubblicare tali orientamenti entro la fine 2007. Come preparazione ad essi, la Commissione pubblicherà nel settembre 2006 un «documento di discussione» sui trasporti marittimi di linea. Il Comitato invita la Commissione a elaborare gli orientamenti mantenendosi in stretto contatto con le parti direttamente interessate ed a informare di conseguenza le istituzioni competenti dell'UE.

1.6

La proposta della Commissione è il risultato di un processo di revisione, iniziato nel 2003, che ha interessato tutte le istituzioni competenti dell'UE e le parti direttamente interessate. La Commissione inoltre ha fatto svolgere tre studi da consulenti indipendenti, i quali hanno esaminato le questioni derivanti dall'abrogazione del regime d'esenzione di categoria; i risultati degli studi sono pubblicati sul sito web della direzione generale Concorrenza.

1.7

Il Comitato ha inoltre preso nota del fatto che la proposta della Commissione di abrogare l'esenzione di categoria a favore delle conferenze di compagnie marittime di linea è basata soltanto sull'articolo 83 del Trattato (regole di concorrenza), mentre la base giuridica del regolamento (CEE) n. 4056/86 era costituita dalla combinazione dell'articolo 83 (regole di concorrenza) e dell'articolo 80, paragrafo 2, (politica dei trasporti) del Trattato CE. Il Comitato prega il Servizio giuridico del Parlamento europeo di chiarire se le considerazioni di politica dei trasporti siano accessorie a quelle di politica della concorrenza e se intenda mantenere il punto di vista sulla doppia base giuridica espresso nel suo parere precedente (2).

1.8

Il Comitato, in previsione di possibili conflitti di legge nel futuro, derivanti da strumenti giuridici di altre giurisidizioni, insiste con la Commissione affinché essa preveda tra gli orientamenti una disposizione per affrontare tali problemi. Una disposizione del genere relativa alle consultazioni minimizzerà gli attriti e porterà a soluzioni reciprocamente accettabili a livello internazionale.

1.9

Il Comitato prende nota del fatto che la Commissione riconosce che le regole della concorrenza non sono applicate nello stesso modo in tutte le giurisdizioni del mondo e che esistono divergenze. La Commissione inoltre riconosce l'importanza crescente della cooperazione internazionale tra le autorità preposte a far rispettare le regole della concorrenza.

1.10

Il Comitato apprezza il fatto che la Commissione stia perseguendo una duplice politica, da un lato di sviluppo della cooperazione bilaterale con i principali partner commerciali dell'UE, e dall'altro di esame delle migliori modalità per ampliare la cooperazione multilaterale nel campo della concorrenza. Il Comitato incoraggia dunque la Commissione ad accelerare gli sforzi per garantire che tale cooperazione e tale dialogo contribuiscano ad individuare i problemi potenziali che deriverebbero da un'abrogazione del regolamento (CEE) n. 4056/86 nell'UE e a risolvere tali problemi in un modo costruttivo, rispettando quindi le particolarità dei rispettivi sistemi giuridici. Esso ribadisce che un trattamento coerente — da parte dei diversi paesi — dei servizi regolari di trasporto marittimo riveste un'importanza vitale per il commercio internazionale.

1.11

Il Comitato invita la Commissione a tenere conto dei risultati del dialogo e della cooperazione con i suoi principali partner commerciali al momento della redazione degli orientamenti sulla concorrenza nel settore marittimo.

1.12

Il comitato ritiene altresì che nella redazione di tali orientamenti si dovrebbe tener conto anche dei seguenti elementi, d'altronde già presenti nella relazione introduttiva della proposta della Commissione:

i servizi di trasporto marittimo sono cruciali per lo sviluppo dell'economia dell'UE, considerando che il trasporto marittimo muove il 90 % del suo commercio estero ed il 43 % del commercio intra-UE,

dall'epoca dell'adozione del regolamento (CEE) n. 4056/86 la tendenza costante ad un uso crescente dei container ha profondamente cambiato il trasporto marittimo di linea. Essa si è risolta in un aumento del numero e della dimensione delle navi portacontainer cellulari integrali e in un incremento dell'importanza delle reti di trasporto mondiali. Questo ha contribuito al successo di nuovi accordi operativi e ad un declino dell''importanza delle conferenze di linea,

il sistema delle conferenze, in funzione da 150 anni, è ancora soggetto ad accordi multilaterali e bilaterali, dei quali gli Stati membri dell'UE e la Comunità sono parti. Il Comitato osserva che la Commissione riconosce che, per permettere di denunciare o rivedere questi accordi, sarebbe opportuno rinviare di due anni la data d'abrogazione delle seguenti disposizioni del regolamento (CEE) n. 4056/86: l'articolo 1, paragrafo 3, lettere b) e c), gli articoli da 3 a 8 e l'articolo 26.

1.13

Il Comitato reputa che la Commissione, nel quadro dell'abrogazione del regolamento (CEE) n. 4056/86, dovrebbe tener conto anche degli interessi delle piccole e medie imprese, che costituiscono il nerbo dell'economia dell'UE e svolgono un ruolo importante nel contesto della strategia riveduta di Lisbona. I mercati dovrebbero rimanere aperti alla concorrenza sia effettiva che potenziale, la quale comprende anche i trasportatori piccoli e medi.

1.14

Il Comitato ritiene che, sebbene il consolidamento che può seguire all'abrogazione del regolamento (CEE) n. 4056/86 potrebbe avere effetti positivi per l'industria dell'UE (incrementi d'efficienza, economie di scala, risparmi sui costi), si imponga la massima cautela sia per evitare che esso si traduca in un numero inferiore di operatori nei mercati pertinenti, cioè, in una riduzione della concorrenza.

1.15

Nel quadro di un nuovo regime, il Comitato invita le due parti interessate a livello europeo, i caricatori e i trasportatori, ad avviare discussioni sulle questioni di interesse ed importanza per entrambe.

2.   Introduzione

2.1   Tendenze e legislazione attuali

2.1.1

I servizi di trasporto marittimo sono cruciali per lo sviluppo dell'economia dell'UE, considerato che il trasporto marittimo muove il 90 % del commercio estero ed il 43 % del commercio intra-UE. È un'attività che ha sempre avuto, sin dall'antichità, un carattere internazionale e globalizzato. Fondamentalmente, il trasporto marittimo è effettuato in base a due tipi di servizi: servizi di linea e navi da carico non regolari che operano rispettivamente come bus e taxi dei mari. La flotta dell'UE rappresenta il 25 % della flotta mondiale e gli armatori UE controllano oltre il 40 % della flotta mondiale, di cui un altro 40 % appartiene ai paesi del bacino del Pacifico. Il settore dei trasporti marittimi dell'UE, come anche i suoi principali clienti (noleggiatori/caricatori), è esposto a un'intensa concorrenza sui mercati internazionali e europei.

2.1.2

Il regolamento (CEE) n. 4056/86 stabiliva delle disposizioni precise per l'applicazione delle regole della concorrenza (articoli 81 e 82 del Trattato) ai servizi regolari di trasporto marittimo da e per i porti della Comunità. Esso escludeva, tuttavia, dal suo campo di applicazione i servizi di trasporto con navi da carico non regolari. Originariamente, il regolamento aveva una duplice funzione. Da una parte, infatti, esso conteneva disposizioni procedurali relative all'attuazione nel settore dei trasporti marittimi delle regole di concorrenza della CE, funzione però divenuta superflua dal 1omaggio 2004, da quando cioè i trasporti marittimi sono soggetti alle disposizioni generali di attuazione delle regole di concorrenza, di cui al regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio. Dall'altra, esso fissava alcune disposizioni specifiche e sostanziali in materia di concorrenza relative al settore marittimo, prevedendo in particolare l'esenzione di categoria a favore delle conferenze di compagnie marittime di linea, che permette loro, a certe condizioni, di fissare i prezzi e di regolare la capacità.

2.2   I trasporti di linea

2.2.1

Il mercato dei servizi di trasporto di linea è notevolmente cambiato rispetto all'epoca in cui venne adottato il regolamento (CEE) n. 4056/86. La tendenza consolidata a utilizzare i container ha prodotto l'aumento del numero e delle dimensioni delle navi portacontainer ha accresciuto l'importanza delle reti di trasporto mondiali. Ciò ha contribuito a rendere popolari nuove modalità operative, a ridurre l'importanza delle conferenze e ad aumentare considerevolmente il numero di nuovi e potenti soggetti. Negli Stati Uniti, per esempio, con l'introduzione della legge di riforma del trasporto marittimo oceanico (OSRA) nel 1999 si sono cambiate le regole per le conferenze che operano nel traffico commerciale, permettendo contratti di servizio riservati. Oggi i trasportatori di linea globali operano principalmente nei traffici Est-Ovest e Nord-Sud, mentre i trasportatori di piccola e media dimensione operano essenzialmente nei traffici Nord-Sud e nei servizi di cabotaggio in Europa.

2.2.2

Il codice di condotta Unctad per le conferenze di compagnie marittime di linea è stato concepito in origine per regolare il sistema delle conferenze di linea nei commerci tra i paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo (3). Tredici Stati membri dell'UE e la Norvegia hanno ratificato, approvato o aderito al Codice di condotta e malta lo ha firmato, ma non ancora ratificato. Esso è citato (4) in diversi accordi dell'UE con i paesi terzi e nell'acquis comunitario (regolamenti (CEE) nn. 954/79, 4055/86, 4056/86 e 4058/86). Pur risultando ormai virtualmente superfluo nei traffici regolari di alto mare, dal punto di vista legale, il codice Unctad ancora esiste.

2.2.3

Gli utenti dei trasporti (caricatori e spedizionieri) hanno sistematicamente messo in dubbio il sistema delle conferenze che, a loro parere, non garantisce un servizio adeguato, efficiente, affidabile e adattato alle loro esigenze. In particolare, l'ESC (5) ritiene che l'abrogazione dell'esenzione di categoria per le conferenze permetterà delle partnership cliente-fornitore più attente alle soluzioni di logistica in grado di aiutare le imprese dell'UE a competere a livello internazionale. Inoltre, i consumatori godrebbero di una leggera riduzione dei prezzi al diminuire delle tariffe applicate ai prodotti diretti nell'UE. Gli armatori, al contrario, hanno espresso il parere che le conferenze di linea abbiano contribuito alla stabilità del servizio e che il regime delle conferenze abbia permesso loro — sia globalmente che regionalmente — di fare fronte agli squilibri (stagionali o geografici o dovuti alle condizioni climatiche) nella maggior parte dei traffici commerciali. Nel frattempo, i trasportatori globali (membri dell'ELAA (6)) e l'ESC hanno avviato un dialogo con la Commissione aiutandola a mettere a punto un sistema alternativo rispettoso delle regole della concorrenza della CE.

2.2.4

Nel 2003, la Commissione ha avviato un riesame del regolamento (CEE) n. 4056/86 allo scopo di determinare se si potessero ottenere servizi marittimi programmati affidabili tramite mezzi meno restrittivi del regolamento orizzontale sulla fissazione dei prezzi e delle capacità. A tal fine, la Commissione ha pubblicato un documento di consultazione nel marzo 2003 ed ha organizzato un'audizione pubblica con le parti direttamente interessate nel dicembre dello stesso anno. Inoltre, la Commissione ha pubblicato un documento di lavoro nel mese di giugno 2004 ed un Libro bianco nel mese di ottobre 2004 seguito da ampie consultazioni con le parti direttamente interessate. Il Parlamento europeo (7) e il Comitato (8) hanno espresso i loro pareri sul Libro bianco il 1o dicembre 2005 e 16 dicembre 2004 rispettivamente, concordando sul fatto che la linea d'azione preferibile fosse la revisione piuttosto che l'abrogazione. Nel mese di dicembre 2005, la Commissione ha alla fine pubblicato la proposta di regolamento che abroga il regolamento (CEE) n. 4056/86.

2.3   Il settore dei servizi di trasporto con navi da carico non regolari

2.3.1

Sebbene l'80 % dell'intero trasporto marittimo a livello mondiale di materie solide e liquide alla rinfusa si effettui utilizzando navi da carico non regolari, si tratta di un settore in generale molto poco conosciuto. Le sue caratteristiche fondamentali sono: mercati concorrenziali a livello mondiale, modello concorrenziale vicino a quello della concorrenza perfetta, domanda volatile e difficile da prevedere, molte piccole compagnie imprenditoriali, modelli commerciali globali, facilità di ingresso e di uscita, efficienza dal punto di vista dei costi, capacità di adattamento allo sviluppo dei mercati e alle esigenze dei caricatori. Il mercato di tali servizi è molto frammentato e ha operato in generale con soddisfazione dei caricatori, senza grandi problemi in termini di rispetto delle regole della concorrenza sia sul piano internazionale che con riferimento all'UE. L'assenza di lamentele riguardanti questo settore è una prova ulteriore della sua natura altamente concorrenziale. In considerazione di tutto ciò, il regolamento (CEE) n. 4056/86 esclude dal suo campo di applicazione i servizi di trasporto con navi da carico non regolari. Gli articoli 81 e 82 del Trattato CE si applicano direttamente a questo settore. Inoltre, i servizi internazionali di trasporto con navi da carico non regolari (e i servizi di cabotaggio) non rientrano nel campo d'applicazione del regolamento (CE) n. 1/2003 (disposizioni generali d'applicazione delle regole sulla concorrenza).

2.4   La proposta della Commissione

2.4.1

In considerazione dei cambiamenti nella struttura del mercato e dell'industria intervenuti successivamente al 1986, la Commissione europea ha concluso che le quattro condizioni cumulative, ai sensi dell'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato CE, per la concessione dell'esenzione di categoria alle conferenze di linea non sono più soddisfatte. Per questo la Commissione intende abrogare il regolamento (CEE) n. 4056/86 nella sua interezza, e in particolare l'esenzione di categoria a favore delle conferenze (articoli da 3 a 8, articolo 13 e articolo 26). Vengono abrogate anche alcune disposizioni superflue, conformemente alla politica generale di riduzione e semplificazione della legislazione comunitaria (articolo 2 e articolo 9). La Commissione ritiene che una tale abrogazione si traduca in costi di trasporto più bassi, assicurando nel contempo il mantenimento dell'affidabilità dei servizi in tutti i traffici commerciali ed il miglioramento della competitività dell'industria europea.

2.4.2

Prima di abrogare l'esenzione di categoria a favore delle conferenze di linea, la Commissione intende pubblicare gli orientamenti sulla concorrenza nel settore marittimo in modo da contribuire alla transizione senza attriti ad un regime perfettamente concorrenziale. La Commissione intende pubblicare questi orientamenti entro la fine 2007. A titolo di preparazione essa pubblicherà, nel settembre 2006, un «documento di discussione» sui trasporti marittimi di linea.

2.4.3

La proposta della Commissione sull'abrogazione del regolamento (CEE) n. 4056/86 contiene inoltre una proposta di modifica del regolamento (CE) n. 1/2003 volta a far rientrare nel campo d'applicazione di quest'ultimo i servizi internazionali di trasporto con navi da carico non regolari ed i servizi di cabotaggio.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il Comitato ritiene che la questione all'esame meriti un'impostazione equilibrata che tenga conto degli elementi seguenti: i vantaggi della concorrenza per la competitività dell'industria dell'UE, la modifica intervenuta ai modelli del commercio mondiale e le sue conseguenze sulla prestazione dei servizi di trasporto, le implicazioni internazionali dei trasporti per i partner commerciali principali dell'UE e per paesi in via di sviluppo, la posizione dei trasportatori e dei caricatori che operano a livello mondiale e quelle dei caricatori e dei trasportatori di piccole e medie dimensioni.

3.2   I settori dei trasporti con navi da carico non regolari e del cabotaggio

3.2.1

Il settore dei servizi di trasporto con navi da carico non regolari opera in un mercato globale in condizioni di concorrenza perfetta. Questa caratteristica eccezionale, ammessa dagli operatori del settore stesso e dal mondo accademico, è stata riconosciuta anche dall'UE nel regolamento (CEE) n. 4056/86. Il Comitato comprende l'esigenza di far rientrare questo settore nel campo di applicazione delle disposizioni generali di applicazione delle regole di concorrenza, di cui al regolamento (CE) n. 1/2003 e appoggia pertanto l'approccio proposto. Il Comitato accoglie con favore la decisione della Commissione di intraprendere uno studio sulle caratteristiche economiche e giuridiche del settore in questione. In nome della certezza giuridica, il Comitato invita la Commissione a fornire orientamenti (prima di abrogare l'esclusione dal campo di applicazione del regolamento (CE) n. 1/2003) sull'autovalutazione della compatibilità con le regole della concorrenza dell'UE delle varie forme di accordi di cooperazione vigenti nei servizi di trasporto con navi da carico non regolari. L'assenza di denunce e di precedenti legali nel settore dei servizi di trasporto con navi da carico non regolari è una prova del suo funzionamento in condizioni di concorrenza perfetta. Per fornire parametri di riferimento legali per la sua autovalutazione in relazione alle regole di concorrenza dell'UE, saranno necessarie maggiori informazioni sul suo funzionamento e sugli accordi in essere. Il comitato apprezza inoltre le discussioni in corso tra la Commissione e l'industria dei trasporti marittimi per quanto riguarda l'applicazione degli articoli 81 e 82 al trasporto con navi da carico non regolari.

3.2.2

Riguardo al cabotaggio, il Comitato è d'accordo con il trattamento proposto, secondo cui il cabotaggio rientrerà nelle disposizioni generali di applicazione del regolamento (CE) n. 1/2003. La maggior parte degli accordi in questo settore non influirebbe sui traffici commerciali intra-UE né darebbe luogo a restrizioni della concorrenza.

3.2.3

Alla luce di quanto sopra, il Comitato è d'accordo con l'impostazione della Commissione sul futuro trattamento dei settori del trasporti con navi da carico non regolari e del cabotaggio.

3.3   Il settore dei servizi di linea

3.3.1

Per quanto riguarda il settore dei servizi di linea, il Comitato prende atto della proposta della Commissione di abrogare l'esenzione di categoria dalle regole di concorrenza del Trattato CE a favore delle conferenze di compagnie marittime di linea, in base alla considerazione che le quattro condizioni cumulative dell'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato CE non sono più soddisfatte. La Commissione ritiene che con l'abrogazione si avrà una riduzione dei costi del trasporto, mantenendo nel contempo l'affidabilità dei servizi in tutti i traffici commerciali e migliorando allo stesso tempo la competitività dell'industria europea. Il Comitato attende, per un giudizio definitivo, di vedere se l'effetto dell'abrogazione proposta sarà sostenibile.

3.3.2

Il Comitato prende nota dell'intenzione della Commissione di emanare orientamenti adeguati sulla concorrenza nel settore marittimo in modo da favorire la transizione senza attriti ad un regime perfettamente concorrenziale. Il Comitato invita la Commissione a elaborare gli orientamenti in stretto contatto con le parti direttamente interessate e ad informare di conseguenza le istituzioni competenti dell'UE.

3.3.3

La proposta della Commissione è il risultato di un processo di revisione, iniziato nel 2003, che ha interessato tutte le istituzioni competenti dell'UE e le parti direttamente interessate. La Commissione inoltre ha fatto svolgere tre studi da consulenti indipendenti, i quali hanno esaminato le questioni derivanti dall'abrogazione del regime d'esenzione di categoria; i risultati degli studi sono pubblicati sul sito web della direzione generale Concorrenza.

3.3.4

Il Comitato ha inoltre preso nota del fatto che la proposta della Commissione di abrogare l'esenzione di categoria a favore delle conferenze di compagnie marittime di linea è basata soltanto sull'articolo 83 del Trattato (regole di concorrenza), mentre la base giuridica del regolamento (CEE) n. 4056/86 era costituita dalla combinazione dell'articolo 83 (regole di concorrenza) e dell'articolo 80, paragrafo 2, (politica dei trasporti) del Trattato CE.

3.3.5

Il Comitato prende nota del fatto che la Commissione riconosce che le regole della concorrenza non sono applicate nello stesso modo in tutte le giurisdizioni del mondo e che esistono divergenze. La Commissione inoltre riconosce l'importanza crescente della cooperazione internazionale tra le autorità preposte a far rispettare le regole della concorrenza.

3.3.6

Il Comitato apprezza il fatto che la Commissione stia perseguendo una duplice politica di sviluppo di una cooperazione bilaterale rafforzata con i principali partner commerciali dell'UE e di esame delle modalità per ampliare la cooperazione multilaterale nel campo della concorrenza. Il Comitato incoraggia dunque la Commissione ad accelerare gli sforzi per assicurarsi che tale cooperazione e tale dialogo contribuiscano ad individuare i problemi potenziali che deriverebbero da un'abrogazione del regolamento (CEE) n. 4056/86 nell'UE e a risolvere tali problemi in un modo costruttivo, rispettando quindi le particolarità dei rispettivi sistemi giuridici. Un trattamento coerente dei servizi regolari di trasporto marittimo da parte dei diversi paesi è effettivamente di importanza vitale per il commercio internazionale.

3.3.7

Il Comitato invita la Commissione a tenere conto dei risultati del dialogo e della cooperazione con i suoi principali partner commerciali al momento della redazione degli orientamenti sulla concorrenza nel settore marittimo.

3.3.8

Il comitato ritiene altresì che nella redazione di tali orientamenti si dovrebbe tener conto anche dei seguenti elementi, d'altronde già presenti nella relazione introduttiva della proposta della Commissione:

i servizi di trasporto marittimo sono cruciali per lo sviluppo dell'economia dell'UE, considerando che il trasporto marittimo muove il 90 % del suo commercio estero ed il 43 % del commercio intra-UE,

dall'epoca dell'adozione del regolamento (CEE) n. 4056/86 la tendenza costante ad un uso crescente dei container ha profondamente cambiato il trasporto marittimo di linea. Essa si è risolta in un aumento del numero e della dimensione delle navi portacontainer cellulari integrali e in un incremento dell'importanza delle reti di trasporto mondiali. Questo ha contribuito al successo di nuovi accordi operativi e ad un declino dell''importanza delle conferenze di linea,

il sistema delle conferenze, in funzione da 150 anni, è ancora soggetto ad accordi multilaterali e bilaterali, dei quali gli Stati membri dell'UE e la Comunità sono parti. Il Comitato osserva che la Commissione riconosce che, per permettere di denunciare o rivedere questi accordi, sarebbe opportuno rinviare di due anni la data d'abrogazione delle seguenti disposizioni del regolamento (CEE) n. 4056/86: l'articolo 1, paragrafo 3, lettere b) e c), gli articoli da 3 a 8 e l'articolo 26.

3.3.9

Il Comitato raccomanda alla Commissione di prendere in considerazione, nel quadro dell'abrogazione dell'esenzione di categoria per le conferenze di compagnie marittime di linea, oltre ai fattori puramente concorrenziali, anche l'aspetto delle risorse umane (l'impatto sull'occupazione dei lavoratori marittimi europei). Il Comitato chiede anche alla Commissione di valutare la portata di questo impatto, in particolare attraverso la consultazione del comitato per il dialogo sociale settoriale nel settore marittimo.

3.3.10

Il Comitato raccomanda alla Commissione di prendere in considerazione, nel quadro dell'abrogazione dell'esenzione di categoria per le conferenze di compagnie marittime di linea, oltre ai fattori puramente concorrenziali, anche l'aspetto della sicurezza (la perdita di trasporti marittimi di qualità nelle acque europee in seguito alla rinuncia a battere la bandiera dell'UE).

3.3.11

Il Comitato reputa che la Commissione, nel quadro dell'abrogazione del regolamento (CEE) n. 4056/86, dovrebbe tener conto anche degli interessi delle piccole e medie imprese, che costituiscono il nerbo dell'economia dell'UE e svolgono un ruolo importante nel contesto della strategia riveduta di Lisbona. I mercati dovrebbero rimanere aperti alla concorrenza sia effettiva che potenziale, la quale comprende anche i trasportatori piccoli e medi.

3.3.12

Il Comitato ritiene che, sebbene il consolidamento che può seguire all'abrogazione del regolamento (CEE) n. 4056/86 potrebbe avere effetti positivi per l'industria dell'UE (incrementi d'efficienza, economie di scala, risparmi sui costi), si imponga la massima cautela sia per evitare che esso si traduca in un numero inferiore di operatori nei mercati pertinenti, cioè, in una riduzione della concorrenza.

3.3.13

Nel quadro di un nuovo regime, il Comitato invita le due parti interessate a livello europeo, i caricatori e i trasportatori, ad avviare discussioni sulle questioni di interesse ed importanza per entrambe.

4.   Osservazioni specifiche

4.1   Base giuridica

4.1.1

Il Comitato osserva che il regolamento (CEE) n. 4056/86 aveva una duplice base giuridica (articolo 80, paragrafo 2, e articoli 81, 82 e 83 riguardanti rispettivamente la politica dei trasporti e quella della concorrenza), mentre la proposta in esame conserva solo l'articolo 83 (regole di concorrenza) del Trattato CE. Esso prende nota inoltre del fatto che il servizio giuridico del Consiglio è favorevole alla base giuridica unica. Al Comitato interesserebbe sapere dal Servizio giuridico del Parlamento europeo se le considerazioni di politica dei trasporti siano accessorie rispetto a quelle di politica della concorrenza e se tale Servizio mantiene il suo punto di vista sulla doppia base giuridica espresso nel suo parere precedente (dicembre 2005).

4.2   Conflitto di leggi

4.2.1

La Commissione propone di abolire l'articolo 9 del regolamento (CEE) n. 4056/86, in quanto essa non ritiene che l'abrogazione dell'esenzione di categoria per le conferenze di linea creerà conflitti di leggi. La procedura prevista all'articolo 9, tuttavia, è utile e avrebbe dovuto essere attivata per procedere al riesame del sistema delle conferenze a livello internazionale. L'impostazione della Commissione è che si ha un conflitto di leggi solo quando una giurisdizione proibisce ciò che un'altra esige: essa non è a conoscenza di alcuna giurisdizione che imponga un tale obbligo agli operatori di servizi di trasporto di linea.

4.2.2

Il comitato, anticipando possibili conflitti di legge in futuro derivanti dagli strumenti giuridici di altre giurisdizioni, invita la Commissione a prevedere negli orientamenti una disposizione che consenta di affrontare tali problemi. Tale disposizione, relativa alle consultazioni, ridurrà al minimo gli attriti e condurrà a soluzioni reciprocamente accettabili a livello internazionale.

Bruxelles, 5 luglio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16.12.2002, concernente l'applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato (GU L 1 del 4.1.2003, pag. 1); parere CESE, GU C 155 del 29.5.2001, pag. 73.

(2)  A6-0314/2005 dell'1.12.2005.

(3)  Per maggiori informazioni sul codice di condotta Unctad e sul regolamento (CEE) n. 954/79, cfr. parere CESE, GU C 157 del 28.6.2005, pag. 130.

(4)  Cfr. il documento sullo status dei Trattati multilaterali pubblicato dal segretariato dell'Unctad

http://www.unctad.org/en/docs/tbinf192.en.pdf (pag. 4).

(5)  ESC: European Shippers' Council.

(6)  ELAA: European Liner Affaire Association.

(7)  A6-0314/2005 dell'1.12.2005.

(8)  Parere CESE, GU C 157 del 28.6.2005, pag. 130.


16.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 309/51


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La sicurezza aerea

(2006/C 309/11)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 19 gennaio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema La sicurezza aerea.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 30 maggio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore McDONOGH.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 5 luglio 2006, nel corso della 428a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 155 voti favorevoli, 2 contrari e 3 astensioni.

1.   Raccomandazioni

1.1

Gli equipaggi di cabina dovrebbero essere in possesso di licenza o certificazione specifica per ogni tipo di aeromobile su cui sono chiamati a prestare servizio rilasciata da un'autorità competente per garantire che essi siano in possesso delle capacità necessarie a svolgere le loro funzioni (sicurezza, aspetti medici, gestione dei passeggeri, ecc.) e dei requisiti tecnici.

1.2

L'AESA (Agenzia europea per la sicurezza aerea) dovrà valutare attentamente se consentire ai fornitori di attrezzature aeree di approvare autonomamente i progetti dei componenti senza sottoporli né all'AESA né ai fabbricanti di aeromobili.

1.3

Le compagnie aeree non europee dovrebbero ottenere l'approvazione dell'AESA prima di essere ammesse all'interno dello spazio aereo dell'UE.

1.4

L'ente di regolamentazione dovrebbe essere uno solo, e cioè l'AESA, per arrivare in futuro all'armonizzazione delle norme aeroportuali ed evitare per quanto possibile ogni distorsione della concorrenza tra gli aeroporti comunitari e quelli dei paesi terzi. L'AESA dovrebbe essere rafforzata e dotata di poteri analoghi a quelli della CEAC (Conferenza europea dell'aviazione civile).

1.5

L'AESA dovrebbe esaminare come gli operatori del settore possano garantire meglio la sicurezza e l'integrità delle comunicazioni, della trasmissione dati, dei sistemi avionici di bordo, come ad esempio l'EFB (electronic flight bags), proteggendoli dalla pirateria informatica.

1.6

Essa deve garantire che il futuro sviluppo di aeromobili come gli LBJ (Light Business Jet) sia regolamentato, onde assicurare che i proprietari e i piloti abbiano un numero di ore di volo sufficiente prima di essere autorizzati a iniziare le attività di volo. Questi velivoli voleranno ad una quota di almeno 25.000 piedi e saranno soggetti alle stesse norme di manutenzione e di funzionamento dei jet commerciali più grandi.

1.7

L'AESA dovrebbe stabilire i necessari protocolli prima di considerare l'ipotesi di autorizzare i voli UAV (unmanned airborne vehicles) al di fuori dello spazio aereo riservato.

1.8

Occorre effettuare controlli casuali sia sul personale addetto alla cabina di pilotaggio che su quello della cabina di volo per verificarne il tasso alcolemico e l'eventuale uso di sostanze stupefacenti.

1.9

L'AESA dovrebbe assicurare che gli enti di regolamentazione degli Stati membri siano in possesso di qualifiche, personale e risorse finanziarie adeguate ai compiti che devono svolgere.

1.10

Dovrebbe inoltre intraprendere uno studio scientifico approfondito degli effetti della stanchezza, dello stress e della trombosi venosa profonda (TVP) sul personale addetto alla cabina di pilotaggio e su quello della cabina di volo.

1.11

Occorre riesaminare la politica e le procedure in vigore per la concessione della licenza di pilota di aviazione generale e per la certificazione degli aeromobili utilizzati nell'aviazione generale.

1.12

L'AESA dovrebbe garantire l'introduzione di una licenza europea di pilota di aviazione generale, con endorsement/rating specifici per l'aeromobile da pilotare.

1.13

La sicurezza dell'equipaggio e dei passeggeri e quella delle popolazioni che vivono nelle località situate al di sotto dei corridoi aerei deve avere la precedenza sulle considerazioni politiche quando si tratti di vietare l'uso dello spazio aereo europeo a determinate aerolinee.

2.   Introduzione

2.1

Con la cooperazione degli Stati membri e dei loro esperti la Commissione europea ha pubblicato una lista nera di 96 compagnie aeree. A 93 di queste compagnie sarà vietato completamente l'accesso al territorio europeo, mentre le altre 3 subiranno restrizioni operative. In modo indipendente, la Francia sta considerando l'ipotesi di introdurre autonomamente un nuovo sistema di etichette relative alle prestazioni di sicurezza che potrebbero essere utilizzate a livello pubblicitario.

2.2

Dall'inizio del 2004, quando un charter della Flash Airlines è precipitato nel Mar Rosso causando 148 morti, per lo più turisti francesi, in Europa vi sono state forti pressioni per il miglioramento della legislazione in materia di sicurezza aerea. L'incidente della Flash Airlines ha evidenziato la mancanza di coordinamento tra i governi per quanto riguarda la condivisione delle informazioni sulla sicurezza, visto che — come è poi emerso — le autorità aeronautiche svizzere avevano vietato i voli della compagnia in questione sul territorio elvetico.

2.3

È fondamentale che vi sia coerenza e armonizzazione tra gli Stati membri per quanto riguarda gli standard operativi delle compagnie aeree, se si vuole che la lista nera abbia l'effetto voluto. Bisogna evitare che, per ragioni economiche e sociali, uno Stato membro decida che una compagnia presente sulla lista è «marginalmente ammissibile» ad operare nei suoi aeroporti, mentre gli altri Stati membri ne giudicano gli standard inaccettabili.

2.4

È stato tuttavia chiesto all'UE di intervenire in alcuni contenziosi, in particolare quello che ha visto opposti la Turchia e i governi di alcuni paesi europei, con in testa i Paesi Bassi, che avevano deciso di sospendere alla Onur Air, una compagnia aerea turca a basso costo, l'autorizzazione ad atterrare sul loro territorio per motivi di sicurezza. Dal canto suo la Grecia riceve sollecitazioni insistenti ad avanzare con l'indagine relativa all'incidente subito dal volo della Helios Airways in provenienza da Larnaca (Cipro).

2.5

Le preoccupazioni investono principalmente le norme generali di manutenzione, l'addestramento dell'equipaggio, il numero di ore di volo dell'equipaggio, i periodi di riposo, le prassi in uso per il risparmio di carburante, il contenimento del rumore nonché il controllo del traffico aereo.

2.6

L'aumento della concorrenza nel settore aereo e la precarietà finanziaria di molte compagnie fa sì che gli equipaggi debbano volare in condizioni in cui normalmente non si dovrebbe volare, spesso a bordo di aerei che non sono perfettamente idonei al volo. Gli equipaggi sono sempre più sollecitati a decollare in quanto in caso di ritardo le norme comunitarie impongono alle compagnie aeree di offrire ai passeggeri il pernottamento in hotel oppure un risarcimento pecuniario. Tutto ciò va a scapito della sicurezza. Un ulteriore problema deriva dal fatto che le autorità aeronautiche degli Stati membri spesso chiudono un occhio sull'applicazione di molte norme, quando si tratta delle rispettive compagnie di bandiera.

2.7

Nonostante le sia stato vietato di operare in numerosi paesi europei per ragioni di sicurezza, una certa aerolinea effettua ancora voli verso gli aeroporti di Bruxelles e Parigi mentre la Svizzera, con la sua rigida ossessione culturale della riservatezza degli affari, ha vietato l'accesso al suo spazio aereo a 23 aeronavi, sebbene i nomi e, addirittura, il numero delle compagnie rimanga riservato.

3.   Effetti della fatica e sicurezza delle prestazioni

3.1

Nel corso degli anni molti incidenti aerei sono stati attribuiti alla stanchezza: si tratta effettivamente di un problema che continua a interessare gli equipaggi degli aerei di qualsiasi dimensione. Ma come fa un pilota a rendersi conto quand'è troppo stanco per volare? Che ruolo svolgono i cicli del sonno, la disidratazione, l'alimentazione e lo stato di salute nella capacità di individuare e di reagire all'affaticamento?

3.2

I piloti che attraversano vari fusi orari accusano sicuramente stanchezza e un deterioramento della capacità di giudizio. In teoria essi dovrebbero avere la possibilità di riposare nel corso di voli lunghi, ma per far ciò bisognerebbe mettere a loro disposizione strutture adeguate, come ad esempio letti per dormire in posizione orizzontale, ecc.

3.3

Vi sono numerose prove del fatto che la stanchezza incide sulla sicurezza. In un recente rapporto sull'incidente mortale verificatosi a Kirksville, nel Missouri, il 19 ottobre 2004, la National Transportation Safety Board afferma che «visto il numero d'ore di riposo notturno inferiore all'ottimale, l'ora precoce di inizio e la lunghezza del turno di servizio, il numero di scali, le difficili condizioni di lavoro — avvicinamenti non di precisione con pilotaggio manuale in presenza di nuvole basse e in condizioni di visibilità ridotta — è probabile che la stanchezza abbia contribuito a diminuire la qualità delle prestazioni e a compromettere la capacità dei piloti di prendere decisioni.»

3.4

In ogni caso, nessun pilota con un minimo di esperienza può negare di aver dovuto lottare occasionalmente con una crisi di stanchezza o che tale stanchezza abbia in qualche modo inciso sulle sue prestazioni. La qualità del sonno durante i periodi di riposo è molto importante.

3.5

Anche la dieta e l'alimentazione svolgono un ruolo di rilievo. Ad esempio, qualsiasi pilota, da quello alle prime armi al capitano alla soglia della pensione, vi dirà che la bevanda preferita dei piloti è il caffè. Tuttavia, se il caffè è uno stimolante e provoca un temporaneo aumento dell'attenzione, uno dei sintomi dell'astinenza da caffè è proprio la stanchezza. Inoltre il caffè è diuretico e fa espellere al corpo una maggiore quantità di liquidi di quella che assume, provocando così disidratazione, che a sua volta può ingenerare fatica.

3.6

La noia incide gravemente sulla stanchezza nei viaggi a lunga distanza, in cui il pilotaggio è quasi completamente automatico. Per assicurarsi che l'equipaggio rimanga vigile, alcune compagnie aeree, in particolare nei voli transiberiani, insistono affinché il pilota automatico sia riattivato ogni ora.

3.7

Molti degli incidenti aerei che si verificano sono dovuti a errori del pilota e la stanchezza è una delle cause principali di tali errori.

3.8

È previsto che la concessione delle licenze diventi di competenza dell'AESA, che sostituirà così l'attuale JAA (Joint Aviation Authorities) in questo settore. Tuttavia l'uso delle licenze dell'International Civil Aviation Organisation (ICAO) ottenute negli USA ed esercitate da piloti in Europa non verrà modificato da questo passaggio di competenze.

4.   Equipaggi di cabina

4.1

Tutti i miglioramenti relativi alle norme per il riposo del personale addetto alla cabina di pilotaggio dovrebbero — ove possibile — essere applicati anche all'equipaggio della cabina di volo, che deve essere perfettamente pronto ad affrontare qualsiasi problema di sicurezza e i casi di emergenza.

4.2

L'equipaggio della cabina di volo deve essere adeguatamente addestrato alle tecniche di rianimazione, avere piena padronanza della propria madrelingua più una conoscenza minima dell'inglese corrispondente al livello 4 dell'ICAO, ed essere in grado di facilitare la comunicazione con i passeggeri in caso di emergenza.

5.   Il controllo del traffico aereo

5.1

Il CESE si è già espresso in merito al controllo del traffico aereo e ai relativi problemi (1). Il proposto sistema SESAR dovrebbe contribuire a migliorare la sicurezza, se e quando sarà introdotto: esso sarà oggetto di un altro parere del CESE (2). Rimane il fatto tuttavia che l'Europa ha bisogno di un sistema di controllo del traffico aereo uniformato, che superi i confini tra paesi e che riconosca il ruolo di Eurocontrol in quanto «autorità di regolamentazione federale» analoga alla Federal Aviation Administration (FAA) negli USA. Si accoglie perciò positivamente l'assegnazione del primo contratto nell'ambito del programma TMA2010+ di Eurocontrol.

5.2

Si sente fortemente l'esigenza di standardizzare il controllo del traffico aereo e di introdurre sistemi integrati paneuropei che contribuiscano a garantire la sicurezza.

5.3

È inoltre auspicabile introdurre adeguati sistemi di certificazione dei tecnici e informatici che operano nell'ambito dell'assistenza al volo (ATSEP — air traffic safety electronics personnel).

6.   Manutenzione degli aeromobili

6.1

Alcuni Stati membri sembrano avere difficoltà a passare dalle loro norme nazionali alle norme europee Part 66. Le licenze di manutenzione rilasciate dagli Stati si basano sui requisiti stabiliti dalla Joint Aviation Authorities (JAA), che sono stati recepiti nel diritto nazionale per dar loro forza giuridica. In base al sistema AESA, tuttavia, le norme per il rilascio delle licenze sono soggette al diritto comunitario. La loro applicazione risulta essere un processo lungo e soggetto a ricorsi.

6.2

Nel 2005 tutti i 25 Stati membri dell'UE si sono avvalsi di un'opzione in deroga che dà loro tempo fino al settembre 2005 per adeguarsi alle norme Part 66. Bisogna applicare i termini fissati dall'AESA affinché gli Stati si conformino alle norme di sicurezza, o quantomeno occorrerebbe concordare dei termini con tutte le parti interessate per evitare di dover poi concedere proroghe o periodi transitori.

6.3

Il CESE si chiede se esista una disposizione che prevede che, se necessario, l'AESA controlli l'affidamento della manutenzione degli aeromobili, da parte dei vettori aerei a basso costo, a imprese di manutenzione di paesi terzi.

6.4

Occorre prevedere tempi adeguati per le ispezioni a terra, particolarmente nelle operazioni di imbarco/sbarco dei passeggeri e di carico/scarico dei bagagli. I 25 minuti destinati in media a tali operazioni per i voli a corto raggio non possono certamente essere considerati adeguati in tutti i casi.

6.5

Bisogna inoltre stanziare risorse adeguate e impiegare personale qualificato che utilizzi soltanto componenti certificati nell'esecuzione delle manutenzioni.

6.6

Le autorità aeronautiche nazionali dovrebbero effettuare controlli e ispezioni casuali per verificare il rispetto delle norme.

7.   Le compagnie aeree

7.1

Le compagnie aeree devono dimostrare di essere finanziariamente solide e di disporre di fondi adeguati per poter avere la licenza di esercizio. Bisogna inoltre chiedere agli Stati di controllarne periodicamente i risultati finanziari per garantire che non vengano adottate facili «scorciatoie».

7.2

Esse devono essere dotate di esperienza e disporre di personale dirigente competente.

8.   Le competenze dell'Agenzia europea per la sicurezza aerea

8.1

L'attuale intenzione della Commissione europea è quella di ampliare ulteriormente le competenze dell'AESA nel settore della regolamentazione (ivi compresa la sicurezza e l'interoperabilità) degli aeroporti, della gestione del traffico aereo e dei servizi di navigazione aerea.

8.2

Il Comitato è favorevole all'AESA, istituita dal regolamento 1592/2002/CE, e ritiene che la definizione di un quadro europeo che disciplini le procedure e la concessione delle autorizzazioni per aeromobili e apparecchiature da parte di un'unica autorità contribuirà sicuramente a migliorare la sicurezza e l'efficienza aerea in Europa.

8.3

L'AESA avrà l'opportunità di affrontare la questione delle SARPS (Standard and recommended practices), e delle anomalie create da queste «norme» e «pratiche raccomandate» contenute negli annessi alla Convenzione sull'aviazione civile internazionale dell'ICAO.

9.   La concessione delle licenze nell'aviazione generale

9.1

Le licenze dei piloti privati (PPL) che operano nello spazio aereo europeo con titoli rilasciati dalla FAA devono essere approvate dell'AESA.

9.2

Tutti i velivoli dell'aviazione generale (GA) devono rispettare le norme UE stabilite dall'AESA prima di poter volare nello spazio aereo europeo.

10.   Sicurezza dei sistemi avionici

10.1

L'AESA dovrebbe elaborare una serie di orientamenti/regole generali per proteggere attrezzature o reti specifiche dagli «atti di interferenza illecita» definiti dall'ICAO.

10.2

Oltre al crescente uso di Ethernet (LAN) e dell'IP, gli altri settori vulnerabili sono i seguenti:

il maggiore uso dei data link aria/terra e delle relative tecnologie di comunicazione utilizzate dai passeggeri, dalle compagnie aeree e dai controllori del traffico aereo,

il ricorso più generale al trasferimento di dati e programmi informatici attraverso reti di bordo e tra diversi siti a terra a fini di produzione, trasmissione, manutenzione o aggiornamento,

la proliferazione dei virus e della pirateria informatica, insieme alla ricerca di dati riservati attraverso reti interconnesse.

11.   Voli UAV

11.1

L'AESA deve essere dotata dei poteri necessari per regolamentare questo settore dell'industria aeronautica non soltanto per quanto riguarda la navigabilità e la progettazione, bensì anche la certificazione degli operatori di terra, i sistemi di lancio, ecc.

11.2

Tutte le norme relative agli aeromobili convenzionali devono essere considerate obbligatorie anche per gli UAV e si dovranno consultare tutti gli utenti dello spazio aereo che potranno essere condizionati da questo tipo di attività.

12.   L'AESA

12.1

L'AESA, l'ente di regolamentazione generale dell'UE, stabilisce i principi e le norme per la sicurezza aerea nell'Unione. Attualmente essa non dispone né delle risorse finanziarie né del personale di cui avrebbe bisogno; non ha inoltre alcun potere per far rispettare le norme che adotta.

12.2

Essa dipende dai vari enti nazionali di vigilanza per l'applicazione delle norme e dei regolamenti.

12.3

Questo equivale, in pratica, a un'autoregolamentazione. È infatti improbabile che un ente nazionale adotti provvedimenti restrittivi nei confronti di una compagnia aerea che rientra nella sua giurisdizione, a meno che non si tratti di un problema estremamente grave.

12.4

Le autorità aeronautiche nazionali sono inoltre responsabili di tutti gli aeromobili registrati nel loro territorio e di quelli le cui compagnie hanno uffici nel loro paese. Molto spesso però questi aeromobili e i relativi equipaggi hanno sede in altri paesi UE e da questi vengono gestiti. Ciò ne rende problematica la regolamentazione.

12.5

Affidando l'attuazione delle decisioni dell'AESA alle autorità nazionali si rischia di avere un'applicazione eterogenea delle norme comunitarie dovuta a interpretazioni diverse. Ciò a sua volta potrebbe portare una compagnia aerea ad adottare una bandiera di comodo qualora un paese si rivelasse più permissivo di altri nell'interpretazione delle norme.

12.6

Dall'altro lato, la CEAC, l'organismo responsabile della sicurezza degli aeroporti, ha il potere di controllare i livelli locali di conformità: una competenza, questa, che spetterebbe all'AESA.

12.7

L'AESA è attualmente finanziata con i proventi delle certificazioni. Essendo previste perdite pari a 15 milioni di euro nel 2006 su questo fronte, è essenziale che i governi assicurino all'AESA i finanziamenti necessari per garantire il suo futuro funzionamento.

Bruxelles, 5 luglio 2006

La presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la licenza comunitaria dei controllori del traffico aereo (relatore: McDONOGH), GU C 234 del 22.9.2005 pagg. 17-19.

(2)  Impresa comune — SESAR, CESE 379/2006, relatore: McDONOGH.


16.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 309/55


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai rifiuti

COM(2005) 667 def. — 2005/0281 (COD)

(2006/C 309/12)

Il Consiglio, in data 24 febbraio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 175 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 maggio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore BUFFETAUT.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 5 luglio 2006, nel corso della 428a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 114 voti favorevoli e 4 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1

Il CESE approva la volontà della Commissione di aggiornare, semplificare e adeguare la legislazione in materia di rifiuti. Condivide in particolare l'approccio e lo spirito che contraddistinguono la strategia sulla prevenzione e sul riciclaggio dei rifiuti. Occorre sostenere la volontà di realizzare un'applicazione generale ed equa della normativa, allo scopo di evitare distorsioni sul piano ambientale, della salute pubblica e della concorrenza nell'ambito del mercato dei rifiuti. Il CESE sottolinea l'importanza che rivestono la chiarezza e la precisione delle definizioni e degli allegati per evitare i ricorsi e le procedure giudiziarie. Si rammarica, tuttavia, della mancanza di ambizione dimostrata dalla proposta per quanto riguarda la prevenzione dei rifiuti. Il CESE dichiara, infatti, che ogni intenzione di mettere in atto un autentico sviluppo sostenibile implica un'efficace politica di prevenzione e di recupero dei rifiuti, in un contesto in cui le materie prime diventano sempre più scarse e costose, e raccomanda che vengano messi a punto degli strumenti a livello europeo per garantire il conseguimento degli obiettivi stabiliti sul piano sia qualitativo che quantitativo. A questo proposito il testo risulta molto debole. Inoltre, la Commissione sembra ritenere che, semplificando le procedure per il rilascio delle autorizzazioni degli impianti di trattamento, si incoraggerà il riciclaggio. Tale approccio è errato: esso produrrà conseguenze ambientali negative e comporterà rischi per la salute. Inoltre, non è conforme ai principi della convenzione di Aarhus relativa all'informazione del pubblico in materia di rifiuti. In effetti, l'autorizzazione contiene degli elementi tecnici relativi alla protezione dell'ambiente, ha carattere pubblico e prevede obblighi in materia di informazione e controllo. Essa non costituisce affatto un freno allo sviluppo del trattamento e del riciclaggio, bensì fornisce le garanzie necessarie per quanto riguarda il controllo del rispetto delle norme e dell'impiego delle migliori tecniche disponibili da parte delle amministrazioni.

1.2

Il CESE considera inoltre del tutto pertinente l'introduzione del concetto di ciclo di vita nella politica relativa ai rifiuti, nonché l'approccio in materia di riduzione delle discariche, compostaggio, recupero di energia, riciclaggio nel senso proprio del termine e prevenzione dei rifiuti.

1.3

Per quanto riguarda la proposta di direttiva, il CESE osserva che la volontà di rispettare il principio di sussidiarietà, se affermata in modo troppo drastico, rischia di essere in contraddizione con l'intento di realizzare un'applicazione generale e armonizzata della normativa in tutta l'Unione europea.

1.4

Chiede che la fusione/abrogazione della direttiva sui rifiuti pericolosi non comporti un inquadramento meno soddisfacente o una protezione meno efficace della salute pubblica, e osserva che, nella sua formulazione attuale, il testo non fornisce garanzie sufficienti. Bisognerebbe come minimo precisare che, per questo tipo di rifiuti, non sono consentite miscelazioni e non sono previste esenzioni dalla richiesta di autorizzazione. È infatti la classificazione in «pericolosi» e «non pericolosi» che disciplina in particolare le precauzioni e gli obblighi specifici in materia di trasporto e trattamento dei rifiuti. Qualunque attenuazione di tale distinzione non può essere in alcun modo considerata come un progresso in materia di protezione dell'ambiente.

1.5

Sottolinea che il riciclaggio da incoraggiare è quello che non determina un impatto ambientale negativo e consente un effettivo recupero di materie.

1.6

Esprime forti dubbi circa la pertinenza della procedura di comitato nella definizione di taluni criteri specifici allo scopo di stabilire quando un rifiuto cessa di essere tale.

1.7

Reputa che alcune definizioni continuino a essere poco chiare (in particolare quelle di «produttore» e di «recupero»). Sarebbe opportuno, infatti, definire da un lato il «recupero di materia», che conduce al riciclaggio di materia e rende possibile, per taluni flussi, la perdita della qualifica di rifiuto e, dall'altro, il «recupero di energia», che non offre tale possibilità, al fine di applicare in modo omogeneo la direttiva sull'incenerimento a tutti i rifiuti trattati termicamente tramite incenerimento o coincenerimento. Per quanto riguarda l'incenerimento dei rifiuti, è auspicabile incoraggiare il conseguimento di alti rendimenti di recupero energetico per ottenere la qualifica di «recupero», ma è sorprendente che tale disposizione si applichi unicamente all'incenerimento e non agli altri tipi di recupero energetico. A questo proposito, per quanto riguarda l'incenerimento dei rifiuti, tale pratica dovrebbe essere considerata come una forma di recupero solo qualora essa garantisca un livello elevato di efficienza energetica.

1.8

Si rammarica vivamente del fatto che la Commissione non formuli alcuna proposta in merito a strumenti finanziari unificati per tutta l'Unione.

1.9

Deplora che il testo non preveda alcun obbligo in materia di condizioni di lavoro e di salute delle persone impiegate nel settore.

2.   Introduzione

2.1

La politica relativa ai rifiuti è una delle più antiche politiche ambientali dell'Unione europea: l'attuale direttiva quadro risale infatti al 1975. Nel giro di trent'anni, però, rispetto al problema dei rifiuti si è assistito ad una notevole evoluzione del contesto economico e sociale generale, delle prassi e delle tecnologie, delle politiche nazionali e locali nonché della coscienza collettiva. Dopo uno sviluppo costante iniziato nel 1975, l'evoluzione della legislazione europea in materia di rifiuti è accelerata negli anni '90 con la modifica, nel 1991, della direttiva quadro e l'adozione di una serie di direttive su taluni metodi di trattamento e sulla gestione di determinati flussi di rifiuti.

2.2

Alla prova del tempo, le lacune e le inesattezze della normativa in vigore sono venute alla luce: ne sono scaturite controversie e decisioni giurisprudenziali che, a loro volta, hanno evidenziato una legislazione frammentaria, complessa e di difficile interpretazione, cosa dovuta, almeno in parte, alla coesistenza di testi che rimandano l'uno all'altro.

2.3

Allo stesso tempo, si è sviluppata un'autentica «economia dei rifiuti». Le attività di gestione e riciclaggio dei rifiuti sono infatti diventate settori economici a pieno titolo, con un elevato tasso di crescita e la capacità di generare un fatturato stimato nell'ordine di più di 100 miliardi di euro per l'Europa dei 25.

2.4

Va poi ricordato che l'Unione europea si è allargata, e che tale processo continuerà. I nuovi Stati membri incontrano però molte difficoltà in questo campo, soprattutto se si considera la grande quantità di rifiuti che essi smaltiscono ancora nelle discariche. Era quindi naturale che la Commissione si proponesse di affrontare la questione dei rifiuti attraverso una riflessione rinnovata, senza però alterare lo spirito della legislazione in vigore o rivoluzionarne la struttura.

2.5

È per questo motivo che la Commissione ha appena pubblicato una comunicazione relativa ad una strategia tematica sulla prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti (1) e presentato una nuova proposta di direttiva relativa ai rifiuti (2). Nella prima la Commissione definisce gli orientamenti politici e la filosofia generale di cui la seconda costituisce la concreta trasposizione legislativa.

3.   Una politica rinnovata

3.1

Alla base della strategia tematica vi è la constatazione che la produzione di rifiuti continua ad aumentare, le attività di riciclaggio e di recupero permangono insufficienti e i mercati interessati stentano a svilupparsi, nonostante i notevoli progressi compiuti nel settore dei rifiuti in questi ultimi trent'anni. Del resto, oltre ai testi specifici in materia di rifiuti, anche le direttive IPPC hanno indubbiamente svolto un ruolo positivo.

3.2

Bisogna poi aggiungere che lo smaltimento dei rifiuti contribuisce, in una certa misura, a creare dei problemi ambientali e genera costi economici.

3.3

Infine, la legislazione europea resta imprecisa su taluni punti, e ciò provoca dei contenziosi e delle divergenze in materia di applicazione da un paese all'altro.

3.4

Come vengono smaltiti i rifiuti urbani oggigiorno? Le statistiche più attendibili riguardano proprio i rifiuti urbani, che rappresentano il 14 % circa di tutti i rifiuti prodotti: nel 49 % dei casi essi vengono smaltiti in discarica, nel 18 % inceneriti e nel 33 % dei casi sottoposti a riciclaggio e compostaggio. Inoltre, la situazione varia molto da uno Stato membro all'altro: si passa infatti da paesi in cui lo smaltimento in discarica raggiunge il 90 % del totale a paesi in cui esso interessa appena il 10 %. Del resto si rilevano differenze analoghe per altre categorie di rifiuti.

3.5

Complessivamente, quindi, nonostante vi siano stati evidenti passi avanti, nell'Unione europea il volume globale dei rifiuti è in aumento; inoltre, il quantitativo assoluto di rifiuti smaltiti in discarica non cala affatto o solo in maniera irrilevante, malgrado i progressi compiuti nel riciclaggio e nell'incenerimento. Per quanto riguarda la prevenzione dei rifiuti, infine, si può affermare che le politiche attuate finora non hanno ottenuto risultati tangibili.

3.6

È quindi evidente che, pur rimanendo ancora validi gli obiettivi dell'attuale politica comunitaria (prevenzione dei rifiuti e incentivo al riutilizzo, al riciclaggio e al recupero al fine di ridurre gli effetti negativi sull'ambiente e di contribuire ad un migliore utilizzo delle risorse), bisogna però garantire una maggiore efficacia dei dispositivi impiegati.

3.7

Perciò la Commissione propone delle iniziative che interessano al tempo stesso la tecnica legislativa, la riflessione e la concezione di quella che dovrebbe essere una politica relativa ai rifiuti, il miglioramento dell'informazione e la definizione di norme comuni. Nella strategia per la prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti la Commissione raccomanda dunque di:

progredire verso la realizzazione di una società in cui prevalga il riciclaggio e in cui si eviti, nella misura del possibile, la produzione di rifiuti, sfruttando appieno le risorse materiali ed energetiche offerte da questi ultimi,

insistere sull'applicazione generale della normativa al fine di evitare divergenze nell'interpretazione e nell'applicazione, e garantire che gli Stati membri realizzino, nei tempi previsti, gli obiettivi previsti dalla legislazione esistente,

semplificare e aggiornare la legislazione in vigore,

introdurre il concetto di «ciclo di vita» nella politica relativa ai rifiuti in modo da tenere conto del potenziale beneficio che esso può apportare alla riduzione degli impatti ambientali dell'utilizzo delle risorse,

mettere in atto una politica più ambiziosa ed efficace di prevenzione dei rifiuti,

migliorare l'informazione e la diffusione delle conoscenze nel settore della prevenzione,

formulare norme comuni di riferimento allo scopo di realizzare un quadro normativo per il mercato europeo del riciclaggio,

elaborare ulteriormente la politica in materia di riciclaggio.

3.8

Attraverso queste modifiche della legislazione e della concezione della politica dei rifiuti la Commissione prevede di realizzare una diminuzione del volume dei rifiuti smaltiti in discarica, un aumento del compostaggio e del recupero di energia dai rifiuti nonché un miglioramento del riciclaggio sul piano qualitativo e quantitativo. Spera così di potenziare il recupero dei rifiuti ottenendo quindi di salire di livello in quella che è stata definita la «gerarchia dei rifiuti», nonché di contribuire con la politica in materia di rifiuti ad un migliore utilizzo delle risorse.

Qual è la prima trasposizione legislativa degli obiettivi annunciati nella strategia tematica?

4.   La proposta di direttiva relativa ai rifiuti: cambiare senza stravolgere

4.1

Nell'articolo 1 della proposta vengono enunciati i due obiettivi interdipendenti stabiliti dalla Commissione. Essi sono:

da un lato, adottare «misure dirette a ridurre gli impatti ambientali complessivi, connessi all'uso delle risorse, derivanti dalla produzione e dalla gestione dei rifiuti»,

dall'altro, e per i medesimi motivi, far sì che «gli Stati membri adottino le misure appropriate per promuovere, in primo luogo, la prevenzione o la riduzione della produzione e della nocività dei rifiuti e, in secondo luogo, il recupero dei rifiuti mediante riutilizzo, riciclaggio e altre operazioni di recupero».

4.2

La Commissione osserva che, per conseguire tale obiettivo, non è necessario procedere ad una revisione sostanziale del quadro legislativo in vigore: occorre piuttosto apportare delle modifiche atte a migliorare l'attuale quadro giuridico e a colmare le lacune esistenti. La proposta di direttiva rappresenta solo uno dei tanti aspetti dell'attuazione della strategia, che darà luogo, ben presto, a nuove proposte in materia. In ogni modo, la politica europea in materia di rifiuti si fonda inevitabilmente sulla sussidiarietà. Per ottenere risultati validi, infatti, è necessario intraprendere una serie di azioni partendo dal livello comunitario fino a raggiungere quello comunale, dove gran parte di tali azioni trova poi attuazione pratica. A giudizio della Commissione, il rispetto del principio di sussidiarietà non comporta assolutamente un ridimensionamento delle ambizioni di carattere ambientale.

4.3

La proposta si presenta quindi come una revisione della direttiva 75/442/CEE. Essa fonde in un unico strumento, e abroga al contempo, la direttiva relativa ai rifiuti pericolosi (91/689/CEE) e la direttiva quadro. Abroga altresì la direttiva concernente l'eliminazione degli oli usati (75/439/CEE), incorporando però nella direttiva quadro l'obbligo specifico di raccolta.

4.4

Le principali modifiche prevedono:

l'introduzione di un obiettivo ambientale,

il chiarimento dei concetti di «recupero» e «smaltimento»,

il chiarimento delle condizioni per la miscelazione di rifiuti pericolosi,

l'introduzione, per determinati flussi di rifiuti, di una procedura volta a chiarire quando un rifiuto cessa di essere tale,

l'introduzione di norme minime o di una procedura atta a definire norme minime per una serie di operazioni di gestione dei rifiuti,

l'introduzione dell'obbligo di elaborare programmi nazionali di prevenzione dei rifiuti.

4.5

Bisogna chiedersi, quindi, se le modifiche legislative proposte consentiranno di realizzare gli obiettivi globali definiti dalla strategia e di porre rimedio alle carenze e alle imprecisioni della normativa attualmente in vigore.

5.   Osservazioni di carattere generale sulla proposta di direttiva relativa ai rifiuti

5.1

La nuova proposta era attesa già da tempo e doveva costituire, per tutte le parti interessate (Stati membri, ONG, cittadini e professionisti) la base per la politica ambientale europea in materia di gestione dei rifiuti. È in quest'ottica che viene proposto al CESE di analizzarla. Le aspettative per il nuovo testo erano molteplici: esso doveva migliorare la situazione esistente tenendo conto dell'esperienza acquisita a partire dal 1991, delle carenze del testo precedente e della strategia da adottare in Europa in materia di sviluppo sostenibile, che presuppone una politica di gestione, recupero e riciclaggio dei rifiuti in un contesto in cui le materie prime e le risorse energetiche scarseggiano sempre più.

5.2

La legislazione vigente è stata spesso contestata per la mancanza di precisione e di chiarezza (in particolare per quanto concerne gli allegati e le definizioni). Allo stesso modo sono state spesso criticate, da un lato, l'assenza di un'attuazione omogenea delle direttive e dei regolamenti in seno all'Unione e, dall'altro, l'adozione di approcci divergenti nei diversi Stati membri. La revisione del regolamento relativo alle spedizioni transfrontaliere di rifiuti ha recentemente evidenziato i problemi posti da tale situazione.

5.3

Quale tipo di lettura e di analisi della proposta di direttiva quadro può fare il CESE? È lecito chiedersi se il livello degli obiettivi della Commissione non si stia abbassando rispetto a quelli definiti nella comunicazione del 2003 «Verso una strategia tematica di prevenzione e riciclo dei rifiuti» (3). L'approccio adottato in materia di sussidiarietà appare alquanto minimalista e può determinare divergenze nell'attuazione della normativa. Inoltre, non viene affatto menzionato il ruolo che le parti socioeconomiche possono svolgere in tale campo.

