ISSN 1725-2466

doi:10.3000/17252466.C_2011.044.ita

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 44

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

54o anno
11 febbraio 2011


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

464a sessione plenaria del 14 e 15 luglio 2010

2011/C 044/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Come favorire partenariati efficaci nella gestione dei programmi della politica di coesione sulla base delle buone prassi del ciclo 2007-2013 (parere esplorativo)

1

2011/C 044/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le conseguenze dell'invecchiamento della popolazione sui sistemi sanitari e di protezione sociale (parere esplorativo)

10

2011/C 044/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il valore aggiunto di un regime comune europeo di asilo, tanto per i richiedenti asilo quanto per gli Stati membri dell'Unione europea (parere esplorativo)

17

2011/C 044/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il metodo aperto di coordinamento e la clausola sociale nel quadro della strategia Europa 2020 (parere esplorativo)

23

2011/C 044/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Sviluppo delle prestazioni sociali (parere esplorativo)

28

2011/C 044/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Povertà e benessere dei bambini (parere esplorativo)

34

2011/C 044/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'impatto prodotto sull'occupazione dalle trasformazioni industriali dovute alle sfide ambientali, energetiche e climatiche (parere esplorativo)

40

2011/C 044/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Verso una più ampia diffusione dei veicoli elettrici (parere esplorativo elaborato su richiesta della presidenza belga)

47

2011/C 044/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La povertà energetica nel contesto della liberalizzazione e della crisi economica (parere esplorativo)

53

2011/C 044/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Costruire un'economia sostenibile trasformando il nostro modello di consumo (parere d'iniziativa)

57

2011/C 044/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Informazione del consumatore (parere d'iniziativa)

62

2011/C 044/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il Trattato di Lisbona e il funzionamento del mercato unico (parere d'iniziativa)

68

2011/C 044/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Innovazione nel turismo: definire una strategia per uno sviluppo sostenibile nelle isole (parere d'iniziativa)

75

2011/C 044/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Tassa sulle operazioni finanziarie (parere d'iniziativa)

81

2011/C 044/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La dimensione sociale del mercato interno (parere d'iniziativa)

90

2011/C 044/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Verso una politica europea di razionalizzazione dell'industria della stampa web offset e rotocalco in Europa (parere d'iniziativa)

99

2011/C 044/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Trasformazioni e prospettive del sottosettore dei servizi tessili in Europa (parere d'iniziativa)

105

2011/C 044/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Promuovere posti di lavoro verdi e sostenibili per il pacchetto Energia-clima dell'UE (parere d'iniziativa)

110

2011/C 044/19

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Rendere più efficace la politica energetica dell'Unione europea a favore delle PMI e in particolare delle microimprese (parere d'iniziativa)

118

2011/C 044/20

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Strumento dell'Unione per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo: il ruolo della società civile organizzata e dei partner sociali

123

2011/C 044/21

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Ruolo e prospettive per l'economia sociale africana nella cooperazione allo sviluppo (parere d'iniziativa)

129

2011/C 044/22

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema I parchi tecnologici, industriali e scientifici europei nel quadro della gestione della crisi, della preparazione al dopo crisi e della strategia post Lisbona (supplemento di parere)

136

 

III   Atti preparatori

 

Comitato economico e sociale europeo

 

464a sessione plenaria del 14 e 15 luglio 2010

2011/C 044/23

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che prevede una procedura d'informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell'informazione COM(2010) 179 def. — 2010/0095 (COD)

142

2011/C 044/24

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Relazione della Commissione — Relazione sulla politica di concorrenza 2008 COM(2009) 374 def.

143

2011/C 044/25

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni e degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato successorio europeo COM(2009) 154 def. — 2009/0157 (COD)

148

2011/C 044/26

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Monitoraggio globale per l'ambiente e la sicurezza (GMES): sfide e fasi successive per la componente spaziale COM(2009) 589 def.

153

2011/C 044/27

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che definisce i livelli di prestazione in materia di emissioni dei veicoli commerciali leggeri nuovi nell'ambito dell'approccio comunitario integrato finalizzato a ridurre le emissioni di CO2 dei veicoli leggeri COM(2009) 593 def. — 2009/0173 (COD)

157

2011/C 044/28

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 2007/2004 del Consiglio che istituisce un'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea (Frontex) COM(2010) 61 def. — 2010/0039 (COD)

162

2011/C 044/29

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Consiglio relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale COM(2010) 105 def. — 2010/0067 (CNS)

167

2011/C 044/30

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione COM(2010) 204 def. — 2010/0110 (COD)

170

2011/C 044/31

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 861/2006 del Consiglio, del 22 maggio 2006, che istituisce un'azione finanziaria della Comunità per l'attuazione della politica comune della pesca e in materia di diritto del mare COM(2010) 145 def. — 2010/0080 (COD)

171

2011/C 044/32

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Verso l'integrazione della sorveglianza marittima: un sistema comune per la condivisione delle informazioni sul settore marittimo dell'UE COM(2009) 538 def.

173

2011/C 044/33

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Trasformare il dividendo digitale in benefici per la società e in crescita economica COM(2009) 586 def.

178

2011/C 044/34

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante l'iniziativa dei cittadini COM(2010) 119 def. — 2010/0074 (COD)

182

IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

464a sessione plenaria del 14 e 15 luglio 2010

11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Come favorire partenariati efficaci nella gestione dei programmi della politica di coesione sulla base delle buone prassi del ciclo 2007-2013» (parere esplorativo)

2011/C 44/01

Relatore: OLSSON

La vicepresidente della Commissione europea Margot WALLSTRÖM, in data 23 febbraio 2009, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere esplorativo sul tema:

Come favorire partenariati efficaci nella gestione dei programmi della politica di coesione sulla base delle buone prassi del ciclo 2007-2013.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 giugno 2010.

Alla sua 464a sessione plenaria, dei giorni 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 14 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 141 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) è fermamente convinto che un partenariato autentico e profondo possa migliorare notevolmente l'efficacia e in generale favorire l'esito positivo della politica di coesione dell'UE. Il partenariato è uno strumento funzionale a uno sviluppo economico e sociale sostenibile: esso consente ai fondi dell'UE di andare incontro alle esigenze degli attori sul campo, incrementa la visibilità dell'Unione e rafforza anche la democrazia. Il partenariato, per risultare efficace, deve essere basato su una prospettiva di reale partecipazione a lungo termine, che permetta agli attori privati di assumere un ruolo attivo su un piede di parità con gli enti pubblici. Senza partner non c'è partenariato.

1.2   I regolamenti attualmente in vigore lasciano ancora troppo spazio ad interpretazioni nazionali del concetto di partenariato, ed è quindi necessario un rafforzamento di tali testi legislativi, in particolare dell'articolo 11 del regolamento generale (CE) n. 1083/2006. Il CESE propone alcune modifiche da introdurre nella futura formulazione di tale articolo al fine di fissare una serie di requisiti minimi in materia di partenariato.

1.3   Il CESE deplora la tendenza, manifestata negli ultimi anni dalla Commissione, a concentrarsi più sugli aspetti procedurali e, di conseguenza, meno sui risultati. Il CESE è assolutamente convinto della necessità che la Commissione assuma un ruolo più incisivo e molto più proattivo in qualità di garante del principio di partenariato. La Commissione, in collaborazione con gli Stati membri, le regioni e la società civile organizzata, dovrebbe rafforzare la divulgazione del principio applicando il metodo di coordinamento aperto.

1.4   È fondamentale potenziare costantemente le capacità dei partner: le risorse destinate all'assistenza tecnica dovrebbero essere appannaggio delle parti sociali e della società civile nella totalità dei programmi operativi.

1.5   Il CESE fa notare che le sovvenzioni globali costituiscono uno strumento estremamente efficace in vista di una reale partecipazione dei partner (in particolare delle piccole imprese e dell'economia sociale) e andrebbero quindi ampiamente utilizzate dagli Stati membri sia per i programmi dell'FSE che per quelli del FESR.

1.6   Il CESE auspica inoltre un ritorno a programmi di iniziativa comunitaria semplificati aventi come obiettivo l'innovazione sul piano sociale e lo sviluppo locale.

1.7   Per quanto riguarda la politica di coesione post 2013, la struttura dei programmi e i relativi regolamenti dovrebbero rendere più semplice l'attuazione del principio di partenariato. Questa raccomandazione è in linea con quelle contenute nella relazione Barca, che insiste sulla correlazione tra approccio «basato sul territorio» e partenariato. È inoltre particolarmente calzante per il FESR e dovrebbe far parte della strategia Europa 2020.

1.8   Per garantire una maggiore partecipazione della società civile in tutte le fasi della politica di coesione sarebbe opportuno elaborare, di comune accordo con i partner interessati di tutta Europa, un codice di buone prassi europeo.

1.9   Al fine di migliorare l'impatto dei programmi è indispensabile procedere a una semplificazione, soprattutto per quanto riguarda i progetti che coinvolgono attori minori. Occorre altresì razionalizzare i controlli sui progetti. È infine doveroso agevolare e accelerare i pagamenti a favore dei citati attori attraverso finanziamenti anticipati e versamenti puntuali.

1.10   Il CESE è perfettamente consapevole del fatto che non esiste una soluzione unica adatta a tutti i contesti. Ciononostante, le buone prassi possono e devono essere ampiamente divulgate. Ne sono state individuate alcune, illustrate nell'allegato al presente parere; la Commissione dovrebbe contribuire a divulgarle.

1.11   Nella maggior parte degli Stati membri le regioni svolgono un ruolo fondamentale nell'attuazione del principio di partenariato. Il CESE propone quindi che le regioni che intendono condividere la propria esperienza e divulgare le buone prassi istituiscano una rete di eccellenza delle regioni in materia di partenariato. Nel quadro di tale rete, il CESE ritiene che il Comitato delle regioni possa svolgere un ruolo di coordinatore.

2.   Introduzione

2.1   Nel febbraio 2009 la Commissione ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere esplorativo sul tema Come favorire partenariati efficaci nella gestione dei programmi della politica di coesione sulla base delle buone prassi del ciclo 2007-2013; il parere doveva altresì contribuire all'elaborazione della futura politica di coesione. La Commissione ha chiesto al CESE di concentrarsi sulle questioni relative al partenariato e alla partecipazione della società civile in rapporto allo sviluppo della politica di coesione. Il parere non riguarda, invece, i cosiddetti «partenariati verticali» in ambito pubblico, ovvero quelli tra la Commissione e i vari enti pubblici, ivi inclusi quelli locali e regionali.

2.2   I servizi della Commissione hanno dato un contributo positivo all'elaborazione del presente parere, collaborando strettamente con il Comitato. Il relatore ha lavorato alacremente sul campo, coinvolgendo i membri del CESE, i consigli economici e sociali nazionali, le parti sociali e altre organizzazioni della società civile nell'individuazione e documentazione delle buone prassi. Si sono tenute audizioni a Katowice, Oporto e Schwerin, integrate da visite sul campo in vari altri Stati membri. Anche il Parlamento europeo e il Comitato delle regioni hanno offerto un contributo prezioso.

3.   Il principio di partenariato e la sua evoluzione

3.1   Il principio di partenariato è una delle pietre miliari della politica di coesione dell'UE: esso affonda le sue radici nel Trattato di Roma del 1957 che ha istituito il Fondo sociale europeo. Un ulteriore passo avanti è stato compiuto nel 1988, quando tale principio è stato ufficialmente definito strumento comune per tutti i fondi strutturali. All'inizio il partenariato riguardava unicamente gli attori socioeconomici tradizionali, mentre ora comprende «ogni altro organismo appropriato in rappresentanza della società civile, i partner ambientali, le organizzazioni non governative e gli organismi di promozione della parità tra uomini e donne» (1). L'evoluzione descritta risponde all'obiettivo strategico della buona governance, riaffermato anche recentemente dall'Unione con la strategia Europa 2020.

3.1.1   L'articolo 11 del regolamento generale è fondamentale per la definizione dell'ambito di applicazione del principio di partenariato; esso impone infatti agli Stati membri di associare ciascuno dei partner pertinenti alle varie fasi della programmazione. Gli Stati membri designano inoltre i partner più rappresentativi a livello nazionale, regionale e locale nei settori economico, sociale e ambientale o in altri settori «conformemente alle norme e alle prassi nazionali». Ogni anno la Commissione consulta le organizzazioni che rappresentano le parti economiche e sociali a livello europeo.

3.2   Il regolamento prevede l'utilizzo di «sovvenzioni globali»; la gestione di tali fondi può essere delegata a uno o più organismi intermedi, tra cui gli organismi di sviluppo regionale o le organizzazioni non governative (articolo 42).

3.2.1   Le misure di assistenza tecnica possono essere destinate a tutti i partner, ai beneficiari dei fondi e al grande pubblico. Si tratta, ad esempio, di iniziative di informazione, creazione di reti e sensibilizzazione nonché di azioni destinate a promuovere la cooperazione e lo scambio di esperienze (articoli 45 e 46).

3.3   L'articolo 163 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) e l'articolo 104 del già citato regolamento del Consiglio attribuiscono un ruolo particolare alle parti sociali in relazione al Fondo sociale europeo (FSE). Nella gestione di tale fondo la Commissione è assistita da un comitato composto da rappresentanti dei governi, dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro.

3.4   Per quanto riguarda l'FSE il concetto di partenariato è sviluppato dal regolamento (CE) n. 1081/2006.

3.4.1   Sono evidenziate le questioni della buona governance, del partenariato, del potenziamento delle capacità e degli insegnamenti tratti dal programma EQUAL, ovvero aspetti che dovrebbero essere promossi attraverso il coinvolgimento delle parti sociali e degli altri soggetti interessati (preambolo e articolo 5).

3.4.2   Il regolamento prevede che l'FSE promuova partenariati, patti e iniziative tramite la creazione di reti di soggetti interessati, quali parti sociali e organizzazioni non governative, a livello transnazionale, nazionale, regionale e locale (articolo 3, paragrafo 1, lettera e)). Tali iniziative devono essere accompagnate dal potenziamento delle capacità (articolo 3, paragrafo 2, lettera b)).

3.4.3   L'FSE ha il compito di rafforzare le parti sociali e il dialogo sociale in particolare per quanto riguarda le regioni che rientrano nell'obiettivo «Convergenza». Spetta soprattutto alle organizzazioni non governative svolgere un ruolo attivo nei programmi riguardanti i settori dell'inclusione sociale, della parità di genere e delle pari opportunità (articolo 5).

3.4.4   Nell'ambito del partenariato, particolare attenzione è riservata alle attività innovative (articolo 7).

3.5   Contrariamente ai regolamenti sull'FSE e sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), il regolamento (CE) n. 1080/2006 sul Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) non contiene alcuna disposizione specifica in materia di partenariato. A giudizio del CESE, il FESR dovrebbe spostare il proprio baricentro verso le piccole imprese, l'innovazione e lo sviluppo locale avvalendosi di strumenti in grado di promuovere il partenariato (ad esempio misure specifiche e sovvenzioni globali).

4.   Il partenariato nella pratica

4.1   I vantaggi attribuiti al partenariato per il successo e l'efficacia della politica di coesione possono essere riassunti come segue:

migliore comprensione delle realtà sul campo grazie al contributo offerto dai diversi punti di vista e conoscenze messi a disposizione,

soluzioni più mirate alle esigenze e alle prospettive dei partner,

interventi ancora più orientati alle realtà delle aziende, dei lavoratori e dei cittadini in generale grazie all'approccio locale (going local),

maggiore attenzione, nell'ambito dei programmi, verso le iniziative in materia di ambiente, parità di genere ed esclusione sociale,

maggiore visibilità del valore aggiunto delle politiche integrate,

maggiore efficienza della spesa e delle politiche pubbliche grazie al contributo di uno strumento fondamentale di impegno collettivo come il partenariato,

avvicinamento della politica di coesione dell'UE ai cittadini grazie al coinvolgimento dei partner.

4.2   La possibilità di realizzare un partenariato di successo dipende tuttavia in larga misura dalla presenza di una tradizione di consultazione e partecipazione nella cultura nazionale e politica. Laddove tale tradizione esiste, i partner si rivelano maggiormente partecipi e capaci non solo di elaborare ma addirittura di attuare programmi e progetti.

4.3   L'esperienza sembra indicare che, nel complesso, l'attuazione del principio di partenariato è migliorata nel corso degli anni, anche se le valutazioni al riguardo variano a seconda dei partner. Permangono infatti ostacoli significativi, diversi da paese a paese e talvolta anche all'interno di uno stesso Stato. Di conseguenza, in alcuni Stati membri la società civile ha l'impressione che si sia registrato un regresso rispetto al periodo di programmazione 2000-2006.

4.4   Negli ultimi anni la Commissione si è mostrata più che mai concentrata sui requisiti formali e di audit, ed è quindi più difficile che le imprese o le organizzazioni di piccole dimensioni si vedano assegnare la realizzazione di un progetto. In pratica non esistono più risorse specificamente destinate ai progetti di modesta entità. I programmi di iniziativa comunitaria sono stati aboliti, e la loro integrazione si è rivelata fallimentare in gran parte degli Stati membri.

4.5   Il partenariato è tuttora visto in maniera formalistica: spesso non esiste un rapporto di fiducia tra enti e partner in quanto manca un'interpretazione chiara e comune degli obiettivi del partenariato che li coinvolge. Non vi è una reale comprensione del concetto di società civile organizzata e del ruolo di quest'ultima; la situazione è resa più grave dalla mancanza di chiarezza nelle disposizioni del regolamento e dal fatto che i vari enti vedono nel partenariato soltanto una fonte di ulteriori oneri. Inoltre, non solo sono messe in dubbio la legittimità e la rappresentatività dei partner, ma si teme anche che consultazioni eccessive e dispendiose in termini di tempo possano rallentare l'attuazione dei programmi.

4.6   Alla luce delle considerazioni sopraesposte è evidente che le procedure di consultazione spesso si rivelano inadeguate in quanto, oltre ad essere caratterizzate da un eccesso di burocrazia e di tecnicismi, prevedono anche tempi insufficienti per l'intervento dei partner. Esiste un ampio divario informativo tra autorità competenti e partner e, in molti casi, questi ultimi sono coinvolti solo parzialmente nella definizione e attuazione delle politiche. Ignorare i partner significa non ascoltare le loro istanze. Esiste inoltre una certa riluttanza ad accogliere nuovi modi di pensare e idee innovative. I regolamenti attualmente in vigore e la relativa attuazione non si prestano alla promozione del partenariato e, di conseguenza, i partner non sono motivati a partecipare o a mostrare il proprio impegno.

4.7   Per poter svolgere appieno il proprio ruolo di partner, molti attori socioeconomici e ONG necessitano di conoscenze, organizzazione, capacità professionale e risorse finanziarie adeguate; una piena partecipazione delle piccole organizzazioni risulta quindi particolarmente difficile.

4.8   Secondo un sondaggio realizzato da BusinessEurope, nel periodo di programmazione 2007-2013 si sarebbe registrato un sensibile miglioramento rispetto al periodo precedente grazie alla maggiore esperienza acquisita da autorità e parti sociali, al rafforzamento della trasparenza nell'ambito delle discussioni e a una migliore organizzazione delle procedure di consultazione e attuazione. In genere si ritiene che il coinvolgimento sia maggiore a livello nazionale che non a livello regionale. Sebbene le carenze riguardino soprattutto i nuovi Stati membri, anche quelli di più lunga data non ne sono immuni. BusinessEurope mette in evidenza la discrepanza tra la brevità del processo di consultazione e i tempi lunghi di attuazione dei programmi, sollecitando altresì un migliore feedback dal processo di consultazione.

4.9   L'Unione europea dell'artigianato e delle PMI (Ueapmi) è favorevole ad un approccio dal basso verso l'alto che preveda di «pensare anzitutto in piccolo» e si adatti alle esigenze delle imprese e delle comunità locali. È opportuno sviluppare il partenariato in un contesto di governance multilivello caratterizzato dalla partecipazione di più soggetti. L'Ueapmi sottolinea il concetto di sussidiarietà orizzontale in quanto fattore di successo: essa consente infatti di coinvolgere simultaneamente i partner socioeconomici ai livelli europeo, nazionale e locale. Oltre a semplificare le norme in ambito amministrativo e finanziario è opportuno aumentare i pagamenti anticipati e ricorrere maggiormente alle sovvenzioni globali, che si sono rivelate molto efficaci. Secondo i dati diffusi dall'Ueapmi, in alcune regioni le piccole imprese beneficiano solo dell'1-2 % dei finanziamenti dell'UE disponibili. Per accedere ai finanziamenti le PMI devono collaborare nell'ambito di un partenariato e attraverso organizzazioni intermedie. A questo proposito l'assistenza tecnica è indispensabile. L'Ueapmi chiede alla Commissione di pubblicare un vademecum sul corretto utilizzo dei fondi.

4.10   La Confederazione europea dei sindacati (CES) ritiene che nell'ultimo periodo di programmazione non si siano registrati miglioramenti di rilievo. Essa chiede di definire chiaramente il partenariato all'interno del regolamento e di fissare requisiti minimi. La qualità del partenariato dipende in larga misura dalla disponibilità dei vari enti ad applicare il principio. La CES concorda con l'affermazione secondo cui il partenariato funziona meglio su scala nazionale e regionale che non a livello locale. Un aspetto importante è quello della condivisione delle esperienze. Occorre rafforzare i programmi di cooperazione interregionale, in particolare attraverso il coinvolgimento dei comitati sindacali interregionali. La CES ha pubblicato un manuale, basato sulle esperienze concrete dei suoi membri, relativo alle modalità di cooperazione tra i sindacati e l'FSE.

4.11   Nel febbraio 2010 le parti sociali europee (ETUC/CES, BE, CEIP) hanno pubblicato una relazione congiunta sull'FSE. La principale conclusione riguarda il ruolo fondamentale svolto dal potenziamento delle capacità per garantire una migliore efficacia del Fondo. Tra gli altri ostacoli individuati figurano l'eccesso di formalità amministrative e la scarsa comprensione del partenariato in alcuni Stati membri. Le parti sociali invocano un partenariato più stretto tra loro e gli enti regionali/locali.

4.12   La rete europea contro la povertà (EAPN) suggerisce un tipo di consultazione approfondita e ad ampio raggio che copra diverse categorie di organizzazioni e ricorra ad una pluralità di metodi. È necessario prevedere apposite risorse per coprire i costi di partecipazione e organizzare gli incontri con una frequenza adeguata. Secondo l'EAPN è importante che l'FSE tenga conto degli insegnamenti tratti dall'esperienza del programma EQUAL e si concentri sui principi di innovazione, partenariato, integrazione della dimensione di genere e transnazionalità. Occorre altresì concedere più spazio ai progetti di modesta entità, come avveniva nel precedente periodo di programmazione.

4.13   L'ECAS (European Citizen Action Service) propone che gli Stati membri e le regioni elaborino piani di informazione, consultazione e partecipazione comprendenti tutte le fasi dei programmi e dei relativi progetti. Tali piani dovrebbero essere pubblicati e valutati in un contesto di governance multilivello e partenariato che preveda il coinvolgimento dei vari leader locali. L'ECAS suggerisce l'elaborazione di prassi comuni per le regioni che intendono svolgere un ruolo guida nell'ambito della condivisione delle esperienze.

4.14   Nel 2008 il CpKP (Repubblica ceca) ha pubblicato una relazione sull'analisi condotta dal gruppo «piattaforma FS» (Sustainable Future Team) di alcune ONG dell'Europa centrorientale in merito alla situazione del partenariato in sei paesi: BG, HU, LT, PL, RO e SK. Stando a tale analisi il problema principale sarebbe costituito dalle limitate capacità delle ONG. La relazione ha inoltre rilevato che il partenariato non gode di grande sostegno a livello politico. Le ONG dovrebbero preparare i propri esperti e dirigenti attraverso opportune misure di assistenza tecnica per i programmi, come quelle che solitamente sono appannaggio diretto della pubblica amministrazione. La procedura di selezione dei membri dei comitati di sorveglianza o di altri organismi dovrebbe essere più rigorosa.

4.15   Secondo una relazione del Parlamento europeo (2) basata su casi di studio, è importante non solo trasferire la governance a un livello territoriale inferiore, ma anche creare piattaforme intermedie oppure organismi di coordinamento e reti informali. La relazione raccomanda altresì di rendere i programmi meno complessi. L'apprendimento delle politiche e il potenziamento delle capacità dovrebbero essere organizzati attraverso apposite misure quali discussioni strategiche, iniziative a livello transnazionale, strutture di sostegno e divulgazione di buone prassi.

5.   Osservazioni generali

5.1   Il CESE, come dimostrano le ripetute affermazioni in tal senso contenute in precedenti pareri, è convinto che un partenariato autentico e profondo possa favorire un utilizzo più mirato ed efficace dei fondi strutturali e quindi il buon esito dei progetti. Il partenariato deve essere basato su una prospettiva di vera partecipazione a lungo termine che offra agli attori privati le stesse opportunità garantite agli enti pubblici. L'instaurazione di un reale partenariato produce vantaggi per tutte le parti coinvolte.

5.2   Il cittadino deve essere al centro di tutte le politiche dell'UE. Di conseguenza, il partenariato nel contesto dei fondi strutturali dovrebbe essere frutto di un approccio dal basso verso l'alto e garantire a tutti i cittadini e alle relative organizzazioni l'opportunità di prendere parte alla politica di coesione e ai progetti da essa finanziati. Una programmazione e un'attuazione ispirate al principio di partenariato porterebbero ad una partecipazione attiva dei cittadini e della società civile organizzata alla politica di coesione rafforzando così la democrazia.

5.3   La cultura del partenariato si può acquisire tramite un adeguato processo di apprendimento. Si tratta di attribuire poteri a tutti i partner garantendo loro pari opportunità di partecipazione ad ogni fase dell'attuazione della politica di coesione. L'esperienza ha dimostrato che le risorse a favore del potenziamento delle capacità svolgono un ruolo determinante nell'aumentare l'efficacia del partenariato. È per questo motivo che tali risorse dovrebbero essere destinate a tutti i partner, sia pubblici che privati, in relazione alla totalità dei programmi (e non solo per le regioni che rientrano nell'obiettivo «Convergenza»). Particolarmente necessaria è l'organizzazione di ulteriori programmi di formazione comuni per i partner pubblici e privati.

5.4   Esiste uno squilibrio tra i vari partner in termini di influenza e potere, accesso alle informazioni, disponibilità di mezzi finanziari, capacità professionale, ecc. Per il periodo successivo al 2013 è assolutamente necessario istituire un quadro in grado di creare un nuovo equilibrio tra gli enti pubblici e il settore privato attraverso un modello di governance basato sul principio di partenariato, nell'ambito del quale non solo la dimensione locale e regionale ma anche gli attori socioeconomici privati assumano un'importanza capitale.

5.5   È necessario che i vari i partner pubblici e privati abbiano fiducia gli uni negli altri e riescano ad andare oltre i propri interessi particolari; a tale scopo è indispensabile un cambiamento di mentalità. Occorre una nuova cultura del dialogo che preveda di «pensare anzitutto in piccolo» e si adatti alle esigenze delle imprese e delle organizzazioni locali. Se da un lato è necessaria la disponibilità degli enti pubblici ad accogliere i contributi provenienti dall'esterno, dall'altro occorre l'impegno dei partner privati, impegno che può essere incentivato aumentando le loro possibilità di cofinanziamento dei progetti. La partecipazione dei partner va sollecitata fin dalle prime fasi consentendo loro di incidere concretamente e di svolgere un ruolo costruttivo.

5.6   Le parti sociali, in quanto attori socioeconomici di importanza fondamentale, meritano di essere coinvolte al pari delle organizzazioni dell'economia sociale e delle ONG. È importante incentivare il pluralismo includendo imprese, organizzazioni e altri attori attualmente meno rilevanti che però, con il loro carattere innovativo, potrebbero essere i protagonisti di domani. In ogni caso il partenariato dovrebbe anche diventare più flessibile e mirato alle specifiche esigenze dei vari programmi.

5.7   Come già accennato, l'attuazione del principio di partenariato nei vari Stati membri dipende dalle rispettive culture, tradizioni ed esperienze a livello politico. Poiché si tratta di aspetti estremamente variabili in un'Unione di 27 Stati membri, non esiste un unico modello comune adatto a tutte le situazioni. Le buone prassi devono quindi essere condivise nell'ambito di un processo di reciproco apprendimento in cui tutte le parti coinvolte siano responsabili della loro divulgazione e quindi del miglioramento dell'efficienza dei fondi.

5.8   Nell'ambito del partenariato i vari partner hanno responsabilità, diritti e obblighi diversi a seconda dei rispettivi ruoli e status. Ciò è tanto più vero quando si tratta di conciliare il diritto di partecipazione con le competenze decisionali in materia di bilancio. Eppure tale dicotomia può essere superata se tutti i partner perseguono un approccio basato sul consenso in relazione alla strategia e ai finanziamenti.

5.9   L'attuale regolamento attribuisce agli Stati membri la competenza in materia di applicazione del principio di partenariato in conformità alle norme e alle prassi nazionali. Il CESE è del parere che sia essenziale definire quanto prima requisiti minimi a livello europeo riguardanti le modalità per organizzare un partenariato di alto livello. Pertanto, secondo il Comitato, il FESR dovrebbe spostare il proprio baricentro verso le piccole imprese, l'innovazione e lo sviluppo locale per potersi avvalere di strumenti in grado di favorire il partenariato, ad esempio programmi specifici, sovvenzioni globali, ecc.

5.10   La programmazione in generale può e deve essere modificata in vista di un rafforzamento del partenariato. A tale scopo i programmi dovranno essere più mirati e orientati alla soluzione dei problemi in termini sia di obiettivi che di ambito di applicazione (ad esempio area geografica, settore, funzione).

5.11   La struttura dei programmi influisce direttamente sulle possibilità di attuare il partenariato con successo, e lo hanno dimostrato chiaramente alcune iniziative comunitarie, come EQUAL e URBAN II, per le quali il partenariato era esplicitamente indicato tra i requisiti. L'abolizione delle citate iniziative può essere interpretata come un passo indietro dal punto di vista del principio di partenariato rispetto al periodo di programmazione 2000-2006. Molti Stati membri, malgrado la disposizione in tal senso contenuta nel regolamento sull'FSE, hanno omesso di integrare l'esperienza di EQUAL nell'attuale periodo di programmazione.

5.12   Pensato per le aree rurali, fin dall'inizio il programma Leader si è rivelato pionieristico per quanto riguarda l'attuazione del principio di partenariato. Anche se non è più un'iniziativa comunitaria, il metodo Leader è ormai perfettamente integrato in quanto asse obbligatorio dei programmi di sviluppo rurale del periodo in corso grazie al successo dell'iniziativa e alle disposizioni più severe dell'articolo 6 del regolamento (CE) n. 1698/2005 sul FEASR. L'obiettivo del programma è coinvolgere e mobilitare gli attori locali attraverso la creazione di alleanze territoriali che favoriscano uno sviluppo locale endogeno. L'istituzione di partenariati territoriali denominati «gruppi di azione locali» (GAL) è una delle sue caratteristiche originali. A livello decisionale locale i partner socioeconomici e gli attori della società civile sono in maggioranza; Leader è coadiuvato da reti rurali nazionali composte da una vasta gamma di partner che crea un collegamento tra i progetti locali e i livelli nazionale e dell'Unione.

5.13   Il CESE deplora la tendenza, manifestata negli ultimi anni dalla Commissione, a concentrarsi più sugli aspetti formali/procedurali, e quindi sull'audit, che non sui risultati concreti. Il CESE fa notare che la Commissione dovrebbe svolgere un ruolo più incisivo e proattivo nell'attuazione del principio di partenariato. Essa dovrebbe tornare alla filosofia della politica di coesione del passato e trasformarsi da semplice osservatore a «partner» attivo a tutti gli effetti.

5.14   Il CESE ha rilevato che le complesse procedure amministrative e finanziarie legate ai programmi e ai progetti dei fondi strutturali non solo frenano e scoraggiano soprattutto le PMI, le microimprese e le organizzazioni dell'economia sociale per quanto riguarda la possibilità di beneficiare dei fondi strutturali, ma addirittura costituiscono un deterrente. Il CESE ritiene quindi che la semplificazione di tali procedure a livello sia nazionale che di Unione europea, così come l'accelerazione dei pagamenti, siano la logica conseguenza della necessità di attuare con successo il principio di partenariato. La questione è della massima urgenza.

5.15   Le sovvenzioni globali si sono dimostrate estremamente efficaci nel trasferire la gestione dei fondi ad un livello più vicino ai beneficiari e alle loro esigenze. Esse si sono rivelate funzionali al finanziamento dei progetti di modesta entità. Il CESE deplora il sensibile ridimensionamento di tale sistema nell'ambito dell'attuale periodo di programmazione se paragonato a quello precedente (2000-2006). Fa notare che tutti gli Stati membri ricorrono in maniera massiccia alle sovvenzioni globali per entrambi i fondi in questione; in questo modo, grazie alla reale titolarità del processo di cui godono i beneficiari, è possibile liberare l'enorme potenziale delle PMI e dell'economia sociale.

5.16   Da questo punto di vista un intervento più ampio e incisivo della BEI potrebbe costituire un auspicabile valore aggiunto. Il CESE chiede altresì di rafforzare il programma Jeremie, in modo da incentivare gli aiuti a favore delle piccole imprese e delle relative organizzazioni.

5.17   Il CESE rinnova la propria richiesta di integrare e coordinare, nel quadro di programmi operativi unici, tutti i fondi legati alla politica di coesione dell'Unione, ivi inclusi il FEASR e il Fondo europeo per la pesca. Poiché i partner sono solitamente caratterizzati da una visione olistica dello sviluppo, una simile integrazione migliorerebbe l'efficienza del partenariato. Il CESE è inoltre convinto dell'opportunità di perseguire attivamente l'obiettivo dell'integrazione con le politiche nazionali, in modo da beneficiare del doppio vantaggio offerto da un approccio integrato a livello sia nazionale che europeo.

5.18   Una simile richiesta è perfettamente in linea con le opinioni espresse nella relazione Barca (3) dell'aprile 2009. Tale relazione evidenzia infatti la funzione del partenariato con la società civile organizzata in quanto fattore in grado di conferire alla dimensione territoriale della politica di coesione un ruolo fondamentale nell'ambito dell'integrazione europea. Il partenariato è essenziale per garantire un utilizzo dei fondi corretto ed efficiente. La relazione sottolinea la necessità di sollecitare la partecipazione a livello territoriale degli attori locali e di coinvolgere i cittadini attraverso dibattiti pubblici. Fabrizio Barca propone di lanciare nel periodo 2010-2012 un autentico dibattito strategico che coinvolga la società civile prima dell'elaborazione della nuova politica di coesione post 2013.

6.   Iniziative europee per migliorare la situazione

6.1   Secondo il CESE è necessaria una serie di azioni a livello europeo e nazionale, di carattere sia obbligatorio che facoltativo, in grado di migliorare e rafforzare il partenariato nel quadro dei fondi strutturali estendendo altresì a tutti gli Stati membri le buone prassi individuate nel settore. Il CESE invita a modificare i vari regolamenti dell'UE in materia. Ritiene inoltre necessario un codice di buone prassi da affiancare agli orientamenti della Commissione, i quali dovrebbero essere definiti con maggiore precisione.

6.2   In vista di un futuro regolamento il CESE propone di modificare come di seguito illustrato l'articolo 11 dell'attuale regolamento (CE) n. 1083/2006 contenente le disposizioni generali in materia di partenariato (una versione consolidata con tutte le modifiche proposte è riportata all'allegato 1).

6.2.1

Dopo la dicitura «conformemente alle norme e alle prassi nazionali», al paragrafo 1 dovrebbe essere aggiunta la precisazione «previo accordo con i partner interessati». Solo arrivando ad un accordo con i partner sulla natura del partenariato il processo si può ritenere autenticamente legittimato e capace di contribuire al successo dei progetti. Il CESE concorda con i provvedimenti già adottati dal comitato FSE per individuare i partner pertinenti; tale modus operandi dovrebbe essere esteso a tutti i fondi strutturali.

6.2.2

Secondo il Comitato è indispensabile introdurre nell'articolo 11 l'idea di una sorveglianza congiunta da parte della Commissione, degli Stati membri e della società civile organizzata sull'attuazione del principio di partenariato. Da questo punto di vista un sistema ottimale potrebbe essere rappresentato dal metodo di coordinamento aperto (MCA). La Commissione, in collaborazione con gli Stati membri, fissa gli obiettivi, definisce indicatori e linee guida, misura i risultati e gestisce gli scambi non solo delle buone prassi ma anche delle valutazioni effettuate mediante verifiche inter pares (peer reviews).

6.2.3

Con il Trattato di Lisbona l'MCA è riconosciuto ufficialmente dagli articoli 149, 153, 156, 168, 173 e 181 del TFUE. Il CESE suggerisce pertanto di inserire nell'articolo 11 un'analoga formulazione: «La Commissione, in stretta collaborazione con gli Stati membri, può adottare iniziative finalizzate alla definizione di orientamenti e indicatori, all'organizzazione di scambi di migliori prassi e alla preparazione degli elementi necessari per la sorveglianza e la valutazione periodiche.» Tra le parti coinvolte dovrebbero figurare anche le principali organizzazioni europee rappresentative delle parti sociali e della società civile.

6.2.4

La consultazione dei partner socioeconomici a livello europeo deve avere luogo «almeno due volte l'anno», e riguardare anche le organizzazioni interessate e rappresentative di cui all'articolo 11, paragrafo 1, lettera c), oltre a quelle legate allo sviluppo rurale, in modo da creare un collegamento con il FEASR. Le consultazioni in oggetto dovrebbero essere organizzate fin d'ora come parte integrante di un autentico dibattito strategico a livello europeo da tenere prima dell'elaborazione della nuova politica di coesione post 2013 (cfr. relazione Barca).

6.2.5

Analogamente, il Comitato suggerisce di migliorare i processi di consultazione specifici dei singoli fondi a livello UE. Senza sminuire il ruolo privilegiato delle parti sociali, il comitato FSE dovrebbe, effettuate le opportune consultazioni, cooptare un certo numero di osservatori provenienti da altre organizzazioni rappresentative delle parti interessate.

6.2.6

Il CESE esorta a modificare i regolamenti sul FESR e sul FEASR introducendo un concetto analogo a quello enunciato all'articolo 5 del regolamento sull'FSE («Buona governance e partenariato»). Il Comitato suggerisce altresì di prevedere, nel nuovo regolamento sul FESR, un apposito comitato per il partenariato.

6.2.7

Il CESE ricorda, in particolare, che una percentuale adeguata delle risorse deve essere destinata ad azioni di potenziamento delle capacità aperte a tutti i partner privati e suggerisce quindi di stanziare, indicativamente, il 10 % del bilancio destinato all'assistenza tecnica per lo sviluppo delle capacità e la formazione nell'ambito di tutti i programmi operativi. È inoltre opportuno sostenere un tipo di formazione a livello europeo che si riveli positiva sul piano nazionale e quindi faciliti anche lo scambio di esperienze e buone prassi.

6.3   Il CESE ritiene che, al fine di conseguire la necessaria semplificazione, sia opportuno razionalizzare gli audit e i controlli sui progetti. Occorre altresì velocizzare i pagamenti, le garanzie e i finanziamenti anticipati nonché adattarli alle esigenze dei beneficiari, soprattutto quando si tratta di attori minori. Attualmente le possibilità di ottenere un finanziamento anticipato, malgrado i diversi miglioramenti proposti dalla Commissione nel 2009, rimangono per molti versi inadeguate.

6.4   Al fine di soddisfare i requisiti minimi indispensabili per un partenariato di alto livello, il Comitato propone che la Commissione, in collaborazione con i rappresentanti delle varie categorie di partner di cui all'articolo 11, elabori un codice di buone prassi relativo all'applicazione del principio di partenariato sulla base dei seguenti orientamenti:

è opportuno mettere a punto fin dall'inizio un piano di informazione/consultazione/ partecipazione, concordato con i partner pubblici e privati pertinenti, per le fasi di programmazione, attuazione e valutazione che contenga obiettivi chiari e un calendario da seguire,

le autorità competenti dovrebbero fornire indicazioni circa il tipo di considerazione attribuita al principio di partenariato nell'ambito delle proposte e delle relazioni elaborate; le opinioni espresse dai partner dovrebbero essere documentate in maniera chiara e trasparente,

ciascun partenariato dovrebbe avere la possibilità di decidere in merito alla procedura di selezione dei membri dei comitati di gestione e degli altri organi consultivi costituiti nel quadro dei fondi strutturali. La selezione dovrebbe essere basata sugli interessi, la rappresentatività e l'apertura nei confronti di attori diversi, specifici e innovativi,

l'assistenza tecnica dovrebbe essere garantita a tutti i partner dei vari programmi operativi ai fini del potenziamento delle capacità, del coordinamento e della rappresentanza; l'elaborazione e la gestione dei progetti dovrebbero essere affidate ai partner di volta in volta interessati,

il principio di partenariato dovrebbe essere applicato fin dall'inizio nella definizione dei criteri per la scelta dei progetti,

il partenariato stesso dovrebbe essere uno dei criteri per il finanziamento dei progetti tramite i fondi,

occorre sostenere il partenariato transnazionale,

sarebbe opportuno stabilire indicatori di efficienza nella gestione dal punto di vista dei beneficiari,

bisognerebbe procedere ad una semplificazione delle procedure e dei controlli,

è necessario ridurre i tempi di effettuazione dei pagamenti ai beneficiari,

i comitati di gestione o altri organi competenti legati al Quadro di riferimento strategico nazionale (QRSN) dovrebbero discutere di eventuali strategie a lungo termine.

6.5   In caso di cospicua revisione dei programmi operativi nel corso del periodo di programmazione sarebbe opportuno rispettare rigorosamente il principio di partenariato attribuendogli il giusto rilievo.

6.6   Il CESE propone che le regioni che intendono condividere la propria esperienza e divulgare le buone prassi istituiscano una rete di eccellenza delle regioni in materia di partenariato; simili reti esistono già in nuce  (4). Al fine di promuovere un'iniziativa in tal senso il CESE propone di intraprendere un'azione congiunta CESE-Comitato delle regioni-Commissione. Il CdR, in particolare, potrebbe essere un valido coordinatore di tale rete.

6.7   Infine il CESE propone che la Commissione coordini la costituzione di un gruppo di lavoro formato da tutti i partner interessati a livello europeo; il suo compito dovrebbe essere quello di promuovere il principio di partenariato sotto diversi punti di vista, ad esempio adoperandosi perché gli aiuti di Stato e le norme sugli appalti non interferiscano negativamente con il partenariato stesso.

7.   Buone prassi

7.1   In sede di elaborazione del presente parere sono state individuate delle buone prassi dal punto di vista del coinvolgimento e del ruolo dei partner privati e non degli enti pubblici. L'elenco di buone prassi, contenuto in un allegato separato, è presentato a titolo esemplificativo e non esaustivo.

7.2   Le buone prassi sono state analizzate da una quadruplice prospettiva: accesso al partenariato, poteri conferiti ai partner, partenariati decisionali e partenariati mirati.

7.3   Quella che in uno dei citati campi si rivela una buona prassi non necessariamente lo è in senso assoluto. Viceversa, uno stesso caso può rappresentare un esempio di buona prassi in più di un campo. Vale la pena di evidenziare in particolar modo alcuni casi, come l'approccio sistematicamente improntato al partenariato in tutta l'Inghilterra, il programma per la pace e la riconciliazione nell'Irlanda del Nord, che ha ottenuto risultati positivi e attribuisce un ruolo chiave ai partenariati locali e alla partecipazione dal basso, la gestione in partenariato di tutti i fondi (ivi incluso il FEASR) per uno sviluppo integrato nel Land Meclenburgo-Pomerania anteriore (DE), la gestione della società civile (Organizzazione nazionale dei ciechi spagnoli - ONCE e altre organizzazioni), unica nel suo genere, per un programma operativo dell'FSE (ES) e la struttura di sostegno al terzo settore in Galles (3-SET).

7.4   Le quattro prospettive applicabili alle buone prassi si ritrovano in alcuni casi interessanti caratterizzati da un esplicito orientamento dei fondi strutturali alle esigenze degli attori locali: l'innovativo partenariato tra sindacati, cooperative e banche che gestisce la sovvenzione globale Esprit in Toscana, l'utilizzo strategico e sempre più frequente delle sovvenzioni globali nella regione Poitou-Charentes (FR), i patti territoriali per l'occupazione austriaci e la gestione decentralizzata dell'FSE nel Land Baden-Württemberg (DE). Anche i gruppi di azione locali nell'ambito dell'iniziativa Leader meritano di essere citati in questa sede.

7.5   Anche un processo dinamico per lo sviluppo e il miglioramento del partenariato può essere considerato una buona prassi. Un esempio da sottolineare è quello della Polonia, dove la gestione decentralizzata dei fondi avviene a livello di gruppi di lavoro nell'ambito dei quali i partner svolgono un ruolo decisivo. Anche l'accordo quadro nazionale italiano (il Protocollo d'intesa) sulle regole che disciplinano il partenariato e il seguito dato allo stesso in alcune regioni come la Puglia possono essere considerati tentativi validi di proseguire nella citata direzione.

7.6   Il CESE rileva che, in generale, il coinvolgimento dei consigli economici e sociali a livello nazionale e/o regionale è soltanto parziale; unica eccezione è costituita dal CNEL italiano, che svolge un ruolo rilevante nella definizione e nella valutazione delle politiche regionali per il Mezzogiorno. Tra i vari consigli, quello portoghese, francese (livello regionale) e maltese, ad esempio, partecipano alla fase di programmazione.

7.7   Il problema dell'accesso è legato alle modalità di scelta dei partner. A questo proposito occorre definire una serie di procedure atte a garantire la trasparenza e la legittimità dei partner selezionati. Di norma la selezione non presenta alcun problema per quanto concerne le parti sociali; essa risulta invece più difficoltosa per il settore nelle ONG, soprattutto quando si tratta di includere i gruppi più vulnerabili e marginali come le persone con disabilità, gli ex detenuti, i Rom o le altre minoranze etniche.

7.7.1   Lasciare alla società civile organizzata il compito di procedere alla selezione costituisce una buona prassi. Un esempio interessante in questo senso si registra nella Repubblica ceca (sistema elettivo).

7.8   Sono stati riscontrati diversi casi interessanti di potenziamento delle capacità e attribuzione di poteri ai partner, tra cui:

l'apprendimento del dialogo sociale (ad esempio nella Repubblica ceca),

lo sviluppo delle capacità professionali nelle organizzazioni partner (Mezzogiorno, Germania, Spagna, Poitou-Charentes, Slovenia),

la creazione di centri di competenza specifici o «osservatori» (Kompetenzstellen in Germania e 3-SET in Galles),

la messa a punto di manuali e orientamenti per le organizzazioni partner a livello nazionale (Confederazione tedesca dei sindacati - DGB - Brandeburgo, Germania) ed europeo (CES, EAPN, Bankwatch).

7.9   In alcuni casi alle organizzazioni partner sono state affidate vere e proprie competenze decisionali in materia di scelta dei progetti da finanziare. Quello delle sovvenzioni globali è solo uno degli esempi in tal senso (Italia, Regno Unito, Francia). Altri modelli si ritrovano in Svezia (contea di Västra Götaland e altri partenariati legati ai fondi strutturali) e Spagna (il già citato programma operativo della fondazione ONCE).

7.10   Alcuni programmi si sono dimostrati particolarmente mirati dal punto di vista geografico, dei gruppi di riferimento, dei settori, delle comunità, delle funzioni specifiche, ecc. Di conseguenza, nella maggior parte dei casi, essi sono strettamente legati ad uno specifico gruppo di partner che detiene vere e proprie competenze decisionali. In questa categoria di buone prassi rientrano il programma per la pace in Irlanda del Nord, i forum per la crescita (Danimarca) e le iniziative locali già citate al punto 7.4.

8.   Proposte di modifica al testo dell'attuale articolo 11 del regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio

Articolo 11

Partenariato

1.   Gli obiettivi dei fondi sono perseguiti nel quadro di una stretta cooperazione, (in seguito: «partenariato»), tra la Commissione e ciascuno Stato membro. Ciascuno Stato membro organizza, , un partenariato con autorità ed organismi quali:

a)

le autorità regionali, locali, cittadine e le altre autorità pubbliche competenti;

b)

le parti economiche e sociali;

c)

ogni altro organismo appropriato in rappresentanza della società civile, i partner ambientali, le organizzazioni non governative e gli organismi di promozione della parità tra uomini e donne.

Ciascuno Stato membro designa i partner più rappresentativi a livello nazionale, regionale e locale, nei settori economico, sociale e ambientale o in altri settori (di seguito: «i partner»), conformemente alle norme e alle prassi nazionali, tenendo conto della necessità di promuovere la parità tra uomini e donne e lo sviluppo sostenibile tramite l'integrazione di requisiti in materia di tutela e miglioramento dell'ambiente.

2.   Il partenariato è condotto nel pieno rispetto delle competenze istituzionali, giuridiche e finanziarie di ciascuna categoria di partner di cui al paragrafo 1. Il partenariato verte sulla preparazione, attuazione, sorveglianza e valutazione dei programmi operativi. Gli Stati membri associano ciascuno dei pertinenti partner, in particolare le regioni, alle varie fasi della programmazione , nel rispetto delle scadenze fissate per ciascuna di esse.

3.    la Commissione consulta le organizzazioni che rappresentano a livello europeo in merito all'intervento dei fondi.

Bruxelles, 14 luglio 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Cfr. art. 11 del regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio sui fondi strutturali.

(2)  Governance e partenariato a livello nazionale e regionale e per progetti di politica regionale, Parlamento europeo, relatore Jean-Marie BEAUPUY (testo votato il 21 ottobre 2008).

(3)  An Agenda for a Reformed Cohesion Policy. A Place Based Approach to meeting European Union Challenges and expectations («Un'agenda per la riforma della politica di coesione. Un approccio basato sul territorio per far fronte alle sfide e alle aspettative dell'Unione europea») — maggio 2009.

(4)  Alcuni esempi: Reves (partenariato tra enti regionali/locali ed economia sociale), Bankwatch Network, IQ net (autorità di gestione regionale e ricerca), l'iniziativa ECAS (European Citizen Action Service) e le prassi comuni a diverse autorità di gestione dell'FSE.


11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/10


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Le conseguenze dell'invecchiamento della popolazione sui sistemi sanitari e di protezione sociale» (parere esplorativo)

2011/C 44/02

Relatrice: Renate HEINISCH

Con lettera del 18 settembre 2009 Margot WALLSTRÖM, allora vicepresidente della Commissione europea, ha invitato il Comitato economico e sociale europeo, conformemente all'articolo 262 del Trattato CE, a elaborare un parere esplorativo sul tema:

Le conseguenze dell'invecchiamento della popolazione sui sistemi sanitari e di protezione sociale.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 16 giugno 2010.

Alla sua 464a sessione plenaria, dei giorni 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 15 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 89 voti favorevoli e 5 astensioni.

1.   Raccomandazioni

1.1   Per far fronte alle conseguenze dell'invecchiamento della popolazione sui sistemi sanitari e di protezione sociale, secondo il Comitato economico e sociale europeo è necessario adottare le seguenti misure.

1.1.1

A livello nazionale:

fare stabilmente della dimensione dell'«invecchiamento sano» una tematica orizzontale,

rafforzare la prevenzione, promuovere la salute e l'educazione sanitaria in tutte le fasce di età,

migliorare la qualità dei servizi sanitari e di assistenza a favore degli anziani,

includere le cure palliative tra le prestazioni di assistenza,

sviluppare e adeguare le forme di terapia in funzione dell'età del paziente, assicurandosi che gli studi clinici e quelli sulla comorbilità includano anche le persone anziane,

realizzare strutture di cura e di assistenza adeguate all'età del paziente e soluzioni abitative alternative,

valutare, grazie alla «valutazione delle tecnologie sanitarie» (Health Technology Assessment - HTA), la teleassistenza e le soluzioni tecnologiche, inclusa la domotica per categorie deboli (Ambient Assisted Living - AAL), nonché altre tecnologie della salute (ambiente di cura) che mirano a favorire una vita autosufficiente e a migliorare l'efficienza e la qualità dell'assistenza agli anziani,

creare un'infrastruttura capillare, decentrata e di prossimità, che permetta il contatto diretto tra gli anziani e gli operatori del settore sanitario («deistituzionalizzazione»),

sostenere le reti regionali e locali di tutti i soggetti interessati nell'attuazione dell'obiettivo «Salute e anziani»,

introdurre, mediante una normativa nazionale, un sistema obbligatorio che assicuri l'assistenza di lungo periodo agli anziani (ad esempio un'assicurazione obbligatoria contro la perdita dell'autosufficienza («assicurazione dipendenza»)),

aprire i sistemi sanitari e sociali nazionali alle sperimentazioni (e in particolare ai test su modello) con conseguente valutazione, onde consentire un'evoluzione del sistema,

rendere più flessibili i sistemi di contributo sanitario e di assicurazione complementare,

definire e attuare strategie e politiche nazionali per l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita, a livello nazionale, regionale e comunale,

garantire la conciliabilità di famiglia, lavoro e assistenza,

rafforzare il volontariato,

riconoscere l'importanza del ruolo e delle esigenze delle persone che assistono un familiare bisognoso di cure.

1.1.2

A livello europeo:

con riferimento alle conclusioni del Consiglio Occupazione, politica sociale, salute e consumatori (Consiglio EPSCO) del 30 novembre 2009, elaborare un piano d'azione per un invecchiamento sano e dignitoso,

stabilire delle priorità sul tema Invecchiamento attivo, sano e dignitoso nell'ambito della strategia Europa 2020,

procedere alla necessaria armonizzazione della terminologia, delle definizioni, degli strumenti di valutazione, del vademecum, dei criteri, delle procedure, ecc. È già trascorso un ventennio da quando questo problema è emerso per la prima volta, ma fino ad oggi non è stato compiuto alcun significativo passo avanti,

porre l'accento sull'invecchiamento attivo, sano e dignitoso in quanto tema prioritario nell'ambito degli Anni europei 2010 (Anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale), 2011 (Anno europeo del volontariato) e 2012 (Anno europeo dell'invecchiamento attivo e della solidarietà intergenerazionale), nonché nel corso delle corrispondenti presidenze del Consiglio,

includere il tema dell'evoluzione demografica nella programmazione congiunta (Joint Programming) della Commissione europea in materia di ricerca,

elaborare una Carta europea dei diritti delle persone bisognose di cure e assistenza,

costituire, in seno alla Commissione, uno specifico gruppo di lavoro interservizi sul tema Anziani e salute (comprensivo di «Cure mediche, assistenza, pensioni e sostenibilità finanziaria»),

creare, in seno al CESE, una «tavola rotonda», una «categoria» o un «gruppo di studio permanente» sul tema Invecchiamento attivo, sano e dignitoso nel dialogo intergenerazionale, al fine di elaborare una strategia interdisciplinare in questi campi,

inserire la gerontologia e la ricerca demografica tra le priorità dell'8o programma quadro di ricerca,

creare un progetto Anziani e trasmissione del sapere nell'ambito dell'azione Scienza e società,

individuare e confrontare gli obiettivi che gli Stati membri si sono prefissi in campo sanitario e il carattere vincolante di tali obiettivi,

sostenere l'attuazione delle suddette misure da parte degli Stati membri per mezzo dei fondi strutturali e del Fondo di coesione nonché del metodo aperto di coordinamento,

sostenere gli scambi di buone prassi in materia di soluzioni personalizzate nel campo delle TIC (tecnologie dell'informazione e della comunicazione), ad esempio nell'ambito del programma Interreg, incentivandoli grazie ai fondi strutturali,

promuovere la valutazione delle tecnologie sanitarie (Health Technology Assessment) a livello multinazionale per vagliare nuove soluzioni TIC che tengano conto delle esigenze degli anziani sotto il profilo dell'assistenza,

sensibilizzare costantemente riguardo all'apprendimento lungo tutto l'arco della vita nonché allo scambio e al coordinamento dei programmi europei di formazione iniziale e continua, ponendo l'accento sul tema Terza età e salute: dall'apprendimento lungo tutto l'arco della vita all'«apprendimento per una vita più lunga» (learning for a long life),

creare una nuova immagine della terza età - anche nei mezzi di informazione,

elaborare orientamenti europei sulla conciliabilità di famiglia, lavoro e assistenza.

2.   Osservazioni generali

2.1   Introduzione

2.1.1   L'invecchiamento della società dell'Unione europea è una conseguenza della maggiore aspettativa di vita. Secondo le previsioni dell'Eurostat, nel 2060 la percentuale delle persone di età pari o superiore a 65 anni sul totale della popolazione sarà del 30 % rispetto al 17,1 % del 2008. Il rapporto medio tra le persone in età lavorativa (15-64 anni) e quelle di età pari o superiore a 65 anni passerà dal 4:1 di oggi al 2:1 nel 2050.

2.1.2   Tra il 2026 e il 2030 una percentuale elevata delle persone attive uscirà dal mercato del lavoro. In presenza di un tasso di natalità ridotto, ciò comporta un aumento delle persone non occupate rispetto a quelle occupate.

2.1.3   In una recente comunicazione la Commissione (1) ha osservato che i governi dispongono solo di un breve lasso di tempo per attuare le misure necessarie a far fronte ai problemi connessi all'invecchiamento demografico, prima che la maggior parte dei figli del baby boom raggiunga l'età della pensione. Al riguardo, con lettera del 18 settembre 2009, la Commissione europea ha invitato il CESE a elaborare un parere esplorativo al fine di esaminare in quali modi gli sforzi compiuti dagli Stati membri per affrontare questo problema possano essere sostenuti mediante iniziative dell'Unione europea nel settore sanitario. Il presente parere si basa su diversi pareri già adottati dal CESE (2).

2.1.4   Le presidenze ceca, svedese e spagnola del Consiglio dell'UE (rispettivamente nel primo e secondo semestre del 2009 e nel primo semestre del 2010) hanno inserito l'obiettivo di garantire un invecchiamento sano, dignitoso e attivo tra le priorità delle rispettive agende.

2.1.5   La società e i responsabili del settore sanitario devono elaborare un nuovo quadro d'insieme della terza età che tenga conto dell'evoluzione demografica e rispetti la dignità degli anziani.

2.1.6   L'aumento dei costi non è determinato dall'invecchiamento della popolazione in sé, bensì da un invecchiamento connesso a stili di vita non sani. Per tale ragione nel presente parere vengono raccomandate principalmente misure finalizzate a un invecchiamento sano.

2.2   Sviluppo e innovazione dei sistemi sanitari e di protezione sociale nonché delle prestazioni sanitarie

2.2.1   L'evoluzione demografica impone un ulteriore sviluppo dei sistemi sanitari e di protezione sociale, delle prestazioni sanitarie e di altre prestazioni accessorie sotto il profilo dell'organizzazione e delle capacità dei servizi offerti: a) per rispondere adeguatamente alle esigenze degli anziani, b) per assicurarsi che tutte le persone bisognose di cure ricevano le prestazioni necessarie per mantenere la propria autonomia e la propria dignità, e c) per garantire alle persone di ogni categoria sociale, indipendentemente dall'età, dal sesso, dalle condizioni economiche e dal luogo di residenza, il medesimo accesso a prestazioni sanitarie di qualità (che includano altresì la promozione della salute, la prevenzione, il trattamento, la riabilitazione e le cure palliative).

2.2.2   In proposito occorre considerare non soltanto le esigenze degli anziani nei confronti dei sistemi sanitari e sociali, ma anche la responsabilità personale che ciascuno deve assumersi tempestivamente e preventivamente in relazione al proprio processo di invecchiamento, e quindi le esigenze della società nei confronti delle persone che invecchiano.

2.2.3   Per sostenere l'assistenza sanitaria e le cure a lungo termine per tutti gli anziani con l'ausilio delle politiche dell'Unione, l'UE dovrebbe individuare e confrontare gli obiettivi che gli Stati membri si sono prefissi in campo sanitario (3) e il carattere vincolante di tali obiettivi. Allo stesso tempo occorre verificare in che misura la prevenzione e la promozione della salute costituiscano già adesso parte integrante dei sistemi sanitari.

3.   Osservazioni specifiche

3.1   Settori che meritano particolare attenzione

3.1.1   Prevenzione

3.1.1.1   L'uomo invecchia costantemente fin dalla nascita. È quindi importante trascorrere - nei limiti del possibile - l'intera vita in buone condizioni. È essenziale che la vita inizi bene e finisca bene. Un invecchiamento sano inizia ben prima del raggiungimento dell'età pensionabile ed è condizionato, tra l'altro, dalle condizioni di vita e di lavoro nonché dalla disponibilità di risorse. Se si prende coscienza di questo dato di fatto, allora l'esigenza di un invecchiamento responsabile appare del tutto logica (4). Un invecchiamento responsabile esige un apprendimento durante l'intera esistenza dell'interessato. A tal fine si devono elaborare nuove strategie e politiche di apprendimento lungo tutto l'arco della vita a livello nazionale, regionale e locale nel campo dell'educazione sanitaria e includervi tutti i tipi di apprendimento (formale, non formale e informale). Ciò include tutte le fasi dell'apprendimento, dall'istruzione prescolare alla formazione permanente. Un mantenimento responsabile della propria salute mediante la partecipazione attiva a misure di prevenzione (alimentazione, attività fisica, stile di vita sano, evitare fattori di rischio, ecc.), la promozione della salute e l'educazione sanitaria contribuiscono a far sì che gli anziani rimangano il più a lungo possibile in casa propria e nel proprio ambiente sociale. Occorrono inoltre un esame e una valutazione costanti del ruolo della tecnologia in proposito.

3.1.1.2   Nell'ambito dei sistemi sanitari è necessario rafforzare la prevenzione. Questa può non solo consentire alle persone di rimanere attive più a lungo sul mercato del lavoro, ma anche agevolarne la capacità di adattamento a tale mercato. Una buona protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori e il miglioramento dell'ergonomia sul posto di lavoro possono offrire un contributo sensibile al prolungamento di una vita lavorativa in buona salute, il che - a sua volta - consente di far fronte anche alla sfida demografica.

3.1.1.3   Adeguando le attività delle persone al mutare della loro età e quindi delle loro capacità e dei loro bisogni (ad esempio facendole passare da attività esecutive ad attività preparatorie, ma anche di consulenza e accompagnamento o financo di avviamento/pianificazione, ecc.), si può rendere possibile tale estensione della vita lavorativa. Ciò significa inoltre un'integrazione più duratura degli anziani nei contesti sociali e socioeconomici, e dunque la prosecuzione dello stimolo che spinge a mantenersi attivi. In tal modo il prolungamento della vita in buona salute può tradursi in un maggior numero di anni di vita gratificante e anche produttiva. Ciò implica naturalmente che, per avviare e proseguire i processi testé delineati, devono essere disponibili misure di qualificazione e di accompagnamento appropriate (apprendimento lungo tutto l'arco della vita, qualificazione professionale - compresa la certificazione delle capacità professionali acquisite nel corso della vita lavorativa, ecc.). Le imprese devono prevedere misure di promozione della salute e di prevenzione delle malattie e degli infortuni in modo da offrire condizioni di lavoro salubri.

3.1.1.4   Dopo il pensionamento l'integrazione all'interno della società e nel contesto socioculturale assume un'estrema importanza: infatti, ovviando all'isolamento sociale si previene la depressione. Proprio gli anziani sono in condizione di sfruttare le proprie capacità e la propria esperienza sul piano relazionale, ad esempio attraverso il volontariato, un mondo cui è però auspicabile avvicinarsi già in età giovanile.

3.1.2   Prestazioni sanitarie

3.1.2.1   Al giorno d'oggi si annette un'importanza sempre maggiore all'offerta di prestazioni sanitarie incentrate sui pazienti e alla garanzia del coinvolgimento di questi ultimi nello sviluppo e nella modulazione di tali prestazioni.

3.1.2.2   Con l'età aumenta l'incidenza delle malattie croniche (diabete, malattie reumatiche e patologie cardiache), delle malattie degenerative del sistema nervoso (demenza e morbo di Alzheimer), dell'apparato muscolo-scheletrico e degli occhi, ma anche del cancro. Ciò pone particolari esigenze nei confronti delle figure professionali del settore sanitario, in termini diagnostici e terapeutici e per l'assistenza sanitaria nel suo insieme.

3.1.2.3   Si devono sviluppare servizi sanitari in grado di garantire cure integrate e personalizzate, incentrate sul paziente.

3.1.2.4   Occorre promuovere una formazione migliore e più specifica degli operatori sanitari: questi ultimi (medici, farmacisti, paramedici), come pure i ricercatori, devono avere maggiore dimestichezza con le caratteristiche specifiche della medicina geriatrica. Inoltre occorre potenziare in tal senso la formazione iniziale e quella continua. Chi esercita professioni sanitarie dovrebbe inoltre ricevere una formazione specifica sull'importanza delle misure di promozione e prevenzione della salute in età avanzata (ad esempio prevenire le cadute, nutrirsi in modo sano, ecc.).

3.1.2.5   Le forme di terapia vanno sviluppate e adattate in funzione dell'età del paziente: malattie multiple (multimorbilità), modificazioni del metabolismo in età avanzata e la frequente compresenza di più terapie impongono una precisa conoscenza delle interferenze tra gli organi e gli apparati nel corpo degli anziani. A sua volta ciò richiede una gestione particolare dei farmaci, nonché la scelta e l'adattamento di questi ultimi e del loro dosaggio in base al metabolismo degli anziani. Un'assistenza personalizzata nelle farmacie pubbliche, compreso l'esame delle interazioni tra i farmaci, nonché la disponibilità in tali farmacie di TIC efficaci in grado di fornire informazioni sui farmaci e le loro interazioni, possono contribuire a minimizzare il rischio di effetti collaterali indesiderati e a ottimizzare le possibilità di successo del trattamento.

3.1.2.6   Promuovere il contatto diretto e continuo tra anziani, operatori sanitari e personale di assistenza agli anziani è tanto più importante quanto più gli anziani sono bisognosi di cure, per garantire l'efficacia delle terapie ed evitare l'isolamento e la depressione.

3.1.3   Prestazioni di assistenza

3.1.3.1   La qualità dell'assistenza dovrebbe essere garantita, resa verificabile e sottoposta a valutazione grazie all'adozione di standard minimi. Si dovrebbe elaborare una Carta europea dei diritti delle persone bisognose di cure e assistenza che preveda, tra l'altro, la tutela contro la violenza in occasione delle prestazioni assistenziali. Vi possono contribuire nuove tecnologie (ad esempio la domotica per categorie deboli (Ambient Assisted Living – AAL)) che permettono di condurre una vita autosufficiente. Tuttavia, le eventuali nuove tecnologie devono essere valutate in maniera appropriata e non devono condurre in alcun caso a nuove disuguaglianze nelle cure e nell'assistenza fornite a livello nazionale.

3.1.3.2   Agli anziani va riconosciuto il «diritto alla riabilitazione prima ancora che all'assistenza». L'assistenza istituzionalizzata non deve essere un percorso a senso unico: gli anziani devono poter ritornare a casa dopo le cure. Le attuali strutture assistenziali e di cura non soddisfano ancora abbastanza tale esigenza.

3.1.3.3   Sviluppare strutture di cura e di assistenza adeguate all'età del paziente e soluzioni abitative alternative: è necessario un passaggio senza traumi e reversibile tra salute/malattia/assistenza/vita sociale, che in caso di bisogno permetta agli anziani di ricevere prestazioni sanitarie e di assistenza di buona qualità, ma anche di restare il più a lungo possibile in un ambiente «normale», ossia intergenerazionale. Ciò richiede un buon coordinamento tra le cure sanitarie e l'assistenza. Nel contempo, accanto alle strutture per le cure a lungo termine, occorre anche prevedere un maggior numero di strutture - ambulatoriali e residenziali - di assistenza per anziani («strutture Hospice») e più strutture per la medicina palliativa e di accompagnamento delle persone in fin di vita, e deve essere promossa una «cultura delle cure palliative».

3.1.3.4   A tal fine è necessario realizzare un'infrastruttura capillare, decentrata e di prossimità per assicurare l'assistenza domiciliare («deistituzionalizzazione»). Occorre promuovere la realizzazione di un'infrastruttura non istituzionale di assistenza che copra tutti i servizi necessari (cure ambulatoriali, assistenza a domicilio, piccoli servizi ausiliari). Tale progetto deve tradursi in un'organizzazione a livello regionale e in un miglior finanziamento strutturale per garantire la presenza di istituti e strutture adeguati non solo nelle città, ma capillarmente anche nel resto del territorio.

3.1.3.5   Una società si valuta in base al modo in cui essa tratta i suoi anziani. E, nel rapporto con gli anziani e nella loro cura, il volontariato ha assunto una particolare importanza. In futuro ogni cittadino dovrà assumersi, in funzione delle sue possibilità, la responsabilità per i malati, i disabili e gli anziani, ma dovrà anche poter contare su una retribuzione per il proprio impegno.

3.1.4   Attività di ricerca nei settori citati

Il tema dell'evoluzione demografica dovrebbe essere incluso nella programmazione congiunta (Joint Programming) della Commissione europea in materia di ricerca. In relazione ai progetti WhyWeAge e Futurage del 7o programma quadro, nell'8o programma quadro bisognerebbe accordare la priorità alla gerontologia (lo studio della vecchiaia e dei processi di invecchiamento) e alla ricerca demografica. Inoltre, sarebbe opportuno includere l'area tematica «Anziani e trasmissione del sapere» nell'azione «Scienza e società». Al riguardo è inoltre necessario coltivare i seguenti ambiti di ricerca.

3.1.4.1   Ricerca in materia di prevenzione

Quali misure di prevenzione consentono di progredire nel settore del mantenimento della salute sul lavoro?

Quali sono le conseguenze a lungo termine di determinati stili di vita sullo stato di salute in generale e sulle singole malattie?

In quali modi i diversi stili di vita legati al genere, alla cultura e all'esperienza della migrazione incidono sull'invecchiamento sano?

In quali modi si possono evitare cadute e fratture ossee?

Quali misure preventive favoriscono il mantenimento delle capacità fisiche, sensoriali, cognitive e sociali?

In quali modi si può promuovere un approccio responsabile alla propria salute e al proprio processo di invecchiamento? (promuovere comportamenti salutari, incoraggiare gli anziani ad avvalersi delle misure e delle offerte disponibili per mantenersi sani).

In quali modi si possono motivare le persone a modificare i propri comportamenti per adattarsi meglio al contesto sociale?

3.1.4.2   Ricerca in materia di patologie e terapie

Riguardo all'epidemiologia e all'eziologia delle malattie connesse all'età, per migliorare le possibilità di prevenzione,

in riferimento al processo di invecchiamento biologico, dalla nascita al decesso,

in relazione alle malattie multiple e croniche, al cancro, alle patologie cardiache, reumatiche e dell'apparato muscolo-scheletrico, ai disturbi che riducono l'acuità visiva (cataratta, ecc.), alle malattie neurodegenerative come l'Alzheimer, ecc. Al riguardo occorre provvedere anche al miglioramento delle capacità diagnostiche, in modo da consentire diagnosi precoci e il rapido avvio di una terapia,

in relazione alle possibilità di trattamento degli anziani riguardo alle malattie legate all'età: i processi biochimici che incidono sull'assorbimento, sul metabolismo e sull'efficacia dei farmaci nonché su questi ultimi e il loro dosaggio devono essere compresi meglio e tenuti in considerazione nel corso della terapia. Spesso al riguardo mancano i fondamenti terapeutici, in quanto gli esperimenti clinici e i test dei farmaci sono perlopiù condotti solo su adulti in giovane età.

3.1.4.3   Ricerca in materia di assistenza

In quali modi si possono sviluppare nuove tecnologie che corrispondano alle esigenze degli anziani?

Quali sono gli ambienti di cura e le forme di prestazione ottimali?

In quali modi è possibile migliorare la qualificazione e le condizioni di lavoro degli operatori sanitari, anche alla luce delle nuove tecnologie?

In che modo le soluzioni tecniche (ad esempio la robotica) contribuiscono ad agevolare i compiti dei familiari che assistono un anziano e a migliorare le condizioni di lavoro degli operatori sanitari, senza pregiudicare l'integrità e la dignità della persona assistita?

In quali modi si può adeguare l'offerta di cure alle esigenze e alle necessità degli anziani che ne hanno bisogno?

Quali nuove iniziative possono contribuire allo sviluppo e al sostegno dell'assistenza domiciliare? Tra queste rientrano anche il sostegno economico e il riconoscimento sociale dei familiari che si prendono cura dell'anziano (prevedendo ad esempio la possibilità di accordi fra datori di lavoro e lavoratori per una riduzione temporanea dell'orario di lavoro per prestare assistenza, riconoscimento del servizio prestato ai fini previdenziali, assegno di assistenza e così via).

Quali sono le nuove possibilità offerte per la modulazione delle cure, la terapia del dolore e le cure terminali al fine di garantire una morte dignitosa?

3.1.4.4   Ricerca sui sistemi sanitari

La ricerca nel settore della salute pubblica dovrebbe rivolgere l'attenzione sia ai sistemi sanitari e alle cure a lungo termine, sia all'integrazione dei servizi, ed elaborare una «tabella di marcia» per la ricerca sull'invecchiamento. È necessario valutare se i sistemi sanitari e di protezione sociale degli Stati membri sono pronti ad affrontare le sfide dell'evoluzione demografica. Quale valore assume, ad esempio, la prevenzione? Qual è la percentuale della spesa sanitaria impiegata per la prevenzione? Quante persone vengono assistite a domicilio o all'interno di strutture?

Quante risorse vengono risparmiate grazie al lavoro e alle cure prestati da volontari, e quanto lavoro non retribuito viene prestato a casa e in particolare dalle donne?

La ricerca sull'impatto che determinati trattamenti sanitari hanno sulla qualità e/o la durata della vita (health-outcome) e l'HTA risultano necessarie soprattutto in relazione all'utilizzo di nuove tecnologie e dell'eHealth nel trattamento e nella cura degli anziani, prima dell'introduzione di tali tecnologie. Queste tecnologie sono all'altezza delle aspettative nella pratica? Le fasce più deboli della popolazione traggono vantaggi da queste tecnologie?

In collaborazione con gli Stati membri dovrebbero essere effettuati studi clinici e socioeconomici sull'efficacia ed efficienza degli investimenti per il miglioramento del servizio sanitario e di assistenza a favore degli anziani.

In quali modi è possibile migliorare le interfacce tra prestazioni sanitarie e prestazioni sociali?

3.1.5   Sviluppo di nuove tecnologie

3.1.5.1   A fronte degli oneri indotti dall'evoluzione demografica esiste però un notevole potenziale: si tratta in particolare di nuovi prodotti e servizi destinati a una società che invecchia. Il «fattore economico età» può diventare un motore per l'economia, in grado di trainare la crescita e l'occupazione nel settore dei servizi medico-sanitari, delle nuove tecnologie, dei farmaci, dei prodotti e delle tecnologie mediche, ma anche del turismo e del settore «wellness». In base alle stime della Commissione, tale evoluzione può avere effetti considerevoli sulla spesa per l'assistenza sanitaria: secondo le proiezioni, entro il 2060 nell'UE la spesa sanitaria pubblica aumenterà di 1,5 punti percentuali del PIL. Occorrerebbe sviluppare e immettere sul mercato nuovi prodotti e nuovi servizi. L'ammontare del valore da essi creato sarà influenzato dai volumi di mercato, dal prezzo e dal livello del valore aggiunto.

3.1.5.2   Mentre per il «mercato primario della sanità» i possibili risparmi di spesa costituiscono una priorità, e quindi saranno decisivi per stabilire se l'AAL troverà spazio nel catalogo delle prestazioni a carico, a seconda dei casi, delle casse malattia o assistenziali, in questo campo il «mercato secondario della sanità» può agire in modo notevolmente più libero e flessibile. Al riguardo occorre sviluppare modelli operativi sostenibili - anche sul piano dei costi - che si finanzino mediante vendite, affitti o leasing. Nel contempo, occorre fare in modo di evitare che questo «mercato secondario della sanità» crei delle disuguaglianze.

3.1.5.3   La raccolta e lo scambio di conoscenze circa le conseguenze sociali ed economiche dell'introduzione di tecnologie nel campo dell'assistenza sanitaria andrebbero incoraggiati, ad esempio facendo tesoro dei progetti pilota avviati nel quadro del programma per la competitività e l'innovazione ed attualmente in corso. Nel contempo, bisognerebbe sostenere anche lo scambio di pratiche ormai sperimentate nel campo delle TIC riguardo a soluzioni per una migliore qualità della vita degli anziani, ad esempio nel contesto del programma Interreg e con l'impiego dei fondi strutturali. Nel quadro di una ricerca siffatta è opportuno valutare queste tecnologie consultando gli utilizzatori, specie riguardo alla loro praticità e ai loro vantaggi.

3.1.5.4   Pur contribuendo a un deciso aumento delle spese, lo sviluppo tecnologico e i metodi di diagnosi e trattamento precoci sviluppati di recente, rappresentano anche un progresso tecnico proficuo che a lungo termine permette di contenere i costi. Un ruolo di maggiore rilievo dovrebbe essere affidato all'HTA, al fine di stabilire la portata e la presa in carico dei costi delle prestazioni sanitarie e di assistenza. Un utilizzo e una gestione efficaci delle nuove tecnologie sono perciò decisivi ai fini dello sviluppo futuro della spesa. Le nuove tecnologie, tuttavia, non possono e non devono sostituire il contatto diretto tra gli anziani e il personale incaricato delle cure o dell'assistenza e devono essere accessibili sul piano dei prezzi.

3.1.6   Sostenibilità finanziaria

3.1.6.1   In quasi tutti gli Stati membri le prestazioni di assistenza e cura degli anziani sono finanziate dai sistemi di protezione sociale, il che presuppone un finanziamento sostenibile e sicuro dei singoli sistemi di sicurezza sociale.

3.1.6.2   La necessità di assistenza espone ancora al rischio di impoverimento, e ciò vale in particolare per i pensionati con una pensione modesta o comunque a basso reddito. In Europa sono in molti a non potersi permettere un'assistenza adeguata nella terza età. Per questo motivo è necessario introdurre in tutti gli Stati membri dell'Unione europea, in funzione dell'organizzazione dei rispettivi sistemi di protezione sociale (sistemi di assicurazione sociale o finanziati dal gettito fiscale), delle coperture assicurative delle spese di assistenza, mentre le assicurazioni già esistenti devono essere adeguate alle sfide dell'evoluzione demografica nei prossimi decenni, onde garantire che ogni cittadino abbia accesso alle prestazioni assistenziali conformemente alla normativa UE, alle disposizioni giuridiche e alle prassi dei singoli Stati membri e alle necessità individuali. Questa copertura assicurativa dovrebbe applicarsi non solo alle prestazioni residenziali, ma anche a quelle ambulatoriali.

3.1.6.3   Il trasferimento di una parte delle cure a lungo termine sull'assicurazione sanitaria privata deve avvenire in maniera ponderata e di concerto con le parti interessate, onde evitare che questa tendenza complichi l'accesso a tali servizi. Anche in futuro gli Stati membri dovrebbero assicurarsi che gli anziani abbiano un «accesso universale» all'assistenza primaria e alla prevenzione. Si tratta di un obiettivo ambizioso che esige la mobilitazione di tutti gli strumenti di finanziamento disponibili: i sistemi di protezione sociale previsti dalla legge nonché i meccanismi complementari.

3.1.6.4   Nuove strutture per il rimborso dei costi dovrebbero permettere anche ai soggetti che sono lontani congiunti di ricevere l'assegno di assistenza per le cure prestate a persone non autosufficienti. Si badi, però, che la qualità dell'assistenza deve comunque essere garantita anche in questi casi! Inoltre, in analogia con il congedo di maternità, dovrebbe essere introdotto anche un congedo per assistenza. A livello politico vanno elaborate in via prioritaria, e di concerto con le parti sociali nel quadro del dialogo sociale (ad esempio nel caso del congedo parentale), soluzioni che consentano di conciliare famiglia, lavoro e assistenza.

3.1.6.5   La pressione finanziaria sul sistema di protezione sociale può essere ridotta puntando su una serie di misure a livello nazionale, ad esempio mediante un più ampio utilizzo di farmaci generici, una riduzione dell'imposta sul valore aggiunto sui farmaci e negoziazioni sui prezzi con l'industria farmaceutica.

3.2   Reti locali: «la realtà più piccola è la più efficace e la più vicina al cittadino»

3.2.1   Gli anziani possono, ciascuno secondo il proprio stato di salute, dare ancora molto alla società. Per ragioni personali o di lavoro, nelle famiglie di oggi sono sempre più rari i casi di convivenza tra persone di più generazioni. In questo settore soggetti privati o pubblici a livello comunale possono intervenire per colmare una lacuna mediante strutture locali: le strutture che offrono servizi di interesse generale devono essere infatti coordinate a livello regionale o locale per garantire un buon livello di sostegno e di aiuto.

3.2.2   Le reti locali, ad esempio, sono piattaforme costituite da soggetti pubblici locali, parti sociali, ONG e responsabili del settore sanitario, che rendono possibile la cooperazione e il coordinamento dei servizi. Tali iniziative offrono altresì buone possibilità di sostegno da parte dei fondi strutturali e del Fondo di coesione. L'Europa dovrebbe porre in evidenza i modelli di «buone prassi», come ad esempio le iniziative per il sostegno dell'«impegno civile» e delle iniziative personali nel campo dell'«assistenza e cura a domicilio».

3.2.3   Anche le cosiddette «case intergenerazionali» sono una nuova forma di scambio tra generazioni al di fuori della famiglia. Sotto lo stesso tetto si svolgono le attività di asili, circoli giovanili e circoli per anziani (5).

3.2.4   Devono poi essere previsti ulteriori servizi, quali l'assistenza diurna e notturna (specie per i malati di demenza senile).

3.3   La politica europea della salute

3.3.1   I sistemi sanitari degli Stati membri devono rispondere alle sfide dell'evoluzione demografica e, in questo senso, vanno rafforzati. Al riguardo occorre considerare che, anche dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, l'organizzazione e la gestione dei sistemi sanitari continuano a figurare tra i compiti e le responsabilità degli Stati membri, mentre le istituzioni dell'UE possono unicamente sostenere gli Stati membri nello svolgimento di tali incarichi. I sistemi sanitari degli Stati membri sono estremamente diversi tra loro sotto il profilo dell'organizzazione (accanto a sistemi statali organizzati sulla base del modello Beveridge - servizio sanitario nazionale -, del modello Bismarck - sistema mutualistico - o di modelli misti, si trovano anche assicurazioni private), dello sviluppo, del potenziale economico, nonché delle istanze e aspettative nei loro confronti. Come previsto anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, è però necessario garantire il diritto all'accesso alle prestazioni sanitarie.

3.3.2   Il metodo aperto di coordinamento può contribuire ad organizzare e guidare in modo più efficiente la politica in materia di salute. La collaborazione dovrebbe concentrarsi sullo scambio di esperienze e sulla presentazione di esempi pratici in relazione ai tre settori principali dell'«accesso», della «qualità» e della «sostenibilità finanziaria a lungo termine».

3.3.3   Anche con riguardo alla politica sociale, in base al principio di sussidiarietà la competenza primaria rimane in capo agli Stati membri. L'UE può però contribuire mediante misure di sostegno, come interventi integrativi o incentivi alla cooperazione tra Stati membri. In ambito sociale il metodo aperto di coordinamento si rivela uno strumento utile per migliorare la protezione sociale in base ai principi dell'accesso, dell'adattamento e della sostenibilità.

3.3.4   Il tema Invecchiamento attivo, sano e dignitoso deve diventare una priorità della strategia Europa 2020, grazie all'elaborazione di un piano d'azione. Ciò esige una collaborazione ancora più intensa e costante con le direzioni generali della Commissione. Dovrebbe pertanto essere costituito uno specifico gruppo di lavoro interservizi «Anziani e salute» che affronti i temi «Cure mediche, assistenza, pensioni e sostenibilità finanziaria». Esso dovrebbe rafforzare la prevenzione, promuovere la salute e l'educazione sanitaria e il radicamento di questi principi operativi in tutti i settori d'intervento dell'UE, nonché servire d'esempio per gli Stati membri.

3.3.5   All'interno del CESE il tema Invecchiamento attivo, sano e dignitoso dovrebbe continuare a essere trattato costantemente nell'ambito del dialogo intergenerazionale, per mezzo di una «tavola rotonda», di una «categoria» o di un «gruppo di studio permanente», al fine di elaborare una strategia demografica interdisciplinare.

3.3.6   L'attuazione di misure nazionali da parte degli Stati membri dovrebbe essere sostenuta dall'UE con le risorse dei fondi strutturali e del Fondo di coesione.

3.3.7   Infine, il CESE tiene a ribadire la necessità sia di un costante sostegno all'apprendimento lungo tutto l'arco della vita nell'ambito di «terza età e salute» a livello europeo, sia dello sviluppo di una strategia specifica per l'attuazione di questo principio a livello nazionale, regionale e locale.

Bruxelles, 15 luglio 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  COM(2009) 180 definitivo.

(2)  L'elenco dei pareri del CESE è disponibile on line all'indirizzo http://www.eesc.europa.eu/sections/soc/index_en.asp.

(3)  Cfr. l'Osservatorio europeo sui sistemi sanitari e le politiche sanitarie http://www.euro.who.int/en/home/projects/observatory/activities/research-studies-and-projects.

(4)  «Signore, insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore» (Salmi 90,12).

(5)  http://www.mehrgenerationenhaeuser.de.


11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/17


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Il valore aggiunto di un regime comune europeo di asilo, tanto per i richiedenti asilo quanto per gli Stati membri dell'Unione europea» (parere esplorativo)

2011/C 44/03

Relatore: Cristian PÎRVULESCU

Con lettera del 16 febbraio 2010 Joëlle MILQUET, vice primo ministro e ministro del Lavoro e delle pari opportunità del governo belga, responsabile della politica di migrazione e di asilo, ha invitato il Comitato economico e sociale europeo, a nome della futura presidenza belga del Consiglio dell'UE e conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, a elaborare un parere esplorativo sul tema:

Il valore aggiunto di un regime comune europeo di asilo, tanto per i richiedenti asilo quanto per gli Stati membri dell'Unione europea (parere esplorativo).

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 16 giugno 2010.

Alla sua 464a sessione plenaria, dei giorni 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 14 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 133 voti favorevoli, 1 voto contrario e 8 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con soddisfazione l'approccio proattivo delle istituzioni dell'UE in materia di asilo e l'interesse che alcuni Stati membri hanno mostrato nel realizzare passi in avanti in questo settore politico.

1.2

Benché la politica di immigrazione e di asilo dell'Unione europea sia soggetta alla pressione generata da molteplici fonti di insicurezza e di rischio esistenti a livello globale (1), il CESE ritiene che le varie restrizioni di bilancio dovute alla crisi economica non debbano implicare una diminuzione del livello e della qualità della protezione per coloro che ne beneficiano. L'identità politica dell'Unione europea è strettamente legata alla protezione dei diritti umani. Il fallimento nel garantire tale protezione si ripercuote pesantemente sulla credibilità interna ed esterna dell'Unione quale entità politica e democratica.

1.3

L'estensione delle responsabilità dell'UE in questo settore e la modifica dei meccanismi decisionali dopo l'adozione del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) offre delle opportunità per la creazione di uno spazio comune europeo di asilo. Esistono però anche dei rischi. Le aspettative suscitate possono essere eccessive rispetto alla capacità politica e amministrativa esistente.

1.4

Il CESE ritiene che una politica comune europea di asilo funzionale rappresenti il modo più efficiente e sostenibile per affrontare la questione del bisogno di protezione delle persone in situazione di rischio e l'impatto di tale bisogno sugli Stati membri.

1.5

Il CESE non considera i beneficiari di protezione internazionale un onere economico o amministrativo, ma partner preziosi dei paesi e delle comunità che li ospitano. I beneficiari di protezione possono diventare nei paesi di origine il motore di un processo di riforma volto al rafforzamento della democrazia, dello Stato di diritto e della protezione dei diritti umani. Le competenze acquisite li possono rendere degli attori cruciali dello sviluppo economico e sociale sia nei paesi ospitanti che in quelli di origine.

1.6

Il fallimento o il successo del sistema comune europeo in materia di asilo dipendono da un certo numero di variabili fondamentali: la protezione effettiva dei diritti dell'uomo, la solidarietà tra gli Stati membri, l'armonizzazione della legislazione e delle politiche nel settore, il miglioramento del contenuto sostanziale della protezione e il finanziamento adeguato delle istituzioni europee responsabili dell'applicazione della politica in materia di asilo. Per il CESE è prioritario conquistare la fiducia dell'opinione pubblica in generale, della società civile e dei governi degli Stati membri in una politica comune europea di asilo. Questo compito può essere realizzato attraverso la rapida attuazione di tale politica e il raggiungimento di risultati concreti specialmente nei casi considerati come un «banco di prova».

1.7

L'esistenza negli Stati membri di sistemi differenti di concessione dell'asilo genera costi ingenti. Con la creazione di un sistema comune europeo in materia di asilo si chiariscono e si limitano i costi, anzitutto attraverso la semplificazione legislativa (riduzione del numero di ricorsi o di domande ripresentate, limitazione della possibilità di utilizzo abusivo delle procedure) e poi attraverso l'azione delle istituzioni europee competenti (ad esempio, l'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo) che possono subentrare alle autorità nazionali. Ciò faciliterà lo scambio di buone pratiche, la formazione del personale e - quel che è importante - il riorientamento del flusso dei richiedenti asilo.

2.   Introduzione

2.1

Lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia dell'UE è in una fase decisiva. Dal 1999 ad oggi il Consiglio ha adottato due piani quinquennali: il programma di Tampere (1999-2004) e il programma dell'Aia (2004-2009). Dopo dieci anni gli obiettivi stabiliti a Tampere sono stati raggiunti solo in parte. L'UE non è ancora uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia. La politica comune in materia di immigrazione, asilo e sicurezza delle frontiere ha registrato progressi considerevoli ma disuguali.

2.2

Il programma di Stoccolma sarà applicato dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona e, quindi, le misure relative a tutta una serie di politiche incluse in questo Trattato saranno adottate in sede di Consiglio secondo la procedura legislativa ordinaria e la procedura legislativa di codecisione con il Parlamento europeo. Ciò permetterà all'UE di stabilire obiettivi più ambiziosi e di rilanciare un processo che al momento è frenato dalla riluttanza di alcuni Stati membri.

2.3

L'adozione del Trattato di Lisbona, il quale comprende la Carta dei diritti fondamentali, ha notevolmente accresciuto le responsabilità e le competenze dell'Unione europea in materia di asilo. L'ampliamento delle competenze rappresenta una grande opportunità per avanzare verso la realizzazione degli obiettivi nel settore dell'immigrazione e dell'asilo. Ciò può però rappresentare anche un rischio se le decisioni prese non riescono a guadagnare il sostegno degli attori coinvolti. Se non vengono risolte le tensioni e le incoerenze connesse a un settore così delicato - evidenti già nella fase di elaborazione della relativa politica -, si rischia di compromettere sia il progresso compiuto sinora che le prospettive future.

2.4

Il programma di Stoccolma è il risultato di un processo di consultazione attraverso il quale sono state integrate e attuate le proposte avanzate nel Patto europeo sull'immigrazione e l'asilo (2), nelle relazioni del Gruppo consultivo sul futuro della politica europea in materia di affari interni e giustizia (3), nonché nei contributi ricevuti dalla Commissione europea tra settembre e novembre 2008 nel quadro della consultazione pubblica sul tema Libertà, sicurezza e giustizia: quale sarà il futuro? Consultazione pubblica sulle priorità per i prossimi cinque anni. Nel giugno 2009 la Commissione ha pubblicato la comunicazione intitolata Uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia al servizio dei cittadini. Maggiore libertà in un contesto più sicuro  (4), nella quale ha messo a profitto anche il parere in materia del CESE (5).

2.5

La creazione del sistema comune europeo in materia di asilo nel quadro dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia si basa sull'impegno per un'effettiva applicazione della convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati (1951) e sui valori fondanti nel settore dei diritti umani che sono condivisi dagli Stati membri. Nel periodo 1999-2006 si sono compiuti dei progressi importanti, tra cui l'adozione dei 4 strumenti normativi che costituiscono attualmente l'acquis in materia. Con la direttiva 2004/83/CE del Consiglio (la direttiva Qualifiche) si sono definiti i criteri comuni per identificare le persone che possono chiedere protezione internazionale e si è stabilito un livello minimo di prestazioni per tali persone in tutti gli Stati membri dell'UE. Con il programma dell'Aia e il programma di Stoccolma, la Commissione europea si è impegnata a valutare i progressi della prima fase e a proporre al Consiglio e al Parlamento europeo una serie di misure entro la fine del 2010.

2.6

Fin dal 2002 il CESE ha partecipato al processo di elaborazione e attuazione di un sistema comune europeo in materia di asilo con la pubblicazione di numerosi pareri, tra cui il parere in merito al Libro verde sul futuro regime comune europeo in materia di asilo  (6) e il parere in merito al piano strategico sull'asilo (7).

2.7

Con la comunicazione Piano strategico sull'asilo  (8) del 17 giugno 2008, la Commissione ha proposto di portare a termine la seconda fase del sistema comune europeo in materia di asilo attraverso il miglioramento delle norme di protezione e la garanzia di una loro applicazione uniforme in tutti gli Stati membri dell'UE. Con il Patto europeo sull'immigrazione e l'asilo adottato dal Consiglio europeo il 17 ottobre 2008, si è riconfermato il sostegno a questa politica e agli obiettivi fissati. Il piano strategico prevede sia la rifusione della direttiva Qualifiche nel quadro di un pacchetto più vasto che comprende la modifica del regolamento Dublino, del regolamento Eurodac e della direttiva Accoglienza (9), sia la presentazione - avvenuta il 19 febbraio 2009 - della proposta relativa all'istituzione dell'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo (10). Le misure proposte comprendono inoltre il rafforzamento della dimensione esterna dell'asilo, anche attraverso un programma dell'UE per il reinsediamento e lo sviluppo di programmi regionali di protezione.

2.8

Il governo del Belgio, in vista della presidenza belga del Consiglio dell'Unione europea, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere esplorativo che esamini la problematica dell'asilo. Nella richiesta ufficiale si segnala che la concessione di protezione internazionale alle persone in situazione di rischio è una delle sfide importanti per l'Unione europea e gli Stati membri. L'obiettivo principale, ossia costruire una politica comune europea di asilo, è stato perseguito con costanza negli ultimi anni. Si sono stabilite delle norme per l'attribuzione della protezione internazionale, determinate delle responsabilità e create nuove istituzioni. Contuttociò, numerosi Stati membri sono restii ad armonizzare effettivamente la legislazione e le politiche. Senza il sostegno degli Stati membri, la costruzione legislativa e istituzionale europea rischia di diventare inefficiente e costosa. I vantaggi di una politica comune europea in materia di asilo non sono ancora evidenti per gli Stati membri, i quali d'altra parte non si sono ancora assunti le loro responsabilità in modo chiaro.

2.9

Il CESE ha avanzato proposte costruttive in questo campo e ha accolto con soddisfazione i progressi realizzati nelle prassi dell'UE e in quelle degli Stati membri. Attraverso le posizioni espresse il Comitato si è apertamente fatto portavoce di principi e valori che danno la priorità ai diritti fondamentali dell'uomo e ha proposto misure volte a facilitare la realizzazione personale e professionale dei beneficiari di protezione internazionale. Il Comitato ha tuttavia segnalato a più riprese i limiti e le incongruenze delle politiche europee nelle fasi sia di progettazione che di attuazione. La riforma delle politiche e degli strumenti in questo settore deve essere consensuale e coinvolgere in un dialogo reale gli Stati membri, le istituzioni dell'UE, le organizzazioni della società civile, le imprese e le comunità locali.

3.   Osservazioni generali

Il valore aggiunto del sistema comune europeo in materia di asilo per i richiedenti protezione e per gli Stati membri

3.1

Il CESE ritiene che una prospettiva in cui si sottolineino i vantaggi del sistema comune europeo in materia di asilo sia promettente e potenzialmente capace di ridare fiducia agli attori coinvolti, soprattutto agli Stati membri, nel processo di costruzione di tale sistema.

3.2

Il CESE esprime il proprio accordo in merito agli obiettivi fissati dall'Unione europea per quanto concerne il perfezionamento del sistema comune europeo in materia di asilo. Il Comitato richiama tuttavia l'attenzione sulla sproporzione tra gli obiettivi fissati a livello europeo e le prassi nazionali in questo campo, la quale potrebbe venir accentuata dalla crisi economica e dalle sue ripercussioni sul piano sociale e politico.

3.3

Il sistema comune europeo in materia di asilo non può essere creato se non viene saldamente ancorato a un insieme di valori e principi comuni che pongano la dignità e la sicurezza dell'essere umano al centro delle azioni dell'UE e degli Stati membri.

3.4

A causa delle pressioni asimmetriche a cui sono sottoposti gli Stati membri - evidenziate dalle differenti percentuali di accoglimento delle domande, dal numero di impugnazioni delle decisioni e dal livello di movimenti secondari -, il principio implicito della solidarietà tra gli Stati membri non viene applicato.

3.5

Le basi del sistema comune europeo in materia di asilo sono minate dalla tendenza degli Stati membri a limitare l'armonizzazione della legislazione e delle prassi nazionali. L'armonizzazione non è un problema della politica d'asilo, ma lo strumento principale per mezzo del quale si concretizzeranno i vantaggi del sistema comune. L'armonizzazione farà diminuire la pressione amministrativa e finanziaria su alcuni Stati membri. Allo stesso modo, garantirà un livello di protezione più alto per i richiedenti asilo, quanto meno nella fase iniziale della procedura. Perché l'armonizzazione dia i risultati previsti, essa non va realizzata in direzione del minimo comun denominatore in materia di protezione.

3.6

Il contenuto della protezione internazionale rappresenta un aspetto delicato della politica in materia di asilo. Le differenze tra gli Stati membri sono persino più significative di quelle legate alla procedura per la concessione di protezione internazionale propriamente detta. Con un contenuto più sostanziale della protezione - attestato dal riconoscimento delle qualifiche e dall'accesso alla formazione e all'occupazione -, i beneficiari di protezione internazionale possono contribuire alla crescita del benessere individuale e collettivo.

3.7

Per accompagnare la politica di asilo in modo soddisfacente, le istituzioni specializzate (in particolare l'agenzia Frontex e l'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo) devono avere compiti chiari, un sostegno finanziario commisurato alle loro responsabilità e un modo di funzionamento trasparente che assicuri il rispetto sia delle procedure che dei diritti fondamentali di coloro che richiedono protezione internazionale o ne beneficiano. Il sostegno finanziario a istituzioni efficienti può illustrare nel modo migliore i vantaggi di una vera politica comune in materia di asilo.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Il CESE ritiene che i vari elementi della politica in materia di asilo siano interconnessi. Il fallimento o il successo di tale politica dipende da un certo numero di variabili fondamentali: la protezione effettiva dei diritti dell'uomo, la solidarietà tra gli Stati membri, l'armonizzazione della legislazione e delle politiche nel settore, il miglioramento del contenuto sostanziale della protezione e il finanziamento adeguato delle istituzioni europee responsabili dell'applicazione della politica in materia di asilo. Per il CESE è prioritario conquistare la fiducia dell'opinione pubblica in generale, della società civile e dei governi degli Stati membri in una politica comune europea di asilo. Questo compito può essere realizzato attraverso la rapida attuazione di tale politica e il raggiungimento di risultati concreti specialmente nei casi considerati come un «banco di prova».

Il rispetto dei diritti umani in tutte le fasi della procedura di accesso alla protezione internazionale

4.2

Il CESE ha costantemente sottolineato nelle sue posizioni la necessità di norme comuni - e non minime - in materia di protezione internazionale (11). Queste norme devono tendere a un maggiore rispetto dei diritti fondamentali dei richiedenti protezione internazionale attraverso:

la garanzia dell'accesso al territorio,

la libertà di scelta del luogo in cui presentare la domanda di asilo e di protezione,

l'esame, in primo luogo, della qualifica prevista dalla convenzione e, in secondo luogo, della protezione sussidiaria se e soltanto se le condizioni richieste per la prima qualifica prevista dalla convenzione non vengono soddisfatte,

il non respingimento se la vita del richiedente è in pericolo nel suo paese di origine o nell'ultimo paese di transito,

il ricorso, con effetto sospensivo, contro i provvedimenti di espulsione fintantoché la decisione non venga pronunciata dal tribunale competente, al fine di rendere pienamente effettivo tale diritto di ricorso conformemente alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo,

la protezione particolare di cui necessitano i minori o i presunti tali,

il rispetto dei diritti autonomi delle persone - e in particolare delle donne - di presentare domanda di protezione.

4.3

Nelle procedure per la richiesta di asilo è essenziale che i richiedenti possano esprimersi nella loro lingua materna e che sia loro garantita, in tutte le fasi, l'assistenza legale gratuita.

4.4

Il rifiuto della concessione di protezione internazionale deve essere motivato in modo chiaro e deve fornire le informazioni, anche per quel che riguarda i modi e i tempi, sulle possibilità di presentare ricorso. In ogni caso, finché non sarà noto l'esito del ricorso, il provvedimento di espulsione deve rimanere sospeso (12).

4.5

Si dovrebbe applicare il trattenimento soltanto in ultima istanza, una volta che si siano esaurite le alternative, e mai prima che un tribunale competente abbia pronunciato una decisione in materia, nel rispetto del diritto alla difesa conformemente alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (13). Le decisioni emanate devono poter essere impugnate attraverso una procedura di ricorso.

4.6

Il CESE mette in evidenza la situazione particolare delle donne che, rispetto agli uomini, incontrano molte più difficoltà nel richiedere asilo e nell'ottenere lo status di rifugiato. Allo stesso modo, richiama l'attenzione sulla problematica dei minori nella politica di asilo e sottolinea l'importanza dell'effettiva protezione dei loro interessi e della loro sicurezza.

4.7

Il CESE nota con preoccupazione che i fenomeni connessi all'immigrazione e all'asilo, come la tratta o lo sfruttamento di esseri umani, non sono esaminati in modo adeguato in rapporto né agli Stati membri né ai paesi terzi, specialmente quelli di transito. I paesi che non hanno ratificato la convenzione di Ginevra del 1951 non possono essere partner della politica di asilo dell'UE. Il successo della politica di asilo non può essere assicurato in assenza di un accordo istituzionale solido con i paesi di transito, che spesso permettono che vengano lesi i diritti e la sicurezza delle persone in situazione di rischio.

Maggiore solidarietà tra gli Stati membri sulla base dell'interesse comune e della suddivisione della responsabilità

4.8

A seconda della maggiore o minore pressione determinata dai flussi di rifugiati cui sono esposti, alcuni Stati membri tendono a rispondere per mezzo di disposizioni restrittive sulla concessione di protezione internazionale. La politica di asilo deve permettere di assistere efficacemente questi Stati nella gestione delle domande, soprattutto per quel che concerne il miglioramento del contenuto della protezione. Per tradurre in atto questo sostegno, il CESE approva la previsione di una nuova procedura che sospenda i trasferimenti, disposti ai sensi del regolamento Dublino, verso uno Stato membro competente soggetto a pressioni supplementari (14).

4.9

Una maggiore cooperazione con gli Stati soggetti a pressioni supplementari presenta molteplici vantaggi. Innanzitutto, essa limiterà i movimenti secondari tra gli Stati membri. Con una distribuzione più equilibrata delle domande di asilo tra gli Stati membri si può gestire meglio il processo e assicurare una maggiore integrazione dei beneficiari di protezione internazionale nei medesimi Stati membri.

Armonizzazione effettiva e orientata al miglioramento della protezione delle persone in situazione di rischio

4.10

Il trattamento delle domande di asilo è di competenza delle autorità degli Stati membri. A causa dell'insufficiente armonizzazione di alcune legislazioni nazionali si mantengono consuetudini diverse, la situazione nel paese di origine è valutata in modo distinto, mancano prassi comuni a livello europeo, le capacità amministrative sono differenti e la pressione esercitata dai richiedenti protezione internazionale è distribuita in modo diseguale a livello geografico. Di conseguenza, i livelli di protezione concessi dagli Stati membri variano in misura significativa ed è per questa ragione che si registrano tuttora movimenti secondari di rifugiati all'interno dell'Unione europea (15).

4.11

Una misura necessaria è l'analisi su base comune delle informazioni relative alle domande di asilo. Il CESE ha raccomandato in numerose occasioni di abbandonare l'utilizzo delle liste di paesi che si presuppongono sicuri e di sostituire queste liste con un sistema che valuti in tempo reale i rischi a livello individuale e collettivo nei paesi terzi. Questo sistema dovrebbe rientrare tra le responsabilità dell'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo. Il sistema comune di valutazione deve utilizzare una serie di definizioni comuni, ivi compresi i soggetti che offrono protezione e la protezione offerta all'interno del territorio considerato.

4.12

Il CESE ritiene che i soggetti non statuali che offrono protezione possano fornire servizi utili, talvolta persino indispensabili nel breve termine, soprattutto nella risoluzione di problemi umanitari. La responsabilità di garantire la protezione delle persone in un dato territorio non può tuttavia essere affidata neanche parzialmente a questi soggetti non statuali, ma soltanto a strutture statali. La protezione all'interno di un dato paese è valida soltanto se la maggior parte del territorio si trova sotto il controllo di un'autorità centrale che può e vuole garantire l'ordine interno, un livello minimo di servizi pubblici e una protezione adeguata dei diritti e della sicurezza dei singoli.

4.13

Il CESE ha valutato positivamente l'evoluzione verso l'uniformazione, dal punto di vista del contenuto, dei due status di protezione (quello di rifugiato e quello di beneficiario di protezione sussidiaria). Il Comitato ha appoggiato in ripetute occasioni una simile evoluzione, in quanto garantirà in futuro una protezione più completa delle persone che si trovano in situazione di rischio e una loro migliore integrazione negli Stati membri dell'UE. Al tempo stesso, l'uniformazione dei due status di protezione non deve ridurre, direttamente o indirettamente, il livello e la qualità del contenuto della protezione stessa (16), ma, al contrario, deve migliorarli.

4.14

La responsabilità che incombe sui governi nazionali nella gestione della politica di asilo non deve comportare l'instaurazione di prassi completamente differenti. Alcuni Stati membri (ad esempio i Paesi Bassi e la Svezia) hanno sviluppato in questo campo un complesso di buone prassi che può ispirare misure analoghe in altri Stati. Il ruolo delle buone prassi è sottovalutato: queste possono mostrare in quale modo si può tradurre in pratica la politica di asilo e limitare i costi della sperimentazione a livello nazionale.

Un miglioramento del contenuto sostanziale della protezione internazionale

4.15

In questo settore vi è una grande disparità tra le politiche e i programmi applicati a livello nazionale. Questa affermazione deriva tuttavia da un'intuizione, in quanto non esiste un'analisi onnicomprensiva di queste politiche e di questi programmi negli Stati membri. In assenza di misure proattive, la concessione di protezione internazionale sarà priva di sostanza e avrà come effetto l'implicita discriminazione di coloro che beneficiano di questo status. Il CESE raccomanda di coinvolgere i sindacati e le associazioni dei datori di lavoro nell'elaborazione e attuazione della politica in materia di asilo a livello nazionale.

4.16

Il CESE ritiene che si debbano includere delle disposizioni concernenti il riconoscimento/l'equivalenza dei diplomi e delle qualifiche, e che si debba incentivare l'accesso da parte dei beneficiari di protezione internazionale ai programmi di formazione professionale (17). Si tratti di passi avanti importanti verso l'integrazione di queste persone nell'economia e nella società e verso il miglioramento della loro qualità di vita. L'accesso al mercato del lavoro deve essere incoraggiato con misure attive di lotta alla discriminazione e di incentivazione dei soggetti economici.

Il rafforzamento e l'adeguato finanziamento delle istituzioni responsabili dell'applicazione della politica in materia di asilo

4.17

Il CESE ritiene che le attività dell'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo debbano assumere un carattere operativo nel più breve tempo possibile. Il bilancio assegnato a questo ente deve permettere lo svolgimento delle sue attività, che sono complesse e intensive da un punto di vista logistico. Ad esempio, lo sviluppo di un sistema comune europeo di valutazione del rischio nei paesi terzi - che è una componente importante della politica di asilo - deve costituire un obiettivo prioritario dell'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo. L'adeguato finanziamento di questo Ufficio potrebbe servire a evidenziare i vantaggi di istituzioni e procedure comuni a livello europeo. L'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo deve agire in coordinamento con le altre strutture dell'UE e specialmente con i governi degli Stati membri.

4.18

È necessario riesaminare le modalità di finanziamento delle diverse componenti della politica in materia di asilo, incrementando le risorse e orientandole verso gli strumenti che generano i risultati migliori e che offrono un sostegno reale agli Stati membri. La solidarietà comprende una componente finanziaria che non deve essere ignorata. Ad esempio, il Fondo europeo per i rifugiati ha un bilancio di circa 5 milioni di euro, decisamente troppo modesto per offrire un sostegno utile all'attuazione della politica di asilo a livello dell'UE e degli Stati membri.

4.19

Il CESE ha segnalato con preoccupazione una serie di prassi dei governi degli Stati membri e dell'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne (Frontex) relative all'espulsione di persone che potrebbero aver bisogno di protezione internazionale (18). Queste operazioni, che sono aumentate in termini di frequenza e dimensioni, devono essere realizzate in condizioni di totale trasparenza e piena assunzione di responsabilità (19). Il Comitato raccomanda la collaborazione tra Frontex e l'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo per prevenire le violazioni dei diritti umani. L'espulsione di persone verso paesi/zone in cui la loro sicurezza è in pericolo rappresenta una chiara violazione del principio di non respingimento.

4.20

Il CESE ritiene (20) che la formazione del personale specializzato dell'agenzia Frontex debba essere realizzata in modo da migliorare:

il coordinamento della cooperazione operativa tra gli Stati membri,

l'elaborazione di norme comuni nel campo della formazione,

la prestazione agli Stati membri del sostegno necessario per organizzare operazioni di accoglienza e di rimpatrio con l'assistenza di mediatori culturali,

la preparazione dei funzionari nel campo del diritto umanitario dell'asilo elaborato dall'UE.

4.21

Il CESE raccomanda di accompagnare lo sviluppo istituzionale della politica in materia di asilo con un maggior coinvolgimento, sia nel processo decisionale che nello svolgimento operativo di questa politica, delle organizzazioni della società civile. Questo coinvolgimento rafforzerà la credibilità di tale politica comune e contribuirà all'opera di costante affinamento degli strumenti utilizzati.

Bruxelles, 14 luglio 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Ad esempio, il rischio associato al degrado dell'ambiente e ai conflitti che ne derivano.

(2)  Patto europeo sull'immigrazione e l'asilo, Consiglio dell'Unione europea, Bruxelles, doc. n. 13440/08, 24 settembre 2008.

(3)  Relazione del Gruppo consultivo sul futuro della politica in materia di affari interni: Libertà, sicurezza, vita privata - Affari interni europei in un mondo aperto, giugno 2008.

(4)  COM(2009) 262 definitivo.

(5)  GU C 128 del 18.5.2010, pag. 80.

(6)  GU C 204 del 9.8.2008, pag. 77.

(7)  GU C 218 dell'11.9.2009, pag. 78.

(8)  COM(2008) 360 definitivo.

(9)  COM(2008) 815 definitivo, COM(2008) 820 definitivo, COM(2008) 825 definitivo.

(10)  COM(2009) 66 definitivo.

(11)  GU C 204 del 9.8.2008, pag. 77, e GU C 218 dell'11.9.2009, pag. 78.

(12)  Parere CESE del 28 aprile 2010 in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale (rifusione), COM(2009) 554 definitivo - 2009/0165 (COD) (relatore: PEZZINI).

(13)  GU C 317 del 23.12.2009, pag. 110.

(14)  GU C 317 del 23.12.2009, pag. 115.

(15)  GU C 218 dell'11.9.2009.

(16)  Parere CESE del 28 aprile 2010 in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (rifusione), COM(2009) 551 definitivo - 2009/0164 (COD) (relatore: PÎRVULESCU).

(17)  Ibidem.

(18)  Cfr. la relazione di Human Rights Watch: Scacciati e schiacciati - L'Italia e il respingimento di migranti e richiedenti asilo, la Libia e il maltrattamento di migranti e richiedenti asilo, settembre 2009.

(19)  Il Comitato accoglie con compiacimento i propositi della Commissione europea di rendere più trasparente lo svolgimento delle procedure in questo campo.

(20)  Parere CESE del 28 aprile 2010 in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale (rifusione), COM(2009) 554 definitivo - 2009/0165 (COD) (relatore: PEZZINI).


11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/23


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Il metodo aperto di coordinamento e la clausola sociale nel quadro della strategia “Europa 2020”» (parere esplorativo)

2011/C 44/04

Relatore generale: OLSSON

Con lettera del 28 aprile 2010 e in conformità dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, il vice primo ministro belga e ministro degli Affari sociali e della sanità, Laurette Onkelinx, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo, a nome della futura presidenza belga, di formulare un parere esplorativo sul tema:

Il metodo aperto di coordinamento e la clausola sociale nel quadro della strategia Europa 2020.

L'Ufficio di presidenza del Comitato, in data 25 maggio 2010, ha incaricato la sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 464a sessione plenaria, dei giorni 14. e 15 luglio 2010 (seduta del 15 luglio), ha nominato relatore generale Jan OLSSON e ha adottato il seguente parere con 61 voti favorevoli, nessun voto contrario e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore l'iniziativa della presidenza belga di ricorrere alla clausola sociale orizzontale e al metodo aperto di coordinamento (MAC) rafforzato, in quanto essa sottolinea il fatto che, per raggiungere tutti gli obiettivi della strategia Europa 2020, la coesione sociale deve andare di pari passo col coordinamento rafforzato della politica economica.

1.2

Una reale partecipazione della società civile organizzata in tutte le fasi e a tutti i livelli è essenziale per garantire il ricorso effettivo alla clausola orizzontale e al MAC. Il CESE propone che la Commissione rediga annualmente una «relazione sulla governance» relativa a tale partecipazione. Il CESE può dare il proprio contributo a tal fine e suggerisce che i progetti pilota in materia di partecipazione siano finanziati dal programma Progress. Il Comitato propone inoltre un Codice di buone pratiche per la governance partecipativa del MAC.

1.3

Il CESE sottolinea l'urgente necessità di un processo di coordinamento che tenga conto dell'interazione fra tutti gli obiettivi e le politiche. Dovrebbe essere questo l'orientamento di fondo nell'applicazione della clausola sociale e del MAC. La Commissione dovrebbe mettersi alla testa di questo coordinamento, con l'assistenza del comitato per la protezione sociale e del comitato per l'occupazione. I due comitati dovrebbero aprirsi alla rappresentanza delle parti interessate esterne.

1.4

L'applicazione della clausola sociale orizzontale deve essere efficiente. Le valutazioni dell'impatto sociale dovrebbero riguardare tutti e dieci gli orientamenti integrati per l'occupazione e le politiche economiche, dovrebbero essere pubblicate e inserite nel processo del MAC. Al centro dell'attenzione dovrebbero essere gli effetti sull'occupazione, il numero di persone che vivono in condizioni di povertà e i rischi sociali.

1.5

Il CESE sostiene un MAC rafforzato, affinché l'occupazione, la protezione sociale e l'inclusione sociale non siano messi in disparte per colpa della crisi. Si dovrebbe accentuare la dimensione locale del MAC collegandolo ad azioni mirate svolte sotto gli auspici del Fondo sociale europeo. Opportune verifiche inter pares, basate sull'apprendimento reciproco, dovrebbero condurre a tabelle di marcia nazionali per la coesione sociale. Gli indicatori dovrebbero anche concentrarsi su criteri qualitativi di benessere. Il CESE sostiene la Piattaforma europea contro la povertà, ma è del parere che anche il MAC e la clausola orizzontale possano contribuire a sviluppare altre iniziative faro.

2.   Contesto

2.1

La presidenza belga dell'UE ha chiesto al CESE di formulare un parere esplorativo per esaminare come sia possibile realizzare la coesione sociale europea attraverso la strategia Europa 2020 e il rafforzamento del metodo aperto di coordinamento, quale ruolo concreto possa svolgere la clausola sociale orizzontale nella dimensione sociale delle politiche europee e come ciò potrebbe essere attuato.

2.2

Il parere costituirà uno dei contributi alla conferenza organizzata dalla presidenza belga per il 14 e 15 settembre 2010 sul coordinamento UE in campo sociale nel contesto della strategia Europa 2020.

2.3

Nella sua comunicazione su Europa 2020, la Commissione europea sottolinea la necessità di coinvolgere le parti sociali e i rappresentanti della società civile a tutti i livelli e suggerisce che «anche il Comitato economico e sociale europeo e il Comitato delle regioni dovrebbero essere maggiormente coinvolti».

2.4

Per realizzare la strategia Europa 2020, il Consiglio europeo del 17 giugno ha definito cinque obiettivi principali (tasso d'occupazione, R&S, gas serra, istruzione e inclusione sociale) giungendo alla conclusione che questi sono correlati e si sostengono a vicenda. «Rafforzare il coordinamento delle politiche economiche» ha consentito di gettare «le fondamenta per una governance economica molto più forte». Meccanismi di monitoraggio efficienti sono essenziali per permettere di conseguire gli obiettivi. Il Consiglio ha approvato l'obiettivo di sottrarre 20 milioni di persone al rischio di povertà, al tempo stesso lasciando liberi gli Stati membri di stabilire propri obiettivi nazionali su almeno uno di tre indicatori: rischio di povertà, deprivazione materiale, nucleo familiare privo di occupazione.

2.5

Europa 2020 fa leva su una combinazione di misure prese a livello UE e nazionale per arrivare a una «crescita intelligente, sostenibile e inclusiva». Dieci orientamenti integrati per le politiche economiche e occupazionali sostengono i cinque obiettivi principali, e saranno avviate sette iniziative faro. Gli Stati membri stabiliranno obiettivi nazionali e meccanismi attuativi che tengano conto delle circostanze nazionali, e redigeranno dei programmi nazionali di riforma (PNR).

2.6

La «clausola sociale» orizzontale (articolo 9 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) è stata inserita nel Trattato di Lisbona, e stabilisce che «Nella definizione e nell'attuazione delle sue politiche e azioni, l'Unione tiene conto delle esigenze connesse con la promozione di un elevato livello di occupazione, la garanzia di un'adeguata protezione sociale, la lotta contro l'esclusione sociale e un elevato livello di istruzione, formazione e tutela della salute umana».

2.7

Questo principio si ricollega con altre clausole orizzontali del Trattato (articoli 8, 10, 11 e 12 del TFUE): parità tra uomini e donne, tutela dell'ambiente e protezione dei consumatori introdotte dal Trattato di Amsterdam e lotta alla discriminazione, inserita nel Trattato di Lisbona.

2.8

Il metodo aperto di coordinamento è stato elevato a strumento della strategia di Lisbona nel 2000. In breve, il Consiglio fissa obiettivi che vengono portati avanti nei piani nazionali d'azione e in quelli di riforma, mentre i progressi si misurano mediante analisi comparative, indicatori, verifiche inter pares e scambi di buone pratiche. Il Trattato di Lisbona (articoli 149, 153, 156, 168, 173 e 181 del TFUE) fornisce al modello del MAC anche una base giuridica per alcuni settori d'intervento.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1

Per uscire dalla profonda crisi economica e sociale attuale, l'Europa sta muovendosi in direzione di un maggiore coordinamento delle politiche economiche. Il CESE sottolinea che, se vogliamo raggiungere tutti gli obiettivi della strategia Europa 2020, il progresso sociale deve andare di pari passo con le riforme economiche. Per questo, è assolutamente necessario creare una connessione fra la dimensione economica, sociale e ambientale della strategia. Per realizzare politiche integrate che si sostengano a vicenda occorrerà che tutti gli strumenti siano collegati, coordinati e rafforzati.

3.2

In questo contesto, il CESE esprime soddisfazione nel constatare che la presidenza belga si sta concentrando sulla governance e la coesione sociale, valorizzando la clausola sociale orizzontale e un MAC più forte. Quest'approccio va mantenuto anche a lungo termine, e il Comitato esorta il governo ungherese a farne una priorità della propria presidenza.

3.3

Il Comitato desidera peraltro sottolineare che bisogna tenere conto delle disposizioni della Carta dei diritti fondamentali quando si rafforzano gli strumenti volti a conseguire progressi in campo sociale.

3.4

Il CESE ha rammentato sistematicamente che una reale partecipazione dei cittadini e della società civile organizzata in tutte le fasi e a tutti i livelli del processo costituisce una parte indispensabile della governance. È necessario che, sulle riforme economiche e sociali, si raggiunga un consenso con le parti sociali e le altre parti interessate, aumentando così le possibilità di raggiungere gli obiettivi principali.

3.5

Il CESE sottolinea che è fondamentale coinvolgere a fondo le parti sociali e i rappresentanti della società civile nella definizione degli obiettivi nazionali e nell'elaborazione dei PNR, nonché negli interventi volti a rafforzare il MAC e a mettere in pratica la clausola sociale orizzontale. Le opinioni della società civile organizzata dovrebbero essere prese in considerazione anche quando la Commissione e il Consiglio convalidano obiettivi e valutano i progressi.

3.6

La strategia Europa 2020 deve essere attuata a tutti i livelli territoriali. Un approccio dal basso dovrebbe interagire con iniziative europee dall'alto nell'elaborazione e attuazione delle politiche sociali dell'UE. Pertanto, la società civile organizzata deve istituire collaborazioni concrete e fattive coi parlamenti e gli enti regionali e locali, per fissare obiettivi regionali e definire misure d'intervento adeguate. Ciò si lega ad un'applicazione efficiente del principio di partenariato che dovrebbe guidare in futuro l'utilizzo e l'assegnazione dei fondi strutturali dell'UE, in modo da sfruttare le sinergie tra la strategia Europa 2020 e il Fondo sociale europeo (FSE) (1).

3.7

Il CESE si esprime anche a favore di una partecipazione attiva dei consigli economici e sociali nazionali e delle istituzioni analoghe.

3.8

Il CESE propone che, insieme alla relazione annuale sullo stato d'avanzamento dei PNR negli Stati membri, la Commissione europea rediga una «relazione sulla governance» incentrata sulla governance partecipativa del MAC e sulla clausola sociale orizzontale, e che il Parlamento europeo, il CESE e il CdR siano consultati in merito. Il CESE potrebbe utilizzare la rete dei consigli economici e sociali nazionali e delle istituzioni analoghe per monitorare il coinvolgimento della società civile organizzata e potrebbe anche pubblicare proprie relazioni in merito.

3.9

È fortemente necessario un processo di coordinamento che tenga conto delle interazioni fra gli obiettivi fondamentali, gli orientamenti integrati e le iniziative faro. Alla Commissione spetta un importante ruolo strategico di punta di lancia di questo «coordinamento del coordinamento». Gli orientamenti integrati dovrebbero essere integrati nel vero senso del termine, ossia tutte le politiche dovrebbero essere coerenti e riguardare tutti gli obiettivi. Questo tipo di integrazione dovrebbe essere l'orientamento di fondo nell'introduzione di meccanismi per l'applicazione della clausola sociale orizzontale e il rafforzamento del MAC. Per rafforzare il legame fra i due strumenti, i risultati dell'attuazione della clausola sociale orizzontale dovrebbero essere fatti confluire nel processo del MAC.

3.10

Il CESE quindi sostiene con forza le proposte presentate il 21 maggio 2010 nel contributo del comitato per la protezione sociale (CPS) alla nuova strategia europea (2). Il CPS chiede che la clausola sociale orizzontale sia inserita nel preambolo degli orientamenti per la politica economica e prosegue affermando che una valutazione tematica e relazioni sui progressi compiuti in merito alla sua dimensione sociale sono una caratteristica necessaria della visione integrata di Europa 2020.

3.11

Il CESE tiene in grande considerazione il lavoro svolto dal CPS e dal comitato per l'occupazione (EMCO) e ritiene che il loro ruolo debba essere rafforzato in concomitanza con il potenziamento degli strumenti concepiti per realizzare la dimensione sociale. Il CESE suggerisce che non soltanto i governi, ma anche le parti sociali e le altre organizzazioni pertinenti della società civile siano rappresentati nei comitati CPS ed EMCO. Esso inoltre propone che questi due comitati si riuniscano a cadenza più regolare coi rappresentanti delle parti interessate a livello europeo e a livello degli Stati membri. Inoltre, i rappresentanti dei governi presenti nel CPS e nell'EMCO hanno il compito di organizzare e partecipare alle consultazioni con le parti sociali e le altre parti interessate della società civile nei rispettivi paesi.

3.12

Il CESE sostiene la proposta della Commissione volta a sviluppare gli strumenti di comunicazione fra i cittadini, i lavoratori, le imprese e le loro organizzazioni rappresentative. L'iniziativa della Commissione di effettuare un bilancio delle realtà sociali può servire da modello ed essere organizzata su base più permanente, raggiungendo anche il livello locale. Tuttavia, le parti sociali e le organizzazioni della società civile devono giocare d'anticipo e prendere l'iniziativa rispetto al modo in cui possono essere utilizzati la clausola sociale orizzontale e il MAC. Per questo, il CESE suggerisce che in questo settore siano avviati dei progetti pilota finanziati dal programma Progress.

4.   Osservazioni specifiche sulla clausola sociale orizzontale

4.1

Gli effetti delle clausole orizzontali che riguardano ambiente, parità uomo-donna e protezione dei consumatori, istituite dal Trattato più di 10 anni fa, si esplicano anzitutto su un piano informale.

4.2

Il CESE sottolinea che le valutazioni dell'impatto sociale sono una parte essenziale del monitoraggio della strategia Europa 2020. Esse dovrebbero mettere a disposizione meccanismi efficaci per valutare i rischi sociali ed essere pubblicate e sottoposte a un dibattito pubblico. Il CESE richiama l'attenzione sul fatto che occorre valutare in particolare gli effetti sull'occupazione e sul numero di persone esposte al rischio di povertà.

4.3

La Commissione dovrebbe prendere l'iniziativa, con l'ausilio del CPS e dell'EMCO. Le parti sociali europee e altre importanti parti interessate dovrebbero partecipare attivamente: i loro punti di vista dovrebbero essere pubblicati contemporaneamente alle valutazioni (in appendice). In questo contesto va osservato che la Commissione ha già elaborato dei meccanismi per la valutazione dell'impatto sociale mediante la «valutazione d'impatto integrata», senza però che siano ben definiti la loro visibilità e il loro impiego.

4.4

A parere del CESE occorre garantire che la politica economica e il consolidamento dei bilanci producano più occupazione, riducano il numero di persone che vivono in condizioni di povertà e rafforzino i diritti sociali. Per questo, le valutazioni sociali dovrebbero riguardare in particolare tutti e dieci gli orientamenti integrati per l'occupazione e le politiche economiche, ma all'occorrenza bisognerebbe valutare anche altre misure attuate per raggiungere i cinque obiettivi principali.

4.5

Si dovrebbe procedere anche a delle valutazioni dell'impatto sociale a livello nazionale e regionale.

4.6

Entro dicembre 2010 occorre stilare una relazione iniziale che funga da contributo per il primo riesame annuale di Europa 2020.

5.   Osservazioni particolari sul MAC

5.1

Il CESE ha criticato spesso il MAC per non aver dato i risultati attesi, per la sua inefficacia e invisibilità a livello nazionale e per il fatto che non coinvolge in modo sufficiente le parti sociali e le altre organizzazioni della società civile.

5.2

D'altro canto si sono registrati dei miglioramenti, in particolare per quanto riguarda l'inclusione sociale, e il CESE ha espresso in diversi pareri un convinto sostegno all'introduzione del MAC in nuovi settori d'attività, come la sanità, le politiche giovanili, le questioni demografiche, l'immigrazione e l'asilo.

5.3

Il CESE è fermamente convinto che, nell'attuale contesto segnato dalla crisi, il MAC dovrebbe essere rafforzato, per evitare che le politiche di protezione e inclusione sociale siano messe in disparte.

5.4

Il CESE sostiene pienamente l'istituzione della Piattaforma europea contro la povertà, da trasformare in uno strumento che inciti le imprese, i lavoratori e il grande pubblico a combattere l'esclusione sociale mediante interventi pratici. La Piattaforma e il MAC potranno sostenersi a vicenda. Il CESE ritiene però che il MAC possa anche sviluppare altre iniziative faro, in particolare se sostenuto dalle opportune valutazioni dell'impatto sociale della clausola orizzontale.

5.5

Il CESE ha suggerito di rafforzare il MAC definendo obiettivi vincolanti a livello degli Stati membri per realizzare la strategia Europa 2020. Questo suggerimento è ripetuto in diversi pareri del CESE, come quello recentissimo sugli orientamenti in materia di occupazione (3) che auspica obiettivi più ambiziosi e misurabili su occupazione, istruzione e inclusione sociale, col sostegno di un migliore coordinamento delle politiche. Inoltre, il CESE sostiene con forza la richiesta, emersa nel Convegno biennale di Firenze, di inserire nella strategia Europa 2020 indicatori specifici per misurare l'impatto dell'istruzione nei primi anni di vita nel ridurre più tardi l'esclusione sociale.

5.6

Il CESE peraltro sottolinea che, nei casi in cui gli Stati membri possono scegliere liberamente gli indicatori più adatti (cfr. punto 2.4), il MAC dovrebbe effettuare un monitoraggio procedendo a un'analisi comparativa di tutti gli indicatori pertinenti. Non dovrebbe essere consentito agli Stati membri di evitare di perseguire gli obiettivi fondamentali dell'UE. Secondo il CESE, il numero di persone a rischio di povertà, misurato in base all'indicatore sul reddito relativo (4), riguarda tutti gli Stati membri. Inoltre, è importante che gli obiettivi nazionali siano fissati in base a un vero dialogo partecipativo con le parti interessate.

5.7

Il CESE ritiene che vi dovrebbero essere incentivi migliori al mantenimento degli impegni per gli Stati membri, ad esempio un chiaro collegamento con gli stanziamenti dell'FSE. Questo approccio risulterà rafforzato se i programmi operativi dell'FSE si concentreranno ancor più sull'inclusione sociale, anche grazie a un'efficiente cooperazione con le parti sociali e le organizzazioni della società civile.

5.8

Il MAC dovrebbe avere una dimensione più locale e varare piani d'azione regionali e locali con gli enti e le organizzazioni locali, riflettendo così l'approccio partecipativo dal basso e il coordinamento dei soggetti interessati e delle politiche, anche col sostegno dei fondi strutturali. Questo tipo di decentramento del metodo innalzerà il profilo dell'integrazione delle politiche, che risulta oggi così necessario.

5.9

Il CESE è fermamente convinto che occorra un'analisi comparativa della governance partecipativa del MAC (in particolare per quanto riguarda la partecipazione della società civile organizzata) sulla base di indicatori, verifiche inter pares, apprendimento reciproco e scambi di buone pratiche. Il Comitato propone che quest'analisi comparata diventi un codice di buone pratiche redatto dalla Commissione e dal CPS, in collaborazione con le altri parti interessate europee di un certo rilievo. Il codice potrebbe basarsi sui seguenti criteri (5):

struttura del dialogo:

tutte le parti direttamente interessate dovrebbero partecipare,

tipo di dialogo - occorre incoraggiare una vera partecipazione, e non soltanto l'informazione e la consultazione,

coinvolgimento del livello regionale e locale mediante piani d'azione partecipativi ecc.,

partecipazione dei consigli economici e sociali nazionali,

coinvolgimento tempestivo delle parti interessate in tutti gli stadi del ciclo decisionale,

il risultato documentato del dialogo,

definizione di obiettivi nazionali/regionali,

definizione e monitoraggio degli indicatori,

partecipazione delle parti interessate a verifiche inter pares, apprendimento reciproco e individuazione delle buone pratiche,

partecipazione delle parti interessate a misure pratiche per promuovere l'occupazione e l'inclusione sociale.

5.10

Occorre stabilire un collegamento chiaro tra le proposte basate su «principi comuni» e il MAC. I principi comuni sono raccomandazioni rivolte agli Stati membri, utilizzate ad esempio nelle politiche dell'UE per le strategie tematiche sulla flessicurezza, l'inclusione attiva e l'invecchiamento attivo.

5.11

Il MAC dovrebbe portare alla formulazione di proposte per l'utilizzo di altri strumenti, come la «cooperazione rafforzata» fra Stati membri, l'utilizzo del metodo comunitario, ecc.

5.12

Il CESE sottolinea che gli indicatori dovrebbero andare oltre il mero rendimento economico, e che occorre sviluppare indicatori del benessere della società, come proposto dalla commissione Stiglitz (6). Già in precedenza il CESE ha individuato indicatori quantitativi e qualitativi per la politica sociale, ad es. relativi alla parità uomo-donna, all'occupazione giovanile, ai lavoratori poveri, alle persone con disabilità, ai posti di lavoro di qualità, alla povertà che colpisce i bambini e i giovani, alla distribuzione dei redditi, ai sistemi del salario minimo o del reddito minimo, all'accesso ai servizi sanitari e sociali. È anche stato suggerito un indicatore di qualità della vita di applicazione diretta relativo a sei aspetti essenziali (7), e sono stati proposti indicatori qualitativi che misurano l'accessibilità e la qualità in relazione alle aspettative delle persone, il coinvolgimento degli utenti e la facilità d'uso.

5.13

Gli indicatori devono essere definiti a livello europeo, nazionale e regionale, ma il CESE sottolinea che le parti interessate devono essere invitate a partecipare alla loro formulazione e valutazione.

5.14

Il CESE considera importante che gli Stati membri riferiscano sui progressi compiuti in direzione del raggiungimento di ciascun obiettivo utilizzando indicatori europei comparabili ma modificabili, per creare una graduatoria come suggerito nella relazione Kok (8) e per mettere a disposizione dei soggetti nazionali e locali uno strumento diagnostico per migliorarsi e autocorreggersi.

5.15

Sistemi efficienti per l'apprendimento reciproco e il trasferimento delle buone pratiche e per lo sfruttamento delle misure non legislative devono coinvolgere i responsabili decisionali a tutti i livelli. Dal momento che le parti sociali e le altre parti interessate della società civile sono in possesso di conoscenze uniche ed esperienze molto vaste delle politiche sociali e occupazionali, esse devono essere coinvolte nell'individuazione e valutazione delle possibilità di trasferimento delle buone pratiche, in particolare per quanto riguarda le misure innovative.

5.16

Le verifiche inter pares degli Stati membri dovrebbero essere sostenute dal coinvolgimento delle parti sociali e delle altre parti direttamente interessate. Le verifiche basate sulla comprensione reciproca e le buone pratiche dovrebbero condurre a pubbliche raccomandazioni rivolte agli Stati membri, con una tabella di marcia per la coesione sociale.

Bruxelles, 15 luglio 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  ECO/258, Partenariati efficaci nella politica di coesione, relatore: OLSSON.

(2)  Documento del Consiglio n. 9964/10.

(3)  Cfr. parere del CESE del 27 maggio 2010 sul tema Gli orientamenti in materia di occupazione, relatore generale: GREIF, CESE 763/2010.

(4)  La soglia di povertà vi è definita come un reddito inferiore al 60 % del reddito mediano.

(5)  Cfr. ad es. EU Policy Coordination Beyond 2010: Towards a New Governance Structure, di Jonathan Zeitlin.

(6)  Commissione sulla misura delle prestazioni economiche e del progresso sociale.

(7)  Cfr. parere del CESE del 22 ottobre 2008 sul tema Oltre il PIL: strumenti per misurare lo sviluppo sostenibile, relatore: SIECKER, GU C 100 del 30.4.2009, pagg. 53-59.

(8)  Affrontare la sfida - La strategia di Lisbona per la crescita e l'occupazione, relazione del gruppo di alto livello presieduto da Wim Kok, novembre 2004.


11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/28


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Sviluppo delle prestazioni sociali» (parere esplorativo)

2011/C 44/05

Relatore generale: VERBOVEN

Con lettera datata 29 aprile 2010, Laurette ONKELINX, vice primo ministro e ministro degli Affari sociali e della sanità pubblica del Belgio, a nome della futura presidenza belga e conformemente all'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere esplorativo sul tema:

Sviluppo delle prestazioni sociali.

L'Ufficio di presidenza del Comitato, in data 25 maggio 2010, ha incaricato la sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza di preparare i lavori del Comitato in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della sua 464a sessione plenaria, dei giorni 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 14 luglio), ha nominato relatore generale Xavier VERBOVEN e ha adottato il seguente parere con 66 voti favorevoli, 3 voti contrari e 10 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si rallegra del fatto che la questione dello sviluppo delle prestazioni sociali sarà oggetto di una conferenza specifica durante la presidenza belga del Consiglio dell'Unione europea. Il CESE riconosce che la protezione sociale è un importante strumento di ridistribuzione, di coesione sociale e di solidarietà che deve essere al centro del progetto europeo. I diritti sociali fondamentali garantiscono in particolare l'accesso a un reddito sociale adeguato in presenza di determinati rischi sociali, oppure all'assistenza sociale e all'assistenza abitativa per tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti. Il CESE ricorda che il 30 novembre 2009 esso ha adottato una dichiarazione in cui chiede alla Commissione di attuare un Programma di azione sociale (1) volto a garantire che i diritti sociali fondamentali siano collocati su un piano di parità con le regole di concorrenza e le libertà economiche.

1.2   Il CESE tiene a sottolineare il ruolo di fattore produttivo svolto dalla politica sociale. Ricorda nuovamente che, se adeguatamente concepite, le politiche sociali e del mercato del lavoro contribuiscono a promuovere sia la giustizia sociale che l'efficienza e la produttività economica. Il modello sociale europeo si fonda essenzialmente su un rapporto coerente tra efficienza economica e progresso sociale (2). L'adesione dei cittadini al progetto europeo dipenderà dall'efficacia delle politiche attuate in questi diversi ambiti. Non va peraltro dimenticato che la protezione sociale svolge anche un importante ruolo di stabilizzatore economico, indipendentemente dalla congiuntura (3).

1.3   L'attuale crisi economica e sociale impone oggi più che mai una strategia europea ambiziosa per l'orizzonte 2020. Questa nuova strategia, definita dalla Commissione (4), è stata approvata al Consiglio europeo del 17 giugno 2010 e dovrà essere adottata formalmente dal Parlamento europeo in settembre. Essa riguarda quattro ambiti: conoscenza e innovazione, sostenibilità economica, miglioramento dei livelli di occupazione e inclusione sociale. Il CESE appoggia questa visione multidimensionale, che punta a sostenere una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, ma deplora il fatto che non siano state prese in considerazione le raccomandazioni contenute nel suo precedente parere sul tema La strategia di Lisbona dopo il 2010 riguardanti alcuni aspetti nei quali sono state riscontrate delle lacune. Si tratterebbe, in particolare, di elaborare «orientamenti specifici, affiancati da obiettivi quantificabili, in materia di parità di genere, lotta contro le condizioni di lavoro caratterizzate da una protezione sociale inadeguata, transizione verso un'economia a basso tenore di CO2, lotta contro la povertà (anche la povertà lavorativa) e prevenzione dell'esclusione sociale (per esempio grazie a un adeguato sostegno in caso di disoccupazione o inabilità al lavoro o ancora per l'accesso ai pubblici servizi)» (5).

1.4   Il CESE esprime soddisfazione per il fatto che la strategia Europa 2020 comprende un orientamento dedicato specificamente all'inclusione sociale e alla lotta alla povertà, con l'obiettivo di sottrarre al rischio di povertà e di esclusione almeno 20 milioni di persone (6). Visto che il 2010 è stato dichiarato Anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale, è indispensabile adottare le misure necessarie per aiutare tutte le persone che ne hanno bisogno a uscire dallo stato di povertà.

1.5   Il Consiglio ritiene che il miglior mezzo per uscire dall'esclusione sia l'accesso a un posto di lavoro sostenibile, di qualità e adeguatamente retribuito. Si dovrebbero adottare misure di miglioramento strutturale al fine di creare un mercato del lavoro inclusivo (7). Il CESE ricorda che il 2 dicembre 2009, nel contesto del dialogo sociale, è stato concluso un accordo quadro per un mercato del lavoro inclusivo, che dimostra la volontà delle parti sociali di promuovere mercati del lavoro inclusivi, di valorizzare al massimo il potenziale della forza lavoro europea, di incrementare il tasso di occupazione e di migliorare la qualità dell'occupazione, anche attraverso la formazione e lo sviluppo delle competenze.

1.6   Il CESE condivide la posizione espressa dal Parlamento europeo nella risoluzione del 6 maggio 2009 sul coinvolgimento attivo delle persone escluse dal mercato del lavoro (8), e in particolare nel primo considerando: il coinvolgimento attivo non deve sostituirsi all’inclusione sociale, in quanto i gruppi vulnerabili impossibilitati a partecipare al mercato del lavoro hanno diritto a una vita dignitosa e ad una piena partecipazione sociale e, pertanto, chiunque deve poter disporre di un reddito minimo e dell’accesso a servizi sociali abbordabili e di qualità a prescindere dalla propria capacità di partecipare al mercato del lavoro.

1.7   Il CESE ricorda che, nel suo parere sul tema della povertà (9) del 12 luglio 1989, esso ha raccomandato l'introduzione di un minimo sociale, concepito ad un tempo come rete di sicurezza per i poveri e strumento del loro reinserimento sociale. Si rammarica del fatto che né il suddetto parere, né la successiva raccomandazione del Consiglio del 24 giugno 1992 sui criteri comuni in materia di risorse e prestazioni sufficienti nei sistemi di protezione sociale (10) abbiano ancora avuto un seguito appropriato. Ritiene quindi che si dovrebbe prevedere l'introduzione progressiva di una garanzia di risorse e di prestazioni nel contesto della protezione sociale attraverso un nuovo strumento che, pur tenendo conto delle specificità nazionali, appoggi con maggiore efficacia le politiche di lotta alla povertà realizzate nei diversi Stati membri. L'inclusione dell'obiettivo di riduzione della povertà nella strategia Europa 2020 rappresenta uno strumento importante da questo punto di vista.

1.8   Per quanto riguarda le prestazioni di sostituzione, il CESE sottolinea che attualmente esse non sono tutte oggetto di attenzione particolare nell'ambito del metodo aperto di coordinamento (MAC) in materia di protezione sociale. Attraverso la definizione di obiettivi e indicatori comuni, nonché lo scambio di buone pratiche, il MAC punta a riformare i sistemi di protezione sociale in ambiti quali la lotta alla povertà e all'esclusione sociale, le pensioni, l'assistenza sanitaria e l'assistenza a lungo termine. Ne consegue che in questo importante processo non rientrano le indennità di disoccupazione, per inabilità al lavoro, di maternità o quelle percepite dai disabili e dalle vittime di infortuni sul lavoro o di malattie professionali. Il CESE raccomanda di estendere il campo d'applicazione del MAC protezione sociale a tutte le prestazioni di sostituzione del reddito, e di istituire un sistema di monitoraggio al fine di determinare il livello adeguato delle prestazioni erogate.

1.9   Il CESE ricorda che la modernizzazione dei nostri sistemi di protezione sociale presuppone un equilibrio efficace tra gli incentivi volti a far crescere l'offerta di manodopera e le misure destinate ad assicurare una protezione sociale adeguata garantendo l'efficacia delle spese sostenute in questo campo. Per quanto riguarda il primo aspetto, il CESE tiene a precisare che il reddito non dovrebbe essere l'unico elemento di cui tener conto. Hanno un ruolo importante anche altri fattori, per esempio la disponibilità, l'efficacia e la qualità dei servizi di custodia dei bambini, delle misure per favorire l'accesso dei disabili e delle infrastrutture per il collocamento, la formazione, l'insegnamento e la sanità pubblica (11). Il CESE sottolinea quindi ancora una volta il suo auspicio di veder rafforzare il MAC attraverso l'introduzione di obiettivi misurabili in materia di protezione sociale, in particolare per quanto riguarda il tasso di sostituzione o di copertura, ma anche l'accesso ai servizi pubblici (12). Constata inoltre che la generalizzazione dei sistemi di attivazione non è oggetto di un'attenzione specifica nel quadro del MAC protezione sociale. Raccomanda di incaricare il Comitato della protezione sociale di elaborare una relazione per determinare se questi dispositivi di attivazione siano il risultato di un corretto equilibrio tra i valori della solidarietà, della responsabilità e della coesione.

1.10   Il CESE insiste sul ruolo essenziale che possono svolgere i rappresentanti della società civile e le parti sociali in tutte le questioni connesse con la modernizzazione dei sistemi di protezione sociale, nonché nel rafforzamento del MAC come processo democratico.

2.   Introduzione e contesto

2.1   La protezione sociale è un importante strumento di ridistribuzione e di solidarietà la cui organizzazione e finanziamento sono di competenza degli Stati membri. Essa è strutturata in modo specifico in ciascuno Stato membro e ciò fa sì che vi sia una grande eterogeneità tra i sistemi. La protezione sociale è al centro del progetto europeo, come testimoniano l'articolo 9 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (13) e l'articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali (14). Quest'ultimo riconosce e rispetta:

da un lato, il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione in casi quali la maternità, la malattia, gli infortuni sul lavoro, la dipendenza, la vecchiaia, o la perdita del posto di lavoro,

dall'altro, il diritto all'assistenza sociale e all'assistenza abitativa volte a garantire un'esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongono di risorse sufficienti.

2.2   Oltre a garantire un reddito adeguato alle persone inattive o in presenza di determinati rischi sociali, la protezione sociale deve anche svolgere un ruolo attivo, offrendo una maggiore sicurezza nelle fasi di transizione professionale e, in particolare assicurando una corretta integrazione nel mercato del lavoro.

2.3   Di fronte alle conseguenze della crisi finanziaria del 2008, i sistemi di protezione sociale, oltre a proteggere gli europei dagli effetti più gravi della crisi, hanno anche avuto una funzione controciclica di stabilizzazione dell'economia (15). In mancanza di politiche di convergenza ambiziose, questi sistemi potrebbero essere messi a repentaglio, in particolare dalle pratiche di concorrenza adottate in alcuni Stati membri, per i quali una riduzione della spesa sociale costituisce uno strumento per attirare gli investimenti di capitali dall'estero. Questo processo, che è già una realtà sul piano salariale e fiscale, tende infatti a estendersi anche all'ambito sociale (16).

2.4   Nell'imminenza del lancio della nuova strategia denominata Europa 2020, è opportuno ricordare che la mera crescita economica e occupazionale non è sufficiente a garantire una maggiore coesione sociale. Negli ultimi dieci anni, le disuguaglianze sono spesso aumentate, e la povertà e l'esclusione sociale rimangono un problema grave nella maggior parte dei paesi dell'UE (17). Il CESE insiste d'altronde sulla necessità di lottare contro questi fenomeni attraverso delle politiche che non siano meramente reattive e basate sugli indennizzi, ma anche preventive e proattive, in modo da intervenire a monte contro le situazioni di povertà. Si pensa in particolare al fenomeno della povertà infantile, che può essere determinante per tutto lo sviluppo e il successivo percorso di vita della persona interessata.

2.5   Quattro sono le importanti sfide che devono affrontare oggi la protezione sociale in generale e le prestazioni sociali in particolare:

le conseguenze della crisi, ossia, da un lato, l'aumento della spesa per la disoccupazione per effetto della perdita di numerosi posti di lavoro e, dall'altro, la pressione sulle finanze pubbliche che essa comporta. Per evitare i casi di disoccupazione protratta nel tempo, bisogna continuare a migliorare e modernizzare i sistemi di protezione sociale, al fine di offrire un quadro attivo e sicuro che garantisca l'accesso e il ritorno all'occupazione di qualità, assicurandosi nel contempo della sostenibilità dei sistemi,

il fenomeno dell'invecchiamento della popolazione, i cui effetti si faranno sentire in particolare nel settore delle pensioni e dell'assistenza sanitaria. La solidarietà intergenerazionale comporta la necessità di assicurare pensioni di livello sufficiente e di investire nelle esigenze connesse al fenomeno, in particolare nel sostegno all'autonomia,

la crescita inaccettabile della povertà e delle disuguaglianze. La nuova strategia Europa 2020 ha definito obiettivi di riduzione della povertà particolarmente ambiziosi, che impongono uno sforzo coordinato degli Stati membri in numerosi ambiti di azione politica, in partenariato con le parti sociali e la società civile,

la necessità di incrementare il benessere e la coesione sociale dei cittadini europei, che negli ultimi anni hanno manifestato grandi aspettative, chiedendo nuove politiche sociali efficaci e progressiste sul piano sociale e sostenibili su quello economico.

3.   Prestazioni di sostituzione del reddito adeguate

3.1   Le prestazioni sociali destinate a garantire un reddito in caso di disoccupazione, dopo il pensionamento o in caso di malattia o di disabilità hanno un posto preponderante nei sistemi di protezione sociale. Indipendentemente dai principi su cui si fondano (assicurativo o universalistico) e dalle modalità di finanziamento o di erogazione, tutte queste prestazioni hanno il fine di assicurare un reddito stabile e adeguato in presenza dei suddetti rischi sociali. In questo senso, sono importanti per garantire sicurezza sia dal punto di vista degli individui che da quello della società in generale. Non vanno quindi considerati come oneri, ma come investimenti produttivi da cui tutti traggono beneficio.

3.2   I grandi sconvolgimenti delle economie e delle società europee dovuti alla globalizzazione, ai cambiamenti tecnologici, alla comparsa del fenomeno dell'invecchiamento demografico e, più di recente, alla crisi economica del 2008, hanno dato luogo a profonde mutazioni dei sistemi di protezione sociale in generale e delle prestazioni di sostituzione del reddito in particolare. Le cosiddette politiche di modernizzazione applicate negli ultimi venti anni mirano essenzialmente al risanamento delle finanze pubbliche dei diversi Stati membri e ad assicurare la crescita economica, in particolare attraverso elevati tassi di occupazione. Le prestazioni sociali hanno quindi assunto un ruolo preponderante in quanto stimolo a una maggiore partecipazione al mercato del lavoro.

3.3   Il CESE è ben conscio che il livello di protezione accordato da queste prestazioni dipende in larga parte dai finanziamenti pubblici, che attualmente sono sottoposti a forti pressioni in conseguenza della crisi economica e degli effetti dell'invecchiamento demografico. Tiene tuttavia a ricordare la sua opposizione ad ogni iniziativa che metta a rischio la solidarietà, che costituisce la base della protezione sociale e apporta tanti benefici all'Europa  (18). L'erogazione di prestazioni che consentono di mantenere almeno in parte il tenore di vita è essenziale per garantire una migliore ripartizione dei beni e dei redditi e per rafforzare la coesione sociale. In questo senso, il CESE tiene a sottolineare l'importanza dei meccanismi volti ad adeguare le prestazioni in funzione dell'evoluzione del livello di vita. Per questo stesso motivo, il CESE considera necessaria l'introduzione nel MAC di un sistema di monitoraggio al fine di determinare il livello adeguato delle prestazioni erogate.

3.4   Il CESE chiede di attuare un Programma d'azione sociale che sia fondato su una collaborazione positiva tra gli Stati per lottare contro la tentazione di una corsa al ribasso in termini di diritti sociali, protezione sociale e condizioni di lavoro  (19).

3.5   Disoccupazione: rafforzare la protezione sociale come investimento a beneficio tanto della competitività economica quanto dell'inclusione sociale.

3.5.1   L'assicurazione contro la disoccupazione costituisce un vantaggio sociale essenziale, in quanto punta a mettere al riparo ciascun lavoratore dalle conseguenze di un licenziamento o di una ristrutturazione. L'obiettivo è di assicurare un livello di risorse adeguato e stabile, condizione prima per poter garantire la mobilità professionale e, quindi, il ritorno al lavoro (20).

3.5.2   L'assicurazione contro la disoccupazione non può limitarsi all'erogazione di prestazioni, ma deve essere accompagnata da misure di sostegno adeguate e dinamiche per un'occupazione di qualità. Queste politiche attive devono garantire un accompagnamento personalizzato e l'accesso a programmi di formazione qualificanti (21). Hanno un ruolo importante anche altri fattori quali la disponibilità, l'efficacia e la qualità dei servizi di custodia dei bambini, ma anche delle misure per favorire l'accesso dei disabili, delle infrastrutture di insegnamento e sanitarie (22). Le autorità pubbliche dovrebbero assicurare l'attuazione di questi elementi, indispensabili per facilitare le transizioni professionali.

3.5.3   Il CESE ritiene inoltre che, per creare un mercato del lavoro realmente inclusivo, sia necessario adottare misure di miglioramento strutturale (23). A tale proposito, è opportuno ricordare che il 9 dicembre 2009, nel contesto del dialogo sociale, è stato concluso un accordo quadro per un mercato del lavoro inclusivo, che dimostra la volontà delle parti sociali di promuovere mercati del lavoro inclusivi, di valorizzare al massimo il potenziale della forza lavoro europea, di incrementare il tasso di occupazione e di migliorare la qualità dell'occupazione, anche attraverso la formazione e lo sviluppo delle competenze.

3.5.4   Il CESE considera necessarie le convergenze al fine di rendere il lavoro più remunerativo, facendo sì che l'occupazione sia realmente una scelta più interessante dal punto di vista finanziario. Attraverso l'attuazione di politiche coordinate sul piano sociale, salariale e fiscale, bisogna far sì che i lavoratori scarsamente remunerati e scarsamente qualificati possano accedere a un'attività remunerativa ed evitare la trappola della povertà e della disoccupazione (24).

3.5.5   Combinando sussidi di disoccupazione con politiche del mercato del lavoro attive è possibile stabilizzare l'economia e incoraggiare una reazione positiva ai cambiamenti promuovendo le competenze nonché iniziative efficaci nella ricerca di lavoro e nella riqualificazione professionale (25). È tuttavia necessario assicurarsi che le politiche di attivazione attualmente applicate in tutti gli Stati membri siano il risultato di un corretto equilibrio tra i valori della solidarietà, della responsabilità e della coesione e che non presentino rischi di disuguaglianze, di disparità tra le categorie e di emarginazione in posti di lavoro atipici, poco qualificati e/o scarsamente remunerati. Sarebbe inoltre opportuno conservare una certa cautela nei confronti di misure volte a rafforzare i criteri di ammissibilità, in particolare in periodi di crisi economica, quando la domanda di manodopera è più bassa. Si rischia infatti di precarizzare i lavoratori esclusi, il che rappresenta un ostacolo notevole all'inserimento e al reinserimento professionale. Queste politiche di esclusione possono inoltre avere l'effetto perverso di provocare spostamenti verso altri settori della protezione sociale, come l'assistenza sociale o l'inabilità al lavoro, fenomeno non auspicabile.

3.6   Le pensioni: sistemi adeguati per far fronte alle sfide dell'invecchiamento

3.6.1   Di fronte all'aumento del numero dei pensionati e alla diminuzione di quello delle persone in età lavorativa, l'Unione europea ha incoraggiato gli Stati membri a riformare i loro sistemi pensionistici al fine di mantenere pensioni adeguate e sostenibili. Le riforme si articolano sui seguenti assi: incentivare le persone a lavorare più a lungo, incoraggiare le pensioni complementari, collegare più strettamente le prestazioni ai contributi previdenziali, considerare la crescente longevità al momento di stabilire le prestazioni, finanziare adeguatamente le pensioni minime, concedere crediti per periodi di cure tra i diritti pensionistici e prevedere meccanismi di revisione automatici o semiautomatici.

3.6.2   Il tasso di rischio di povertà rimane particolarmente elevato tra le persone di 65 anni e più (20 % in media nei 27 paesi UE, contro il 17 % della popolazione nel suo complesso), con un rischio particolare per le donne (22 %). Ne consegue un problema di adeguamento tra il livello delle pensioni e il reddito del resto della popolazione. L'obiettivo della pensione è di garantire ai pensionati un reddito sicuro, che sostituisca quello percepito durante la vita attiva, tenendo conto del precedente tenore di vita. Per l'avvenire si dovrebbero adottare le misure necessarie al fine di ridurre le disuguaglianze di reddito tra pensionati e pensionate dovuti alle diverse prestazioni, ma anche di garantire una corretta copertura del rischio vecchiaia ai lavoratori e alle lavoratrici con impieghi atipici o che abbiano avuto carriere atipiche. Le segregazioni tra uomini e donne che tuttora esistono nel mercato del lavoro hanno conseguenze significative sulla costituzione dei diritti acquisiti e, di conseguenza, sulle prospettive di pensione delle donne (26). Il CESE tiene inoltre a sottolineare che la generalizzazione di sistemi di pensioni minime ha un ruolo preponderante nella lotta alla povertà degli anziani, e insiste affinché il Comitato della protezione sociale e il MAC dedichino un'attenzione particolare a questo aspetto.

3.6.3   I sistemi pensionistici pubblici rappresentano la fonte principale delle pensioni di anzianità ed è quindi indispensabile fare tutto il possibile per assicurarne la continuità e la vitalità finanziaria. A giudizio del CESE, la migliore garanzia di un finanziamento adeguato di questi sistemi pubblici si fonda sia su un tasso di occupazione elevato che su misure di finanziamento complementari come quelle introdotte in alcuni Stati membri. Questi sistemi si basano sul principio della solidarietà e creano legami inter- e intragenerazionali che contribuiscono ad assicurare la coesione sociale. Consentono inoltre di garantire i diritti a pensione nei periodi di disoccupazione e di interruzione della carriera per motivi di salute o familiari. Essi hanno dato prova di stabilità finanziaria durante la crisi finanziaria del 2008.

3.6.4   A fianco dei regimi pensionistici pubblici si sono sviluppati regimi complementari, che possono offrire risorse aggiuntive ai pensionati e che pertanto devono essere estesi all'insieme dei lavoratori dipendenti. Essi tuttavia non possono né rappresentare una soluzione alternativa al problema della sostenibilità dei sistemi pubblici, né, soprattutto, rimettere in discussione questi ultimi. Lo sviluppo e l'introduzione di questi regimi complementari dovrebbero, nell'interesse dei contribuenti e dei pensionati, rispondere a un certo numero di requisiti, e in particolare rientrare in un quadro normativo europeo messo a punto in concertazione con le parti sociali. Non dovrebbero essere soltanto dei fondi d'investimento finalizzati a garantire una pensione personale, ma dovrebbero provvedere a coprire il rischio vita e ad assicurare un reddito per i periodi di malattia, di disoccupazione economica o di assenza per motivi familiari. L'accesso a questi regimi complementari dovrebbe essere garantito a tutti i lavoratori del settore o dell'impresa, e dovrebbe essere applicato il principio della parità di trattamento tra uomini e donne. È importante che le parti sociali siano associate alla loro introduzione per via negoziale, ma anche al loro controllo gestionale. Infine, occorre provvedere alla promozione degli investimenti che hanno un impatto positivo sull'occupazione e scoraggiare quelli puramente speculativi.

3.7   L'inabilità al lavoro: una rete di sicurezza fondamentale per i lavoratori colpiti da malattia o disabilità

3.7.1   Oltre alla disoccupazione e alle pensioni, la terza categoria di prestazioni di sostituzione del reddito comprende le prestazioni erogate in caso di inabilità al lavoro, disabilità, incidente sul lavoro o malattia professionale. Si pone, in questi casi, non soltanto la questione di un reddito di sostituzione adeguato, ma anche quella del ritorno o dell'accesso al lavoro. A questo proposito, il CESE fa riferimento alla posizione assunta in un suo precedente parere sull'inclusione sociale (27). Disporre di un reddito è una condizione indispensabile per poter vivere in piena autonomia, ma non necessariamente sufficiente. In molti casi l'integrazione delle persone interessate nella vita professionale non è ancora oggetto dell'attenzione necessaria, nonostante le disposizioni di legge introdotte a questo fine. Le soluzioni pratiche in materia di orientamento o di assistenza nella ricerca di un lavoro o nella ripresa dell'attività sono spesso onerose e inadeguate.

3.7.2   Le persone impossibilitate a lavorare devono vedersi garantire un aiuto al reddito sufficiente per vivere dignitosamente. A questo proposito, la prestazione erogata deve tener conto non soltanto del mantenimento di un tenore di vita adeguato, ma anche delle spese aggiuntive che la persona deve sostenere a causa della sua malattia o disabilità. Le politiche volte a garantire un'assistenza sanitaria accessibile e di qualità hanno un ruolo essenziale in questo senso, al pari di quelle che incoraggiano lo sviluppo di infrastrutture e servizi sociali per far fronte alle situazioni di dipendenza e garantire una vita dignitosa (per es. servizi di cure e assistenza a domicilio, assistenza da parte di terzi, ecc.).

4.   Reddito minimo e inclusione sociale

4.1   Già nel suo parere del 12 luglio 1989 sulla povertà (28), il CESE aveva raccomandato di istituire un minimo sociale, concepito ad un tempo come rete di sicurezza per i poveri e strumento del loro reinserimento sociale. Il parere è citato nella raccomandazione del Consiglio del 24 giugno 1992, in cui vengono definiti i criteri comuni in materia di risorse e prestazioni sufficienti nei sistemi di protezione sociale (29), che raccomanda l'introduzione progressiva di una garanzia di risorse nell'ambito dei sistemi di protezione sociale dei diversi Stati membri entro 5 anni. A quasi vent'anni di distanza, nell'Anno europeo della lotta alla povertà, dobbiamo constatare che queste richieste e raccomandazioni sono rimaste lettera morta. Nella sua raccomandazione del 3 ottobre 2008 relativa all’inclusione attiva (30), la Commissione ha precisato che la raccomandazione del 1992 rimane uno strumento di riferimento per l’azione comunitaria in materia di povertà e di esclusione sociale e, malgrado gli sforzi che devono ancora essere compiuti per una piena applicazione, non ha perso nulla della sua rilevanza. Più di recente, nella sua risoluzione del 6 maggio 2009 sul coinvolgimento attivo delle persone escluse dal mercato del lavoro (31), il Parlamento europeo invita gli Stati membri a realizzare un adeguato sostegno al reddito al fine di combattere la povertà e l'esclusione sociale e sottolinea la necessità di fissare un adeguato sostegno al reddito sulla base delle raccomandazioni 92/441/CEE e 2008/867/CE e che esso sia trasparente, accessibile a tutti e sostenibile nel tempo.

4.2   Conformemente alla raccomandazione del Consiglio del 24 giugno 1992, il CESE ritiene che questa garanzia di risorse vada stabilita tenendo conto del tenore di vita in ciascuno Stato membro. Ciò comporta l'utilizzazione di indicatori adeguati, come per esempio il reddito medio o mediano disponibile nello Stato membro, le statistiche sui consumi delle famiglie, la retribuzione minima obbligatoria (se esiste) o il livello dei prezzi. Questo reddito minimo può inoltre essere adattato o completato per rispondere a esigenze specifiche. Si tratta principalmente dell'assistenza abitativa e delle politiche che garantiscono l'accesso all'assistenza sanitaria di qualità o all'assistenza a persone non autosufficienti, già applicate da diversi Stati membri. Il CESE sostiene l'iniziativa del Parlamento europeo (32), che punta a migliorare la raccomandazione del Consiglio del 1992 e precisa che l'assistenza sociale dovrebbe fornire un reddito minimo consono a una vita dignitosa, quanto meno a un livello che sia al di sopra della soglia di rischio povertà. Si dovrà tuttavia vigilare sulle eventuali interazioni tra questa garanzia di reddito, associata o no a interventi complementari come l'assistenza abitativa, e altri benefici previdenziali. Occorre evitare che i beneficiari di prestazioni sociali si trovino in situazioni meno favorevoli, il che avrebbe evidenti effetti perversi.

4.3   Il CESE ricorda che l'introduzione di un reddito minimo deve essere prevista nel quadro delle politiche di inclusione sociale attiva e di accesso a servizi sociali di qualità. Da questo punto di vista sostiene la posizione del Parlamento europeo (33), che suggerisce agli Stati membri di prendere attivamente in considerazione l'introduzione di una politica per i salari minimi, al fine di combattere il crescente numero di «lavoratori poveri» e di rendere il lavoro una prospettiva percorribile per le persone distanti dal mercato del lavoro. Il CESE tiene inoltre a precisare che non va trascurata la situazione delle persone che non possono partecipare al mercato del lavoro a causa dell'età, dello stato di salute o di una disabilità. Condivide quindi il punto di vista del Parlamento europeo (34) quando precisa che il coinvolgimento attivo non deve sostituirsi all'inclusione sociale e che, pertanto, chiunque deve poter disporre di un reddito minimo e dell'accesso a servizi sociali abbordabili e di qualità, a prescindere dalla propria capacità di partecipare al mercato del lavoro.

4.3.1   Il CESE ritiene che l'introduzione progressiva di una garanzia di risorse sia necessaria per il conseguimento dell'obiettivo di riduzione della povertà stabilito nell'ambito della strategia Europa 2020, e che debba avvenire attraverso un nuovo strumento volto a sostenere più efficacemente le politiche di lotta alla povertà adottate nei diversi Stati membri.

Bruxelles, 14 luglio 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Parere del CESE, GU C 27 del 3.2.2009.

(2)  Parere del CESE, GU C 309 del 16.12.2006.

(3)  Commissione europea, Comitato per la protezione sociale, Rapport conjoint sur la protection et l'inclusion sociale 2010 (Relazione congiunta per il 2010 sulla protezione e sull'inclusione sociale), manoscritto, febbraio 2010.

(4)  Comunicazione della Commissione COM(2010) 2020 definitivo.

(5)  Parere del CESE, GU C 128 del 18.5.2010, pag. 3, punto 4.4.

(6)  Consiglio europeo, 17 giugno 2010, Conclusioni, EUCO 13/10.

(7)  Cfr. nota 5.

(8)  Parlamento europeo, risoluzione del 6 maggio 2009, 2008/2335(INI).

(9)  Parere del CESE, GU C 221 del 28.8.1989 e GU C 128 del 18.5.2010, pag. 10.

(10)  Raccomandazione del Consiglio 92/441/CEE del 24 giugno 1992, GU L 245 del 26.8.1992.

(11)  Parere del CESE, GU C 302 del 7.12.2004, pag. 86.

(12)  Parere del CESE, GU C 128 del 18.5.2010, pag. 10 e GU C 302 del 7.12.2004, pag. 86.

(13)  Articolo 9 del TFUE, GU C 115 del 9.5.2008.

(14)  Carta dei diritti fondamentali, GU C 364 del 18.12.2000.

(15)  Commissione europea, Comitato per la protezione sociale, Croissance, l'emploi et le progrès social dans l'UE - Principaux messages (Crescita, occupazione e progresso sociale nell'UE – Principali messaggi), manoscritto, settembre 2009.

(16)  Klaus Busch, World Economic Crisis and the Welfare State – Possible Solutions to Reduce the Economic and Social Imbalances in the World Economy, Europe and Germany (La crisi economica mondiale e lo stato sociale - Possibili soluzioni per ridurre gli squilibri economici e sociali nell'economia mondiale, in Europa e in Germania), International Policy Analysis, Friedrich-Ebert-Stiftung, febbraio 2010.

(17)  Cfr. nota 15.

(18)  Cfr. nota 5.

(19)  Cfr. nota 1.

(20)  Florence Lefresne, Regard comparatif sur l’indemnisation du chômage : la difficile sécurisation des parcours professionnels (Esame comparativo dell’indennizzazione della disoccupazione: la difficoltà di garantire i percorsi professionali), Chronique internationale de l’IRES – n.115, novembre 2008, pag. 23.

(21)  Cfr. nota 18.

(22)  Cfr. nota 11.

(23)  Cfr. nota 5.

(24)  Cfr. nota 11.

(25)  Cfr. nota 2.

(26)  Cfr. nota 11.

(27)  Cfr. nota 5.

(28)  Parere del CESE, GU C 221 del 28.8.1989 e GU C 128 del 18.5.2010, pag. 10.

(29)  Cfr. nota 10.

(30)  Raccomandazione della Commissione 2008/867/CE del 3 ottobre 2008, GU L 307 del 18.11.2008.

(31)  Cfr. nota 8.

(32)  Cfr. nota 8.

(33)  Cfr. nota 8.

(34)  Cfr. nota 8.


11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/34


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Povertà e benessere dei bambini» (parere esplorativo)

2011/C 44/06

Relatrice generale: Brenda KING

Con lettera datata 28 aprile 2010 Laurette ONKELINX, vice primo ministro belga e ministro degli Affari sociali e della sanità, ha chiesto, a nome dell'allora futura presidenza belga, al Comitato economico e sociale europeo, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di elaborare un parere esplorativo sul tema:

Povertà e benessere dei bambini.

L'Ufficio di presidenza del Comitato, in data 25 maggio 2010, ha incaricato la sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 464a sessione plenaria del 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 14 luglio), ha nominato Brenda KING relatrice generale e ha adottato il seguente parere con 113 voti favorevoli, 6 voti contrari e 14 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Oggigiorno, nell'Unione europea, 20 milioni di bambini sono a rischio di povertà. La percentuale dei bambini in condizioni di povertà è perfino superiore a quella degli adulti nelle medesime condizioni (rispettivamente 20 % e 16 %) e, a causa della crisi economica, ci si attende un aumento della popolazione al di sotto della soglia di povertà. L'esistenza stessa del fenomeno della povertà tra i bambini nell'UE è già una dimostrazione del fatto che vengono loro negati perfino i diritti più fondamentali.

1.2   Se non si farà nulla contro la povertà infantile, tale fenomeno avrà un impatto negativo sul futuro benessere dell'UE. L'attuazione della strategia Europa 2020 è nelle mani di una generazione di giovani istruiti, sani e fiduciosi. L'esistenza di così tanti bambini a rischio di povertà e la povertà come fenomeno che si tramanda da una generazione all'altra sono un atto di condanna nei confronti dell'incapacità delle attuali politiche UE di tutelare le fasce più vulnerabili della società.

1.3   La povertà e il benessere dei bambini rappresentano una questione pluridimensionale che, stando ad alcune relazioni stilate sull'argomento, è resa più problematica da tutta una serie di fattori tra cui la deprivazione materiale, l'impossibilità di accedere a servizi sanitari di base, ad un alloggio decente e all'istruzione. Generalmente questi fattori sono considerati tra loro collegati e dipendenti, e ciò dovrebbe riflettersi nelle possibili soluzioni alla questione.

1.4   Condizioni di povertà e privazione impediscono a milioni di bambini di affacciarsi alla vita nelle migliori condizioni possibili e contribuiscono a frenare il loro sviluppo personale. Molto spesso un intervento tempestivo nelle prime fasi di sviluppo di un bambino può avere un impatto positivo sul resto della sua esistenza. È essenziale sviluppare politiche appropriate per garantire che a tutti i bambini, soprattutto se appartenenti alle fasce più emarginate della società, sia consentito di realizzare appieno le loro potenzialità e fornire così un contributo positivo al futuro.

1.5   In occasione di quest'Anno europeo 2010, dedicato alla lotta alla povertà e all'esclusione sociale, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si compiace dell'impegno politico mostrato dal Consiglio con la decisione di fare della riduzione della povertà uno dei cinque obiettivi primari dell'UE da raggiungere entro il 2020. L'obiettivo è infatti quello di «ridurre del 25 % il numero di europei che vivono al di sotto delle soglie di povertà nazionali, facendo uscire dalla povertà più di 20 milioni di persone» (1).

1.6   Il CESE deplora tuttavia che non esista un obiettivo specifico di riduzione della povertà e di promozione del benessere dei bambini, nonostante l'attenzione politica e l'ampia gamma di iniziative a livello UE e nazionale dedicate a questa tematica a partire dal 2000.

1.7   Il CESE si compiace del fatto che una delle sette iniziative faro della strategia Europa 2020 sia la Piattaforma europea contro la povertà, che punta a «garantire coesione sociale e territoriale in modo tale che i benefici della crescita e i posti di lavoro siano equamente distribuiti e che le persone vittime di povertà e esclusione sociale possano vivere in condizioni dignitose e partecipare attivamente alla società».

1.8   Il CESE raccomanda con forza che nel quadro di tale piattaforma si elimini la povertà infantile e si promuova il benessere dei bambini sviluppando strategie orientate all'infanzia e pluridimensionali. Tali strategie dovrebbero essere fondate sui diritti del fanciullo e sostenute da obiettivi specifici focalizzati sulle esigenze dei bambini e delle loro famiglie.

1.9   La rete di esperti indipendenti dell'UE sull'inclusione sociale ha individuato alcuni gruppi specifici di bambini che presentano un rischio elevato di povertà estrema, vale a dire:

i.

bambini che vivono o hanno vissuto in istituti, bambini vittime di abusi, maltrattamenti o incuria, bambini i cui genitori presentano problemi di salute mentale, bambini in affido, bambini senza dimora e bambini vittime di violenza domestica o della tratta di esseri umani,

ii.

bambini diversamente abili, bambini appartenenti a minoranze etniche, bambini Rom o giovani richiedenti asilo e immigrati,

iii.

bambini che vivono in zone rurali molto povere e isolate, prive di buona parte delle strutture di base e bambini che vivono in grandi complessi abitativi alla periferia delle maggiori città.

1.10   La Carta europea dei diritti fondamentali contiene alcune disposizioni riguardo ai diritti del minore, assegnando all'UE il chiaro mandato di garantire la sopravvivenza, la protezione e lo sviluppo del bambino. Nell'ambito della Piattaforma europea contro la povertà, all'infanzia vulnerabile dovrebbero essere fatti corrispondere alcuni indicatori e obiettivi specifici.

1.11   Il CESE è favorevole all'elaborazione da parte della Commissione di una raccomandazione sulla povertà e il benessere dei bambini che stabilisca gli obiettivi strategici fondamentali e crei un quadro per il costante monitoraggio, scambio, ricerca e valutazione inter pares come contributo al raggiungimento degli obiettivi 2020 di lotta contro la povertà.

2.   Contesto

2.1   Dal 2000 a questa parte la questione della povertà e dell'esclusione sociale dell'infanzia ha acquisito un'importanza crescente nel metodo aperto di coordinamento sociale, assumendo un ruolo centrale in tutte le relazioni congiunte sulla protezione sociale e l'inclusione sociale (2002-2004). Nel 2006 i capi di Stato e di governo hanno riconosciuto l'esigenza di «adottare le misure necessarie per ridurre in modo rapido e significativo la povertà infantile, offrendo a tutti i bambini pari opportunità a prescindere dal loro ambiente sociale» (2).

2.2   Nel corso della conferenza organizzata nel 2005 dalla presidenza lussemburghese dell'UE sul tema Taking Forward the EU Social Inclusion Process («Far avanzare il processo di integrazione sociale dell’UE») si è parlato esplicitamente di child mainstreaming (integrazione orizzontale delle tematiche legate all'infanzia), caldeggiando l'adozione, nell'ambito dell'UE, di almeno un indicatore del benessere del bambino. Nel 2006 la comunicazione della Commissione dal titolo Verso una strategia dell’Unione europea sui diritti dei minori ha dedicato particolare attenzione all'integrazione sociale dei minori e al ruolo di tale processo a livello dell'UE. Nel gennaio 2008 è stata adottata formalmente una relazione analitica elaborata dalla task force UE sulla povertà e il benessere dei bambini e corredata delle relative raccomandazioni. A fine 2009 il documento di lavoro della Commissione sulla strategia Europa 2020 ha riconosciuto che la povertà e l'esclusione sociale dei bambini costituiscono una delle sfide sociali a lungo termine dell'UE ulteriormente esacerbate dalla crisi economica e finanziaria. Nel marzo 2010 un consorzio guidato dall'istituto di ricerca sociale Tárki/Applica ha elaborato per conto della Commissione una relazione approfondita sul tema Child Poverty and Child Well-Being in the European Union («Povertà e benessere dei bambini nell'Unione europea»).

2.3   Con il Trattato di Lisbona del 2009, la promozione dei «diritti del minore» è entrata a far parte degli obiettivi espliciti dell'UE. Nella conferenza che ha inaugurato l'Anno europeo 2010 consacrato alla lotta alla povertà e all'esclusione sociale, il Presidente della Commissione europea José Manuel Barroso ha esortato a ridurre entro il 2020 il tasso di rischio di povertà per tutta la popolazione, soprattutto i minori e gli anziani, perché le cifre attuali sono inaccettabili. Il Belgio, che detiene la presidenza dell'UE nel secondo semestre 2010, ha per l'appunto inserito tra le sue priorità la lotta contro la povertà e la promozione del benessere dei bambini.

3.   Povertà e benessere dei bambini nell'UE

3.1   La povertà infantile

3.1.1   La povertà e il benessere dei bambini figurano tra le principali sfide per l'UE. Tuttavia la portata e la gravità del fenomeno variano considerevolmente da uno Stato membro all'altro e, in alcuni paesi, da una regione all'altra. Dalle statistiche UE relative al reddito e alle condizioni di vita (UE-SILC, Statistics on Income and Living Conditions) del 2007 emerge quanto segue (3):

il 20 % dei bambini nell'UE è a rischio di povertà (4), rispetto al 16 % della popolazione totale. In tutti i paesi il rischio risulta maggiore per i bambini; fanno eccezione Cipro, la Danimarca, l'Estonia, la Finlandia, la Germania e la Slovenia (in Lettonia il rischio è identico per adulti e bambini). Il tasso di rischio per l'infanzia va da un massimo di 30-33 % in due paesi (Bulgaria e Romania), a 23-25 % in cinque paesi (Grecia, Italia, Polonia, Spagna e Regno Unito), per raggiungere un minimo di 10-12 % in cinque paesi (Cipro, Danimarca, Finlandia, Slovenia e Svezia).

A queste informazioni va però affiancato lo scarto dal tasso nazionale di rischio di povertà (5) che indica «il grado di povertà dei bambini poveri», vale a dire la gravità del rischio di povertà infantile. Nel caso dei bambini, lo scarto dal tasso di rischio di povertà oscilla tra il 13 % finlandese e il 15 % francese, da un lato, e il 40 % rumeno e il 44 % bulgaro, dall'altro. Nella maggioranza dei paesi il rischio di povertà tende ad aumentare con l'età dei bambini.

Un altro elemento fondamentale da considerare nel caso della povertà di reddito è la durata del periodo in cui un bambino vive sotto la soglia di rischio di povertà. Come sottolineato nella relazione Tárki/Applica menzionata in precedenza, «benché il rischio di povertà per i bambini in un determinato anno fornisca un'indicazione del pericolo che essi corrono di deprivazione e di esclusione sociale, tale pericolo è ancor più grave se il loro reddito si mantiene inferiore alla soglia di rischio di povertà per diversi anni». Nel caso dei 20 Stati membri dell'UE per cui sono disponibili i dati UE-SILC necessari, la relazione Tárki/Applica mostra che la percentuale di bambini appartenenti a nuclei familiari a rischio di povertà per ciascuno degli anni compresi tra il 2005 e il 2007 varia dal 4-6 % (in Austria, Cipro, Finlandia, Slovenia e Svezia) al 13-16 % (in Italia, Lituania, Lussemburgo, Polonia e Portogallo).

3.2   Deprivazione materiale

3.2.1   La definizione UE dei bambini a rischio di povertà si basa sul numero di bambini appartenenti a un nucleo familiare a basso reddito. Benché importante, questa valutazione è insufficiente in quanto non comprende tutti gli elementi di cui un bambino ha bisogno per affacciarsi alla vita nelle migliori condizioni possibili. Il bambino, ad esempio, può trovarsi a vivere in un alloggio inadeguato o addirittura non avere una dimora, risiedere in un'area depressa, essere a contatto con un livello elevato di criminalità, non godere di buona salute, avere una cattiva alimentazione, essere esposto a un rischio più elevato di incidenti e lesioni, di maltrattamenti fisici o di bullismo, avere un accesso minore ai servizi all'infanzia o un accesso limitato ai servizi sociali e all'assistenza familiare, trovarsi in una situazione di svantaggio educativo e beneficiare di un'istruzione di qualità scadente, non avere accesso - se non in misura limitata - a un parco giochi, a strutture sportive e ricreative o ad attività culturali. Alcuni bambini si trovano svantaggiati per diversi aspetti che, accumulandosi, possono interagire tra loro e rafforzarsi aggravando l'esperienza di povertà ed esclusione sociale del bambino ed accrescendo l'eredità di povertà ed esclusione che si tramanda da una generazione all'altra.

3.2.2   La percentuale di deprivazione materiale per tutti i bambini dell'UE è identica a quella dei bambini a rischio di povertà (20 %). Tuttavia la deprivazione materiale varia sensibilmente da uno Stato membro all'altro, passando dal 4-10 % (Lussemburgo, i tre paesi nordici, Paesi Bassi e Spagna) al 39-43 % (Ungheria, Lettonia e Polonia), fino a raggiungere il 57 % in Romania e il 72 % in Bulgaria. A questi valori fa riscontro una percentuale di rischio di povertà che oscilla tra il 10 % e il 33 %. Queste ampie oscillazioni della deprivazione materiale rispecchiano i diversi standard di vita medi riscontrabili su tutto il territorio dell'UE, ma anche all'interno di ciascuno Stato membro.

3.2.3   La percentuale di deprivazione materiale tra i bambini a rischio di povertà, che è pari al 46 %, varia sensibilmente passando dal 18-28 % (Danimarca, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna e Svezia) al 72-96 % (Bulgaria, Ungheria, Lettonia e Romania). Tra i bambini al di sopra della soglia di rischio di povertà il tasso medio di deprivazione materiale nell'UE è pari al 13 %. Anche in questo caso il ventaglio di valori è piuttosto ampio, in quanto va dall'1-6 % (Danimarca, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna e Svezia) al 35-62 % (Bulgaria, Ungheria, Lettonia e Romania).

3.2.4   Il CESE raccomanda di inserire tra gli indicatori le percentuali e le soglie di rischio di povertà, nonché le percentuali di deprivazione materiale a livello nazionale.

3.3   I bambini maggiormente a rischio

3.3.1   Famiglie monoparentali e famiglie numerose

3.3.1.1   Praticamente in tutti i paesi i bambini maggiormente a rischio sono quelli che vivono in famiglie monoparentali e in famiglie numerose. I dati UE-SILC 2007 indicano che, a livello UE, è a rischio di povertà il 34 % dei bambini che vive in una famiglia monoparentale, con percentuali che variano dal 17-24 % (Danimarca, Finlandia e Svezia) al 40-45 % (Estonia, Irlanda, Lituania, Lussemburgo, Romania e Regno Unito) fino a toccare il 54 % (Malta). Per quanto riguarda invece i bambini che vivono in famiglie numerose (composte cioè di 2 adulti e 3 o più bambini), il rischio di povertà nell'UE è pari al 25 %. Tale percentuale varia dal 12-15 % (Germania, Finlandia, Svezia, Danimarca e Slovenia) al 41-55 % (Italia, Lettonia, Portogallo e Romania) per arrivare al 71 % (Bulgaria).

3.3.2   Famiglie senza lavoro

3.3.2.1   L'indagine 2007 sulla forza lavoro nell'UE indica che il 9,4 % dei bambini vive in nuclei familiari senza lavoro. Tale percentuale varia dal 2,2-3,9 % (Cipro, Grecia, Lussemburgo e Slovenia) al 12 % (Belgio), 12,8 % (Bulgaria), 13,9 % (Ungheria) fino al 16,7 % (Regno Unito) (6). Questi bambini presentano un rischio di povertà molto elevato (70 % di media): il livello di rischio più basso si registra in Danimarca e Finlandia (47-49 %) e il più elevato in Bulgaria, Repubblica ceca, Estonia, Lituania, Portogallo, Romania e Slovacchia (81-90 %).

3.3.2.2   Per quanto riguarda la deprivazione materiale, è altamente probabile che vivere in un nucleo familiare in cui nessun membro ha un impiego remunerato incida notevolmente sia sulle condizioni di vita del bambino che sul suo futuro. Dalla disoccupazione non derivano soltanto potenziali problemi finanziari: l'assenza di un adulto occupato nel nucleo familiare può anche limitare le opportunità, presenti e future, di partecipare appieno alla società.

3.3.3   Bambini a rischio di povertà «estrema»

3.3.3.1   La rete di esperti indipendenti dell'UE sull'inclusione sociale ha individuato alcuni gruppi specifici di bambini esposti ad un rischio elevato di povertà più grave o estrema. Questo emerge in particolare dai piani d'azione nazionali per l'inclusione sociale dei diversi Stati membri e da numerosi progetti di scambio transnazionali. I suddetti gruppi comprendono: bambini diversamente abili, bambini appartenenti a minoranze etniche (specialmente Rom), giovani richiedenti asilo e immigrati, bambini vittime di abusi, maltrattamenti o incuria, bambini i cui genitori hanno problemi di salute mentale, bambini in affido, bambini senza dimora e bambini vittime di violenza domestica o della tratta di esseri umani, bambini che vivono in zone rurali molto povere e isolate, prive di buona parte delle strutture di base, oppure in grandi complessi abitativi alla periferia delle maggiori città (7). Dall'analisi UE del 2007 emerge che la posizione dei bambini di famiglie migranti e appartenenti ad alcune minoranze etniche sta diventando un motivo di crescente preoccupazione nei «vecchi» Stati membri.

3.4   Effetti a lungo termine e povertà intergenerazionale

3.4.1   Effetti a lungo termine

3.4.1.1   Dalle relazioni congiunte sulla protezione sociale e l'inclusione sociale emerge un dato importante: crescere in una situazione di povertà limita lo sviluppo personale e produce effetti a lungo termine per lo sviluppo e il benessere dei bambini, nonché per la loro salute e benessere futuri in età adulta. Tale situazione aumenta il rischio di povertà, disoccupazione ed esclusione sociale da adulti. Questo effetto a lungo termine è stato evidenziato nella relazione del 2007, nella quale si concludeva che «i bambini che crescono in una situazione di povertà hanno meno probabilità, rispetto ai loro coetanei che vivono in famiglie più agiate, di ottenere buoni risultati scolastici, di godere di buona salute, di non avere problemi con la giustizia penale e - da giovani adulti - di accedere al mercato del lavoro e alla società in senso più ampio».

3.4.2   Povertà intergenerazionale

3.4.2.1   Un altro tema ricorrente e collegato al precedente riguarda la misura in cui la povertà viene trasmessa alla generazione successiva. In diversi paesi questo fenomeno è particolarmente evidente nel campo dell'istruzione, e si manifesta indipendentemente dal livello generale di povertà infantile ed esclusione sociale registrato nel paese. Il modulo UE-SILC 2005 relativo alla trasmissione intergenerazionale degli svantaggi ha dimostrato l'impatto che le opportunità di istruzione nell'infanzia esercitano sulle probabilità di povertà nell'età adulta. Pertanto una persona i cui genitori hanno qualifiche di istruzione di livello primario è 23 volte più a rischio di non ottenere qualifiche formali rispetto a chi abbia i genitori con un'istruzione di livello terziario.

4.   Analisi comparativa, monitoraggio e valutazione

4.1   Particolare attenzione merita il compito fondamentale di assegnare una posizione centrale e visibile - a livello sia nazionale che UE - a un'analisi comparativa, a un monitoraggio e a una valutazione rispondenti a criteri rigorosi.

4.2   A questo fine si raccomanda di:

istituire un processo nel cui ambito la Commissione e gli Stati membri esplorino le modalità per conferire maggiore visibilità agli obiettivi sociali dell'UE, nonché per renderli misurabili e tangibili a livello UE,

garantire che i progressi compiuti verso il raggiungimento degli obiettivi UE e nazionali nonché verso il miglioramento delle prestazioni del gruppo di indicatori concordato a livello UE siano oggetto di monitoraggio e di relazioni periodici e rigorosi,

assicurare che vengano organizzate delle valutazioni tra pari (peer reviews) per esaminare i risultati di queste attività di monitoraggio al fine di stimolare l'apprendimento delle politiche tra gli Stati membri e la Commissione,

adottare un approccio molto più rigoroso al monitoraggio e alla valutazione, concentrandosi maggiormente sui risultati e garantendo che vengano regolarmente effettuate delle analisi critiche indipendenti dei progressi compiuti nel conseguimento degli obiettivi. Tra i compiti principali sarebbe opportuno:

incorporare in modo più sistematico gli indicatori comuni nei quadri di monitoraggio e di analisi nazionali degli Stati membri al fine di migliorare l'apprendimento reciproco,

rafforzare la capacità statistica a livello UE, nazionale e subnazionale, in particolare garantendo l'elaborazione di statistiche sociali più tempestive (comprendenti dati sulla povertà e sul benessere dei bambini che consentano di monitorare più facilmente l'impatto della crisi finanziaria ed economica in tutta l'UE),

chiedere a tutti gli Stati membri di istituire dei dispositivi formali per il coinvolgimento permanente di organizzazioni della società civile ed esperti indipendenti nel monitoraggio e nella valutazione delle politiche di inclusione sociale.

5.   Istituire la Piattaforma europea contro la povertà

5.1   Il rafforzamento della dimensione sociale dell'UE, e in particolare il conseguimento degli obiettivi Europa 2020, dipenderà in larga misura dall'iniziativa faro proposta nella strategia Europa 2020, la Piattaforma europea contro la povertà.

5.2   Tale piattaforma deve diventare il simbolo vivente di questa rinnovata Europa sociale. Essa deve svolgere un ruolo centrale nel garantire che tutti gli altri ambiti di intervento politico dell'UE (ad esempio le politiche in materia di economia, concorrenza, istruzione, migrazione, sanità, innovazione e ambiente) contribuiscano al conseguimento degli obiettivi sociali dell'UE, tra cui anche il traguardo fissato in materia di riduzione della povertà.

5.3   Una priorità essenziale consisterà nell'inserire le questioni relative a una protezione sociale adeguata (lotta alla povertà infantile, promozione del benessere dei bambini e tutela dei loro diritti) in tutti i settori di attività e programmi pertinenti dell'UE, compresi i fondi strutturali. La piattaforma dovrebbe svolgere un ruolo centrale nel monitorare l'attuazione del processo di valutazione dell'impatto sociale e il contributo dato dagli altri settori della strategia Europa 2020 all'obiettivo di ridurre la povertà, nonché nel riferire in materia.

5.4   Migliorare i collegamenti tra gli obiettivi di inclusione sociale e gli obiettivi dei fondi strutturali dell'UE

5.4.1   Gli obiettivi dell'UE e degli Stati membri in materia di inclusione sociale dovrebbero essere molto più in linea con l'utilizzo dei fondi strutturali dell'UE. A questo proposito, l'impiego dei fondi strutturali dovrebbe diventare un elemento fondamentale dei piani d'azione nazionali per l'inclusione sociale. Un esempio in tal senso è costituito dalla proposta presentata nel 2009 dalla Commissione con l'obiettivo di permettere l'utilizzo del Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) per sostenere gli interventi in materia di edilizia abitativa a favore delle comunità emarginate negli Stati membri di recente adesione. Questo potrebbe contribuire notevolmente ad accrescere le risorse disponibili per le iniziative nel settore.

6.   Raccomandazioni del CESE

6.1   L'impegno dell'UE ad affrontare la povertà infantile e a promuovere il benessere dei bambini

6.1.1   In considerazione degli obiettivi generali della strategia Europa 2020, si dovrebbe sviluppare un quadro coerente per affrontare la povertà infantile e promuovere il benessere dei bambini, partendo dalla tutela dei diritti. Dovrebbe essere fissato un obiettivo specifico dell'UE volto ad eliminare la povertà infantile e a promuovere il benessere dei bambini.

6.2   Risorse adeguate

6.2.1   Per le famiglie con bambini si dovrebbe fissare un reddito minimo familiare, ricorrendo a trasferimenti in denaro calcolati in base alla situazione occupazionale dei genitori. Inoltre si potrebbe garantire un sostegno in denaro a tutti i bambini tramite crediti d'imposta e/o prestazioni universali in denaro.

6.2.2   Il ricorso alle prestazioni universali in denaro come uno degli strumenti fondamentali per combattere la povertà infantile dovrebbe essere studiato più attentamente, considerata la generale efficienza a livello amministrativo, l'assenza di stigmatizzazione sociale e l'elevato tasso di utilizzo, come risulta dall'analisi effettuata dal comitato per la protezione sociale (2008).

6.2.3   Dato che i bambini che vivono in famiglie di disoccupati corrono un rischio di povertà molto elevato, occorre fissare un obiettivo per ridurre il divario di povertà dei nuclei familiari di questo tipo e di quelli che, pur non disoccupati, si trovano in una situazione di povertà, al fine di ridurre la gravità della povertà vissuta dai bambini. Sarebbe necessario sostenere l'occupazione dei genitori tramite politiche attive del mercato del lavoro e fornire servizi di qualità, come la custodia dei bambini, che siano disponibili a livello locale, accessibili e a basso costo.

6.2.4   È necessario che dei mercati del lavoro inclusivi offrano un'occupazione di qualità ai genitori. Per garantire a questi ultimi di poter trascorrere del tempo con i figli, occorre adottare politiche atte a favorire la conciliazione tra vita professionale e familiare.

6.2.5   Per quanto riguarda i bambini che vivono in situazioni di povertà estrema, è necessario interrompere la trasmissione intergenerazionale della povertà e dell'esclusione garantendo pari opportunità per tutti tramite politiche sociali ben progettate ed intensificando gli sforzi volti a consentire a tutti i bambini di ottenere buoni risultati scolastici. In questo ambito vanno intensificate le politiche in materia di inclusione e di lotta contro la discriminazione, a favore soprattutto degli immigrati e dei loro discendenti, nonché delle minoranze etniche.

6.3   Prima infanzia

6.3.1   Il CESE condivide la raccomandazione di Eurochild secondo cui occorre ampliare i servizi all'infanzia al fine di adottare un concetto inclusivo di servizi, dalla fase prenatale a quella prescolare, che sia aperto a tutti i bambini e a tutte le famiglie. Eurochild sostiene che gli obiettivi di Barcellona non tengono conto di molte buone prassi nel campo della politica per la prima infanzia. Per quanto concerne tali obiettivi, il CESE sostiene la necessità di sviluppare degli «standard di qualità» comuni dell'UE in materia di servizi alla prima infanzia, riguardanti anche l'assistenza e l'istruzione, così come segnalato dalla rete della Commissione europea per la custodia dei bambini, che dovrebbero indirizzare lo sviluppo delle politiche e delle pratiche nazionali, compreso l'utilizzo dei fondi strutturali.

6.4   Salute

6.4.1   Il CESE raccomanda che il gruppo di lavoro dell'UE sugli indicatori sanitari metta a punto degli indicatori riguardanti i bambini, al fine di monitorare e valutare le politiche di sanità pubblica e il loro impatto.

6.4.2   Si dovrebbero anche introdurre degli indicatori riguardanti la salute mentale e le turbe mentali nei bambini.

6.4.3   La comunicazione della Commissione sulle disuguaglianze a livello sanitario, prevista per il 2012, dovrebbe affrontare il tema della salute dei bambini.

6.5   Alloggio

6.5.1   Gli Stati membri dell'UE dovrebbero onorare gli impegni assunti e realizzare le azioni concordate alla Quinta conferenza ministeriale sull'ambiente e la salute del marzo 2010 per quanto riguarda il Piano d'azione per l'Europa sull'ambiente e la salute dei bambini.

6.5.2   La Commissione europea dovrebbe stabilire, di concerto con gli Stati membri, un quadro e degli orientamenti comuni per misurare, monitorare e riferire in merito alla mancanza di dimora e all'esclusione abitativa, prestando particolare attenzione alle condizioni dei bambini.

6.5.3   La Commissione dovrebbe continuare a sostenere e finanziare iniziative volte ad assistere gli Stati membri e i paesi candidati nella chiusura degli istituti residenziali per l'infanzia che risultino di qualità scadente e nella ricerca di soluzioni alternative adeguate.

6.6   Protezione dalla violenza, dagli abusi e dallo sfruttamento

6.6.1   La Commissione europea, insieme con tutte le parti interessate, dovrebbe valutare la possibilità di definire una serie di indicatori relativi alla violenza, all'abuso e allo sfruttamento dei minori, che coprano questioni come l'identificazione, la protezione, i procedimenti penali e la prevenzione, in linea con le raccomandazioni formulate nello studio in materia di indicatori elaborato nel 2009 per conto dell'Agenzia dei diritti fondamentali.

6.6.2   Gli Stati membri dovrebbero mettere a punto delle strategie nazionali volte a prevenire tutte le forme di violenza e a proteggere i bambini. Tali strategie devono prevedere degli obiettivi e delle dotazioni finanziarie chiare, nonché meccanismi a livello locale per la denuncia dei casi di violenza, da parte dei bambini stessi o di altre persone.

6.7   Misure incentrate sui bambini

6.7.1   La Commissione dovrebbe rafforzare i collegamenti con il programma del Consiglio d'Europa Costruire un'Europa per e con i bambini, che pone l'accento in particolare sulla partecipazione dei bambini.

6.7.2   Gli indicatori adottati di comune accordo in relazione al reddito e alla deprivazione materiale devono essere integrati da indicatori maggiormente incentrati sui bambini che riflettano le diverse fasi dello sviluppo infantile, tenendo conto delle dimensioni più importanti e coprendo tutte le fasce di età. Lo studio Tárki/Applica raccomanda di fare riferimento alle seguenti fasce di età: 0-5, 6-11, 12-17, nonché di tenere conto di aspetti quali il reddito, la deprivazione materiale, l'istruzione, l'alloggio, la salute, l'esposizione al rischio e la partecipazione sociale.

Bruxelles, 14 luglio 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Secondo la definizione coniata dall'UE, per persone «a rischio di povertà» si intendono coloro che appartengono a un nucleo familiare il cui reddito totale equivalente è inferiore al 60% del reddito mediano nazionale equivalente (come scala di equivalenza si adotta la scala OCSE modificata).

(2)  Consiglio europeo di Bruxelles, 23 e 24 marzo 2006, conclusioni della presidenza, 7775/1/06 riv. 1, punto 72.

(3)  Cfr. sito web dell'Istituto statistico delle Comunità europee Eurostat: http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/statistics/themes.

(4)  Un bambino «a rischio di povertà» appartiene a un nucleo familiare «a rischio di povertà», vale a dire a una famiglia il cui reddito totale equivalente è inferiore al 60% del reddito mediano equivalente a livello nazionale.

(5)  Lo «scarto dal tasso mediano relativo di rischio di povertà» (di seguito: «scarto dal tasso di rischio di povertà») misura la distanza tra il reddito mediano equivalente delle persone che vivono al di sotto della soglia di rischio di povertà e il valore di tale soglia e si esprime come percentuale del valore soglia.

(6)  Cfr. sito web Eurostat: http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/statistics/themes.

(7)  Questo modello è confermato dalla relazione 2007 della rete di esperti indipendenti dell'UE sull'inclusione sociale, che ha tratto la seguente conclusione: «In un gran numero di paesi sono due le categorie di bambini che presentano un rischio molto elevato di grave povertà ed esclusione sociale: i bambini che vivono o hanno vissuto in istituti e i bambini Rom. Vengono tuttavia evidenziate, in molti casi, numerose altre situazioni problematiche: bambini costretti al lavoro minorile; bambini vittime di violenza, abusi sessuali, tratta, dipendenza da varie sostanze oppure coinvolti in crimini; bambini diversamente abili; minori non accompagnati; bambini appartenenti a famiglie senza dimora o che vivono in strada» (Frazer e Marlier, 2007).


11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/40


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «L'impatto prodotto sull'occupazione dalle trasformazioni industriali dovute alle sfide ambientali, energetiche e climatiche» (parere esplorativo)

2011/C 44/07

Relatore: Valerio SALVATORE

Correlatore: Enrique CALVET CHAMBÓN

Con lettera datata 9 febbraio 2010, Paul MAGNETTE, ministro del Clima e dell'energia, a nome della futura presidenza belga, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di elaborare un parere esplorativo sul tema:

L'impatto prodotto sull'occupazione dalle trasformazioni industriali dovute alle sfide ambientali, energetiche e climatiche.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o luglio 2010.

Alla sua 464a sessione plenaria, dei giorni 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 15 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 89 voti favorevoli, 2 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il contesto globale nel quale si inserisce la richiesta della presidenza belga di esaminare l'impatto sull'occupazione delle trasformazioni industriali indotte dalla lotta contro il riscaldamento climatico è caratterizzato da un triplice fallimento o, se vogliamo utilizzare un'espressione meno diretta, da tre scenari negativi all'interno di una crisi economica colossale.

A.

In seno all'Unione europea, i validi obiettivi della strategia di Lisbona non sono stati affatto raggiunti.

B.

Il settore finanziario è stato colpito da una crisi di enorme portata dovuta a una regolamentazione disfunzionale e a una sorveglianza insufficiente.

C.

Il vertice dell'ONU a Copenaghen, che avrebbe dovuto consentire di trovare un accordo internazionale sul clima in sostituzione del protocollo di Kyoto, ha prodotto risultati assolutamente insoddisfacenti.

1.2

L'UE si trova di fronte a una duplice sfida: da un lato, contribuire in maniera efficace alla riduzione mondiale dei gas a effetto serra e, dall'altro, sviluppare la sua economia e il suo mercato del lavoro per raggiungere nel prossimo decennio gli obiettivi di Lisbona, ossia conquistare una posizione competitiva a livello mondiale ed eliminare la disoccupazione di massa in Europa.

1.3

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) e la CCMI in particolare hanno recato un certo numero di contributi utili per affrontare le sfide in materia di energia e clima, sostenibilità, trasformazioni industriali e occupazione, tra cui i seguenti pareri: CCMI/002, 024, 027, 029, 045, 052 e 053; ECO/267; NAT/392, 440 e 453; TEN/401. Nel presente parere il problema viene affrontato secondo una logica orizzontale, ma è evidente che sono altresì indispensabili studi regionali e settoriali, che consentano di concretizzare le idee in esso sviluppate, in particolare in materia di occupazione.

1.4

La strategia Europa 2020 dovrà rispondere al fallimento della strategia di Lisbona. Essa rappresenta quindi una nuova opportunità. Ma per essere efficace essa dovrà rafforzare il ruolo delle PMI. Il CESE raccomanda di rafforzare la cooperazione economica a livello europeo e di promuovere una nuova nozione comune del concetto di competitività.

1.5

L'UE ha bisogno di una governance economica rafforzata all'interno delle sue istituzioni (cioè di una riflessione sul trasferimento di sovranità alle istituzioni europee esistenti in alcuni settori della politica economica), al fine di favorire trasformazioni industriali in grado di generare un'economia europea più verde e posti di lavoro sostenibili.

1.6

Lo sviluppo demografico, le difficoltà ambientali in Africa, Asia e America Latina, la scarsità di acqua potabile in molti paesi e la lotta contro i cambiamenti climatici sono evoluzioni che favoriscono la domanda mondiale di prodotti e tecnologie verdi e conseguentemente la creazione di posti di lavoro sostenibili. Bisogna inoltre tenere conto del fatto che le riserve conosciute delle materie prime necessarie per produrre energia non sono illimitate.

1.7

Una strategia per l'occupazione che vada in direzione di un'economia sostenibile può basarsi sul patrimonio di conoscenze e know-how sviluppato negli Stati membri. Questi vantaggi devono essere promossi dall'UE, che ha bisogno di impieghi qualificati. Gli Stati membri devono quindi investire maggiori risorse nei loro sistemi di istruzione e di formazione continua, promuovendo fra l'altro le scienze, la tecnologia e l'ingegneria. Il CESE ritiene del tutto insufficiente l'attuale livello di investimenti pubblici nell'istruzione, che dovrebbe inquadrarsi in una strategia coerente di apprendimento durante tutto l'arco della vita.

1.8

L'UE e gli Stati membri devono adottare le misure necessarie per garantire transizioni industriali che non vadano contro i loro obiettivi di salvaguardia e di creazione di posti di lavoro.

1.9

Un'economia verde che comporti un elevato livello di ricerca e di applicazione di nuove conoscenze e che punti al rafforzamento della competitività dovrebbe ripercuotersi sul mercato del lavoro, creando più posti di lavoro qualificati e stabili e diminuendo il rischio di precarietà. Per questo, gli Stati membri dovrebbero investire maggiori risorse nei loro sistemi di istruzione e di formazione continua.

1.10

Il settore pubblico svolge un ruolo importante nel sostegno alla ricerca e per quanto riguarda l'utilizzo effettivo delle nuove tecnologie verdi e il miglioramento delle tecnologie verdi esistenti rivelatesi efficaci, soprattutto grazie ai suoi strumenti fiscali. L'esistenza di un settore pubblico sano e adeguatamente qualificato è quindi indispensabile per il progresso economico, sociale e ambientale: indebolire il settore pubblico privatizzando tutte le attività economiche non sempre gioverebbe all'interesse generale. Il CESE ritiene che occorrerà rivedere il quadro regolamentare dei mercati liberalizzati dell'energia al fine di garantire la salvaguardia dell'interesse generale.

1.11

Saranno il settore privato e soprattutto le PMI a creare i nuovi posti di lavoro, mentre al settore pubblico spetterà il compito di creare un quadro stabile e costruttivo a livello europeo, che permetta alle imprese di ottimizzare la transizione verso un'economia più verde, più efficiente e con maggiori posti di lavoro sostenibili.

1.12

Il CESE propone di istituire un fondo europeo specifico per sostenere le trasformazioni industriali e in particolare la ricerca, lo sviluppo e l'applicazione delle tecnologie verdi, siano esse tecnologie nel campo delle energie rinnovabili oppure nuove tecnologie che consentono di ridurre effettivamente le emissioni nelle industrie energivore.

1.13

Il CESE osserva che l'UE avrà bisogno di una base industriale solida, indispensabile per raggiungere gli obiettivi di occupazione sostenibile. Molti posti di lavoro, anche nel settore dei servizi, dipendono dal successo dell'industria europea. Le trasformazioni industriali variano quindi da settore a settore e da regione a regione, e devono essere effettuate in maniera evolutiva, evitando ripercussioni negative sui mercati del lavoro e senza compromettere l'esistenza di una rete industriale indispensabile. Non si tratta di bloccare le politiche ambientali, ma piuttosto di gestirle in maniera socialmente sostenibile.

1.14

Il CESE raccomanda che la riforma della politica agricola comune per il dopo 2013 tenga conto dell'importanza dell'agricoltura e contribuisca allo sviluppo delle sinergie necessarie con le politiche dell'UE in materia di ricerca, nuove tecnologie e modernizzazione dell'industria.

1.15

Gli Stati membri dovrebbero concordare l'adozione di un'imposta sulle operazioni finanziarie, il cui gettito dovrebbe essere utilizzato per ridurre i disavanzi nei bilanci pubblici degli Stati membri, ad esempio garantendo loro maggior respiro per migliorare il finanziamento dei loro sistemi di istruzione.

1.16

Le trasformazioni industriali verso un'economia verde richiederanno una concezione completamente nuova della crescita e della competitività. Il CESE si è già pronunciato a favore di un nuovo approccio per misurare il progresso economico e sociale. Esso ribadisce la sua convinzione che le trasformazioni industriali e l'occupazione saranno compatibili con gli obiettivi di sostenibilità soltanto se l'UE e il resto del mondo riusciranno ad accordarsi su un'altra concezione della crescita. La proposta fatta dalla Commissione con la strategia Europa 2020 non è sufficiente.

1.17

Il CESE è del parere che spetti alle istituzioni europee adoperarsi per garantire condizioni uniformi di concorrenza a livello mondiale, in modo da evitare delocalizzazioni - o addirittura lo smantellamento di interi settori - dannose per l'occupazione e per l'ambiente.

1.18

In qualità di portavoce istituzionale della società civile europea e di importante sede del dialogo strutturato, il CESE si dichiara a favore della partecipazione democratica dei cittadini europei all'ampio dibattito necessario in merito alle trasformazioni industriali, al loro impatto sui mercati del lavoro e al loro ritmo, nonché alle ripercussioni sociali globali.

2.   Delimitazione dell'ambito del parere

2.1

La presidenza belga ha chiesto che il presente documento, che dovrebbe essere esaminato in seno ad un Consiglio informale dei ministri dell'Energia, sia di natura politica e fornisca nuovi spunti di riflessione. Per quanto riguarda l'approccio del testo, i rappresentanti della presidenza ritengono che esso non debba essere settoriale, ma piuttosto orizzontale e generale. Non si tratta infatti di uno studio, ma di una strategia politica.

2.2

Le sfide ecologiche e climatiche sono alla base delle dichiarazioni del Consiglio europeo relative al vertice di Copenaghen. La sfida energetica presenta molteplici dimensioni. L'accesso degli europei alle risorse energetiche deve essere garantito nel quadro della politica internazionale dell'UE e dei suoi Stati membri. Quest'aspetto non è affrontato nel presente parere, che si concentra invece sulle sfide energetiche nel quadro delle trasformazioni industriali dovute alla lotta contro i cambiamenti climatici, soprattutto in relazione all'impatto prodotto sull'occupazione in Europa da tali trasformazioni.

2.3

Nel presente parere viene utilizzato il termine «verde» per designare beni o metodi di produzione che rispondono a una logica di sostenibilità e favoriscono in tal modo il raggiungimento degli obiettivi dell'UE in materia di lotta contro il riscaldamento climatico mondiale. Il CESE esorta a rendere l'economia europea più verde e, in relazione ai mercati del lavoro, a creare il massimo numero possibile di posti di lavoro «verdi», ovvero impieghi (comprese le formazioni/qualificazioni) necessari per ottenere tale risultato e che siano di qualità in termini sia di livelli di qualificazione sia di capacità di garantire l'inclusione sociale (cfr. parere TEN/401 sul tema Promuovere posti di lavoro verdi e sostenibili per il pacchetto «Energia-clima» dell'UE, che contiene la definizione di posti di lavoro verdi proposta dal direttore del dipartimento di analisi economica e dei mercati del lavoro dell'OIL in risposta a una recente iniziativa della Commissione europea). Il CESE ricorda in questo contesto il suo parere dell'ottobre 2009 sulla flessicurezza  (1).

3.   Le sfide, le realizzazioni e una nuova opportunità

3.1

È opportuno descrivere brevemente il contesto globale nel quale si inserisce la richiesta della presidenza belga. Tale contesto è caratterizzato da una serie di sfide, riconducibili a tre fallimenti strettamente legati tra loro.

Le sfide - Il fallimento della strategia di Lisbona

3.2

La strategia di Lisbona, così come è stata ufficialmente definita nelle conclusioni del Consiglio europeo di Lisbona del 23 e 24 marzo 2000, mirava a fare dell'UE, entro il 2010, «l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale».

3.3

All'inizio del 2010, il CESE ha dovuto purtroppo constatare che questi obiettivi, peraltro necessari e accuratamente selezionati, non erano stati affatto raggiunti. Per quanto riguarda i posti di lavoro, i risultati sono particolarmente deludenti. La strategia di Lisbona prevedeva, tra l'altro, gli effetti positivi che avrebbe avuto sull'occupazione un'economia più competitiva.

Le sfide - Il fallimento delle regole del mercato finanziario

3.4

Il momentaneo miglioramento economico - la fase di crescita del periodo 2005-2008 - è stato il risultato di diversi fattori. In primo luogo, i paesi europei orientati verso l'esportazione di beni industriali hanno tratto vantaggio dalla forte domanda dei paesi asiatici, e principalmente della Cina. Al tempo stesso alcuni paesi europei hanno fatto registrare una crescita nei settori della speculazione finanziaria e immobiliare che si è oggi rivelata malsana. I progressi conseguiti si basavano da un lato sulla domanda esterna e dall'altro su una forte speculazione nel settore immobiliare. Si trattava dunque di una crescita che non era destinata a durare. Per una crescita sostenibile e un mercato del lavoro efficiente sono necessarie sia l'esportazione che la domanda interna.

3.5

La crisi finanziaria mondiale ha posto fine a ogni speranza legata alla strategia di Lisbona, la quale si è rivelata un completo fallimento. In Europa la disoccupazione è in aumento, e non si intravede la fine della crisi. La società della conoscenza non è ancora una realtà, viste le difficoltà che incontrano numerosi Stati membri nei loro sistemi di istruzione e la quota del PIL destinata alla ricerca, che in molti Stati membri rimane lungi dagli obiettivi di Lisbona. Per quanto riguarda l'indebitamento pubblico, e in alcuni casi l'indebitamento privato, nell'UE sono state raggiunte proporzioni tali da far temere l'insolvenza di alcuni Stati membri. La risoluzione di questi problemi a livello delle entrate e della spesa non deve impedire la realizzazione di importanti investimenti.

Le sfide - Il fallimento del vertice di Copenaghen

3.6

Il Consiglio europeo di Göteborg del 15 e 16 giugno 2001 ha aggiunto una nuova dimensione alla strategia di Lisbona: a questa si è così affiancata la strategia di sviluppo sostenibile. Queste due strategie raccomandavano di esaminare le conseguenze economiche, sociali e ambientali delle politiche europee, con particolare riguardo alla dimensione mondiale del cambiamento climatico.

3.7

Al vertice svoltosi a Copenaghen dal 7 al 18 dicembre 2009 l'ONU avrebbe voluto concludere un accordo a livello mondiale per rafforzare la lotta contro il riscaldamento climatico dovuto, secondo le analisi della maggioranza degli scienziati, all'emissione di gas a effetto serra. I 192 paesi che avevano ratificato la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) del 1997 hanno tentato invano di rinegoziare un accordo internazionale sul clima che sostituisse il protocollo di Kyoto in vigore dal 2005.

3.8

È evidente che il cambiamento climatico e l'inquinamento ambientale, soprattutto nelle città molto grandi, rappresentano un grave problema. Inoltre, l'evoluzione demografica a livello mondiale richiede risposte urgenti. Nove miliardi di persone possono sopravvivere soltanto se le risorse vengono utilizzate in modo più sostenibile ed equo. La questione dell'insufficienza dell'energia e della sua accessibilità è destinata a farsi sempre più pressante se le nostre società non riusciranno a fornire risposte intelligenti prima che sia troppo tardi. In questa situazione, è necessario utilizzare le tecnologie e le soluzioni disponibili, ad esempio quelle che consentono di migliorare l'efficienza energetica degli edifici esistenti. Inoltre, se l'introduzione di nuove tecnologie è indispensabile, soprattutto per le industrie energivore, occorre però anche far emergere una nuova coscienza dei beni pubblici come l'acqua - che bisogna gestire, e soprattutto conservare meglio -, l'accesso ai quali deve essere considerato un diritto dell'uomo.

3.9

Questa dimensione mondiale è decisamente importante, poiché offre alcune opportunità a un'industria europea innovativa che si contraddistingue, già oggi, per l'elevata competitività sul mercato dei beni e dei servizi verdi. Difendendo senza ingenuità questa posizione favorevole nei negoziati internazionali, l'UE può allo stesso tempo contribuire efficacemente alla riduzione mondiale dei gas a effetto serra e sviluppare la sua economia e il suo mercato del lavoro per raggiungere gli obiettivi di Lisbona.

Le realizzazioni: i punti di riferimento del CESE

3.10

In questi ultimi anni il CESE e la sua CCMI hanno recato un certo numero di contributi utili per affrontare le sfide in materia di energia e clima, sostenibilità, trasformazioni industriali e occupazione. Il presente parere tiene conto di questi precedenti importanti. Gli elementi di novità che vi figurano scaturiscono dalla presa di coscienza indotta dai tre fallimenti già menzionati (quelli della strategia di Lisbona, delle regole del mercato finanziario e della conferenza di Copenaghen).

3.11

Il CESE ha già sottolineato la necessità «di combinare la competitività con lo sviluppo sostenibile e la coesione sociale» (2).

3.12

Secondo il CESE, nell'analizzare la strategia a favore dell'occupazione, «non si può prescindere dal contesto macroeconomico» (3).

3.13

Il CESE ha ricordato che «la decisione politica dei paesi interessati e della Comunità europea è stata di ammettere l'ipotesi della causa antropogenica del cambiamento globale del clima - imputato quindi all'aumento della quantità di gas serra nell'atmosfera» (4).

3.14

La CCMI ha inoltre fatto riferimento al tema dello sviluppo sostenibile e delle trasformazioni industriali allo scopo di «studiare come lo sviluppo sostenibile, così come definito da Brundtland, possa fungere da catalizzatore per trasformazioni industriali» (5). Il presente parere si basa altresì sulla definizione di sviluppo sostenibile fornita nel 1987 dalla Commissione mondiale per l'ambiente e lo sviluppo nella relazione Brundtland.

3.15

Il CESE ha anche adottato un parere nel quale constata che è in atto «una nuova rivoluzione industriale, che pone al centro dello sviluppo la qualità della vita e dell'ambiente» (6).

3.16

Il CESE ha sottolineato che una base industriale solida è un presupposto fondamentale per il modello sociale europeo. Inoltre, ha ammonito che «l'eventuale trasferimento delle industrie ad alta intensità energetica in paesi extraeuropei ridurrebbe notevolmente l'attrattiva degli insediamenti industriali in Europa, comportando un rallentamento della crescita economica e una perdita di posti di lavoro» (7). In questo contesto, il CESE seguirà con interesse l'attuazione delle iniziative faro Un'Europa efficiente sotto il profilo delle risorse e Una politica industriale per l'era della globalizzazione, previste nel quadro della strategia Europa 2020.

3.17

Il CESE parte dall'ipotesi secondo cui il prodotto interno lordo (PIL) non è perfettamente idoneo «a orientare le politiche necessarie per far fronte a tutte le sfide del XXI secolo» (8). In un suo parere raccomanda alla Commissione di introdurre nella strategia Europa 2020 alcune nuove misure, in modo da «disporre nel 2011 di un quadro che permetta di elaborare proposte chiare per azioni paragonabili su scala mondiale, da presentare al vertice mondiale per lo sviluppo sostenibile indetto dall'ONU per il 2012» (9).

3.18

Il CESE ha invitato a dare la priorità alla creazione di nuovi posti di lavoro nella strategia Europa 2020 (10).

3.19

Il CESE ha criticato la Commissione per non avere approfondito la sua analisi dei grandi temi del futuro, ossia «un'economia a basse emissioni di carbonio, la protezione della biodiversità, le risorse idriche e le altre risorse naturali, la promozione dell'inclusione sociale e il rafforzamento della dimensione internazionale dello sviluppo sostenibile» (11). Per raggiungere questi obiettivi, la strategia di sviluppo sostenibile dell'UE avrebbe bisogno di una «struttura di gestione interamente nuova» (12). Secondo il CESE, il progresso del benessere umano andrebbe misurato in maniera diversa rispetto al passato.

3.20

Infine, il CESE ha rammentato che i paesi industrializzati più sviluppati al mondo dovrebbero ridurre le loro emissioni di gas a effetto serra di almeno l'80 % entro il 2050.

Una nuova opportunità: la strategia Europa 2020

3.21

La strategia Europa 2020 dovrà rispondere al fallimento della strategia di Lisbona. Il 3 marzo 2010 la Commissione europea ha pubblicato una comunicazione (COM(2010) 2020 definitivo) che delinea questa nuova filosofia destinata a orientare l'evoluzione socioeconomica dell'UE. La Commissione dichiara di voler elaborare una strategia che trasformi l'UE in «un'economia intelligente, sostenibile e inclusiva caratterizzata da alti livelli di occupazione, produttività e coesione sociale». Il CESE prende atto che i superlativi utilizzati nel 2000 per la strategia precedente sono stati abbandonati. Secondo la Commissione, l'UE dovrebbe promuovere un'economia più verde che miri, fra le altre cose, a un tasso di investimenti in R&S pari al 3 % del PIL, a un tasso di occupazione delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni pari al 75 % e - il che è particolarmente importante ai fini del presente parere - a una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra almeno del 20 % rispetto ai livelli dell'anno di riferimento (1990). La Commissione auspica il miglioramento della qualità dell'istruzione al fine di realizzare una crescita intelligente basata su una maggiore competitività «nei confronti dei nostri principali partner commerciali mediante una produttività più elevata». L'UE deve conservare la sua posizione di leader sul mercato delle tecnologie verdi, «minacciata dai suoi principali concorrenti, in particolare la Cina e l'America settentrionale».

3.22

Le prime reazioni rivelano una certa delusione rispetto alle attese dei cittadini europei nei confronti dei loro governi e, per quanto attiene alle competenze e alle responsabilità di governance europea, nei confronti delle istituzioni dell'UE. Alcuni rappresentanti di gruppi politici del Parlamento europeo hanno definito la nuova strategia della Commissione «poco ambiziosa» e «insufficiente per rispondere alle sfide attuali e future».

3.23

Il CESE ritiene che occorra in particolare rafforzare il ruolo chiave delle PMI nella strategia Europa 2020, poiché le PMI sono responsabili della creazione del maggior numero di posti di lavoro in Europa e rappresentano incontestabilmente la forza motrice delle trasformazioni industriali. Il CESE invita quindi la Commissione europea a intensificare i suoi sforzi per l'applicazione di un sistema di tutela della proprietà intellettuale, da cui dovrebbero soprattutto trarre vantaggio le PMI, spesso prive dei mezzi necessari per proteggere le loro invenzioni.

3.24

Il CESE propone di rafforzare la cooperazione economica a livello europeo e di promuovere una nuova nozione comune del concetto di competitività. Solo così le trasformazioni industriali già in corso, necessarie per

ridurre le emissioni di gas a effetto serra,

utilizzare meglio le risorse naturali e

ottimizzare l'efficienza energetica,

possono creare più posti di lavoro di qualità negli Stati membri dell'UE, a condizione però che i sistemi di istruzione siano migliorati e gli investimenti nella ricerca aumentati.

4.   Come agevolare le trasformazioni industriali favorevoli agli obiettivi in materia di clima e di occupazione a livello di Unione europea?

4.1

L'UE ha bisogno di una governance economica rafforzata all'interno delle sue istituzioni (cioè di una riflessione sul trasferimento di sovranità alle istituzioni europee esistenti in alcuni settori della politica economica), a livello di Consiglio europeo o di Eurogruppo. Le conseguenze della crisi finanziaria mostrano che è necessario un maggiore coordinamento al fine di evitare distorsioni in seno al mercato interno e favorire trasformazioni industriali sostenibili in grado di rendere l'economia europea più verde e creare posti di lavoro sostenibili.

4.2

I posti di lavoro sostenibili hanno un futuro perché saranno favoriti da una serie di cambiamenti a livello mondiale, che porranno sfide da affrontare a livello dell'UE e non solo dei singoli Stati membri. Tali cambiamenti sono:

l'evoluzione demografica, che comporterà la sfida di nutrire un numero crescente di esseri umani (9 miliardi nel 2050),

l'espansione delle megalopoli, che comporterà enormi sfide ambientali, specialmente in Asia e in America Latina,

la scarsità di acqua potabile in numerosi paesi in via di sviluppo,

i cambiamenti climatici, che vanno combattuti riducendo le emissioni e soprattutto utilizzando l'energia in modo intelligente e sostenibile - sia le energie fossili, le cui riserve vanno diminuendo, che le energie alternative.

4.3

Ebbene, questi innegabili cambiamenti favoriscono la domanda di prodotti e tecnologie rispettosi dell'ambiente e, di conseguenza, l'emergere di un'industria moderna che promuova la creazione di posti di lavoro sostenibili. Questi ultimi, a loro volta, saranno equi e produttivi e garantiranno una transizione giusta e una forte competitività, svincolata peraltro da qualsiasi logica di crescita economica puramente quantitativa basata sulle industrie energivore, ma improntata al principio della sostenibilità. Ancora una volta, è evidente la necessità di un approccio strategico settoriale: sono soprattutto i settori industriali e tecnologici di base, come ad esempio l'edilizia, le bio e le nanotecnologie, ma anche le nuove tecnologie verdi, che possono moltiplicare l'effetto delle trasformazioni industriali nel senso di un'economia più umana e più verde.

4.4

Siffatte trasformazioni industriali contribuiscono altresì alla stabilità sociale e alla sicurezza internazionale, dato che gli effetti negativi dell'inquinamento, dei cambiamenti climatici, della scarsità di risorse e dell'aumento della popolazione mondiale rappresentano dei gravi rischi per la pace nel XXI secolo. Queste sfide sono di tale portata che le relative soluzioni non possono essere trovate sul piano nazionale, ma solo grazie a una stretta cooperazione internazionale e in seno all'UE. Lo spazio integrato dell'UE dovrà dotarsi degli strumenti politici e giuridici necessari per poter assolvere questo compito.

4.5

Una tale strategia in materia di occupazione promette incrementi di produttività e redditività a medio e a lungo termine. Essa può basarsi già oggi sul patrimonio di conoscenze e know-how sviluppato negli Stati membri dell'UE e sulla posizione di leader detenuta dall'UE sul mercato mondiale delle tecnologie verdi. L'UE deve sviluppare ulteriormente questi punti di forza fornendo orientamenti, mettendo a disposizione fondi europei e - con l'accordo delle parti sociali (in particolare con accordi a norma dell'articolo 155 TFUE) - adottando una normativa europea che prepari la transizione verso un'economia sostenibile e un mercato del lavoro caratterizzato da un basso tasso di disoccupazione e posti di lavoro di qualità. Un'economia verde che comporti un elevato livello di ricerca e di applicazione di nuove conoscenze dovrebbe ripercuotersi positivamente sul mercato del lavoro, creando più posti di lavoro qualificati e stabili e diminuendo il rischio di precarietà.

4.6

Queste conseguenze positive contribuirebbero anche a creare posti di lavoro di qualità anziché posti di lavoro atipici, quando non addirittura precari, come è successo in alcuni settori del mercato dei servizi. Posti di lavoro precari non favorirebbero certo lo sviluppo di una società della conoscenza, che è a sua volta una condizione di indubbio rilievo per un'economia competitiva e sostenibile. Al contrario, l'UE ha bisogno di posti di lavoro qualificati. Gli Stati membri dovrebbero quindi investire maggiori risorse nei loro sistemi di istruzione e di formazione continua. Il CESE ritiene del tutto insufficiente l'attuale livello di investimenti pubblici nell'istruzione, che dovrebbe inquadrarsi in una strategia coerente di apprendimento permanente.