5.4   Sulla semplificazione della legislazione

5.4.1

La Commissione propone di fondere in un unico testo la direttiva sui rifiuti pericolosi e la direttiva quadro. A tal fine occorre far sì che i rifiuti pericolosi siano oggetto di un inquadramento molto più rigoroso rispetto agli altri rifiuti, soprattutto considerando che, in parallelo, la normativa REACH dovrebbe applicarsi a tutte le sostanze immesse sul mercato. La direttiva concernente gli oli usati viene invece semplicemente abrogata dal momento che non si sono riscontrati vantaggi ambientali di rilievo per quanto riguarda la trasformazione di detti oli: in compenso, però, vengono mantenute le disposizioni relative alla loro raccolta.

5.4.2

Si può inoltre osservare che, anche dopo aver definito i criteri di pericolosità, la Commissione non sempre ha prodotto i necessari documenti di accompagnamento, ad esempio, i test standardizzati oppure le soglie di concentrazione per un impiego corretto dell'elenco dei rifiuti.

5.4.3

Le proposte di deroga formulate nel testo relativamente alle operazioni di recupero sembrano comportare dei rischi e dovrebbero quindi essere rimesse in discussione in alcuni settori. È ancora fresca, infatti, la memoria degli incidenti dovuti alla miscelazione di rifiuti pericolosi con sostanze naturali nella preparazione di alimenti per animali. Tali pratiche potrebbero diffondersi qualora venissero a mancare gli obblighi in materia di tracciabilità e di controlli necessari per gestire correttamente questo tipo di rifiuti. Infine, la Commissione dovrebbe chiedersi se le deroghe proposte (Sottosezione 2 — Deroghe) non siano contrarie alle disposizioni della Convenzione di Aarhus riguardante l'informazione dei cittadini e il loro coinvolgimento sui temi relativi al trattamento dei rifiuti.

6.   Osservazioni di carattere particolare

6.1   Definizioni migliori

6.1.1

L'attuale direttiva non forniva definizioni valide per un certo numero di punti. Il numero di ricorsi presentati alla Corte di giustizia europea è abbastanza eloquente a tale proposito. Il nuovo testo è migliore da questo punto di vista? Per alcuni aspetti è possibile dubitarne.

6.1.2

La definizione di «produttore», ripresa dal testo precedente (4), deve essere modificata. Infatti, come si può ammettere che la persona che ha effettuato operazioni che hanno mutato la natura o la composizione dei rifiuti possa diventarne il nuovo produttore? Ne è semplicemente un gestore, e a questo titolo deve far parte della catena di tracciabilità, altrimenti si apre la porta al «declassamento» dei rifiuti e alla diluizione della responsabilità del vero produttore del rifiuto. Inoltre, andrebbe almeno menzionato il concetto di «responsabilità allargata del produttore» (di prodotti immessi sul mercato).

6.1.3

La Commissione, nel quadro del regolamento transfrontaliero (5) inteso a mantenere le esportazioni, ha ribadito l'opportunità delle operazioni cosiddette «intermedie», che non vengono definite più di quanto lo siano gli «intermediari o i commercianti» menzionati nello stesso regolamento.

6.1.4

Il testo fornisce sì una definizione del riciclaggio, ma la definizione del recupero non è chiara. Inoltre sarebbe opportuno distinguere tra il recupero di «materia», che conduce al «riciclaggio di materia», e il recupero di «energia». Infatti, mentre nel primo caso la fine del ciclo di trattamento può condurre alla perdita dello status di rifiuto, ciò non è applicabile al recupero di energia. Nella pratica, il recupero energetico dei rifiuti è disciplinato, per quanto riguarda la protezione dell'ambiente, dalla direttiva sull'incenerimento. Se i rifiuti cessano di essere tali, le norme di protezione dell'ambiente non sono più applicabili.

6.2   Oggetto

6.2.1

L'obiettivo principale della direttiva è e deve restare la protezione dell'ambiente e della salute.

6.2.2

In linea generale, invece, la Commissione ha la tendenza ad attribuire una grande importanza all'apertura del mercato: questo, però, è solo un aspetto della politica in materia di rifiuti.

6.2.3

Il CESE ritiene che si debba prendere chiaramente posizione sulla dibattuta questione di come definire un quadro normativo che permetta ai meccanismi del mercato di orientare la gestione dei rifiuti verso un miglioramento delle condizioni ambientali, applicando i concetti di ecoefficacia e di ecogestione alle attività produttive e di servizio. Nei fatti, la gestione dei rifiuti è un mercato regolato e regolamentato che si prefigge come obiettivi principali la tutela dell'ambiente e della salute nonché la conservazione delle risorse, tenendo quindi conto degli impatti economici, sociali e ambientali. La protezione dell'ambiente è un elemento essenziale che favorisce la creazione di posti di lavoro e l'aumento della competitività, offrendo al contempo delle possibilità di innovazione e di nuovi mercati. Ci si può chiedere se, in questo ambito, la sussidiarietà costituisca l'approccio ideale. Inoltre, è significativo constatare che la Commissione stessa, nella comunicazione sulla strategia tematica, convenga sul fatto che talune operazioni di riciclaggio possono essere dannose per l'ambiente. Ciononostante essa propone che gli Stati membri si impegnino a far sì che tutti i rifiuti vengano sottoposti ad operazioni di recupero. Va quindi precisato che occorre promuovere un mercato del riciclaggio nel senso proprio del termine, tenendo conto delle esigenze comuni sviluppatesi a livello europeo.

6.2.4

Inoltre, con riferimento alla «gerarchia dei rifiuti», essa «dimentica» anche di affermare, come invece avveniva nel testo precedente, che l'eliminazione in condizioni corrette può arrecare beneficio all'ambiente, anche se mantiene delle disposizioni operative in tale senso. Ne deriva che su questo punto il nuovo testo è meno chiaro del precedente.

6.2.4.1

La direttiva quadro deve continuare ad essere alla base di una gestione efficace e adeguata dei rifiuti, in tutte le diverse filiere. La sua attuazione e quindi i mezzi per rafforzare la strategia di riciclaggio sono ancora da definire.

6.2.5

La Commissione aveva suggerito la possibilità di creare degli strumenti finanziari per sostenere e favorire una gestione efficace dei rifiuti, del loro riciclaggio e recupero. La creazione di tali strumenti a livello europeo avrebbe potuto essere incoraggiata, a condizione, però, di garantirne l'omogeneità. Tuttavia non è stata presentata alcuna proposta in questo senso a causa della difficoltà di raggiungere l'unanimità in seno al Consiglio. Pur essendo realistica, la scelta di non avanzare alcuna proposta in merito lascia trasparire una certa insicurezza da parte della Commissione, che avrebbe potuto proporre il ricorso al metodo aperto di coordinamento.

6.3   Rifiuti pericolosi

6.3.1

Il tema della fusione/abrogazione della direttiva sui rifiuti pericolosi è già stato affrontato nel punto intitolato «Osservazioni di carattere generale», in cui ci si è soffermati sul principio stesso della fusione o dell'abrogazione.

6.3.2

È curioso osservare come, nell'articolo che riguarda la separazione di tali rifiuti, si parli soltanto di miscelazione.

6.3.3

Questi rifiuti, più di ogni altro, dovrebbero essere inquadrati da normative severe e sottoposti a rigorose procedure di tracciabilità. La regolamentazione dovrebbe proibire chiaramente la dispersione nell'ambiente. Inoltre, occorre far sì che la fusione/abrogazione della direttiva sui rifiuti pericolosi non comporti un abbassamento del livello di protezione della salute pubblica. Si potrebbe almeno affermare chiaramente che, per definizione, ogni miscelazione contenente rifiuti pericolosi deve essere essa stessa considerata pericolosa, salvo che non ne risulti una vera detossificazione chimica. Ogni tipo di diluizione deve essere proibita.

6.4   Rete di impianti di smaltimento

6.4.1

La Commissione propone che gli Stati membri si coordinino tra loro per creare una rete di impianti di smaltimento. Come è possibile chiedere che vengano effettuati degli investimenti in questo settore se d'altra parte gli Stati membri non sono in grado di mettere a punto gli strumenti atti a garantire che tali impianti non vengano sottoutilizzati? Infatti, un operatore potrebbe «esportare» i rifiuti per avviarli al recupero in un altro paese. Occorre dunque che le norme in materia siano particolarmente precise e non comportino effetti perversi.

6.4.2

Il principio di prossimità deve essere esaminato e spiegato in base al principio di autosufficienza: questi due principi sono indissociabili al fine di una gestione sostenibile dei rifiuti.

6.5   Prevenzione

6.5.1

La direttiva non impone alcun obbligo agli Stati membri per quanto riguarda l'aspetto sociale della prevenzione, che imporrebbe di tenere conto dei possibili effetti sulle condizioni di lavoro e sulla salute dei lavoratori e di attuare delle vere campagne di informazione. La prevenzione riguarda anche i cittadini. Inoltre, sarebbe auspicabile portare avanti le riflessioni su due piani: il piano qualitativo e il piano quantitativo, poiché in economia, il primo, indubbiamente meno dogmatico del secondo, è portatore di progresso e buoni risultati.

6.6   Allegati

6.6.1

Non sono state apportate modifiche di rilievo, salvo l'introduzione di una valutazione di efficienza energetica che riguarda soltanto gli impianti di incenerimento dei rifiuti solidi urbani. Sorprendentemente non viene previsto nulla riguardo agli obblighi dei «coinceneritori». Inoltre l'incenerimento dei rifiuti domestici può essere considerato come una forma di recupero solo qualora esso garantisca un livello elevato di efficienza energetica. Infatti, se alcuni rifiuti non possono essere recuperati, occorre evitare che degli impianti di incenerimento rudimentali e poco efficaci per il recupero di energia utile possano beneficiare delle disposizioni in materia di recupero. L'incenerimento diventerebbe allora una soluzione di comodo, che rischierebbe di dare luogo a pratiche di esportazione di rifiuti che vanno invece evitate.

Bruxelles, 5 luglio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  COM(2005) 666 def.

(2)  COM(2005) 667 def.

(3)  COM(2003) 301 def.

(4)  Direttiva 91/156/CEE del Consiglio del 18.3.1991 che modifica la direttiva 75/442/CEE relativa ai rifiuti.

(5)  Regolamento (CEE) n. 259/93 del Consiglio, dell'1.2.1993, relativo alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti all'interno della Comunità europea, nonché in entrata e in uscita dal suo territorio.


16.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 309/60


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo Piano d'azione 2006-2008 per la semplificazione e il miglioramento della politica comune della pesca

COM(2005) 647 def.

(2006/C 309/13)

La Commissione, in data 23 gennaio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 maggio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore SARRÓ IPARRAGUIRRE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 5 luglio 2006, nel corso della 428a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 164 voti favorevoli, nessun voto contrario e 1 astensione:

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo, come ha già espresso in precedenti pareri, appoggia il processo di semplificazione della normativa comunitaria e accoglie con favore la pubblicazione del Piano d'azione 2006-2008 per la semplificazione e il miglioramento della politica comune della pesca. Il presente parere si propone di dare un contributo al lavoro straordinario che la Commissione intende portare avanti e che è di estrema importanza per migliorare la legislazione comunitaria sulla pesca.

1.2

Il Comitato ritiene che per garantire il successo del processo di semplificazione sia necessario mettere in atto una stretta collaborazione con il settore della pesca per mezzo del sostegno e della promozione dei rapporti con gli organismi consultivi della Commissione, vale a dire, i consigli consultivi regionali (CCR), il Comitato consultivo della pesca e dell'acquacoltura dell'Unione europea (CCPA) e il Comitato di dialogo sociale settoriale per la pesca.

1.3

A parere del Comitato, il primo compito della Commissione europea è quello di consolidare la normativa vigente; Il Comitato, premesso questo, ritiene che la Commissione debba cercare di conseguire gli obiettivi annunciati nella comunicazione, che esso condivide pienamente:

a)

aumentare la chiarezza dei testi esistenti, semplificarli e renderli più accessibili;

b)

ridurre gli oneri e i costi amministrativi delle amministrazioni pubbliche;

c)

ridurre gli oneri amministrativi e altri obblighi per gli addetti del settore.

1.4

Il Comitato reputa inoltre giusta la scelta degli ambiti e degli atti legislativi oggetto del piano d'azione: la conservazione e la gestione delle risorse ittiche e il controllo delle attività di pesca. In seguito la Commissione dovrà continuare il processo di semplificazione e miglioramento della PCP.

1.5

In ordine alla scheda 1 che riguarda i TAC, i contingenti e lo sforzo di pesca, il Comitato ritiene le misure proposte adeguate, in quanto trattano in modo differenziato i diversi aspetti della politica di conservazione, la sua regolamentazione in gruppi omogenei e il suo sviluppo in piani di gestione pluriennali. Nonostante ciò, ritiene che il periodo intercorrente tra la data di consegna dei pareri scientifici e la riunione del Consiglio di dicembre in cui vengono fissati i TAC e i contingenti e altre importanti misure di gestione, è molto breve e non è sufficiente a realizzare tutte le consultazioni e le concertazioni necessarie. Per tale motivo il Comitato chiede di allungare i tempi tra la pubblicazione dei parerei scientifici e il momento dell'adozione definitiva delle decisioni.

1.6

In riferimento alla scheda 2 che propone di semplificare le misure tecniche, il Comitato esprime la sua preoccupazione per la possibilità che la Commissione europea assuma delle competenze detenute attualmente dal Consiglio.

1.7

Inoltre per quanto riguarda l'altra possibilità prevista dalla scheda 2 di autorizzare gli Stati membri ad adottare misure tecniche locali, il Comitato ritiene che il Consiglio dovrebbe approvare anche le domande presentate dagli Stati membri per evitare disuguaglianze e situazioni di discriminazione tra i pescatori di diversi Stati membri.

1.8

Il Comitato è d'accordo con la Commissione in merito alle misure previste nelle schede 3, 4 e 5 per semplificare il processo di raccolta e gestione dei dati e per rendere più efficaci le misure di controllo. Per l'elaborazione di queste ultime considera estremamente importante il coordinamento tra la Commissione e l'Agenzia comunitaria di controllo della pesca. Riguardo all'uso delle tecnologie dell'informazione, il comitato ritiene che per la loro applicazione debba essere previsto un periodo transitorio, necessario per definire questo processo in concertazione con i tecnici, gli operatori del settore e gli Stati membri, per offrire tutte le garanzie di riservatezza commerciale, per ottenere la fiducia e l'adesione degli interessati, per verificare il processo nella realtà, per contribuire agli oneri finanziari supplementari imposti dai nuovi materiali di cui si richiede l'utilizzazione e garantire così il successo di questa riforma, che va nel senso della semplificazione.

1.9

Il Comitato accoglie molto favorevolmente la proposta della Commissione, prevista nella scheda 6, di abrogare tutti gli obblighi di comunicazione inutili o poco utili, allo scopo di ridurre gli oneri burocratici dei pescatori e degli Stati membri.

1.10

Secondo il comitato le misure di semplificazione annunciate nella scheda 7 sono necessarie. Il Comitato sottopone alla considerazione della Commissione la conclusione di un accordo tipo che costituisca la base della negoziazione degli accordi di pesca con qualsiasi paese terzo; propone inoltre l'informatizzazione dell'istruzione delle richieste e dell'emissione delle licenze di pesca.

1.11

Il Comitato considera che anche la lotta contro la pesca di frodo, non regolamentata e non dichiarata, lotta che è uno degli obiettivi della PCP, dovrebbe essere menzionata nel piano d'azione. Dovrebbe esserlo sotto forma di obiettivo diretto a definire un processo di lotta contro tale attività illegale quanto più semplice ed efficace possibile. A parere del Comitato questo processo deve incentrarsi sull'accesso ai mercati di consumo, sul rafforzamento dei poteri dello Stato del porto corrispondente e sulla proibizione di trasbordi in alto mare.

1.12

Da ultimo, il Comitato pensa che il lavoro che il piano d'azione 2006-2008 comporta sia notevole, ragion per cui è possibile che i risultati non siano raggiungibili nel termine di tre anni. Per questo motivo raccomanda alla Commissione di procedere a una revisione del piano entro la fine del 2007.

2.   Ragioni dell'iniziativa

2.1

Dall'inizio del XXI secolo l'Unione si è dedicata a un compito di grande importanza che consiste nel migliorare il proprio contesto legislativo per renderlo più efficace e trasparente.

2.2

Con lo sviluppo dell'Unione, nella seconda metà del secolo scorso, il contesto legislativo si è concretizzato in un vasto corpus di norme legislative comunitarie che costituisce l'acquis comunitario.

2.3

L'acquis si è via via ampliato come conseguenza delle diverse normative relative alle singole politiche comunitarie e forma, nel suo insieme, il quadro regolamentare della politica comunitaria.

2.4

Conformemente al mandato assegnatole dal Consiglio, la Commissione è attualmente impegnata in un'azione coordinata con le altre istituzioni dell'Unione per semplificare e migliorare il quadro regolamentare della politica comunitaria.

2.5

Quest'azione di semplificazione e miglioramento della legislazione comunitaria è pienamente integrata nella strategia di Lisbona riveduta per la crescita e l'occupazione, e s'incentra quindi sugli elementi dell'acquis comunitario che influiscono sulla competitività delle imprese dell'Unione europea.

2.6

Quest'azione di semplificazione e miglioramento della legislazione comunitaria è estremamente importante per le piccole e medie imprese (PMI) europee, le quali rappresentano il 99 % del totale delle imprese dell'Unione e due terzi dei posti di lavoro, perché farà diminuire gli oneri legislativi ed amministrativi cui esse devono attualmente far fronte.

2.7

Nell'ambito di tale strategia di semplificazione e miglioramento della legislazione comunitaria la Commissione intende predisporre un programma permanente di semplificazione nei settori dell'agricoltura, dell'ambiente, della salute e della sicurezza sul luogo del lavoro, della pesca, della fiscalità, delle dogane, delle statistiche e del diritto del lavoro.

2.8

La comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo Piano d'azione 2006-2008 per la semplificazione e il miglioramento della politica comune della pesca oggetto del presente parere lancia per il periodo 2006-2008 questo programma di semplificazione e miglioramento relativamente alla PCP.

2.9

Il CESE, in quanto rappresentante istituzionale della società civile organizzata, ha già espresso alla Commissione in altri pareri il proprio appoggio alla semplificazione del processo legislativo europeo; saluta ora la pubblicazione del piano d'azione in oggetto e si accinge a elaborare questo parere con l'intenzione di contribuire al lavoro straordinario portato avanti dalla Commissione, incoraggiandola a continuarne lo sviluppo pluriennale.

3.   Contesto

3.1

Il Consiglio europeo di Lisbona del 23 e 24 marzo 2000 ha affidato alla Commissione il mandato di elaborare un piano d'azione a favore di una strategia per altre azioni coordinate intese a semplificare il quadro regolamentare. Questo mandato è stato successivamente confermato dai Consigli europei di Stoccolma (23 e 24 marzo 2001), Laeken (8 e 9 dicembre 2001) e Barcellona (15 e 16 marzo 2002).

3.2

In questa prospettiva, la Commissione ha presentato il Libro bianco sulla governance europea, adottato nel luglio 2001 (1), nel quale figurava una sezione dedicata al miglioramento della qualità della normativa comunitaria. Il documento è stato sottoposto ad un ampia procedura di consultazione, conclusasi il 31 marzo 2002.

3.3

Nel parere elaborato dal Comitato economico e sociale (2) sul Libro bianco si può leggere quanto segue: «Il Comitato sostiene la proposta del Libro bianco di semplificare ed accelerare il processo legislativo europeo, dato che le norme comunitarie si stanno facendo sempre più complesse e tendono in molti casi ad aggiungersi alle normative nazionali esistenti, anziché semplificarle ed armonizzarle».

3.4

È in questo contesto che la Commissione ha proposto nel giugno 2002 il piano d'azione Semplificare e migliorare la regolamentazione  (3), presentato per discussione alle altre istituzioni comunitarie.

3.5

Il piano d'azione invita chiaramente a concludere un accordo interistituzionale per migliorare la qualità della legislazione comunitaria, nel rispetto delle tre fasi principali dell'iter legislativo: la presentazione della proposta legislativa da parte della Commissione; l'esame della proposta nel Parlamento europeo e nel Consiglio e infine il recepimento dello strumento normativo da parte degli Stati membri.

3.6

La semplificazione della legislazione comunitaria, già avviata negli anni precedenti, ha ricevuto un forte impulso a partire dal febbraio 2003 grazie alla comunicazione della Commissione Aggiornare e semplificare l'acquis comunitario  (4). La Commissione ha avviato su tali basi un vasto programma di identificazione degli atti legislativi che si possono semplificare, consolidare e codificare. Tale programma è ancora in corso.

3.7

La comunicazione della Commissione Una migliore regolamentazione per la crescita e l'occupazione nell'Unione europea  (5), pubblicata nel marzo 2005, ha dato nuovi impulsi all'accordo interistituzionale Legiferare meglio, sottoscritto il 16 dicembre 2003 dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione. Il suo obiettivo principale è il miglioramento della qualità della legislazione in Europa e la sua trasposizione nelle legislazioni nazionali (6).

3.8

Infine, nell'ottobre del 2005, la Commissione ha pubblicato la comunicazione Attuazione del programma comunitario di Lisbona: Una strategia per la semplificazione del contesto normativo  (7), che ha permesso di avviare i piani d'azione destinati alle diverse politiche comunitarie mediante programmi permanenti di semplificazione.

3.9

Parallelamente all'intenso lavoro inteso ad incanalare la semplificazione ed il miglioramento di tutti gli aspetti dell'acquis legislativo comunitario e — più in particolare — del suo ambito normativo, la Commissione ha trasmesso al Consiglio ed al Parlamento europeo la comunicazione Prospettive di semplificazione e miglioramento della regolamentazione nella politica comune della pesca  (8).

3.10

Il presente parere poggia sia sulla succitata comunicazione della Commissione, sia su quelle ora presentate con il titolo Piano d'azione 2006-2008 per la semplificazione e il miglioramento della politica comune della pesca.

3.11

Il CESE, consapevole della complessità che comportano la semplificazione e il miglioramento dell'intera legislazione comunitaria, invita la Commissione a procedere lungo la strada intrapresa, esortandola a rispettare i tempi previsti per conseguire gli obiettivi prefissati.

4.   Osservazioni generali

4.1   Legislazione comunitaria in materia di pesca 1983-2002

4.1.1

La legislazione comunitaria in materia di pesca è stata riunita nella Politica comune della pesca del 1983. La normativa in materia di politica della pesca si è rivelata inadeguata, con regole di gestione basate sulla traduzione di conclusioni scientifiche in norme legislative, senza praticamente alcuna comunicazione con il settore comunitario della pesca e con una procedura decisionale farraginosa tra la Commissione, il Consiglio ed il Parlamento europeo, che ha appesantito e reso estremamente complessa tale legislazione.

4.1.2

La valutazione della situazione passata e di quella attuale deve tener conto del fatto che la legislazione in materia di pesca interessa, da un lato, un complesso eterogeneo di attività di pesca e, dall'altro, si applica a componenti diverse: infrastrutture, conservazione ed ambiente, risorse esterne, mercati e controllo. Tale varietà impone un numero elevatissimo di regolamenti o a volte regolamenti molto estesi e di difficile interpretazione.

4.1.3

Inoltre, le procedure decisionali di fine anno del Consiglio, relative alla determinazione annuale dei TAC e contingenti, rendono difficile effettuare tutte le consultazioni necessarie e prevedere tempi adeguati tra le decisioni e le date di applicazione, situazione che provoca a sua volta tutta una serie di modifiche a posteriori dei regolamenti pubblicati.

4.1.4

L'accumulazione inevitabile di modifiche ai diversi regolamenti della politica comune della pesca rende ostica per il cittadino comune — e anche per gli operatori del settore — la lettura dei testi elaborati da esperti, i quali redigono le varie disposizioni legislative basandosi molte volte su testi scientifici di difficile interpretazione.

4.1.5

in altre occasioni i negoziati a livello di Consiglio e di Parlamento si risolvono in testi definitivi ancor più complessi delle proposte di partenza.

4.1.6

Infine, alcune disposizioni sono state incorporate in regolamenti il cui livello giuridico-politico è superiore a quello strettamente necessario, fatto che ne ostacola la loro modifica o semplificazione.

4.1.7

Il CESE prende atto che, nonostante le ragioni alla base di queste situazioni siano tuttora presenti, la Commissione le conosce e sta adottando le disposizioni necessarie a correggerle, come ha fatto già nel 1992, modificando la PCP del 1983, e adesso con il piano d'azione 2006-2008, che presenta dopo la riforma della PCP del 31 dicembre 2002.

4.2   Legislazione comunitaria in materia di pesca — La situazione attuale

4.2.1

La riforma della politica comune della pesca del 31 dicembre 2002 (9) si inquadra in modo naturale nella semplificazione della PCP, dato che si sono già adottate misure di abrogazione, dichiarazioni di obsolescenza e una revisione sistematica del quadro legislativo.

4.2.2

La proposta di regolamento che prevede la creazione di un nuovo Fondo europeo per la pesca (10), in merito alla quale il Comitato ha elaborato un parere positivo, è un buon esempio di pianificazione di questa iniziativa di semplificazione, dato che sostituisce o modifica in un unico regolamento le disposizioni dei quattro regolamenti che costituivano il corpus dei programmi di orientamento pluriennali (POP) e dello strumento finanziario di orientamento della pesca (SFOP).

4.2.3

Nel corso del 2004 e del 2005 la Commissione ha elaborato una serie di misure legislative che le saranno utili per avviare la riforma e la semplificazione della PCP. Tra queste vale la pena sottolineare:

il Fondo europeo per la pesca,

l'Agenzia comunitaria di controllo della pesca,

la creazione di consigli consultivi regionali (CCR),

le misure finanziarie comunitarie per l'applicazione della PCP e del diritto del mare.

È stata inoltre portata a termine un'ampia riflessione con numerosi contatti e dibattiti sfociati nella presentazione della già citata comunicazione Prospettive di semplificazione e miglioramento della regolamentazione nella politica comune della pesca (cfr. nota 8).

4.2.4

Dalla comunicazione si evince che per migliorare il quadro regolamentare della PCP non basta limitare quantitativamente i regolamenti che essa prevede. È invece necessario:

aumentare la chiarezza dei testi esistenti, semplificarli e renderli più accessibili,

ridurre gli oneri ed i costi amministrativi delle amministrazioni pubbliche,

diminuire gli oneri amministrativi e gli altri obblighi imposti agli operatori del settore.

4.2.5

A parere del CESE la Commissione dovrebbe fare uno sforzo particolare per consolidare i testi, prima di aumentarne la chiarezza. I continui riferimenti ai regolamenti degli anni precedenti rendono estremamente difficile la comprensione dei testi.

4.2.6

Secondo la comunicazione in esame è evidente che alcuni elementi della PCP presentano difficoltà particolari di monitoraggio: il controllo delle attività di pesca, a causa delle divergenze esistenti nella sua applicazione tra i diversi Stati membri, e le misure di conservazione delle risorse, a causa dell'applicazione simultanea di misure di gestione differenti.

4.2.7

Senza voler negare la complessità inerente alla gestione della pesca comunitaria, l'analisi rivela che la normativa esistente è divenuta via via eccessivamente complessa.

4.2.8

Il CESE ritiene che la Commissione debba affrontare il miglioramento e la semplificazione della legislazione della PCP ponendo particolare enfasi sul controllo delle attività di pesca e sulle misure di conservazione delle risorse. In tal senso va potenziata l'attività dell'Agenzia comunitaria di controllo della pesca, che è stata recentemente creata.

4.3   Piano d'azione 2006-2008 per la semplificazione ed il miglioramento della PCP

4.3.1

In seguito a tutti i lavori realizzati in base alle diverse comunicazioni elencate in precedenza, il Consiglio ha chiesto alla Commissione di presentare un piano d'azione pluriennale, elaborato in base ai criteri suesposti, volto a semplificare e migliorare la PCP. Rispondendo a tale richiesta la Commissione ha presentato nel dicembre 2005 la comunicazione Piano d'azione 2006-2008 per la semplificazione e il miglioramento della politica comune della pesca  (11).

4.3.2

Il piano d'azione 2006-2008 presentato dalla Commissione comporta:

una metodologia per la semplificazione ed il miglioramento della PCP,

una definizione delle iniziative che devono venir semplificate e migliorate in via prioritaria.

4.3.3

L'approccio del piano d'azione è semplice. Il testo indica i settori di intervento (controllo, sforzo di pesca, finanziamenti ...) nei quali sarà necessario intervenire per semplificare e migliorare i testi legislativi. Per ciascun ambito vengono indicate le misure necessarie, gli attori che dovranno intervenire ed i tempi di realizzazione previsti all'interno del periodo 2006-2008. Infine per ciascuno dei settori di intervento vengono indicate le tre categorie di atti legislativi da semplificare:

atti legislativi già in corso di revisione,

nuovi atti legislativi da elaborare negli anni a venire,

alcuni atti legislativi vigenti, ma da sottoporre in via prioritaria a semplificazione.

4.3.4

Questi ultimi atti legislativi sono quelli sui quali si concentra l'avvio del piano di semplificazione della PCP nel periodo 2006-2008. Tutte queste disposizioni normative riguardano le misure di controllo delle attività di pesca.

4.3.5

Il CESE concorda nel ritenere che tali due ambiti rappresentino le priorità del piano d'azione dato che nella maggior parte dei casi sono proprio questi a rendere l'attuale legislazione estremamente complessa. Successivamente la Commissione dovrà portare avanti il processo di semplificazione e miglioramento degli altri aspetti della PCP.

4.3.6

Gli atti legislativi già in corso di revisione e quelli nei confronti dei quali sono già stati applicati i principi di semplificazione continueranno il proprio iter in base a questo piano di miglioramento della legislazione. Ciò vale ad esempio per il Fondo europeo della pesca e per le disposizioni generali sulle licenze di pesca nelle acque di un paese terzo, nell'ambito degli accordi di pesca. Questi atti legislativi sono già stati semplificati dalla Commissione e sono stati valutati positivamente dal Comitato nei suoi pareri.

4.3.7

Il piano d'azione prevede che i nuovi atti legislativi che verranno elaborati nei prossimi anni rispettino sistematicamente gli obiettivi prefissati in materia di semplificazione.

4.3.8

L'orientamento generale del piano d'azione 2006-2008 è corretto e può contare sul sostegno del Comitato. È evidente tuttavia che lo sviluppo del piano che figura in allegato al testo in esame richiederà un notevole sforzo di semplificazione se si vogliono rispettare i tempi previsti. È essenziale che si uniscano gli sforzi e vi sia una comprensione reciproca tra Stati membri, Parlamento europeo e settore della pesca, tramite i suoi consigli consultivi regionali, il Comitato consultivo della pesca e dell'acquacoltura e il Comitato di dialogo sociale settoriale per la pesca.

4.3.9

Lo sviluppo del piano d'azione interessa soprattutto i seguenti ambiti ed atti legislativi:

Conservazione delle risorse della pesca:

TAC/contingenti, sforzo di pesca,

misure tecniche per la protezione del novellame,

raccolta e gestione dei dati per la PCP.

Controllo delle attività di pesca:

controllo — corpus legislativo,

controllo — informatizzazione,

obblighi di comunicazione,

autorizzazioni ad esercitare la pesca al di fuori delle acque comunitarie.

4.3.10

Ciascuno di questi sette atti legislativi viene sviluppato nell'allegato al piano d'azione mediante una scheda che raccoglie le misure di semplificazione previste per migliorare il quadro regolamentare vigente ed il corrispondente contesto amministrativo. Per ciascuna misura viene indicata la programmazione prevista con i diversi partecipanti, elencando gli strumenti legislativi da semplificare e i documenti di riferimento utili per portare a termine la semplificazione.

4.3.11

Il CESE — dopo aver analizzato attentamente le sette schede — ritiene che il procedimento di riforma e semplificazione proposta sia corretto. Se tutte le fasi indicate in ciascuna scheda saranno portate a termine nei tempi previsti, il piano d'azione 2006-2008 permetterà un miglioramento assai considerevole della legislazione comunitaria in materia di pesca.

4.3.12

Nella scheda n. 1 il piano d'azione propone le misure di semplificazione relative ai TAC/contingenti e allo sforzo di pesca. Si tratta in linea di massima di semplificare i regolamenti annuali del Consiglio che stabiliscono per l'anno successivo le possibilità di pesca strutturando l'architettura delle disposizioni in base alle condizioni di sfruttamento delle risorse della pesca, destinando le decisioni a gruppi omogenei e stabilendo per tali gruppi piani pluriennali di gestione.

4.3.13

A parere del CESE le misure di semplificazione proposte dalla scheda n. 1 risultano corrette, dato che è essenziale prevedere un trattamento differenziato dei diversi aspetti della politica di conservazione, la sua strutturazione in gruppi omogenei ed il suo sviluppo in piani pluriennali di gestione.

4.3.13.1

Tuttavia, il Comitato ritiene che il periodo di tempo troppo corto tra la data di consegna dei pareri scientifici e la riunione del Consiglio in dicembre in cui si fissano i TAC e i contingenti e altre misure molto importanti di gestione, come la limitazione dello sforzo di pesca, costituisca un ostacolo alla realizzazione di tutte le consultazioni e le concertazioni necessarie. La normativa che deriva da questo processo decisionale affrettato e complesso può presentare difetti tecnici o giuridici che potrebbero richiedere regolamenti di modifica, destinati ad aumentare ulteriormente la complessità della normativa e della sua applicazione. La consultazione insufficiente degli operatori del settore e di altre parti interessate pregiudica gravemente la comprensione, l'accettazione e l'applicazione della normativa e, di conseguenza, la sua efficacia.

4.3.13.2

Il Comitato pensa inoltre che anche il processo decisionale relativo alle misure di gestione delle organizzazioni regionali di pesca (ORP) soffra del problema dell'insufficiente estensione del periodo di tempo intercorrente tra la presentazione del parere scientifico e la data di riunione dell'organo decisionale. Questi tempi troppo brevi producono gli stessi effetti già segnalati al punto precedente.

4.3.13.3

L'impostazione per «gruppi omogenei» proposta dalla Commissione è considerata pertinente dal Comitato, soprattutto se, come spera, significa un'impostazione per «attività di pesca omogenea» e una normativa di due livelli, vale a dire un regolamento quadro orizzontale e un regolamento di applicazione per attività di pesca.

4.3.13.4

D'altro canto, il Comitato ritiene che l'esperienza dimostri chiaramente che i piani di recupero e quelli di gestione pluriennale danno luogo a una consultazione ampia e a una estesa concertazione. Questi piani, una volta adottati, semplificano il processo decisionale negli anni di applicazione. Il Comitato è tuttavia del parere che si debba rispettare l'attuale distribuzione di poteri tra il Consiglio e la Commissione e si debbano prevedere possibilità di revisione, tenuto conto dell'evoluzione dei criteri che permettono di valutare lo stato delle popolazioni ittiche in questione.

4.3.14

Secondo il Comitato, la riforma del processo decisionale e delle misure di gestione delle risorse, garanzia della semplificazione della normativa e di una sua maggiore efficacia, esige che si anticipi nel tempo la consegna dei pareri e delle raccomandazioni di natura scientifica (del CIEM — Consiglio internazionale per l'esplorazione del mare per le acque comunitarie e dei comitati scientifici delle ORP per quelle non comunitarie) rendendo così possibile un'effettiva consultazione dei consigli consultivi regionali e del Comitato consultivo della pesca e dell'acquacoltura. Essa può anche richiedere una distribuzione del «pacchetto TAC e contingenti» tra diversi Consigli e una modifica dell'anno di gestione per avvicinarlo all'anno biologico e prendere in considerazione un miglior adeguamento al mercato. Si tratta quindi di un processo globale, non limitato al solo front loading (consultazione preliminare e precoce). Il Comitato ritiene che lo si dovrà esaminare dettagliatamente in tutti i suoi aspetti e avviare la concertazione più ampia possibile con gli Stati membri, gli operatori del settore e le altre parti interessate.

4.3.15

L'obiettivo della scheda n. 2 è quello di riformare la normativa vigente per la protezione del novellame attraverso il progressivo raggruppamento delle misure tecniche per le attività di pesca. Malgrado il Comitato sostenga questa impostazione per attività di pesca in relazione a tutte le misure di gestione, ritiene che essa sia applicabile in via prioritaria alle misure tecniche. La Commissione propone un sistema basato sulla riorganizzazione del dispositivo giuridico delle norme che regolano tali misure, prevedendo che il Consiglio disciplini in modo conciso gli orientamenti generali e la Commissione più dettagliatamente gli aspetti tecnici. Il CESE esprime preoccupazione per una semplificazione che permetterebbe alla Commissione di legiferare assumendo competenze che attualmente appartengono al Consiglio dei ministri. Pertanto il Comitato è del parere che, anche se la legislazione viene elaborata conformemente alle misure di semplificazione proposte, la decisione finale debba essere sottoposta all'esame del Consiglio.

4.3.16

Per quanto riguarda la possibilità di autorizzare gli Stati membri ad adottare specifiche misure tecniche da applicare a livello locale, prevista dalla scheda n. 2, il CESE osserva che una tale autorizzazione contrasta con la necessaria armonizzazione delle disposizioni che regolano la PCP e può quindi creare disuguaglianze e situazioni di discriminazione tra i pescatori dei diversi Stati membri dell'Unione, specialmente se soggetta ad abusi o non controllata adeguatamente. Pertanto le eventuali proposte in tal senso degli Stati membri dovrebbero anch'esse venir sottoposte all'approvazione del Consiglio.

4.3.17

Per attuare le misure proposte la Commissione ritiene necessario incrementare la consultazione preliminare del settore, valutare i risultati delle misure tecniche utilizzate e prevedere una migliore definizione di taluni concetti tecnici, elaborare opuscoli e documenti informativi, utilizzare le tecnologie dell'informazione e ridurre gli obblighi di comunicazione imposti ai pescatori. Il CESE, che ritiene necessarie tutte queste azioni, desidera far notare alla Commissione che il ricorso alle tecnologie dell'informazione per la raccolta e la gestione dei dati rende logicamente necessario un processo di adattamento e un sostegno finanziario che permetta alle navi di adeguarsi alle nuove tecnologie. Il Comitato ritiene pertanto che occorra prevedere un ragionevole periodo transitorio necessario per definire il processo in concertazione con i tecnici, gli operatori del settore e gli Stati membri, al fine di offrire tutte le garanzie di riservatezza commerciale, ottenere la fiducia e l'adesione degli interessati, verificare il processo nella realtà, contribuire agli oneri finanziari supplementari imposti dai nuovi materiali di cui si richiede l'utilizzazione e garantire così il successo di questa riforma che va nel senso della semplificazione

4.3.18

La scheda n. 3 propone di ridurre i testi legislativi relativi alla raccolta ed alla gestione dei dati per la PCP. Tale semplificazione prevede, analogamente alla scheda n. 2, di riorganizzare il dispositivo giuridico attuale in base a un regolamento del Consiglio di impostazione generale e a un regolamento di applicazione della Commissione relativo agli aspetti tecnici e amministrativi. Il CESE ribadisce la preoccupazione manifestata nel precedente punto 4.3.14 riguardo alle competenze che la Commissione intende assumere.

4.3.19

Per ragioni di semplificazione la Commissione propone, nella scheda n. 3, di elaborare un programma pluriennale per la raccolta e la gestione dei dati, allo scopo di ridurre gli oneri amministrativi degli Stati membri. Il Comitato giudica la proposta della Commissione opportuna e necessaria, fatte salve le osservazioni esposte precedentemente al punto 4.3.17.

4.3.20

La scheda n. 4 intende riformare la legislazione vigente in materia di controllo mediante una revisione dei regolamenti esistenti ed un loro adeguamento alla riforma della PCP. Il CESE giudica di estrema importanza la revisione dei regolamenti in materia di controllo per armonizzare le diverse norme ed evitare che possano dare adito ad interpretazioni differenti. Le disposizioni relative alle ispezioni ed ai controlli devono essere molto chiare, soprattutto in termini di ispezioni, dei metodi per realizzarle e delle forme in cui vengono eseguite. Il Comitato chiede comunque alla Commissione che, nel quadro della semplificazione della legislazione sul controllo, si tenga sempre presente l'Agenzia comunitaria di controllo della pesca.

4.3.21

Nella scheda n. 5 la Commissione propone la revisione di tutte le disposizioni in materia di controllo ed informatizzazione. È prevista l'elaborazione di regolamenti dopo che il Consiglio avrà approvato la proposta della Commissione concernente la registrazione e la trasmissione elettronica dei dati sulle attività di pesca e i sistemi di telerilevamento (12). Si prevede inoltre l'informatizzazione della gestione degli accordi di pesca con i paesi terzi, al fine di consentire la gestione informatizzata delle licenze di pesca e dei dati relativi alle catture e allo sforzo di pesca collegati agli accordi. Il CESE ritiene necessaria una tale informatizzazione dei sistemi di controllo e ribadisce quanto osservato in precedenza (cfr. punto 4.3.16) circa la necessità di un periodo transitorio per l'applicazione delle tecnologie dell'informazione.

4.3.22

La scheda n. 6 prevede la revisione dell'intera legislazione della PCP al fine di eliminare le disposizioni che istituiscono obblighi di comunicazione superfui o inutili ai fini della corretta attuazione della PCP. Il CESE ritiene necessario che in tale processo di semplificazione sia prevista l'eliminazione di tutti gli obblighi di comunicazione superfui o inutili, per ridurre gli oneri burocratici imposti agli interessati e agli Stati membri.

4.3.23

La scheda n. 7 prevede infine la semplificazione delle autorizzazioni di pesca fuori delle acque comunitarie in base alla riforma dei dispositivi relativi alla gestione degli accordi di pesca con i paesi terzi. Tale semplificazione prevede di riorganizzare il dispositivo giuridico attuale riservando al Consiglio i principi di base e gli aspetti tecnici e amministrativi alla Commissione. Il Comitato considera necessaria tale semplificazione e propone alla Commissione di elaborare un accordo tipo che costituisca la base per la negoziazione degli accordi di pesca con i paesi terzi, nonché la preparazione e l'emissione informatizzate delle licenze di pesca.

4.3.24

Per il Comitato la semplificazione e il miglioramento della PCP a favore delle flotte che operano al di fuori delle acque comunitarie richiede inoltre un'impostazione per attività di pesca e un trattamento speciale a tutti i livelli: flotta, autorizzazioni, licenze, permessi, dichiarazioni, ecc. In effetti, il Comitato ritiene che le navi che battono bandiera di uno degli stati membri dell'Unione europea e che esercitano la pesca fuori delle acque comunitarie debbano veder adeguati i loro diritti e i loro obblighi alle catture che essi eseguono e alle zone in cui operano. Il Comitato chiede pertanto alla Commissione di inserire tale obiettivo nel piano di azione, che non deve limitarsi soltanto al capitolo «accordi di pesca» (o accordi di associazione). A tale proposito il Comitato mette in rilievo la necessità del rispetto della clausola sociale accettata dalle parti sociali comunitarie.

4.3.25

Da ultimo, il Comitato ritiene che la lotta contro la pesca di frodo, non regolamentata e non dichiarata, uno degli obiettivi della PCP e in particolare della sua dimenzione esterna, andrebbe anch'essa menzionata nel piano d'azione sotto forma di obiettivo destinato a definire un processo di lotta contro tale attività illegale quanto più semplice ed efficace possibile. A giudizio del Comitato tale processo deve incentrarsi sull'accesso ai mercati di consumo, sul rafforzamento dei poteri dello Stato del porto corrispondente e sulla proibizione di trasbordi in alto mare.

5.   Osservazioni particolari

5.1

Il piano d'azione 2006-2008 che la comunicazione in esame presenta è di cruciale importanza per migliorare la legislazione comunitaria in materia di pesca. Nell'ambito del controllo e della gestione delle risorse della pesca non sono stati individuati atti legislativi importanti da aggiungere a quelli proposti nel testo. Il Comitato esorta pertanto la Commissione a procedere senza indugi sulla strada intrapresa.

5.2

Il Comitato ritiene che tra gli atti legislativi che si intendono migliorare e semplificare, quello relativo ai TAC/contingenti e sforzi di pesca abbia la massima importanza per lo sviluppo dei piani di gestione pluriennali.

5.3

L'evoluzione del piano d'azione 2006-2008 può obbligare la Commissione ad elaborare nuovi regolamenti di applicazione. A parere del CESE una tale ulteriore produzione normativa non è necessariamente problematica. La cosa importante non è l'incremento dell'acquis comunitario di per sé, bensì il fatto che i regolamenti siano più semplici, diretti alle aziende del settore interessate, di facile lettura ed il più consolidati possibile.

5.4

A proposito di questo ultimo aspetto, il Comitato desidera ricordare alla Commissione le difficoltà di interpretazione che l'attuale legislazione in materia di pesca presenta a causa dei continui rimandi ad altri regolamenti, direttive e comunicazioni. Il consolidamento dei testi è di primordiale importanza per facilitarne la lettura e la comprensione.

5.5

Per elaborare i nuovi testi migliorati e semplificati in materia di controllo è estremamente importante garantire il coordinamento tra la Commissione e l'Agenzia comunitaria di controllo della pesca. Per porre rimedio alle diverse interpretazioni degli Stati membri circa la legislazione comunitaria in materia di controllo della pesca, situazione di cui frequentemente si lamentano i pescatori, è necessario che l'Agenzia comunitaria di controllo della pesca operi allo scopo di unificare i criteri.

5.6

Il Comitato ritiene infine che l'informatizzazione della legislazione comunitaria in materia di pesca sia importante per permettere l'accesso elettronico ai testi comunitari riguardanti il settore. È evidente tuttavia che l'incorporazione delle nuove tecnologie dell'informazione nei battelli da pesca, senza costi per i pescatori, vada effettuata in maniera lenta e progressiva, dato che alcune attrezzature di tipo informatico possono rivelarsi poco adatte all'impiego sulle navi.

5.7

Il Comitato esorta la Commissione a superare le difficoltà che il piano d'azione 2006-2008 potrà presentare, nella convinzione che esso sia necessario e sarà vantaggioso per il settore comunitario della pesca.

Bruxelles, 5 luglio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  COM(2001) 428 def. del 30.7.2001.

(2)  GU C 125 del 27.5.2002, pag. 61, sul Libro bianco La governance europea (COM(2001) 428 def.).

(3)  COM(2002) 278 def. del 5.6.2002.

(4)  COM(2003) 71 def. dell'11.2.2003.

(5)  COM(2005) 97 def. del 16.3.2005.

(6)  GU 321 del 31.12.2003 e rettifica nella GU C 4, dell'8.1.2004.

(7)  COM(2005) 535 def. del 25.10.2005.

(8)  COM(2004) 820 def. del 15.12.2004.

(9)  Regolamento (CE) n. 2371/2002 del Consiglio.

(10)  COM(2004) 497 def.

(11)  COM(2005) 647 def. dell'8.12.2005.

(12)  COM(2004) 724 def.


16.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 309/67


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Strategia tematica per l'uso sostenibile delle risorse naturali

COM(2005) 670 def. — [SEC(2005) 1683 + SEC(2005) 1684]

(2006/C 309/14)

La Commissione europea, in data 21 dicembre 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 maggio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore RIBBE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 5 luglio 2006, nel corso della 428a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 157 voti favorevoli, 2 voti contrari e 6 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni del comitato

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo, in linea di principio, accoglie con favore la presentazione della comunicazione della Commissione Strategia tematica per l'uso sostenibile delle risorse naturali e appoggia gli obiettivi ivi descritti intesi a migliorare la produttività e l'efficienza delle risorse, vale a dire a scorporare ulteriormente la crescita economica dallo sfruttamento delle risorse, riducendo al medesimo tempo anche l'impatto ambientale delle risorse impiegate.

1.2

Il Comitato ricorda nuovamente quanto già segnalato due anni fa alla Commissione, e cioè che una strategia della Commissione in questo campo deve affrontare in modo approfondito anche la questione delle risorse non rinnovabili. Uno dei punti maggiormente criticati dal Comitato è il fatto che il documento della Commissione non dia seguito a questa richiesta.

1.3

A parere del Comitato la strategia dovrebbe contenere anche indicazioni chiare in merito alle risorse non rinnovabili, che sicuramente dovrebbero andare oltre l'orizzonte temporale previsto per la strategia stessa (25 anni). Il Comitato reputa pertanto che sia opportuno integrare la strategia ed estenderne l'orizzonte temporale a un periodo di 50-100 anni, fermo restando che in questo caso, ovviamente, andranno definite delle tappe intermedie.

1.4

D'altra parte va considerato che per la conservazione di determinate risorse naturali (come ad es. gli stock ittici) non si può assolutamente più perdere tempo, ragion per cui a questo riguardo sono indispensabili subito delle azioni concrete.

1.5

Affinché una vera strategia abbia successo è indispensabile formulare anzitutto obiettivi chiari e tangibili, che andranno poi realizzati con strumenti concreti da definire in modo altrettanto chiaro (che costituiscono la strategia vera e propria). Tuttavia nel documento della Commissione si cercano invano sia obiettivi chiari che strumenti concreti, e questo è dovuto sicuramente anche al fatto che, considerato il gran numero di risorse naturali, non può esistere una strategia che tenga conto di tutte e di tutto. A tal fine sono necessarie piuttosto singole strategie specifiche per ciascun settore, e la Commissione, del resto, sta in parte lavorando in tal senso.

1.6

Il Comitato, pertanto, non può considerare la comunicazione della Commissione una vera strategia, ma piuttosto una filosofia di fondo che è assolutamente degna di approvazione e corretta, ma non potrà essere attuata con le banche dati proposte e i gruppi di esperti che si prevede di istituire.

2.   Elementi principali e contesto del parere

2.1

Il 1o ottobre 2003 la Commissione europea aveva pubblicato una comunicazione al Consiglio e al Parlamento europeo intitolata «Verso una strategia tematica per l'uso sostenibile delle risorse naturali» (1). Nella comunicazione venivano discusse le basi di una tale strategia e veniva avviato un primo processo di consultazione con le parti coinvolte o interessate.

2.2

Il Comitato, nel suo parere del 28 aprile 2004 sull'uso sostenibile delle risorse naturali (2), aveva approvato, in linea di principio, la proposta della Commissione di elaborare una strategia in materia.

2.3

Lo scorso 21 dicembre 2005 la Commissione ha presentato una comunicazione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sulla Strategia tematica per l'uso sostenibile delle risorse naturali (3), che è oggetto del presente parere.

2.4

Il Comitato, ovviamente, esprime anche in questo caso parere favorevole sulla presentazione della «strategia», che a suo avviso va considerata anche nel contesto della strategia per lo sviluppo sostenibile. Secondo il Comitato è assolutamente necessaria una strategia europea per la conservazione delle diverse risorse naturali rinnovabili e non rinnovabili per poter affrontare in modo sostenibile le sfide che si presenteranno. La comunicazione all'esame va decisamente nella direzione giusta, ma secondo il Comitato le iniziative e le azioni ivi descritte non sono sufficienti.

3.   Osservazioni in merito al contenuto della comunicazione della Commissione

3.1

Nell'analisi intrapresa dalla Commissione sui problemi da risolvere, le due comunicazioni naturalmente non si differenziano. In entrambe si afferma infatti quanto segue:

il funzionamento della nostra economia dipende dalla presenza, e quindi dalla disponibilità, di risorse naturali sia rinnovabili sia non rinnovabili,

le risorse naturali sono importanti per la nostra qualità di vita,

i modelli di impiego delle risorse nella loro forma attuale non possono essere mantenuti, anche se «l'Europa ha migliorato in modo significativo l'uso efficiente dei materiali»,

è pertanto urgentemente necessario un disaccoppiamento (decoupling) ancora più deciso della crescita economica dall'uso delle risorse ovvero dal loro consumo e

un uso delle risorse non efficiente e uno sfruttamento eccessivo di risorse rinnovabili frenano nel lungo periodo la crescita economica.

3.2

Nel documento all'esame viene tuttavia sottolineato con un'intensità decisamente maggiore che non si tratta solo di disaccoppiare la crescita economica dall'impiego delle risorse, ma anche di ridurre le conseguenze ambientali del loro impiego (che è già stato o va ridotto); si tratta quindi di una specie di duplice strategia che la Commissione aveva già presentato anni fa, prima dell'adozione della strategia per lo sviluppo sostenibile, utilizzando il concetto di «fattore dieci».

3.3

Un esempio al riguardo potrebbe essere il seguente: oggigiorno le moderne centrali a carbone, avendo un grado di efficienza maggiore, producono un chilowattora di corrente con un impiego di risorse limitato. Tuttavia, per diminuire ulteriormente l'impatto ambientale, attualmente ci si sforza ad esempio di ridurre maggiormente la rilevanza climatica di ogni tonnellata di carbone utilizzato, anche mediante lo sviluppo di cosiddette centrali «neutrali per il clima» in cui la CO2 prodotta viene dapprima catturata, per poi procedere allo stoccaggio geologico.

3.4

Nella «strategia» all'esame si afferma che questo approccio improntato all'efficienza deve diventare un principio valido per l'impiego di tutte le risorse naturali, cosa di cui il Comitato si compiace vivamente.

Osservazioni critiche del Comitato

3.5

Sebbene il Comitato appoggi pienamente questo approccio della Commissione, esso deve tuttavia formulare alcune osservazioni molto critiche in merito alla «strategia» all'esame.

3.6

La Commissione nella sua comunicazione afferma che occorre distinguere tra risorse rinnovabili e non rinnovabili e che i problemi principali riguardano piuttosto le risorse rinnovabili (per es. le risorse ittiche, le acque dolci).

3.7

La Commissione segnala che l'uso delle risorse è al centro dei dibattiti di politica ambientale europei già da trent'anni e che «una delle principali preoccupazioni degli anni '70, conseguente alla prima crisi petrolifera, era (…) costituit[a] dalla scarsità delle risorse naturali e dai limiti della crescita». Tuttavia «non è stato dimostrato che la scarsezza delle risorse sia un fattore problematico come si temeva anni addietro. Il mondo non è a corto di combustibili fossili ed il mercato, attraverso il meccanismo dei prezzi, è riuscito a gestire e a regolare la loro scarsità».

3.8

In pratica il problema ambientale non consiste principalmente nel fatto che, per esempio, una risorsa non rinnovabile sia scarsa, ancora disponibile o non più disponibile. Il problema ambientale (e anche la Commissione parte proprio da questa considerazione) dipende dalle conseguenze dell'uso ovvero dello sfruttamento eccessivo (per esempio le conseguenze climatiche). Quindi, dal punto di vista ecologico non è un problema in sé il fatto che l'energia solare immagazzinata sotto forma di petrolio, carbone o gas si esaurisca. Il Comitato fa però notare che l'indisponibilità di risorse non rinnovabili, che comincia a farsi sentire, si dimostrerà invece un problema drammatico per la nostra economia e quindi anche un problema sociale con notevoli conseguenze per il tenore di vita delle persone. Non si tratta quindi solo della questione dell'impatto ecologico dello sfruttamento delle risorse, ma, al contrario, si deve assolutamente tener conto anche del potenziale accesso delle generazioni attuali e di quelle future alle risorse naturali. Pertanto, una delle sfide centrali dei prossimi decenni nel quadro del dibattito sulla sostenibilità consiste nel garantire la disponibilità delle risorse anche per le future generazioni. Secondo il Comitato, quindi, il problema della diminuzione delle risorse non ha esclusivamente una valenza ambientale, ma riguarda la sostenibilità che, com'è noto, comprende parametri ambientali, sociali ed economici.

3.9

Il riferimento della Commissione al «mercato», che reagisce alla diminuzione dell'offerta con prezzi più alti, è giustissimo. Tuttavia, gli aumenti talvolta spettacolari del prezzo del petrolio negli ultimi mesi, che hanno colpito duramente anche l'economia europea, naturalmente non possono essere ricondotti solo al prevedibile esaurimento nel lungo termine delle risorse non rinnovabili, ma sono anche legati al potere di mercato del quasi monopolio dell'offerta e all'instabilità politica dei paesi in cui si trovano in prevalenza tali risorse.

3.10

Il CESE rinvia alle osservazioni già formulate due anni fa nel suo parere sul primo progetto di strategia: presentare adesso una «strategia» che si estende solo su 25 anni e che non si occupa, o lo fa in misura del tutto insoddisfacente, della riduzione (a lungo termine senz'altro prevedibile) ovvero dell'esaurimento di determinate, cruciali risorse non rinnovabili (come per es. i combustibili fossili) vuol dire inviare un segnale sbagliato alla società. A parere del CESE la disponibilità di risorse non rinnovabili costituisce un elemento decisivo ai fini dell'assunzione di responsabilità per quanto riguarda i criteri previsti in materia di sostenibilità.

3.11

In questo contesto il Comitato ricorda che numerosi settori economici si basano non solo, in generale, sulla disponibilità di fonti di energia fossili, ma anche sulla loro disponibilità a prezzi contenuti. Le economie nazionali con queste caratteristiche avranno in futuro i maggiori problemi di adattamento. In questo senso il Comitato sottoscrive l'affermazione della Commissione secondo cui «l'uso inefficiente delle risorse» rappresenta «a lungo termine un freno alla crescita».

3.12

Per il momento l'aumento del prezzo delle risorse può ancora essere compensato fino a un certo punto da misure volte ad aumentare l'efficienza. In molti settori, per es. in quelli dei trasporti e dell'energia, situazioni di scarsità ovvero prezzi estremamente elevati potrebbero però richiedere cambiamenti strutturali più significativi. Dato che ciò può essere legato a investimenti molto rilevanti, si dovrebbe intervenire quanto più rapidamente possibile per evitare che i fondi vengano allocati in modo inefficiente.

3.13

Un esempio di riflessione strategica a lungo termine è l'annuncio del governo svedese non solo di rinunciare all'energia nucleare, ma anche di cominciare a uscire dalla dipendenza dal petrolio. È ovvio che una tale impostazione è immaginabile solo come percorso di lungo periodo, che però deve essere iniziato tempestivamente per evitare rotture successive sia in economia che nella società.

3.14

Il Comitato è pertanto del parere che la strategia dell'Ue dovrebbe affrontare in modo attivo i problemi, cosa che essa purtroppo non fa. Ci si chiede se ciò non dipenda dal fatto che effettivamente l'orizzonte temporale di 25 anni sia (decisamente) troppo corto. Il Comitato non può accettare che la Commissione affermi che, all'interno di questa prospettiva temporale, probabilmente non ci si troverà di fronte a gravi fenomeni di scarsità delle risorse non rinnovabili, per cui il problema di queste risorse viene per così dire messo da parte. È necessario che la Commissione si pronunci chiaramente in merito alle risorse non rinnovabili e che tali indicazioni vadano oltre l'attuale prospettiva temporale della strategia. Sarebbe perciò necessario prolungare fin dall'inizio l'orizzonte temporale della strategia, per es. a 50 o addirittura 100 anni, periodo che nell'ottica dell'uso delle risorse è relativamente ridotto. Ovviamente, con un periodo così lungo, per gli obiettivi a lungo termine andranno definite delle tappe intermedie. Il Comitato fa notare che la Commissione, in una comunicazione del 2005 (4), aveva annunciato che avrebbe proceduto in tal senso.

3.15

Nel suo documento la Commissione indica come obiettivo principale della strategia quello di «ridurre gli impatti ambientali negativi prodotti dall'uso delle risorse naturali in un'economia in espansione». Non vi è sicuramente nessuno in Europa che si opporrebbe a un obiettivo così generale, ma anche così vago.

3.16

La Commissione rinuncia volutamente a presentare «in questa fase iniziale» della strategia «l'indicazione di valori-obiettivo». Il Comitato ritiene che ciò sia fondamentalmente sbagliato. Da un lato, infatti, non siamo in una fase iniziale e i problemi sono noti da anni, e in alcuni casi da decenni. Dall'altro il Comitato, già in molte altre occasioni, ha segnalato che, affinché una strategia abbia veramente successo, è indispensabile fissare degli obiettivi chiari. Una strategia è un piano per il raggiungimento di obiettivi dichiarati! Se gli obiettivi sono assenti, formulati in maniera del tutto non vincolante o generici, alla politica viene a mancare anche l'indicazione di quali strumenti d'indirizzo vadano applicati a quale situazione.

3.17

Secondo il Comitato, quindi, la «strategia tematica per l'uso sostenibile delle risorse naturali» non è una vera strategia, ma piuttosto una filosofia di fondo, peraltro totalmente corretta (questo punto va sottolineato esplicitamente), per la quale occorre però ancora elaborare strategie di attuazione specifiche relative alle singole risorse naturali.

3.18

Il Comitato riconosce tranquillamente che è praticamente impossibile trattare in modo completo ed esaustivo tutte le risorse naturali in un'unica strategia. La materia è decisamente troppo complessa, ragion per cui è indispensabile inserire questa giusta filosofia di fondo in strategie specifiche e nella politica generale. Proprio per questo motivo la Commissione, quasi contemporaneamente alla «strategia» all'esame, ha presentato anche una strategia tematica sulla prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti (5) (indirettamente si tratta anche in questo caso di una risorsa naturale) e ha annunciato una strategia tematica per la protezione del suolo. Le decisioni strategiche pertinenti devono essere ancorate saldamente nelle politiche settoriali.

3.19

Tutte le parti coinvolte potrebbero così riconoscere più chiaramente qual è il punto di partenza delle varie strategie. Mediante esempi concreti si potrebbero creare dei collegamenti trasversali con altre strategie e altri settori politici a livello dell'UE e degli Stati membri. In tal modo verrebbero definite più chiaramente le competenze e si potrebbe garantire meglio l'attuazione degli obiettivi strategici.