4.7

È inoltre necessario ripensare, a livello europeo, il concetto di competitività. Al riguardo, nella sua comunicazione del 3 marzo 2010, la Commissione non si spinge sufficientemente in là. Per investire in nuove tecnologie ecologiche e fare un uso più consistente delle tecnologie esistenti bisogna compiere uno sforzo nell'immediato, uno sforzo che non si risolve necessariamente in un aumento della competitività a breve termine, bensì, eventualmente, in un suo incremento nel lungo periodo.

4.8

L'UE dovrebbe rivedere la sua concezione del ruolo che può svolgere il settore pubblico nella promozione, a livello dei singoli Stati membri, di nuove tecnologie e trasformazioni industriali nonché della creazione di posti di lavoro sostenibili. Il settore pubblico può avere la capacità necessaria per investire a lungo termine nella promozione di nuove tecnologie che, pur non essendo ancora redditizie, sono promettenti per il futuro, senza trascurare di promuovere le tecnologie esistenti dimostratesi efficaci. Il settore pubblico svolge un ruolo importante nel sostegno alla ricerca e per quanto riguarda l'utilizzo effettivo delle nuove tecnologie verdi e il miglioramento delle tecnologie verdi esistenti rivelatesi efficaci, soprattutto grazie ai suoi strumenti fiscali. Le autorità pubbliche dovrebbero innanzitutto assicurare gli investimenti più efficaci per ridurre il consumo di energia e la produzione di gas a effetto serra. Il fondo europeo di cui si propone la creazione qui di seguito potrebbe contribuire in questo senso.

4.9

L'esistenza di un settore pubblico sano e adeguatamente qualificato è quindi indispensabile per il progresso economico, sociale e ambientale: indebolire il settore pubblico privatizzando ogni attività economica non sempre gioverebbe all'interesse generale. Il settore pubblico, ovunque possibile in collaborazione con il settore privato, dovrebbe essere in grado di realizzare gli investimenti necessari nelle infrastrutture pubbliche al servizio dei cittadini e dell'industria europei. Vanno però evitate sovvenzioni di cui beneficerebbero soltanto alcune imprese, per non mettere in discussione il funzionamento del mercato. Gli Stati membri devono invece avvalersi di strumenti fiscali per facilitare le trasformazioni industriali verdi.

4.10

Inoltre, il CESE ritiene che la liberalizzazione dei mercati dell'energia non abbia finora contribuito né a migliorare la qualità dei servizi, né a ridurre i prezzi. Sussiste un rischio estremamente elevato di sottoinvestimenti nelle reti energetiche. Per garantire allo stesso tempo una concorrenza effettiva nell'interesse dei cittadini europei, il mantenimento della sicurezza dell'approvvigionamento e la realizzazione degli obiettivi climatici, occorrerà rivedere il quadro regolamentare dei mercati liberalizzati.

4.11

Il CESE propone di istituire un fondo europeo specifico per sostenere le trasformazioni industriali e in particolare la ricerca, lo sviluppo e l'applicazione delle tecnologie verdi, siano esse tecnologie nel campo delle energie rinnovabili oppure nuove tecnologie che consentono di ridurre efficacemente le emissioni.

4.12

Il CESE rammenta che l'UE avrà bisogno di una base industriale solida. Esso sottolinea che l'importanza socioeconomica dei settori industriali energivori differisce a seconda delle regioni europee. Pertanto le trasformazioni industriali devono avvenire in maniera graduale, in modo da permettere transizioni prive di ripercussioni negative sui mercati del lavoro delle regioni interessate. L'approvvigionamento energetico è una questione strategica per il futuro. Bisogna investire maggiormente in nuove tecnologie in grado di aumentare efficacemente la produttività rispetto all'energia utilizzata e nel contempo di ridurre le emissioni di gas a effetto serra. Quanto ai posti di lavoro nelle industrie energivore, essi possono essere resi sicuri proprio migliorando il bilancio energetico di tali industrie.

4.13

Il CESE raccomanda che nella riforma della politica agricola comune per il dopo 2013, che è già stata oggetto di un parere d'iniziativa che ha raccolto un vasto consenso, si faccia in modo di garantire uno sviluppo conforme all'importanza che riveste l'agricoltura per le zone rurali dell'UE (che rappresentano oltre l'80 % del suo territorio) e agli impegni internazionali assunti a favore dei paesi in via di sviluppo. Il processo di revisione dovrà contribuire a ottimizzare le sinergie necessarie e al tempo stesso dare impulso alle altre politiche europee nel settore della ricerca, delle nuove tecnologie e della modernizzazione dell'industria. Ciò vale soprattutto per i settori e le regioni particolarmente toccate dalle trasformazioni in corso, caratterizzate, cioè, dalla presenza di industrie energivore che devono investire in nuove tecnologie ecologiche per ridurre le loro emissioni al fine di proteggere i loro posti di lavoro.

4.14

Gli Stati membri devono trovare un accordo su un'imposta sulle transazioni finanziarie capace di attenuare gli effetti devastanti della speculazione, stabilizzando così il settore bancario e, nella zona dell'euro, rafforzando la moneta comune. Il gettito di tale imposta dovrebbe essere utilizzato per ridurre il deficit di bilancio pubblico degli Stati membri, il che darebbe loro maggiori possibilità di finanziare meglio, per esempio, i rispettivi sistemi di istruzione. Finanze pubbliche sane e mercati del lavoro caratterizzati da una manodopera qualificata costituiscono i presupposti per una transizione verde dell'industria europea.

4.15

Una siffatta rivoluzione industriale produce una serie di conseguenze sociali che saranno improntate alla logica della sostenibilità. Le trasformazioni industriali verso un'economia verde richiederanno una concezione completamente nuova della crescita. Oggi il benessere del cittadino si definisce in base alla sua capacità di consumare. Saremo in grado di ridefinire il benessere in modo che esso si caratterizzi per la salute fisica e psicologica, i diritti democratici e partecipativi, l'inclusione sociale (che si traduce soprattutto nell'inserimento nel mercato del lavoro, purché siano disponibili posti di lavoro di qualità), la disponibilità di energia e l'accesso ai beni pubblici così come ai servizi di interesse generale? È necessario comprendere che, per conseguire un progresso di questo tipo, occorrerebbe una nozione diversa della crescita, un funzionamento diverso dell'economia. Le quantità misurabili con il PIL non sono sufficienti per conseguirlo. Il CESE si è già pronunciato a favore di un nuovo approccio per misurare il progresso economico e sociale. Esso ribadisce ora la sua convinzione che le trasformazioni industriali e l'occupazione saranno compatibili con gli obiettivi di sostenibilità soltanto se l'UE e il resto del mondo riusciranno ad accordarsi su una nuova concezione della crescita. La proposta finale formulata dalla Commissione riguardo alla strategia Europa 2020 è insufficiente.

4.16

Il CESE è del parere che spetti alle istituzioni europee adoperarsi per garantire condizioni uniformi di concorrenza a livello mondiale, in modo da evitare delocalizzazioni - o addirittura lo smantellamento di interi settori - dannose per l'occupazione e per l'ambiente. L'Europa deve fungere da motore delle buone pratiche, ma al tempo stesso deve anche fare sì che esse divengano di applicazione mondiale in tempi ragionevolmente brevi, per evitare le conseguenze negative (anche per l'ambiente) causate da una loro applicazione solo in Europa.

4.17

In qualità di portavoce istituzionale della società civile europea e di importante sede del dialogo strutturato, il CESE si dichiara a favore della partecipazione democratica dei cittadini europei ai grandi dibattiti. L'UE ha bisogno di una strategia più coerente e vincolante di quella che conosciamo oggi con la denominazione di Europa 2020, una strategia che permetta una transizione giusta, equa e sostenibile verso un'economia verde basata su una concezione della crescita completamente nuova. E la nuova crescita di cui abbiamo bisogno in Europa, ma anche nel resto del mondo, sarà improntata alla sostenibilità e sarà quella della qualità della vita: una vita partecipativa e sana.

Bruxelles, 15 luglio 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Parere del CESE sul tema Come servirsi della flessicurezza ai fini delle ristrutturazioni, nel contesto dello sviluppo globale (GU C 318 del 23.12.2009, pag. 1).

(2)  GU C 10 del 14.1.2004, pag. 105 e GU C 318 del 23.12.2006, pag. 1.

(3)  GU C 65 del 17.3.2006, pag. 58.

(4)  GU C 185 dell'8.8.2006, pag. 62.

(5)  GU C 318 del 23.12.2006, pag. 1.

(6)  GU C 120 del 16.5.2008, pag. 57.

(7)  GU C 77 del 31.3.2009, pag. 88.

(8)  GU C 100 del 30.4.2009, pag. 53.

(9)  CESE 647/2010 - NAT/453 (non ancora pubblicato nella GU).

(10)  GU C 128 del 18.5.2010, pag. 3 (ECO/267) e GU C 100 del 30.4.2009, pag. 65 (CCMI/053).

(11)  GU C 128 del 18.5.2010, pag. 18.

(12)  Ibidem.


11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/47


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Verso una più ampia diffusione dei veicoli elettrici»

(parere esplorativo elaborato su richiesta della presidenza belga)

2011/C 44/08

Relatore: OSBORN

In data 9 febbraio 2010, la presidenza belga dell'UE ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema:

Verso una più ampia diffusione dei veicoli elettrici (parere esplorativo).

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o giugno 2010.

Alla sua 464a sessione plenaria, dei giorni 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 14 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 155 voti favorevoli, 2 voti contrari e 4 astensioni.

1.   Sintesi e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) appoggia fermamente le misure rivolte a una più ampia diffusione dei veicoli elettrici, e in particolare delle auto elettriche, in Europa. Il passaggio ai veicoli elettrici è urgente poiché contribuirà a ridurre sia le emissioni di gas a effetto serra prodotte dal settore dei trasporti sia la dipendenza dell'Europa dalle importazioni, sempre meno sicure, di petrolio.

1.2

Il CESE sostiene tutte le iniziative proposte dalla Commissione nella sua recente comunicazione in merito a una strategia europea per i veicoli puliti ed efficienti sul piano energetico. Raccomanda altresì che l'Unione europea e i suoi Stati membri adottino diverse altre misure al riguardo.

1.3

Per quanto riguarda gli aspetti tecnici, il CESE suggerisce una serie di priorità in materia di ricerca e sviluppo, di accelerazione dei programmi fondamentali di standardizzazione, di espansione dei programmi di qualifica e di formazione pertinenti, nonché di gestione e agevolazione dei cambiamenti nei modelli occupazionali del settore automobilistico e del suo indotto.

1.4

Il CESE sottolinea che il passaggio ai veicoli elettrici potrà consentire una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra soltanto se l'elettricità utilizzata per questi veicoli proverrà da fonti di energia a emissioni zero o a basse emissioni di carbonio. La transizione ai veicoli elettrici dovrà quindi essere accompagnata da un contemporaneo e ulteriore passo avanti verso una produzione di elettricità a basse emissioni di carbonio.

1.5

L'ampia diffusione dei veicoli elettrici e la forte capacità di immagazzinamento di elettricità rappresentata collettivamente dalle loro batterie potrebbero svolgere un ruolo significativo nel contribuire a ottimizzare l'equilibrio tra domanda e offerta nel sistema di fornitura di elettricità se nella gestione della rete e nell'infrastruttura di ricarica per i veicoli elettrici si introdurranno «tecnologie intelligenti». Il CESE riconosce che tutto ciò richiederà una complessa organizzazione, ma raccomanda di avviare con urgenza studi e progetti per cercare di trasformare questa possibilità in un'importante opportunità, vantaggiosa sia per il settore dei trasporti che per quello dell'approvvigionamento elettrico.

1.6

La transizione rapida ai veicoli elettrici nel settore delle automobili richiederà un grosso sforzo concertato da parte dell'industria automobilistica, dei nuovi fornitori di infrastrutture di ricarica, del settore pubblico chiamato a esercitare la funzione di regolamentazione, di definizione degli standard, di incentivazione e di educazione, nonché degli utenti di questa nuova tecnologia, in quanto consumatori intelligenti, interessati ma anche esigenti. Il CESE esorta l'Unione europea e i suoi Stati membri ad avviare un importante sforzo collettivo per promuovere e sostenere questa transizione fondamentale con tutti i mezzi in loro potere e per garantire che l'Europa non resti indietro rispetto alla concorrenza esterna in rapido sviluppo in questo settore chiave.

2.   Osservazioni generali

2.1

Il settore dei trasporti nel suo insieme fa ancora registrare, anno dopo anno, un continuo aumento delle emissioni di CO2, malgrado il progressivo miglioramento dei livelli di efficienza in tutti i tipi di trasporto. Se si vuole che i trasporti contribuiscano in maniera adeguata agli obiettivi di riduzione delle emissioni carboniche che l'Europa si è impegnata a raggiungere entro il 2050, non sarà sufficiente contare sui risparmi incrementali di energia realizzabili in ciascuna modalità di trasporto.

2.2

Nel campo dei trasporti stradali, le possibilità di migliorare il rendimento del motore a combustione interna in termini di emissioni carboniche sono soggette a fondamentali limiti fisici. A un certo punto, per ottenere ulteriori miglioramenti sarà necessario un cambiamento di fondo, ossia il passaggio a nuove fonti di energia a emissioni zero o a basse emissioni di carbonio.

2.3

Fra le diverse opzioni disponibili per raggiungere questo obiettivo, la più promettente appare quella di una transizione precoce nel settore delle automobili private che, passando dai veicoli ibridi, porti al più presto a sostituire l'intero parco auto con veicoli elettrici.

2.4

Le ragioni per procedere con la massima sollecitudine sono molteplici:

ridurre quanto prima le emissioni carboniche consentirà di ottenere migliori risultati in termini di attenuazione dei cambiamenti climatici e permetterà di evitare in futuro l'adozione di onerose misure di adattamento,

nelle prime fasi della transizione, i costi iniziali a carico tanto del settore privato (case automobilistiche, produttori di batterie, fornitori di infrastrutture ecc.) quanto di quello pubblico (ricerca e sviluppo, infrastrutture, incentivi economici ecc.) saranno notevoli, ma più rapido sarà il cambiamento e prima gli investimenti effettuati produrranno un ritorno economico,

i consumatori mostrano crescente interesse verso i veicoli a emissioni zero o a basse emissioni carboniche, i quali potrebbero offrire all'UE e ai suoi Stati membri una preziosa occasione per proporsi come i promotori di quella che potrebbe essere, se gestita correttamente, una transizione di grande successo, a condizione che questi nuovi veicoli possano eguagliare gli standard dei loro rivali tradizionali in termini di sicurezza, praticità, prestazioni, affidabilità, progettazione e prezzo,

i nostri maggiori concorrenti (gli Stati Uniti, il Giappone, la Cina e altri) stanno già effettuando notevoli investimenti nel campo dei veicoli elettrici e, se l'Europa non passa all'azione altrettanto rapidamente, potrebbero conquistare un enorme vantaggio iniziale e competitivo,

se l'Europa interviene con sufficiente rapidità per promuovere la diffusione dei veicoli elettrici nei paesi dell'UE, insieme ai necessari cambiamenti a livello di approvvigionamento elettrico e di sistema di rete, l'espansione di questi settori potrebbe dare notevole impulso alla crescita economica europea, alla creazione di posti di lavoro in Europa e all'aumento delle esportazioni europee. Al contrario, qualsiasi ritardo nel realizzare questa transizione potrebbe indebolire gravemente l'economia dell'UE.

2.5

In questo contesto, il CESE esprime apprezzamento per l'intensa attività attualmente svolta dalla Commissione, dal Consiglio e dagli Stati membri al fine di sostenere e accelerare la transizione verso i veicoli elettrici. Il Comitato raccomanda all'UE di adottare ulteriori misure lungo tre direttrici principali:

rafforzare il sostegno alla transizione tecnologica attraverso l'attività di R&S, i programmi di diffusione, l'istruzione e la formazione,

sostenere il necessario sviluppo parallelo del settore dell'elettricità, e in particolare lo sviluppo delle energie rinnovabili, l'espansione della rete e dell'infrastruttura pertinenti, e la standardizzazione dell'interfaccia tra i veicoli elettrici e i punti di ricarica di elettricità,

favorire la trasformazione del mercato attraverso incentivi adatti in modo da garantire che la domanda di veicoli proceda di pari passo con l'evoluzione della relativa offerta.

3.   Sostegno alla transizione tecnologica

3.1   Ricerca e sviluppo

3.1.1

Sul fronte degli investimenti in ricerca e sviluppo è necessario compiere uno sforzo importante per avvicinarsi all'obiettivo del 3 % del PIL e per destinare una quota maggiore dei programmi al sostegno della transizione verso l'economia a ridotte emissioni di carbonio. Il CESE si compiace dell'importanza attribuita in generale al potenziamento dell'attività di R&S dalla nuova strategia Europa 2020, nonché della particolare importanza accordata al sostegno della transizione verso un'economia più verde, e in special modo al passaggio ai veicoli a basse emissioni carboniche e a quelli elettrici. Particolare attenzione deve essere prestata:

all'ulteriore miglioramento della tecnologia delle batterie, in modo da ampliare l'autonomia dei veicoli elettrici e migliorare la robustezza e la resilienza dei sistemi scelti per renderli affidabili in qualsiasi condizione meteorologica e di guida,

a metodi alternativi di gestione della ricarica, in modo da ottimizzare quelli che alla fine saranno scelti per la standardizzazione,

a modi che consentano di coniugare la diffusione dei veicoli elettrici con l'espansione delle fonti rinnovabili o a basse emissioni carboniche per l'approvvigionamento di elettricità,

all'utilizzo di contatori «intelligenti» e di un sistema di rete progettato in modo nuovo per consentire di ricaricare le batterie in tempi ottimali dal punto di vista dell'equilibrio del carico sulle linee,

all'approvvigionamento mondiale di materiali che saranno necessari per la diffusione massiccia delle batterie, in particolare il litio e le terre rare, e a qualsiasi misura che potrebbe essere adottata per aumentare o rendere più sicure le fonti di approvvigionamento di questi materiali o per sostituirli con altri più largamente disponibili,

alle misure che dovrebbero essere adottate fin dall'inizio per promuovere il massimo riutilizzo dei materiali recuperabili dai veicoli a fine vita e dalle batterie esauste.

3.1.2

Bisogna accordare particolare attenzione ai progetti dimostrativi e ad altri programmi di diffusione. L'esperienza acquisita con le Piattaforme tecnologiche per l'energia deve essere estesa e sviluppata in programmi di diffusione proattivi per il lancio delle «auto ibride» e delle auto elettriche pure, nonché per l'infrastruttura di supporto di cui tali veicoli avranno bisogno. Occorre incoraggiare attivamente con incentivi adeguati i progetti dimostrativi (talora già in atto) nelle singole città e regioni europee che desiderano assumere un ruolo pilota in questa transizione. Bisogna inoltre ampliare il programma Civitas.

3.1.3

Il CESE esprime preoccupazione per il fatto che la tecnologia odierna delle batterie dipende fortemente da materiali (litio e terre rare) che al momento attuale sono prodotti principalmente o unicamente in Cina. Esorta quindi a compiere al più presto ricerche e rilevazioni geologiche per individuare fonti alternative di approvvigionamento di queste materie prime e per incoraggiare, laddove possibile, il riciclaggio di questi materiali.

3.2   Definizione degli standard normativi

3.2.1

In questo settore, gli standard normativi riguardanti i requisiti minimi di efficienza energetica per i prodotti e i servizi sono chiamati a svolgere un ruolo cruciale. L'UE ha già definito standard minimi per le emissioni di CO2 prodotte dagli autoveicoli, fissando un calendario per gli ulteriori miglioramenti che si renderanno necessari in futuro. Tuttavia, questi programmi devono essere resi più completi e porsi obiettivi più ambiziosi nel breve e nel più lungo periodo.

3.2.2

I limiti attuali di emissioni (stabiliti per il 2015) consentono un credito aggiuntivo ai veicoli a basse emissioni di carbonio o a quelli elettrici. Si tratta di un incentivo significativo che incoraggia le case produttrici europee ad accelerare lo sviluppo e il lancio della prima generazione di auto elettriche pure. Nel contempo, però, tale incentivo le dissuade dal perseguire nuovi miglioramenti per le auto a combustibile fossile. Forse in occasione della prossima revisione dei programmi di cui sopra si potrebbe fissare un obiettivo specifico a sé stante per l'espansione del parco veicoli elettrici, mentre i produttori dovrebbero anche essere obbligati a migliorare le prestazioni in termini di emissioni di CO2 dei loro veicoli a benzina e diesel, che continueranno inevitabilmente a rappresentare la gran parte del parco veicoli nei prossimi 20 anni.

3.2.3

È essenziale mantenere una pressione costante sull'industria europea affinché questa sia tra le prime del mondo nel settore dei veicoli elettrici e possa così continuare a detenere una posizione concorrenziale forte in un momento in cui l'intero mercato mondiale si muove in questa direzione. Tra gli operatori del settore automobilistico, i produttori di batterie e il settore della fornitura elettrica è in atto un'accesa concorrenza nello sviluppo delle tecnologie migliori ai prezzi più convenienti. La concorrenza rappresenta di per sé un potente fattore di innovazione e non andrebbe inibita.

3.2.4

D'altro canto, l'UE dovrà naturalmente promuovere alcuni elementi precoci di standardizzazione, in modo da garantire la sicurezza, l'affidabilità e la compatibilità, con particolare riguardo all'infrastruttura di supporto per la ricarica dei veicoli elettrici e ai sistemi di connessione nonché per quanto concerne i requisiti in materia di consumi elettrici e di configurazione delle batterie. Dato che il commercio di autovetture (nuove e di seconda mano) è intenso anche tra l'Europa e il resto del mondo, l'UE dovrebbe partecipare attivamente anche ai lavori volti a fissare norme internazionali in questo settore al fine di assicurare alla tecnologia dei veicoli elettrici la compatibilità su scala mondiale.

3.3   Istruzione, formazione professionale e tecnica

3.3.1

Il passaggio a un'industria automobilistica dominata dai veicoli elettrici comporterà un cambiamento dei modelli occupazionali in questo settore. Se si vuole conservare la produzione e i posti di lavoro nell'industria automobilistica europea e mantenere forti le esportazioni, è essenziale investire precocemente nella capacità produttiva di veicoli elettrici da parte dell'industria europea e varare programmi corrispondenti di formazione e riqualificazione per l'acquisizione delle nuove competenze che saranno necessarie in tutti i comparti del settore (progettazione, produzione, distribuzione, vendita, manutenzione, smaltimento ecc.).

3.3.2

Il CESE appoggia fermamente la proposta della Commissione di rilanciare il gruppo di alto livello CARS 21 con un più ampio coinvolgimento delle parti interessate per affrontare le barriere che ostacolano l'assorbimento delle nuove tecnologie da parte del mercato. Il CESE raccomanda di includere in questo quadro un gruppo di lavoro specifico dedicato alle questioni sociali e di adottare immediatamente misure volte a sviluppare e riorientare le strutture di formazione e istruzione del settore per soddisfare il fabbisogno di nuove competenze derivante dalla tecnologia dei veicoli elettrici.

4.   Trasformazione parallela dell'approvvigionamento elettrico e nessi con la decarbonizzazione della produzione di elettricità

4.1

Il passaggio ai veicoli elettrici creerà un aumento significativo della domanda di energia elettrica che, benché non molto elevato nei primi tempi, risulterà considerevole sul lungo termine. Se a questo aumento della domanda di energia elettrica si rispondesse costruendo nuove centrali elettriche a carbone di vecchio tipo, il guadagno in termini di riduzione delle emissioni di CO2 sarebbe nullo. Tali emissioni verrebbero semplicemente trasferite dalle automobili alle centrali elettriche. È dunque essenziale che la diffusione delle automobili elettriche avanzi di pari passo con l'ulteriore espansione della fornitura di energia a emissioni zero o a basse emissioni di CO2.

4.2

Parallelamente all'aumento della domanda di elettricità per i veicoli elettrici bisogna accelerare i programmi di espansione delle fonti di energia rinnovabili. Questa necessità dovrebbe essere tenuta presente nella prossima revisione degli obiettivi di espansione di tali fonti di energia.

4.3

In questo contesto, comincia a emergere una complementarità più sofisticata tra l'espansione della capacità totale delle batterie necessaria per i veicoli elettrici e la crescita della quota di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili.

4.4

Un grave problema per l'espansione delle fonti rinnovabili è la discontinuità del vento, dell'irradiazione solare, delle maree ecc. Per rispondere alla diversa variabilità che caratterizza la domanda di elettricità, occorrerà probabilmente potenziare i sistemi di stoccaggio dell'energia. Le batterie dovranno essere nell'automobile soltanto per il tempo limitato nel quale il veicolo sarà effettivamente guidato. Tra un periodo di guida e l'altro esse dovranno essere ricaricate, ma potrebbero anche fungere da riserva di energia capace di alimentare la rete di distribuzione quando l'apporto delle fonti rinnovabili è insufficiente. Far corrispondere in tal modo un'offerta e una domanda siffatte rappresenta una sfida tecnica e logistica enorme. Tuttavia, questa possibilità diventerà più attuabile man mano che si svilupperà una rete interconnessa «intelligente». Il CESE esorta la Commissione ad avviare urgentemente gli studi necessari e a garantire che l'infrastruttura di ricarica sviluppata per i veicoli elettrici sia resa sufficientemente «intelligente» fin dall'inizio, in modo da consentire di raggiungere questa complementarità con la fornitura di energia da fonti rinnovabili.

4.5

Lo sviluppo delle infrastrutture di ricarica e/o sostituzione delle batterie richiederà notevoli investimenti. Impianti di ricarica dovranno essere resi ampiamente disponibili, ad esempio nelle aree di parcheggio, presso il domicilio degli utenti, sul posto di lavoro, nei centri commerciali, nelle stazioni di servizio, in altri luoghi pubblici e lungo le strade. Il settore pubblico dovrà creare un quadro normativo che assicuri un ritorno ragionevole a coloro che effettueranno questi investimenti in infrastrutture, impedendo al tempo stesso che vengano applicate tariffe eccessive. Il CESE invita la Commissione a studiare con urgenza un quadro normativo appropriato che favorisca gli investimenti necessari in queste infrastrutture. In tale contesto il Comitato condivide le conclusioni del Consiglio Competitività del 26 maggio 2010 che invitano a sviluppare rapidamente una normativa europea per i veicoli elettrici volta ad accelerare la loro diffusione.

5.   I consumatori e il mercato

5.1

I cittadini europei sono sempre più consapevoli che l'epoca del petrolio abbondante e a buon mercato sta per finire. Essi si stanno rendendo conto che in molte parti del mondo il petrolio è ormai sempre più difficile da trovare e da estrarre, e che la concorrenza delle economie emergenti per le riserve disponibili si fa sempre più accesa. Malgrado un certo scetticismo, cresce anche la consapevolezza che sia necessario ridurre le emissioni di CO2 per evitare gli effetti negativi dei cambiamenti climatici e che il settore dei trasporti debba fare la sua parte per raggiungere questo obiettivo. Nei diversi Stati membri, i governi hanno, sia pure in varia misura, rafforzato ulteriormente questi messaggi, tassando i prodotti petroliferi, differenziando la tassazione sugli autoveicoli in modo da favorire quelli più piccoli e con minori emissioni di CO2 rispetto a quelli che consumano di più, e, in alcuni casi, acquistando auto ibride e prototipi elettrici per il loro parco veicoli.

5.2

Negli ultimi anni, questa presa di coscienza generale ha prodotto un certo riorientamento del mercato. Le preferenze dei consumatori si sono indirizzate in misura significativa verso veicoli più piccoli, con minori emissioni di CO2, a scapito dei modelli più grandi e più inquinanti. I veicoli ibridi finora introdotti hanno fatto registrare una certa domanda, specie negli Stati membri che l'hanno incoraggiata con incentivi fiscali. In genere, tuttavia, i consumatori tendono a essere cauti verso le ultime innovazioni in questo settore e avranno probabilmente bisogno di rassicurazione e di incentivi per compiere un passo decisivo verso la prossima generazione di veicoli elettrici ibridi e di veicoli elettrici puri, man mano che questi saranno disponibili.

5.3

Anche da parte dei produttori e dell'industria petrolifera si osserva cautela verso un possibile passaggio ai veicoli elettrici. Questi soggetti devono essere convinti che imboccare questa strada è l'unica opzione possibile e che l'Unione europea ha la ferma volontà politica di guidare e accelerare questa transizione: solo in tal modo essi impiegheranno tutte le loro risorse e le loro competenze per realizzare il cambiamento e per «venderlo» ai consumatori. L'UE e i suoi Stati membri devono far capire molto chiaramente alle loro industrie la necessità e l'urgenza di questa transizione, senza dare ascolto alle richieste specifiche di alcune delle imprese più lente volte a rallentare il progresso generale, con l'unico risultato che l'intero settore verrebbe sorpassato da imprese più dinamiche operanti in altre parti del mondo e subirebbe una perdita permanente in termini di quota di mercato e di influenza sull'evoluzione degli standard in tutto il mondo.

5.4

Per riuscire a passare alla fase successiva, ossia conquistare la fiducia dei consumatori e creare la domanda, occorre rispondere a diverse esigenze dei consumatori, sintetizzabili nei seguenti aspetti principali: sicurezza, affidabilità, prestazioni e progettazione, autonomia e flessibilità, comodità di ricarica, prezzo di acquisto e costi di esercizio. (È inoltre abbastanza diffuso il timore che i veicoli elettrici, quando circolano sulle strade, possano essere pericolosamente silenziosi: se così fosse, si potrebbe dover imporre una soglia minima di rumore che renda udibile l'approssimarsi di un veicolo per pedoni o altri utenti della strada.)

5.5

Sarà fondamentale che i veicoli elettrici siano sicuri almeno quanto quelli convenzionali (tanto in normali condizioni di guida quanto in caso di incidente), sia in termini di rilevazioni statistiche oggettive che di sicurezza percepita. Inoltre, i sistemi di ricarica, e in particolare tutti gli impianti di ricarica accessibili al pubblico, dovranno essere protetti da manomissioni e frodi. Questi criteri dovrebbero essere integrati in tutti i requisiti normativi di sicurezza che dovranno essere imposti ai veicoli elettrici.

5.6

I veicoli elettrici dovranno essere affidabili in qualsiasi situazione e in qualsiasi condizione meteorologica. Se le batterie si scaricano facilmente o se determinate condizioni meteorologiche riducono notevolmente le prestazioni o l'autonomia, il pubblico sarà facilmente scoraggiato. Sarebbe opportuno inserire nel quadro normativo precisi requisiti di durata e di affidabilità.

5.7

Le prestazioni dei veicoli elettrici dovrebbero essere almeno pari a quelle di una familiare di media cilindrata, dato che questo è il tipo di automobile al quale la maggior parte della popolazione è abituata. Analogamente, sarà importante che i veicoli elettrici siano progettati e configurati in maniera tale che il pubblico non li trovi meno attraenti dei migliori modelli con motore a combustione interna. Sarà naturalmente l'industria automobilistica a dover vincere questa sfida, e un intervento normativo in questo ambito non sarà necessario, a condizione che l'industria stessa sia adeguatamente motivata (e se necessario incentivata) a voler accelerare il cambiamento.

5.8

L'aspetto dell'autonomia è strettamente collegato ai sistemi di ricarica. Se la ricarica richiede diverse ore di sosta presso la stazione di servizio o nei punti di ricarica lungo la strada, è probabile che i consumatori vogliano poter contare su una notevole autonomia dopo ogni singola ricarica. La maggior parte delle persone nel corso di un giorno lavorativo normale percorre solo distanze brevi, ma ciò non toglie che si aspetti un'autonomia maggiore per le occasioni in cui deve effettuare viaggi più lunghi, senza essere costretta a compiere soste di ore per la ricarica. Può accadere che le batterie si scarichino quando il veicolo non è in prossimità di un punto di ricarica. Perciò bisognerà prevedere dei sistemi per la ricarica di emergenza a bordo strada o per la sostituzione delle batterie.

5.9

La tecnologia sembra ormai iniziare a consentire tempi di ricarica più rapidi; tuttavia, se non si riuscirà a ridurre la durata della ricarica a un tempo pressappoco uguale a quello necessario per fare un pieno di benzina, le persone molto occupate non saranno disposte a sopportare lunghe attese. Il Comitato ritiene che i produttori dovrebbero cercare di accrescere al più presto l'autonomia disponibile, portandola a 300 km, se vogliono assicurarsi una quota consistente di mercato. Gli sforzi in materia di ricerca e sviluppo dovrebbero essere concentrati in particolare su questo obiettivo.

5.10

Se, come è probabile, occorreranno diversi anni prima che sia possibile ottenere una tale autonomia, il CESE raccomanda di prestare grande attenzione a integrare i sistemi di ricarica con attrezzature di sostituzione rapida (in 2-3 minuti) dell'intera batteria presso le stazioni di servizio (o, in caso di emergenza, a bordo strada). Al CESE risulta che alcuni primi progetti sperimentali si stiano muovendo in questa direzione. Per facilitare lo sviluppo di un'infrastruttura di questo tipo per il cambio delle batterie, il CESE raccomanda alla Commissione di prestare fin d'ora attenzione alla possibilità di addivenire a una standardizzazione precoce della configurazione e delle caratteristiche del pacco batterie nonché delle modalità atte a consentirne un'agevole rimozione e sostituzione. Il cambio delle batterie sarebbe inoltre reso più facile se il pacco batterie, anziché essere acquistato, fosse preso a noleggio da un'impresa specializzata che si occupa delle operazioni di sostituzione. Un sistema siffatto abbasserebbe il costo iniziale dei veicoli elettrici; tuttavia, potrebbe essere necessario instaurare un quadro normativo che garantisca il rispetto di tariffe eque e di buoni standard operativi da parte di tali imprese.

5.11

Laddove si debba ricorrere alla ricarica, è fondamentale che questa sia resa disponibile rapidamente in un'ampia rete di punti di rifornimento. Oltre agli impianti presso il domicilio degli utenti, i punti di ricarica dovranno essere disponibili nei parcheggi (pubblici e privati, sul posto di lavoro, nei centri commerciali ecc.) e nelle aree di sosta lungo le strade. Per rendere gestibile questo programma, potrebbe essere necessario concentrare i primi sforzi di introduzione del nuovo sistema su determinate zone geografiche. Potrebbe essere utile realizzare progetti pilota in diversi contesti, come le isole, le grandi città e i loro hinterland regionali, i centri urbani minori, le zone rurali ecc., in modo da stabilire quali siano le modalità di supporto operativo e infrastrutturale fondamentali. Ovunque saranno introdotti i veicoli elettrici, è essenziale creare fin dall'inizio una rete adeguata di impianti di ricarica. La nuova tecnologia dovrà essere supportata adeguatamente fin da subito da un'ampia diffusione delle attrezzature di ricarica e di sostituzione delle batterie, altrimenti perderà ben presto il favore dei consumatori.

5.12

Agli enti regionali e locali, compresi i comuni, spetterà un ruolo cruciale nel promuovere la diffusione dei veicoli elettrici nei rispettivi territori. Essi possono contribuire a individuare i luoghi adatti per gli impianti di ricarica e di sostituzione delle batterie, e inoltre potrebbero riservare ai veicoli elettrici un trattamento preferenziale, nei parcheggi o nelle corsie riservate, nonché svolgere un ruolo importante nel pubblicizzare e incoraggiare il passaggio ai veicoli elettrici. Tali enti potrebbero recare un utile contributo anche impiegando veicoli elettrici per il trasporto di persone con mobilità ridotta, per la pulizia delle strade ecc., dato che molte di queste attività comportano solo spostamenti di breve distanza all'interno del territorio locale.

5.13

Il prezzo di acquisto e i costi di esercizio saranno naturalmente aspetti determinanti. Il modo in cui, in molti paesi, è avvenuto il passaggio dalla benzina al piombo a quella senza piombo è un esempio eloquente: per qualche tempo i consumatori si sono mostrati restii ad adeguarsi a questo cambiamento; ma, non appena i governi hanno fatto ricorso a differenziali fiscali per favorire la benzina senza piombo, la loro resistenza è venuta meno e il cambiamento si è realizzato agevolmente e rapidamente.

5.14

Analogamente, per incoraggiare l'accettazione dei veicoli elettrici sarà necessario quantomeno eliminare qualsiasi vantaggio offerto in termini di costo dai veicoli a benzina o a gasolio, introducendo regimi fiscali differenziali adatti, e probabilmente anche favorire nei primi anni i veicoli elettrici per consentire al relativo mercato di decollare. In linea di principio, i veicoli elettrici dovrebbero essere più economici da utilizzare grazie alla maggiore efficienza del motore elettrico. Ma naturalmente molto dipenderà dalla struttura delle tariffe elettriche e dalla possibilità di integrare la ricarica delle batterie in un sistema «intelligente» capace di equilibrare i carichi a una tariffa preferenziale. Il CESE raccomanda di effettuare al più presto studi econometrici sulle diverse opzioni possibili al riguardo. Poiché il passaggio a un veicolo elettrico rappresenta un grande passo per il consumatore, potrebbe essere necessario introdurre un forte incentivo in tal senso, soprattutto nei primi anni di questa transizione (ad esempio tramite un forte differenziale fiscale all'atto dell'acquisto, tale da favorire i veicoli elettrici rispetto a quelli con motore a combustione interna).

5.15

Oltre agli incentivi tariffari, i governi e gli enti locali devono esplorare altre forme di stimolo che potrebbero favorire la transizione, come la creazione di corsie o zone riservate e di aree di parcheggio preferenziali per i veicoli elettrici. Questi ultimi saranno chiaramente meno inquinanti dei veicoli con motore a combustione interna, e alcuni modelli potrebbero anche contribuire a ridurre la congestione del traffico (ad esempio i veicoli elettrici più piccoli adibiti ad usi particolari).

5.16

Oltre alle iniziative volte a garantire che i veicoli elettrici possano essere commercializzati a prezzi competitivi, sarà importante adottare anche misure tese a sensibilizzare maggiormente i consumatori riguardo all'impronta di carbonio derivante dalle loro decisioni di trasporto e alla misura in cui potranno migliorarla passando ai veicoli elettrici.

5.17

Queste informazioni dovrebbero essere basate su una valutazione di impatto riferita all'intero ciclo di vita delle loro automobili e di altri modi di trasporto. Tuttavia, anche se si tiene conto dell'intero ciclo di vita, il passaggio all'automobile elettrica sarà probabilmente una delle decisioni più importanti che un individuo potrà prendere per ridurre la sua impronta di carbonio. Ma, per poter compiere una valutazione corretta, egli deve disporre delle giuste informazioni.

5.18

Inizialmente, sarà probabilmente più facile penetrare in alcuni settori del mercato che in altri. Tenuto conto dei limiti di autonomia e dei tempi di ricarica attuali, almeno in un primo tempo i veicoli elettrici saranno più adatti per i tragitti brevi (urbani o locali) e saranno invece meno indicati per gli spostamenti su distanze più lunghe. Analogamente, gli impianti di ricarica saranno più facili da installare negli edifici dotati di garage o almeno di aree di parcheggio private per le automobili dei residenti. I primi sforzi di commercializzazione potrebbero dunque concentrarsi sulle famiglie che, disponendo di tali strutture, potrebbero prendere in considerazione la possibilità di acquistare un veicolo elettrico come seconda auto (utilitaria) da usare per gli spostamenti locali, mantenendo un'automobile (più grande) con motore a combustione interna o ibrido per i viaggi più lunghi e con maggiore carico. Anche per queste forme di utilizzo, i risultati delle ricerche sembrano indicare che i limiti di autonomia e i lunghi tempi di ricarica potrebbero scoraggiare, almeno inizialmente, il passaggio ai veicoli elettrici. Pertanto, onde evitare che questi veicoli rimangano confinati a poche nicchie ristrette di mercato, sarà importante elaborare fin dall'inizio una visione a più lungo termine di una transizione più completa che renda i veicoli elettrici un'opzione davvero interessante per tutti gli utenti e per tutti i tipi di spostamenti.

5.19

I programmi di appalti pubblici possono rappresentare uno strumento straordinariamente potente per promuovere il miglioramento degli standard in settori chiave dell'industria. Il settore pubblico è un acquirente importante di automobili e di altri veicoli, e l'esempio dato da questo settore può esercitare un'ulteriore influenza sulle decisioni di acquisto degli altri utenti. È dunque importante che i governi e gli altri organismi del settore pubblico, come gli enti regionali e locali di tutta Europa, si impegnino al più presto ad acquistare automobili e altri veicoli elettrici, in modo da dare un primo impulso al mercato di questi veicoli e portare rapidamente i volumi di produzione verso la massa critica necessaria per la convenienza economica. Le istituzioni dell'Unione europea potrebbero dare l'esempio con le loro decisioni di acquisto e potrebbero avviare un dibattito e iniziative a livello europeo per promuovere la rapida diffusione dei veicoli elettrici. I responsabili politici e altre personalità pubbliche di rilievo potrebbero diffondere il messaggio cominciando al più presto a utilizzare essi stessi veicoli elettrici.

5.20

Secondo le stime, quasi il 50 % delle automobili acquistate in Europa è acquistato nel quadro di programmi gestiti o sostenuti dalle imprese per i loro dipendenti. Sarebbe opportuno introdurre un'adeguata differenziazione fiscale che incentivi le imprese a preferire, nell'ambito di tali programmi, automobili a basse emissioni di CO2 o auto elettriche pure.

6.   Altri veicoli e altre forme di trasporto

6.1

Nel presente parere l'attenzione è stata concentrata principalmente sulle autovetture private e sulle misure che l'Europa deve adottare oggi per accelerare in futuro il passaggio alle automobili elettriche. Questo rappresenta l'obiettivo di più facile portata nel più vasto programma di decarbonizzazione dei trasporti.

6.2

Naturalmente, però, il margine di manovra per l'elettrificazione non si esaurisce qui. I responsabili politici e le imprese devono essere consapevoli del potenziale di ulteriore elettrificazione dell'intera gamma di trasporti di superficie e marittimi, dai veicoli monoposto di piccolissime dimensioni a quelli più grandi del servizio pubblico, fino alle ferrovie, ai tram, ai filobus e a tutto il settore del trasporto merci. Inoltre, man mano che si diffonde l'elettrificazione del sistema dei trasporti, potrebbero comparire nuovi modelli di mobilità facilitati dalle particolari caratteristiche dell'energia elettrica, della tecnologia delle batterie e dei sistemi «intelligenti» di rete e di gestione del traffico. Anche a questo proposito il CESE incoraggia la Commissione e i responsabili politici a essere particolarmente vigili e attenti alle idee migliori che hanno bisogno di essere incoraggiate.

Bruxelles, 14 luglio 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/53


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «La povertà energetica nel contesto della liberalizzazione e della crisi economica» (parere esplorativo)

2011/C 44/09

Relatore generale: Sergio SANTILLÁN CABEZA

Il governo belga, in data 9 febbraio 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare, nel quadro della sua prossima presidenza del Consiglio dell'UE, il Comitato economico e sociale europeo sul tema:

La povertà energetica nel contesto della liberalizzazione e della crisi economica

(parere esplorativo).

L'Ufficio di presidenza del Comitato, in data 16 febbraio 2010, ha incaricato la sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 464a sessione plenaria dei giorni 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 14 luglio), ha nominato relatore generale Sergio SANTILLÁN CABEZA e ha adottato il seguente parere con 124 voti favorevoli e 6 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

I prezzi dell'elettricità, del gas e di altri combustibili, come il carbone, continuano ad aumentare e sembra che tale tendenza si manterrà nei prossimi anni, ragion per cui, qualora non si agisca in modo rapido ed efficace, il numero dei consumatori di energia vulnerabili crescerà anch'esso in modo considerevole. Non rientra nell'oggetto del presente parere effettuare una valutazione delle cause che influiscono sull'incremento dei prezzi energetici, ma va qui sottolineata l'esigenza di proteggere i consumatori vulnerabili per evitare situazioni di povertà energetica.

1.2

La lotta contro la povertà energetica è una nuova priorità sociale che deve essere affrontata a tutti i livelli. È importante che l'UE definisca degli orientamenti comuni in modo che tutti gli Stati membri seguano lo stesso percorso per eliminarla. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE9 sottolinea il lavoro svolto dall'UE negli ultimi anni per proteggere gli utenti vulnerabili. Nondimeno, numerosi Stati membri continuano a non far fronte ai propri obblighi, ragion per cui l'UE dovrebbe intervenire, in base al principio di sussidiarietà sancito dall'articolo 5 del Trattato CE, allorché gli Stati membri non provvedono agli interventi previsti.

1.3

La questione della povertà energetica riguarda il settore energetico, ma si ripercuote su altri settori, come per esempio quello della salute, quello del consumo e quello dell'alloggio.

1.4

Il CESE raccomanda che l'UE adotti una definizione comune e generale della povertà energetica, che possa poi essere adottata da ciascuno Stato membro. Una opzione consisterebbe nel definire la povertà energetica come la difficoltà o l'incapacità di mantenere il proprio alloggio a una temperatura adeguata e di disporre di altri servizi energetici essenziali a un prezzo ragionevole. Si tratta di una definizione di carattere generale, che può essere integrata utilizzando anche altri criteri, che permettano di attualizzare il concetto secondo l'evoluzione della società. Ciò permetterebbe di quantificare e di affrontare in maniera più rigorosa la povertà energetica.

1.5

Il CESE ritiene necessario armonizzare le statistiche, in modo da ottenere un'immagine quanto più possibile esatta della situazione della povertà energetica in Europa. A tal fine raccomanda di fare in modo che Eurostat e gli istituti statistici degli Stati membri adottino metodologie omogenee per poter quantificare la portata del problema.

1.6

Senza pregiudizio del Forum dei cittadini per l'energia (Londra), il CESE ritiene opportuno istituire un osservatorio europeo della povertà energetica, che potrebbe collocarsi all'interno di una struttura esistente come l'Agenzia di cooperazione delle autorità di regolamentazione dell'energia, o un altro organismo che consenta di coinvolgere tutti gli attori economici e sociali che si occupino direttamente o indirettamente della questione della povertà energetica, ad esempio i fornitori di energia, i consumatori, le associazioni dei settori della salute e dell'ambiente, i sindacati, le associazioni del settore energetico e dell'edilizia e altri ancora. Tale organismo sarebbe molto utile per individuare le buone pratiche in uso negli Stati membri, per valutare nuovi meccanismi intesi ad affrontare la povertà energetica o per promuovere la realizzazione di un bilancio oggettivo e rigoroso degli effetti della liberalizzazione dei mercati energetici sui consumatori vulnerabili.

1.7

Il CESE raccomanda di tener conto della questione della povertà energetica in qualsiasi proposta in materia di politica energetica.

1.8

Il CESE osserva che le innovazioni tecnologiche atte ad ottimizzare l'uso dell'energia devono essere alla portata dei consumatori vulnerabili, che sono quelli che ne hanno maggior bisogno.

1.9

Va sottolineato che è importante attuare le misure già approvate in materia di rendimento energetico degli edifici, nel caso specifico, degli alloggi privati. Date le difficoltà in cui possono trovarsi le persone di risorse modeste, gli Stati membri devono prendere in considerazione l'attuazione di misure di sostegno in funzione delle loro possibilità.

1.10

La produzione decentrata di energia può contribuire in determinati casi alle finalità esposte nel presente parere (cfr. il punto 6.8).

2.   Povertà energetica nell'UE

2.1

Il benessere delle persone e dei popoli è legato all'utilizzazione e alla disponibilità di energia. Caratterizzata da innumerevoli applicazioni, l'energia è indispensabile tra l'altro per la mobilità, la climatizzazione o l'illuminazione in settori quali l'industria, la sanità, l'agricoltura, e anche per le utenze domestiche e le attività ricreative.

2.2

Il concetto di povertà energetica può quindi essere considerato in un'ottica sia macroeconomica che microeconomica. Una adeguata disponibilità di energia di buona qualità per l'industria, l'agricoltura e i rimanenti settori è essenziale per la prosperità e la competitività di un paese; inversamente la carenza di energia può condurre alla crisi economica, alla disoccupazione e alla povertà in generale. Il presente parere si concentra tuttavia innanzi tutto sulla povertà energetica che interessa le utenze domestiche.

2.3

La povertà energetica consiste nella difficoltà o nell'impossibilità di mantenere nel proprio alloggio la temperatura adeguata (come riferimento si potrebbe tenere conto della definizione fornita dall'Organizzazione mondiale della sanità, secondo cui la temperatura adeguata è di 21 ° centigradi nel soggiorno e di 18 ° nelle altre stanze, oppure qualsiasi altra definizione che si reputi tecnicamente adeguata) e di disporre di altri servizi energetici essenziali come l'illuminazione, i trasporti o l'elettricità per Internet o altri dispositivi a un prezzo ragionevole. Si tratta di una definizione di carattere generale, che può essere integrata utilizzando altri criteri, che consentano di attualizzare il concetto quando sia necessario.

2.4

La povertà energetica non è un fenomeno facilmente quantificabile, sebbene si possa misurare in base a variabili come la percentuale della popolazione che non riesce a mantenere il proprio alloggio a una temperatura adeguata (21 % nell'UE-27, Eurostat), la percentuale della popolazione che è in ritardo nel pagamento delle fatture energetiche (7 % nell'UE-27 nel 2007), la quota di appartamenti che presentano infiltrazioni, crepe o altri problemi strutturali (18 % nell'UE-25 nel 2007, EU-SILC Survey 2007). Sebbene la mancanza di statistiche e di studi pertinenti impedisca di ottenere dati affidabili in merito al numero di persone coinvolte, da un raffronto delle variabili note e dagli studi pubblicati si può concludere che almeno 50 milioni di persone in Europa sono vittime della povertà energetica (Tackling Fuel Poverty in Europe. Recommendations Guide for Policy Makers, www.fuel-poverty.org). Nondimeno, secondo alcune stime, tale cifra è sensibilmente più elevata.

2.5

Alla difficoltà di quantificare la portata del problema si aggiungono le contraddizioni esistenti tra i dati statistici a livello europeo e quelli nazionali. Ad esempio, dai dati EU-SILC risulta che la percentuale di cittadini del Regno Unito in ritardo col pagamento delle fatture energetiche ammonta allo 0 % laddove secondo il regolatore nazionale dell'energia (OFGEM) tale cifra è pari al 5 % (www.fuel-poverty.org).

2.6

Il numero di famiglie che si trovano in una situazione di povertà energetica in Europa potrebbe aumentare per le seguenti ragioni:

circa il 16 % degli europei è esposto al rischio di povertà (Commissione europea: Relazione congiunta per il 2009 sulla protezione e sull'inclusione sociale),

tra il 2005 e il 2007 il prezzo del gas per le utenze domestiche è aumentato mediamente del 18 % (Eurostat, 2007),

nello stesso arco di tempo il prezzo dell'elettricità per le utenze domestiche è aumentato mediamente del 14 % (EU-SILC Survey, 2007),

oltre il 60 % degli appartamenti esistenti nell'UE è stato costruito senza rispettare i criteri di regolazione termica.

2.7

La povertà energetica deriva dalla combinazione di tre fattori: reddito basso, qualità inadeguata degli edifici e prezzi energetici elevati.

2.8

Tra le possibili conseguenze della situazione di povertà energetica si segnalano, a titolo di esempio, problemi di salute, sospensione della fornitura da parte delle imprese erogatrici, livello di utilizzazione dell'energia inferiore agli standard di comfort e accumulo di debiti.

2.9

I gruppi sociali più vulnerabili sono quelli che hanno i redditi più modesti, ad esempio le persone con più di 65 anni, le famiglie monoparentali, i disoccupati o i percettori di prestazioni sociali agevolate. Per di più nella maggior parte dei casi si verifica che le persone con redditi bassi vivono in edifici con un isolamento termico inadeguato (Housing Quality Deficiencies and the Link to Income in the EU. Orsolya Lelkes. European Centre for Social Welfare Policy and Research, Vienna, marzo 2010), cosa che acuisce la situazione di povertà energetica.

2.10

Alcuni Stati membri hanno già adottato misure (cfr. la relazione del gruppo di lavoro EPEE Good practices experienced in Belgium, Spain, France, Italy and United Kingdom to tackle fuel poverty) intese a prevenire situazioni di povertà energetica. La maggior parte di queste buone pratiche interviene sulle cause, tra l'altro nei seguenti modi:

prezzi dell'energia (per esempio attraverso le tariffe sociali),

qualità degli edifici (per esempio promuovendo il miglioramento dell'efficienza energetica delle case popolari o degli alloggi privati),

livelli bassi di reddito (per esempio tramite aiuti economici).

Alcuni Stati membri hanno inoltre adottato misure correttive rivolte a ridurre le conseguenze della povertà energetica, ad esempio il divieto di sospendere la fornitura alle famiglie vulnerabili durante periodi critici.

2.11

Il miglioramento dell'efficienza energetica nell'edilizia costituisce un aspetto essenziale per ovviare alla povertà energetica. La proposta di rifusione della direttiva sul rendimento energetico nell'edilizia (COM(2008) 780 definitivo) può costituire un'opportunità.

3.   La crisi economica si traduce in 23 milioni di disoccupati

3.1

L'economia europea sta soffrendo la recessione più grave dal 1930. Nel 2009 il PIL dell'UE-27 ha registrato un calo del 4,2 % rispetto al 2008, anno che già aveva segnato una crescita moderata (+0,8 %). Si registra un forte incremento della disoccupazione. Nel gennaio del 2010 era senza lavoro il 9,5 % della popolazione attiva (1,5 % in più che nello stesso mese dell'anno precedente), ossia 22 979 000 persone. I tassi di disoccupazione minori sono fatti segnare dai Paesi Bassi (4,2 %) e dall'Austria (5,3 %); mentre i più elevati sono stati registrati in Lituania (22,9 %) e in Spagna (18,8 %) (Eurostat).

3.2

Il piano europeo di ripresa economica, varato alla fine del 2008, non ha dato i risultati sperati. Se i dati attuali sono preoccupanti, anche i pronostici per il futuro elaborati sinora (compreso quello della Commissione) prevedono una ripresa «fragile» per i prossimi mesi. Gli stimoli fiscali concessi, di ammontare pari al 5 % del PIL dell'UE-27, non sono sufficienti e manca una strategia adeguatamente coordinata per uscire dalla crisi.

3.3

La crisi economica e finanziaria iniziata nel 2007 si è prodotta in un contesto di stagnazione o di riduzione delle retribuzioni dei lavoratori europei. D'altra parte le misure economiche che vengono proposte in alcuni Stati membri per ridurre l'indebitamento elevato e il deficit pubblico si ripercuotono sulle prestazioni sociali (pensioni, indennità di disoccupazione) e sui servizi pubblici.

3.4

Tutto ciò crea un panorama preoccupante per le famiglie più vulnerabili in un contesto di costi energetici crescenti.

4.   La politica energetica dell'UE

4.1

La volontà di liberalizzare il mercato dell'energia ha costituito una delle principali politiche dell'UE negli ultimi due decenni. Dopo il Consiglio Energia del giugno 1987, che ha avviato tale processo, le prime direttive in materia di liberalizzazione dei mercati del gas e dell'elettricità sono state varate alla fine degli anni '90; da allora sono stati effettuati numerosi interventi in questo senso.

4.2

In termini generali gli obiettivi dichiarati del processo di liberalizzazione consistevano nel rendere più efficiente il settore energetico e più competitiva l'economia europea. Però non è stato raggiunto un accordo pieno tra tutti gli Stati membri in merito alle misure e, di fatto, sussiste una forte resistenza di alcuni Stati membri all'applicazione delle politiche in questo campo.

4.3

Attualmente si constata un livello elevato di concentrazione dell'offerta sul mercato all'ingrosso sia del gas (in 10 Stati membri i tre principali fornitori controllano il 90 % o più del mercato) che dell'elettricità (tale controllo è superiore all'80 % in 14 Stati membri) (COM(2009) 115 definitivo).

4.4

La liberalizzazione favorisce i consumatori se realmente promuove la concorrenza, tuttavia in vari Stati membri ai monopoli pubblici si sono sostituiti oligopoli privati, cosa che rende necessario intensificare le misure rivolte a promuovere la trasparenza e la concorrenza nel settore energetico.

4.5

Va quindi sottolineato che è necessario mettere in pratica le misure previste nel terzo pacchetto energia, rivolte a creare un autentico mercato energetico basato sulla cooperazione tra Stati membri. Tra tali misure figura una maggiore interconnessione delle reti, un migliore coordinamento degli operatori e il rafforzamento dei poteri delle autorità nazionali di regolamentazione.

5.   La liberalizzazione deve avvantaggiare i consumatori

5.1

La liberalizzazione favorisce il decentramento e la diversificazione dell'energia e dovrebbe costituire il mezzo per conseguire alcuni risultati essenziali, come l'abbassamento dei prezzi, la garanzia dell'approvvigionamento, il miglioramento della qualità del servizio, l'ampliamento dell'offerta e il suo adattamento alle necessità dei consumatori in generale e di quelli vulnerabili in particolare. Tuttavia nelle prime esperienze degli Stati membri si registrano problemi derivanti tra l'altro dalla mancanza di trasparenza delle tariffe e dai prezzi elevati.

5.2

Nella maggior parte degli Stati membri i prezzi erano più elevati nella prima metà del 2009 di quanto non fossero nel 2008, malgrado il fatto che l'andamento del prezzo del petrolio mostrasse una riduzione più marcata dei prezzi per gli utenti finali. Questa situazione potrebbe essere in parte spiegata dallo sfasamento tra il momento in cui i prezzi del petrolio subiscono una variazione e quello in cui i prodotti vengono fatturati agli utenti finali. Sembra tuttavia che i prezzi praticati agli utilizzatori finali non abbiano rispecchiato pienamente il calo dei prezzi energetici all'ingrosso (si veda in proposito il documento COM(2009) 115 definitivo).

5.3

Ne consegue che i servizi di approvvigionamento di elettricità e di gas presentano risultati insoddisfacenti sotto il profilo delle ripercussioni sulla situazione economica delle utenze domestiche. Circa il 60 % dei consumatori ha dichiarato che il proprio fornitore di energia aveva aumentato i prezzi, contro un 3-4 % che ha affermato di avere beneficiato di un ribasso. I servizi di approvvigionamento di elettricità e di gas presentano risultati particolarmente negativi anche per quanto riguarda la comparabilità delle offerte e la possibilità di cambiare fornitore. Il settore dell'energia è quello in cui i consumatori cambiano meno frequentemente di fornitore: ciò è avvenuto solo nel 7 % dei casi per il gas e solo nell'8 % per l'elettricità (Commissione europea: Seconda relazione annuale sulla Pagella dei mercati dei beni al consumo, 2 febbraio 2009).

6.   Azione europea in materia di povertà energetica

6.1

La povertà energetica è una nuova priorità sociale che richiede interventi a tutti i livelli. Sebbene gli atti giuridici adottati dall'UE (1) siano adeguati, le reazioni degli Stati membri non sono state sinora all'altezza della situazione. Per fare un esempio, solo 10 dei 27 Stati membri offrono tariffe sociali ai clienti vulnerabili e solo in otto Stati membri viene comunemente utilizzato il termine «cliente vulnerabile», malgrado il fatto che sussistano obblighi in tal senso a norma delle direttive sul mercato interno del gas e dell'elettricità (anzitutto la direttiva 2003/54/CE e quindi la direttiva 2009/72/CE) (Status Review of the definitions of vulnerable customer, default supplier and supplier of last resort, ERGEG, 2009).

6.2

Non tutti gli Stati membri affrontano tale problematica e quelli che lo fanno agiscono in modo indipendente, senza ricercare sinergie con gli altri Stati membri, cosa che rende più difficile l'individuazione, la valutazione e il trattamento della povertà energetica a livello europeo. Per fare un esempio, la definizione adottata nel Regno Unito differisce da quella in uso nel resto degli Stati membri perché individua la povertà energetica come la situazione in cui una famiglia spende più del 10 % del proprio reddito per mantenere il proprio alloggio ad una temperatura adeguata. Anche nei documenti dell'UE esistono definizioni differenti.

6.3

Affrontare la questione della povertà energetica rientra tra le responsabilità degli Stati membri, e ciascuno di essi agirà secondo la ripartizione delle competenze prevista (nazionale, regionale o locale), ma in assenza di una legislazione efficace a livello nazionale in materia di gas e di elettricità, l'UE deve agire in base al principio di sussidiarietà, previsto dall'articolo 5 del Trattato CE. Per quanto riguarda altri combustibili, come il carbone, la responsabilità incombe esclusivamente agli Stati membri.

6.4

L'UE legifera e ha delle competenze in materia di politica energetica, ed esercita pertanto un'influenza diretta o indiretta sulla situazione della povertà energetica negli Stati membri. È quindi importante che l'UE agisca e sviluppi delle politiche nel suo ambito di competenza.

6.5

La Commissione europea ha proposto una Carta europea dei diritti dei consumatori di energia (COM(2007) 386 definitivo e risoluzione del Parlamento europeo del 19 giugno 2008, P6_TA(2008)0306), in merito alla quale il CESE ha già preso posizione (2), affermando che sarebbe necessaria una forma giuridica obbligatoria che garantisca i diritti dei cittadini al pari di quanto è avvenuto in altri contesti (3). La Commissione ha ritirato la Carta e ha incluso alcuni dei suoi punti nel terzo pacchetto energia, ritenendo che l'impatto sarebbe stato maggiore (per esempio, gli articoli 7 e 8 della direttiva 2009/72/CE).

6.6

Per quanto riguarda l'oggetto del presente parere, va ricordato che la Carta dei diritti fondamentali dell'UE stabilisce che «Al fine di lottare contro l'esclusione sociale e la povertà, l'Unione riconosce e rispetta il diritto all'assistenza sociale e all'assistenza abitativa volte a garantire un'esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti, secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e le legislazioni e prassi nazionali» (articolo 34); la Carta prevede inoltre che venga garantito un livello elevato di protezione dei consumatori (articolo 38).

6.7

Il CESE ribadisce che è necessario garantire il servizio universale, il soddisfacimento degli obblighi di servizio pubblico, la protezione delle fasce sociali economicamente meno favorite ed esposte alla povertà energetica (ad esempio vietando la sospensione della fornitura nei periodi critici), la coesione economica, sociale e territoriale, e prezzi ragionevoli, trasparenti e comparabili tra i differenti fornitori (4).

6.8

Il CESE sottolinea che la generazione decentrata di energia può talvolta comportare vantaggi per i consumatori, anche per i più vulnerabili, perché:

consente, grazie all'installazione di unità più piccole, di avvicinare la produzione ai centri di consumo nei paesi e nelle città, riducendo le perdite dovute al trasporto, che nel caso dell'energia elettrica variano, secondo le stime, tra il 7 e il 10 %,

promuove la generazione di energie rinnovabili,

favorisce lo sviluppo tecnologico,

ha un potenziale di creazione di posti di lavoro, ed è complementare a una produzione centralizzata.

Bruxelles, 14 luglio 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  GU L 211 del 14.8.2009, pag. 55, art. 7.

(2)  GU C 151 del 17.6.2008, pag. 27.

(3)  GU L 46 del 17.2.2004, pag. 1.

(4)  GU C 151 del 17.6.2008, pag. 27.


11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/57


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Costruire un'economia sostenibile trasformando il nostro modello di consumo» (parere d'iniziativa)

2011/C 44/10

Relatrice: Anna Maria DARMANIN

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 luglio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Costruire un'economia sostenibile trasformando il nostro modello di consumo.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 15 giugno 2010.

Alla sua 464a sessione plenaria, dei giorni 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 15 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 98 voti favorevoli, 7 voti contrari e 8 astensioni.

0.   Premessa

Sullo sfondo della crisi che tuttora affligge l'Europa, numerosi europei devono in pratica lottare per mantenere il posto di lavoro o assicurarsi un reddito. In un momento in cui le PMI stentano ancor più a sopravvivere, l'idea di modelli di consumo sostenibili può sembrare un lusso. Ciò non toglie che le politiche a favore della sostenibilità dovrebbero contemplare anche criteri per tener conto delle specificità dell'attuale situazione in Europa. Il presente parere affronta un aspetto parziale della sostenibilità: quello dei consumi. In proposito il Comitato economico e sociale europeo (CESE) parte dall'idea che un modo per affrontare il problema dei consumi sostenibili per il lungo periodo consista nel rafforzare il senso civico fra i cittadini europei. Anziché limitarsi a conferire i diritti che i consumatori hanno ottenuto con il Trattato di Lisbona, questo significa insistere sul valore e sulle implicazioni della cittadinanza, in modo che i cittadini siano consapevoli di avere non solo diritti, ma anche il dovere morale di seguire un comportamento sostenibile.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   In un'economia sostenibile il modo di produzione e quello di consumo favorirebbero la continua prosperità dei singoli, delle comunità e del mondo naturale. La maggior parte degli attori sociali dovrebbe essere guidata da un insieme di valori comuni. Come già in precedenti pareri, il CESE sottolinea che gli indicatori ambientali e sociali dovrebbero essere utilizzati assieme al PIL per valutare il successo della politica di governo.

1.2   L'attuale sistema europeo di produzione e consumo è considerato insostenibile dal punto di vista ambientale, soprattutto per la sua dipendenza da energia, materiali, suolo e acqua e per le sue ricadute sul clima e sulla biodiversità a livello globale. Se ogni persona al mondo vivesse con uno stile di vita europeo, avremmo bisogno di più di 2 pianeti e mezzo grandi come la Terra.

1.3   Il Consiglio dell'UE ha convenuto che entro il 2050 i paesi industrializzati dovrebbero ridurre le emissioni di gas a effetto serra dell'80-95 %. Pertanto il CESE raccomanda che la strategia Europa 2020 prenda in considerazione delle misure per assicurare una produzione e un consumo entrambi sostenibili: si tratta infatti di due elementi strettamente collegati che vanno affrontati se vogliamo ridurre al minimo l'impatto sul nostro pianeta.

1.4   Per raggiungere l'obiettivo di un taglio delle emissioni dell'80-95 % in 40 anni e, al tempo stesso, sostenere una crescita economica del 2-3 %, occorrerà ridurre l'intensità di carbonio dell'economia del 6-10 % l'anno. Questo ritmo di cambiamento tecnologico costante e generalizzato all'intera economia è senza precedenti. Sarebbe quindi assennato iniziare un dialogo serio sulla possibilità di modificare le dinamiche di consumo e il modello economico e sociale generale, il quale è basato sull'espansione della produzione e dei consumi e sulla ricerca di miglioramenti il più possibile rapidi nella catena di produzione e in quella dell'approvvigionamento.

1.5   È improbabile che, da soli, gli sforzi per un cambiamento imposto dall'alto possano bastare per dare risultati convincenti. Il cambiamento sociale spesso inizia all'interno di piccoli gruppi della società e si diffonde attraverso una molteplicità di canali di comunicazione. Il ruolo dell'UE, dei governi nazionali e di quelli regionali potrebbe essere quello di individuare, incoraggiare e sostenere i gruppi esistenti che si adoperano per un modo di vita sostenibile.

1.6   È necessario un dialogo che coinvolga le istituzioni dell'UE, i governi nazionali e quelli regionali, nonché tutte le parti sociali. Una via che la Commissione potrebbe seguire consisterebbe nel collaborare con il CESE per creare un forum sul consumo sostenibile che studi i seguenti aspetti:

i possibili valori su cui basarsi per concepire un modello di economia sostenibile, il difficile equilibrio da realizzare fra la crescita e la sostenibilità ambientale, l'inclusione sociale e la libertà personale, la qualità della vita dell'attuale popolazione e quella delle generazioni future, ecc.,

l'eventuale necessità di consumare meno in certi ambiti,

i fattori che dissuadono i cittadini dallo scegliere dinamiche di consumo più sostenibili e i modi in cui l'UE, i governi nazionali e quelli locali possono essere d'aiuto,

le esperienze dei singoli e dei gruppi che hanno adottato stili di vita a basso impatto e la possibilità di riprodurle,

le misure necessarie per favorire un consumo più sostenibile in gruppi particolari come - ad esempio - gli anziani, i giovani, i disoccupati, le persone recentemente immigrate e le famiglie con bambini piccoli.

1.7   Il dialogo deve andare di pari passo con l'azione, la quale deve comprendere sia il sostegno alla sperimentazione condotta da gruppi che si adoperano per un modo di vita sostenibile e alla comunicazione delle loro esperienze, sia l'adeguamento e il rafforzamento delle politiche - ove opportuno -, nonché iniziative concrete in seno alle istituzioni dell'UE affinché queste assumano un ruolo guida e dimostrino le potenzialità di pratiche più sostenibili. Inoltre, le prassi migliori dovrebbero essere pubblicizzate per dimostrare la possibilità di cambiamenti nei modelli di consumo.

1.8   Il consumo sostenibile non può essere considerato soltanto come un dettame della politica ambientale. Esso richiederà interventi in molti settori strategici come la sanità, l'istruzione, l'occupazione, il commercio, le tematiche legate ai consumatori, i trasporti, l'agricoltura e l'energia.

2.   Necessità di un modello economico e sociale diverso

2.1   Per mezzo secolo si è discusso su quale sia la natura di un'economia sostenibile (1). In un'economia di questo tipo, il modo di produzione e quello di consumo favorirebbero la continua prosperità dei singoli, delle comunità e del mondo naturale.

2.2   Affinché un modello economico sia in grado di autosostenersi, la maggior parte degli attori sociali deve essere guidata da un insieme di valori comuni, come avviene attualmente negli Stati membri dell'UE. Al presente i governi dichiarano di gestire la loro politica basandosi su una serie di valori economici incentrati sul PIL e su altri indicatori. I limiti del PIL quale misura della prosperità umana, sociale e ambientale sono stati ampiamente riconosciuti. Per misurare il progresso verso un'economia sostenibile, il CESE ha proposto di utilizzare, oltre al PIL, anche l'impronta ecologica insieme a un indicatore della qualità di vita (2). L'impronta ecologica calcola l'area di terreno produttivo che è necessaria per sostenere lo stile di vita di una persona, di un gruppo di persone, di un'istituzione o di una regione. Un indicatore della qualità della vita dovrebbe tener conto della salute, del benessere materiale, dell'accesso a servizi pubblici, della partecipazione sociale e dell'integrazione degli immigrati, del tempo libero, nonché della qualità dell'ambiente.

2.3   L'utilizzo di una gamma di indicatori più ampia per valutare il successo di una politica di governo potrebbe indurre a definire politiche che siano meno incentrate sullo stimolo alla crescita del PIL e puntino invece maggiormente su altre dimensioni del benessere umano, sociale e ambientale.

3.   La sfida ambientale

3.1   Nella relazione sul tema L'ambiente in Europa - Stato e prospettive nel 2010, di prossima pubblicazione, l'Agenzia europea dell'ambiente (AEA) pone l'accento su due principali gruppi di problematiche: da un lato clima ed energia e, dall'altro, biodiversità ed ecosistemi (3). La sfida principale alla sostenibilità della società europea è costituita dal degrado degli ecosistemi su cui essa poggia e delle risorse cui essa attinge, fra cui l'energia, il suolo e l'acqua. Nel 2003 l'impronta ecologica dell'UE era stimata a quasi 5 ettari per persona, e in aumento, mentre la disponibilità globale di terreni era di solo 1,8 ettari per persona, e in diminuzione (4). Di conseguenza, se ogni persona al mondo vivesse con uno stile di vita europeo, avremmo bisogno di più di 2 pianeti e mezzo come la Terra.

3.2   I cambiamenti climatici assumono un'importanza particolare perché, oltre a produrre conseguenze dirette per la vita umana, verosimilmente acuiranno l'impatto della società sulla biodiversità, l'acqua dolce e altri sistemi. Il fattore che maggiormente contribuisce all'impronta ecologica dell'Europa è rappresentato dall'utilizzo di combustibili fossili e dalla produzione di gas a effetto serra. Altri elementi di rilievo comprendono l'impiego dei terreni per l'agricoltura, i trasporti e l'edilizia. L'impronta ecologica non tiene conto in modo adeguato di altri aspetti dell'economia europea che hanno un impatto significativo, compreso l'utilizzo delle risorse idriche (perlopiù per l'agricoltura) e la scarsità delle risorse estrattive.

3.3   Il Consiglio dell'UE ha convenuto che entro il 2050 i paesi industrializzati dovrebbero ridurre le emissioni di gas a effetto serra dell'80-95 %, ossia tagli del 4,7 % l'anno. L'UE si è impegnata a diminuire le sue emissioni del 20 % entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990, oppure del 30 % se altri paesi sottoscriveranno un impegno analogo. Il CESE ha tuttavia proposto di non prevedere condizioni per il raggiungimento dell'obiettivo del 30 % (5).

3.4   L'UE cerca di realizzare una riduzione dei gas a effetto serra principalmente attraverso metodi tecnologici sostenendo al tempo stesso la crescita economica. Pur essendo disponibile la tecnologia che consentirebbe di raggiungere questi obiettivi entro il 2020, i progressi nell'attuazione di questi metodi sono stati lenti. Nel 1997 l'UE-15 si era impegnata a ridurre le emissioni dell'8 % entro il 2008-2012 rispetto ai livelli del 1990, ma nel 2006 le emissioni erano diminuite solo del 2,2 %. In quello stesso periodo le emissioni dell'UE-27 sono calate del 7,7 %, ma dal 2000 sono aumentate dell'1,5 % (6). Dal 1990 l'efficienza energetica dell'UE è migliorata di appena lo 0,5 % l'anno (7).

3.5   Raggiungere l'obiettivo di una riduzione delle emissioni dell'80-95 % in 40 anni e, al tempo stesso, sostenere una crescita economica del 2-3 % significa ridurre l'intensità di carbonio dell'economia del 6-10 % l'anno. Questo ritmo di cambiamento tecnologico è senza precedenti in una prospettiva sostenuta e allargata all'intera economia. Sarebbe quindi il caso di iniziare un dialogo serio sulla possibilità di cambiamento delle dinamiche di consumo e del modello economico e sociale generale, il quale è basato sull'espansione della produzione e del consumo e sulla ricerca di miglioramenti il più possibile rapidi nella catena di produzione e in quella dell'approvvigionamento.

4.   Consumo sostenibile: rendere possibile una scelta

4.1   Alla Conferenza delle Nazioni Unite per l'ambiente e lo sviluppo (il cosiddetto «Vertice sulla Terra», svoltosi a Rio de Janeiro nel 1992) i governi europei si sono impegnati a eliminare i modelli di consumo e di produzione non sostenibili. Nel Processo di Marrakech essi si sono inoltre impegnati a sviluppare, entro il 2010, dei piani d'azione per produzione e consumo sostenibili che dovranno essere esaminati dalla Commissione delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile nel 2011.

4.2   Esiste un corpus crescente di ricerche sul consumo sostenibile e sui mezzi per raggiungere questo obiettivo (8). I consumatori si sentono perlopiù imprigionati negli attuali stili di vita: ad esempio, anche se desiderano utilizzare di meno l'automobile, non riescono a immaginare come riuscirci. Il modello di consumo è influenzato e orientato da svariati fattori, tra cui le necessità fisiologiche e la personalità, il contesto sociale, i fattori culturali, la disponibilità di merci e servizi alternativi, nonché i prezzi a cui questi sono venduti. Nella società dei consumatori le scelte di consumo rivestono una funzione cruciale nel soddisfare le necessità sociali e psicologiche, ad esempio l'appartenenza a un gruppo, l'autostima e la definizione della propria identità personale. Tutto ciò rende difficile per i singoli prendere in considerazione qualsiasi cambiamento e per i governi varare politiche tese a modificare i modelli di consumo. Quando queste politiche sono state attuate, i risultati sono stati perlopiù deludenti perché modesti oppure tardivi, e ciò ha reso difficile sostenere tali politiche contro la resistenza di interessi consolidati.

4.3   D'altro canto, le motivazioni, le dinamiche di consumo e le probabili reazioni a politiche specifiche si differenziano notevolmente a seconda delle persone. Per ogni individuo possono variare in rapporto alla situazione. Di conseguenza, non esiste una soluzione politica semplice per il consumo sostenibile. Vi concorre invece un ampio ventaglio di politiche in settori che vanno dall'agricoltura all'occupazione, dall'istruzione alla salute. Potrebbero essere necessarie strategie particolari per favorire scelte più sostenibili da parte di gruppi specifici, come gli anziani e i giovani.

4.4   In tempi di emergenza nazionale e di guerra tutta la popolazione si è mobilitata per autolimitare i propri consumi, ma la crisi ambientale non è generalmente considerata un'emergenza di questa portata. Malgrado ciò, recentemente un numero crescente di persone ha scelto stili di vita più semplici per ridurre il proprio impatto ambientale. Alcune delle iniziative che hanno avuto più successo nel modificare i consumi si sono basate su gruppi di comunità. Si pensi, ad esempio, all'approccio EcoTeam applicato in vari paesi dall'organizzazione Global Action Plan, in base al quale piccoli gruppi di persone si riuniscono nel quartiere, sul lavoro o a scuola per monitorare l'utilizzo che essi fanno dei rifiuti, dell'energia e dell'acqua e per individuare le azioni che possono intraprendere per vivere in modo più ecologicamente sostenibile.

4.5   È improbabile che le spinte al cambiamento imposte dall'alto possano funzionare, soprattutto quando coloro che cercano di influenzare il pubblico sono politici con stili di vita ad alto consumo di risorse. Il consumo sostenibile non rappresenta una priorità di rilievo per la maggior parte delle persone. Ad ogni modo, il cambiamento sociale spesso inizia all'interno di piccoli gruppi della società e si diffonde attraverso una molteplicità di canali di comunicazione, tra cui i mezzi d'informazione tradizionali, le arti, le reti informali di socializzazione e le organizzazioni confessionali. I responsabili politici dovrebbero avere il compito di individuare e incoraggiare i gruppi esistenti che si adoperano per un modo di vita sostenibile, piuttosto che imporre ai cittadini il proprio punto di vista su ciò che è necessario.

4.6   La scelta di uno stile di vita sostenibile non dovrebbe essere percepita e concepita come un lusso che si possono permettere solo quanti hanno i mezzi finanziari per fare questa scelta. Il CESE ha sottolineato che la produzione sostenibile non dovrebbe essere realizzata a un prezzo più alto (9), bensì essere accessibile a tutti. È essenziale evitare che i consumi «a impatto ridotto» risultino più costosi per i singoli: una situazione del genere, infatti, offrirebbe possibilità di scelta solo a una parte della popolazione, emarginando i poveri e quanti percepiscono un salario modesto.

4.7   Il CESE sottolinea che, per rendere possibile la scelta di modelli di consumo con un impatto minore, occorre intervenire in altri settori cruciali per il benessere, alcuni dei quali sono giudicati più essenziali, vale a dire: opportunità di impiego, retribuzioni congrue per il lavoro svolto, lavori dignitosi e accesso al credito per le PMI.

5.   Questioni politiche da affrontare

5.1   Le istituzioni dell'UE hanno da decenni un ruolo guida nel definire progetti politici e nel dare impulso a cambiamenti radicali in vista della costruzione di un'Europa unita. Esse hanno perlopiù operato secondo un modello pluralistico che consiste nel facilitare il raggiungimento di un accordo tra i governi piuttosto che nell'orientare il cambiamento verso particolari direzioni. In alcuni casi l'UE ha preso la guida, ad esempio per le norme sanitarie e ambientali. Sono esperienze che possono essere preziose nel costruire un'economia sostenibile. L'azione di guida e l'esempio possono avere un'importanza pari alla competenza tecnica e alla capacità amministrativa.

5.2   Il CESE ha accolto favorevolmente il piano d'azione presentato dalla Commissione per una produzione e un consumo sostenibili (10). Molte delle altre attuali politiche dell'UE sono legate al consumo sostenibile, tra cui il sistema di scambio delle quote di emissione (ETS), la direttiva sull'etichettatura del risparmio di carburante delle autovetture, il regolamento in materia di emissioni di CO2 dei veicoli commerciali leggeri, la direttiva sui biocarburanti, la direttiva sul rendimento energetico nell'edilizia, la direttiva sull'efficienza degli usi finali dell'energia e i servizi energetici, nonché le disposizioni in materia ambientale previste dalla politica agricola comune. Tuttavia, le politiche dell'UE sono anzitutto incentrate sugli strumenti di mercato e sugli standard tecnologici e dei prodotti: solo il sistema ETS affronta la questione dei livelli assoluti delle emissioni di gas a effetto serra. Altri obiettivi strategici, come quello di accrescere la mobilità, sono difficili da conciliare. Ben poco è stato previsto per affrontare direttamente il problema dei consumi e dello stile di vita, e le politiche sono chiaramente inadeguate per raggiungere gli obiettivi di riduzione dei gas a effetto serra e l'autonomia rispetto a risorse estrattive non sostenibili.

5.3   È necessario un dialogo che coinvolga le istituzioni dell'UE, i governi nazionali e quelli regionali, nonché tutte le parti sociali. Ad esempio, la Commissione potrebbe lavorare con il CESE e altri soggetti per creare un forum sul consumo sostenibile che studi i seguenti aspetti:

i valori su cui basarsi per concepire un modello di economia sostenibile, il difficile equilibrio da realizzare fra, ad esempio, la crescita e la sostenibilità ambientale, l'inclusione sociale e la libertà personale, la qualità della vita dell'attuale popolazione e quella delle future generazioni, ecc.,

l'eventuale necessità di consumare meno in certi settori. La maggior parte delle emissioni di gas a effetto serra può essere imputabile al consumo di cibo e di energia e ai trasporti. La sostenibilità e altri obiettivi possono essere difficili da conciliare, ma offrono anche potenziali sinergie (ad esempio, l'utilizzo della bicicletta può avere un effetto positivo sia per la salute che per l'ambiente),

cosa frena i cittadini dallo scegliere modelli di consumo più sostenibili e in quale modo l'UE, i governi nazionali e quelli locali possono essere d'aiuto. Si potrebbe ad esempio garantire la piena attuazione delle politiche esistenti (come la direttiva sul rendimento energetico nell'edilizia) e rafforzare le misure rientranti nel piano d'azione per una produzione e un consumo sostenibili, in modo da permettere ai consumatori di scegliere alimenti prodotti in modo più sostenibile,

le esperienze dei singoli e dei gruppi che hanno adottato stili di vita a basso impatto ambientale e la possibilità di riprodurre queste esperienze. Si potrebbe prevedere il coinvolgimento di organizzazioni come Global action plan - i cui «EcoTeam» riescono normalmente a ridurre i rifiuti non riciclabili del 40-50 % -, di reti come Transition Towns - che si adopera per creare comunità locali in grado di resistere ai cambiamenti climatici e alla diminuzione delle risorse -, e di gruppi confessionali come i quaccheri - che da lungo tempo sostengono valori che spingono a un modo di vita a basso impatto -. Talune persone in alcuni di questi gruppi e reti hanno sviluppato stili di vita appaganti utilizzando il 60-80 % in meno delle risorse materiali ed energetiche rispetto alla media dell'UE,

le misure necessarie in un periodo di transizione verso consumi più sostenibili per favorire l'adeguamento da parte di gruppi particolari come - ad esempio - gli anziani, i giovani, i disoccupati, le persone recentemente immigrate e le famiglie con bambini piccoli,

in quale modo conciliare il passaggio verso modelli di produzione sostenibile e di consumo a impatto ridotto con la competitività del mercato interno.

5.4   Le politiche intese a modificare i consumi dovrebbero contemplare azioni sia per l'immediato che per il lungo periodo. L'esperienza può insegnare molto, ad esempio nel caso del consumo di tabacco, dove interventi combinati a livello di prezzi, regolamentazione, etichettatura, educazione ed informazione hanno prodotto modifiche nelle propensioni e nei comportamenti.

5.4.1   Gli incentivi che fanno leva sui prezzi costituiscono una parte importante delle politiche, ma è difficile conciliare l'obiettivo della Commissione di ridurre i prezzi dell'energia (11) con la necessità di ridurre i consumi. Eventuali misure come una tassa sul CO2 o un sistema di scambio delle quote di emissione andranno integrate con altri provvedimenti: ad esempio, in assenza di forti incentivi per l'isolamento termico delle case e le fonti energetiche alternative, prezzi elevati per i carburanti o il carbonio possono favorire la penuria di carburanti.

5.4.2   Il CESE ha ripetutamente sottolineato l'importanza dei programmi educativi per indurre a comportamenti realmente sostenibili. Il CESE ribadisce che questi programmi di apprendimento dovrebbero essere rivolti non solo alle scuole e ai giovani (un pubblico che è comunque importante), ma a persone di tutte le età attraverso l'istruzione professionale, l'apprendimento permanente e i programmi per gli anziani. È indispensabile evitare che le prassi sostenibili aggravino l'emarginazione di taluni gruppi della società, come i disoccupati.

5.5   Il dialogo deve essere collegato all'azione, la quale deve comprendere il sostegno sia alla sperimentazione condotta da gruppi che si adoperano per un modo di vita sostenibile, sia alla comunicazione delle loro esperienze. Perché possa avere una qualche utilità, tale dialogo deve essere affrontato con impegno dalle istituzioni dell'UE e portare - ove opportuno - a un adeguamento e a un rafforzamento delle politiche e a iniziative concrete in seno a tali istituzioni, affinché queste assumano un ruolo guida e dimostrino le potenzialità di pratiche più sostenibili.

5.6   Il consumo sostenibile non può essere considerato solo come un dettame della politica ambientale: esso richiederà iniziative in molti settori strategici, come la sanità, l'istruzione, l'occupazione, il commercio, la concorrenza, le tematiche legate ai consumatori, i trasporti, l'agricoltura e l'energia.

5.7   Il CESE esorta la Commissione a contemplare seriamente un'azione per il consumo sostenibile nel quadro del suo programma di lavoro per il 2010 («È tempo di agire») (12) e, di conseguenza, nel quadro della strategia Europa 2020.

Bruxelles, 15 luglio 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Boulding, K. The economics of the coming spaceship earth («L'economia della futura astronave Terra») in Environmental Quality in a Growing Society («La qualità ambientale in una società in crescita»), Baltimora, Johns Hopkins University Press, 1966, pag. 253 e seguenti.

(2)  GU C 100 del 30.4.2009, pag. 53.

(3)  Agenzia europea dell'ambiente, Segnali 2010

(4)  Global Footprint Network e WWK: Europe 2007: Gross Domestic Product and Ecological Footprint («Europa 2007 - Prodotto interno lordo e impronta ecologica»).

(5)  GU C 77 del 31.3.2009, pag. 73.

(6)  Agenzia europea dell'ambiente (AEA): Rassegna annuale sui gas a effetto serra prodotti nella Comunità europea nel periodo 1990-2006 e relazione sulle emissioni nel 2008, presentate al Segretariato dell'Unfccc (Copenaghen, AEA, 2008).

(7)  Tipping, P. et al.: Valutazione d'impatto sul futuro piano d'azione per l'efficienza energetica, realizzata da ECN (NL) e WS Atkins (UK) per la DG TREN; assegnatario: Ecorys, NL (2006).

(8)  Jackson, T.: Motivating Sustainable Consumption: A Review of Evidence on Consumer Behaviour and Behavioural Change («Motivare il consumo sostenibile: una rassegna degli elementi di prova relativi al comportamento dei consumatori e alla modifica del comportamento»), rapporto del Sustainable Development Research Network, 2005 (consultabile all'indirizzo web http://www.sd-research.org.uk/).

(9)  GU C 224 del 30.8.2008, pag. 1.

(10)  GU C 218 dell'11.9.2009, pag. 46.

(11)  Monti M., Una nuova strategia per il mercato unico al servizio dell'economia e della società europea - Rapporto al Presidente della Commissione europea, 9 maggio 2010.

(12)  COM(2010) 135 definitivo, vol. I.


11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/62


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Informazione del consumatore» (parere d'iniziativa)

2011/C 44/11

Relatore: Jorge PEGADO LIZ

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 luglio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Informazione del consumatore.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 15 giugno 2010.

Alla sua 464a sessione plenaria, dei giorni 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 14 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 81 voti favorevoli, 1 voto contrario e 7 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il diritto dei cittadini all'informazione, nei suoi diversi aspetti (libertà d'informazione, diritto di informare e diritto di essere informati), e in particolare il diritto all'informazione dei consumatori, sono oggi riconosciuti, con forza obbligatoria generale, come diritti fondamentali dell'ordinamento giuridico comunitario a livello del diritto primario (punto 5 del Preambolo e articoli 11, 27, 38, 42 e 53 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE, articolo 2 del TUE e articolo 169 del TFUE).

1.2   Resta però ancora tutto da fare a livello del diritto derivato, nel quale questa norma fondamentale non è stata ancora adeguatamente recepita né configurata. Infatti, il contenuto dei diritti dei consumatori all'informazione, l'accesso all'informazione, i tempi, i contorni e le modalità non sono trattati in maniera coerente nel diritto comunitario, anzi presentano omissioni e doppioni che si ripercuotono, ampliati, nei diritti degli Stati membri a danno dei consumatori e degli agenti economici, fatto che ostacola, di conseguenza, l'attuazione del mercato interno.

1.3   Il CESE ritiene che il diritto dei consumatori all'informazione pre-contrattuale, contrattuale e post-contrattuale, così come all'assistenza e alla consulenza, debba essere oggetto di regole specifiche a livello UE, fatto salvo il principio di sussidiarietà.

1.4   L'oggetto del presente parere d'iniziativa, necessariamente limitato e circoscritto ad alcuni aspetti fondamentali del diritto dei consumatori all'informazione, è quello di sottolineare alcuni principi che derivano da questo nuovo orientamento e le sue conseguenze pratiche, specie nel quadro della realizzazione di un mercato interno con una prospettiva per il XXI secolo e nell'ambito della strategia Europa 2020.

1.5   Occorre riconoscere che l'orientamento seguito ultimamente dalla Commissione in materia di diritti dei consumatori in generale e di diritto all'informazione in particolare, orientamento che consiste nell'uso indiscriminato della tecnica dell'armonizzazione totale, è totalmente contrario a questo approccio. Violando infatti il principio di sussidiarietà, tale orientamento ostacola la capacità degli Stati membri di innalzare il livello dei diritti dei loro consumatori limitandolo addirittura ai diritti acquisiti nelle direttive comunitarie già vigenti e nelle costituzioni e nelle leggi degli Stati membri.

1.6   Il CESE continua a ritenere che nella definizione dei diritti dei consumatori di competenza dell'UE debba prevalere il concetto di parte più debole o vulnerabile e non quello di consumatore informato, attento, avveduto e mosso da ragioni puramente economiche. In base a questa concezione, il CESE continua a sostenere che l'armonizzazione minima e un livello elevato di protezione sono le impostazioni che meglio rispettano gli obblighi imposti dal Trattato e si adeguano alle reale natura delle relazioni di consumo.

1.7   È in questo ambito che emerge il concetto di «informazione adeguata», che deve privilegiare la qualità e non la quantità dell'informazione, in modo da rispondere alle reali necessità e aspettative dei consumatori. Tale informazione è valutata in funzione dei suoi obiettivi, del suo contenuto, delle sue modalità di presentazione e del suo contesto.

1.8   Il diritto all'informazione deve essere generalmente considerato, a livello comunitario, un diritto soggettivo, individuando gli obblighi rispettivi di coloro, siano essi autorità pubbliche od operatori, che sono tenuti a rispondere dell'effettiva possibilità di esercitarlo.

1.9   Per quanto concerne il ruolo delle comunicazioni commerciali (pubblicità compresa) nell'informazione dei consumatori, il CESE ritiene necessario sancire, con carattere generale, la norma prevista dalla direttiva sui viaggi organizzati in base alla quale è previsto che un messaggio contenente informazioni precise e concrete sui beni, sui servizi o sui diritti oggetto della relazione di consumo sia considerato parte integrante del contratto.

1.10   Sempre nello stesso ambito, la direttiva sulle pratiche commerciali sleali deve essere totalmente riveduta e riformulata, in modo da eliminare le conseguenze negative dell'armonizzazione totale, conseguenze attualmente riconosciute da una serie di sentenze della Corte di giustizia.

1.11   Vi è ancora tempo per intervenire sulla proposta della Commissione relativa ai «diritti dei consumatori» in cui, in effetti, deve collocarsi l'elaborazione di una vera e propria «carta dei diritti dei consumatori all'informazione», per quanto concerne gli aspetti pre-contrattuali, contrattuali e post-contrattuali, il diritto all'assistenza e alla consulenza, la definizione della natura dei vizi e delle conseguenze delle informazioni omesse o non corrette, proprio come raccomandato nel presente parere.

1.12   Il Comitato raccomanda pertanto di rivedere gli elenchi particolareggiati dei vari obblighi d'informazione pre-contrattuale e contrattuale che incombono agli operatori e che spessissimo si rivelano incoerenti, disorganici e ripetuti nelle diverse direttive settoriali.

1.13   Il CESE raccomanda inoltre di definire i requisiti generali di tali obblighi, basandosi sui seguenti orientamenti:

a)

è opportuno definire un obbligo generale di informazione pre-contrattuale, che comprenda l'informazione relativa ai beni e servizi, all'operatore del settore, al prezzo e alle condizioni di esecuzione del contratto, al diritto di recesso e alle modalità di composizione delle controversie;

b)

il contenuto e la portata dell'informazione pre-contrattuale devono essere, in linea di massima, adeguati ai beni e ai servizi in questione, soprattutto nel caso in cui si tratti di un bene complesso o che possa incidere sulla salute o sulla sicurezza dei consumatori;

c)

la fornitura delle informazioni deve rispondere al principio generale della lealtà, non deve essere ingannevole, non deve tralasciare aspetti essenziali, deve essere chiara e comprensibile per quanto concerne non solo l'oggetto del contratto ma anche le modalità di commercializzazione;

d)

le informazioni pre-contrattuali devono far parte integrante del contratto stipulato dal consumatore;

e)

va sancito il principio della gratuità dell'informazione relativa agli aspetti essenziali del contratto, insieme al principio dell'adeguamento del prezzo ai costi, negli altri casi;

f)

ai fini della formazione della sua volontà di stipulare un contratto, il consumatore deve poter accedere facilmente alle informazioni pre-contrattuali disponibili e avere il diritto di ricevere spiegazioni in merito ad esse, al contenuto e alle conseguenze del contratto;

g)

va previsto, per gli operatori, l'obbligo di assistenza e di consulenza, soprattutto nel caso in cui si tratti di un bene complesso o che possa pregiudicare la salute o la sicurezza dei consumatori, nei termini precisati al punto 8 del presente parere;

h)

l'onere di provare che le informazioni pre-contrattuali sono state fornite e l'obbligo di assistenza osservato ricade sugli operatori del settore;

i)

la mancata osservanza obblighi di informazione pre-contrattuale e di assistenza, se rilevante, deve dar diritto al recesso dal contratto e al risarcimento degli eventuali danni.

1.14   Il Comitato invita pertanto la Commissione a rivedere attentamente la citata proposta di direttiva, in particolare il capitolo riguardante il diritto dei consumatori all'informazione, in modo da introdurre i principi e le applicazioni concrete raccomandati nel presente parere.

1.15   Chiede inoltre al Parlamento europeo e agli Stati membri di esaminare, prima dell'approvazione della proposta, tutti gli aspetti essenziali dei diritti dei consumatori all'informazione in essa presenti in base a quanto si suggerisce nel presente parere.

1.16   È inoltre necessario istituire un quadro giuridico coerente a livello dell'Unione europea che regolamenti le comunicazioni commerciali on line in cui si rispetti, in ogni caso, il diritto alla tutela della vita privata in quanto diritto fondamentale della persona.

2.   Introduzione e delimitazione del tema: il diritto all'informazione come diritto fondamentale dei cittadini e il diritto dei consumatori all'informazione

2.1   È la prima volta che l'UE affronta, a livello istituzionale nonché in forma autonoma e sistematica, il problema del diritto dei consumatori all'informazione, nel quadro più vasto del diritto all'informazione come diritto di cittadinanza europea. L'iniziativa del CESE intende contribuire ad un dibattito più ampio sullo stesso tema nell'ambito della società civile in generale, senza dimenticare che l'argomento si rivela particolarmente importante in una nuova ottica di realizzazione del mercato interno.

2.2   Data la vastità del tema, è opportuno circoscrivere attentamente l'oggetto. È la necessaria conseguenza dei limiti necessari di un parere del genere, frutto dei contributi di vari soggetti e basato sulle preoccupazioni espresse nell'audizione che si è tenuta presso la sede del CESE il 1o marzo 2010 con una folta partecipazione (per maggiori informazioni, cfr. il sito dell'Osservatorio del mercato unico (http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.fr.consumer-information).

2.3   È importante sottolineare che il diritto dei cittadini all'informazione, come risulta in tutte le dichiarazioni universali e nella Carta dei diritti fondamentali dell'uomo e del cittadino, è diventato parte integrante dell'ordinamento giuridico comunitário in tutta la sua portata solo con l'introduzione della Carta europea dei diritti fondamentali nel Trattato di Lisbona, recentemente entrato in vigore; esso comprende la libertà di informazione, il diritto di informare e di informarsi, l'obbligo di informare o il diritto di essere informato (cfr. in particolare il punto 5 del Preambolo e gli articoli 11, 27, 38, 42 e 53 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE, l'articolo 2 del TUE e l'articolo 169 del TFUE). Inoltre, esiste anche il diritto fondamentale al rispetto della vita privata nei confronti delle pratiche commerciali aggressive e indesiderate dal consumatore e delle comunicazioni commerciali indesiderate o «spam».

2.4   Tali aspetti assumono adesso una particolare rilevanza per quanto concerne soprattutto i diritti dei consumatori e ancor più il loro contenuto, il modo di esercitarli e gli obblighi imposti ai diversi soggetti che intervengono nella loro realizzazione. Tali diritti sono infatti diventati diritti fondamentali da prendere obbligatoriamente in considerazione nella definizione e nell'attuazione delle varie politiche e azioni dell'UE.

2.5   In effetti, senza pregiudicare l'applicazione del principio di sussidiarietà e delle competenze condivise che vigono nell'ordinamento giuridico dell'UE in questa materia, l'obbligo di garantire ai consumatori, in quanto agenti economici, la conoscenza perfetta degli elementi che determinano le loro decisioni razionali è attualmente un presupposto fondamentale del corretto funzionamento di un sistema di libera concorrenza tipico dell'economia di mercato su cui l'UE si basa.

2.6   Una delle conseguenze di tale obbligo generale è il dovere di garantire la «trasparenza» del funzionamento delle istituzioni comunitarie, nelle quali la «riservatezza» deve costituire un'eccezione, che deve essere giustificata da motivi rilevanti inerenti al funzionamento della giustizia, all'interesse o all'ordine pubblico o alla tutela della privacy. È vero che le istituzioni comunitarie hanno fatto notevoli passi avanti grazie ad alcune iniziative importanti prese dalla Commissione e dal Parlamento europeo (1). Purtroppo però questo orientamento non ha trovato riscontro nel Consiglio, ma si spera che con l'entrata in vigore del nuovo Trattato di Lisbona vengano fatti progressi significativi. Nonostante la sua importanza per l'informazione dei consumatori in generale, questa materia non sarà trattata in modo particolareggiato, rimandando al parere del CESE ad essa dedicato.

2.7   Non saranno inoltre affrontati, malgrado il loro innegabile interesse, gli aspetti legati all'educazione e alla formazione generale dei consumatori. Anche in questo caso, si rimanda ai pareri elaborati dal CESE in materia (2) e in particolare al parere d'iniziativa del CESE in merito all'educazione dei consumatori (3).

2.8   Infine, pur riconoscendo espressamente la necessità di un approccio settoriale al diritto all'informazione a livello comunitario, in modo da individuare le particolarità di taluni ambiti, prodotti o servizi (ad esempio i prodotti alimentari, i farmaci, i servizi finanziari o il commercio elettronico) nei quali occorre proseguire e garantire uno sforzo di armonizzazione al livello più alto di protezione dei consumatori, i limiti inerenti ad un parere di questo genere impediscono un'impostazione di dettaglio.

2.9   L'oggetto specifico del presente parere sono pertanto le linee guida che occorre adottare sul piano comunitario per definire e caratterizzare i diritti dei consumatori all'informazione in generale, e in particolare nelle varie fasi di un rapporto contrattuale.

3.   Il consumatore «medio» rispetto al consumatore «vulnerabile»; il concetto di informazione adeguata

3.1   Sin dai primi programmi della Commissione per la protezione dei consumatori, che hanno dato luogo ad importanti misure legislative negli ultimi trent'anni, l'acquis comunitario accompagnato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia e dalla comune dottrina ha assegnato al consumatore il ruolo di «parte debole» in una relazione giuridica di consumo che per sua natura è squilibrata. L'UE ha basato tutta la sua produzione legislativa sulla necessità di riequilibrare questa relazione, attraverso misure specifiche di protezione.

3.2   Ultimamente, tuttavia, la Commissione ha sviluppato, in diversi documenti strategici che hanno poi dato luogo ad altrettante iniziative legislative recenti (4), il concetto di «consumatore medio», il quale risulta essere «normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto» (5) e, sulla base di tale concetto, ha cercato di fondare un nuovo approccio alla politica europea dei consumatori, fondato sull'armonizzazione totale, sul controllo da parte del paese d'origine e sul riconoscimento reciproco.

3.3   Tale orientamento, generalmente contestato dalle organizzazioni dei consumatori di tutti gli Stati membri e al quale anche il CESE si è opposto in vari pareri, prevede una effettiva riduzione dei livelli di protezione dei consumatori stessi e un passo indietro inammissibile nella politica comunitaria a loro difesa.

3.4   Ma è proprio alla luce di questo nuovo orientamento che la questione del diritto dei consumatori all'informazione assume maggiore rilevanza. I consumatori devono infatti essere sempre meglio informati onde poter prendere decisioni razionali in un mercato globale. Il modello neo-liberale, su cui poggia tale mercato, si basa in effetti su presupposti ben noti, tra i quali figurano:

a)

la consapevolezza critica delle proprie necessità e la definizione di un ordine di preferenze;

b)

la possibilità di comparare i diversi prodotti e servizi offerti sul mercato;

c)

la conoscenza, in termini tecnici ed economici, della qualità e del prezzo di ciascun prodotto e servizio (6).

3.4.1   In tale contesto assumono maggiore rilievo anche la questione della natura e della qualità dell'informazione alla quale devono avere accesso i consumatori e la nozione di informazione «adeguata».

3.5   Contrariamente a quanto afferma la Commissione europea nei suoi testi recenti, non è la quantità dell'informazione che conta. L'informazione deve corrispondere alle reali necessità e alle aspettative dei consumatori. Inoltre occorre verificarne l'adeguatezza in funzione dell'obiettivo, del contenuto, della presentazione e del contesto.

3.6   L'informazione deve inoltre essere costantemente sottoposta al test della «adeguatezza» (suitability) per valutare se la sua qualità corrisponda all'obiettivo cui è destinata e al pubblico cui è rivolta. In tale contesto, i parametri fondamentali sono quelli dell'affidabilità, dell'attualità, dell'imparzialità, dell'esattezza, della pertinenza, della brevità, della comprensibilità, della chiarezza, della leggibilità e della facilità di accesso.

3.7   Nell'ambito dell'iniziativa «Legiferare meglio», il CESE chiede alla Commissione di introdurre test riguardanti il contenuto e la forma delle informazioni ai consumatori, in modo da dimostrarne la pertinenza e permettere ai consumatori di determinare cosa sia utile per loro.

3.8   In materia di servizi finanziari, l'informazione del consumatore va di pari passo con la preparazione e la capacità in campo finanziario. L'informazione dovrebbe essere semplificata limitando l'uso di termini tecnici e giuridici. Tuttavia, alcuni prodotti finanziari sono complessi e in questo caso le informazioni devono essere precise per rispecchiare, appunto, tale complessità.

3.9   Le informazioni (la loro forma o i loro contenuti) e il corrispondente quadro regolamentare devono rimanere stabili nel tempo. Frequenti modifiche nei parametri delle informazioni potrebbero rendere le stesse difficilmente comprensibili per i consumatori.

4.   Informazione, pubblicità e «marketing»: la direttiva 2005/28/CE

4.1   In generale, il diritto dei consumatori all'informazione può consistere tanto nel beneficio derivante dall'esercizio, da parte dello Stato o di altri enti pubblici, di generiche funzioni informative, che non si può configurare come un vero «diritto soggettivo», quanto nella contropartita degli obblighi d'informazione che incombono ai fornitori e agli altri soggetti che intervengono nella produzione e nella commercializzazione di beni e servizi.

4.2   In questo senso, le comunicazioni commerciali, che non danno necessariamente luogo a relazioni contrattuali o pre-contrattuali dirette, possono tuttavia creare diritti, di natura collettiva (ossia che possono essere esercitati da associazioni di consumatori o mediante azioni collettive) ovvero veri e propri diritti soggettivi.

4.3   Questa materia è attualmente disciplinata dalla direttiva 2005/29/CE, sulla cui proposta il CESE ha già avuto la possibilità di elaborare un parere, al quale si rimanda (7).

4.3.1   Come il CESE ha opportunamente sottolineato, l'uso della tecnica della «armonizzazione totale» si traduce in una chiara diminuzione del livello generale degli obblighi d'informazione nei confronti dei consumatori.

4.3.2   Ma sono la stessa definizione di pratiche commerciali ingannevoli, sia per azione sia per omissione, e il contenuto limitato dell'elenco di pratiche allegato alla direttiva a rivelare meglio il notevole deterioramento che la direttiva stessa ha comportato per quanto concerne il ruolo dell'attività pubblicitaria e di marketing consistente nell'informare, e nell'informare in modo veritiero, i consumatori.

4.3.3   La situazione è aggravata dal fatto che la Commissione ha espressamente sancito l'ammissibilità di una «pratica pubblicitaria comune e legittima consistente in dichiarazioni esagerate o in dichiarazioni che non sono destinate ad essere prese alla lettera», anche quando sono dirette a gruppi di consumatori «particolarmente vulnerabili …. a motivo della loro infermità mentale o fisica, della loro età o ingenuità».

4.3.4   Un danno ancor più significativo sembra risultare dall'impossibilità, in forza della direttiva, di mantenere disposizioni di diritto comunitario o nazionale come quelle che prevedono che le informazioni concrete e obiettive contenute nei messaggi pubblicitari di determinati beni, servizi o diritti sono considerate facenti parte del contenuto dei contratti stipulati dopo la loro emissione, mentre le clausole contrattuali contrarie sono considerate come non scritte.

5.   L'informazione nell'ambito dei contratti: la proposta di direttiva sui «diritti dei consumatori»

5.1   Un settore in cui tutto è ancora da fare, e in cui sarebbe stato auspicabile che la recente proposta di direttiva sui «diritti dei consumatori» avesse contribuito in modo decisivo a colmare questa lacuna sul piano dell'acquis comunitario, è quello della definizione di una vera e propria carta dei diritti dei consumatori all'informazione.

5.2   Per il CESE è davvero fonte di delusione quanto si legge al Capo relativo alle «Informazioni per i consumatori» dove, invece di una definizione di veri e propri diritti vincolanti come in una qualsiasi legislazione nazionale appare più che altro un semplice elenco facoltativo - «se non sono già apparenti dal contesto» (8) - di informazioni oltretutto ovvie ed elementari che è possibile trovare in un qualsiasi codice di buone pratiche di qualsiasi operatore. Per il resto, si rimanda al parere del CESE in merito a detta proposta (9).

6.   L'informazione pre-contrattuale

6.1   Sebbene, in virtù del principio di sussidiarietà, la maggior parte delle relazioni di consumo continui ad essere essenzialmente disciplinata dal diritto degli Stati membri, una quota sempre crescente di tali relazioni è soggetta ad obblighi d'informazione di origine comunitaria. È il caso, naturalmente, dell'informazione pre-contrattuale, dei servizi in generale, dei viaggi organizzati, ma soprattutto dei servizi finanziari, di taluni beni di consumo che incidono sulla salute o sulla sicurezza dei consumatori e, infine, di beni, servizi e diritti commercializzati a distanza che siano oggetto di comunicazioni e pratiche commerciali o di contratti standard.

6.2   Nel compulsare le norme comunitarie è giocoforza prendere atto di elementi comuni ma anche di differenze notevoli nel contenuto dell'informazione pre-contrattuale e nell'approccio a quest'ultima, in particolare:

i)

la totale o parziale applicazione all'informazione pre-contrattuale di citazioni obbligatorie/espressioni vietate nella pubblicità di determinati beni, servizi o diritti. È il caso ad esempio del credito al consumo in cui sono imposte informazioni standardizzate nella pubblicità, o dei viaggi organizzati, settore in cui l'informazione è trattata come una questione di menzioni obbligatorie in riferimento ad aspetti essenziali. È anche il caso dei farmaci, ambito nel quale l'informazione dei consumatori è associata alle comunicazioni commerciali (tra cui la pubblicità) e si concentra sull'obbligo di fornire informazioni scritte su etichette e foglietti oppure ancora sull'obbligo di citazioni specifiche nella pubblicità, e dei prodotti alimentari, dove l'attuale proliferazione di etichette e di etichette semplificate crea un'inutile confusione, aggravata dalle regole che disciplinano determinate indicazioni nutrizionali o sanitarie sugli alimenti in un mercato in grande evoluzione e con rischi potenziali per la salute dei consumatori;

ii)

la standardizzazione dell'informazione pre-contrattuale fornita attraverso l'elaborazione di schede comuni a tutte le offerte sul mercato interno. È ad esempio la soluzione adottata nel settore del credito al consumo con la creazione della Scheda informativa standardizzata europea, il cui obiettivo è di uniformare il modo di ottenere e percepire l'informazione pre-contrattuale nello spazio europeo.

6.3   Nonostante i riconosciuti vantaggi che presenta in taluni casi l'informazione pre-contrattuale standardizzata al fine di comparare le offerte, è fondamentale che vi sia un margine di adattamento alle esigenze dei consumatori in ciascuno Stato membro. Dato che continuano ad esistere numerosi mercati fortemente nazionali, il numero delle informazioni da fornire ai fini della comparazione potrebbe comportare un aumento dei costi delle transazioni, non compensato da una crescita dei mercati transfrontalieri, il che risulterebbe dannoso per le PMI.

7.   L'informazione contrattuale e post-contrattuale

7.1   L'obbligo di informazione si estende anche alla fase contrattuale, specie nei contratti di consumo che presentano caratteristiche di continuità, durata e/o complessità (ad esempio servizi e prodotti finanziari, multiproprietà) oppure che possono avere effetti prolungati nel tempo (farmaci).

7.2   È possibile trovare esempi di diritto all'informazione contrattuale nella legislazione comunitaria, in particolare nella direttiva sui viaggi organizzati o nella direttiva sui servizi di pagamento.

7.3   Il diritto del consumatore a prendere una decisione libera e avveduta, diritto che è all'origine dell'obbligo di dare informazioni prima della stipula di un contratto, persiste però anche durante l'esecuzione del contratto e in certi casi dopo la sua esecuzione. Dalla fornitura di detta informazione dipendono sia la decisione del consumatore di mantenere o no in vigore il contratto sia le eventuali responsabilità per come il contratto stesso è stato eseguito.

7.4   In queste fasi, il diritto all'informazione incontra come ostacolo principale, oltre naturalmente al puro e semplice rifiuto, l'aumento dei costi necessari per la sua attuazione. Si fa notare che la regola della gratuità dell'informazione per il consumatore non è sancita in tutte le disposizioni comunitarie, nemmeno nel caso dell'informazione pre-contrattuale. Tuttavia, la direttiva 2007/64/CE (SEPA) introduce due obblighi tendenti a garantire il corretto esercizio del diritto/dovere di informare:

i)

gratuità dell'informazione: il fornitore di un servizio di pagamento non deve far pagare all'utilizzatore del servizio stesso gli oneri relativi alla fornitura di un determinato numero di informazioni;

ii)

adeguamento degli oneri ai costi: nel caso in cui le informazioni siano a pagamento, gli oneri devono essere adeguati e corrispondere ai costi effettivamente sostenuti dal fornitore del servizio.

7.5   Il CESE ritiene che occorra riconoscere un diritto/dovere d'informazione durante l'esecuzione del contratto e dopo la sua conclusione, soprattutto nel caso di esecuzione continuata, di media o lunga durata o i cui effetti si prolunghino nel tempo. Inoltre va sancito il principio generale della gratuità dell'informazione relativa ad aspetti essenziali del contratto, insieme al principio di adeguamento del prezzo ai costi negli altri casi.

8.   Obbligo di assistenza e di consulenza

8.1   L'informazione derivante dall'obbligo giuridico di prestazione da parte degli operatori professionali molte volte è standard o pre-formattata e non sempre è sufficiente affinché il consumatore prenda liberamente e in modo avveduto la sua decisione di stipulare un contratto o di mantenerlo in vigore. Pertanto, il diritto/dovere d'informazione comprende anche il diritto/dovere alle spiegazioni circa il contenuto.

8.2   Questo diritto di assistenza al consumatore, che si ritrova ad esempio nella direttiva 2008/48/CE (10) relativa ai contratti di credito ai consumatori, deve essere esteso a tutti i contratti stipulati con i consumatori, specie quelli relativi a beni durevoli e servizi di esecuzione continuata, di media o lunga durata, complessi o che comportino rischi per la salute e la sicurezza. Su richiesta del consumatore, le informazioni nell'ambito dell'obbligo di assistenza dovranno essere fornite per iscritto.

8.3   Il CESE sottolinea la necessità di fare una distinzione tra il diritto all'assistenza, che normalmente deriva dall'obbligo di prestare informazioni da parte dell'operatore professionale, e il diritto alla consulenza, la cui prestazione da parte degli operatori può essere imposta solo in casi specifici di prodotti o servizi complessi, di valore elevato e che possano mettere in pericolo la salute o la sicurezza dei consumatori.

9.   Vizi e conseguenze della mancanza d'informazioni

9.1   Una delle lacune evidenti delle direttive che impongono agli operatori professionali l'obbligo di informazione è quella relativa ad un quadro sanzionatorio in caso di mancata osservanza, un compito che l'UE ha delegato ai diversi Stati membri. Questi ultimi hanno optato per un ventaglio di conseguenze civili e penali che dà origine a distorsioni nel mercato unico negative per i consumatori e per gli agenti economici.

9.2   Solo in casi precisi alcune direttive prevedono che il consumatore abbia un diritto di recesso dal contratto stipulato a partire dal momento in cui viene trasmessa o resa nota l'informazione che avrebbe dovuto essere fornita (11) oppure che incomba all'operatore l'onere di provare che le informazioni sono state fornite, come accade con la direttiva 2006/123/CE (12) relativa ai servizi nel mercato interno per quanto concerne l'informazione pre-contrattuale.

9.3   Il meccanismo relativo all'inizio del calcolo del periodo di recesso a partire dalla data in cui l'informazione è trasmessa o il consumatore ne prende atto, o quello concernente l'attribuzione all'operatore dell'onere della prova di prestazione dell'informazione costituiscono garanzie fondamentali per rendere effettivo il diritto all'informazione. Essi inoltre sono, insieme al principio della responsabilità per danni causati dalla mancanza d'informazione, già adottato in vari ordinamenti giuridici nazionali, il logico corollario del riconoscimento e dell'importanza del diritto all'informazione dei consumatori, e meritano di essere sanciti espressamente a livello comunitario.

10.   L'informazione dei consumatori e la realizzazione del mercato interno

10.1   È risaputo che le prospettive relative alla politica di realizzazione del mercato interno sono cambiate sulla base dei nuovi orientamenti definiti dalla Commissione nell'ambito della strategia Europa 2000.

10.2   In tutti i testi in materia, emerge che i consumatori sono considerati gli unici e autentici beneficiari di un mercato interno concepito come strumento di una strategia di sviluppo e di crescita economica indispensabile per uscire dalla crisi attuale, strategia che deve insistere maggiormente sugli aspetti di natura sociale e sulla garanzia dei diritti fondamentali dei cittadini. A tale proposito, una migliore informazione dei consumatori consente di ripristinare la loro fiducia nel mercato unico.

10.3   È in questo quadro che nasce l'esigenza di offrire un'adeguata informazione dei consumatori nell'ambito di un mercato interno rinnovato e pronto alle sfide del ventunesimo secolo, in modo da ottenere la fiducia dei consumatori stessi e assicurare la loro collaborazione costruttiva, senza gli attuali timori, i dubbi giustificati, le esitazioni e le incertezze, per una partecipazione più attiva al commercio transfrontaliero.

10.3.1   La regolamentazione della comunicazione commerciale on line a livello dell'Unione europea è attualmente sparsa in diversi testi (direttive sul commercio elettronico, sulle vendite a distanza, sulla tutela della vita privata nelle comunicazioni commerciali, sulle pratiche commerciali sleali, ecc.) e quindi si dovrebbe intraprendere una riforma in modo da includere in un unico testo la normativa esistente ed evitare le contraddizioni.

10.4   È, questa, una delle preoccupazioni fondamentali del presente parere.

Bruxelles, 14 luglio 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Cfr. il Libro verde della Commissione Iniziativa europea per la trasparenza (COM(2006) 164 definitivo e parere del CESE GU C 324 del 30.12.2006, pag. 74).

(2)  Cfr. parere CESE, GU C 133 del 6.6.2003, pag. 46.

(3)  Cfr. parere CESE, GU C 133 del 6.6.2003, pag. 1.

(4)  Cfr. in particolare le direttive 2005/29/CE dell'11 maggio 2005 (pratiche commerciali sleali), GU L 149 dell'11.6.2005, pag. 22 e 98/7/CE (credito al consumo), GU L 101 dell'1.4.1998, pag. 17 nonché la recente proposta di direttiva sui «Diritti dei consumatori», COM(2008) 614 definitivo (parere del CESE: GU C 317 del 23.12.2009, pag. 54).

(5)  Cfr. la sentenza della Corte di giustizia nella causa C-220/98, del 13 gennaio 2000, Estée Lauder Cosmetics contro Lancaster Group e la sentenza della Corte di giustizia nella causa C-210/96 del 16 giugno 1998, Gut Springenheide e Tusky. Cfr. anche la recente sentenza della Corte di giustizia nella causa C-278/08 del 25 marzo 2010 Die BergSpechte Outdoor Reisen und Alpinschule Edi Kobimuller GmbH contro Gunter Guni trekking at Reisen GmbH, in cui l'utente Internet è definito «normalmente informato e ragionevolmente attento» (punti 35 e 39).

(6)  Cfr. K. SIMITIS, «Verbraucherschultz - Schlagwort oder Rechtsprinzip?» (La protezione dei consumatori: slogan o principio giuridico?), pag. 109.

(7)  GU C 108 del 30.4.2004, pag. 81.

(8)  COM(2008) 614 definitivo, capo II, articolo 5, paragrafo 1, primo comma.

(9)  Parere CESE (GU C 317 del 23.12.2009, pag. 54).

(10)  GU L 133 del 22.5.2008, pag. 66.

(11)  È il caso della direttiva 85/577/CEE che prevede, tra gli obblighi fondamentali d'informazione, l'esistenza di un diritto di recesso ma che non stabilisce sanzioni in caso di mancata osservanza. Conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia, il periodo in cui il consumatore può rescindere il contratto deve essere esteso indefinitamente e il suo calcolo inizia solo quando il consumatore è stato debitamente informato. Cfr. Causa C 227/08 del 17.12.2009, Eva Martin, paragrafi da 25 a 29.

(12)  GU L 376 del 27.12.2006, pag. 36.


11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/68


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Il Trattato di Lisbona e il funzionamento del mercato unico» (parere d'iniziativa)

2011/C 44/12

Relatore: Jorge PEGADO LIZ

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 febbraio 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Il Trattato di Lisbona e il funzionamento del mercato unico.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il proprio parere in data 15 giugno 2010.

Alla sua 464a sessione plenaria, dei giorni 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 14 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 129 voti favorevoli, 2 voti contrari e 8 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   L'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, inizialmente prevista per il 1o gennaio 2009, ha avuto luogo solo il 1o dicembre, una volta completato il processo di ratifica da parte dei 27 Stati membri. È giocoforza constatare che tale trattato si presenta ancora complesso e di difficile comprensione.

1.2   Lo studio comparativo contenuto nella relazione informativa CESE 241/2008 consente di concludere che il mercato interno, pur non subendo alcuna modifica strutturale per effetto del Trattato di Lisbona, sembra configurarsi in senso più sociale. Infatti, contrariamente a quanto il Trattato costituzionale aveva potuto far temere a taluni utilizzando l'espressione «un mercato interno nel quale la concorrenza è libera e non è falsata», il nuovo trattato sembra fissare per il mercato interno obiettivi più caratterizzati in senso sociale: per il Trattato di Lisbona, infatti, l'UE si adopera per realizzare «un'economia sociale di mercato (…) che mira alla piena occupazione e al progresso sociale».

1.3   I testi ad oggi resi noti in merito ai futuri orientamenti politici della Commissione e alla strategia Europa 2020, nonché numerose dichiarazioni di commissari europei e dirigenti politici a livello nazionale, sembrano anch'essi indicare lo stesso percorso verso una sempre maggiore dimensione «civica» del mercato unico.

1.4   Tale dimensione è stata rafforzata anche dall'espresso riferimento al carattere giuridicamente vincolante della Carta dei diritti fondamentali, la quale ha «lo stesso valore giuridico dei trattati», pur con qualche restrizione in taluni Stati membri.

1.5   D'altro canto, il processo legislativo relativo al mercato interno sarà contraddistinto dall'intervento dei parlamenti nazionali, i quali dovranno vigilare sul rispetto del principio di sussidiarietà, che è il principio regolatore dell'esercizio delle competenze concorrenti dell'UE e degli Stati membri. Due protocolli - quello «sul ruolo dei parlamenti nazionali» e quello «sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità» - conferiscono infatti ai parlamenti nazionali la facoltà di chiedere financo il riesame di una proposta legislativa in prima lettura. Ciò rafforza la partecipazione democratica al processo legislativo dell'Unione europea.

1.6   Se l'intervento preventivo dei parlamenti nazionali e il controllo sull'applicazione del principio di sussidiarietà risulteranno efficaci e di buona qualità, sfruttando appieno il potenziale del «meccanismo di allerta precoce» che il Trattato di Lisbona ha ripreso dal Trattato costituzionale, allora gli Stati membri avranno forse meno ragioni di criticare la normativa europea perché invade le loro competenze, e i cittadini europei di scorgervi l'espressione di un certo «centralismo di Bruxelles». Per far ciò, tuttavia, occorre che i parlamenti nazionali rafforzino la loro rete di cooperazione: infatti, benché il controllo della sussidiarietà formi oggetto di una potestà individuale riconosciuta a ciascuna camera, la portata e l'efficacia del «meccanismo di allerta precoce» dipenderanno dalla capacità dei parlamenti nazionali di organizzarsi collettivamente.

1.7   Il Trattato di Lisbona generalizza il ricorso alla «procedura legislativa ordinaria» (ossia alla codecisione di cui all'articolo 251 TCE) in materia di mercato interno, come dimostra in particolare l'articolo 48 TFUE relativo alle misure necessarie per la libera circolazione dei lavoratori nel campo della sicurezza sociale.

1.8   Il Trattato di Lisbona mira dunque ad agevolare lo sviluppo del mercato interno, generalizzando ulteriormente il ricorso alla procedura legislativa che esso stesso definisce «ordinaria», ma anche affiancando alle istituzioni dell'UE un nuovo partner nel processo decisionale: i parlamenti nazionali, dei quali si dovrà ormai tener conto per adottare tutte le misure legislative in materia di mercato interno.

2.   Introduzione

2.1   La relazione informativa sul tema L'impatto del Trattato di Lisbona sul funzionamento del mercato interno  (1), adottata dalla sezione INT il 13 giugno 2008, proponeva uno studio comparativo sotto forma di tabella in cui venivano poste in parallelo le norme dettate in materia di mercato interno dal Trattato di Lisbona (all'epoca non ancora entrato in vigore), dal TCE (all'epoca ancora vigente) e dal Trattato costituzionale (la «Costituzione», mai ratificata), nonché le osservazioni dell'Osservatorio del mercato unico sulle conseguenze giuridiche del testo adottato a Lisbona il 13 dicembre 2007.

2.2   L'entrata in vigore del Trattato di Lisbona era stata inizialmente fissata al 1o gennaio 2009, sennonché la tabella di marcia prevista aveva subito una brusca battuta d'arresto il 12 giugno 2008, allorché l'Irlanda aveva rifiutato con referendum di ratificare il Trattato.

2.3   In seguito, ricevute garanzie sul rispetto della sua sovranità nazionale e ottenuta l'assicurazione che ciascuno Stato membro avrebbe continuato a designare un commissario europeo, l'Irlanda accettava di ratificare il Trattato con un nuovo referendum, svoltosi il 3 ottobre 2009.

2.4   Il 3 novembre 2009 la Corte costituzionale della Repubblica ceca statuiva la conformità del Trattato di Lisbona alla Costituzione di quello Stato membro, consentendo di superare lo stallo che aveva fino ad allora sospeso il processo di ratifica. La firma del Presidente della Repubblica ceca Václav Klaus completava così tale processo, ed il Trattato di Lisbona entrava finalmente in vigore il 1o dicembre 2009.

2.5   Considerato il tempo trascorso tra l'adozione della citata relazione informativa e l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, ma anche l'intervenuta pubblicazione di due importanti documenti della Commissione in materia (la raccomandazione, del 26 giugno 2009, sulle misure per migliorare il funzionamento del mercato unico e la comunicazione, del 3 marzo 2010, intitolata Europa 2020 - Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva), il Comitato ritiene ora opportuno trasformare quella relazione informativa in un parere d'iniziativa. Ciò al fine di poterne aggiornare il contenuto, adattandolo alla situazione attuale, ma anche di rendere pubblica la sua posizione sull'argomento, riflettendo altresì su nuove questioni che non erano state affrontate nella relazione, stante la mancanza di un distacco sufficiente dal testo del Trattato - che all'epoca era ancor meno leggibile e la cui ultima versione consolidata è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell'UE solo il 30 marzo 2010 (2).

3.   Osservazioni generali

3.1   Gli avvenimenti politici che hanno costellato la storia del Trattato di Lisbona - dalla sua firma da parte dei 27 Stati membri, il 13 dicembre 2007, alla sua entrata in vigore, il 1o dicembre 2009 - non ne hanno modificato in modo sostanziale le disposizioni in materia di mercato interno e hanno invece avuto delle conseguenze soprattutto sul piano istituzionale.

3.1.1   Infatti, prendendo atto delle preoccupazioni del popolo irlandese esposte dal primo ministro di tale paese, il Consiglio europeo dell' 11 e 12 dicembre 2008 ha convenuto che, a condizione che il Trattato di Lisbona entrasse in vigore, sarebbe stata adottata una decisione, conforme alle necessarie procedure giuridiche, affinché la Commissione continuasse a comprendere un cittadino di ciascuno Stato membro.

3.1.2   Il Consiglio europeo del 18 e 19 giugno 2009 ha poi garantito all'Irlanda, in maniera giuridicamente vincolante ma senza conseguenze sulle relazioni tra l'UE e gli altri Stati membri o sul contenuto e sull'applicazione del Trattato di Lisbona, che determinate materie (quali la fiscalità, il diritto alla vita, l'istruzione, la famiglia, la politica di neutralità militare) non sarebbero state interessate dall'entrata in vigore di tale Trattato.

3.1.3   Inoltre, quello stesso Consiglio europeo ha adottato una Dichiarazione solenne sull'importanza dei diritti dei lavoratori e dei servizi pubblici.

3.2   Il ritardo della Repubblica ceca nel ratificare il Trattato di Lisbona non ha avuto ripercussioni immediate sul Trattato stesso. Infatti, come convenuto dagli Stati membri nel Consiglio europeo del 29 e 30 ottobre 2009, all'atto della conclusione del prossimo trattato di adesione si allegherà ai Trattati un protocollo che accorda alla Repubblica ceca, negli stessi termini della Polonia e del Regno Unito, una deroga all'applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

3.3   La relazione informativa sul tema L'impatto del Trattato di Lisbona sul funzionamento del mercato interno e il relativo allegato mantengono dunque la loro validità, possono fungere da analisi giuridica di base per il presente parere e devono quindi essere considerati parte integrante di quest'ultimo.

3.4   In proposito occorre rammentare che il Trattato di Lisbona, anche nella sua versione consolidata, resta comunque un testo di notevole complessità. Esso risulta di difficile lettura e comprensione anche per giuristi specialisti, poiché è il frutto di una serie di emendamenti al Trattato sull'Unione europea (TUE), che costituisce il quadro generale dell'UE e pone i principi su cui questa si fonda, e al Trattato che istituisce la Comunità europea (TCE), che diventa il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) e prevede le modalità di attuazione dei principi posti dal TUE.

3.5   In mancanza di un testo consolidato ufficiale disponibile al momento della ratifica, gli Stati membri hanno ratificato un testo tanto poco chiaro quanto poco leggibile, in cui la maggior parte dei nuovi «meccanismi» decisionali non era definita in maniera precisa se non nei protocolli del Trattato e la cui funzionalità non era ancora stata testata.

3.6   Inoltre, contrariamente a quello del Trattato costituzionale, il testo firmato a Lisbona non è stato sottoposto al parere del PE, del CESE o del CdR né a quello dei parlamenti nazionali o regionali o delle organizzazioni rappresentative della società civile a livello europeo, nazionale o regionale. E, a differenza di quanto era stato fatto per la «Costituzione» europea, è solo dopo la ratifica del Trattato di Lisbona che la Commissione e il Consiglio hanno deciso di far pubblicare documenti di divulgazione e illustrazione del contenuto e dei benefici del nuovo Trattato.

3.7   Con il Trattato di Lisbona si ritorna quindi al metodo per cui la modifica dei trattati esistenti avviene nel quadro di una conferenza intergovernativa (CIG) composta dai soli rappresentanti degli Stati, mentre il testo del Trattato costituzionale era stato elaborato nel quadro di una «Convenzione» composta in larghissima parte da parlamentari nazionali (anche degli allora futuri Stati membri che avrebbero poi aderito nel 2004 o nel 2007), deputati europei e da rappresentanti degli allora 15 Stati membri e 12 paesi candidati (più la Turchia) e della Commissione, nonché, in qualità di osservatori, da rappresentanti della società civile, fra cui il CESE.

3.8   Rispetto al Trattato costituzionale - che appariva maggiormente improntato al federalismo -, il Trattato di Lisbona fa quindi registrare l'evidente tendenza degli Stati membri a riprendere in mano la situazione, come dimostra in particolare la soppressione dei simboli introdotti dal Trattato costituzionale (bandiera, inno, motto, 9 maggio giornata dell'Europa), che potevano far pensare alla creazione di uno Stato federale.

3.9   Il Trattato di Lisbona realizza la fusione dei tre pilastri dell'UE, riconoscendo al TUE e al TFUE lo stesso valore giuridico (3). Inoltre, l'Unione europea acquista personalità giuridica, in quanto sostituisce e succede alla Comunità europea, mentre, fino all'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, solo la Comunità europea era dotata di personalità giuridica.

3.10   Il principio secondo cui il diritto dell'Unione prevale su quello degli Stati membri era stato consacrato dall'articolo I-6 del Trattato costituzionale tra i principi fondamentali dell'UE. Onde evitare il ripetersi della polemica suscitata dalla consacrazione di tale principio nella «Costituzione» europea, la quale peraltro non faceva che rispecchiare la giurisprudenza esistente della Corte di giustizia, detto principio si trova adesso nella dichiarazione n. 17. La CIG ha infatti deciso di allegare al Trattato di Lisbona un parere del servizio giuridico del Consiglio sul primato del diritto dell'UE, che richiama la fonte giurisprudenziale di tale primato e ne rammenta il valore di principio fondamentale.

3.11   Il Trattato di Lisbona modifica inoltre lo status giuridico della Carta dei diritti fondamentali proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000. Infatti, al vertice di Nizza si era deciso di non attribuire alla Carta carattere giuridicamente vincolante, cosicché essa era rimasta una solenne dichiarazione di principio priva di una precisa portata giuridica.

3.11.1   Per contro, la Carta avrebbe acquisito valore giuridicamente vincolante con la sua integrazione nella «Costituzione» europea. Sennonché, non essendo questa entrata in vigore, il carattere giuridicamente vincolante della Carta è rimasto pressoché «lettera morta» (4). Il Trattato di Lisbona corregge questa situazione senza peraltro confermare appieno il progresso compiuto al riguardo dalla «Costituzione» (5).

3.11.2   L'articolo 6 del nuovo Trattato sull'Unione europea (quello modificato dal Trattato di Lisbona) dispone infatti che la Carta «ha lo stesso valore giuridico dei trattati». Ciò significa che le istituzioni, gli altri organi e le agenzie dell'Unione sono tenuti a rispettare i diritti sanciti nella Carta, e che lo stesso obbligo incombe altresì agli Stati membri (governi, amministrazioni, giurisdizioni) allorché essi danno attuazione al diritto dell'UE.

3.11.3   Ciò nonostante, il Protocollo (n. 30) sull'applicazione della Carta alla Polonia e al Regno Unito precisa che la Carta non estende la competenza della Corte di giustizia o di qualunque organo giurisdizionale polacco o britannico a ritenere che il diritto in vigore in uno di questi due paesi non sia conforme alla Carta.

3.11.4   Lo stesso protocollo precisa anche che nulla nel titolo IV della Carta, relativo ai diritti sociali, crea diritti applicabili alla Polonia o al Regno Unito, salvo nella misura in cui quei due paesi abbiano previsto tali diritti nel rispettivo diritto interno.

3.11.5   Esso dispone infine che la Carta si applica alla Polonia o al Regno Unito soltanto nella misura in cui i diritti o i principi ivi contenuti sono riconosciuti nel diritto o nelle pratiche di questi Stati membri.

3.11.6   La portata di questi protocolli sarà in pratica molto limitata: in conformità al principio dell'applicazione uniforme del diritto dell'Unione, la giurisprudenza della Corte di giustizia deve, in quanto parte integrante dell'ordinamento giuridico dell'UE, essere rispettata in tutti gli Stati membri. Pertanto, se una sentenza della Corte dovesse citare o interpretare il titolo IV della Carta, i giudici del Regno Unito e della Polonia dovrebbero comunque sottomettersi ad essa, siano o meno intervenuti nel relativo procedimento.

3.12   Il trattato riprende dalla «Costituzione» la possibilità per uno Stato membro di recedere volontariamente dall'Unione (articolo 50 TUE). Alla luce degli orientamenti formulati dal Consiglio europeo, l'Unione negozia e conclude con tale Stato un accordo volto a definire le modalità del recesso, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l'Unione.

3.13   Questo recesso volontario non va confuso con la sospensione dei diritti derivanti a uno Stato membro dalla sua appartenenza all'UE, prevista dall'articolo 7 TUE in caso di violazione grave e persistente da parte di tale Stato membro dei valori dell'Unione (rispetto della dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, Stato di diritto, rispetto dei diritti umani, ecc.) (6).

4.   Osservazioni specifiche

4.1   Nel quadro dell'evoluzione della politica in materia di mercato unico, alcuni aspetti particolari di natura politico-economica sopravvenuti nel vigore del nuovo Trattato, quali la nuova composizione del Parlamento europeo e della Commissione (Barroso II) meritano una menzione specifica in questa sede.

4.2   Va ricordato che, già nel novembre 2007, la Commissione aveva pubblicato un'importante comunicazione intitolata Un mercato unico per l'Europa del XXI secolo, dando seguito a una risoluzione del Parlamento europeo, del 4 settembre 2007, che invocava un riesame del mercato unico volto a combattere gli ostacoli e l'inefficienza grazie a una migliore attuazione e a una migliore applicazione. Essa si faceva così interprete di una «nuova visione» intesa a realizzare un mercato unico davvero «per tutti», «più attivo nel rafforzare la risposta dell'Europa alla globalizzazione, creare crescita e occupazione, garantire prezzi equi e contribuire alla protezione sociale e ambientale». Da parte sua, il CESE aveva ribadito in due pareri (7) la posizione per cui il mercato unico è sempre stato uno strumento al servizio di tutti i cittadini, compresi i professionisti, i lavoratori dipendenti e i consumatori.

4.3   In una comunicazione del 6 novembre 2008 (8) la Commissione aveva dimostrato che i vantaggi del mercato unico erano legati al rafforzamento della cooperazione amministrativa. Nella sua relazione sullo stato di avanzamento del Sistema d'informazione del mercato interno (IMI), essa esortava le autorità degli Stati membri a lavorare in stretta cooperazione in modo da instaurare una fiducia reciproca nei loro sistemi (9).

4.4   Nella raccomandazione del 29 giugno 2009 sulle misure per migliorare il funzionamento del mercato unico, la Commissione (10) constatava determinate carenze a tale riguardo, dovute in particolare al fatto che le regole pertinenti non erano applicate correttamente e al mancato controllo della loro osservanza. La Commissione proponeva inoltre di adottare misure concrete e complementari a quelle degli Stati, nel quadro di un approccio basato sul partenariato.

4.4.1   Tra le misure raccomandate figuravano il rafforzamento dei controlli sul rispetto delle regole, la promozione di modi alternativi di risoluzione delle controversie, una valutazione regolare della normativa interna e l'informazione dei cittadini e delle imprese circa i diritti loro spettanti in virtù del mercato interno.

4.5   La crisi finanziaria si è propagata rapidamente, soprattutto in Europa, con una serie di conseguenze economiche e sociali tanto inaspettate quanto imprevedibili - come il CESE ha già avuto occasione di rilevare - e ha finito per produrre la più grave recessione dagli anni trenta ad oggi, con oltre 23 milioni di disoccupati (11), ossia un livello di disoccupazione mai conosciuto dopo la fine del secondo conflitto mondiale. Alla vigilia del rinnovo del suo mandato, e dopo aver commissionato al «gruppo de Larosière» (12) uno studio approfondito sulle cause della crisi e sulle misure necessarie per fronteggiarla, la Commissione ha avvertito il bisogno di definire nuovi orientamenti pratici per il futuro, in questo nuovo quadro sociale, sociale e finanziario.

4.6   È a questo proposito che, nei suoi «Orientamenti politici per la prossima Commissione», il Presidente Barroso ha definito le linee guida di un mercato unico adeguato al XXI secolo, mettendo in guardia contro le spinte che, con il pretesto della crisi, minacciano lo sviluppo di tale mercato, e ribadendo la ferma intenzione di difenderlo in quanto pietra angolare dei Trattati e miglior garante di prosperità a lungo termine, purché adeguato alle sfide dell'economia di domani. In tale contesto, è opportuno sottolineare che l'obiettivo del rilancio del mercato interno in quanto motore fondamentale dell'economia europea si realizzerà solo se una politica attiva di difesa del consumatore sarà riuscita a dare ai cittadini la fiducia necessaria per la loro piena partecipazione al mercato unico.

4.6.1   Nel contempo il Presidente della Commissione ha affidato a Mario Monti, già commissario europeo per il Mercato interno, l'incarico di elaborare un rapporto sul rilancio del mercato unico, che è poi stato presentato al Parlamento europeo il 9 maggio, Giornata dell'Europa. Dopo aver messo in rilievo le gravi difficoltà incontrate dal mercato unico, il rapporto propone una serie di iniziative volte a rafforzarlo, nel rispetto delle considerazioni di ordine sociale e di tutela dell'ambiente. Lo stesso giorno è stata presentata al Consiglio europeo un'altra relazione, intitolata Progetto Europa 2030 - Sfide e opportunità ed elaborata da un gruppo di riflessione presieduto dall'ex primo ministro spagnolo Felipe González. Questa relazione tratta in particolare delle prospettive della governance economica europea a medio termine, senza dimenticare il ruolo decisivo del rafforzamento e della realizzazione del mercato unico nel creare una situazione vantaggiosa per tutti: un nuovo corso per il mercato unico. Le sue conclusioni in materia di governance economica avranno certamente un impatto decisivo sul futuro di tale mercato.

4.7   È alla luce di questi nuovi orientamenti politici che occorre interpretare la strategia che sostituisce ora quella di Lisbona, la cui attuazione d'altronde è stata un parziale fallimento. Il documento della Commissione che presenta la nuova strategia non sembra però dedicare molta attenzione al mercato unico, salvo che in qualche riga del capitolo intitolato «Anelli mancanti e strozzature», in cui si constata una certa disillusione nei confronti del mercato unico.

4.7.1   Per rimediare a questa stasi del mercato unico, la Commissione annuncia che, nell'esercitare il suo potere di iniziativa legislativa, proporrà di legiferare soprattutto con regolamenti anziché con direttive, di adeguare la legislazione all'era digitale e di procedere in direzione di un diritto contrattuale europeo facoltativo, specie nel campo dei contratti conclusi con i consumatori. Nel corso della sua audizione dinanzi al Parlamento europeo, ma soprattutto nelle recenti dichiarazioni rese a Parigi, il commissario europeo per il Mercato unico Michel Barnier ha insistito sulla necessità di riconciliare il cittadino con il grande mercato, il quale dev'essere al servizio di un progetto di società. Come sottolineato dalla commissaria europea Viviane Reding, il mercato unico resta il «gioiello della corona» dell'Unione europea (13).

4.8   Parallelamente, l'«iniziativa dei cittadini» introdotta dall'articolo 11, paragrafo 4, TUE, che ha già formato oggetto di analisi approfondita da parte del CESE (14), potrà avere conseguenze importanti sul futuro sviluppo del mercato interno.

4.8.1   Questo nuovo strumento di partecipazione dei cittadini apre infatti una nuova via per tornare ad affrontare alcune questioni essenziali per la società civile (dallo statuto della fondazione europea (15) alle azioni collettive a livello europeo (16) e al diritto di sciopero europeo, ecc.) che finora non hanno potuto trovare una soluzione legislativa, causa la mancanza di interesse o di volontà politica da parte delle istituzioni europee.

5.   Osservazioni specifiche

5.1   Restano attuali le osservazioni formulate nella relazione informativa sulle disposizioni in materia di mercato interno contenute nel Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE): si veda ad esempio il punto 6.1, lettera a).

5.2   Dei 37 protocolli allegati al Trattato di Lisbona, quattro avranno un'incidenza più o meno diretta sul mercato interno:

innanzitutto il protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità (protocollo n. 2), dato che tali principi si applicano nelle materie di competenza concorrente dell'UE e degli Stati membri, e il mercato interno rientra appunto fra quelle materie,

il protocollo sul mercato interno e sulla concorrenza (protocollo n. 27) avrà anch'esso un'incidenza sul mercato interno: in sostanza, in forza di questo protocollo il mercato interno deve comprendere un sistema che assicuri che la concorrenza non sia falsata,

il protocollo sull'esercizio della competenza concorrente (protocollo n. 25) inciderà sul mercato interno per lo stesso motivo indicato per il protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità (protocollo n. 2),

da ultimo, anche il protocollo sui servizi di interesse generale (protocollo n. 26) inciderà senz'altro sul mercato interno. Esso precisa che, riguardo ai servizi di interesse economico generale (SIEG), i valori comuni dell'UE comprendono fra l'altro il ruolo essenziale e l'ampio potere discrezionale delle autorità nazionali, regionali e locali di fornire, commissionare e organizzare tali servizi. Inoltre, esso legittima la diversità tra i vari SIEG e le differenze delle esigenze e preferenze degli utenti che possono discendere da situazioni geografiche, sociali e culturali diverse. Infine, sottolinea l'importanza della promozione dell'accesso universale e di un alto livello di qualità, sicurezza e accessibilità economica di tali servizi e dei diritti dell'utente. L'articolo 2 del medesimo protocollo introduce una novità citando per la prima volta nel diritto primario i «servizi non economici di interesse generale» e garantisce la competenza degli Stati membri a fornire, a commissionare e ad organizzare tali servizi.

5.3   Due delle dichiarazioni allegate al Trattato di Lisbona avranno probabilmente un'incidenza sul mercato interno. La prima è la dichiarazione relativa alla delimitazione delle competenze (dichiarazione n. 18), la quale sottolinea che, conformemente al sistema di ripartizione delle competenze tra l'UE e gli Stati membri previsto dai Trattati, qualsiasi competenza non attribuita all'UE nei Trattati stessi appartiene agli Stati membri e, nelle materie di competenza concorrente dell'UE e degli Stati membri, questi ultimi esercitano la loro competenza nella misura in cui l'UE non ha esercitato la propria o ha deciso di cessare di esercitarla.

5.3.1   La Corte di giustizia, infatti, ha ben presto assimilato l'attribuzione di competenze alla Comunità a un trasferimento di competenze da parte degli Stati membri a vantaggio delle istituzioni comunitarie, come dimostra la sentenza Costa/ENEL del 1964, che definisce la Comunità economica europea «una comunità senza limiti di durata, dotata di propri organi, (…) ed in ispecie di poteri effettivi provenienti da una limitazione di competenza o da un trasferimento di attribuzioni degli Stati alla Comunità» (causa 6/64, Racc. pag. 1129).

5.3.2   La seconda di tali dichiarazioni è quella relativa all'articolo 308 del TFUE (dichiarazione n. 42), la quale sottolinea che, per giurisprudenza costante della Corte di giustizia, il principio dei poteri attribuiti non può costituire il fondamento per ampliare la sfera delle competenze dell'UE al di là dell'ambito generale risultante dal complesso delle disposizioni dei Trattati.

6.   Principali conseguenze sulla politica in materia di «mercato interno»

6.1   Per quanto concerne, in particolare, le modifiche apportate alle norme dei Trattati relative alla politica in materia di mercato interno, si deve sottolineare quanto segue:

a)

la sostituzione dell'espressione «mercato comune» con «mercato interno» illustra il passaggio qualitativo da un mercato comune a un mercato interno, chiarendo due nozioni controverse in dottrina e rafforzando così l'idea che l'UE non sia solo un libero mercato nel senso meramente economico di «zona di libero scambio», ma anche e soprattutto un mercato interno per i cittadini (articolo 26 TFUE) (17);

b)

il rafforzamento del principio di sussidiarietà e una definizione più dettagliata di tale principio; si constata tuttavia che la preferenza finora accordata alle direttive rispetto ai regolamenti, così come figura nel protocollo n. 30 del TCE, è stata abolita nel protocollo n. 2 del TFUE;

c)

al fine di vigilare sul rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità, i parlamenti nazionali si vedono riconoscere una sorta di «diritto di veto» sui progetti di atti legislativi, per esercitare il quale è necessario almeno 1/3 dei voti complessivamente loro attribuiti, e persino la possibilità anche per uno solo di essi di opporsi a un'iniziativa legislativa in materia di diritto di famiglia (articolo 81 TFUE);

d)

i nuovi poteri riconosciuti al Parlamento europeo grazie all'estensione del campo di applicazione della procedura di codecisione, ribattezzata «procedura legislativa ordinaria». In materia di bilancio, il PE viene posto sullo stesso piano del Consiglio. Inoltre, esso elegge il Presidente della Commissione. Ai sensi del Trattato di Lisbona, il Parlamento europeo è composto di «rappresentanti dei cittadini dell'Unione», mentre a norma del Trattato CE era composto di «rappresentanti dei popoli degli Stati»;

e)

l'applicazione della procedura di codecisione (ormai «procedura legislativa ordinaria»), con un nuovo sistema di maggioranza qualificata dei voti in Consiglio (18), a una serie di nuove materie;

f)

il fatto che gli Stati membri abbiano eliminato dagli obiettivi dell'Unione il riferimento a «un mercato interno nel quale la concorrenza è libera e non è falsata». La politica di concorrenza è riformulata nei termini di uno strumento «necessario al funzionamento del mercato interno», mentre il Trattato costituzionale, inserendo fra gli obiettivi dell'Unione «un mercato interno nel quale la concorrenza è libera e non è falsata», aveva destato le preoccupazioni di alcuni;

g)

una nuova considerazione degli interessi dei consumatori e delle PMI, da cui deriva tra l'altro il «pacchetto»Una nuova visione per il mercato unico del XXI secolo (cfr. la comunicazione Un mercato unico per l'Europa del XXI secolo  (19);

h)

una nuova concezione dei servizi di interesse generale (cfr. l'articolo 14 TFUE e il protocollo n. 26), che chiarisce le responsabilità dell'Unione e l'ampio potere discrezionale delle autorità nazionali, regionali e locali, aspetti affrontati dalla comunicazione I servizi di interesse generale, compresi i servizi sociali di interesse generale: un nuovo impegno europeo  (20), la quale propone di consolidare il quadro comunitario applicabile ai SIG;

i)

un'attenzione molto maggiore all'integrazione degli aspetti sociali della realizzazione del mercato interno (lotta contro l'esclusione e la discriminazione, promozione della giustizia e della protezione sociale nonché delle pari opportunità, solidarietà tra le generazioni, tutela dei diritti dei minori), in linea con la comunicazione Opportunità, accesso e solidarietà: verso una nuova visione sociale per l'Europa del XXI secolo  (21);

j)

l'estensione dell'ambito di applicazione delle possibili cooperazioni rafforzate a tutti i settori di intervento dell'Unione, ad eccezione di quelli di competenza esclusiva di quest'ultima, a condizione che vi partecipino almeno nove Stati membri (indipendentemente dal numero degli Stati membri dell'UE) (articolo 20 TUE). La decisione di instaurare una cooperazione rafforzata spetta al Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo (articolo 329, paragrafo 1, TFUE). Ciò potrebbe quindi avere delle conseguenze sul mercato interno, sul mercato dell'energia, sulla politica di immigrazione, sulla protezione civile, ecc.

Bruxelles, 14 luglio 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  CESE 241/2008 – INT/393 (non pubblicata nella Gazzetta ufficiale)

(2)  GU C 83 del 30.3.2010. D'ora innanzi, ogni qualvolta viene menzionato il «Trattato di Lisbona», si fa riferimento a questa versione consolidata.

(3)  Ai sensi dell'articolo 1, terzo comma, del TUE, i due Trattati sono posti su un piede di parità, mentre la giurisprudenza della Corte aveva riconosciuto (in una sentenza del 13 settembre 2005 in materia di tutela penale dell'ambiente) la preminenza del Trattato CE sul Trattato UE.

(4)  Tuttavia, benché la Carta non abbia mai acquisito carattere giuridicamente vincolante, la Corte di giustizia fa spesso riferimento ad essa. Un esempio recente al riguardo è offerto dalla sentenza della Corte del 14 febbraio 2008 nella causa C-244/06, Dynamic Medien Vertriebs GmbH/Avides Media AG, in materia di libera circolazione delle merci: al punto 41 della sentenza, la Corte cita infatti l'articolo 24, paragrafo 1, della Carta, il quale dispone che i minori hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Analogamente, al punto 48 della sentenza del 14 febbraio 2008 nella causa C-450/06, Varec SA/Belgio, in materia di libertà di stabilimento, la Corte cita l'articolo 7 della Carta, relativo al diritto al rispetto della vita privata.

(5)  La versione del progetto di Trattato di Lisbona datata 23 luglio 2007 (CIG 3/07) prevedeva, alla dichiarazione n. 11, che la Carta dei diritti fondamentali fosse proclamata solennemente il giorno della firma del Trattato dalle tre istituzioni europee competenti, ma nulla disponeva in merito al suo valore giuridicamente vincolante.

La Carta dei diritti fondamentali dell'UE è comunque stata proclamata una seconda volta, mercoledì 12 dicembre 2007 a Strasburgo, sempre dalle medesime istituzioni europee. Questa seconda proclamazione si era resa necessaria in quanto, dopo la prima proclamazione avvenuta nel dicembre 2000 al vertice di Nizza, erano state aggiunte alla Carta alcune spiegazioni e alcune note a fondo pagina.

(6)  L'articolo 7 TUE contempla due modalità di intervento distinte, a seconda che si tratti di un «evidente rischio di violazione grave» o dell'«esistenza di una violazione grave e persistente».

(7)  GU C 77 del 31.3.2009, pag. 15, e GU C 182 del 4.8.2009, pag. 1.

(8)  COM(2008) 703 definitivo.

(9)  Cfr. a tale proposito il parere CESE pubblicato nella GU C 128, del 18.5.2010, pag. 103.

(10)  Raccomandazione 2009/524/CE; cfr. l'importante risoluzione del PE del 9 marzo 2010 (Doc. A7-0064/2009).

(11)  Secondo gli ultimi dati Eurostat.

(12)  Il CESE si è già pronunciato in merito alla relazione del gruppo de Larosière con un parere d'iniziativa (GU C 318 del 23.12.2009, pag. 57).

(13)  Discorso pronunciato a Madrid il 15 marzo 2010 (Giornata del consumatore), dal titolo An ambitious Consumer Rights Directive: boosting consumers' protection and helping businesses («Una direttiva ambiziosa sui diritti dei consumatori: rafforzare la tutela dei consumatori e aiutare le imprese»).

(14)  Parere d'iniziativa sul tema L'attuazione del Trattato di Lisbona: la democrazia partecipativa e l'iniziativa europea dei cittadini (articolo 11 TUE) (CESE 465/2010, SC/032), in cui il pertinente Libro verde della Commissione (COM(2009) 622 definitivo dell'11 novembre 2009) è stato analizzato e commentato, e parere d'iniziativa sul tema Organizzazioni della società civile e presidenze del Consiglio dell'UE (CESE 464/2010, SC/031); cfr. anche l'importante risoluzione del PE, del 7 maggio 2009, sull'attuazione dell'iniziativa dei cittadini (Doc. A6-0043/2009).

(15)  Parere d'iniziativa del CESE 634/2010, INT/498.

(16)  GU C 162 del 25.6.2008, pag. 1, e GU C 128 del 18.5.2010, pag. 97.

(17)  Già il 5 maggio 1982, nella sentenza Schul (causa 15/81), la Corte aveva affermato che il mercato comune, inteso come mera zona di libero scambio, precede il mercato interno. Quest'ultimo è quindi espressione di un grado superiore di integrazione economica.

(18)  Protocollo sulle disposizioni transitorie (protocollo n. 36).

(19)  COM(2007) 724 definitivo - SEC(2007) 1517, 1518, 1519, 1520 e 1521.)

(20)  COM(2007) 725 definitivo - SEC(2007) 1514, 1515 e 1516.

(21)  COM(2007) 726 definitivo.


11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/75


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Innovazione nel turismo: definire una strategia per uno sviluppo sostenibile nelle isole» (parere d'iniziativa)

2011/C 44/13

Relatrice: GAUCI

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 luglio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Innovazione nel turismo: definire una strategia per uno sviluppo sostenibile nelle isole.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 giugno 2010.

Alla sua 464a sessione plenaria, dei giorni 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 15 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 153 voti favorevoli, 1 voto contrario e 13 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) propone che vengano sviluppati programmi di apprendimento permanente, destinati specificamente agli addetti del settore turistico nelle isole. Per la realizzazione di tali programmi dovrebbe essere previsto lo stanziamento di apposite risorse nel quadro del Fondo sociale europeo e del Fondo di coesione. Un quadro di relazioni industriali appropriato, inteso a promuovere condizioni di lavoro di qualità e interventi a sostegno degli imprenditori (reti, marketing, promozione, ecc.) dovrebbe contribuire a dare impulso al turismo insulare.

1.2   Analogamente, e in considerazione del numero crescente di viaggi e servizi turistici prenotati tramite Internet, le piccole e medie imprese turistiche (insulari) dovrebbero poter beneficiare o di una formazione sostenuta dall'UE o di un accesso facilitato a fornitori di servizi competenti per posizionarsi con successo sul web, evitando quindi di perdere i clienti «più tecnologicamente evoluti».

1.3   Il CESE propone di creare una scuola interregionale, concepita come una specie di «Erasmus degli studenti e degli addetti al settore del turismo», scegliendo come sede un'isola situata in una posizione strategica.

1.4   Sebbene le imprese, e in particolare quelle di piccole dimensioni, traggano vantaggio dalla presenza di una legislazione adeguata ed efficace, sarebbe comunque opportuno considerare l'ipotesi di creare un apposito ente amministrativo in seno ai servizi della Commissione europea, che potrebbe ad esempio assumere la forma di una direzione generale per il Turismo - il turismo rappresenta tra l'11 e il 12 % del PIL dell'UE, e fino al 25 % del PIL di alcune isole (come Malta) -, con il compito di tutelare gli interessi del turismo (insulare) nell'ambito delle istituzioni e delle politiche dell'UE. Il CESE ribadisce inoltre la proposta già avanzata in alcuni suoi precedenti pareri di istituire un'agenzia europea per il turismo.

1.5   Rispetto al continente le isole presentano uno svantaggio intrinseco dovuto alla distanza, all'accessibilità e all'insularità. Il CESE ritiene che si debba adottare un regime fiscale favorevole che tenga conto dei particolari sforzi compiuti in termini di investimenti, di conservazione e creazione di posti di lavoro e di periodi di apertura delle imprese, onde attenuare gli effetti della stagionalità.

1.6   La definizione di isola fornita dall'UE risulta inadeguata in diversi contesti e spesso ostacola la risoluzione dei problemi. Il CESE, in alcuni suoi pareri precedenti (1), ha suggerito di modificare questa definizione e ribadisce tale raccomandazione nel presente parere.

1.7   L'Unione europea sta sviluppando un nuovo concetto all'interno della politica regionale: si tratta dalla cooperazione macroregionale (ne sono esempi la strategia per il Mar Baltico e quella per il Danubio). Il CESE è convinto che questo concetto, oltre ad essere interessante, sia anche certamente applicabile ai gruppi di isole. L'adozione di una strategia macroregionale per le isole del Mediterraneo occidentale potrebbe quindi attenuare alcuni dei problemi di accessibilità presenti in queste zone.

1.8   Il CESE accoglie con favore e sostiene pienamente il programma Calypso sul turismo sociale; ritiene che dopo le azioni preparatorie iniziate nel 2009 si debba ora procedere alla sua piena attuazione; ne raccomanda l'integrazione in una futura strategia macroregionale nella quale sia compreso il Mediterraneo occidentale.

2.   Introduzione

2.1   Il turismo contribuisce in maniera sempre più consistente alla crescita economica e può arrivare a rappresentare, in alcuni casi estremi, fino al 70 % del PIL di un'isola. Esso rappresenta una delle migliori opportunità in termini di creazione di reddito e di occupazione. A fronte di una lenta diminuzione della quota di mercato dell'Europa nel turismo mondiale, si prevede un aumento delle presenze turistiche nell'UE. L'espansione del settore turistico, tuttavia, non può essere data per scontata, come è stato palesemente dimostrato dalla crisi finanziaria del 2008-2009.

2.2   Il tradizionale turismo balneare di massa viene progressivamente sostituito da nuove forme di turismo emergenti: si sta infatti diffondendo un tipo di turismo più innovativo e più specializzato, sempre più rispettoso dell'ambiente, personalizzato e orientato alle esperienze. Inoltre, la crescita della domanda nel settore, unitamente ai cambiamenti demografici in atto (aumenta, ad esempio, il numero dei viaggiatori anziani) accelera la segmentazione dei servizi turistici e la creazione di nuovi prodotti che comprendono un elevato livello di servizi innovativi.

2.3   L'innovazione è un obiettivo centrale della politica economica sia a livello dell'UE (strategia di Lisbona e strategia Europa 2020) sia a livello regionale, dove si assiste a un aumento degli investimenti pubblici in materia di ricerca, istruzione, formazione e alla promozione dei settori più innovativi (ad es. trasporti, energia, industrie verdi). Tale considerazione si applica anche ai servizi, e in particolare a quelli che richiedono un livello di conoscenze o di qualifiche considerato tipico della maggior parte delle attività turistiche (ad es. alloggio, ristorazione, servizi immobiliari).

2.4   Oggi il turista cerca la qualità migliore al prezzo più basso. Pertanto il successo del turismo insulare dipende innanzitutto dalla disponibilità di personale qualificato, ma anche dall'impegno dei datori di lavoro e dei loro dipendenti ad assicurare un apprendimento permanente in modo da mantenere livelli elevati di servizio in un mercato in cui la percezione e le esigenze dei viaggiatori cambiano rapidamente. Uno dei requisiti indispensabili per un turismo di qualità consiste infatti nell'assicurare che il personale sia adeguatamente formato e qualificato.

2.5   Un ambito particolarmente interessato dal cambiamento e dall'innovazione nel turismo è quello dell'utilizzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC). L'onnipresenza delle TIC e di Internet nell'industria del turismo permette ai consumatori di interagire direttamente con i fornitori di servizi. Per il settore nel suo insieme, questo può tradursi in una riduzione dei costi (di transazione) e portare successivamente alla scomparsa degli intermediari come le agenzie di viaggio o perfino gli operatori turistici. Importanti innovazioni nel settore dei viaggi di massa, come la diffusione delle linee aeree a basso costo, hanno influito notevolmente sulla crescita e la successiva evoluzione dell'industria turistica.

2.6   Per quanto riguarda le isole, restano aperte diverse questioni. In generale, le isole accusano un ritardo di sviluppo rispetto al continente. Spesso inoltre queste nuove tecnologie e processi non sono né controllati né prodotti dalle imprese direttamente interessate, le quali non si occupano nemmeno della relativa manutenzione.

2.7   Le autorità insulari stanno esaminando le implicazioni di queste nuove pratiche del settore per le loro iniziative e azioni in materia di politica del turismo. La loro preoccupazione principale è assicurarsi che le politiche e le azioni fungano da sostegno e da incentivo all'innovazione, che a sua volta contribuisce a sviluppare ulteriormente l'industria del turismo nelle isole.

3.   L'assoluta necessità di innovare

3.1   In un contesto caratterizzato dalla costante evoluzione delle dinamiche sociali e dal tramonto del turismo di massa così come organizzato dai tour operator nel ventesimo secolo, il successo del turismo insulare dipende dalla capacità di quest'ultimo di innovare e adattarsi ai nuovi schemi. E la spinta all'innovazione deve venire proprio da coloro che operano nel settore turistico. Paradossalmente però l'innovazione tende anche a sconvolgere le abitudini consolidate e suscita opposizione in quanti non vi intravedono un vantaggio immediato.

3.2   Durante l'ultima metà del ventesimo secolo, era l'offerta a determinare la domanda nel mercato del turismo di massa. Tuttavia, con l'aumentare delle destinazioni disponibili si è giunti a una saturazione del mercato. Il mercato di oggi, tipicamente dominato dai consumatori, è caratterizzato dalla volatilità della domanda, con conseguenti ripercussioni negative per i fornitori. In questo contesto si profila quindi una nuova sfida, che può essere superata adottando un approccio innovativo e creativo che preveda lo sviluppo di un ampio ventaglio di prodotti turistici di nicchia, come il turismo terapeutico, il turismo verde/ecologico, l'agriturismo, il turismo naturale, ecc.

3.3   Occorre inoltre aggiungere che gli stili di vita sono cambiati notevolmente negli ultimi anni. L'industria del turismo deve tener conto dell'allungamento della vita media e del miglioramento delle condizioni di salute ed economiche della popolazione, che va in vacanza più spesso ma per periodi più brevi. Per un gran numero di turisti, l'attenzione si è spostata dal «prezzo più basso disponibile» al «migliore rapporto qualità/prezzo». La fedeltà dei consumatori è in calo e i turisti cercano sempre più spesso prodotti che offrano le seguenti caratteristiche: sostenibilità, autenticità e lontananza dal turismo di massa. Per sopravvivere in queste circostanze, il turismo insulare dovrà assolutamente affrontare il problema dell'innovazione.

4.   Turismo insulare e innovazione di prodotto

4.1   Nelle grandi imprese turistiche, l'innovazione è un processo sistematico e una componente fissa del sistema decisionale aziendale. Oggi, infatti, per evitare di trovarsi impreparate di fronte a innovazioni inattese, le aziende includono l'innovazione nella programmazione quotidiana e la considerano come un semplice fattore di produzione aggiuntivo.

4.2   Ma le possibilità di trarre pienamente vantaggio dall'innovazione risultano limitate per le piccole imprese turistiche specializzate in destinazioni specifiche. Ciò è dovuto principalmente alla mancanza di personale e di risorse finanziarie. In particolare, tutte le PMI turistiche devono far fronte alle esigenze quotidiane dei clienti abituali e non sono quindi in grado di accantonare fondi da destinare alla R&S.

4.3   L'industria del turismo, specialmente nelle isole, è per lo più composta da PMI. Per sopravvivere in un contesto sempre più competitivo e globale, le imprese turistiche, soprattutto le più piccole, dovranno effettuare economie di scala e raggiungere una massa critica per ridurre i costi di transazione, aumentare la produttività e rafforzare il loro potere di mercato. Le ristrutturazioni e i meccanismi di cooperazione aiuteranno queste imprese ad adattarsi ai cambiamenti e a rafforzare la loro competitività.

4.4   La sfida per l'industria del turismo consisterà nell'offrire nuovi prodotti e nuovi servizi. Il turismo basato sull'esperienza, il turismo sostenibile e il turismo naturale/culturale/legato ai beni storici e culturali sono alcune delle strategie su cui si basano molti prodotti turistici innovativi attualmente offerti in numerose destinazioni europee. Le isole dovrebbero intensificare la promozione di questi prodotti dato che essi sono legati all'essenza della loro identità insulare.

4.5   Il turismo basato sull'esperienza nasce dall'interazione tra turisti e destinazioni. L'esperienza globale dei turisti è composta da numerosi piccoli incontri con diversi addetti del settore turistico.

4.6   La maggiore sensibilità dei consumatori alle tematiche ambientali stimola le imprese turistiche a innovare e a migliorare la propria efficienza ambientale, per quanto riguarda sia l'interazione dei turisti con l'ambiente, sia le proprie prestazioni. I principali prodotti che possono garantire l'innovazione riguardano proprio i settori di nicchia come l'ecoturismo e il turismo d'avventura.

4.7   Il turismo culturale è un altro settore importante e in piena crescita, che richiama visitatori relativamente abbienti e istruiti. Diverse isole hanno avviato un riorientamento dei loro servizi culturali e stanno sviluppando innovazioni intese ad aumentare il valore aggiunto attraverso la cultura. In particolare, esse diversificano i servizi turistici offerti e allungano la durata dei soggiorni, migliorando ad esempio la presentazione e la promozione delle esperienze e degli eventi culturali disponibili.

4.8   Se il turismo non si integra armoniosamente nella società insulare e offre vantaggi soltanto ad alcuni abitanti, recando invece disagi a molti altri, esso non potrà configurarsi come una componente sostenibile e armoniosa dell'attività della società. Per assicurare la disponibilità da parte della popolazione a sostenere una società caratterizzata dal turismo insulare, occorre adottare un approccio ascendente in materia di programmazione e partecipazione. Il turismo può contribuire a rafforzare i legami tra gli abitanti rendendo ciascuno partecipe, in modo che possa rendersi conto degli effetti di ampia portata di questa attività, in termini di miglioramento dell'ambiente naturale e urbano, assetto e pianificazione territoriale, servizi sociali e tutela dei beni culturali (architettura, artigianato, specialità gastronomiche tradizionali, ecc.).

4.9   Diversi tipi di turismo possono risultare reciprocamente incompatibili, soprattutto in un ambiente insulare di piccole dimensioni. Ad esempio, lo sviluppo di un prodotto di nicchia come quello dei corsi estivi di lingue per giovani studenti può risultare incompatibile con lo sviluppo di un prodotto estivo dedicato agli anziani, poiché il comportamento turbolento dei giovani quando escono da lezione mal si concilia con il desiderio di tranquillità degli anziani. Anche in questo caso, è necessario un sostegno dal basso a favore del tipo o dei tipi di turismo verso cui si orienta un'isola, affinché tale scelta risulti efficace.

4.10   Infine, il turismo riguarda non solo le persone direttamente coinvolte (come il personale di alberghi, ristoranti, compagnie aeree, ecc.), ma anche l'intero indotto, che comprende molti altri settori e professioni (dall'idraulico all'agricoltore locale).

5.   Migliorare il turismo insulare attraverso l'innovazione di processo

5.1   L'industria del turismo è sempre stata molto proattiva per quanto riguarda l'adozione delle nuove tecnologie come i sistemi di distribuzione globale (GDS). I recenti progressi in materia di telecomunicazioni, reti, basi di dati, elaborazione dati e marketing elettronico offrono molte nuove opportunità per le imprese turistiche che stanno esercitando un impatto significativo sui modelli d'impresa tradizionali del comparto turistico. L'utilizzo dell'accesso Internet a banda larga e delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) conferisce valore aggiunto ai servizi e ai prodotti turistici, oltre a sostenere lo sviluppo di reti e di raggruppamenti industriali. Esiste però un problema rappresentato dall'assenza di tecnologia a banda larga e dalla mancanza delle conoscenze specializzate e delle competenze necessarie affinché le isole possano trarre pieno vantaggio dalle TIC. Per colmare queste lacune, occorrerà quindi prevedere una formazione specifica per le popolazioni insulari.

5.2   I consumatori stanno acquisendo sempre più dimestichezza con l'utilizzo delle TIC per organizzare le loro vacanze. Attualmente, nell'Unione europea due terzi dei turisti organizzano i propri viaggi tramite Internet e oltre il 50 % li acquista on line. Si cercano prodotti flessibili e facilmente accessibili e si preferisce comunicare direttamente con i produttori dei servizi turistici. Per trarre vantaggio da questa rivoluzione delle TIC, gli imprenditori hanno bisogno di rimodellare l'intero processo di commercializzazione dei prodotti del settore. La tecnologia di Internet offre sia alle imprese che ai consumatori un grande potenziale in termini di vendite dirette on line.

5.3   Molte isole europee con una lunga tradizione turistica risentono del calo della crescita e della produzione e il loro settore turistico subisce enormi pressioni concorrenziali. Nel mercato globale e liberalizzato del turismo, infatti, le isole si trovano in concorrenza con le nuove destinazioni. Queste ultime però possono beneficiare di risorse intatte o sfruttate in minima parte, nonché di condizioni economiche molto favorevoli: salari bassi, diverse forme di aiuti di Stato e valute deboli.

5.4   Come in tutto il terziario, la qualità dell'offerta dei servizi turistici insulari dipende fortemente dalla qualità dei lavoratori e delle persone in generale. Esiste un rapporto tra la buona qualità delle condizioni di lavoro e il buon livello dei servizi offerti.

5.5   In Europa l'industria turistica insulare presenta un problema di produttività dovuto alla sua frammentarietà: essa è infatti principalmente composta da PMI e caratterizzata da un'alta intensità di manodopera. Questa minore produttività e la conseguente difficoltà di garantirne la competitività trovano riscontro nei prezzi praticati.

5.6   Il problema della stagionalità ha ripercussioni reali sulla stabilità dell'occupazione e rende meno attraenti le professioni legate al turismo. Per tale motivo si dovrebbero promuovere speciali tipologie di contratti che garantiscano un impiego stabile ai lavoratori stagionali, affinché essi possano beneficiare degli stessi diritti sociali e del lavoro dei lavoratori permanenti. La questione è già stata sollevata dal CESE in precedenza (2).

5.6.1   Per incentivare e innovare il turismo insulare occorre adattare e modernizzare le relazioni industriali, specialmente in materia di formazione, promozione e carriera, mansioni, giornata, orario e condizioni di lavoro, nel quadro del dialogo sociale e della contrattazione collettiva fra le parti sociali.

5.7   Oggi, nel mondo in rapido movimento in cui viviamo, le isole sono raggiungibili soprattutto mediante collegamenti aerei; quelli marittimi, invece, non sempre rappresentano un'alternativa affidabile: richiedono infatti l'esistenza di una solida infrastruttura terrestre connessa con una rete affidabile di collegamenti marittimi, i quali però, per la loro stessa natura, dipendono fortemente dalle condizioni meteorologiche.

6.   Sviluppare strumenti politici per l'innovazione del marketing turistico nelle isole

6.1   Una vera e propria sfida per gli enti responsabili del turismo insulare consisterà nell'individuare il metodo più efficace per sviluppare e attuare strumenti politici in grado di promuovere l'innovazione nel turismo senza interferire con le dinamiche del mercato. Una buona pratica che potrebbero adottare i governi consiste nel lasciare ai mercati la massima libertà, intervenendo solo per rimediare alle loro inefficienze.

6.2   Le isole devono bilanciare attentamente gli interessi potenzialmente contrastanti delle imprese che aspirano a crescere, dei turisti-consumatori che cercano opportunità di svago e degli ambientalisti che cercano di proteggere la natura. Per quanto riguarda la pianificazione urbana, si pone un problema di enorme importanza, ovvero capire a quale livello affidare le decisioni relative ai progetti edilizi: potrebbero infatti insorgere conflitti tra gli enti locali, spinti dagli interessi delle imprese locali, e le autorità regionali o nazionali, che hanno invece una visione più globale e sono orientate a contenere la crescita incontrastata nelle zone sensibili dal punto di vista ambientale.

6.3   I governi dovrebbero consentire alle imprese innovatrici di realizzare economie di scala e di perseguire l'innovazione attraverso alleanze cooperative e altre forme di networking. I metodi più efficaci e promettenti per promuovere l'innovazione nell'industria del turismo sono la cooperazione e le alleanze e/o reti in settori quali la tecnologia, il marketing, la distribuzione e la condivisione delle risorse umane. Finora tuttavia la cooperazione nel settore del turismo non sembra aver prodotto risultati sufficienti, soprattutto nelle PMI. A questo proposito i governi dovrebbero sostenere una politica del turismo innovativa e improntata alla coerenza e alla sinergia.

6.4   Le problematiche del turismo non possono certamente essere affrontate prescindendo dalla sua dimensione spaziale. Occorre innanzitutto tenere conto della mercificazione e della commercializzazione delle attrazioni: queste ultime sono le materie prime del turismo, quelle cioè che creano le destinazioni del mercato. I visitatori scelgono la destinazione che sembra offrire loro i maggiori vantaggi e i prodotti per i quali sono disposti a pagare. Questa disponibilità a pagare è direttamente proporzionale all'unicità della meta. Nella maggior parte dei casi si tratta di beni pubblici o di risorse comuni, come le aree protette o le superfici a destinazione agricola, di cui le isole devono assicurare la tutela e la manutenzione, per impedirne lo sfruttamento eccessivo o la distruzione.

6.5   Le attrazioni locali e i servizi innovativi conferiscono alle destinazioni il loro tratto distintivo, ma al tempo stesso limitano le possibilità di innovazione dei prodotti, che non possono essere realizzate senza tener conto dei beni presenti in una destinazione. Una stazione balneare, ad esempio, non potrà mai essere trasformata in un rifugio montano, mentre i paesi a vocazione turistica che dispongono di attrazioni diversificate non avranno difficoltà a riposizionarsi sul mercato.

6.6   Il turismo di massa (sole, mare e fast food), nel lungo termine, non è necessariamente la forma migliore di turismo per le isole. Alcuni esempi in Scozia hanno dimostrato l'enorme successo che possono avere forme di turismo insulare specializzato su scala ridotta. Non esistono però soluzioni universali e di questo occorre tener conto nell'elaborazione di una strategia turistica per le isole. Ciò che è ideale per una piccola isola del Mediterraneo può risultare inadeguato per un'isola ancor più piccola al largo delle coste britanniche, irlandesi o svedesi.

6.7   Al successo di una meta turistica concorrono molte variabili indipendenti: tra queste, la posizione geografica e il potenziale dei mercati di origine, ma anche l'accessibilità in termini di costi dei trasporti e di costi legati al tempo. Queste variabili possono essere influenzate dal settore pubblico soltanto attraverso meccanismi come gli obblighi di servizio pubblico o i sistemi di continuità territoriale e svolgono un ruolo determinante nel definire la natura delle innovazioni di prodotto. La sfida per l'imprenditore locale consiste pertanto nel creare maggior valore aggiunto per i clienti mediante l'offerta di nuovi prodotti.

6.8   Un tema d'attualità nell'agenda dell'UE è quello della sostenibilità ambientale, nel quale rientrano, tra l'altro, l'identificazione di meccanismi utili per favorire la riduzione delle emissioni prodotte dai trasporti, e il dibattito su come la sostenibilità ambientale sia diventata, più in generale, un motore essenziale per la competitività del turismo.

6.9   Che cosa impedisce, ad esempio, agli abitanti delle isole di migliorare la qualità delle spiagge? O di valorizzare il loro patrimonio culturale? Perché vengono segnalate soltanto alcune località turistiche quando invece un'intera isola può costituire un'attrazione turistica? Perché nelle isole la stagione turistica è così concentrata nel tempo e di così breve durata, mentre in altre località il turismo è un'attività che funziona tutto l'anno? La pubblicità, anziché concentrarsi solo su un paio di località, potrebbe promuovere l'immagine di tutti i paesi e di tutte le città di un'isola. Gli abitanti delle isole dal canto loro devono imparare a essere fieri del loro territorio: soltanto in questo modo potranno tutelare e vendere i loro prodotti e il loro patrimonio.

6.10   Tenuto conto del numero crescente di turisti che visitano le isole, le autorità dovranno realizzare ulteriori investimenti per garantire la qualità sanitaria delle destinazioni insulari, assicurando in particolare una buona qualità delle acque (potabile e di balneazione), una corretta gestione dei rifiuti, l'impiego di energie sostenibili e l'approvvigionamento di generi alimentari sicuri.

6.11   È molto importante sviluppare negli abitanti delle isole una maggiore sensibilità alla competitività, affinché essa diventi una priorità per loro. Si tratta di un obiettivo che nessun governo potrà realizzare autonomamente, ma soltanto di concerto con i lavoratori, gli imprenditori, i dirigenti e le istituzioni amministrative.

6.12   In pratica vi sono tre fattori che influiscono in maniera decisiva:

innanzitutto, l'intervento dei governi in materia di sicurezza sanitaria e sostenibilità ambientale,

in secondo luogo, il settore delle imprese private, che può comprendere i trasporti terrestri e quelli aerei e le infrastrutture TIC,

in terzo luogo, gli elementi culturali e umani che contraddistinguono le risorse di cui dispone ciascun paese.

6.12.1   Il governo esercita una forte influenza sul primo dei tre fattori. Un'isola in fondo alla classifica della sostenibilità ambientale si trova in una situazione inaccettabile e ciò dimostra fino a che punto i gruppi di pressione ambientali e culturali abbiano ragione di continuare a insistere per una maggiore sensibilizzazione al patrimonio culturale insulare e all'urgente necessità di investire maggiormente nella sua tutela.

6.12.2   Anche le infrastrutture turistiche richiedono importanti interventi. Una carenza in questo settore può spronare ad agire e cogliere l'opportunità per investire di più in questo campo. I periodi di recessione sono particolarmente adatti per riesaminare i sistemi infrastrutturali e destinare maggiori risorse al loro miglioramento: le isole devono quindi intervenire ora per eseguire tali interventi di miglioramento e per cercare nuove nicchie di mercato attraverso nuovi investimenti privati e pubblici. Il governo da parte sua deve assicurare che il settore privato disponga di un più ampio accesso ai finanziamenti e che le banche tengano maggiormente conto dei bisogni delle piccole e medie imprese. I fondi disponibili nell'ambito del pacchetto di incentivi dell'UE dovranno essere interamente utilizzati. Ancora più importante è che gli organismi governativi non impongano al settore privato norme inadeguate che sottraggano agli imprenditori tutto il capitale di cui dispongono per la realizzazione di investimenti.

6.12.3   Ma il turismo insulare presenta anche alcuni svantaggi: ad esempio, l'economia sommersa, pur generando entrate supplementari per gli isolani, incide tuttavia negativamente sull'occupazione e sulle condizioni di lavoro. Le abitazioni secondarie comportano prezzi più elevati per coloro che risiedono nelle isole, rappresentando però al tempo stesso una fonte di entrate. Inoltre c'è il problema della saturazione delle infrastrutture (approvvigionamento idrico, smaltimento dei rifiuti, erogazione di energia) che, in alta stagione, si trovano a dover gestire un'utenza fino a venti volte superiore alla popolazione locale.

6.13   Una conseguenza della fluttuazione stagionale nella domanda di manodopera è l'emergere e la presenza di un'economia sommersa. L'uso improprio e perfino l'abuso di studenti lavoratori, o il ricorso al lavoro illegale nocciono sia ai lavoratori in regola sia a quelli che non lo sono, poiché riducono il livello delle retribuzioni.

La manodopera irregolare può arrivare a rappresentare una percentuale significativa degli addetti al settore del turismo (oltre il 50 % in alcuni paesi).

6.13.1   La manodopera mobile e a basso costo proveniente dai nuovi Stati membri (ad es. Polonia, Bulgaria e Romania) è una caratteristica sempre più visibile nel turismo occidentale, compreso quello insulare. La libera circolazione dei lavoratori, prevista dalla legislazione dell'UE, è una tendenza inarrestabile che gli imprenditori e i lavoratori devono capire come affrontare. Occorre assicurare che le imprese possano essere competitive, garantendo al tempo stesso la parità di trattamento e sincerandosi che le condizioni di lavoro siano rispettate e i lavoratori non siano sfruttati.

6.14   Per questo motivo è necessario applicare al turismo insulare un approccio calibrato. Il turismo infatti rappresenta una risorsa vitale per gli abitanti e le PMI delle isole. Ora è il momento di agire. Le isole devono misurarsi con la concorrenza. In primo luogo vanno affrontati i problemi immediati a breve termine. Affinché il turismo possa rimanere sostenibile continuando a svolgere il ruolo di importante motore della crescita economica, bisognerà intervenire in maniera efficace nel medio e lungo periodo.

7.   Favorire la creazione di reti per promuovere l'innovazione nell'organizzazione delle imprese e delle destinazioni turistiche

7.1   Diversi settori dell'industria turistica (linee aeree, catene alberghiere, tour operator, autonoleggi, ecc.) presentano un elevato livello di concentrazione e sono spesso gestiti da attori presenti a livello mondiale. Nell'industria turistica delle isole continuano invece a prevalere le PMI. Per sopravvivere di fronte a tali concorrenti globali, le imprese turistiche insulari dovrebbero provare a orientarsi verso una concorrenza costruttiva piuttosto che distruttiva. Una concorrenza costruttiva aumenterebbe le dimensioni del mercato, amplierebbe la piattaforma dei prodotti e ne consentirebbe infine una diversificazione intelligente e un'innovazione tali da garantire un'offerta di classe mondiale; una concorrenza distruttiva, invece, costringerebbe le imprese a concorrere per la stessa quota di mercato, provocando una convergenza dei prodotti e innescando una guerra dei prezzi. È dunque importante che le imprese turistiche sappiano come rafforzare la cooperazione reciproca per dar vita a una concorrenza di tipo costruttivo.

7.2   Gli imprenditori del settore turistico insulare, in particolare quelli più piccoli, sono più sensibili alla concorrenza dei loro partner che ai vantaggi derivanti dalla collaborazione. Nel mondo del turismo si può fare una distinzione tra reti/raggruppamenti geografici e reti/raggruppamenti basati sulle attività, come il turismo «verde», l'agriturismo, il turismo enogastronomico, ecc. Le reti/i raggruppamenti possono svolgere un ruolo chiave nel rafforzamento della capacità degli operatori di fare innovazione, ad esempio riducendo i costi di sperimentazione, aumentando la visibilità e migliorando la capacità di risposta all'evoluzione della domanda. Come accade in altri settori dei servizi, anche nell'industria turistica l'innovazione dipende essenzialmente dalle reti e dalla cooperazione.

7.3   Un altro fattore chiave per una crescita costante dell'industria turistica insulare è la collaborazione tra responsabili politici, imprenditori e organizzazioni sindacali, nonché l'integrazione di organismi, fondazioni e associazioni che operano nel settore del turismo. Se infatti la creazione di reti è principalmente opera del settore imprenditoriale, agli enti locali spetta il compito di sviluppare infrastrutture in grado di migliorare e sostenere tali reti.

Bruxelles, 15 luglio 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Una migliore integrazione nel mercato interno come fattore chiave di coesione e di crescita per le isole (GU C 27 del 3.2.2009, pag. 123).

(2)  Cfr. parere del CESE Un turismo accessibile a tutti e socialmente sostenibile, GU C 32 del 5.2.2004, pag. 1.


11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/81


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Tassa sulle operazioni finanziarie» (parere d'iniziativa)

2011/C 44/14

Relatore: Lars NYBERG

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 febbraio 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Tassa sulle operazioni finanziarie.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 giugno 2010.

Alla sua 464a sessione plenaria, dei giorni 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 15 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 121 voti favorevoli, 55 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Sintesi e conclusioni

1.1   Il valore totale di tutte le operazioni finanziarie che nel 1990 era circa 15 volte il valore del PIL mondiale è aumentato a circa 70 volte questo valore nel 2007 (1). Non c'è stata quasi nessuna variazione nel valore delle operazioni a pronti in rapporto al PIL: ciò significa che il quadruplicarsi delle operazioni finanziarie è dovuto quasi interamente a strumenti derivati, soprattutto quelli su tassi d'interesse. Si è verificato un calo nella negoziazione di strumenti derivati nella seconda metà del 2008, ma il volume è nuovamente aumentato nella prima metà del 2009. Non sembra esservi stato un grande cambiamento nel comportamento del settore finanziario.

1.2   Nel 2007 il settore finanziario, il cui compito principale consiste nel sostenere l'economia reale, rappresentava il 40 % di tutti gli utili aziendali negli USA, ma la sua quota sul PIL era di solo il 7 %. Si è anche registrata una concentrazione verso alcune piazze finanziarie, soprattutto quelle di Londra e di New York, e verso alcuni istituti finanziari di grandissime dimensioni. Volumi enormi di denaro sono stati immessi nel settore per salvare questi istituti dal crollo e ciò ha causato disavanzi di bilancio senza precedenti.

1.3   Una tassa sulle operazioni finanziarie (financial transaction tax o FTT) potrebbe avere un impatto decisivo sul comportamento degli istituti finanziari attraverso una riduzione del numero delle operazioni finanziarie a brevissimo termine, che spesso sono anche operazioni rischiose.

1.4   Il CESE ha sostenuto in linea di principio l'idea di introdurre una FTT nel parere sulla relazione del gruppo de Larosière (2): «Secondo il CESE, è necessario passare da un'ottica di breve termine a una di lungo termine in cui i bonus non siano calcolati sulla base di attività speculative. A tale scopo il Comitato sostiene l'idea di un'imposizione sulle operazioni finanziarie». Con il presente parere il CESE intende prendere parte alle discussioni in corso su questa tassa e approfondire il tema degli obiettivi e degli effetti di una FTT.

1.5   La proposta originaria a favore dell'introduzione di una tassa sulle operazioni in titoli fu formulata nel 1936 da John Maynard Keynes, per ridurre la speculazione sui titoli azionari e i suoi effetti destabilizzanti e per rafforzare i fondamentali alla base dei corsi azionari nel lungo periodo. Negli anni '70 questa proposta fu ulteriormente sviluppata da James Tobin, che voleva così realizzare una decelerazione del mercato finanziario per allinearlo maggiormente all'economia reale attraverso una tassa sulle operazioni internazionali a pronti sulle valute. Il suo obiettivo era identico a uno degli obiettivi attualmente in discussione, ossia la riduzione delle operazioni a breve termine.

1.6   Tobin proponeva di destinare il gettito di questa tassa all'FMI o alla Banca mondiale, ma il gettito non era il suo principale obiettivo: «Più la tassa riuscirà a centrare gli obiettivi economici che costituiscono la mia principale motivazione … minori saranno le entrate fiscali che genererà …».

1.7   L'idea di una tassa è nuovamente diventata di grande attualità dopo la crisi finanziaria del 2008 e adesso l'idea è quella di una tassa applicata a tutte le operazioni finanziarie tra istituti finanziari.

1.8   Secondo il CESE, il primo e principale obiettivo di una FTT dovrebbe essere quello di modificare il comportamento nel settore finanziario attraverso una diminuzione delle operazioni finanziarie a breve termine a fini speculativi. In questo modo le attività nel settore finanziario possono svolgersi attraverso il meccanismo dei prezzi di mercato. Alcune di queste operazioni sono state persino definite socialmente inutili da Lord Turner (Autorità per i servizi finanziari del Regno Unito). L'effetto desiderato potrebbe essere raggiunto perché la FTT grava con l'intensità massima sulle operazioni più frequenti.

1.9   Se una FTT riduce in misura considerevole la negoziazione a breve termine di titoli e strumenti derivati, essa farà anche diminuire gli utili del settore finanziario, il che potrebbe portare a una riduzione dei bonus ma anche a una diminuzione del gettito derivante dalla tassazione degli utili. L'attività bancaria tradizionale, che è basata su prestiti ad aziende e famiglie finanziati da depositi e in cui gli utili sono generati dalla differenza tra i tassi d'interesse applicati, non ne risentirà. Questo tipo di attività bancaria potrebbe ridiventare lo scopo principale del settore finanziario, un'attività in cui i risparmi sono allocati in modo ottimale per gli investimenti. Le nuove difficoltà finanziarie emerse nel 2010 e la ricerca, da parte dell'FMI e dell'UE, di metodi di finanziamento per le future crisi finanziarie non dovrebbero farci sprecare quest'occasione di apportare miglioramenti nel settore finanziario abbandonando una logica di breve termine.

1.10   Il secondo obiettivo di una FTT è quello di reperire entrate pubbliche. Questa nuova fonte di entrate potrebbe essere utilizzata per sostenere lo sviluppo economico nei paesi in via di sviluppo, per finanziare politiche in materia di clima in questi paesi, oppure per alleggerire l'onere sulle finanze pubbliche. Quest'ultima destinazione implica inoltre che il settore finanziario rimborserà le sovvenzioni pubbliche. Nel lungo termine, il gettito della tassa dovrebbe offrire una nuova fonte generale di entrate pubbliche.

1.11   La FTT avrebbe un carattere progressivo in quanto i clienti degli istituti finanziari - e gli istituti stessi, quando negoziano in proprio - rappresentano le fasce più facoltose della società. Inoltre si ritiene che il settore finanziario non versi in imposte la quota che effettivamente corrisponde al suo peso.

1.12   La FTT dovrebbe avere un campo di applicazione il più vasto possibile e dovrebbe essere preferibilmente applicata sia nei mercati nazionali che alle operazioni con l'estero. Il CESE raccomanda, per un sistema globale, un'aliquota fiscale per la FTT di appena lo 0,05 %. Con un sistema europeo, sarebbe auspicabile un'aliquota più bassa per garantire che essa non distorca il funzionamento del mercato finanziario.

1.13   L'introduzione di una tassa riduce sempre il valore degli attivi, ma ha un'influenza sulla piazza in cui si svolge la negoziazione se la tassa non è globale? Uno studio ha mostrato che l'imposta di bollo esistente nel Regno Unito ha ridotto il volume di negoziazione del 20 % senza di fatto causare un abbandono della piazza di Londra da parte degli operatori.

1.14   L'introduzione di questa tassa non implicherebbe praticamente alcun costo amministrativo, tecnico o economico, in quanto queste operazioni sono già effettuate per via telematica. Tuttavia non esiste ancora un mercato telematico per le operazioni fuori borsa (over the counter od OTC), ma è in preparazione una normativa europea in materia. La necessità di includere tutte le operazioni, quindi anche il mercato OTC, in una borsa regolamentata mostra che regolamentazione e tassazione (del tipo della FTT) sono complementari, non alternative.

1.15   Operando una modifica del comportamento nel settore finanziario - più basato sui fondamentali di lungo termine - e generando al tempo stesso maggiori entrate pubbliche, la FTT genera il cosiddetto «doppio dividendo». Tuttavia è anche evidente che più alta sarà l'aliquota, maggiore sarà l'effetto sulle operazioni di breve termine negoziate e, a seguito di ciò, minori saranno le entrate. Pertanto bisogna cercare un'aliquota che porti a un equilibrio tra i due obiettivi della FTT, ossia modifica del comportamento e gettito fiscale.

1.16   Se la tassa fosse applicata in tutta Europa, le entrate fiscali ammonterebbero a circa l'1,5 % del PIL e la maggior parte di questo gettito proverrebbe dal mercato finanziario britannico. Con un'applicazione su scala mondiale, le entrate fiscali ammonterebbero a circa l'1,2 % del PIL mondiale. Inoltre i risultati sono all'incirca gli stessi per l'Europa e per gli USA.

1.17   Al vertice tenutosi a Toronto il 26 e 27 giugno 2010 il G20 non ha proposto una tassa globale sulle operazioni finanziarie. Il CESE ritiene comunque che un sistema europeo dovrebbe rimanere nel programma delle riforme finanziarie.

2.   Contesto

2.1   Molte ragioni sono state addotte per spiegare la crisi finanziaria che è scoppiata in modo drammatico dopo il fallimento della banca d'affari Lehman Brothers (3) nel 2008. Tra di esse si annoverano il denaro a basso costo per effetto dei bassi tassi di interesse, il diffondersi di titoli ad alto rischio attraverso le cartolarizzazioni, le carenze della regolamentazione e della vigilanza, la disponibilità di risorse economiche per fini speculativi attraverso il processo - già in atto da molto tempo - di ridistribuzione del reddito dal lavoro al capitale, la natura globale del mercato finanziario, ecc.

2.2   Il settore finanziario misurato in rapporto al PIL è cresciuto quasi oltre ogni immaginazione. Nel 1990 il valore delle operazioni finanziarie ammontava a circa 15 volte il PIL mondiale; allo scoppio della crisi nel 2008 era aumentato a 70 volte il PIL mondiale (4). La quota delle operazioni a pronti sul PIL mondiale è quasi la stessa fatta segnare nel 1990 e quindi il quadruplicarsi delle operazioni finanziarie è dovuto quasi interamente a strumenti derivati. Questi sono perlopiù oggetto di operazioni fuori borsa (OTC), ossia di accordi diretti tra un cliente e un istituto finanziario, e la maggior parte di tali operazioni riguarda strumenti derivati su tassi d'interesse (5). Persino le operazioni a lungo termine come le obbligazioni ipotecarie sono state risucchiate nel mercato a breve termine grazie alla frequenza con cui passano di mano. I motivi alla base di gran parte della nuova negoziazione possono essere sia la copertura del rischio che la speculazione.

2.2.1   L'evoluzione del mercato degli strumenti derivati è un aspetto nuovo del sistema economico che non è sempre legato all'economia reale allo stesso modo in cui lo è il capitale tradizionale. Esistono molti tipi di strumenti derivati - come i contratti a premi (options), i contratti a termine standardizzati (futures), i forwards e gli swap - e questi strumenti possono essere basati - ad esempio - su merci varie, su cambi, su tassi d'interesse ma anche su pure scommesse sul futuro.

2.2.2   Le statistiche mostrano un calo nella negoziazione di strumenti derivati nella seconda metà del 2008, ma questo calo non è stato particolarmente forte, soltanto un ritorno al livello di tre anni fa. Inoltre, nella prima metà del 2009 il volume di tali operazioni ha ripreso ad aumentare (6) e ancora una volta queste variazioni hanno perlopiù riguardato gli strumenti derivati su tassi d'interesse. Da tutto ciò si può concludere che non è cambiato molto nel comportamento del settore finanziario. D'altro canto le cartolarizzazioni, ossia il principale elemento scatenante della crisi finanziaria, sono state quasi completamente spazzate via dal mercato (7).

2.2.3   Nel 2007, appena prima della crisi, il settore finanziario rappresentava il 40 % di tutti gli utili aziendali negli USA, ma la sua quota sul PIL era di solo il 7 % (8). Quando al settore finanziario fa capo il 40 % degli utili, è chiaro che esso si è allontanato dalla sua funzione di intermediario finanziario. Sotto questo aspetto, dato il suo carattere oligopolistico in alcuni paesi, il settore finanziario non è efficiente nel finanziamento dell'economia reale.

2.2.4   Si è anche registrata una concentrazione verso alcune piazze finanziarie, soprattutto quelle di Londra e di New York; al tempo stesso, si è osservata una concentrazione verso alcuni istituti finanziari di grandissime dimensioni. In riferimento alla loro dimensione è stata coniata la frase «troppo grandi per fallire», nozione che a sua volta ha obbligato molti governi a procedere al salvataggio di alcune banche per evitare il crollo del settore finanziario. Volumi enormi di denaro sono stati iniettati nel settore e ciò ha causato disavanzi di bilancio senza precedenti.

2.3   Nella relazione del gruppo de Larosière sono state avanzate molte proposte per modificare il sistema finanziario in modo che crisi del genere non si ripetano in futuro (9). Alla pubblicazione della relazione sono seguite in breve tempo quattro proposte di regolamento sulla vigilanza macro e microprudenziale del settore finanziario presentate dalla Commissione (10), nonché varie proposte tese a modificare le regole del settore finanziario (11). Parallelamente, una discussione intensa è in corso anche negli USA.

2.3.1   Le proposte a favore di una nuova normativa hanno principalmente riguardato la vigilanza e la regolamentazione di determinati istituti finanziari, andando a sostituire in parte l'autoregolamentazione del settore finanziario. Soltanto una piccola parte di queste proposte era diretta a modificare il comportamento del settore finanziario e non sono emerse proposte tese a regolamentare gli strumenti del settore finanziario, malgrado il fatto che alcune delle cause reali della crisi finanziaria siano da individuare tra questi strumenti.

2.4   Non sono state avanzate neanche proposte ufficiali dell'UE in merito all'introduzione di una tassa sulle operazioni finanziarie (FTT), anche se una discussione generale al riguardo ha acquistato vigore negli ultimi anni. Questa tassa potrebbe avere, secondo il CESE, un impatto decisivo sul comportamento degli istituti finanziari e sul funzionamento degli strumenti; questo risultato potrebbe essere raggiunto attraverso una riduzione di alcune delle operazioni finanziarie a breve termine attualmente prevalenti.

2.4.1   Al vertice tenutosi a Pittsburgh nel settembre 2009 i capi di Stato e di governo del G20 hanno chiesto all'FMI «di preparare un rapporto per la nostra prossima riunione [giugno 2010] in merito al ventaglio di opzioni che i paesi hanno adottato o stanno studiando in relazione alle modalità con cui il settore finanziario potrebbe dare un contributo equo e tangibile al pagamento degli oneri associati agli interventi statali a favore del sistema bancario». Nel rapporto preliminare dell'FMI presentato ad aprile 2010, l'accento era posto sulle misure per neutralizzare future crisi finanziare, tra le quali in particolare un prelievo fiscale per la stabilità finanziaria accompagnato da sistemi di risoluzione. Nel presente parere il CESE non formulerà alcun commento particolare su queste proposte e si limiterà a soffermarsi sulla breve discussione dell'FMI in merito a una FTT per l'attuale crisi.

2.4.2   Il CESE ha manifestato il suo accordo di massima alla FTT nel parere sulla relazione del gruppo de Larosière: «Secondo il CESE, è necessario passare da un'ottica di breve termine a una di lungo termine in cui i bonus non siano calcolati sulla base di attività speculative. A tale scopo il Comitato sostiene l'idea di un'imposizione sulle operazioni finanziarie». Con il presente parere il CESE intende prendere parte alle discussioni in corso e approfondire il tema degli obiettivi e degli effetti di una FTT.

3.   Introduzione

3.1   La proposta originaria a favore dell'introduzione di una tassa sulle operazioni in titoli (STT) fu formulata nel 1936 da John Maynard Keynes, per ridurre la speculazione sui titoli azionari e i suoi effetti destabilizzanti e per rafforzare i fondamentali alla base dei corsi azionari nel lungo periodo.

3.2   Negli anni '70 James Tobin propose una tassa sulle operazioni in valuta (CTT), la «Tobin tax», per ridurre la speculazione sulle valute e i suoi effetti destabilizzanti. Con la libera circolazione dei capitali, gli attacchi speculativi alle valute erano diventati più facili. Lo scopo di Tobin era quello di realizzare una decelerazione del mercato finanziario, per allinearlo maggiormente all'economia reale, e di rafforzare il ruolo della politica monetaria. L'idea era che la tassa si applicasse alle operazioni a pronti sulle valute con un'aliquota dello 0,5 %. Sebbene tale tassa non avesse per oggetto tutte le operazioni finanziarie (le operazioni a pronti rappresentano oggi meno del 10 % delle operazioni mondiali), il suo obiettivo era identico a uno degli obiettivi di cui si discute attualmente, ossia la riduzione delle operazioni a breve termine.

3.2.1   Tobin proponeva di destinare il gettito di questa tassa all'FMI o alla Banca mondiale, ma il gettito non era il suo principale obiettivo: «Più la tassa riuscirà a centrare gli obiettivi economici che costituiscono la mia principale motivazione … minori saranno le entrate fiscali che genererà …» (12).

3.3   Durante la crisi finanziaria del 2008 l'idea di una tassa è nuovamente riemersa, questa volta non soltanto per le operazioni sui mercati valutari ma per tutte le operazioni finanziarie. Bisogna precisare che, pur con un campo di applicazione così vasto, essa non comprende le operazioni finanziarie in cui sono coinvolte famiglie e imprese, perché dovrebbe essere limitata alle operazioni tra istituti finanziari. Tra i sostenitori di una FTT possiamo annoverare molti tipi di organizzazioni della società civile, economisti, nonché personalità del settore finanziario, come il presidente dell'Autorità per i servizi finanziari del Regno Unito Lord Turner; ad essi si è ora aggiunto il Consiglio europeo del 17 giugno 2010 con le sue proposte per il vertice G20 (13). Tra coloro che si oppongono all'introduzione di una FTT si trovano l'FMI, l'OCSE e la Banca mondiale.

3.4   Quali sono gli obiettivi principali di una tassa di questo tipo? Su cosa dovrebbe essere prelevata? Quale dovrebbe essere la sua aliquota? Può essere applicata in un solo paese oppure è necessario applicarla nell'intera UE o su scala mondiale? Quali potrebbero esserne i risultati? Il presente parere approfondisce queste domande e fornisce alcune cifre, basate sugli studi dell'Istituto austriaco di ricerca economica (WIFO) (14) e sulle ricerche del Centro di ricerca politica ed economica (CEPR) e dell'Istituto di ricerca di economia politica (PERI, Università del Massachusetts, Amherst) (15).

3.5   Un meccanismo per influenzare il comportamento del settore finanziario, dopo le discussioni avviate da Keynes e Tobin, è quello che sfrutta gli effetti di una FTT sulle operazioni a breve termine. Stante la frequenza delle negoziazioni a breve termine, una FTT fa salire il costo delle operazioni a breve termine rispetto a quelli delle operazioni a lungo termine. I governi possono, attraverso la variazione del costo relativo, indurre in questo modo il settore finanziario, per mezzo del meccanismo dei prezzi di mercato, a basarsi maggiormente sui fondamentali di lungo termine dell'economia reale.

4.   Obiettivi

4.1   Un esame dettagliato del mercato finanziario mostra che l'aumento del suo volume è principalmente dovuto a operazioni a breve termine spesso a carattere speculativo o a copertura del rischio. Le dimensioni di molte di queste operazioni sono eccessive in rapporto all'economia reale. Poiché le fluttuazioni di breve termine tendono ad amplificare le oscillazioni di lungo termine dei prezzi degli attivi, questi ultimi possono anche discostarsi dall'andamento dell'economia reale (16). Alcune di queste operazioni sono state persino definite socialmente inutili da Lord Turner.

4.1.1   Pertanto un primo obiettivo di una FTT dovrebbe essere, secondo il CESE, quello di modificare l'attuale comportamento nel settore finanziario attraverso una diminuzione delle operazioni finanziarie a breve termine a fini speculativi. Le operazioni finanziarie a breve termine sono responsabili della maggior parte dell'aumento dell'attività nel settore finanziario durante il primo decennio del 21o secolo. Il settore finanziario deve nuovamente assumersi le sue responsabilità permanenti in rapporto all'economia reale.

4.1.2   Nel suo rapporto l'FMI ricorda gli effetti di una FTT sul comportamento, ma trattandoli come aspetti negativi. Tra quelli ricordati, si afferma che essa non rappresenta un metodo per finanziare un futuro sistema di risoluzione, ma ciò non è mai stato l'obiettivo di una FTT. Un'altra obiezione si riferisce all'osservazione che è meglio tassare direttamente quelle operazioni che ci si prefigge di ridurre, ma è esattamente quello si fa con la FTT quando essa colpisce più pesantemente le operazioni a breve termine.

4.1.3   Una contrazione del volume della negoziazione a breve termine riduce anche la sua quota sulle attività degli istituti finanziari. Ciò significa un aumento della quota di altre attività, come quella di intermediazione tra risparmiatori e prenditori di credito. Il settore finanziario non è fine a se stesso, ma rappresenta uno strumento per raggiungere altri obiettivi dell'economia. Un settore finanziario efficiente utilizzerà i risparmi nel modo migliore per investimenti nell'economia reale.

4.1.4   L'attività tradizionale delle banche commerciali si basa sui prestiti ad aziende e famiglie e la differenza tra i tassi d'interesse applicati genera gli utili. Inoltre, a sostegno dei loro clienti, le banche offrono assistenza nel reperire denaro sui mercati dei capitali, proteggono e coprono le esposizioni in valuta e in merci connesse con il commercio internazionale e coprono i contratti per consegna a termine di materie prime agricole. Nel fornire questi servizi, le banche compensano i rischi che esse stesse assumono tramite operazioni con altre banche, generalmente in tempo reale. Il servizio ai clienti può comportare diversi tipi di operazioni a brevissimo termine. Inoltre, le banche traggono profitti anche dall'attività di negoziazione in proprio di titoli e strumenti derivati. Tutto ciò non andrebbe eliminato dal mercato finanziario, perché in parte rappresenta l'attività di negoziazione interbancaria tesa a garantire la liquidità. Tuttavia, se una FTT riduce in misura considerevole la negoziazione a breve termine di titoli e strumenti derivati, essa farà anche diminuire gli utili del settore finanziario, il che porterà probabilmente a una riduzione sia dei bonus che del gettito derivante dalla tassazione degli utili. L'attività bancaria tradizionale ne risentirà appena, e gli utili futuri degli istituti finanziari saranno di livello inferiore e dipenderanno principalmente dalle tradizionali attività bancarie.

4.1.5   Esistono opinioni divergenti nella letteratura in materia, ma un effetto potrebbe essere una diminuzione della volatilità dei prezzi degli attivi. È possibile che, con un numero minore di azioni speculative, i prezzi degli attivi diventino più stabili. Una visione alternativa è che le negoziazioni occasionali possono essere molto volatili e casuali senza l'effetto moderatore del volume.

4.1.6   Con il riassunto dei potenziali effetti di una FTT sul comportamento di differenti istituti finanziari, si intende sottolineare che questi cambiamenti potrebbero ridurre la negoziazione ad alta frequenza. Le nuove difficoltà finanziarie emerse nel 2010 e la ricerca, da parte dell'FMI e dell'UE, di metodi di finanziamento per le future crisi finanziarie non dovrebbero farci perdere questa buona opportunità di apportare miglioramenti nel settore finanziario.

4.2   L'altro principale obiettivo di una FTT è quello di reperire entrate pubbliche. Una FTT raccoglierebbe un gettito considerevole. La discussione sulla destinazione di questo nuovo gettito include il sostegno allo sviluppo economico nei paesi in via di sviluppo, il finanziamento di politiche in materia di clima nei paesi in via di sviluppo, oppure l'alleggerimento dell'onere sulle finanze pubbliche generato dalla crisi finanziaria. Dopo le recenti discussioni politiche in seno all'UE, il gettito verrà molto probabilmente utilizzato quale fonte di entrate pubbliche.

4.2.1   Secondo la Commissione, è stato approvato un sostegno finanziario fino al 30 % del PIL dell'UE che, se si escludono dal calcolo le garanzie, ammonta al 13 % (per il Regno Unito occorre raddoppiare questa percentuale). Quando consideriamo questo costo pubblico del sostegno al settore finanziario durante la crisi, si dovrebbe osservare che circa la metà di questi aiuti non è stata mai utilizzata e che gran parte di essi sarà alla fine rimborsata. La percentuale del 13 % si riferisce all'iniezione di capitale (capitale sociale delle banche), all'acquisto di attivi e al sostegno diretto; gran parte delle garanzie sembra non essere affatto utilizzata.

4.2.2   Il gettito di una FTT potrebbe essere inizialmente usato per pagare i costi rimanenti. È precisamente là dove si sono dovuti impiegare i più consistenti volumi di denaro pubblico per salvare le banche che una FTT dovrebbe generare il gettito maggiore a causa della concentrazione del mercato finanziario. Tuttavia i costi pubblici totali sono stati molto più alti in quanto comprendono la perdita di contributi previdenziali, i costi degli stabilizzatori automatici, pagamenti di tassi d'interesse più alti su prestiti pubblici, ecc. Persino l'FMI afferma che «gli ingenti costi economici, sociali e in termini di bilancio delle crisi finanziarie lasciano intendere che il contributo del settore finanziario alle entrate generali dovrebbe andare oltre la copertura dei costi di bilancio legati al sostegno diretto» (17).

4.2.3   In futuro la FTT dovrebbe invece essere considerata una nuova fonte generale di entrate pubbliche. Tenuto conto che i servizi finanziari sono esenti da IVA - e quindi gli utenti dei servizi bancari pagano meno per tali servizi rispetto alla maggior parte degli altri servizi - e anche alla luce dei notevoli utili del settore finanziario, sembra particolarmente legittimo aumentare le tasse su questo settore.

4.2.4   Secondo uno studio realizzato dall'OCSE, agli USA sarà imputabile nel 2011 quasi la metà del disavanzo pubblico globale di tutti i paesi membri di questa organizzazione. Per quello stesso anno si stima che il disavanzo di bilancio in rapporto al PIL dovrebbe aggirarsi sul 6 % nell'area dell'euro. Le sfide reali non riguardano soltanto i paesi dell'area dell'euro (ad esempio, la Grecia), ma anche il Regno Unito, dove si stima che il disavanzo sia di circa il 12 %.

4.2.5   Un'alternativa alla FTT che il rapporto preliminare dell'FMI esamina è una tassa sull'attività finanziaria (financial activity tax o FAT), che è prelevata sugli utili e sui compensi. Si tratta di un metodo semplice per tassare le attività finanziarie, ma la differenza più importante rispetto a una FTT è che una FAT grava su tutti i tipi di attività senza effetti differenti sulle operazioni a breve termine rispetto alle operazioni a lungo termine. Essa rappresenta soltanto un mezzo per aumentare il gettito fiscale proveniente dalle banche.

4.2.6   Anche con un'aliquota uniforme la FTT avrebbe un carattere progressivo, in quanto i clienti degli istituti finanziari - e gli istituti stessi, quando negoziano in proprio - rappresentano le fasce più facoltose della società. Sebbene sia importante concentrarsi sul modo in cui una FTT potrebbe essere uno strumento il più possibile efficiente per il settore finanziario, anche l'incidenza della tassa deve essere presa in considerazione. In un documento di lavoro dei servizi della Commissione (18) si afferma che spesso «si considera che le fonti innovative abbiano il vantaggio di una maggiore accettazione politica, in particolare quando l'onere fiscale viene imposto su gruppi o settori il cui attuale contributo nell'ambito dell'imposizione complessiva non viene ritenuto equo».

4.2.7   Il Parlamento europeo ha chiesto alla Commissione di «elaborare, con sufficiente anticipo rispetto al prossimo vertice del G20, una valutazione d'impatto della tassazione delle operazioni finanziarie a livello mondiale, esaminandone vantaggi e svantaggi» (19). Analogamente, il CESE rileva molti aspetti tecnici di una FTT che meritano di essere studiati. Il documento di lavoro presentato dai servizi della Commissione (20) non risponde pienamente alle proposte avanzate dal Parlamento europeo. Il CESE intende pertanto sottolineare la necessità di una valutazione d'impatto completa accompagnata da una proposta ufficiale per l'introduzione di una FTT.

5.   Strutturazione

5.1   Campo di applicazione generale

5.1.1   La base imponibile non dovrebbe essere costituita soltanto dalle operazioni finanziarie internazionali, ma da tutte le operazioni finanziarie. Anche se si utilizza la parola «tutte», esiste un limite nella maggior parte delle stime relativamente al tipo di operazione considerata o al valore dell'operazione imponibile. Nello studio del CEPR/PERI sono esaminate differenti basi imponibili. Nello studio del WIFO si è scelta una variante onnicomprensiva.

5.1.2   Un criterio da impiegare per la scelta delle operazioni da assoggettare a tassazione dovrebbe essere quello di concentrarsi sulle operazioni a più breve termine. Un altro punto di partenza dovrebbe essere quello di prevedere un campo di applicazione il più vasto possibile. Una terza scelta da operare è se la tassa debba essere applicata nei mercati nazionali oppure se si debbano includere anche le operazioni con l'estero.

5.1.3   Se sono incluse sia le operazioni nazionali che quelle estere, il campo di applicazione comprende tutte le operazioni finanziarie. Il proposito di non creare distorsioni nell'economia reale potrebbe essere una ragione per escludere le operazioni a pronti.

5.1.4   La scelta di non includere tutte le operazioni avrà degli effetti sulla situazione concorrenziale dei differenti tipi di operazione. Questi effetti sono auspicabili se pongono un onere maggiore sulle operazioni speculative a breve termine rispetto alle operazioni non speculative a lungo termine. È quanto in effetti avverrà, poiché più frequenti saranno le operazioni e più pesantemente la tassa graverà su di esse.

5.1.5   L'utilizzo del valore figurativo di un'operazione finanziaria quale base di una FTT è stato criticato, perché tale valore è una base quasi immaginaria. Si potrebbe tassare il denaro effettivamente percepito dagli istituti finanziari nella negoziazione di strumenti derivati - sia esso la commissione, il premio oppure tutto ciò che rappresenti il costo per la clientela - quale alternativa alla FTT. Lo sviluppo di operazioni finanziarie che utilizzano valori figurativi in rapporto al PIL rappresenta però, secondo il CESE, una misura utile specialmente per mostrare l'evoluzione nel tempo dei volumi negoziati nel mercato finanziario.

5.2   Campo di applicazione geografico

5.2.1   La FTT dovrebbe essere nazionale, sopranazionale (UE) o globale? Senza dubbio una tassa globale è preferibile, ma se ciò non fosse possibile esistono certamente delle ragioni a sostegno di un'applicazione nell'intera UE. Tuttavia ci sono esempi che mostrano che persino una tassa nazionale è possibile, in particolare nei paesi con un settore finanziario importante. Ci si potrebbe attendere che una tassa di questo tipo abbia notevoli effetti sulla piazza in cui si svolge la negoziazione, ma l'esperienza mostra che ciò non sembra rappresentare un problema (21).

5.2.2   L'introduzione di una tassa sugli attivi riduce sempre il loro valore, ma ha un'influenza sulla piazza in cui si svolge la negoziazione? Uno studio ha calcolato che il tipo d'imposta di bollo, dello 0,5 %, che il Regno Unito applica sui titoli azionari e su alcune obbligazioni ha ridotto il volume di negoziazione del 20 % e pertanto non si può affermare che essa abbia allontanato le attività dalla piazza di Londra (22).

5.3   Aliquota

5.3.1   Per l'aliquota sono stati proposti differenti livelli, compresi tra lo 0,1 % e lo 0,01 %. Il livello indicato più spesso è lo 0,05 %. Con un sistema globale, il CESE raccomanda una FTT con questa aliquota. Essa è così bassa che può essere applicata senza alcun rischio di produrre effetti sulle operazioni a breve termine di proporzioni tali da creare distorsioni nel funzionamento del mercato finanziario. Se una FTT venisse tuttavia introdotta nel quadro di un sistema europeo, bisognerebbe considerare un'aliquota più bassa.

5.3.2   Operando una modifica del comportamento nel settore finanziario - più basato su fondamentali di lungo termine - e al tempo stesso generando maggiori entrate pubbliche, la FTT genera il cosiddetto «doppio dividendo». Tuttavia è anche evidente che più alta sarà l'aliquota, maggiore sarà l'effetto sulle operazioni di breve termine negoziate e, a seguito di ciò, minori saranno le entrate. Pertanto bisogna cercare un'aliquota che porti a un equilibrio tra i due obiettivi della FTT, ossia modifica del comportamento e gettito fiscale.

5.3.3   Gli esempi del mondo reale mostrano che le tasse o altre forme di imposizione sono state sempre prelevate su alcune operazioni finanziarie, non su tutte. Quando la tassa è prelevata su tutte le operazioni, gli effetti non possono essere noti in anticipo con esattezza. Pertanto l'aliquota andrebbe riesaminata ad esempio dopo tre anni per capire se debba essere aumentata o diminuita.

5.4   Fattibilità

5.4.1   Una questione di un'altra natura concerne la facilità con la quale questa tassa può essere riscossa. La maggior parte delle operazioni per le quali si propone di introdurre la tassa viene già effettuata per via telematica. Ciò significa che praticamente non esiste alcun costo amministrativo, tecnico o economico legato all'introduzione di questa tassa. Naturalmente bisogna sviluppare un programma informatico specifico e al riguardo si sono già realizzati alcuni test.

5.4.2   È necessario verificare la creazione e l'esistenza di prodotti finanziari innovativi che non sono soggetti a tassazione o che sono persino deliberatamente creati per evitarla. Questi prodotti devono essere inclusi nella base imponibile.

5.4.3   Non esiste ancora un mercato telematico per le operazioni OTC; è in corso di preparazione una normativa europea in materia. La necessità di includere il mercato OTC in una borsa regolamentata mostra che regolamentazione e tassazione (del tipo della FTT) sono complementari, non alternative.

6.   Effetti

6.1   Riduzione delle operazioni finanziarie a breve termine

6.1.1   Non esistono stime precise sul modo in cui la negoziazione a breve termine potrebbe essere influenzata da una FTT. Quel che abbiamo sono delle ipotesi e questo è un problema reale quando si discute della FTT. Per raggiungere lo scopo principale della riduzione della negoziazione finanziaria a breve termine non disponiamo, quindi, di dati statistici. Le uniche stime statistiche di cui disponiamo si riferiscono al possibile ammontare del gettito fiscale.

6.1.2   Un effetto della FTT è che in pratica essa riduce la liquidità, ma qual è la quantità ottimale di liquidità? Le economie funzionavano meglio che nel 1990 o nel 2000 con l'enorme liquidità esistente nel 2007? La liquidità è equivalente all'ammontare totale delle operazioni finanziarie? La risposta dovrebbe essere «no» quando parecchie di queste operazioni sono basate sugli stessi titoli, perciò l'ammontare totale delle operazioni non potrebbe essere una stima particolarmente buona della liquidità «reale». Nel ricondurre il settore finanziario al suo scopo principale di intermediario finanziario, sembra appropriato allineare la liquidità al livello del PIL. Pur senza un'idea precisa di quanto grande dovrebbe essere la riduzione, è chiaro che la direzione del cambiamento dovrebbe essere quella di un calo della liquidità rispetto al livello del 2007.

6.1.3   Poiché una FTT dovrebbe colpire le operazioni più frequenti in misura maggiore, si dovrebbe verificare - oltre a un calo del numero di operazioni - anche un cambiamento nel rapporto tra operazioni a lungo termine e operazioni a breve termine. Un motivo addotto contro l'introduzione di una FTT è che essa potrebbe accrescere l'opacità del mercato finanziario in quanto le operazioni a breve termine sarebbero meno frequenti. Considerando l'attuale livello di queste operazioni a breve termine, una riduzione anche notevole non eliminerebbe tutte le operazioni infragiornaliere. Difficilmente si può affermare che questo aspetto del settore finanziario fosse poco trasparente nell'anno 2000, ad esempio.

6.1.3.1   Come descritto nello studio del WIFO, l'accresciuto utilizzo di strumenti derivati ha portato a un innalzamento eccessivo dei prezzi sia a breve termine che a lungo termine. Un uso minore di strumenti derivati in questo contesto potrebbe ridurre la volatilità dei prezzi nel mercato finanziario, non generare l'effetto opposto come talvolta si è affermato.

6.1.3.2   L'attività di negoziazione finanziaria è suddivisa quasi in misura uguale tra banche e altri istituti finanziari. Non esistono dati di questo tipo per la suddivisione tra operazioni a breve termine e operazioni a lungo termine.

6.2   L'ammontare delle entrate pubbliche

6.2.1   Lo studio del WIFO ipotizza che il volume delle operazioni tassate si ridurrà del 65 % se l'aliquota è dello 0,05 %. Si calcola che un'aliquota più bassa porterebbe a una riduzione minore delle operazioni e un'aliquota più alta a una riduzione maggiore.

6.2.1.1   Secondo questo studio, una FTT applicata soltanto nel Regno Unito produrrebbe entrate fiscali pari a quasi il 7 % del PIL britannico. Nello Stato dell'UE con il numero maggiore di operazioni finanziarie dopo il Regno Unito, ossia la Germania, il gettito sarebbe di poco superiore all'1 % del PIL. Se la tassa fosse applicata in tutta l'UE, le entrate fiscali si aggirerebbero sull'1,5 % del PIL e la maggior parte di questo gettito proverrebbe dal mercato finanziario britannico. Con un'applicazione su scala mondiale, le entrate fiscali si aggirerebbero sull'1,2 % del PIL mondiale.

6.2.2   Nello studio del CEPR/PERI, le ipotesi su quanto potrebbe essere grande la riduzione dell'attività di negoziazione variano tra il 25 % e il 50 %. Per rendere possibile una comparazione con i dati riportati nello studio del WIFO, utilizziamo soltanto i dati relativi a una riduzione del 50 % della base imponibile. Nello studio dell'Università del Massachusetts i dati sono suddivisi per tipo di attivo negoziato e gli importi in dollari USA sono trasformati in punti percentuali del PIL statunitense.

Titoli azionari 0,75 %

Titoli obbligazionari 0,18 %

Contratti a premi (options) 0,03 %

Operazioni valutarie a pronti 0,05 %

Contratti a termine standardizzati (futures) 0,05 %

Swap 0,16 %

TOTALE 1,23 %

6.2.3   I due studi danno all'incirca gli stessi risultati per l'Europa e gli USA. Dallo studio del CEPR/PERI si può anche rilevare che le operazioni a pronti rappresentano una piccolissima parte delle operazioni totali.

Bruxelles, 15 luglio 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Dati della Banca dei regolamenti internazionali (BRI).

(2)  La relazione del gruppo de Larosière (GU C 318 del 23.12.2009, pag. 57).

(3)  La Lehman Brothers era una società di servizi finanziari operante a livello mondiale.

(4)  Stephan Schulmeister, A General Financial Transaction Tax («Una tassa generale sulle operazioni finanziarie»), WIFO Working Papers 344/2009.

(5)  Banca dei regolamenti internazionali (BRI), in Davas e von Weizsäcker, Financial Transaction Tax: Small is Beautiful («La tassa sulle operazioni finanziarie - Piccolo è bello»), 2010.

(6)  Ibidem.

(7)  H. W. Sinn durante una presentazione della relazione economica per il 2020 del Gruppo consultivo economico europeo (EEAG) tenutasi il 23 febbraio 2010 a Bruxelles.

(8)  Helene Schubert, Banca nazionale austriaca.

(9)  La relazione del gruppo de Larosière (GU C 318 del 23.12.2009, pag. 57).

(10)  Vigilanza macro e microprudenziale (CESE 100/2010 del 21 gennaio.2010).

(11)  Agenzie di rating del credito (GU C 277 del 17.11.2009, pag. 117).

Prospetto da pubblicare per l'offerta pubblica o l'ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari e Armonizzazione degli obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato (CESE 257/2010 del 18 febbraio 2010).

(12)  Tobin, James: Proposta per la riforma del sistema monetario internazionale, 1978.

(13)  Conclusioni del Consiglio europeo del 17 giugno 2010: «L'UE dovrebbe guidare gli sforzi volti a stabilire un approccio globale all'introduzione di un sistema di prelievi e tasse a carico degli istituti finanziari nella prospettiva di mantenere una parità di condizioni su scala mondiale e difenderà con vigore questa posizione di fronte ai suoi partner del G20. In tale contesto si dovrebbe esplorare e sviluppare ulteriormente l'opportunità di introdurre un prelievo sulle operazioni finanziarie a livello mondiale».

(14)  Stephan Schulmeister, A General Financial Transaction Tax («Una tassa generale sulle operazioni finanziarie»), WIFO Working Papers 344/2009.

(15)  Baker, Pollin, McArthur, Sherman: The Potential Revenue from Financial Transaction Taxes («Il gettito potenziale delle tasse sulle operazioni finanziarie»), CEPR/PERI, dicembre 2009.

(16)  Cfr. nota 14.

(17)  FMI: A fair and substantial contribution by the financial sector («Un contributo equo e tangibile da parte del settore finanziario»), rapporto intermedio per il G20.

(18)  SEC(2010) 409 definitivo, documento di lavoro finale dei servizi della Commissione: Innovative financing at a global level («Il finanziamento innovativo a livello globale»).

(19)  PE432.992v01-00 - Mozione di risoluzione.

(20)  SEC(2010) 409 definitivo.

(21)  Prelievi di questo tipo esistono anche in Corea del Sud, a Hong Kong, in Australia, a Taiwan e in India, e imposte simili in Belgio, in Argentina e in Brasile.

(22)  Istituto per gli studi sulla fiscalità (IFS): Stamp duty on share transactions: is there a case for change? («L'imposta di bollo sui trasferimenti di titoli azionari: è opportuno cambiare?»), Commentary 89, giugno 1992.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

I seguenti emendamenti, che hanno ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi, sono stati respinti nel corso del dibattito.

Punto 1.10 - Emendamento 1 presentato da SARTORIUS

Modificare come segue:

Il secondo obiettivo di una FTT è quello di reperire entrate pubbliche. Questa nuova fonte di entrate potrebbe essere utilizzata . Quest destinazione implica inoltre che il settore finanziario rimborserà le sovvenzioni pubbliche. Nel lungo termine, il gettito della tassa dovrebbe offrire una nuova fonte generale di entrate pubbliche.

Motivazione

In alcuni Stati membri non si sono utilizzati fondi pubblici per salvare istituti bancari e, pertanto, le banche non hanno rappresentato un onere per le finanze pubbliche. Tuttavia è auspicabile prevenire eventuali crisi future ed è evidente che gli istituti finanziari devono contribuire a questo fondo, che verrebbe utilizzato esclusivamente per garantire che il fallimento di un istituto insolvente sia gestito ordinatamente e non generi squilibri nel sistema finanziario nel suo complesso.

Punto 4.2 - Emendamento 4 presentato da SARTORIUS

Sopprimere le prime tre frasi del punto e sostituirle con il nuovo testo proposto per il punto 1.10:

Dopo le recenti discussioni politiche in seno all'UE, il gettito verrà molto probabilmente utilizzato quale fonte di entrate pubbliche.