3.20   Quattro iniziative per realizzare gli obiettivi

La Commissione nella comunicazione menziona in totale quattro nuove iniziative, attraverso le quali si intende gettare le basi per la strategia per i prossimi 25 anni:

«Costruzione della base di conoscenze», che comprende l'istituzione di un centro dati al servizio dei responsabili politici,

«Misurare il progresso», ossia elaborare diversi indicatori entro il 2008,

«La dimensione interna», nel cui quadro la Commissione propone, da un lato, che ogni Stato membro dell'UE predisponga misure e programmi nazionali per l'utilizzo sostenibile delle risorse naturali e, dall'altro, l'istituzione di un «Forum di alto livello, formato da alti funzionari nazionali» responsabile per la definizione della politica nel campo delle risorse naturali; questo Forum dovrebbe inoltre essere composto da rappresentanti della Commissione e, «a seconda dei casi» (resta poi da vedere che cosa si intenda con questa espressione), da organizzazioni di consumatori, da ONG ambientaliste, dall'industria, dal mondo accademico, ecc.,

«La dimensione mondiale», nel cui quadro è prevista l'istituzione di un panel internazionale.

3.21

Il Comitato non mette in dubbio l'opportunità e l'utilità delle banche dati e dei nuovi organi. Quante più conoscenze abbiamo e quante più persone, specie persone con responsabilità politiche, si occupano di questo tema, tanto meglio.

3.22

Tuttavia, il Comitato non può non chiedere alla Commissione se essa creda di avere realmente elaborato una «strategia» in grado davvero di avere un peso a livello politico. Con le misure previste, infatti, non è affatto possibile risolvere i problemi descritti.

3.23

Con affermazioni del genere si dà piuttosto a credere che si debba in primo luogo allargare la base delle conoscenze per creare in tal modo i presupposti dell'azione politica. Il Comitato vede in ciò non tanto una strategia per un'azione coerente, quanto piuttosto una strategia del differimento delle decisioni politiche. La Commissione dovrebbe fare tutto il possibile per evitare che si abbia questa impressione.

3.24

Da anni si sa, per esempio, che la risorsa naturale «pesce» è soggetta a uno sfruttamento davvero eccessivo. La Commissione reagisce a questa situazione minacciosa ogni anno con la richiesta, sicuramente giustissima, di prevedere quote di cattura inferiori, per esempio per evitare una pesca eccessiva del merluzzo (6). Senza successo. Questo è un problema che in futuro non si risolverà né con nuovi dati né con nuovi organi.

3.25

Il Comitato auspica quindi che per determinate risorse naturali (ad esempio per la conservazione degli stock ittici) non si continui sempre solo a parlare, ma che alle parole seguano finalmente i fatti.

3.26

Il Comitato desidera con ciò rendere chiaro ancora una volta che non ritiene assolutamente adeguati i cosiddetti «strumenti» previsti dalla Commissione nel quadro della strategia.

3.27

Già nel parere sul documento preparatorio della Commissione, oltre che in diversi altri pareri, per esempio in merito a questioni relative allo sviluppo sostenibile o su temi di politica energetica o dei trasporti, il Comitato ha invitato la Commissione a:

definire, da un lato, obiettivi chiari, cioè quantificabili, che la politica si propone di raggiungere,

definire chiaramente, dall'altro, gli strumenti, anche e soprattutto quelli che hanno ripercussioni sul piano fiscale, che si intende utilizzare per il raggiungimento degli obiettivi. Più volte, per esempio, il Comitato ha chiesto alla Commissione di indicare come intenda conseguire l'internalizzazione dei costi esterni, tema oggetto di tante discussioni.

3.28

Fino ad ora non vi è stato neanche un minimo sospetto di un'indicazione del genere da parte della Commissione. Si è tanto lontani dalla definizione di obiettivi concreti, come per es. il concetto di «fattore dieci» (7), quanto dalla descrizione e discussione degli strumenti.

3.29

Il Comitato reputa quindi indispensabile che la Commissione, ogni qualvolta parla di una «strategia», indichi chiaramente con quali strumenti di indirizzo politico e con quali misure indispensabili intende realizzare obiettivi definiti chiaramente.

3.30

In questo contesto il Comitato ricorda il proprio parere adottato nel maggio 2006 in merito alla Comunicazione sul riesame della strategia per lo sviluppo sostenibileUna piattaforma d'azione  (8), nel quale affronta parimenti questo problema.

Bruxelles, 5 luglio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  COM(2003) 572 def. dell'1.10.2003.

(2)  GU C 117 del 30.4.2004.

(3)  COM(2005) 670 def. del 21.12.2005.

(4)  COM(2005) 37 def. Cfr. anche i riferimenti al riguardo contenuti nel parere del CESE in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sul riesame della strategia per lo sviluppo sostenibileUna piattaforma d'azione (CESE 736/2006).

(5)  COM(2005) 666 def.

(6)  Cosa che tuttavia non ha determinato ancora la scomparsa del merluzzo, specie minacciata, dai menù delle mense delle istituzioni europee.

(7)  COM(1999) 543 def. del 24.11.1999, punto 4.4 (Uso e gestione efficienti delle risorse), pag. 15. Cfr. il parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della CommissioneL'ambiente in Europa: quali direzioni per il futuro? Valutazione globale del programma di politica e azione della Comunità europea a favore dell'ambiente e dello sviluppo sostenibile, Verso la sostenibilità (GU C 204, del 18.7.2000, pagg. 59-67).

(8)  COM(2005) 658 def. — NAT/304: parere del CESE in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sul riesame della strategia per lo sviluppo sostenibileUna piattaforma d'azione (CESE 736/2006).


16.12.2006   

IT

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C 309/71


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio concernente la lotta contro la cocciniglia di San José

COM(2006) 123 def. — 2006/0040 (CNS)

(2006/C 309/15)

Il Consiglio, in data 2 maggio 2006, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 37 e 94 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 maggio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore SIECKER.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 5 luglio 2006, nel corso della 428a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 166 voti favorevoli, 2 voti contrari e 1 astensione.

1.   Introduzione

1.1

La proposta in esame mira ad avviare la codificazione della direttiva 69/466/CEE del Consiglio dell'8 dicembre 1969 concernente la lotta contro la cocciniglia di San José. La nuova direttiva sostituisce le varie direttive che essa incorpora, preserva in pieno la sostanza degli atti oggetto di codificazione e pertanto si limita a riunirli apportando unicamente le modifiche formali necessarie ai fini dell'opera di codificazione.

2.   Osservazioni di carattere generale

2.1

Il Comitato giudica estremamente utile che tutti gli atti normativi sull'argomento siano raggruppati in una direttiva unica. In linea con le finalità di un'Europa dei cittadini, il Comitato conviene con la Commissione sull'importanza di semplificare e chiarire la legislazione comunitaria in modo che questa risulti più trasparente e accessibile per i comuni cittadini, schiuda loro nuove opportunità e consenta loro di avvalersi dei diritti specifici che essa conferisce.

2.2

Il Comitato si è assicurato che la codificazione in oggetto non comporta alcuna modifica sostanziale ai provvedimenti che raggruppa e ha unicamente la funzione di presentare la legislazione comunitaria in maniera chiara e trasparente. Appoggiando pienamente questa finalità e alla luce delle suddette assicurazioni, il Comitato si esprime a favore della proposta in esame.

Bruxelles, 5 luglio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


16.12.2006   

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C 309/72


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Rischi e problemi relativi alla fornitura di materie prime all'industria europea

(2006/C 309/16)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 luglio 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere tema: Rischi e problemi relativi alla fornitura di materie prime all'industria europea.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 maggio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore VOSS e dal correlatore GIBELLIERI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 5 luglio 2006, nel corso della 428a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 157 voti favorevoli e 7 astensioni.

1.   Sintesi e raccomandazioni

1.1

Le raccomandazioni esposte qui di seguito vanno intese come linee guida per le decisioni relative all'attuazione di una politica lungimirante delle risorse, della ricerca, dello sviluppo ed esterna, a livello sia comunitario che nazionale. Il raggiungimento degli obiettivi di Lisbona, secondo cui l'Unione europea dovrebbe diventare entro la fine del decennio l'economia più competitiva e dinamica nel mondo, richiede una politica industriale innovativa e in sintonia con gli obiettivi sociali e ambientali che presuppongono la disponibilità ad accogliere i mutamenti strutturali. L'indispensabile cambiamento industriale va predisposto in maniera dinamica e in quanto strategia integrata per uno sviluppo sostenibile. Ciò significa non solo elaborare un processo di creazione del valore più efficiente sul piano dei materiali e prevedere un utilizzo oculato di tutte le risorse, ma anche predisporre la graduale sostituzione delle risorse a disponibilità limitata con quelle rinnovabili. Nel quadro di entrambe queste strategie si va delineando una nuova prospettiva industriale basata sull'innovazione tecnologica e tale da generare posti di lavoro qualitativamente elevati e sicuri nell'industria e nei servizi.

1.2

Nelle economie di mercato, garantire l'approvvigionamento delle materie prime è per lo più responsabilità dell'economia. Alla politica spetta invece il compito di contribuire a creare le condizioni quadro per un'elevata sicurezza dell'approvvigionamento e favorire l'approvvigionamento sostenibile delle materie prime attraverso le politiche dell'industria, della ricerca, dell'occupazione e dell'ambiente. Ciò è importante perché intensificare la promozione di nuove tecnologie significa non solo incidere positivamente sulla competitività e sulla situazione occupazionale, ma anche incoraggiare la transizione verso un'economia sostenibile.

1.3

Le valutazioni del ciclo di vita, che stanno alla base di una politica sostenibile delle materie prime, contribuiscono ad un'estrazione efficiente e a una lavorazione rispettosa dell'ambiente delle materie prime minerali e metalliche, allo sviluppo di processi di riciclaggio e, dove la tecnologia lo consente, alla sostituzione graduale ma sempre più consistente delle materie a disponibilità limitata o tali da favorire l'effetto serra con combustibili poveri di carbonio, rinnovabili e innocui per il clima o al loro consumo tramite tecnologie efficienti con emissioni di anidride carbonica ridotte. Si tratta di un obiettivo da raggiungere soprattutto attraverso una politica mirata da parte sia dell'UE che dei governi nazionali. Il Comitato ritiene che entrambe le strategie, cioè quella intesa ad accrescere l'efficienza e quella incentrata sulla sostituzione di taluni combustibili, consentiranno di ridurre la dipendenza dalle importazioni nell'ambito della fornitura di materie prime.

1.4

La rilevante crescita del consumo mondiale di materie prime potrà portare in futuro a strozzature nella fornitura, quanto meno per alcune di tali materie. Le trasformazioni in atto sul mercato mondiale richiedono un approccio dinamico da parte dell'economia dell'UE e dei suoi Stati membri. Garantire l'approvvigionamento delle materie prime spetta per lo più all'industria, ma le istituzioni dell'Unione europea possono fare la loro parte adottando misure concrete in materia di commercio, di ricerca e di affari esteri, mentre gli Stati membri possono contribuire, con le rispettive politiche delle materie prime e dell'energia, a prevenire il trasferimento delle produzioni all'estero. Il Comitato esorta gli Stati membri dell'UE a partecipare alla formulazione degli orientamenti per una politica europea delle materie prime e dell'energia e ad assumersi la responsabilità di una politica sostenibile delle materie prime in Europa.

1.5

Il Comitato ritiene necessario che l'UE, operando in stretta collaborazione con gli Stati membri e con tutte le categorie interessate, provveda a far sì che la fornitura di materie prime all'industria europea non corra rischi e che le materie prime siano disponibili a prezzi ragionevoli sul mercato mondiale. Per raggiungere tali obiettivi, l'Unione europea, sia attraverso le organizzazioni internazionali come l'OCSE, l'OMC e l'OIL, sia bilateralmente, dovrebbe prendere provvedimenti contro le pratiche concorrenziali sleali e le manovre protezionistiche. Uno strumento chiave a tal fine consiste nel condurre un dialogo intensivo con i soggetti politici e industriali che influenzano il mercato delle materie prime.

1.6

Il Comitato è convinto che l'industria europea abbia tutte le carte in regola per far fronte con decisione alle sfide presenti e future legate ai mutamenti strutturali nel quadro della concorrenza mondiale. L'Europa è un polo industriale competitivo e tale resterà. Al tempo stesso, essa si evolverà verso uno spazio economico sostenibile solo se perseguirà una politica innovativa globale orientata al benessere economico e che tenga conto in maniera equilibrata dei relativi effetti sociali e ambientali.

1.7

In conclusione va sottolineato che, dato l'elevato tasso di industrializzazione dell'Europa, l'approvvigionamento delle materie prime riveste una chiara importanza per il raggiungimento degli obiettivi di Lisbona. La dipendenza relativamente elevata dell'Europa dalle importazioni di materie prime fossili, metalliche e minerali comporta una serie di rischi non solo per la sicurezza degli approvvigionamenti, ma anche per l'andamento dei prezzi delle materie prime in rapporto al consumo mondiale. L'economia e la politica possono prevenire gli effetti negativi adottando misure concrete per un uso più oculato delle risorse, la promozione delle innovazioni tecnologiche nel settore delle materie prime e del riciclaggio, la sostituzione delle materie prime non rinnovabili con quelle rinnovabili e la diversificazione dell'offerta di materie prime con l'aumento delle materie prime europee. Per quanto riguarda il carbone, occorre inoltre valutare la possibilità di applicare l'approccio Clean Coal («carbone pulito») che tiene conto della tutela del clima. Viceversa, limitarsi a garantire la disponibilità delle quantità necessarie a prezzi competitivi significa non risolvere il problema. Per quanto concerne la dimensione esterna, serve uno sforzo politico a livello mondiale per ridurre in modo significativo il crescente impiego di combustibili fossili. Il ruolo dell'Unione europea in questo processo andrà definito nei prossimi mesi.

2.   Presentazione della problematica

2.1

Le materie prime sono il primo anello di una catena di creazione del valore con numerose ramificazioni. In tempi di crescente globalizzazione, esse rappresentano il presupposto per la capacità di funzionamento e le opportunità di sviluppo e di crescita di un'economia nazionale: ciò dicasi per le fonti energetiche e per molte materie prime metalliche, minerali e biologiche, che costituiscono un elemento primario essenziale per l'industria. Riguardo a numerose materie prime, l'Europa si trova in una situazione di dipendenza dalle importazioni alla quale finora si è troppo poco riflettuto ma che, con il rincaro dei prezzi, è destinata ad essere avvertita con maggiore acutezza. Un esempio evidente di ciò è dato dalle impennate dei prezzi dei combustibili fossili, del carbone da coke e dell'acciaio.

2.2

Spesso si ha solo una vaga idea dell'importanza di alcune specifiche materie prime: ciò può dipendere dal fatto che esse rivestono un'importanza secondaria rispetto alla totalità dei fattori di produzione, anche se, a differenza di altri fattori, generalmente non sono sostituibili, quanto meno nel breve periodo. Per questo, fenomeni come la scarsità degli approvvigionamenti o anche interruzioni nella fornitura si traducono spesso in tagli alla produzione. Le oscillazioni dei prezzi sui mercati delle materie prime si ripercuotono in maniera pressoché incontrollata sui costi dei settori produttivi a valle, incidendo quindi sull'intera economia. A questo riguardo è anche importante non trascurare gli aspetti sociali.

2.3

La vigorosa crescita economica di alcune regioni extraeuropee (Cina, India, ecc.) ha portato nell'ultimo decennio a un sensibile innalzamento del consumo di fonti energetiche e di materie prime industriali.

2.4

È inoltre importante menzionare la distribuzione regionale delle materie prime e la discrepanza tra i luoghi di provenienza e quelli di consumo. In questo contesto l'Europa è una regione che mostra sin d'ora un elevato fabbisogno di materie prime e di combustibili fossili, ma anche una dipendenza dalle importazioni che è destinata a crescere ulteriormente in futuro.

2.5

L'approvvigionamento energetico è il volano dell'economia europea. A causa della limitatezza di numerose fonti, dei forti rincari dei prezzi, del peso delle vicende belliche e delle politiche sulla sicurezza dell'approvvigionamento, nonché della frequente inefficacia delle «politiche energetiche» nazionali nel contesto mondiale, l'Europa si trova oggi esposta a un rischio estremamente elevato.

3.   La situazione mondiale

3.1

Le osservazioni che precedono valgono per molte materie prime, ma nel presente parere si esporrà e si analizzerà a titolo di esempio la situazione nel settore delle fonti energetiche. Si è scelto tale settore perché in esso stanno intervenendo sviluppi critici (oscillazioni del prezzo del greggio, sospensione della fornitura di gas russo), perché i dati esistenti al riguardo sono particolarmente attendibili e perché le misure politiche in materia sono già in fase di discussione.

3.2

Nel 2004 la produzione mondiale di greggio ha raggiunto 3.847 milioni di tonnellate. Dall'inizio della produzione industriale di greggio alla fine del 2004 sono stati estratti in totale circa 139 miliardi di tonnellate di petrolio, di cui metà nel corso degli ultimi 22 anni. Ciò significa che oltre il 46 % delle riserve accertate di petrolio convenzionale sono già esaurite.

3.3

In questo contesto va ricordato in particolare il ruolo della Cina, paese che negli ultimi 20 anni si è trasformato da esportatore netto in importatore netto di greggio, e che in futuro dovrà attingere sempre più alle risorse mondiali disponibili per sostenere la sua straordinaria crescita economica.

3.4

Oltre a ciò, altri avvenimenti quali il conflitto iracheno, gli uragani in America, la stasi degli investimenti che ha a sua volta ingenerato strozzature nelle capacità di produzione e di trasporto, le mancate consegne occasionali legate a scioperi e le speculazioni hanno contribuito al consistente rincaro del greggio e, in un secondo momento, del gas naturale. Ciononostante i prezzi reali, depurati cioè dagli effetti dell'inflazione, sono attualmente più bassi che agli inizi degli anni '80.

3.5

Accanto alle fluttuazioni dei prezzi si situa ovviamente anche la questione della disponibilità di combustibili fossili. Alla fine del 2004 il potenziale complessivo di petrolio convenzionale si aggirava intorno ai 381 miliardi di tonnellate. In termini di distribuzione regionale, i paesi del Medio Oriente posseggono circa il 62 % delle riserve mondiali, l'America il 13 % e la CSI poco meno del 10 %. Va però osservato che in Nordamerica si sono già estratti quasi due terzi del potenziale complessivo presunto, mentre nella CSI ci si è fermati a un terzo e in Medio Oriente ad appena un quarto.

3.6

Non molto diversa si presenta la situazione per il gas naturale. Il potenziale complessivo mondiale del gas naturale convenzionale ammonta a circa 461.000 miliardi di metri cubici, il che in termini energetici corrisponde pressappoco al potenziale totale di greggio. Più della metà delle riserve si concentra in tre paesi (Russia, Iran e Qatar), ma si ipotizzano circa 207.000 miliardi di metri cubici di riserve naturali supplementari. Fino a oggi è già stato sfruttato quasi il 18 % delle riserve attestate. Nel 2004 il consumo di gas naturale ha raggiunto il massimo storico di circa 2.800 miliardi di metri cubici: i maggiori consumatori sono risultati gli Stati Uniti, seguiti da Russia, Germania, Regno Unito, Canada, Iran e Italia.

3.7

Le maggiori riserve disponibili sono quelle di carbone. Sulla base del consumo mondiale di carbone per il 2004, si può stimare che le riserve di carbon fossile dureranno altri 172 anni dall'inizio del 2005, e quelle di lignite altri 218 anni. Nel 2004 il carbone ha contribuito al consumo mondiale di energia primaria per il 27 % (di cui, il 24 % di carbon fossile e il 3 % di lignite), percentuale superata solo da quella del petrolio. Nel 2004, infine, il carbone è stata la principale materia prima utilizzata nella produzione di energia elettrica, con una percentuale mondiale di circa il 37 %.

3.8

La ripartizione dei giacimenti di carbon fossile si presenta in modo più equilibrato rispetto al petrolio e al gas naturale. Per quanto infatti la Russia disponga di una porzione ragguardevole delle riserve carbonifere mondiali, importanti giacimenti esistono anche in Nordamerica, Asia, Australia e Sudafrica, regioni in cui la presenza di petrolio e di gas naturale è molto meno consistente. La concentrazione delle riserve mondiali di carbone è considerevole. Quasi tre quarti di esse si trovano infatti in appena quattro paesi: Stati Uniti, Russia, Cina e India, ma anche l'UE, diversamente da quanto avviene per il petrolio e il gas naturale, dispone di considerevoli giacimenti. Va comunque notato che le qualità di carbone differiscono notevolmente tra loro. Nel caso del carbone da coke, prodotto solo in alcune regioni e il cui fabbisogno mondiale è relativamente stabile, i mercati internazionali assorbono circa il 35 % della produzione totale. Nel complesso, sulle piazze internazionali viene commercializzato appena il 16 % della produzione mondiale di carbone. Anche per le esportazioni si registra un'elevata concentrazione in certi paesi e in aumento appare anche la concentrazione delle imprese: in particolare, le forniture per l'esportazione di carbone da coke provengono per oltre il 60 % dalla sola Australia, mentre il 50 % di tutte le esportazioni di coke giunge dalla Cina.

3.9

Negli ultimi decenni il prezzo del carbone ha subito un'evoluzione comparabile a quella del greggio e del gas naturale, anche se il suo tenore energetico è di gran lunga inferiore a quello di questi ultimi. Nell'ambito di un discorso sulle materie prime non si può dimenticare che il carbone può essere utilizzato non solo come fonte energetica e agente riducente fondamentale nella produzione di ghisa grezza, ma anche in maniera molto versatile come carburante, per diverse applicazioni chimiche o nel settore dei materiali da costruzione. Va notato però che per motivi ambientali il carbone è trattato per quanto possibile con tecnologie moderne, pulite ed efficienti, tra cui, visti anche i livelli molto elevati di gas a effetto serra, quelle in grado di captare e immagazzinare l'anidride carbonica da esso liberata.

3.10

Per comprendere meglio quanto la sicurezza dell'approvvigionamento sia un tema spinoso, si consideri quanto afferma l'Agenzia internazionale per l'energia (AIE) nel bollettino World Energy Outlook («Prospettive energetiche mondiali») del novembre 2005, riguardo all'incessante aumento del consumo energetico mondiale. Secondo l'AIE, in assenza di mutamenti nel comportamento dei consumatori, entro il 2030 la richiesta mondiale di energia dovrebbe crescere di oltre il 50 % e attestarsi sui 16,3 miliardi di tonnellate equivalenti di petrolio. Quanto avvenuto agli inizi del 2006, quando l'interruzione delle forniture di gas russo all'Ucraina ha comportato la riduzione delle forniture dirette in Europa centrale e occidentale, può essere visto come una prima indicazione dei possibili scenari futuri in materia di approvvigionamento, qualora la dipendenza dell'Europa dalle importazioni energetiche dovesse continuare a crescere. Per questo motivo, anche l'attuazione dei due Libri verdi della Commissione sulla sicurezza dell'approvvigionamento e sull'efficienza energetica, come pure un dibattito ampio e costruttivo sul nuovo Libro verde per una strategia energetica europea (COM(2006) 105 def.) vanno visti come un obiettivo prioritario.

3.11

A questo proposito va osservato che le proiezioni dell'AIE appaiono incompatibili con le esigenze di protezione del clima: esse infatti comporterebbero non già la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra necessaria per la protezione del clima, bensì una crescita delle emissioni di CO2 non inferiore al 52 % entro il 2030. Serve quindi uno sforzo politico a livello mondiale per ridurre in modo significativo le emissioni di anidride carbonica determinate dal crescente impiego di combustibili fossili. Il ruolo dell'Unione europea in questo processo andrà definito nei prossimi mesi.

3.12

Da più parti si invoca il ricorso all'energia nucleare come possibile soluzione per l'effetto serra. Tuttavia, al di là dei rischi legati a tale opzione, essa pone degli interrogativi anche riguardo alla sicurezza dell'approvvigionamento. Le riserve mondiali di uranio si trovano in un numero circoscritto di paesi. Le principali regioni estrattive sono ubicate in Australia, Nordamerica, in alcuni paesi africani e nella CSI, anche se si ipotizza la presenza di giacimenti pure in Cina e Mongolia. Un incremento dell'energia nucleare usata a scopi pacifici, specie in Cina, potrebbe condurre a un impoverimento delle riserve entro i prossimi 30 anni.

3.13

Circa il 12 % del greggio disponibile è usato per la produzione di prodotti petrolchimici, di cui le materie plastiche rappresentano un importante sottogruppo. Nel 2004 si sono prodotti nel mondo 224 milioni di tonnellate di materiali plastici, di cui il 23,6 % in Europa occidentale. Stando alle previsioni attuali, il consumo mondiale di materie plastiche è destinato a crescere ulteriormente: l'utilizzo pro capite dovrebbe aumentare del 4,5 % annuo fino al 2010. Il maggiore incremento si avrà sui mercati dell'Europa orientale e del Sudest asiatico.

3.14

Oltre ai combustibili fossili, altre importanti materie prime per l'economia europea sono i minerali, in particolare il minerale di ferro. Nel 2004 si è prodotto nel mondo più di 1 miliardo di tonnellate di acciaio, una quantità di gran lunga più ingente di quella registrata per altre materie. Il consumo di minerali di ferro è stato di 1,25 miliardi di tonnellate nel 2004, una cifra superiore di uno o due ordini di grandezza rispetto a quella degli altri minerali più utilizzati (bauxite: 146 milioni di tonnellate, minerale di cromo: 15,5 milioni di tonnellate, minerale di zinco: 9 milioni di tonnellate, minerale di manganese: 8,2 milioni di tonnellate).

3.15

Nel 2005 la Geological Society of America ha stimato la quantità di minerale di ferro sfruttabile economicamente a 80 miliardi di tonnellate, pari a oltre 100 volte il fabbisogno attuale. Se poi a tale stima si aggiungono le riserve oggi non ritenute sfruttabili sul piano economico, il volume complessivo passa a 180 miliardi di tonnellate di ferro. Nonostante le ingenti riserve disponibili, si prevede che i prezzi dei minerali di ferro rimarranno elevati anche in futuro. Un motivo consiste senz'altro nella posizione dominante di tre grandi società (CVRD, BHP e Rio Tinto), le quali detengono una quota di mercato pari a oltre il 75 % della produzione mondiale di minerale di ferro. Bisogna inoltre fare i conti con le strozzature presenti nel trasporto marittimo, le quali determinano un aumento dei costi di trasporto e quindi prezzi di costo più elevati dei minerali di ferro per l'industria siderurgica europea.

3.16

Per garantire la produzione europea di ferro e di acciaio è necessario tenere conto anche della disponibilità di coke e di carbone da coke. Le esportazioni di carbone da coke dagli Stati Uniti sono destinate ad assottigliarsi, il che porterà a sua volta a un rafforzamento della posizione di mercato del Canada e dell'Australia. Tuttavia, per garantire un approvvigionamento su scala mondiale, serve un'espansione continua delle capacità di tali paesi. L'attuale sviluppo delle cokerie farà della Cina un fornitore sempre più importante di coke, ma anche altri paesi stanno mettendo a punto nuove capacità di produzione del coke per il loro mercato interno.

3.17

Un'altra materia prima importante per la produzione dell'acciaio è costituita dai rottami metallici, il cui commercio mondiale ha subito una netta espansione negli ultimi anni. Data l'alta longevità dei prodotti siderurgici, tuttavia, l'offerta di tale materiale fatica a stare al passo con la domanda, il che significa che il mercato dei rottami — già oggi fortemente sotto pressione — è destinato a espandersi ancora. Malgrado una certa contrazione negli ultimi mesi, è lecito supporre che i prezzi dei rottami, triplicatisi tra il 2002 e il 2004, riprenderanno a crescere nel lungo periodo.

3.18

Altre materie prime metalliche, come il manganese, il cromo, il nickel, il rame, il titano e il vanadio sono importanti agenti leganti che incidono profondamente sulle caratteristiche del materiale di base. Questi metalli — per non dimenticare il palladio, una materia prima fondamentale per il settore high-tech — devono tutti essere importati in Europa.

3.19

Le materie prime finora menzionate, ma anche molte altre, sono ancora disponibili in quantità sufficienti, per cui gli aumenti di prezzo osservabili al momento non fanno presagire un esaurimento a medio termine delle risorse. Ciò però non significa che siano da escludere oscillazioni dell'offerta e della domanda, né che le evoluzioni dei prezzi siano casuali. Nel breve periodo, infatti, l'offerta di materie prime non appare molto flessibile, dati i lunghi tempi di realizzazione dei progetti di prospezione ad alta intensità di capitali. Quando la domanda di materie prime è elevata, è sempre possibile che esse scarseggino e che quindi i prezzi rincarino. Altrettanto dicasi per le capacità di trasporto, le quali vengono anch'esse limitate dalla disponibilità delle materie prime (importate). Il fatto che le riserve e le risorse mondiali siano sufficienti può certo arginare i rischi di disfunzione degli approvvigionamenti sul piano quantitativo, ma non offre alcuna protezione contro i rincari percettibili a breve e a medio termine. Ai fini di una valutazione completa dei rischi legati ai fornitori e ai prezzi sui mercati internazionali delle materie prime, sarà necessario tenere conto di interventi politici, tra cui la formazione di monopoli o cartelli di imprese con un forte posizionamento sul mercato.

3.20

Ciò è tanto più importante in quanto gran parte della produzione, non solo di importanti fonti energetiche ma anche di metalli, tende a concentrarsi in poche regioni della Terra e in certe imprese, e tale tendenza si è accentuata notevolmente sin dall'inizio degli anni '90, almeno per quanto riguarda le materie prime metalliche. Si consideri per esempio che il Cile è riuscito quasi a triplicare la quota di minerale di rame prodotto rispetto al 1990 e che quasi il 40 % della bauxite estratta su scala mondiale proviene dall'Australia. Anche il Brasile è riuscito a migliorare considerevolmente la propria posizione nell'estrazione della bauxite, imponendosi come secondo produttore mondiale ed evidenziando così l'importanza del Sudamerica nella produzione dei minerali grezzi metallici. Altrettanto dicasi per i minerali ferrosi, i quali provengono dal Brasile per circa il 30 %. Tra gli Stati membri dell'UE, solo la Svezia presenta una produzione di minerali ferrosi degna di nota, la quale però corrisponde solo all'1,6 % circa della produzione mondiale.

4.   L'industria europea

4.1

Dato il suo contributo alla creazione di posti di lavoro e di valore, l'industria resta oggi più che mai un elemento di estrema rilevanza per l'economia dell'UE. Si tratta anzi dell'anello principale nella catena di creazione del valore per la produzione dei beni materiali, giacché senza taluni prodotti fabbricati su base industriale la fornitura di numerosi servizi non avrebbe senso. Ne consegue che la produzione industriale non perderà mai la sua importanza come fonte di benessere e che a maggior ragione è essenziale assicurare l'approvvigionamento di materie prime per l'industria. Per le materie prime fossili e molte materie prime metalliche si ravvisa uno squilibrio tra giacimenti e luoghi di utilizzo, squilibrio che per via delle strutture oligopolistiche esistenti nei paesi fornitori può portare a distorsioni del mercato anche in Europa. Come afferma il Libro verde sulla sicurezza dell'approvvigionamento energetico, per ridurre la futura dipendenza europea dalle importazioni è necessario adottare misure adeguate per tutte le materie prime.

4.2

Le statistiche mostrano che nelle imprese industriali europee esistono notevoli differenze per quanto riguarda l'efficienza nell'uso sia delle materie prime che dell'energia. Si può affermare che in tutta Europa esiste un potenziale di risparmio che andrebbe concretizzato in via prioritaria, al fine di tagliare la dipendenza globale e intensificare l'attività di sviluppo.

4.3

Esiste un settore industriale che lascia intravedere segnali positivi per il futuro, nonostante la sua dipendenza dalle importazioni di materie prime. La competitività della siderurgia europea sul mercato mondiale deriva dall'avere già superato la fase di mutamento strutturale e dall'averne tratto gli opportuni insegnamenti. Grazie a tale processo di consolidamento, si è creato un assetto che consente alle società di trarre profitti adeguati anche in periodi di crisi. Viceversa, paesi come Cina e India non hanno ancora vissuto la necessaria transizione strutturale.

4.4

Nell'Unione europea, in particolare, l'industria siderurgica dispone di catene del valore sane ed efficienti in cui l'acciaio svolge un ruolo chiave. A ciò si aggiungono alcune condizioni favorevoli sul piano infrastrutturale e logistico: sul mercato siderurgico europeo produttori e clienti si incontrano in un territorio relativamente ridotto e ben collegato con la rete ferroviaria, fluviale e stradale internazionale, il che si traduce in una serie di vantaggi competitivi.

4.5

Inoltre, le imprese siderurgiche europee hanno effettuato considerevoli sforzi e investito somme notevoli nei settori della tutela ambientale e dell'efficienza energetica. Oggi presentano il più alto tasso mondiale di riciclaggio dopo gli Stati Uniti, il che vuol dire che per la produzione utilizzano grossi quantitativi di rottami, risparmiando così sulle risorse. Anche l'utilizzo di agenti riducenti negli altiforni è nettamente inferiore rispetto a molti paesi non europei.

4.6

Malgrado l'atmosfera positiva che regna nell'industria siderurgica europea, bisogna pensare che per via della dipendenza dalle importazioni di materie prime, degli elevati prezzi energetici e del rafforzamento delle misure di protezione ambientale, potrebbe non essere più possibile realizzare a medio termine in Europa il settore dei processi in fase liquida, che potrebbe quindi essere trasferito in regioni in grado di offrire un approvvigionamento sicuro di materie prime e prezzi energetici ragionevoli. Poiché questa situazione non riguarda unicamente il ferro, ma anche l'alluminio e altri metalli, l'Europa rischia di perdere un numero considerevole di posti di lavoro, i quali potranno essere recuperati solo attraverso la ricerca e lo sviluppo nei campi dell'efficienza delle risorse e dell'energia, nonché attraverso processi produttivi innovativi e servizi industriali. Il trasferimento dei processi in fase liquida in paesi con standard ecologici più bassi e la riduzione dei prezzi dell'energia non contribuiscono a promuovere lo sviluppo sostenibile su scala mondiale e non fanno che peggiorare la posizione europea.

5.   Scenari alternativi per le materie prime e tendenze tecnologiche

5.1

Se lo sviluppo dell'economia mondiale continuerà a dipendere, come è avvenuto finora, dall'utilizzo di materie prime fossili, è da prevedere, prima ancora che le fonti di tali materie prime si esauriscano, un aggravamento dei problemi climatici dovuto all'innalzamento delle emissioni di gas a effetto serra. A questo proposito, l'AIE calcola nel suo studio sulle prospettive energetiche mondiali nel 2006 che entro il 2030 le emissioni mondiali di CO2 saranno cresciute del 52 % rispetto al 2004. Stando invece ad altre stime, le emissioni di CO2 dei paesi industrializzati di tutto il mondo andranno ridotte dell'80 % entro il 2050 perché si possa nel lungo termine mantenere i cambiamenti climatici a livelli tollerabili per l'uomo e l'ambiente. Per questo sono richieste tecnologie che permettano di ridurre le emissioni di gas a effetto serra.

5.2

Un maggiore ricorso alle energie rinnovabili è spesso considerato la soluzione più immediata per ridurre i gas a effetto serra. L'UE è un'antesignana in questo campo, visto che il suo Libro bianco in materia (1) pone come obiettivo esplicito quello di far sì che entro il 2010 il 12 % della disponibilità di energia primaria provenga da fonti energetiche rinnovabili. Tuttavia, per conseguire questo obiettivo non basta procedere a nuovi investimenti nei settori della biomassa, dell'energia eolica e di quella solare. È soprattutto necessario tendere a una minore crescita del consumo energetico rispetto ai tassi attuali. Le potenzialità in termini di risparmio energetico vanno sfruttate a tutti i livelli della creazione di valore, dell'utilizzo e dello smaltimento. Il sostegno mirato al progresso tecnologico consentirà di ridurre le emissioni di gas a effetto serra in futuro, accrescendo nel contempo la competitività dell'industria europea.

5.3

Nel 2005 l'Agenzia europea dell'ambiente è giunta alla conclusione che entro il 2030 si potrebbero produrre 230-300 milioni di tonnellate equivalenti di biomassa (Mtep) all'anno (corrispondenti a 9,6-12.6 x 1019 joule) senza nuocere all'ambiente e consentendo all'UE un alto grado di autosufficienza nei prodotti agricoli. Tale quantità equivarrebbe a circa il 20 % dell'attuale consumo di energia primaria nell'UE a 25. In un anno si otterrebbero così 100 Mtep dai rifiuti, 40-60 Mtep dai prodotti silvicoli e 90-140 Mtep dai prodotti agricoli. Oltre all'energia, dalle materie prime biogeniche è anche possibile ricavare una vasta gamma di prodotti che per motivi di prezzo danno vita solo a mercati di nicchia. Ciò non toglie che l'abbinamento oculato di materie prime e metodi di lavorazione, unitamente alle nuove strategie di riciclaggio, potrebbero rendere materiali, quali ad esempio la bioplastica, competitivi già nel prossimo futuro.

5.4

Il crescente impiego di materie prime rinnovabili si rende ormai necessario su scala mondiale. Finora non si è tenuto sufficientemente conto delle fonti energetiche e delle materie prime rinnovabili nella promozione della ricerca e della tecnologia. Alla luce dei prezzi e dei costi attuali occorre garantire un più ampio sviluppo del mercato e delle tecnologie ricorrendo a una serie di misure di commercializzazione.

5.5

Riguardo alle potenzialità della biomassa ottenuta dai prodotti agricoli, si deve tenere conto che la superficie arabile pro capite al livello mondiale tende ad assottigliarsi drasticamente. Per quanto riguarda la cerealicoltura, ad esempio, è vero che oggi è disponibile circa la stessa quantità di terreno esistente nel 1970, ma è anche vero che all'epoca vi erano quasi tre miliardi di persone in meno: di conseguenza, se nel 1970 la superficie coltivata pro capite era pari a circa 0,18 ettari, oggi la media è di appena 0,11 ettari. Questa tendenza è destinata ad accentuarsi visto che, a causa dell'erosione, della salinizzazione e della desertificazione, ogni anno vengono a perdersi circa 7 milioni di ettari di superficie agricola e oltre un quarto di tutti i terreni coltivati è ormai ritenuto a rischio.

5.6

Stando a stime della FAO, i paesi in via di sviluppo dovranno raddoppiare le loro importazioni di cereali nei prossimi 20 anni: ciò significa che tali prodotti scarseggeranno e diverranno più cari. Il fabbisogno di foraggio per gli animali domestici e la domanda di materie prime rinnovabili nei paesi industrializzati entreranno pertanto sempre più in conflitto con le esigenze alimentari dei paesi in via di sviluppo. Il fabbisogno di foraggio destinato agli animali domestici potrebbe essere contenuto riducendo l'elevato consumo di carne: ciò condurrebbe a una maggiore disponibilità di calorie, dato che circa il 90 % del contenuto energetico si perde attraverso il consumo di foraggio. Sarà quindi necessario procedere ad un migliore impiego delle piante e delle rispettive componenti contenenti legnocellulosa, nonché dei diversi sottoprodotti (legno, paglia, erba, per menzionare solo i più noti). A causa delle elevate esigenze in materia di sviluppo e ricerca, sarà anche indispensabile introdurre nel programma quadro per la ricerca dell'UE una modifica degli schemi tradizionali per quanto riguarda la riserva di materie prime ed energie rinnovabili, nonché l'efficienza.

5.7

Da quanto precede è chiaro che il passaggio alle fonti energetiche rinnovabili e alle materie prime industriali potrà risolvere il problema solo in parte. Al riguardo sarà opportuno impiegare tecnologie che consumino una quantità di gran lunga minore di energia e materie prime per ottenere un'efficienza comparabile a quella odierna. Nell'industria siderurgica si è riusciti negli ultimi 40 anni a ridurre il consumo energetico e le emissioni di CO2 di circa il 50 %. Per promuovere il potenziale per ulteriori risparmi, il consorzio ULCOS (Ultra Low CO 2 Steelmaking — produzione di acciaio a tasso ultra basso di CO2), creato dall'industria siderurgica europea, in collaborazione con alcuni istituti di ricerca, sta pianificando una riduzione considerevole delle emissioni come primo passo verso un processo di produzione dell'acciaio a maggiore efficienza energetica. Grazie ad un processo di riduzione messo a punto negli anni '80, è già possibile ridurre l'impatto negativo sulla qualità del carbone e le emissioni di CO2 fino al 30 % rispetto alla produzione in altoforno.

5.8

Migliorare l'efficienza energetica è lo scopo dell'ambiziosa strategia intesa ad abbattere i costi, a tutelare le risorse e a garantire l'occupazione. Nel settore manifatturiero, i costi delle materie prime, pari in media al 40 % dei costi totali, rappresentano infatti il maggiore fattore di costo. A parità di prestazioni, un impiego efficiente delle materie prime contribuisce sia a ridurre i costi sia, dato il minore consumo di risorse, a salvaguardare l'ambiente. Le imprese possono essere indotte a sfruttare tale potenziale mediante iniziative e programmi statali che incoraggino il miglioramento dell'efficienza (ad esempio, progetti di ricerca e concorsi). Le piccole e medie imprese vanno in particolare sensibilizzate sul potenziale di efficienza e di risparmio insito nell'impiego dei materiali e sulla necessità di promuovere adeguati sistemi di gestione come EMAS e ISO 14001.

5.9

Lo sfruttamento dei giacimenti di materie prime disponibili nell'Unione europea, specie quelli di carbone, deve avvenire in base a standard tecnici molto elevati. Per motivi legati anche alla tutela del clima, l'ulteriore sviluppo delle capacità può essere favorito solo a condizione che si segua anche l'approccio Clean Coal («carbone pulito»).

5.10

Un'altra soluzione alla dipendenza dalle esportazioni è costituita dalle innovazioni tecnologiche dotate di caratteristiche di maggiore efficienza sul piano della produzione, della lavorazione e dell'utilizzazione, come pure dall'aumento delle quote di riciclaggio. In questo ambito, il sostanziale miglioramento dell'efficienza delle materie prime sarebbe da abbinare a processi produttivi innovativi. Ciò fa prevedere una trasformazione nella domanda di talune materie prime, da cui potrà emergere un potenziale di crescita industriale legato alle iniziative di ricerca, con vantaggi non solo per l'industria, ma anche per l'occupazione e l'ambiente rispetto ai tradizionali processi produttivi.

5.11

Accanto alle economie dirette dell'industria, anche nell'ambiente domestico e nei trasporti esiste un considerevole potenziale di risparmio. Le case a basso consumo di energia o a energia passiva procurano un considerevole risparmio di energia primaria ai fini sia del riscaldamento che del raffreddamento. Dotandole anche di tecnologie di approvvigionamento energeticamente efficienti, quali caldaie a gas a condensazione o pompe di calore, sono ipotizzabili economie fino al 90 % della media attuale. Anche per quanto riguarda il trasporto privato, l'idea di ridurre di quattro volte il consumo di energia ottimizzando le tecnologie di propulsione e migliorando i comportamenti individuali sembra a tutt'oggi realizzabile.

Bruxelles, 5 luglio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Comunicazione della Commissione Energia per il futuro: le fonti energetiche rinnovabiliLibro bianco per una strategia e un piano di azione della Comunità.


16.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 309/78


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sul sistema europeo di statistiche integrate della protezione sociale (Sespros)

COM(2006) 11 def. — 2006/0004 (COD)

(2006/C 309/17)

Il Consiglio, in data 10 febbraio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 giugno 2006, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SCIBERRAS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 5 luglio 2006, nel corso della 428a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 162 voti favorevoli e 5 astensioni.

1.   Raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo sottolinea che, per rafforzare la dimensione sociale della strategia di Lisbona, gli Stati membri dovrebbero ricorrere al nuovo quadro per dare un maggiore peso politico all'obiettivo della modernizzazione e del miglioramento della protezione sociale. La dimensione sociale è essenziale per raccogliere le sfide derivanti dalla globalizzazione e dall'invecchiamento della popolazione. Vanno ugualmente sottoscritti e sostenuti gli altri obiettivi della strategia di Lisbona, vale a dire una crescita economica sostenibile, con nuovi e migliori posti di lavoro, e una maggiore coesione sociale (1).

1.2

Il Comitato reputa che il sistema europeo di statistiche integrate della protezione sociale (Sespros) sia importante nel quadro del metodo aperto di coordinamento per quanto attiene ai settori dell'inclusione sociale e delle pensioni.

1.3

Serve un approccio analitico basato su indicatori affidabili e comparabili. Ciò è fondamentale per tracciare un quadro attendibile dei progressi compiuti o meno nella realizzazione degli obiettivi fissati. Secondo il Comitato, oltre a razionalizzare le statistiche è anche necessario definire indicatori qualitativi.

1.4

Alcuni Stati membri potrebbero avere difficoltà a finanziare l'elaborazione delle statistiche necessarie. Occorre pertanto tener conto della capacità degli Stati membri di raccogliere le informazioni necessarie. Inoltre, andrebbero valutati in precedenza i costi, anche minimi, che ciascuno Stato membro dovrà sostenere per svolgere questo compito, per il quale non sono previsti finanziamenti. Il Comitato si compiace che la Commissione preveda un sostegno finanziario per gli Stati membri al fine di innovare l'attuale sistema.

1.5

È altresì importante che la scelta degli indicatori si ispiri a criteri non monetari basati sui bisogni individuali, quali l'accesso, la qualità e la partecipazione (2).

1.6

Un raffronto minuzioso delle statistiche può anche essere utile ai governi degli Stati membri per adattare gli attuali sistemi di sicurezza sociale alle esigenze delle rispettive società e soddisfare i bisogni delle categorie di persone non coperte dagli attuali sistemi di protezione sociale.

1.7

Un'elaborazione accurata può servire inoltre alla creazione e alla promozione di programmi mirati a favore delle fasce sociali vulnerabili ed escluse, in particolare al fine di sradicare la povertà infantile.

1.8

Negli ultimi anni la cooperazione a livello politico nel campo della protezione sociale ha fatto enormi passi avanti in tutti gli Stati membri. L'obiettivo dell'azione proposta di armonizzare i dati sulle statistiche comunitarie della protezione sociale può essere realizzato solo dalla Comunità, e non dai singoli Stati membri.

1.9

Gli indicatori e la valutazione dei risultati economici e del programma per la crescita e l'occupazione possono contribuire a dare un giudizio sui risultati della strategia di Lisbona. È però necessario collegare tali indicatori a quelli relativi alla protezione sociale. Questo è infatti il modo migliore per valutare i risultati dell'intera strategia di Lisbona.

2.   Introduzione

2.1

Al fine di realizzare gli obiettivi previsti dalla strategia di Lisbona è necessario analizzare la dimensione della protezione sociale e rendere visibili e comparabili i suoi diversi obiettivi ed elementi. Il nuovo quadro della Commissione per il coordinamento aperto della protezione sociale è uno strumento destinato agli Stati membri e all'UE a questo scopo. Come il Comitato ha affermato nel parere sulla strategia per il coordinamento aperto della protezione sociale (3), è necessario creare indicatori adeguati per tale strumento.

2.2

I regimi di sicurezza sociale in tutta l'UE si sono evoluti in base alla storia e alle condizioni specifiche dei singoli Stati membri, dando luogo a sistemi diversi a seconda dei paesi.

2.3

Il concetto di protezione sociale comprende l'insieme delle prestazioni erogate da organismi pubblici o privati per consentire alla comunità (famiglie o singoli individui) di far fronte a determinati rischi o esigenze (4).

2.4

La protezione sociale ha conosciuto uno sviluppo considerevole dagli inizi degli anni '90, quando si era creata una certa confusione in seguito a due raccomandazioni del Consiglio: una relativa alla convergenza degli obiettivi e delle politiche della protezione sociale (92/442/CEE) e l'altra intesa a definire criteri comuni in materia di risorse e prestazioni sufficienti nei sistemi di protezione sociale di tutti gli Stati membri dell'UE (92/441/CEE) (5).

2.5

Altre comunicazioni sulla protezione sociale hanno reso questo tema prioritario nell'agenda europea, contribuendo in modo positivo a creare una concezione comune della protezione sociale in Europa (6).

2.6

È sorta così la necessità di un'efficace valutazione comparativa (benchmarking), fondata sulla cooperazione (già in atto) e su un coordinamento che consiste in particolare in uno scambio di opinioni e di raccomandazioni basate sulle migliori pratiche.

2.7

La questione più delicata restava la definizione concertata di indicatori comuni. I sistemi di statistiche comparative esistenti andavano rivisti ed era necessario analizzare le caratteristiche, le cause e gli sviluppi dell'esclusione sociale, oltre che migliorare la qualità dei dati.

2.8

Gli indicatori e la valutazione dei risultati economici e del programma per la crescita e l'occupazione possono contribuire a dare un giudizio sui risultati della strategia di Lisbona. È però necessario collegare tali indicatori a quelli relativi alla protezione sociale. Questo è infatti il modo migliore per valutare i risultati dell'intera strategia di Lisbona.

3.   Sintesi del documento della Commissione

3.1

I sistemi di protezione sociale sono molto sviluppati nell'UE. La loro organizzazione e il loro finanziamento rientrano fra le competenze degli Stati membri.

3.2

All'UE spetta il ruolo specifico di garantire la protezione dei cittadini sia all'interno di ciascuno Stato membro che nel quadro della mobilità transfrontaliera, conformemente alla legislazione comunitaria intesa a coordinare i sistemi nazionali di sicurezza sociale.

3.3

È fondamentale, pertanto, concertare una serie di indicatori comuni, il che presuppone l'impegno degli Stati membri a mettere a punto strumenti indispensabili come Sespros. Come specificato nella proposta della Commissione, un quadro giuridico per Sespros «accrescerà le possibilità di impiego delle attuali raccolte di dati in termini di tempestività, copertura e comparabilità».

3.4

Al Consiglio europeo dell'ottobre 2003 (7) si è convenuto che la relazione congiunta annuale sull'inclusione e la protezione sociale sarà il principale strumento informativo per razionalizzare il metodo aperto di coordinamento (MAC) (8).

3.5

Nella comunicazione della Commissione Lavorare insieme, lavorare meglio: un nuovo quadro per il coordinamento aperto delle politiche di protezione sociale e di integrazione nell'Unione europea è stata espressa la necessità di definire un nuovo quadro per rafforzare il MAC e conferirgli maggiore visibilità (9).

3.6

La proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio su Sespros sottolinea l'importanza della dimensione sociale come uno dei pilastri della strategia di Lisbona.

3.7

L'obiettivo del regolamento è quello di definire un quadro per la raccolta e l'elaborazione di dati sulla protezione sociale da parte degli Stati membri. Attualmente, infatti, vengono utilizzati diversi metodi e le definizioni variano a seconda degli Stati membri, il che rende impossibile la comparazione dei dati. L'impossibilità di procedere a un raffronto riduce l'utilità di tali dati ai fini di un'analisi dei sistemi di protezione sociale nell'UE.

3.8

Gli obiettivi della proposta della Commissione verranno realizzati meglio se l'elaborazione e l'analisi delle statistiche saranno effettuate a livello comunitario sulla base di dati raccolti nei diversi Stati membri con un metodo armonizzato.

3.9

Il Comitato concorda con il giudizio secondo cui il quadro giuridico di Sespros contribuirà a realizzare gli obiettivi di competitività, occupazione e inclusione sociale definiti nella strategia di Lisbona e, di conseguenza, aiuterà a migliorare i sistemi di protezione sociale nei vari Stati membri.

3.10

Anche il metodo aperto di coordinamento, che faciliterà i lavori nel settore della protezione sociale, comporta la necessità di statistiche comparabili e affidabili nel campo della politica sociale (10).

3.11

I principali elementi del regolamento della Commissione sono:

il sistema centrale Sespros, che riguarda i flussi finanziari delle spese e delle entrate nell'ambito della protezione sociale,

oltre al sistema centrale, l'aggiunta di moduli sui beneficiari delle pensioni e sulle prestazioni nette di protezione sociale.

4.   Metodologia di Sespros

4.1

La metodologia Sespros è stata sviluppata alla fine degli anni '70 come risposta alla necessità di uno strumento specifico per monitorare a livello statistico la protezione sociale negli Stati membri dell'UE (11).

4.2

Il manuale Sespros del 1996 conteneva un sistema estremamente particolareggiato per classificare le prestazioni sociali.

4.3

La metodologia riveduta del manuale Sespros prevede una maggiore flessibilità, elemento che manca per certi versi nella compilazione delle statistiche da parte di Eurostat.

4.4

Un modo per aumentare la flessibilità consiste nel passare a un sistema centrale corredato da moduli (12).

4.5

Il sistema centrale corrisponde alle informazioni standard pubblicate annualmente da Eurostat sulle spese e le entrate nell'ambito della protezione sociale.

4.6

I moduli contengono invece informazioni statistiche supplementari su aspetti specifici della protezione sociale. I temi oggetto dei moduli vengono stabiliti in base alle esigenze della Commissione e dei vari Stati membri (13).

4.7

Per quanto l'obiettivo di Sespros sia fornire un quadro esauriente della protezione sociale negli Stati membri dell'UE, la sua metodologia non prevede la raccolta di statistiche su temi importanti quali i servizi sanitari, l'edilizia abitativa, la povertà, l'esclusione sociale e l'immigrazione. Vi è poi un considerevole lavoro di elaborazione di tali statistiche da parte di Eurostat e un ampio scambio di informazioni tra gli Stati membri dell'UE in merito alla protezione sociale mediante il sistema d'informazione reciproca Missoc (14). Ciò non toglie che l'adozione di un quadro giuridico per Sespros permetterebbe di avere un quadro più esauriente e realistico della protezione sociale negli Stati membri.

5.   Tendenze nel campo della protezione sociale

5.1   Edilizia abitativa

5.1.1

La reale accessibilità finanziaria degli alloggi è un elemento da valutare attraverso misurazioni quanto più possibile esaustive.

5.1.2

Temi come questo sottolineano ancora una volta l'importanza di elaborare statistiche economiche e sociali negli Stati membri nell'interesse dei cittadini. In questo contesto gli indicatori della sostenibilità andrebbero mantenuti come segnale di avvertimento.

5.2   Pensioni

5.2.1

In molti Stati membri dell'UE vengono compilate statistiche in questo settore.

5.2.2

Tuttavia, la misurazione dei cambiamenti demografici previsti è resa più ardua dalla difficoltà di valutare i dati relativi all'immigrazione. Al riguardo potrebbe essere utile includere le proiezioni relative a tale fenomeno e il suo probabile impatto sulla sostenibilità dei fondi pensionistici finanziati dallo Stato. Di conseguenza, quanto più accurati sono i dati relativi ai flussi migratori, tanto più le statistiche contribuiranno a un processo decisionale adeguato.

Bruxelles, 5 luglio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Parere del CESE, del 20.4.2006, in merito alla comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Lavorare insieme, lavorare meglio: un nuovo quadro per il coordinamento aperto delle politiche di protezione sociale e di integrazione nell'Unione europea (relatore: OLSSON). GU C 185 dell'8.8.2006.

(2)  Id.

(3)  Id.

(4)  Caroline de la Porte, «Social Benchmarking, Policy Making and New Governance in the EU».

(5)  Definizione tratta dal manuale Sespros del 1996.

(6)  Caroline de la Porte, «Social Benchmarking, Policy Making and New Governance in the EU».

(7)  Consiglio europeo di Bruxelles del 16 e 17 ottobre 2003, Conclusioni della presidenza.

(8)  COM(2006) 11 def., 2006/0004 (COD).

(9)  COM(2005) 706 def.

(10)  COM(2003) 261 def.

(11)  Id.

(12)  Manuale Sespros (1996).

(13)  Id.

(14)  Manuale Missoc (2004).


16.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 309/81


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le relazioni fra l'UE e la Comunità andina delle nazioni

(2006/C 309/18)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 luglio 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere: Le relazioni fra l'UE e la Comunità andina delle nazioni.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o giugno 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore MORENO PRECIADO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 5 luglio 2006, nel corso della 428a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 156 voti favorevoli, 2 voti contrari e 10 astensioni:

1.   Introduzione

1.1

La dichiarazione finale adottata in occasione del terzo incontro della società civile organizzata Unione europea (UE)-America Latina e Caraibi (ALC) raccomanda la creazione di una vera e propria associazione basata su una rete di accordi tra l'Unione europea (UE) e i vari organismi della regione. Nella dichiarazione si richiede inoltre l'avvio dei negoziati con la Comunità andina (CAN) (1).

1.2

La dichiarazione di Guadalajara, adottata in occasione del terzo vertice di capi di Stato e di governo UE-ALC (2), definisce «obiettivo strategico comune» la conclusione di un accordo di associazione tra UE e CAN che preveda la creazione di una zona di libero scambio, accordo analogo a quelli già in essere con Messico e Cile, e a quello che è in corso di negoziazione con il Mercosur.

1.3

Nel corso dello stesso vertice UE-America Latina e Caraibi si è deciso di procedere a una valutazione congiunta del livello di integrazione economica all'interno della Comunità andina; la valutazione è stata avviata nel gennaio 2005.

1.4

Finora i paesi aderenti all'Unione europea non hanno sfruttato il potenziale economico e commerciale offerto dalla Comunità andina: nonostante l'UE sia per la CAN il secondo partner commerciale dopo gli Stati Uniti, il volume degli scambi commerciali UE-CAN non è molto elevato. Gli sforzi compiuti dalle istituzioni della Comunità andina per approfondire l'integrazione regionale (malgrado le difficoltà e i limiti segnalati in questo documento) favoriscono le prospettive di un accordo di associazione, che può fungere da catalizzatore per il potenziamento degli scambi commerciali tra UE e CAN, come è già avvenuto in altre aree geografiche.

1.5

Nel quadro delle relazioni con la società civile andina, il CESE intrattiene peraltro rapporti con i due organi che attualmente rappresentano le parti sociali dell'intera regione: il Consiglio consultivo dei lavoratori andini (CCLA) e il Consiglio consultivo imprenditoriale andino (CCEA).

1.6

Il 6 e 7 febbraio 2006 il CESE, in collaborazione con il segretariato generale della CAN, ha organizzato a Lima un'audizione cui hanno partecipato il Consiglio consultivo imprenditoriale andino e il Consiglio consultivo dei lavoratori andini, nonché altre associazioni andine della società civile, i cui preziosi contributi sono stati integrati nel presente documento. I partecipanti si sono mostrati favorevoli all'apertura di negoziati con l'UE, pur mettendo in chiaro che l'associazione con l'UE dovrebbe tener conto delle asimmetrie esistenti tra le due regioni, evitare modelli di sviluppo dipendenti, contribuire alla riduzione del debito sociale della regione e promuovere un'effettiva coesione sociale.

1.7

Il parere del CESE permetterà di presentare alle autorità la posizione della società civile organizzata in merito alle relazioni UE-CAN. Tali posizioni sono in linea con le proposte avanzate nella dichiarazione finale del quarto incontro della società civile UE-America Latina e Caraibi, svoltosi a Vienna nell'aprile 2006 (in occasione del quale si è ribadito che l'Unione europea deve contribuire al rafforzamento dei processi di integrazione in America Latina), e con le raccomandazioni finali del vertice dei capi di Stato e di governo UE-America Latina e Caraibi (maggio 2006) relative ad un possibile accordo di associazione UE-CAN, riassunte nella dichiarazione finale:

«Nel ricordare l'obiettivo strategico comune definito nella dichiarazione di Guadalajara, accogliamo con favore la decisione adottata dall'Unione europea e dalla Comunità andina di avviare, nel corso del 2006, un processo che conduca alla negoziazione di un accordo di associazione articolato in un dialogo politico, in programmi di cooperazione e in un accordo commerciale.»

2.   Situazione nei cinque paesi andini

2.1

Non è facile riassumere in uno spazio così limitato la situazione di cinque paesi che si trovano nella stessa area geografica — la cordigliera delle Ande — ma si differenziano notevolmente in termini di livello di sviluppo economico, situazione demografica, evoluzione politica, ecc. Il presente documento si limita pertanto ad illustrare alcuni aspetti particolarmente significativi della situazione attuale in ognuno dei paesi presi in esame.

2.2

La Bolivia è il più povero dei cinque paesi andini e uno dei meno avanzati di tutta l'America Latina. Questa situazione si deve in parte alla mancanza di accesso diretto al mare, sebbene contino anche altri fattori: una scarsa popolazione caratterizzata dalla crescita dell'emigrazione, la mancanza di terre adatte ad un'agricoltura competitiva, la dipendenza storica da risorse naturali non diversificate, l'esclusione delle popolazioni indigene (che rappresentano oltre il 50 % degli abitanti del paese), nonché l'intensificarsi delle tensioni fra il centro tradizionale del potere politico sull'altipiano e le pianure orientali dove sta emergendo un nuovo potere economico. La Bolivia è riuscita a trovare soluzioni in una cornice democratica, ma il prolungato periodo di incertezza ha pregiudicato lo sviluppo economico del paese. Il nuovo governo, il cui mandato è iniziato nel gennaio del 2006, sta realizzando profonde riforme per trovare la strada dello sviluppo, senza tuttavia compromettere la certezza giuridica degli investimenti e il rispetto degli impegni internazionali già in essere, nonché degli accordi bilaterali in vigore.

2.3

Con una presenza indigena rilevante e notevoli differenze di carattere politico e culturale tra la pianura costiera e l'altipiano, la situazione in Ecuador è per molti versi simile a quella della Bolivia. Pur non avendo registrato, negli ultimi anni, lo stesso livello di conflitto sociale aperto, l'instabilità politica di Ecuador è stata ancora maggiore. Il 49 % (3) della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. Diversi fattori hanno contribuito agli elevati indici di povertà del paese: le crisi economiche attraversate negli ultimi dieci anni, la «dollarizzazione» dell'economia e l'emigrazione di circa il 10 % della popolazione attiva. L'invio di rimesse da parte degli emigrati — che nel 2004 hanno raggiunto i 1.740 milioni di dollari — costituisce la seconda fonte di entrate valutarie dopo il petrolio.

2.4

Il Perù ha avuto un'evoluzione diversa: dopo un periodo caratterizzato dal terrorismo (anni Ottanta e primi anni Novanta), ha avuto un governo (durante la presidenza Fujimori) che è caduto nell'autoritarismo e nella corruzione. Nonostante i tassi di crescita economica abbastanza elevati, il governo in carica non è riuscito a varare un solido programma di riforme politiche e sociali e gode di uno scarsissimo appoggio popolare. Per quanto riguarda la CAN, malgrado la sede del segretariato generale si trovi a Lima, il Perù si è mostrato freddo verso diversi aspetti dell'integrazione subregionale.

2.5

Il caso del Venezuela (4) è seguito con interesse non solo in tutta la regione ma anche in altre parti del mondo: negli ultimi anni il paese è stato attraversato da forti tensioni politiche e sociali, con un'esacerbata rivalità tra sostenitori e detrattori del presidente Chávez. L'economia venezuelana dipende sempre più dal petrolio, i cui prezzi elevati a livello internazionale consentono al governo, da un lato, di attuare una politica internazionale attiva e, dall'altro, di disporre di considerevoli risorse per realizzare delle politiche interne.

2.6

Pur caratterizzata da un elevato grado di violenza politica e sociale, aggravato dal narcotraffico, la Colombia è riuscita a mantenere intatto il proprio assetto istituzionale democratico, una situazione insolita in America Latina. Unitamente a tali sforzi politici il paese ha inoltre fatto segnare un notevole progresso economico. Nonostante si sia registrata una relativa attenuazione della violenza, continuano tuttavia gli assassini e i sequestri di sindacalisti, giornalisti, imprenditori e membri di altre associazioni attive nel settore dei diritti umani.

3.   L'integrazione andina

3.1   Evoluzione istituzionale

3.1.1

La Comunità andina è il modello di integrazione più antico dell'America meridionale. Nel 1969 i paesi fondatori (Bolivia, Colombia, Cile, Ecuador e Perù) hanno sottoscritto l'accordo di Cartagena, dando vita a un'organizzazione inizialmente chiamata Patto andino. Tre anni più tardi il Venezuela aderiva all'organizzazione, mentre il Cile si ritirava nel 1976. I cinque membri attuali (Bolivia, Colombia, Ecuador, Perù e Venezuela) contano complessivamente 120 milioni di abitanti, con un PIL totale di circa 265.000 milioni di dollari; il mercato interno vale circa 8,6 miliardi di dollari.

3.1.2

Nel corso dei suoi 35 anni di esistenza, l'organizzazione è passata da un modello basato su un approccio protezionistico (di sostituzione delle importazioni), molto comune negli anni Sessanta e Settanta, ad un approccio improntato al «regionalismo aperto». D'altra parte, essa è passata attraverso diverse riforme istituzionali, finalizzate all'approfondimento dell'integrazione regionale, e culminate nella creazione della Comunità andina nel 1997. La CAN dispone pertanto di una struttura istituzionale notevolmente sviluppata e di una normativa comunitaria abbastanza completa.

3.1.3

Il Sistema andino di integrazione (SAI) (5), istituito nel 1996 con il Protocollo di Trujillo, si prefigge di coordinare gli organi che lo costituiscono allo scopo di approfondire e rafforzare l'integrazione andina. Il SAI si compone di organi di carattere intergovernativo e comunitario, che svolgono funzioni di carattere esecutivo, legislativo, giurisdizionale, deliberante e funzioni di controllo.

3.1.4

I due principali organi deliberanti del Sistema sono il Consiglio andino dei ministri degli Affari esteri e la commissione della Comunità andina, entrambi aventi carattere intergovernativo. Spetta alla commissione legiferare in ambito economico, commerciale e in materia di investimenti, mentre il Consiglio andino dei ministri degli Affari esteri si occupa di tutto ciò che non compete alla commissione, in particolare di questioni di carattere politico, sociale, ambientale, di politica della migrazione e di libera circolazione delle persone, nonché del coordinamento dell'azione esterna dei diversi organi comunitari.

3.1.5

Il Consiglio presidenziale andino, organo supremo del SAI, è costituito dai capi di Stato dei paesi membri e si pronuncia attraverso dichiarazioni oppure orientamenti con funzioni d'indirizzo per gli altri organi e le altre istituzioni del SAI. La presidenza del Consiglio e degli altri organi intergovernativi cambia ogni semestre secondo un sistema di rotazione per ordine alfabetico.

3.1.6

Tra gli organi e le istituzioni del SAI va menzionato il segretariato generale (SG-CAN), che ha sede a Lima, Perù (6). Il segretariato è un organo di supporto tecnico alle istituzioni intergovernative e ha inoltre competenze legislative in alcune aree specifiche (adozione di risoluzioni), un diritto d'iniziativa ed altre attribuzioni specifiche.

3.1.7

Il SAI comprende anche la Corte di giustizia della Comunità andina e il Parlamento andino, nonché una serie di istituzioni complementari riconosciute: il Consiglio consultivo imprenditoriale andino, il Consiglio consultivo dei lavoratori andini, la Corporación andina de Fomento (Corporazione andina di sviluppo) (CAF), il Fondo Latinoamericano de Reservas (Fondo Latinoamericano di riserva) (FLAR), il Convenio Simón Rodríguez (Accordo Simón Rodríguez) e il Convenio Hipólito Unanue (Accordo Hipólito Unanue), e infine l'Università andina Simón Bolívar.

3.2   Stato attuale dell'integrazione andina

3.2.1

Nel valutare l'integrazione andina occorre tener conto di due elementi. In primo luogo, malgrado operi da oltre trent'anni, la CAN continua ad essere composta da cinque paesi in via di sviluppo (con un reddito medio pro capite pari a 2.364 euro, rispetto ai 20.420 euro nell'UE a 25), con tutto ciò che questo comporta in termini di assetto istituzionale e di capacità economica.

3.2.2

In secondo luogo, e in relazione a quanto osservato nel punto precedente, mentre gli aspetti che tradizionalmente caratterizzano un processo d'integrazione (ad esempio tutto ciò che riguarda la creazione di un mercato comune) hanno fatto registrare nella CAN scarsi progressi, altri aspetti sono abbastanza sviluppati. In effetti, di fronte alle difficoltà incontrate nell'approfondire l'integrazione commerciale, l'organizzazione ha potenziato altre dimensioni (culturale, sociale, finanziaria, ecc).

3.2.3

Per capire come funziona concretamente la CAN, è logico partire dall'aspetto dell'integrazione economica. A tale proposito, si può affermare che il percorso della CAN non è stato lineare: solo nel 1993 si è giunti alla creazione di una zona di libero scambio, dalla quale il Perù aveva deciso inizialmente di rimanere fuori. Ad oggi, il progetto di creazione di una tariffa doganale comune (TDC) applicabile in tutti gli Stati membri non è ancora stato portato a termine, malgrado i passi avanti registrati sul fronte dell'armonizzazione commerciale. In tale contesto è fondamentale che, nel quadro del futuro accordo di associazione UE-CAN, i paesi membri della Comunità andina diano vita ad una vera e propria unione doganale anche allo scopo di ottenere il massimo beneficio per entrambe le parti.

3.2.4

I limitati progressi conseguiti in materia di architettura regolamentare si sono tradotti in uno scarso volume di scambi intracomunitari, soggetto a notevoli variazioni da un anno all'altro. Negli anni Novanta si è verificato un aumento sostanziale degli scambi commerciali tra i paesi membri della Comunità andina, passati dal 4,1 % del totale nel 1990 al 14,2 % nel 1998 (7). Quest'ultimo dato, tuttavia, appare modesto se confrontato con i tassi registrati negli anni Settanta, ed è comunque inferiore alla media latinoamericana (20,2 %). D'altro canto, dal 1998 in poi gli scambi commerciali intra-CAN hanno mostrato una tendenza alla flessione (nel 2004 rappresentavano il 10,4 % degli scambi totali), pur dando segni di recupero nel 2005.

3.2.5

Il volume degli scambi intracomunitari si è rivelato inferiore a quello con gli Stati Uniti (pari al 46,6 % del totale nel 2004) e quasi uguale a quello con l'Unione europea (11,0 % nel 2004). Per tre dei cinque paesi membri attuali della CAN, il mercato subregionale rappresenta meno del 12 % delle esportazioni totali.

3.2.6

In materia di integrazione si sono registrati alcuni progressi, nonostante le numerose difficoltà incontrate, riconducibili in parte alla mancanza di volontà politica, ma indubbiamente anche a fattori quali la struttura dei mercati, le differenze tra i modelli economici adottati, i diversi livelli di sviluppo economico, la situazione geografica (che ostacola il commercio intracomunitario), nonché problemi politici interni. Ad ogni modo, va ricordato che la CAN è riuscita a mantenersi sulla strada dell'integrazione per oltre trent'anni. La mancanza di infrastrutture moderne di comunicazione e di trasporto tra i cinque paesi andini costituisce uno degli ostacoli principali alla creazione di un mercato intracomunitario e allo sviluppo della CAN in generale.

3.2.7

È degno di nota lo scarso interesse che dimostrano i paesi andini in materia di coordinamento delle relazioni esterne. Si può così osservare che la Bolivia e il Venezuela si sono avvicinate al Mercosur, mentre il Perù e la Colombia hanno sottoscritto accordi di libero scambio con gli Stati Uniti.

3.2.8

Tali disparità si sono accentuate il 22 aprile 2006, quando il Venezuela ha annunciato la propria decisione di ritirarsi dalla Comunità andina. Questo annuncio e la firma degli accordi di libero scambio hanno aperto una profonda crisi politica in seno alla CAN, crisi che sarà esaminata in un vertice straordinario.

3.3   Le sfide in materia di coesione sociale

3.3.1

Come si è già detto, la CAN non si limita tuttavia all'integrazione commerciale: sin dall'inizio del processo di integrazione andina si è manifestata l'aspirazione ad includere la dimensione politica e quella sociale. Questo desiderio riflette da un lato la storia recente di lotta per la democrazia in vari paesi della subregione, e dall'altro la necessità di far sentire più chiaramente la voce andina nello scenario latinoamericano e non solo. Tale aspirazione è il frutto quindi della realtà socioeconomica delle Ande.

3.3.2

I dati relativi alla mancanza di coesione sociale sono inquietanti: il 50 % della popolazione andina (circa 60 milioni di persone) vive al di sotto della soglia di povertà. I cinque paesi membri della CAN sono tra gli Stati al mondo caratterizzati da maggiore disuguaglianza economica (in base all'indice di Gini), non solo in termini di reddito ma anche in relazione ad altre forme di esclusione quali etnia, razza, luogo di provenienza, etc.

3.3.3

A tale proposito vanno evidenziati gli alti tassi di lavoro sommerso, di migrazione interna ed esterna (riguardante prevalentemente le donne) e altri fenomeni quali la marginalizzazione delle popolazioni indigene — che in questa zona costituiscono la maggioranza (come in Bolivia), ovvero rappresentano minoranze molto significative (come in Ecuador e Perù). In questa regione viene inoltre prodotta gran parte della cocaina consumata nel mondo, fenomeno che contribuisce allo sviluppo dell'economia illegale e ad alti indici di popolazione sfollata, di violenza e di corruzione, che nel caso della Colombia si aggiungono ad una lunga storia di conflitto armato.

3.3.4

In tale scenario, la liberalizzazione commerciale non può essere l'unico strumento utilizzato per promuovere la coesione tra i paesi andini. Di fatto, il Nuevo Diseño Estratégico (nuovo piano strategico) predisposto dal segretariato generale della CAN (8), è meno incentrato sull'abbattimento dei dazi doganali interni e si concentra invece su altre sfide, quali il miglioramento della competitività, la proprietà intellettuale, l'abolizione delle barriere non tariffarie, le infrastrutture, la libera circolazione delle persone, l'energia, l'ambiente e la sicurezza.

3.3.5

Uno dei capisaldi del nuovo piano strategico, che propone un'integrazione per lo sviluppo e la globalizzazione, è lo sviluppo sociale. A tal proposito, una delle iniziative più recenti e di maggior rilievo è stata il Plan Integrado de Desarrollo Social (piano integrato di sviluppo sociale) (PIDS) (9). Adottato nel settembre 2004, il PIDS si prefigge di combattere la povertà, l'esclusione e le disuguaglianze sociali nella regione e, nel medio termine, potrebbe divenire la base di una strategia globale di coesione sociale (ed economica). La CAN è particolarmente interessata al metodo di coordinamento aperto applicato dall'UE in ambito sociale e trova interessante l'idea di un fondo sociale analogo ai fondi strutturali europei. La CAN è pertanto la prima subregione che si propone di adottare alcuni aspetti del modello sociale europeo.

3.3.6

La dimensione sociale è comunque un tema che ricorre sempre più frequentemente nelle dichiarazioni politiche e nelle decisioni comunitarie andine dal 1999 ad oggi (10) e ciò si è tradotto negli ultimi cinque anni nelle prime iniziative concrete.

3.3.7

Il Dialogo presidenziale andino sull'integrazione, lo sviluppo e la coesione sociale ha riconosciuto che le economie andine, nel quadro della loro internazionalizzazione, dovranno avviare un processo di diversificazione produttiva e di potenziamento della competitività caratterizzato dall'inclusione tale da integrare le micro, le piccole e le medie imprese, promuovere il lavoro cooperativo e comunitario e creare le condizioni propizie per lo sviluppo locale e la regionalizzazione attraverso l'adozione di approcci improntati allo sviluppo territoriale.

3.3.8

Attualmente i grandi obiettivi comunitari andini definiti dal segretariato generale della CAN sono i seguenti: la globalizzazione di pari passo con l'integrazione; lo sviluppo accompagnato dalla competitività e dall'inclusione sociale; e la coesione sociale unita al potenziamento della governance democratica. L'attuale agenda sociale include tutti questi temi e sarà realizzabile nella misura in cui continui a figurare tra le priorità del gruppo andino nel corso dei negoziati di liberalizzazione commerciale con i paesi terzi, specie con quegli Stati che, per definizione, rischiano di generare maggiori asimmetrie nella regione e all'interno delle stesse società andine, caratterizzate dall'esclusione di determinati settori in base a fattori quali l'origine etnica e il genere.

4.   La partecipazione della società civile nel quadro istituzionale andino

4.1   Il Consiglio consultivo imprenditoriale andino e il Consiglio consultivo dei lavoratori andini

4.1.1

Nonostante il processo di integrazione andino abbia una storia pluridecennale, solamente nel corso della fase più recente, quella della CAN, si sono rafforzati gli organi di partecipazione formale della società civile con la creazione del Consiglio consultivo imprenditoriale andino e del Consiglio consultivo dei lavoratori andini. Fino ad allora, la partecipazione, a livello regionale, dei datori di lavoro e dei sindacati in quanto attori politici dell'integrazione andina era stata scarsa, anche se essi avevano preso parte a tale processo attraverso i governi nazionali.

4.1.2

Il Consiglio consultivo dei lavoratori andini (CCLA) è stato istituito con la decisione 441 (11) e si compone di quattro delegati per Stato membro. Delegati e supplenti vengono eletti tra i massimi dirigenti delle organizzazioni professionali rappresentative designate da ciascun paese membro. Fanno parte del CCLA le centrali e le confederazioni sindacali maggiormente rappresentative di ciascun paese; attualmente nei cinque paesi membri vi sono 16 centrali sindacali (12).

4.1.3

Il Consiglio consultivo imprenditoriale andino (CCEA) è stato creato con la decisione 442 ed è costituito dalle organizzazioni di datori di lavoro operanti nella regione andina. Il CCEA si compone di quattro delegati per Stato membro, che vengono eletti tra i massimi dirigenti delle organizzazioni imprenditoriali rappresentative sul piano nazionale.

4.1.4

Le funzioni di entrambi i Consigli consultivi sono state ridefinite con la decisione 464 (13), in base alla quale essi possono formulare pareri dinanzi al Consiglio andino dei ministri degli Affari esteri (CAMRE), alla Commissione o al segretariato generale; possono inoltre partecipare con diritto di voto alle riunioni del CAMRE e della Commissione, nonché agli incontri di esperti governativi o di gruppi di lavoro riguardanti il processo di integrazione andina.

4.1.5

Il CCLA ha formulato ad oggi numerosi pareri, diversi dei quali relativi all'Agenda sociale o alle relazioni esterne della CAN. Va segnalato in particolare il parere 27 (14), contenente considerazioni in merito alla conclusione di un eventuale accordo di associazione tra l'Unione europea e la Comunità andina: il CCLA condivide le aspettative relative al rafforzamento di un'alleanza politica, economica e sociale con l'UE.

4.1.6

Dal canto suo, il CCEA ha sottolineato in una dichiarazione (15) la fondamentale importanza che riveste la questione dell'associazione con l'UE e ha raccomandato di studiare con molta cura la pubblicità da dare ai negoziati con l'UE, in modo da non comprometterne l'andamento.

4.1.7

Sia il CCLA che il CCEA hanno sottolineato la necessità di potenziare il coordinamento, da un lato, con altri attori della società civile nella regione andina e, dall'altro, con il Comitato economico e sociale europeo (CESE), allo scopo di giungere a posizioni comuni e promuovere iniziative intese a garantire il rispetto delle norme fondamentali sul lavoro in qualsiasi accordo concluso tra UE e CAN.

4.2   Altri strumenti di partecipazione

4.2.1

Oltre ai forum di rappresentazione istituzionale della società civile già menzionati, la CAN offre altri meccanismi di partecipazione in materia di politiche sociali. È il caso del Convenio Simón Rodríguez (1973), forum tripartito di discussione, partecipazione e coordinamento, a livello regionale, tra ministri del Lavoro, datori di lavoro e lavoratori in materia di politiche sociali e del lavoro. Si tratta di uno dei cosiddetti Convenios Sociales (Accordi sociali) (16).

4.2.2

Il Convenio Simón Rodríguez è stato un primo strumento di integrazione sociale e lavorativa andina, e ha affrontato direttamente vari aspetti del progresso sociale e lavorativo. Malgrado i successi registrati e l'assiduo interesse dimostrato da tutte le parti in causa per avanzare nei temi sociali e del lavoro, l'accordo è in una fase di stallo sin dal 1983, a causa di una serie di circostanze avverse, prevalentemente di carattere istituzionale, che hanno influenzato negativamente il potenziamento del processo di integrazione.

4.2.3

La forma attuale dell'accordo è stata adottata con il Protocolo Sustitutorio del Convenio Simón Rodríguez (Protocollo sostitutivo dell'accordo Simón Rodríguez) adottato dal Consiglio presidenziale andino il 24 giugno 2001. L'accordo ha l'obiettivo di:

a.

proporre e discutere iniziative in tematiche relative al settore sociale e lavorativo, apportando un contributo reale allo sviluppo dell'Agenda sociale della subregione e potenziando in tal modo le attività svolte dagli altri organi del SAI;

b.

definire e coordinare le politiche comunitarie in materia di occupazione, formazione e sviluppo delle competenze professionali, sanità e sicurezza sul lavoro, sicurezza sociale e migrazione per motivi di lavoro, nonché altre questioni di rilievo per i paesi andini;

c.

proporre e pianificare interventi di cooperazione e coordinamento tra i paesi membri in materia sociale e lavorativa.

4.3   Il ruolo delle ONG e delle organizzazioni civili

4.3.1

La dimensione andina non è avulsa dalle dinamiche sociali a livello nazionale e globale, caratterizzate, oltre che dalle realtà del lavoro, dall'emergere di altre forme di rappresentanza degli interessi della società, organizzate intorno a temi concreti quali i diritti delle popolazioni indigene, i diritti della donna, la cultura, l'ambiente, i consumatori, l'agricoltura familiare e i piccoli agricoltori, ecc.

4.3.2

A tali interessi particolari danno voce numerose organizzazioni rappresentative di attività diverse che svolgono già un ruolo molto attivo nel processo d'integrazione regionale, ruolo che assumerà ulteriore importanza in vista del futuro accordo di associazione UE-CAN.

4.3.3

Va inoltre evidenziato il ruolo svolto da altre forme di organizzazione della società civile (OSC), che possono essere associazioni o movimenti (delle popolazioni indigene, ad esempio) e organizzazioni non governative (ONG), forum di discussione e reti di ONG, coalizioni o piattaforme d'azione, centri di ricerca, università, ecc.

4.3.4

La dinamica sociale dei movimenti e della cosiddetta società civile «non organizzata» è molto forte nella regione andina, anche se spesso la loro organizzazione e i loro interventi si limitano alla dimensione nazionale oppure non trovano, nel quadro del sistema formale di integrazione andino, i canali di accesso o le modalità di partecipazione adeguati. A tal proposito il segretariato generale della CAN ha annunciato l'imminente costituzione di una rete subregionale andina di istituti accademici e di ONG.

4.3.5

Per agevolare l'inclusione di questi ultimi attori nella dinamica formale del processo di integrazione andino, la CAN ha creato diverse Mesas de Trabajo (gruppi di lavoro). È stata così creata la Mesa de Trabajo sobre Derechos de los Pueblos Indígenas (Gruppo di lavoro sui diritti dei popoli indigeni) (17) con funzione consultiva nel quadro del SAI, allo scopo di promuovere la partecipazione attiva dei popoli indigeni alle questioni attinenti all'integrazione subregionale in ambito economico, sociale, culturale e politico. In particolare, il gruppo di lavoro si dedica a temi delicati come il possesso delle terre appartenenti alla comunità e ai popoli indigeni; la produzione e le comunità rurali; lo sviluppo economico, l'equità sociale e la partecipazione politica; l'identità culturale e l'istituzionalizzazione, ecc.

4.3.6

È stata inoltre creata la Mesa Andina de Trabajo sobre los Derechos del Consumidor (Gruppo di lavoro andino in materia dei diritti dei consumatori) (18), con funzione consultiva nel quadro del SAI, per fare in modo che le istituzioni pubbliche e private che operano in difesa dei diritti dei consumatori nei paesi andini partecipino attivamente ai processi di concertazione sociale e all'adozione di decisioni relative all'integrazione regionale negli ambiti di loro competenza.

4.3.7

Gli organi consultivi descritti (19) non dispongono, per il funzionamento delle loro attività, di una linea ad hoc nel bilancio comunitario andino, il che significa che la partecipazione è limitata soltanto alle organizzazioni che riescono a mobilitare autonomamente risorse umane ed economiche per assistere alle riunioni dei gruppi di lavoro e degli organi della CAN.

5.   Le relazioni tra l'Unione europea e la Comunità andina

5.1   I primi accordi UE-CAN

5.1.1

Il primo accordo di cooperazione tra la Comunità europea e l'America Latina è stato firmato nel 1983 con il Patto andino, quattordici anni dopo la creazione di questo gruppo di integrazione.

5.1.2

L'accordo rientrava tra i cosiddetti «accordi di cooperazione di seconda generazione». A differenza di quelli di prima generazione — di natura prevalentemente commerciale (non preferenziale) — tali accordi erano più completi, comprendendo aspetti politici e di cooperazione, che assumeranno poi un ruolo centrale negli accordi successivi. Inoltre, tali accordi indicavano chiaramente l'importanza attribuita all'integrazione regionale in America Latina da parte della Comunità europea.

5.1.3

Negli anni Ottanta le relazioni tra l'UE e l'America Latina sono state caratterizzate da un dinamismo tale da rendere necessaria, a partire dal 1991, una nuova generazione di accordi. Nel 1993 l'UE ha così firmato con il Gruppo andino un accordo quadro di terza generazione, che includeva due elementi di novità: da un lato, una «clausola democratica» per esprimere l'impegno comune nei confronti della democrazia e, dall'altro, una «clausola relativa ai futuri sviluppi», diretta a permettere l'ampliamento degli ambiti della cooperazione.

5.1.4

Parallelamente, negli anni Novanta, è emerso un problema che ha fatto acquistare ai rapporti con la Comunità andina un'importanza crescente: la lotta al narcotraffico. L'UE ha voluto proporre un approccio diverso rispetto a quello degli Stati Uniti, che si concentrava sugli strumenti repressivi. L'approccio europeo si articolava in due parti: in primo luogo, e in risposta ad una richiesta della stessa CAN, veniva esteso ai paesi andini il Sistema di preferenze generalizzate (SPG) attraverso la creazione di uno schema speciale, il cosiddetto «SPG-Droghe», che consentiva al 90 % dei prodotti andini di entrare nell'UE a dazio zero; in secondo luogo, veniva decisa l'istituzione del Dialogo specializzato di alto livello in materia di droghe.

5.1.5

L'accordo del 1993 è stato superato rapidamente dal nuovo quadro di relazioni che l'UE ha cominciato a promuovere a metà degli anni Novanta con la negoziazione di accordi di quarta generazione con i paesi del Mercosur, con il Cile e con il Messico. Questi accordi sono stati concepiti come un primo passo verso gli accordi di associazione, che dovrebbero includere un trattato di libero scambio. La CAN aspirava a giungere ad un accordo simile, ma l'UE ha ritenuto che fosse meglio procedere gradualmente verso tale obiettivo, iniziando con un accordo intermedio; tale proposta è stata approvata in occasione del secondo vertice UE-America Latina e Caraibi tenutosi a Madrid nel maggio del 2002.

5.2   L'accordo del 2003: una tappa intermedia

5.2.1

Il 15 dicembre 2003 l'UE e la CAN hanno firmato un accordo di dialogo politico e cooperazione. Pur rappresentando un passo avanti rispetto all'accordo precedente, esso non rispondeva però pienamente alle aspettative dei paesi andini (20), dato che, tra l'altro, secondo i paesi membri della CAN, esso non migliorava le condizioni di accesso al mercato comunitario europeo. L'accordo prevede tuttavia una novità importante: l'istituzionalizzazione del dialogo politico. Esso comprende anche nuovi ambiti di cooperazione bilaterale (migrazione, terrorismo, ecc.), potenziando inoltre la partecipazione della società civile (21).

5.3   Scambi commerciali UE-CAN

5.3.1

La tabella riportata di seguito mette in evidenza che le relazioni commerciali tra l'UE e la CAN hanno registrato una certa stagnazione. Nonostante sia attualmente il secondo partner commerciale della CAN in ordine di importanza, l'UE rappresenta solamente il 12-13 % degli scambi con l'estero della CAN, contro il 40 % degli Stati Uniti. Le esportazioni andine verso l'UE sono passate dal 19 % delle esportazioni andine totali nel 1994 al 12 % nel 2004. In qualità di fornitore, l'Unione europea ha visto diminuire la propria quota sulle importazioni della CAN dal 19 % delle importazioni totali nel 1994 al 13 % nel 2004.

SCAMBI COMMERCIALI DELL'UE CON LA CAN

(milioni di euro)

 

Importazioni (imp.)

Esportazioni (esp.)

Saldo

(per l'UE)

Imp. + Esp.

Volume

Variazioni

% annue

Quote delle imp. totali dell'UE

Volume

Variazioni

% annue

Quote delle imp. totali dell'UE

2000

8 153

 

0,82

7 020

 

0,82

-1 134

15.173

2001

8 863

8,7

0,90

7 908

12,6

0,89

-955

16.771

2002

8 853

-0,1

0,94

7 085

-10,4

0,79

-1 768

15.938

2003

7 911

-10,6

0,84

5 586

-21,2

0,64

-2 325

13.497

2004

8 904

12,6

0,87

5 988

7,2

0,62

-2 916

14.892

Incremento medio annuo

 

2,2

 

 

-3,9

 

 

-0,5

Fonte: Eurostat

5.3.2

Sebbene l'UE sia la prima fonte di investimenti diretti nella CAN, i flussi si sono ridotti in maniera costante a partire dal 2000, anno in cui hanno superato i 3 300 milioni di dollari, per ridursi a soli 1 000milioni nel 2003.

5.3.3

Quanto alle prospettive future in materia di relazioni commerciali, il quadro che oggi si può tracciare è incerto. Il nuovo SPG, entrato in vigore nel 2006, non sembra offrire alla CAN progressi significativi nell'accesso al mercato dell'UE, sebbene venga ampliato il numero di prodotti inclusi e malgrado l'estensione della durata del regime a 10 anni favorisca la prevedibilità, la quale a sua volta può influire positivamente sugli investimenti. In tale contesto, un accordo di associazione rappresenterebbe un passo avanti molto più deciso per le relazioni economiche tra UE e CAN.

5.4   Verso un accordo di associazione

5.4.1

Malgrado i notevoli progressi compiuti, le relazioni tra l'UE e la CAN potrebbero rimanere bloccate allo stato attuale, caratterizzato da rapporti economici poco dinamici, da un livello di cooperazione relativamente elevato e dall'esistenza di un dialogo politico istituzionalizzato, senza tuttavia un programma comune. Nonostante le difficoltà attuali, il CESE ritiene quindi necessario avanzare al più presto verso un accordo di associazione analogo a quelli firmati con Cile e Messico e con quello che si sta negoziando con i paesi del Mercosur.

5.4.2

Tale accordo dovrebbe includere un trattato di libero scambio, un ampliamento del dialogo politico e nuove possibilità di cooperazione, oltre a prevedere una più ambiziosa dimensione sociale, che offra alle parti sociali e alla società civile maggiori possibilità di partecipazione.

5.4.3

Analogamente, l'accordo dovrebbe includere aspetti non meno rilevanti come la promozione della competitività, la certezza giuridica degli investimenti e lo sviluppo di un vero e proprio mercato interno andino in cui le imprese possano operare con sicurezza.

5.4.4

L'Unione europea ha acconsentito a prendere in considerazione tale possibilità in occasione del terzo vertice bilaterale svoltosi a Guadalajara (Messico) nel maggio del 2004. L'UE ha tuttavia posto una serie di condizioni da sottoporre ad una valutazione congiunta UE-CAN: ad esempio, che qualsiasi accordo di libero scambio tenga conto dei risultati dell'Agenda di Doha per lo sviluppo e del conseguimento di un livello sufficiente di integrazione economica nella regione andina.

5.5   Contenuti sociali dell'associazione UE-CAN

5.5.1

In linea con l'obiettivo di pervenire ad un tipo di associazione totale, le parti negoziali devono vegliare al rispetto dei diritti fondamentali in ambito sociale e lavorativo e alla difesa della democrazia e dei diritti umani, istituendo meccanismi finalizzati alla promozione di tali diritti e dimostrando chiaramente la loro determinazione, a combattere il narcotraffico e la corruzione da un lato, e a perseguire lo sviluppo economico in un'ottica di giustizia e di coesione sociale dall'altro.

5.5.2

Il prossimo accordo dovrebbe essere articolato in maniera tale da rispondere all'obiettivo dichiarato di giungere ad un'associazione politica, economica e sociale. A tale proposito, sarebbe auspicabile l'inclusione di un capitolo sociale per completare e bilanciare le parti dedicate alle relazioni commerciali e al dialogo politico.

5.5.3

Tale capitolo sociale dovrebbe includere i diritti dei lavoratori e dei datori di lavoro in base ai criteri sopra indicati, menzionando espressamente la libertà di associazione, il dialogo sociale e la concertazione sociale (22).

5.5.4

L'insicurezza evidente che circonda l'esercizio dei diritti umani, e in particolare della libertà di stampa e della libertà sindacale in alcuni paesi andini, richiede un contributo più incisivo da parte dell'UE.

5.5.5

Il futuro accordo dovrebbe impegnare le parti firmatarie a promuovere i diritti sociali in entrambe le regioni attraverso la cooperazione tecnica e altri programmi di sostegno.

5.6   Cooperazione

5.6.1

In materia di cooperazione allo sviluppo l'UE ha svolto un chiaro ruolo di motore nei confronti dei paesi andini. Poco più di un terzo degli aiuti comunitari destinati all'America Latina sono stati assorbiti dalla CAN e dai suoi Stati membri. Tra il 1994 e il 2002 la Bolivia e il Perù hanno figurato fra i tre principali beneficiari degli aiuti ufficiali dell'Unione europea.

5.6.2

Attualmente la Commissione europea sta mettendo a punto una nuova strategia di cooperazione subregionale per la CAN, oltre a strategie specifiche per ciascuno dei cinque paesi andini, per dare un orientamento ai propri interventi per il periodo 2007-2013.

5.6.3

Il progetto di documento della Commissione europea in materia di strategia regionale per la Comunità andina (2007-2013) si basa su tre capisaldi: l'integrazione regionale, la coesione sociale e la lotta contro la droga.

6.   La partecipazione della società civile nelle relazioni UE-CAN

6.1

Il presente parere si prefigge di comunicare alle istituzioni dell'UE i criteri fondamentali relativi alla dimensione sociale e alla partecipazione della società civile, criteri sui quali, secondo il CESE, dovrebbero basarsi le attuali relazioni con la CAN e che dovrebbero essere oggetto di studio da parte del comitato che sarà incaricato di negoziare l'accordo di associazione.

6.2

In assenza di pareri o di risoluzioni precedenti del CESE in materia di relazioni con la CAN, al fine di stabilire i criteri di dimensione e di partecipazione si farà riferimento a:

a)

quanto stabilito al riguardo nell'Accordo di dialogo politico e cooperazione, in particolare agli articoli 42 (cooperazione sociale), 43 (partecipazione alla cooperazione da parte della società civile organizzata) e 44 (cooperazione in materia di lotta contro la discriminazione sessuale), sviluppandone i contenuti per adattarli agli obiettivi del futuro accordo di associazione;

b)

documenti e dichiarazioni che si riferiscono all'ambito più generale delle relazioni con l'America Latina, predisposti dallo stesso CESE oppure dalla società civile di entrambe le regioni nel suo insieme.

6.3

A tal proposito va ricordato l'impegno implicito assunto dai partecipanti al terzo incontro della società civile organizzata UE-ALC, i quali chiedono che gli accordi siglati con l'UE includano anche una forte componente sociale, la promozione e il rafforzamento delle organizzazioni sociali e degli organi di partecipazione e consultazione della società civile organizzata; ribadiscono inoltre la loro determinazione di dare impulso alle relazioni tra gli attuali organi consuntivi regionali dell'ALC, nonché tra il CESE e tali organismi (23).

6.4

I paesi membri dell'UE e della CAN hanno peraltro fatto propri i principi e i valori espressi nella Costituzione dell'OIL e ne hanno adottato gli strumenti principali in ambito sociale: la Dichiarazione sui principi e diritti fondamentali nel lavoro (1998), la Dichiarazione tripartita di principi sulle imprese multinazionali e la politica sociale (1977, modificata nel 2000), e la risoluzione della Conferenza internazionale del lavoro sui diritti sindacali e sulle loro relazioni con le libertà civili (1970). Hanno inoltre aderito entrambe alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (1948) e al Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (1976).

6.5

Il CESE e i Consigli consultivi andini devono essere i motori dell'azione congiunta delle società civili andina ed europea. Devono inoltre promuoverne la partecipazione, da un lato, ai negoziati di entrambi i blocchi e, dall'altro, nelle future strutture di consultazione e di partecipazione che, secondo il CESE, dovrebbero essere istituite nel quadro del futuro accordo di associazione.

6.6

A tal proposito, le tre istanze hanno compiuto il primo importante passo verso l'istituzionalizzazione delle relazioni reciproche con la firma di un piano di cooperazione interistituzionale, che rappresenterà un notevole salto di qualità nel quadro dell'intesa tra il CESE e i Consigli consultivi allo scopo di rafforzare e consolidare la cooperazione reciproca.

6.7   Il piano di cooperazione si prefigge di:

1.

sostenere le richieste di partecipazione della società civile organizzata della Comunità andina;

2.

contribuire al dialogo tra la società civile della Comunità andina e quella dell'Unione europea;

3.

raccomandare l'inclusione di una dimensione sociale nel futuro accordo di associazione tra l'UE e la CAN;

4.

appoggiare le iniziative del CCEA e del CCLA affinché si elabori una proposta di istituzione di un Consiglio economico e sociale andino (CESA);

5.

conseguire una maggiore partecipazione da parte delle organizzazioni andine della società civile omologhe a quelle che compongono il III Gruppo del CESE;

6.

approfondire i legami economici tra le due regioni.

6.8

Dal canto loro, i due Consigli consultivi andini hanno avanzato una proposta congiunta (24) alle autorità della CAN perché si avvii un processo che porti alla costituzione, nel più breve tempo possibile, del Comitato economico e sociale andino (CESA).

6.9

Il CESE si rallegra di tale iniziativa, e del consenso che questa ha raccolto, e ritiene che se il Comitato economico e sociale andino (CESA) assumesse una configurazione pluralistica, integrando i rappresentanti dei datori di lavoro, dei lavoratori e delle attività diverse della società civile organizzata, si faciliterebbe il riconoscimento della necessità e quindi la creazione di un comitato consultivo misto tale da consentire la partecipazione delle organizzazioni della società civile dell'UE e della CAN al quadro istituzionale del futuro accordo di associazione.

6.10

Il 3 marzo 2005 la Commissione europea ha organizzato una prima conferenza sul futuro delle relazioni UE-CAN, alla quale hanno preso parte diverse organizzazioni sociali e rappresentanti del CESE. In vista di un'eventuale apertura dei negoziati si raccomanda di ripetere e di approfondire tale esperienza, estendendo in futuro la partecipazione agli organi di rappresentanza delle OSC andine esistenti (CCLA, CCEA, gruppi di lavoro andini in materia di consumatori e di popolazioni indigene).

6.11

A parere del CESE per sviluppare l'associazione bilaterale occorre che le organizzazioni rappresentative dei vari settori della società civile dell'UE e della CAN intensifichino le loro relazioni bilaterali e le iniziative congiunte, rafforzando in tal modo i progressi già compiuti in questa direzione (25).

7.   Conclusioni e proposte di carattere economico e sociale

7.1

In linea con i precedenti pareri del CESE, occorre sottolineare che la stabilità democratica può essere rafforzata solamente attraverso il potenziamento delle istituzioni statali e delle relazioni tra lo Stato e la società, un maggiore benessere sociale, la riduzione delle disuguaglianze, la promozione dello sviluppo e la crescita economica, l'integrazione nella società di larghe fasce della popolazione storicamente escluse e l'incentivazione a creare ampi spazi di dialogo politico a livello locale, nazionale e regionale.

7.2

Il CESE considera che l'apertura dei negoziati (il cui andamento deve prescindere dai risultati del Doha-round) per la conclusione di un accordo di associazione UE-CAN sarebbe nell'interesse comune dell'Unione europea e della Comunità andina e invita le parti a procedere in tale direzione.

7.3

Il CESE ritiene che l'accordo debba gettare le basi per la creazione di un'associazione totale ed equilibrata, che includa, da un lato, una zona di libero scambio e, dall'altro, un dialogo politico e in tema di cooperazione. La dimensione sociale di tale associazione deve essere espressamente contemplata nel testo del futuro accordo e fondarsi sull'impegno di rispettare sia le convenzioni dell'OIL sui diritti fondamentali che gli altri strumenti citati nel presente parere.

7.4

Sotto il profilo economico l'accordo di associazione dovrà:

a)

rivalutare il ruolo dell'impresa nella società andina come fattore decisivo per lo sviluppo economico e sociale;

b)

promuovere la competitività attraverso la R&S e lo sviluppo delle infrastrutture;

c)

tutelare la certezza giuridica degli investimenti;

d)

agevolare l'accesso ai finanziamenti, specie per le PMI, e adottare altre misure volte ad aumentare il tasso di crescita economica;

e)

incentivare lo sviluppo del settore dell'economia sociale;

f)

dare impulso alla creazione di una vera e propria unione doganale andina.

7.5

Sotto il profilo sociale l'accordo di associazione dovrà promuovere e tutelare in maniera speciale:

a)

l'istruzione e la formazione professionale, nonché la cooperazione interuniversitaria come strumento di sviluppo della ricerca scientifica e dell'istruzione superiore;

b)

l'uguaglianza e la non discriminazione in base a sesso, razza, origine etnica, religione, disabilità, ecc.;

c)

le pari opportunità tra uomini e donne sul posto di lavoro attraverso piani per l'equiparazione salariale e altre misure sociali e lavorative;

d)

l'integrazione degli immigranti e il rispetto dei loro diritti, ivi incluse le necessarie garanzie relative agli invii di rimesse economiche ai loro paesi di origine. È su queste basi che l'UE e la CAN dovranno concordare una politica d'immigrazione;

e)

i piani per l'eliminazione del lavoro minorile;

f)

il dialogo sociale tra datori di lavoro e lavoratori e il rafforzamento delle relative organizzazioni;

g)

altre forme di associazionismo delle organizzazioni professionali o sociali (agricoltori, consumatori, ecc.) e dell'insieme delle organizzazioni della società civile;

h)

condizioni dignitose di lavoro in materia di salute sul posto di lavoro e ambiente, con l'eliminazione progressiva del lavoro sommerso.

7.6

In linea con la priorità che la recente comunicazione della Commissione attribuisce alla coesione sociale (26), l'Unione europea dovrebbe rafforzare le sue già rilevanti attività di cooperazione con i paesi andini allo scopo di indurre condizioni interne favorevoli alla conclusione di un accordo di associazione. Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione affinché la Banca europea per gli investimenti ampli la sua linea di finanziamento all'America Latina, destinando una parte importante di tali risorse alle piccole e medie imprese. A tale riguardo, la Corporación Andina de Fomento potrebbe essere un partner prezioso.

7.7

Il CESE invita inoltre la Commissione ad analizzare con cura la proposta del Parlamento europeo relativa alla creazione di un Fondo biregionale di solidarietà, che favorirebbe in particolare i paesi andini (e centroamericani). Ritiene inoltre che il programma Iberpyme costituisca un esempio adeguato di promozione dell'attività imprenditoriale e che l'esperienza acquisita attraverso tale programma possa essere applicabile ad un progetto analogo UE-CAN.

7.8

Le difficoltà incontrate dalla CAN nell'attuare i venti progetti definiti nel Plan Integrado de Desarrollo Social (PIDS) dovrebbero essere affrontate con il sostegno tecnico o finanziario della Commissione europea, anche in considerazione del fatto che i ministri dell'UE si sono congratulati con la CAN riguardo al PIDS, definendolo uno strumento di grande utilità per la promozione della coesione sociale nella Comunità andina (27).

7.9

Il CESE attribuisce notevole importanza alla decisione adottata dal CCLA e dal CCEA di istituire un Consiglio economico e sociale andino (CESA), con una composizione analoga all'organo dell'UE, e sosterrà questa iniziativa attraverso gli strumenti che verranno definiti nel quadro del piano di cooperazione interistituzionale.

7.10

Il CESE raccomanda l'istituzione di un comitato misto CESE — Consigli consultivi andini (e a suo tempo di un comitato misto CESE-CESA), la cui creazione potrebbe precedere la conclusione dell'accordo di associazione, sfruttando le possibilità offerte dall'Accordo politico e di dialogo sociale del 2003 (una volta che quest'ultimo venga ratificato).

7.11

La Commissione europea e il segretariato generale della CAN dovrebbero promuovere congiuntamente lo svolgimento periodico di un forum di dialogo tra la società civile andina e quella europea. Tale forum dovrebbe essere coordinato dal CESE e dai Consigli consultivi andini e consentire alle varie associazioni e organizzazioni sociali di entrambe le regioni di esprimere le loro opinioni in merito alle relazioni tra l'Unione europea e la Comunità andina.

Bruxelles, 5 luglio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Città del Messico, 13-15 aprile 2004. La Comunità andina è detta anche, meno frequentemente, Comunità andina delle nazioni. (La dichiarazione citata non è disponibile in italiano).

(2)  Guadalajara (Messico), 28 e 29 maggio 2004.

(3)  Indicatori del Millennio della divisione di statistica delle Nazioni Unite (15.10.2003).

(4)  Il presente documento (e gli indici in esso contenuti) è stato elaborato considerando il Venezuela membro della Comunità andina.

(5)  In linea di principio, la Comunità andina si riferisce all'insieme degli organi e delle istituzioni, ivi inclusi gli Stati membri, mentre il Sistema andino di integrazione riguarda le relazioni esistenti tra gli organi andini. Nella pratica, non sembra esservi tuttavia una netta distinzione tra SAI e CAN.

(6)  Articolo 30, lettera a, dell'Accordo.

(7)  Dati ricavati dalla relazione della Commissione economica per l'America Latina (CEPAL), Panorama de la Inserción Internacional de América Latina y el Caribe 2004. Tendencias 2005. Santiago del Cile, 2005.

(8)  Tra i vari testi disponibili, si può consultare: Integración para la Globalización, Discorso del segretario generale della Comunità andina Allan Wagner Tizón in occasione del suo insediamento, Lima, 15 gennaio 2004 (disponibile al seguente indirizzo Internet:

http://www.comunidadandina.org/index.asp).

(9)  Il testo è disponibile al seguente indirizzo Internet:

http://www.comunidadandina.org/normativa/dec/DEC601.pdf

(10)  Articolo 1 e capitolo XVI dell'Accordo di Cartagena sull'integrazione e la cooperazione economica e sociale; Carta sociale andina, adottata dal Parlamento andino nel 1994 ma non ancora ratificata dai governi; Dichiarazione di Cartagena dell'XI Consiglio presidenziale in cui si richiede al Consiglio dei ministri degli Affari esteri di presentare una proposta di partecipazione della società civile (complementare alla partecipazione dei datori di lavori e dei lavoratori, di cui alle decisioni 441 e 442); Dialogo presidenziale andino sull'integrazione, lo sviluppo e la coesione sociale, Cuzco, 2004.

(11)  Cartagena de Indias, Colombia, 26 luglio 1998.

(12)  Marcos-Sánchez, José, La experiencia de participación de la sociedad civil en el proceso de integración, Primo forum della società civile UE-CAN, Bruxelles, Belgio, marzo 2005.

http://europa.eu.int/comm/external_relations/andean/conf_en/docs/jose_marcos-sanchez.pdf

(13)  Cartagena de Indias, Colombia, 25 maggio 1999.

(14)  CCLA, Lima, Perù, 7 aprile 2005.

(15)  VII riunione ordinaria del CCEA (Lima, aprile 2005).

(16)  Altri accordi esistenti sono il Convenio Andrés Bello, dedicato alle politiche dell'istruzione nella regione andina, e il Convenio Hipólito Unanue consacrato alle politiche sanitarie.

(17)  Decisione 524, 7 luglio 2002.

(18)  Decisione 539: Mesa Andina de Participación de la Sociedad Civil para la Defensa de los Derechos del Consumidor (Gruppo andino di partecipazione della società civile per la difesa dei diritti del consumatore), Bogotà, Colombia, 11 marzo 2003.

(19)  È stata inoltre creata la Mesa de Trabajo de las Autoridades Locales (Gruppo di lavoro degli enti locali), a carattere consultivo.

(20)  Alcuni autori definivano l'accordo di «terza generazione plus o quarta generazione minus» in riferimento alla situazione intermedia tra l'accordo del 1993 e gli accordi con il Mercosur, il Cile e il Messico: Javier Fernández e Ana Gordon, Un nuevo marco para el refuerzo de las relaciones entre la Unión Europea y la Comunidad Andina, Revista de Derecho Comunitario Europeo, Anno 89, n. 17, gennaio-aprile 2004.

(21)  L'articolo 52, paragrafo 3, dell'accordo in esame prevede l'istituzione di un comitato consultivo congiunto allo scopo di promuovere il dialogo con le organizzazioni economiche e sociali della società civile organizzata.

(22)  Tale obiettivo si può ritrovare nel parere del CESE sul tema La coesione sociale in America Latina e nei Carabi, che al punto 6.8.3 recita: «Il rafforzamento di organizzazioni economiche e sociali rappresentative, indipendenti e capaci di assumere un impegno, è una condizione essenziale per giungere a un dialogo sociale e a un dialogo civile proficuo e quindi per favorire lo sviluppo dei paesi latinoamericani.» (GU C 110 del 30.4.2004, pag. 55).

(23)  Punti 4 e 5 della dichiarazione finale dell'incontro.

(24)  V riunione congiunta del Consiglio consultivo imprenditoriale andino e del Consiglio consultivo dei lavoratori andini, Lima, Perù, 2 e 3 novembre 2004.

(25)  Il 7 aprile 2003 la Confederazione europea dei sindacati (CES) e il CCLA hanno sottoscritto una dichiarazione che stabilisce relazioni regolari e annuncia un accordo di collaborazione tra i due organi. Il 17 febbraio 2005 la rete ALOP di ONG latinoamericane e l'Università Cattolica di Lima hanno organizzato un incontro di ONG provenienti dall'UE e dalla CAN.

(26)  Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo — Un partenariato rafforzato tra l'Unione europea e l'America Latina (COM(2005) 636 def. — Bruxelles, 8.12.2005).

(27)  Riunione ministeriale UE-CAN (Lussemburgo, 26 maggio 2005).


16.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 309/91


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il futuro della dimensione nordica

(2006/C 309/19)

Nel quadro dei lavori previsti per il semestre di presidenza finlandese, il ministro finlandese del commercio estero e dello sviluppo, Mari KIVINIEMI, con una lettera datata 17 novembre 2005, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere sul tema: Il futuro della dimensione nordica.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o giugno 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore HAMRO-DROTZ.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 5 luglio 2006, nel corso della 428a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 162 voti favorevoli e 5 astensioni.

Sintesi

Nella riunione svoltasi nel novembre 2005 tra i ministri della dimensione nordica (UE, Islanda, Norvegia e Russia) sono stati definiti gli orientamenti per il proseguimento della politica sulla dimensione nordica (DN), i quali serviranno come base per elaborare una politica comune in materia a partire dal 2007,

la Finlandia, come prossima detentrice della presidenza di turno, ha chiesto al CESE un parere sul rafforzamento della politica relativa alla dimensione nordica e sul coinvolgimento della società civile,

il CESE è favorevole agli orientamenti che sono stati definiti e chiede alla Finlandia, come prossima detentrice della presidenza di turno, di procedere con energia nell'elaborazione della nuova politica,

raccomanda di concentrarsi in particolare sui seguenti punti:

progetti di collaborazione già definiti nel settore dell'ambiente e della sanità,

infrastrutture, trasporti e logistica,

energia e sicurezza energetica,

rafforzamento della società civile e delle sue reti di cooperazione e miglioramento dell'informazione pubblica,

con riferimento a quest'ultimo punto si segnala l'esigenza di creare, in Russia, delle relazioni aperte e costruttive con la società civile e un valido dialogo sociale e culturale. Bisogna anche promuovere lo sviluppo delle reti transfrontaliere della società civile e accrescere gli sforzi volti a promuovere l'informazione pubblica,

il Comitato sottolinea inoltre che i progetti nel quadro della dimensione nordica devono beneficiare di finanziamenti adeguati e che la procedura per richiederli dev'essere chiara, rapida e semplice,

raccomanda di predisporre dei solidi meccanismi comuni per gestire la dimensione nordica, nonché di decidere dove debbano aver sede le sue attività operative. Suggerisce che gli attuali organismi regionali costituiscono il naturale punto di partenza per la gestione della dimensione nordica,

il Comitato ritiene che la società civile dovrebbe essere accolta, con funzione consultiva, nei meccanismi ufficiali di gestione della dimensione nordica, come avviene nel caso del processo di Barcellona per l'area mediterranea. Il CESE è pronto a impegnarsi in tal senso.

1.   Premessa

Nella riunione dei ministri degli esteri dell'UE e dei paesi partner settentrionali (Islanda, Norvegia, Russia) che si è svolta nel novembre 2005 sono stati adottati nuovi orientamenti per la dimensione nordica (DN) a partire dal 2007 (Guidelines for the development of a political declaration and policy framework document: Orientamenti per l'elaborazione di una dichiarazione politica e documento sul quadro politico) (1).

Le parti della DN hanno istituito un gruppo misto incaricato di eseguire i lavori preparatori conformemente agli orientamenti summenzionati. Su tale base, nell'autunno 2006, le parti decideranno in merito al futuro della DN.

Nel novembre 2005, in vista del proprio turno di presidenza dell'UE, la Finlandia ha chiesto al CESE, facendo riferimento ai suoi precedenti contributi in materia, di presentare un parere esplorativo sul futuro della politica della DN. In particolare è stato chiesto al Comitato di formulare nel parere considerazioni e raccomandazioni su come rafforzare tale politica a partire dal 2007 e migliorare la partecipazione della società civile alla sua definizione e attuazione.

Nell'allegato al presente parere vengono fornite brevi informazioni di base sulla DN e sui precedenti contributi del CESE in materia.

2.   Raccomandazioni del CESE sullo sviluppo della DN

Nel luglio 2005 il CESE ha presentato un parere sullo sviluppo delle relazioni tra UE e Russia (2), nel settembre dello stesso anno ne ha presentato un altro concernente il futuro della dimensione nordica (3). Le relative conclusioni e raccomandazioni rimangono attuali e pertinenti, anche se non vengono riprese in questa sede. Il presente parere integra i pareri summenzionati; a tali pareri si farà inoltre riferimento allorché si presenteranno le conclusioni di questo documento alle parti della dimensione nordica.

Nel corso dell'elaborazione del presente parere il Comitato ha organizzato una visita di studio a San Pietroburgo per conoscere i punti di vista degli attori locali in merito al futuro della dimensione nordica. I soggetti norvegesi e islandesi sono stati consultati attraverso contatti del CESE nell'ambito del SEE.

2.1   Il CESE sostiene una collaborazione regionale di alto profilo basata su una politica comune per la dimensione nordica da parte di UE, Islanda, Norvegia e Russia

L'Europa settentrionale è andata acquistando un'importanza sempre maggiore a livello sia continentale che mondiale, tra l'altro per le sue risorse energetiche e per questioni relative alla politica ambientale e al clima. Nell'Europa settentrionale occorre una solida cooperazione regionale multilaterale, anche con la partecipazione dei paesi non comunitari della regione: essa integra le relazioni bilaterali esistenti nella regione e le relazioni tra l'UE e paesi terzi. Promuovendo la cooperazione regionale si può accrescere la stabilità, la crescita economica, il benessere, l'occupazione e lo sviluppo sostenibile nella regione e nell'intera Europa.

Ovviamente sia nell'Unione europea che nei paesi partner bisogna dare maggior visibilità alla politica relativa alla DN. Essa deve configurarsi come una politica di alto profilo, chiaramente strutturata, sia nelle istituzioni comunitarie (e dello Spazio economico europeo) che nei governi nazionali e nella società civile.

Il CESE chiede che la Finlandia, in quanto presidente di turno dell'UE, dia grande rilievo a questo tema, ricercando decisioni ben mirate e perseguendo l'impegno politico ad attuare interventi dinamici. Con l'ampliamento sono entrati nell'UE degli Stati membri che offrono un potenziale positivo per lo sviluppo della DN. Il Comitato accoglie con favore anche le linee guida proposte in base alle quali la DN diverrebbe un settore permanente di intervento.

Il CESE invita a rafforzare la DN in quanto politica comune all'UE, all'Islanda, alla Norvegia e alla Russia. È opportuno che questa politica venga ancorata ai principali strumenti di cooperazione esistenti: essa dovrebbe costituire la prospettiva regionale dei quattro spazi comuni tra l'UE e la Russia, mentre l'Islanda e la Norvegia parteciperebbero a tale nuova entità nel rispetto del Trattato relativo allo spazio economico europeo.

Il vertice UE-Russia svoltosi nel maggio 2006 ha preso in considerazione l'apertura di negoziati per la revisione del Trattato tra le due parti. Ciò accrescerebbe le possibilità di sviluppare una cooperazione regionale e transfrontaliera sulla base di una DN dinamica. Una politica comune per la DN offrirebbe anche l'opportunità di conferire maggiore solidità alla strategia per il Baltico attualmente in preparazione presso il Parlamento europeo.

Il CESE accoglie con favore la risoluzione e la relazione sul futuro della politica relativa alla dimensione nordica, adottate nel giugno 2006 dal Comitato consultivo dello Spazio economico europeo: questi documenti sono stati predisposti in stretta collaborazione con il CESE parallelamente all'elaborazione del presente parere.

Il principio di una «comproprietà» della DN è particolarmente importante e dovrebbe essere affermato sin dall'inizio. Occorre assegnare un ruolo paritario ai paesi non comunitari partner nella DN e consentire loro di partecipare alla pari alla concezione, all'attuazione e al monitoraggio di tale politica.

A tal fine si richiedono meccanismi efficaci, ad esempio un unico comitato amministrativo permanente, un numero adeguato di sottogruppi ad esso subordinati e un'organizzazione funzionale per la gestione operativa. Le parti dovrebbero incontrarsi annualmente per verificare e indicare gli indirizzi da seguire nella cooperazione.

Dal momento che le misure attuate nel quadro della DN si basano spesso su iniziative locali, è importante che nella concezione e nell'attuazione della politica in tale ambito vi sia un buon collegamento tra le amministrazioni locali, subregionali e nazionali da un lato e la cooperazione regionale dall'altro.

2.2   Priorità segnalate dal CESE

A giudizio del Comitato le esperienze maturate sinora nella cooperazione intervenuta nei vari ambiti prioritari della DN dovrebbero costituire il punto di partenza per la politica futura. Occorre inoltre far tesoro delle esperienze positive acquisite grazie a progetti concreti di partenariato pubblico-privato.

2.2.1   Rilancio dei progetti di cooperazione esistenti nei settori dell'ambiente e della pubblica sanità

La cooperazione in campo ambientale, già in corso, dovrebbe anzitutto concentrarsi sull'eliminazione dell'inquinamento marino nel Baltico e nel Golfo di Finlandia, sull'immediata riduzione dei rischi di contaminazione radioattiva nella Penisola di Kola, nonché sostenere progetti di collaborazione transfrontaliera in campo ambientale nella regione di Pskov.

Per quanto riguarda la collaborazione in materia di pubblica sanità, la prima preoccupazione è il contenimento delle malattie trasmissibili, in particolare l'HIV/AIDS.

Il Comitato invita le parti della DN a dedicarsi maggiormente a tali questioni prioritarie nell'ambito dei progetti di partenariato esistenti, come il partenariato ambientale della DN (NDEP), il progetto Vodokanal a San Pietroburgo e il partenariato per la pubblica sanità e la protezione sociale della DN (NDPHS). Tali progetti andrebbero rafforzati ed estesi, assicurando loro anche un'attenzione sempre maggiore nell'UE.

2.2.2   Sviluppo dell'infrastruttura e della logistica nella regione: una condizione necessaria per promuovere l'imprenditorialità, gli investimenti e la crescita economica

Ai fini dell'imprenditorialità, degli investimenti e della crescita economica nell'area della DN occorre un sistema logistico e di trasporti efficiente. A tale scopo nell'ambito della DS è necessario avviare un dialogo per stabilire come potenziare insieme i trasporti e la logistica nella regione, realizzando collegamenti efficaci per far fronte alle crescenti esigenze di trasporti di passeggeri e di merci nell'Europa settentrionale. Occorre sviluppare congiuntamente grandi assi per i trasporti terrestri, marittimi ed aerei e collegarli tra loro attraverso i confini nazionali. Particolare attenzione richiedono la sicurezza dei trasporti, per esempio marittimi, e la cooperazione tra le autorità di frontiera (riguardo alle procedure doganali, alle norme, ai requisiti sanitari, ai visti, ecc.) per facilitare gli attraversamenti legali. Nel quadro della DN bisogna anche trovare strumenti efficaci per prevenire l'attraversamento illegale delle frontiere (tratta di esseri umani, contrabbando, immigrazione illegale ecc.).

L'attuazione della politica relativa alla DN richiede un nuovo progetto di collaborazione pubblico — privato nel campo dell'infrastruttura, dei trasporti e della logistica; il CESE invita le parti a fare del loro meglio per sviluppare tale progetto comune.

2.2.3   Promozione della cooperazione e della sicurezza nel campo energetico

L'ampliamento dell'UE e le tendenze internazionali nel settore energetico acuiscono l'importanza di una cooperazione rafforzata in tale settore nell'Europa settentrionale. Il CESE chiede un coordinamento della cooperazione regionale con il dialogo energetico UE-Russia, allo scopo di migliorare la sicurezza e la disponibilità dell'energia. Raccomanda di istituire nel quadro della nuova politica della DN un partenariato energetico, incentrato sullo sviluppo sostenibile applicato all'utilizzazione delle risorse naturali, all'efficienza energetica e alle fonti energetiche rinnovabili, nonché alla sicurezza dei trasferimenti di energia e alla considerazione delle esigenze ambientali.

Date le sue ingenti risorse energetiche l'area della DN è importante non solo per i paesi che ne fanno parte ma anche per l'intera UE. Tale area merita l'attenzione di tutti gli Stati membri per il ruolo essenziale che potrebbe avere in futuro nell'approvvigionamento di petrolio e gas dell'UE. La nuova politica energetica europea dedica all'Europa settentrionale un'attenzione maggiore che in passato, il che riflette l'importanza della nuova politica relativa alla DN. Nel nuovo Libro verde sull'energia (4) la Commissione menziona specificamente la Russia e la Norvegia come partner importanti di una nuova e coerente politica energetica esterna dell'UE.

La DN è un elemento importante dello sviluppo equilibrato dell'infrastruttura energetica europea. Per garantire un approvvigionamento energetico adeguato per l'avvenire occorreranno investimenti ingenti nell'area della DN, sia per quanto riguarda l'infrastruttura per il trasferimento dell'energia che per lo sfruttamento delle risorse di gas della regione. L'aumento degli investimenti favorirà la crescita economica, e quindi anche la crescita dell'occupazione e dell'attività delle industrie non direttamente legate allo sfruttamento delle risorse site in mare. È tuttavia importante che soprattutto lo sfruttamento delle vaste risorse di gas e di petrolio si basi su uno sviluppo sostenibile, su standard ambientali elevati e sul rispetto della volontà delle popolazioni locali.

Occorre un sistema coordinato di monitoraggio degli ecosistemi marini del nord: esso dovrebbe rientrare nella cooperazione transfrontaliera della DN. È importante che lo sfruttamento delle risorse di gas e di petrolio vada di pari passo con la possibilità di praticare la pesca e con un ambiente marino sano. Bisogna garantire il massimo livello possibile di sicurezza per i trasporti marittimi di petrolio e di gas nella regione: è un'esigenza che si acuirà in futuro, con il crescere dei trasporti di gas naturale liquido.

In tale contesto suscita compiacimento la proposta avanzata dal governo norvegese nel marzo 2006, di predisporre un sistema nuovo e meglio coordinato per monitorare gli ecosistemi marini settentrionali. Il Comitato accoglie con soddisfazione anche la risoluzione sulle questioni energetiche e ambientali dell'estremo nord dell'Europa, adottata nel maggio 2006 dal Comitato parlamentare dello Spazio economico europeo, le cui conclusioni concordano con la linea espressa nel presente parere.