Motivazione

Identica a quella per il punto 1.10.

Punto 4.2.3 - Emendamento 5 presentato da SARTORIUS

Alla fine del punto, aggiungere testo:

In futuro la FTT dovrebbe invece essere considerata una nuova fonte generale di entrate pubbliche. Tenuto conto che i servizi finanziari sono esenti da IVA - e quindi gli utenti dei servizi bancari pagano meno per tali servizi rispetto alla maggior parte degli altri servizi - e anche alla luce dei notevoli utili del settore finanziario, sembra particolarmente legittimo aumentare le tasse su questo settore.

Motivazione

Nella gestione delle finanze pubbliche è generalmente accettata l'idea che, se l'unico obiettivo è quello di reperire entrate, la tassazione delle operazioni tra imprese non è auspicabile a causa dell'effetto negativo che può avere. È preferibile tassare il loro risultato, in quanto la tassazione delle operazioni ha un effetto a cascata che porta a un aumento dei prezzi. Esistono strumenti più efficaci per reperire entrate.

I tre emendamenti suindicati sono stati votati insieme.

Esito della votazione:

Voti favorevoli

:

52

Voti contrari

:

91

Astensioni

:

9

Punto 1.11 - Emendamento 2 presentato da SARTORIUS

Sopprimere l'ultima frase:

La FTT avrebbe un carattere progressivo in quanto i clienti degli istituti finanziari - e gli istituti stessi, quando negoziano in proprio - rappresentano le fasce più facoltose della società.

Motivazione

È un'affermazione priva di fondamento. Il settore finanziario contribuisce, alla pari di qualsiasi altro settore, allo sforzo fiscale. Con quale settore il relatore lo raffronta? Quali dati può fornire per corroborare la sua affermazione.

Esito della votazione:

Voti favorevoli

:

65

Voti contrari

:

102

Astensioni

:

10

Punto 1.16 - Emendamento 3 presentato da SARTORIUS

Aggiungere un nuovo punto dopo l'attuale punto 1.16:

Motivazione

Questa affermazione è la constatazione di una realtà e per questo motivo è necessario che sia inclusa nel parere. La tassa avrà un effetto negativo sul finanziamento dell'economia reale in un momento di grande bisogno.

Esito della votazione:

Voti favorevoli

:

62

Voti contrari

:

116

Astensioni

:

4

Il seguente punto del parere della sezione è stato respinto a favore di un emendamento adottato dall'assemblea, ma ha ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi.

Punto 5.3.1 - Emendamento 8 presentato da NYBERG

Modificare come segue:

Per l'aliquota sono stati proposti differenti livelli, compresi tra lo 0,1 % e lo 0,01 %. Il livello indicato più spesso è lo 0,05 %. il CESE raccomanda una FTT con questa aliquota. Essa è così bassa che può essere applicata senza alcun rischio di produrre effetti sulle operazioni a breve termine di proporzioni tali da creare distorsioni nel funzionamento del mercato finanziario.

Esito della votazione:

Voti favorevoli

:

102

Voti contrari

:

52

Astensioni

:

15


11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/90


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «La dimensione sociale del mercato interno» (parere d'iniziativa)

2011/C 44/15

Relatore: JANSON

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 luglio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

La dimensione sociale del mercato interno.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 maggio 2010.

Alla sua 464a sessione plenaria, dei giorni 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 14 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 143 voti favorevoli, 15 voti contrari e 19 astensioni.

1.   Sintesi

1.1   La dimensione sociale è una componente essenziale del mercato interno, contraddistinta da molteplici aspetti di cui il presente parere affronta tra l'altro quelli economici e quelli giuridici. Alcuni sviluppi recenti hanno suscitato interrogativi sull'efficacia della dimensione sociale nel proteggere i lavoratori. Il mercato interno non può funzionare correttamente senza una forte dimensione sociale e il sostegno dei cittadini.

1.2   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) è fermamente convinto del fatto che l'UE ha un ruolo importante da svolgere in campo sociale, perché i singoli Stati membri non sono in grado di risolvere i problemi sociali se agiscono in modo isolato. Per rendere la sua azione accettabile sul piano politico e per generare solidarietà e coerenza, l'UE dovrebbe attribuire maggiore rilevanza agli aspetti sociali della sua politica.

1.3   Una serie di recenti vicissitudini, insieme ad altri fattori, ha compromesso la dimensione sociale. L'economia europea sta attraversando il momento più delicato degli ultimi decenni. Si è consentito che le bolle finanziarie crescessero e sono stati aggirati i meccanismi tradizionali di controllo e di valutazione del rischio. Di conseguenza la disoccupazione è aumentata e i mercati del lavoro e la situazione sociale continueranno a deteriorarsi. L'occupazione deve dunque rimanere in cima all'agenda dell'UE. Per finanziare i sistemi di protezione sociale l'Europa ha bisogno di una crescita sostenibile e di un elevato tasso di occupazione, combinato con un mercato del lavoro di alta qualità.

1.4   Nel corso dell'ultimo decennio i sistemi previdenziali sono stati oggetto di riforme volte a promuovere una maggiore efficienza degli incentivi al lavoro nei sistemi di protezione sociale, al fine di rafforzare il valore del lavoro e di reintegrare le persone nel mercato del lavoro. Tuttavia un risultato di ciò è stato l'aumento della disuguaglianza e di conseguenza un aggravamento dei problemi sociali. I sistemi occupazionali e di protezione sociale sono essenziali per alleviare l'indigenza, e senza prestazioni sociali l'aumento delle disuguaglianze e l'impatto sociale della crisi sarebbero molto più rapidi e più gravi. Il degrado delle finanze nazionali di numerosi Stati membri, che porta a una crisi, effettiva o potenziale, del debito sovrano, pone una forte pressione sui sistemi di protezione sociale. Tra le possibili soluzioni di tale problema figura un'intensificazione dell'attività economica sostenibile, la regolazione dei mercati finanziari e gli investimenti nella ricerca e nell'istruzione.

1.5   Il mercato interno è un'arena in cui trovano espressione sia la dimensione sociale che altre dimensioni. Ai fini dello sviluppo occorre garantire una crescita economica sostenibile e nuovi posti di lavoro, fattori che a loro volta generano un gettito fiscale che è alla base delle prestazioni sociali. I livelli di disoccupazione e gli squilibri fiscali indicano che si può fare molto per rimediare alla situazione attuale.

1.6   Gli aspetti giuridici della dimensione sociale sono entrati nel dibattito poiché quattro sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea (Viking, Laval, Rüffert e Lussemburgo) hanno provocato animate discussioni, in particolare negli ambienti politici e accademici, in merito a possibili timori riguardanti un crescente rischio di dumping sociale e hanno suscitato perplessità tra i membri del Parlamento europeo, nel mondo accademico e tra le organizzazioni rappresentative dei lavoratori (1). Altri sono convinti che tali sentenze della Corte di giustizia contribuiranno a migliorare il funzionamento del mercato interno.

1.7   Il CESE chiede pertanto:

 

a breve termine, una più efficace applicazione della direttiva sul distacco dei lavoratori. Il CESE propone di valutare l'idea di istituire un'«Interpol sociale europea», che sostenga le attività degli ispettorati del lavoro dei diversi Stati membri.

 

Il CESE esorta la Commissione a valutare la situazione nell'UE alla luce delle recenti sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU).

 

Il CESE appoggia inoltre l'adozione, da parte della Commissione, di misure volte a rafforzare il dialogo sociale, tra cui:

la promozione di un dialogo sociale di migliore qualità e di un meccanismo europeo per la soluzione delle controversie e la conciliazione,

l'ulteriore sviluppo del dialogo macroeconomico per prevenire una nuova crisi finanziaria,

la promozione del modello sociale europeo nelle relazioni internazionali.

 

A medio termine, il CESE è favorevole a un'iniziativa della Commissione che chiarisca gli obblighi giuridici delle autorità nazionali, delle imprese e dei lavoratori nel quadro dell'attuazione della direttiva sul distacco dei lavoratori e garantisca che tali disposizioni siano applicabili in maniera universale. Il CESE considera interessante la proposta contenuta nella relazione Monti, di escludere il diritto di sciopero dall'impatto delle norme che disciplinano il mercato interno, e ritiene che essa potrebbe risolvere alcuni problemi. Ciò non dovrebbe tuttavia escludere una revisione parziale della direttiva sul distacco dei lavoratori, intesa ad applicare in modo uniforme il principio del luogo di lavoro e a rendere possibile stabilire per legge che lo stesso lavoro prestato nello stesso luogo deve sempre beneficiare delle medesime condizioni e del medesimo compenso.

 

A lungo termine, l'Unione europea dovrebbe impegnarsi a rafforzare la dimensione sociale e realizzare pienamente il potenziale del mercato interno. Il Trattato di Lisbona e la Carta dei diritti fondamentali cui esso fa riferimento non hanno ancora esercitato pienamente il loro effetto sull'equilibrio tra diritti fondamentali e diritti economici. Per rafforzare la dimensione sociale è necessario rafforzare i diritti sociali fondamentali e rendere estremamente restrittive le limitazioni dei diritti fondamentali che comprendano i diritti sociali. Per realizzare questo obiettivo si potrebbe perseguire una modifica del Trattato.

2.   Il mercato interno e la dimensione sociale

2.1   Nel 1987, il CESE ha adottato un parere (2) sugli aspetti sociali del mercato interno, in cui proponeva che la Comunità europea assicurasse una serie di diritti sociali fondamentali connessi al mercato del lavoro. Il CESE voleva garantire che il mercato interno, che allora muoveva i suoi primi passi, non generasse distorsioni del mercato del lavoro, e sottolineare che la Comunità aveva anche obiettivi sociali. La dimensione sociale comprende la legislazione e gli accordi adottati a livello europeo al fine di garantire che i lavoratori possano godere di determinati diritti fondamentali sul luogo di lavoro, ma comporta anche che vi sia un'adeguata cooperazione per promuovere l'occupazione nell'UE.

2.2   Successivamente all'adozione di quel parere, la Commissione europea ha pubblicato numerosi documenti sul tema, che hanno rappresentato il punto di partenza per lo sviluppo di un'interpretazione più ampia e più profonda della dimensione sociale del mercato interno (3). Come ha scritto la Commissione, «la dimensione sociale del mercato interno è una componente fondamentale di questo progetto, in quanto non si tratta soltanto di rafforzare la crescita economica e di incrementare la competitività esterna delle imprese europee, ma anche di utilizzare in modo più efficiente tutte le risorse disponibili e di conseguire un'equa distribuzione dei vantaggi derivanti dal mercato unico» (4).

2.3   Nel 1989, il CESE ha avuto un ruolo importante nella definizione del contenuto della Carta sociale, conferendo così ai lavoratori diritti sociali fondamentali che non devono essere messi a repentaglio da fattori quali la pressione della concorrenza o la ricerca di una maggiore competitività. A giudizio del CESE, l'esercizio di questi diritti fondamentali presuppone che ai medesimi non siano imposte limitazioni ingiustificate.

2.4   Scopo del presente parere è tentare di individuare alcuni dei più importanti sviluppi recenti che incidono sulle possibilità di funzionamento della dimensione sociale. Il parere si basa in parte sugli altri pareri riguardanti la dimensione sociale adottati dal CESE negli ultimi anni (5). Un elemento è chiaro di primo acchito: in un'economia sociale di mercato, il mercato interno non può funzionare correttamente senza una forte dimensione sociale e senza l'accettazione da parte dei cittadini europei. Un mercato unico che funzioni correttamente comporta numerosi e importanti vantaggi per le imprese, i lavoratori, i cittadini e l'economia in generale. Peraltro, dai preamboli dei Trattati emerge che il mercato interno è stato concepito come uno strumento al servizio del benessere dei cittadini e non come un obiettivo fine a se stesso.

2.5   L'esigenza della dimensione sociale è pertanto motivata da quattro ragioni fondamentali:

la libera circolazione delle persone,

l'esistenza di diritti sociali indivisibili che qualsiasi società dovrebbe fare propri e rispettare in ogni circostanza: si tratta del diritto all'azione collettiva, alla libertà sindacale e alla contrattazione collettiva e degli altri diritti sanciti nelle convenzioni fondamentali dell'OIL e nelle convenzioni internazionali ed europee riguardanti i diritti sociali e i diritti della persona,

la necessità di rafforzare il funzionamento del mercato interno e di mitigarne le conseguenze negative, in modo che i progetti politici ed economici possano essere accettati dall'opinione pubblica e la coesione sociale sia rafforzata,

la politica sociale è anche un importante fattore di rafforzamento della competitività.

2.6   La «politica sociale» è una competenza condivisa tra il livello nazionale e quello europeo. Molte delle disposizioni in quest'ambito riguardavano principalmente la creazione della libertà di circolazione per i lavoratori e della libertà di stabilimento al fine di istituire il mercato interno. Da allora, tuttavia, la dimensione sociale ha fatto molti progressi: i successivi trattati hanno esteso il voto a maggioranza ad ambiti quali la normativa sulle pari opportunità, l'informazione e la consultazione dei lavoratori e le politiche in materia di disoccupazione. Tuttavia mancava (e manca tuttora) una base giuridica per disciplinare aspetti quali la retribuzione e i diritti di associazione, di sciopero e di serrata, questioni di cui comunque si occupano sia la giurisprudenza della Corte di giustizia che la legislazione europea. Il Trattato di Nizza ha conferito carattere formale alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e il Trattato di Lisbona ha completato l'opera rendendo la Carta stessa giuridicamente vincolante.

2.7   Le politiche sociali sono in primo luogo di competenza degli Stati membri. Tuttavia le persone che vivono negli Stati membri subiscono le ripercussioni delle sfide sociali derivanti dagli sviluppi mondiali o europei, il che rende necessario un approccio europeo coordinato. L'UE ha tentato in vari modi di risolvere il dilemma delle doppie competenze. Ha tentato di far rispettare le regole sociali adottando una serie di norme minime. Un'altra soluzione è il metodo aperto di coordinamento (MAC), che potrebbe essere utilizzato meglio e in modo più efficace, ricorrendo all'approccio dei «principi comuni», introdotto di recente, e consentendo la partecipazione della società civile alla formulazione e perfino alla negoziazione degli obiettivi della strategia di Lisbona a livello europeo (6).

2.8   L'«acquis sociale» europeo è notevole: dalla creazione dell'UE in questo campo sono stati adottati circa 70 fra regolamenti e direttive, per lo più dopo il 1985. Il CESE è fermamente convinto del fatto che l'UE deve svolgere un ruolo importante in campo sociale perché agendo in modo isolato i singoli Stati membri non sono in grado di risolvere i problemi sociali. Per rendere la sua azione accettabile sul piano politico e per generare solidarietà e coerenza, l'UE dovrebbe attribuire maggiore rilevanza agli aspetti sociali delle sue politiche, sempre nel rispetto del principio di sussidiarietà.

3.   Gli sviluppi attuali

3.1   Lo sviluppo dell'economia

3.1.1   L'economia europea sta attraversando il momento più delicato degli ultimi decenni. Dalla seconda metà del 2008 (7), l'economia mondiale ha conosciuto un brusco rallentamento, che nella maggioranza dei paesi si sta rivelando anche più grave del previsto. Proprio quando stavano mostrando segni di ripresa dalla crisi bancaria, le economie sono state esposte alla minaccia derivante dalla crisi del debito sovrano e dalla severità delle misure correttive imposte.

3.1.2   La situazione è inoltre aggravata dall'aumento della disoccupazione. Le ripercussioni della crisi finanziaria e le esigenze degli organismi di credito hanno causato tagli ai sistemi previdenziali, alle pensioni e ai trasferimenti sociali. Di conseguenza la povertà aumenterà e i gruppi più vulnerabili saranno ancora più svantaggiati, il che darà il via a un vero e proprio circolo vizioso. Molte imprese europee, pur colpite dalla crisi, hanno preso provvedimenti di concerto con i servizi pubblici di collocamento per conservare intatta la loro forza lavoro e così salvaguardare l'occupazione dei loro dipendenti.

3.1.3   L'improvviso esplodere degli eventi e la loro rapida diffusione hanno messo in evidenza nuovi fenomeni dell'economia globalizzata. Le cause di questi sviluppi sono molteplici: politiche monetarie e dei cambi che hanno contribuito a creare un eccesso di liquidità; mancata o insufficiente regolamentazione di determinati settori e soggetti; caccia a rendimenti irrealisticamente elevati in un contesto in cui i soggetti di mercato e le autorità di vigilanza e di regolamentazione non hanno riconosciuto o valutato adeguatamente i rischi; ricorso eccessivo alla leva finanziaria; coordinamento insufficiente delle politiche macroeconomiche e riforme strutturali inadeguate (8).

3.1.4   È inevitabile chiedersi se l'attuale quadro economico dell'UE, caratterizzato fra l'altro dall'insufficienza del dialogo macroeconomico, non abbia contribuito ad aggravare la crisi. Di certo ha portato all'indebolimento degli stabilizzatori automatici, a un'esplosione del credito (senza un aumento dei salari reali), al crollo dei tassi di crescita e a una minore capacità di individuare le bolle finanziarie. Il CESE ritiene che trasferendo l'indebitamento privato (banche) sul debito pubblico (Stato e cittadini) si accolli un gravame eccessivo su questi ultimi, tanto più che il deterioramento delle finanze pubbliche e i limiti imposti dal patto di crescita e stabilità suscitano interrogativi sul futuro finanziamento di investimenti vitali e indispensabili come quelli nei sistemi di protezione sociale.

3.1.5   La fase più recente della crisi ha messo in luce che molti Stati membri hanno accumulato disavanzi di bilancio insostenibili. L'azione correttiva necessaria per risanare le finanze pubbliche comporterà una pressione enorme sui sistemi fiscali e sulle politiche e sui programmi sociali.

3.1.6   È opportuno rimarcare che, nonostante i loro difetti, la Commissione sta considerando gli aiuti statali nazionali, anche per quanto riguarda la protezione dei lavoratori, nel quadro di un più ampio contesto europeo. La politica della concorrenza, in particolare per quanto riguarda le PMI e le sovvenzioni alle banche, tiene giustamente conto dell'obiettivo socioeconomico di mantenere condizioni uniformi in tutta l'Europa.

3.1.7   Nel già citato parere (9), il CESE ha constatato che i responsabili della politica economica europea hanno riconosciuto la necessità di integrare il loro tradizionale approccio orientato all'offerta con un'attiva politica macroeconomica anticiclica. Il Comitato si è rallegrato anche del fatto che venga riconosciuta l'esigenza di tutelare meglio le componenti più deboli della società e di coordinare più efficacemente la politica economica. Nondimeno, il CESE ha sottolineato che l'entità del piano europeo di ripresa appare relativamente modesta rispetto ai pacchetti adottati in altre regioni del mondo.

3.2   Lo sviluppo del mercato interno

3.2.1   In numerosi pareri (10) il CESE ha appoggiato la creazione e lo sviluppo del mercato interno. Coprendo infatti tutti gli Stati membri e i paesi del SEE, il mercato interno apporta benefici ai consumatori, alle imprese e ai lavoratori in quanto fornisce un unico spazio normativo per la mobilità dei beni, dei capitali, delle persone e dei servizi.

3.2.2   Nella sua comunicazione del 2007 (11) che presenta la sua visione del mercato unico del futuro, la Commissione ha ricordato che il mercato unico comporta benefici sia per i consumatori che per le imprese, favorisce la creazione di posti di lavoro e stimola la crescita, la competitività e l'innovazione. Secondo la Commissione, i settori chiave per il futuro sono i seguenti:

i consumatori e le imprese, ai quali il mercato unico deve offrire migliori risultati e benefici per rispondere alle loro aspettative e preoccupazioni,

la gestione della globalizzazione,

la conoscenza e l'innovazione come «quinta libertà»,

una dimensione sociale e ambientale, per cui la Commissione si impegna a migliorare le sue valutazioni d'impatto per prevedere con maggiore efficacia i cambiamenti del mercato.

L'insuccesso più grave del mercato interno è stata la sua incapacità di stimolare l'occupazione e l'attività economica attraverso gli investimenti esteri. In particolare, non si è riusciti a sostenere e sviluppare la tecnologia e la ricerca per gettare le basi di una transizione dell'economia. Se non riuscirà a porre rimedio a queste carenze, l'Europa resterà nella corsia più lenta dell'economia mondiale.

3.2.3   Il CESE auspica che si raggiunga un miglior equilibrio tra lo sviluppo sociale, un ambiente economico favorevole e la protezione dell'ambiente: tale equilibrio è infatti essenziale per il corretto funzionamento del mercato interno e per la promozione di uno sviluppo sostenibile sul lungo periodo. Quanto maggiore sarà l'integrazione del mercato interno, tanto più necessario diventerà soddisfare l'obiettivo dei Trattati di garantire il benessere dei cittadini, e quindi tanto maggiore sarà la protezione sociale che il mercato dovrà offrire. In presenza di 27 mercati del lavoro, ognuno con le proprie tradizioni legislative, l'UE deve fare in modo che le regole della mobilità interna non indeboliscano dei sistemi che già funzionano. Occorre far sì che la concorrenza nel mercato comune sia orientata all'innovazione e non si riduca a una competizione controproducente, e in certa misura rovinosa, tra gli Stati membri (12).

3.2.4   Le conseguenze della crisi provocheranno inoltre un'ondata di ristrutturazioni aziendali in tutta Europa. Il CESE constata che l'UE non dispone attualmente di una visione strategica comune per contrastare le ripercussioni negative di queste ristrutturazioni, o per cogliere l'opportunità di rendere le imprese dell'UE più competitive a livello globale. Il CESE chiede alla Commissione di adottare, con le parti sociali, una posizione europea per proteggere tutti i lavoratori interessati. In proposito il CESE si compiace dell'iniziativa delle parti sociali europee di presentare uno studio sul processo di ristrutturazione nell'UE e di predisporre, ad uso delle imprese, una «tabella di marcia» affinché sappiano come impegnarsi efficacemente in tale processo.

3.2.5   In un precedente parere (13) il CESE ha ricordato che, se l'Europa vuole restare competitiva nel tempo, il mercato interno deve garantire una crescita sostenibile e a lungo termine, il che significa anche tener conto della dimensione ambientale. L'obiettivo finale è migliorare sensibilmente il funzionamento del mercato interno nell'ambito di un'economia sociale di mercato, e assicurare che i diritti sociali fondamentali siano rispettati. Il CESE ha sottolineato inoltre che, se necessario ed appropriato, dovrebbero essere adottate quanto prima misure specifiche e adeguate a tutela dei lavoratori, e che né le libertà economiche né le regole di concorrenza possono prevalere sui diritti sociali fondamentali (14). Al tempo stesso, il CESE è consapevole dell'esigenza di stimolare la creazione di posti di lavoro, di promuovere l'imprenditorialità e di creare economie sane e sostenibili negli Stati membri.

3.2.6   Una lacuna cui occorre porre rimedio affinché il mercato interno possa svolgere appieno il suo ruolo consiste nel conferire maggiore importanza e sicurezza giuridica ai servizi di interesse generale, i quali hanno svolto un ruolo importante come stabilizzatori economici durante l'attuale crisi economica, e nello sviluppare la dimensione internazionale. Occorre promuovere il nostro modello sociale sulla scena internazionale in quanto fattore di sviluppo e riaffermare la nostra identità di organizzazione solidale attiva nei contesti internazionali e impegnata a creare un quadro più forte per la globalizzazione. Se vogliamo che quest'ultima sia equa, spetta all'Europa chiedere con forza questa equità della globalizzazione e degli scambi al momento di negoziare gli accordi commerciali e gli altri accordi internazionali.

3.2.7   Il CESE è fermamente convinto che la mobilità in Europa debba continuare a figurare tra le priorità politiche dell'UE. A questo proposito, esso ha invitato gli Stati membri che mantengono delle norme transitorie sulla libera circolazione delle persone ad attenersi alle procedure previste dai Trattati e ad abrogare dette norme (15).

3.3   Evoluzione dei sistemi di protezione sociale

3.3.1   Nonostante una parziale ripresa dell'economia, la situazione occupazionale e sociale continuerà a deteriorarsi, specialmente nel contesto delle attuali misure rivolte a risolvere la crisi del debito sovrano. Secondo le previsioni della Commissione, nei prossimi due anni il tasso di disoccupazione toccherà livelli mai raggiunti negli ultimi decenni (16).

3.3.2   In vari Stati membri sono state adottate misure che hanno avuto degli effetti positivi sul piano della difesa dell'occupazione e del contenimento della disoccupazione: tra di esse gli stimoli agli investimenti, le agevolazioni alla contrattazione collettiva e misure specifiche per il mercato del lavoro, finanziate attraverso i programmi nazionali per la disoccupazione. In alcuni casi ci si è affidati alla «flessibilità interna», per esempio con regimi di vario tipo basati sulla riduzione degli orari di lavoro combinata con la formazione. In alcuni paesi si sono verificati licenziamenti di massa, in parte a causa dell'assenza di misure di questo tipo (17).

3.3.3   L'occupazione deve essere in cima all'agenda dell'UE. L'Europa ha bisogno di un elevato tasso di occupazione combinato con un mercato del lavoro di qualità elevata. Una forza lavoro di elevata qualità ha bisogno di un'imprenditoria di elevata qualità e di investimenti nel settore pubblico e in quello privato, per essere competitiva sul piano internazionale. Il finanziamento dei sistemi di protezione sociale dipende dalla capacità del mercato del lavoro europeo di assorbire il maggior numero possibile di lavoratori. Il conseguimento della piena occupazione in Europa incontra ancora ostacoli. Per mantenere in futuro elevati livelli di occupazione, si è scelto di privilegiare la flessicurezza, l'occupabilità, l'aumento della produttività, l'istruzione e la formazione, che possono contribuire a creare mercati del lavoro più efficaci. Inoltre, occorre attribuire la massima priorità a misure che incoraggino la creazione di posti di lavoro, la costituzione di nuove imprese e gli investimenti esteri sostenibili.

3.3.4   Nel corso dell'ultimo decennio i sistemi previdenziali sono stati oggetto di riforme volte a promuovere una maggiore efficienza degli incentivi al lavoro nei sistemi di protezione sociale, secondo una filosofia orientata all'offerta, con la riduzione delle prestazioni sociali e l'irrigidimento dei criteri di ammissibilità. Si presume che tali misure possano portare a un calo della disoccupazione. I sistemi di protezione sociale devono trovare il giusto equilibrio tra le misure volte a ridurre la disoccupazione e quelle che invece servono a sostenere il reddito dei disoccupati.

3.3.5   L'efficacia di queste politiche è tutt'altro che certa. Negli ultimi vent'anni la disuguaglianza è aumentata. I sistemi di protezione sociale sono essenziali per alleviare l'indigenza, e senza prestazioni sociali l'aumento della disuguaglianza e l'impatto sociale della crisi sarebbero molto più rapidi e più gravi. L'attuale crisi rischia di metter fine alla tendenza all'aumento dell'occupazione e al miglioramento nella coesione sociale transnazionale, aggravando invece una tendenza europea di lungo periodo che vedrebbe peggiorare le disparità di reddito all'interno dei singoli paesi (18).

3.3.6   Le misure anticrisi hanno prodotto risultati positivi in numerosi Stati membri. D'altro canto la Commissione (19) riferisce che in molti paesi i disoccupati non ricevono alcuna forma di sostegno al reddito. In alcuni casi le prestazioni non sono mirate in modo efficace, il che fa pensare che i sistemi basati su indennità, oltre a non fornire una rete di sicurezza completa, non siano sempre indirizzati alle persone che ne hanno maggiore bisogno. È in gioco la qualità stessa - nonché la sostenibilità - di questi sistemi (20). Dati gli effetti della crisi economica e dello sviluppo demografico, c'è il rischio che, invece di proteggere il tenore di vita delle persone, essi si limitino a stabilire norme minime. Ciò è particolarmente vero in taluni Stati membri, in cui le prestazioni sociali superano già la capacità fiscale dello Stato. Se è vero che negli Stati membri dell'UE i tassi di produttività continuano a salire, aumenta però anche la povertà. Occorre riflettere sull'apparente impossibilità di soddisfare le necessità essenziali dei cittadini e di garantire loro un lavoro dignitoso. A lungo termine, una soluzione risiede in una crescita economica del settore pubblico e di quello privato, trainata dallo sviluppo di imprese competitive.

3.3.7   Tuttavia solo un'intensificazione degli sforzi di riforma potrà mantenere la capacità dell'UE di fornire un'adeguata protezione contro i rischi e di associare il progresso sociale alla crescita economica. Occorre collaborare tutti per conseguire progressi comuni nell'innalzamento dei livelli di occupazione, nell'aumento della produttività, nell'applicazione di sistemi fiscali adeguati, nella sostenibilità finanziaria dei sistemi sociali europei e nella capacità di tali sistemi sociali di fornire una protezione adeguata.

3.4   Sviluppi in ambito giudiziario

3.4.1   Alcune recenti sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea [Viking, Laval, Rüffert e Lussemburgo (21)] hanno dato il via a vivaci dibattiti negli ambienti politici e accademici, e hanno suscitato timori, sia fondati che infondati, circa un crescente rischio di dumping sociale. Le sentenze hanno inoltre indotto le istituzioni europee e le parti sociali a intraprendere diverse iniziative.

3.4.2   Nell'ottobre 2008 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione (22) in risposta alle sentenze della Corte, nella quale sottolinea che la libertà di prestare servizi non è di rango superiore rispetto ai diritti fondamentali enunciati nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, e in particolare al diritto dei sindacati di negoziare, concludere ed applicare gli accordi collettivi e di ricorrere all'azione collettiva. Il Parlamento dichiara inoltre che l'attuale normativa comunitaria presenta lacune e incoerenze, e che non era questa l'intenzione del legislatore comunitario, il quale mirava invece a un giusto equilibrio fra la libertà di prestazione di servizi e la tutela dei diritti dei lavoratori.

3.4.3   Il mondo accademico (23), in particolare, ha trovato diversi motivi per criticare le decisioni della Corte. Nel giugno 2009 oltre 100 giuslavoristi e accademici europei hanno inviato ai capi di Stato e di governo una lettera aperta in cui esprimevano forti preoccupazioni per il deterioramento dei diritti sociali fondamentali e per l'impatto delle sentenze della Corte sui diritti dei lavoratori e sulle loro organizzazioni. A giudizio degli estensori, le sentenze sono fonte di gravi problemi per l'effettiva protezione dei diritti dei lavoratori. I diritti sociali fondamentali non devono essere subordinati alle libertà del mercato interno e al diritto della concorrenza, ma devono invece essere pienamente riconosciuti quali condizioni necessarie per lo sviluppo economico e sociale sostenibile dell'Unione europea.

3.4.4   Su richiesta della Commissione europea e della presidenza francese, alla fine del marzo 2009 le parti sociali europee hanno dato il via a un'analisi congiunta delle sentenze della Corte. A questo fine è stato istituito un gruppo ad hoc, che si è concentrato su un numero limitato di questioni chiave quali il rapporto tra libertà economiche e diritti sociali, gli ostacoli da abbattere e le condizioni da creare per migliorare la libertà di circolazione e la fornitura di servizi, la trasparenza e la certezza giuridica e infine la sfida rappresentata dalla necessità di rispettare i diversi sistemi nazionali di relazioni industriali (24).

3.4.5   Il CESE, pur rispettando la legittimità della Corte di giustizia dell'UE in materia di interpretazione delle norme in vigore, ritiene che le sentenze della Corte presentino numerosi motivi di preoccupazione e che esse impongano un'analisi e una spiegazione delle loro conseguenze.

3.4.5.1   Gerarchia fra i diritti sociali fondamentali e le libertà economiche

Con le sentenze nelle cause Viking e Laval la CGUE ha riconosciuto che il diritto all'azione collettiva è un diritto fondamentale e, come tale, fa parte del diritto dell'UE, sottolineando al tempo stesso che esso non prevale su altri principi del diritto dell'UE, come la libertà di prestare servizi o la libertà di stabilimento. Inoltre, la CGUE ha attribuito alla libertà di prestare servizi e alla libertà di stabilimento un effetto diretto orizzontale. La Corte ha osservato che l'azione sindacale dovrebbe non soltanto perseguire «un obiettivo legittimo compatibile con il Trattato» ed essere «giustificata da ragioni imperative di interesse generale», ma anche, in tali casi, essere «idonea a garantire la realizzazione dell'obiettivo perseguito e «non andare» al di là di ciò che è necessario per conseguirlo» (25). Ne consegue che il riconoscimento dell'azione collettiva in quanto libertà fondamentale è un riconoscimento di principio e non trova necessariamente riscontro nella pratica. Su questa base, la Corte ha considerato le azioni collettive come una limitazione dell'esercizio delle suddette libertà, chiedendo se questa limitazione sia giustificata. Ciò significa che le azioni collettive vengono valutate sulla base delle limitazioni che comportano per le libertà economiche. Gli accademici hanno messo in rilievo il fatto che in alcune sue recenti sentenze la Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) (26) ha esaminato questo problema dalla prospettiva opposta, ossia considerando quali limitazioni fossero accettabili nel campo dei diritti fondamentali. Le sentenze della Corte di giustizia possono essere motivo di preoccupazione per la loro discrepanza rispetto alla giurisprudenza della CEDU.

3.4.5.2   Limitazione dei diritti fondamentali

Per la prima volta la Corte di giustizia ha giudicato i limiti delle azioni collettive a livello nazionale in un contesto transnazionale. Il CESE considera particolarmente preoccupante il fatto che a questo punto essa abbia introdotto un controllo della proporzionalità, il quale, oltre a negare l'essenza stessa del diritto fondamentale all'azione collettiva, viola anche il diritto di sciopero. Alla luce delle sentenze e delle reazioni della Corte europea dei diritti dell'uomo, il CESE sottolinea che il processo di definizione dei limiti alle libertà economiche e ai diritti sociali fondamentali dipende anche dalle future sentenze e dagli interrogativi che esse solleveranno.

3.4.5.3   Direttiva riguardante il distacco dei lavoratori

La direttiva riguardante il distacco dei lavoratori mira a garantire la necessaria armonizzazione, nel rispetto della diversità nazionale, nel coordinamento delle politiche nazionali in materia di distacco temporaneo di lavoratori in un altro Stato. La Corte ha concluso che i problemi intervenuti dipendono dalla mancata trasposizione a livello nazionale di alcune disposizioni della direttiva sul distacco dei lavoratori (Laval), dall'esistenza di disposizioni nazionali incompatibili [Rüffert (27)], oppure da un'interpretazione troppo ampia della direttiva sul distacco dei lavoratori e da misure di controllo poco chiare e ingiustificate (Lussemburgo).

Secondo la CGUE, la direttiva non impone la parità di trattamento, ma garantisce che siano rispettati requisiti minimi. Di conseguenza, si tratta de facto di una direttiva «di massima» e non «di minima». Tuttavia le sentenze della Corte non impediscono l'applicazione di «condizioni di lavoro e occupazione» più favorevoli ai lavoratori. L'obiettivo dell'articolo 3, paragrafo 7, della direttiva sul distacco dei lavoratori era di garantire che in pratica l'applicazione delle norme minime negli Stati membri ospiti non portasse a un peggioramento delle condizioni di lavoro rispetto a quelle cui il lavoratore distaccato aveva diritto nel paese di origine. Si è affermato che le sentenze escludono in parte la possibilità che il livello nazionale imponga norme più rigorose, che vadano al di là delle regole vincolanti per la protezione minima contenute nella direttiva, o attraverso la regolamentazione per via legislativa o mediante contratti collettivi favorevoli ai lavoratori.

Ciò crea a sua volta distorsioni della concorrenza sia nei singoli Stati che nel mercato interno, perché le imprese di un paese devono rispettare le regole nazionali in materia di contratti collettivi mentre i loro concorrenti basati in un altro Stato membro possono limitarsi ad applicare norme minime.

3.4.5.4   Conflitto tra sistemi giuridici

Un altro risultato delle sentenze è il conflitto tra la legislazione comunitaria e le norme internazionali (28). Si può inoltre sostenere che vi sia un conflitto giuridico con le convenzioni OIL n. 87 e 98, nonché con l'art. 6, par. 4, della Carta sociale europea e con la giurisprudenza delle rispettive istituzioni, come indicato dagli organi di controllo dell'OIL (caso BAPA UK).

4.   Conclusioni

4.1   Gli eventi degli ultimi anni e l'attuale crisi economica hanno generato nuovi rischi di un aumento delle disuguaglianze sociali. La stessa UE, con alcune sue decisioni, ha accentuato il rischio di disuguaglianze sociali e di distorsioni della concorrenza. Gli sviluppi economici, sociali e giudiziari rischiano di portare a una situazione capace di compromettere la dimensione sociale del mercato interno e di minare i diritti fondamentali e i diritti sociali di base prospettati dal CESE nel suo parere del 1987. La dimensione sociale del mercato interno dovrebbe quindi essere un elemento centrale delle politiche che saranno adottate nei prossimi anni, ma per migliorare gli aspetti economici - occupazione, prestazioni sociali, gettito fiscale - l'UE dovrà rimediare alla palese incapacità del mercato interno di promuovere la crescita attraverso posti di lavoro di qualità da un lato e imprese e altri datori di lavoro di qualità dall'altro.

4.2   Uno degli aspetti più importanti della dimensione sociale è l'occupazione. Viste le pressioni cui sono sottoposte le finanze pubbliche, il settore pubblico non è in grado di creare un numero infinito di posti di lavoro. Il peso di questo compito grava quindi principalmente sul settore privato. Gli Stati membri devono creare le condizioni per l'avvio di un circolo virtuoso riorientato all'economia reale, grazie al quale i clienti creano posti di lavoro, le imprese creano i clienti e gli investitori e gli imprenditori creano le imprese. È inoltre importante vedere negli investimenti sociali un elemento favorevole alle imprese e all'instaurarsi di un clima propizio all'imprenditoria. In questo quadro l'economia sociale offre un contributo prezioso.

4.3   In un suo parere del 2006 (29), il CESE ha dato il suo contributo al dibattito sulle sfide che il modello sociale europeo dovrà affrontare e su quale debba essere la sua natura. Secondo il CESE, la forza del modello sociale europeo sta nelle modalità d'interazione di fattori quali la competitività, la solidarietà e la fiducia reciproca.

4.4   Una possibile soluzione del conflitto tra il mercato interno e i diritti sociali sarebbe il ritorno a una politica all'insegna del motto «più Stati nazionali, meno Europa». A giudizio del CESE, tuttavia, ciò di cui abbiamo bisogno è esattamente il contrario: ci serve più Europa, ma un'Europa diversa. Ciò comporta tuttavia l'esistenza di un nuovo sistema normativo per la politica economica e sociale europea. Solo un'Europa pienamente democratica e sociale può evitare il pericolo di un crescente senso di alienazione dei suoi cittadini nei confronti della costruzione europea. L'UE deve tuttavia rispettare anche i diversi sistemi sociali esistenti negli Stati membri. Se la giurisprudenza e la legislazione comunitarie non tengono conto della diversità in seno all'UE, gli standard minimi rischiano di diventare troppo bassi per poter evitare il dumping sociale in molti paesi.

4.5   Un elemento molto importante della dimensione sociale europea è l'introduzione di una politica fiscale armonizzata e più equa al livello dell'UE. Per evitare che il fenomeno della concorrenza fiscale dannosa si perpetui, il CESE appoggia gli sforzi volti a introdurre una base imponibile consolidata comune per le persone giuridiche (Common consolidated corporate tax base - CCCTB), necessaria, nel lungo periodo, per garantire il buon funzionamento del mercato interno (30). Il CESE ha chiesto inoltre un più ampio coordinamento a livello UE delle politiche fiscali degli Stati membri, anzitutto in quegli ambiti in cui la base imponibile è mobile ed è più grave il rischio di evasione fiscale e di concorrenza fiscale tra gli Stati membri (31). È necessario contrastare l'evasione e le frodi fiscali, nonché i paradisi fiscali.

4.6   È inoltre opportuno ricordare che, rimuovendo parzialmente la possibilità di regolare le condizioni del mercato del lavoro attraverso la contrattazione collettiva, si riduce la flessibilità dei mercati del lavoro. I contratti collettivi e il dialogo sociale rappresentano strumenti essenziali per il concetto di flessicurezza (32).

5.   Come garantire un migliore funzionamento della dimensione sociale

5.1   A breve termine, il CESE chiede una migliore attuazione della direttiva sul distacco dei lavoratori. Controlli efficaci sulla corretta applicazione delle disposizioni in materia sono una condizione essenziale per il conseguimento dello scopo della direttiva, che è di evitare il dumping sociale. Per assicurare un effettivo controllo delle condizioni retributive e di lavoro dei lavoratori distaccati, è necessaria un'efficace cooperazione transnazionale fra le autorità. Il CESE è favorevole alla creazione di un'«Interpol sociale europea» con il compito di coordinare le attività degli ispettorati competenti dei diversi Stati membri.

5.2   Nella sua giurisprudenza in materia di diritti fondamentali, la Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) sostiene che la Convenzione è uno strumento vivente, (…) che gli standard progressivamente più elevati richiesti nel campo della protezione dei diritti umani necessitano inevitabilmente di una maggiore fermezza nel valutare le violazioni dei valori fondamentali delle società democratiche e che le limitazioni dei diritti devono essere interpretate in maniera restrittiva (33). Il CESE incoraggia la Commissione a valutare la situazione esistente nell'UE alla luce delle recenti sentenze della CEDU.

5.3   Il coinvolgimento e la partecipazione dei lavoratori (nonché delle loro rappresentanze e dei loro sindacati) nell'organizzazione delle trasformazioni contribuiscono sensibilmente alla compatibilità sociale del processo al livello delle imprese (34). In molte occasioni il CESE ha sottolineato l'importanza del dialogo sociale e del rafforzamento dei sistemi di relazioni industriali ai livelli sia europeo che nazionale, sempre nel rispetto della diversità tra i sistemi dei singoli Stati membri (35). Il CESE è disposto ad appoggiare qualsiasi eventuale misura della Commissione intesa a rafforzare il dialogo sociale, e in particolare:

la promozione di un dialogo sociale di migliore qualità e di un meccanismo europeo per la soluzione delle controversie e la conciliazione,

l'ulteriore sviluppo del dialogo macroeconomico per prevenire una nuova crisi finanziaria.

5.4   A medio termine, il CESE sostiene un'iniziativa della Commissione volta a chiarire gli obblighi giuridici delle autorità nazionali, delle imprese e dei lavoratori nell'attuazione della direttiva sul distacco dei lavoratori, e a garantire che tali regole siano applicabili in modo universale. A questo proposito il Comitato si rallegra dell'impegno assunto dal Presidente Barroso dinanzi al Parlamento europeo. Il CESE considera interessante la proposta contenuta nella relazione Monti per cui il diritto di sciopero è escluso dall'impatto delle norme sul mercato unico, e ritiene che essa potrebbe risolvere alcuni dei problemi. Ciò comunque non dovrebbe escludere una revisione parziale della direttiva sul distacco dei lavoratori, al fine di applicare in modo uniforme il principio del luogo di lavoro, rendendo così possibile stabilire per legge che lo stesso lavoro prestato nello stesso luogo deve sempre beneficiare delle medesime condizioni e del medesimo compenso.

5.5   A lungo termine, l'Unione europea dovrebbe adoperarsi per rafforzare i diritti sociali fondamentali.

Il CESE ha più volte auspicato l'adozione di politiche sociali europee più forti, in particolare alla luce dell'attuale crisi economica. L'UE deve impegnarsi per una politica volta a conseguire la piena occupazione, a ridurre le disuguaglianze di reddito, a migliorare le condizioni sociali, a rafforzare lo stato previdenziale, ad abolire condizioni di lavoro prive di protezione sociale e a estendere i diritti dei lavoratori e la democrazia industriale. Il Trattato di Lisbona e la Carta dei diritti fondamentali cui esso fa riferimento non hanno ancora fatto sentire pienamente i loro effetti sull'equilibrio tra diritti fondamentali e diritti economici. Resta da vedere come si evolverà questo aspetto.

Tuttavia il rafforzamento dei diritti fondamentali, ivi compresi i diritti sociali, richiede che qualsiasi restrizione sia limitata. Il punto di partenza deve essere consistere nel guardare innanzi tutto ai diritti fondamentali e non alle libertà economiche, conformemente alla giurisprudenza della CEDU. Occorre perseguire una modifica della legislazione europea direttamente applicabile (diritto primario) intesa a rafforzare la dimensione sociale.

Bruxelles, 14 luglio 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  La Confederazione europea dei sindacati rappresenta 80 milioni di lavoratori.

(2)  Cfr. il parere del CES del 19 novembre 1987 sul tema Gli aspetti sociali del mercato interno, relatore: BERETTA (GU C 356 del 31.12.1987, pagg. 31-33).

(3)  Per esempio, Social Dimension of the Internal Market (La dimensione sociale del mercato interno), documento di lavoro della Commissione, SEC(88) 1148 definitivo, del 14 settembre 1988 (solo in lingua inglese), e la Comunicazione della Commissione sul programma d'azione per quanto riguarda l'attuazione della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, COM(89) 568 definitivo del 29 novembre 1989.

(4)  Social Dimension of the Internal Market (La dimensione sociale del mercato interno), documento di lavoro della Commissione, SEC(88) 1148 definitivo del 14 settembre 1988 (solo in lingua inglese).

(5)  Cfr. i pareri del CESE sui seguenti temi:

 

Coesione sociale: dare un contenuto al modello sociale europeo, del 6 luglio 2006, relatore: EHNMARK (GU C 309 del 16.12.2006, pagg. 119-125),

 

Un nuovo programma europeo di azione sociale, del 9 luglio 2008, relatore: OLSSON (GU C 27 del 3.2.2009, pagg. 99-107) e

 

La strategia di Lisbona dopo il 2010, del 4 novembre 2009, relatore generale: GREIF (GU C 128 del 18.5.2010, pagg. 3-9).

(6)  Parere del CESE sul tema Governance efficace della strategia di Lisbona rinnovata, del 4 dicembre 2008, relatrice generale: FLORIO (GU C 175 del 28.7.2009, pagg. 13-19).

(7)  European Commission Economic Forecast, Spring 2009.

(8)  Cfr. il parere del CESE sul tema Un piano europeo di ripresa economica, relatore: DELAPINA (GU C 182 del 4.8.2009, pagg. 71-74).

(9)  Ibidem.

(10)  Cfr. il parere del CESE sul tema L'impatto delle barriere normative tra Stati membri sulla competitività dell'UE, del 14 maggio 2009, relatore: VAN IERSEL (GU C 277 del 17.11.2009, pagg. 6-14).

(11)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Un mercato unico per l'Europa del XXI secolo (COM(2007) 724 definitivo).

(12)  Relazione integrata sull'attuazione e il futuro della strategia di Lisbona dopo il 2010.

(13)  Cfr. il parere del CESE sul tema La dimensione sociale e ambientale del mercato interno, del 14 gennaio 2009, relatore: ADAMCZYK (GU C 182 del 4.8.2009, pagg. 1-7).

(14)  Cfr. il parere del CESE sul tema L'impatto delle barriere normative tra Stati membri sulla competitività dell'UE, del 14 maggio 2009, relatore: VAN IERSEL (GU C 277 del 17.11.2009, pagg. 6-14).

(15)  Cfr. il parere del CESE sul tema Individuazione degli ostacoli residui alla mobilità sul mercato interno del lavoro, del 25 marzo 2009, relatrice: DRBALOVÁ (GU C 228 del 22.9.2009, pagg. 14-23).

(16)  European Commission Economic Forecast, Spring 2009.

(17)  Plant-level responses to the economic crisis in Europe (Risposte a livello di stabilimento alla crisi economica in Europa), di Vera Glassner e Béla Galgóczi, documento di lavoro dell'ETUI (European Trade Unions Institute) 2009.01.

(18)  Questa tendenza è evidente in tutta l'area OCSE.

(19)  The Social Situation in the European Union 2008.

(20)  IRES 115.

(21)  Viking C-438/05, Laval C-341/05, Rüffert C-346/06, COM v LUX C-319/06.

(22)  Risoluzione del Parlamento europeo del 22 ottobre 2008 sulle sfide per gli accordi collettivi nell'Unione europea (2008/2085(INI)).

(23)  http://www.etui.org/en/Headline-issues/Viking-Laval-Rueffert-Luxembourg/2-Articles-in-academic-literature-on-the-judgements.

(24)  Relazione in merito al lavoro comune delle parti sociali europee sulle sentenze della CGCE relative alle cause Viking, Laval, Rüffert e Lussemburgo (disponibile in francese e inglese sul sito della CES: http://www.etuc.org/a/7113).

(25)  Viking C-438/05 (75).

(26)  Demir e Baykara c. Turchia (ricorso n. 34503/97).

(27)  Nella causa Rüffert, la Corte ha stabilito che il vantaggio competitivo rappresentato dai salari più bassi fa parte della libertà di prestare servizi ed è quindi tutelato.

(28)  La sentenza Rüffert non tiene conto della convenzione OIL n. 94, per cui l'interpretazione crea un conflitto tra diversi sistemi giuridici.

(29)  Cfr. il parere del CESE sul tema Coesione sociale: dare un contenuto al modello sociale europeo, del 6 luglio 2006, relatore: EHNMARK (GU C 309 del 16.12.2006, pagg. 119-125).

(30)  Cfr. il parere del CESE sul tema Coordinamento dei sistemi di imposizione diretta degli Stati membri nel mercato interno, del 26 settembre 2007, relatore: NYBERG (GU C 10 del 15.1.2008, pagg. 113-117).

(31)  Cfr. il parere del CESE sul tema La strategia di Lisbona dopo il 2010, del 4 novembre 2009, relatore generale: GREIF (GU C 128 del 18.5.2010, pagg 3-9).

(32)  Cfr. il parere del CESE sul tema La flessicurezza (dimensione della flessibilità interna - contrattazione collettiva e ruolo del dialogo sociale come strumento di regolazione e riforma dei mercati del lavoro), dell'11 luglio 2007, relatore: JANSON (GU C 256 del 27.10.2007, pagg. 108-113).

(33)  Demir e Baykara c. Turchia (ricorso n. 34503/97).

(34)  Cfr. il parere del CESE sul tema Dialogo sociale e trasformazioni industriali, relatore: ZÖHRER (GU C 24 del 30.1.2006, pagg. 90-94).

(35)  Cfr. il parere del CESE sul tema La flessicurezza (dimensione della flessibilità interna - contrattazione collettiva e ruolo del dialogo sociale come strumento di regolazione e riforma dei mercati del lavoro), relatore: JANSON (GU C 256 del 27.10.2007, pagg. 108-113).


11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/99


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Verso una politica europea di razionalizzazione dell'industria della stampa web offset e rotocalco in Europa» (parere d'iniziativa)

2011/C 44/16

Relatore: GENDRE

Correlatore: KONSTANTINOU

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 luglio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Verso una politica europea di razionalizzazione dell'industria della stampa web-offset e rotocalco in Europa.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI), incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o luglio 2010.

Alla sua 464a sessione plenaria, dei giorni 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 14 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 145 voti favorevoli, 2 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   L'industria grafica europea si trova ad affrontare sfide enormi a causa della crescita di Internet come fonte di informazione e di pubblicità, della diminuzione del numero di lettori di giornali e riviste, e della concorrenza globale agguerrita che riguarda alcuni prodotti del settore.

1.2   La situazione è ancora più critica nel settore della stampa ad alta tiratura, e cioè la stampa web-offset (o roto offset) e la stampa rotocalco (o rotocalcografia), dove si registra un eccesso di capacità produttiva che alcuni analisti stimano attorno al 25-30 %. La relazione Kojunkturtest, elaborata dall'istituto di ricerca economica tedesco Ifo e dedicata all'industria grafica tedesca, indica che i tassi di investimento in questo settore hanno seguito l'andamento del mercato, facendo quindi registrare una diminuzione rispetto al 2008. Il 2006 e il 2007 sono stati anni piuttosto favorevoli per l'industria grafica (1). Tuttavia dal 2008, i cicli di investimento si sono attestati su un livello nettamente inferiore e sono stati diretti soprattutto a razionalizzare e migliorare il flusso di produzione.

1.3   Il mercato grafico risente di una situazione di sovraccapacità, alla quale si aggiungono altri importanti fattori concorrenziali come l'attrattiva dei nuovi media, le importazioni dai paesi produttori a basso costo e il calo della domanda. Questo contesto economico sfavorevole ha provocato una caduta dei prezzi con ripercussioni negative sul tenore di vita dei lavoratori subordinati.

1.4   Inoltre, la crisi economica attuale ha reso più difficile l'accesso al credito. Come in molti altri settori, queste tendenze negative hanno fatto crescere la necessità di una riduzione dei costi di produzione, con conseguenti ripercussioni sulle recenti contrattazioni salariali. In questo difficile contesto, alcune imprese grafiche, in particolare quelle che operano nei segmenti di mercato più vulnerabili, rischiano di dover prevedere ristrutturazioni e licenziamenti collettivi.

1.5   La Commissione europea nel 2007 ha pubblicato i risultati di uno studio che analizza i fattori di competitività del settore. Tali ricerche sono sfociate in alcune proposte a favore di un piano d'azione per l'industria grafica. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene interamente queste proposte, che le imprese stanno iniziando ad applicare e che rimangono tuttora pertinenti; si felicita per quanto è già stato realizzato, ma ritiene che le difficoltà del settore, decisamente accentuate dalla crisi e dalla recessione che hanno interessato tutti gli Stati membri dell'UE, richiedano nuove iniziative per far fronte alle sfide previste nel breve e medio termine.

1.6   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) è stato informato dell'esistenza di un nuovo progetto congiunto di sindacati e datori di lavoro del settore, della durata di un anno, che si propone di definire, con il contributo delle parti sociali, alcune linee guida sulla ristrutturazione socialmente responsabile delle imprese. Si tratta di un progetto varato nel 2009 che permette ai datori di lavoro e ai sindacati di effettuare un'analisi comune dei problemi del settore e avviare una riflessione per tentare di risolverli mediante una concertazione. Le discussioni dovranno basarsi sull'elaborazione di un piano d'azione per ridurre la sovraccapacità del settore.

1.7   Tale piano potrebbe inquadrarsi in una politica industriale a più lungo termine accompagnata da una riflessione sui nuovi modelli di attività dell'industria grafica. Per monitorare questo processo, verrà istituito, sotto l'egida della Commissione europea, un gruppo ad alto livello composto da esperti e da rappresentanti dell'industria, dei sindacati e dei lavoratori, con il compito di anticipare i futuri cambiamenti e individuare gli strumenti adatti a gestire tali cambiamenti, tramite un sistema trasparente di raccolta delle informazioni.

1.8   Attualmente il dialogo sociale formale tra datori di lavoro e sindacati esiste soltanto in seno alle imprese e a livello nazionale. Il CESE invita la Commissione a istituire un comitato di dialogo sociale europeo per l'insieme del settore.

1.9   L'ordine del giorno per un dialogo sociale europeo formale e strutturato potrebbe comprendere i seguenti punti:

1)

una riflessione sulle diverse misure in grado di salvaguardare l'occupazione mediante la formazione e la riconversione, unitamente alla riduzione e all'organizzazione dell'orario di lavoro, al ricorso alla cassa integrazione e alla ricerca di mobilità interna ed esterna all'impresa o alla professione;

2)

un esame degli interventi da realizzare per garantire l'adattamento della capacità di produzione alla richiesta del mercato, senza conseguenze negative sulle condizioni di lavoro;

3)

una raccomandazione comune dei rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori concernente alcuni orientamenti sugli investimenti a lungo termine, che riconosca che le necessità di nuovi investimenti e l'ampiezza di questi ultimi possono essere pienamente analizzate soltanto a livello di ciascuna impresa. La definizione degli elementi di una strategia di investimento adeguata dovrebbe garantire l'acquisto di macchinari a titolo di sostituzione o per soddisfare le necessità del mercato, permettendo in tal modo alle imprese di essere adeguatamente attrezzate per lavorare efficacemente nei loro segmenti attuali o futuri;

4)

la necessità di elaborare una diagnosi della situazione finanziaria dell'industria, raccogliendo e consolidando i dati pubblici senza mettere in discussione la riservatezza delle decisioni strategiche adottate dalle imprese; si tratta di una priorità assoluta per consentire una più accurata valutazione dei margini di manovra esistenti;

5)

l'individuazione di buone pratiche in materia di condizioni di lavoro, formazione e riqualificazione, assicurando il rispetto delle norme previste dal modello sociale europeo e delle convenzioni e degli accordi collettivi esistenti.

1.10   Il CESE invita la Commissione a istituire un osservatorio/consiglio settoriale europeo delle professioni e delle competenze incaricato di valutare le necessità attuali e future del settore e di contribuire ad allineare l'offerta di formazione con la domanda. Esso inoltre incoraggerebbe la formazione professionale permanente, nonché la mobilità e la riqualificazione dei lavoratori.

1.11   Nell'immediato il CESE raccomanda alle associazioni europee competenti di organizzare, con il sostegno finanziario e logistico della Commissione europea, una conferenza di tutte le parti interessate, compresa la Commissione stessa, allo scopo di fare il punto della situazione per decidere quali misure adottare nel breve termine e di finanziare uno studio indipendente sul futuro a medio e lungo termine del settore. Le parti sociali potrebbero essere incaricate di proporre le misure da adottare con urgenza per orientare il mercato verso un funzionamento sostenibile e studiare le possibili evoluzioni future di questo settore professionale.

1.12   Potrebbe essere effettuata un'analisi sull'attività dei broker, per misurare l'impatto della loro attività sulla fissazione dei prezzi. Nel contempo potrebbe essere esaminato il ricorso agli accordi di specializzazione, per contribuire a sfruttare più efficacemente la capacità di produzione mediante le economie di scala e il miglioramento delle tecniche di produzione.

1.13   Il CESE invita i poteri pubblici nazionali ed europei a favorire l'accesso del settore al finanziamento pubblico, in particolare tramite il Fondo sociale europeo, il Fondo europeo di sviluppo regionale e il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, per promuovere azioni in materia di formazione, riqualificazione e l'accompagnamento della mobilità dei lavoratori tipografici. Inoltre, raccomanda alle imprese di valutare la possibilità di un intervento della BEI per finanziare l'acquisto di nuove tecnologie in previsione dello sviluppo di nuove attività.

2.   Contesto

2.1   L'evoluzione dell'industria grafica europea è strettamente legata a quella dei fornitori (di carta, inchiostro e macchine per la stampa) e dei committenti che devono affrontare una serie di difficoltà interne al loro settore e che si stanno organizzando per superarle, alcuni di loro in particolare attraverso un processo di concentrazione.

2.2   Si tratta di difficoltà indotte dai cambiamenti strutturali e accentuate dalla crisi che si verificano nei metodi di comunicazione con lo sviluppo di Internet, che provoca una graduale trasformazione delle componenti del mercato. Il forte impatto della rete si avverte lungo l'intera catena di valore, attraverso la diminuzione dei bilanci pubblicitari che priva i media grafici, in maniera parzialmente irreversibile, di entrate vitali, con ripercussioni negative sul pluralismo dell'informazione.

2.3   Le nuove possibilità offerte dai trasporti e dalle comunicazioni hanno attivato la concorrenza delle tipografie indiane e di quelle cinesi nei settori in cui la commercializzazione dei prodotti non è soggetta a vincoli di tempo (in particolare per diverse categorie di libri). Tra l'altro, anche i broker, che cercano di ottenere i prezzi più bassi, tendono apparentemente ad avvalersi delle tipografiche asiatiche, favorendo lo sviluppo di una tendenza deflazionistica sfavorevole agli investimenti. E con la crescente tendenza a pubblicare i cataloghi on line piuttosto che in forma cartacea, queste evoluzioni si ripercuotono negativamente sul settore della stampa ad alta tiratura in Europa.

2.4   Secondo le ultime statistiche pubblicate da Eurostat, l'industria grafica europea conta 132 571 imprese con 853 672 dipendenti (2), con sette paesi (Regno Unito, Germania, Francia, Italia, Belgio, Paesi Bassi e Spagna) che assorbono l'80 % della forza lavoro del settore nell'Europa a 25. Oltre il 95 % delle imprese grafiche europee impiega meno di 50 persone (60 % circa dell'occupazione totale), mentre quelle con oltre 250 lavoratori non arrivano all'1 % (13 % circa dell'occupazione totale). Per tracciare un quadro più completo e più preciso del settore servono però dati numerici più dettagliati, attualmente non disponibili.

2.5   Il presente parere si concentra essenzialmente sull'industria tipografica della stampa web-offset e rotocalco, caratterizzata da un alto numero di tirature o di pubblicazioni, senza affrontare tutte le problematiche del settore dei giornali e di quello degli imballaggi, considerati, per il tipo di prodotti che offrono, come mercati a sé stanti; molti giornali possiedono infatti una propria tipografia e rientrano quindi solo marginalmente nel mercato specifico in esame. Il settore della stampa web-offset e rotocalco comprende invece le imprese grafiche che producono grandi tirature. La stampa offset e la stampa rotocalco (rotocalcografia) sono due tecniche di stampa distinte, che richiedono macchine di stampa diverse. L'offset è utilizzato sia dalle imprese di grandi dimensioni, che offrono servizi di stampa web-offset (roto offset), sia dalle piccole imprese che utilizzano la stampa offset a foglio. I settori europei dell'offset e della rotocalcografia assieme rappresentano il 56 % del mercato tipografico tradizionale in Europa (3), nel quale operano imprese che stampano libri, annuari, cataloghi e riviste che, per la loro natura, sono tendenzialmente stampati in grandi quantità, che variano generalmente tra 10 000 e 300 000 copie.

2.6   Metà della produzione è rappresentata dalle riviste e l'altra metà principalmente da cataloghi, dépliant pubblicitari e libri. Complessivamente vengono utilizzate 5 milioni di tonnellate di carta. In Europa la maggior parte delle riviste e numerosi tipi d'imballaggio vengono stampati mediante rotocalcografia. La capacità annua totale del settore europeo della stampa rotocalco supera i 5 milioni di tonnellate, l'80 % dei quali soltanto in 5 paesi. In Europa vengono utilizzate complessivamente 222 rotative.

2.7   In Europa l'industria della stampa web-offset e rotocalco è caratterizzata dall'esistenza di imprese di grandi dimensioni, per entrambe le tecniche di stampa: web-offset (circa 30 imprese) e rotocalco (circa 25 imprese). Tali imprese sono in concorrenza reciproca per accaparrarsi una più ampia quota di mercato, in un contesto di diminuzione della domanda complessiva. In questi ultimi anni la stampa rotocalco ha dovuto affrontare una maggiore concorrenza da parte della stampa web-offset. Le imprese sono esposte a una pressione crescente e le parti sociali devono confrontarsi con la necessità di negoziare le ristrutturazioni cercando nel contempo di salvaguardare il più possibile l'occupazione, le condizioni di lavoro e i salari.

3.   Motivazione

3.1   Il settore della stampa web-offset e rotocalco deve confrontarsi con problemi ancora più gravi di quelli che stanno interessando l'industria grafica europea nel suo insieme perché è stato colpito in pieno da una serie di ostacoli di natura sia strutturale che congiunturale: evoluzione complessiva del settore dei media, caratterizzata dalla crescita di Internet e dalla conseguente contrazione del mercato dei prodotti stampati nel settore dell'informazione, sovraccapacità, sovrainvestimenti, concentrazione.

3.2   Evoluzione globale del settore dei media

3.2.1   Il volume dei prodotti della stampa web-offset e rotocalco dovrebbe continuare a diminuire nei prossimi anni, per via dello sviluppo delle pubblicazioni on line, della pubblicità su Internet e dei cambiamenti che questa trasformazione induce nelle abitudini dei lettori.

Negli ultimi cinque anni si è registrato un calo nella produzione di annuari e di cataloghi. E poiché si tratta di un'attività essenziale per il settore della stampa web-offset e rotocalco in Europa, se la tendenza in atto dovesse perdurare, si avrebbero nuove ristrutturazioni, fusioni e chiusure di stabilimenti, accompagnate da ulteriori soppressioni di posti di lavoro.

3.2.2   Negli ultimi dieci anni, nel settore europeo dei periodici (riviste) «ha prevalso una tendenza al ribasso caratterizzata da una caduta delle vendite e da una diminuzione dei prezzi» (4). Inoltre, secondo Intergraf, quattro dei sei principali paesi produttori di periodici hanno registrato dati negativi tra il 2001 e il 2004, con l'eccezione di Spagna e Italia dove si è assistito a un lieve aumento, sebbene dati più recenti indichino una contrazione anche per il mercato italiano e per quello spagnolo. In Italia, in particolare, nel 2009 i periodici hanno perso il 28,7 % degli investimenti pubblicitari (fonte: Nielsen), mentre la loro quota di mercato è diminuita del 10,5 % (fonte: ISTAT). Si tratta di una tendenza tuttora in atto e destinata a perdurare fintanto che il settore si troverà in situazione di sovraccapacità. Dato che per aumentare le vendite le imprese puntano a un pubblico più specializzato, esse finiscono per ricevere ordini per tirature inferiori. Ne consegue un effetto trainante negativo nel settore della stampa web-offset e rotocalco, le cui economie di costi di produzione si realizzano unicamente grazie a tirature estremamente elevate.

3.2.3   I gruppi editoriali che pubblicano quotidiani hanno ridotto il numero di testate a seguito della diminuzione dei lettori: soltanto nel Regno Unito, nel 2008 ne sono scomparse almeno 53 (principalmente settimanali gratuiti). Si assiste tuttavia, per alcune pubblicazioni, alla comparsa di offerte combinate di abbonamento a entrambe le versioni, cartacea ed elettronica, nel tentativo di sfruttare la complementarità tra queste due forme di diffusione dell'informazione e della pubblicità. Si tratta di un'iniziativa che potrebbe, ma è ancora presto per averne conferma, contribuire a rallentare il declino del settore e che potrebbe forse facilitare la riqualificazione di alcuni lavoratori.

3.2.4   In Europa la carta incide per oltre la metà sulle spese di stampa e le imprese del settore, acquistandola individualmente, stentano a competere con la pratica degli acquisti di gruppo dei paesi del Sud-est asiatico. In un rapporto elaborato di recente dalla Stationers' and Newspaper Makers' Company, si prevede un dimezzamento (-56 %) della domanda di carta da giornale entro il 2020, la probabile riduzione di un terzo nella domanda per le riviste, a seguito della maggiore diffusione delle pubblicazioni on line e delle ripercussioni sulla pubblicità, senza contare l'impatto dei media digitali sul settore delle riviste d'affari (5).

3.2.5   In passato i grandi editori stampavano in proprio le loro pubblicazioni, mentre negli ultimi dieci anni in molti hanno venduto i macchinari e hanno deciso di concentrarsi sulla loro attività di base. Oggi quindi gli editori proprietari di stabilimenti di stampa sono diventati una rarità. Alcuni addirittura si avvalgono di broker per affidare l'attività di stampa ai migliori offerenti, una pratica questa che si traduce con un'ulteriore pressione sulle imprese grafiche, che accentua le difficoltà di un settore già particolarmente indebolito. Le sovraccapacità permettono a questi grandi e potenti editori di imporre una riduzione dei costi e di comprimere in tal modo i margini delle imprese grafiche, con una serie di ripercussioni negative sui livelli retributivi dei lavoratori.

3.2.6   Analoghe pressioni vengono esercitate dagli editori di cataloghi e di periodici sui prezzi di produzione dei loro prodotti. Tenuto conto della forte concorrenza per aggiudicarsi ogni singolo contratto, la maggior parte delle imprese grafiche tenta di ridurre le spese ricorrendo essenzialmente a una compressione dei costi salariali, misura che provoca un deterioramento delle condizioni di lavoro.

3.2.7   La crisi finanziaria si ripercuote negativamente sull'accesso al credito da parte delle imprese grafiche svantaggiate per via di una cattiva reputazione del settore presso le banche. Inoltre essa si traduce in una riduzione dei bilanci pubblicitari, con un conseguente impatto negativo sul volume di attività di tali imprese.

3.2.8   Infine, benché auspicabile, sembra tuttavia difficile per le imprese grafiche differenziare le loro attività, visto che la maggior parte di esse non è attualmente in grado di investire, in particolare nella prestampa, per mancanza di mezzi finanziari e di locali disponibili.

3.2.9   Viceversa, le piccole e medie unità di produzione sembrano in grado di adattarsi più facilmente ai cambiamenti strutturali e alle difficoltà congiunturali, grazie a una maggiore flessibilità dei loro sistemi operativi, che tengono conto più facilmente delle necessità di una clientela più differenziata. In futuro, queste imprese potrebbero contribuire al reinserimento professionale di una parte difficilmente quantificabile di lavoratori delle grandi strutture che sono rimasti disoccupati.

3.3   Sovraccapacità e sovrainvestimenti

3.3.1   L'aumento della sovraccapacità (6) nel mercato europeo della stampa web-offset e rotocalco, che deriva sia dalla diminuzione della domanda nel mercato europeo che dai sovrainvestimenti, incide negativamente sui già risicati margini dei produttori. Mentre prima vi era solo una probabilità, ora esiste il rischio concreto di cominciare ad assistere all'adozione di misure più drastiche di riduzione dei costi, nel disperato tentativo di mantenere i margini, o addirittura di assicurarsi la sopravvivenza. Molte imprese sono costrette a praticare prezzi di vendita inferiori ai costi di produzione globali, per cercare di limitare le perdite.

3.3.2   Secondo uno studio condotto da UNI Europa Graphical, nel 2008 il livello di produzione del settore grafico risultava invariato rispetto al 2004 (7). Malgrado questa congiuntura sfavorevole, le imprese europee di stampa in rotocalco hanno acquistato 28 nuove macchine tra il 2005 e il 2008. Si tratta certamente di investimenti determinati in parte da alcune strategie legate ad esempio alla necessità di rinnovare i macchinari, rispondere alle nuove esigenze del mercato e disporre di capacità supplementari per affrontare più efficacemente gli eventuali picchi di produzione. Le nuove macchine sono capaci di produrre materiale stampato più efficacemente, aumentando in tal modo la sovraccapacità del settore che, prima della crisi, si attestava secondo le stime attorno al 15-20 % (8), a fronte del 25-30 % attuale.

3.3.3   Secondo il sindacato tedesco Ver.di l'ampliamento delle capacità dell'industria grafica europea intensificherà la pressione concorrenziale, che ha raggiunto livelli disastrosi. Questi investimenti sono serviti soltanto ad aumentare le pressioni alla riduzione dei costi ed all'eliminazione dei concorrenti dal mercato; ciò ha già provocato licenziamenti su vasta scala.

3.3.4   La sovraccapacità e i sovrainvestimenti hanno già provocato diversi fallimenti eclatanti: tra questi, la Quebecor World, una delle maggiori aziende grafiche in Europa, con oltre 20 000 effettivi in cinque continenti, che ha dichiarato fallimento nel 2008, a causa dell'inasprimento della concorrenza e della crescente diffusione della stampa digitale. Nel 2009, l'impresa ha rimborsato i suoi debiti ed ha assunto la nuova denominazione di World Color, dopo aver ceduto le sue attività europee a un fondo d'investimento (HHBV). Mentre alcune imprese sono fallite, molte altre hanno reagito alle difficoltà ricorrendo a delle fusioni, che hanno poi dato luogo a ristrutturazioni massicce in tutto il settore, con conseguenti perdite di posti di lavoro.

3.3.5   Come in molti altri settori, la crisi economica ha avuto gravi ripercussioni sulle contrattazioni salariali svoltesi nel 2009. Anche nei casi in cui non vi siano tagli occupazionali, le forti pressioni esercitate sui lavoratori per ridurre il costo della manodopera si ripercuotono negativamente sulle condizioni di impiego e sulle retribuzioni. Nel 2009 le contrattazioni collettive si sono concluse con una riduzione media dello 0,9 % del potere d'acquisto dei lavoratori dell'industria grafica europea (9). L'ampliamento del mercato ha contribuito a rafforzare la spirale negativa che agisce sui prezzi e sul costo della manodopera e a inasprire il clima concorrenziale.

3.4   Concentrazione

3.4.1   In questi ultimi anni, il numero di imprese produttrici di carta, inchiostro e macchine per la stampa è diminuito ed è aumentata conseguentemente la concentrazione, che ha a sua volta rafforzato il potere contrattuale dei fornitori, i quali possono imporre più facilmente le loro condizioni.

3.4.2   Un recente studio sul settore grafico europeo mostra come «la sovraccapacità, i sovrainvestimenti, la debolezza della domanda, prezzi più bassi dei prodotti, fatturati decrescenti e una concorrenza crescente sul mercato» si siano tradotti in fusioni e acquisizioni e in nuovi fallimenti (10).

3.4.3   Qui le fusioni e le acquisizioni hanno generato imprese più grandi, e ancora più determinate a eliminare i loro concorrenti. Nel 2005, ad esempio, dalla fusione delle attività grafiche dei gruppi editoriali Bertelsmann, Gruner + Jahr e Sprinter è nata Prinovis, la più grande azienda di stampa in rotocalco nel panorama dell'industria grafica europea. Successivamente, il gruppo Schlott AG è divenuto il numero due della stampa in rotocalco in Europa, grazie all'acquisizione di imprese (REUS a Pilsen, Repubblica ceca) e di capacità di piegatura e di stampa (Biegelaar, Paesi Bassi), avvenute rispettivamente nel 2006 e 2007. All'inizio del 2008, un gruppo d'investimento olandese ha ripreso le attività grafiche europee di Quebecor. Il gruppo britannico Polestar è alla ricerca di partner al fine di rafforzare la sua posizione di mercato.

4.   Prospettive

4.1   Tutte queste difficoltà pongono la stampa web-offset e rotocalco europea in una situazione di precarietà che potrebbe rivelarsi deleteria in mancanza di un intervento urgente e concertato dei responsabili decisionali e delle altre parti interessate. Tutte le parti sociali sono arrivate alla conclusione che il settore ha bisogno di una riorganizzazione e di una ristrutturazione se vuole assicurarsi uno sviluppo sostenibile a lungo termine. Verosimilmente nei prossimi dieci anni vi sarà il rischio di ulteriori razionalizzazioni, con numerosi licenziamenti. Per questo motivo secondo le parti sociali occorre intervenire ora, per assicurare che la crisi del settore possa essere controllata e gestita nel miglior interesse dei datori di lavoro e dei lavoratori. La situazione è del resto così grave che i sindacati ne stanno attualmente valutando le implicazioni, nel tentativo di elaborare strategie costruttive per salvaguardare l'occupazione, programmare le riqualificazioni, evitare il deterioramento delle condizioni di lavoro e mantenere invariato il livello dei salari.

4.2   La Commissione europea nel 2007 ha proposto, di concerto con le associazioni professionali, un piano d'azione per l'industria grafica articolato in sei punti:

1)

sostegno dello sviluppo dinamico dell'industria tipografica europea nel mercato globalizzato:

a)

partenariati e alleanze;

b)

gestione dei costi di produzione;

2)

sviluppo di servizi a forte valore aggiunto per i clienti;

3)

miglioramento della formazione;

4)

potenziamento del quadro di riferimento europeo - standardizzazione e armonizzazione;

5)

intensificazione dell'attività di ricerca e innovazione, mediante interventi coordinati;

6)

miglioramento dell'immagine dell'industria grafica.

Il CESE sostiene tutti i punti della proposta, che giudica ancora di grande attualità ed esprime apprezzamento per le realizzazioni già compiute. Tuttavia, considerando che le difficoltà del settore sono state fortemente accentuate dalla crisi e dalla conseguente recessione che ha interessato tutti gli Stati membri dell'UE, il CESE ritiene opportuna l'adozione di alcune misure di emergenza volte ad aiutare il settore ad affrontare le sfide che si presenteranno a breve termine.

4.3   La crisi finanziaria ha del resto rafforzato l'urgenza di una reazione pianificata e coordinata delle parti sociali. È quindi più importante che mai procedere alla definizione di una vera politica europea per il settore, basandosi sul contenuto della proposta della Commissione. Non è auspicabile che il processo di concentrazione si accentui al di là del necessario, anche se sarebbe utile favorire un consolidamento controllato, mediante un'attenta gestione delle transizioni, compresa la riduzione dell'orario di lavoro, in modo da proteggere il maggior numero possibile di posti di lavoro e prevedere efficaci sistemi di riqualificazione e di mobilità interna ed esterna. In applicazione del regolamento (CE) n. 2658/2000, in corso di revisione, potrebbero essere promossi accordi di specializzazione tra le imprese che complessivamente non rappresentano oltre il 20 % del mercato, tali da permettere di migliorare le tecniche di produzione e realizzare economie di scala in grado di contribuire a mantenere in vita le imprese.

4.4   Potrebbe essere realizzato uno studio sul ruolo svolto dai broker al fine di accertarne l'impatto sulla formazione dei prezzi. Il principio della concorrenza libera e non falsata deve poter essere esercitato garantendo standard lavorativi e livelli retributivi dignitosi, nonché il rispetto dei contratti e degli accordi collettivi in tutti i paesi dell'UE in cui essi siano in vigore.

4.5   Sono necessari sforzi concertati per ridurre le sovraccapacità del settore, mentre per gestire le ristrutturazioni secondo criteri socialmente accettabili, servono un dialogo sociale e una contrattazione collettiva a tutti i livelli, in ciascun paese. Inoltre, particolare urgenza riveste le promozione di un dialogo sociale formale e strutturato a livello europeo, che risulta necessario per la messa a punto di interventi compatibili con le sfide con cui deve confrontarsi la categoria. Il CESE ricorda che il dialogo sociale settoriale può sfociare nell'adozione di pareri, dichiarazioni comuni, linee guida, codici di condotta, carte e accordi.

4.6   L'aiuto finanziario e logistico della Commissione europea è indispensabile per assicurare in futuro un'industria europea della stampa web-offset e rotocalco sana e prospera. Il CESE incoraggia le imprese a sollecitare l'intervento degli aiuti europei disponibili, in particolare attraverso il Fondo sociale europeo, il Fondo europeo di sviluppo regionale, il Fondo europeo d'adeguamento alla globalizzazione e il Fondo europeo per la ricerca e l'innovazione. Sarebbe anche auspicabile valutare le capacità d'intervento della Banca europea per gli investimenti per finanziare l'adeguamento delle imprese alle attività che richiedono nuove tecnologie. Il ricorso ai diversi sistemi di aiuto deve avere come unico obiettivo quello di facilitare le transizioni, senza finanziare indirettamente le delocalizzazioni.

4.7   Per il momento il CESE propone quattro iniziative:

4.7.1

creare un gruppo di riflessione ad alto livello composto da rappresentanti dell'industria, dei lavoratori e da ricercatori, per mettere a fuoco più chiaramente la configurazione che potrebbe assumere l'industria grafica nel medio termine e formulare proposte sulla definizione di un nuovo modello d'impresa;

4.7.2

organizzare una conferenza di tutte le parti interessate per fare il punto della situazione e decidere quali misure adottare nel breve termine. Le parti sociali potrebbero essere incaricate di studiare le possibili evoluzioni future di questo settore professionale e proporre le misure da adottare con urgenza per orientare il mercato verso un funzionamento sostenibile;

4.7.3

realizzare uno studio indipendente, finanziato dalla Commissione nel quadro del dialogo sociale settoriale europeo, destinato ad anticipare gli sviluppi a medio e lungo termine del settore, tenendo conto in particolare delle nuove tecnologie, nonché dell'evoluzione nel comportamento dei consumatori e delle strategie dei fornitori e dei committenti;

4.7.4

istituire un osservatorio ovvero un consiglio settoriale delle professioni e delle competenze per effettuare una recensione delle professioni attuali e future. La conoscenza approfondita delle competenze necessarie è un requisito indispensabile per definire adeguate politiche di formazione e riqualificazione.

4.8   Per garantire un controllo efficace degli sviluppi del settore, la Commissione dovrebbe dotarsi di un sistema di raccolta di informazioni e di dati affidabili accessibile a tutte le parti interessate.

Bruxelles, 14 luglio 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Ifo. Investitionstest, München, Frühjahrsgutachten 2008 («Indagine sugli investimenti, Monaco, primavera 2008»).

(2)  Competitiveness of the European Graphic Industry («La competitività dell'industria grafica europea»), Commissione europea, 2007.

(3)  Ibidem.

(4)  Cfr. nota n. 2.

(5)  The future of Paper and Print in Europe («Il futuro della carta e della stampa in Europa»), Stationers' and Newspaper Makers' Company, 2009.

(6)  Gennard, J. The Impact of the financial crisis on the European graphical industry («L'impatto della crisi finanziaria sull'industria grafica europea»), 2009.

(7)  Conferenza europea della stampa rotocalco e offset, 16-20 marzo 2009, Verona.

(8)  Cfr. nota n. 7.

(9)  Gennard, J. Annual Collective Bargaining Survey («Indagine annuale sulle contrattazioni collettive»). UNI Europe, 2009.

(10)  Ibidem.


11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/105


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Trasformazioni e prospettive del sottosettore dei servizi tessili in Europa» (parere d'iniziativa)

2011/C 44/17

Relatore: Antonello PEZZINI

Correlatore: Peter BOOTH

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 febbraio 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Trasformazioni e prospettive del sottosettore dei servizi tessili in Europa.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI), incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o luglio 2010.

Alla sua 464a sessione plenaria, dei giorni 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 14 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 138 voti favorevoli, 1 voto contrario e 6 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni  (1)

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sottolinea l'importanza che riveste l'industria dei servizi tessili in Europa. Gli sviluppi di tale settore si rivelano promettenti, sia in termini economici e tecnologici, sia perché è strettamente collegato alle realtà operative ed occupazionali locali, con la possibilità di continui importanti contributi allo sviluppo di un'economia europea, che assicuri occupazione, coesione economica e sociale.

1.2   Il CESE chiede che la Fondazione europea per le condizioni di vita e di lavoro lanci un'azione pilota per la mappazione geografica e dimensionale delle imprese del settore e delle condizioni di vita e di lavoro degli occupati, così come della consistenza dell'economia informale nel settore. Parallelamente il CESE chiede che venga fatta una seria riflessione sulla classificazione NACE del settore, per assicurare una adeguata identificazione, nei suoi sviluppi economici, sociali e occupazionali.

1.3   Nel contesto delle iniziative della strategia Europa 2020, rivolte alla lotta al surriscaldamento globale, il CESE raccomanda al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Commissione che la sostenibilità ed efficienza delle risorse del settore industriale dei servizi tessili così come le sue potenzialità di creazione di posti di lavoro e di investimenti vengano prese in debito conto nell'elaborazione delle nuove disposizioni ambientali.

1.4   Il Comitato ritiene indispensabile lo sviluppo di un dialogo sociale strutturato, a livello europeo e a livello nazionale/regionale, e suggerisce il finanziamento comunitario di reti di scambio delle migliori prassi:

per lo sviluppo delle qualifiche e della professionalità nonché delle relative esigenze formative, da definire con un'azione specifica del Cedefop,

per la definizione di eque condizioni di lavoro, di sicurezza e di salute, con il sostegno dell'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro di Bilbao,

per una adeguata rappresentanza delle parti sociali settoriali nel Comitato europeo sui servizi di manutenzione.

1.5   Il Comitato sottolinea l'importanza di una corretta applicazione delle disposizioni comunitarie in tema di informazione, consultazione dei lavoratori e corretta creazione e gestione di comitati aziendali europei, sviluppando un esercizio di foresight settoriale partecipativo, a livello europeo, con il sostegno dell'IPTS di Siviglia.

1.6   L'applicazione di standard sociali e ambientali europei negli appalti pubblici «verdi e sociali», secondo la piena e trasparente applicazione delle disposizioni in materia, è a giudizio del Comitato una condizione imprescindibile per il sano sviluppo del settore e di una filiera che rispetti standard di qualità tecnica e sociale, specie con riferimento al sistema dei subappalti e delle responsabilità, che coinvolgono tutta la catena certificata di forniture.

1.7   Il Comitato chiede che uno spazio adeguato sia riservato:

nei programmi di lavoro annuali del Settimo programma quadro di RSTD,

nel programma pluriennale per la competitività e l'innovazione,

nei fondi strutturali,

ai progetti di innovazione tecnologia e organizzativa del settore, soprattutto per quanto riguarda l'efficienza e il risparmio delle risorse, la logistica integrata e la tracciabilità dei prodotti forniti, anche con l'aiuto delle applicazioni di Galileo. La BEI dovrebbe facilitare gli investimenti, specie per le PMI.

1.8   Il Comitato chiede che gli organismi di standardizzazione europei continuino gli sforzi per elaborare standard tecnico-normativi sempre più avanzati dal punto di vista ambientale, sociale e tecnologico applicabili a tutta la filiera del settore, anche sulla base di mandati della Commissione europea, per assicurare la qualità dei prodotti, dei processi e dei servizi, e che abbiano ricadute positive sulle condizioni di lavoro applicate al personale.

1.9   Secondo il Comitato, sarebbe opportuno l'utilizzo dei fondi strutturali, a livello regionale, per il potenziamento innovativo delle reti di distretti europei di settore e per lo sviluppo di enti bilaterali, secondo le esperienze positive esistenti in vari paesi membri, specie ai fini formativi ed educativi, anche in campo linguistico.

1.10   Il Comitato ritiene che sia importante la diffusione e lo scambio di buone prassi, come la costituzione di enti bilaterali, presenti in varie realtà nazionali, che hanno dato buoni risultati nella promozione delle risorse umane del settore.

1.11   Il CESE sottolinea l'importanza di una campagna europea sulla sicurezza sul lavoro, sulla trasparenza economica, sociale e ambientale dell'industria dei servizi tessili e sulle condizioni e prospettive di lavoro del settore con la piena applicazione della Carta dei diritti fondamentali, in particolare dei diritti sindacali e di contrattazione collettiva.

1.12   Il Comitato raccomanda al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Commissione l'elaborazione di un quadro strategico per il settore dell'industria dei servizi tessili, sfruttando la piena compatibilità del suo sviluppo economico, produttivo ed occupazionale con gli obiettivi di crescita sostenibile previsti dagli obiettivi 20/20/20, per il 2020.

2.   Introduzione

2.1   Il settore industriale dei servizi tessili comprende una vasta e diversificata gamma di imprese che svolgono, con organizzazione industriale, attività di:

lavanderie e lavasecco industriali nonché noleggio di prodotti tessili, per imprese manifatturiere e di servizi e per i cittadini,

noleggio, ricondizionamento e manutenzione di abiti e tute da lavoro, uniformi ed abiti protettivi e di sicurezza,

lavaggio, noleggio, ricondizionamento e finissaggio di biancheria per alberghi, ristoranti e caffè,

lavaggio, noleggio, sterilizzazione, ricondizionamento e finissaggio di indumenti e biancheria per personale sanitario, parasanitario e degente, in strutture ospedaliere, case di riposo e collettività,

noleggio, sterilizzazione strumentario chirurgico e tessile e predisposizione/fornitura di kit di dispositivi medici sterili,

fornitura, noleggio e ricondizionamento di prodotti tessili intelligenti, con funzionalità integrate user-friendly ad alto comfort,

finissaggio industriale, filtri, assorbenti antipolvere e servizi tessili affini, per impianti di produzione e camere sterili di lavorazione,

servizi igienico-sanitari tessili e complementari/alternativi ai prodotti tessili,

finissaggio e servizi specifici, legati al «sistema moda».

2.2   I servizi di lavanderia industriale sono essenziali per il funzionamento di numerose attività collegate con la ristorazione e il turismo, come ristoranti, alberghi, collettività, navi per crociere, ecc., ma anche per la fornitura di punta di tessili protettivi avanzati, in un ampio spettro di settori manifatturieri e commerciali, mantenendo un forte ancoraggio al territorio, con bassi rischi di delocalizzazione fuori dall'UE.

2.3   I servizi di lavanderia sono importanti anche per l'industria tessile, poiché coloro che producono capi d'abbigliamento hanno bisogno che i propri prodotti vengano sottoposti ad una fase di prova e lavaggio prima di poter essere immessi sul mercato. I servizi di lavanderia per l'industria tessile, data l'entità della mole di lavoro e l'assoluta necessità che il lavaggio eseguito risulti perfetto, necessitano di operatori dotati di macchinari avanzati, di personale formato professionalmente e posto in condizioni di lavoro adeguate.

2.4   I servizi di lavanderia industriale per gli alberghi consistono nella cura e nel lavaggio di tutti i capi di biancheria, i quali hanno bisogno di un ciclo continuo di manutenzione e pulizia. Questo rapidissimo avvicendamento comporta che l'azienda fornitrice del servizio di lavanderia debba essere in grado di reggere - con la qualità della sua organizzazione del lavoro e con la professionalità del suo personale - questi ritmi, senza dilazioni o ritardi di sorta.

2.5   Ai servizi di lavanderia si sono affiancati servizi di noleggio di prodotti, sempre più sofisticati, che devono rispondere a requisiti tecnici e funzionali più avanzati e a prescrizioni ambientali e tecnico-normative sempre più esigenti, in particolare per le attrezzature protettive e per le forniture militari avanzate.

2.6   L'industria dei servizi tessili, nel suo complesso, ha sviluppato importanti sistemi d'innovazione tecnologica sia «B2B» che «B2C» (2) nel corso degli ultimi anni, sia per quanto concerne la qualità e gli standard tecnico-ambientali delle forniture tradizionali - comprese quelle igienico-sanitarie - all'industria alberghiera e ospedaliera, sia per quanto attiene alle forniture di tessili protettivi avanzati «intelligenti» (3).

2.7   Il settore tradizionale ha una consistenza ragguardevole con un turnover di circa 9 miliardi di euro (2007) ed è concentrato geograficamente e dominato da poche industrie multinazionali (4), mentre il resto del mercato è molto frammentato in una miriade di imprese di piccole dimensioni, che in genere operano localmente. Il mercato è in forte crescita sia nel fatturato (circa 10 miliardi di euro all'anno) sia negli addetti (oltre 200 mila).

2.8   Il settore dell'abbigliamento protettivo ad alta performance è in forte sviluppo ed è collegato alla nuova generazione di tessile intelligente, basata su: materiali intelligenti, processi di produzione avanzati, funzionalità integrate ad alto comfort, prevenzione e gestione rischi personali. L'attuale dimensione del mercato dei dispositivi di protezione individuali (DPI), che è inserito nei lead markets più promettenti nell'UE (5), è stimata in 9,5-10 miliardi di euro, con circa 200 000 lavoratori direttamente o indirettamente associati ai prodotti e ai servizi DPI.

2.9   La domanda del mercato, per tali prodotti e servizi, dipende da una regolamentazione più severa per quanto riguarda gli standard di sicurezza personale sul posto di lavoro, le performance e i requisiti di sicurezza più elevati per tutto il personale ed una migliore gestione dei rischi per la persona, la diffusione di una cultura dell'affidabilità e il desiderio di prevenire reclami potenziali.

2.10   Particolarmente rilevante è l'attenzione che il settore rivolge all'impatto ambientale delle lavorazioni e dei servizi tessili realizzati. L'industria dei servizi tessili è stata sottoposta a vari controlli d'impatto ecologico: un Life Cycle Assessment  (6).

3.   Scopo del presente parere d'iniziativa

3.1   Il presente parere intende esaminare le condizioni per uno sviluppo del settore industriale dei servizi tessili:

rispettoso delle condizioni di vita e di lavoro delle risorse umane, specie in termini di salute e sicurezza,

basato su un dialogo strutturato settoriale tra le parti sociali ai vari livelli,

accompagnato da una crescente qualificazione e professionalità del personale e da prospettive di occupabilità basate su uno sforzo formativo ed educativo accelerato,

una maggiore tutela ambientale e delle risorse energetiche e idriche, durante tutto il ciclo di vita e riciclaggio del prodotto,

investimenti nell'innovazione tecnologica e logistico-organizzativa in un ambiente aperto prevenendo l'abuso di posizioni dominanti, assicurando un ambiente favorevole alla creazione e allo sviluppo delle piccole e medie imprese,

promozione di una competizione basata sulla qualità e sull'elaborazione e applicazione di standard tecnico-normativi avanzati,

trasparenza degli appalti pubblici con il pieno rispetto dei requisiti ambientali e delle clausole sociali, specie nella catena dei subappalti,

maggiore visibilità e trasparenza del settore che ne rivaluti l'immagine.

3.2   Il CESE ha tenuto a Bruxelles, l'11 maggio 2010, un'audizione pubblica sull'argomento, con la partecipazione di rappresentanti sindacali e imprenditoriali del settore a livello nazionale ed europeo, con rappresentanti dell'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro di Bilbao e della Commissione europea (DG ENTR), degli enti bilaterali, attivi in diverse esperienze nazionali, nonché di singole imprese rappresentative di grosse realtà produttive e di servizi.

4.   Osservazioni generali

4.1   Il CESE ritiene che una condizione preliminare all'elaborazione di una strategia e di un piano d'azione del settore sia il lancio di un'azione pilota a livello europeo volta alla mappazione e ponderazione dei vari comparti altamente differenziati dell'industria europea dei servizi tessili e della loro distribuzione geografica e dimensionale a livello di UE-27, con la presenza di forti componenti di genere e di un settore informale non regolamentato.

4.2   Il CESE ritiene che sia opportuna la ricerca di una migliore definizione del settore che ne permetta una più chiara identificazione nel sistema NACE di Codice Eurostat così da poterne seguire meglio gli andamenti economici, gli investimenti e le innovazioni, l'occupazione e le qualifiche professionali.

4.3   Il settore industriale dei servizi tessili è particolarmente dinamico e in forte evoluzione, e le sue potenzialità di sviluppo sono fortemente legate al miglioramento del background socioculturale e alle capacità tecnico-economiche delle imprese.

4.4   Il CESE ritiene che sia importante che gli organismi di standardizzazione europei elaborino standard tecnico-normativi sempre più avanzati dal punto di vista ambientale, sociale e tecnologico applicabili a tutta la filiera del settore, anche sulla base di mandati della Commissione europea al riguardo per assicurare la qualità dei prodotti, dei processi e dei servizi così come delle condizioni applicate al personale, nonché per rimanere competitivi a livello globale.

4.5   Lo sviluppo del settore deve poter beneficiare di un dialogo strutturato a livello sia europeo sia nazionale/regionale, che evidenzi condizioni di lavoro eque che rappresentino una base comune nel settore in Europa, in linea con l'applicazione delle direttive comunitarie in materia di parità di genere, in tema di organizzazione dell'orario di lavoro, di informazione e consultazione dei lavoratori. Il CESE ritiene che il settore debba coniugare meglio e in modo più equilibrato i principi di Customer Satisfaction con quelli di Employment Motivation come avviene in talune realtà produttive avanzate.

4.6   Il CESE ritiene essenziale per lo sviluppo del settore la piena applicazione della Carta dei diritti fondamentali, in particolare dei diritti sindacali e di contrattazione collettiva in tutte le realtà della filiera produttiva e di servizi del settore nell'UE.

4.7   Lo scambio delle migliori pratiche tra le realtà presenti negli Stati membri è, a parere del Comitato, una via europea da percorrere, finanziando progetti europei transnazionali in materia.

4.8   La tutela dell'ambiente deve rappresentare una priorità per questo settore industriale favorendo la diffusione di EMAS e degli Ecolabel così come l'applicazione delle norme ISO 14000.

4.8.1   Le rilevazioni dell'industria del 2006 rappresentano un'ottima base di riflessione e di analisi per studiare l'evoluzione dei vari settori (7), ma dovrebbero essere aggiornate con periodicità almeno biennale ed essere oggetto di rilevazioni di impatto ambientale, da presentare al Parlamento europeo ed al Comitato.

4.8.2   Occorre valutare pienamente gli sforzi del settore per la diffusione della certificazione EN 14065 con l'aiuto delle parti sociali per combattere la concorrenza sleale, regolamentando il mercato e diffondendo con incentivi, anche fiscali, le migliori prassi con marchi di qualità.

4.8.3   Occorre che le funzionalità e la permanenza di queste caratteristiche durante tutto il ciclo di vita del prodotto tessile siano prese in considerazione nella selezione degli indumenti da sottoporre a soluzioni di «full service».

4.8.4   Il CESE ritiene importante che il settore svolga una parte attiva nell'applicazione dei solventi e delle sostanze chimiche utilizzate e sottoposte alla disciplina di regolamentazione comunitaria REACH, così come nell'applicazione delle normative europee sulle acque.

4.9   Il Comitato chiede che uno spazio adeguato sia riservato nei programmi di lavoro annuali del Settimo programma quadro di RSTD e nel programma pluriennale per la competitività e l'innovazione, così come negli interventi dei fondi strutturali, ai progetti di innovazione tecnologica e organizzativa del settore sotto il profilo della logistica integrata e della tracciabilità dei prodotti forniti, anche con l'aiuto delle applicazioni logistiche di Galileo. La BEI dovrebbe facilitare gli investimenti, specie per le PMI.

4.10   Negli appalti pubblici occorre garantire la piena e trasparente applicazione delle disposizioni in materia, quale condizione imprescindibile per uno sviluppo «verde e sociale» del settore, specie con riferimento al sistema dei subappalti e delle responsabilità che deve interessare tutta la catena di forniture.

4.11   Nell'innovazione tecnologica e logistico-organizzativa occorre garantire un ambiente aperto prevenendo l'abuso di posizioni dominanti, assicurando un ambiente favorevole alla creazione e allo sviluppo delle piccole e medie imprese.

4.12   Occorre assicurare una crescente qualificazione e professionalità del personale e prospettive di accusabilità basate su uno sforzo formativo ed educativo accelerato, sviluppando un esercizio di foresight partecipativo con il sostegno dell'Istituto di prospettive e studi tecnologici di Siviglia e riservando interventi dei fondi strutturali allo sviluppo di organismi bilaterali di concertazione per la formazione, qualificazione del personale ed educazione, anche linguistica.

4.13   La sicurezza e la salute sul lavoro devono essere una delle priorità dello sviluppo di qualità del settore: le parti sociali settoriali a livello europeo devono sviluppare un dialogo strutturato e devono trovare adeguata rappresentanza nel Comitato europeo per la sicurezza della manutenzione.

4.14   Il Comitato chiede che la Commissione europea presenti quanto prima una comunicazione sulla possibile strategia economica e occupazionale europea di sviluppo del settore dell'industria dei servizi tessili ai fini dell'elaborazione di un piano d'azione UE in materia, ricollegandosi all'iniziativa europea dei lead market ove i servizi tessili vengono richiamati in termini di prospettive strategiche di successo.

Bruxelles, 14 luglio 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Alcune informazioni complementari riguardanti il parere, come ad esempio le presentazioni effettuate nel corso di audizioni, allegati tecnici o risultati di indagini statistiche, sono disponibili sul sito web del CESE:

http://www.eesc.europa.eu/sections/ccmi/Hearingsandconferences/Textile_2010/index_en.asp

(2)  Cfr. «Servizi complessi» in: L'evoluzione del settore dei servizi alle imprese in Europa (parere esplorativo) - GU C 27 del 3.2.2009, pagg. 26-33.

(3)  Cfr. Europa Innova – Innovation Watch. Sectorial Innovation Foresight: Textile and Clothing – Interim Report June 2009, pagg. 3-4, 9-10.

(4)  Elis, Rentokil, Johnson Service, Davis, Alsco, HTS, ecc.

(5)  Cfr. Lead Market Initiative for Europe/Mid-term progress report. SEC(2009) 1198 definitivo del 9 settembre 2009.

(6)  Cfr. Allegato 1 (http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.fr.textile-services-sub-sector-in-europe).

(7)  Cfr. nota 5.


11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/110


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Promuovere posti di lavoro verdi e sostenibili per il pacchetto “Energia-clima” dell'UE» (parere d'iniziativa)

2011/C 44/18

Relatore: IOZIA

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 luglio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Promuovere posti di lavoro verdi e sostenibili per il pacchetto «Energia-clima» dell'UE.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o giugno 2010.

Alla sua 464a sessione plenaria, dei giorni 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 14 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 146 voti favorevoli, 4 voti contrari e 10 astensioni.

1.   Sintesi del parere

1.1   «Voglio mettere in chiaro che investendo in tecnologie che hanno un impatto ridotto sul clima e un'elevata efficienza energetica otteniamo un vantaggio economico. Le opportunità sono enormi.»

Connie HEDEGAARD, commissario per l'Azione per il clima

1.2   La prima parte del terzo millennio si è aperta ponendo nuovi interrogativi sul futuro del pianeta. I rischi connessi ai cambiamenti climatici in atto, l'incremento della domanda mondiale di energia, l'esaurirsi in un tempo relativamente breve delle fonti tradizionali, l'accresciuta consapevolezza dei cittadini, che chiedono misure idonee a contrastare e mitigare gli effetti negativi delle emissioni di gas a effetto serra (GES), determinano la necessità di rivedere il modello di sviluppo, ridurre i consumi nonché incrementare l'utilizzo di fonti alternative e rinnovabili che aiutino a ridurre le emissioni. Le politiche europee dovrebbero essere focalizzate nello sviluppo di un'Europa verde, sociale e competitiva.

1.3   La necessità di rafforzare la sicurezza dell'approvvigionamento e di ridurre la dipendenza da aree politicamente instabili o concorrenti, accompagnata da un progressivo cambiamento del mix energetico a favore delle energie pulite e rinnovabili, fa ritenere che la nuova economia verde sarà un fattore di sviluppo sostenibile e di crescita dell'occupazione, contribuendo ad un nuovo equilibrio economico, sociale ed ambientale.

1.4   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE), con questo parere, si propone lo scopo di analizzare le prospettive dei «lavori verdi sostenibili» ed individuare gli strumenti idonei per sostenerli e promuoverli.

1.5   Per valutare gli effetti di queste nuove politiche, occorre tenere presente il «saldo» tra nuova occupazione e vecchia occupazione che viene cancellata, ossia i «lavori neri» (miniere di carbone, costruzione e manutenzione delle centrali elettriche di tipo tradizionale, ecc.). Politiche mirate di salvaguardia del reddito, di formazione e riqualificazione professionale devono accompagnare questi processi di cambiamento. La nuova economia verde deve essere vissuta dai lavoratori e dai cittadini come una grande opportunità, deve includere i principi del lavoro decente e porsi come motore di sviluppo socialmente, ambientalmente ed economicamente sostenibile.

1.6   Una strategia europea di transizione verso una politica economica ed industriale a basse emissioni di GES si deve basare sul dialogo tra governi, parti sociali e società civile sui cambiamenti economici e industriali, sugli investimenti in tecnologie adeguate per nuovi e decenti lavori verdi nonché in nuove competenze verdi.

1.7   Per il successo di questa strategia è indispensabile il coinvolgimento delle autorità nazionali e locali, delle imprese e dei sindacati, in un dialogo costante, per verificare l'impatto sull'occupazione e sul mercato del lavoro. Nessun progresso ci sarà senza il coinvolgimento delle parti sociali e della società civile organizzata. Il CESE saluta con soddisfazione la creazione di una direzione generale Azione per il clima (CLIM), che dovrebbe coordinare le politiche dell'Unione, sia interne che esterne, relative alla mitigazione e all'adattamento.

1.8   Il CESE ritiene indispensabile costituire uno strumento permanente di consultazione per anticipare le ricadute della transizione socioeconomica, coordinare le attività dei consigli settoriali, rafforzare il dialogo tra le parti sociali e le pubbliche autorità. All'Agenzia dell'Ambiente dovrebbe essere affidata anche la responsabilità della effettiva «tracciabilità» delle emissioni, coprendo ogni livello della produzione e del trasporto secondo il metodo LCA, così come regolamentato dalle normative ISO della serie 14040 e come definito nel Libro verde COM(2001) 68 definitivo e nella comunicazione COM(2003) 302 definitivo sulla politica integrata dei prodotti, e come suggerito, almeno in maniera indiretta, anche all'interno dei regolamenti europei EMAS ((CE) n. 761/2001) ed Ecolabel ((CE) n. 1980/2000).

1.9   L'Unione ha un ruolo cruciale per la promozione dei lavori verdi. Dal lato degli investimenti, essa deve favorire una politica di sostegno nelle attività e nei settori, ed assumere l'impegno congiunto con gli Stati membri per una legislazione stabile, che diminuisca sensibilmente gli oneri amministrativi e tenga sempre in considerazione le necessità delle PMI. Per quello che riguarda il mercato del lavoro, essa deve promuovere il lancio di programmi specifici per sostenere la formazione professionale, ma soprattutto la riqualificazione di quei lavoratori minacciati dal cambiamento industriale, che potrebbero perdere la loro attuale occupazione o i loro livelli di reddito. Gli Stati membri, attraverso incentivazioni fiscali rivolte ad imprese ed utenti e l'utilizzo dei fondi derivanti dall'asta degli ETS, devono sostenere l'efficienza energetica, gli investimenti in rinnovabili, nella ricerca e nello sviluppo. In questo momento di crisi, in particolare, tale politica è urgente e necessaria.

1.10   Gli appalti pubblici hanno un importante ruolo da giocare. Oltre il 15 % del PIL europeo viene prodotto attraverso appalti pubblici. Clausole di favore per merci e servizi caratterizzati da eco-sostenibilità possono indurre il mercato a far crescere più velocemente gli investimenti nell'innovazione tecnologica.

1.11   L'Unione nel suo complesso spende ancora troppo poco in ricerca, sia a livello comunitario che nazionale. Meno del 2 % del PIL, a fronte del 2,6 % degli USA e del 4 % del Giappone. L'Europa ha bisogno di maggiori investimenti in R&S, ed è fondamentale orientare tale ricerca verso una società a basse emissioni di GES.

1.12   Il maggior potenziale di sviluppo riguarda tutte le attività e i lavori tradizionali, che possono essere resi più verdi. A questo fine fondamentale è il ruolo della società civile. L'educazione ambientale per le giovani generazioni, la formazione professionale, la comunicazione e l'informazione alle imprese, ai lavoratori e ai cittadini, sono attività propedeutiche e fondamentali per lo sviluppo di una nuova economia verde. Il CESE è impegnato attivamente nel sostegno a queste attività attraverso il progetto Pinocchio.

1.13   Il mondo agricolo potrebbe a sua volta dare un contributo estremamente importante, sia nella trasformazione dei modelli produttivi, sia nello sviluppo dell'agro-forestazione e nella coltivazione delle biomasse. La difesa del territorio e dell'ambiente pongono l'agricoltura, con le sue organizzazioni, ai primissimi posti per una grande campagna di sensibilizzazione e di informazione sui vantaggi della nuova economia verde.

1.14   La biomassa rappresenta la fonte di gran lunga più importante di energia rinnovabile - i dati del 2008 sottolineano, a livello europeo, una decisiva prevalenza delle fonti energetiche biogeniche su tutte le altre energie rinnovabili. Nell'UE 27 i due terzi dell'energia primaria rinnovabile - ossia il 66,1 % su un totale di circa 6 200 PJ - sono stati prodotti tramite la biomassa.

1.15   In un periodo di difficoltà economiche e limitate disponibilità di capitali, occorre concentrare gli sforzi su un numero limitato di priorità, cruciali per l'Europa per la competizione globale, per difendere l'ambiente e per non perdere posti di lavoro negli anni futuri. Energie rinnovabili, trasporto sostenibile e case a bassissima emissione di CO2 sono le aree che il CESE considera prioritarie.

1.16   Il settore pubblico deve dare il massimo sostegno a questi settori durante la fase di transizione. Le politiche stop-go, un quadro normativo instabile ed incoerente, le pastoie amministrative costituiscono i principali ostacoli allo sviluppo delle attività e di buoni e decenti lavori verdi.

2.   Introduzione

2.1   Il mercato dell'energia

2.1.1   La crisi finanziaria ed economica ha certamente rallentato lo sviluppo delle attività connesse a tutto il comparto delle nuove energie.

2.1.2   Il 2009 ha visto una caduta verticale delle transazioni sul mercato del gas e del petrolio. Si è registrata infatti la riduzione del 19 % in valore, pari a oltre 90 miliardi di dollari (World Energy Outlook 2009 IEA). Nonostante questa gelata dei consumi, comunque, le previsioni per il 2030 continuano ad individuare in circa il 40 % l'aumento della domanda di energia, raggiungendo i 16,8 miliardi di tonnellate equivalenti di petrolio (tep).

2.1.3   Le fonti energetiche fossili continueranno comunque a rappresentare oltre il 77 % della crescita della domanda nel periodo 2007-2030, con una domanda di petrolio che crescerà dagli attuali 85 Mb/g (milioni di barili al giorno) agli 88 Mb/g nel 2015 fino ai 105 Mb/g nel 2030.

2.1.4   Secondo il WEO 2009, la lotta ai cambiamenti climatici ed il loro contenimento sono possibili, ma solo attraverso una profonda trasformazione del settore energetico. Il rapporto propone il «450 Scenario», con azioni da attuare aggressivamente e con un calendario certo per limitare a lungo termine le concentrazioni di CO2 in atmosfera a 450 parti per milione e mantenere l'aumento della temperatura globale entro i 2 gradi rispetto ai livelli pre-industriali. «Per ottenere questo scenario - dice l'IEA - la domanda di combustibili fossili deve raggiungere il suo picco entro il 2020 e le emissioni di CO2 collegate all'energia devono scendere a 26,4 Gt (gigatonnellate) nel 2030 rispetto alle 28,8 Gt del 2007».

2.2   L'efficienza energetica

2.2.1   I programmi di efficienza energetica dell'Unione europea si pongono l'obiettivo di ridurre l'intensità energetica del 3,3 % all'anno nel periodo 2005-2020, e questo dovrebbe consentire un risparmio di 860 Mtep/anno. Un obiettivo ambizioso, che dovrebbe essere soggetto a misure obbligatorie dove possibile e che richiede investimenti ingenti, i quali dovrebbero generare a loro volta un notevole risparmio, valutato dalla Commissione nell'ordine dei 100 miliardi di euro annui (Comunicazione della Commissione - Piano d'azione per l'efficienza energetica: concretizzare le potenzialità, COM(2006) 545 definitivo).

2.2.2   Il CESE si è espresso in diversi pareri in modo molto favorevole in merito alle iniziative europee per la diffusione di programmi sull'efficienza energetica (1). Purtroppo ha dovuto anche registrare la mancanza di un analogo entusiasmo da parte degli Stati membri (2). Ribadisce quindi che «un aspetto spesso trascurato delle politiche ambientali è rappresentato dai vantaggi economici che esse apportano. In realtà, invece, l'“economia verde” è uno dei modi per uscire dalla crisi mondiale e le sue forme emergenti stanno creando nuove opportunità occupazionali. Il commissario europeo Dimas ha dichiarato che gli investimenti “verdi” creeranno 2 milioni di posti di lavoro nell'UE nel prossimo decennio. L'economia “verde”, quindi, non è affatto un lusso» (3).

2.2.3   La Commissione si deve apprestare a varare una revisione della strategia sulla efficienza energetica. I progressi finora misurati non hanno portato ai benefici attesi. La relativa stabilizzazione del prezzo del petrolio, che è passato dal record di $147,27 dell'11 luglio 2008 ad una media per il 2009 di $53,56 a barile (nel 2008 fu di $91,48 al barile) (WTRG Economics), non ha certo favorito gli investimenti.

2.2.4   La revisione della direttiva sull'efficienza energetica delle abitazioni e degli uffici, che allargherà notevolmente i destinatari obbligati ad interventi strutturali su nuove abitazioni e su quelle che dovranno essere ristrutturate, come pure i regolamenti sulle emissioni delle automobili ed in itinere quella sui veicoli da trasporto leggero, richiedono all'industria uno sforzo notevole per raggiungere gli obiettivi di emissione previsti, traducendosi in un notevole guadagno di efficienza e conseguente diminuzione dei consumi.

2.2.5   L'EurObserv'ER 2009 (EurObserv'ER 2009 - The State of Renewable Energies in Europe, 9th EurObserv'ER Report) ha analizzato, in 14 Stati membri dell'UE (Germania, Francia, Spagna, Danimarca, Svezia, Italia, Austria, Polonia, Finlandia, Regno Unito, Paesi Bassi, Slovacchia, Slovenia e Lussemburgo), gli effetti diretti sull'occupazione riconducibili alle diverse tecnologie legate alle energie rinnovabili. Nel 2008 le tecnologie energetiche rinnovabili hanno permesso di creare o mantenere un totale di 660 000 posti di lavoro. Di questi oltre il 42 % (circa 278 000) sono da ricondurre alle fonti energetiche biogeniche (la biomassa, in senso più stretto). Investire in biomassa, dà un'occupazione duratura, riduce la dipendenza energetica dell'Europa e migliora sensibilmente il tenore delle emissioni di CO2.

3.   La crisi e i lavori verdi

3.1   La crisi economica si è abbattuta pesantemente sui conti pubblici. Il deficit aggregato della zona euro è stato del 6,4 % nel 2009 e viene stimato dalla Commissione al 6,9 % nel 2010. Ciò comporta piani di rientro severi che dovranno riportare il deficit in un arco temporale ridotto entro i parametri del trattato di stabilità. Il CESE mette in guardia dalla retorica e dall'inazione politica, quando si parla di stimolare la crescita verde.