Il Comitato sottolinea che nel quadro della cooperazione in materia energetica relativa alla DN è opportuno rivolgere particolare attenzione alla rapida crescita dei trasporti di energia nel Golfo di Finlandia e nel Mar Baltico, specie nell'ottica dell'organizzazione e della sicurezza di tali trasporti e della minimizzazione dei rischi per l'ambiente.

2.2.4   Concentrazione degli sforzi sulla società civile, sulle reti di cooperazione e sull'informazione pubblica

2.2.4.1   Rafforzamento della società civile, dei valori democratici comuni, dei diritti umani e del dialogo sociale e culturale aperto

La condizione preliminare per una buona cooperazione tra i paesi partner della DN consiste nell'applicare valori comuni in ognuno di essi. Esiste un'integrazione reciproca tra il pluralismo democratico, una società civile vitale, un dialogo sociale aperto e un'economia di mercato funzionale. Occorrono sforzi decisi per promuovere tali aspetti, specialmente in Russia, dove c'è bisogno di un coinvolgimento attivo della società civile e di istituzioni democratiche.

Nel parere del 2005 sulle relazioni UE-Russia, il CESE ha richiamato l'attenzione sulla situazione esistente in Russia in questo importante contesto, osservando tra l'altro che la nuova legge sulle organizzazioni della società civile ha visibilmente provocato un ulteriore deterioramento della situazione. Bisognerebbe porvi rimedio nel quadro dell'applicazione della legge. Se le autorità russe svilupperanno in maniera credibile le loro politiche e le loro pratiche in questo settore per intrecciare relazioni costruttive e aperte con i soggetti della società civile, si avrà un ampio sostegno per una collaborazione ravvicinata con tale paese. Sarebbe fra l'altro importante che la camera civica che è stata istituita in Russia divenga uno strumento credibile per consolidare un valido dialogo sociale. È opportuno contribuire agli sforzi volti a rafforzare i soggetti della società civile in Russia, in modo da accrescere anche la loro capacità di impegnarsi in un dialogo costruttivo.

Anche la cooperazione regionale nel quadro della DN, cui partecipa la Russia, dovrebbe cercare di realizzare dei progressi in questo campo.

2.2.4.2   Promuovere le reti transfrontaliere di cooperazione della società civile

Per favorire gli sviluppi descritti nel punto precedente bisogna consolidare un dialogo transfrontaliero efficace ed aperto. I soggetti rappresentativi della società civile hanno una responsabilità e un ruolo molto importanti in tale contesto, ed è indispensabile che i diversi ambienti della società civile assumano iniziative per rafforzare le relazioni e la collaborazione dei rispettivi settori di attività. Va sottolineato che la «comproprietà» della DN non è una questione di esclusiva competenza statale, bensì si applica anche alla società civile e ai relativi soggetti dei paesi partner. Si può pervenire ad una buona applicazione della politica relativa alla DN solo a condizione che i soggetti rappresentativi della società civile prendano attivamente parte a tale processo.

Nel quadro della politica relativa alla DN occorre agire decisamente promuovendo la creazione di reti per il dialogo e la cooperazione tra soggetti della società civile dei vari paesi e delle subregioni della DN, come la Russia nordoccidentale. La cooperazione transfrontaliera tra cittadini dev'essere una priorità. Bisogna adoperarsi per promuovere la mobilità, lo sviluppo delle risorse umane, lo scambio di esperienze, conoscenze e informazioni e il mutuo riconoscimento delle qualificazioni. La cooperazione transfrontaliera dovrebbe interessare tutti i soggetti della società civile, compresi gli imprenditori, le PMI e le altre imprese, i lavoratori dipendenti, i giovani, gli studenti, le donne, gli scienziati, le organizzazioni culturali, i membri delle minoranze, le associazioni ambientaliste, i circoli di agricoltori e di silvicoltori, i consumatori. L'attività transfrontaliera deve aprire la strada ai partenariati pratici e alle proposte di progetti comuni con la partecipazione dei soggetti della società civile. I soggetti competenti devono avere la possibilità di avanzare senza particolari difficoltà proposte relative a progetti comuni nel quadro della DN.

Lo sviluppo di efficaci relazioni tripartite e dei mercati del lavoro in tutta l'area della DN dovrebbe servire a trovare l'equilibrio tra l'equa concorrenza per le imprese e condizioni di lavoro accettabili per i lavoratori. Le relazioni tripartite e i mercati del lavoro hanno già un buon livello di sviluppo in numerosi paesi e le relative capacità e competenze dovrebbero essere compartite con organizzazioni di paesi dove esse sono meno sviluppate. La politica relativa alla DN costituirebbe uno strumento quadro adeguato per avviare progetti transfrontalieri in questo campo. Le parti sociali di ciascun paese della DN dovrebbero assicurarsi che le iniziative e l'attività legislativa finalizzate al cambiamento sociale ed economico e all'aumento dell'occupazione tengano conto in modo equilibrato dei loro interessi. Affinché questo avvenga, esse dovrebbero essere coinvolte in tutte le discussioni concernenti il mercato del lavoro.

2.2.4.3   Migliorare l'informazione pubblica

Il profilo pubblico della DN è molto modesto. Essa è pochissimo conosciuta in tutti i paesi, siano essi Stati membri o paesi terzi facenti parte della stessa DN. Le parti della DN devono pertanto adoperarsi per rafforzare in maniera significativa la disponibilità di informazioni e i relativi canali. È essenziale che vi sia un livello adeguato di informazione pubblica in merito alla dimensione nordica, perché solo in questo modo si può suscitare l'interesse della società civile e incoraggiare i relativi soggetti a partecipare al processo e a contribuirvi. I soggetti della società civile dovrebbero anche essere coinvolti in quanto diffusori di informazione nella società e a tal fine si dovrebbero predisporre le necessarie misure di istruzione e di formazione.

C'è manifestamente bisogno di un apposito centro, sito nell'area della DN, incaricato dell'informazione in materia e del coordinamento pratico delle reti, dei contatti e del finanziamento. Le parti della DN dovrebbero decidere in merito all'istituzione di tale centro. Il CESE suggerisce di riaprire a questo scopo la rappresentanza della Commissione europea a San Pietroburgo, recentemente chiusa, assegnandole le funzioni operative che di comune accordo sono state riconosciute essere di pertinenza della DN. Come alternativa bisognerebbe anche considerare la possibilità di conferire tali funzioni operative alla segreteria di uno degli organismi regionali menzionati al punto 2.4.

2.2.5   Occorre dedicare particolare attenzione alle relazioni con la società civile bielorussa

Nel corso di discussioni relative allo sviluppo futuro della politica della DN, è stato suggerito d'includervi in qualche modo anche la Bielorussia. Sebbene ciò sia giustificato dal punto di vista geografico, l'attuale situazione politica del paese impedisce una cooperazione ufficiale. Tuttavia il Comitato desidera sottolineare che gli aspetti menzionati in particolare al punto 2.2.4 riguardano anche la Bielorussia.

Il Comitato ritiene che promuovendo i contatti tra i soggetti della società civile e le loro controparti in Bielorussia sarebbe possibile influire su tali questioni. Il Comitato intende continuare a consolidare i propri contatti e propone di sostenere azioni di questo tipo anche nel quadro della DN.

Il CESE sta attualmente elaborando un parere specifico sulle relazioni UE-Bielorussia.

2.3   Esigenza di consultare la società civile nel quadro del meccanismo di cooperazione della DN: il CESE è pronto a dare il suo contributo

Bisogna predisporre un efficace meccanismo di consultazione nel quadro della DN, in modo che i soggetti principali della società civile possano influire sull'attuazione e sul monitoraggio della DN attraverso i loro punti di vista, le loro raccomandazioni e la loro esperienza.

Il CESE ritiene che una buona soluzione consisterebbe in una riunione annuale dei soggetti della società civile, analogamente a quanto è avvenuto per anni nel quadro della cooperazione mediterranea. L'esperienza acquisita attraverso la cooperazione nel Mediterraneo è stata molto positiva, come anche l'esperienza del Comitato consultivo SEE. Sarebbe inoltre opportuno istituire un sottogruppo consultivo della società civile, subordinato al comitato amministrativo menzionato nel punto 2.1, che potrebbe partecipare regolarmente al monitoraggio della politica ed organizzerebbe le suddette riunioni annuali.

Questa soluzione permetterebbe ai responsabili della politica relativa alla DN di beneficiare dei contributi dei soggetti della società civile all'attuazione della DN nella sfera economica e sociale.

Per parte sua il CESE ha già organizzato due convegni che hanno permesso ai soggetti della società civile dei paesi della DN di incontrarsi. Nel corso degli anni il Comitato ha rafforzato i propri contatti con soggetti importanti della società civile di tutti i paesi terzi che fanno parte della DN. Esso possiede pertanto un'esperienza pratica in materia di cooperazione con la società civile, di cui ci si può avvalere immediatamente.

Di conseguenza il CESE è pronto a partecipare attivamente al coinvolgimento dei soggetti della società civile nell'attuazione della futura politica relativa alla DN. Il Comitato si ripromette di istituire un apposito gruppo di monitoraggio e di svolgere un ruolo guida nell'organizzazione delle riunioni annuali dei soggetti della società civile. Al tempo stesso si terrebbe conto della cooperazione esistente nell'ambito del SEE. L'obiettivo delle riunioni sarebbe quello di predisporre degli orientamenti per l'attuazione della DN, specie in settori come quelli individuati al punto 2.2.4, che interessano l'attività della società civile. Il Comitato propone di inserire tale prassi nel meccanismo di cooperazione formale nel quadro della DN.

2.4   Gli organi regionali: punto di partenza naturale per gestire la cooperazione nel quadro della DN

Il CESE ritiene che gli organismi di cooperazione regionale esistenti, e in primo luogo il Consiglio degli Stati baltici, il Consiglio euroartico del Mare di Barents, il Consiglio dei ministri dei paesi nordici e il Consiglio artico, dovrebbero avere un ruolo importante nell'attuazione della DN. Bisogna agire con determinazione per promuovere il coordinamento e la collaborazione dei suddetti organismi tra loro e con il comitato amministrativo della DN menzionato più sopra al punto 2.1, perché essi costituiscono il naturale punto di partenza di una gestione integrata della DN.

Questo quadro fornirebbe ai soggetti della società civile un'autentica opportunità di partecipare alla cooperazione nell'ambito della DN attraverso i contributi forniti tramite le loro reti regionali di cooperazione (ad esempio la Rete dei sindacati del Baltico — BASTUN, per i lavoratori dipendenti, il Comitato consultivo per le imprese del Consiglio degli Stati baltici — BAC, per la comunità imprenditoriale, l'Associazione delle camere di commercio del Baltico — BCCA, per le camere di commercio, nonché vari circoli di ONG) e i contatti che tali reti hanno stabilito con le associazioni summenzionate.

2.5   I regimi di finanziamento delle attività della DN devono essere chiari

L'obiettivo dovrebbe essere quello di mettere in pratica le aree prioritarie sotto forma di partenariati pubblico-privato, con partner, programmi, calendari e bilanci ben definiti.

Anche quando i partner non siano ancora in grado di avviare un progetto di partenariato per uno specifico settore prioritario, essi dovrebbero tentare di stabilire, per esempio annualmente, dei programmi di misure quanto più possibile specifici, nonché l'applicazione e il finanziamento di tali misure.

Per quanto riguarda le misure di attuazione proposte dai soggetti della società civile (cfr. in particolare il punto 2.2.4 più in alto) è essenziale istituire una procedura per il finanziamento delle attività su piccola scala, basato su un iter quanto più possibile semplice per le richieste. Sarà necessario un servizio di assistenza tecnica per fornire consiglio in merito alle richieste. Anche il processo di gestione e di approvazione dei progetti proposti dev'essere rapido e semplice. A giudizio del Comitato i rappresentanti della società civile potrebbero anche condividere le responsabilità connesse al mantenimento di questa procedura.

Lo Strumento europeo di vicinato e partenariato (ENPI) dovrebbe costituire un'importante fonte di finanziamento, da parte dell'UE, per le summenzionate attività. Una quota adeguata dei fondi in dotazione allo Strumento dovrebbe essere destinata a progetti e attività relativi alla DN, bisognerebbe inoltre riservare fondi adeguati anche all'amministrazione della stessa DN.

Inoltre la Russia, la Norvegia e anche il meccanismo di finanziamento del SEE dovrebbero contribuire in misura adeguata alla cooperazione regionale e transfrontaliera relativa alla DN. Analogamente, altre fonti di finanziamento internazionali e nazionali che già adesso prendono parte a progetti nell'ambito della DN (Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, Banca europea per gli investimenti, Banca nordica per gli investimenti, ecc.) continueranno a essere assolutamente necessarie per garantire in futuro un'efficace attuazione della politica comune nel quadro della DN.

È necessario che nella società civile vengano diffuse informazioni facilmente comprensibili in merito alla disponibilità di finanziamenti, alle relative fonti e alle procedure di richiesta di finanziamento di progetti.

Bruxelles, 5 luglio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  http://ec.europa.eu/comm/external_relations/north_dim/doc/guidelines05.pdf

(2)  Il contributo della società civile alle relazioni tra UE e Russia GU C 294 del 25.11.2005, pag. 33.

(3)  Parere CESE GU C 24 del 31.1.2006, pag. 34.

(4)  Una strategia europea per un'energia sostenibile, competitiva e sicura, 8 marzo 2006.


16.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 309/96


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Politica europea di prossimità

(2006/C 309/20)

La Commissione, con lettera del commissario FERRERO-WALDNER in data 22 aprile 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema: Politica europea di prossimità.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 maggio 2006, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice CASSINA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 5 luglio 2006, nel corso della 428a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 160 voti favorevoli, 2 voti contrari e 9 astensioni.

Premessa

Il CESE ha già prodotto due valutazioni parziali della politica europea di prossimità (PEP) riferite una, all'area dei paesi del Centro e dell'Est Europa e l'altra all'area mediterranea (1). In questo parere, quindi, si riprenderanno solo per cenni alcuni contenuti di questi due documenti che saranno, invece, trasmessi per conoscenza, insieme con il presente testo, alle autorità dell'UE e dei paesi interessati.

0.   Sintesi e conclusioni

0.1

Il CESE ritiene che la PEP sia una politica di enorme importanza strategica, il cui potenziale per la pace, la stabilità, la condivisione di valori e politiche, la promozione degli scambi a tutti i livelli coi paesi vicini debba essere valorizzato attraverso un'attuazione coerente e responsabile.

0.2

Il CESE sottolinea, in particolare, la necessità di assicurare coerenza tra:

le politiche estere degli Stati membri e la PEP,

le altre azioni attinenti alle relazioni esterne dell'UE e la PEP,

le politiche estere e interne dei paesi partner e la stessa PEP,

le azioni delle diverse direzioni generali della Commissione coinvolte nell'attuazione della PEP,

le scelte di bilancio dell'UE e l'importanza strategica della PEP,

tra l'attuazione del principio di differenziazione (che può indurre positive dinamiche di competitività tra paesi e aree) e l'opportunità di creare sinergie di area e tra aree (che promuove cooperazione e maggiore comprensione),

le misure concrete che si assumono come prioritarie e i grandi obiettivi che si perseguono.

0.3

Il CESE chiede a tutti gli attori istituzionali coinvolti di riconoscere coi fatti che il principio della titolarità comune (o appropriazione) implica un forte richiamo a valori democratici che devono essere rispettati e promossi e non solo formalmente condivisi: la titolarità comune deve essere principio informatore delle relazioni non solo tra UE e PP, ma anche all'interno della stessa UE e, nei PP, tra le amministrazioni nazionali e la rappresentanza della società civile. Pertanto, una realizzazione efficace e soddisfacente della PEP può avvenire solo con un sistematico coinvolgimento delle organizzazioni della società civile, in particolare degli attori sociali e socioprofessionali il cui ruolo consultivo e la cui capacità negoziale devono essere esplicitamente riconosciuti e promossi. Pertanto, bisogna assicurare:

informazioni chiare, trasparenti, documentate e tempestive sulle decisioni relative all'attuazione della PEP,

luoghi, strumenti e meccanismi di consultazione e partecipazione alla formazione di tali decisioni per realizzare un efficace dialogo civile,

informazioni, strumenti e dati armonizzati per valutare le realizzazioni, anche attraverso l'impegno a realizzare iniziative periodiche a tale scopo,

opportunità di formazione che permettano a tali organizzazioni di contribuire alla realizzazione della PEP e di qualificare il loro apporto anche attraverso l'accesso alle risorse e ai programmi comunitari,

opportunità per costruire reti di dialogo, di cooperazione e di monitoraggio dell'attuazione della PEP, tra organizzazioni dei diversi paesi e delle diverse aree.

0.4

Il CESE si impegna a costruire, mantenere e sviluppare le relazioni con gli organismi consultivi e/o con le organizzazioni socioprofessionali dei PP, ad essere sempre al loro ascolto e a cooperare con il Parlamento europeo e con il Comitato delle regioni per contribuire ad una realizzazione della PEP partecipata, efficace e coerente con gli obiettivi di pace, stabilità sicurezza e sviluppo condiviso e sostenibile.

1.   Introduzione

1.1

Nel corso del processo di integrazione, le autorità comunitarie hanno sempre tenuto conto della realtà dei paesi confinanti per almeno due buoni motivi:

il primo, attinente alla ragione politica fondamentale che ha spinto i paesi europei a integrarsi in una comunità, era l'esigenza di pace, libertà e stabilità, tanto all'interno quanto all'esterno dell'area dell'integrazione,

il secondo, relativo al processo di integrazione economica e dei mercati, suggeriva la duplice necessità di garantire un'area di scambi più ampia di quella rappresentata dai soli paesi membri e di confrontarsi, quindi, con paesi che avessero o conseguissero dinamiche di crescita economica e di sviluppo umano comparabili con quelli comunitari, affinché gli scambi fossero reciprocamente fruttuosi e non fossero segnati da distorsioni, dumping e/o chiusure protezionistiche dell'una o dell'altra parte.

1.2

Nel lungo periodo della divisione del mondo in due blocchi, l'eterogeneità delle economie dell'Est e dell'Ovest dell'Europa, ma soprattutto la diversità dei sistemi politici, hanno purtroppo fatto sì che gli scambi (non solo e non tanto economici, quanto umani, culturali e societali) fossero ridotti al minimo e la conoscenza tra i popoli delle due parti dell'Europa rimanesse, per oltre quattro decenni, affidata ai soli contatti diplomatici o a relazioni superficiali tra organizzazioni e municipalità, con il duplice risultato negativo di cristallizzare gli stereotipi indotti dalla guerra fredda e di favorire una presunta legittimità democratica internazionale che i governi del sistema sovietico non avevano e non potevano avere.

1.3

In questo stesso periodo, però, la Comunità europea affinò i rapporti con i vicini paesi europei democratici (o passati dalla dittatura alla democrazia come la Grecia, la Spagna e il Portogallo) e realizzò ben quattro processi di allargamento (2). Con i paesi che non avrebbero avuto la prospettiva o non intendevano entrare nella Comunità, furono definiti rapporti stabili attraverso specifici accordi: ricordiamo l'Associazione europea di libero scambio (AELS) nata nel 1960, lo Spazio economico europeo (SEE) del 1994, ma anche una serie molto vasta di accordi bilaterali (specie coi paesi del bacino mediterraneo).

1.4

Tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90, l'area contigua dei paesi del bacino sud ed est del Mediterraneo acquistò progressivamente agli occhi della Comunità europea una grande importanza, che culminò con la definizione, alla conferenza interministeriale di Barcellona del 1995, di un partenariato strategico, strutturato attraverso accordi di associazione e progetti regionali: l'obiettivo era di costruire entro il 2010 una zona di libero scambio, di pace, di sicurezza e di prosperità condivisa.

1.5

Ma l'evento che ha cambiato radicalmente la condizione geopolitica della Comunità — che aveva conseguito ormai l'integrazione dei mercati e si preparava a costruire la moneta unica — fu la liberazione dei paesi del Centro e dell'Est europeo dal sistema sovietico e il loro passaggio alla democrazia e all'economia di mercato.

1.6

La riunificazione del continente europeo, con l'ampliamento del 1o maggio 2004, rappresenta la più importante conquista politica dell'Europa nella storia del dopoguerra e fa dell'UE un'area ricca di capitale umano, culturale, storico, economico e sociale, del tutto nuova rispetto al passato. Questo mutamento sostanziale, quantitativo e qualitativo dell'UE impone di capire a fondo, valorizzare, promuovere e difendere la nuova realtà, adattando l'insieme delle politiche comunitarie e, quindi, anche la politica di relazioni con i paesi vicini. La politica europea di prossimità nasce da tale convinzione, completamente condivisa dal CESE che ha contribuito a questi risultati con il suo ampio impegno di cooperazione e dialogo con le organizzazioni della società civile dei paesi candidati.

2.   La fase iniziale della politica europea di prossimità (PEP)

2.1

La necessità di elaborare una politica di prossimità fu indicata dal Consiglio Affari generali e relazioni esterne fin dal novembre 2002; nel dicembre dello stesso anno il Consiglio europeo di Copenaghen invitò l'UE a intensificare le relazioni con i paesi vicini sulla base di valori comuni al fine di evitare nuove divisioni in Europa e di promuovere la stabilità e la prosperità all'interno come all'esterno dei confini. Inizialmente, l'attenzione maggiore fu data alle relazioni con la Russia, l'Ucraina, la Bielorussia e la Moldavia, oltre che all'area dei paesi partner mediterranei (PPM).

2.2

Nel 2003 e nel 2004 la Commissione pubblica due comunicazioni e, sempre nel 2004, una proposta di regolamento per la creazione di uno strumento europeo di prossimità e partenariato (3).

2.3

Oltre ai paesi indicati sopra, nel corso del 2004 e su richiesta esplicita dei tre paesi del Caucaso meridionale, la PEP fu estesa ad Armenia, Azerbaigian e Georgia. In precedenza, la Russia aveva già indicato che non avrebbe partecipato alla PEP, ma avrebbe continuato il rapporto con l'UE nel quadro dello specifico «partenariato strategico». La PEP non si applica nemmeno ai paesi dell'area balcanica che sono inquadrati nel Patto di stabilità dei Balcani e/o che sono candidati come la Croazia, né alla Turchia (precedentemente inserita nella politica di partenariato euromediterraneo e oggi paese candidato che dal 3 ottobre 2005 ha iniziato il negoziato di adesione).

2.4

La PEP si prefigge di mettere in comune coi paesi vicini una serie rilevante di politiche e implica l'impegno prioritario dell'UE e dei paesi partner (PP) a favore di valori comuni (principio della titolarità comune o di appropriazione): Stato di diritto, buon governo, rispetto dei diritti dell'uomo e delle minoranze, affermazione del principio di parità uomo/donna, economia di mercato e sviluppo sostenibile. Ai PP è richiesto anche uno speciale impegno nella lotta contro il terrorismo, contro la proliferazione delle armi di distruzione di massa, per il rispetto della legalità internazionale e per la risoluzione pacifica dei conflitti.

2.5

Di concerto coi PP, sono definiti dei piani di azione nazionali (PAN), secondo le specificità e le esigenze dei diversi interlocutori (principio di differenziazione), ma con un tessuto comune di priorità che si rifanno alla promozione dei valori di cui al paragrafo precedente. I PAN sono poi approvati dai rispettivi consigli di associazione e applicati in cooperazione tra il PP interessato e l'UE. L'attuazione dei PAN sarà monitorata dall'UE attraverso rapporti periodici della Commissione e ciò permetterà di adattare lo sviluppo della strategia anche ai risultati che ogni PP riuscirà ad assicurare.

2.6

Fino alla fine dell'attuale periodo di programmazione finanziaria (fine 2006) le risorse saranno quelle dei programmi Tacis e MEDA. Nelle prospettive finanziarie 2007-2013, invece, ci dovrebbe essere un solo strumento di finanziamento della PEP (Strumento europeo di prossimità e partenariato) con una dotazione finanziaria da definire ma che, nella proposta della Commissione, dovrebbe corrispondere al doppio circa delle attuali risorse a disposizione dei due programmi sopra citati.

2.7

Purtroppo, il CESE constata che, finora, la Commissione non ha proposto né nei suoi documenti, né nei negoziati per la definizione dei PAN, alcuni elementi che sono propri dello sviluppo comunitario e che hanno sostenuto e reso più democratico e partecipato il processo di integrazione: sono assenti, in particolare, il concetto di «dialogo sociale» e quello di «funzione consultiva». Il CESE ha già segnalato tali lacune alla Commissione in più occasioni e si aspetta che tutte le autorità comunitarie si adoperino perché tali concetti diventino prassi nell'attuazione dei PAN.

3.   Il concetto di «prossimità» e i problemi di quadro

3.1

Se il concetto di «prossimità» appare, intuitivamente, abbastanza chiaro, non è del tutto evidente come una politica basata su tale intuizione, ma con grandi ambizioni, possa avere il necessario rigore strategico. L'UE in quanto tale, infatti, si è dotata di una politica estera che è ancora limitata, dato che molte competenze in materia sono gelosamente conservate ed esercitate dai paesi membri (PM). Il problema è capire che una politica di relazioni esterne dell'UE non espropria i PM delle loro strategie internazionali, anzi, può completarle e dar loro valore aggiunto, se i PM sviluppano la volontà di agire insieme e di dotarsi di strumenti per realizzare il coordinamento delle loro azioni di politica estera, in modo da garantire coerenza ed efficacia agli interventi di tutti i soggetti coinvolti in una determinata area di intervento. Nel caso della PEP, questo obiettivo può essere conseguito, ma alla condizione precisa che i PM e l'UE perseguano con determinazione la coerenza con il quadro europeo e si presentino agli interlocutori come un blocco che ha gli stessi obiettivi e proposte convergenti.

3.2

Il concetto di «politica di prossimità», secondo il CESE, esclude un'interpretazione meramente geografica. Anzi, proprio la formulazione della PEP, nei diversi documenti citati nella nota 3, porta invece a dare al termine un senso fortemente marcato dalla comunanza (o dalla ricerca della comunanza) di valori, di culture e di intenti (4). Si tratta di una prossimità che ha, sì, caratteri geografici, ma anche e soprattutto politici e valoriali. Non si può, quindi, per ora, escludere che altri paesi possano essere integrati nella PEP in futuro.

3.3

Una difficoltà che potrebbe porsi in relazione al principio di appropriazione (o titolarità comune) delle azioni da intraprendere, è il fatto che, per i PP della PEP, non si parli di adesione. La prospettiva di un'eventuale adesione sarebbe certo molto più motivante, ma è corretto rilevare che i contenuti, la metodologia e, proporzionalmente, anche le risorse messe a disposizione della realizzazione dei PAN sono simili — se non uguali — a quelli utilizzati nel processo di adesione dei nuovi Stati membri dell'ultimo allargamento. Anche il meccanismo di attuazione di politiche per lo sviluppo nei PP dovrebbe avere a modello l'esperienza delle politiche strutturali e fondarsi su un partenariato molto stretto tra UE e PP. Una delle caratteristiche metodologiche della PEP è il procedere step by step, il che lascia aperte le porte a verifiche dei metodi e degli strumenti utilizzati, ma soprattutto alla valutazione di evoluzioni significative che potrebbero, eventualmente, modificare il quadro degli obiettivi per ora individuati. Già nella «nuova fase» della PEP si prevedono rapporti ancor più significativi con i PP che attuano al meglio i PAN: si tratta di una sorta di «premio» che dovrebbe rendere ancora più stretti i rapporti economici, politici e, si auspica, anche quelli tra le società, rispondendo così alle aspettative, a volte perfino entusiastiche, delle popolazioni dei PP. Il CESE ritiene, quindi, che sarebbe sbagliato, oggi, sia proporre un quadro rigido che escluda ogni possibilità di adesione, sia alimentare speranze improprie.

3.4

La Commissione ha pubblicato, nel marzo 2005, una comunicazione contenente le raccomandazioni per i paesi con i quali non si sono ancora approvati i PAN (5): si tratta dei 3 paesi del Caucaso meridionale, nonché dell'Egitto e del Libano. Il Consiglio europeo del 25 aprile 2005 ha appoggiato il documento e auspicato che la definizione dei PAN possa essere completata presto affinché gli organi competenti (consigli di associazione) li approvino sollecitamente e i piani stessi possano entrare nella fase attuativa. Il Consiglio ha anche richiamato l'attenzione sulla necessità di applicare il principio di differenziazione ma, al medesimo tempo, ha valorizzato la dichiarazione dei 3 paesi del Caucaso meridionale che intendono utilizzare al meglio gli strumenti della PEP per rafforzare la cooperazione regionale (cfr. anche punto 4).

4.   I problemi delle diverse aree

4.1

La PEP si caratterizza per un forte bilateralismo UE/PP, ma le aree di intervento della PEP (che possiamo definire grosso modo come quelle dei paesi del Centro/Est Europa, del Mediterraneo e del Caucaso meridionale) presentano delle specificità interne che dovrebbero rendere i responsabili dell'attuazione della PEP particolarmente attenti a promuovere le sinergie di area e i rapporti interni all'area stessa: questo obiettivo può essere realizzato attraverso azioni e incentivi mirati che rendano conveniente e desiderabile sviluppare relazioni e cooperazioni interne ad una stessa area, ma anche tra aree diverse. Ciò andrebbe a profitto, oltre che degli stessi paesi delle tre aree — che spesso lo chiedono esplicitamente — anche della stabilità, della sicurezza e della pace di tutta l'UE e perfino dei paesi al di là del campo di applicazione della stessa PEP. È comunque importante mantenere flessibilità e pragmatismo per assicurare un giusto equilibrio tra bilateralismo e promozione della cooperazione di area e tra aree.

4.2

Il meccanismo di attuazione della PEP implica un certo grado di competizione tra i diversi PP. Infatti, man mano che un paese progredisce verso gli obiettivi stabiliti in comune con l'UE, la sua condizione di partner dell'UE può migliorare (maggiori facilitazioni, più sostegno ad azioni chiave, più apertura dei mercati, facilitazioni per il movimento delle persone, ecc.). Questa competitività può manifestarsi anche a livello di aree e, in questo caso, è opportuno mantenere alta l'attenzione per non dar luogo a frustrazioni e ad atteggiamenti rinunciatari da parte delle aree — o dei paesi interni ad un'area — che hanno maggiori difficoltà. È cruciale favorire i contatti tra paesi e aree diverse perché, se ogni attore della PEP si convince del fatto che sta lavorando non solo per sé, ma anche per una grande impresa comune, ciò aiuta a sviluppare la comprensione reciproca e ad individuare possibili percorsi di cooperazione forse oggi non ancora ipotizzati. L'apporto della società civile può essere un potente motore in questa dinamica.

4.3

Allo stesso tempo, è giusto segnalare che in tutte e tre le grandi aree coperte dalla PEP, esistono conflitti espliciti, o latenti, o potenziali. Altre tensioni si verificano anche all'interno di alcuni PP, soprattutto dove la democrazia non è consolidata. La preoccupazione per le ripercussioni che potrebbero esserci all'interno dell'UE è legittima, ma ancora più importante deve essere la preoccupazione per la sicurezza e la stabilità dei PP e delle loro popolazioni. Una speciale e continua attenzione deve quindi essere data ad interventi mirati che, nell'applicazione dei PAN, siano esplicitamente orientati a disinnescare le fonti di tensione e scontro, a creare le condizioni per il superamento delle difficoltà e a promuovere la cooperazione tra paesi, economie e popoli. È inutile dire che queste misure devono assolutamente coinvolgere le organizzazioni della società civile come protagonisti della cooperazione economica, sociale e culturale che, della convivenza pacifica, sono strumento imprescindibile.

4.3.1

È importante anche che le diverse iniziative dell'UE in materia di relazioni esterne siano sviluppate assicurando coerenza con i diversi elementi della PEP. Particolarmente delicate, a questo proposito, sono le relazioni con la Russia nel quadro del partenariato strategico, come dimostra la recente crisi del gas. È utile, inoltre, (e non solo nel caso dell'Ucraina) verificare bene tutte le conseguenze anche di ordine sociale ed economico che il riconoscimento dello status di economia di mercato può implicare, sia per il paese interessato, sia per l'UE.

4.3.2

In questo contesto sarebbe ipocrita tacere sul fatto che la PEP ha anche, tra le sue finalità, quella di assicurare buone relazioni con paesi che sono nostri fornitori di materie prime energetiche. Non c'è nulla di scandaloso, in questo, ma a due condizioni: che la legittima preoccupazione di approvvigionamento non prevalga sugli obiettivi di sviluppo economico e sociale compatibile dei PP e che i PM siano più coerenti e dimostrino autentica volontà di cooperare tra loro per risolvere insieme i problemi tanto delicati quanto strategici legati al settore energetico.

4.4

Nello stesso ordine di idee e di obiettivi, la cooperazione transfrontaliera tra PM dell'UE e PP ha un ruolo centrale. I nuovi PM, in gran parte, confinano direttamente con paesi coperti dalla PEP e sono quindi esposti tanto alle difficoltà che la vicinanza può provocare, quanto alle opportunità che la contiguità offre. L'attuazione della PEP deve pertanto mirare a ridurre al minimo i rischi di instabilità (tanto politica quanto economica e sociale) ma soprattutto a favorire il passaggio dalle potenziali opportunità positive a politiche concrete e a conseguimenti reciprocamente utili. Ciò avrà una ripercussione positiva in tutto il territorio comunitario — ormai ampiamente aperto e omogeneo — in termini di maggiori e migliori scambi, di sicurezza aumentata e di migliore conoscenza tra le popolazioni.

4.5

Questo parere non si prefigge di analizzare la realtà specifica dei diversi paesi, né delle diverse aree, dato che, come detto all'inizio, il CESE ha già fornito alcuni contributi specifici sul Mediterraneo e sui nuovi vicini dell'Est. Nel febbraio 2006, l'iniziativa del CESE a Kiev, con le organizzazioni della società civile ucraina, ha fatto emergere una grande vivacità di tali organizzazioni — che dimostrano entusiasmo per l'UE e hanno molte aspettative in relazione alla PEP — e ha dimostrato che il lavoro impostato con il parere citato sui vicini dell'Est comincia a dare frutti concreti. Il CESE è determinato a darsi obiettivi di dialogo e cooperazione più strutturati e a più lunga scadenza con le organizzazioni della società civile dell'Ucraina.

4.5.1

Per quanto riguarda la Bielorussia, il CESE esprime forte preoccupazione per i recenti avvenimenti e condanna la repressione e le pratiche antidemocratiche e persecutorie che ledono i diritti civili e sociali. Il CESE, che continuerà a sviluppare relazioni sempre più strette con le organizzazioni della società civile bielorussa, sta elaborando un parere a questo proposito (6).

4.5.2

Purtroppo, invece, al CESE mancano ancora un'analisi diretta e perfino contatti stabili con le organizzazioni della società civile dei paesi del Caucaso meridionale. Tale carenza potrebbe essere colmata a breve con l'avvio di un lavoro di approfondimento attraverso una relazione informativa e un eventuale parere specifico.

5.   Gli strumenti metodologici e finanziari

5.1

La metodologia per l'attuazione dei PAN implica un processo continuo di dialogo e negoziato tra le autorità dell'UE e quelle dei paesi interessati e, per la realizzazione delle azioni, tutti dovranno seguire le procedure in uso nel quadro comunitario. Il CESE ha già segnalato precedentemente la sua viva preoccupazione, nel quadro del programma MEDA, per le difficoltà di accesso ai relativi fondi da parte dei beneficiari, soprattutto da parte delle organizzazioni della società civile (7). È indispensabile che procedure di allocazione e controlli, pur perseguendo il massimo rigore per evitare ogni cattivo uso delle risorse, siano resi chiari, trasparenti (p. es. traduzione dei formulari nelle lingue dei destinatari!), semplici e immediatamente riconducibili alle finalità politiche della PEP. Aumentando a dismisura le procedure per l'accesso ai fondi e complicandole in una logica tutta burocratica, non si ottiene una maggior aderenza alle priorità, né la necessaria efficacia dell'intervento: si favorisce, invece, quel «professionalismo della cooperazione» rappresentato dalle imprese di consulenti e che finisce per far perdere la ricchezza della specificità e la capacità di iniziativa dei partner. Le autorità UE insistono sul fatto che la PEP deve essere intesa come una politica tailor-made: ciò è molto importante, ma a condizione che si traduca anche nelle metodologie di attuazione, mantenendole sistematicamente e costantemente collegate alla realtà economica e sociale dei diversi paesi e quindi comprensibili per i diversi soggetti sociali.

5.1.1

Spesso le difficoltà di accesso ai programmi e alle risorse correlate da parte delle organizzazioni della società civile derivano, almeno in parte, dalla scarsa o approssimativa conoscenza dei regolamenti e delle procedure. L'accesso ad un programma comunitario o alle misure di una politica promossa dall'UE non può essere considerato alla stregua di una gara d'appalto nella quale i concorrenti devono dotarsi degli strumenti conoscitivi e organizzativi necessari per partecipare. Le istituzioni comunitarie devono assumere una precisa responsabilità e sostenere le organizzazioni sociali e socioprofessionali perché possano sviluppare capacità e professionalità adeguate. Un'azione del genere era svolta, fino a pochi anni fa, dalla Commissione che effettuava dei corsi per «progettisti» ad un costo accessibile. Recentemente questi costi sono triplicati e diventano inaccessibili per la gran parte dei soggetti sociali che ne hanno bisogno. Secondo il CESE, la disseminazione di questo tipo di know-how tra le organizzazioni della società civile è tanto indispensabile quanto la capacity building delle amministrazioni dei PP/PEP; pertanto deve essere considerata un servizio indispensabile da fornire in modo gratuito, se si vuole che la società civile contribuisca alla realizzazione della PEP.

5.2

Poiché i PAN contengono, di fatto, tutte le politiche trattate dai diversi commissari, è cruciale che la PEP diventi un progetto capito e condiviso da tutte le DG che dovranno lavorare in rete e responsabilmente per contribuire alla sua riuscita.

5.3

Il meccanismo della valutazione periodica, per essere efficace, deve esser ridotto all'essenziale, evitare ripetizioni e concentrarsi sulle priorità. Ciò può rendere più efficace e fruttuosa la partecipazione all'attuazione e alla valutazione della PEP da parte della società civile organizzata che resta attore insostituibile per la riuscita di questa come di ogni altra politica (cfr. oltre, punto 6). Una priorità di merito deve essere data ai criteri per attestare i progressi democratici del PP interessato e il rispetto dei valori e dei diritti fondamentali. Una priorità di metodo deve essere data alla costruzione di un sistema in rete di rilevamento dati e di statistiche che permetta di valutare in modo certo e possibilmente comparabile, le realizzazioni di ciascun paese coinvolto. Bisognerebbe anche perseguire una certa simultaneità dei rapporti di valutazione che sarebbe utile sia al processo di valutazione delle migliori attuazioni, sia all'individuazione delle priorità che necessitano di un maggiore o diverso sostegno.

5.4

Anche se l'UE è il principale partner commerciale dei PP/PEP, le risorse di bilancio dell'UE per la cooperazione sono, a volte e in alcuni paesi, inferiori a quelle di altri attori mondiali, ma i nostri partner hanno dimostrato in più occasioni di riconoscere che l'intervento dell'Europa integrata è qualitativamente importante per il loro sviluppo, che esso è capace di stabilizzare alcune conquiste, di fornire una forte capacity building e di costruire una partnership che considera ogni attore come un protagonista responsabile con pari dignità e mai come un destinatario di aiuto, più o meno obbligato, poi, ad accondiscendere ad obiettivi che non gli sono propri.

5.5

Le attese dei nostri partner non devono essere frustrate. Ciò implica un'assunzione precisa di responsabilità da parte di tutti gli attori comunitari, in primis gli Stati membri, che hanno la principale competenza in materia di bilancio. È importante che le prospettive finanziarie 2007/2013 valorizzino questa politica, che è cruciale tanto per lo sviluppo e la sicurezza interni dell'UE, quanto per la crescita del suo ruolo di interlocutore sulla scena mondiale. Rispondere a questa esigenza permetterà anche di mobilitare meglio il concorso delle risorse private, dato che gli investitori potranno muoversi in un quadro di coerenze e di certezze.

6.   La partecipazione della società civile alla PEP

6.1

Il CESE è convinto che la riuscita della PEP sia intimamente legata alla capacità di tutti gli attori istituzionali di coinvolgere e far partecipare le organizzazioni della società civile all'attuazione dei PAN e l'ha ampiamente motivato nei suoi pareri precedenti come, per analogia, in tutti i pareri relativi al processo di allargamento (8). Sarebbe auspicabile che, dalla Commissione, venisse un segnale più esplicito in questa direzione, attraverso la proposta di criteri, procedure e strumenti per l'integrazione delle organizzazioni della società civile nell'attuazione dei PAN. Fermo restando quanto detto al punto 3.3, l'esperienza dell'allargamento è un importante punto di riferimento: per l'implicazione degli attori sociali e socioprofessionali dei paesi candidati nel processo negoziale e per la pratica di dialogo tra le organizzazioni della società civile dei paesi UE e quelle dei paesi candidati. Se la prima di queste dinamiche è stata curata, specie in alcuni paesi candidati oggi divenuti membri, la seconda è stata lasciata all'iniziativa volontaria di organizzazioni, fondazioni e organi consultivi, in particolare il CESE. Nella realizzazione della PEP sarà invece necessario strutturare e garantire questa partecipazione.

6.2

Sulla base dell'esperienza e dei lavori svolti dal CESE, nonché delle proposte contenute nei pareri citati alla nota 1, si elencheranno qui solo le azioni che il CESE ritiene indispensabili per raggiungere l'obiettivo di una realizzazione efficace e socialmente partecipata della PEP.

6.3

Il CESE chiede alla Commissione di:

assicurare una forte coerenza interna tra le diverse DG che trattano i vari aspetti della PEP, sollecitando sinergie, lavoro in rete e promozione di buone pratiche,

sostenere esplicitamente coi governi dei PP/PEP la necessità di far partecipare alla realizzazione dei PAN le organizzazioni della società civile, anche introducendo a questo scopo un criterio relativo al coinvolgimento delle organizzazioni della società civile nella valutazione dei risultati ottenuti dai diversi PP/PEP,

fornire agli attori sociali e socio-professionali il know-how necessario ad utilizzare al meglio e in modo corretto le risorse destinate alla PEP, anche per permettere a tali soggetti di monitorare l'applicazione dei PAN nel loro paese e di fare proposte per il seguito,

fornire criteri chiari ed efficaci per la valutazione relativa alla condivisione dei valori in quanto priorità discriminante nell'attuazione della PEP,

fornire informazioni e documentazione sulle riunioni previste nel quadro degli accordi di associazione in cui si tratterà della realizzazione dei PAN (in particolare, pubblicare il calendario e gli ordini del giorno di tali riunioni), favorire sessioni di informazione e consultazione prima e dopo tali riunioni,

proporre uno strumento che faciliti la concessione di visti ai cittadini dei PP/PEP che intendono recarsi nell'UE per studio, iniziative di formazione e ricerca, contatti con organizzazioni omologhe, affari, ecc.,

sostenere gli sforzi del CESE per assicurare il coordinamento degli organismi consultivi e delle organizzazioni della società civile impegnate a partecipare alla realizzazione dei PAN, in particolare finanziando lo svolgimento di un vertice socioprofessionale annuale (analogo a quello che il CESE organizza da 10 anni nel quadro euromediterraneo) che valuti la realizzazione complessiva della PEP e permetta alle organizzazioni coinvolte di confrontarsi su un piano generale e non solo a livello bilaterale e di area.

6.4

Il CESE chiede ai governi dei PM/UE di:

darsi un metodo di confronto sistematico per assicurare coerenza ed efficacia tra le singole politiche estere nazionali e la PEP, al fine di creare una massa critica non solo di risorse, ma soprattutto di iniziative che contribuiscano a conseguire risultati vantaggiosi per tutte le parti in gioco,

orientare le loro politiche estere ad un'applicazione della PEP che valorizzi l'apporto della società civile organizzata tanto nei PP/PEP, quanto a livello nazionale, anche attraverso il concorso delle politiche di cooperazione allo sviluppo e la creazione di partenariati e reti con le organizzazioni della società civile impegnate in quest'ambito,

assicurare la coerenza tra gli impegni assunti nel quadro della PEP e l'iniziativa dentro gli organismi internazionali multilaterali,

fornire tutte le informazioni sulle posizioni governative nazionali in rapporto agli ordini del giorno delle riunioni che si realizzano nel quadro degli accordi di associazione,

impegnarsi a promuovere e facilitare l'accesso alle università nazionali per gli studenti provenienti dai PP/PEP,

organizzare, a livello nazionale, giornate di informazione a scadenze determinate (un paio all'anno) sui risultati dell'applicazione della PEP e sulle valutazioni che il governo stesso dà dell'applicazione di questa importante politica.

6.5

Il CESE chiede ai governi del PP/PEP di:

perseguire una forte coerenza tra le loro politiche estere bilaterali e multilaterali e gli impegni assunti nel quadro della PEP,

garantire un'informazione chiara e costante sull'andamento dell'applicazione dei PAN alle organizzazioni delle parti sociali e delle organizzazioni socioprofessionali dei loro paesi, assicurando anche la possibilità di accedere alla documentazione attinente agli sviluppi dell'applicazione dei PAN,

consultare sistematicamente gli organismi consultivi — dove esistono — sulle decisioni che si stanno preparando sia in materia di applicazione dei PAN, sia in vista delle valutazioni e delle eventuali ulteriori tappe che portassero ad un progresso delle relazioni tra il paese interessato e l'UE,

istituire, nei PP/PEP dove non esistono organismi consultivi, uno strumento che favorisca e coordini la partecipazione delle organizzazioni delle società civile alla formazione delle decisioni relative alla realizzazione dei PAN e al monitoraggio delle azioni intraprese,

curare l'articolazione della consultazione e della partecipazione della società civile anche a livello territoriale affinché la PEP possa costituire uno strumento di sviluppo e di riequilibrio del sistema economico e sociale sull'insieme del territorio nazionale.

6.6

Il CESE invita le organizzazioni della società civile dei PP/PEP a:

impegnarsi per conoscere, valutare e intervenire nell'applicazione della PEP nei loro paesi, sia insistendo per ottenere informazioni e opportunità di partecipazione dai loro governi, sia collegandosi con il CESE per segnalare le priorità individuate e farle conoscere presso le autorità comunitarie,

rendersi disponibili ad un dialogo strutturato sia con il CESE, sia con gli organismi consultivi dei paesi membri dell'UE e di altri PP/PEP, in modo da creare una rete ampia di monitoraggio dell'attuazione della PEP e favorire la conoscenza reciproca tra organizzazioni e la diffusione di buone pratiche partecipative.

6.7

Il CESE, da parte sua, si impegna a seguire da vicino l'attuazione della PEP nelle diverse aree e a sviluppare tutte le forme più efficaci di cooperazione con il Parlamento europeo e il Comitato delle regioni per contribuire al coinvolgimento delle organizzazioni della società civile in questa importante politica.

Bruxelles, 5 luglio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Il primo su Europa ampliataProssimità: Un nuovo contesto per le relazioni con i nostri vicini orientali e meridionali (parere, relatrice: Karin ALLEWELDT — GU C 80 del 30.3.2004, pagg. 148-155); il secondo su Il ruolo degli organi consultivi e delle organizzazioni socioprofessionali nell'attuazione degli Accordi di associazione e nel quadro della politica europea di prossimità (contributo tematico al vertice socioprofessionale euromediterraneo tenutosi in Giordania il 16-17 novembre 2005, relatrice: Giacomina CASSINA, elaborato con il contributo dei consigli consultivi di Grecia, Israele e Tunisia e di una rappresentanza socioprofessionale del Marocco).

(2)  Danimarca, Regno Unito e Irlanda nel 1973, Grecia nel 1981, Spagna e Portogallo nel 1986, Austria, Svezia e Finlandia nel 1995.

(3)  COM(2003) 104 def. — Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeoEuropa ampliataProssimità: Un nuovo contesto per le relazioni con i nostri vicini orientali e meridionali — Bruxelles, 11.3.2003.

COM(2004) 373 def. — Comunicazione della CommissionePolitica europea di prossimitàDocumento di strategia — Bruxelles, 12.5.2004.

COM(2004) 628 def. — Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante disposizioni generali che istituiscono uno strumento europeo di vicinato e partenariato — Bruxelles, 29.9.2004.

(4)  Il fatto che Armenia, Azerbaigian e Georgia (non contigui territorialmente all'UE) abbiano chiesto di essere integrati nella PEP è una dimostrazione concreta di questa affermazione.

(5)  COM(2005) 72 def. — Comunicazione della Commissione al ConsiglioPolitica europea di prossimitàRaccomandazioni per l'Armenia, l'Azerbaigian, la Georgia, l'Egitto e il Libano — Bruxelles, 2.3.2005.

(6)  Cfr. il rapporto STULÍK (REX/220).

(7)  Cfr. il rapporto DIMITRIADIS per il vertice Euromed di Malta (REX/113), in particolare i punti 35 e 36.1.

(8)  Cfr., tra i più recenti, il parere della sezione REX (REX/208, relatore PEZZINI).


16.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 309/103


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di Decisione del consiglio relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee (//CE, Euratom)

COM(2006) 99 def. — 2006/0039 (CNS)

(2006/C 309/21)

Il Consiglio, in data 26 aprile 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 93 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

L'Ufficio di presidenza del CESE ha incaricato la sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale di preparare i lavori del Comitato in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, in data 5 luglio 2006, nel corso della 428a sessione plenaria, ha nominato CSER relatrice generale e ha adottato il seguente parere con 84 voti favorevoli, 2 voti contrari e 2 astensioni.

1.   Sintesi

1.1

Conformemente all'articolo 9 della decisione del Consiglio relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee (1), la Commissione ha dovuto eseguire, anteriormente al 1o gennaio 2006, un riesame generale del sistema delle risorse proprie per il periodo 2007-2013, accompagnandolo con proposte adeguate. Il Parlamento europeo, dal canto suo, ha avanzato una richiesta di revisione dei criteri contributivi. La Commissione, d'intesa con il Consiglio, ha elaborato la propria proposta e l'ha presentata perché sia esaminata.

1.2

Le istituzioni comunitarie hanno studiato tale proposta e il CESE l'ha valutata (ECO/148) alla luce dei propri precedenti pareri, richiamando più volte l'attenzione sull'importante correlazione che intercorre tra la politica di bilancio dell'Unione e le politiche comunitarie.

1.3

Il Comitato ha affrontato la questione dell'applicazione futura dei tre tipi di risorse proprie e ha valutato la proposta formulata nel documento della Commissione, di istituire una risorsa propria diretta dell'Unione europea.

1.4

Il Comitato ha passato in rassegna lo sviluppo storico delle risorse proprie e gli adattamenti di cui esse sono state oggetto, ha analizzato la «quarta risorsa» e ha valutato la correzione britannica e il meccanismo di correzione generalizzata.

1.5

Nel dicembre 2005, durante la presidenza britannica, il Consiglio, nel quadro della valutazione delle prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013, è pervenuto ad un accordo politico. Esso ha formulato nuovi orientamenti, modificando la propria decisione precedente. Il Consiglio ha inoltre invitato la Commissione ad elaborare una nuova proposta, a modificare il documento di lavoro sulla correzione britannica che accompagnava la precedente decisione, e a emendare anche la precedente proposta della Commissione in merito al meccanismo correzione generalizzata.

1.6

Sebbene la proposta della Commissione sia stata modificata, il Comitato ribadisce le osservazioni conclusive dei propri pareri precedenti; infatti le modifiche proposte non sono fondamentali, bensì riflettono soltanto un accordo politico. In ogni caso, la modifica del sistema di calcolo della correzione britannica, che era rimasto invariato per 20 anni, rappresenta un progresso storico, nel senso che potrebbe costituire un primo passo verso la soppressione di tale correzione.

2.   L'approccio del CESE in qualità di rappresentante della società civile organizzata

2.1

Il Comitato è un soggetto attivo e dinamico, che contribuisce in misura considerevole, a livello sia comunitario che nazionale, ad accorciare la distanza che separa i cittadini dalle istituzioni dell'UE. Il Comitato funge quindi da intermediario, valuta gli obiettivi definiti nei documenti della Commissione relativi al periodo di riflessione e favorisce la partecipazione attiva dei cittadini all'attuazione delle politiche comunitarie (Piano di azione, Piano D, Libro bianco su una politica di comunicazione europea).

2.2

Conformemente a questi documenti, i cittadini dell'Unione hanno diritto di sapere quello che la stessa Unione fa e perché. Nel parere sul periodo di riflessione, il CESE ha dato voce alle aspettative dei cittadini in merito al contenuto delle politiche concernenti il futuro dell'Unione. Nel presente contesto il Comitato si compiace dell'accordo interistituzionale intervenuto il 4 aprile 2006, che prevede un aumento dell'importo del quadro finanziario per il periodo 2007-2013, rispetto all'accordo iniziale raggiunto nel Consiglio europeo. Constata tuttavia che tale aumento rimane limitato e che le prospettive finanziarie non permettono di realizzare obiettivi in linea con le ambizioni. A tale proposito rinvia al suo precedente parere (2).

3.   Introduzione

3.1

L'ampliamento del 2004 costituisce un evento storico, che ha consentito, dopo 50 anni di separazione, di riunire nuovamente oltre 450 milioni di europei. D'altro canto, esso ha reso indispensabile un considerevole lavoro sul sistema istituzionale in vigore nell'Europa a 15. L'adozione delle politiche comunitarie nel quadro di un'UE che si ampliava sino a raggiungere 25 e, ben, presto, 27 membri, nonché la definizione e la creazione delle necessarie risorse, hanno messo a dura prova la collaborazione tra vecchi e nuovi Stati membri. Nel quadro di tale processo, la comunicazione della Commissione del 2004 Costruire il nostro avvenire comuneSfide e mezzi finanziari dell'Unione allargata 2007-2013, come pure la proposta della Commissione ispirata a tale documento e concernente le prospettive finanziarie 2007-2013, erano intese a promuovere la realizzazione di tali obiettivi comuni.

3.2

L'adozione della comunicazione della Commissione ha costituito il punto di partenza della decisione in merito alle prospettive finanziarie. La posizione del Parlamento europeo tiene conto delle priorità dell'Unione. La decisione del Consiglio europeo del giugno 2005 ha imposto di ordinare le esigenze di bilancio e le spese necessarie secondo priorità più rigide.

3.3

Il bilancio dell'UE è di modesta entità a confronto di quelli nazionali; questi assorbono mediamente il 45 % del reddito nazionale, contro poco più dell'1 % per quello dell'UE. La Commissione ha raccomandato di mantenere all'1,24 % dell'RNL il massimale delle risorse proprie nel quadro delle prospettive finanziarie 2007-2013.

3.4

È poco realistico attendersi più Europa per meno soldi. Le nuove politiche comunitarie richiedono una copertura finanziaria aggiuntiva. Le spese proposte nelle nuove prospettive finanziarie e relative a politiche che rappresentano il valore aggiunto dell'Unione sono state definite in funzione di criteri di produttività, di efficacia e di sinergia.

3.5

Per raggiungere gli obiettivi occorre seguire orientamenti che prevedano maggiore trasparenza finanziaria, spese più mirate, maggiore efficacia e una migliore valutazione del valore aggiunto dell'Unione.

3.6

Il sistema delle risorse proprie, con la sua insufficiente trasparenza, la sua limitata autonomia finanziaria, la sua complessità e la sua opacità, ha vieppiù evidenziato l'esigenza di una riforma. Il fatto che il meccanismo di correzione venisse applicato solamente al Regno Unito già dalla metà degli anni '80 ha provocato la richiesta di una correzione generalizzata o di una modifica del sistema.

4.   Le prospettive finanziarie dell'UE per il 2007-2013 dopo la decisione del Consiglio europeo del dicembre 2005

4.1

Come era stato riconosciuto dal Consiglio europeo nelle conclusioni di dicembre 2004, le prospettive finanziarie sono strettamente legate al problema delle risorse proprie, al meccanismo di correzione e all'esigenza di adattare il sistema attuale.

4.2

Il Consiglio europeo del marzo 2005 ha riaffermato gli obiettivi della strategia di Lisbona e ha messo al centro di tale strategia la crescita economica e l'occupazione.

4.3

Il tema del vertice informale di Hampton Court, dell'ottobre 2005, non è stato tanto il modello sociale europeo, quanto piuttosto le sfide della globalizzazione. Le prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013 devono riflettere nuove priorità: ricerca e sviluppo, innovazione, energia, politica, istruzione (compresi gli investimenti per l'istruzione superiore), promozione della mobilità regionale a finalità economica, gestione dei cambiamenti demografici.

4.4

Il Consiglio europeo del dicembre 2005 ha approvato il quadro di bilancio dell'Unione per il periodo 2007-2013. Tenendo conto di tale accordo politico e basandosi sulla proposta modificata della Commissione, l'accordo interistituzionale stipulato dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione stabilisce il quadro finanziario per un periodo di sette anni. La conclusine di tale accordo dipendeva essenzialmente dai risultati del dialogo condotto con il Parlamento europeo. La struttura del quadro finanziario non soddisfa, se non parzialmente, la doppia esigenza di finanziare le nuove sfide cui l'Unione deve far fronte e, dall'altra parte, di coprire le esigenze di bilancio derivanti dall'ampliamento.

4.5

Nel dicembre 2005 il Consiglio ha stabilito che in occasione dell'esame delle prospettive finanziarie pluriennali relative a tutte le entrate e le spese dell'Unione, da eseguire entro il 2008-2009, debba essere ultimato anche il riesame del sistema delle risorse proprie. Tale disposizione figura nell'accordo interistituzionale da maggio 2006.

4.6

La Commissione propone l'elaborazione di un Libro bianco relativo al quadro finanziario, alle entrate e alle spese. Si prevede la sostituzione dell'attuale sistema delle risorse proprie dell'UE con delle entrate più trasparenti ed indipendenti. La Commissione prende atto dell'intenzione del Parlamento europeo, di organizzare una conferenza con la partecipazione dei parlamenti nazionali. Il CESE esprime la volontà di partecipare a tale azione.

5.   Il sistema delle risorse proprie

Il sistema delle risorse proprie ha complessivamente beneficiato di scarsa attenzione nei due anni di negoziati sulle prospettive finanziarie.

5.1

Tale sistema non può essere valutato in modo esauriente se non presentando l'evoluzione del bilancio dell'integrazione europea. Detta evoluzione si può suddividere in quattro periodi, intercorsi tra il 1957 e il 2006.

 

1957-1969: periodo in cui ciascuna Comunità dispone di un proprio bilancio,

 

1970-1987: periodo dei bilanci annuali unici,

 

1988-1999 periodo dei primi due quadri finanziari determinati dalle politiche comunitarie,

 

2000-2006: periodo in cui le politiche comunitarie sono determinate dal bilancio.

Sin dall'inizio dell'integrazione europea il bilancio è stato determinato dall'esigenza di realizzare gli obiettivi comuni e di perseguire gli interessi degli Stati membri.

Nel complesso si può osservare che nel periodo di riferimento delle prime due prospettive finanziarie gli stanziamenti di impegno sono aumentati di pari passo all'evoluzione delle politiche comunitarie, cosa che è risultata determinante per il quadro finanziario della Comunità.

5.2

All'epoca della discussione relativa all'Agenda 2000, al motto di «stabilizzare le spese», i contributori netti al bilancio dell'Unione sono riusciti a ottenere una riduzione del margine di manovra in materia di bilancio. Per giustificare questa stabilizzazione delle spese hanno fatto appello all'esigenza di attenersi alla disciplina di bilancio prevista dal patto di stabilità e di crescita.

5.3

Dopo il fallimento del vertice di giugno 2005 la questione del riesame delle spese e delle risorse proprie del bilancio comunitario è divenuta essenziale. Tuttavia non si è svolto sinora un vero e proprio dibattito sulle risorse proprie. Su iniziativa della presidenza del Regno Unito, è stata adottata una clausola di riesame, basata sulla proposta presentata nel giugno 2005 dalla Commissione europea e già integrata nelle considerazioni finali dalla presidenza lussemburghese. Gli Stati membri si divisero in merito al tenore della clausola di riesame e alla scadenza per l'applicazione delle relative riforme. Il dibattito sul futuro del bilancio comunitario, che ebbe luogo nel quadro del riesame, fu di nuovo caratterizzato da punti di vista contrapposti, anche in questo caso determinati dalla posizione degli Stati in termini di contribuzione netta. Era chiaro che le grandi riforme non si sarebbero realizzate prima del 2013.

5.4

Se si considera il rapporto tra gli Stati membri e il bilancio comunitario da un punto di vista puramente contabile, tenendo conto solo del saldo netto degli stanziamenti e dei contributi, si riscontreranno delle differenze considerevoli ma molto ingannevoli. La collocazione tra i beneficiari o tra i contributori netti non dà nessuna indicazione in merito ai benefici che si generano a livello europeo, ossia del contributo delle politiche comunitarie all'aumento del reddito a livello macroeconomico nel mercato interno.

5.5

Il Comitato, come ha già sottolineato in precedenti pareri, non può accettare un approccio che dà la preminenza alla posizione di contributori netti degli Stati membri rispetto alle politiche intese a realizzare obiettivi comuni.

5.6

Il Comitato ritiene che il ruolo delle politiche comunitarie nella definizione del bilancio sia compatibile con la disciplina di bilancio a livello europeo. L'esigenza di imporre una disciplina di bilancio si è presentata per la prima volta nel quadro del primo pacchetto Delors, ma ciò non esclude che le politiche comunitarie svolgano un ruolo determinante nel rapporto tra le politiche e il bilancio dell'Unione.

5.7

L'aumento delle risorse riferite all'RNL, il cui ruolo si rafforzerà ulteriormente dopo il 2007, rappresenta un buon esempio di equità. Vi è tuttavia il rischio che l'aumento dei contributi basati sull'RNL rafforzi la tendenza ad assegnare un ruolo decisivo alla posizione di contributore netto. Le risorse riferite all'RNL provengono infatti da un trasferimento dal bilancio degli Stati membri e non mirano a garantire le risorse realmente proprie dell'UE.

6.   Il documento di lavoro relativo alla correzione britannica

6.1

Le modifiche della decisione relativa alle risorse proprie hanno permesso di elaborare un nuovo documento, che potrebbe entrare in vigore a partire dal 1o gennaio 2007 ed entro l'inizio del 2009, eventualmente con effetto retroattivo. Tale documento segue la proposta precedente perché mantiene l'aliquota uniforme di prelievo dell'IVA allo 0,30 %, ma se ne distacca prevedendo due eccezioni. Nel corso del periodo 2007-2013, l'aliquota di prelievo della risorsa IVA per l'Austria è fissata allo 0,225 %, per la Germania allo 0,15 % e per i Paesi Bassi e la Svezia allo 0,10 %. Nello stesso periodo i Paesi Bassi e la Svezia potranno beneficiare di una riduzione lorda pari rispettivamente a 605 e a 150 milioni di euro del loro contributo annuo riferito all'RNL.

6.2

Entro il 2013 il Regno Unito parteciperà pienamente al finanziamento dei costi dell'ampliamento negli Stati membri che hanno aderito dopo il 30 aprile 2004, ad eccezione delle spese di mercato relative alla PAC. Rispetto alla decisione attualmente in vigore il contributo complementare del Regno Unito non potrà superare il tetto di 10,5 miliardi di euro nel periodo 2007-2013. In caso di ulteriori ampliamenti, fatta eccezione per l'adesione di Bulgaria e Romania, la correzione verrà adeguata. Nelle decisioni relative al riesame del sistema, il Consiglio stima necessario procedere ad un'approfondita revisione delle prospettive finanziarie; esso chiede inoltre di riesaminare le risorse proprie dell'UE tenendo conto della PAC e della correzione britannica e attende un rapporto in materia nel periodo 2008-2009.

6.3

Nella sua proposta la Commissione prevede di applicare l'aliquota ridotta di prelievo dell'IVA prima di calcolare la correzione britannica, ma di procedere alla riduzione dei contributi riferiti all'RNL solo dopo averla calcolata. Mentre il Regno Unito ritiene che bisogni eseguire tali due misure prima di calcolare la correzione britannica, altri 17 Stati membri considerano che occorra farlo dopo. La proposta del Regno Unito farebbe aumentare l'importo della correzione e quindi gli oneri a carico degli altri Stati membri.

6.4

Il CESE condivide l'osservazione della Corte dei conti, secondo cui qualsiasi meccanismo di correzione compromette la semplicità e la trasparenza del sistema delle risorse proprie. La Corte dei conti formula numerose osservazioni sull'attuale sistema delle risorse proprie e sulle relative lacune. In particolare vengono osservate e sottolineate le carenze in materia di gestione, di coerenza e di trasparenza. La Corte osserva al tempo stesso che lo squilibrio di bilancio non può essere risolto da una regola di calcolo.

6.5

Nel quadro delle modeste modifiche del sistema delle risorse proprie riveste un'importanza particolare l'adattamento delle modalità di calcolo della correzione britannica. L'accordo del dicembre 2005 prevede l'esclusione, progressiva a partire dal 2009 e integrale dopo il 2011, delle spese effettuate a beneficio dei nuovi Stati membri, ad eccezione delle spese di mercato relative alla PAC e dei pagamenti diretti ai produttori. Ciò consente di evitare che la correzione britannica cresca in proporzione ai costi dell'ampliamento.

7.   Osservazioni generali

7.1

Il Comitato condivide il giudizio del Parlamento europeo, secondo cui le risorse riferite all'IVA e all'RNL, il cui obiettivo iniziale era quello di integrare le risorse proprie dell'UE, sono progressivamente divenute la principale fonte di finanziamento del bilancio comunitario e l'applicazione di regimi di deroga all'attuale sistema delle risorse proprie non ha fatto altro che renderlo più complesso, poco trasparente agli occhi dei cittadini e meno equo, creando così un sistema di finanziamento che genera disparità inaccettabili tra gli Stati membri.

7.2

Concorda col giudizio del Parlamento europeo, secondo cui è importante dotare l'Europa che si allarga di risorse finanziarie appropriate e proporzionate alle sue crescenti ambizioni politiche. Le prospettive finanziarie costituiscono un quadro finanziario il cui obiettivo è garantire la realizzazione delle priorità dell'UE tenendo conto della disciplina di bilancio. Non si tratta quindi di un bilancio per sette anni.

7.3

Il CESE segnala che il massimale delle risorse proprie stabilito nel 1993 per l'UE a 15, pari all'1,31 % dell'RNL totale dell'Unione per gli stanziamenti di impegno e all'1,24 % dello stesso importo per gli stanziamenti di pagamento è rimasto da allora invariato.

8.   Sintesi

8.1

Tenendo conto di quanto precede, il Comitato ritiene che l'accordo politico cui è pervenuto il Consiglio europeo nel dicembre 2005 comporti il prolungamento fino al 2013 del quarto periodo della storia del bilancio dell'UE, iniziato nel 2000, quello delle politiche comunitarie determinate dal bilancio.

8.2

L'aspetto chiave del prossimo bilancio consisterà nel por fine al ruolo determinante della posizione di contributore; abbiamo bisogno di un bilancio comune che sia totalmente o in gran parte indipendente dai bilanci nazionali. Tale indipendenza può essere garantita solo grazie a delle autentiche risorse proprie.

8.3

Il CESE è persuaso che l'autonomia del bilancio comunitario possa essere garantita solo da un sistema di risorse proprie fondato o su politiche comuni o su delle autentiche risorse proprie comunitarie, come ad esempio un'imposta comunitaria, o su una combinazione delle due cose. Dal punto di vista del futuro dell'Unione la soluzione più appropriata ai fini del metodo comunitario potrebbe consistere nel ricorso alle politiche comuni in quanto generatrici di risorse.

8.4

D'altro canto, malgrado la forte opposizione suscitata dall'imposta comunitaria fondata sulla sovranità di bilancio, riteniamo che per realizzare gli obiettivi comuni occorra creare delle risorse proprie in sostituzione dei contributi fondati sull'RNL.

8.5

Nell'adottare il sistema di risorse proprie occorre aver cura di applicare i principi della trasparenza, dell'efficacia, della flessibilità e della proporzionalità del finanziamento:

efficacia delle risorse: le risorse devono avere un impatto significativo sulle dimensioni del bilancio,

trasparenza e semplicità: il contributo degli Stati membri al bilancio dell'Unione dev'essere facilmente comprensibile per i cittadini,

efficacia della spesa: le spese amministrative di riscossione non devono essere eccessive rispetto all'entità delle risorse,

parità di contribuzione lorda: bisogna ripartire equamente gli oneri tra gli Stati membri, tenendo conto della situazione reale dei cittadini.

Bruxelles, 5 luglio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  GU C 253 del 7.10.2000.

(2)  GU C 74 del 23.3.2005.


16.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 309/107


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio sull'esenzione dall'imposta sul valore aggiunto e dalle accise delle merci importate da viaggiatori provenienti da paesi terzi

COM(2006) 76 def. — 2006/0021 (CNS)

(2006/C 309/22)

La Commissione, in data 22 febbraio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 giugno 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore BURANI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 5 luglio, nel corso della 428a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere all'unanimità.

1.   Introduzione

1.1

La proposta della Commissione riguarda l'armonizzazione delle disposizioni relative all'importazione di merci contenute nei bagagli al seguito di viaggiatori, importate da paesi terzi e soggette per loro natura al pagamento dell'IVA o delle accise. Entro certi limiti, tali merci sono sempre state liberamente importate in franchigia: la disposizione originaria si trova nella direttiva 69/169/CEE del 28 maggio 1969, che da allora è stata modificata diciassette volte e che ora dovrebbe venire sostituita dall'iniziativa in esame.

1.2

Il sistema deve essere mantenuto in vigore, «sia al fine di evitare la doppia imposizione, sia nei casi in cui, date le condizioni alle quali le merci vengono importate, non sussiste l'esigenza di proteggere l'economia» (1). La Commissione ritiene che, fermo restando il principio ispiratore, il numero delle modifiche intervenute dalla data di origine, l'allargamento e la configurazione delle nuove frontiere esterne costituiscano un motivo sufficiente perché si provveda ad una completa revisione e alla sostituzione della direttiva d'origine.

1.3

Il problema, di per sé semplice, è complicato dalla necessità di regolamentare l'importazione di prodotti «sensibili», e cioè il tabacco e le bevande alcoliche. Anche se il problema è sempre esistito, l'allargamento dell'Unione introduce nuove prospettive pur lasciando invariate le questioni di fondo: la diversa situazione geografica e sociale dei paesi membri, i diversi orientamenti e le forti differenze dei livelli di fiscalità. Il risultato finale dipenderà dalla possibilità di trovare un punto d'incontro sulla proposta di armonizzazione della Commissione.

2.   Osservazioni di carattere generale

2.1

In origine la direttiva riguardava le persone che viaggiavano all'interno della Comunità; dal 1993, in coerenza con i principi del mercato unico, le restrizioni ai movimenti di merci fra paesi membri sono, in linea di massima, cadute. La modifica delle frontiere esterne della Comunità a seguito dell'allargamento ha introdotto nuovi elementi di valutazione; come dice la Commissione, tali frontiere «includono ora, fra l'altro, confini con Russia, Ucraina e Bielorussia».

2.1.1

Il CESE ne prende nota, ma osserva che, oltre alle frontiere citate, ad Est ne esistono altre che costituiscono un problema per i paesi di nuova adesione a causa di consistenti differenze nel livello dei prezzi con alcuni paesi terzi confinanti; senza dimenticare che si sono create nuove frontiere marittime a seguito dell'adesione di Cipro e di Malta.

2.1.2

Le deroghe a suo tempo concesse ad alcuni Stati membri, in considerazione di problemi particolari, sono ora tutte scadute, ad eccezione di quella concessa alla Finlandia, ancora autorizzata fino al 2007 ad applicare un limite non inferiore a 16 litri alle importazioni di birra da paesi terzi. Il CESE, che si è sempre pronunciato contro il regime delle deroghe, se ne compiace; tuttavia in questo caso un regime uniforme per tutti i venticinque paesi potrebbe creare qualche problema, come si vedrà in seguito.

2.2

La proposta di direttiva aumenta le soglie di valore della franchigia attuale: da 175 euro a 500 euro per i viaggiatori aerei e a 220 euro per tutti gli altri viaggiatori. Nella relazione introduttiva la Commissione giustifica queste misure dicendo che «Tenuto conto del costo e dello sforzo richiesti da un viaggio aereo si può supporre che tale tipo di viaggio sia probabilmente meno frequente rispetto ai viaggi marittimi o via terra. I passeggeri aerei inoltre hanno limiti naturali quanto a quello che possono comprare e trasportare, non possono cioè trasportare articoli ingombranti». La reale motivazione sembra però essere un'altra: il quarto «considerando» dice infatti che «Le soglie monetarie devono essere stabilite tenendo conto delle difficoltà cui devono far fronte gli Stati membri confinanti con paesi terzi in cui i prezzi siano notevolmente inferiori …».

2.2.1

Il CESE ritiene che la causa della discrasia fra quanto affermato nella relazione introduttiva e il citato quarto «considerando» vada ricercata prevalentemente in una preoccupazione di carattere fiscale. Non avrebbe senso infatti parlare di «articoli ingombranti» (cfr. punto precedente): esistono merci di ingombro ridotto e di valore rilevante (macchine fotografiche, computer portatili, orologi, gioielli, ecc.) la cui importazione sarebbe consentita ai viaggiatori aerei ma non a quelli in automobile, in ferrovia o ai passeggeri delle navi da crociera. L'altra affermazione, secondo la quale il viaggio aereo sarebbe «meno frequente rispetto ai viaggi marittimi o via terra» e richiederebbe «costi e sforzi», sembra riferirsi a situazioni particolari piuttosto che al fenomeno in generale: i viaggi aerei (e in particolare i low cost) fanno parte della vita quotidiana di milioni di operatori economici e di turisti che ogni anno si recano nei paesi terzi.

2.2.2

Il CESE non ritiene accettabile che la considerazione di situazioni particolari porti alla redazione di norme di armonizzazione che operano una discriminazione fra i cittadini in base al mezzo di trasporto da essi utilizzato. Sebbene, come già accennato al precedente punto 2.1.2, il CESE si sia più volte pronunciato contro il sistema delle deroghe e vi rimanga contrario in linea di principio, esso ritiene che in questo caso tale sistema sia la sola via percorribile, da utilizzare peraltro soltanto qualora uno o più Stati membri possano provare — rispettando il principio della proporzionalità — che un limite generale di 500 euro costituisce una insopportabile perdita per le loro entrate fiscali.

2.3

La proposta di direttiva mantiene le limitazioni quantitative in materia di tabacchi e di alcol. Per quanto riguarda i tabacchi, si fa riferimento alla Convenzione OMS, ratificata dall'UE il 30 giugno 2005, che raccomanda di vietare o limitare le importazioni dei prodotti del tabacco da parte dei viaggiatori internazionali. Tenendo presente questa raccomandazione, la Commissione propone un sistema uniforme di riduzione dei limiti quantitativi di tali prodotti, «al fine di garantire parità di trattamento a tutti i cittadini che entrano nell'UE».

2.3.1

Il CESE manifesta il proprio accordo, pur esprimendo qualche riserva sulle motivazioni a proposito del tabacco, che come le altre appaiono di carattere fiscale piuttosto che sanitario; la dimostrazione è che con l'articolo 9, paragrafo 2 si accorda agli Stati membri il diritto di applicare livelli minimi di importazione di tabacco, molto più bassi di quelli normali. Ferma restando la dannosità del tabacco, sembrerebbe, per assurdo, che essa lo sia in misura diversa a scelta degli Stati membri.

2.4

La Commissione propone inoltre l'abolizione dei limiti quantitativi per i profumi, il caffè e il tè. Si è tenuto conto del fatto che i profumi non sono più soggetti ad accise in base alla legislazione comunitaria, che il caffè lo è in cinque Stati membri e il tè in uno solo. A questo proposito, la relazione introduttiva formula una considerazione di valore fondamentale  (2) l'abolizione dei limiti quantitativi si impone «perché essi non rispecchiano più il modello reale di tassazione … [nei] 25 paesi membri». In altri termini, i limiti sono aboliti perché solo pochi fra i 25 Stati membri ancora applicano le accise sui suddetti prodotti.

2.4.1

Il CESE è senz'altro d'accordo sull'abolizione di queste misure e nota, per inciso, che in questo caso è stata adottata la regola secondo la quale, tenuto presente il principio della proporzionalità, gli interessi collettivi prevalgono su quelli dei singoli.

2.5

È proprio dal punto di vista della proporzionalità che la proposta di direttiva presta talvolta il fianco a qualche critica. In linea generale, e con riferimento alla norma di cui al punto 2.4, il CESE richiama l'attenzione sulla necessità che ogni iniziativa sia ispirata alla coerenza nell'applicazione di un certo principio a tutti gli aspetti della regolamentazione e non solo a taluni di essi. Questa affermazione risulterà più chiaramente giustificata dai commenti relativi ai singoli articoli.

3.   Osservazioni specifiche

3.1

Articoli 2, 4, 5 e 7: applicazione della direttiva. Questi articoli stabiliscono che l'esenzione dall'IVA e dalle accise venga accordata per le merci importate nel bagaglio personale del viaggiatore («bagaglio appresso») che ha attraversato un paese terzo; essa si applica solo se l'interessato non è in grado di dimostrare che le merci sono state acquistate in un paese dell'UE e non beneficiano di un rimborso di IVA o di accise. Nel calcolo del valore delle merci non si tiene conto degli effetti personali importati temporaneamente o reimportati a seguito di esportazione temporanea.

3.1.1

La norma, che pure esisteva già in precedenza, continua ad imporre oneri gravosi al viaggiatore, che dovrebbe portare con sé le fatture comprovanti l'acquisto in un paese dell'UE degli articoli già di sua proprietà, particolarmente quelli più costosi, oppure provvedersi in partenza di una dichiarazione di esportazione temporanea.

3.1.2

Il CESE si rende conto d'altra parte che non esistono soluzioni più semplici; rileva tuttavia che nel regolamento di esecuzione, o in altro modo, la Commissione potrebbe utilmente raccomandare agli Stati membri di pubblicizzare questa norma nei modi più opportuni, con avvisi alle frontiere di uscita e con il suo inserimento tra le avvertenze generali diffuse dagli operatori turistici e nei biglietti aerei e marittimi.

3.2

Articolo 8: soglie monetarie. Il valore totale delle merci importabili in esenzione è di 500 euro per i viaggiatori aerei e di 220 euro per tutti gli altri viaggiatori. È prevista la facoltà per gli Stati membri di ridurre il limite a una soglia non inferiore a 110 euro per viaggiatori di meno di 15 anni. I limiti di valore si applicano a tutte le merci, ad eccezione del tabacco e dell'alcol, per i quali sono fissati limiti quantitativi.

3.2.1

Il CESE ha già espresso le sue perplessità (cfr. punto 2.2.2) a proposito di questa discriminazione dei cittadini in base al mezzo di trasporto utilizzato. Sembra evidente che alla base di questa distinzione sia la particolare situazione di alcuni Stati membri confinanti con paesi terzi nei quali sono praticati prezzi molto più bassi, anche come conseguenza di forti differenze di fiscalità. L'applicazione del principio di proporzionalità (cfr. punti 2.4.1 e 2.5), con deroghe concesse in casi specifici e di comprovata necessità, risolverebbe il problema.

3.2.2

Il CESE — richiamandosi a quanto già detto nel punto 2.2.2 — conferma la sua proposta di estendere in linea generale la soglia di 500 euro a tutti i viaggiatori, senza distinzioni in base al mezzo di trasporto utilizzato. Una soglia elevata presenterebbe il vantaggio di alleggerire le dogane da gravosi compiti di controllo sulla generalità dei viaggiatori, specialmente nei periodi di intensi flussi turistici, permettendo una più efficace attenzione ai casi di vero e proprio contrabbando. È da rilevare a questo proposito che l'esperienza e la professionalità permette ai doganieri di applicare con relativa facilità la fondamentale distinzione fra il «turista» (reo, al massimo, di un illecito amministrativo) e il «contrabbandiere», le cui azioni rientrano fra i reati penalmente perseguibili. Resta aperto il problema dei viaggiatori «abituali» (né turisti né lavoratori e nemmeno frontalieri), le cui importazioni rientrano nel fenomeno del piccolo traffico a scopo di lucro.

3.3

Articolo 9: limiti quantitativi per il tabacco. L'esenzione da IVA e accise per il tabacco è soggetta a limiti quantitativi. I limiti quantitativi normali sono di 200 sigarette, o 100 sigaretti, o 50 sigari o 250 grammi di tabacco da fumo. È prevista la facoltà per gli Stati membri di fissare limiti quantitativi ridotti : 40 sigarette o 20 sigaretti o 10 sigari o 50 grammi di tabacco da fumo: tali limiti possono essere applicati dagli Stati membri a tutti i viaggiatori, oppure limitatamente ai viaggiatori che non utilizzano il mezzo aereo.

3.3.1

Fermo restando il dissenso per limiti quantitativi diversi, già manifestato in merito alle soglie monetarie, il CESE aggiunge la considerazione che i limiti ridotti provocherebbero pesanti disagi ai turisti in automobile di nazionalità UE che transitano attraverso diversi paesi (comunitari e non) e che non hanno come destinazione finale il paese che applica i predetti limiti. Se si considera l'importanza del turismo e la necessità di favorirlo anziché ostacolarlo con misure che presuppongono l'adozione di stringenti controlli alle frontiere, il CESE suggerisce di adottare una disposizione di esenzione specifica per questi casi.

3.4

Articolo 10: limiti quantitativi per l'alcol. Analogamente a quanto disposto per il tabacco, anche per l'alcol vengono mantenuti i limiti quantitativi già in vigore, così modificati e suddivisi in due categorie: la prima di 1 litro di distillati o liquori con titolo superiore a 22 % vol. o di alcol etilico con titolo uguale o superiore a 80 % vol., la seconda di 2 litri di «prodotti intermedi» e vini spumanti. Le due categorie rappresentano limiti non cumulabili. In aggiunta ai predetti quantitativi, viene ammessa l'importazione in esenzione di 4 litri di vino tranquillo e 16 litri di birra. Le esenzioni non si applicano ai minori di 17 anni.

3.4.1

Il CESE è d'accordo in linea generale con le misure proposte, ma attira l'attenzione su alcuni dettagli di non secondaria importanza. In primo luogo, l'alcol con titolo superiore a 80 % vol., previsto nella prima categoria, si trova normalmente in commercio soltanto a 98 o 99 % vol., e con 1 litro di questo prodotto si possono preparare 3 litri di bevanda alcolica a 33 % vol.: l'equiparazione con 1 litro di distillato o liquore sembra quindi arbitraria. Per quanto riguarda la categoria dei «vini spumanti», nei quali rientrano sia i vini di pregio (champagne) sia vini di ben diversa natura, il CESE ritiene che dovrebbe essere soppressa la distinzione con i «vini tranquilli» in quanto si tratta pur sempre di «vini» senza riferimento al loro valore.

3.4.2

Una riserva esplicita viene espressa invece per quanto riguarda i quantitativi di vino e di birra: esiste una chiara sproporzione fra i 4 litri di vino e i 16 di birra, penalizzante per i viaggiatori dei paesi che non sono abituali consumatori di birra. Anziché stabilire un limite comune, sarebbe necessario stabilire limiti quantitativi separati ed alternativi per i due tipi di bevande.

3.5

Per quanto riguarda i carburanti, l'esenzione è applicata al contenuto del serbatoio del veicolo e a 10 litri in un contenitore portatile, ma sono previste deroghe quando esistano disposizioni nazionali restrittive.

3.5.1

Il CESE invita la Commissione a rivedere radicalmente questa norma. In primo luogo, la situazione dei distributori di carburante non giustifica l'esenzione estesa ai contenitori portatili, in aggiunta al contenuto del serbatoio; questa facilitazione dovrebbe essere soppressa, se non altro in considerazione della pericolosità del trasporto di carburante fuori dal serbatoio. Va ricordato inoltre che il codice della strada di molti paesi già vieta questa pratica. Il divieto dovrebbe essere esteso ad eventuali contenitori supplementari incorporati nel veicolo; per gli autocarri, che spesso sono dotati di due contenitori, il divieto dovrebbe riguardare i contenitori non omologati al momento della loro messa in circolazione.

3.5.2

In secondo luogo, le disposizioni nazionali restrittive, anche se giustificate da disparità di prezzo fra Stati confinanti, non possono essere estese ai turisti di paesi diversi da quello che applica le restrizioni, per le stesse ragioni espresse nel precedente punto 3.3.1. Le restrizioni, se ritenute necessarie, potrebbero rientrare fra quelle previste per le persone residenti nelle zone di frontiera e per i lavoratori transfrontalieri, secondo quanto previsto nel successivo articolo 14 della proposta di direttiva.

3.6

Articolo 14: frontalieri. Disposizioni particolari, che confermano quelle esistenti, sono previste per i «frontalieri» (persone residenti in una zona di frontiera) e per i lavoratori frontalieri (lavoratori residenti in un paese UE che lavorano nella zona di frontiera di un paese terzo confinante, o residenti in un paese terzo che lavorano nella zona di frontiera di un paese UE confinante). Per queste categorie viene lasciata agli Stati membri la facoltà di ridurre le soglie monetarie e/o i limiti quantitativi. La direttiva definisce la «zona di frontiera»«come un territorio che in linea d'aria non si estende oltre i quindici chilometri». Il CESE ritiene che tale delimitazione sia arbitraria e non tenga conto delle caratteristiche geografiche, economiche e sociali di ciascuna zona di frontiera: ciascuno Stato membro dovrebbe avere la facoltà di delimitare le proprie zone a seconda delle circostanze; fra l'altro, una maggiore flessibilità permetterebbe a taluni Stati membri di far fronte al preoccupante fenomeno del «contrabbando atipico» esercitato alle frontiere terrestri dei paesi dell'Est europeo.

3.7

Infine, la data di entrata in vigore della direttiva viene fissata al 31 dicembre 2006: un termine che può essere considerato ragionevole soltanto ipotizzando un iter legislativo rapido e senza ostacoli.

Bruxelles, 5 luglio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Cfr. COM(2006) 76 def. — 2006/0021 (CNS), primo «considerando».

(2)  Cfr. ibidem, 1) Contesto della propostaMotivazioni e obiettivi della proposta: 4o trattino.


16.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 309/110


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Attuazione del programma comunitario di Lisbona: stimolare lo spirito imprenditoriale attraverso l'istruzione e l'apprendimento

COM(2006) 33 def.

(2006/C 309/23)

La Commissione, in data 5 aprile 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 giugno 2006, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice Ingrid JERNECK.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 6 luglio 2006, nel corso della 428a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 122 voti favorevoli, 16 voti contrari e 10 astensioni.

La posizione del CESE: punti fondamentali

L'imprenditorialità concerne la capacità di una persona di tradurre le idee in azioni. La formazione all'imprenditorialità promuove l'innovazione, la creatività e l'autostima. Per stimolare lo spirito imprenditoriale attraverso l'istruzione e l'apprendimento è necessario intervenire come segue:

le basi dell'istruzione e della formazione imprenditoriale vanno fornite già in età precoce,

inserire l'imprenditorialità nei programmi complementari di studi, dalla scuola primaria fino all'istruzione superiore,

realizzare una cooperazione concreta ed efficace tra scuole/università e imprese,

coinvolgere gli insegnanti, valorizzando il loro sviluppo personale,

coinvolgere sia i datori di lavoro che i lavoratori nella messa a punto dei programmi di studi in materia di imprenditorialità,

assicurare il forte coinvolgimento e la presenza della società civile nel processo di apprendimento,

tener conto, nella scuola, dell'importanza delle imprenditrici allo scopo di favorire un buon equilibrio tra i due sessi,

promuovere l'imprenditorialità anche tra i disabili,

riconoscere l'importanza delle buone prassi, valutando i progressi compiuti tramite convegni annuali organizzati dalla Commissione,

tenere presente l'importanza dei media e dell'immagine che questi offrono del mondo delle imprese,

tra i tanti modelli adottati negli Stati membri, prevedere la possibilità di ricorrere all'Entrepreneurial Staircase,

valorizzare gli sportelli unici, per agevolare la costituzione di imprese,

indire l'Anno europeo dell'imprenditorialità, su proposta della Commissione,

integrando lo spirito imprenditoriale nell'istruzione e nella formazione, creare i presupposti per comunicare e avvicinare l'Europa ai cittadini.

1.   Sintesi del documento della Commissione

1.1

Nel febbraio 2005 la Commissione ha proposto di dare un nuovo slancio alla strategia di Lisbona, concentrando gli sforzi dell'Unione europea su due compiti principali: garantire una crescita più forte e durevole, e creare posti di lavoro più numerosi e di migliore qualità. Il nuovo partenariato per la crescita e l'occupazione sottolinea quanto sia importante, a tale scopo, promuovere una cultura più imprenditoriale e creare un ambiente più favorevole alle PMI.

1.2

È necessario creare un clima sociale maggiormente favorevole allo spirito imprenditoriale, adottando una politica integrata che miri non solo a trasformare le mentalità, ma anche a migliorare le qualifiche dei cittadini europei e ad eliminare gli ostacoli che frenano l'avviamento, il trasferimento e la crescita delle imprese.

1.3

L'imprenditorialità costituisce una competenza fondamentale per la crescita, l'occupazione e la realizzazione personale. Pur riconoscendo che la competenza imprenditoriale deve essere acquisita attraverso l'apprendimento permanente, la comunicazione della Commissione pone l'accento sull'insegnamento, dalla scuola primaria fino all'università, compreso l'insegnamento professionale di livello secondario (formazione professionale iniziale) e quello fornito da istituti d'insegnamento tecnico di livello superiore.

1.4

L'istruzione formale in Europa non ha mai puntato a favorire l'accesso all'imprenditorialità e all'attività autonoma. Le iniziative già adottate a favore della formazione all'imprenditorialità sono sì numerose, ma non sempre si inscrivono in un contesto coerente. Con le sue proposte, basate su prove concrete e prassi consolidate, la Commissione intende contribuire alla definizione di approcci più sistematici nei confronti della formazione all'imprenditorialità, nonché a rafforzare il ruolo che l'istruzione può svolgere nella creazione di una cultura europea più marcatamente imprenditoriale. La maggior parte di queste azioni deve essere promossa a livello nazionale o locale.

1.5

La comunicazione servirà da riferimento per l'analisi dei progressi compiuti nell'elaborazione delle politiche, in particolare attraverso le relazioni di Lisbona, che gli Stati membri presenteranno nel quadro degli orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione.

2.   Osservazioni generali del CESE

2.1

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione. Una più intensa attività imprenditoriale è infatti importante per favorire la crescita economica necessaria a mantenere in vita il modello sociale europeo e a garantire il successo della strategia di Lisbona. L'Europa ha bisogno di più imprenditori dotati delle competenze necessarie per poter competere sui mercati. Tuttavia, come la stessa Commissione riconosce, l'istruzione all'imprenditorialità presenta vantaggi che vanno al di là della proliferazione di nuove imprese, del lancio di progetti innovativi e della creazione di posti di lavoro. Lo spirito imprenditoriale va visto non solo come una competenza fondamentale e come un'opportunità per fare carriera, ma anche quale elemento essenziale della crescita personale: sviluppando lo spirito d'iniziativa e insegnando ad affrontare l'insuccesso esso, infatti, stimola la creatività, l'innovazione e l'autostima. In questo caso non si tratta di insegnare a fare l'imprenditore, bensì d'instillare nell'individuo un atteggiamento intraprendente. La formazione imprenditoriale può inoltre servire ai lavoratori per aver consapevolezza del contesto in cui operano e per poter cogliere le opportunità che si offrono: l'imprenditorialità è la capacità di un individuo di tradurre le idee in azioni (1).

2.2

Il CESE sostiene l'importanza vitale di incrementare l'attività imprenditoriale modificando la mentalità e gli atteggiamenti, già in età precoce. Lo spirito imprenditoriale va inoltre considerato come un processo di apprendimento permanente che inizia nella scuola primaria (vengono qui sviluppate specifiche capacità imprenditoriali in aggiunta alle conoscenze e alla cultura generali acquisite nel quadro dell'istruzione formale, ad es. la creatività, lo spirito d'iniziativa e un approccio attivo nei confronti della conoscenza e dell'apprendimento, ecc.). Ciò può offrire una maggiore flessibilità nelle diverse fasi della vita di una persona, contribuendo a una presenza equilibrata dei due sessi sul mercato del lavoro. Non vanno dimenticati però il ruolo delle famiglie e il loro atteggiamento nei confronti dell'imprenditorialità.

2.3

Il CESE accoglie con favore le conclusioni del Consiglio europeo di primavera (2), che «sottolinea (…) l'esigenza di creare un clima imprenditoriale globalmente favorevole (…) e invita gli Stati membri a rafforzare le rispettive misure, anche mediante l'istruzione e la formazione imprenditoriale. (…) Nei PNR [programmi nazionali di riforma] e nelle pertinenti relazioni, dovrebbero essere menzionate esplicitamente misure intese a migliorare l'ambiente in cui operano le PMI e a incoraggiare un maggior numero di persone a diventare imprenditori, in particolare donne e giovani».

2.4

Il CESE apprezza il suggerimento d'istituire sportelli unici per agevolare e accelerare la creazione di imprese. Si tratta infatti di un fattore importante per la crescita generale e l'aumento dell'occupazione. Tuttavia, come il CESE ha già dichiarato, le barriere che gli imprenditori incontrano prima e dopo la creazione della loro impresa sono ben più forti di quanto si pensi. Concentrare l'attenzione sul tentativo di accelerare la registrazione di una nuova impresa potrebbe involontariamente ridurre il tempo che un imprenditore, prima di avviare tale impresa, dedica ad attività essenziali quali la ricerca, la pianificazione, la creazione di capacità e la valutazione generale della nuova attività (3). A questo proposito, il CESE ribadisce l'opportunità di prestare attenzione non soltanto all'avviamento, ma anche al trasferimento di imprese.

2.5

Alcuni pareri del CESE (4) hanno già esaminato questioni regolamentari, fiscali e finanziarie, tutti fattori che influiscono sull'imprenditorialità.

2.6

Pur sostenendo e condividendo le proposte e le raccomandazioni contenute nella comunicazione, il CESE formula le seguenti osservazioni.

3.   Osservazioni specifiche

3.1   Lo spirito imprenditoriale nell'istruzione

3.1.1

L'acquisizione dello spirito imprenditoriale è un processo di apprendimento permanente che deve essere avviato in età precoce e dovrebbe accompagnare, come una sorta di «ritornello», l'intero sistema di istruzione. L'istruzione primaria, secondaria e superiore dovrebbero fornire una base migliore per acquisire capacità e caratteristiche che renderanno possibile, più tardi, indipendenza e spirito imprenditoriale. Un'istruzione di ampio respiro e di buona qualità sarà una buona base per intraprendere, in seguito, un'efficace formazione specifica finalizzata alle attività imprenditoriali. Del resto, come emerge da una recente indagine (5), i programmi di formazione all'imprenditorialità sono essenziali per incoraggiare i giovani a considerare il lavoro autonomo come uno sbocco professionale alternativo. Tali programmi si sono inoltre dimostrati in grado di migliorare l'attitudine degli studenti a risolvere i problemi e la loro capacità di acquisire autostima, nonché di insegnare loro il valore della collaborazione e del lavoro di squadra. La formazione all'imprenditorialità comporta tuttavia una partecipazione attiva a tale processo, e non solo un assorbimento passivo. Da uno studio condotto dall'Università svedese di Lund (6) risulta che le capacità imprenditoriali si acquisiscono principalmente grazie all'esperienza e alla pratica lavorativa, e non solo tramite l'istruzione formale.

3.1.2

Lo sviluppo di uno spirito imprenditoriale è importante nell'istruzione secondaria e superiore di orientamento sia teorico che professionale e, suscitando interesse per varie tipologie di formazione, può avere anche un impatto positivo di più lungo periodo. A questo proposito il CESE rileva che nell'elaborare i programmi di studi è opportuno considerare diversi tipi di cultura d'impresa.

3.1.3

Una delle soluzioni consiste nel creare, in tempo utile, contatti solidi tra istituti di insegnamento, imprese, governo, autorità competenti e comunità locali. Le amministrazioni scolastiche dovrebbero collaborare con gli imprenditori, con l'obiettivo di migliorare il livello dell'istruzione. I datori di lavoro e i lavoratori dipendenti, da parte loro, dovrebbero acquisire visibilità e svolgere un ruolo adeguato in tale processo. Il CESE concorda con la Commissione sulla necessità di affermare a chiare lettere l'importanza dell'imprenditorialità, inserendola a pieno titolo nei programmi di studi. Essa andrebbe altresì accompagnata da appropriate misure di attuazione. Il carattere orizzontale dell'imprenditorialità rende necessaria una stretta collaborazione fra tutti i ministeri interessati (istruzione/industria/economia), a garanzia di un approccio coordinato.

3.1.4

Il CESE ritiene opportuno sostenere le iniziative nazionali e locali, nonché lo scambio di buone prassi. A tale riguardo sarebbe auspicabile consultare la società civile organizzata (comprese le parti sociali, le associazioni di famiglie, ecc.).

3.1.5

Gli insegnanti, che devono essere opportunamente sensibilizzati sui vantaggi derivanti dall'istruzione imprenditoriale, nonché informati su come applicare questo tipo di programmi sin dalla scuola primaria, devono ricevere pieno appoggio. La scuola deve pertanto disporre non solo delle risorse umane e finanziarie necessarie, ma anche dell'autonomia sufficiente per poter svolgere questo ed altri compiti. Gli insegnanti devono capire che l'istruzione degli studenti, per essere completa, deve insegnare loro l'autonomia, la curiosità e l'approccio critico, stimolandoli ed aiutandoli a sviluppare lo spirito imprenditoriale. Per questo motivo gli insegnanti devono essere appoggiati e indotti a sentire che questa forma di istruzione può costituire anche per loro una fonte di arricchimento personale.

3.1.6

Il CESE si rammarica che la prospettiva femminile, pur citata nella relazione introduttiva alla comunicazione, non sia stata ulteriormente approfondita nel documento. Nella scuola secondaria le ragazze partecipano ad attività di «mini impresa» in percentuale uguale — o, in alcuni paesi, addirittura superiore — ai ragazzi. Dalle indagini condotte emerge tuttavia che, rispetto a una donna, un uomo ha più probabilità di avviare un'azienda propria, e nutre maggior fiducia nelle proprie capacità imprenditoriali (7). Si tratta di un fenomeno che merita maggiore attenzione e riguarda il sistema di istruzione in generale.

3.1.7

I disabili dovrebbero poter diventare imprenditori al pari di chiunque altro. L'istruzione e la formazione all'imprenditorialità dovrebbero tener conto di questo, fornendo forme di sostegno adeguate alle esigenze degli interessati. In questo processo andrebbero coinvolte le organizzazioni che rappresentano i disabili a livello europeo, nazionale e locale.

3.2   Diffusione delle buone prassi e follow-up

3.2.1

Nella comunicazione della Commissione viene elencato e raccolto quanto è stato fatto in materia, sulla base delle buone prassi finora invalse. Ora si tratta di stabilire come attuare e diffondere ulteriormente queste conclusioni, proposte e raccomandazioni.

3.3   Diffusione delle buone prassi

3.3.1

Il CESE, consapevole dell'enorme ricchezza di cui gli Stati membri dispongono in fatto di buoni esempi di programmi scolastici arricchiti con temi e attività intesi a sviluppare le competenze necessarie per una futura attività imprenditoriale, vorrebbe aggiungerne un altro, oltre a quelli menzionati nella comunicazione. Gli enti pubblici, al pari dei privati, partecipano alla formazione all'imprenditorialità. Occorre però verificare l'efficacia e la possibilità di un'applicazione più ampia di questo tipo di esperimenti di formazione, come ad esempio l'Entrepreneurial Staircase  (8). Questo modello, articolato in varie fasi che vanno dalla scuola primaria fino alla ricerca, ha dimostrato di poter introdurre l'istruzione all'imprenditorialità sin dalla più tenera età, proseguendo poi fino ai cicli di studi superiori:

7 anni: Flashes of genius, un'iniziativa per creare innovazioni semplici e pratiche,

15 anni: informazione e partecipazione attiva all'insegnamento da parte di aziende, organizzazioni ed enti,

18 anni: come diventare giovani imprenditori ed avviare mini imprese,

istruzione superiore: facoltà speciali e programmi dedicati all'imprenditorialità.

3.3.2

Il CESE ritiene importante organizzare un forum dedicato alle buone prassi. Le iniziative già adottate per individuare e condividere le prassi più riuscite andrebbero ulteriormente sviluppate negli Stati membri, grazie ad un'azione di coordinamento svolta dalla Commissione. Si pensi in particolare ai convegni che si tengono annualmente nel quadro della Carta europea per le piccole imprese. Da parte sua il CESE nutre grandi aspettative sul convegno che la Commissione intende organizzare nell'autunno 2006 per dar seguito alla sua comunicazione Stimolare lo spirito imprenditoriale. Il CESE chiede di coinvolgere tutti gli attori pubblici e privati interessati, e suggerisce di esaminare in tale occasione diversi modelli (tra cui l'Entrepreneurial Staircase). Il forum dovrà analizzare i modelli più riusciti, che possono facilitare, sin dalla scuola primaria, la creazione di condizioni (intellettuali e personali) propizie ad una futura capacità imprenditoriale e possono essere adattati alle condizioni e ai programmi di studi specifici di altri Stati membri. Il CESE propone inoltre che questo tipo di convegno, che serve a fare il punto della situazione, diventi un appuntamento annuale, in modo da poter valutare il seguito dato alle raccomandazioni della Commissione.

3.3.3

Nella comunicazione in esame la Commissione mette a confronto l'Europa con gli Stati Uniti, concludendo che in questi ultimi le attività imprenditoriali risultano maggiormente incoraggiate. In un precedente parere il CESE aveva constatato che, in percentuale, gli europei partecipano molto meno degli americani all'avviamento di nuove imprese e preferiscono il lavoro subordinato a quello autonomo. Numerosi osservatori ritengono che una delle ragioni principali che inducono gli europei a preferire il lavoro dipendente è il modello sociale europeo. Occorre studiare (a) se questi dati si prestino ad una valutazione comparativa tra Stati membri dell'Unione e tra questa e il resto del mondo; (b) quali siano le conseguenze di questa preferenza per il lavoro subordinato rispetto a quello autonomo; (c) se tale preferenza sia direttamente legata alla mancanza di dinamismo imprenditoriale in Europa e (d) se le soluzioni siano accettabili per la società europea (9).

3.3.4

L'imprenditorialità è importante per la società nel suo complesso. Nell'intento di favorire e risvegliare la sensibilità per la cultura imprenditoriale, nonché la comprensione dell'importanza dell'imprenditorialità per lo sviluppo globale di un paese, il CESE propone di indire l'Anno europeo dell'imprenditorialità (2009). A questo proposito il CESE ricorda che la revisione intermedia di numerosi programmi comunitari attinenti a questo ambito è prevista per il 2010. Il pubblico deve acquisire un atteggiamento positivo nei confronti dell'imprenditorialità. Le celebrazioni per l'Anno europeo offrirebbero inoltre l'opportunità di consolidare e rafforzare gli scambi di buone prassi già esistenti. Inoltre, l'Anno europeo può contribuire a far meglio conoscere l'Europa ai cittadini, avvicinandoli alle tematiche europee.

3.3.5

Come il CESE ha già avuto modo di sottolineare, i mezzi di comunicazione svolgono un ruolo essenziale nel trasmettere lo spirito imprenditoriale e nell'illustrare il funzionamento di un'impresa. Si tende però a prestare maggior attenzione alle grandi imprese e alle multinazionali, mentre sarebbe più opportuno mettere a punto strategie intese a mettere in luce il ruolo dell'imprenditore, in modo da promuovere l'immagine delle piccole e micro imprese, dei servizi e delle attività commerciali specializzate, nonché delle attività tradizionali e artigianali (10).

3.4   Follow-up

3.4.1

Dal momento che l'istruzione e la formazione figurano tra le competenze degli Stati membri, la questione del follow-up e dell'attuazione riveste un'importanza cruciale. Il CESE osserva che le relazioni di valutazione precedentemente previste dalla Carta europea per le piccole imprese sono state sostituite dalle relazioni generali da presentare nel contesto della strategia di Lisbona (orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione — orientamento n. 15). Il Comitato ritiene tuttavia che si potrebbero ancora introdurre dei quadri di valutazione a livello nazionale. La Commissione, da parte sua, dovrà definire obiettivi qualitativi e quantitativi per valutare i progressi compiuti secondo criteri di efficienza e a lungo termine, rispettando al tempo stesso il principio della sussidiarietà e la situazione specifica di ciascun paese. Le proposte contenute nella relazione finale del gruppo di esperti Educazione allo spirito imprenditoriale  (11) sono valide.

3.4.2

Il CESE rileva che numerosi programmi di formazione comunitari (in particolare Erasmus e Leonardo), i fondi strutturali (specialmente il Fondo sociale europeo) e il futuro Programma quadro per la competitività e l'innovazione (CIP) potrebbero fornire un contributo finanziario agli sforzi volti ad incoraggiare lo spirito imprenditoriale. Queste forme di sostegno non sembrano tuttavia essere coordinate tra loro. Per stimolare lo spirito imprenditoriale occorre pertanto una strategia coerente a livello comunitario. È necessario individuare con chiarezza i metodi e i finanziamenti, ed informare gli attori, a tutti i livelli, delle possibilità di finanziamento esistenti a livello comunitario.

3.4.3

Il CESE intende dare un seguito all'azione prioritaria adottata dalla presidenza finlandese per «sbloccare il potenziale delle imprese», come sollecitato dal Consiglio europeo di Bruxelles (12).

Bruxelles, 6 luglio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Proposta di raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a competenze chiave per l'apprendimento permanente (COM(2005) 548 def.).

(2)  Cfr. Consiglio europeo di Bruxelles del 23-24.3.2006, conclusioni della presidenza.

(3)  Parere CESE in merito al Libro verdeL'imprenditorialità in Europa (relatore: BUTTERS) — (GU C 10, del 14.1.2004, pag. 58).

(4)  Parere CESE in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniPiano d'azione: Un'agenda europea per l'imprenditorialità (relatore: BUTTERS) — (GU C 74, del 23.3.2005, pag. 1), parere CESE in merito al Libro verdeL'imprenditorialità in Europa (relatore: BUTTERS) — (GU C 10, del 14.1.2004, pag. 58).

(5)  Enterprise 2010The next generation, a cura di Junior Achievement Young Enterprise, settembre 2005.

(6)  Entrepreneurship, Career Experience and LearningDeveloping our Understanding of Entrepreneurship as an Experiential Learning Process, tesi elaborata da Diamanto Politis 2005, School of Economics and Management, Università di Lund, Svezia.

(7)  Global Entrepreneurship Monitor 2005, relazione.

(8)  Metodo introdotto dalla Confederazione delle imprese svedesi.

(9)  Cfr. nota 3.

(10)  Idem.

(11)  Relazione finale del gruppo di esperti Educazione allo spirito imprenditorialeProgredire nel promuovere gli atteggiamenti e le capacità imprenditoriali nella scuola primaria e secondaria, febbraio 2004.

(12)  Cfr. Consiglio europeo di Bruxelles del 23-24.3.2006, Conclusioni della presidenza.


ALLEGATO

Qui di seguito si riportano gli emendamenti che, pur essendo stati respinti durante il dibattito, hanno ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi (articolo 54, paragrafo 3, del Regolamento interno).

La posizione del CESE: punti fondamentali — quattordicesimo trattino

Modificare come segue:

 

indire l'Anno europeo dell'imprenditorialità, su proposta della Commissione,

Esito della votazione:

Voti favorevoli: 48

Voti contrari: 62

Astensioni: 15

Punto 3.3.4

Modificare come segue:

L'imprenditorialità è importante per la società nel suo complesso. Nell'intento di favorire e risvegliare la sensibilità per la cultura imprenditoriale, nonché la comprensione dell'importanza dell'imprenditorialità per lo sviluppo globale di un paese, il CESE propone di indire l'Anno europeo dell'imprenditorialità (2009) invita la Commissione ad intervenire con misure adeguate per spingere i cittadini ad A questo proposito il CESE ricorda che la revisione intermedia di numerosi programmi comunitari attinenti a questo ambito è prevista per il 2010. Il pubblico deve acquisire un atteggiamento positivo nei confronti dell'imprenditorialità e a. Le celebrazioni per l'Anno europeo offrirebbero inoltre l'opportunità di consolidare e rafforzare gli scambi di buone prassi già esistenti. Inoltre, l'Anno europeo può contribuire a far meglio conoscere l'Europa ai cittadini, avvicinandoli alle tematiche europee.

Esito della votazione:

Voti favorevoli: 60

Voti contrari: 73

Astensioni: 13


16.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 309/115


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro bianco su una politica europea di comunicazione

COM(2006) 35 def.

(2006/C 309/24)

La Commissione europea, in data 1o febbraio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro bianco su una politica europea di comunicazione.

Nel corso della 424a sessione plenaria del 15 e 16 febbraio 2006, il Comitato economico e sociale europeo ha deciso, a norma dell'articolo 19, paragrafo 1, del suo Regolamento interno, di istituire un sottocomitato incaricato di preparare i lavori in materia.

Il sottocomitato Politica europea di comunicazione ha formulato il proprio parere in data 22 giugno 2006, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice Jillian van TURNHOUT.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 6 luglio 2006, nel corso della 428a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 108 voti favorevoli, e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

Le osservazioni dettagliate del Comitato sulle cinque domande formulate nel Libro bianco della Commissione europea vengono esposte di seguito. In sintesi, il Comitato non è favorevole ad un'ulteriore carta o codice di condotta che stabilisca i principi generali, ma ribadisce l'invito rivolto alla Commissione ad affrontare il problema della mancanza di una base giuridica per la politica di comunicazione. Il Comitato richiama l'attenzione su un duplice problema relativo alle risorse: la mancanza di fondi e la scoraggiante complessità delle procedure burocratiche per la loro erogazione. Il Comitato plaude alle proposte pratiche riguardanti questioni quali l'educazione civica, sottolinea che per molte di esse la responsabilità primaria spetta agli Stati membri ed esorta fra l'altro i ministri dell'Istruzione a discutere un approccio comune alla storia dell'Unione europea. Per entrare in contatto con i cittadini sono necessari, da un lato, un insieme di messaggi chiari ed avvincenti e una visione precisa che i cittadini possano fare propria e, dall'altro, una concezione adeguata e strumenti per la comunicazione. Il CESE si dichiara pronto e disposto a lavorare insieme alle altre istituzioni e prende atto dei numerosi e positivi sviluppi interistituzionali intervenuti a livello centrale. Il Comitato, che appoggia fermamente un approccio decentrato, sollecita tuttavia la Commissione a riflettere ulteriormente su come agevolare lo sviluppo di autentiche sinergie e forme di cooperazione interistituzionale a livello decentrato. Il Comitato propone che l'addendum al protocollo di cooperazione fra la Commissione europea e il Comitato economico e sociale europeo, promesso per il dopo-Libro bianco, si concentri su questa particolare questione.

2.   Motivazione

2.1

Il Libro bianco della Commissione su una politica europea di comunicazione (COM(2006) 35 def.) è stato adottato il 1o febbraio 2006. Si tratta del terzo documento pubblicato dalla Commissione sul tema della comunicazione nel giro di sette mesi. Gli altri due sono stati il piano d'azione interno (SEC(2005) 985 def.), adottato il 20 luglio 2005, e la comunicazione intitolata «Il contributo della Commissione al periodo di riflessione e oltre: Un Piano D per la democrazia, il dialogo e il dibattito» (COM(2005) 494 def.), adottata il 13 ottobre 2005. Le istituzioni e gli organi dell'Unione europea sono invitati a rispondere al Libro bianco «attraverso i normali canali istituzionali». La Commissione fissa un periodo di sei mesi per le consultazioni, trascorso il quale essa valuterà attentamente le risposte «al fine di proporre dei piani d'azione per ciascun settore».

2.2

Da parte sua, il Comitato economico e sociale europeo ha elaborato recentemente due pareri relativi al tema della comunicazione, il primo intitolato Il periodo di riflessione: la struttura, gli argomenti e il quadro per una valutazione del dibattito sull'Unione europea (CESE 1249/2005 (1)), adottato il 26 ottobre 2005 e rivolto al Parlamento europeo, il secondo in merito alla comunicazione della Commissione sul piano D (CESE 1499/2005 (2)), adottato il 14 dicembre 2005. Entrambi i pareri hanno proposto una serie di raccomandazioni operative. Alla riunione del 6 aprile 2006 il gruppo Comunicazione del CESE ha avviato un processo di analisi sistematica dei progressi realizzati nell'attuazione di tali raccomandazioni operative.

2.3

Il presente parere sul Libro bianco non deve pertanto ripercorrere la strada che il Comitato ha già battuto e sta ancora battendo. Deve piuttosto cercare di rispondere alle domande relative ai cinque settori chiave d'azione individuati nel Libro bianco, ovverosia:

La definizione di principi comuni: come procedere?

Come entrare in contatto con i cittadini?

Come coinvolgere più efficacemente i media nella comunicazione sull'Europa?

Che cos'altro si può fare per sondare l'opinione pubblica europea?

Lavorare insieme

2.4

Oltre che dai due pareri summenzionati e dal Libro bianco della Commissione, il sottocomitato e la relatrice possono prendere spunto da parecchi altri documenti:

i verbali dei dibattiti svoltisi in occasione delle sessioni plenarie del CESE dal giugno 2005, compreso il dibattito del 20 aprile 2006 dedicato in particolar modo alle questioni sollevate nel Libro bianco ed elencate sopra,

le raccomandazioni emerse dai gruppi di lavoro dello Stakeholders' forum organizzato dal CESE sul tema Colmare il fossato, svoltosi a Bruxelles il 7 e 8 novembre 2005,

i resoconti sommari dei diversi dibattiti svoltisi nel gruppo Comunicazione,

il parere d'iniziativa del Comitato rivolto al Consiglio europeo del giugno 2006 e adottato il 17 maggio 2006,

le raccomandazioni emerse dai gruppi di lavoro dello Stakeholders' forum decentrato organizzato dal CESE sul tema Colmare il fossato, svoltosi a Budapest il 9 e 10 maggio 2006.

2.5

Il presente parere sul Libro bianco si divide in 5 sezioni, corrispondenti ai 5 temi individuati nel documento della Commissione, e si limita ad affrontare solo una o poche questioni chiave all'interno di ogni sezione.

3.   Osservazioni generali

3.1   La definizione di principi comuni: come procedere?

3.1.1

Per quanto riguarda specificatamente il settore della comunicazione sull'Europa, il ruolo degli Stati membri è fondamentale. In molti altri settori, invece, sono le imprese, le parti sociali e le componenti della società civile a svolgere un ruolo importante. In sintesi, in questi casi è la stessa società dinamica che svolge con successo un ruolo decisivo. Questo non avviene invece quando si tratta di comunicare l'Europa in generale.

3.1.2

La questione fondamentale consiste nello stabilire se il Comitato concordi o meno con la proposta della Commissione secondo cui «i principi comuni e le norme che dovrebbero servire da orientamento per le attività di informazione e di comunicazione sulle tematiche europee potrebbero essere delineati in un documento quadro — per esempio, una carta europea o codice di condotta sulla comunicazione. Il fine dovrebbe essere quello di un impegno comune di tutte le parti in causa (le istituzioni dell'UE, le autorità nazionali, locali e regionali, le organizzazioni non governative) per rispettare tali principi e garantire che la politica di comunicazione serva gli interessi dei cittadini.»

3.1.3

Il Comitato riconosce che la preoccupazione di fondo della Commissione europea in tale contesto nasce dall'assenza di un'autentica base giuridica per le attività di informazione e comunicazione dell'UE. Il Comitato si è già pronunciato chiaramente sull'argomento. In particolare, al punto 3.7 del parere del 26 ottobre 2005 indirizzato al Parlamento europeo in merito al periodo di riflessione (3), il Comitato esortava la Commissione a «valutare l'ipotesi di presentare una proposta legislativa per una vera politica della comunicazione, affrontando così la questione 'nascosta' della mancanza di una base giuridica, che ha portato alla creazione di così tanti meccanismi informali e all'adozione di un approccio non equilibrato. Secondo il Comitato, la presentazione di una siffatta proposta incoraggerebbe già di per sé il dibattito.»

3.1.4

Nel Libro bianco si afferma che, al termine del periodo di consultazione, la Commissione «presenterà i risultati della consultazione e stabilirà se proporre una carta, un codice di condotta o un altro strumento». Il Comitato è preoccupato per tale affermazione e intravede dei rischi in quello che sembrerebbe essere il potenziale approccio proposto dalla Commissione.

3.1.5

Quest'ultima fa riferimento a «principi e norme comuni», basandosi sulla pratica di alcuni Stati membri, ma tali principi e norme vanno al di là della comunicazione e dell'informazione. Una semplice dichiarazione di principi, sulla quale tutti potrebbero concordare — perché in realtà concordano già in merito — non apporterebbe alcun valore aggiunto. D'altro canto, un codice o una carta rischierebbero di apparire restrittivi. Inoltre tali principi sono già sanciti in una serie di testi di base. Se poi l'intenzione è quella di redigere un codice di condotta per i media e altri attori della comunicazione, ciò potrebbe essere visto come un tentativo di manipolare il dibattito o di soffocare gli atteggiamenti euroscettici. Tra l'altro, l'obiettivo di coinvolgere tutti questi attori appare poco realistico, dato che una delle lezioni che tutte le istituzioni devono trarre dalle esperienze dei referendum in Francia e nei Paesi Bassi sta proprio nel fatto che un numero crescente di attori non sostengono automaticamente il processo di integrazione. Infine, se tutti gli attori elencati nel Libro bianco dovessero sottoscrivere un tale codice, ciò vorrebbe dire che tutti hanno avuto pari responsabilità nell'affrontare la sfida della comunicazione dell'Unione europea. Secondo il Comitato sarebbe fuorviante dare tale impressione, dato che la responsabilità primaria spetta — e deve essere considerata come spettante — ai governi degli Stati membri.

3.1.6

Il Comitato osserva con preoccupazione il lancio da parte della Commissione di uno speciale forum Internet per raccogliere i pareri sull'auspicabilità di un documento quadro. Non tutti i cittadini europei hanno accesso ad un tale sistema basato su Internet. Sarebbe fondamentale supportare l'esercizio di consultazione mediante altri mezzi più tradizionali.

3.2   Come entrare in contatto con i cittadini?

3.2.1

Il Comitato rileva che le risorse finanziarie sono estremamente limitate. Inoltre, le procedure da applicare per l'erogazione dei fondi in seguito all'adozione del nuovo regolamento finanziario indubbiamente ostacolano e scoraggiano parecchi interventi lodevoli da parte della società civile.

3.2.2

Per riuscire a entrare in contatto con i cittadini bisogna agire sulle cause del loro scetticismo: in primo luogo, alcuni segmenti della società sono sempre più critici nei confronti dei risultati e dell'impatto delle decisioni politiche sulle loro condizioni di vita e di lavoro. In secondo luogo, vi è effettivamente una carenza di discorso politico e conseguentemente un'esigenza di comunicazione. Ma per essere efficace la comunicazione deve essere impostata diversamente.

3.2.3

Per una comunicazione efficace serve in primo luogo un messaggio chiaro e avvincente, una visione precisa che i cittadini siano disposti ad accettare: i cittadini vogliono che l'Europa sia un progetto politico che contempli anche un progetto socioeconomico, un modello europeo in grado di mantenere la coesione sociale e migliorare la competitività. Alcuni paesi hanno dimostrato che ciò è possibile.

3.2.4

La comunicazione è accentrata e si concentra sull'Europa: si esplica principalmente a livello europeo, tra attori e istituzioni europee e persone già vicine al progetto europeo. Utilizza inoltre strumenti — come le consultazioni via Internet — a cui generalmente hanno accesso soltanto determinati gruppi di cittadini. Per raggiungere un pubblico più vasto bisogna mettere a punto attività di comunicazione che coinvolgano altri soggetti, che non siano le istituzioni europee o le persone già vicine all'UE, ed è necessario decentrare davvero il dibattito: spostarlo, cioè, a livello nazionale, regionale e locale, coinvolgendo i responsabili politici e i media attivi a questi livelli (che talvolta sono i primi da convincere).

3.2.5

In questo contesto, il Libro bianco avanza una serie di proposte pratiche che vanno dall'educazione civica all'organizzazione di dibattiti aperti comuni. Il Comitato condivide in particolare gli argomenti addotti a sostegno dell'educazione civica. Tuttavia, come riconosce il Libro bianco, l'articolo 149 del TCE statuisce chiaramente che solo gli Stati membri sono responsabili del contenuto dell'insegnamento e dell'organizzazione del sistema di istruzione. Ancora una volta pertanto, quando le istituzioni europee propongono di promuovere l'educazione civica, esse vanno incontro ad un duplice rischio: rischiano, da un lato, di essere accusate di interferire negli affari che spettano ai governi degli Stati membri e, dall'altro, di accettare implicitamente la responsabilità per qualcosa che, in realtà, non rientra nella loro sfera di competenza.

3.2.6

Tuttavia, l'Unione europea ha bisogno che i cittadini accettino un destino comune. A tal fine sarebbe auspicabile che, nel quadro dei programmi di istruzione degli Stati membri, l'Unione europea venisse presentata e spiegata da un punto di vista storico e attuale come un progetto politico comune per tutti gli Stati membri e i loro cittadini. Questo punto andrebbe discusso apertamente nel Consiglio dei ministri dell'Istruzione.

3.2.7

Ciò non significa che le istituzioni dell'UE debbano restare inattive. Al contrario, dovrebbero sforzarsi maggiormente di informare i cittadini europei sul modo in cui l'Unione europea crea un valore aggiunto. Occorrerebbe individuare il pubblico target e diffondere le innegabili «storie di successo» dell'UE.

3.2.8

Più in generale, si dovrebbe fare in modo che i cittadini sentano di far parte di processi normativi e decisionali del tutto trasparenti.

3.3   Come coinvolgere più efficacemente i media nella comunicazione sull'Europa?

3.3.1

In questa sezione la Commissione propone che le istituzioni europee siano fornite di migliori strumenti e capacità di comunicazione e presenta possibili piste per colmare il «divario digitale». Il Comitato si rammarica che la proposta della Commissione in merito a un'agenzia di stampa europea non figuri più nella versione finale del Libro bianco, dato che, come indicavano le prime reazioni, ciò avrebbe suscitato un ampio dibattito sulla natura delle relazioni tra i media con sede a Bruxelles e le istituzioni europee.

3.3.2

Il Comitato approva le misure esposte in questa sezione. Esorta tuttavia la Commissione ad operare una distinzione fra media specializzati e non. Di norma, i media specializzati sono ben informati e forniscono una copertura informativa. Il Comitato vorrebbe sottolineare che la televisione resta il vettore primario di informazione per la maggior parte dei cittadini europei. Sollecita la Commissione a tener conto sia di questo aspetto sia della rapida evoluzione della televisione digitale nell'elaborare qualsiasi strategia globale. In tale contesto, il Comitato sottolinea l'importanza fondamentale di comunicare con i cittadini nella loro lingua.

3.3.3

Da parte sua, il Comitato continua ad aggiornare e attuare il suo piano di comunicazione strategica. Ciò comporta una revisione continua dei suoi strumenti di comunicazione e del loro utilizzo e l'esplorazione di metodi innovativi (l'utilizzo della metodologia «Open space» negli Stakeholders' forums del 7-8 novembre 2005 (Bruxelles) e del 9-10 maggio 2006 (Budapest) sul tema «Colmare il fossato» ne è un chiaro esempio).