3.2   Le risorse disponibili per proseguire nei piani di incentivazione delle energie rinnovabili e nei programmi di efficienza energetica diventano sempre più esigue. Gli Stati membri dovranno destinare ai programmi di efficienza energetica e agli investimenti nelle rinnovabili, nella mobilità sostenibile e nei trasporti in generale le risorse derivanti dalle aste dei diritti di emissione (ETS) oltre il 50 % previsto.

3.3   Il rischio che si corre è che si percepisca una falsa immagine della lotta ai cambiamenti climatici, limitata alla sola riduzione dei consumi. Occorre prendere in considerazione il ritorno energetico degli investimenti (EROI) e legare il concetto di sostenibilità con quello di sviluppo, ossia una nuova economia che non persegua la «recessione sostenibile», «la disoccupazione compatibile», che inesorabilmente porta ad un declino delle condizioni di vita delle persone, senza portare significativi cambiamenti alla salute del pianeta.

3.4   Il sistema delle imprese deve fronteggiare anche una stretta creditizia severa, in particolare le PMI. Meno risorse disponibili per le attività ordinarie rendono quasi impossibile lo sviluppo degli investimenti per le ristrutturazioni a volte costose e i cui ritorni si possono realizzare solo dopo alcuni anni. Servono politiche mirate di sostegno.

3.5   L'OIL, presentando il suo punto di vista su una recente iniziativa della Commissione (Duncan Campbell, Director, Department of Economic and Labour Market Analysis), ha proposto una definizione:

«I lavori verdi possono essere definiti come quelli che riducono l'impronta ambientale:

riducendo il consumo di energia, di materiali di scarto e di acqua,

decarbonizzando e dematerializzando l'economia,

riducendo le emissioni di gas effetto serra,

adottando politiche di adattamento al cambiamento climatico,

proteggendo e risanando l'ecosistema.»

3.6   Secondo l'OIL, che da alcuni anni ha approfondito studi settoriali nel campo dei lavori verdi, in collaborazione con le organizzazioni internazionali degli imprenditori e dei sindacati, i settori che più di altri dovrebbero essere interessati a questo tema sono:

Energia

Ciclo integrato gassificazione/ sequestro della CO2

Cogenerazione (calore/energia)

Rinnovabili (vento, solare, biocarburanti, geotermica, piccolo idroelettrico); pile a combustibile

Trasporti

Veicoli con motori più efficienti

Ibridi elettrici e veicoli a pile a combustibile

Condivisione dell'auto

Trasporti pubblici

Trasporti non motorizzati (biciclette, camminare) cambiamento delle politiche di uso del territorio e dei modelli di insediamento urbano (riducendo le distanze e la dipendenza da trasporti motorizzati)

Imprese

Controllo dell'inquinamento (depuratori e altre tecnologie di filtraggio)

Efficienza di energia e materiali

Tecniche di produzione pulita (evitare sostanze tossiche)

Disegnare i cicli produttivi con il metodo: «Dalla culla alla culla» (sistemi a ciclo chiuso secondo la definizione di William McDonough e Michael Braungart)

Immobili

Illuminazione, elettrodomestici ed apparecchiature da ufficio ad alta efficienza energetica

Riscaldamento e raffreddamento con energia solare, pannelli solari

Riabilitazione vecchi immobili con nuove tecnologie

Immobili verdi (finestre energeticamente efficienti, isolamento, materiali di costruzione, riscaldamento, ventilazione e condizionamento)

Case passive alimentate a energia solare, immobili a zero emissioni

Gestione dei materiali

Riciclaggio

Estendere la responsabilità del produttore, prodotto ritiro e rigenerazione

Dematerializzazione

Durata e riparazione dei prodotti

Vendita al dettaglio

Promozione di prodotti ad alta efficienza e utilizzo di eco-etichette

Punti vendita più vicino a zone residenziali

Minimizzazione delle distanze per il trasporto (dall'origine dei prodotti ai magazzini)

Nuova economia dei servizi (vendita di servizi, non di prodotti)

Agricoltura

Conservazione del suolo

Efficienza delle acque

Metodi di coltivazione biologica

Riduzione della distanza tra produttori e il mercato

Forestazione

Rimboschimento e progetti di rimboschimento

Agriforestazione

Gestione forestale sostenibile e certificazione

Fermare la deforestazione

3.7   I lavori verdi, per la maggior parte delle attività, dovranno essere caratterizzati da elevati livelli di competenza e preparazione professionale.

4.   I principali attori e i buoni esempi

4.1   Nel corso di un'audizione (CESE, 23 marzo 2010) alcuni tra i principali esponenti del mondo delle associazioni hanno arricchito il dibattito con il loro contributo.

4.2   Il presidente di Confartigianato di Bergamo ha presentato la Settimana verde dell'energia: 16 eventi di divulgazione e discussione, 80 relatori, centinaia di partecipanti per approfondire i temi normativi e tecnici del risparmio energetico e della sostenibilità ambientale. Un ottimo esempio del ruolo che le associazioni di categoria possono e debbono svolgere per diffondere cultura. Sono stati presentati nuovi servizi dedicati all'energia, quali: «lo sportello energia» per offrire una consulenza specializzata alle imprese; «l'accompagnamento al credito», per sostenere gli investimenti anche con il consorzio fidi dell'associazione; «la formazione» tecnica, in cooperazione con la facoltà di Ingegneria dell'Università di Bergamo.

4.3   Il rappresentante del WWF, responsabile della politica climatica ed energetica europea, ha sottolineato nel suo intervento l'impatto positivo che gli studi condotti dalla sua organizzazione prevedono sull'occupazione per effetto dell'economia verde. Le organizzazioni ambientaliste sono ovviamente molto favorevoli ad una politica di sostegno alle energie a basso tenore di CO2, o meglio a zero emissioni.

4.4   Il presidente del sindacato polacco delle miniere e dell'energia ha posto in rilievo i rischi di una politica che penalizzi eccessivamente i «lavori neri». È indispensabile salvaguardare l'occupazione, attraverso iniziative volte a creare nuovi posti di lavoro che assorbiranno quelli che saranno distrutti. Occorre ragionare in termini di «saldo» tra nuovi lavori creati e vecchi lavori persi. Anche al versante salariale va riservata una grande attenzione: alcuni nuovi lavori verdi sono remunerati meno, e il costo del kW prodotto dal carbone è la metà di quello prodotto da fonti rinnovabili. Senza adeguate politiche di sostegno all'occupazione, il rischio reale è che la disoccupazione raddoppi in poco tempo. Vanno altresì previste adeguate forme di sostegno alla mobilità dei lavoratori.

4.5   Il presidente della Federazione europea delle costruzioni ha dichiarato il forte coinvolgimento ed interesse delle imprese europee per sostenere l'ammodernamento e l'efficientamento delle abitazioni e dei fabbricati pubblici e privati adibiti ad attività lavorative. Il settore non richiede particolari aiuti economici, ma punta ad una legislazione stabile, garantita per un certo numero di anni, per poter programmare investimenti e piani industriali. L'industria delle costruzioni richiede un adeguato e costante flusso finanziario su cui poter contare, non sussidi a breve. Una adeguata politica fiscale potrebbe aiutare le famiglie ad orientarsi verso questo tipo di investimento. Le imprese sono pronte a fare la loro parte per l'indispensabile attività di formazione dei propri addetti.

4.6   La presidente del Consiglio degli architetti d'Europa (CAE) ha sottolineato l'esigenza di sviluppare ulteriormente la formazione per un'architettura sostenibile in Europa, diffondendo una visione olistica della programmazione degli interventi sul territorio, per la quale si rende necessario ripensare la professione. Secondo il CAE occorre stabilire, d'intesa con le associazioni dei costruttori, degli obiettivi ambiziosi, che migliorino la qualità e l'efficienza energetica degli edifici. Il CAE ha espresso dubbi sul risultato di un partenariato pubblico-privato (PPP) per gli appalti pubblici, in base a recenti esperienze negative.

4.7   Il rappresentante della Commissione ha messo in luce l'alto potenziale di nuovi lavori che possono essere creati. Le stime arrivano a parlare di più di un milione di nuovi posti di lavoro. Il successo del 2o Congresso di geotermia dimostra le possibili evoluzioni. In Svezia, ad esempio, sono installate 33 pompe di calore per 1 000 abitanti, a fronte dello 0,1 della Spagna. Le barriere amministrative sono una piaga per lo sviluppo delle rinnovabili. L'efficienza energetica è la chiave di volta di tutto l'impianto, in particolare negli edifici. I lavori verdi che saranno stimolati dai piani d'azione nazionali saranno durevoli e competitivi.

4.8   L'intervento molto ricco di elementi di riflessione e dati del rappresentante dell'Università per l'Economia e la Tecnica di Berlino ha messo in rilievo la forte competizione internazionale sul mercato delle energie rinnovabili. In particolare USA e Cina si contendono il mercato. La Cina e Taiwan raggiungono quasi il 50 % delle esportazioni di pannelli solari.

4.9   Il rappresentante di una delle più importanti imprese spagnole di turbine eoliche ha sottolineato l'importanza strategica del suo settore, che deve il suo sviluppo a politiche intelligenti e coraggiose, che hanno incoraggiato gli investimenti e aggiunto valore all'economia. Le prospettive future sono positive, nonostante la crisi, se continueranno le politiche in favore delle rinnovabili. Nel suo intervento ha citato il Presidente Obama: «La nazione che guida la creazione di un’economia basata sulle energie pulite è la nazione che guiderà l’economia globale» (Discorso sullo stato dell'Unione, pronunciato da Barack Obama il 27 gennaio 2010).

4.10   In conclusione, una dirigente della CES ha sottolineato l'impegno della Confederazione europea dei sindacati a sostenere le politiche di promozione e sostegno ai lavori verdi, che devono rispettare la dignità dei lavoratori, i loro diritti e i loro livelli salariali. Un lavoro verde deve essere per definizione un lavoro decente. La CES ritiene indispensabile che siano messe in atto politiche di transizione, di sostegno alla formazione e di anticipazione dei cambiamenti industriali.

5.   Quali le prospettive?

5.1   In questi ultimi anni si sono inseguite cifre, molto diverse tra loro, sui possibili benefici derivanti all'occupazione dai lavori verdi, dall'efficienza energetica e dalle iniziative per contrastare il cambiamento climatico. Stime di nuovi lavori per centinaia di migliaia di unità, ma che fanno fatica effettivamente ad emergere. Un problema serio è la valutazione dell'incremento netto, cioè scontando i posti di lavoro che vengono soppressi nello stesso settore.

5.2   Attualmente i posti di lavoro «verdi» ammontano a 4,6 milioni se si considerano le eco-attività in senso stretto; si dovrebbero raggiungere gli 8,67 milioni, pari al 6 % degli occupati nella UE-27, se ci si riferisce ad attività collegate a risorse ambientali, quali la forestazione o l'eco-turismo. Si arriva ad una dimensione molto importante se si utilizza la definizione più ampia, che porta il totale degli occupati a 36,4 milioni, il 17 % della forza lavoro, considerando anche il lavoro indiretto e l'indotto (GHK et al. (2007)). Nel suo recente documento sul lavoro in Europa (Employment in Europe 2009), la Commissione mette bene in evidenza queste differenze. La crescita ha interessato in particolare il settore delle rinnovabili, l'agricoltura biologica e, in via ancora modesta, le attività connesse alla riqualificazione del patrimonio immobiliare.

5.3   I principali campi di attività. Le costruzioni

5.3.1   Con 16,3 milioni di lavoratori, il 7,6 % dell'impiego totale, l'industria delle costruzioni si colloca al primo posto tra le attività industriali europee: 1 305 miliardi di euro il fatturato 2008, pari al 10,4 % del PIL. L'indotto occupa oltre 32 milioni di lavoratori (FIEC rapporto annuale 2009).

5.3.2   L'industria europea delle costruzioni è impegnata attivamente in progetti ed iniziative rivolte al raggiungimento di standard superiori di efficienza e di risparmio energetico: nell'ambito del 7PQ con i progetti Sunrise, per l'integrazione del fotovoltaico negli edifici, Cygnum, per la realizzazione di pannelli in legno pre-isolati, utilizzando materiale riciclato a basso costo, che permetteranno una più grande accessibilità ad un alloggio a basso consumo di energia, e Mobi3Con, un sistema operativo in 3D da utilizzare in cantiere per prevenire tutti gli errori tra design e realizzazione, per il quale la FIEC, la Federazione europea dei costruttori, prevede un risparmio fino a 6,2 miliardi di euro.

5.3.3   Nonostante le gravi ripercussioni della crisi finanziaria, che in alcuni paesi come la Spagna e l'Irlanda hanno di fatto congelato il mercato, il settore ritiene che nei prossimi anni saranno necessari almeno 800 000 nuovi posti di lavoro per tecnici specializzati ed ingegneri da inserire nei programmi di efficientamento energetico degli edifici. Solo in Francia si ritiene che dal 2007 al 2012 i posti di lavoro per gli addetti all'efficienza energetica negli edifici passeranno da 169 000 addetti a 320 000 (Studio Ademe, Agence de l'Environnement et de la Maitrise de l'Energie, 2008).

5.3.4   Un altro settore che si attende una crescita di addetti è quello delle ESCO (Energy Service Company), società che effettuano interventi finalizzati a migliorare l'efficienza energetica, assumendo su di sé il rischio dell'iniziativa e liberando il cliente finale da ogni onere organizzativo e di investimento. La diffusione di queste società è stata contrastata in alcuni paesi dai grandi produttori, che hanno temuto una drastica riduzione dei consumi (4).

5.3.5   La formazione professionale e la formazione continua sono indispensabili per poter gestire compiutamente le trasformazioni industriali: la FIEC, la Federazione dell'industria europea delle costruzioni, e la FETBB, la Federazione europea dei lavoratori delle costruzioni e del legno, collaborano attivamente per sviluppare iniziative congiunte in materia di qualifiche professionali e progetti di formazione transfrontaliera.

5.4   Le energie rinnovabili

5.4.1   Nel 2008 l'industria del fotovoltaico occupava 190 000 persone (190 000 direttamente e 60 000 indirettamente); con il sostegno al mercato dell'UE 27, entro il 2030 l'industria prevede di offrire 2,2 milioni di posti di lavoro, ma con un effetto netto molto contenuto: su un'ipotesi di esportazioni del 15 %, il saldo netto al 2030 per l'UE 27 sarà di circa 162 000 posti di lavoro (20 000 nel 2010 e 49 000 nel 2020) (EPIA - European Photovoltaic Industry Association, 2009).

5.4.2   Il settore FV richiede personale altamente specializzato, sia per la ricerca e lo sviluppo, che per la manutenzione; architetti e ingegneri dovranno studiare l'inserimento in contesti urbani, caratterizzati da centri storici di alto valore paesaggistico e artistico. In Europa la capacità cumulativa installata è passata dai 1 981 MW del 2005 ai 9 405 del 2008, quasi raddoppiando tra il 2007 e il 2008 (EPIA - Global Market Outlook for Photovoltaic until 2013, 2009 A.T. Kearney analysis). Servono corsi specialistici per preparare almeno 50 000 nuovi addetti all'anno da ora al 2030. Sono ancora insufficienti i master e i corsi post universitari dedicati alla preparazione specifica per l'uso del fotovoltaico.

5.4.3   L'eolico, con 64 935 MW installati a fine 2008, si posiziona già oggi come la più importante fonte di energia elettrica rinnovabile. Nel 2007 la quota degli occupati direttamente ha raggiunto le 108 600 unità, mentre se consideriamo gli occupati indirettamente si raggiunge quota 154 000 unità. Il 59 % è impegnato dall'industria delle turbine eoliche e dei componenti. Germania, Spagna e Danimarca sono i paesi con la più alta concentrazione di lavoratori (EWEA - European Wind Association, 2009). L'associazione europea del settore stima che il numero degli occupati possa arrivare nel 2020 a circa 330 000, più che raddoppiando il numero degli occupati.

5.4.4   Da uno studio condotto in Spagna, un paese che ha investito moltissimo in energie alternative, l'impiego dovrebbe passare dalle 89 001 unità del 2007 alle 228 000-270 000, prendendo come riferimento due scenari diversi (ISTAS - Instituto Sindical de Trabajo Ambiente y Salud, 2009).

5.5   I trasporti

5.5.1   Nell'industria automobilistica e dei mezzi di trasporto su strada sono impiegati circa 2,2 milioni di lavoratori, che salgono a 9,8 milioni tenendo conto dell'indotto (ACEA - Associazione dei costruttori europei di automobili); a questi si aggiungono gli addetti al trasporto pubblico e quelli impiegati nel trasporto privato. Il totale complessivo supera i 16 milioni di persone, se consideriamo le ferrovie, le compagnie di navigazione, l'industria e i servizi connessi all'aviazione e il trasporto merci su gomma.

5.5.2   In questo settore la crisi si è fatta sentire moltissimo, con riduzioni della produzione che vanno dal 7,6 % dei bus, al 21,6 % delle automobili, al 48,9 % dei pulmini, per arrivare al 62,6 % dei camion. Una vera e propria catastrofe produttiva. Non è andata meglio agli altri comparti del trasporto con un calo generalizzato degli ordinativi e delle attività.

5.5.3   Il settore dei trasporti risentirà più di altri delle sfide tecnologiche determinate dal pacchetto climatico e dai conseguenti regolamenti sulle emissioni di CO2. L'inserimento delle emissioni prodotte dal trasporto aereo nel sistema dei certificati di emissione europei (ETS) comporterà difficoltà per le flotte più obsolete, che dovranno pagare ingenti penalità per le loro emissioni. Inoltre, come già affermato dal CESE (5), «nel caso del trasporto marittimo, l'applicazione dell'ETS è notevolmente più complessa di quanto non lo sia per l'aviazione, in particolare per quanto riguarda i servizi di trasporto con navi da carico non regolari, a causa delle specificità del commercio marittimo mondiale che rendono notevolmente più complicati i calcoli da effettuare nell'ambito dell'ETS».

5.5.4   Ci si attende una crescita sostenuta (ed auspicata) delle attività ferroviarie, per quello che riguarda sia i passeggeri che il trasporto merci. Ci si attende una crescita di 1 200 000 posti di lavoro nel trasporto passeggeri e 270 000 nel trasporto merci, a fronte di una riduzione di circa 700 000 unità nel trasporto su strada (Syndex Etuc Istas Research, 2007) entro il 2030.

5.5.5   La mobilità urbana sostenibile, con una chiara politica in favore dei trasporti non motorizzati come la bicicletta e il camminare, migliorerà la qualità della vita e contribuirà in misura importante a ridurre le emissioni di GES.

6.   Azioni positive per promuovere lavori verdi

6.1   È indispensabile un intervento importante, sia pubblico sia privato sia congiunto, per poter affrontare le sfide che si pongono davanti a noi: coniugare lo sviluppo economico con riduzioni significative di emissioni nocive e con la possibilità di avere maggiore e migliore occupazione.

6.2   Attualmente lo stato delle finanze pubbliche non lascia intravedere significativi margini di manovra, dopo gli interventi svolti a favore di un sistema finanziario in crisi profonda e la conseguente crisi economica che ha ridotto le entrate fiscali in tutti gli Stati membri.

6.3   Il CESE propone l'adozione di un «Fondo sovrano europeo», garantito dalla BEI e da specifiche risorse che dovrebbero essere messe a disposizione dal sistema delle Banche centrali e dalla BCE, finalizzato al raggiungimento degli obiettivi di efficienza e risparmio energetico. È necessario un «Piano Marshall» europeo per far fronte con certezza alle esigenze finanziarie poste dalla lotta al cambiamento climatico.

6.4   La BEI, che già con merito è impegnata nel finanziamento di attività collegate allo sviluppo delle rinnovabili, potrebbe assumere la gestione del Fondo e indirizzare le risorse attraverso i canali del sistema bancario europeo.

6.5   La razionalizzazione delle risorse è il problema principale. È indispensabile canalizzare e coordinare i fondi strutturali, quelli del Fondo sociale europeo e quelli del 7PQ. La Commissione, con la nuova DG Energia, potrebbe assicurare questo coordinamento.

6.6   Sono necessarie risorse finanziarie private. Le iniziative di partenariato pubblico-privato dovrebbero avere un'incentivazione di tipo operativo e fiscale, in un quadro di riferimento certo e duraturo.

6.7   Le organizzazioni delle imprese e dei lavoratori, come pure le associazioni della società civile impegnate su questi terreni, hanno la possibilità di giocare un ruolo straordinario per diffondere tecniche, opportunità, consapevolezza, educazione e formazione. La società civile dovrebbe essere sempre coinvolta in progetti di questo tipo.

6.8   Un ruolo fondamentale riguarda l'applicazione delle TIC per realizzare l'ottimizzazione delle risorse. Da un recente studio della Commissione (The Implications of ICT for Energy Consumption, e-Business Watch, Study report no 09/2008, http://www.ebusiness-watch.org/studies/special_topics/2007/documents/Study_09-2008_Energy.pdf) si evince la necessità di sfruttare tutto il potenziale derivante dalle TIC (6). Questo potrebbe avere un impatto molto positivo sulla creazione di nuovi lavori verdi.

6.9   Per l'efficienza energetica delle abitazioni il CESE, in un suo parere (7), ha individuato le politiche opportune da mettere in campo, rivolte a rendere più agevoli i controlli sugli standard energetici degli immobili, con agevolazioni verso gli utenti finali per l'acquisto e la messa in opera di apparecchiature idonee come pure per interventi di ristrutturazione per l'isolamento termico.

6.10   Per quanto riguarda le energie rinnovabili, le azioni di promozione da attuare riguardano il sostegno alla R&S e programmi di creazione di un mercato stabile ed autosufficiente, assistendo imprese e utilizzatori finali attraverso sgravi fiscali e incentivazione alla produzione e al consumo di energie rinnovabili. Tali programmi dovrebbero essere a lunga scadenza, sul modello adottato dalla Germania, che ha predisposto una progressiva diminuzione dell'intervento pubblico mettendo in condizione gli operatori e il pubblico di programmare i propri investimenti.

6.11   Un capitolo specifico dovrà essere dedicato all'educazione e alla formazione (8). La prima è indispensabile per diffondere conoscenza e consapevolezza nelle future generazioni, mentre la seconda è cruciale per poter progredire nelle nuove tecnologie destinate allo sviluppo dell'efficienza energetica e alla lotta al cambiamento climatico.

Bruxelles, 14 luglio 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  GU C 10 del 15.1.2008, pagg. 22-35.

(2)  GU C 77 del 31.3.2009, pagg. 54-59, GU C 318 del 23.12.2009, pagg. 39-42.

(3)  GU C 277 del 17.11.2009, pag. 20.

(4)  GU C 77 del 31.3.2009, pagg. 54-59, GU C 318 del 23.12.2009, pagg. 39-42.

(5)  GU C 277 del 17.11.2009, pag. 20.

(6)  GU C 175 del 28.7.2009, pagg. 87-91.

(7)  GU C 162 del 25.6.2008, pagg. 62-71.

(8)  GU C 277 del 17.11.2009, pagg. 15-19.


11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/118


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Rendere più efficace la politica energetica dell'Unione europea a favore delle PMI e in particolare delle microimprese» (parere d'iniziativa)

2011/C 44/19

Relatore: DAVOUST

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 luglio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Rendere più efficace la politica energetica dell'Unione europea a favore delle PMI e in particolare delle microimprese.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o giugno 2010.

Alla sua 464a sessione plenaria, dei giorni 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 14 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 157 voti favorevoli e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   A livello dell'Unione europea:

improntare la politica energetica al principio del «Pensare prima in piccolo», in modo da garantire la partecipazione delle organizzazioni delle piccole e microimprese al processo legislativo e la realizzazione di valutazioni d'impatto che comprendano anche le imprese più piccole, favorendo l'approccio settoriale,

creare insieme alle organizzazioni delle PMI una sede di dialogo permanente sull'impatto della politica energetica dell'UE sulle imprese, in particolare le più piccole,

definire, di concerto con le organizzazioni delle imprese interessate, le misure da prevedere nei programmi europei per consentire a tali imprese di adeguarsi il meglio possibile agli orientamenti dell'UE,

analizzare l'impatto dei programmi per il miglioramento dell'ecoefficienza sulle diverse categorie di PMI e pubblicare una guida delle buone pratiche,

semplificare le modalità di accesso e fruizione, da parte delle PMI, degli attuali programmi dell'UE per l'efficienza energetica,

adottare un piano di sostegno alle innovazioni ecoenergetiche e creare uno strumento finanziario di supporto all'innovazione che sia adatto ai bisogni delle piccole e microimprese,

creare un quadro che consenta di rafforzare la presenza e l'attività delle società di servizi energetici (ESCO) a livello nazionale a favore delle piccole imprese,

semplificare l'accesso ai fondi strutturali per le piccole imprese, in particolare per il tramite delle loro organizzazioni,

creare un quadro favorevole alla diffusione della microgenerazione negli Stati membri.

1.2   A livello degli Stati membri:

creare una sede di dialogo con le organizzazioni delle PMI a livello nazionale,

sviluppare programmi di formazione e informazione tramite campagne settoriali e sportelli unici, da creare preferibilmente all'interno delle organizzazioni di rappresentanza delle imprese interessate,

sostenere il finanziamento degli investimenti, ridurre i costi assicurativi e introdurre incentivi fiscali,

costruire sinergie finanziarie tra l'UE, gli Stati membri e le organizzazioni delle imprese per favorire la creazione di diverse forme di sostegno alle piccole imprese,

creare delle figure di consulenti ambientali e per l'energia e dei servizi indipendenti di diagnosi e consulenza energetica all'interno delle organizzazioni di rappresentanza.

1.3   A livello delle regioni:

inserire l'accompagnamento e la consulenza energetica nonché la formazione, il sostegno all'innovazione e il finanziamento degli investimenti tra le priorità dei programmi regionali,

sostenere la microgenerazione tramite i fondi strutturali.

2.   Introduzione

2.1   Contesto del parere

2.1.1   L'Unione europea ha adottato una politica per il miglioramento dell'efficienza energetica che costituisce al tempo stesso uno dei pilastri della strategia Europa 2020. Il principale impatto di questa politica sulle PMI consisterà nel modificare radicalmente l'accesso all'energia e nel razionalizzarne l'uso all'interno dell'impresa. Finora i lavori dell'UE sull'efficienza energetica non si sono occupati specificamente della situazione delle piccole e microimprese e non si sa quale ne sia stato l'impatto su queste categorie di imprese.

2.1.2   A tale proposito, va ricordato che nel parere sul tema Promuovere le politiche e i programmi a favore dell'efficienza energetica a livello degli utenti finali, del 1o ottobre 2009 (1), il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ha raccomandato di intensificare gli sforzi volti a coinvolgere sistematicamente gli utenti finali, specialmente le piccole imprese, e in particolare di: 1) rafforzare la dimensione settoriale delle politiche dell'UE; 2) semplificare i programmi europei legati all'energia; 3) esaminare l'impatto delle politiche per il miglioramento dell'efficienza energetica sugli utenti finali, in particolare le PMI, e misurarne i risultati; 4) creare a livello europeo un gruppo di esperti e una rete di organismi indipendenti per la promozione dell'efficienza energetica che siano rivolti agli utenti finali, in special modo alle PMI e alle imprese artigiane.

2.2   Oggetto del parere

2.2.1   Il CESE ritiene essenziale affrontare il tema in base all'approccio dello Small Business Act for Europe (SBAE) e al principio del «Pensare prima in piccolo», che costituisce la base della riflessione e dell'elaborazione delle politiche e dei programmi dell'UE. Il presente parere è incentrato sugli effetti della politica energetica dell'UE sulle piccole e microimprese, che rappresentano il 92 % delle imprese nell'UE (2).

2.3   Portata e limiti del parere

2.3.1   Il presente parere si propone di fornire degli elementi di base per incitare le autorità europee a tener conto delle PMI, e in special modo delle piccole e microimprese, nelle future politiche dell'UE. Esso non affronta la questione dell'occupazione «verde», ma tiene conto delle misure di accompagnamento ai lavoratori nel contesto dell'adeguamento delle imprese alle priorità della politica energetica.

3.   Osservazioni generali

3.1   L'impatto generale della politica energetica sulle piccole imprese

Il CESE sottolinea che gli obiettivi della politica energetica dell'UE possono offrire a taluni tipi di PMI importanti opportunità di sviluppo e quindi di creazione di nuovi posti di lavoro. Dal punto di vista della politica energetica, le piccole e microimprese presentano quattro tipi di situazioni diverse:

3.1.1    le imprese che utilizzano energia . La maggior parte delle piccole e microimprese presenta quattro problemi: 1) non è consapevole dei vantaggi di un utilizzo più razionale dell'energia; 2) non misura l'impatto delle misure di risparmio energetico sulle sue attività e sulla manodopera; 3) non sa né che scelte operare né su chi appoggiarsi per realizzarle; 4) non dispone di risorse finanziarie per i propri investimenti ecoenergetici, che oltretutto hanno un ritorno troppo lungo nel tempo.

3.1.1.1   Questa disinformazione è dovuta in particolare al fatto che, a causa delle loro dimensioni, queste imprese non dispongono al proprio interno di personale specializzato nelle questioni energetiche e ambientali.

3.1.1.2   Il problema del ritorno sugli investimenti: gli investimenti destinati a ridurre il consumo di energia possono raggiungere cifre molto elevate oppure comportare un tasso di rendimento molto basso sul breve periodo. Nella maggior parte dei casi, il costo non potrà essere trasferito sull'attività di produzione o di servizio e il risparmio energetico realizzato potrà compensare gli investimenti solo a lunghissimo termine.

Il ritorno sugli investimenti supera spesso i 5 anni e ciò rappresenta un freno per le piccole imprese.

3.1.2    Le imprese installatrici di prodotti e sistemi o fornitrici di servizi di manutenzione destinati a migliorare l'utilizzo dell'energia contribuiscono alla divulgazione delle tecniche ecoenergetiche tra i consumatori. Si tratta in particolare delle categorie seguenti:

3.1.2.1

le imprese edilizie, che applicano sistemi di ecocostruzione e utilizzano prodotti ecoenergetici, o che installano sistemi di energia rinnovabile; le piccole imprese che installano prodotti innovativi segnalano una riluttanza, da parte delle compagnie di assicurazione, ad accordare le garanzie necessarie, come le garanzie decennali, adducendo a pretesto la non dimostrata stabilità ed efficacia del prodotto nel tempo. Questa riluttanza frena l'introduzione delle ecotecnologie tra i consumatori.

Il CESE propone di: 1) sviluppare programmi di formazione per gli operatori del settore edile sulle nuove tecniche di ecoedilizia, gli ecomateriali e i nuovi metodi per la valutazione del rendimento energetico degli edifici; 2) ridurre il costo delle assicurazioni tramite la creazione, a livello dell'UE, di uno strumento finanziario o di altro tipo che consenta di ridurre il costo del rischio assunto dagli assicuratori;

3.1.2.2

le attività di installazione e manutenzione di apparecchiature per la riduzione del consumo di energia presso i privati e le imprese.

Le PMI di questo settore subiscono la concorrenza diretta dei grandi produttori di energia presenti su tutto il territorio nazionale tramite strutture da questi direttamente create e controllate. Queste ultime strutture, totalmente dipendenti dai grandi gruppi che le controllano, sono più interessate alla vendita di energia tradizionale che al miglioramento dell'efficienza energetica dei loro clienti.

Il CESE: 1) ritiene che le autorità europee e nazionali debbano vigilare su questo mercato onde garantirne la piena trasparenza evitando situazioni di abuso di posizione dominante; 2) chiede che vengano sviluppati programmi di formazione per le PMI al fine di rafforzarne il ruolo prescrittivo e consultivo nei confronti sia dei privati che delle imprese.

3.1.3    Le piccole imprese che progettano e fabbricano prodotti destinati al risparmio energetico sono particolarmente innovative nel settore dei materiali e delle attrezzature sostenibili.

3.1.3.1   Nella realtà le piccole imprese innovatrici devono affrontare numerose difficoltà per sviluppare i loro prodotti, brevettarli (brevetto europeo?) e immetterli sul mercato. Esse spesso si scontrano con situazioni di quasi monopolio da parte dei grandi gruppi o laboratori industriali e con sistemi sempre più complessi di certificazione che finiscono per ostacolare l'innovazione e impedire di fatto alle piccole imprese di avere accesso al mercato dell'innovazione.

3.1.3.2   Il CESE ritiene necessario intraprendere più azioni:

istituire un piano UE sul modello del programma americano Small Business Innovation Research Programme (SBIRE), destinato ad aiutare le organizzazioni di rappresentanza delle piccole imprese a individuare le innovazioni ecoenergetiche, sostenerne lo sviluppo, la certificazione e la brevettazione e facilitarne l'accesso al mercato (3),

creare uno strumento finanziario flessibile e facilmente accessibile per sostenere con prestiti a tasso zero o a tassi molto ridotti le innovazioni riguardanti i materiali e le attrezzature sostenibili,

introdurre delle procedure tecniche semplificate, neutre e accessibili per la standardizzazione e la certificazione delle innovazioni ecoenergetiche realizzate dalle piccole imprese e vigilare affinché standardizzazione e certificazione non siano utilizzate come barriere contro l'ingresso nei mercati dell'efficienza energetica. Ciò si potrebbe evitare imponendo una valutazione d'impatto di ogni norma tecnica europea armonizzata prima della sua adozione definitiva.

3.1.4   Le piccole imprese produttrici di energia: il caso della microgenerazione

3.1.4.1   La microgenerazione, ossia la produzione di energia da parte delle imprese, è un metodo alternativo di produzione finora sottovalutato che si sta sviluppando in numerosi Stati membri. Le centrali energetiche possono essere alimentate da fonti rinnovabili a livello locale. Questa tecnica, particolarmente adatta alle piccole imprese, utilizza l'energia in modo più razionale e permette di: 1) ridurre le spese generali; 2) garantire l'approvvigionamento di energia anche in caso di interruzioni nell'erogazione dell'elettricità; 3) rafforzare il livello di produzione di energia all'interno dell'UE; 4) contribuire alla lotta al riscaldamento climatico e 5) favorire la creazione di posti di lavoro a livello locale.

3.1.4.2   Il CESE chiede alla Commissione di creare un quadro legislativo e operativo che favorisca la diffusione di questo sistema incitando gli Stati membri a eliminare diversi tipi di ostacoli che ne frenano lo sviluppo. In particolare, la Commissione dovrebbe: 1) analizzare le realtà esistenti e diffondere le buone prassi; 2) inserire la microgenerazione e il suo sviluppo tra le misure finanziabili tramite i fondi strutturali e i diversi fondi di sviluppo rurale.

4.   Osservazioni specifiche

4.1   L'assenza di una sede di dialogo permanente tra le istituzioni europee e le organizzazioni di rappresentanza delle diverse categorie di PMI

4.1.1   Il CESE si compiace che la Commissione abbia instaurato un dialogo con i rappresentanti delle PMI. Per il momento tuttavia non è ancora stato definito un approccio strategico strutturato rivolto specificamente alle piccole e microimprese (4). Questa lacuna comporta tre conseguenze negative:

non è possibile sapere se le iniziative presenti e future sono adatte alle esigenze delle piccole imprese,

non si sa a quale livello siano state attuate ed è difficile saperlo mantenendo l'attuale approccio politico, troppo generico e poco aderente alle situazioni concrete,

malgrado gli Stati membri abbiano intrapreso azioni di concerto con le organizzazioni delle imprese, non si sa quali siano le misure adottate e ciò impedisce di rifarsi alle buone pratiche e ai successi altrui e di evitarne gli insuccessi.

4.1.2   Il CESE non contesta l'utilità dei panel di imprese: tuttavia, in nessun caso essi possono sostituire l'esperienza delle organizzazioni rappresentative generali, come le camere dell'artigianato, le camere di commercio e le organizzazioni settoriali, che intervengono presso le imprese e svolgono un servizio di consulenza individuale e adatto ai bisogni delle imprese. È essenzialmente con queste organizzazioni che la Commissione deve definire le priorità.

4.1.3   L'approccio «discendente» ed eccessivamente generico a livello dell'UE porterà all'adozione di decisioni non applicabili. Il CESE raccomanda quindi di sviluppare una nuova cultura della cooperazione, coniugata a un approccio «ascendente», in conformità con lo SBAE. Una delle misure da adottare con la massima urgenza è la creazione, sia a livello dell'UE che negli Stati membri, di una sede di dialogo tra le istituzioni e le organizzazioni delle imprese, in particolare le piccole e microimprese.

4.2   Mancanza di informazioni circa l'impatto dei programmi europei sulle imprese più piccole

4.2.1   Benché l'UE disponga di numerosi programmi a favore dell'efficienza energetica nelle PMI in generale, il CESE constata che non se ne conosce l'impatto sulle piccole e microimprese e che non è stato realizzato alcuno studio europeo per stabilire in che misura queste ne abbiano beneficiato. Tale lacuna è deplorevole in quanto, da un lato, non si conoscono le buone pratiche e non è possibile stilarne una guida, e, dall'altro, essa non consente alla Commissione di proporre programmi e azioni adeguate alle realtà delle piccole imprese.

4.2.2   Il CESE chiede alla Commissione: 1) di realizzare quanto prima una valutazione indipendente dell'impatto di tali programmi sulle PMI, con particolare riguardo alle piccole e microimprese, accompagnata da un'analisi dei problemi incontrati e 2) di stilare una guida delle buone pratiche.

4.3   Il ruolo fondamentale delle regioni e dei territori

4.3.1   La lotta ai cambiamenti climatici e la gestione dell'uso dell'energia devono diventare una delle grandi priorità della futura politica di coesione territoriale. Gli enti territoriali sono alla base dei piani territoriali per il clima. Essi inoltre sostengono attivamente l'innovazione, anche in materia di risparmio energetico, attraverso la formazione di cluster regionali, poli d'innovazione e centri di risorse rivolti in particolar modo alle imprese più piccole.

4.3.2   Spesso tuttavia le autorità amministrative e gli enti territoriali non sono molto consapevoli dei vincoli cui sono sottoposte le diverse categorie di PMI e delle esigenze di queste ultime.

Il CESE invita gli organi decisionali di livello locale e regionale a introdurre o rafforzare la concertazione con i partner economici e sociali dei territori in materia di efficienza energetica e a fare delle misure destinate alla gestione dell'energia, in particolare nelle imprese più piccole, una delle priorità dei fondi strutturali. Una delle priorità del Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) dovrebbe essere ad esempio l'informazione e la formazione dei piccoli imprenditori e dei loro dipendenti, l'introduzione o il rafforzamento dei servizi di sostegno e della consulenza fornita dalle organizzazioni settoriali di rappresentanza delle imprese, la creazione di fonti di finanziamento facilmente accessibili e il sostegno individuale o collettivo a tutte le forme di innovazione.

4.3.3   Il CESE esprime tuttavia preoccupazione per lo scarsissimo impatto dei fondi strutturali sulle piccole imprese - da 1 a 2 % in alcune regioni, specialmente a causa di requisiti amministrativi e finanziari inadeguati. Pare che il sistema attuale di gestione dei fondi strutturali non consenta a tali imprese di beneficiarne come dovrebbero. Il CESE chiede alle istituzioni dell'UE e agli Stati membri di definire le semplificazioni necessarie di concerto con le organizzazioni delle PMI, in particolare delle piccole e microimprese.

4.4   La difficoltà di mobilitare finanziamenti a favore degli investimenti

4.4.1   La maggior parte delle PMI ha grande difficoltà a finanziare i propri investimenti per un utilizzo più razionale dell'energia e una produzione più rispettosa dell'ambiente. Non sempre le banche sono favorevoli a finanziare tali progetti vista l'esiguità degli importi (20 000-25 000 euro) e l'assenza di personale specializzato nella valutazione di questi progetti, considerati a rischio.

4.4.2   La barriera delle sovvenzioni dei programmi dell'UE: sebbene teoricamente i programmi dell'UE che interessano le PMI siano numerosi, nella realtà le piccole e microimprese non vi hanno direttamente accesso, ma devono partecipare a progetti di gruppo strutturati dalle organizzazioni di rappresentanza. Anche in questo caso tuttavia, i requisiti amministrativi e finanziari e la scarsa conoscenza, da parte dei servizi istruttori della Commissione, delle realtà delle piccole e microimprese fanno sì che le proposte vengano fin troppo spesso respinte.

4.4.2.1   Al riguardo, il CESE sottolinea che la necessità di proteggere i bilanci pubblici europei penalizza l'attività economica e sociale dei cittadini e delle piccole imprese nonché il livello dell'occupazione nei territori. Esso auspica che nel quadro della revisione del regolamento finanziario la Commissione avvii una riflessione generale su questo tema.

4.4.3   Il CESE chiede di semplificare il finanziamento degli investimenti e di razionalizzare i sistemi a tutti i livelli di sostegno agli investimenti. Bisognerebbe:

fare in modo che sia più facile per le cooperative di credito, le banche di prossimità e i diversi organismi finanziari accedere ai fondi della BEI e del Fondo europeo per gli investimenti (FEI) per finanziare investimenti in progetti di razionalizzazione energetica,

aumentare i sistemi di garanzia bancaria per le PMI onde favorire questo tipo di investimenti e instaurare un sistema di garanzia di rischio per consentire alle compagnie di assicurazione di coprire gli investimenti ecoenergetici,

stimolare l'utilizzo del microcredito per investimenti di importo modesto e formare il personale delle banche locali alla valutazione obiettiva dei progetti presentati dalle PMI,

rivedere il regolamento finanziario dell'UE adottando criteri più flessibili e adeguati e rilanciare i contributi alle fasi esplorative e i premi di fattibilità,

rafforzare l'adozione di contratti di rendimento energetico da parte delle ESCO, in particolare per le microimprese.

5.   Per una politica a favore del sostegno e della consulenza

5.1   Informazione e formazione

5.1.1   Una delle priorità del programma di azione dell'UE deve essere quella di informare tutte le imprese: l'informazione deve però essere mirata e adatta al settore d'attività interessato e utilizzare tutti i canali, in particolare le organizzazioni delle imprese. In numerosi Stati membri sono già in corso delle campagne, organizzate dai poteri pubblici e dalle organizzazioni di rappresentanza e di categoria dei singoli settori. Per raggiungere questo obiettivo si potrebbe:

lanciare una campagna europea d'informazione con l'aiuto delle organizzazioni nazionali e regionali e realizzare una guida delle buone pratiche,

appoggiare le campagne di informazione settoriali condotte dalle organizzazioni professionali,

creare sportelli unici per l'ambiente e l'energia al livello territoriale più vicino all'impresa o rafforzare quelli esistenti,

sostenere il reclutamento, a livello regionale, di consulenti in materia ambientale ed energetica all'interno delle organizzazioni di rappresentanza.

5.1.2   La formazione degli imprenditori e l'occupazione «verde» sono priorità in materia di adattamento allo sviluppo sostenibile. Il CESE chiede che un capitolo specifico del Fondo sociale europeo (FSE) sia dedicato alla formazione dei dirigenti e dei dipendenti delle piccole e microimprese all'efficienza energetica.

5.2   Sostegno e consulenza alle imprese

5.2.1   Per un'applicazione effettiva delle politiche di efficienza energetica da parte delle piccole e microimprese è necessaria un'assistenza personalizzata. In numerose regioni, gli enti territoriali sostengono, direttamente o con il sostegno dei fondi strutturali, servizi di audit indipendente e di consulenza energetica alle imprese.

Per il CESE, la priorità in questo settore dovrebbe essere quella di creare o sostenere la creazione di servizi di diagnosi indipendenti, di consulenza energetica e di audit, in particolare presso le organizzazioni di rappresentanza delle imprese e nelle organizzazioni professionali settoriali.

5.3   Adottare una politica di incentivazione fiscale

5.3.1   Per incoraggiare le piccole imprese a investire nel miglioramento dell'efficienza energetica delle loro attività il CESE invita gli Stati membri a: 1) incentivare gli investimenti materiali e in servizi di consulenza, audit e formazione e 2) ampliare alle piccole imprese che effettuano investimenti per il risparmio energetico i dispositivi nazionali di incentivazione finanziaria già accordati ai privati.

Bruxelles, 14 luglio 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  GU C 318 del 23.12.2009, pag. 39.

(2)  Nel 2007, degli oltre 20,104 milioni di imprese esistenti nell'UE-27, 18,16 milioni erano microimprese (meno di 10 dipendenti), 1,49 milioni piccole imprese (10-25 dipendenti), 303 400 medie imprese (26-250 dipendenti) e 159 000 grandi imprese (oltre 250 dipendenti). Le microimprese rappresentano il 30 % dell'insieme dei posti di lavoro, le piccole imprese il 21 %, le medie il 17 % e le grandi il 33 % (fonti: EIM Business & Policy Research, Eurostat).

(3)  Le organizzazioni di rappresentanza delle piccole imprese sono, inter alia, a seconda degli Stati membri; le camere dell'artigianato, le camere di commercio, le organizzazioni settoriali e le associazioni di imprese. Riconosciute dai poteri pubblici come organi rappresentativi, esse agiscono a favore della totalità delle imprese presenti sul territorio di loro competenza e conducono azioni coordinate e collettive a loro favore.

(4)  Il Consiglio europeo del 23 e 24 marzo 2006 ha chiesto di tenere conto dei diversi tipi di PMI e di dare priorità alle piccole imprese facendo del «Pensare prima in piccolo» il principio direttivo di tutta la legislazione dell'UE o nazionale.


11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/123


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Strumento dell'Unione per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo: il ruolo della società civile organizzata e dei partner sociali»

2011/C 44/20

Relatore: Giuseppe IULIANO

Nel corso della sessione plenaria del 16 luglio 2009 il Comitato economico e sociale europeo ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Strumento dell'Unione per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo: il ruolo della società civile organizzata e dei partner sociali.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 17 giugno 2010.

Alla sua 464a sessione plenaria, dei giorni 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 15 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 123 voti favorevoli, nessun voto contrario e nessuna astensione.

1.   Raccomandazioni e conclusioni

Il lavoro dignitoso nelle politiche di cooperazione dell'UE e rafforzamento del sostegno ai partner sociali

1.1

In maniera globale il Comitato economico e sociale europeo (CESE) valuta positivamente il nuovo strumento DCI, la cui importanza per sostenere la politica dell'UE sulla cooperazione allo sviluppo nel mondo è indiscutibile. Sulla base di tale premessa il CESE raccomanda il rafforzamento istituzionale delle politiche di cooperazione all'interno del nuovo Trattato di Lisbona sostenendo il ruolo centrale e la responsabilità primaria della Commissione per la programmazione delle politiche/strategie di cooperazione allo sviluppo, nonché rinnovando il sostegno al ruolo del Parlamento europeo attraverso il rafforzamento della procedura dello scrutinio democratico (democratic scrutiny e budgetary control).

1.2

Il CESE richiama la necessità di incentivare sempre più l'applicazione pratica degli obiettivi sanciti nel concetto del lavoro dignitoso (decent work). Il CESE pertanto richiede alle istituzioni dell'UE, in particolar modo la Commissione ed il Consiglio, di dare concreto supporto all'applicazione del lavoro dignitoso nelle politiche di cooperazione allo sviluppo e più specificatamente di introdurre il lavoro dignitoso nel piano d'azione per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio (OSM).

1.3

I partner sociali (organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro), in quanto protagonisti del dialogo sociale, elemento costitutivo del lavoro dignitoso, devono essere visti pertanto come attori e interlocutori essenziali dell'UE in questo contesto. Le parti sociali devono essere integrate pienamente nel dialogo politico e devono poter beneficiare di un sostegno diretto.

1.4

Il CESE sottolinea l'importanza del ruolo del settore privato nello sviluppo. In tale ambito richiama il concetto di responsabilità sociale delle imprese che, basato sul rispetto degli standard fondamentali del lavoro e di tutela ambientale, rende più trasparente l'impegno sugli aspetti sociali ed ambientali per uno sviluppo più equo dei paesi dove queste imprese si trovano ad operare.

1.5

Il CESE raccomanda una programmazione più mirata all'inclusione dei partner sociali anche per le procedure di appalto di servizi su temi inerenti al sostegno dei diritti economici e sociali.

Ruolo e rappresentanza della società civile e dei partner sociali nello strumento di cooperazione (DCI)

1.6

Il CESE sottolinea in generale il ruolo cruciale delle organizzazioni della società civile organizzata al fine di promuovere lo sviluppo democratico delle popolazioni e degli Stati che ricevono assistenza, in piena autonomia ed indipendenza dagli orientamenti politici dei governi. Al tal fine il CESE richiede un aumento delle risorse dedicate al sostegno della società civile e dei partner sociali attraverso i programmi tematici del DCI, e auspica altresì il rafforzamento della complementarità tra questi ultimi e i programmi geografici dello stesso strumento, in particolare nel caso di sostegno al bilancio.

1.7

Gli stessi strumenti di sostegno alla società civile nel DCI devono essere rafforzati per poter far sì che quest'ultima possa esercitare il suo ruolo a tutti i livelli: nella definizione delle priorità politiche e nel monitoraggio delle stesse, così come nella messa in opera di iniziative di sviluppo. Il CESE suggerisce dunque di valutare ed elaborare delle modalità di consultazione e di funzionamento dei programmi della Commissione che siano coerenti con le caratteristiche e le necessità degli attori coinvolti (Actor Based Approach).

1.8

In tal senso il CESE ravvisa la necessità del riconoscimento della dimensione internazionale della società civile sia a livello politico che operativo. Questa trova la sua massima espressione nelle organizzazioni che godono di una base di membri affiliati sia nel Nord che nel Sud del mondo, per esempio i partner sociali, il movimento cooperativo ecc. Queste organizzazioni, essendo rappresentative di istanze globali, devono poter essere formalmente consultate nei processi di programmazione delle priorità politiche della cooperazione dell'UE su base permanente. In tale contesto il CESE potrebbe proporsi come l'istituzione che facilita l'inclusione delle organizzazioni della società civile nel processo decisionale dell'UE in materia di cooperazione allo sviluppo.

1.9

Il CESE ribadisce l'importanza di rafforzare gli attori della società civile nei paesi terzi, anche attraverso il sostegno diretto di reti regionali della società civile nel Sud del mondo. A tal fine il CESE propone di includere risorse per sostenere attività di coordinamento e di capacity development di reti nei paesi del Sud, congiuntamente a quelle già esistenti per le reti dei paesi del Nord, nell'obiettivo 3 del programma «Attori non statali» del DCI, in modo da consentire la coerenza di politiche e di azioni sul piano globale.

Rafforzamento dell'efficacia del DCI

1.10

Il CESE accoglie positivamente le osservazioni della Corte dei conti dell'UE e raccomanda il sostegno di programmi di più lunga durata, i cosiddetti «accordi quadro», maggiormente rivolti ad obiettivi strategici, per le organizzazioni della società civile.

1.11

Il CESE suggerisce altresì la possibilità di ampliare i criteri per l'utilizzo delle sovvenzioni a cascata (sub-granting), funzionale e complementare a programmi basati su accordi quadro, anche al fine di migliorare l'efficacia della gestione delle risorse disponibili.

1.12

Il CESE sottolinea la necessità di rafforzare la sostenibilità dei progetti di sviluppo, e suggerisce:

l'inclusione del capacity building/capacity development in termini organizzativi per le organizzazioni del Sud come una componente trasversale in tutti i progetti di sviluppo,

la possibilità di sostenere indagini preventive di fattibilità dei progetti stessi.

1.13

Il CESE ritiene necessario rafforzare le fasi di selezione, monitoraggio e valutazione delle azioni di cooperazione, al fine di migliorarne l'efficacia. In particolare sottolinea:

la necessità di adottare un rapporto più diretto e un dialogo strategico tra la Commissione europea e le organizzazioni richiedenti, sia a livello centrale che periferico,

la necessità di incentivare (in termini strategici e finanziari) una maggiore partecipazione diretta degli stessi responsabili dei programmi della Commissione alla messa in pratica delle azioni sia a livello centrale che periferico,

la necessità di designare la figura di un responsabile nelle delegazioni UE che sia incaricato delle relazioni con la società civile.

2.   Strumenti e programmi dell'Unione europea per l'assistenza esterna

2.1

Nel contesto delle prospettive finanziarie UE 2007-2013 si è intrapreso un lungo processo di riorganizzazione dei programmi finanziari dell'assistenza esterna dell'UE. Il nuovo quadro comprende quindi degli strumenti geografici - vale a dire IPA (strumento di preadesione, che include i paesi candidati e potenziali candidati), ENPI (strumento di vicinato, per i paesi del Caucaso, dell'Europa centrale e del Mediterraneo), DCI (strumento per la cooperazione allo sviluppo), ICI (per la cooperazione con i paesi industrializzati) - così come degli strumenti tematici - vale a dire EIDHR (democrazia e diritti umani) (1), SI (strumento di stabilità) e INSC (Instrument for Nuclear Safety Cooperation, per il miglioramento della sicurezza dei reattori nucleari a livello mondiale). Gli strumenti tematici non richiedono l'accordo delle autorità dei paesi terzi per essere implementati.

2.2

All'interno di questa suddivisione il DCI è lo strumento specifico per la cooperazione allo sviluppo (2). Esso è suddiviso a sua volta in programmi geografici e tematici (3) le cui risorse vengono erogate attraverso varie modalità, che vanno per esempio dal supporto al bilancio, alle sovvenzioni, agli appalti, al sostegno alle organizzazioni internazionali.

2.3

È importante notare che le categorie degli attori potenziali destinatari delle risorse del DCI sono state fortemente ampliate, soprattutto per quanto riguarda le sovvenzioni. Dall'idea tradizionale che vedeva le ONG di sviluppo come attori principali della società civile nella cooperazione allo sviluppo, si è passati ad una concezione più articolata che vede finalmente i partner sociali, in special modo i sindacati, come nuovi attori eleggibili per operare con questo strumento (4).

2.4

Il CESE ha promosso l'iniziativa di presentare questo parere in seguito all'attuale processo di revisione a medio termine (mid-term review) del DCI, nonché in occasione dell'attuale processo del dialogo strutturato (5), con l'obiettivo di apportare raccomandazioni in sostegno del ruolo fondamentale delle organizzazioni della società civile nella cooperazione (6) evidenziando in particolare il contributo dei partner sociali allo sviluppo.

3.   Osservazioni generali

3.1

Si devono citare i recenti sviluppi relativi al quadro generale dell'Unione europea e alla cooperazione allo sviluppo contenuti nel Trattato di Lisbona entrato in vigore il 1o dicembre 2009. Elementi innovatori dal punto di vista istituzionale del Trattato sono la nomina dell'alto rappresentante dell'Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza e la costituzione dell'European External Action Service (EEAS) (7), che opera sotto la sua direzione. Le delegazioni dell'UE, vere e proprie rappresentanze diplomatiche, sono anch'esse sotto la direzione dell'alto rappresentante e faranno parte dell'EEAS. Sebbene il Trattato conferisca la competenza delle politiche di cooperazione allo sviluppo al commissario per lo Sviluppo, tuttavia il mandato dell'alto rappresentante rimane quello di assicurare coerenza e coordinamento delle azioni esterne dell'Unione. Secondo la recente proposta elaborata dall'alto rappresentante (8), l'elaborazione dei documenti di programmazione dei maggiori strumenti di cooperazione (sia tematici che geografici) cadrebbe sotto la responsabilità dell'EEAS (sotto la supervisione del commissario per lo Sviluppo). In questo assetto si potrebbe ravvisare il rischio di una compromissione dell'indipendenza delle politiche di sviluppo, che in tal senso potrebbero essere influenzate e subordinate agli obiettivi della politica estera dell'UE e degli Stati membri. Il CESE dunque ribadisce il ruolo centrale e la responsabilità primaria della Commissione per la programmazione delle politiche/strategie di cooperazione allo sviluppo, nonché rinnova il sostegno al ruolo del Parlamento europeo attraverso il rafforzamento della procedura dello scrutinio democratico (democratic scrutiny e budgetary control).

3.2

In maniera globale il CESE valuta positivamente il nuovo strumento DCI, la cui importanza per sostenere la politica dell'UE sulla cooperazione allo sviluppo nel mondo è indiscutibile. Vede altresì positivamente l'unificazione dei vari programmi preesistenti in un unico regolamento, quello appunto del DCI, che consente una maggiore trasparenza nella programmazione e gestione delle risorse. Il CESE constata inoltre l'incremento sempre crescente delle risorse finanziare dedicate a questo settore, fatto che rende l'Unione europea uno dei maggiori finanziatori mondiali nel campo della cooperazione allo sviluppo. Il CESE saluta positivamente anche l'inclusione dei partner sociali tra i nuovi partner eleggibili per il DCI. Il CESE infine trova una forte corrispondenza tra i temi trattati da questo strumento e le priorità strategiche individuate dalla propria sezione Relazioni esterne (9).

3.3

Tuttavia il CESE intende sottolineare alcune esigenze di carattere generale riguardanti l'effettiva applicazione degli obiettivi del DCI ed il ruolo svolto dalla società civile organizzata e dai partner sociali nella cooperazione allo sviluppo.

3.4

Il CESE richiama la necessità di promuovere sempre più l'applicazione pratica degli obiettivi sanciti nel concetto del lavoro dignitoso (decent work). A livello internazionale il lavoro dignitoso è stato esplicitamente inserito tra gli obiettivi di sviluppo del millennio, creati in seno alle Nazioni Unite in favore della lotta contro la povertà e quindi come strumento di cooperazione allo sviluppo. A livello europeo il lavoro dignitoso è stato formalmente accolto nelle politiche di sviluppo nel 2006 (10) e compreso tra gli obiettivi del DCI. Tuttavia vi sono ancora difficoltà nell'ambito della programmazione/negoziazione della cooperazione tra l'UE e i paesi terzi, per dare concreta applicazione al lavoro dignitoso. Sembra perciò sorprendente che la stessa Commissione europea nella sua recente comunicazione Spring Package on Development del 2010 (11) non faccia alcun riferimento al lavoro dignitoso. Il CESE esorta dunque la Commissione, il Consiglio ed il Parlamento a reintrodurre e rafforzare l'integrazione del lavoro dignitoso sia nelle politiche che nella pratica dello sviluppo.

3.5

Il CESE rammenta che la libertà d'associazione/contrattazione e il dialogo sociale rappresentano elementi fondamentali per l'applicazione delle politiche a sostegno del «lavoro dignitoso», attraverso i partner sociali. Come ricorda la stessa Commissione europea, «l'UE ritiene che il rispetto dei diritti sociali e delle norme di lavoro siano determinanti per uno sviluppo sociale ed economico equo e duraturo» e di conseguenza che «gli attori fondamentali sono le parti sociali (imprese e sindacati) … I sindacati sono spesso le organizzazioni di massa più forti nei paesi partner e fungono da guardiani delle norme di lavoro internazionali» (12). Inoltre lo stesso Consiglio dell'UE nel 2005 riprende questo concetto nella dichiarazione sul consensus per lo sviluppo: «i partner economici e sociali, inclusi i sindacati, giocano un ruolo cruciale come promotori della democrazia, della giustizia sociale e dei diritti umani» (13). Pertanto il CESE sottolinea che i partner sociali devono essere visti come attori e interlocutori essenziali dell'UE in questo contesto. Le parti sociali devono essere integrate pienamente nel dialogo politico e devono poter beneficiare di un sostegno diretto.

3.6

Il CESE sottolinea l'importanza del settore privato, ispirato ai principi della libertà d'impresa, nelle dinamiche dello sviluppo, per favorire un'adeguata integrazione dei paesi terzi nell'economia globale. Il CESE sottolinea come la responsabilità sociale d'impresa (RSI) possa ulteriormente responsabilizzare il settore privato per uno sviluppo più equo dei paesi dove le imprese si trovano ad operare. Basata sul rispetto degli standard fondamentali del lavoro e nell'ambito delle priorità mondiali di tutela dell'ambiente e di produzione sostenibile, la RSI rafforza gli aspetti sociali ed ambientali nel quadro delle azioni del DCI.

3.7

Il CESE raccomanda una programmazione più mirata all'inclusione dei partner sociali anche per le procedure di appalto di servizi su temi inerenti al sostegno dei diritti economici e sociali. Il CESE constata infatti che gli appalti di servizi coprono sovente temi come il dialogo sociale, i diritti del lavoro e i diritti sociali. Tuttavia i criteri di selezione attuali (requisiti organizzativi e finanziari dell'organizzazione richiedente) spesso ostacolano la possibilità di un'equa e bilanciata partecipazione degli stessi partner sociali che di fatto dovrebbero essere visti come i principali attori in tali settori.

3.8

Si sta consolidando la tendenza da parte dell'UE a canalizzare una parte considerevole delle risorse per la cooperazione allo sviluppo attraverso il cosiddetto sostegno al bilancio (budget support) (14). Sebbene questa modalità si possa ricondurre ad una logica positiva finalizzata a rendere i paesi beneficiari più protagonisti e, al tempo stesso, più responsabili dei loro stessi processi di sviluppo, tuttavia corre il rischio di limitare il contributo fondamentale della società civile per l'effettivo sviluppo democratico dei popoli e dei governi che ricevono assistenza (15). Il rafforzamento dell'indipendenza della società civile è garanzia di sviluppo sostenibile e, in quanto tale, dovrebbe costituire un obiettivo prioritario delle politiche di cooperazione allo sviluppo. Il CESE dunque sottolinea la necessità di potenziare le risorse dedicate al sostegno della società civile (programmi tematici) (16) per consentire una duplice funzione: assicurare un reale monitoraggio del supporto al bilancio (17) e mettere in pratica azioni complementari altrimenti non realizzabili attraverso l'esclusiva cooperazione a livello governativo (18). Questo è vero anche per i programmi geografici (19) nei quali il supporto alla società civile deve essere incluso seguendo criteri di trasparenza, di adeguata programmazione e di definizione di obiettivi specifici, rispettando e tutelando il diritto d'iniziativa.

3.9

In questo senso il ruolo dei partner sociali risulta essenziale se si pensa a programmi tematici (oltre «Attori non statali») quali «Investire nelle persone» (che copre aree riguardanti la coesione sociale, lo sviluppo umano e sociale, l'uguaglianza di genere e la salute), o «Migrazione e asilo» (mirato a consolidare percorsi legali per la migrazione lavorativa), o ancora «Ambiente e risorse naturali» (che promuove azioni di controllo della sostenibilità ambientale attraverso la società civile nei paesi in via di sviluppo) e «Sicurezza alimentare». In particolare il tema «Impiego, coesione sociale e lavoro dignitoso» (20) (incluso nel programma «Investire nelle persone») dovrebbe riflettere in maggior misura il ruolo dei partner sociali e del dialogo sociale, come anche lo sviluppo dell'agricoltura di base dovrebbe essere incluso esplicitamente nelle priorità del programma «Sicurezza alimentare» (21).

3.10

Sulla base degli stessi obiettivi del DCI sembra evidente la necessità di adottare strategie globali per attuare la cooperazione allo sviluppo. Questo è vero anche per le organizzazioni della società civile, soprattutto quando caratterizzate da una dimensione internazionale. La dimensione internazionale della società civile trova la sua massima espressione nelle organizzazioni che godono di una base di membri affiliati sia nel Nord che nel Sud del mondo (per esempio i partner sociali, il movimento cooperativo ecc. (22). Queste organizzazioni sono rappresentative di istanze globali e pertanto devono poter essere formalmente consultate nei processi di programmazione delle priorità politiche della cooperazione dell'UE nei confronti dei governi beneficiari. A tale riguardo, il CESE richiama i meccanismi di consultazione e di decision making attualmente vigenti presso l'OCSE/Consiglio d'Europa (23).

3.11

Il CESE ribadisce l'importanza di rafforzare gli attori della società civile soprattutto nei paesi terzi, attraverso il sostegno diretto di reti regionali della società civile nel Sud. A tal fine il CESE propone di includere risorse per sostenere attività di coordinamento e di capacity development di reti nel Sud del mondo (al fine di consolidarne la capacità rappresentativa), congiuntamente a quelle già esistenti per le reti del Nord, nell'obiettivo 3 del programma «Attori non statali» del DCI. Il sostegno di reti internazionali e regionali contribuirebbe al rafforzamento della coerenza sul piano globale di politiche e di azioni nel campo della cooperazione allo sviluppo.

3.12

Di conseguenza sembra necessario che gli stessi strumenti di sostegno alla società civile del DCI debbano essere rafforzati per poter far sì che quest'ultima possa esercitare il suo ruolo a tutti i livelli: nella definizione delle priorità politiche e nel monitoraggio delle stesse, così come nella messa in opera d'iniziative di sviluppo. Il CESE suggerisce dunque di valutare ed elaborare delle modalità di consultazione e di funzionamento dei programmi della Commissione che siano coerenti con le caratteristiche degli attori coinvolti (Actor Based Approach). Appare chiaro che al momento attuale esiste una varietà delineata di attori della cooperazione a livello internazionale, caratterizzati da propri campi d'azione, obiettivi, strategie, sistemi organizzativi ed operativi.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

La stessa Corte dei conti dell'UE, nel suo recente rapporto (24) sulla partecipazione degli attori non statali, si sofferma sulla necessità di introdurre il finanziamento di programmi a più lunga durata, i cosiddetti «accordi quadro», maggiormente rivolti ad obiettivi strategici, per le organizzazioni della società civile. Il CESE condivide e raccomanda questo orientamento.

4.2

Il CESE suggerisce altresì la possibilità di ampliare i criteri per l'utilizzo delle sovvenzioni a cascata (sub-granting) che sarebbe in questo caso funzionale e complementare a programmi basati su accordi quadro per meglio raggiungere le organizzazioni di base. Per di più rappresenterebbe un sistema più efficace per la gestione delle risorse disponibili per la stessa Commissione europea, evitando la frammentazione delle iniziative.

4.3

Il CESE sottolinea la necessità di rafforzare la sostenibilità dei progetti di sviluppo, e suggerisce:

l'inclusione del capacity building in termini organizzativi delle organizzazioni del Sud del mondo (non limitata quindi alla capacità gestionale di attività progettuali) come una componente trasversale in tutti i progetti di sviluppo,

la possibilità di sostenere indagini preventive di fattibilità dei progetti stessi: come sottolineato nello stesso rapporto della Corte dei conti, l'inizio delle attività progettuali è in generale ritardato per analisi non sufficienti dei bisogni in loco (25). Il finanziamento preventivo di tali studi contribuirebbe a rendere il progetto operativo sin dal suo inizio (26).

4.4

Il CESE ritiene necessario rafforzare le fasi di selezione, monitoraggio e valutazione delle azioni di cooperazione, al fine di migliorarne l'efficacia. In particolare si sottolinea:

la necessità di rivedere l'attuale procedimento di selezione dei progetti, che per cause burocratiche molto spesso non permette di scegliere la proposta più adeguata. Sembra dunque necessario adottare un rapporto più diretto e un dialogo strategico tra l'Unione europea e le organizzazioni richiedenti, sia a livello centrale che periferico, adottando un modello partecipativo nelle azioni da intraprendere,

la necessità di incentivare (in termini strategici e finanziari) una maggiore partecipazione diretta degli stessi responsabili dei programmi della Commissione alla messa in pratica delle azioni. Questo permetterebbe un effettivo monitoraggio dei risultati, facilitando il rapporto finanziatore-beneficiario e agevolando in ultima fase una reale valutazione dell'impatto dei progetti, sia a livello centrale che periferico,

la necessità di designare un responsabile delle relazioni con la società civile in ogni delegazione dell'UE. Con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona le delegazioni sono diventate delle vere e proprie rappresentanze diplomatiche dell'Unione. Per di più, come visto sopra, le delegazioni faranno parte dell'EEAS e dovranno lavorare sempre più in coordinamento con le rappresentanze dei singoli Stati membri. Sembra dunque indispensabile il rafforzamento istituzionale del punto di riferimento delle organizzazioni della società civile all'interno delle delegazioni.

Bruxelles, 15 luglio 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Vedi parere CESE sul tema Lo Strumento europeo per la democrazia e i diritti umani, REX/263, 2009.

(2)  Il budget del DCI nel periodo 2007-2013 equivale a 16 897 miliardi di euro: http://www.developmentportal.eu/wcm/subsite/snv1v2/content/view/53/81/. Tra gli strumenti di cooperazione si deve ricordare anche il Fondo europeo di sviluppo (FES) per i paesi Africa, Caraibi e Pacifico che però non fa parte del budget dell'UE. Il 10o FES ha un budget pari a 22 682 milioni di euro che copre il periodo dal 2008 al 2013: http://europa.eu/legislation_summaries/development/overseas_countries_territories/r12102_en.htm.

(3)  Programmi geografici: America Latina, Asia, Asia centrale, Medio Oriente e Sudafrica. Programmi tematici: Sicurezza alimentare, Investire nelle persone, Migrazione e asilo, Attori non statali e autorità locali, Ambiente e risorse naturali. Si veda: http://ec.europa.eu/europeaid/infopoint/publications/europeaid/153a_en.htm. Sempre per il periodo 2007-2013 le risorse per i programmi geografici e tematici sono state distribuite rispettivamente: 10,57 miliardi di euro per i geografici (60 %) e 5,596 miliardi di euro per i tematici (33 %).

(4)  Si veda il regolamento (CE) n. 1905/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, che istituisce uno strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo (GU L 379 del 27.12.2006).

(5)  Il «dialogo strutturato sull'inclusione della società civile e delle autorità locali nella cooperazione allo sviluppo» è un'iniziativa lanciata dalla Commissione europea nel 2009 per discutere sul ruolo della società civile e delle autorità locali nella cooperazione. Sebbene il dialogo non sia un processo negoziale, è orientato tuttavia a creare riflessioni comuni su temi citati, includendo anche gli Stati membri dell'UE, il Parlamento europeo, oltre che rappresentanti della società civile. Si veda: http://ec.europa.eu/europeaid/who/partners/civil-society/structured-dialogue_en.htm.

(6)  In questo senso il CESE ricorda che proprio in seguito al forum di Accra nel 2008 le organizzazioni della società civile vengono pienamente riconosciute come attori dello sviluppo (independent development actors in their own right), parimenti ai governi ed alle organizzazioni internazionali, articolo 20 dell'Accra Agenda for Action: http://siteresources.worldbank.org/ACCRAEXT/Resources/4700790-1217425866038/AAA-4-SEPTEMBER-FINAL-16h00.pdf.

(7)  Lo staff dell'EEAS sarà composto da personale dei dipartimenti rilevanti del Segretariato generale del Consiglio e della Commissione ed anche dei servizi diplomatici nazionali degli Stati membri. L'EEAS è un servizio sui generis, separato ed autonomo sia dalla Commissione che dal Consiglio: http://eeas.europa.eu/background/index_en.htm.

(8)  Articolo 8 http://eeas.europa.eu/docs/eeas_draft_decision_250310_en.pdf.

(9)  Il CESE ha il comitato ACP responsabile per le relazioni con questi paesi. Si veda la bibliografia dei pareri CESE relativi allo strumento europeo per lo sviluppo (FES).

(10)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo ed al Comitato delle regioni - Promuovere la possibilità di un lavoro dignitoso per tutti (COM(2006) 249 definitivo).

(11)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo ed al Comitato delle regioni - Un piano d'azione in dodici punti a sostegno degli obiettivi di sviluppo del millennio (COM(2010) 159 definitivo).

(12)  Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo - Il ruolo dell'Unione europea nella promozione dei diritti umani e della democratizzazione nei paesi terzi (COM(2001) 252 definitivo).

(13)  GU C 46 del 24.2.2006, pag. 1, n. 18.

(14)  Il supporto al bilancio prevede l'erogazione diretta di risorse finanziarie da parte dell'UE allo Stato beneficiario, attraverso gli organismi finanziari preposti. Il supporto al bilancio può essere generale, in sostegno di una strategia nazionale di sviluppo, o settoriale, quando indirizzato appunto a dei temi specifici come per esempio la salute, l'educazione ecc. http://ec.europa.eu/europeaid/how/delivering-aid/budget-support/index_en.htm.

(15)  Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il ruolo della società civile nel quadro della nuova strategia per i Balcani occidentali (GU C 80 del 30.3.2004).

(16)  I programmi tematici, a differenza di quelli geografici, non necessitano del consenso dello Stato beneficiario per essere implementati.

(17)  Si pensi al ruolo fondamentale che le organizzazioni della società civile possono assolvere nel monitoraggio e nel controllo delle risorse dedicate alla cooperazione allo sviluppo al fine di debellare possibili fenomeni di corruzione.

(18)  EuropeAid sta attualmente completando degli studi in tal senso: si veda Engaging non state actors in new aid modalities in: https://webgate.ec.europa.eu/fpfis/mwikis/aidco/index.php/Structured_dialogue#WG2:_T1:_New_aid_modalities_and_CSOs_and_LAs_challenges_and_opportunities.3F e Complementarity of EC financial instruments in the field of human rights and democracy, Information note, aidco.e.4 (2009)338553, 29 ottobre 2009.

(19)  Ad oggi sembra che la maggior parte del supporto finanziario dei programmi geografici sia elargito attraverso il «sostegno al bilancio», lasciando a margine così il sostegno per la società civile a livello locale. Si deve ricordare che i programmi geografici sono soggetti al consenso dello Stato beneficiario.

(20)  Si deve notare che le risorse finanziarie dedicate a questo tema equivalgono solo al 21 % di tutto il supporto finanziario del programma «Investire nelle persone» 2007-2013. Si veda Mid-term review of Strategy Paper for Thematic Programme (2007-2013).

(21)  Parere CESE sul tema Commercio e sicurezza alimentare, relatore: CAMPLI (REX/273, 2009).

(22)  I partner sociali (organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro) sono organizzati sia a livello europeo che internazionale. A livello europeo: Business Europe per i datori di lavoro e la Confederazione europea dei sindacati (CES) per i lavoratori; a livello internazionale: l'Organizzazione internazionale dei datori di lavoro (IOE) e la Confederazione internazionale dei sindacati (CSI). Anche il movimento cooperativo è organizzato a livello europeo ed internazionale: Cooperatives Europe e International Co-operatives Alliance. Si aggiunga infine quell'insieme di organizzazioni, cooperative, società di mutuo soccorso che costituiscono l'«economia sociale» come definita dalla conferenza dell'OIL di Johannesburg del 19-21 ottobre 2009 («L'economia sociale: la risposta dell'Africa alla crisi globale»).

(23)  Si veda rispettivamente il ruolo del TUAC (Trade Union Advisory Committee) e del Forum europeo della gioventù.

(24)  La gestione da parte della Commissione della partecipazione degli attori non statali alla cooperazione comunitaria allo sviluppo, Relazione speciale n. 4, 2009.

(25)  Idem, pag. 23, n. 41.

(26)  Per finanziare questo tipo di indagini si potrebbe introdurre un fondo rotativo mediante il quale la Commissione anticiperebbe il finanziamento, che in seguito sarebbe detratto dall'ammontare totale dei costi del progetto nel caso in cui quest'ultimo venisse selezionato.


11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/129


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Ruolo e prospettive per l'economia sociale africana nella cooperazione allo sviluppo» (parere d'iniziativa)

2011/C 44/21

Relatore: JAHIER

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 dicembre 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Ruolo e prospettive per l'economia sociale africana nella cooperazione allo sviluppo.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 17 giugno 2010.

Alla sua 464a sessione plenaria, dei giorni 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 15 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 116 voti favorevoli, nessun voto contrario e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   L'economia sociale (ES) costituisce su scala mondiale una realtà importante, che si distingue per la sua capacità di innovazione, il suo dinamismo, la sua flessibilità e resilienza anche nelle condizioni di maggiore crisi, così come per la sua capacità inclusiva, soprattutto delle fasce più povere e marginali, in tutte le società. Secondo le stime più accreditate essa rappresenta il 10 % della popolazione attiva mondiale (1) e conosce un trend in aumento in ogni parte del mondo. Le sue caratteristiche e il suo dinamismo peculiare la differenziano rispetto ad altre forme di economia, ma al tempo stesso la rendono del tutto complementare e talora anche sinergica rispetto ad altre forme di impresa.

1.2   In Africa, l'economia sociale è un settore che è stato sinora largamente dimenticato dall'insieme della comunità internazionale, inclusa l'Unione europea. Non viene riconosciuta nelle sue specificità e dunque non viene attivamente coinvolta nelle politiche e nei processi di consultazione e di decisione. Tuttavia, nel continente africano essa è profondamente parte dei sistemi tradizionali di solidarietà, di impresa collettiva e comunitaria, che spesso si trasformano in impresa cooperativa o nelle forme più diverse di strutture mutualistiche. Molte sue strutture sono inoltre una parte vitale di quel vasto insieme che viene chiamato economia informale.

1.3   In un continente in cui una percentuale di popolazione compresa tra l'80 e il 95 % è occupata nel settore informale, l'economia sociale può quindi diventare una chiave dirimente per operare una progressiva evoluzione e trasformazione di questa condizione di vita e lavoro e adeguarla a standard elevati di dignità e di protezione sociale, che consentano a questi attori di stare sul mercato e di offrire un contributo determinante allo sviluppo sociale ed economico del continente.

1.4   Nel contesto attuale delle conseguenze della crisi economica, la natura innovativa dell'economia sociale e la sua capacità di offrire un contributo rilevante allo sviluppo locale sono stati formalmente riconosciuti dall'OIL, che ha convocato la prima Conferenza sull'economia sociale a Johannesburg, dal 19 al 21 ottobre 2009, ove è stato adottato un importante Piano di azione. La stessa Banca mondiale e l'FMI hanno manifestato un rinnovato interesse verso l'economia sociale, vista la resilienza da essa dimostrata nel corso della crisi, e in particolare da parte delle imprese cooperative.

1.5   È dunque interesse dell'UE, primo donatore mondiale, collegarsi a questa azione internazionale. Una buona occasione può essere l'Anno internazionale delle cooperative, proclamato per il 2012 dalle Nazioni Unite.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) propone i seguenti interventi per la promozione dell'economia sociale africana nella cooperazione allo sviluppo:

assicurare il riconoscimento formale da parte dell'UE del ruolo e del contributo dell'economia sociale allo sviluppo dell'Africa,

inserire l'economia sociale nell'elenco degli attori non statali dell'accordo di Cotonou che devono essere coinvolti nell'attuazione di tale accordo,

raddoppiare i finanziamenti agli attori non statali nell'ambito dei documenti di strategia regionale e nazionale,

assicurare che gli attori non statali, compresa l'economia sociale africana, siano inclusi nelle future relazioni dell'UE con i paesi ACP nel periodo successivo al 2020,

integrare l'economia sociale nel partenariato UE-Africa e in particolare nel 7o partenariato in materia di migrazioni, mobilità e occupazione,

includere le cooperative africane nelle politiche dell'UE in materia di cooperazione allo sviluppo agricolo e rurale in Africa,

sostenere l'economia sociale africana mediante i programmi tematici dell'UE Investire nelle persone e Attori non statali e autorità locali nello sviluppo,

incoraggiare la creazione di reti di attori dell'economia sociale (Nord-Sud e Sud-Sud) e il loro rafforzamento,

promuovere l'istruzione, la formazione, la cooperazione culturale e la parità di genere nei programmi e nelle politiche dell'UE,

riconoscere il contributo dell'economia sociale per la creazione di posti di lavoro dignitosi in Africa e fare in modo che esso si rifletta nelle politiche di cooperazione dell'UE,

inserire l'economia sociale nel Rapporto europeo 2010 sullo sviluppo, che prenderà in esame il tema della protezione sociale,

incoraggiare un ambiente favorevole al funzionamento dell'economia sociale, compreso un quadro giuridico appropriato, lo sviluppo delle capacità, l'accesso ai finanziamenti e i collegamenti in rete,

rafforzare la cooperazione intraistituzionale europea per la promozione dell'economia sociale,

includere l'economia sociale nei partenariati strategici esistenti Commissione (COM)-OIL.

In conformità con queste raccomandazioni, il CESE si impegna a coinvolgere attivamente i soggetti dell'economia sociale africana nelle proprie attività e in particolare nel comitato di monitoraggio ACP-UE.

2.   Realtà e dimensioni dell'economia sociale in Africa

2.1   L'economia sociale è costituita dall'insieme di quelle «imprese e organizzazioni, in particolare cooperative, società di mutuo soccorso, associazioni, fondazioni e imprese sociali, che hanno la caratteristica specifica di produrre beni, servizi e conoscenza, perseguendo scopi sia economici che sociali e promuovendo la solidarietà» (2). Così definita, l'economia sociale costituisce una realtà economica rilevante non solo in Europa, ma anche in altri continenti, a iniziare dall'Africa.

2.2   Trattandosi di un concetto molto inclusivo, che pone l'enfasi sui tratti comuni tra le diverse organizzazioni e imprese, dare conto in maniera precisa della diffusione e dei numeri dell'economia sociale nei singoli paesi africani o a livello continentale, ad oggi, è di fatto impossibile. È però possibile tracciare le caratteristiche che le diverse tipologie di organizzazioni e imprese che compongono l'economia sociale assumono in Africa.

2.3   Classicamente, una delle componenti fondamentali dell'economia sociale è quella costituita dalle cooperative, definite dall'OIL (R193, 2002) come «associazioni autonome di persone che si uniscono volontariamente per soddisfare bisogni e aspirazioni economiche, sociali e culturali comuni attraverso un'impresa a proprietà congiunta e a gestione democratica». In Africa le cooperative sono state «importate» dalle autorità coloniali, diventando con la stagione delle indipendenze una delle principali forme di organizzazione economica e sociale del continente (Develtere, Pollet & Wanyama, 2009). Nella maggioranza dei casi però i nuovi governi indipendenti hanno creato legami molto stretti con le cooperative, usate come strumento di mobilitazione e di controllo in diversi ambiti sociali ed economici. Solo con le liberalizzazioni degli anni Novanta le cooperative africane hanno potuto prendere le distanze dal rapporto eccessivamente dipendente con lo Stato che aveva contraddistinto la loro storia precedente, riacquistando l'autonomia, la volontarietà e la democrazia interna che caratterizzano il modello cooperativo e conoscendo così una nuova fase di rinascita e di espansione.

2.4   Negli ultimi 15 anni, infatti, la diffusione e la popolarità del modello cooperativo è aumentata di molto. Come hanno dimostrato Develtere, Pollet & Wanyama (2009) (3) analizzando i dati di undici paesi africani, in diversi casi (Kenya, Ghana e Senegal, per citarne solo alcuni) il numero delle cooperative attive è più che raddoppiato rispetto ai livelli degli anni 1989-1992, andando a costituire una componente molto consistente dell'economia nazionale.

2.5   La maggior parte delle cooperative africane sono client-owned e operano nel settore agricolo, ma sono molto diffuse anche in quello creditizio: secondo la WOCCU, nel 2007 esistevano circa 12 000 unioni creditizie, con un numero di membri che superava i 15 milioni in 23 paesi e circa 3,5 miliardi di dollari di risparmi (Fonteneau & Develtere, 2009), costituendo così l'asse portante delle istituzioni di microfinanza in molte regioni africane. Cooperative sono attive anche nei settori edilizio, assicurativo e della distribuzione. Si stima che circa il 7 % della popolazione africana sia oggi socio di una cooperativa.

2.6   Le società di mutua assistenza hanno essenzialmente la finalità di fornire servizi sociali ai propri membri e alle loro famiglie, condividendo rischi e risorse e operando nel settore della protezione sociale, con una particolare attenzione a tutto ciò che riguarda la salute e i servizi sanitari. Con numeri ed effetti rilevanti: si stima che almeno 500 società di mutuo soccorso operino in Africa occidentale, raggiungendo quindi diverse centinaia di migliaia di persone. In Ruanda, dal 2003 il ministero della Salute ha inglobato questo tipo di società nella sua strategia per ampliare l'accesso ai servizi sanitari, contando sul fatto che secondo i dati ministeriali il 75 % della popolazione è socio di almeno una di esse. Non c'è però solo il settore sanitario. Anche in questo caso, organizzazioni e/o imprese assimilabili alle società di mutuo soccorso operano pure in altri settori. È il caso delle tontines dell'Africa di lingua francese e, per il settore creditizio, delle credit unions dell'Africa anglofona o delle società funebri che forniscono servizi funebri in diversi paesi, tra cui Etiopia e Sud Africa.

2.7   Per la prima volta, in Africa, il Consiglio dei ministri dell'UEMOA ha adottato, il 26 giugno 2009, un regolamento (n. 07/2009) sulle società di mutuo soccorso (mutue sociali). I valori fondamentali che contraddistinguono i principi «mutualistici» sono così identificati e riconosciuti: trasparenza, responsabilità sociale, democrazia, uguaglianza, equità e solidarietà. Questi principi definiscono anche ulteriori caratteristiche, peculiari di una mutua sociale, in particolare, la titolarità di socio su base volontaria e non discriminatoria, la finalità non-profit, il funzionamento democratico e partecipativo dell'istituzione, l'impegno solidaristico, l'autonomia e l'indipendenza, il lavoro volontario esercitato dal comitato di gestione, la partecipazione responsabile.

2.8   Altro gruppo molto numeroso in Africa, diffuso in tutti i possibili settori sia in ambito rurale che urbano, è quello costituito dalle associazioni, al cui interno si contano le organizzazioni volontarie, quelle comunitarie (community-based organisations), le organizzazioni senza scopo di lucro e non governative (ONG), ecc. Il numero delle associazioni connesse con l'economia sociale è esploso con i processi di democratizzazione degli anni Novanta, grazie a migliori inquadramenti legali e a strutture operative flessibili che permettono l'adattabilità del modello associativo alle più diverse esigenze sociali. Particolarmente rilevante, all'interno di questo gruppo, è il ruolo delle ONG, che - spesso in collegamento con organizzazioni simili e istituzioni del Nord - riescono a mobilitare risorse ingenti e ad agire quindi su più ampia scala. Analogamente anche i partner sociali risultano spesso attivi in diversi paesi nella promozione di strutture e iniziative di economia sociale.

2.9   Per le loro caratteristiche sia strutturali che operative, le cooperative, le società di mutuo soccorso, le associazioni e le altre organizzazioni e imprese riconducibili all'economia sociale hanno effetti economici e sociali rilevanti in Africa. Innanzitutto, offrono posti di lavoro e una partecipazione diretta e democratica all'organizzazione e alla distribuzione delle risorse. Inoltre, agendo in modo più diffuso nella società e operando molto spesso anche nelle aree rurali più povere dove gli interventi degli Stati sono minori o nulli, le organizzazioni e le imprese dell'economia sociale garantiscono l'accesso a servizi sociali e/o economici anche ai gruppi più vulnerabili (poveri, donne, disabili, lavoratori non specializzati, migranti ecc.). Che si tratti di un microfinanziamento o dell'assistenza medica e sociale per i malati di HIV/AIDS, della partecipazione a una cooperativa agricola o a una burial society (società funebre), le organizzazioni e le imprese dell'ES permettono misure di protezione sociale su basi solidaristiche e comunitarie che, allo stesso tempo, producono beni e servizi di innegabile rilevanza economica, con effetti diretti sulla riduzione della povertà.

2.10   Il ruolo delle organizzazioni e imprese dell'economia sociale assume un'ulteriore rilevanza in presenza degli effetti della crisi economica e finanziaria globale che, per quel che riguarda l'Africa, sono andati a sommarsi a quelli delle crisi alimentare ed energetica del 2007-2008 (4). Di fronte all'aggravarsi della situazione economica e sociale di larga parte della popolazione, i governi dei PVS avrebbero dovuto rafforzare ed espandere i sistemi di protezione sociale, spesso incompleti. Un ambito, questo, in cui l'economia sociale è già molto presente e attiva, sopperendo spesso alle carenze e alla frammentarietà degli interventi statali, senza per questo sollevare i governi e le istituzioni dal proprio ruolo e responsabilità.

3.   Il programma dell'OIL

3.1   L'economia sociale, per le sue caratteristiche intrinseche, racchiude in sé la possibilità di creare nuovi posti di lavoro, di ampliare il rispetto dei diritti fondamentali in ambito lavorativo, di favorire la protezione e il dialogo sociali. Coincide così perfettamente con gli obiettivi strategici indicati dall'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) per raggiungere e garantire il «lavoro dignitoso» (decent work), che è considerato tale se si svolge «in condizioni di libertà, equità, sicurezza e dignità umana». Da tempo obiettivo primario dell'operato dell'OIL, il lavoro dignitoso è considerato centrale nei piani di riduzione della povertà ed è uno strumento per favorire uno sviluppo sostenibile, inclusivo ed equo.

3.2   Nella sua Agenda per il lavoro dignitoso in Africa, 2007-2015 (OIL, 2007), l'OIL elenca le opportunità e le sfide che l'Africa ha di fronte sia per rendere il lavoro dignitoso una realtà in tutto il continente, sia per garantire al continente un adeguato sviluppo economico e sociale. Le principali sfide individuate riguardano la disoccupazione, la sottoccupazione e la povertà; il ruolo della protezione sociale nello sviluppo; i problemi connessi all'esclusione sociale e alla diffusione dell'HIV/AIDS. Nel documento, l'economia sociale non viene mai nominata formalmente. Ma i concetti, le misure, l'attenzione al mondo delle cooperative e delle associazioni, la centralità dell'equità, della partecipazione e della protezione sociale sono tutti elementi compatibili con i fondamenti dell'economia sociale.

3.3   Negli anni, l'OIL ha sviluppato una competenza rilevante per quel che riguarda l'economia sociale, sia utilizzando i suoi strumenti tradizionali, sia creando un dipartimento dedicato al mondo delle cooperative (EMP/COOP) e avviando una serie di programmi di assistenza tecnica a livello continentale (ad es. CoopAfrica) o nei singoli paesi, come SAY JUMP! in Sud Africa.

3.4   Non è quindi un caso che sia stata proprio l'OIL ad aprire per prima il dibattito internazionale sull'economia sociale in Africa. Prima commissionando una serie di analisi e di studi, in particolare sul mondo cooperativo africano, poi organizzando a Johannesburg, nell'ottobre 2009, una conferenza sul tema L'economia sociale: la risposta dell'Africa alla crisi globale. Finalità dell'incontro, che ha visto la partecipazione di rappresentanti provenienti da tutto il continente, è stata l'adozione di un «Piano d'azione» (5) per la promozione delle organizzazioni e delle imprese dell'economia sociale in Africa.

3.5   Il Piano d'azione prevede quattro obiettivi strategici:

a livello globale, OIL e stakeholder dell'economia sociale si impegnano a favorire e diffondere il riconoscimento delle imprese e delle organizzazioni dell'ES e ad aumentare il numero delle partnership tra Nord e Sud e tra Africa e altre regioni,

a livello regionale, l'impegno riguarda invece l'avanzamento della promozione delle imprese e delle organizzazioni dell'ES, anche trovando le risorse per creare un programma per l'economia sociale in Africa,

a livello nazionale, l'obiettivo da perseguire è quello di creare, rafforzare e/o promuovere un ambiente legale, istituzionale e politico necessario allo sviluppo e al rafforzamento delle imprese e delle organizzazioni dell'ES, e sviluppare e rafforzare le strutture dell'ES,

infine, a livello medio e micro, il compito è quello di garantire l'efficienza delle imprese e delle organizzazioni dell'ES in modo che queste possano soddisfare meglio i bisogni della popolazione per quel che riguarda la protezione sociale, la produzione di reddito, la promozione dell'occupazione e del rispetto dei diritti sul posto di lavoro, la sicurezza alimentare e la protezione ambientale, la lotta all'HIV/AIDS, all'esclusione sociale e via dicendo.

3.6   Gli effetti della crisi economica e finanziaria globale, sommati a quelli delle precedenti crisi alimentare ed energetica, rendono il raggiungimento degli obiettivi elencati nel Piano d'azione di Johannesburg particolarmente impellente. L'OIL ha stimato che circa il 73 % dei lavoratori dell'Africa subsahariana svolge lavori vulnerabili, una percentuale che potrebbe essere salita al 77 % nel 2009, con un probabile aumento delle tensioni migratorie, sia interne al continente che verso l'Europa, dovute ai molti lavoratori in cerca di un futuro migliore. La crisi ha già fatto sentire le sue conseguenze con la diminuzione degli investimenti esteri diretti, sia nelle infrastrutture che nella produzione di beni, e con la contrazione delle rimesse degli emigrati. Promuovere e rafforzare la diffusione delle imprese e delle organizzazioni dell'ES è un contributo alla creazione di nuovi posti di lavoro, rappresentando così una concreta alternativa alle spinte migratorie.

3.7   Il contributo fondamentale delle cooperative allo sviluppo socioeconomico ha infine recentemente portato le Nazioni Unite a dichiarare il 2012 Anno internazionale delle cooperative: questa iniziativa offrirà l'occasione per favorire e ampliare il ruolo che le organizzazioni e le imprese dell'ES ricoprono.

4.   Prospettive e raccomandazioni per la partecipazione dell'UE e nuove politiche prioritarie

4.1   L'economia sociale è una realtà rilevante all'interno dell'Unione europea e il suo ruolo sia economico che sociale è sempre più riconosciuto. Nel 2006 il CESE produceva un primo ampio rapporto in questo senso (6).

Nel 2009, il PE ha riconosciuto che l'economia sociale è uno dei pilastri della costruzione europea, «considerando che l'economia sociale rappresenta il 10 % di tutte le imprese europee, ossia 2 milioni di imprese, pari al 6 % dei posti di lavoro totali e presenta un notevole potenziale in termini di generazione e mantenimento di una occupazione stabile» (7).

Il CESE ha infine raccomandato il riconoscimento e il mantenimento dei diversi modelli d'impresa, tra i quali l'economia sociale (8).

4.2   Sebbene l'economia sociale non abbia un posto a sé stante in quanto settore di intervento nei programmi di cooperazione esterna dell'UE, tutti i principali ambiti in cui essa opera in Africa rientrano tra le priorità d'azione dell'UE: la protezione sociale, la salute, l'inclusione sociale, l'occupazione, lo sviluppo agricolo e rurale, la microfinanza, la cultura. Seppur non specificatamente diretti al sostegno esplicito nei confronti delle organizzazioni e delle imprese dell'economia sociale, quindi, i possibili strumenti e ambiti di intervento dell'UE in questo senso sono già presenti.

4.3   Tuttavia, affinché questa nuova realtà socioeconomica del continente africano possa essere integrata nella cooperazione allo sviluppo dell'UE, si raccomanda che quest'ultima riconosca formalmente l'esistenza dell'economia sociale africana. L'UE può trovare uno specifico interesse e valore aggiunto nell'includere nella propria agenda tale nuova priorità, che, da un lato, favorirebbe una cooperazione esplicita con organismi internazionali quali l'OIL e la BM per realizzare sinergie di sistema quanto mai opportune nel campo della cooperazione allo sviluppo e, dall'altro, coinvolgerebbe i principali attori dell'economia sociale europea, contribuendo in tal modo a stimolare il sostegno dell'opinione pubblica europea a favore di un rafforzamento dell'assistenza esterna dell'UE.

4.4   Il metodo più efficace per assicurare il riconoscimento concettuale del ruolo e del contributo dell'economia sociale allo sviluppo dell'Africa consiste nel promuovere questo settore attraverso i partenariati esistenti tra Unione europea e Africa, ovvero attraverso l'accordo di Cotonou e il partenariato UE-Africa.

4.4.1   Per quanto riguarda l'accordo di Cotonou, si constata con rammarico che la revisione 2010 si è già conclusa e che non vi sono state inserite disposizioni sull'economia sociale. Le delegazioni dell'UE nei paesi africani dovrebbero però intervenire per includere rapidamente le organizzazioni e le imprese dell'economia sociale nell'elenco degli attori da censire e da invitare alle consultazioni.

4.4.2   Inoltre, la revisione del 2015 dovrebbe offrire l'opportunità di riconoscere esplicitamente l'economia sociale e di includerla nella categoria degli «attori non statali», che devono essere informati, consultati e coinvolti nell'attuazione dell'accordo, oltre a beneficiare delle risorse finanziarie e delle azioni di sviluppo delle capacità intese a garantire una loro efficace partecipazione.

4.4.3   Il CESE ritiene che la riflessione sulle relazioni dell'UE con i paesi ACP per il periodo successivo al 2020, quando l'accordo di Cotonou giungerà a scadenza, debba non solo assicurare l'inclusione di disposizioni istituzionali per gli attori non statali simili a quelle dell'accordo di Cotonou, ma anche garantire che l'economia sociale sia esplicitamente presente in questa categoria.

4.5   Per quanto riguarda il partenariato UE-Africa, possono essere stabiliti collegamenti diretti tra gli obiettivi e le azioni del 7o partenariato in materia di migrazioni, mobilità e occupazione e quelli dell'economia sociale, in particolare per quanto concerne il contributo alla creazione di occupazione, alla graduale formalizzazione dell'economia informale e alla promozione del lavoro dignitoso. In questo contesto, il terzo vertice UE-Africa, che si terrà nel novembre 2010, e i nuovi piani d'azione che verranno adottati in tale sede sono una concreta opportunità di promuovere l'economia sociale. Ad esempio, il nuovo piano d'azione per questo partenariato potrebbe essere così articolato:

obiettivo: riconoscimento e promozione dell'economia sociale come mezzo per colmare il divario tra l'economia formale e quella informale e incentivare la creazione di posti di lavoro dignitoso,

azione: rafforzare le capacità e le abilità degli attori dell'economia sociale africana, sviluppando appositi corsi, in particolare in materia di gestione, presso gli istituti di formazione professionale e le università,

azione: facilitare la concessione di prestiti e di microcrediti agli attori dell'economia sociale,

azione: aiutare i governi africani a definire un quadro giuridico, politico e istituzionale idoneo per la promozione e il funzionamento delle imprese e delle organizzazioni dell'economia sociale.

4.6   A livello settoriale, le organizzazioni e le imprese dell'economia sociale africana sono molto attive nel settore agricolo e nello sviluppo rurale. Impegni concreti in questo ambito sono stati presi con la strategia UE-Africa per l'agricoltura e attraverso la comunicazione Dare slancio all'agricoltura africana  (9). In nessuno dei due casi però è citato il settore cooperativo, uno degli assi portanti dell'economia sociale in Africa. Le possibilità di azione e cooperazione con le cooperative agricole e rurali africane sono però molteplici e risponderebbero all'obiettivo di «porre l'accento su una migliore governance dell'agricoltura e sostenere lo sviluppo delle capacità (capacity-building) da parte delle organizzazioni pubbliche e private africane coinvolte nell'agricoltura» (10).

4.6.1   Inoltre, vale la pena di notare che lo strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo comprende un programma tematico sulla sicurezza alimentare, un altro settore in cui gli strumenti e i programmi esistenti dell'UE potrebbero essere utilizzati per riconoscere il ruolo fondamentale che le organizzazioni e le imprese dell'economia sociale africana possono svolgere nella cooperazione europea allo sviluppo.

4.7   Un altro programma tematico dello strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo da considerare è quello intitolato Investire nelle persone, che mira allo sviluppo delle risorse umane e che potrebbe essere utilizzato per sostenere la formazione e lo sviluppo delle competenze imprenditoriali degli attori dell'economia sociale in Africa.

4.7.1   Questo obiettivo sarebbe in linea con le disposizioni della dichiarazione dell'OIL sullo sviluppo delle abilità, in particolare in materia di gestione. L'istruzione e la formazione sono fondamentali per il rafforzamento della capacità delle organizzazioni e delle imprese dell'economia sociale e per consentire a queste ultime di competere sui mercati. Bisogna poi dedicare un particolare impegno all'istruzione e alla formazione delle donne, il cui ruolo nelle economie dell'Africa, soprattutto nel settore agricolo e nelle aree rurali, è spesso sottovalutato.

4.8   Per quanto riguarda l'istruzione e la formazione sia per lo sviluppo delle competenze che per il miglioramento della gestione, l'UE dovrebbe facilitare e stimolare le relazioni tra le organizzazioni e le imprese dell'economia sociale europee e quelle africane. Lo scambio di esperienze, le buone pratiche e l'assistenza tecnica lungo gli assi Nord-Sud e Sud-Sud contribuirebbero a rafforzare le strutture africane (11). Pertanto, il CESE incoraggia la creazione e il potenziamento delle reti dell'economia sociale Nord-Sud e Sud-Sud come strumento indispensabile per la cooperazione e il trasferimento delle competenze tecniche tra le organizzazioni e le imprese dell'economia sociale.

4.9   L'istruzione e la formazione sono inoltre importanti per la qualità del lavoro e, più in generale, per la cooperazione culturale. Entrambi svolgono un ruolo di primo piano nella creazione di posti di lavoro, come già osservato a più riprese dal CESE. Di conseguenza, l'UE dovrebbe tenere conto di questi settori nel momento in cui integra l'economia sociale africana nei suoi programmi e nelle sue politiche.

4.10   Per quanto riguarda invece la creazione di impiego, che assieme alla protezione sociale e all'uguaglianza di genere è un tratto fondamentale dell'economia sociale, in particolare per quel che riguarda l'occupazione rurale, alcuni aspetti della strategia UE-Africa possono essere collegati agli obiettivi del Piano d'azione di Johannesburg. Ciò vale soprattutto per l'azione prioritaria 3 del partenariato UE-Africa sulla migrazione, la mobilità e l'impiego, che riguarda l'occupazione e l'alleviamento della povertà e pone l'accento sui principi del lavoro dignitoso.

4.11   Un altro strumento per assicurare il riconoscimento concettuale del ruolo dell'ES nello sviluppo dell'Africa potrebbe essere il Rapporto europeo 2010 sullo sviluppo. Esso affronterà il tema della protezione sociale, un settore in cui le organizzazioni e le imprese dell'economia sociale svolgono un ruolo chiave, soprattutto in Africa, come già affermato (12). Inoltre, l'inserimento esplicito dell'economia sociale africana nel Rapporto europeo 2010 sullo sviluppo permetterebbe di elaborare una politica specifica di protezione sociale nella cooperazione allo sviluppo dell'UE, che attualmente risulta assente.

4.12   Il CESE raccomanda poi alla Commissione di avviare una mappatura di ciò che fanno gli Stati membri in materia di cooperazione con gli attori dell'economia sociale africana, in modo da permettere un maggior coordinamento e suddivisione del lavoro in questo ambito tra UE e Stati membri.

4.13   Affinché l'economia sociale africana possa contribuire efficacemente all'eliminazione della povertà, occorre creare un ambiente favorevole che comprenda un quadro giuridico appropriato, lo sviluppo delle capacità, l'accesso ai finanziamenti e i collegamenti in rete tra le organizzazioni dell'economia sociale africana e le controparti europee. Per quanto riguarda il quadro giuridico, le autorità africane dovrebbero essere incoraggiate dall'UE e dall'OIL a creare un registro delle organizzazioni dell'economia sociale e ad adottare una legislazione che consenta a questi attori di operare efficacemente, comprendendo anche la cruciale questione della proprietà dei mezzi di produzione. L'UE e gli Stati membri potrebbero condividere le migliori pratiche sviluppate nei paesi europei in cui l'economia sociale è più attiva.

4.13.1   Le azioni di sostegno dell'UE allo sviluppo delle capacità e al collegamento in rete degli attori dell'economia sociale dovrebbero essere gestite a livello nazionale, regionale e continentale, in particolare attraverso l'accordo di Cotonou, la strategia UE-Africa e il programma tematico Attori non statali e autorità locali nello sviluppo (strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo) (13). Le attività potrebbero comprendere azioni di sostegno in materia di coordinamento, tutela e dialogo, integrazione verticale e orizzontale delle organizzazioni dell'economia sociale, formazione, ecc.

4.13.2   A tal fine, le organizzazioni dell'economia sociale dovrebbero essere incluse nella categoria degli attori non statali ammissibili nei programmi tematici citati sopra. Inoltre, gli stanziamenti per questi programmi tematici e per i programmi tematici supplementari in cui l'economia sociale rappresenta una componente effettiva (14) dovrebbero essere aumentati in sede di riesame delle prossime prospettive finanziarie europee (2014-2020), fino ad un loro raddoppio complessivo, come già auspicato dal CESE (15). Indipendentemente dal finanziamento dell'UE, è opportuno incoraggiare e proseguire le attività di coordinamento, il dialogo, le sinergie e i progetti concreti di cooperazione tra i diversi settori dell'economia sociale europea ed africana e in particolare tra le organizzazioni africane. Analogamente, dovrebbero essere incrementati i fondi destinati ai programmi pertinenti dell'11o Fondo europeo di sviluppo (FES, 2014-2019), in modo da permettere all'economia sociale di trarre beneficio dall'assistenza prevista a questo titolo.

4.14   Un altro aspetto che caratterizza un ambiente favorevole sono prima di tutto le condizioni reali di accesso ai finanziamenti per gli attori non statali, sulla base di procedure semplificate. Un aspetto particolare e innovativo sono poi i prestiti a lungo termine per gli attori dell'economia sociale più strutturati. L'UE, da parte sua, ha il compito di facilitare l'accesso a tali prestiti, utilizzando gli strumenti già esistenti o creandone di nuovi.

4.15   Il CESE sollecita infine lo sviluppo di una cooperazione intra- e interistituzionale europea intesa a favorire la promozione dell'economia sociale africana:

si invita il Parlamento europeo, che ha già approvato una risoluzione sull'impatto dell'economia sociale sull'integrazione europea (16), ad adottarne un'altra sul contributo dell'economia sociale africana all'eliminazione della povertà, affidandone l'elaborazione alla commissione Sviluppo e/o all'Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE; si chiede alla presidenza belga del Consiglio dell'UE del secondo semestre del 2010, durante la quale si terrà il terzo vertice UE-Africa, di impegnarsi attivamente per migliorare il riconoscimento e il sostegno dell'economia sociale africana,

si raccomanda alla Commissione europea di esplorare la possibilità di inserire il tema dell'economia sociale nel Partenariato strategico Commissione (COM)-OIL in materia di sviluppo, che mira ad alleviare la povertà, contribuire al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio e attuare il programma Lavoro dignitoso per tutti  (17).

Bruxelles, 15 luglio 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Documento preparatorio alla conferenza dell'OIL di Johannesburg, 19-21 ottobre 2009, citato nell'allegato 3.

(2)  Cfr. art. 1, preambolo, Plan of Action for the Promotion of Social Economy Enterprises and Organizations in Africa, documento redatto in occasione della conferenza regionale dell'OIL sul tema The Social Economy - Africa's Response to the Global Crisis («L'economia sociale: la risposta dell'Africa alla crisi globale»), Johannesburg, 19-21 ottobre 2009. Si veda anche il diagramma dell'allegato 2.

(3)  Op. cit., si veda allegato 3.

(4)  Si rimanda al parere REX/285 - CESE 1954/2009, Aiutare i paesi in via di sviluppo nel far fronte alla crisi, relatore: JAHIER.

(5)  Cfr. allegato 1 e http://www.ilo.org/public/english/region/afpro/addisababa/pdf/se_planofaction_en.pdf.

(6)  Ciriec, The Social Economy in the European Union, CESE/COMM/05/2005.

(7)  Risoluzione del Parlamento europeo sull'economia sociale (relatrice: TOIA, 19 febbraio 2009).

(8)  GU C 318 del 23.12.2009, pag. 22.

(9)  Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo - Dare slancio all'agricoltura africana - Proposta per una cooperazione a livello continentale e regionale in materia di sviluppo agricolo in Africa (COM(2007) 440 definitivo).

(10)  Partenariato strategico Africa-UE - Una strategia comune Africa-UE, punto 73.

(11)  Un buon esempio di rete dell'economia sociale Nord-Sud è la Rete euromediterranea dell'economia sociale (ESMED), che comprende organizzazioni di Spagna, Francia, Italia, Marocco, Portogallo e Tunisia. Essa sostiene e promuove gli scambi e i progetti di cooperazione nel quadro del partenariato euromediterraneo.

(12)  Cfr. sopra, punti 2.8 e 2.9.

(13)  Come enunciato nell'articolo 5.1.2 di questo programma, l'UE sosterrà le iniziative volte ad «aumentare il numero degli scambi transnazionali, instaurare un clima di fiducia, favorire la creazione di reti e assicurare il coordinamento tra attori non statali e autorità locali (sia sull'asse Nord-Sud che su quello Sud-Sud)».

(14)  Si tratta, ad esempio, dei programmi tematici Investire nelle persone e Sicurezza alimentare nel quadro dello strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo.

(15)  Vedi punto 6.3. del parere REX/285 del 2009 sul tema Aiutare i paesi in via di sviluppo nel far fronte alla crisi, relatore: JAHIER.

(16)  Cfr. nota n. 4.

(17)  Cfr. http://ec.europa.eu/europeaid/what/social-protection/documents/memorandum_of_understanding_ec_ilo_en.pdf.


11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/136


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «I parchi tecnologici, industriali e scientifici europei nel quadro della gestione della crisi, della preparazione al dopo crisi e della strategia post Lisbona» (supplemento di parere)

2011/C 44/22

Relatore: TÓTH

Correlatore: SZŰCS

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 luglio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un supplemento di parere sul tema:

I parchi tecnologici, industriali e scientifici europei nel quadro della gestione della crisi, della preparazione al dopo crisi e della strategia post Lisbona.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o luglio 2010.

Alla sua 464a sessione plenaria, dei giorni 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 14 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 147 voti favorevoli, nessun voto contrario e 7 astensioni.

1.   Raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) riconosce l'importante funzione dei parchi tecnologici, industriali e scientifici (PTIS) per la promozione dello sviluppo economico e della modernizzazione: la specializzazione intelligente, la concentrazione di risorse e la base di conoscenze che contraddistinguono queste strutture consentono infatti di agevolare le trasformazioni industriali.

1.2

L'Unione europea deve adottare un approccio più mirato e integrato, volto a offrire sostegno ai PTIS del XXI secolo e a permetterne il potenziamento. Soprattutto nel contesto della crisi attuale e nella prospettiva del dopo crisi, occorrerebbe perseguire una strategia più globale in grado di sfruttare i vantaggi potenziali dei parchi di ricerca ai fini della crescita economica e della competitività. L'UE deve assumere un ruolo guida e dar prova di determinazione nel mettere in campo iniziative finalizzate a realizzare questi obiettivi.

1.3

È opportuno individuare e sviluppare sinergie con le iniziative faro dell'UE attuate sul territorio, e in particolare con l'Istituto europeo di innovazione e tecnologia (EIT) e le sue «comunità della conoscenza e dell'innovazione».

1.4

Occorre prendere atto dell'esigenza di parchi di nuova generazione, da realizzare in forme nuove, e incentivarne lo sviluppo; allo stesso modo, si dovrebbe promuovere il ruolo dei PTIS per l'elaborazione di strutture innovative.

1.5

Per quanto riguarda la dimensione regionale, occorre rafforzare la partecipazione degli enti locali e degli agglomerati urbani al processo di sviluppo dei PTIS mediante l'applicazione del principio di sussidiarietà. È necessario migliorare le attività di rete tra i soggetti del settore pubblico, il mondo imprenditoriale e gli istituti di insegnamento superiore.

1.6

Nell'ambito dello sviluppo dei parchi va assumendo un rilievo sempre maggiore la cooperazione con le istituzioni scientifiche - in particolare le università e gli istituti di ricerca - come pure gli aspetti legati al mondo universitario e della ricerca; nonostante ciò, il livello di collaborazione di questi organismi con i parchi rimane tuttora insufficiente. Dato il loro ruolo, i PTIS potrebbero servire da ponte tra il mondo accademico e l'industria: ad esempio, la conclusione di partenariati con i parchi potrebbe rientrare tra i criteri che un'università deve soddisfare per ottenere un «marchio di eccellenza».

1.7

Sarebbe opportuno avviare e promuovere - assieme alla diffusione delle buone pratiche - attività di monitoraggio, valutazione e accreditamento in questo settore, poiché per poter elaborare politiche e strumenti concordati, a livello sia dell'UE che dei singoli Stati membri, nel campo della realizzazione e sviluppo dei parchi occorrono valutazioni e studi empirici comparati. È auspicabile creare una banca dati dettagliata per la mappatura dei PTIS presenti su tutto il territorio europeo: ciò consentirebbe di agevolare le iniziative di collaborazione grazie a un quadro di interconnessione che promuova i collegamenti tra i parchi e aiuti a rimuovere gli ostacoli regionali alla crescita.

1.8

La sempre maggiore professionalizzazione dello sviluppo e del funzionamento dei parchi risulta evidente dalle loro capacità di gestione organizzativa, dal loro coinvolgimento nel complesso settore dello sviluppo (regionale), dall'integrazione della componente della ricerca, dall'approccio strutturato in cluster (raggruppamenti) e dal fattore qualità. Ciò non toglie che sia tuttora necessario innalzare gli standard di funzionamento dei PTIS.

1.9

Occorre sfruttare appieno il potenziale di sviluppo derivante dalle possibilità offerte dall'Unione europea nei settori della coesione e dell'aggiustamento: tali potenzialità dovrebbero essere inquadrate in una prospettiva a lungo termine.

2.   Introduzione

2.1

Nel novembre del 2005 il CESE ha adottato un parere di iniziativa molto esauriente sul tema dei parchi industriali, tecnologici, scientifici e di innovazione. Per quanto l'analisi si concentri soprattutto sui parchi dei nuovi Stati membri, le conclusioni e le raccomandazioni formulate nel parere riguardano l'UE nel suo complesso.