3.4   Che cos'altro si può fare per sondare l'opinione pubblica europea?

3.4.1

La Commissione propone di creare una rete di esperti nazionali e un Osservatorio dell'opinione pubblica europea. Il Comitato approva l'approccio di base proposto dal Libro bianco in tale settore. Conviene in particolare sul fatto che l'Unione europea dispone di uno strumento efficace quale l'Eurobarometro, ma crede che la Commissione dovrebbe cercare di sviluppare legami e sinergie con gli istituti demoscopici nazionali.

3.4.2

Il Comitato ritiene altresì che la Commissione non stia ancora sfruttando sufficientemente i meccanismi esistenti per sondare l'opinione pubblica, quali il Comitato economico e sociale europeo. In tale contesto, il Comitato ha preso atto con soddisfazione delle dichiarazioni di intenti contenute nel nuovo protocollo di cooperazione fra la Commissione europea e il Comitato economico e sociale europeo (firmato il 7 novembre 2005). Un utilizzo più strutturato del Comitato quale cassa di risonanza è un punto che andrebbe sviluppato nel contesto dell'addendum post-Libro bianco al protocollo di cooperazione del 7 novembre 2005.

3.5   Lavorare insieme

3.5.1

La Commissione elenca una serie di nuove forme strutturate di cooperazione. Evidenzia il ruolo svolto già ora dal Comitato economico e sociale europeo e fa riferimento al nuovo protocollo di cooperazione del 7 novembre 2005 fra la Commissione europea e il CESE. La cooperazione fra le due istituzioni è buona a livello centrale. Tuttavia il Comitato ritiene che si potrebbe fare molto di più per incoraggiare sinergie fra le risorse della Commissione e quelle del Comitato a livello decentrato. Ancora una volta si tratta di un ambito che andrebbe ampliato nell'addendum post-Libro bianco al protocollo del 7 novembre 2005.

4.   Richiamo alle precedenti raccomandazioni del Comitato

4.1

Il Comitato rimanda alle precedenti raccomandazioni in materia di comunicazione che esso ha rivolto alla Commissione europea, in particolare a quelle contenute nell'allegato al parere sul tema «Il periodo di riflessione: la struttura, gli argomenti e il quadro per una valutazione del dibattito sull'Unione europea» (CESE 1249/2005 (4)) e nel parere del maggio scorso sul tema «Contributo del CESE al Consiglio europeo del 15 e 16 giugno 2006 — Periodo di riflessione».

Bruxelles, 6 luglio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  GU C 28 del 3.2.2006, pagg. 42-46.

(2)  GU C 65 del 17.3.2006, pagg. 92-93.

(3)  Il periodo di riflessione: la struttura, gli argomenti e il quadro per una valutazione del dibattito sull'Unione europeaGU C 28 del 3.2.2006, pagg. 42-46.

(4)  GU C 28 del 3.2.2006, pagg. 42-46.


16.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 309/119


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Coesione sociale: dare un contenuto al modello sociale europeo

(2006/C 309/25)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 19 gennaio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema Coesione sociale: dare un contenuto al modello sociale europeo.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 giugno 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore EHNMARK.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 6 luglio 2006, nel corso della 428a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 91 voti favorevoli, 1 voto contrario e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il modello sociale europeo è una realtà che si fonda su obiettivi globali comuni attuati con modalità diverse. Esso ha dimostrato il proprio valore servendo ai paesi europei come fonte d'ispirazione per costruire società fondate sulla coesione, sulla solidarietà e sulla competitività. Nei prossimi anni questo modello europeo dovrà affrontare nuove sfide e ora è il momento di dargli un contenuto e di predisporlo per il futuro.

1.2

La forza del modello sociale europeo deriva dal modo in cui hanno interagito tra loro fattori quali la competitività, la solidarietà e la fiducia reciproca, che ne hanno fatto una realtà concreta oltre che una visione per il futuro. Esso non può, tuttavia, mai essere considerato, in alcun modo, «definitivo» perché deve essere dinamico e reattivo alle nuove sfide che via via si presentano.

1.3

Nell'analisi che segue, il modello sociale europeo non si limita al significato tradizionale del termine «sociale». Visto il modo in cui i nessi tra i vari settori si sono venuti sviluppando, il termine «sociale» deve avere agganci con gli ambiti sia economico che ambientale. Il modello sociale potrà proporsi come necessaria fonte di ispirazione per cogliere le sfide future solo a condizione di prendere atto di questa interpretazione più ampia, alla luce della quale potrebbe essere anche definito come un «modello europeo di società», in cui l'aspetto più specificamente sociale costituisce una componente. Nella presente analisi si utilizza ad ogni modo il termine «sociale».

1.4

Tutti i sistemi nazionali dell'UE si contraddistinguono per la coerenza tra efficienza economica e progresso sociale. Politiche sociali e del mercato del lavoro adeguatamente concepite hanno dato un impulso positivo sia alla giustizia sociale che all'efficienza e alla produttività economica. La politica sociale costituisce un fattore produttivo.

1.5

Nel proprio parere il CESE identifica una serie di elementi chiave del modello sociale europeo, a cominciare dal ruolo dello Stato in quanto garante e spesso anche responsabile di iniziative intese a promuovere la coesione e la giustizia sociale, puntando a livelli di occupazione elevati e fornendo servizi pubblici di qualità. Fra gli altri elementi chiave ricordiamo anche i provvedimenti intesi a promuovere la produttività e la competitività, rispondere alle sfide ambientali e favorire la ricerca e l'istruzione.

1.6

Notevoli sono i risultati conseguiti sul piano economico, sociale e ambientale dal modello nella sua lunga evoluzione. L'emergere di una zona di benessere europea costituisce il risultato più tangibile, che non riesce, tuttavia, a celare i punti deboli del modello, tra cui il persistere dell'emarginazione sociale e di sacche di povertà, nonché il perdurare di una disoccupazione elevata, soprattutto tra i giovani.

1.7

Le sfide che attendono l'Europa e il modello sociale europeo sono considerevoli, e si prospettano sul fronte della competitività, dell'occupazione, dell'integrazione sociale e della lotta contro la povertà e le conseguenze della mondializzazione. Altre sfide riguardano la dimensione di genere, la migrazione e gli sviluppi demografici.

1.8

Per contribuire alla formazione della società europea di domani, il modello sociale europeo deve essere dinamico e pronto a cogliere le sfide, i cambiamenti e le riforme.

1.9

Il modello sociale europeo avrà un senso solo se godrà del sostegno dei cittadini europei e solo se questi ultimi avranno acquisito la consapevolezza necessaria. L'analisi e le questioni di fondo che lo riguardano dovrebbero servire da base per lanciare un dibattito e un dialogo negli Stati membri, offrendo in tal modo ai cittadini degli strumenti nuovi per esprimere il loro punto di vista sul tipo di Europa e sul tipo di modello sociale che desiderano.

1.10

In breve, l'assunto del presente parere è che il modello sociale europeo deve trasmettere l'idea di una zona di benessere democratica, rispettosa dell'ambiente, competitiva e solidale, e in grado di assicurare l'integrazione sociale a tutti i cittadini europei.

2.   Analisi e osservazioni

2.1   Contesto e definizioni

2.1.1   Introduzione

2.1.1.1

Il modello sociale europeo e le sue caratteristiche sono attualmente al centro di un vivace dibattito. Ciò non sorprende, dal momento che quest'ultimo è stato alimentato da una serie di recenti sviluppi. Il progetto di Trattato costituzionale non ha riscosso il sostegno dell'opinione pubblica e non è stato quindi possibile concretizzarne le proposte. A ciò si aggiungono altri sviluppi ed avvenimenti che hanno nutrito il dibattito sul modello sociale europeo, ovvero: i risultati economici poco brillanti conseguiti dall'Europa e la sua incapacità di alzare i tassi di occupazione, gli sviluppi demografici, l'avanzare della mondializzazione e le relative conseguenze, nonché l'intenso dibattito suscitato dal progetto di direttiva sui servizi. L'integrazione di nuovi Stati membri continua a suscitare dei dibattiti sul futuro dell'UE.

2.1.1.2

Il presente parere costituisce il contributo del CESE al dibattito in corso. Esso servirà da base per proseguire il dialogo con gli interlocutori sociali e la società civile organizzata.

2.1.1.3

Il parere si fonda sul postulato che esiste sì un insieme di valori e di progetti, ma anche una realtà sociale, e che insieme essi formano il cosiddetto modello sociale europeo. L'obiettivo del presente documento è quello di esaminarne il contenuto e di proporre delle idee e delle sfide.

2.1.1.4

È auspicabile che, in quanto visione per l'Europa, il modello sociale si sviluppi in sintonia con altre visioni per l'Europa, anzitutto quella dello sviluppo sostenibile nonché quella di un'Europa che si propone di diventare l'economia basata sulla conoscenza più competitiva del mondo, in grado di realizzare nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale.

2.1.2   Definizione e campo di applicazione del modello sociale europeo

2.1.2.1

L'analisi del modello sociale europeo deve partire dai sistemi di valori che hanno preso forma nei paesi europei. Tali sistemi costituiscono la base di ogni discussione sulle caratteristiche comuni di un modello sociale. L'Unione europea si fonda su determinati valori comuni: la libertà, la democrazia, il rispetto dei diritti dell'uomo e della dignità umana, l'uguaglianza, la solidarietà, il dialogo e la giustizia sociale. Il fatto che il modello sia in parte fondato sui diritti, come dimostra la Carta sociale europea, sottolinea che esso si fonda effettivamente su dei valori.

2.1.2.2

Nella presente analisi il modello sociale europeo è inteso in senso lato. Esso non può infatti limitarsi ad una concezione tradizionale del termine «sociale»: data l'interazione tra la dimensione economica, sociale ed ambientale, il modello richiede un'interpretazione più ampia.

2.1.2.3

Inoltre, per analizzare questo modello si è optato per un duplice approccio, incentrato su valori e visioni, senza tuttavia perdere di vista le politiche fondamentali per realizzare queste ultime. Il modello sociale non si limita a formulare delle visioni, bensì costituisce piuttosto un esercizio volto a tradurle in realtà politica e il suo ruolo consiste nel fornire l'ispirazione nonché un quadro adeguato per far fronte alle nuove problematiche.

2.1.2.4

La presente analisi parte dall'idea che l'attuale modello sociale europeo abbia tre componenti principali, ossia gli obiettivi economici, sociali e ambientali. Il suo sviluppo concreto, nel quadro di tendenze quali la mondializzazione, è favorito dall'interazione fra questi tre fattori. Esso trae la sua forza dal modo in cui hanno interagito tra di loro fattori quali la competitività, la solidarietà e la fiducia reciproca. In questa prospettiva non si può mai pensare che il modello sociale abbia raggiunto una forma «definitiva»: esso deve infatti essere dinamico e rispondere alle sfide sia interne che esterne.

2.1.2.5

Questa visione può essere così sintetizzata: il modello sociale europeo trasmette l'idea di una zona di benessere democratica, rispettosa dell'ambiente, competitiva e solidale, e fondata sul principio dell'integrazione sociale per tutti i cittadini europei.

2.1.2.6

In questo contesto è essenziale sottolineare la correlazione tra i due elementi fondamentali, ovvero l'efficienza economica, da un lato, e la giustizia e la coesione sociali, dall'altro: il modello sociale europeo si basa su entrambi questi elementi. Questo si contraddistingue per il fatto che i vari sistemi nazionali, malgrado le loro differenze, puntano tutti sulla sintonia tra efficienza economica e progresso sociale. Inoltre, la dimensione sociale contribuisce positivamente alla produzione poiché una sanità efficiente e una buona legislazione del lavoro favoriscono, ad esempio, buoni risultati economici. Politiche sociali e del mercato del lavoro ben concepite e supportate dalle parti sociali possono costituire un fattore positivo sia per la giustizia e coesione sociale che per l'efficienza e la produttività economica. Combinando sussidi di disoccupazione con politiche del mercato del lavoro attive è possibile stabilizzare l'economia e incoraggiare una reazione positiva ai cambiamenti promuovendo le competenze nonché iniziative efficaci nella ricerca di lavoro e nella riqualificazione professionale. Investimenti pubblici mirati per le infrastrutture materiali e le risorse umane possono stimolare la realizzazione di obiettivi sia economici che sociali. I due aspetti possono e devono rafforzarsi reciprocamente. La partecipazione attiva delle parti sociali e della società civile può favorire la coesione, accrescendo al tempo stesso l'efficienza economica.

2.1.2.7

La questione può essere anche considerata da un punto di vista diverso: ad esempio, si può far notare che l'assenza di una politica sociale europea comporterebbe dei costi economici e politici. Una valutazione realizzata al riguardo per conto della Commissione europea ha additato i significativi vantaggi economici che la politica sociale offre in termini di efficacia nell'allocazione delle risorse, di produttività del lavoro e di stabilizzazione economica. Lo studio ha concluso che le politiche sociali fondate su investimenti nel capitale umano e sociale contribuiscono all'efficacia economica in quanto migliorano la produttività e la qualità della manodopera. La politica sociale costituisce quindi un «fattore produttivo», anche se i costi che genera sono solitamente visibili nel breve termine, mentre i suoi benefici appaiono sovente solo nel lungo periodo (1).

2.1.2.8

Gli Stati europei, e talvolta persino le regioni del vecchio continente, sono il risultato di sviluppi storici diversi, e ciascuno di essi ha attraversato conflitti individuando modalità proprie per risolverli. Anche il consenso sociale circa il giusto «equilibrio» tra i valori essenziali varia leggermente, ma le differenze non sono mai fondamentali. Tali specificità sono all'origine di una moltitudine di strutture istituzionali grazie alle quali si realizza la «costituzione sociale» di ciascun paese (vale a dire i valori che l'uomo ha trasformato in diritti garantiti dalla legge) e sulle quali poggiano l'economia di mercato e le strutture giuridiche, costituzionali e governative. I trattati europei sottolineano sia i valori comuni alla base del modello sociale che l'importanza di rispettare le diversità nazionali.

2.1.2.9

A questi aspetti si aggiunge la dimensione ambientale. Il rapido aumento dei prezzi dell'energia, l'inquinamento atmosferico persistente e l'impatto di tali fattori su alloggi, trasporti e vita professionale accresceranno il divario fra l'efficacia e la produttività economiche, da un lato, e la giustizia e la coesione sociali, dall'altro. Ci sono però anche esempi che mostrano come le politiche a favore della sostenibilità possono essere perfettamente compatibili con il perseguimento di obiettivi economici e sociali. E questo vale anche per questioni come la sanità pubblica e la sicurezza. Il degrado ambientale sta creando nuovi problemi di salute per giovani e adulti, e ciò dimostra la necessità di una maggiore integrazione delle problematiche ambientali nel modello sociale europeo.

2.1.2.10

A causa delle divergenze di cui sopra taluni osservatori hanno concluso che in realtà non esiste alcun modello sociale europeo, e che esisterebbero piuttosto (almeno) tanti modelli quanti sono gli Stati membri o, nella migliore delle ipotesi, diversi «tipi» di modelli.

2.1.2.11

Il CESE non desidera affatto minimizzare tale diversità, ma ritiene in ogni caso che per tutta una serie di motivi (elencati qui di seguito) si possa parlare di un unico modello sociale europeo.

1.

Contrariamente agli approcci seguiti in passato, i quali si proponevano esplicitamente di identificare diversi «tipi»in seno al capitalismo europeo, nell'insieme si possono piuttosto constatare differenze sostanziali in termini di risultati tra, da un lato, il gruppo dei paesi europei e, dall'altro, quello dei paesi capitalisti avanzati al di fuori dell'Europa (in particolare gli Stati Uniti);

2.

la diversità istituzionale è ben più significativa delle differenze tra i risultati sociali conseguiti in Europa, dal momento che numerose istituzioni presentano lo stesso funzionamento;

3.

le economie europee sono sempre più integrate (molto più di quanto avviene in altre aree del mondo), e ciò determina la necessità di adottare approcci congiunti in numerosi ambiti politici;

4.

solo i paesi dell'Unione europea hanno attribuito una dimensione sopranazionale, vale a dire europea, ai loro modelli sociali, dal momento che l'UE vanta un acquis sociale consolidato (2).

2.1.2.12

Il CESE desidera proporre che gli elementi qui di seguito elencati, i quali corrispondono effettivamente a una realtà sociale e non costituiscono solo un insieme di valori istituzionalizzati in maniera diversa, siano considerati come gli elementi costitutivi di un modello sociale europeo, elementi che sono già formalmente riconosciuti negli Stati membri dell'UE o che dovrebbero esserlo tramite provvedimenti politici:

1.

lo Stato si assume la responsabilità di promuovere la coesione e la giustizia sociali proponendosi di conseguire un livello elevato di occupazione, fornendo o garantendo servizi pubblici di qualità (servizi d'interesse generale) e instaurando politiche di bilancio a favore della ridistribuzione;

2.

i governi e/o le parti sociali o altri organismi instaurano sistemi di protezione sociale che garantiscono una copertura assicurativa adeguata o una protezione sociale dai principali rischi (quali la disoccupazione, la malattia, la vecchiaia), in modo da prevenire la povertà e l'esclusione sociale;

3.

i diritti fondamentali riconosciuti (o quasi riconosciuti) dalla legge e sanciti negli accordi internazionali, quali il diritto di associazione e il diritto di sciopero;

4.

una partecipazione dei lavoratori dipendenti a tutti i livelli nonché sistemi di relazioni industriali o di dialogo sociale autonomo;

5.

un impegno forte e chiaro ad affrontare le questioni di genere in tutti i settori della società, specie nella sfera dell'istruzione e nella vita lavorativa;

6.

le politiche indispensabili per risolvere problemi relativi all'immigrazione, in particolare nel contesto degli sviluppi demografici nei paesi dell'UE;

7.

una legislazione sociale e del lavoro che garantisca pari opportunità e protegga i gruppi più vulnerabili, tra cui politiche positive per soddisfare le esigenze specifiche dei gruppi svantaggiati (giovani, anziani e disabili);

8.

una serie di provvedimenti di politica macroeconomica e strutturale che promuova una crescita economica sostenibile e non inflazionistica, nonché scambi commerciali in cui gli operatori godano di pari condizioni (mercato unico), e che prevedano misure di sostegno per l'industria, i prestatori di servizi e, in particolare, gli imprenditori e le PMI;

9.

i programmi politici necessari per promuovere investimenti negli ambiti cruciali per il futuro dell'Europa, in particolare l'apprendimento permanente, la ricerca e lo sviluppo, le tecnologie ambientali, ecc.;

10.

una priorità costante, ovvero quella di promuovere la mobilità sociale e garantire pari opportunità per tutti;

11.

la responsabilità di mettere a punto le politiche necessarie per affrontare i problemi ambientali, in particolare quelli riguardanti la salute e l'approvvigionamento energetico;

12.

un ampio accordo in base al quale gli investimenti pubblici e privati in Europa dovranno essere sostenuti ad un livello estremamente elevato, al fine di promuovere la competitività e il progresso sociale ed ambientale;

13.

un impegno a favore dello sviluppo sostenibile, affinché le conquiste economiche e sociali dell'attuale generazione non si traducano in restrizioni per le generazioni future (solidarietà tra generazioni);

14.

un esplicito impegno a favore della solidarietà con i paesi in via di sviluppo e dell'assistenza di cui questi necessitano per attuare i loro programmi di riforma sul piano economico, sociale e ambientale.

2.2   Le conquiste del modello sociale europeo

2.2.1

La nascita dell'Unione europea ed il successo del suo ampliamento sono eventi di portata storica. Un continente lacerato dalle guerre e dai conflitti è riuscito a voltare pagina e a liberarsi dal nazionalismo bellicoso che l'aveva scosso. È in tale contesto che occorre inquadrare il modello sociale europeo.

2.2.2

L'Europa può essere legittimamente fiera dei risultati conseguiti sul piano sociale grazie alla grande varietà di istituzioni e politiche messe a punto a livello nazionale e, in una certa qual misura, a livello europeo. I principali indicatori del benessere, tra cui la povertà e l'ineguaglianza, l'aspettativa di vita e la salute, posizionano l'Europa in testa alle classifiche mondiali.

2.2.3

Benché la situazione vari notevolmente da uno Stato membro all'altro, molti paesi europei sono in testa alle classifiche internazionali per produttività e competitività. Il fatto che in Europa numerosi paesi occupino una posizione di preminenza in termini di competitività e di investimenti destinati alla ricerca costituisce una conquista significativa. La visione di una società a elevata intensità di conoscenze fondata sui principi della ricerca e dell'apprendimento permanente è un aspetto del modello sociale europeo che gode ormai del più ampio sostegno.

2.2.4

L'Europa è al primo posto nell'attuazione del protocollo di Kyoto benché, complessivamente, i risultati raggiunti siano deludenti. A livello mondiale, l'Europa è anche una delle regioni che maggiormente investono nelle tecnologie rispettose dell'ambiente e nello sviluppo di nuove soluzioni energetiche per il riscaldamento e i trasporti.

2.2.5

Il raffronto tra gli indicatori per la coesione e la sicurezza sociale, nonché tra i tassi di occupazione/disoccupazione nei paesi dell'OCSE rivela che i paesi che garantiscono elevati livelli di sicurezza ai loro cittadini e lavoratori tendono a registrare tassi di occupazione più elevati, fenomeno questo che viene perfettamente esemplificato dai paesi nordici.

2.2.6

È sempre più evidente che la realizzazione dell'integrazione europea riceverà sostegno politico solo a patto che venga vista come un processo che va al di là di una semplice integrazione del mercato e che, con la soppressione delle frontiere economiche, i governi nazionali e le istituzioni europee collaborino con le parti sociali a livello nazionale ed europeo per sviluppare i meccanismi che permetteranno di garantire la coesione e la giustizia sociali nel nuovo contesto, e soprattutto eviteranno che la concorrenza tra i diversi regimi comporti un livellamento verso il basso il quale, a sua volta, finirebbe per abbassare notevolmente gli standard sociali in Europa.

2.2.7

L'allargamento dell'UE ha apportato un contributo estremamente costruttivo all'identità emergente di un modello sociale europeo. Esso ha arricchito l'Unione di un gran numero di paesi con una lunga storia di conquiste sul piano culturale, sociale, economico e industriale, consacrando chiaramente la dimensione culturale del modello sociale. Questa dimensione diverrà uno dei principali meccanismi destinati a promuovere la coesione dell'UE.

2.2.8

Il dialogo sociale è divenuto, a tutti i livelli, un'espressione essenziale del modello sociale europeo. Con il dialogo sociale è emerso un ampio consenso sul fatto che senza la partecipazione delle parti sociali sarà difficile realizzare le elevate ambizioni della strategia di Lisbona e dello stesso modello sociale. È grazie all'approccio europeo alla partecipazione dei lavoratori che i continui mutamenti strutturali cui le imprese sono soggette vanno a beneficio di tutte le parti interessate.

2.2.9

Le parti sociali hanno svolto un ruolo determinante nell'attuazione delle politiche comunitarie, tanto che si tratta di un ruolo unico al mondo. Si è addirittura proposto che, a livello europeo, siano le parti sociali ad assumersi la responsabilità di tutte le attività normative riguardanti il mondo del lavoro.

2.2.9.1

Per quanto riguarda l'architettura di fondo del modello sociale europeo, le parti sociali hanno una funzione insostituibile sul fronte della politica economica e sociale, in particolare se si considera il ruolo di regolazione svolto dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori nel quadro dei contratti collettivi. Senza dimenticare quella componente fondamentale del modello sociale europeo che è costituita dalla partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori nell'ambito delle aziende, partecipazione che costituisce ormai un diritto ben consolidato.

2.2.10

Nel dar forma al modello sociale europeo è essenziale garantire la partecipazione dei cittadini e delle rispettive organizzazioni. Le organizzazioni della società civile fungono da portavoce delle aspirazioni dei loro membri e spesso anche da prestatori di servizi sociali. Il futuro e il dinamismo del modello sociale europeo dipenderanno da un maggiore coinvolgimento della società civile organizzata, grazie ad un ampliamento del dialogo civile e pertanto della democrazia partecipativa.

2.2.11

L'elevata qualità dei servizi prestati dal settore pubblico costituisce un altro elemento di rilievo per la definizione del modello sociale europeo. In linea generale, il settore pubblico europeo, in qualità di garante e/o prestatore di servizi essenziali equamente distribuiti, gode, nell'Unione europea, di un più ampio supporto e svolge un ruolo più articolato rispetto ad altri paesi. Nell'ambito dell'istruzione e della formazione, della sanità e dell'assistenza agli anziani, il settore pubblico svolge un ruolo decisivo in tutti gli Stati membri. Parallelamente si sta sviluppando un dibattito sui due possibili ruoli che il settore pubblico potrebbe svolgere, proponendosi come garante di servizi specifici, oppure come garante e, al contempo, prestatore di servizi.

2.2.12

La creazione di entità dell'economia sociale in un certo numero di Stati membri dell'UE è strettamente legata al settore pubblico. L'economia sociale svolge un doppio ruolo: in particolare nel settore dell'assistenza essa espleta dei compiti fondamentali, fornendo al contempo occupazione a cittadini, quali i disabili, difficili da inserire in posti di lavoro regolari. L'economia sociale si sta sviluppando in quasi tutti gli Stati membri dell'UE, soprattutto a seguito dell'evoluzione demografica e della necessità di prendersi cura degli anziani. Oltre a svolgere un ruolo cruciale nella lotta contro la povertà, essa presenta innumerevoli sfaccettature e si articola in un'ampia gamma di forme organizzative, senza necessariamente aspirare ad entrare nel sistema concorrenziale.

2.3   Punti deboli e sfide

2.3.1

Se da un lato è giusto mettere in evidenza le conquiste del modello sociale europeo, sarebbe errato non riconoscerne i punti deboli o sottovalutare le sfide alle quali esso deve far fronte in un contesto in continua evoluzione. L'orgoglio che il modello suscita non va confuso con l'autocompiacimento.

2.3.2

Spesso si dice che un modello che condanna un decimo, o un dodicesimo, della popolazione attiva alla disoccupazione non può essere considerato «sociale». In una certa qual misura questo è vero: in gran parte dell'Unione europea la disoccupazione registra livelli inaccettabili, determinando quindi difficoltà di natura economica e sociale, minacce alla coesione sociale e sprechi di risorse produttive. Tuttavia, la sfida sottintende spesso che, optando per un modello sociale, l'Europa ha anche scelto un tasso di disoccupazione elevato, e che la disoccupazione costituisce il prezzo da pagare per la coesione sociale. Il CESE non sottoscrive tale punto di vista: l'Europa non deve essere costretta a scegliere tra coesione sociale e tassi di occupazione elevati.

2.3.3

La disoccupazione rimane la minaccia principale per il modello sociale europeo, visto che fa lievitare i costi, riduce le possibilità di finanziamento e determina ineguaglianze nonché tensioni sociali. La lotta alla disoccupazione resta la priorità principale. Ciò vale in modo particolare per la disoccupazione giovanile, che in molti paesi è sensibilmente più elevata del tasso di disoccupazione medio, e che è particolarmente deleteria sul piano sia sociale che economico, determinando nel lungo termine grossi rischi di esclusione dal mercato del lavoro e dalla società in generale. Per ovviare al problema occorre adottare un'ampia gamma di misure sul fronte dell'offerta, nonché mettere a punto una politica incentrata sulla domanda che si proponga di realizzare la massima produzione possibile.

2.3.4

Le disparità geografiche e la povertà (di cui soffrirebbero 70 milioni di cittadini) rimangono marcate nell'Unione europea e si sono accentuate dopo l'allargamento. Persino negli Stati membri più ricchi, troppe persone sono vittime della povertà (relativa). La povertà che colpisce i bambini è particolarmente grave poiché compromette le opportunità offerte loro dalla vita e consolida le disuguaglianze da una generazione all'altra. Le politiche comunitarie a favore della coesione sociale, per quanto estremamente ambiziose, non sono riuscite ad arginare l'espandersi della povertà e della disoccupazione: due fronti su cui occorrerà intervenire con impegno.

2.3.5

Si ritiene spesso che nel nostro modello sociale questi e altri punti deboli di cui soffrono l'economia e la società europee siano esacerbati dalle nuove sfide poste dalla mondializzazione, dall'affermarsi di nuove tecnologie e dall'invecchiamento della popolazione. L'allungarsi dell'aspettativa di vita e il calo del tasso di natalità fanno sorgere seri interrogativi sul finanziamento dei sistemi di sicurezza sociale, e dei regimi pensionistici in particolare. Il CESE mette in guardia dalla tendenza a trarre conclusioni politiche semplicistiche da una serie di credenze diffuse:

benché la globalizzazione determini effettivamente un aumento degli scambi di beni e servizi sul piano internazionale, è essenziale tenere presente che, se l'UE a 25 viene considerata come un'entità economica unica, solo poco più del 10 % della produzione europea viene esportato (o importato). Pertanto l'economia dell'UE non è più aperta di quella degli USA (che sono generalmente considerati molto più indipendenti da forze globali). Gli Stati membri dell'UE devono compiere delle scelte sociali e politiche inerenti i loro sistemi di welfare e le riforme necessarie. Un sistema previdenziale concepito in maniera inadeguata va riformato per accrescere la produttività e l'occupazione e non per far fronte alla «globalizzazione», a patto naturalmente di garantire la massima sicurezza per i beneficiari,

analogamente bisogna accogliere con soddisfazione l'evoluzione tecnologica in quanto accresce la produttività del lavoro e contribuisce alla creazione della ricchezza che permette di finanziare un tenore di vita elevato e livelli elevati di protezione sociale. La risposta adeguata di fronte all'evoluzione tecnologica è quella d'investire nelle risorse umane e sostenere i processi di adattamento grazie a politiche sociali ben concepite, che permettano alle imprese europee e ai lavoratori di migliorare le loro competenze,

la situazione demografica influenza indubbiamente il modello sociale europeo, ma è vero anche il contrario. L'adozione di politiche adeguate in materia di strutture per la custodia dei bambini permette alle donne e agli uomini di dedicarsi al lavoro senza dover scegliere tra carriera e famiglia; le politiche a favore dell'invecchiamento attivo mantengono i lavoratori anziani nella popolazione attiva permettendo loro, ma anche alla società nel suo insieme, di trarre beneficio da un'aspettativa di vita più lunga. L'apprendimento permanente, oltre a promuovere l'adattabilità, accresce la produttività e l'occupazione. Inoltre, tutte le società devono far fronte a problemi demografici,

infine, è assodato che l'Europa ha bisogno di rafforzare e di coordinare, e non già di diminuire, le proprie politiche economiche, mettendo a punto degli strumenti adeguati per far fronte alle perturbazioni dei mercati come, ad esempio, la concorrenza fiscale negativa. Tali perturbazioni possono infatti esercitare delle pressioni sui sistemi sociali e sulle loro basi finanziarie. D'altro canto, l'integrazione europea costituisce un potente motore per realizzare importanti prestazioni commerciali ed economiche e permette, inoltre, di regolamentare alcuni aspetti del mondo del lavoro e della vita sociale al livello europeo più indicato. Conseguire questo obiettivo nel contesto della diversità istituzionale rappresenta una sfida importante non solo per i responsabili politici ma anche, e non da ultimo, per le parti sociali.

2.4   Un modello dinamico

2.4.1

Per sopravvivere e riuscire a influenzare le politiche future, il modello sociale europeo deve essere dinamico e aperto al dibattito e alle riforme. La storia ci offre diversi esempi di sfide che questo modello ha dovuto affrontare senza aver avuto la possibilità di prevederle: la minaccia di catastrofi ambientali, i radicali cambiamenti sul piano demografico e della struttura familiare, le crisi dell'approvvigionamento energetico, la rivoluzione della conoscenza, le nuove e potenti tecnologie dell'informazione e della comunicazione nonché l'evoluzione dei modelli di produzione e della vita professionale.

2.4.2

In futuro, la principale sfida che attende il modello sociale europeo sarà quella di distinguere, tra i propri aspetti, quelli che favoriscono soluzioni vantaggiose a due o tre livelli. In altre parole, tra le politiche attuali e future occorre identificare quelle più idonee a promuovere la coesione sociale e le prestazioni economiche, nonché lo sviluppo sostenibile.

2.4.3

Parallelamente, è indispensabile riformare con costanza e moderazione le istituzioni le cui ripercussioni negative sul piano economico, sociale o ambientale sono state ampiamente dimostrate. A tal fine possono rivelarsi utili le valutazioni di impatto strategico, visto che l'obiettivo è quello di migliorare la legislazione e non tanto di procedere a una deregolamentazione semplicistica.

2.4.4

Ma dove sono le nuove sfide per il modello sociale europeo? Essenzialmente in tre settori: la competitività e l'occupazione, l'integrazione sociale e la lotta contro la povertà e, infine, gli effetti della mondializzazione. Più a lungo termine, le sfide ambientali possono determinare importanti delocalizzazioni della produzione e dei posti di lavoro. A ciò si aggiungono le questioni relative all'immigrazione (interna e esterna) e alla dimensione di genere, che incideranno in maniera determinante sulle prospettive del modello sociale europeo.

2.4.5

Sarà fondamentale portare avanti lo sviluppo di una società ad elevata intensità di conoscenze, nell'ambito sia della ricerca sia dell'apprendimento permanente. La conoscenza diventerà, ancor più di quanto non lo sia oggi, un fattore determinante per conseguire la competitività, generando in tal modo risorse destinate alle politiche sociali. In questo contesto sarà importante continuare a sostenere l'imprenditorialità e la crescita delle piccole imprese. Il dialogo sociale potrebbe affrontare con efficacia il tema dell'impatto sociale della rivoluzione della conoscenza. I governi e le parti sociali avranno altresì il difficile compito specifico di sviluppare sistemi nuovi ed efficienti per promuovere l'apprendimento permanente.

2.4.6

Come le parti sociali hanno appena sottolineato nel loro programma di lavoro congiunto (3), è importante ricercare un nuovo equilibrio tra flessibilità e sicurezza, in grado di promuovere l'occupazione e l'innovazione. È essenziale che le parti sociali si accordino su una serie di misure intese a ridurre la disoccupazione giovanile. La disoccupazione in quanto tale è una tragedia, e la disoccupazione che colpisce le generazioni più giovani costituisce una minaccia all'essenza stessa della società democratica europea.

2.4.7

Nella prospettiva delle sfide ambientali è indispensabile destinare maggiori investimenti ai trasporti, agli alloggi, alla pianificazione e alla riforma socioterritoriale. L'aumento dei prezzi dell'energia avrà profonde ripercussioni sulla coesione sociale e sulle politiche strutturali. Si tratta di un ambito essenziale e capace di offrire possibilità di soluzioni vincenti su tutti i fronti.

2.4.8

Il sistema di governance macroeconomica deve offrire un maggiore appoggio agli obiettivi di Lisbona. Nel più lungo periodo, ovvero dopo Lisbona, sarà essenziale stabilire un equilibrio, imperniato sulla crescita, tra due aspetti della politica economica, vale a dire quello imperniato sull'offerta e quello invece imperniato sulla domanda.

2.4.9

La mondializzazione è una sfida non solo in termini di scambi commerciali e prezzi. Dato che essa offre anche opportunità tra cui, ad esempio, l'apertura di nuovi mercati alle tecnologie rispettose dell'ambiente, l'Europa deve intensificare gli investimenti nelle tecnologie moderne, e in particolar modo nella sfera ambientale, poiché altri paesi, tra cui gli Stati Uniti, si stanno rapidamente rendendo conto di tali opportunità. Mondializzazione non significa solamente cercare di far fronte alle nuove sfide, bensì soprattutto intervenire in maniera proattiva e identificare le opportunità via via che si presentano.

2.4.10

Tra le eventuali sfide future, la più seria sarebbe quella di un ritorno, a livello europeo, a politiche più nazionalistiche tendenti a scelte protezionistiche e alla chiusura dei mercati. Una tale evoluzione comporterebbe seri pregiudizi sul piano sia economico che sociale.

2.4.11

Nessun modello sociale ha raggiunto la fase definitiva, né mai la raggiungerà. Il principio su cui si fonda un modello sociale è quello di generare idee e punti di vista man mano che si evolve. In effetti, un modello sociale deve essere dinamico, altrimenti rischia di cristallizzarsi e di scomparire. Il modello sociale va verificato e dibattuto nella continuità di un processo democratico. Occorre procedere alle dovute valutazioni e alla messa a punto e al perfezionamento dei più adeguati strumenti di governance.

2.5   Il modello sociale europeo è veramente il modello di riferimento a livello mondiale?

2.5.1

Il modello sociale europeo può essere visto come il tentativo di elaborare un piano per dar forma, in avvenire, a un'Unione contraddistinta da un benessere durevole, un'industria estremamente competitiva, un livello di ambizione sociale molto elevato e un alto grado di responsabilità nell'affrontare le sfide ambientali. Conformemente a questa descrizione, e tenuto conto delle sue funzioni democratiche, il modello sociale europeo può essere fonte di idee e di esperienze per altri paesi o gruppi di paesi.

2.5.2

Può il modello sociale europeo diventare un modello di riferimento a livello mondiale? Ogni singolo paese e ogni gruppo di paesi deve sviluppare il proprio modello sociale e tradurlo nella pratica a modo suo. Un modello che si sia dimostrato efficace in Europa non lo sarà necessariamente in un altro paese oppure se posto di fronte a sfide diverse. Ciò detto, il modello sociale europeo potrebbe comunque servire da esempio, soprattutto poiché si propone di integrare le sfide economiche, sociali ed ambientali nell'idea di una zona di benessere democratica, ecologica, competitiva, solidale e fondata sul principio dell'integrazione sociale per tutti i cittadini europei. Gli altri paesi lo giudicheranno in base al grado di successo realizzato nel conseguimento di tali obiettivi.

2.5.3

I partner dell'UE stanno dimostrando un crescente interesse per l'approccio che combina, in maniera sinergica, obiettivi economici, occupazionali, sociali ed ambientali. Il modello economico e sociale europeo applicato all'integrazione regionale può servire da fonte di ispirazione per le regioni e i paesi partner dell'UE. Il triplice approccio si è dimostrato valido nell'Unione europea.

2.5.4

Lo studio sulla dimensione sociale della mondializzazione elaborato dall'OIL contiene un esplicito riferimento al modello sociale europeo come possibile fonte d'ispirazione per i paesi di recente industrializzazione (4), tra i quali ricordiamo, ad esempio, la Cina, la quale ha sì realizzato una crescita economica rapida, continua e a livelli sostenuti, ma che è sempre più consapevole delle tensioni sociali e delle problematiche di carattere ambientale.

2.6   Presentare le sfide ai cittadini europei

2.6.1

Il modello sociale europeo può resistere e sopravvivere solo se gode del sostegno dei cittadini dell'Unione. Per restare valido esso deve incontrare i cittadini nel quadro di un dibattito e di un dialogo. I cittadini godranno in tal modo di un'opportunità unica per farsi sentire e alimentare il dibattito generale sull'avvenire della società europea.

2.6.2

Nel presente parere il CESE traccia un'analisi sommaria del modello sociale europeo, analisi che va ulteriormente sviluppata. Occorre, in particolare, stabilire dei nessi più chiari tra concezione e realtà, in modo da trasformare il modello in una base per future discussioni in seno all'UE sul genere di società auspicato dai cittadini europei. Nel quadro della nuova strategia dell'informazione e della comunicazione dell'UE, il modello sociale europeo potrebbe servire da base per il dialogo.

2.6.3

In fin dei conti, è proprio attraverso il dibattito, il dialogo e la presa di coscienza che i cittadini europei esprimeranno il proprio impegno a favore della difesa del modello sociale europeo e ne appoggeranno lo sviluppo futuro.

2.7   Il ruolo del CESE

2.7.1

I membri del CESE costituiscono un canale importante per raggiungere le categorie che rappresentano. Per le parti interessate il Comitato organizza regolarmente dei forum in cui si promuove lo scambio di punti di vista in un più ampio contesto generale.

2.7.2

Il CESE rifletterà sull'opportunità di ricorrere al modello sociale europeo come base per uno sforzo comunicativo più ampio nell'Unione. Esso potrà in tal modo contribuire in maniera concreta al dibattito sul tipo di Europa e di modello sociale che i popoli europei desiderano in futuro. Le parti sociali, la società civile organizzata e i consigli economici e sociali nazionali saranno invitati a partecipare a tale dibattito.

Bruxelles, 6 luglio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Dr. Didier Fouarge (3 gennaio 2003). — Il costo dell'assenza di una politica sociale: verso un quadro economico di politiche sociali di qualità — e il costo derivante dall'inesistenza di tali politiche (Cost of non-social policy: Towards an economic framework of quality social policiesand the costs of not having them

http://www.lex.unict.it/eurolabor/documentazione/altridoc/costs030103.pdf).

(2)  L'acquis sociale europeo comprende direttive su questioni quali l'obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore delle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro (91/533/CEE), le lavoratrici gestanti (92/85/CEE), il congedo parentale (96/34/CEE), l'orario di lavoro (2003/88/CEE), la protezione dei giovani sul lavoro (94/33/CEE) e il lavoro a tempo parziale (97/81/CEE).

(3)  Programma di lavoro delle parti sociali europee 2003-2005. Cfr. anche il parere del CESE sul tema Flessicurezza: il caso della Danimarca (relatrice: VIUM) (non ancora pubblicato nella GU).

(4)  http://www.ilo.org/public/english/wcsdg/globali/synthesis.pdf


16.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 309/126


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il ruolo delle organizzazioni della società civile nell'attuazione della politica comunitaria di coesione e sviluppo regionale

(2006/C 309/26)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13-14 luglio 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema: Il ruolo delle organizzazioni della società civile nell'attuazione della politica comunitaria di coesione e sviluppo regionale.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 giugno 2006, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice MENDZA-DROZD.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 5 luglio 2006, nel corso della 428a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 47 voti favorevoli, 36 voti contrari e 6 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

La politica di coesione suscita da tempo il vivo interesse del Comitato economico e sociale europeo, che si è ripetutamente pronunciato sul tema in riferimento ai regolamenti sui fondi strutturali (1) e sul Fondo di coesione e ad uno dei principi chiave della loro attuazione — il principio del partenariato.

1.2

L'interesse del Comitato per il principio del partenariato si è tradotto sempre nella sua convinzione — condivisa dalla Commissione europea — che «l'efficacia della politica di coesione dipende in grande misura da un adeguato coinvolgimento dei soggetti economici e sociali e delle altre organizzazioni interessate della società civile»  (2).

1.3

Il Comitato è tuttavia dell'avviso che, per quanto riguarda il coinvolgimento pratico delle organizzazioni della società civile nella realizzazione della politica di coesione, resta ancora molto da fare. Elaborando il presente parere, il Comitato vorrebbe contribuire ad una migliore attuazione del principio del partenariato nel prossimo periodo e spera che la Commissione e il Consiglio saranno ancora in grado di apportare le necessarie modifiche e di intraprendere azioni concrete per garantire la partecipazione delle organizzazioni della società civile organizzata al processo di attuazione della politica di coesione. Il Comitato conta sul fatto che — considerati i lavori in corso sui documenti programmatici negli Stati membri — il presente parere possa offrire alle organizzazioni della società civile organizzata un utile strumento nei loro rapporti con e autorità nazionali e regionali.

2.   Le organizzazioni della società civile

2.1

Il Comitato auspica che un'accezione ampia della nozione di società civile abbracci «l'insieme di tutte le strutture organizzative i cui membri perseguono l'interesse generale» (3) e che rispondono ai criteri di rappresentatività in merito ai quali lo stesso Comitato si è già espresso nei suoi precedenti pareri (4). Tale definizione fa rientrare nel concetto innanzi tutto organizzazioni della società civile quali:

le parti sociali (le organizzazioni sindacali e quelle datoriali),

le organizzazioni non governative con oggetto e mandato stabiliti in uno statuto ufficiale e legale: le associazioni, le organizzazioni socioprofessionali, le federazioni, i forum, le reti, le fondazioni (che in molti Stati membri si distinguono dalle associazioni solo per la base giuridica). Questi diversi tipi di organizzazioni sono definite anche organizzazioni «non-profit»«o terzo settore» e le loro attività comprendono ambiti quali la tutela ambientale, la protezione dei diritti dei consumatori, lo sviluppo locale, i diritti dell'uomo, l'assistenza sociale, la lotta all'esclusione sociale, lo sviluppo dell'imprenditorialità, l'economia sociale e molti altri ancora.

2.2

Il Comitato è consapevole del fatto che l'adozione di un'accezione così ampia del concetto di società civile può provocare difficoltà di carattere operativo nella pratica, in particolare quando si affronta la problematica della coesione. Il Comitato ritiene che una definizione chiara della rappresentatività renderebbe più legittima di quanto non lo sia oggi la partecipazione della società civile alle diverse tappe del processo di attuazione della politica di coesione. Nel suo parere sulla rappresentatività delle organizzazioni europee della società civile, il Comitato ha enunciato una serie di criteri fondamentali in questo senso invitando gli altri attori a sfruttare le conclusioni dei suoi lavori (5), in particolare per quanto riguarda la programmazione e il monitoraggio sul piano comunitario. Ritiene tuttavia che, sulla base delle sue proposte, specie per quanto riguarda la partecipazione alla programmazione e al monitoraggio, sia possibile elaborare un elenco pertinente di criteri applicabili a livello degli Stati membri e degli enti regionali. Tale elenco potrebbe prevedere, per tali organizzazioni, criteri come:

l'accesso alle conoscenze specialistiche dei loro componenti,

un'azione di pubblica utilità e d'interesse generale,

un numero di aderenti sufficiente a garantire non solo l'efficacia e la professionalità della loro azione, ma anche l'impiego di pratiche democratiche (elezione dei responsabili, informazioni e dibattiti interni, trasparenza decisionale, trasparenza finanziaria ecc.),

una dotazione e un'indipendenza finanziaria tali da rendere possibile un'azione autonoma,

indipendenza da interessi e pressioni esterne,

trasparenza, in particolare per quanto riguarda le finanze e i processi decisionali interni.

2.3

La questione della rappresentatività è fondamentale. Si deve tuttavia tenere conto anche dei criteri qualitativi enunciati nel succitato parere del CESE. Va inoltre operata una chiara distinzione tra partecipazione e consultazione a livello di definizione delle politiche, da un lato, e ammissibilità ai progetti finanziati dai fondi di coesione, dall'altro. Dovranno essere ammissibili ai finanziamenti tutte le organizzazioni che possono contribuire al conseguimento degli obiettivi della politica di coesione in un settore specifico.

2.4

Ai fini di un'efficace attuazione della politica di coesione, il Comitato reputa che occorra fare il possibile per sfruttare in maggior misura il potenziale delle organizzazioni della società civile, che nella maggior parte dei casi, in funzione del loro scopo, possono disporre di punti di forza rilevanti per questo processo:

esperienza e competenza nell'ambito della vita economica e sociale,

buona conoscenza dei bisogni locali e regionali,

contatto diretto con i cittadini e con i propri componenti e, di conseguenza, possibilità di esprimersi a loro nome,

contatto diretto con i gruppi interessati e conoscenza dei loro bisogni,

capacità di far leva sulla società a livello locale e di mobilitare volontari,

notevole efficacia e disponibilità all'utilizzo di metodi di azione innovativi,

possibilità di esercitare un controllo sulle attività dell'amministrazione pubblica,

buoni contatti con i media.

2.5

Il Comitato ritiene inoltre che, in generale, le organizzazioni della società civile, godendo della fiducia dei cittadini, rappresentino il più stretto punto di contatto tra questi ultimi e l'UE e possano contribuire a rafforzare la trasparenza del processo di utilizzo dei fondi. Il loro coinvolgimento può contribuire a migliorare la trasparenza delle decisioni e a fare in modo che siano basate esclusivamente su criteri oggettivi. La loro partecipazione può inoltre concorrere a fare sì che le attività realizzate rispondano effettivamente ai bisogni della società. Infine, le organizzazioni della società civile possono essere importanti interlocutori nel dibattito sui futuri campi d'azione della politica comunitaria, compresa la politica di coesione, perché possono portare la discussione al livello locale, più vicino ai cittadini.

2.6

Il Comitato richiama altresì l'attenzione sul potenziale rappresentato dalle organizzazioni della società civile, in funzione della loro specificità e dei loro scopi statutari, in una serie di ambiti concreti quali:

il mercato del lavoro, l'occupazione e l'imprenditorialità, dove possono contribuire ad una migliore definizione delle priorità e delle attività che incidono sullo sviluppo economico,

le trasformazioni economiche, in cui le loro competenze possono contribuire a limitare gli effetti negativi; questi ultimi, pur non essendo intenzionali, non sono sufficientemente presi in considerazione,

la difesa dell'ambiente, per la quale possono garantire che la definizione degli obiettivi strategici, delle priorità e dei criteri di selezione rispetti i principi dello sviluppo sostenibile,

l'esclusione sociale e i problemi di uguaglianza di genere, problematiche nelle quali le loro conoscenze concrete sono tali da garantire che la politica di coesione verrà attuata rispettando il principio delle pari opportunità e le disposizioni normative del settore e, inoltre, tenendo nel debito conto l'aspetto sociale delle soluzioni proposte,

lo sviluppo locale, dove la loro conoscenza dei problemi e dei bisogni rappresenta il primo passo verso la loro soluzione,

la cooperazione transfrontaliera, dove possono costituire eccellenti partner per la realizzazione di progetti,

il monitoraggio dell'utilizzo dei fondi pubblici, compresa la segnalazione e la denuncia dei casi di corruzione.

3.   Il ruolo delle organizzazioni della società civile nel processo di attuazione della politica di coesione

3.1

Il Comitato condivide le proposte della Commissione europea e del Consiglio secondo le quali il ricorso al principio del partenariato deve avvenire ad ogni tappa della politica di coesione, dalla programmazione all'attuazione fino alla valutazione dei risultati. Il Comitato sottolinea altresì che la partecipazione delle organizzazioni della società civile può assicurare una migliore qualità dell'attuazione e il conseguimento dei risultati previsti e che essa andrebbe garantita nei seguenti ambiti:

programmazione a livello comunitario,

programmazione a livello nazionale (elaborazione dei quadri di riferimento strategici nazionali e dei programmi operativi),

promozione dei fondi strutturali e diffusione di informazioni sulle opportunità di utilizzo dei fondi,

attuazione dei fondi strutturali,

monitoraggio e valutazione dell'utilizzo delle risorse.

3.2

Il Comitato fa notare infine che, nel processo di attuazione della politica di coesione, le organizzazioni della società civile possono svolgere una triplice funzione: innanzitutto di consulenza, per la definizione degli obiettivi e delle priorità, poi di controllo, nei confronti delle azioni intraprese dall'amministrazione pubblica, e infine di esecuzione, agendo come realizzatori e partner dei progetti cofinanziati con i fondi strutturali.

3.3

Il Comitato ricorda che, nel parere in merito al regolamento recante disposizioni generali sui fondi strutturali (6), aveva adottato una posizione critica circa il modo in cui veniva affrontato il principio del partenariato, pur apprezzando il fatto che la proposta della Commissione (7) citasse per la prima volta la società civile e le organizzazioni non governative. Ha quindi accolto con preoccupazione la notizia che, nel corso dei lavori legislativi al Consiglio, tale formulazione è stata abbandonata e limitata all'espressione «ogni altro organismo appropriato». Tanto maggiore è quindi stata la sua soddisfazione nel constatare che, nell'ultima versione del documento in esame, pubblicata nell'aprile 2006, la formulazione è stata reintrodotta e comprende, tra gli interlocutori interessati dal principio del partenariato, gli attori della società civile, le parti interessate alla difesa dell'ambiente, le organizzazioni non governative e i soggetti attivi nella difesa della parità tra i sessi. Il Comitato si augura di aver contribuito, con le sue osservazioni, alle suddette modifiche.

4.   La programmazione a livello comunitario

4.1

Consapevole che la programmazione a livello comunitario costituisce la prima tappa nell'attuazione dei fondi strutturali, il Comitato desidera sottolineare l'importanza di tutte le consultazioni condotte proprio a questo livello. Le consultazioni che la Commissione ha recentemente effettuato in merito agli orientamenti strategici comunitari per la coesione per il periodo 2007-2013 confermano l'interesse che nutrono per la questione le organizzazioni della società civile (8). Il Comitato, che si è adoperato per coinvolgere nei suoi lavori altre organizzazioni della società civile, ritiene che tale coinvolgimento attivo vada sfruttato al massimo nel quadro del processo di elaborazione dei documenti strategici.

4.2

Il Comitato ritiene anche che una partecipazione attiva delle organizzazioni della società civile potrebbe essere particolarmente preziosa in tutti gli organi consultivi che operano a livello europeo. È consapevole del fatto che il problema della rappresentatività e la necessità di definire criteri adeguati si manifestano in modo evidente proprio in riferimento a questa tematica. Più in particolare, i criteri definiti recentemente dal Comitato per le organizzazioni non governative europee trovano perfetta applicazione in questo settore (9).

5.   Programmazione dei fondi strutturali a livello nazionale

5.1

Sebbene le semplificazioni proposte dalla Commissione in materia di procedure possano portare ad una maggiore trasparenza della politica di coesione, il Comitato richiama ancora una volta l'attenzione sul pericolo insito in tale proposte. Esso teme soprattutto che le organizzazioni della società civile vengano trascurate dalle autorità nazionali e regionali, che non sono sempre disposte a coinvolgerle nel processo di utilizzo dei fondi strutturali e del Fondo di coesione (come confermano i rapporti elaborati dagli ambienti ecologisti (10) e dalla Confederazione europea dei sindacati (11)). Il Comitato teme, di conseguenza, che il controllo della società sull'utilizzo delle risorse finanziarie ne risulti limitato.

5.2

L'ottimismo non è purtroppo la nota dominante che emerge dalle esperienze in materia di elaborazione dei principali documenti di programmazione per il periodo 2004-2006, così come le descrive il rapporto redatto da Brian Harvey (12) per il Servizio d'azione dei cittadini europei, anche se riguarda in realtà solo le organizzazioni non governative nei nuovi Stati membri. Spostamenti frequenti delle date delle consultazioni, modifiche consistenti apportate ai documenti di programmazione dopo la conclusione della consultazione (ad esempio nelle previsioni che riguardano l'impatto ambientale), ritardi nell'avvio del processo consultivo e, di conseguenza, necessità di presentare le osservazioni in tempi troppo ristretti sono solo alcune delle carenze del processo indicate dai rappresentanti della società civile. La situazione si è rivelata ancora peggiore nei casi in cui l'elaborazione dei testi è stata affidata ad agenzie di consulenza, che non hanno avuto alcun contatto con le organizzazioni della società civile.

5.3

Il risultato di tale modo di operare è stato non solo quello di smorzare l'interesse per il processo di consultazione, ma anche — e ciò è ancora più grave — quello di eliminare ogni reale possibilità di apportare ai documenti di programmazione delle modifiche sostanziali. Il Comitato desidera sottolineare molto chiaramente che, in un processo di consultazione adeguatamente condotto, occorre non soltanto garantire a tutte le organizzazioni interessate l'accesso ai documenti in esame, ma anche concedere loro un lasso di tempo adeguato per formulare eventuali osservazioni (non troppo lungo da stravolgere il calendario dei lavori, ma sufficientemente ampio da consentire di prendere conoscenza dei documenti).

5.4

Le esperienze positive — come il modo in cui è stata realizzata la consultazione sul piano nazionale di sviluppo in Polonia, per la quale le autorità nazionali hanno stabilito principi specifici riguardanti il suo svolgimento e il modo di documentarlo, la creazione di un registro delle osservazioni formulate e delle motivazioni con cui sono state accolte o respinte — costituiscono esempi di buone pratiche e dimostrano che l'intero processo può essere condotto in modo accurato ed efficace.

5.5

Le informazioni provenienti da vari paesi mostrano anche che, in molti casi, le organizzazioni della società civile non partecipano alle attività dei gruppi di lavoro incaricati dell'elaborazione dei documenti di programmazione, e ciò limita notevolmente la loro capacità di formulare osservazioni fin dall'inizio del processo.

5.6

Il Comitato considera pertanto che la formulazione da parte della Commissione di requisiti minimi (o perlomeno di orientamenti) che gli Stati membri sarebbero tenuti a rispettare nel condurre le consultazioni, come pure l'introduzione dell'obbligo di fornire informazioni sullo svolgimento del processo, potrebbero modificare in positivo la situazione. Un'iniziativa di questo tipo potrebbe almeno ridurre in parte il rischio che si verifichi una situazione tale per cui un buon progetto per il coinvolgimento della società civile nell'elaborazione del piano nazionale di sviluppo di uno Stato membro rimanga un semplice pezzo di carta.

6.   Promozione dei fondi strutturali

6.1

Nonostante negli ultimi anni la situazione sia certamente migliorata per quanto riguarda l'accesso alle informazioni sui fondi strutturali e per es. la loro pubblicazione sui siti Internet ufficiali, il Comitato sottolinea che solo alcuni Stati utilizzano altre forme di promozione e di informazione che si rivolgono in modo mirato ai destinatari, quali la stampa, la televisione, i seminari e le conferenze. Sembra che la situazione potrebbe decisamente migliorare se si facesse ricorso al potenziale che offrono in tale ambito le organizzazioni della società civile.

6.2

Secondo il Comitato, a livello regionale la situazione purtroppo non appare migliore. I piani di promozione e di informazione vengono elaborati senza la benché minima consultazione o a meri fini di autopromozione. Il coinvolgimento delle organizzazioni della società civile nel processo e lo sfruttamento della loro conoscenza dei diversi ambienti e problemi potrebbero invece contribuire all'elaborazione di strategie di promozione e di informazione più realistiche.

6.3

Dato che i fondi strutturali sono destinati ad obiettivi socioeconomici concreti, e che le risorse per la promozione e l'informazione costituiscono solo un mezzo per contribuire a realizzare tali obiettivi, occorre affrontare la questione dell'efficacia delle attività promozionali e informative con particolare attenzione.

6.4

Ovviamente, è difficile stabilire una volta per tutte quale sia il meccanismo più efficace per utilizzare al meglio le risorse finanziarie destinate alla promozione e all'informazione al fine di raggiungere i destinatari. Si possono trovare buoni esempi di azioni promozionali e informative sia fra le azioni che gli organi di attuazione della politica di coesione hanno realizzato con i loro mezzi sia fra quelle condotte da agenzie di pubblicità o società di pubbliche relazioni, ma si possono anche riscontrare casi in cui nessuna di queste opzioni è efficace per raggiungere i beneficiari interessati o il prodotto offerto non è adeguato ai bisogni dei destinatari.

6.5

Di conseguenza ciò spesso conduce a situazioni assurde, in cui le organizzazioni della società civile, nell'impossibilità di accedere alle risorse previste per la promozione, sono costrette a lanciare esse stesse delle azioni informative, e ad attingere alle proprie risorse per reperire i mezzi necessari a realizzarle.

6.6

Sembra dunque che una delle condizioni necessarie per uno sfruttamento efficace dei mezzi finanziari destinati alla promozione e all'informazione consista nel garantire l'accesso a tali risorse alle organizzazioni della società civile, che sono in grado di condurre azioni informative adeguate ai bisogni dei destinatari e, in molti casi, sono disposte a realizzare determinate iniziative a costi inferiori.

6.7

Il Comitato è consapevole che la questione della promozione dei fondi strutturali e del Fondo di coesione non si riduce a determinare chi è responsabile del processo e della sua organizzazione pratica. È infatti di importanza fondamentale stabilire gli obiettivi per i quali vengono utilizzati i fondi strutturali e i problemi che tali fondi devono contribuire a risolvere. Il Comitato ritiene che questo punto debba indubbiamente beneficiare di un esame più ampio ed essere dibattuto pubblicamente prima che inizi il processo di utilizzo dei fondi strutturali e del Fondo di coesione.

7.   Attuazione dei fondi strutturali

7.1

Il Comitato, che nei suoi precedenti pareri aveva già segnalato l'importanza delle sovvenzioni globali, esprime preoccupazione per il fatto che, fra i dieci nuovi Stati membri, l'unico ad avere introdotto questo sistema è la Repubblica ceca, e che anche in questo paese la portata del meccanismo è stata sensibilmente limitata da una serie di barriere formali introdotte dall'amministrazione pubblica. Temendo che questo tipo di situazione si ripresenti nel corso del prossimo periodo di programmazione, il Comitato segnala che l'esperienza dei paesi che hanno sfruttato questa possibilità è molto positiva, soprattutto laddove si trattava di raggiungere gruppi particolarmente svantaggiati, a causa, ad esempio, di una disoccupazione di lunga durata.

7.2

Un secondo punto, già rilevato precedentemente dal Comitato, riguarda l'accesso delle organizzazioni della società civile all'assistenza tecnica. Il Regno Unito offre l'esempio di un paese che ha utilizzato gran parte del bilancio assegnato all'assistenza tecnica, anche nel caso del Fondo europeo di sviluppo regionale, per coinvolgere queste forme associative nel processo di attuazione dei fondi strutturali. Infatti, con l'assistenza tecnica sono state finanziate, ad esempio, le azioni di organizzazioni «ombrello» che dispensano alle organizzazioni non governative consulenza e servizi formativi, consentendo loro di impegnarsi nella realizzazione di programmi e progetti finanziati da risorse dei fondi strutturali. Questa situazione tuttavia non sussiste in tutti i paesi. Il Comitato ritiene che, laddove questa pratica non viene utilizzata, si debba riconoscere chiaramente alle organizzazioni della società civile la facoltà di concorrere per l'assegnazione delle risorse destinate all'assistenza tecnica (13).

7.3

Il Comitato segnala anche che l'obbligo di cofinanziare i progetti con fondi pubblici può mettere le organizzazioni della società civile in una situazione sfavorevole, in quanto esso ha l'effetto di limitare loro l'accesso alle risorse dei fondi strutturali, e, di conseguenza, riduce le possibilità di realizzare progetti. Il Comitato intende affermare molto chiaramente che, a suo avviso, i fondi propri (privati) delle organizzazioni della società civile dovrebbero poter costituire parte del cofinanziamento (a livello di Stati membri) dei progetti dei fondi strutturali. Il Comitato esorta ad estendere questa disposizione alle organizzazioni non governative, che in molti casi sono responsabili dell'esecuzione dei progetti finanziati dai fondi strutturali.