2.2

È utile ricordare che diverse osservazioni e raccomandazioni pertinenti formulate in tale parere hanno avuto un impatto politico significativo negli ultimi anni. I progressi che ne sono derivati sono stati compiuti in sinergia con le iniziative attuate dall'UE nell'ambito di diverse politiche (regionale, industriale e dell'innovazione).

2.3

Si possono citare le seguenti conclusioni e raccomandazioni, che hanno avuto con ogni evidenza un impatto:

a)

i parchi soddisfano i criteri per essere considerati strumenti di promozione dell'innovazione e, quindi, possono essere considerati dei «poli di innovazione»;

b)

i parchi sono particolarmente idonei ad agevolare l'interazione tra, da un lato, il mondo scientifico e tecnologico e, dall'altro, lo sviluppo economico. Essi concentrano le sinergie derivanti dalla collaborazione tra imprese e istituti di ricerca per facilitarne l'accesso al mercato;

c)

i parchi offrono un quadro globale che favorisce l'innovazione e incentiva lo sviluppo regionale: hanno avuto un ruolo determinante in questo ambito contribuendo a rafforzare la competitività, a ridurre il tasso di disoccupazione e a colmare i divari di sviluppo;

d)

occorre mettere in campo strategie di politica economica che tengano conto, pur nella sua complessità, del potenziale dei parchi industriali e indichino un orientamento da seguire;

e)

i parchi si contraddistinguono per il ruolo fondamentale che ricoprono nella promozione dell'innovazione; in tale contesto, diviene sempre più indispensabile trarre profitto dalle risorse intellettuali disponibili nelle università e in altri istituti di ricerca;

f)

la costituzione in rete di parchi a livello transregionale, come pure lo sviluppo di reti paneuropee mediante il sostegno a programmi integrati di cooperazione tra parchi e distretti industriali, sono risultati auspicati da lungo tempo, benché ancora non pienamente realizzati.

2.4

È giunto il momento di tracciare un bilancio dell'impatto del precedente parere, tanto per gli orientamenti di politica quanto per gli insegnamenti pratici che se ne possono trarre: il presente supplemento di parere, che fa seguito al parere citato, approfondisce l'analisi del ruolo dei parchi e si sofferma sulle soluzioni che essi potrebbero apportare alla gestione della crisi economica. Nel presente documento il CESE esamina il livello di specializzazione dei parchi, le nuove aspettative dell'industria, dei lavoratori e degli altri attori della società civile, le nuove sfide di portata regionale, nazionale ed europea alle quali i PTIS sono confrontati, come pure i difficili compiti cui devono far fronte gli enti di gestione dei parchi.

2.5

I parchi tecnologici, industriali, scientifici e di innovazione (PTIS) sono considerati sempre di più come strumenti che consentono di creare sistemi produttivi locali (cluster) dinamici, capaci di dare impulso alla crescita economica e alla competitività internazionale. Essi contribuiscono alle trasformazioni industriali in Europa, promuovendo l'innovazione, il raggruppamento di imprese (clustering) e le attività di business-to-business (B2B), e sostenendo altresì il settore delle PMI e la creazione di posti di lavoro. La definizione di «sistema produttivo locale» (cluster) è elaborata in maniera dettagliata al punto 2.3 del parere d'iniziativa sul tema I distretti industriali europei verso le nuove reti del sapere  (1).

2.6

Occorre aggiungere che l'Unione europea deve prepararsi al dopo crisi, in un contesto in cui le capacità e le risorse innovative, scientifiche e industriali saranno concentrate nei PTIS distribuiti su tutto il suo territorio. È quindi essenziale porre l'accento sul ruolo che i parchi possono svolgere nell'elaborazione del programma della strategia di Lisbona post 2010. Il presente supplemento di parere, che fa seguito a quello del 2005, si propone di formulare una serie di raccomandazioni in linea con le conclusioni suesposte.

3.   L'evoluzione del ruolo e delle funzioni dei PTIS

3.1

I profondi mutamenti sul piano sociale ed economico intervenuti negli ultimi anni - con particolare riferimento alla crisi economica e alle sue ripercussioni, nonché alle questioni dello sviluppo sostenibile, della sicurezza energetica e del cambiamento climatico (che sono andate assumendo un'importanza sempre maggiore) - hanno comportato una ridefinizione dei concetti e dei compiti da affrontare nel campo della modernizzazione, della crescita e dello sviluppo economico, non solo in Europa ma in tutto il mondo. Per poter operare efficacemente in questo nuovo contesto, i PTIS devono mettere a punto nuove funzioni e servizi ed elaborare nuovi modelli di servizi alle imprese che consentano alle attività e ai settori emergenti di prosperare.

3.2

I parchi scientifici e tecnologici e le strutture analoghe si stanno rivelando sempre più importanti in quanto strutture di concentrazione e integrazione dello sviluppo. In un contesto in cui sia nell'UE che a livello mondiale le idee innovative e la creatività sono considerate con particolare attenzione, viene riconosciuto il ruolo di questi centri come promotori di un'economia basata su innovazione e competitività e, al tempo stesso, catalizzatori di creazione e di consolidamento.

3.3

Benché diffusi in tutto il mondo, i PTIS presentano tra loro notevoli differenze sia per dimensioni che per le funzioni che svolgono. Per una più esauriente disamina dei diversi modelli di parco, occorre tuttavia tener conto della determinazione delle esigenze, della definizione delle priorità e della messa a punto di una pianificazione strategica. Le organizzazioni professionali hanno proposto varie definizioni di PTIS: secondo una delle più comuni, si tratta di una particolare categoria di partenariato pubblico-privato inteso a promuovere i flussi di conoscenze - spesso tra le imprese del parco e le università, o fra le sole imprese situate all'interno del parco - e a contribuire alla crescita e allo sviluppo economici a livello regionale.

3.4

Con l'espressione «parco scientifico e tecnologico» s'intende oggi qualsiasi tipo di cluster ad alta tecnologia, ad esempio: tecnopoli, parco scientifico, città della scienza, parco cibernetico, parco (industriale) high-tech (ad alta tecnologia), centro di innovazione, parco di ricerca e sviluppo, parco di ricerca universitaria, parco tecnologico e di ricerca, parco scientifico e tecnologico, parco tecnologico, incubatore tecnologico, tecnoparco, incubatore di imprese tecnologiche. L'esperienza insegna che, benché queste strutture siano simili per molti aspetti, vi sono delle differenze tra un incubatore di imprese tecnologiche e un parco scientifico o di ricerca, oppure tra una città della scienza, una tecnopoli e un dispositivo regionale di promozione dell'innovazione.

3.5

È opportuno distinguere, ad esempio, tra parco scientifico (science park) e parco di ricerca (research park): se la prima denominazione è quella più diffusa in Europa, la seconda è largamente utilizzata in Canada e negli Stati Uniti. In Europa esistono parchi sia scientifici che tecnologici, due categorie distinte soprattutto dalle dimensioni e dalla presenza o meno di attività produttive: un parco scientifico in genere è di dimensioni più ridotte, intrattiene stretti legami con l'università ed è meno incentrato su attività di produzione, mentre un parco tecnologico è di dimensioni medio-grandi e consente lo svolgimento di attività produttive. Dal punto di vista della ripartizione geografica, i parchi scientifici seguono tendenzialmente il «modello britannico», quelli tecnologici, invece, fanno riferimento a un «modello mediterraneo» tipico di paesi come Francia, Spagna, Italia e Portogallo.

3.6

Indubbiamente i fattori organizzativi che contribuiscono in larga misura al successo delle iniziative più rappresentative nel settore dei PTIS sono i seguenti:

a)

partenariati pubblico-privato sostenibili e a lungo termine;

b)

gestione dei parchi affidata a professionisti provvisti di competenze in materia di innovazione;

c)

operazioni strategiche decise di comune accordo con i principali attori interessati: enti regionali, imprese e istituti di ricerca, comunità locali;

d)

vantaggio evidente rappresentato da parchi con una specializzazione in un determinato settore;

e)

capacità di raggiungere a tempo debito una massa critica, in modo da trovare un'applicazione pratica ai risultati delle ricerche, anche qualora il processo di incubazione risulti particolarmente lungo.

4.   Collegamento in rete, cluster e cooperazione fra università e industria

4.1

Per via della connettività prevalente nell'economia post industriale europea, il rinnovamento nella sfera socioeconomica si fa strada all'interno di «ecosistemi» creativi incentrati sull'innovazione. È auspicabile rafforzare la collaborazione tra i parchi e altre entità analoghe, in ambito sia nazionale che internazionale.

4.2

I parchi scientifici e tecnologici si sono dimostrati efficaci nella realizzazione di cluster, che sono tra gli esempi più significativi di «ecosistemi» in grado di incentivare la competitività.

4.3

I recenti sviluppi in campo economico rendono sempre più importanti la produzione, l'utilizzo, il trasferimento e l'applicazione delle conoscenze: occorre quindi sviluppare e potenziare attività di collaborazione in rete tra i soggetti del settore pubblico, il mondo delle imprese e gli istituti di insegnamento superiore.

4.4

È necessaria una gestione esperta e multilivello, capace di realizzare delle sinergie tra le varie sfere di governo - UE, nazionale, regionale e locale - e di promuovere partenariati tra imprese, università e ONG; tali partenariati devono, a loro volta, consentire la creazione di solidi legami tra gli istituti generatori di conoscenza e i centri di innovazione.

4.5

Occorre una maggiore convergenza tra gli incentivi e i compiti assegnati alle università, agli altri istituti scientifici e di ricerca e ai PTIS, ed è necessario promuovere nuove forme di collaborazione tra queste realtà. I parchi possono accrescere notevolmente il loro potere di attrazione offrendo un ampio ventaglio di servizi, ad esempio il trasferimento di tecnologie, l'assistenza in materia di brevetti, il sostegno ai diversi tipi di nuove imprese (start-up o spin-off), la gestione di progetti e il sostegno finanziario. I PTIS devono mettere a disposizione servizi aggiornati e di elevata qualità, per dare un effettivo contributo alle necessarie forme di cooperazione.

4.6

Nell'ambito dello sviluppo dei parchi va assumendo un rilievo sempre maggiore la cooperazione con le istituzioni scientifiche - in particolare le università e gli istituti di ricerca - come pure gli aspetti legati al mondo universitario e della ricerca; nonostante ciò, si deve constatare che la cooperazione a livelli meno che soddisfacenti tra gli ambienti scientifici e il mondo imprenditoriale continua a rappresentare un problema e che, attualmente, la collaborazione con i parchi rimane pur sempre inferiore alle aspettative.

4.7

Dato il loro ruolo, i PTIS potrebbero servire da ponte tra il mondo accademico e l'industria. È auspicabile che nell'esercizio di valutazione della qualità dei risultati e del prestigio delle università si presti maggiore attenzione al loro impatto nei settori industriale ed economico. Le camere di commercio e gli enti regionali - anche grazie ad attività di formazione destinate agli adulti - possono contribuire in misura significativa alla promozione dello spirito imprenditoriale all'interno del mondo accademico. La presenza di parchi di imprese potrebbe rientrare tra i criteri per distinguere le università «eccellenti».

4.8

I parchi potrebbero svolgere una funzione particolarmente importante nei nuovi Stati membri per colmare il divario tra università e industria.

5.    Governance europea, iniziative operative e misure di controllo

5.1

L'Unione europea deve adottare un approccio più mirato e integrato, volto a offrire sostegno ai PTIS del XXI secolo e a permetterne il potenziamento. Soprattutto nel contesto della crisi attuale e nella prospettiva del dopo crisi, l'UE dovrebbe perseguire una strategia globale in grado di sfruttare i vantaggi potenziali dei parchi di ricerca ai fini della crescita economica e della competitività.

5.2

Sulla scorta delle lezioni tratte dal conseguimento solo parziale degli obiettivi della strategia di Lisbona, le iniziative attuate nel quadro della strategia post Lisbona dovrebbero essere razionalizzate, concentrandosi su un numero limitato di obiettivi concreti, misurabili e differenziati a livello nazionale, sfruttando il potenziale di sviluppo dell'ampio ventaglio di capacità disponibili nei parchi tecnologici, industriali, scientifici e di innovazione. L'UE deve assumere un ruolo guida e dar prova di determinazione nel mettere in campo iniziative finalizzate a realizzare tali obiettivi.

5.3

Le aziende, i posti di lavoro, le conoscenze, la capacità economica e di innovazione che contraddistinguono i PTIS sono altrettante risorse poco valorizzate di cui dispone l'UE. Se è vero che queste risorse sono ingenti, non ne abbiamo però un quadro completo e manca ancora una strategia comune volta a incanalarle e utilizzarle, poiché disponiamo soltanto di conoscenze parcellizzate e di iniziative di portata limitata. È necessario insistere soprattutto sull'importanza del lavoro svolto dalle organizzazioni professionali e della società civile, di livello regionale o nazionale, attive nei territori in cui sono situati i parchi. Occorre incoraggiare queste organizzazioni alla reciproca collaborazione e promuovere lo sviluppo, tramite tale cooperazione, di una piattaforma tecnologica di dimensioni europee.

5.4

La chiave del successo risiede nel fare in modo che i PTIS divengano parte integrante di una pianificazione strategica e mirata, in grado di sostenere il risoluto orientamento dell'Europa alla crescita e alla competitività internazionale mediante ingenti investimenti regionali nello sviluppo economico basato sulle conoscenze scientifiche. Tali iniziative devono essere formalmente iscritte nel piano europeo per la ricerca e l'innovazione, che dovrà ribadire il ruolo fondamentale dei PTIS nel quadro della politica di innovazione dell'UE.

5.5

Le direzioni generali della Commissione dovrebbero intraprendere azioni congiunte di tipo orizzontale al fine di promuovere le sinergie tra i diversi strumenti e di rafforzare la governance e il coordinamento tra tutti i programmi disponibili. Queste iniziative dovrebbero portare alla creazione di piattaforme, organismi o gruppi ad alto livello incaricati di eliminare gli ostacoli al cofinanziamento delle attività e di elaborare e avviare azioni cofinanziate.

5.6

Occorre altresì mettere a punto dei criteri per la valutazione e la mappatura dei PTIS: sono necessari studi empirici comparati e valutazioni per poter elaborare politiche e strumenti concordati, a livello sia dell'UE che dei singoli Stati membri, nel campo della realizzazione e sviluppo dei parchi che consentano di entrare in una nuova fase di crescita dei PTIS.

5.7

Vi è inoltre la necessità di un'assunzione di responsabilità da parte dei poteri pubblici: in altre parole, occorre mettere a punto e applicare metodi e strumenti di valutazione che misurino i vantaggi netti in termini di ricadute derivanti dal sostegno del settore pubblico. Non è ancora emerso un chiaro consenso sulla definizione dei parametri per misurare i risultati positivi di un PTIS: ad esempio, criteri finanziari - investimenti, fatturato, ecc. - o indicatori di modelli di innovazione (avvio di nuove imprese, prodotti innovativi, brevetti). Anche le differenze tra le tipologie di parchi e tra i contesti nazionali e regionali rendono più difficile stabilire dei parametri di riferimento.

5.8

È auspicabile creare una banca dati dettagliata per la mappatura dei PTIS presenti su tutto il territorio europeo: ciò consentirebbe di agevolare le iniziative di collaborazione grazie a un quadro di interconnessione che promuova i collegamenti tra i parchi e aiuti a rimuovere gli ostacoli regionali alla crescita.

5.9

È opportuno porre di nuovo l'accento sull'esigenza di maggiori investimenti in istruzione e formazione, in conoscenze e innovazione, nelle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, nonché nello sviluppo sostenibile e in un'economia più rispettosa dell'ambiente.

6.   La dimensione regionale

6.1

Le regioni sono attori fondamentali di un'economia basata sulla conoscenza, in quanto concentrano i loro sforzi sull'integrazione della R&S e dell'innovazione nelle loro strategie di sviluppo. Per sostenere il processo di ristrutturazione dell'economia gli enti regionali dovrebbero puntare in misura ancora maggiore sull'innovazione.

6.2

È necessario promuovere le strategie regionali in materia di innovazione, sulla base delle quali occorre anche incentivare l'elaborazione di specifici programmi operativi. Le autorità nazionali dovrebbero sforzarsi di migliorare la situazione degli enti locali provvedendo ad instaurare un clima economico e politico stabile e prevedibile.

6.3

Una vera e propria strozzatura ad un processo di sviluppo sistematico dei PTIS è la difficoltà di accesso dei parchi scientifici e tecnologici alle risorse finanziarie (capitale di rischio e capitale di avviamento). I finanziamenti dell'UE dovrebbero venire regolarmente integrati da un'adeguata assegnazione di fondi locali e regionali. Occorre rafforzare le competenze necessarie ai PTIS per poter accedere al cofinanziamento proveniente da fondi europei. Si deve inoltre prevedere un ricorso strutturato alle risorse finanziarie della Banca europea per gli investimenti (BEI) e del Fondo europeo per gli investimenti (FEI), affinché attingere a tali finanziamenti diventi una prassi usuale.

6.4

Un fattore essenziale per il successo dei PTIS è la possibilità di disporre di finanziamenti a lungo termine. In tempi di crisi, è della massima importanza garantire che i parchi possano avvalersi di un sostegno finanziario e politico da parte sia dei governi degli Stati membri che delle istituzioni europee.

6.5

Occorre che le regioni siano in grado di attirare e gestire i talenti, poiché essi rappresentano una risorsa particolarmente rilevante nella prospettiva di uno sviluppo sostenibile e armonioso nel lungo periodo.

6.6

Un elemento chiave per assicurare un funzionamento di qualità ottimale dei PTIS è la loro gestione: la formazione permanente e lo sviluppo professionale dei dirigenti responsabili della gestione sono importanti per preservare l'eccellenza dei servizi offerti. Si dovrebbero elaborare programmi strutturati volti allo sviluppo delle capacità gestionali necessarie per il funzionamento dei parchi tecnologici, industriali, scientifici e di innovazione.

7.   Un'iniziativa strategica dell'UE: l'Istituto europeo di innovazione e tecnologia (EIT)

7.1

L'Istituto europeo di innovazione e tecnologia (EIT) dovrebbe diventare il punto di riferimento per l'eccellenza nel settore dell'innovazione in Europa. Il ruolo dell'EIT consisterà nel realizzare l'innovazione grazie alla collaborazione tra tutti i soggetti appartenenti al «triangolo della conoscenza», nel tradurre i risultati prodotti dal mondo accademico e della ricerca in opportunità di concrete applicazioni commerciali sul piano dell'innovazione, nonché nello stimolare la crescita economica sostenibile e la creazione di posti di lavoro in tutta l'UE. Il CESE nutre grandi aspettative nei riguardi dell'attività di questo nuovo organismo dell'UE e auspica che i parchi industriali, tecnologici, scientifici e di innovazione e gli enti provvisti delle adeguate qualifiche ad essi associati possano partecipare ai progetti dell'EIT in qualità di partner di primo piano.

7.2

Le «comunità della conoscenza e dell'innovazione» (CCI) sono state selezionate dall'Istituto come strumento operativo strategico capace di fornire delle risposte alle sfide cui oggi l'Unione deve far fronte, dall'adattamento al cambiamento climatico e l'attenuazione degli effetti che ne derivano alle energie rinnovabili e alla futura società dell'informazione e della comunicazione. I CCI sono partenariati pubblico-privato fortemente integrati conclusi tra università, organismi di ricerca e imprese che inglobano sempre una dimensione imprenditoriale in tutte le attività di conoscenza e producono innovazione in settori di precipuo interesse economico e sociale.

7.3

Il lavoro dell'EIT offre inoltre delle opportunità di sviluppo a livello locale e regionale: l'Istituto può infatti avere un ruolo e un'influenza notevoli nella misura in cui mette a disposizione le sue competenze in regioni con un deficit di conoscenze e di esperienze specifiche. Inoltre, le regioni e le città possono trarre vantaggio dalle attività dell'EIT e dei CCI sotto forma di ricadute positive e di capacità di attirare nuove risorse sia umane che finanziarie.

7.4

L'Istituto europeo di innovazione e tecnologia rappresenta un nuovo concetto di cluster della conoscenza, fondato sull'esistenza di reti virtuali e non su comunità unite dall'appartenenza allo stesso territorio. Le ragioni dell'iniziativa EIT appaiono ancora più evidenti nel contesto dell'attuale crisi economica: proprio per questo motivo, è senz'altro ragionevole esplorare tutte le possibilità di cooperazione con il lavoro dell'Istituto da parte dei PTIS dell'UE.

8.   I PTIS e la crisi economica: riforme necessarie e iniziative per stimolare la ripresa

8.1

La crisi economica ha inciso in vario modo e in misura diversa sul funzionamento dei PTIS e delle imprese che vi sono insediate, le quali possono aver reagito alla recessione con la riduzione di attività e di personale, con il taglio delle spese o con l'annullamento di progetti e di investimenti.

8.2

La risposta dei responsabili della gestione dei PTIS dovrebbe consistere piuttosto in una politica fattiva volta a mantenere la presenza delle aziende nei parchi e a collaborare con esse per ridurre al minimo l'impatto della crisi. Tra le iniziative da intraprendere si possono citare:

a)

svolgere un ruolo guida per le comunità locali;

b)

facilitare azioni coordinate tra le aziende presenti nel parco;

c)

fornire assistenza nell'analisi del clima economico e delle possibilità di attività imprenditoriale, oltre che nella ricerca di nuovi mercati e prodotti;

d)

assicurare il monitoraggio delle attività delle imprese insediate nel parco, riesaminarne i modelli aziendali e i metodi di gestione;

e)

svolgere un'attività di informazione e di lobby per quanto riguarda i programmi e i finanziamenti pubblici, in collaborazione con le agenzie e le imprese;

f)

mantenere i contatti con i soggetti interessati (organizzazioni imprenditoriali, amministrazioni locali, sindacati) per dar vita eventualmente a gruppi di lavoro incaricati di gestire i problemi;

g)

migliorare i servizi e la gestione interna dei parchi.

8.3

Durante l'attuale periodo di crisi, inoltre, potrebbe registrarsi un incremento della domanda di prodotti e servizi più sofisticati. I nuovi settori industriali - biotecnologie, tecnologie all'avanguardia nel campo dell'informazione e della comunicazione - rappresentano al tempo stesso un'opportunità e una sfida. Nel nuovo contesto economico e nel mutato clima sociale sarà inevitabile prendere in considerazione nuovi fattori di competitività per il futuro, come la sostenibilità, la creazione di valore e la responsabilità sociale delle imprese.

8.4

Nel quadro attuale, e in particolare nell'ambito delle attività dei PTIS, viene dato maggiore rilievo alla capacità imprenditoriale rispetto al passato. Le aziende e le loro associazioni possono indicare la strada da seguire grazie alla loro più profonda comprensione del contesto strategico. È importante individuare e mettere adeguatamente in luce i fattori di competitività che contraddistinguono i parchi.

8.5

Sia gli investimenti provenienti dal mercato interno che gli investimenti esteri diretti (IED) hanno un peso considerevole nello sviluppo dei parchi, tanto è vero che si osserva una tendenza sempre più pronunciata del flusso di IED a spostarsi dalla produzione verso la ricerca e sviluppo. Il CESE appoggia tale processo e promuove l'insediamento nei parchi di aziende appartenenti a ben precisi settori chiave della politica industriale dell'UE, auspicando che dette imprese possano ricavarne in breve tempo dei benefici.

Bruxelles, 14 luglio 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  GU C 255 del 14.10.2005, pag. 1.


III Atti preparatori

Comitato economico e sociale europeo

464a sessione plenaria del 14 e 15 luglio 2010

11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/142


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che prevede una procedura d'informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell'informazione

(versione codificata)

COM(2010) 179 def. — 2010/0095 (COD)

2011/C 44/23

Il Consiglio, in data 20 maggio 2010, e il Parlamento europeo, in data 6 maggio 2010, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che prevede una procedura d'informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell'informazione

COM(2010) 179 definitivo — 2010/0095 (COD).

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, nel corso della 464a sessione plenaria dei giorni 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 14 luglio), ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 149 voti favorevoli, 2 voti contrari e 3 astensioni.

Bruxelles, 14 luglio 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/143


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Relazione della Commissione — Relazione sulla politica di concorrenza 2008

COM(2009) 374 def.

2011/C 44/24

Relatore: METZLER

La Commissione, in data 23 luglio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Relazione della Commissione - Relazione sulla politica di concorrenza 2008

COM(2009) 374 definitivo.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 15 giugno 2010.

Alla sua 464a sessione plenaria, dei giorni 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 14 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 111 voti favorevoli, 1 voto contrario e 8 astensioni.

1.   Sintesi e conclusioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si compiace del fatto che la Commissione abbia dedicato, per la prima volta, un intero capitolo alle questioni relative ai consumatori nell'ambito della lotta ai cartelli e ricorda l'iniziativa, ancora in fase di realizzazione, volta a creare un meccanismo di azione collettiva. Bisogna inoltre mettere in rilievo le ripercussioni e i riflessi del diritto in materia di concorrenza e dei cartelli su altri settori della società civile ed economica europea. Le future relazioni dovrebbero riferire in merito a questo aspetto.

1.2   Il CESE apprezza e sostiene lo sforzo della Commissione rivolto a perseguire e mettere in atto, nel contesto del recupero degli aiuti e delle garanzie di Stato, il ripristino di condizioni eque di concorrenza sui mercati europei. Ritiene che ciò sia essenziale ai fini della credibilità e della plausibilità del diritto europeo della concorrenza.

1.3   Invita la Commissione a compiere sforzi maggiori e più intensi per far conoscere ai cittadini europei, attraverso una migliore comunicazione, la logica della sua azione.

1.4   Chiede alla Commissione di spiegare se e in quale misura intenda, sulla base delle esperienze fatte nel quadro delle misure d'urgenza per il settore finanziario e per l'economia reale rese necessarie dalla crisi e attuate mediante aiuti di Stato, introdurre modifiche della regolamentazione e degli orientamenti sinora in vigore. Il CESE spera di potersi fare un'idea, su tale base, di come la Commissione si comporterà in futuro rispetto ad aiuti di Stato per settori di rilevanza sistemica (industria automobilistica ecc.).

Nel quadro delle questioni relative alla concorrenza bisogna tenere in considerazione anche le circostanze e le esigenze della globalizzazione.

1.5   Il CESE ribadisce quanto ha affermato nel parere sulla relazione 2007, ossia che la Commissione deve rivolgere la propria attenzione all'importanza del dumping sociale, al mancato rispetto delle disposizioni in materia di tutela del lavoro ecc., e riferire in merito ai risultati. In tale contesto bisognerà concentrarsi in particolare sul settore dei trasporti.

2.   Contenuto della relazione 2008

2.1   La relazione 2008 della Commissione UE segnala come tema di particolare importanza quello riguardante i cartelli e la protezione dei consumatori. Sulla base degli esempi dei cartelli nel settore delle banane e dei vetri per auto (procedimenti nel 2008) la Commissione mostra come i cartelli di produttori abbiano conseguenze negative per i consumatori e i prezzi che questi pagano, come pure per la capacità innovativa di determinati settori.

La Commissione ha dimostrato che le disposizioni in materia di trattamento favorevole sono efficaci. L'introduzione della possibilità di considerare la disponibilità a cooperare all'individuazione di cartelli come fattore attenuante nel quadro dell'imposizione di ammende, ha riflessi positivi sul suo lavoro e sui relativi risultati. La Commissione ha illustrato come l'imposizione di ammende elevate rafforzi il generale effetto di prevenzione esercitato dalla legislazione antitrust e da quella economica.

2.2   Nel 2008, la Commissione ha proseguito la sua azione decisa contro i cartelli. Essa ha comminato a 34 imprese ammende per 2 miliardi e 271 milioni di euro in sette casi di formazione di cartelli.

Nel 2008 la Commissione ha proceduto a stimare i danni. In tale contesto essa ha esaminato 18 cartelli, che sono stati oggetto di sue decisioni tra il 2005 e il 2007. Essa ha aggiunto un sovrapprezzo compreso tra il 5 % e il 15 % alla produzione di beni delle imprese partecipanti ai cartelli e ha stimato che dai cartelli siano derivati danni compresi tra i 4 e gli 11 miliardi di euro.

Da valutazioni dell'autorità per la concorrenza del Regno Unito (Office of Fair Trading - OFT) emerge che per ogni cartello che viene scoperto ve ne sono altri cinque che possono non essere formati o vengono abbandonati prima di essere scoperti. Secondo questa stima, le 18 decisioni relative a cartelli prese negli anni 2005-2007, tenendo conto anche dell'effetto deterrente, hanno possibilmente evitato un ulteriore danno per i consumatori dell'ordine di 60 miliardi di euro.

3.   Strumenti

3.1   Antitrust - Articoli 81 e 82 del Trattato CE

3.1.1   Il 2 aprile 2008 la Commissione ha adottato il Libro bianco in materia di azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie. A causa dello strumento dell'azione giuridica individuale nei confronti di chi viola le disposizioni in materia di cartelli, questo progetto della Commissione nel campo delle norme antitrust e della concorrenza è stato molto discusso. Il CESE si è pronunciato in favore di uno strumento comunitario che armonizzasse determinati aspetti delle azioni individuali e collettive per il risarcimento dei danni causati dall'infrazione degli articoli 101 e 102 del TFUE.

La Commissione ha inoltre introdotto una procedura semplificata nella lotta contro i cartelli. Il pacchetto concernente la transazione nei procedimenti, entrato in vigore il 1o luglio 2008, è costituito da regolamenti e comunicazioni della Commissione. Grazie a queste disposizioni i soggetti partecipanti a un cartello che si dimostrano ragionevoli e che, dopo che è stato aperto un procedimento e si è consultata la documentazione, riconoscono la propria responsabilità, beneficiano di una riduzione del 10 % dell'ammenda. Ne risulta un'effettiva semplificazione.

3.1.2   Sempre nel 2008, la Commissione ha pubblicato una serie di orientamenti sulle priorità nell'applicazione dell'articolo 82 ai casi di comportamento abusivo delle imprese dominanti volto all'esclusione dei concorrenti. In questo modo la Commissione ha definito il quadro analitico che le consente, ai fini delle sue decisioni, di comprendere e descrivere il processo che comporta danni per i consumatori.

3.1.3   Nel corso del 2008, la Commissione ha anche intrapreso o proseguito la revisione del regolamento di esenzione per categoria applicabile agli accordi verticali, la revisione dell'accordo di esenzione per categoria applicabile al settore automobilistico e la revisione del regolamento di esenzione per categoria applicabile al settore assicurativo.

3.1.4   Applicazione delle norme a casi di diritto d'autore non relativi a cartelli

3.1.4.1   Nel 2008 la Commissione ha vietato alla Confederazione internazionale delle società di autori e compositori di mantenere in essere delle restrizioni basate su clausole di esclusiva nei reciproci accordi bilaterali, e quindi di applicare delimitazioni nazionali.

3.1.4.2   La Commissione è intervenuta anche nel settore degli abusi di posizione dominante, comminando alla Microsoft un'ammenda definitiva dell'importo di 899 milioni di euro. La controversia giudiziaria avviata nel frattempo si è conclusa nel dicembre 2009.

3.2   Misure statali per le imprese pubbliche o le imprese con diritti esclusivi o speciali

3.2.1   A norma dell'articolo 86 del Trattato CE, anche il settore pubblico è oggetto della politica europea di concorrenza.

In questo campo la Commissione ha adottato decisioni relative al monopolio postale e al settore energetico.

3.3   Controllo delle concentrazioni e sorveglianza delle misure correttive

3.3.1   Comunicazione in merito alle misure correttive

In questo campo la Commissione ha pubblicato nell'ottobre 2008 una nuova comunicazione e un regolamento di esecuzione. Entrambi i documenti hanno l'obiettivo di migliorare la protezione dei consumatori e renderla tangibile in termini di prezzi più bassi in questo campo, per esempio mediante requisiti più stringenti in materia di informazione e attraverso la sistematizzazione delle informazioni che devono essere presentate con il prodotto.

3.3.2   Applicazione delle regole

Inoltre la Commissione ha specificato quali risorse e misure sono state messe in campo ai fini della tutela dei consumatori. Anche in questo caso il numero di operazioni notificate alla Commissione nel 2008, in tutto 347 tra concentrazioni e cooperazioni, è stato di nuovo molto elevato. La Commissione ha adottato 340 decisioni definitive.

3.4   Controllo degli aiuti di Stato, definizione delle norme in materia di politica della concorrenza

3.4.1   È questo il campo che la Commissione ha designato nel 2008 come quello in cui vi è la più grande necessità e urgenza di introdurre dei cambiamenti. Nel contesto della crisi finanziaria, essa ha proseguito l'attuazione del piano di azione in materia di aiuti di Stato. Sono state pubblicate tre comunicazioni sul ruolo della politica di aiuti ai fini del superamento della crisi e del processo di ripresa.

3.4.2   Per quanto riguarda lo sviluppo generale delle disposizioni in materia di concorrenza, la Commissione ha adottato, come annunciato, un piano di attuazione del regolamento sulle esenzioni per categoria.

3.4.3   In alcune comunicazioni relative agli aiuti di Stato concessi sotto forma di garanzie (GU C 155 del 20.6.2008 e GU C 244 del 25.9.2008) viene indicato come devono essere calcolati gli elementi di aiuto di una garanzia e vengono previste disposizioni semplificate per le PMI.

3.4.4   Sempre nel 2008 la Commissione ha continuato a impegnarsi per migliorare l'esecuzione e il controllo delle decisioni concernenti gli aiuti di Stato. Essa ha tenuto a dimostrare, grazie alla pubblicazione di casi di applicazione e di esecuzione efficace ed immediata delle decisioni di recupero, la propria intenzione e la propria capacità di limitare gli effetti degli aiuti.

Come aveva già annunciato nel piano d'azione, la Commissione è intervenuta in cinque casi a norma dell'articolo 88, paragrafo 2, e in otto casi a norma dell'articolo 228, paragrafo 2, del Trattato CE, avviando procedimenti contro gli Stati membri che non hanno eseguito in misura sufficiente le decisioni di recupero.

3.4.5   Il quadro di valutazione degli aiuti di Stato per il 2008 evidenzia che gli Stati membri danno seguito all'auspicio della Commissione di un impiego più mirato degli aiuti. Ad esempio, l'80 % degli aiuti concessi dagli Stati membri nel 2007 ha finalità orizzontali.

3.4.6   La DG Concorrenza si è occupata degli aiuti di Stato nell'ambito del quadro comunitario della ricerca, dello sviluppo e dell'innovazione (88 casi).

Nel campo del finanziamento del capitale di rischio per le piccole e medie imprese, la Commissione ha approvato 18 regimi relativi al capitale di rischio a norma degli orientamenti comunitari in materia.

4.   Sviluppi settoriali

4.1   Energia e ambiente

La Commissione ha formulato osservazioni sulla concentrazione nel settore dell'energia e sull'approccio di politica ambientale al cambiamento climatico con la promozione del passaggio a modi di produzione dell'energia che comportino minori emissioni di CO2. Il 10 ottobre il Consiglio dei ministri dell'Energia ha adottato decisioni di compromesso.

Le indagini antitrust in questo campo si concentrano su comportamenti abusivi volti all'esclusione dei concorrenti, abusi di sfruttamento e collusione. In particolare la questione della trasmissione per i nuovi fornitori di energia costituisce spesso oggetto di procedimenti in quasi tutti gli Stati membri.

4.2   Servizi finanziari

4.2.1   Gli aiuti destinati al settore finanziario hanno inciso nel 2008 in misura considerevole sulla concorrenza nel settore dei servizi finanziari.

In questo campo la Commissione europea, insieme agli Stati membri, deve vigilare sugli aiuti di Stato.

4.2.2   La Commissione ha elaborato orientamenti per le misure statali. Essa ha adesso preso in considerazione adeguate misure di ricapitalizzazione degli istituti finanziari e adottato un minimo di provvedimenti in materia di distorsioni sproporzionate della concorrenza. In base a tali disposizioni sono state adottate per oltre 16 Stati membri e per innumerevoli istituti in tali Stati membri una serie di misure concrete concernenti i regimi di garanzia, gli aiuti individuali e gli aiuti di tesoreria.

4.2.3   In tale contesto la Commissione ritiene di avere agito rapidamente per ristabilire la fiducia dei mercati.

4.2.4   Grazie alle misure adottate essa ha dimostrato che la legislazione in materia di concorrenza costituisce un efficace strumento per il superamento delle crisi.

4.3   Strumenti per l'economia reale

4.3.1   La Commissione ha consentito che venissero concessi alle imprese dell'economia reale aiuti di Stato, garanzie sui crediti, prestiti agevolati e aiuti in favore del capitale di rischio.

È stato inoltre semplificato l'onere della prova di disfunzioni del mercato a titolo di presupposto per l'autorizzazione nel mercato dell'assicurazione del credito all'esportazione.

4.4   Comunicazioni elettroniche

4.4.1   In questo campo la Commissione ha promosso la trasformazione dei monopoli nazionali in mercati concorrenziali. La raccomandazione della Commissione del 2007 mostra la sua efficacia. Nel 2008 la maggioranza delle autorità nazionali di regolamentazione è giunta alla conclusione che le specificità nazionali non costituiscono un fattore di ostacolo.

4.4.2   Nel settore delle tecnologie dell'informazione sono state concluse o messe a punto importanti procedure. La relazione della Commissione menziona il passaggio dalle trasmissioni analogiche a quelle digitali, come pure la valutazione critica degli aiuti di Stato concessi a emittenti di diritto pubblico.

4.5   Trasporti

4.5.1   In questo settore, la Commissione menziona procedimenti relativi ai trasporti ferroviari e a quelli intermodali, l'entrata in vigore delle linee guida per gli aiuti di Stato alle imprese ferroviarie, nonché il controllo delle concentrazioni e la promozione del trasporto ferroviario nel trasporto intermodale. Per il trasporto marittimo, la Commissione menziona la prospettiva della conclusione del processo di riforma delle norme di concorrenza in materia. Anche in questo campo, come in quello del trasporto aereo, i servizi di interesse economico generale sono oggetto di particolari attività.

Sono prevedibili ulteriori concentrazioni.

4.5.2   Non viene formulata alcuna osservazione in merito al rispetto delle norme sociali per la concorrenza nel settore dei trasporti.

4.6   Industria farmaceutica

4.6.1   La Commissione ha proceduto a delle verifiche in questo settore sulla base di informazioni e segnalazioni. In particolare essa ha passato al vaglio il settore dell'introduzione sul mercato dei farmaci generici, constatando in generale un rallentamento dell'innovazione.

Sono state effettuate indagini su oltre 100 aziende ed eseguite verifiche a campione su 219 sostanze chimiche.

La Commissione ha constatato che l'istituzione di un brevetto comunitario unico e di una giurisdizione unica in materia di brevetti potrebbero essere utili ai fini della capacità di innovazione in questo settore. La Commissione ritiene che occorrerebbe semplificare le procedure di autorizzazione, di determinazione dei prezzi e di rimborso, che sono attualmente differenti nei vari Stati.

4.7   Prodotti alimentari

4.7.1   La Commissione non ha rilevato alcuna tendenza al consolidamento dei mercati per quanto riguarda i prodotti alimentari e altri settori di approvvigionamento. Essa ha pubblicato due comunicazioni in materia di prezzi alimentari (COM(2008) 321 definitivo e COM(2008) 821 definitivo), che confermano tale constatazione.

5.   Unità per le relazioni con i consumatori

5.1   Nel 2008 la DG Concorrenza ha istituito un'unità per le relazioni con i consumatori, la quale da un lato diffonde informazioni volte a una migliore comprensione dei mercati, e dall'altro raccoglie informazioni e conclusioni sulle disfunzioni dei mercati. Tale unità ha realizzato con buoni risultati consultazioni delle associazioni dei consumatori e ha partecipato al dibattito con il CESE nel quadro dell'elaborazione del parere d'iniziativa sul tema La democrazia economica nel mercato interno, nella speranza che tale collaborazione continui, per fare in modo che la politica della concorrenza persegua il benessere dei consumatori e tuteli gli interessi della società civile.

6.   Rete europea della concorrenza e giurisdizioni nazionali

6.1   La cooperazione tra le autorità nazionali della concorrenza e la DG Concorrenza, nell'ambito della rete europea della concorrenza, si è svolta senza difficoltà nel 2008, tanto da esser definita un successo dalla stessa Commissione.

6.2   Altrettanto vale per l'attività degli organi giurisdizionali nazionali e per la collaborazione con essi.

7.   Attività internazionali

7.1   La Commissione riferisce di avere collaborato con la Cina e la Corea nel 2008 nel quadro della cooperazione internazionale. Essa è attiva nell'ambito dell'OCSE e nella rete internazionale della concorrenza.

8.   Cooperazione interistituzionale

8.1   La DG Concorrenza sottolinea i propri eccellenti contatti con il Parlamento europeo, il Consiglio e il CESE.

9.   Posizione del CESE

9.1   Tutela dei consumatori

9.1.1   Il Comitato si compiace del fatto che la DG Concorrenza abbia dato maggior rilievo alle questioni riguardanti i consumatori, in particolare nel quadro della pubblicazione del suo Libro bianco in materia di azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust, che merita l'approvazione del CESE. Si rammarica tuttavia che più di due anni dopo un meccanismo giudiziario di azione collettiva per la difesa dei consumatori, come quello previsto nello stesso Libro bianco sul quale il CESE si era espresso favorevolmente in più pareri, non sia stato ancora realizzato.

9.1.2   Il Comitato ritiene che il fatto di riconoscere particolare importanza alla cooperazione con la tutela dei consumatori, proseguendo a tutto campo queste attività, non debba andare a discapito della concezione e all'impostazione operativa secondo cui la legislazione antitrust deve coprire altri aspetti oltre alla tutela dei consumatori, come ad esempio:

garantire l'accesso ai diritti e alle libertà fondamentali,

evitare che le strutture libere e democratiche siano compromesse dal potere economico («troppo grandi per fallire»),

evitare posizioni dominanti a livello di sistema o di settore,

protezione delle strutture di PMI.

9.2   Aiuti di Stato

9.2.1   Il CESE accoglie con favore lo sforzo rivolto a sorvegliare il recupero dei prestiti e delle garanzie da parte degli Stati membri, al fine di ristabilire condizioni eque di concorrenza.

9.2.2   Dai resoconti sui singoli procedimenti e dall'introduzione delle nuove misure per la transazione nei procedimenti antitrust, il CESE constata che con il nuovo ventaglio di strumenti la Commissione ha ottenuto buoni risultati. Crede quindi che il diritto procedurale debba sempre essere adattato al mutare delle situazioni.

9.2.3   Nei prossimi decenni la credibilità del diritto europeo della concorrenza sarà messa alla prova nel settore finanziario. In questo settore si sente la mancanza del ripristino di condizioni uniformi per tutti. L'azione della Commissione in questo campo determinerà il livello di fiducia dei cittadini europei nelle istituzioni e nella legislazione europee.

9.2.4   Il CESE invita la Commissione a verificare, nel quadro del controllo degli aiuti di Stato e dei relativi requisiti, che nel settore finanziario la ricapitalizzazione delle banche rimanga collegata al ripristino della funzionalità dei flussi finanziari e dei meccanismi di concessione dei crediti. Gli oneri a carico dei bilanci pubblici si giustificano solo a condizione che si appoggino in maniera sostenibile i compiti dei beneficiari nel quadro dell'economia reale.

9.3   Il CESE chiede alla Commissione di spiegare se, e in che misura, l'approccio caso per caso e la presa in considerazione di opportunità politiche, nell'ambito dell'autorizzazione degli aiuti di Stato al settore finanziario, costituiscano una deviazione duratura dai principi e dalle regole che essa ha finora applicato, e se le autorizzazioni a norma dell'articolo 107 (2A3) saranno estese in futuro anche ad altri settori che rivestono importanza sistemica, ad esempio per il mercato del lavoro (industria automobilistica).

9.4   Servizi di interesse generale

9.4.1   Il Comitato apprezza gli sforzi della Commissione rivolti ad affermare una normativa che difenda gli interessi dei consumatori nel campo della fornitura di elettricità e di gas, dei servizi di telefonia e dei servizi di trasporto.

9.5   Trasporti

9.5.1   Il Comitato sostiene gli sforzi della Comunità europea.

Nel parere in merito alla relazione 2007 il Comitato constatava che il rispetto delle disposizioni sociali in questo settore contiene un aspetto relativo alla concorrenza.

9.5.2   Nell'interesse dei lavoratori del settore trasporti, il Comitato invita a dedicare maggiore attenzione a tale questione. Nel settore europeo dei trasporti permane un divario tra le norme sociali, che ha l'effetto di falsare la concorrenza. Il CESE ritiene che in questo campo la Commissione dovrebbe opporre agli Stati membri una resistenza più ferma.

9.6   Comunicazioni elettroniche e media

9.6.1   Il CESE ritiene che siano in gioco non soltanto gli interessi dei consumatori, ma anche quelli della democrazia, della trasparenza e della libertà di espressione della società civile e che essi siano obiettivi da tenere in maggiore considerazione.

9.7   Unità per le relazioni con i consumatori

9.7.1   Il Comitato si compiace del fatto che sia stata istituita l'unità per le relazioni con i consumatori ed esprime il proprio sostegno alla Commissione nel quadro del suo sviluppo.

9.8   Reti europee e collaborazione degli Stati membri

9.8.1   Il Comitato constata che la rete europea della concorrenza funziona sia tra le autorità nazionali che tra organi giudiziari.

9.8.2   Esso ritiene che a livello internazionale non venga ancora riconosciuta la dovuta importanza al diritto della concorrenza.

9.8.3   Già nel parere in merito alla relazione 2007 il Comitato si è espresso in maniera chiara in merito alla rilevanza, in termini di diritto della concorrenza, del dumping sociale, del mancato rispetto delle norme sul lavoro, nonché dell'inosservanza delle disposizioni ambientali. A suo tempo ha invitato la Commissione a riferire in materia. Constata che ciò non è avvenuto e ritiene che bisognerebbe provvedere adesso.

9.8.4   Il CESE invita la Commissione ad armonizzare la politica industriale e quella della concorrenza.

9.9   Concorrenza e globalizzazione

9.9.1   Il CESE chiede che nel giudicare in merito a questioni di concorrenza venga tenuto conto anche di aspetti relativi alla globalizzazione, in particolare delle direttrici del GATT e dell'OMC.

9.9.2   Un tema che a giudizio del Comitato manca nella relazione 2008 è quello dell'azione relativa agli effetti distorsivi della concorrenza attribuibili alla proprietà statale di holding finanziarie, anche al di fuori dell'UE. Suscitano inoltre preoccupazione le ripercussioni dell'acquisto di imprese europee da parte di fondi di altri Stati, anche non appartenenti all'UE, e la realizzazione di interessi statali strategici attraverso partecipazioni in capitale azionario.

10.   Concorrenza e diritto d'autore

10.1   Occorrerebbe aggiungere una valutazione della componente concorrenziale del diritto d'autore.

10.2   Il commercio equo e solidale e il libero scambio possono essere attuati solo a certe condizioni in presenza di violazioni del diritto d'autore. Anche il diritto della concorrenza costituisce un'arma efficace in questo campo, che si raccomanda alla Commissione di tenere presente.

11.   Cooperazione con altri organismi europei

11.1   Il CESE sottolinea la propria disponibilità.

Bruxelles, 14 luglio 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/148


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni e degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato successorio europeo

COM(2009) 154 def. — 2009/0157 (COD)

2011/C 44/25

Relatore: CAPPELLINI

Il Consiglio, in data 20 novembre 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni e degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato successorio europeo

COM(2009) 154 definitivo — 2009/0157 (COD).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 15 giugno 2010.

Alla sua 464a sessione plenaria, dei giorni 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 14 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 119 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la proposta di regolamento in esame (PR) e riconosce, tuttavia, che è meno ambiziosa rispetto alle prospettive contenute nel Libro verde e ancor meno rispetto alle proposte formulate dal CESE nel suo parere del 26 ottobre 2005.

1.2   Il Comitato reputa che la PR costituisca uno strumento importante per la società civile, atto ad accrescere la prevedibilità del diritto e ad agevolare soluzioni rapide ed efficienti sul piano dei costi in materia di successioni internazionali negli Stati membri dell'UE. Il CESE richiama l'attenzione della Commissione sulla necessità di rivedere le varie versioni linguistiche della PR e di garantire la loro coerenza e l'utilizzo di una terminologia giuridica corretta.

1.3   Il Comitato esprime tuttavia alcune preoccupazioni, in particolare riguardo al ruolo delle leggi di paesi non appartenenti all'UE e ad alcune caratteristiche del certificato successorio. Per fugare queste preoccupazioni esso raccomanda di riformulare l'articolo 26 e di allungare il termine previsto nel secondo paragrafo dell'articolo 43. Per illustrare e analizzare in maniera approfondita un testo complesso come quello della PR, sarebbe necessario un documento di lavoro ben più lungo di questo, che però andrebbe oltre gli standard ordinari del CESE.

1.4   Il Comitato raccomanda vivamente di apportare alla PR le seguenti modifiche:

i.

nei punti 1.2 e 3.2 della relazione introduttiva alla PR, riformulare due frasi come segue: «le diversità normative ostacolano e ritardano altresì l'esercizio del diritto di proprietà sui beni del defunto da parte dei legittimi eredi» e «un'azione unilaterale degli Stati membri non sarebbe sufficiente per raggiungere tutti gli obiettivi della proposta di regolamento» (cfr. i punti 3.4.3 e 3.4.4 del presente parere);

ii.

nell'articolo 1, paragrafo 1, della PR, chiarire espressamente che il regolamento si applica soltanto alle «situazioni aventi carattere internazionale» (cfr. il punto 4.1.1 del presente parere);

iii.

nell'articolo 21, paragrafo 1, della PR, sostituire l'aggettivo «ulteriori» con l'aggettivo «aggiuntivi» o «diversi», in tutte le versioni linguistiche (cfr. il punto 4.3.8 del presente parere);

iv.

riformulare l'articolo 25 della PR («Carattere universale») come segue: «Il presente regolamento designa la legge applicabile, anche nel caso in cui non sia la legge di uno Stato membro» (cfr. il punto 4.3.9 del presente parere);

v.

riformulare l'articolo 26 della PR («Rinvio») come segue: «Se la persona della cui successione si tratta non ha designato la legge applicabile ai sensi dell'articolo 17, e se la legge applicabile in base al presente regolamento è quella di un paese terzo le cui norme di diritto internazionale privato designano come applicabile la legge di uno Stato membro o di un altro paese terzo che applicherebbe la propria, si applica la legge di questo altro Stato. Il presente articolo non si applica al patto successorio che, in base ai criteri di collegamento di cui all'articolo 18, paragrafo 2, sia disciplinato dalla legge con la quale presenta i legami più stretti.» (cfr. il punto 4.3.10.1 del presente parere);

vi.

nell'articolo 27 della PR, inserire l'avverbio «manifestamente» per qualificare l'aggettivo «incompatibile» (in tutte le versioni linguistiche) e l'aggettivo «internazionale» per qualificare l'espressione «ordine pubblico» (almeno nelle versioni francese e italiana) (cfr. il punto 4.3.11 del presente parere);

vii.

nell'articolo 27, paragrafo 2, della PR, sostituire il termine «modalità» con il termine «disposizioni», in tutte le versioni linguistiche (cfr. il punto 4.3.12 del presente parere);

viii.

estendere a nove o a dodici mesi il periodo di validità delle copie autentiche del certificato successorio di cui all'articolo 43, paragrafo 2 (cfr. il punto 4.6.1 del presente parere).

2.   Contesto

2.1   La PR affronta un tema complesso, che è importante per chiunque risieda abitualmente nell'Unione europea (con alcune estensioni di cui all'articolo 6), indipendentemente dalla sua nazionalità. Il Libro verde sulle successioni e sui testamenti (1) ha aperto un ampio processo di consultazione in materia di successioni internazionali ab intestato e testamentarie.

2.2   L'importanza della PR sul piano pratico, in quanto strumento di fissazione di norme uniformi, deriva dal fatto che le norme giuridiche vigenti variano da uno Stato membro all'altro per quanto concerne:

a)

la determinazione del diritto applicabile;

b)

la competenza giurisdizionale dei giudici degli Stati membri nelle controversie in materia di testamenti e successioni internazionali;

c)

le condizioni di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni giudiziarie emesse in un altro Stato membro; e

d)

le condizioni di riconoscimento ed esecuzione degli atti pubblici formati in un altro Stato membro.

2.3   Per ragioni di chiarezza, la PR mira a creare un regime uniforme per queste norme, che rientrano tutte nel diritto internazionale privato e subordinano gli effetti dei testamenti e delle successioni internazionali al diritto sostanziale loro applicabile in base alla specifica norma di diritto internazionale privato (contenuta nella PR) del foro (uno Stato membro dell'UE). Nel contempo, però, la PR non è intesa a produrre di per sé alcun effetto sul diritto sostanziale interno degli Stati membri dell'UE che disciplina lo stato giuridico, i diritti e gli obblighi degli eredi riguardo ai beni (o al patrimonio) del defunto. Inoltre, il certificato successorio europeo, introdotto dal Capo VI della PR, non costituisce un'eccezione al riguardo, ma concerne invece la prova di una determinata qualità giuridica o di determinati poteri e non implica alcuna norma sostanziale interna uniforme in materia di condizioni necessarie per acquisire tale qualità o tali poteri. Più in generale, al di là cioè del caso della PR, il diritto sostanziale dei singoli Stati membri non rientra nell'ambito di competenza attribuito all'UE dall'articolo 65, lettera b), del Trattato.

3.   Osservazioni generali

3.1   Nel suo parere (2) in merito al Libro verde: Successioni e testamenti, il CESE ha, tra l'altro:

a)

accolto con favore tale Libro verde, ritenendo che «i problemi che esso solleva siano fondamentali e urgenti»;

b)

richiamato l'attenzione della Commissione «sui problemi fiscali che possono insorgere per gli eredi, quando i beni ereditari si trovino in due o più paesi»; e

c)

dimostrato apertamente la propria attenzione al riguardo «perché ritiene che quella testamentaria e successoria sia una materia di grande interesse per i cittadini europei. Questi, infatti, si attendono che l'iniziativa comunitaria semplifichi le formalità, aumenti la certezza sul regime giuridico e fiscale applicabile e acceleri la risoluzione delle controversie in materia di successioni internazionali, e tali aspettative non devono essere deluse».

3.2   Quattro anni dopo l'esame del Libro verde, l'attenzione dimostrata dal CESE per la materia testamentaria e successoria, ritenuta «di grande interesse per i cittadini europei», va aggiornata sotto il profilo della struttura e delle disposizioni concrete presentate dalla Commissione nella sua PR.

3.3   Portata della PR e soggetti interessati

3.3.1   Occorre rammentare che nel parere citato (3) il CESE invitava la Commissione a tener conto dei problemi fiscali ed esprimeva le attese dei cittadini riguardo a una maggiore «certezza sul regime (…) fiscale applicabile». Tuttavia, se si considera il campo di applicazione della PR, si osserva che, anche a causa delle ristrette competenze attribuite all'UE dall'articolo 65 del Trattato, la PR verte sugli aspetti di diritto internazionale privato in materia di testamenti e successioni e non è intesa ad avere un effetto diretto sugli ordinamenti interni degli Stati membri per quanto concerne gli aspetti fiscali dei testamenti e delle successioni internazionali.

3.3.2   Mentre il testamento è un atto che una persona può compiere e revocare finché è ancora in vita, e le disposizioni sulla successione si applicano subito dopo il decesso, sia il testamento che la successione divengono efficaci, ossia producono effetti giuridici, solo con la morte del de cuius, disciplinandone le conseguenze sul piano patrimoniale. La PR interessa pertanto chiunque, qualsiasi categoria di soggetti interessati della società civile.

3.3.3   Tuttavia, per chiarire il campo di applicazione della PR, va osservato che essa:

a)

si applica solo ai testamenti e alle successioni che presentano un carattere internazionale (carattere che la PR non definisce) e non alle ben più numerose successioni esclusivamente nazionali; e

b)

si applica agli individui, ossia alle persone fisiche, e non alle persone giuridiche (siano queste di diritto pubblico o di diritto privato).

3.4   Obiettivi e principio di sussidiarietà

3.4.1   Senza dubbio, il carattere uniforme e vincolante di un regolamento dell'UE per gli Stati membri, i loro ordinamenti giuridici e i loro organi giurisdizionali farà sì che la PR accresca notevolmente la prevedibilità del diritto in tutti gli ambiti da essa disciplinati. Questo effetto rappresenta il valore aggiunto diretto della PR. Garantire la qualità e l'accuratezza della formulazione delle norme in essa contenute deve essere una priorità.

3.4.2   L'obiettivo dichiarato di «eliminare qualsiasi ostacolo alla libera circolazione delle persone» non dovrebbe indurre a trascurare il fatto che la questione se un individuo possieda o meno la qualità di «erede» e sia o meno titolare di «diritti» giuridici sui beni del defunto in uno Stato membro dell'UE non deve essere decisa da disposizioni di diritto internazionale privato (che forma oggetto della PR) bensì dalle norme sostanziali dettate in materia di testamenti e successioni dai diritti interni applicabili degli Stati membri. Al riguardo la PR non comporta alcuna modifica, poiché non uniforma tali norme sostanziali. In seguito all'entrata in vigore del Trattato di Lisbona sarebbe opportuno riesaminare la relazione introduttiva alla proposta e, se necessario, modificarla. Il CESE rinnova l'appello che ha rivolto in merito alla posizione del Regno Unito, dell'Irlanda e della Danimarca affinché questi Stati membri esprimano la loro volontà di applicare il regolamento in esame.

3.4.3   Chiarito questo aspetto, il punto 1.2 della relazione introduttiva alla PR contiene una constatazione senz'altro esatta («le persone nell'Unione (…) hanno quindi grandi difficoltà a esercitare i loro diritti nell'ambito di una successione internazionale») e una conclusione meno convincente e di ampia portata, estesa com'è al diritto di proprietà («Le diversità normative impediscono altresì il pieno esercizio del diritto di proprietà privata»). Sembra invece più accurato e appropriato adottare una formulazione più tenue, come ad esempio: «le diversità normative ostacolano e ritardano altresì l'esercizio del diritto di proprietà sui beni del defunto da parte dei legittimi eredi».

3.4.4   Appare quindi eccessivo l'uso dell'aggettivo «contraria» nel contesto dell'affermazione per cui «un'azione unilaterale degli Stati membri sarebbe quindi contraria a tale obiettivo». Se gli Stati membri lo desiderano, essi possono, a prescindere dal regolamento in esame, perseguire almeno l'obiettivo di uniformare la determinazione della legge applicabile ratificando la Convenzione dell'Aia del 1989 sulle successioni mortis causa. Il CESE ritiene che al riguardo sia più appropriato adottare una formulazione più tenue, come ad esempio «un'azione unilaterale degli Stati membri non sarebbe sufficiente per raggiungere tutti gli obiettivi della proposta di regolamento».

4.   Osservazioni specifiche

4.1   Capo I - Ambito di applicazione e struttura

4.1.1   La PR è destinata ad applicarsi ai testamenti e alle successioni che presentano un carattere internazionale; nel contempo, però, essa non fornisce alcuna definizione di tale carattere. Per chiarezza, è opportuno menzionare espressamente nel testo che la PR si applica soltanto alle «situazioni aventi carattere internazionale».

4.1.2   Come si desume dal titolo, la PR copre sia la competenza giurisdizionale (Capo II) che il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni (Capo IV), ossia i due rami del diritto internazionale privato che, eccezion fatta per le regole sulla legge applicabile, sono soggetti al regolamento (CE) n. 44/2001 del 22 dicembre 2000 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, che esclude dal proprio ambito di applicazione i testamenti e le successioni. Questa lacuna spiega l'importanza della decisione di far sì che la PR copra - e detti regole uniformi per - tutti e tre i rami del diritto internazionale privato, ossia la legge applicabile, la competenza giurisdizionale e il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia di successioni internazionali.

4.2   Capo II - Competenza

4.2.1   Il Capo II (articoli da 3 a 15) riguarda la «competenza», e le sue disposizioni si applicano a tutti gli organi giurisdizionali degli Stati membri e, solo in quanto necessario, anche alle autorità non giudiziarie.

4.2.2   La competenza generale è attribuita agli organi giurisdizionali dello Stato membro nel cui territorio il de cuius aveva la residenza abituale al momento della morte. È chiaro, quindi, che non si pone alcuna condizione quanto alla nazionalità. Val la pena di notare che anche il regime generale dell'UE sulla competenza giurisdizionale, o lex generalis, ossia il regolamento (CE) n. 44/2001, attribuisce una competenza generale sulla base del domicilio, tralasciando qualsiasi considerazione sulla nazionalità.

In base alla PR, questa competenza generale si applica ai cittadini dell'UE (deceduti) ma anche alle persone defunte che, pur non essendo cittadini dell'UE, al momento della morte avevano la residenza abituale in uno Stato membro dell'Unione.

4.2.3   Qualora, al momento della morte, il de cuius non risiedesse abitualmente in alcuno Stato membro, gli organi giurisdizionali di uno Stato membro hanno comunque una «competenza residua» in una serie di casi, che estendono la competenza dei giudici degli Stati membri dell'UE ben oltre il semplice caso in cui il luogo di residenza abituale del defunto al momento della morte si trovi in uno Stato membro. La nazionalità non è una condizione ai fini della competenza generale, ma diviene un motivo di competenza residua.

4.2.4   Gli organi giurisdizionali dello Stato membro nel quale si trovano i beni non hanno di per sé alcuna competenza generale in base alla PR, con una parziale eccezione per quanto concerne il trasferimento della proprietà o la sua iscrizione o trascrizione nei pubblici registri.

4.3   Capo III - Legge applicabile

4.3.1   Il Capo III contiene norme uniformi (articoli da 16 a 28) in materia di legge applicabile. La regola generale è che la legge applicabile all'intera successione è quella dello Stato in cui il defunto aveva la residenza abituale al momento della morte. Al riguardo non viene posta nessun'altra condizione, come ad esempio la nazionalità, e non si fa alcuna distinzione tra beni mobili e immobili.

4.3.2   Si noti che le norme sui conflitti di leggi contenute nella PR, che devono essere applicate dai giudici degli Stati membri, determinano la legge applicabile prescindendo dal fatto che essa sia quella di uno Stato membro dell'UE oppure no (articolo 25).

4.3.3   Tradizionalmente, il diritto internazionale privato riconosce «l'autonomia delle parti», vale a dire la possibilità che le parti decidano quale legge applicare in materia contrattuale. In base alla PR, una persona può scegliere la legge applicabile alla sua intera successione, ma detta legge può essere solo quella dello Stato di cui ha la cittadinanza.

4.3.4   Per una maggiore prevedibilità del diritto, tale scelta deve essere espressa ed effettuata a mezzo di dichiarazione resa nella forma di disposizione mortis causa.

4.3.5   Un tema diverso, da non confondere con la designazione della legge disciplinante la propria intera successione, è quello dei «patti successori». Il patto avente a oggetto la successione di una persona è disciplinato dalla legge che sarebbe stata applicabile, in forza della PR, alla successione di tale persona se questa fosse deceduta il giorno della conclusione dell'accordo. In questi casi si ricorre a criteri di collegamento alternativi ispirati al principio del favor validatis.

4.3.6   Dal punto di vista sia comparatistico che di diritto uniforme, una questione molto importante è quella dell'ambito della legge applicabile. La PR estende questo ambito in modo tale che detta legge si applichi all'intera successione, dal momento della sua apertura fino alla trasmissione definitiva dell'eredità agli aventi diritto. La ratio è chiaramente quella di coprire il maggior numero possibile di questioni giuridiche con un'unica legge applicabile, al fine di accrescere la prevedibilità del diritto e di ridurre la consultazione, lunga e complessa, di più di una legge (spesso straniera). La PR fornisce un elenco lungo e non esaustivo di aspetti disciplinati dalla legge applicabile, includendo così anche gli aspetti non elencati ma comunque attinenti alla successione, dal momento della sua apertura fino alla trasmissione definitiva dell'eredità agli aventi diritto.

4.3.7   La legge applicabile disciplina la successione nel suo insieme, dal momento della sua apertura fino alla trasmissione definitiva dell'eredità agli aventi diritto, ma non osta all'applicazione della legge dello Stato nel quale è situato il bene, qualora tale legge prescriva, per l'accettazione dell'eredità o di un legato o la rinuncia ad essi, ulteriori adempimenti rispetto a quelli previsti dalla legge applicabile alla successione.

4.3.8   Riguardo a questa disposizione, il CESE raccomanda di chiarire se, nella frase «ulteriori adempimenti rispetto a quelli» (articolo 21, paragrafo 1), l'aggettivo «ulteriori» (interpretabile anche nell'accezione di «successivi») sia quello appropriato o se invece si intenda piuttosto «adempimenti aggiuntivi» o «adempimenti diversi». Nel contesto di questa disposizione, infatti, si ritiene che sia preferibile utilizzare l'aggettivo «aggiuntivi» o «diversi».

4.3.9   Il CESE è dell'avviso che la formulazione impiegata nell'articolo 25, in materia di «carattere universale», debba riflettere chiaramente solo quello che è l'effettivo scopo del Capo III del futuro regolamento, ossia la determinazione della legge applicabile. Sarebbe dunque preferibile impiegare una formulazione più semplice, come la seguente: «Il presente regolamento designa la legge applicabile, anche nel caso in cui non sia la legge di uno Stato membro».

4.3.10   Se si tralascia il caso della scelta della propria legge nazionale da parte del de cuius (articolo 17), per il regolamento in esame la legge applicabile è in generale quella del foro della successione, ossia quella dello Stato membro in cui il de cuius aveva la residenza abituale al momento della morte. Tuttavia, in virtù della competenza residua (di cui all'articolo 6), potrebbe essere applicabile la legge di uno Stato che non è membro dell'UE. In questi casi occorre evitare che il regolamento proposto pregiudichi l'unità dei criteri di collegamento che potrebbero già esistere con alcuni paesi terzi (un'unità che va a vantaggio di qualsiasi de cuius e dei suoi eredi) e imponga l'applicazione delle leggi di uno Stato che, dal punto di vista del proprio ordinamento giuridico, non le consideri applicabili alla successione in questione. Al fine di evitare questa evenienza e garantire un coordinamento migliore ed equilibrato tra Stati membri e paesi terzi, si raccomanda di sostituire come segue il testo attuale dell'articolo 26 (lasciandone immutata la rubrica «Rinvio»):

4.3.10.1

«Se la persona della cui successione si tratta non ha designato la legge applicabile ai sensi dell'articolo 17, e se la legge applicabile in base al presente regolamento è quella di un paese terzo le cui norme di diritto internazionale privato designano come applicabile la legge di uno Stato membro o di un altro paese terzo che applicherebbe la propria, si applica la legge di questo altro Stato. Il presente articolo non si applica al patto successorio che, in base ai criteri di collegamento di cui all'articolo 18, paragrafo 2, sia disciplinato dalla legge con la quale presenta i legami più stretti.»

4.3.10.2

Questa nuova disposizione adegua il regolamento proposto (4) e cerca di migliorare (5) un'analoga disposizione inserita per gli stessi motivi nell'importante Convenzione dell'Aia sulle successioni mortis causa, vale a dire: «perché la maggior parte delle delegazioni (…) riconosce che si tratta di un tentativo di non distruggere l'unità laddove già esiste» (6). Inoltre, la flessibilità offerta da questa disposizione (il nuovo articolo 26) è in linea con la normativa e la prassi in materia di rinvio vigenti in alcuni paesi terzi, come ad esempio gli Stati Uniti (7).

Il fatto che i regolamenti «Roma I» e «Roma II» abbiano escluso radicalmente qualsiasi disposizione in materia di rinvio rispecchia semplicemente il fatto che l'oggetto di tali regolamenti (rispettivamente le obbligazioni contrattuali e quelle non contrattuali) è molto diverso dalle questioni riguardanti le successioni. L'esclusione di tale materia dai due suddetti regolamenti non rappresenta quindi di per sé un motivo plausibile per escludere dal regolamento in esame la nuova disposizione dianzi proposta (riformulando l'articolo 26): in ambito successorio, infatti, essa riveste una fondamentale importanza ed è utile sia per qualsiasi de cuius e per i suoi eredi che ai fini di un coordinamento più equilibrato dei criteri di collegamento tra Stati membri e paesi terzi.

4.3.11   Una disposizione «classica» e tuttavia fondamentale è quella contenuta nel paragrafo 1 dell'articolo 27 in materia di ordine pubblico. Seguendo una consuetudine ormai consolidata, si raccomanda peraltro di aggiungere l'avverbio «manifestamente» all'espressione «incompatibile con l'ordine pubblico» in tutte le versioni linguistiche del regolamento proposto e di aggiungere l'aggettivo «internazionale» all'espressione «ordine pubblico» almeno nelle versioni francese e italiana (nonché in ogni altra versione linguistica in cui tale aggiunta sia appropriata). Innovativa e utile è invece l'esclusione, specificamente concepita per la materia delle successioni, della contrarietà della legge designata dal regolamento all'ordine pubblico «per il solo fatto che le modalità da quella (legge) previste in relazione alla legittima differiscono dalle modalità vigenti nel foro».

4.3.12   Tuttavia, in alcune versioni linguistiche (compresa quella italiana), la formulazione del paragrafo 2 dell'articolo 27 non è conforme a quella che figura nella versione in lingua inglese, nella parte in cui quest'ultima recita: «(…) its clauses regarding (…)» (che nella versione italiana, già riportata nel punto precedente, diventa: «(…) le modalità (…) previste in relazione alla (…)»). Al riguardo si raccomanda di sostituire, nella versione in lingua inglese, il sostantivo «clauses» con il sostantivo «provisions» e sostituire quindi, in tutte le altre versioni linguistiche, il termine «modalità» con il termine «disposizioni».

4.4   Capo IV - Riconoscimento ed esecuzione

4.4.1   Sul modello del regolamento (CE) n. 44/2001, il Capo IV della PR comprende gli articoli da 29 a 33 in merito al riconoscimento.

4.4.2   Una semplificazione delle successioni internazionali in Europa potrà derivare dal principio secondo cui le decisioni emesse in uno Stato membro dell'UE in applicazione della PR sono riconosciute negli altri Stati membri senza che siano necessari ulteriori procedimenti.

4.4.3   La decisione emessa in uno Stato membro non può formare oggetto di un riesame del merito nello Stato membro nel quale si richiede il riconoscimento, e non è riconosciuta solo in quattro casi.

4.5   Capo V - Atti pubblici

4.5.1   Un'ulteriore notevole semplificazione delle successioni internazionali deriverà dal fatto che, in base alla PR, gli atti pubblici formati in uno Stato membro (che sono comuni nei casi di successione) sono riconosciuti negli altri Stati membri.

4.6   Capo VI - Certificato successorio europeo

4.6.1   Il certificato successorio europeo introdotto dalla PR costituisce la prova della qualità di erede o di legatario o dei poteri degli esecutori testamentari o dei terzi amministratori. Si raccomanda inoltre di estendere da tre a nove o a dodici mesi il periodo di validità delle copie autentiche (del certificato) di cui all'articolo 43, paragrafo 2.

4.6.2   Il modulo di domanda del certificato dovrebbe essere semplificato eliminando le informazioni inutili richieste al punto 4.7.

Bruxelles, 14 luglio 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  COM(2005) 65 definitivo.

(2)  GU C 28 del 3.2.2006, pag. 1.

(3)  GU C 28 del 3.2.2006, pag. 1.

(4)  Estendendo l'operazione di rinvio dai paesi terzi agli Stati membri.

(5)  Escludendo i suoi effetti non solo nel caso di professio iuris (articolo 17), ma anche riguardo alle differenze di natura e metodologia tra i criteri di collegamento (clausole di deroga, come la legge con cui il patto successorio «presenta i legami più stretti» di cui all'articolo 18, paragrafo 2).

(6)  Cfr. la relazione di D.W.M. Waters negli Atti e documenti della XVI sessione della Conferenza dell'Aia di diritto internazionale privato (3-20 ottobre 1988), 1990, tomo II, pag. 553, nonché l'articolo 4 della Convenzione sulla legge applicabile alle successioni mortis causa (L'Aia, 1o agosto 1989) («Convenzione dell'Aia»). Cfr. anche P. Lagarde, La nouvelle Convention de la Haye sur la loi applicable aux successions, Revue critique de droit international privé, 1989, pag. 249 (258).

(7)  Con riferimento all'articolo 4 della Convenzione dell'Aia, cfr. E. F. Scoles, The Hague Convention on Succession, American Journal of Comparative Law, 1994, pag. 85 (113).


11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/153


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Monitoraggio globale per l'ambiente e la sicurezza (GMES): sfide e fasi successive per la componente spaziale

COM(2009) 589 def.

2011/C 44/26

Relatore: IOZIA

La Commissione europea, in data 28 ottobre 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Monitoraggio globale per l'ambiente e la sicurezza (GMES): sfide e fasi successive per la componente spaziale

COM(2009) 589 definitivo.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 15 giugno 2010.

Alla sua 464a sessione plenaria, dei giorni 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 14 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 135 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie favorevolmente la comunicazione della Commissione, auspicando che ne scaturiscano decisioni operative, finanziamenti e politiche coerenti da parte degli organi decisionali con le proposte e le indicazioni contenute.

1.2

Il CESE si è sempre dichiarato favorevole alle proposte della Commissione in materia di politica spaziale: una delle priorità tecnologiche da sviluppare con maggiore intensità. L'uso responsabile e sostenibile a fini civili e pacifici dello spazio è uno strumento formidabile di sviluppo.

1.3

La ricerca spaziale in generale, ed il GMES in particolare, si iscrive di diritto nella «nuova economia verde». Lo sviluppo delle applicazioni in agricoltura, nella gestione dei cambiamenti climatici, nella accuratezza delle previsioni meteo, nella gestione del territorio sono alla base di un nuovo modello che vede lo sviluppo sostenibile come asse prioritario dell'innovazione e della ricerca tecnologica.

1.4

Il CESE condivide le preoccupazioni della Commissione sulla carenza di indicazioni circa lo spazio temporale applicativo del programma. Il CESE ritiene che tale programma dovrebbe essere scadenzato almeno fino al 2030, prevedendo anche funzioni fondamentali per gli anni successivi.

1.5

Il CESE ritiene che le risorse finanziarie siano insufficienti sia perché non tengono conto dell'andamento dei prezzi delle componenti tecnologiche dei satelliti Sentinel, sia per la scarsità della quota destinata alla R&S in particolare per le esigenze di raccogliere dati in materia di lotta al cambiamento climatico e per la sicurezza. Sono necessari almeno altri 700/800 milioni per il periodo 2014-2020, per far fronte al fabbisogno. I costi dei lanci sono considerevolmente aumentati, così come lo sono quelli degli apparati elettronici.

1.6

Il «sogno spaziale», che ha coinvolto intere generazioni, dovrebbe essere rilanciato, con programmi ambiziosi. Far riavvicinare i giovani agli studi spaziali, offrire progetti stabili di occupazione, sottolineando l'alto valore sociale di progetti come il GMES, che possono contribuire a ridurre gli effetti negativi del cambiamento climatico, ad aiutare le attività umane, aiutando a prevedere i fenomeni estremi quali inondazioni e lunghi periodi di siccità. Il monitoraggio delle emissioni nocive nell'atmosfera consentirà di verificare l'efficacia delle azioni adottate per ridurre la CO2, ad esempio, oppure a prendere le misure giuste in caso di violazioni alle leggi sul traffico di esseri umani, in coordinamento con le attività di Frontex.

1.7

Il GMES può dare un decisivo contributo alla politica di gestione dei rifiuti, individuando i siti illegali, gli svasi di sostanze tossiche. È indispensabile che il programma spaziale GMES si occupi anche dei rifiuti «spaziali», cioè del recupero nello spazio delle stazioni esaurite, dei satelliti che non trasmettono più. Il programma ESA sulla sorveglianza nello spazio, in collaborazione con il sistema tedesco TIRA, può contribuire a tenere sotto controllo la miriade di detriti spaziali. Dal 1957 sono stati lanciati più di 5 000 satelliti e attualmente se ne lanciano circa uno ogni due giorni.

1.8

La ricaduta positiva di un programma con un respiro temporale adeguato, può consentire secondo il CESE un sicuro volano virtuoso per il coinvolgimento diretto del mondo delle imprese pubbliche e private del settore, consentendo loro una programmazione degli investimenti verso i campi di sviluppo delle tecnologie per il conseguimento di sistemi di rilevamento sempre più efficienti in termini di costo e di prestazioni. La capacità di attrarre investimenti privati, di creare un mercato di servizi, sarà fondamentale per il successo dell'intera operazione.

1.9

Gli Stati membri non attivi ed ancora oggi lontani da una politica spaziale potrebbero trarre dalla certezza della continuità dei programmi comunitari la garanzia nell'intraprendere loro iniziative. Il CESE in questa direzione valuta positivamente per il riequilibrio delle conoscenze e dell'impegno nel mondo della politica spaziale la decisione del febbraio 2010 di istituire il «Consiglio dei soci GMES» con la presenza attiva dei 27 Stati membri. Tale organismo dovrebbe essere aperto a rappresentanti della società civile.

1.10

La disponibilità di un programma a lungo termine costituirebbe inoltre la strada per rappresentare una maggiore forza ed un maggiore peso politico dell'UE nei confronti delle altre aree mondiali che oggi operano nel settore spaziale e può costituire un elemento positivo per la contrattazione del necessario contributo finanziario che potrebbe scaturire dall'accesso ai programmi ed ai risultati per le missioni non controllate dall'UE.

1.11

Il GMES è in grado di dare un contributo di enorme rilevanza in diversi settori cruciali, come l'oceanografia, il controllo della qualità dell'aria, la fornitura di mappe di precisione relative all'utilizzo della Terra, la fornitura in tempi rapidi di mappe delle zone colpite da disastri naturali, fornendo in questo modo un supporto insostituibile alle protezioni civili.

1.12

L'esigenza di disporre di risorse di notevoli entità non può secondo il CESE costituire in questa fase di crisi economica profonda un elemento di rallentamento di tali investimenti ma al contrario, mobilitando il massimo delle risorse disponibili e con il supporto di una opinione pubblica informata di tutte le potenzialità, il programma GMES può contribuire ad una anticipata uscita dalla crisi attraverso la disponibilità di un potenziale scientifico e produttivo formidabile con le ricadute positive conseguenti, in grado di ridare all'UE quella leadership nel settore oggi in declino.

2.   Introduzione

2.1

La decisione dell'UE di dotarsi di un sistema integrato europeo di osservazione della Terra per fornire informazioni e servizi in campo ambientale e della sicurezza, noto come Monitoraggio globale per l'ambiente e la sicurezza (GMES), costituisce una scelta strategica che consente all'UE di mantenere e rafforzare la sua posizione di leadership nel campo delle attività civili aerospaziali.

2.2

Secondo le linee generali definite dal piano d'azione della Commissione europea del 2001, l'iniziativa GMES intende abbinare le esigenze della società in materia di ambiente e sicurezza con le avanzate capacità tecniche e operative offerte dai sistemi di osservazione terrestri e da satellite. Essa rappresenta una risposta per garantire tempestivamente l'accesso alle informazioni ambientali su scala mondiale, regionale e locale, senza mettere a rischio l'indipendenza nei seguenti settori: sviluppo sostenibile, cambiamenti climatici su scala mondiale, politica di difesa e di sicurezza comune, spazio europeo della ricerca, strategia europea per lo spazio.

2.3

Il sistema è basato sull'analisi di dati relativi all'osservazione della Terra forniti da satelliti e da reti di monitoraggio in situ; una volta analizzati e coordinati, questi dati saranno messi a disposizione degli utilizzatori finali: autorità e agenzie nazionali, regionali e locali, organizzazioni ambientali e di protezione civile, ecc. Il GMES è un'iniziativa promossa ed attuata congiuntamente dall'Unione europea (UE) e dall'Agenzia spaziale europea (ESA). Nell'ambito di tale iniziativa, l'ESA contribuisce in modo determinante allo sviluppo della componente spaziale e l'UE agisce come promotore e aggregatore della domanda.

2.4

Il programma GMES si articola in tre parti: la componente spazio, la componente in situ e la componente servizi, per la quale la Commissione ha emanato una proposta di regolamento e sulla quale il CESE si è già espresso (1).

2.5

Tra le tre componenti, quella dello spazio è di gran lunga la più costosa ed è quella che determina la qualità e quantità di servizi che possono essere offerti. Essa comprende 6 serie di missioni Sentinel di osservazione della Terra, di cui 5 finanziate, che dovrebbero partire dal 2012. Tutto ciò che riguarda il segmento spaziale è controllato, coordinato e implementato dall'ESA: i contratti con le industrie per lo sviluppo dei satelliti e delle necessarie infrastrutture, ma anche la gestione dei progetti pilota messi in opera in questa fase e che saranno valutati per le future applicazioni.

3.   La comunicazione della Commissione

3.1

Nella sua comunicazione, la Commissione dà conto di quanto realizzato finora per la parte servizi e in situ, che hanno dato già buoni risultati utilizzando le infrastrutture spaziali esistenti, in particolare nelle missioni Eumetsat, ESA e nelle missioni nazionali.

3.2

Nel 2008 sono state poste le basi dell'architettura di sistema, in particolare i fabbisogni finanziari e le politiche di bilancio connesse. Per la realizzazione del progetto, occorrerà stanziare le risorse necessarie nell'ambito del prossimo quadro finanziario pluriennale dell'Unione. L'ESA prevede una spesa di 4,23 miliardi nel periodo 2014-2020 (2).

3.3

Il documento analizza alcuni aspetti cruciali della politica spaziale europea, nella quale il GMES rappresenta, assieme ai programmi europei GNSS (EGNOS e Galileo), uno snodo fondamentale.

3.4

La Commissione segnala le priorità di finanziamento per la realizzazione e lo sviluppo dei Sentinel 1, 2 e 3, la continuità e l'accessibilità dei dati, e infine l'esigenza di sciogliere le riserve da parte degli Stati membri sulla durata del progetto, finora prevista fino al 2020.

3.5

Secondo la Commissione è necessario un regolamento sulla proprietà dei dati, per una politica di accesso pieno e garantito; viene affrontato anche il tema della proprietà dell'infrastruttura e della sua gestione.

3.6

Una parte importante del documento riguarda la politica degli appalti, che devono essere caratterizzati dal binomio efficienza dei costi e continuità nella disponibilità dei dati.

3.7

La cooperazione internazionale è uno snodo importante dell'intero programma GMES. In questo ambito esso rappresenta il contributo comunitario al programma GEOSS di osservazione globale della Terra. La Commissione svilupperà all'interno del CEOS, il comitato spaziale con particolari responsabilità nell'ambito del monitoraggio degli effetti del cambiamento climatico, ulteriori scambi e partenariati.

3.8

Nelle conclusioni la Commissione riepiloga il documento, impegnandosi a seguire da vicino il completamento del programma e il suo costante aggiornamento correlato alla domanda degli utenti.

4.   Osservazioni del Comitato

4.1

Il Comitato, considerando la politica spaziale una delle priorità tecnologiche da sviluppare con maggiore intensità, accoglie favorevolmente la comunicazione della Commissione, auspicando che ne scaturiscano decisioni operative, finanziamenti e politiche coerenti da parte degli organi decisionali con lo sviluppo concreto delle proposte e delle indicazioni in essa contenuti.

4.2

Il Comitato, nel dare un positivo giudizio, condivide le preoccupazioni della Commissione, relative alla mancanza di chiarezza da parte degli Stati membri circa l'orizzonte temporale applicativo del programma GMES e ritiene indispensabile che si pronuncino chiaramente a favore di un programma che oggi dovrebbe essere scadenzato almeno fino al 2030, ma che sicuramente dovrà prevedere la possibilità di continuare a svolgere le sue fondamentali funzioni anche negli anni successivi al 2030.

4.3

Anche per il mondo delle imprese è indispensabile poter programmare gli investimenti per un periodo sufficiente e sviluppare le tecnologie per ottenere sistemi di rilevazione sempre più efficienti sia in termini di costi che di qualità delle prestazioni.

4.4

Il Comitato ritiene che l'importo di 4 miliardi di euro, sulla base delle previsioni dell'analisi di lungo periodo dell'ESA, sia da considerarsi insufficiente. I circa 600 milioni annui non tengono conto, infatti, dell'andamento dei prezzi dei componenti tecnologici della costellazione dei satelliti Sentinel. Per quanto riguarda la quota riservata alla R&S, anch'essa appare insufficiente, in particolare per quello che riguarda le esigenze di raccogliere dati significativi in materia di lotta al cambiamento climatico e per la sicurezza.

4.5

Il Comitato, approvando pienamente le proposte della Commissione, chiede che si vada ancora più convintamente avanti per quello che riguarda le risorse finanziarie necessarie, che richiederebbero almeno altri 700-800 milioni di euro per gli anni 2014-2020, lo spostamento almeno al 2030 dell'orizzonte temporale del progetto, l'apertura del mercato spaziale alle PMI di tutti i paesi membri, un regolamento chiaro ed aperto per quello che riguarda la politica di accesso ai dati, un forte coordinamento di tutti i soggetti impegnati nel progetto, e infine un rafforzamento della dimensione internazionale del progetto.

4.6

La stessa Commissione richiama la necessità di maggiori investimenti nel campo della sicurezza e in una sua recente comunicazione (3) ricorda come sia stato pubblicato un invito, nell'ambito del 7o programma quadro (tema spazio), a presentare proposte per lo sviluppo di servizi GMES preoperativi destinati alla sorveglianza marittima. Un approccio integrato che utilizzi tutti gli strumenti disponibili è la risposta necessaria per proteggere l'ambiente, tutelare dal traffico illegale i nostri mari e le nostre coste, nonché salvare vite umane che si affidano a organizzazioni criminali senza scrupoli.

4.7

In tale contesto risultano necessarie risorse aggiuntive per sostenere sia programmi di formazione continua degli operatori del settore, sia progetti di incentivazione che indirizzino le giovani generazioni verso lo studio dello spazio e delle possibili applicazioni. Negli ultimi anni, anche a causa della caduta dell'attenzione dell'opinione pubblica sul tema, l'interesse verso l'ingegneria aerospaziale è diminuito, con un forte calo delle iscrizioni e dei laureati in questa disciplina. Anche i tecnici cominciano a scarseggiare ed è necessaria una specifica politica per indirizzare gli interessati verso questi studi. Uno dei motivi più frequenti di non iscrizione in queste discipline riguarda le prospettive di lavoro, che non appaiono sicure e durature.

4.8

Il Comitato sostiene la proposta della Commissione di assumere direttamente la proprietà del sistema e conseguentemente la responsabilità della gestione. La scelta di un accesso aperto continuo e libero, ferme restando le garanzie di sicurezza, attraverso l'emanazione di uno specifico regolamento, appare come opportuna e meditata. La garanzia dell'accesso può creare le condizioni per attirare l'interesse degli investitori privati nell'offrire servizi. La nascita di un mercato collegato al sistema GMES, oltre a rappresentare un'opportunità economica e un servizio alla collettività, potrebbe consentire la condivisione di alcune spese di gestione dei servizi a terra.

4.9

Fondamentale per la corretta gestione dei dati sarà proprio la scelta dell'architettura di sistema. Lo sfruttamento commerciale dovrebbe comportare sempre una partecipazione alle spese, dopo un periodo congruo di adattamento del mercato, come si sta verificando per alcuni servizi sul web, finora gratuiti ma che progressivamente richiedono un canone agli utenti. In linea di principio, i dati per le pubbliche amministrazioni dovrebbero essere gratuiti e accessibili, con piattaforme diversificate sulla base delle esigenze di riservatezza e di sicurezza.

Applicazioni importanti del monitoraggio da satellite si sono avute recentemente. I satelliti altimetrici del programma My Ocean hanno rilevato il ripetersi del fenomeno del Niño nel 2009; il programma MACC (Monitoring Atmosphere Composition and Climate), parte integrante dei servizi GMES, ha fornito le indicazioni per costruire simulazioni sulle possibili diffusioni della nube vulcanica islandese; un altro servizio del programma GMES, il SAFER (Services and Applications For Emergency Responses) ha l'obiettivo di fornire mappe dettagliate entro 6 ore dall'evento disastroso (terremoti, inondazioni, frane) che potranno essere preziosissime per l'intervento della protezione civile; G-Mosaic (Pilot services for security) che sorveglierà il territorio ai fini della sicurezza, dalla sorveglianza delle centrali nucleari, alle scie di immigrazione clandestina, alla sorveglianza dei confini, all'analisi dei danni di guerra e dei fabbisogni.

4.10

Una particolare attenzione dovrà essere rivolta alla politica degli appalti. I principi dello Small Business Act dovrebbero essere sempre applicati in caso di appalti pubblici, in particolare quelli comunitari. Occorre una seria politica di sostegno alle PMI, in particolare quelle dei paesi che ancora non dispongono di un apparato produttivo forte e che dovrebbero beneficiare anche loro degli investimenti ingenti che ci si appresta a fare nel settore. La componente spaziale del GMES ha bisogno non solo delle grandi imprese specializzate nel campo aerospaziale elettronico ma anche della piccola impresa, anch'essa in grado di garantire soluzioni innovative. La Commissione dovrebbe favorire la costituzione di consorzi tra imprese transnazionali, per il carattere europeo del progetto.

4.11

Il Comitato raccomanda un sempre più stretto coordinamento tra i diversi soggetti impegnati nella realizzazione del progetto: Commissione, Stati membri, ESA ed Eumetsat e sostiene la proposta della Commissione di distribuire le responsabilità tra queste diverse componenti, secondo quanto previsto nella comunicazione.

4.12

Il Comitato ritiene che l'ESA abbia tutte le competenze necessarie per potersi candidare a gestore finale della infrastruttura spaziale, in cooperazione con le agenzie nazionali per quello che riguarda la manutenzione, lo sviluppo e la sostituzione della costellazione dei satelliti. Raccomanda vivamente che si esperiscano tutte le iniziative legalmente possibili perché questa scelta naturale si possa realizzare.

4.13

Indispensabile, a giudizio del Comitato, sarà continuare a sviluppare l'azione per rafforzare la cooperazione internazionale. La lotta ai cambiamenti climatici si svolge necessariamente su scala planetaria e la condivisione dei dati sarà essenziale per individuare in tempo reale l'andamento degli effetti delle emissioni di gas a effetto serra e la conseguente alterazione climatica. La Commissione ha giustamente considerato questo aspetto e il Comitato raccomanda di coinvolgere anche altri partner di aree prossime e magari associarli alla strategia europea per la difesa del territorio e dei mari, e per la sicurezza. L'Unione per il Mediterraneo, ad esempio, potrebbe essere una ottima piattaforma per lo sviluppo di questa cooperazione, nell'ambito degli attuali programmi prioritari individuati di protezione civile, di risanamento del Mediterraneo, di lotta ai cambiamenti climatici, come un positivo contributo può provenire dalla capacità di cogliere le peculiarità presenti in altre aree specifiche quali ad esempio le attività già oggi esistenti nelle regioni baltiche e nell'area del Danubio.

4.14

Il CESE sostiene l'istituzione del «Consiglio dei soci GMES» composto da 27 membri che prevede inoltre la partecipazione di Svizzera e Norvegia quali membri dell'ESA. A questo organismo, presieduto dalla Commissione, è affidato il compito di instaurare una cooperazione fra gli organismi di tutti gli Stati membri, di assistere la Commissione nel controllare l'attuazione coerente del programma e nell'elaborare un quadro strategico e di realizzare uno scambio di esperienze e buone pratiche in materia di GMES e di osservazione della Terra. Tale organismo rappresentativo può aiutare a superare gli squilibri di conoscenza e di attività in materia spaziale oggi esistenti fra i vecchi ed i nuovi Stati membri. La costituzione di un Forum degli utenti privati sarebbe quanto mai opportuna per analizzare tempestivamente le prospettive del sistema e collaborare con il Consiglio.

4.15

Una particolare attenzione va rivolta alle esigenze programmatiche a breve scadenza. In concreto, si tratta dell'operatività della serie A, del lancio della serie B e dell'acquisizione di componenti essenziali per la serie C dei satelliti Sentinel.

4.16

La presidenza della Spagna, impegnata sul regolamento GMES-servizi, e quella del Belgio per quanto riguarda la politica spaziale europea, condividono entrambe la necessità di un rilancio. Il Parlamento è molto favorevole a sostenerlo. Esistono pertanto le condizioni per la definizione degli aspetti che richiedono ancora di essere chiariti: individuare e assegnare le risorse necessarie al progetto, sciogliere la riserva che ancora pende sull'orizzonte temporale del GMES, consentendo così fin da ora lo sviluppo delle costellazioni Sentinel secondo il programma definito, rafforzare la cooperazione internazionale, investire di più in ricerca e sviluppo.

Bruxelles, 14 luglio 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  CESE 96/2010 - Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al programma europeo di osservazione della Terra (GMES) e alla sua fase iniziale di operatività (2011-2013) - COM(2009) 223 definitivo - 2009/0070 (COD).

(2)  ESA/C (2009) 36.

(3)  Verso l'integrazione della sorveglianza marittima: un sistema comune per la condivisione delle informazioni sul settore marittimo dell'UE - COM(2009) 538 definitivo.


11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/157


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che definisce i livelli di prestazione in materia di emissioni dei veicoli commerciali leggeri nuovi nell'ambito dell'approccio comunitario integrato finalizzato a ridurre le emissioni di CO2 dei veicoli leggeri

COM(2009) 593 def. — 2009/0173 (COD)

2011/C 44/27

Relatore: RANOCCHIARI

Il Consiglio, in data 20 novembre 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 251 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che definisce i livelli di prestazione in materia di emissioni dei veicoli commerciali leggeri nuovi nell'ambito dell'approccio comunitario integrato finalizzato a ridurre le emissioni di CO2 dei veicoli leggeri

COM(2009) 593 definitivo — 2009/0173 (COD).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 15 giugno 2010.

Alla sua 464a sessione plenaria, dei giorni 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 14 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere all'unanimità.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Nell'ambito della strategia comunitaria tesa a ridurre le emissioni di CO2 e dopo l'approvazione del regolamento relativo alle autovetture nel 2009, una doverosa misura complementare è ora rappresentata dalla proposta di regolamento che riguarda la riduzione del CO2 emesso dai veicoli commerciali leggeri. Se sorretta da un adeguato approccio integrato, nessuna iniziativa deve essere trascurata allo scopo di ridurre i gas a effetto serra, aspetto fondamentale nella lotta ai cambiamenti climatici.

1.2   La nuova proposta riprende il modello utilizzato per il precedente regolamento sulle autovetture, prevedendo anche in questo caso meccanismi sanzionatori, premi, deroghe, eco- innovazioni ecc.

1.3   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) teme tuttavia che in questo modo non si tenga adeguatamente in conto la differenza sostanziale tra auto e VCL (veicoli commerciali leggeri): le prime, beni di consumo, i secondi, beni capitali, con evidenti, diverse conseguenze in termini di missione e di importanza dei costi operativi. A ciò va aggiunto che la proposta sui VCL è in qualche aspetto ancora più ambiziosa rispetto al regolamento sulle autovetture: orizzonte temporale, sanzioni, costi ecc. Il CESE ritiene che in considerazione del lead time  (1) dei veicoli commerciali, più lungo di almeno due anni rispetto a quello delle auto, sia opportuno rivedere la proposta, anche alla luce della pesante crisi del settore che ha avuto - e ha tuttora - ripercussioni commerciali rilevanti.

1.4   Inoltre si teme che un impatto eccessivamente elevato sui costi industriali e quindi sui prezzi possa deprimere ulteriormente un mercato già in crisi profonda, con conseguente contrazione dell'occupazione e un ulteriore rallentamento nel rinnovo del parco circolante e quindi nel contenimento delle emissioni.

1.5   Il CESE auspica quindi che si tenga conto delle raccomandazioni espresse dal Consiglio Competitività del maggio 2009, che esortava «data l'attuale situazione economica nel settore, ad evitare la creazione di oneri supplementari per l'industria, se possibile, attuando approfondite valutazioni d'impatto prima di ogni decisione».

1.6   Il CESE ricorda che la proposta si basa su una valutazione d'impatto precedente la crisi e invita il Parlamento europeo e il Consiglio a richiedere un aggiornamento della stessa anche sulla base di un monitoraggio accurato delle emissioni dopo l'entrata in vigore di Euro 5.

1.7   Alla luce di quanto sopra il CESE, nel confermare la necessità della riduzione delle emissioni di CO2, auspica però che sia rivista la tempistica del regolamento, con un phase in adeguato al lead time del settore, prevedendone l'avvio nel 2015 e il completamento nel 2018, con una più precisa e aggiornata valutazione d'impatto anche in merito agli obiettivi di più lungo periodo dopo il 2020, che si stima possano progressivamente raggiungere i 150/160 g/km, con il progredire delle tecnologie, ferma restando la necessità di una revisione in tempo utile.

2.   Introduzione

2.1   La comunicazione della Commissione europea COM(2007) 19 definitivo/2 del febbraio 2007 Risultati del riesame della strategia comunitaria per ridurre le emissioni di CO2 delle autovetture e dei veicoli commerciali leggeri annunciava che la Commissione avrebbe proposto un quadro legislativo per conseguire l'obiettivo comunitario di 120 g di CO2/km. Il regolamento sulle emissioni di CO2 delle autovetture, adottato nel dicembre 2008 allo scopo di ridurre le emissioni di questi veicoli a 130 g/km in media, rappresenta un elemento chiave della strategia comunitaria. La legislazione alla base di questa strategia definisce alcune misure complementari per una ulteriore diminuzione delle emissioni di CO2 di 10 g/km (approccio integrato); fra queste misure figura la nuova proposta per limitare la CO2 emessa dai veicoli commerciali leggeri.

2.2   L'Unione europea si è impegnata a ridurre entro il 2020 le emissioni totali di gas serra del 20 %, o del 30 % se sarà raggiunto un accordo internazionale generale. Chiaramente, tutti i settori devono contribuire alla riduzione. Le emissioni dei veicoli commerciali leggeri, secondo la Commissione, rappresentano l'1,5 % circa delle emissioni totali di CO2 dell'Unione europea.

2.3   La nuova proposta fa seguito a due comunicazioni della Commissione del febbraio 2007, la prima COM(2007) 19 definitivo/2 già citata sopra e la seconda COM(2007) 22 definitivo Un quadro normativo competitivo nel settore automobilistico per il XXI secolo, nonché all'invito del Consiglio Ambiente del giugno 2007 a preparare una proposta per il miglioramento dell'efficienza energetica dei veicoli commerciali leggeri.

3.   La proposta di regolamento

3.1   Il 28 ottobre 2009 la Commissione europea ha adottato una proposta di regolamento per ridurre le emissioni di CO2 dei veicoli commerciali leggeri.

3.2   Come accennato nell'introduzione, il nuovo regolamento è inteso come complemento del regolamento (CE) n. 443/2009 (CO2 automobili) nell'ambito dell'approccio integrato per raggiungere l'obiettivo UE di 120 g CO2/km per tutti i nuovi veicoli leggeri. Per l'anno civile che ha inizio il 1o gennaio 2014, e per ogni anno civile successivo, ogni costruttore di veicoli commerciali leggeri (VCL) provvede affinché le emissioni specifiche medie di CO2 dei propri veicoli non superino l'obiettivo previsto dal regolamento.

In particolare:

3.2.1

Campo di applicazione

La proposta limita il campo di applicazione ai veicoli N1. La Commissione deciderà se estenderne l'applicazione anche ai veicoli N2 e M2 (2) solo a seguito di una revisione nel 2013, secondo la procedura di comitologia.

3.2.2

Obiettivo di breve termine

La proposta intende limitare a 175 g CO2/km la media delle emissioni dei nuovi veicoli entro il 1o gennaio 2016, con phase in a partire dal 2014 (il target si applica al 75 % dei veicoli nel 2014, all'80 % nel 2015 e al 100 % dal 2016).

3.2.3

Parametro di utilità

La proposta mantiene come parametro di utilità (la base del calcolo per la misurazione delle emissioni) la massa in ordine di marcia del veicolo. L'art. 12 prevede però che la Commissione valuti l'uso di parametri alternativi (footprint, payload) (3) nel 2014.

3.2.4

Meccanismo sanzionatorio

La proposta stabilisce che:

a)

la penale viene calcolata moltiplicando i g CO2/km in eccesso per il numero dei nuovi veicoli registrati nell'anno;

b)

per un periodo transitorio (fino al 2018 incluso) viene previsto un «percorso di flessibilità» in cui la penale unitaria aumenta in funzione della distanza dal target e cioè: 5 € per il primo grammo in eccesso, 15 € per il secondo, 25 € per il terzo e 120 € per ogni ulteriore grammo in eccesso;

c)

passato il periodo transitorio (dopo il 2018), la penale unitaria non dipende più dalla distanza dal target e viene fissata a 120 € per ogni grammo in eccesso.

3.2.5

Supercrediti

Per calcolare le emissioni medie specifiche di CO2, sono poi previsti degli abbuoni per chi produce veicoli eccezionalmente performanti. Ogni veicolo commerciale leggero nuovo con emissioni specifiche di CO2 inferiori a 50 g CO2/km verrà conteggiato come 2,5 VCL nel 2014; 1,5 VCL nel 2015 e 1 VCL a partire dal 2016.

3.2.6

Deroghe per determinati costruttori

Un costruttore di un numero di veicoli commerciali leggeri nuovi immatricolati nella Comunità inferiore a 22 000 unità per anno civile può presentare una domanda di deroga rispetto all'obiettivo per le emissioni specifiche (vedi punto 3.2) se:

a)

non è parte di un gruppo di costruttori collegati; oppure

b)

fa parte di un gruppo di costruttori collegati che è responsabile in totale di un numero di veicoli commerciali leggeri nuovi immatricolati nella Comunità inferiore a 22 000 unità per anno civile; oppure

c)

è parte di un gruppo di costruttori collegati, ma gestisce i propri impianti di produzione e il centro di progettazione.

3.2.7

Eco-innovazioni

Su richiesta di un fornitore o un costruttore, la Commissione esamina, secondo modalità da definire, i risparmi di CO2 realizzati attraverso l'uso di tecnologie innovative, al di fuori del normale ciclo di prova per la misurazione del CO2. Il contributo totale di tali tecnologie alla riduzione delle emissioni specifiche di un produttore può giungere ad un massimo di 7 g CO2/km.

3.2.8

Pooling

I costruttori di veicoli commerciali leggeri nuovi, ad eccezione di quelli che beneficiano della deroga di cui al punto 3.2.6 del presente parere, possono costituire un raggruppamento al fine di adempiere agli obblighi fissati.

3.2.9

Veicoli incompleti (o multistage)  (4)

La proposta di regolamento prevede che al «veicolo completato» si applichi il valore più alto tra quelli registrati per «veicoli completi» dello stesso tipo del «veicolo base» su cui il veicolo completato si basa.

3.2.10

Obiettivo a lungo termine

Entro il 1o gennaio 2013, la Commissione completerà una revisione degli obiettivi per le emissioni specifiche per definire le modalità di raggiungimento di un obiettivo a lungo termine di 135 g CO2/km entro l'anno 2020.

4.   Osservazioni generali

4.1   Il CESE, come già in precedenti pareri sulle proposte legislative relative alla riduzione delle emissioni di CO2 avanzate dalla Commissione, conferma il suo sostegno a tutte le iniziative comunitarie che abbiano come scopo il raggiungimento di concreti traguardi nella riduzione dei gas a effetto serra, quale aspetto fondamentale nella lotta ai cambiamenti climatici. In questa ottica non può quindi essere trascurato ogni ragionevole intervento per ridurre anche le emissioni dei VCL, veicoli che rappresentano oltre il 10 % del parco circolante.

4.2   La scelta dello strumento del «regolamento» appare inoltre la più adatta per garantire l'immediato rispetto delle disposizioni che saranno assunte, evitando distorsioni della concorrenza con possibili ricadute sul mercato interno.

4.3   Il CESE ritiene però che la proposta in oggetto, ricalcando l'impianto del regolamento approvato per le auto, sottovaluti le differenze tra auto e VCL quali, per citare solo le più importanti:

un ciclo di sviluppo e produzione più lungo di quello delle automobili,

la missione di questi veicoli, utilizzati per un'attività economica per la quale l'efficienza e robustezza del motore e i relativi consumi di carburante rappresentano spesso la voce più importante tra i costi operativi di tale attività. Non a caso il 97 % della flotta VCL è a tecnologia diesel,

il profilo degli acquirenti, per oltre il 90 % piccole e microimprese artigianali molto sensibili ad ogni variazione dei costi.

4.4   Il CESE avverte altresì la complessità di questo riesame che deve mirare alla riduzione ulteriore delle emissioni di CO2 senza tuttavia minare la competitività del settore autoveicolare che opera in un mercato globale estremamente concorrenziale e che sta attraversando una crisi di dimensioni impressionanti. Il consuntivo commerciale del 2009 del settore dei veicoli commerciali leggeri ha registrato una perdita di oltre il 30 % rispetto al 2008, e più in particolare: -30 % in Europa occidentale (Italia -23,4 %, Germania -24,7 %, Spagna -38,8 %, Francia -21,3 %, Regno Unito -37,1 %) e -49 % nei nuovi Stati membri (p. es. -28,0 % in Polonia e -67,0 % nella Repubblica ceca).

4.5   Il CESE non può ignorare le preoccupazioni espresse da coloro che evidenziano i timori di un impatto eccessivamente elevato sui costi industriali e quindi sui prezzi di vendita dei veicoli, con rischi di contrazione della produzione e quindi dell'occupazione da un lato, e di minore propensione all'acquisto con conseguente rallentamento del rinnovo della flotta con veicoli meno inquinanti dall'altro.

4.6   Il CESE non contesta certo la scelta di definire norme sulle emissioni di CO2 dei VCL anche per evitare il rischio che il mercato tenda ad omologare come VCL autovetture di maggiori dimensioni per beneficiare di riduzioni sulle tasse automobilistiche o per altri possibili vantaggi. Ciò che preoccupa oggi è la concreta fattibilità della proposta in esame che, da una parte, si basa su valutazioni risalenti al 2007, prima cioè della crisi che ha inciso e continua ad incidere pesantemente sul settore e, dall'altra, non accorda tempi di attuazione adeguati.

4.7   In effetti, una novità è presente nell'attuale proposta rispetto all'impostazione di allora e riguarda gli obiettivi: non più 175 g CO2/km entro il 2012 e 160 g CO2 nel 2015, bensì, come detto sopra, 175 g CO2 entro il 1o gennaio 2016, ma con phase in dal 2014 e infine 135 g CO2 entro il 2020. Questa revisione, come si vedrà anche più avanti, non è purtroppo sufficiente perché non tiene conto del lead time del settore e nessuna industria avvia un programma di investimenti particolarmente costosi se non ha certezza del quadro normativo che verrà formalizzato.

4.8   A questo proposito, il CESE si rifà alle conclusioni del Consiglio Competitività sull'industria automobilistica adottate il 29 maggio 2009 che esortavano ad evitare nuove prescrizioni in grado di causare costi eccessivi alle imprese in tutti i settori produttivi. Per quanto riguarda il settore automobilistico in particolare, il Consiglio ha riconosciuto che, «data l'attuale situazione economica nel settore, sia necessario evitare di creare oneri supplementari per l'industria, se possibile. Nuovi provvedimenti legislativi devono essere oggetto della massima prudenza ed essere preceduti da approfondite valutazioni d'impatto che tengano conto delle condizioni attuali».

4.9   Il CESE rileva inoltre che la Commissione non ha tenuto conto delle concomitanze normative «antagoniste» che rendono più difficile il raggiungimento dell'obiettivo previsto. Infatti, nella valutazione d'impatto effettuata non si considera il fatto che la riduzione delle emissioni di gas di scarico dei veicoli necessaria per diesel Euro 5 e 6 in termini di ossidi di azoto (NOx) e particolato (PM) ha un impatto negativo sul rendimento del carburante.

4.10   Il CESE ricorda infine che, ad oggi, nel caso di veicoli commerciali leggeri nessun sistema di controllo ufficiale delle emissioni è vigente e non esistono quindi dati ufficiali in merito. Il rischio può essere quello di imporre sforzi concreti all'industria e all'indotto senza disporre di informazioni adeguate.

4.11   Alla luce di tutto quanto precede, il CESE invita le istituzioni europee - come già fatto nel parere elaborato a proposito della regolamentazione delle emissioni di CO2 delle automobili (5) - a rivedere la tempistica del regolamento, con un phase in adeguato al lead time del settore, prevedendone l'avvio nel 2015 e il completamento in quattro fasi, come per le automobili, entro il 2018.

4.12   Un obiettivo, comunque ambizioso ma più realistico, potrebbe situarsi intorno ai 150/160 g CO2/km da raggiungersi progressivamente, a partire dal 2020, anche alla luce del monitoraggio dei dati che nel frattempo si renderanno disponibili. Il CESE auspica che anche su questo punto la riflessione avviata nel PE e in Consiglio porti ad una revisione della proposta iniziale.

5.   Osservazioni specifiche

5.1   Il CESE fa notare che la proposta è più cogente rispetto al regolamento (CE) n. 443/2009 per le autovetture, in quanto:

5.1.1

l'orizzonte temporale è, di fatto, più ristretto. Si prevede che l'introduzione graduale dei target inizi circa quattro anni dopo che la Commissione ha adottato la proposta. Questo è in linea con il regolamento (CE) n. 443/2009, che è stato adottato dalla Commissione a fine 2007 e pubblicato a metà 2009. Tuttavia, i veicoli commerciali, come ben noto, hanno cicli di progettazione e produzione più lunghi delle auto (7-10 anni invece di 5-7) e quindi necessitano di un lead-time maggiore rispetto a quanto previsto dal regolamento (CE) n. 443/2009. Inoltre, il phase in previsto per i VCL è più breve che per le auto, e la percentuale di veicoli coperta all'inizio più alta (75 % per i VCL, 65 % per le auto).

5.1.2

I costi sono più alti. La maggior parte dei veicoli commerciali è a tecnologia diesel (circa il 97 %); le possibilità di miglioramento sono minori e quindi maggiori i costi di abbattimento. Come conseguenza, l'impatto atteso sul prezzo di vendita è più importante (tra l'8 % e il 10 % contro il 6 % per le auto) come pure il costo marginale di abbattimento delle emissioni (circa 160 € contro una forbice di 25-150 € per le auto).

5.2   Il CESE osserva che la proposta stabilisce come parametro di utilità la massa in ordine di marcia del veicolo ma prevede anche, all'art. 12, che la Commissione valuti l'uso di parametri alternativi (footprint, payload) nel 2014. Il CESE auspica un approfondimento in sede parlamentare e di Consiglio sulla opportunità di valutare fin da subito parametri diversi che tengano meglio in conto la missione del veicolo commerciale. Il CESE, per esempio, riterrebbe che la massa massima del veicolo (Gross Vehicle Mass), riportata sulla carta di circolazione, sarebbe più adatta allo scopo in quanto permette di tener conto anche della capacità di carico (portata).

5.3   Le sanzioni per i veicoli commerciali leggeri sono più onerose di quelle previste per le auto: la penale unitaria a regime è sensibilmente più alta (120 € invece di 95 €). Il CESE sostiene l'esigenza di mantenere la competitività del settore e conclude che un livello di sanzioni per i veicoli commerciali simile a quello per le auto sarebbe sufficiente ad assicurare il rispetto della norma, come ricorda la stessa valutazione d'impatto. In effetti, non si capisce perché una quantità di CO2 emessa da un veicolo commerciale dovrebbe essere sanzionata più severamente della stessa quantità di CO2 emessa da una vettura.

5.4   La proposta prevede che l'uso di tecnologie innovative possa contribuire a ridurre il target specifico per il produttore fino a un massimo di 7 g CO2/km. Il CESE è a favore dell'introduzione di queste tecnologie, che offrono opportunità di lavoro e sviluppo anche al settore della componentistica.

5.5   In merito ai «supercrediti» per veicoli particolarmente efficienti, il CESE rileva che i supercrediti previsti sono meno generosi che nel regolamento (CE) n. 443/2009, in quanto il limite di emissioni imposto per i veicoli che possono essere considerati per i supercrediti (< 50 g CO2/km) è uguale a quello per le auto. Le emissioni medie (e i target) dei veicoli commerciali leggeri sono però molto più alte che per le auto, e la Commissione dovrebbe identificare valori più aderenti alla realtà, modulati sulle masse delle tre classi dei VCL N1 (6).

5.5.1   Anche in questo caso il CESE avrebbe visto con favore un approfondimento maggiore nella valutazione d'impatto. Il CESE ritiene metodologicamente inesatto attribuire un valore assoluto (50 g CO2/km) quando nel caso dei veicoli commerciali le funzioni svolte da un medesimo chassis possono essere completamente diverse a seconda dell'allestimento utilizzato e dal peso trasportato, senza contare che un valore così basso non è praticamente raggiungibile con le motorizzazioni attuali a combustione interna, ma richiede una «rottura tecnologica dell'esistente (7)» ancora non disponibile.