7.4

Il Comitato richiama anche l'attenzione sull'importanza di garantire che, nei programmi operativi, le organizzazioni della società civile vengano esplicitamente definite beneficiari finali, dato che purtroppo di solito ciò non avviene. Tuttavia, le lezioni da trarre dai paesi nei quali le organizzazioni della società civile hanno potuto utilizzare le risorse disponibili, come la Spagna, dimostrano quanto esse possano essere efficaci, specie nell'ambito della lotta contro l'esclusione sociale, del turismo e dello sviluppo locale. Il Comitato ritiene che autorizzarle a realizzare progetti finanziati grazie ai fondi strutturali sia particolarmente importante per il conseguimento degli obiettivi della strategia di Lisbona e degli orientamenti strategici per il 2007-2013.

7.5

Il Comitato è consapevole del fatto che, per la realizzazione della politica di coesione, riveste un'importanza decisiva il tipo di progetti ai quali viene assegnato un finanziamento supplementare. Sono essenzialmente i progetti che contribuiranno o meno a garantire una maggiore coesione economica e sociale. Il Comitato difende di conseguenza la tesi secondo cui le competenze delle organizzazioni della società civile e la loro perfetta conoscenza delle necessità locali e regionali possono essere utilizzate dalle autorità preposte alla selezione dei progetti, le quali dovranno nel contempo prestare grande attenzione ai conflitti di interesse che possono insorgere in questi casi.

8.   Monitoraggio e valutazione dell'utilizzo delle risorse

8.1

Il Comitato è fermamente convinto che il monitoraggio e la valutazione costituiscano elementi molto importanti del processo di attuazione dei fondi strutturali, in grado di garantire non solo una gestione efficace delle risorse, ma anche il conseguimento degli obiettivi e dei risultati previsti in materia di politica di coesione. Di conseguenza, occorre fare tutto il possibile per consentire alle organizzazioni della società civile di presentare la loro valutazione del processo di attuazione e dei risultati ottenuti — laddove tale pratica non è ancora generalizzata — e per far sì che di tale valutazione si tenga conto nella fase decisionale. A tale scopo, è indispensabile la presenza di rappresentanti di queste organizzazioni nei comitati preposti a monitorare l'attuazione dei quadri di riferimento strategici nazionali e dei singoli programmi operativi.

8.2

Nel parere che ha dedicato nel 2003 al tema del principio del partenariato (14), il Comitato ha già sottolineato che le informazioni riguardanti la composizione dei comitati di monitoraggio variavano considerevolmente da un paese all'altro; benché il Comitato non intenda spingere alla standardizzazione delle soluzioni impiegate, desidererebbe tuttavia essere rassicurato sul fatto che tutti gli Stati membri applicano determinate norme minime.

8.3

Fra i nuovi Stati membri,la Polonia e la Repubblica ceca, per esempio, sono riusciti a garantire la partecipazione delle organizzazioni della società civile praticamente a tutti i comitati di monitoraggio. Le organizzazioni non governative stesse hanno proposto una procedura di selezione dei delegati che prevedeva un invito a presentare candidati dotati delle qualifiche necessarie, una votazione su Internet e la designazione di coloro che avevano ottenuto il maggior numero di voti. Il Comitato è consapevole che tali condizioni non si verificano in tutti gli Stati membri. Inoltre, anche queste esperienze positive (che sono molto spesso frutto di proteste) non garantiscono risultati simili per il periodo di programmazione successivo. La portata e la qualità del coinvolgimento dei rappresentanti della società civile nel processo dipendono infatti attualmente dalla buona volontà dei singoli governi e non dalla necessità di rispettare principi ben definiti. Il Comitato ritiene che in futuro, affinché i poteri nazionali e regionali tengano conto del ruolo delle organizzazioni della società civile bisognerà, da un lato, imporre l'obbligo di rispettare disposizioni concrete (o di seguire determinati orientamenti) e, dall'altro, che le stesse organizzazioni della società civile, e in particolare le non governative, sappiano autorganizzarsi e designare i propri rappresentanti. Il CESE sottolinea che gli attori della società civile possono acquisire un ruolo e ottenere che tale ruolo sia rispettato dalle autorità statali solo grazie a una rappresentatività incontestabile che conferisca loro legittimità e pertanto ammissibilità ai programmi dei fondi strutturali destinati al loro ambito di attività.

8.4

Il Comitato è peraltro del parere che occorrerebbe impegnarsi per rafforzare globalmente l'efficacia dei comitati di monitoraggio, in modo che non si riducano a meri organi formali e, come si verifica in molti casi, a luoghi adibiti alla semplice presentazione di decisioni già adottate dall'amministrazione pubblica. Varrebbe la pena di assicurare che svolgano veramente il ruolo di forum deputati alla discussione e alla ricerca delle soluzioni più efficaci. Secondo il Comitato, uno dei metodi per conseguire tale obiettivo consisterebbe nel prevedere la partecipazione delle organizzazioni della società civile, che possono apportare un nuovo punto di vista al dibattito.

8.5

Il Comitato fa osservare che fra i problemi più spesso rilevati, per quanto riguarda la partecipazione al monitoraggio dei fondi strutturali, figurano anche l'accesso limitato ai documenti, la mancanza delle risorse finanziarie necessarie all'esercizio di queste funzioni e, infine, un sistema non trasparente per la designazione dei rappresentanti delle organizzazioni della società civile. Il Comitato considera le osservazioni di questo tipo un segnale di grande importanza, che invita a compiere sforzi per cambiare la situazione nel prossimo periodo di programmazione. Esso ritiene che i consigli economici e sociali nazionali e/o regionali potrebbero esercitare una funzione di consulenza a favore delle organizzazioni della società civile che lo richiedessero.

8.6

Il Comitato è anche del parere che i rappresentanti delle organizzazioni della società civile nei comitati di monitoraggio dovrebbero beneficiare di una formazione e del rimborso delle spese sostenute (ad es. spese di viaggio), perché sia garantito che siano in grado di svolgere efficacemente il proprio ruolo.

9.   Richieste del Comitato

9.1

Il Comitato ha già elaborato, a più riprese, dei pareri sulla politica di coesione e sui fondi strutturali, nei quali insiste sul ruolo fondamentale delle organizzazioni della società civile. Sulla questione si sono espresse anche numerose altre istituzioni. Nel Terzo rapporto sulla coesione economica e sociale si osserva che «per promuovere un'amministrazione migliore, dovrebbe aumentare il coinvolgimento delle parti sociali e dei rappresentanti della società nella progettazione, attuazione e follow-up degli interventi, attraverso meccanismi appropriati». Il Comitato nutre la speranza che questa posizione trovi piena espressione nei regolamenti definitivi che verranno adottati e nel prossimo periodo di programmazione. Spera anche che la Commissione europea elabori determinati orientamenti per gli Stati membri basandosi sulle osservazioni contenute nel presente parere.

9.2

Ritiene che sarebbe molto utile esaminare le soluzioni attualmente adottate dagli Stati membri per garantire un'attuazione efficace del principio del partenariato. Sta inoltre considerando la possibilità di creare all'interno delle proprie strutture un osservatorio del partenariato.

9.3

Il Comitato si rende conto, tuttavia, che la presa in considerazione o meno delle sue raccomandazioni e richieste dipenderà principalmente dagli Stati membri. Invita quindi le autorità nazionali e regionali a garantire una maggiore partecipazione delle organizzazioni della società civile al processo di attuazione della politica di coesione, indipendentemente dalla forma che assumeranno i regolamenti adottati.

10.   Tenuto conto delle suddette osservazioni, il Comitato rivolge le seguenti raccomandazioni alla Commissione e al Consiglio e lancia un appello agli Stati membri (autorità nazionali e regionali) e alle organizzazioni della società civile:

10.1   Programmazione a livello comunitario

Il Comitato, che svolge da lungo tempo una funzione consultiva nei confronti della Commissione, del Parlamento e del Consiglio, sottolinea che nella propria azione esso si adopera per associare ai propri lavori anche altre organizzazioni, in modo che i suoi pareri tengano conto nel modo più ampio possibile delle osservazioni e delle posizioni dei rappresentanti della società civile.

Nel suo parere sulla rappresentatività delle organizzazioni europee della società civile, il Comitato ha presentato una serie di criteri fondamentali unitamente all'esortazione a sfruttare i risultati dei suoi lavori (15). Una definizione chiara della rappresentatività renderebbe più legittima di quanto non lo sia oggi la partecipazione della società civile alle diverse tappe del processo di attuazione della politica di coesione.

Il Comitato propone che si completino gli orientamenti strategici per il periodo 2007-2013 definendo un quadro concreto per l'impegno delle organizzazioni della società civile.

Il Comitato auspica che, nella disposizione relativa alla consultazione a livello comunitario prevista nella versione dei regolamenti generali presentata nell'aprile 2006, il diritto di partecipare alla consultazione sia garantito anche ad altre organizzazioni europee rappresentative.

Il Comitato invita la Commissione e il Consiglio a sottolineare espressamente, nei regolamenti relativi alla cooperazione transfrontaliera, che le organizzazioni della società civile possono essere partner nelle azioni intraprese.

Il Comitato incita la Commissione a promuovere e rispettare norme minime nelle consultazioni sulla politica di coesione e a fare maggior uso dei mezzi elettronici.

10.2   Programmazione a livello nazionale

Il Comitato chiede alla Commissione di formulare una serie di indicatori per il processo di consultazione sui documenti strategici e di programmazione elaborati dagli Stati membri. Esso reputa che sia essenziale presentare non solo il programma delle consultazioni, ma anche un feed-back sulla sua realizzazione.

Il Comitato incoraggia gli Stati membri e le autorità nazionali e regionali responsabili dell'elaborazione dei documenti di programmazione ad impegnarsi a condurre un processo di consultazione corretto, che tenga conto di fattori quali il tempo necessario perché le organizzazioni della società civile interessate possano formulare le loro osservazioni, l'accessibilità dei documenti oggetto di consultazione, il resoconto dello svolgimento della consultazione e la registrazione delle osservazioni formulate.

Il Comitato incoraggia le organizzazioni della società civile a partecipare attivamente in particolare al processo di consultazione.

Il Comitato incoraggia gli Stati membri e le autorità nazionali e regionali responsabili dell'elaborazione dei documenti di programmazione a prestare attenzione alle osservazioni e ai punti di vista formulati dalle organizzazioni della società civile e a tenerne conto nei documenti che elaboreranno.

10.3   Promozione dei fondi strutturali

Il Comitato è convinto che gli Stati membri e le autorità regionali dovrebbero sfruttare maggiormente il potenziale delle organizzazioni della società civile, coinvolgendole nell'elaborazione dei piani di promozione. Dovrebbero sostenere le iniziative che provengono dalla base, destinando a tale scopo risorse finanziarie adeguate fra quelle disponibili per le azioni di promozione e di informazione sui fondi strutturali.

Il Comitato invita le organizzazioni della società civile attive a livello nazionale e regionale a contribuire attivamente ad informare gli ambienti in cui operano sugli obiettivi della politica di coesione e sulle opportunità offerte dai fondi strutturali.

10.4   Attuazione dei fondi strutturali

Il Comitato ritiene che occorra compiere degli sforzi per incoraggiare gli Stati membri a sfruttare il meccanismo delle sovvenzioni globali. Il soggetto più adeguato per quest'impresa sembra essere la Commissione europea, ma anche le organizzazioni della società civile che operano nei singoli Stati possono dare il proprio contributo in tal senso.

Il Comitato invita gli Stati membri, in particolare quelli che non hanno optato fino ad oggi per l'introduzione del meccanismo delle sovvenzioni globali, a beneficiare delle buone pratiche degli altri paesi dell'Unione in materia e a utilizzare il meccanismo nel periodo 2007-2013,

Il Comitato è del parere che ci si debba adoperare in ogni modo affinché le organizzazioni della società civile che rispondono ai criteri di ammissibilità enunciati nel punto 2.2 del presente parere abbiano accesso ai mezzi finanziari messi a disposizione nel quadro dell'assistenza tecnica.

Tenuto conto del ruolo positivo che possono svolgere le organizzazioni della società civile che rispondono ai criteri di ammissibilità enunciati nel punto 2.2 del presente parere, il Comitato incita le autorità nazionali e regionali degli Stati membri a semplificare la procedura per la richiesta di risorse finanziarie a titolo dell'assistenza tecnica.

Il Comitato invita anche gli Stati membri a tenere conto, nell'elaborazione dei bilanci, dei fondi propri delle organizzazioni della società civile che rispondono ai criteri di ammissibilità enunciati nel punto 2.2 del presente parere (sia che si tratti delle parti sociali che di organizzazioni non governative) quale componente del cofinanziamento dei progetti.

Il Comitato esorta gli Stati membri a definire direttamente nei programmi operativi quali beneficiari finali le organizzazioni della società civile che rispondono ai criteri di ammissibilità enunciati nel punto 2.2 del presente parere. Nel contempo chiede alla Commissione di verificare che i documenti presentati dagli Stati membri garantiscano alle organizzazioni della società civile la possibilità di accedere ai fondi strutturali.

Il Comitato invita gli Stati membri a sfruttare, nella selezione dei progetti, le conoscenze e l'esperienza delle organizzazioni della società civile che rispondono ai criteri di ammissibilità enunciati nel punto 2.2 del presente parere, sottolineando nel contempo che occorre adoperarsi per evitare l'insorgere di conflitti di interesse.

Il Comitato fa anche osservare che è necessario eliminare o allentare talune restrizioni di natura formale o tecnica che ostacolano l'utilizzo dei fondi strutturali da parte delle organizzazioni della società civile che rispondono ai criteri di ammissibilità enunciati nel punto 2.2 del presente parere.

10.5   Monitoraggio e valutazione dell'utilizzo delle risorse

Il Comitato ritiene che la Commissione dovrebbe elaborare degli orientamenti sui principi da seguire per il coinvolgimento delle organizzazioni della società civile nel processo di monitoraggio e di valutazione e, in particolare, per il loro inserimento, a pieno titolo, nella composizione dei comitati di monitoraggio, adoperandosi nel contempo per mantenere l'imparzialità e l'obiettività nei confronti delle persone e delle organizzazioni che vi partecipano.

Il Comitato spera che le relazioni presentate dagli Stati membri comprenderanno tra l'altro un feed-back sul modo in cui il principio del partenariato viene applicato nel quadro dei comitati di monitoraggio.

Il Comitato esorta gli Stati membri a garantire ai rappresentanti delle organizzazioni della società civile l'accesso a una formazione che garantisca loro di poter svolgere efficacemente la funzione di membri del comitato di monitoraggio.

Il Comitato incita le organizzazioni della società civile a mantenere contatti regolari con i loro rappresentanti nei comitati di monitoraggio e a garantire un flusso d'informazioni bidirezionale.

Bruxelles, 6 luglio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  I pareri elaborati ultimamente su tale argomento sono: il parere sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'istituzione di un gruppo europeo di cooperazione transfrontaliera (GU C 255 del 14.10.2005, pag. 76), il parere sul regolamento recante disposizioni generali sui fondi europei (GU C 255 del 14.10.2005, pag. 79), sul Fondo europeo di sviluppo regionale (GU C 255 del 14.10.2005, pag. 91), sul Fondo sociale europeo (GU C 234 del 22.9.2005, pag. 27), il parere sul tema «Il partenariato quale strumento di attuazione dei fondi strutturali» (GU C 10 del 14.01.2004, pag. 21), il parere sul terzo rapporto sulla coesione economica e sociale (GU C 302 del 7.12.2004, pag. 60 e il parere sugli orientamenti strategici della politica di coesione 2007-2013.

(2)  Parere in merito alla «Proposta di regolamento del Consiglio recante disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo di coesione» (GU C 255 del 14.10.2005, pag. 79).

(3)  Parere in merito alla «Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni: Il dialogo della società civile tra l'UE e i paesi candidati» (GU C 28 del 3.2.2006, pag.97)

(4)  Parere sul tema «La rappresentatività delle organizzazioni europee della società civile nel contesto del dialogo civile» (GU C 88 dell'11.4.2006, pag.41)

(5)  Per poter essere considerata rappresentativa, un'organizzazione europea dovrebbe soddisfare nove criteri:

essere dotata di una struttura stabile a livello europeo,

avere accesso diretto alle conoscenze dei propri membri,

rappresentare interessi generali conformi agli interessi della società europea,

essere composta da organizzazioni, considerate dai rispettivi Stati membri rappresentative degli interessi concreti che difendono,

avere organizzazioni affiliate nella maggior parte degli Stati membri,

prevedere l'obbligo di rendere conto del suo operato ai propri membri («accountability»),

disporre di un mandato di rappresentanza e di azione a livello europeo,

essere indipendente e non sottostare a direttive emananti da interessi esterni,

essere trasparente, in particolare per quanto riguarda le finanze e i processi decisionali interni.

(6)  Parere in merito alla «Proposta di regolamento del Consiglio recante disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo di coesione» (GU C 255 del 14.10.2005, pag. 79).

(7)  COM(2004) 492 def.

(8)  Documento di lavoro della direzione generale Politica regionale che sintetizza i risultati della consultazione pubblica sugli orientamenti strategici comunitari per la politica di coesione, 2007-2013, 7 ottobre 2005.

(9)  Parere sul tema La rappresentatività delle organizzazioni europee della società civile nel contesto del dialogo civile. (GU C 88 dell'11.4.2006, pag.41)

(10)  Best available practices. Public participation in programming, implementation, monitoring of EU funds. Institute of Environmental Economics, Friends of the Earth Europe and CEE Bankwatch Network, settembre 2004.

(11)  Partenariato per il periodo di programmazione 2000-2006 — Analisi dell'attuazione del principio del partenariato — Documento di discussione della DG REGIO, novembre 2005.

(12)  Brian Harvey, Illusion of inclusion (L'illusione dell'inclusione), ECAS.

(13)  Parere in merito alla «Proposta di regolamento del Consiglio recante disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo di coesione» (GU C 255 del 14.10.2005, pag. 79).

(14)  Parere del CESE «Il partenariato quale strumento di attuazione dei fondi strutturali», GU C del 14.1.2004, pag. 21.

(15)  Per poter essere considerata rappresentativa, un'organizzazione europea dovrebbe soddisfare nove criteri:

essere dotata di una struttura stabile a livello europeo,

avere accesso diretto alle conoscenze dei propri membri,

rappresentare interessi generali conformi agli interessi della società europea,

essere composta da organizzazioni considerate dai rispettivi Stati membri rappresentative degli interessi concreti che difendono,

avere organizzazioni affiliate nella maggior parte degli Stati membri,

avere l'obbligo di rendere conto del proprio operato ai suoi membri («accountability»),

disporre di un mandato di rappresentanza e di azione a livello europeo,

essere indipendente e non sottostare a direttive emananti da interessi esterni,

essere trasparente, in particolare sul piano finanziario e delle strutture decisionali.


16.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 309/133


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio relativo alla costituzione di un'impresa comune per la realizzazione del sistema europeo di nuova generazione per la gestione del traffico aereo (SESAR)

COM(2005) 602 def. — 2005/0235 (CNS)

(2006/C 309/27)

Il Consiglio, in data 4 gennaio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 171 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 30 maggio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore McDONOGH.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 6 luglio 2006, nel corso della 428a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 37 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

SESAR rappresenta la componente tecnologica dell'iniziativa Cielo unico europeo, avviata nel 2004 allo scopo di riformare l'organizzazione del controllo del traffico aereo. Esso introdurrà nuove tecnologie di controllo, calcolo e comunicazione tra terra e bordo che consentiranno di ottimizzare il lavoro dei controllori di volo e dei piloti. Alla progressiva automatizzazione della cabina di pilotaggio non corrisponde infatti oggi un'evoluzione dei sistemi utilizzati da piloti e controllori di volo, che comunicano ancora via radio.

1.2

SESAR è un sistema di nuova generazione per la gestione del traffico aereo che sarà di fondamentale importanza per far fronte al previsto aumento di tale traffico. Esso migliorerà la sicurezza e le prestazioni ambientali del trasporto aereo consentendo nel contempo all'Europa di rimanere all'avanguardia nel mercato aeronautico mondiale. Questo importante progetto industriale sarà sviluppato dalla Commissione di concerto con Eurocontrol e con una serie di partner industriali.

1.3

Con SESAR l'Europa si doterà dell'infrastruttura di controllo del traffico aereo più efficace al mondo. Rendendo il trasporto aereo più efficiente, SESAR apporterà un valore netto attualmente stimato a 20 miliardi di EUR, mentre i suoi effetti diretti e indiretti vengono calcolati a 50 miliardi di EUR. Il progetto contribuirà inoltre alla creazione di quasi 200 000 posti di lavoro altamente qualificati.

1.4

Di qui al 2025 il traffico aereo in Europa dovrebbe subire un notevole incremento. Tale incremento non sarà possibile senza una completa revisione dell'infrastruttura di controllo del traffico che consenta di ottimizzare le rotte aeree ed eliminare la congestione. SESAR migliorerà inoltre la sicurezza del trasporto aereo, oggi limitata dall'uso di tecnologie non più al passo con i tempi e dalla frammentazione del controllo del traffico aereo.

1.5

La Commissione e Eurocontrol finanziano congiuntamente un contratto d'appalto di 43 milioni di EUR (50,5 milioni di USD), assegnato a un consorzio formato da 30 compagnie aeree, che copre la fase di definizione del progetto di ricerca sulla gestione del traffico aereo nel Cielo unico europeo, prima noto con il nome di Sesame e ora ribattezzato SESAR. Durante tale fase, che avrà durata biennale, non verrà soltanto progettato il futuro sistema di gestione del traffico aereo, ma saranno anche definiti i tempi della sua introduzione, che si estenderà fino al 2020.

1.6

Il costo totale della fase di definizione, ivi compreso il succitato appalto, sarà di 60 milioni di EUR, e verrà cofinanziato in eguale misura dalla Commissione europea e da Eurocontrol. Eurocontrol contribuirà con risorse finanziarie nonché conoscenze tecniche e attività di ricerca. La Commissione ha dichiarato che la fase di sviluppo richiederà circa 300 milioni di EUR all'anno, che verranno forniti dalla Commissione stessa, dall'industria aerea e da Eurocontrol. Nelle attività di ricerca e sviluppo relative alla gestione del traffico aereo vengono già spesi 200 milioni di EUR all'anno, che ora confluiranno nel progetto SESAR.

1.7

Se la fase di definizione è interamente finanziata dalla Commissione e da Eurocontrol, per la fase di sviluppo, invece, è previsto un intervento dell'industria aerea in generale pari a un terzo dei finanziamenti del programma, ovverosia circa 100 milioni di EUR all'anno per 7 anni, mentre l'UE e Eurocontrol forniranno gli altri due terzi, contribuendo ciascuno con il 100 milioni.

1.8

Non è ancora chiaro quali soggetti forniranno i 100 milioni di EUR all'anno a carico del settore aereo e come verrà ripartito tale contributo. Prima di procedere alla sua definizione si dovranno tuttavia risolvere questioni difficili, come ad esempio quelle legate ai diritti di proprietà intellettuale, alle clausole di concorrenza, ecc.

1.9

Un'indicazione dell'importo che dovrà fornire il settore aereo è tuttavia fornita dall'attuale livello delle spese per le attività di ricerca e sviluppo in materia di gestione del traffico aereo, pari a 200 milioni di EUR all'anno. Di questi, all'incirca 75 milioni sono forniti dai prestatori di servizi di navigazione aerea. Una parte consistente, se non la totalità di questi fondi, andrà a finanziare SESAR, anziché essere utilizzata in modo dispersivo.

1.10

Sono associati al progetto centri di ricerca e sviluppo nella gestione del traffico aereo come Euramid (Eurocontrol Military Domain) e la Civil Aviation Authority del Regno Unito (UK CAA, Ente britannico per l'aviazione civile), industrie del settore aereo non europee (Boeing, Honeywell, Rockwell-Collins), organizzazioni internazionali di categoria quali l'International Federation of Air Traffic Controllers Associations (Ifatca, Federazione internazionale delle associazioni dei controllori di volo), la European Cockpit Association (ECA, Associazione europea dei piloti) e la European Transport Workers Federation (ETF, Federazione europea dei lavoratori dei trasporti).

1.11

Le società che parteciperanno alla fase di definizione sono le seguenti:

 

UTENTI: Air France, Iberia, KLM, Lufthansa, Association of European Airlines (AEA, Associazione delle linee aeree europee), European Regional Airlines Association (ERAA, Associazione delle linee aeree regionali europee), International Airline Transport Association (IATA, Associazione internazionale del trasporto aereo), International Council of Aircraft Owners and Pilots Association (IAOPA, Consiglio internazionale delle associazioni dei proprietari di aeromobili e dei piloti).

 

PRESTATORI DI SERVIZI DI NAVIGAZIONE AEREA: Aeropuertos Españoles y Navegación Aérea (Spagna) (AENA), Austrocontrol (Austria), DFS (Germania), Direction des Services de Navigation Aérienne (DSNA) (Francia), Ente nazionale di assistenza al volo (ENAV) (Italia), Luftfartsveket (LFV) (Svezia), Luchtverkeersleiding Nederland (LVNL) (Olanda), National Air Traffic Services (NATS) (UK), NAV (Canada).

 

AEROPORTI: Aéroports de Paris, BAA, Fraport, Amsterdam, Flughafen München, AENA, LFV.

 

INDUSTRIA: Airbus, BAE Systems, European Aeronautic Defence and Space Company (EADS), Indra, Selex, Thales ATM, Thales Avionics e Air Traffic Alliance.

2.   Raccomandazioni e osservazioni

2.1

Ogni iniziativa volta ad ammodernare il controllo del traffico aereo in Europa va apprezzata in quanto costruttiva.

2.2

L'obiettivo deve essere quello di razionalizzare i percorsi di volo, aumentare il risparmio energetico e ridurre i tempi di volo per i passeggeri.

2.3

La creazione di blocchi funzionali di spazio dovrebbe consentire di ottimizzare l'utilizzo dello spazio aereo rispettando al tempo stesso gli accordi regionali e tenendo conto delle condizioni di vita e degli interessi delle comunità locali (città e paesi) che si trovano al di sotto dei blocchi di spazio aereo.

2.4

Poiché il progetto SESAR contribuisce ad evitare la duplicazione delle attività di ricerca e sviluppo, esso non dovrebbe provocare un aumento del volume complessivo dei contributi degli utenti aerei alle attività di ricerca e sviluppo.

2.5

A seguito dell'adesione della Comunità a Eurocontrol, la Commissione ed Eurocontrol hanno firmato un accordo quadro di cooperazione per la realizzazione del Cielo unico europeo e per le attività di ricerca e sviluppo nel settore del controllo del traffico aereo. Ciò dovrebbe concorrere a migliorare sia la sicurezza che l'efficacia operativa dei prestatori di servizi di navigazione aerea.

2.6

L'impresa comune deve adottare un approccio integrato, basato sugli sforzi congiunti del partenariato pubblico e privato su tutti gli aspetti del progetto (tecnici, operativi, normativi e istituzionali), assicurando un passaggio indolore dalla fase di definizione alla fase di attuazione e dalla ricerca e sviluppo al dispiegamento su larga scala.

2.7

La portata dei finanziamenti previsti per l'impresa comune dovrebbe essere riesaminata al termine della fase di definizione. Le parti interessate dovranno valutare l'impatto di eventuali costi supplementari a carico del settore privato tramite il meccanismo degli oneri di uso, in quanto questi potrebbero ripercuotersi sui passeggeri.

2.8

I finanziamenti pubblici previsti per la fase di attuazione di SESAR dovrebbero essere integrati da contributi del settore privato.

2.9

Tenuto conto del numero di soggetti che sarà coinvolto nel processo e delle risorse finanziarie e conoscenze tecniche necessarie, è fondamentale istituire un ente dotato di personalità giuridica che sia in grado di assicurare una gestione coordinata dei fondi assegnati al progetto SESAR durante la fase di attuazione.

2.10

Le imprese che partecipano alla fase di definizione sono numericamente limitate e non rappresentano la totalità dell'industria aerea europea. La Commissione dovrebbe estendere la partecipazione anche a imprese più piccole, in particolare quelle dei nuovi Stati membri.

2.11

Il progetto SESAR richiederà un'attuazione progressiva. La fase conclusiva dovrebbe essere completata il più rapidamente possibile e la Commissione dovrebbe stabilire delle tappe chiare per accelerare la realizzazione del progetto e ridurne i tempi di attuazione.

2.12

Gli oneri del traffico aereo europeo dovrebbero essere ridotti grazie alla maggiore efficienza prodotta da SESAR.

Bruxelles, 6 luglio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


16.12.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 309/135


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il futuro dei servizi di interesse generale

(2006/C 309/28)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 luglio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema Il futuro dei servizi di interesse generale.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 30 maggio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore HENCKS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 6 luglio 2006, nel corso della 428a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 46 voti favorevoli, 9 voti contrari e 7 astensioni:

1.   Conclusioni

1.1

I servizi di interesse generale (SIG), definiti come tali dalle autorità pubbliche a partire da — e con riferimento a — un'azione sociale e civica, soddisfano dei bisogni fondamentali e svolgono un ruolo chiave per la promozione della coesione sociale e territoriale dell'Unione europea e il successo della strategia di Lisbona.

1.2

Ora che il Consiglio europeo ha deciso di aprire una fase di riflessione sui grandi temi europei, bisognerà che la società civile diventi un attore determinato e proattivo per garantire l'efficacia dei SIG e farne una componente essenziale dell'Europa.

1.3

Il Comitato ribadisce pertanto la richiesta che vengano definiti a livello comunitario i principi fondamentali comuni da applicare a tutti i SIG, da enunciare in una direttiva quadro e, eventualmente, da modulare a seconda del settore disciplinato in una serie di direttive settoriali.

1.4

In virtù del principio di sussidiarietà, ogni Stato membro deve poter definire, con atto ufficiale da notificare, i tipi di servizi che, per il fatto di rientrare nell'ambito della sovranità statale o comunque per ragioni di interesse nazionale, regionale o locale, non sono servizi di interesse economico generale (SIEG) e dunque non ricadono nel campo di applicazione delle regole di concorrenza e sugli aiuti di Stato;

1.5

Per gli altri SIG, la direttiva quadro e le normative settoriali devono garantire espressamente la libertà degli Stati membri o degli enti locali e regionali di definire i modi di gestione e di finanziamento, i principi e i limiti dell'azione comunitaria, la valutazione delle prestazioni, i diritti dei consumatori e degli utenti ed una base minima di missioni e di obblighi di servizio pubblico.

1.6

Affinché tutti i destinatari dei SIG (di natura economica e non) condividano le misure da adottare, tutte le parti interessate — come lo Stato, le regioni e gli enti locali, le parti sociali, le associazioni di consumatori, le organizzazioni di tutela dell'ambiente, i soggetti del terzo settore e gli organismi che lottano contro l'esclusione sociale — dovranno avere un ruolo, accanto agli organismi regolatori e agli operatori del settore, nel funzionamento dei SIG ed essere coinvolte in tutte le fasi del processo di regolazione dei SIG, cioè sia nell'organizzazione che nella fissazione delle regole, nella vigilanza e nell'applicazione degli standard di qualità.

1.7

A livello europeo, ogni volta che delle direttive settoriali in materia di SIG hanno delle ripercussioni sociali, in particolare sulla qualificazione e sulle condizioni di lavoro dei lavoratori, le organizzazioni sindacali e datoriali dovranno essere consultate nel quadro di nuovi comitati settoriali del dialogo sociale europeo strutturato.

1.8

Il carattere evolutivo dei SIG e la loro importanza per l'attuazione della strategia di Lisbona rendono indispensabile una valutazione regolare, alla luce degli obiettivi dell'Unione, non solo dei SIEG — per i quali esiste una disciplina comunitaria -, ma anche dei SIG in generale. Il CESE propone quindi di istituire un osservatorio per la valutazione dei SIG (di natura economica e non), composto sia da rappresentanti politici del Parlamento europeo e del Comitato delle regioni che da rappresentanti della società civile organizzata in seno al Comitato economico e sociale europeo.

1.9

Il CESE ribadisce la necessità che i principi fin qui sviluppati determinino anche la posizione dell'UE nei negoziati commerciali internazionali, soprattutto in ambito OMC e in particolare riguardo al GATS. Non è ammissibile, infatti, che in sede internazionale l'UE assuma l'impegno di liberalizzare determinati settori o attività senza che tale impegno sia stato deciso nel quadro delle specifiche regole del mercato interno applicabili ai SIG. L'esigenza di mantenere la competenza degli Stati membri a disciplinare i SIG (di natura economica e non) per raggiungere gli obiettivi sociali e di sviluppo che l'UE si è prefissa impone di escludere i SIG da tali negoziati.

2.   Oggetto del parere

2.1

I SIG sono al centro del modello sociale europeo e svolgono un ruolo chiave nella promozione della coesione sociale e territoriale dell'UE. Oltre a completare e oltrepassare il mercato unico, essi costituiscono una precondizione del benessere economico e sociale dei cittadini e delle imprese.

2.2

I SIG, siano essi di natura economica o meno, soddisfano comunque dei bisogni fondamentali, contribuiscono a creare un senso di appartenenza dei cittadini alla società e rappresentano per tutti i paesi europei un elemento della loro identità culturale, perfino nei gesti della vita quotidiana.

2.3

Al centro di tutte queste considerazioni vi è quindi l'interesse del cittadino, la cui tutela esige la garanzia dell'accesso ai servizi ritenuti essenziali e del perseguimento degli obiettivi prioritari.

2.4

Questa comunità di valori fa sì che i modi di organizzazione dei SIG varino da un paese all'altro, da una regione all'altra e a seconda dei settori considerati. La definizione dei SIG può essere stabilita dalle autorità nazionali, a partire da — e con riferimento a — un'azione sociale e civica.

2.5

Una tale varietà di situazioni pone indubbiamente una sfida all'integrazione europea. Tuttavia, lungi dal costituire un ostacolo insormontabile, essa offre l'opportunità di creare, mediante l'adattamento di un insieme di principi applicabili a tutti i SIG, un quadro idoneo a soddisfare l'interesse generale in un contesto economico e sociale in continuo mutamento.

2.6

Realizzare un'interazione benefica tra il grande mercato europeo da una parte — con i suoi imperativi di libera circolazione, libera concorrenza, efficacia, competitività e dinamismo economico — e la considerazione di obiettivi di interesse generale dall'altra si è rivelato un processo lungo e complesso. Gli sforzi compiuti in tale ambito sono stati in gran parte coronati da successo, ma restano ancora determinati problemi da risolvere.

3.   Sfondo storico

3.1

Il Trattato di Roma menziona i servizi pubblici solo all'articolo 77 (divenuto l'articolo 73 nella versione vigente), che riguarda il «pubblico servizio» nel settore dei trasporti, e all'articolo 90, paragrafo 2 (divenuto l'articolo 86, paragrafo 2), che, a determinate condizioni, prevede alcune deroghe alle regole di concorrenza per i «servizi di interesse economico generale».

3.2

Infatti, l'articolo 86, paragrafo 2, del TCE dà agli Stati membri la possibilità di prevedere un regime giuridico che deroghi al diritto comune, in particolare alle regole di concorrenza, a favore delle imprese incaricate della gestione di SIEG: «le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme del presente trattato, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi della Comunità» (1).

3.3

Sulla base di quest'ultimo articolo, dal 1993 la Corte di giustizia riconosce che, per l'adempimento della specifica missione affidatagli, l'operatore incaricato della gestione di un servizio pubblico può derogare alle regole di concorrenza previste dal Trattato nella misura in cui tali deroghe sono necessarie per permettere all'impresa di garantire il servizio di interesse economico generale in condizioni economicamente accettabili (2).

3.4

Pertanto, la Corte ha dichiarato compatibile con il Trattato l'attribuzione di alcuni vantaggi concorrenziali riguardo ad alcune attività redditizie per compensare le perdite subite dall'impresa nell'esercizio di attività non redditizie, ma di interesse generale (3).

3.5

Seguendo la stessa logica, la Corte ha statuito che, nella misura in cui devono essere considerate una compensazione atta a rappresentare la contropartita delle prestazioni effettuate dalle imprese beneficiarie per adempiere obblighi di servizio pubblico (e, per essere considerate tali, devono ricorrere determinate condizioni), le sovvenzioni pubbliche non ricadono nell'ambito di applicazione delle norme sugli aiuti di Stato previste dal Trattato (4). Nel contempo, però, la Corte precisa che anche ai SIG — di natura economica e non — si applicano i principi generali sanciti dal Trattato: trasparenza, proporzionalità, non discriminazione, parità di trattamento.

3.6

È a partire dall'Atto unico del 1986, con la creazione di un mercato unico, che la Comunità europea ha iniziato a intervenire nel campo dei SIEG, in particolare mettendo in questione alcuni diritti specifici accordati agli operatori di servizi (pubblici o privati) negli Stati membri e avviando un'amplissima liberalizzazione delle grandi reti di servizi pubblici.

3.7

Il Trattato di Amsterdam (1997) sottolinea, all'articolo 16, l'importanza dei servizi di interesse economico generale nell'ambito dei valori comuni dell'Unione, nonché il loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale, e prevede che la Comunità europea e gli Stati membri provvedano affinché tali servizi, pur restando ampiamente soggetti ai principi in materia di concorrenza, funzionino «in base a principi e condizioni che consentano loro di assolvere i loro compiti».

3.8

Detto articolo 16 non ha portata operativa riguardo alla politica della Commissione nei confronti degli operatori di servizi pubblici. Tuttavia, nel marzo 2000 il Consiglio europeo di Lisbona ha deciso di «completare» e rendere «pienamente operativo» il mercato interno, prevedendo una maggiore liberalizzazione nei servizi pubblici in rete e l'estensione del campo della concorrenza nei mercati nazionali, sia che si tratti di trasporti ferroviari, di servizi postali, di energia o di telecomunicazioni.

3.9

La Carta dei diritti fondamentali, proclamata a Nizza nel 2000, stabilisce per la prima volta un collegamento tra i SIG e i diritti fondamentali. Così, gli articoli da 34 a 36 della Carta riconoscono il diritto di accesso ai SIEG e i diritti relativi ad alcuni aspetti specifici dei SIG (come la sicurezza sociale e l'assistenza sociale, la protezione della salute o la tutela dell'ambiente).

3.10

Il Consiglio europeo di Barcellona, del 15 e 16 marzo 2002, ha espressamente chiesto alla Commissione di «specificare, in una proposta di direttiva quadro, i principi relativi ai servizi di interesse economico generale su cui si fonda l'articolo 16 del Trattato, rispettando nel contempo le specificità dei diversi settori interessati e tenendo conto delle disposizioni dell'articolo 86 del Trattato».

4.   Contesto attuale

4.1

Anche se in materia di SIG si sono registrati alcuni progressi, molti rappresentanti della società civile li ritengono insufficienti, considerata l'importanza di tali servizi nella vita dei cittadini europei, e hanno quindi moltiplicato le iniziative nel quadro dell'elaborazione della futura Costituzione europea per ancorare i principi in tema di SIG agli obiettivi comuni dell'UE. Ciò al fine di promuovere e garantire la sicurezza e la giustizia sociale mediante servizi di qualità fondati sui principi dell'universalità, della parità di accesso, della neutralità della proprietà e dell'accessibilità dei prezzi.

4.2

L'articolo III-122 del progetto di Trattato costituzionale doveva porre le basi della normativa comunitaria di diritto derivato sui principi e sulle condizioni in tema di SIEG, disponendo che, «fatta salva la competenza degli Stati membri»,«la legge europea stabilisce tali principi e fissa tali condizioni», «in particolare economiche e finanziarie, che consentano loro [cioè ai SIEG] di assolvere i propri compiti».

4.3

Inoltre, l'articolo III-122 doveva riconoscere il principio della libera amministrazione degli enti locali ed elevare a principio costituzionale la possibilità di prestare essi stessi dei SIEG, concretizzando così il principio di sussidiarietà sul piano delle rispettive competenze dell'UE e degli Stati membri in materia di SIEG.

4.4

Considerato lo stallo del processo di ratifica del Trattato costituzionale, il CESE ritiene necessario impegnarsi fin d'ora, sulla base dei Trattati in vigore, nel processo di elaborazione della direttiva quadro sui SIG (di carattere economico e non), da esso invocata ormai da anni nei suoi pareri (5).

4.5

Allo stato attuale della legislazione comunitaria, la base giuridica può essere solo quella relativa al completamento del mercato interno, tenendo conto che tale base deve essere integrata da altre disposizioni del Trattato CE, che contribuiscono a dare un contenuto preciso al tipo di mercato interno previsto per i SIEG:

l'articolo 16, che pone all'Unione europea l'obiettivo di far sì che i SIEG possano assolvere i loro compiti,

l'articolo 36 della Carta dei diritti fondamentali, che prevede che l'UE garantisca il diritto di accesso di tutti ai SIEG,

l'articolo 86, che precisa che, in caso di conflitto tra regole di concorrenza e missioni di interesse generale, queste ultime devono prevalere,

l'articolo 5, che sancisce il principio di sussidiarietà,

l'articolo 295, che impone la neutralità dell'UE riguardo alla proprietà delle imprese,

il titolo VIII sull'occupazione, tenuto conto del numero di posti di lavoro direttamente o indirettamente interessati dai SIEG,

il titolo XIV sulla protezione dei consumatori, che implica delle disposizioni specifiche per i SIEG,

il titolo XV sulle reti transeuropee, che affida all'Unione una serie di responsabilità al riguardo,

il titolo XVI sull'industria, che presuppone dei SIEG moderni, efficaci e di qualità,

il titolo XVII sulla coesione economica e sociale, che implica l'obbligo di compensare gli squilibri esistenti,

il titolo XIX sull'ambiente, particolarmente importante per i SIEG, tenuto conto delle esternalità che essi generano.

4.6

Il combinato disposto di questi articoli permette di fondare un diritto specifico dei SIEG come parte integrante di una direttiva quadro concernente tutti i SIG, considerando allo stesso tempo la necessità di completare il mercato interno e di tener conto delle specificità dei SIEG, pur nel rispetto degli obiettivi indicati nel Trattato.

5.   Distinzione tra servizi di interesse generale e servizi di interesse economico generale

5.1

Contrariamente ai SIEG, i SIG nel loro insieme non sono menzionati come tali nei Trattati.

5.2

I SIG di natura non economica non sono né disciplinati da specifiche norme comunitarie né soggetti alle regole concernenti il mercato interno, la concorrenza e gli aiuti di Stato. Tuttavia, essi riguardano una serie di obiettivi dell'UE (garanzia dei diritti fondamentali, promozione del benessere dei cittadini, giustizia sociale, coesione sociale, ecc.), indispensabili per la società. Ne deriva dunque che l'UE, che ha delle responsabilità in materia di promozione del tenore di vita e della qualità della vita su tutto il territorio europeo, ha determinate responsabilità anche riguardo ai SIG in quanto strumenti di attuazione dei diritti fondamentali e della coesione sociale. Essa deve quindi almeno far sì che i SIG esistano e che tutti possano accedervi, a un prezzo ragionevole e con la garanzia di un servizio di qualità.

5.3

La distinzione tra carattere economico e non economico del servizio resta vaga e incerta. Anche se effettuata senza scopo di lucro o a titolo gratuito, quasi ogni prestazione di un SIG ha un certo valore economico senza per questo dover ricadere nell'ambito di applicazione delle regole di concorrenza. Inoltre, uno stesso servizio può essere, allo stesso tempo, commerciale e non. Analogamente, un servizio può avere carattere commerciale senza che, tuttavia, il mercato sia in grado di assicurarlo nella logica e secondo i principi che presiedono ai SIG.

5.4

Ne deriva una serie di ambiguità e di contraddizioni tra la concorrenza e i SIG, il cui carattere economico o non continua, sul piano giuridico, ad essere oggetto di interpretazioni e di ripensamenti da parte della Corte di giustizia delle Comunità europee. Tutto ciò:

rende incerta la situazione di numerosi prestatori di servizi pubblici, in particolare di quelli che operano in campo sociale o nei settori non commerciali o esercitano la loro attività a livello locale,

espone gli operatori al rischio di sanzioni da parte della Commissione o della Corte di giustizia,

preoccupa i cittadini/consumatori, che temono la scomparsa dei servizi pubblici.

5.5

Inoltre, esistono alcune discrepanze tra le terminologie utilizzate dalle varie istituzioni europee. Infatti, per la Commissione la nozione di SIG comprende tutti i servizi di interesse generale, commerciali e non, mentre per il Parlamento europeo vi rientrano solo quelli di carattere non economico. Pertanto, il CESE chiede alle istituzioni europee di concordare la definizione e l'utilizzo di una terminologia comune.

6.   Orientamenti futuri

6.1

Ora che, dopo l'esito dei referendum sul Trattato costituzionale, il Consiglio europeo ha deciso di aprire una fase di riflessione sui grandi temi europei, bisognerà che la società civile diventi un attore determinato e proattivo per garantire l'efficacia dei SIG e farne una componente essenziale dell'Europa.

6.2

In quest'ottica, bisogna chiedersi quali iniziative adottare in Europa per arrivare ad una combinazione armoniosa tra i meccanismi di mercato e le missioni di servizio pubblico nei campi in cui tale complementarità è compatibile con gli obiettivi dei SIG e può contribuire in modo sostanziale a migliorare la qualità della vita dei cittadini europei. Ciò nella logica del modello sociale europeo, basato sulla crescita economica, l'aumento dell'occupazione e il benessere sostenibile.

6.3

Una delle grandi caratteristiche di tale modello è il dialogo sociale. L'informazione, la consultazione e il coinvolgimento delle parti sociali e degli attori della società civile costituiscono le condizioni indispensabili per il mantenimento del modello sociale europeo e il successo del suo rinnovamento. Si tratterà di riuscire a realizzare un'Europa sociale, basata su un'interazione benefica tra regolamentazione e dialogo sociale.

6.4

Tutte le parti interessate — Stato, regioni ed enti locali, parti sociali, associazioni di consumatori, organizzazioni di tutela dell'ambiente, soggetti del terzo settore, organismi che lottano contro l'esclusione sociale, ecc. — devono avere un ruolo, accanto agli organismi regolatori e agli operatori del settore, nel funzionamento dei SIG.

6.5

Occorre quindi garantire che, a livello nazionale, regionale e locale, le suddette parti interessate siano coinvolte in tutte le fasi del processo di regolazione dei SIG, cioè sia nell'organizzazione che nella fissazione delle regole, nella vigilanza, nel controllo del rapporto costo/efficacia e nell'applicazione degli standard di qualità.

6.6

A livello europeo, tutte le iniziative legislative della Commissione riguardo a direttive settoriali in materia di SIG che hanno ripercussioni sociali, in particolare sulla qualificazione e sulle condizioni di lavoro dei lavoratori, devono essere precedute da un dialogo sociale europeo strutturato.

6.7

In altri termini, la logica dell'articolo 139 TCE, secondo cui la Commissione deve far sì che le organizzazioni sindacali e datoriali siano consultate sulla dimensione sociale delle politiche che essa propone, deve essere applicata anche a livello settoriale quando si tratta di regolamentare i SIEG.

6.8

Così, dei comitati di dialogo sociale settoriale strutturato diverranno i garanti della promozione del dialogo sociale settoriale o intersettoriale. Tale dialogo deve condurre alla conclusione di accordi collettivi europei efficaci al fine di tutelare i diritti dei lavoratori e il loro posto di lavoro nei confronti del dumping sociale e del ricorso a personale non qualificato.

6.9

Tutto ciò non dovrebbe esimere la Commissione dal dovere di procedere a un'analisi d'impatto sul funzionamento dei SIEG per ciascuna delle sue proposte volte a modificare un atto comunitario settoriale o ad adottarne uno nuovo nel campo dei SIEG.

7.   Elaborare una nozione europea di servizio di interesse generale

7.1

L'Europa cui i cittadini aspirano è uno spazio di vita comune dove siano garantite la qualità della vita, la solidarietà, l'occupazione e la creazione di ricchezze non solo materiali. I SIG costituiscono uno strumento indispensabile per soddisfare tali aspettative.

7.2

Occorre, quindi, definire a livello comunitario i principi fondamentali comuni da applicare a tutti i SIG, da enunciare in una direttiva quadro e, eventualmente, da modulare a seconda del settore disciplinato in una serie di direttive settoriali.

7.3

L'adozione di una direttiva quadro orizzontale è indispensabile per offrire agli operatori incaricati della gestione di SIG (di natura economica e non) e alle autorità pubbliche tutta la certezza giuridica che essi chiedono, e agli utenti e ai consumatori le garanzie necessarie.

8.   Obiettivi dei servizi di interesse generale

8.1

Conformemente alla loro funzione di pilastro del modello sociale europeo e di un'economia sociale di mercato, i SIG dovranno, interagendo con il progresso economico e sociale e completandolo:

garantire il diritto di ogni cittadino ad accedere a beni o servizi fondamentali (diritto all'istruzione, alla salute, alla sicurezza, all'occupazione, all'energia e all'acqua, ai trasporti, alle comunicazioni, ecc.),

assicurare la coesione economica, sociale e culturale,

garantire la giustizia e l'inclusione sociale, costruire delle solidarietà, promuovere l'interesse generale della collettività,

creare le condizioni per uno sviluppo sostenibile.

9.   Definizione dell'interesse generale

9.1

Si tratterà innanzitutto di delineare un quadro istituzionale che costituisca una base solida per rendere giuridicamente certa la distinzione, tracciata dalla Carta, tra i SIEG e i servizi di interesse generale di natura non economica. Ciò è necessario in quanto la Carta non prevede che a questi ultimi servizi si applichino le regole di concorrenza e quelle sugli aiuti di Stato.

9.2

Tenendo conto, da un lato, della difficoltà di definire tali nozioni in modo completo e, dall'altro, dei rischi che comporterebbe un approccio troppo restrittivo, si dovrebbero incentrare le relative definizioni sulla missione particolare dei servizi in questione e sui requisiti (obblighi di servizio pubblico) loro imposti per adempiere alle rispettive funzioni, che dovrebbero esser stabilite in modo chiaro.

9.3

Conformemente all'articolo 86, paragrafo 2, TCE e alla pertinente giurisprudenza comunitaria, l'effettivo adempimento di una missione di interesse generale prevale, in caso di conflitto, sull'applicazione delle regole di concorrenza.

10.   Il ruolo delle autorità pubbliche nazionali

10.1

In virtù del principio di sussidiarietà, ogni Stato membro deve restare libero di operare esso stesso la distinzione tra i SIG di natura economica e quelli di natura non economica. Tuttavia, in caso di errore manifesto di valutazione, la Commissione deve poter intervenire.

10.2

Gli Stati membri, quindi, devono poter definire, con un atto ufficiale da comunicare alle istituzioni europee, i tipi di servizi che, per ragioni imperative di interesse generale, rientrano nell'ambito della sovranità statale o, per ragioni di interesse nazionale, regionale o locale, non costituiscono comunque dei SIEG e dunque non ricadono nell'ambito di applicazione delle regole di concorrenza e di quelle sugli aiuti di Stato.

10.3

Senza con ciò voler pregiudicare la discrezionalità delle autorità nazionali, il CESE ritiene che tra questi servizi di interesse nazionale, regionale o locale debbano rientrare quelli relativi all'istruzione obbligatoria, alla sanità e alla protezione sociale, le attività culturali, caritative, di carattere sociale o basate sulla solidarietà o su donazioni, nonché i servizi audiovisivi, di distribuzione idrica e di smaltimento delle acque reflue.

10.4

Riguardo agli altri servizi, la direttiva quadro sui SIG e la normativa settoriale devono definire in modo chiaro i principi e le modalità di regolazione, che integrano il diritto comune della concorrenza. Tale definizione legislativa dovrà consentire l'adeguamento dei requisiti in funzione delle esigenze e degli interessi degli utenti e dei consumatori, nonché dei mutamenti del contesto economico e tecnologico.

10.5

Il CESE ritiene che, per il carattere particolare delle risorse idriche, la necessità di garantire la continuità e la permanenza dei servizi connessi con la distribuzione dell'acqua e la relativa politica di investimento e tariffaria, il settore idrico rivesta un interesse generale e non si presti a essere liberalizzato in modo sistematico a livello europeo.

10.6

Tale quadro regolamentare, quindi, dovrà garantire l'esistenza dei SIG, la libertà degli Stati membri o degli enti regionali e locali di definirli e organizzarli, la libera scelta dei modi di gestione (6) e di finanziamento, i principi e i limiti dell'azione comunitaria in materia, la valutazione delle prestazioni di tali servizi, i diritti dei consumatori e degli utenti ed una base minima di missioni e di obblighi di servizio pubblico.

10.7

I contenuti di questi obblighi di servizio pubblico, imposti dagli Stati membri a sé medesimi o ad altri soggetti prestatori di servizi, sono principalmente la parità e la generalità dell'accesso, l'assenza di ogni discriminazione, la continuità del servizio, la qualità, la trasparenza, la sicurezza e la capacità di adattamento ai necessari cambiamenti.

10.8

Nel rispetto dell'articolo 295 del Trattato, che non pregiudica il carattere pubblico o privato del modo di gestione dei SIEG e non impone agli Stati membri di liberalizzare tali servizi, il CESE promuove le forme più diverse di gestione e di partenariato tra le autorità pubbliche, gli operatori incaricati dei servizi e le parti sociali, nonché gli utenti e i consumatori.

11.   Regolazione

11.1

La regolazione è un processo dinamico, che cambia con il mutare del mercato e con l'evolversi della tecnologia.

11.2

Il modo di funzionamento della concorrenza in un mercato liberalizzato dipende dalle caratteristiche del settore considerato: essa può realizzarsi sotto forma di appalti, di partenariati pubblico/privato, di controllo dei prezzi, di prevenzione delle discriminazioni nell'accesso alla rete o di creazione di una concorrenza tra le reti.

11.3

Il confronto tra i diversi sistemi di regolazione adottati dagli Stati membri mostra che nessuno di tali modelli si può considerare esemplare, dato che esso dipende in ogni caso dalla storia, dalle istituzioni e dalle tradizioni del paese considerato, dalla situazione settoriale o geografica e dallo sviluppo tecnologico di uno specifico settore.

11.4

Si tratta allora di coniugare il rispetto della diversità dei modi di regolazione dei servizi — dovuta alla storia, alla tradizione e alle istituzioni del paese considerato come anche al tipo di servizio fornito — con il perseguimento di precisi obiettivi comunitari e il rispetto di alcune limitate regole comuni. Ciò per favorire la maggiore efficacia possibile a livello transeuropeo, transfrontaliero, nazionale, regionale o locale.

11.5

Pur privilegiando gli scambi e i coordinamenti a livello comunitario, non si dovrebbe imporre alcuna soluzione unitaria su scala europea, dato che spetta agli Stati membri definire il modo pertinente di regolazione dei SIEG, nel rispetto del principio di sussidiarietà e di quello neutralità della CE riguardo al carattere pubblico o privato del modo di gestione di tali servizi.

12.   Valutazione

12.1

Il carattere evolutivo dei SIG, gli obiettivi loro assegnati e l'importanza che assumono per l'attuazione della strategia di Lisbona rendono indispensabile una valutazione regolare, alla luce degli obiettivi dell'UE (rispetto dei diritti fondamentali, promozione del benessere dei cittadini, giustizia sociale, coesione sociale, ecc.), non solo dei SIEG — per i quali esiste una disciplina comunitaria -, ma anche dei SIG in generale.

12.2

Il CESE, quindi, non condivide l'opinione della Commissione (7) secondo cui i servizi di natura non economica devono restare esclusi dalla valutazione orizzontale delle prestazioni dei SIG.

12.3

Tale valutazione dovrà servire ad aumentare l'efficacia dei SIG, ad agevolare il loro adeguamento all'evoluzione dei bisogni dei cittadini e delle imprese e a fornire alle autorità pubbliche gli elementi necessari per compiere le scelte più appropriate.

12.4

Il Parlamento europeo ha chiesto alla Commissione (8) di organizzare il dibattito tra i vari centri di osservazione esistenti (CESE, Comitato delle regioni, organizzazioni del dialogo sociale, associazioni che promuovono iniziative sui SIG e associazioni di consumatori). I risultati di tale dibattito dovrebbero essere presi in attenta considerazione e servire a definire gli orientamenti per la valutazione orizzontale annuale, dato che la stessa valutazione deve essere oggetto di dibattito.

12.5

Ciò implica che l'impegno assunto dalla Commissione (nella comunicazione COM(2002) 331) di associare la società civile alla valutazione orizzontale delle prestazioni dei SIG, in particolare mediante la creazione «di un dispositivo permanente per rilevare i pareri dei cittadini e la loro evoluzione», non resti lettera morta e che — per citare ancora la Commissione — «le parti interessate, incluse le parti sociali» siano «consultate ad hoc su temi specifici».

12.6

Nel rispetto del principio di sussidiarietà, spetterà quindi alla Commissione dare impulso alla dinamica valutativa elaborando, grazie al dialogo con i rappresentanti delle parti interessate, un metodo di valutazione armonizzato su scala europea sulla base di indicatori comuni.

12.7

Questo metodo di valutazione dovrà tener conto non solo dei risultati puramente economici, ma anche dell'impatto sociale e ambientale, nonché della tutela dell'interesse generale a lungo termine.

12.8

Ciò comporta che gli utenti destinatari dei SIG (di natura economica e non) dispongano dei mezzi appropriati per esprimere i loro bisogni e le loro aspirazioni, in particolare contribuendo, tramite i loro rappresentanti, all'elaborazione dei modi di valutazione e alla valutazione dei risultati.

12.9

In quest'ottica, il CESE propone di istituire un osservatorio per la valutazione dei SIG (di natura economica e non), composto sia da rappresentanti politici del Parlamento europeo e del Comitato delle regioni che da rappresentanti della società civile organizzata in seno al Comitato economico e sociale europeo.

12.10

All'interno di tale osservatorio, un comitato di gestione dovrà definire gli obiettivi e le specifiche delle valutazioni, scegliere gli organismi incaricati degli studi, esaminare i rapporti pervenuti e rendere pareri sugli stessi. Esso sarà affiancato da un comitato scientifico, che esaminerà la metodologia scelta e formulerà ogni raccomandazione al riguardo. Il comitato di gestione farà sì che i rapporti di valutazione formino oggetto, in tutti gli Stati membri, di presentazioni e dibattiti pubblici che coinvolgano l'insieme delle parti interessate. A tal fine, detti rapporti dovranno essere disponibili nelle varie lingue di lavoro dell'Unione europea.

13.   Finanziamento

13.1

Se si vuole assicurare a tutti, in tutto il territorio dell'Unione europea, l'accesso a prezzi ragionevoli a dei SIG di qualità, la garanzia del finanziamento a lungo termine degli investimenti e degli obblighi di servizio pubblico rimane una questione essenziale.

13.2

Il perseguimento dell'interesse generale e l'adempimento degli obblighi di servizio pubblico imposti dall'autorità pubblica a uno o più prestatori di un SIEG, a determinate condizioni e nel rispetto di determinate specifiche, esigono dei metodi di finanziamento appropriati.

13.3

Spetta pertanto agli Stati membri garantire il finanziamento a lungo termine, da un lato, di una parte degli investimenti necessari per assicurare la continuità e la sostenibilità dei servizi e, dall'altro lato, di una congrua compensazione degli obblighi di servizio pubblico o di servizio universale. Le norme comunitarie devono favorire — e non limitare — tali garanzie di finanziamento.

13.4

Conformemente ai principi di sussidiarietà e di proporzionalità, la CE si è astenuta dall'adottare una direttiva europea concernente la definizione, l'organizzazione e il finanziamento degli obblighi di servizio pubblico, lasciando così agli Stati membri una completa libertà nella scelta dei metodi di finanziamento dei SIG.

13.5

Gli Stati membri devono poter ricorrere a un'ampia gamma di modi di finanziamento delle missioni e degli obblighi di servizio pubblico, come la compensazione diretta a carico del bilancio statale o di quello degli enti locali, i finanziamenti sulla base di solidarietà sociali o territoriali tra utenze o utenti, i contributi degli operatori e degli utenti, la concessione di crediti d'imposta, l'attribuzione di diritti esclusivi, ecc., nonché, soprattutto in materia di infrastrutture pubbliche la cui gestione sia redditizia, gli strumenti di finanziamento combinato pubblico-privato (partenariati pubblico-privati).

13.6

Dato che i modi di finanziamento dipendono in larga misura dallo Stato o dal settore considerato e sono quindi in continuo mutamento per l'evolversi della tecnologia, il CESE ritiene che, sul piano comunitario, anziché limitare le possibili fonti di finanziamento o privilegiarne una rispetto alle altre, si debba lasciare agli Stati membri la libertà di decidere, a livello nazionale, regionale o locale e sulla base delle loro priorità politiche e del ritorno economico da loro previsto, in che modo finanziare i servizi di cui si assumono la responsabilità.

13.7

Tuttavia, considerate le limitate capacità di finanziamento di alcuni nuovi Stati membri, l'UE dovrebbe mettere a loro disposizione i mezzi necessari per promuovere lo sviluppo di SIG efficaci, siano questi di natura economica o non.

Bruxelles, 6 luglio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  L'articolo III-166, paragrafo 2, del Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa riproduce quasi letteralmente il testo dell'articolo 86, paragrafo 2, TCE.

(2)  Cfr. sentenze «Poste Italiane», «Corbeau», «Comune di Almelo», «Glöckner» e «Altmark».

(3)  Cfr. sentenza «Glöckner» del 25.10.2001.

(4)  Sentenza «Altmark» del 24.7.2003.

(5)  Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema I servizi di interesse generale (parere d'iniziativa), GU C 241 del 7/10/2002, pagg. 119–127; parere del CESE in merito al Libro verde sui servizi di interesse generale COM(2003) 270 def., GU C 80 del 30/3/2004, pagg. 66–76; parere del CESE sul Libro bianco sui servizi di interesse generale COM(2004) 374 def., GU C 221 del 08/9/2005, pagg. 17–21.

(6)  L'articolo 295 TCE sancisce il principio della neutralità della CE riguardo alla proprietà pubblica o privata delle imprese. COM(2004) 374 def., del 12 maggio 2004.

(7)  COM(2002) 331, punto 3.2.

(8)  Relazione del PE A5/0361/2001 (relatore: LANGEN), del 17.10.2001.