5.6   L'obiettivo di lungo termine di 135 g CO2/km previsto per il 2020 è condizionato agli esiti di una valutazione d'impatto aggiornata che ne verificherà la fattibilità durante la revisione del 2013. Il CESE condivide la necessità di stabilire obiettivi di lungo termine anche per i VCL, ma il valore proposto appare fin d'ora non raggiungibile nei tempi richiesti poiché, sovrastimando i progressi tecnologici attesi nei prossimi anni, trascura ancora una volta il lead time del settore e l'incidenza di fattori esterni che dovrebbero far parte di un approccio integrato.

5.7   Il CESE ritiene che quanto espresso prima sia verificabile in quanto la valutazione d'impatto esistente è insufficiente per i seguenti motivi:

5.7.1

non chiarisce come si arriva a definire l'obiettivo di 135 g CO2/km e non fornisce una valutazione dei costi per questo livello dell'obiettivo. L'impatto sui prezzi di vendita è fornito solo per 160, 150, 140 e 125 g CO2/km. Quest'ultimo livello è scartato perché troppo costoso (farebbe salire il prezzo di vendita di 4 000 €, circa il 20 %). È quindi presumibile un aumento dei costi tra il 15 % e il 20 % del prezzo di vendita per raggiungere i 135 g CO2.

5.7.2

Non considera che l'incremento del prezzo di vendita potrebbe rallentare il ciclo di rinnovamento della flotta e quindi indurre un aumento delle emissioni complessive (più basse le emissioni medie del nuovo, ma più alte le emissioni complessive della flotta esistente).

5.8   Il CESE appoggia la previsione di deroghe per i piccoli produttori ed i produttori di nicchia, in quanto, in presenza di particolari condizioni, occorre fornire strumenti di flessibilità.

5.9   Circa i veicoli incompleti, si teme che il regime specifico proposto non sia adatto a gestire il problema, data l'assenza di dati adeguati. Il CESE ha quindi apprezzato l'iniziativa della presidenza spagnola che, insieme agli Stati membri e alla Commissione, sta rivedendo la materia. La revisione, attualmente in corso, comporterà emendamenti al testo finale più adeguati alla realtà del settore. È comunque importante che un sistema di monitoraggio ufficiale dei dati relativi alle emissioni di CO2 dei multistage venga realizzato al più presto.

5.10   Il CESE appoggia la scelta di limitare il campo di applicazione ai veicoli N1, con inclusione di veicoli N2 e M2 solo a seguito di valutazione d'impatto specifica, quando i dati di emissione saranno disponibili (8). Tuttavia ribadisce l'esigenza di considerare a fondo le caratteristiche di questi veicoli. In particolare i veicoli M2 dovrebbero essere fin d'ora esclusi, vista la loro peculiare natura di veicoli di nicchia.

Bruxelles, 14 luglio 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Tempo necessario all'industria per implementare qualsiasi nuovo requisito che comporti interventi strutturali sul veicolo.

(2)  N1 = veicoli per trasporto beni con portata max < 3,5 t; N2 = veicoli per trasporto beni < 12 t; M2=trasporto persone, più di 8 persone con massa max < 5 t.

(3)  Carico utile o payload: Per «carico utile del veicolo» s'intende la differenza tra la massa massima a pieno carico tecnicamente ammissibile a norma dell'allegato III della direttiva 2007/46/CE e la massa del veicolo. L'impronta o footprint di un veicolo è calcolata moltiplicando il passo del veicolo per la sua carreggiata.

(4)  I veicoli multistage sono quei veicoli che sono venduti dal costruttore come cabina+chassis soltanto (veicolo-base) e sono poi completati da altri per renderli adeguati all'uso inteso (che può variare notevolmente). I veicoli multistage rappresentano circa il 15% del mercato. Questi veicoli possono essere omologati in fasi successive in base alla direttiva 2007/46/CE che distingue tra «veicolo base» (come omologato nella prima tappa di una omologazione multistage), «veicolo completato» (come omologato alla fine di una omologazione multistage) e «veicolo completo» (come omologato in un processo di omologazione semplice).

(5)  Regolamento (CE) n. 443/2009 del 23 aprile 2009 che definisce i livelli di prestazione in materia di emissioni delle autovetture nuove nell'ambito dell'approccio comunitario integrato finalizzato a ridurre le emissioni di CO2 dei veicoli leggeri (GU L 140 del 5.6.2009, pag. 1) - Parere CESE: GU C 77 del 31.3.2009, pag. 1.

(6)  Classe I: massa max. 1 305 kg e capacità di carico 2,5 m3, Classe II: massa max. 1 760 kg e carico 6 m3; Classe III: > 1 760 kg e capacità di carico 17 m3.

(7)  Vedi parere CESE alla nota 5.

(8)  La misura delle emissioni di CO2 dei veicoli di categoria N2 e M2 è stata introdotta dal regolamento Euro 5 & 6 con applicazione nuovo immatricolato dal gennaio 2011 e settembre 2015. Per i veicoli omologati con la normativa riferita ai veicoli pesanti, le emissioni di CO2 potrebbero non essere disponibili fino all'entrata obbligatoria delle emissioni Euro VI (31 dicembre 2013).


11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/162


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 2007/2004 del Consiglio che istituisce un'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea (Frontex)

COM(2010) 61 def. — 2010/0039 (COD)

2011/C 44/28

Relatore: PEZZINI

Il Consiglio, in data 18 marzo 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 2007/2004 del Consiglio che istituisce un'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea (Frontex)

COM(2010) 61 definitivo — 2010/0039 (COD).

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 16 giugno 2010.

Alla sua 464a sessione plenaria, dei giorni 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 15 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 78 voti favorevoli, 1 voto contrario e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) condivide e approva il lavoro fatto dalla Commissione per adeguare e attualizzare il regolamento (CE) n. 2007/2004.

1.2   Conformemente alla Convenzione di Schengen sulla libera circolazione in Europa, gli Stati membri, avendo abolito i controlli alle frontiere interne, restano liberi di affidare il controllo delle frontiere esterne alle autorità di loro scelta.

1.2.1   Tuttavia, con l'allargamento dell'UE e la progressiva estensione a quasi tutti gli Stati membri dello spazio Schengen, considerata la non omogeneità dei sistemi giuridici nazionali, è stata riscontrata una eterogeneità, da un paese all'altro, delle responsabilità in materia di controllo delle frontiere esterne dell'Unione.

1.3   Pertanto, a conclusione del Consiglio europeo di Laeken del dicembre 2001, gli Stati membri si sono impegnati ad attuare un meccanismo comune e operativo di concertazione e di cooperazione, per coordinare l'azione dei servizi nazionali competenti al controllo delle frontiere esterne.

1.3.1   Questo impegno si è fatto più pressante a causa della forte accelerazione delle comunicazioni transnazionali, che ha facilitato la moltiplicazione delle identità, favorendo la nascita di nuovi Stati-nazioni.

1.4   Seguendo un approccio globale in fatto di «sicurezza» delle frontiere e di lotta contro la «immigrazione clandestina», la Commissione UE ha quindi proposto di costituire squadre comuni di sostegno Frontex fornite dagli Stati membri dell'UE su base volontaria.

1.4.1   Pertanto, nel rispetto del «codice frontiere Schengen» e delle competenze proprie delle autorità nazionali, e nella prospettiva di sviluppo di una politica comune nel settore delle infrastrutture fisse e mobili, alle suddette squadre dovrebbe essere attribuito il compito di assicurare la «sorveglianza» e, successivamente, il «controllo integrato» ai valichi di frontiera.

1.4.2   Ciò comporta la facoltà di controllare i documenti di identità, di interrogare gli stranieri sulle ragioni del loro soggiorno, sempre secondo le linee degli Stati membri, e di salire a bordo delle navi che si trovano nelle acque territoriali di uno Stato membro (1).

1.4.3   Secondo il CESE, alle squadre dovrebbero essere affidati i mezzi finanziari e gli automezzi (navi, aerei e elicotteri) necessari. I mezzi utilizzati per le operazioni Frontex devono essere chiaramente identificati e resi noti in ciascuno degli Stati membri dell'UE.

1.5   Occorre comunque riflettere sul rischio di «militarizzazione» dell'attività di sorveglianza e di controllo delle frontiere esterne. Dovranno perciò essere opportunamente coordinate le possibili «interferenze» con le funzioni di polizia giudiziaria, di difesa militare e di polizia doganale che i singoli Stati membri attribuiscono ai propri corpi di polizia, tra cui quella doganale, e alle proprie forze armate terrestri, marittime e aeree facendo in modo di non ridurre, ma al contrario di rafforzare le loro possibilità di controllo (valore aggiunto europeo).

1.5.1   Restano peraltro «aperte» le questioni di diritto internazionale connesse agli interventi in alto mare, anche in base alla disciplina sul diritto del mare della Convenzione di Montego Bay del 1982 (2).

1.6   L'adozione del Trattato di Lisbona, recependo, tra l'altro, la Carta dei diritti fondamentali, ha aumentato in modo considerevole le responsabilità e le competenze dell'Unione in materia di immigrazione e di asilo. Il CESE ritiene che le competenze in fatto di cattura e fermo debbano restare subordinate al diritto comune «classico» in materia di protezione dei diritti umani e non a norme cosiddette «in deroga». Frontex - in quanto «agenzia» - non può essere controllata da un servizio esterno o sottostare alle sole regole di bilancio, ma deve attenersi ai requisiti vigenti in materia di rispetto dell'individuo su tutto il territorio dell'UE, soprattutto tramite l'applicazione delle disposizioni in tema di sanzioni penali promosse dal Consiglio d'Europa (3).

1.7   Il Comitato, conscio della tradizione sociale e giuridica dell'Europa nei temi del rispetto dell'uomo e del diritto di asilo, esprime la raccomandazione che le persone che faranno parte di queste squadre possano avere una chiara e solida formazione iniziale e aggiornamenti permanenti sui contenuti psicologici e comportamentali, assicurando loro una supervisione regolare, che consentano un miglior rapporto con persone più deboli, che aspirano a un miglior benessere sociale, come è avvenuto, per secoli, anche per molti cittadini di paesi europei.

1.7.1   Tali squadre devono avere, secondo il CESE, un carattere operativo e non di polizia di frontiera, con un'attività che consenta di realizzare il Codice di Schengen.

1.7.2   I compiti di Frontex, secondo il Comitato, dovrebbero essere rivolti a smascherare e a promuovere sanzioni contro i criminali internazionali, che organizzano la tratta degli esseri umani, e trasformano gli uomini, mossi da legittime aspirazioni al benessere e al riscatto sociale, a vittime di uno sfruttamento, che li umilia e li degrada.

1.7.3   Le squadre di Frontex, dovrebbero, inoltre, con l'ausilio del sistema GMES, contribuire attivamente al salvataggio delle persone migranti, in difficoltà, nel bacino del Mediterraneo, secondo le linee degli Stati membri.

1.7.4   Alla luce di quanto detto sopra, il Comitato suggerisce un rapporto continuo e una stretta collaborazione con le ONG.

1.7.5   Tenuto conto del ruolo e delle funzioni delle ONG, il loro coinvolgimento, secondo il CESE, diventa indispensabile, come aiuto e come mediazione culturale, in tutte le fasi nelle quali si sviluppano le procedure, previste dalle norme europee e nazionali, nei confronti di esseri umani in situazioni precarie.

2.   Introduzione

2.1   Le frontiere mettono «di fronte» e separano due Stati, o regioni geografiche, secondo confini che limitano i rapporti reciproci tra i popoli.

2.1.1   Le frontiere naturali (montagne, fiumi, specchi d'acqua) sono all'origine di continue rivalità tra le genti delle rive opposte.

2.1.2   Anche le frontiere politiche e quelle convenzionali sono il risultato di lotte e di compromessi, attraverso lunghe vicissitudini storiche.

2.1.3   Nell'era della globalizzazione, la forte accelerazione della comunicazione internazionale tende a facilitare la moltiplicazione delle identità e ad aumentare il numero delle sovranità nazionali, con la nascita di nuovi Stati-nazione e di regioni-nazione.

2.1.4   Aumentano, di conseguenza, le frontiere e la «sacralità» dei singoli Stati, i cui fragili confini alimentano potenziali e reali conflitti.

2.2   Gli Stati europei rappresentano un'eccezione importante nel quadro mondiale, perché, con l'Accordo di Schengen, hanno abolito i controlli alle frontiere interne, diminuendo il peso delle sovranità nazionali.

2.2.1   Ma l'attuale, forte, pressione migratoria verso le frontiere terrestri e marittime dell'UE impone l'esigenza di rafforzare e sviluppare nuovi sistemi, condivisi, di sorveglianza delle frontiere esterne (Eurosur).

2.3   EUROSUR

2.3.1   L'UE ha all'esame la creazione di un sistema europeo di sorveglianza delle frontiere.

2.3.2   L'attuazione del progetto dovrebbe servire a ridurre il numero degli immigrati illegali, a diminuire il tasso di mortalità durante i trasferimenti, a prevenire la criminalità transfrontaliera e ad aumentare la sicurezza interna.

2.3.3   È prevista, in prospettiva, la creazione di un sistema europeo di gestione integrata delle frontiere, che si basi su una rete condivisa di sistemi di informazione e di sorveglianza.

2.3.4   È in programma l'istituzione di una rete di «comunicazione informatica protetta», per lo scambio di dati e per il coordinamento delle attività tra i vari centri degli Stati membri e tra questi e Frontex (4).

2.4   La strada verso FRONTEX

2.4.1   Il regolamento (CE) n. 2007/2004 ha istituito l'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri.

2.4.2   Il regolamento (CE) n. 863/2007 ha poi istituito un meccanismo per la creazione di «squadre di intervento rapido alle frontiere» (RABIT) e ha modificato il regolamento (CE) n. 2007/2004, limitatamente a tale meccanismo, disciplinando i compiti e le competenze degli agenti distaccati.

2.4.3   Uno Stato membro ha quindi la possibilità di chiedere, nel quadro dell'Agenzia, l'invio sul proprio territorio di squadre di intervento rapido alle frontiere, composte da esperti di altri Stati membri opportunamente addestrati (5).

2.5   La direttiva 2008/115/CE stabilisce norme e procedure comuni da applicarsi negli Stati membri, per il rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, «nel rispetto dei diritti fondamentali … compresi gli obblighi in materia di protezione dei rifugiati e dei diritti dell'uomo».

2.5.1   Il 5 aprile 2010, in seguito all'adozione del Manuale per il trattamento delle domande di visto  (6), messo a disposizione di tutto il personale consolare degli Stati membri. è diventato applicabile il Codice comunitario dei visti per lo spazio Schengen, con 22 Stati membri e 3 Stati associati.

2.5.2   Il Programma dell'Aia (7) prevede lo sviluppo, secondo un programma definito, dell'Agenzia Frontex.

2.5.3   Il programma pluriennale di Stoccolma per uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, adottato dal Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre 2009, ha deciso il potenziamento dell'Agenzia Frontex, anche attraverso la revisione del suo quadro giuridico, e ha previsto, in particolare, la gestione integrata delle frontiere dell'Unione.

3.   Sintesi della proposta della Commissione

3.1   La Commissione europea propone la revisione del quadro giuridico dell'Agenzia Frontex, con i seguenti punti salienti:

gli Stati membri restano responsabili del controllo delle frontiere esterne, in base al principio di sussidiarietà (art. 74 T), con le proprie forze di polizia e con i propri servizi di intelligence,

gli Stati membri possono chiedere assistenza all'Agenzia, sotto forma di coordinamento, quando sono coinvolti altri Stati membri e sia richiesta una maggiore assistenza tecnica e operativa alle frontiere,

l'attuale massiccio afflusso di cittadini di paesi terzi, che tentano di entrare illegalmente nel territorio degli Stati membri, induce a potenziare il ruolo di Frontex nel contesto della politica di immigrazione dell'UE,

la valutazione di impatto che accompagna la proposta (8) prevede eccezioni al quadro giuridico Frontex e inserisce la modifica del regolamento, nelle linee di un nuovo sviluppo dell'acquis di Schengen, per la lotta contro l'organizzazione dell'immigrazione clandestina,

la proposta di modifica porta a incrementare il coordinamento della cooperazione operativa tra gli Stati membri, con criteri e procedure più armonizzati, per una gestione della sorveglianza più elevata e uniforme,

vanno potenziate le attrezzature tecniche e le risorse umane. A tal fine può essere istituito un pool di guardie di frontiera distaccate, costituito da esperti nazionali altamente qualificati e formati.

4.   Osservazioni generali

4.1   In tutto l'operato di Frontex occorre garantire il rigoroso rispetto del principio di Non refoulement, previsto dalla Convenzione di Ginevra, dalla Convenzione dell'ONU sul divieto di «trattamenti inumani o degradanti» e dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

4.2   Le missioni di Frontex andrebbero attuate nella prospettiva della salvaguardia assoluta della vita umana e della protezione della donna, dei minori e dei soggetti più vulnerabili, evitando la «esternalizzazione» dei controlli di frontiera a paesi (9) che non riconoscono il diritto di asilo e la Convenzione di Ginevra (10).

4.3   L'operato di Frontex dovrebbe essere rivolto soprattutto ai seguenti valori prioritari:

perseguire e togliere potere alle reti del crimine internazionale, che organizzano la tratta degli esseri umani,

attuare realmente il diritto di asilo, così come previsto dal Trattato UE, per le persone vittime di situazioni di ingiustizie,

aiutare i migranti in difficoltà, anche se si trovano nelle acque internazionali.

4.4   Il CESE concorda con la proposta di regolamento quando questa prevede che, pur nel rispetto delle competenze dell'Agenzia, gli Stati membri hanno facoltà di «proseguire» la cooperazione stabilita a livello operativo con altri Stati e/o paesi terzi alle frontiere esterne, se tale cooperazione «completa» l'azione dell'Agenzia, nel rispetto dei diritti dell'uomo, secondo la tradizione cristiano-sociale e giuridica dell'Unione.

4.5   Per attuare nel modo migliore la collaborazione, secondo il CESE Frontex dovrebbe essere dotata degli opportuni mezzi (navi, aerei ed elicotteri) necessari. I mezzi utilizzati per le operazioni Frontex devono essere chiaramente identificati e resi noti in ciascuno degli Stati membri dell'UE, e vista la loro incidenza finanziaria, Frontex dovrebbe essere in grado di potenziarne l'uso nel quadro di un coordinamento con tutti i servizi nazionali già dotati di tali mezzi.

4.6   La possibilità offerta a Frontex di finanziare e di realizzare progetti di assistenza tecnica nei paesi terzi e di inviare ufficiali di collegamento, può essere condivisa dal CESE se i progetti e l'assistenza vedono coinvolte le ONG, che vantano una lunga e importante esperienza nel campo dell'assistenza, della formazione allo sviluppo e della difesa della dignità umana.

4.7   Frontex dovrebbe avvalersi, appena possibile, del nuovo sistema SIS II (11) (Sistema Schengen di seconda generazione).

4.8   Un notevole aiuto, per soccorrere le persone migranti, in difficoltà, nel bacino del Mediterraneo, potrà venire a Frontex dall'utilizzo dei dati di GMES, che provengono dalla stazione di Neustrelitz (12).

4.9   Anche il ruolo previsto per Frontex per il coordinamento delle attività connesse con le operazioni di rimpatrio congiunto va attuato, secondo i pareri espressi dal Comitato, in stretta cooperazione con le ONG umanitarie, che hanno una riconosciuta sensibilità e una profonda esperienza nei rapporti con esseri umani che si trovano in situazione di difficoltà e di debolezza.

4.10   Secondo il CESE, può essere conferito a Frontex solo un mandato limitato per il trattamento dei dati personali connessi alla lotta contro le reti criminali, che organizzano l'immigrazione clandestina, e sempre in stretta collaborazione con la magistratura inquirente.

5.   Osservazioni particolari

5.1   Il CESE considera le modifiche proposte coerenti con l'obiettivo di potenziare il ruolo e le funzioni di Frontex, al fine di rafforzare il controllo delle frontiere esterne UE e di garantire, nel contempo, la libertà e la sicurezza interna degli Stati membri.

5.2   Nel merito, è possibile tuttavia formulare i seguenti rilievi.

5.2.1   Considerando (10) - potrebbe essere più vincolante sotto il profilo giuridico la sostituzione del termine «procurando» con il termine «assicurando».

5.2.2   Considerando (13) - appare opportuno sostituire il termine «elenchi» con l'espressione «appositi registri», che sembra più adatta a stabilire l'obbligo di una gestione rigorosa delle risorse.

5.2.3   Considerando (14) - l'espressione «un numero adeguato di guardie di frontiera qualificate» andrebbe opportunamente integrata con l'aggiunta, «formate e specializzate».

5.2.4   Considerando (15) - l'espressione «a titolo semipermanente» appare approssimativa e pertanto andrebbe sostituita con altra più precisa.

5.2.5   Considerando (23) - sarebbe opportuno definire in modo rigoroso i «limiti» relativi alla possibilità attribuita all'Agenzia di «varare e finanziare progetti di assistenza tecnica, ecc.».

5.3   Art. 1 bis, lett. a) 2 - l'espressione «immediate adiacenze» andrebbe meglio specificata al precipuo scopo di evitare questioni di interferenze indebite nei confronti della sovranità nazionale.

5.3.1   Art. 2, 1 lett. c) - il compito affidato all'Agenzia riguardo alla «analisi dei rischi» dovrebbe estendersi anche ai «costi» necessari a fronteggiare la pressione verso le frontiere esterne degli Stati membri più esposti. Infatti, appare conforme ad equità che tutti i membri dell'Unione si facciano carico di tale onere e quindi non solo i paesi di «frontiera».

5.3.1.1   La norma andrebbe poi opportunamente coordinata con le disposizioni di cui al successivo art. 4.

5.3.2   Art. 2, 1 iii), lett. h) - sembra opportuno precisare che può essere conferito all'Agenzia solo un «mandato limitato» per il trattamento dei dati personali connessi alla lotta contro le reti criminali che organizzano l'immigrazione clandestina. La norma andrebbe inoltre coordinata con le disposizioni di cui ai successivi art. 11, 11 bis e 11 ter.

5.3.3   Art. 14, 1 - sembra opportuno chiarire le modalità con le quali l'Agenzia «agevola» la cooperazione operativa tra Stati membri e paesi terzi.

5.3.4   Art. 14, 2 - la prevista possibilità da parte dell'Agenzia di inviare nei paesi terzi ufficiali di collegamento andrebbe meglio chiarita, nel senso che tali ufficiali, distaccati in qualità di osservatori e/o consulenti, possono essere inviati unicamente nei paesi terzi «le cui pratiche in materia di gestione delle frontiere sono conformi alle norme minime di protezione dei diritti umani», con la precisazione aggiuntiva che detti paesi terzi devono anche aver formalmente recepito le vincolanti Convenzioni internazionali sui diritti umani, di asilo e di protezione internazionale.

Bruxelles, 15 luglio 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Conformemente all'art 77 del Trattato sul funzionamento dell'Unione, gli agenti di Frontex possono svolgere compiti agli ordini delle guardie di frontiera degli Stati membri, nel rispetto, quindi, della sovranità di questi ultimi.

(2)  Oltre alle polemiche insorte con altri Stati membri, in merito alla corretta applicazione delle norme sull'accoglienza e sul divieto di respingimento, ora la magistratura italiana contesta a funzionari e militari il reato di violenza privata per il respingimento verso la Libia, nell'agosto 2009, di 75 immigrati clandestini intercettati in acque internazionali. La tesi della Procura della Repubblica di Siracusa non è però condivisa dal governo italiano, mentre l'Alto commissario ONU per i rifugiati sostiene che i respingimenti «hanno messo a rischio la possibilità di fruire del diritto di asilo in Italia».

(3)  Dal momento che tutti gli Stati membri hanno ormai ratificato il Protocollo 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), e che l'articolo 17 della CEDU, nonché il Trattato di Lisbona ratificato aprono la strada all'adesione dell'UE a tale convenzione, è oltremodo necessario che Frontex segua il medesimo orientamento.

(4)  La rete informatica va poi coordinata con la decisione della Commissione del 20 gennaio 2006 recante modalità di esecuzione della decisione 2005/267/CE, relativa alla creazione sul web di una rete di informazione e coordinamento sicura (Iconet), per i servizi di gestione dell'immigrazione degli Stati membri, in particolare attraverso lo scambio rapido di informazioni nella lotta all'immigrazione illegale.

(5)  I compiti suddetti sono strettamente collegati a quelli attribuiti all'Ufficio europeo di polizia (Europol), istituito nel 1992 per occuparsi di intelligence a livello europeo in ambito criminale. In questo quadro si inserisce anche il Sistema di informazione Schengen (SIS), che consente lo scambio tra le competenti autorità degli Stati Schengen di «dati» relativi all'identità di determinate categorie di persone e di beni.

(6)  Adottato dalla Commissione europea il 19 marzo 2010.

(7)  GU C 53 del 3.3.2005, pag. 1.

(8)  SEC(2010) 149 definitivo.

(9)  Come, ad es., la Libia.

(10)  La direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 dicembre 2008 (che sarà in vigore dal dicembre 2010) stabilisce norme e procedure comuni da applicarsi negli Stati membri al «rimpatrio» di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, «nel rispetto dei diritti fondamentali … compresi gli obblighi in materia di protezione dei rifugiati e di diritti dell'uomo».

(11)  SIS, Sistema di Informazione Schengen, che dovrebbe essere operativo entro il 31 dicembre 2011 (Rapporto Coelho del Parlamento europeo).

(12)  La stazione di Neustrelitz, in Germania, garantirà per l'Europa e per il bacino del Mediterraneo la pianificazione e la produzione di dati ad altissima risoluzione dei satelliti ottici Geo, Eye-1 e Ikonos.


11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/167


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Consiglio relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale

COM(2010) 105 def. — 2010/0067 (CNS)

2011/C 44/29

Relatore unico: RETUREAU

Il Consiglio, in data 29 aprile 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento (UE) del Consiglio relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale

COM(2010) 105 definitivo — 2010/0067 (CNS).

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 16 giugno 2010.

Alla sua 464a sessione plenaria, dei giorni 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 14 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 134 voti favorevoli, 1 voto contrario e 6 astensioni.

1.   Raccomandazioni

1.1   La base giuridica della proposta è l’articolo 81, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che conferisce al Consiglio il potere di stabilire misure relative ad aspetti del diritto di famiglia aventi implicazioni transnazionali; il progetto risponde bene all’elemento di estraneità previsto dai Trattati.

1.2   Il Comitato nota con interesse la possibilità offerta dalla proposta di regolamento di applicare la procedura della cooperazione rafforzata (1) di cui agli articoli 326 e seguenti del titolo III del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea in un settore in cui non è né scontata né facile, come quello del diritto; spera che il ricorso alla cooperazione rafforzata consentirà, in futuro e anche in altri settori, di superare le difficoltà che ostacolano il progresso nelle materie e in determinate questioni che, in un certo momento, non riscuotono l’unanimità ma che vedono un certo numero di paesi intenzionati a portare avanti la reciproca collaborazione.

1.3   Il Comitato constata, al pari della Commissione, che i principi di sussidiarietà e proporzionalità sono rispettati dal regolamento proposto, il quale sarà applicabile dopo l’adozione da parte degli Stati membri che l’hanno richiesto. L’iniziativa è conforme alla Carta dei diritti fondamentali e agli impegni internazionali degli Stati membri in materia di diritti umani.

1.4   Le soluzioni proposte sono tali da evitare la corsa al foro competente da parte di uno dei coniugi, e possono rispondere alle loro legittime aspettative per quanto riguarda tale foro, che sarà in linea di massima quello della loro residenza abituale al momento della presentazione della domanda di separazione personale o di divorzio. I procedimenti di annullamento del matrimonio sono esclusi dal progetto di regolamento, e tutte le altre questioni sono disciplinate dal diritto comunitario vigente in materia di matrimonio e di potestà dei genitori sui figli avuti in comune.

1.5   Il Comitato osserva anche che il regolamento proposto non incide in alcun modo sul diritto sostanziale degli Stati membri.

1.6   Esso approva in definitiva un progetto che consentirà di risolvere più facilmente i casi di divorzio o separazione personale fra i residenti di un paese e quelli degli altri paesi aderenti alla cooperazione, contribuendo così alla libera circolazione delle persone e all’applicazione delle sentenze passate in giudicato.

2.   La proposta della Commissione

2.1   La legge applicabile al divorzio e alla separazione personale non fa ancora parte del diritto comunitario in materia di matrimonio. Il primo strumento comunitario adottato nel settore del diritto di famiglia, il regolamento (CE) n. 1347/2000 del Consiglio, stabilisce norme relative alla competenza giurisdizionale, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e relative alla potestà dei genitori sui figli di entrambi i coniugi emesse in occasione di procedimenti in materia matrimoniale, ma non prevede norme relative alla legge da applicare.

2.2   L’entrata in vigore del regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, che ha abrogato e sostituito il regolamento (CE) n. 1347/2000 a partire dal 1o marzo 2005, non ha apportato modifiche al riguardo.

2.3   Il regolamento (CE) n. 2201/2003 consente peraltro ai coniugi di scegliere tra vari criteri di competenza alternativi. Una volta instaurato il procedimento in materia matrimoniale davanti alle autorità giurisdizionali di uno Stato membro, la legge applicabile è individuata attraverso le norme di conflitto di tale Stato, che si basano su criteri diversi. Nella maggior parte degli Stati membri, la legge applicabile è determinata attenendosi a una serie di criteri di collegamento diretti a garantire che il procedimento sia disciplinato dall’ordinamento giuridico con cui presenta il legame più stretto. Gli altri Stati membri applicano sistematicamente ai procedimenti in materia matrimoniale la legge nazionale («lex fori»).

2.4   Il fatto che negli anni scorsi non si sia trovato un accordo fra tutti gli Stati membri sulla legge da applicare e sulla soluzione delle norme di conflitto in materia di divorzio e separazione personale, e che non si intraveda una soluzione a questo problema per il prossimo futuro, ha indotto diversi Stati membri a seguire la strada della cooperazione rafforzata in questa materia, in attesa di un accordo definitivo che incontri l’unanimità in sede di Consiglio. Di conseguenza, dieci Stati membri si sono rivolti alla Commissione, esprimendo l’intenzione di stabilire fra loro una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile in materia di matrimonio, e chiedendo che la Commissione presentasse al Consiglio una proposta in merito. Il 3 marzo 2010 la Grecia ha ritirato la sua richiesta (2). In compenso, altri paesi stanno pensando di aderire. Al momento attuale, quattordici Stati membri hanno dichiarato il proprio interesse per questa cooperazione.

2.5   La Commissione, constatato che il progetto di cooperazione rafforzata non intacca il diritto comunitario esistente, ha preparato una proposta di regolamento in cui indica che il progetto dei dieci Stati membri iniziali costituisce un passo avanti nel senso dell’iniziativa della Commissione che modifica il regolamento (CE) n. 2201/2003 limitatamente alla competenza giurisdizionale e introduce norme sulla legge applicabile in materia matrimoniale, presentata in data 17 luglio 2006 (COM(2006) 399 definitivo) ma ancora all’esame del Consiglio e in attesa di adozione. La valutazione d’impatto presentata all’epoca è ancora valida, e non occorre effettuarne una nuova.

2.6   In conformità dell’articolo 329, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, il 4 giugno 2010 i ministri europei della Giustizia hanno autorizzato a maggioranza qualificata la proposta della Commissione di procedere a una cooperazione rafforzata con alcuni di loro in materia di divorzio e separazione personale. Il Parlamento europeo ha espresso il suo parere conforme qualche giorno più tardi (16 giugno 2010). Al momento non resta che attendere l’adozione formale della decisione del Consiglio dell’UE che autorizza una cooperazione rafforzata.

2.7   Per quanto riguarda il regolamento di attuazione della cooperazione rafforzata, i ministri hanno approvato un orientamento generale sugli elementi essenziali e hanno chiesto che le questioni in sospeso siano sottoposte a un nuovo esame. Il Consiglio dell’UE, deliberando in base all’articolo 81, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, deve approvare all’unanimità il regolamento in oggetto (3).

3.   Osservazioni del Comitato

3.1   Il Comitato si è pronunciato a più riprese sulla necessità che i cittadini europei siano messi in condizione di vedersi riconoscere in un dato paese le sentenze definitive e passate in giudicato emesse in un altro Stato membro senza dover ricorrere a un procedimento di exequatur.

3.2   In materia civile, e in particolare per quanto riguarda il diritto matrimoniale, il Comitato aveva adottato un parere riguardante il Libro verde sul divorzio (4), che ha di fatto ispirato il progetto di regolamento ancora fermo all’esame del Consiglio, nel quale si pronunciava a favore delle disposizioni proposte in materia di riconoscimento reciproco delle sentenze, conflitto di leggi e giurisdizione, nonché sul diritto applicabile.

3.3   Contemporaneamente, il Comitato aveva messo in guardia la Commissione sulle possibili contraddizioni tra l’applicabilità di un diritto straniero, in particolare quello di alcuni paesi terzi, e le eventuali disposizioni contrarie all’ordine pubblico comunitario, o a quello del foro competente, che tale diritto straniero potrebbe contenere (disparità di trattamento fra uomini e donne, assegnamento sistematico dei figli a uno dei coniugi secondo il sesso di quest’ultimo, ecc.). Il Comitato dunque si compiace dell’inserimento di una clausola di eccezione per motivi di ordine pubblico che esclude le disposizioni di diritto straniero contrarie ad esempio alla Carta dei diritti fondamentali, la quale fa ormai parte del nostro diritto primario allo stesso titolo dei Trattati. Gli Stati membri invocheranno l’ordine pubblico internazionale del loro foro interno per sollevare un’eventuale eccezione verso il diritto di un paese terzo che risultasse violare tale ordine.

3.4   Il Comitato ribadisce il proprio sostegno alle soluzioni proposte per determinare il foro competente, che deve essere in linea di massima quello dell’ultima residenza comune abituale dei coniugi (5). In tal modo si potrà evitare una corsa verso l’una o l’altra giurisdizione da parte dei coniugi che si verificherebbe qualora esistessero diversi criteri di determinazione del foro competente. Peraltro, il diritto applicabile potrà essere quello più vicino al diritto del matrimonio, secondo criteri cumulativi, diritto cui il coniuge più debole avrà la facoltà di ricorrere, e non obbligatoriamente quello del foro competente, com’è attualmente previsto in alcuni paesi membri. Il diritto applicabile potrà anche essere scelto di comune accordo fra i coniugi, purché esistano dei criteri obiettivi in questo senso.

3.5   In questo modo si vengono a creare una certezza e una sicurezza maggiori in un settore spesso conflittuale qual è quello del divorzio o della separazione personale (la separazione essendo spesso la prima tappa di un procedimento di divorzio). Le altre norme applicabili in materia di matrimonio sono quelle previste dal regolamento (CE) n. 2201/2003, in vigore in tutti gli Stati membri.

3.6   Il Comitato in conclusione approva e sostiene il progetto di regolamento in esame, e auspica che la procedura della cooperazione rafforzata, cui si ricorre per la prima volta nonostante sia possibile dall’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam nel 1999, entri finalmente a far parte delle procedure normali che consentono di far progredire l’Europa in settori che richiedono l’unanimità ma nei quali il raggiungimento dell’unanimità non è prevedibile in tempi brevi; in questo modo si potranno evitare blocchi e ritardi nell’adozione di leggi e misure comuni e si permetterà ai paesi che lo desiderino di portare avanti la reciproca collaborazione nonostante l’assenza di unanimità o di quorum.

Bruxelles, 14 luglio 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  GU C 83 del 30.3.2010, pag. 189.

(2)  I paesi che hanno promosso la cooperazione rafforzata in questo settore sono: Germania, Austria, Belgio, Bulgaria, Spagna, Francia, Ungheria, Italia, Lettonia, Lussemburgo, Malta, Portogallo, Romania e Slovenia.

(3)  L’articolo 81, paragrafo 3, stabilisce che le misure relative al diritto di famiglia aventi implicazioni transnazionali sono stabilite dal Consiglio, che delibera secondo una procedura legislativa speciale. Il Consiglio delibera all’unanimità previa consultazione del Parlamento europeo. Gli atti che danno attuazione alla cooperazione rafforzata in questo settore devono essere adottati secondo le norme stabilite dalla suddetta disposizione.

(4)  Cfr. GU C 24 del 31.1.2006, pag. 20.

(5)  A condizione che, al momento di aprire il procedimento, la residenza decorre già da un certo periodo (in genere un mese, o un anno).


11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/170


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione

COM(2010) 204 def. — 2010/0110 (COD)

2011/C 44/30

Il Consiglio, in data 31 maggio 2010, e il Parlamento europeo, in data 8 giugno 2010, hanno deciso, conformemente al disposto degli articoli 46 e 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione

COM(2010) 204 definitivo — 2010/0110 (COD).

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, nel corso della 464a sessione plenaria dei giorni 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 14 luglio), ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 163 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni.

Bruxelles, 14 luglio 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/171


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 861/2006 del Consiglio, del 22 maggio 2006, che istituisce un'azione finanziaria della Comunità per l'attuazione della politica comune della pesca e in materia di diritto del mare

COM(2010) 145 def. — 2010/0080 (COD)

2011/C 44/31

Relatrice generale: María Candelas SÁNCHEZ MIGUEL

Il Consiglio, in data 31 maggio 2010, e il Parlamento europeo, in data 12 maggio 2010, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 43, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 861/2006 del Consiglio, del 22 maggio 2006, che istituisce un'azione finanziaria della Comunità per l'attuazione della politica comune della pesca e in materia di diritto del mare

COM(2010) 145 definitivo — 2010/0080 (COD).

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 25 maggio 2010, ha incaricato la sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale e ambiente, di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 464a sessione plenaria del 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 15 luglio), ha nominato SÁNCHEZ MIGUEL relatrice generale e ha adottato il seguente parere con 135 voti favorevoli, nessun voto contrario e 4 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) valuta positivamente le misure proposte per modificare l'attuale regolamento (CE) n. 861/2006, in quanto sono tese a rendere trasparente il finanziamento della raccolta di dati e della realizzazione di studi scientifici e a conferire maggiore concretezza alle misure che si adottano nel quadro della politica comune della pesca (PCP). Nelle discussioni in vista della riforma della PCP si è evidenziato che occorre una base di dati solida per garantire che le realizzazioni di tale politica corrispondano a necessità reali, in modo che la PCP sia sostenibile dal punto di vista economico, sociale e ambientale.

1.2   Le nuove disposizioni mirano a chiarire il sistema di finanziamento della raccolta di dati e l'elaborazione di studi scientifici rilevanti per la PCP. Viene inoltre ampliato il concetto sotteso al termine «raccolta di dati» attraverso la regolamentazione della gestione e dell'uso di tali dati dal punto di vista della certezza del diritto in rapporto alla informazioni ottenute. Il controllo dei dati da parte degli Stati membri ne consentirà un uso ordinato.

1.3   Il finanziamento delle spese di funzionamento dei consigli consultivi regionali (CCR) non sarà più limitato, come avveniva sinora, alla sola fase di avvio di questi organismi.

1.4   Inoltre, si propone di finanziare le spese di partecipazione dei rappresentanti del comitato consultivo per la pesca e l'acquacoltura (CCPA) alle riunioni del Consiglio internazionale per l'esplorazione del mare (CIEM) e del Comitato scientifico, tecnico ed economico per la pesca (CSTEP).

1.5   In rapporto alle procedure amministrative per la richiesta di finanziamento e il relativo controllo, si evidenzia la necessità di disposizioni più specifiche per i piani pluriennali degli Stati membri e per l'approvazione di tali piani da parte della Commissione, in modo che essi siano soggetti alla disciplina di bilancio dell'UE.

2.   Introduzione

2.1   La proposta di modifica del regolamento (CE) n. 861/2006 mira a chiarire la portata delle misure finanziate e soprattutto a migliorare il contenuto di alcuni articoli relativi alle spese per le attività di controllo e all'esecuzione di tali spese.

2.2   Le modifiche previste vanno in tre direzioni:

quelle che recepiscono l'evoluzione del quadro legislativo,

quelle che toccano il campo di applicazione, e che devono essere in linea con le attuali esigenze,

quelle che chiariscono le azioni, contemplate dal suddetto regolamento, che gli Stati membri devono intraprendere nella raccolta di dati e nella realizzazione di studi connessi alla PCP.

2.3   Inoltre, nel quadro delle relazioni internazionali concernenti la PCP, viene chiarita la tipologia dei partenariati (bilaterali, regionali o multilaterali).

2.4   Allo stesso modo, viene adottato un nuovo formulario amministrativo per la richiesta di finanziamento e il disbrigo del relativo iter, chiarendo la portata applicativa di tale disposizione e il tipo di controllo eseguito dagli organismi competenti.

3.   Osservazioni del CESE

3.1   Il CESE valuta positivamente le modifiche proposte al regolamento (CE) n. 861/2006 in quanto esse tengono conto delle norme per lo sviluppo ulteriore di tale regolamento. Appare particolarmente opportuna la richiesta di dati e studi scientifici sulla situazione dei mari e degli oceani, nonché della pesca, affinché qualsiasi misura che venga adottata in rapporto alla politica della pesca sia fondata su basi solide e garantisca l'uso sostenibile delle risorse esistenti.

3.2   L'obiettivo è quello di migliorare non solo la trasparenza del finanziamento, ma anche l'utilizzo dei fondi accordati, ampliando i casi in cui si può concedere un finanziamento. Il finanziamento della raccolta di dati e il controllo da parte degli Stati membri dell'utilizzo di tali dati permetteranno alla ricerca di essere un elemento di rilievo nel quadro della PCP e di portare a uno sviluppo sostenibile del settore della pesca.

3.3   Il contenuto della proposta di regolamento può essere esaminato in rapporto ai seguenti blocchi tematici:

3.3.1

Quadro comunitario per la raccolta, la gestione e l'uso di dati nel settore della pesca e sostegno alla consulenza scientifica per la politica comune della pesca. La particolarità della proposta è che il finanziamento non riguarda soltanto gli Stati e gli organismi pubblici competenti, ma anche il settore privato. L'obiettivo è soprattutto quello di riconoscere un dato di fatto che si registra attualmente nella realtà, la partecipazione del settore scientifico privato; per questo motivo si ritiene che l'inclusione di questo settore nella normativa apporti una maggiore trasparenza.

3.3.2

Partenariati internazionali con paesi terzi (accordi regionali, bilaterali o multilaterali) per la raccolta di dati e l'elaborazione di studi. Questa disposizione implica che si mantiene un controllo scientifico non solo sulle nostre risorse di pesca, ma anche su quelle di altre regioni nelle cui acque la flotta peschereccia dell'UE eserciti la sua attività, in modo da migliorare la valutazione scientifica e tecnica della pesca e il controllo delle attività in tali regioni.

3.3.3

Finanziamento delle spese di partecipazione dei rappresentanti del CCPA alle riunioni dei CCR, del CIEM e del CSTEP - allo scopo di agevolare un'assunzione di decisioni fondata su una base il più possibile ampia. Questo finanziamento è motivato dall'interesse speciale che l'ambito in questione riveste per l'UE. Si ritiene che si debbano coinvolgere maggiormente le suddette organizzazioni, non solo per quanto concerne la loro partecipazione alla raccolta di dati, ma anche nell'assunzione di decisioni nelle questioni attinenti alla pesca che rientrino nelle loro competenze e che vertano sul miglioramento della PCP.

3.3.4

Procedure in materia di raccolta, gestione e uso di dati. La modifica della sezione 2 del regolamento mira ad armonizzare l'attuale procedura per la richiesta di finanziamento con quanto stabilito nei programmi pluriennali che gli Stati membri presentano e che la Commissione approva. In questo modo il controllo finale sull'utilizzo del finanziamento seguirà le norme dell'UE sul controllo della spesa.

3.4   Infine secondo il CESE, benché la riforma della PCP non abbia ancora preso corpo, questa proposta di modifica del regolamento è opportuna, in quanto consente di anticipare gli effetti benefici che possono derivare dall'uso di dati scientifici e obiettivi nella programmazione delle future misure che si dovranno adottare una volta approvata la nuova politica, senza attendere fino al 2013. In ogni caso, l'ampliamento e lo sviluppo delle stesse pratiche nei paesi terzi avranno degli effetti importanti sulla situazione dei mari e degli oceani.

Bruxelles, 15 luglio 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/173


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Verso l'integrazione della sorveglianza marittima: un sistema comune per la condivisione delle informazioni sul settore marittimo dell'UE

COM(2009) 538 def.

2011/C 44/32

Relatore: Nikolaos LIOLIOS

La Commissione europea, in data 15 ottobre 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Verso l'integrazione della sorveglianza marittima: un sistema comune per la condivisione delle informazioni sul settore marittimo dell'UE

COM(2009) 538 definitivo.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o giugno 2010.

Alla sua 464a sessione plenaria, dei giorni 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 14 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 164 voti favorevoli, 1 voto contrario e 6 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la comunicazione in esame, e appoggia l'insieme delle possibili misure di sorveglianza marittima integrata ivi proposte al fine di ottenere una comprensione effettiva di tutte le attività in mare che potrebbero avere un impatto sulla sicurezza, la protezione, l'economia o l'ambiente dell'Unione europea e dei suoi Stati membri.

1.2   Il CESE concorda, in linea di principio, con le raccomandazioni formulate nella suddetta comunicazione, ed è convinto che l'introduzione di norme in materia di divulgazione e trattamento dei dati nonché di meccanismi di controllo da parte/nei confronti di tutti gli organismi partecipanti consentirà di ottenere una conoscenza migliore della situazione nel settore marittimo.

1.3   Il CESE osserva che la comunicazione in esame reca un contributo positivo alla soluzione dei maggiori problemi di sicurezza cui l'UE deve far fronte, tra i quali l'immigrazione illegale, la tratta di esseri umani, il traffico di stupefacenti e la protezione efficiente ed efficace dell'ambiente nonché della vita e del patrimonio dei cittadini dell'UE.

1.4   Il CESE riconosce che la politica marittima integrata dell'UE può essere sostenibile solo se contempla azioni sostenibili, e che la sorveglianza marittima integrata non costituisce un'eccezione al riguardo. Il sistema di sorveglianza marittima integrata proposto dovrebbe essere pertanto realizzato in modo tale da fornire, in maniera sostenibile, dei dati accurati, tempestivi, affidabili ed economici quando e dove necessario e per la specifica finalità richiesta. Si deve quindi considerare anche la possibilità di rendere espandibile tale sistema.

1.5   Il CESE è favorevole a un ampio meccanismo comune di sorveglianza per tutta l'UE, basato su un quadro giuridico armonizzato, che permetta la condivisione di informazioni - sensibili e non - tra le amministrazioni, le agenzie e gli operatori dei diversi Stati membri.

1.6   Il CESE riconosce l'importanza della dimensione internazionale del settore marittimo, e al riguardo reputa necessario e urgente elaborare norme tecniche e giuridiche e studiare le possibilità di cooperazione con paesi terzi.

1.7   Il CESE è convinto che, per poter collegare tra loro i sistemi di sorveglianza marittima, sia necessario aver prima esaminato in maniera approfondita le varie questioni giuridiche relative allo scambio di informazioni raccolte per finalità diverse e da fonti diverse. In proposito gli Stati membri sono soggetti ad obblighi differenti, e la riservatezza dei dati e la protezione dei dati personali rivestono un'importanza cruciale. Restano ancora da stabilire la natura dei dati condivisibili, le finalità (e i metodi) del loro scambio e i loro potenziali destinatari, nonché le garanzie eventualmente necessarie ai fini della riservatezza e della sicurezza dei dati e della protezione dei dati personali.

1.8   Il CESE raccomanda che i dati siano divulgati in funzione dell'effettiva «necessità di sapere» dell'utente, in modo da garantirne la protezione ed evitarne un'indebita propagazione. È inoltre assolutamente necessario definire chiaramente i livelli di riservatezza nonché quale livello è autorizzato all'utilizzo dei dati, attraverso la creazione di un sistema pratico e trasparente di attribuzione dei diritti di accesso.

1.9   Il CESE è consapevole del fatto che la validazione dei dati raccolti è un compito molto importante e difficile, e propone di elaborare un quadro di riferimento per la raccolta dei dati e la verifica della correttezza delle sue modalità che garantisca altresì la sicurezza delle informazioni durante il processo della loro divulgazione.

1.10   Il CESE preme affinché, per attuare la sorveglianza marittima integrata, si rispetti una tabella di marcia che, trattando gli aspetti giuridici e tecnici dell'integrazione delle informazioni, faccia tesoro dell'esperienza acquisita con i progetti pilota, i gruppi di esperti e le valutazioni d'impatto.

1.11   Il CESE raccomanda di elaborare meccanismi unici di coordinamento nazionale e un unico centro (hub) di informazione per ciascun gruppo («comunità») di utilizzatori a livello nazionale, al fine di agevolare lo sviluppo e l'operabilità della sorveglianza marittima integrata.

1.12   Tenendo conto dei numerosi sistemi esistenti, il CESE propone di evitarne le sovrapposizioni, in modo che la sorveglianza marittima integrata modifichi non già le modalità di raccolta delle informazioni, bensì quelle della loro divulgazione.

1.13   Il CESE invita l'UE ad adottare un approccio più centralizzato alla gestione della rete; con questo approccio il coordinamento si realizzerebbe attraverso la struttura formale della rete stessa e le comunicazioni a livello centrale.

1.14   Per rendere sicura l'interconnessione delle comunità di utilizzatori, il CESE suggerisce che l'UE definisca una piattaforma chiara e robusta per il sistema di attribuzione dei diritti di accesso, basata su una comprensione comune a livello dell'UE delle diverse posizioni politiche nonché sull'efficacia operativa. I beneficiari dei diritti di accesso così attribuiti dovrebbero essere soggetti al regolamento dell'UE sulla trasparenza.

1.15   L'architettura adottata per il sistema dovrebbe includere meccanismi di feedback che consentano adattamenti e aggiornamenti, anche attraverso l'evoluzione del quadro normativo.

1.16   Il CESE raccomanda che una gestione avanzata dei rischi legati alla sicurezza continui ad essere una priorità assoluta per il settore marittimo europeo. A tal fine, è preferibile un'architettura a più livelli che garantisca la validità e la sicurezza dei dati.

2.   Introduzione

2.1   Il 15 ottobre 2009 la Commissione ha pubblicato la comunicazione intitolata Verso l'integrazione della sorveglianza marittima: un sistema comune per la condivisione delle informazioni sul settore marittimo dell'UE (COM(2009) 538 definitivo) e, in base all'articolo 262 del Trattato CE, chiesto al CESE di elaborare un parere in merito.

2.2   Nella sua precedente comunicazione dal titolo Una politica marittima integrata per l'Unione europea (COM(2007) 575 definitivo) (il cosiddetto «Libro blu»), la Commissione stessa si era impegnata a provvedere entro il 2013 «alla realizzazione di un sistema di sorveglianza maggiormente integrato per riunire i sistemi di monitoraggio e di localizzazione esistenti che vengono attualmente utilizzati per garantire la sicurezza e la protezione in mare, la tutela dell'ambiente marino, il controllo della pesca, il controllo delle frontiere esterne e altre attività rivolte all'applicazione della legge».

2.3   Nel campo della sorveglianza l'Unione europea ha già avviato una serie di iniziative che integrano più di un'attività settoriale. Innanzitutto, la direttiva 2002/59/CE (1) ha introdotto: il Vessel Traffic Monitoring (sistema comune di monitoraggio del traffico navale e d'informazione), che consente agli Stati membri di raccogliere e scambiare tra loro dati relativi ai movimenti e alle operazioni di carico delle navi, e il SafeSeaNet, una rete europea per lo scambio di dati marittimi tra le autorità competenti degli Stati membri intesa a prevenire gli incidenti in mare e l'inquinamento marino e a consentire una risposta più efficace nell'eventualità di tali incidenti.

2.4   A tal fine è già operativo il server EIS (European Index Server) e si sta sviluppando il sistema Stires (SafeSeaNet Traffic Information Relay and Exchange System). Inoltre, i dati relativi al traffico marittimo a corto raggio vengono raccolti già adesso, e in futuro quelli relativi al traffico marittimo a lungo raggio saranno resi accessibili su richiesta dal Centro di raccolta dati del sistema di identificazione e tracciamento delle navi a lungo raggio dell'UE (EU Long Range Identification and Tracking Data Centre - EU LRIT DC), in cooperazione con gli Stati membri (cfr. le risoluzioni MSC 202(81) e 211(81) del Comitato di sicurezza marittima dell'OMI (Organizzazione marittima internazionale), che hanno modificato la convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare del 1974 (International Convention of Safety of Life At Sea - SOLAS)). Inoltre, con lo sviluppo del sistema europeo di sorveglianza delle frontiere (Eurosur) si prevede una soluzione di sorveglianza integrata per l'UE.

2.5   Infine, la comunicazione in esame prende in considerazione tutte le altre iniziative pertinenti adottate dall'UE, comprese l'istituzione dell'Agenzia europea per la sicurezza marittima (European Maritime Safety Agency - EMSA), dell'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell'UE (Frontex) e dell'Agenzia europea per la difesa (European Defence Agency - EDA) e la pubblicazione del Libro blu summenzionato. Parallelamente, sono in fase di lancio due progetti pilota volti a testare sul campo - ossia in un teatro di operazioni - le possibili modalità di funzionamento concreto della sorveglianza marittima integrata. Uno dei due progetti riguarda il bacino del Mediterraneo, l'altro i bacini dei mari dell'Europa settentrionale.

2.6   La politica di sorveglianza marittima integrata proposta mira a creare non già un sistema di sorveglianza aggiuntivo, bensì delle interfacce, e quindi a integrare tra loro i sistemi esistenti nei diversi settori e nei vari Stati membri, in modo da migliorare l'efficacia delle autorità nazionali preposte all'attuazione delle misure di sorveglianza e da accrescere l'efficienza (sul piano dei costi) delle azioni effettuate in mare. Per sviluppare una rete intersettoriale sicura che soddisfi l'esigenza sempre più pressante di disporre di un quadro comune e riconosciuto della situazione, sarà necessario progettare con cura i diritti di accesso degli utilizzatori e le norme in materia di sicurezza riguardanti questi ultimi.

2.7   Il CESE riconosce che tradurre in realtà concreta la sorveglianza marittima integrata richiede un gran numero di attività complesse e sfaccettate, che si sovrappongono spesso tra loro, ma che sono nell'interesse dell'UE nel suo insieme.

2.8   Il CESE accoglie con favore la comunicazione in esame in quanto costituisce una base per integrare i sistemi autonomi oggi esistenti in un sistema comune per la condivisione delle informazioni, che sarà in grado di supportare la futura politica europea dei trasporti marittimi, di salvaguardare l'ambiente e i servizi di trasporto marittimo per il commercio sia globale che europeo e di migliorare la vita quotidiana dei cittadini dell'UE, specialmente di quelli che abitano zone situate lungo le frontiere marittime esterne dell'Unione europea.

2.9   Il CESE fa notare che la comunicazione in esame viene pubblicata in un momento cruciale in cui il settore dei trasporti marittimi si trova di fronte a una serie di gravi sfide: a) la crisi economica e finanziaria mondiale, che aggrava la crisi strutturale e ciclica del settore, b) l'immigrazione illegale, soprattutto alle frontiere meridionali e orientali dell'UE, c) le attività illegali come la tratta di esseri umani e il traffico di armi e stupefacenti e d) la gestione di materiali sensibili per installazioni militari e impianti nucleari.

2.10   Il CESE fa inoltre presente la necessità di affrontare e risolvere anche i problemi legati alla sicurezza e alla pirateria che interessano i servizi marittimi dell'UE e si verificano in acque extraeuropee (al largo dell'Africa orientale, dell'Indonesia, ecc.).

3.   Comunicazione Verso l'integrazione della sorveglianza marittima: un sistema comune per la condivisione delle informazioni sul settore marittimo dell'UE

3.1   Il CESE, come ha già dichiarato in un precedente parere (2), «appoggia la proposta di creare una rete europea per la sorveglianza marittima e di migliorare la cooperazione tra le guardie costiere degli Stati membri. Tali misure promuoveranno la sicurezza e la protezione in mare, il controllo della pesca, il controllo delle frontiere esterne e la tutela dell'ambiente marino. Il CESE ribadisce che è auspicabile che gli Stati membri dell'UE adottino un approccio coordinato riguardo agli accordi bilaterali con paesi terzi in materia di fermo, in modo da tenere conto delle crescenti esigenze di sicurezza. Caldeggia inoltre un intervento dell'UE per far fronte al proliferare degli attacchi a mano armata e degli atti di pirateria in mare, in particolare nell'Asia sudorientale e in Africa».

3.2   Il CESE accoglie con favore la comunicazione in esame, e appoggia l'insieme delle possibili misure con cui l'UE potrebbe contribuire a una maggiore sicurezza nella prestazione di servizi nel settore marittimo. Il CESE concorda in linea di principio con l'analisi e le proposte della comunicazione ed auspica ulteriori miglioramenti che contribuiscano alla rapida e concreta attuazione di una sorveglianza marittima integrata.

3.3   La comunicazione sulla strategia dell'UE per una migliore integrazione dei sistemi di sorveglianza enuncia quattro principi guida per la creazione di un sistema comune di condivisione delle informazioni, ovvero: (1) un approccio che colleghi fra loro tutte le comunità di utilizzatori, (2) l'elaborazione di un quadro tecnico per l'interoperabilità e l'integrazione futura, (3) lo scambio di informazioni fra autorità civili e militari e (4) disposizioni giuridiche specifiche per dare concreta attuazione a questo sistema comune di condivisione delle informazioni. Dato che la comunicazione in esame si limita a enunciare dei principi, anche il presente parere si limiterà ad analizzare i principi in essa proposti. Ciò non toglie, naturalmente, che, per tradurre tali principi in misure normative, sarebbero necessarie ulteriori precisazioni.

3.4   Il CESE riconosce che, dato il carattere globale del trasporto marittimo europeo, la conoscenza della situazione del settore assume una notevole importanza: infatti, (a) i movimenti delle navi costituiscono un sistema dinamico sul piano spaziale e temporale, (b) le questioni della sicurezza, della protezione e dell'ambiente travalicano le singole frontiere, e (c) decisioni prese da un solo soggetto potrebbero incidere su altri sistemi.

3.5   In proposito occorre notare che vi sono due questioni da risolvere: il quadro strategico pubblico e la funzionalità pratica del sistema. Dato che l'attuazione di un sistema di sorveglianza marittima integrata potrebbe essere ostacolata da questioni di riservatezza o di altro tipo a livello degli Stati membri, tale sistema deve essere perfezionato per renderlo davvero funzionale sul piano applicativo.

3.6   Il CESE reputa che la realizzazione concreta di detto sistema incontri tre tipi principali di problemi: quelli di natura giuridica, quelli di natura tecnica/tecnologica e quelli di natura gestionale. Sul piano giuridico, il problema più importante sembra costituito dalla riservatezza, con riguardo alla commistione di dati personali, commerciali e militari. Inoltre, le politiche in materia di (sicurezza dei) dati potrebbero vietare o limitare la condivisione (o l'ulteriore utilizzo) di determinate informazioni.

3.7   Per quanto concerne la riservatezza, le disposizioni relative a strumenti fondamentali di monitoraggio e sorveglianza classificano come informazioni riservate (sotto il profilo commerciale) una quantità significativa di dati relativi alla sorveglianza e alla comunicazione nel settore marittimo. Di conseguenza, il trattamento di questi dati sarà condizionato dall'obbligo di tutela della riservatezza e di rispetto del segreto professionale che incombe alle persone autorizzate ad avere accesso ai dati stessi.

3.8   I sistemi attuali hanno natura monosettoriale, ma la loro funzionalità è ostacolata da problemi di riservatezza. Estendere la condivisione dei dati al di là del rispettivo settore potrebbe dar luogo a nuovi problemi e a questioni di riservatezza, dato che comporterà il coinvolgimento di una serie di altri soggetti.

4.   Osservazioni specifiche

4.1   Il CESE condivide ed appoggia i principi enunciati nella comunicazione sulla sorveglianza marittima integrata.

4.2   Il CESE riconosce la necessità di effettuare ulteriori analisi, dal punto di vista strategico, giuridico, di mercato e tecnologico, che conducano a uno specifico piano di azione per l'attuazione del sistema di sorveglianza marittima integrata, con una particolare attenzione alle sfide che si prospettano sul piano giuridico e tecnologico. Dette analisi dovrebbero sfociare in una tabella di marcia dettagliata per l'attuazione di tale sistema, con un'indicazione precisa dei relativi tempi, e potrebbero basarsi sull'esperienza acquisita in materia grazie a progetti come SafeSeaNet, Freightwise, e-Freight e ai sistemi di identificazione automatica (Automatic Identification Systems - AIS) nonché a tutte le pertinenti iniziative.

4.3   Il CESE ribadisce l'importanza di esaminare i risultati dei progetti pilota attualmente in corso prima di intraprendere determinate decisioni. Occorre che i progetti pilota siano mirati sia alle imprese che alle amministrazioni che operano in campi rappresentativi del settore marittimo dell'UE. Inoltre, da questi progetti dovrebbero scaturire altresì delle relazioni sulla sostenibilità a lungo termine di un sistema di sorveglianza marittima integrata. In tal senso, avviare ulteriori progetti pilota sarà utile per una migliore comprensione dei problemi connessi con l'elaborazione di un siffatto sistema. Inoltre, ai fini del tempestivo completamento di questi progetti pilota occorrerà prevedere e monitorare dei calendari specifici di attuazione.

4.4   Il CESE desidera far notare che, per quanto concerne la realizzazione concreta della condivisione di dati, la strategia per una sorveglianza marittima integrata potrebbe trarre insegnamenti da altri sistemi in uso nel settore dei trasporti, compreso quello del «documento di trasporto unico», che è considerato il sistema equivalente di condivisione di informazioni dal lato degli operatori commerciali (ai sensi del regolamento n. 11 del Consiglio, del 27 giugno 1960, e della direttiva 92/106/CEE, del 7 dicembre 1992, ogni trasporto merci effettuato all'interno dell'UE deve ormai formare oggetto di un documento di trasporto. Conformemente al Piano di azione per la logistica del trasporto merci, verrà istituito un documento di trasporto europeo unico utilizzabile per tutti i modi di trasporto, facilitando in tal modo il trasporto multimodale di merci e rafforzando e migliorando il quadro offerto dalle lettere di vettura o dai manifesti multimodali). Per gli scambi di informazioni dovrebbe inoltre essere utilizzata la lingua più diffusa nel settore marittimo.

4.5   La sostenibilità del sistema di sorveglianza marittima integrata deve essere garantita attraverso la previsione di una possibilità di espansione («espandibilità») inerente al sistema stesso, al fine di consentire l'integrazione di futuri sistemi autonomi di sorveglianza.

4.6   Per quanto concerne la condivisione di informazioni, il CESE è favorevole al principio per cui vanno condivise «tante informazioni quante sono necessarie in base alla necessità di sapere dell'utente e in linea con le condizioni d'uso» anziché a quello per cui vanno condivise «quante più informazioni possibili». Le informazioni vanno condivise con tutte le comunità di utilizzatori, in base a un quadro di riferimento chiaro che assicuri la protezione dei dati personali nonché di altri dati sensibili. Inoltre, è assolutamente necessario controllare la divulgazione dei dati al di là degli organismi «autorizzati all'accesso», ossia attenersi alle normative pertinenti dell'UE.

4.7   Per quanto concerne gli aspetti tecnici, il CESE raccomanda di utilizzare piattaforme open source a sostegno della progettazione, dello sviluppo, della diffusione e della manutenzione delle relative soluzioni. Il nucleo fondamentale del sistema dovrebbe fornire: a) un'ontologia del dominio «marittimo» per lo scambio automatizzato di dati; b) strumenti per la progettazione, la simulazione, l'analisi delle prestazioni e l'ottimizzazione delle soluzioni in materia di sorveglianza; c) un registro dei servizi web; d) strumenti per aiutare a risolvere i conflitti di interoperabilità; e) meccanismi per il reperimento automatizzato dei servizi web (Web service discovery) e l'integrazione dei servizi idonei; f) un'interoperabilità sicura; e g) meccanismi di controllo e di revisione (audit).

4.8   Il CESE condivide la proposta di dotare il sistema di un'architettura «a strati». Tale approccio consentirà di utilizzare la moderna «architettura a nube» (cloud architecture) attualmente utilizzata da tutti gli sviluppatori informatici. Ciò nonostante, occorre tener presente che tali architetture sono maggiormente soggette a violazioni della sicurezza e che ciò richiederà l'adozione di meccanismi di protezione più efficaci. La tutela della riservatezza dei dati potrebbe essere tuttavia migliorata mediante un processo decisionale gerarchico e un quadro di riferimento per l'accesso ai dati all'interno dell'organizzazione.

4.9   Il CESE dà atto della disponibilità dei mezzi tecnologici necessari per raccogliere, rendere omogenei e divulgare dati significativi a beneficio di tutti i soggetti interessati, ed esorta l'UE a definire le piattaforme comuni atte ad essere utilizzate efficacemente da tutti questi soggetti in tutti gli Stati membri. Inoltre, bisognerebbe elaborare meccanismi di prevenzione che consentano di evitare problemi di duplicazione nella raccolta e nell'archiviazione dei dati.

4.10   Quanto al primo dei quattro principi enunciati nella comunicazione in esame, il CESE propone di compiere uno sforzo concreto verso l'introduzione di standard comuni e regole comuni in materia di dati, a livello sia settoriale che funzionale, al fine di migliorare la qualità dei dati stessi.

4.11   Data l'ampiezza del settore marittimo, la protezione dei dati potrebbe essere indebolita da un «sistema flessibile per la condivisione delle informazioni», e la potenziale minaccia che esso comporta.

4.12   Secondo il CESE, l'interoperabilità tecnica è un fattore importante, che dovrebbe condurre ad agevolare lo scambio di dati da parte di tutti i soggetti interessati, siano essi imprese o pubbliche amministrazioni, anche per quanto attiene alle comunicazioni tra pubbliche amministrazioni (administration to administration - A2A), tra queste ultime e le imprese (administration to business - A2B) e tra imprese (business to business - B2B).

4.13   Quanto al terzo dei quattro principi enunciati nella comunicazione, il CESE riconosce che un'ulteriore analisi circa l'integrazione dell'interconnessione civile e militare è necessaria per integrare meglio i dati e agevolare un utilizzo migliore delle informazioni. Il CESE condivide l'affermazione secondo cui le informazioni relative alla sorveglianza dovrebbero essere condivise fra le autorità civili e militari. Esso ribadisce inoltre la necessità di stabilire con chiarezza i mandati corrispondenti. Occorre introdurre norme e procedure operative comuni per l'accesso alle informazioni e per l'utilizzo delle stesse al fine di garantire uno scambio bidirezionale legale dei dati, quando l'utilizzo di questi ultimi è vincolato al rispetto di normative dell'UE.

4.14   Riguardo al quarto principio enunciato nella comunicazione, il CESE desidera porre l'accento sulla necessità di effettuare ulteriori analisi circa la protezione dei dati personali entro l'ambito di applicazione del documento in esame, ed esorta l'UE a riconsiderare e adottare tutte le azioni necessarie per garantire la sicurezza dei dati sensibili. Pur riconoscendo che tutto ciò finisce per appesantire il processo in esame (ossia la realizzazione di un sistema di sorveglianza marittima integrata), il CESE ritiene che si tratti di attuare un principio essenziale.

4.15   Il CESE condivide l'approccio settoriale alla condivisione delle informazioni proposto nella comunicazione. In ogni caso, andrebbero fissate delle linee guida specifiche per l'attribuzione dei diritti di accesso alle autorità competenti e al personale autorizzato.

4.16   Il CESE invita la Commissione a indagare ulteriormente sull'esistenza di accordi bilaterali marittimi tra gli Stati membri e paesi terzi in materia di condivisione di informazioni e a imporre, se necessario, il rispetto dell'acquis dell'Unione europea (regolamenti (CEE) n. 4055/86 e n. 4058/86).

4.17   Circa i dati di origine spaziale viene esplicitamente menzionato il monitoraggio globale per l'ambiente e la sicurezza (Global Monitoring for Environment and Security - GMES). Il Comitato auspica che la comunicazione menzioni espressamente anche l'uso del sistema europeo di navigazione satellitare Galileo.

4.18   Il CESE prende atto che il trattamento dei dati personali a fini militari, di sicurezza dello Stato e di applicazione del diritto penale resta per il momento al di fuori del quadro giuridico generale per la protezione dei dati. Esso condivide le conclusioni di uno studio sugli aspetti giuridici dei dati relativi al monitoraggio e alla sorveglianza marittima (relazione finale sul tema Legal Aspects Of Maritime Monitoring & Surveillance Data) commissionato dalla Commissione (contratto quadro di servizi FISH/2006/09, lotto 2), laddove affermano chiaramente che la protezione dei dati forma oggetto di un obbligo di estrema importanza per l'UE e che è un problema da affrontare a livello sia dell'UE che dei singoli Stati membri. Si prevede che siano richieste ulteriori garanzie qualora si intenda effettuare uno scambio di dati personali fra autorità rientranti nel campo di applicazione del quadro giuridico vigente in materia di protezione dei dati (ad es. autorità di pesca) e autorità (attualmente) escluse da tale campo di applicazione (ad es. autorità militari, di sicurezza dello Stato o preposte all'applicazione della legge).

4.19   Il CESE reputa molto importante elaborare un quadro giuridico che affronti questioni come ad esempio la qualità dei dati, l'ulteriore uso dei dati, la sicurezza dei dati, i meccanismi di autorizzazione all'accesso, la natura dei dati interessati, le finalità (e i metodi) dello scambio, i potenziali destinatari dei dati, le garanzie necessarie per tutelare la riservatezza e la sicurezza di determinati dati, la protezione dei dati personali e le relative procedure.

4.20   Il CESE è convinto della necessità di condividere i dati in base a un quadro di riferimento che precisi, appunto, i dati da condividere, nonché le finalità e la durata di tale condivisione e i soggetti tra cui essa deve aver luogo. Specie per quanto concerne quest'ultimo aspetto, è importante definire le autorità incaricate di controllare, divulgare e ricevere i dati sia all'interno che all'esterno dell'UE, procedendo con maggiore cautela nel caso delle autorità di paesi terzi.

4.21   Il CESE invita la Commissione europea a pubblicare una relazione annuale sull'attuazione e i risultati delle sue attività nell'ambito della sorveglianza marittima.

Bruxelles, 14 luglio 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  GU L 208 del 5.8.2002, pagg. 10-27.

(2)  Parere del CESE in merito alla comunicazione della Commissione Una politica marittima integrata per l'Unione europea (GU C 211 del 19.8.2008, pagg. 31-36).


11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/178


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Trasformare il dividendo digitale in benefici per la società e in crescita economica

COM(2009) 586 def.

2011/C 44/33

Relatrice: DARMANIN

La Commissione, in data 28 ottobre 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Trasformare il dividendo digitale in benefici per la società e in crescita economica

COM(2009) 586 definitivo.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o giugno 2010.

Alla sua 464a sessione plenaria, dei giorni 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 15 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 141 voti favorevoli, 1 voto contrario e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la comunicazione della Commissione sul tema Trasformare il dividendo digitale in benefici per la società e in crescita economica. Si tratta di un passo avanti molto importante verso il raggiungimento di uno degli obiettivi della strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, poiché il dividendo digitale costituisce una parte integrante dell'agenda europea del digitale.

1.2   Il CESE sostiene infatti la Commissione nello sforzo volto a garantire che gli Stati membri rispettino la scadenza del 2012 per la liberazione dello spettro. Il CESE comprende che alcuni paesi possano incontrare difficoltà e avere ragioni plausibili per non rispettare questa scadenza. Tuttavia, l'eventuale mancata osservanza del termine dovrebbe essere basata su ragioni valide e il periodo di sforamento dopo il gennaio 2012 dovrebbe essere più breve possibile.

1.3   Il CESE riconosce che il dividendo digitale, risultante da una risorsa molto limitata come quella dello spettro, potrebbe produrre, purché il suo utilizzo sia correttamente definito e garantito, importanti benefici sociali ed economici per l'Europa. Tali benefici migliorerebbero ulteriormente il mercato unico europeo e potrebbero aumentare altresì la coesione economica, sociale e territoriale, consentendo quindi di raggiungere alcuni degli obiettivi sociali perseguiti dall'UE.

1.4   Il CESE considera inoltre che questo progetto faro dell'agenda digitale rappresenti uno strumento efficace per promuovere i benefici offerti dall'UE. In un periodo nel quale l'euroscetticismo è in aumento e i cittadini non comprendono appieno il potenziale rappresentato da un'Europa unificata, questo progetto può offrire vantaggi chiari e tangibili sia ai privati che alle imprese. Esso migliorerà inoltre il livello di tutela dei consumatori, e il passaggio al digitale non dovrebbe comportare inutili costi per l'utente finale.

1.5   Il CESE invita la Commissione ad avviare una strategia di comunicazione integrata che faccia comprendere le ragioni del passaggio dall'analogico al digitale e i vantaggi che ne derivano.

2.   Introduzione/contesto

2.1   Il passaggio dalla televisione analogica terrestre alla televisione digitale terrestre in Europa permetterà di liberare frequenze radio di alto valore, grazie alla maggiore efficienza della radiodiffusione secondo la tecnologia digitale. Il dividendo digitale offre un grande potenziale di utilizzo da parte di un'ampia gamma di servizi.

2.2   Rappresenta un'opportunità unica che permette all'Europa di far fronte alla crescente domanda di frequenze dello spettro radio, in particolare di portare la banda larga senza fili nelle zone rurali colmando così il divario digitale; permette inoltre di incentivare l'adozione di nuovi servizi senza fili e può dare così un contributo significativo agli obiettivi di competitività e di crescita economica e rispondere ad alcune esigenze sociali, culturali ed economiche dei cittadini europei.

2.3   Lo spettro corrispondente al dividendo digitale si renderà disponibile in tutta Europa in tempi relativamente brevi perché tutti gli Stati membri dovrebbero abbandonare completamente la trasmissione analogica al più tardi entro il 2012.

2.4   La Commissione ha riconosciuto l'importanza dell'infrastruttura a banda larga ad alta velocità per molti degli sviluppi cruciali per il passaggio ad un'economia digitale della conoscenza e a basse emissioni di carbonio. Il Piano di ripresa economica, approvato dal Consiglio, si è già prefisso l’obiettivo di raggiungere la copertura a banda larga al 100 % tra il 2010 il 2013.

2.5   Si creeranno nuove opportunità di innovazione. Le opportunità più ovvie di innovazione si concentrano nel settore della radiodiffusione, visto che il dividendo digitale offre ampie porzioni di spettro perché le emittenti possano sviluppare i loro servizi. Le opportunità saranno numerose anche nei settori orientati ai servizi, con importanti vantaggi sociali come nei settori sanitario, dell'e-learning, dell'amministrazione in linea, dell'e-accessibilità e nei campi in cui le piccole e medie imprese possono beneficiare di un accesso più agevole all'economia.

3.   Vantaggi sociali ed economici insiti nel dividendo digitale

3.1   Le ricadute potenziali per l'economia dipenderanno dal livello reale della domanda futura di nuovi servizi, che in questa fase è difficile da quantificare. Tuttavia, un recente studio della Commissione stima che un adeguato coordinamento europeo dell'intero spettro corrispondente al dividendo digitale produrrà, nel complesso, se il passaggio sarà completato entro il 2015, un beneficio potenziale da 20 a 50 miliardi di euro (in 15 anni), rispetto a una situazione nella quale ciascuno Stato membro dell'UE agisce in maniera isolata. Questa stima tiene conto delle nuove applicazioni potenziali come la radiodiffusione terrestre avanzata e la banda larga senza fili.

3.2   L'armonizzazione delle condizioni a livello dell'UE gioverà al settore tecnologico, poiché la maggior parte dell'apparecchiatura utilizzata sarà standardizzata e razionalizzata. Inoltre, il potenziale di innovazione in questo comparto aumenterà notevolmente e sarà più mirato. Ciò sarà particolarmente utile al settore, e in special modo ai soggetti che avranno compiuto massicci investimenti nell'innovazione.

3.3   A livello sociale, il principale effetto della liberazione dello spettro sarebbe quello di rendere la banda larga più accessibile per tutti. Ancora oggi, le zone rurali sono talvolta prive di un adeguato accesso a Internet. Grazie al dividendo digitale, Internet potrà diventare accessibile a tutti e i servizi via Internet saranno più diffusi, consolidando così ancora di più il mercato interno. Poiché la banda larga sarà disponibile anche nella maggior parte delle zone rurali, il CESE prevede che per le imprese sarà più facile insediarsi fuori dalle zone urbane, il che darà quindi luogo a uno spostamento delle attività industriali che ancora oggi sono concentrate negli agglomerati urbani per motivi di comunicazioni e di logistica. Tale spostamento potrebbe produrre ricadute positive per l'occupazione nelle zone rurali e per l'ambiente (giacché la sovrappopolazione negli agglomerati urbani non favorisce il rispetto dei principi di sostenibilità). Tuttavia, il Comitato ribadisce la sua posizione, già espressa in vari pareri, riguardo alla necessità di un servizio a banda larga universale per tutti i cittadini, affiancato da misure volte a garantire un accesso privo di ostacoli agli utenti disabili.

3.4   Il cliente avrà una scelta migliore, poiché avrà a disposizione un numero maggiore di canali televisivi, oltre servizi di alta qualità, con un utilizzo dello spettro più ridotto. Inoltre, la possibilità di vedere contenuti televisivi attraverso supporti multimediali mobili conferisce una nuova dimensione alla fruibilità televisiva. Il dividendo digitale determinerà anche un considerevole miglioramento della qualità della vita degli utenti. Il CESE fa presente che gli Stati membri dovrebbero garantire che, durante la fase di abbandono dell'analogico, i consumatori continuino a essere adeguatamente protetti e che non siano costretti a compiere spese inutili.

3.5   Il dividendo digitale offre l'ulteriore vantaggio di mostrare le potenzialità e i benefici di un'Europa unita i cui Stati membri applicano uno stesso standard. In un periodo nel quale l'euroscetticismo è in aumento, il dividendo digitale rappresenta un altro vantaggio tangibile del quale può beneficiare tutta l'UE.

4.   Considerazioni necessarie

4.1   L'abbandono delle trasmissioni televisive analogiche e il contemporaneo passaggio alla televisione digitale consentiranno certamente di utilizzare in modo molto più efficace lo spettro delle frequenze. Con la televisione digitale, infatti, un singolo canale radiotelevisivo (con un'ampiezza di 8 MHz) consente la diffusione simultanea in media di cinque o sei programmi diversi. Ciò significa che, una volta completata la transizione al digitale, le frequenze utilizzate per la trasmissione televisiva dovrebbero ridursi a un quinto o a un sesto dello spettro necessario in precedenza. Nei paesi nei quali saranno introdotte le reti a frequenza singola (SFN), il guadagno di frequenze potrà essere addirittura dieci volte superiore dopo la distribuzione ottimale delle diverse reti televisive.

4.2   Non c'è alcun dubbio che lo spettro liberato rappresenti una risorsa preziosa, in particolare nei paesi nei quali la televisione via cavo è poco diffusa e lo spettro di radiofrequenze è quindi una risorsa effettivamente limitata. Le nuove frequenze disponibili possono essere utilizzate in maniera ottimale per la fornitura di servizi a banda larga senza fili, che sono particolarmente preziosi per le zone rurali nelle quali l'assenza di servizi Internet ad alta velocità è senza dubbio una causa di inerzia economica e di esclusione sociale. Il Comitato ritiene che questi servizi contribuiranno a rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale di queste zone.

4.3   Finora le ragioni del passaggio dall'analogico al digitale non sono state forse spiegate adeguatamente. Il pubblico può avere la percezione che questa transizione serva unicamente agli interessi commerciali degli operatori televisivi, poiché l'adeguamento degli apparecchi nelle case potrà comportare dei costi. È fondamentale quindi definire e realizzare una strategia di comunicazione adeguata in modo da far conoscere la vera ragione del passaggio al digitale.

4.4   È fondamentale che tutti gli Stati membri condividano una banda comune per consentire la fornitura di un servizio universale in tutta l'UE e a tutti i cittadini europei. La scelta ottimale è la banda degli 800 MHz, che si situa nell'intervallo compreso tra i 790 e gli 862 MHz della sottobanda UHF.

4.5   La Conferenza europea delle amministrazioni postali e delle telecomunicazioni (CEPT) sarà incaricata di elaborare le specifiche tecniche per l'armonizzazione della banda degli 800 MHz, in stretta collaborazione con le diverse autorità nazionali di regolamentazione che conoscono da vicino la situazione attuale dello spettro nei rispettivi paesi.

4.6   Per aprire la banda degli 800 MHz alle telecomunicazioni a banda larga e senza fili è essenziale che gli Stati membri completino la fase di spegnimento delle trasmissioni analogiche entro una determinata data. Al momento attuale la scadenza è fissata al 1o gennaio 2012, ma sembra che non tutti gli Stati membri la rispetteranno. È tuttavia essenziale che coloro che non riusciranno a completare in tempo la fase di abbandono dell'analogico lo facciano in un tempo relativamente breve prima della fine del 2012.

4.7   A causa della loro difficile situazione finanziaria, numerosi operatori, che sono attualmente costretti a passare ai trasmettitori televisivi digitali in quegli Stati membri nei quali è in atto la fase di abbandono dell'analogico, non sono in grado di acquistare un'attrezzatura di buon livello (fabbricata in genere nell'UE). In queste difficili circostanze, si trovano quindi costretti ad acquistare attrezzature di radiodiffusione meno care ma anche meno efficienti e meno affidabili, prodotte in genere in Estremo Oriente. Di conseguenza, queste apparecchiature potrebbero andare fuori uso già nel giro di soli due o tre anni, costringendo così gli operatori a rieffettuare l'acquisto di nuove attrezzature per la radiodiffusione (le quali si spera offrano maggiore affidabilità e prestazioni più elevate).

4.8   Nell'attuale scenario economico gli operatori televisivi, in particolare quelli piccoli, potrebbero avere difficoltà a reperire le risorse necessarie a finanziare la sostituzione dell'attrezzatura imposta dal passaggio al digitale. Il CESE ritiene perciò che dovrebbe essere creato un sistema di prefinanziamento in modo da venire incontro a queste PMI nel processo di adeguamento alle nuove tecnologie. Tale sostegno non deve necessariamente assumere la forma di finanziamenti a fondo perduto e potrebbe consistere nel rendere disponibili, prima dell'investimento, dei fondi che saranno poi restituiti entro un periodo ragionevole, come nel caso dei prestiti. Inoltre si dovrebbero istituire regimi di garanzia rivolti anche a sostenere le PMI che operano in questo settore.

4.9   Il risultato complessivo potrebbe essere una qualità scadente del servizio televisivo per gli utenti finali e una perdita economica per le emittenti, le quali, a causa delle temporanee difficoltà finanziarie, sono costrette a compiere lo stesso investimento due volte. La proroga del termine per completare la fase di spegnimento delle trasmissioni analogiche o la concessione di aiuti finanziari alle emittenti eviterebbe questi problemi e consentirebbe di realizzare una rete armonizzata in tutti gli Stati membri.

4.10   Gli Stati membri saranno invitati a liberare la sottobanda dei 790-862 MHz per il dividendo digitale, senza che vi sia però alcun obbligo in tal senso. Se in un determinato paese la situazione dello spettro è tale da non consentire di collocare tutti i servizi televisivi nella parte rimanente della banda UHF, il paese in questione potrà mantenere le trasmissioni televisive nella banda degli 800 MHz. Come soluzione di compromesso, i paesi possono anche scegliere di consentire alle trasmissioni televisive e ai servizi a banda larga senza fili di utilizzare simultaneamente le stesse frequenze.

4.11   Poiché, nel lungo periodo, tutti gli Stati membri utilizzeranno probabilmente la banda degli 800 MHz per i servizi a banda larga senza fili, è fondamentale definire specifiche tecniche adeguate al fine di evitare nocivi «effetti di frontiera» che certamente danneggerebbero i servizi a banda larga senza fili a causa dei livelli di potenza più bassi utilizzati per le reti di telefonia mobile.

4.12   Lo stesso problema si presenta nel caso di paesi terzi che confinano con l'UE. In questi paesi è assai probabile che i servizi esistenti di radiodiffusione ad alta potenza nella banda degli 800 MHz possano interferire con quelli a banda larga senza fili adottati dai vicini Stati membri dell'UE. Quando si presenta un problema di interferenza con un paese terzo limitrofo dell'UE, l'unica soluzione è quella di negoziare un accordo con quel paese sull'assegnazione delle frequenze dei suoi trasmettitori televisivi situati vicino al confine con l'UE, sebbene questo possa non essere un compito facile.

4.13   L'obiettivo ottimale per gli Stati membri dell'UE che adottano la banda degli 800 MHz ai fini del dividendo digitale è quello di trovare un giusto equilibrio tra i vantaggi economici e sociali prodotti dall'utilizzo dello spettro da parte degli operatori di telecomunicazioni (che trarranno beneficio dalla nuova larghezza di banda disponibile) e degli operatori di radiodiffusione (che trarranno beneficio da un migliore utilizzo della larghezza di banda disponibile e da servizi supplementari ad alto valore aggiunto come le applicazioni interattive di sanità elettronica, e-learning, amministrazione in linea, accessibilità elettronica ecc.).

4.14   Gli Stati membri dovrebbero adoperarsi per realizzare servizi di pubblica utilità attraverso la rete televisiva digitale e, al tempo stesso, consentire la fornitura di servizi di facile accesso nell'ambito dei nuovi servizi a banda larga mobili resi possibili grazie alle frequenze del dividendo digitale. Se procederanno in questo modo, le loro politiche funzioneranno in maniera neutrale, garantendo gli interessi economici sia delle emittenti sia degli operatori di telecomunicazioni.

4.15   Un aspetto molto interessante derivante dalla creazione del nuovo dividendo digitale è rappresentato dall'aumento dei servizi televisivi che saranno disponibili attraverso le reti telefoniche mobili di nuova generazione (3G e superiore). Ciò significa che in qualche modo gli operatori di telefonia mobile potrebbero offrire gli stessi servizi di quelli in genere forniti dalle emittenti televisive tradizionali, aprendo così un nuovo contesto di concorrenza.

È consigliabile, tuttavia, evitare di realizzare reti ibride gestite contemporaneamente dalle emittenti e dagli operatori di telecomunicazioni. In tal modo queste due categorie di operatori rimarranno completamente indipendenti, impedendo la nascita di modelli imprenditoriali che potrebbero essere sfavorevoli per i consumatori.

4.16   Le applicazioni interattive che potranno essere offerte dalle emittenti televisive nel quadro dei loro nuovi programmi digitali possono essere sviluppate su qualsiasi standard per servizi televisivi interattivi. Tuttavia, è consigliabile utilizzare tecnologie come lo standard MHP (Multimedia Home Platform, uno standard aperto di interfaccia software (middleware) per la televisione digitale interattiva sviluppato all'interno del progetto DVB), perché si tratta di una tecnologia europea e oltretutto di tipo completamente aperto. Esso non richiede infatti il pagamento di diritti di licenza e offre vantaggi economici agli operatori e, soprattutto, agli utenti finali. Sono disponibili anche altre tecnologie, ma è preferibile scegliere uno standard aperto, qualunque esso sia, per garantire agli utenti finali l'accesso a questa nuova tecnologia.

4.17   Per giungere in modo efficiente all'abbandono delle trasmissioni analogiche nell'UE è necessario adottare un approccio di cooperazione coordinata tra gli Stati membri, in modo da consentire un continuo scambio di esperienze, soprattutto per quanto riguarda la pianificazione della rete di televisione digitale e l'efficienza ottimale dello spettro. Il CESE ritiene che le emittenti pubbliche nazionali debbano svolgere un ruolo fondamentale in questo scambio all'interno dell'UE. Il loro «status pubblico» implica infatti che esse offrano un servizio pubblico. Gli operatori televisivi pubblici di un paese dovrebbero quindi essere disponibili a fornire servizi di consulenza agli operatori televisivi pubblici di altri paesi (Stati membri dell'UE e paesi terzi). Questo approccio consentirebbe in particolare di garantire una formazione rapida ed efficace degli operatori televisivi dei nuovi Stati membri, nei quali lo sviluppo delle reti di televisione digitale si trova in genere in una fase meno avanzata.

4.18   Nel processo di apertura della banda degli 800 MHz ai nuovi servizi a banda larga senza fili occorre tenere conto del fatto che le emittenti televisive che attualmente trasmettono sulle frequenze VHF dovranno probabilmente passare (in una data ancora da stabilire) alla banda UHF qualora i corrispondenti canali VHF siano utilizzati dalla trasmissione radiofonica digitale terrestre (Digital Audio Broadcasting - DAB). Il passaggio alla radio digitale non contribuirà, di per sé, al dividendo digitale perché non è ancora chiaro se sarà abbandonata anche la radiofonia analogica. Inoltre la porzione di banda eventualmente liberata sarà talmente esigua che non apporterà alcun contributo significativo al dividendo digitale. Tuttavia, i nuovi servizi DAB utilizzeranno sicuramente le stesse frequenze VHF attualmente utilizzate dagli operatori televisivi, e questo fatto contribuirà ulteriormente ad aumentare l'affollamento dello spettro dei canali da 21 a 60 della banda UHF.

4.19   Va osservato anche che, nel processo di apertura della banda degli 800 MHz ai nuovi servizi, le emittenti televisive che attualmente utilizzano i canali da 61 a 69 (nella banda degli 800 MHz) dovranno spostarsi su un altro canale della banda UHF, mentre quelle che attualmente utilizzano i canali da 21 a 60 non saranno obbligate a compiere alcun cambiamento. Le emittenti che utilizzano la banda degli 800 MHz risulteranno quindi nettamente svantaggiate a causa del denaro e del tempo che dovranno investire. Esse saranno inoltre costrette a spegnere i loro trasmettitori durante il cambiamento di canale, subendo quindi una perdita temporanea di introiti pubblicitari. In virtù del principio fondamentale di equità sarebbe quindi opportuno fornire un aiuto finanziario a queste emittenti svantaggiate in conformità con le disposizioni del Trattato in materia di aiuti di Stato.

4.20   Per raggiungere un'efficienza ottimale dello spettro, è certamente auspicabile che le nuove tecnologie adottate (come la codifica MPEG-4 e lo standard DVB-T2) consentano di trasmettere un numero ancora più alto di canali televisivi su una banda più stretta. Allo stesso tempo, l'adozione di queste nuove tecnologie non dovrebbe avere forti ripercussioni sui costi a carico degli utenti finali, altrimenti l'accessibilità universale dei nuovi servizi ne risulterebbe seriamente compromessa.

4.21   Un'altra tecnologia utile per sfruttare in maniera ottimale le risorse (limitate) dello spettro è rappresentata dalle reti a frequenza singola (SFN). Questa tecnologia consente di creare una rete regionale utilizzando un'unica frequenza, mentre con il sistema multifrequenza tradizionale sono necessarie almeno tre o quattro frequenze per consentire la diffusione di una rete televisiva di medie dimensioni. Per utilizzare una frequenza singola, tutti i trasmettitori della rete devono essere sincronizzati sulla base di un riferimento temporale comune. Il solo metodo attualmente utilizzato è il sistema di posizionamento satellitare GPS (Global Positioning System), che è un'applicazione militare interamente gestita dagli Stati Uniti. Ciò significa che tutte le reti televisive digitali SFN dipendono al 100 % da questo sistema, che potrebbe essere modificato o disattivato in qualsiasi momento dalle autorità statunitensi, creando così un problema enorme per questi operatori televisivi.

4.22   Il GPS, tuttavia, non è il solo sistema che consente la sincronizzazione della rete. Altri sistemi alternativi potenziali potrebbero rappresentare una fonte di sincronizzazione comune. L'UE potrebbe adoperarsi per un rapido completamento del progetto Galileo, che potrebbe diventare l'alternativa europea al GPS e consentirebbe agli Stati membri dell'UE di essere pienamente indipendenti da un sistema militare statunitense.

4.23   Una delle soluzioni proposte per sfruttare in maniera ottimale le frequenze del dividendo digitale è quella di utilizzare dispositivi intelligenti a banda larga senza fili capaci di effettuare la ricerca automatica delle radiofrequenze libere (anche tra i servizi di trasmissione televisiva esistenti) e di utilizzare, durante il loro normale funzionamento, le frequenze disponibili in maniera dinamica avvalendosi di sistemi a inseguimento continuo della frequenza. Questi sistemi (definiti «radio cognitiva») rappresenterebbero sicuramente una soluzione tecnica perfetta per massimizzare il dividendo digitale, ma il rischio è che alla fine il costo per l'utente finale possa raggiungere un livello tale da impedire l'accessibilità universale al dividendo digitale.

4.24   Per aprire completamente la banda degli 800 MHz ai nuovi servizi a banda larga senza fili, tutti i sistemi di trasmissione a bassa potenza utilizzati per l'intrattenimento o per gli eventi sportivi (sistemi di «microfono senza fili») dovrebbero essere trasferiti su frequenze situate al di fuori di tale banda al fine di evitare interferenze dannose con i nuovi servizi del dividendo digitale. Questi sistemi rappresentano un tipico esempio di utilizzo secondario dello spettro rimasto inutilizzato tra due aree coperte attivamente dalla radiodiffusione. Alcuni di questi sono utilizzati a scopo professionale (ad esempio, durante i giochi olimpici o durante i concerti di musica ufficiali) e occupano frequenze dello spettro UHF con regolare licenza d'uso. Molti altri invece operano sulla base di un'autorizzazione generale che non richiede la concessione di licenze individuali. Sarebbe quindi opportuno definire un'attenta regolamentazione di questi servizi in maniera coordinata a livello UE per evitare che le frequenze del dividendo digitale siano disturbate da interferenze prodotte da sistemi che continueranno a utilizzare lo spettro anche dopo l'abbandono definitivo delle trasmissioni analogiche.

4.25   Un'altra questione molto delicata da risolvere è quella della presenza di servizi militari che trasmettono su frequenze UHF in alcuni Stati membri e/o in alcuni paesi terzi confinanti. Queste trasmissioni costituiranno un'altra fonte di interferenza per i nuovi servizi di comunicazione del dividendo digitale. Occorrerà quindi portare avanti dei negoziati prudenti con le autorità militari dei paesi interessati allo scopo di trasferire questi servizi su altre porzioni dello spettro di radiofrequenza.

Bruxelles, 15 luglio 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


11.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 44/182


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante l'iniziativa dei cittadini

COM(2010) 119 def. — 2010/0074 (COD)

2011/C 44/34

Relatrice generale: Anne-Marie SIGMUND

Il Consiglio e il Parlamento europeo, rispettivamente in data 27 aprile 2010 e 19 maggio 2010, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304, primo comma, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante l'iniziativa dei cittadini

COM(2010) 119 definitivo — 2010/0074 (COD).

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 464a sessione plenaria dei giorni 14 e 15 luglio 2010 (seduta del 14 luglio), ha nominato relatrice generale Anne-Marie SIGMUND e ha adottato il seguente parere con 155 voti favorevoli, 4 voti contrari e nessuna astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore i principi fondamentali del regolamento proposto dalla Commissione, e in particolare l'approccio «trifasico» in esso adottato: registrazione formale della proposta d'iniziativa dei cittadini, verifica dell'ammissibilità del tema di tale proposta e valutazione politica.

1.2   Riguardo a questo processo il Comitato ritiene di dover svolgere un duplice ruolo: in primo luogo quello di «catalizzatore» delle nascenti iniziative dei cittadini, che consenta a questi ultimi di collegarsi tra loro ed eventualmente incontrarsi, ecc., e in secondo luogo quello di «coadiuvatore istituzionale», che aiuti la Commissione a valutare le iniziative coronate da successo elaborando pareri, organizzando audizioni, ecc. Inoltre, il Comitato parteciperà anche alle pertinenti campagne di informazione.

1.3   Il Comitato, tuttavia, propone di apportare alla proposta una serie di miglioramenti, tra i quali:

il requisito di un esplicito riferimento della proposta d'iniziativa ai valori dell'Unione, sotto pena di rifiuto della registrazione,

la rinuncia a richiedere uno degli svariati «numeri personali d'identità» all'atto della sottoscrizione di un'iniziativa,

il riferimento al luogo di residenza come criterio di imputazione dei firmatari agli Stati membri,

l'estensione del termine massimo per la raccolta delle firme da 12 a 18 mesi,

lo sviluppo di software open source per la raccolta per via elettronica delle dichiarazioni di sostegno,

la riduzione del numero minimo di Stati membri da 1/3 ad 1/4,

la riduzione a 50 000 del numero minimo di firme richiesto ai fini dell'ammissibilità della proposta d'iniziativa dei cittadini,

un riesame del regolamento dopo tre anni,

l'instaurazione di una cooperazione interistituzionale.

2.   Introduzione

2.1   Il Comitato accoglie con favore i principi fondamentali della proposta di regolamento presentata dalla Commissione in materia di iniziativa dei cittadini. Il presente parere integra quello adottato il 17 marzo 2010 sul tema L'attuazione del Trattato di Lisbona: la democrazia partecipativa e l'iniziativa europea dei cittadini (articolo 11 TUE)  (1) e tratta soltanto dei punti riguardo ai quali il Comitato ritiene si debbano ancora apportare dei miglioramenti.

2.2   Il Comitato richiama l'attenzione in particolare sulle motivazioni indicate dalla Convenzione europea, che ha espressamente dichiarato di voler creare per i cittadini, nel quadro della «vita democratica dell'Unione», uno strumento di definizione dell'agenda politica paragonabile a quello di cui già dispongono il Parlamento europeo ed il Consiglio.

3.   Modifiche auspicate alla proposta di regolamento

3.1   Registrazione di una proposta d'iniziativa dei cittadini (articolo 4)

3.1.1   Un approccio in tre fasi

Il Comitato accoglie con grande favore l'approccio indicato dalla Commissione, che si articola in tre fasi:

registrazione formale della proposta d'iniziativa dei cittadini,

verifica giuridica dell'ammissibilità della proposta che abbia raccolto un numero minimo di firme, e

valutazione politica dell'iniziativa coronata da successo.

Effettuare, come proposto da diverse parti, la verifica di ammissibilità all'atto stesso della registrazione non sembra avere molto senso, poiché così facendo si ritarderebbe o addirittura impedirebbe l'avvio di determinate iniziative. Con la modalità proposta dalla Commissione, invece, quest'ultima non potrà essere criticata o financo censurata per la sua valutazione ex ante.

In proposito il Comitato sottolinea che l'iniziativa dei cittadini non è solo un elemento innovativo, transeuropeo e di democrazia diretta, ma rappresenta anche uno strumento di comunicazione assolutamente fondamentale per ravvivare il dibattito politico europeo. Solo così è possibile alimentare il discorso europeo con proposte e idee diverse, le quali altrimenti non raggiungerebbero mai la fase della raccolta delle firme, e ciò rappresenta già un valore in sé.

3.1.2   Informazioni necessarie per la registrazione

Il Comitato appoggia la proposta della Commissione nella parte relativa alle informazioni che è necessario fornire per registrare un'iniziativa dei cittadini (Allegato II). Ciò è infatti nell'interesse della maggiore trasparenza possibile e contribuisce quindi all'accettazione delle iniziative proposte. L'indicazione di una specifica base giuridica dovrebbe essere rimessa alla discrezionalità degli organizzatori, anziché essere obbligatoria.

3.1.3   Registrazione formale

Il Comitato reputa che l'assenza dei presupposti indicati dal regolamento proposto come motivi di rifiuto della registrazione («inopportunità» della proposta d'iniziativa perché «abusiva» o «non seria») non sia controllabile per via giudiziaria. I termini utilizzati, infatti, consentono un margine di interpretazione eccessivamente ampio.

Il Comitato propone quindi che, in sede di registrazione formale, ci si limiti a verificare per via amministrativa se essa:

rispetta il criterio dell'«unità del tema», e dunque non cerca di includere in una sola proposta più istanze di diverso tipo,

non contiene formulazioni denigratorie nei confronti di singole persone o di gruppi,

non viola la Carta dei diritti fondamentali e i valori dell'Unione (articolo 2 TUE).

3.1.4   Ricorso giurisdizionale

In generale, si deve naturalmente garantire il diritto dei cittadini ad una buona amministrazione (articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali). Nel caso in cui la registrazione sia rifiutata, gli organizzatori potrebbero sporgere denuncia al Mediatore europeo e, in ultima istanza, potrebbero ovviamente proporre ricorso giurisdizionale.

Il Comitato è dell'avviso che, in un'ottica di trasparenza, questa possibilità di ricorso debba essere indicata espressamente almeno nella relazione introduttiva alla proposta di regolamento.

3.1.5   Controllo di sussidiarietà

Il Comitato reputa superfluo il collegamento, da più parti invocato, al principio di sussidiarietà. La Commissione procederà infatti in ogni caso a un controllo di sussidiarietà, qualora decida di presentare una proposta legislativa in risposta ad un'iniziativa di cittadini.

3.2   Raccolta delle dichiarazioni di sostegno (articolo 5)

3.2.1   Numeri personali d'identità

Ad avviso del Comitato il numero dei dati personali richiesti nel modulo di dichiarazione di sostegno (Allegato III) è sproporzionato, il che rende senz'altro più difficile indurre i cittadini a sottoscrivere una proposta d'iniziativa. Il Comitato è quindi contrario all'obbligo di indicare nel modulo un «numero personale d'identità». È improbabile che un passante che si sia lasciato convincere ad aderire a una proposta d'iniziativa esibisca un documento di identità o ne conosca il numero a memoria. Il Comitato richiama inoltre l'attenzione sul parere negativo adottato in merito dal Garante europeo della protezione dei dati (2).

Dato che non tutti gli Stati membri richiedono o anche solo prevedono un «numero personale d'identità» e che, a seconda dello Stato membro, vigono i più diversi documenti di identità (3), l'obbligo di indicare tale numero si risolverebbe in un mosaico di dati diversi ma altrettanto «necessari», con il che verrebbe meno la parità di condizioni per la raccolta delle firme. Il principio della parità di trattamento dei cittadini europei verrebbe disatteso, quando invece l'obiettivo perseguito dev'essere l'adozione di una procedura uniforme.

Il Comitato è quindi dell'avviso che si debbano richiedere soltanto i dati necessari a verificare l'identità del firmatario, ossia nome, cognome, indirizzo, data di nascita e cittadinanza. A ciò basterebbe aggiungere la dichiarazione sull'onore del firmatario di aver sottoscritto l'iniziativa soltanto una volta.

3.2.2   Principio della residenza

In base al principio della residenza, in linea generale ogni cittadino dell'Unione dovrebbe essere conteggiato nello Stato in cui risiede, a prescindere dalla sua nazionalità. I cittadini dell'Unione che risiedono in un paese terzo vengono conteggiati nello Stato membro di cui hanno dichiarato di essere cittadini.

3.2.3   Termine massimo per la raccolta delle firme

Ad avviso del Comitato, il termine massimo di 12 mesi proposto dalla Commissione è troppo breve per portare a termine con successo un'iniziativa su scala europea. Esso ribadisce pertanto la sua richiesta di portarlo a 18 mesi.

3.3   Sistemi di raccolta per via elettronica (articolo 6)

Il CESE accoglie con grande favore il fatto che sia prevista la raccolta per via elettronica delle firme e, come la Commissione, ritiene che per garantire tale possibilità siano necessari lavori di preparazione molto accurati. Considerando che un sistema del genere per la raccolta delle firme in un processo di presentazione di un'iniziativa (che differisce dalle petizioni di massa, molto meno vincolanti dal punto di vista giuridico) rappresenta una novità assoluta sul piano mondiale, il Comitato chiede di verificare i seguenti aspetti:

la Commissione deve promuovere lo sviluppo di software open source per la raccolta elettronica delle firme, mettendoli a disposizione del pubblico,

i promotori delle iniziative devono poter far certificare tali software nello Stato membro in cui i dati rilevati vengono registrati grazie al sistema di raccolta per via elettronica,

ulteriori dati di identificazione raccolti per via elettronica, ad esempio grazie a un'e-mail di conferma, dovrebbero poter consentire una perfetta verifica,

cliccando su un'apposita casella, il firmatario confermerebbe di aver dichiarato soltanto una volta il suo sostegno all'iniziativa.

3.4   Numero minimo di firmatari per Stato membro (articolo 7)

3.4.1   Numero di Stati membri

Il CESE ribadisce la proposta, a suo tempo formulata, di portare a un quarto la soglia minima degli Stati membri. Per garantire l'equivalenza di Parlamento e cittadini, in questo caso occorre applicare lo stesso principio che vige per la creazione di partiti politici a livello europeo (4). Infatti, non sarebbe giusto che un'iniziativa di cittadini europei incontrasse ostacoli maggiori rispetto alla registrazione di un partito politico europeo.

3.4.2   Numero di firmatari per Stato membro

Il Comitato accoglie con viva soddisfazione il sistema proposto (nell'Allegato I) riguardo al numero minimo di firmatari, basato su un criterio di proporzione decrescente rispetto alla popolazione. Conformemente al principio della residenza (cfr. punto 3.2.2.), anche le persone con doppia cittadinanza o i cittadini UE che vivono in uno Stato membro diverso dal proprio dovrebbero essere conteggiati nel paese in cui risultano residenti. Gli eventuali casi di doppia sottoscrizione dovrebbero in pratica rimanere entro limiti ristretti e quindi non compromettere la validità complessiva di questo strumento.

3.5   Decisione sull'ammissibilità di una proposta d'iniziativa dei cittadini (articolo 8)

3.5.1   Numero delle sottoscrizioni necessarie

Il CESE approva l'approccio trifasico proposto dalla Commissione. Giudica tuttavia troppo elevato il numero delle dichiarazioni di sostegno necessarie per la verifica dell'ammissibilità, fissato a 300 000 firme. Tale requisito rappresenta infatti un onere considerevole per gli organizzatori. E altrettanto grande sarebbe probabilmente la frustrazione delle migliaia di firmatari ai quali fosse comunicato che l'iniziativa da loro sostenuta non è ammissibile.

La verifica dell'ammissibilità dovrebbe essere possibile una volta raggiunto il numero di 50 000 dichiarazioni, firmate da cittadini di tre Stati membri (e senza previo controllo), e la relativa decisione dovrebbe essere presa al massimo entro due mesi, durante i quali gli organizzatori dovrebbero poter continuare la loro raccolta di firme.

3.6   Verifica e certificazione delle dichiarazioni di sostegno da parte degli Stati membri (articolo 9)

Il Comitato appoggia la proposta di consentire verifiche a campione in sede di valutazione.

3.7   Presentazione di un'iniziativa dei cittadini alla Commissione (articolo 10)

Per garantire la massima trasparenza, ciascun firmatario dovrebbe poter chiedere e ottenere informazioni su chi promuove, a livello organizzativo e finanziario, una determinata iniziativa. Il Comitato ribadisce pertanto la sua richiesta che l'organizzatore, all'atto della consegna delle firme, fornisca informazioni anche riguardo alle forme di finanziamento e di sostegno di una determinata iniziativa di cittadini.

3.8   Esame di un'iniziativa di cittadini da parte della Commissione

3.8.1   Assimilazione alle procedure adottate dal Parlamento o dal Consiglio per le loro iniziative

Il Comitato chiede che le iniziative dei cittadini vengano trattate dalla Commissione alla stessa stregua di quelle proposte dal Parlamento o dal Consiglio, rispettivamente ai sensi degli articoli 225 e 241 del TFUE. Esse dovrebbero infatti ricevere la medesima considerazione.

3.8.2   Diritto ad una pubblica audizione

Dato che l'iniziativa europea di cittadini rappresenta anche un mezzo di comunicazione volto a favorire il dialogo tra i cittadini e la Commissione europea, la presentazione di una tale iniziativa dovrebbe essere seguita da una pubblica audizione. Il CESE è pronto a contribuire all'organizzazione di siffatte audizioni, adempiendo così la sua funzione di ponte tra l'UE e i cittadini europei.

3.8.3   Informazione degli organi consultivi

La comunicazione della Commissione in merito al seguito dato all'iniziativa dovrebbe essere notificata anche al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni.

3.9   Clausola di revisione (articolo 21)

Data la mancanza di esperienze relative a questo nuovo strumento transnazionale, il Comitato raccomanda di sottoporre a riesame il regolamento già tre anni dopo la sua entrata in vigore. In tale circostanza, la Commissione dovrebbe anche consultare il CESE.

3.10   Entrata in vigore del regolamento (articolo 22)

Il Comitato approva i termini proposti dalla Commissione per l'entrata in vigore del regolamento, malgrado il fatto che, per esempio, non siano ancora stati definiti tutti i dettagli della raccolta per via elettronica delle firme. Le aspettative dei cittadini nei confronti di questo nuovo strumento sono infatti talmente elevate che esso dovrebbe entrare in vigore il più presto possibile.

3.11   Altre questioni in sospeso

3.11.1   Sostegno finanziario

Il Comitato ribadisce la sua richiesta che la Commissione assegni un congruo sostegno finanziario alle iniziative di cittadini che abbiano superato, con 50 000 firme, la verifica di ammissibilità.

3.11.2   Traduzione

Il Comitato ritiene che, già al momento della registrazione di una proposta d'iniziativa, i servizi della Commissione dovrebbero tradurre in tutte le lingue ufficiali dell'Unione la breve sintesi delle informazioni necessarie (in totale 800 battute, secondo quanto disposto all'Allegato II).

Una volta che sono state raccolte le prime 50 000 firme e l'iniziativa è stata dichiarata formalmente ammissibile, la Commissione si dovrebbe impegnare a tradurre nelle lingue ufficiali dell'UE l'intero testo dell'iniziativa registrata.

4.   Proposte specifiche del CESE

Il Comitato rimanda alle proposte da esso formulate nel già citato parere del 17 marzo 2010, proposte che vengono ulteriormente precisate qui di seguito.

4.1

Comunicazione e informazione

Il Comitato sottolinea la necessità di organizzare una campagna d'informazione esaustiva non appena il regolamento sarà entrato in vigore. In tale contesto, le istituzioni dell'UE dovrebbero collaborare e coordinare le loro attività. Il Comitato sta già lavorando ad un opuscolo informativo che non solo illustri e spieghi ai cittadini e alle organizzazioni della società civile le nuove possibilità offerte dall'iniziativa dei cittadini ma tratti anche di consultazione e di dialogo civile. Il CESE ha inoltre l'intenzione di organizzare un convegno delle parti interessate non appena il regolamento sarà stato adottato. Altre iniziative potrebbero essere destinate ad esempio alle scuole al fine di sensibilizzare in modo più mirato le giovani generazioni.

4.2

Cooperazione interistituzionale

È importante che i membri del personale delle istituzioni e degli organi consultivi dell'UE incaricati di occuparsi delle iniziative di cittadini operino di concerto e si coordino strettamente tra loro al fine di rispondere in maniera efficace alle esigenze informative dei cittadini. Fermo il rispetto delle competenze di ciascuno, queste sinergie sono di fatto necessarie se si vuole che il diritto d'iniziativa dei cittadini divenga uno strumento efficace al servizio di un modello europeo di democrazia moderna.

4.3

Partecipazione del Comitato

Il CESE ritiene di dover svolgere il proprio ruolo in due fasi distinte:

4.3.1

Prima fase: il Comitato come «sostenitore esterno»

Nella fase di preparazione o nel corso del processo di presentazione di un'iniziativa, il Comitato è disposto a svolgere, in quanto piattaforma di dialogo e d'informazione, il ruolo di «catalizzatore» in grado di collegare ed eventualmente mettere in contatto le varie iniziative dei cittadini, senza che ciò vincoli in alcun modo il Comitato in relazione al contenuto dell'iniziativa.

4.3.2

Seconda fase: il Comitato come «coadiuvatore istituzionale»

Nell'esercizio della sua funzione fondamentale - quella consultiva nei confronti della Commissione europea, del Parlamento e del Consiglio -, il Comitato può, in questa seconda fase, accompagnare un'iniziativa di cittadini sul piano istituzionale. Esso è quindi pronto ad elaborare un parere affinché la Commissione, nell'ambito del suo processo di consulenza interna, possa formarsi un'opinione in merito a un'iniziativa proficua. È inoltre pronto a mettere a disposizione la sua infrastruttura per organizzare audizioni concernenti una determinata iniziativa.

4.3.3

Rafforzamento delle strutture esistenti

Le proposte avanzate dal Comitato nel presente parere e in quello del 17 marzo 2010 presuppongono, se del caso, un rafforzamento delle strutture già esistenti al suo interno e potrebbero anche richiedere risorse aggiuntive per assolvere in maniera adeguata questo nuovo compito.

Bruxelles, 14 luglio 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Non ancora pubblicato nella GU.

(2)  Parere del 21 aprile 2010 in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante l'iniziativa dei cittadini (fonte: http://www.edps.europa.eu/EDPSWEB/).

(3)  Orientamento generale su una proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante l'iniziativa europea dei cittadini (10626/2/10 riv. 2).

(4)  Regolamento (CE) n. 2004/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, relativo allo statuto e al finanziamento dei partiti politici a livello europeo, GU L 297 del 15.11.2003.