ISSN 1725-2466

doi:10.3000/17252466.C_2009.182.ita

Gazzetta ufficiale

dell’Unione europea

C 182

European flag  

Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

52o anno
4 agosto 2009


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

450 a sessione plenaria del 14 e 15 gennaio 2009

2009/C 182/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La dimensione sociale e ambientale del mercato interno

1

2009/C 182/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La dimensione esterna della politica energetica europea

8

2009/C 182/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Lo strumento europeo per la democrazia e i diritti umani (EIDHR)

13

2009/C 182/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio recante applicazione del principio di parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale

19

 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

450 a sessione plenaria del 14 e 15 gennaio 2009

2009/C 182/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sui requisiti dell'omologazione per tipo riguardo alla sicurezza generale degli autoveicoli

24

2009/C 182/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Pensare anzitutto in piccolo (Think Small First) — Uno Small Business Act per l'Europa

30

2009/C 182/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2006/116/CE del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la durata di protezione del diritto d'autore e di alcuni diritti connessi

36

2009/C 182/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio relativo al quadro giuridico comunitario per l'Infrastruttura di ricerca europea (ERI)

40

2009/C 182/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente le macchine per l'applicazione di antiparassitari, che modifica la direttiva 2006/42/CE del 17 maggio 2006 relativa alle macchine

44

2009/C 182/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle emissioni degli impianti industriali (prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento) (rifusione)

46

2009/C 182/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica dei regolamenti (CE) n. 549/2004, (CE) n. 550/2004, (CE) n. 551/2004 e (CE) n. 552/2004 al fine di migliorare il funzionamento e la sostenibilità del sistema aeronautico europeo

50

2009/C 182/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 717/2007 relativo al roaming sulle reti mobili pubbliche all'interno della Comunità e la direttiva 2002/21/CE che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica

56

2009/C 182/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Far fronte alle sfide petrolifere

60

2009/C 182/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Agenda sociale rinnovata: Opportunità, accesso e solidarietà nell'Europa del XXI secolo

65

2009/C 182/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Comunicazione della Commissione al Consiglio europeo — Un piano europeo di ripresa economica

71

2009/C 182/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 98/8/CE relativa all'immissione sul mercato dei biocidi per quanto riguarda l’estensione di determinati periodi di tempo

75

2009/C 182/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a taluni elementi e caratteristiche dei trattori agricoli o forestali a ruote (versione codificata)

76

2009/C 182/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (codificazione)

77

IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

450 a sessione plenaria del 14 e 15 gennaio 2009

4.8.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 182/1


450 A SESSIONE PLENARIA DEL 14 E 15  GENNAIO 2009

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «La dimensione sociale e ambientale del mercato interno»

(2009/C 182/01)

Relatore: Andrzej ADAMCZYK

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 gennaio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

La dimensione sociale e ambientale del mercato interno.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 gennaio 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore Andrzej ADAMCZYK.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 gennaio 2009, nel corso della 450a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 94 voti favorevoli, 29 voti contrari e 15 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1   Pur non essendo un fine in sé, il mercato interno è uno strumento che contribuisce ad aumentare il benessere dei cittadini dell'Unione europea, migliorando la loro prosperità, il loro accesso a beni e servizi, la qualità e la sicurezza dei loro posti di lavoro e offrendo loro l'opportunità di viaggiare, vivere, lavorare e studiare in qualsiasi luogo entro i confini dell'Unione europea.

1.2   Tali progressi sono collegati alle maggiori opportunità che il mercato interno offre sia alle imprese, grazie all'espansione del mercato di beni e servizi e alla libertà d'investimento, sia ai lavoratori, cui viene data per la prima volta la possibilità di cercare lavoro in qualsiasi paese dell'UE.

1.3   Se l'Europa vuole restare competitiva nel tempo, il mercato interno deve garantire una crescita sostenibile e a lungo termine, il che significa anche tener conto della dimensione ambientale. Nel creare nuove norme, regole, prodotti e idee si deve pertanto raccogliere questa importante sfida, anche se ciò può condurre a inevitabili tensioni in alcuni settori, considerato soprattutto che tutto ciò ha senso solo se si dà all'economia europea la possibilità di sopravvivere, evitando cioè di comprometterne la competitività a breve termine.

1.4   L'obiettivo finale è migliorare sensibilmente il funzionamento del mercato interno nell'ambito di un'economia sociale di mercato, ossia garantire condizioni di concorrenza uniformi a tutti gli interessati, assicurandosi che operino nello stesso contesto giuridico. Ciò è fondamentale per creare condizioni di concorrenza leale, e creare posti di lavoro più numerosi e di migliore qualità, integrando le dimensioni sociale e ambientale nel mercato interno per rafforzare la competitività europea.

1.5   Nel loro approccio all'approfondimento del mercato interno, le istituzioni europee devono tenere conto dei legittimi interessi delle imprese e dell'esigenza di rispettare i diritti sociali fondamentali riconosciuti dal diritto comunitario, le norme internazionali sul lavoro e le legislazioni dei singoli Stati membri, incluso il diritto di contrattazione collettiva.

1.6   Per assicurare il corretto funzionamento del mercato interno è indispensabile risolvere determinate ambiguità relative all'applicazione del diritto comunitario. Un quadro giuridico chiaro e prevedibile è imprescindibile per l'ulteriore sviluppo e approfondimento del mercato interno.

1.7   In particolare, le controversie sorte intorno alle recenti sentenze della Corte di giustizia europea sull'interpretazione giuridica della direttiva riguardante il distacco dei lavoratori sembrano legittimare la richiesta di rivedere tale direttiva o di concludere un accordo supplementare fra le parti sociali.

1.8   In tale contesto la rete Solvit — punto di mediazione fra le istituzioni e i cittadini — potrebbe assumere un ruolo di notevole rilievo. Si rileva tuttavia che essa presenta una forte insufficienza di risorse sia finanziarie che umane e che anche il suo ruolo e le sue modalità di funzionamento dovrebbero essere riconsiderate.

2.   Introduzione

2.1   Sebbene ancora in fase di sviluppo, il mercato interno ha già offerto ai cittadini comunitari una serie di vantaggi concreti e rappresenta di per sé la principale conquista del processo di integrazione europea (1). La graduale apertura dei mercati e la rimozione delle barriere hanno, tuttavia, determinato una serie di difficoltà e problemi, che occorre affrontare per raccogliere consensi su un ulteriore approfondimento del mercato interno.

2.2   Va ricordato che lo sviluppo del mercato interno non è un obiettivo in sé, quanto piuttosto uno strumento per elevare il tenore di vita dei cittadini dell'Unione europea, accrescere il loro benessere, il loro accesso a beni e servizi, migliorare la qualità e la sicurezza dei loro posti di lavoro, offrendo loro l'opportunità di viaggiare, vivere e lavorare liberamente in qualsiasi luogo entro i confini dell'Unione europea (2). Tali vantaggi sono inestricabilmente connessi alla maggiore libertà di cui le imprese godono nello svolgimento delle loro attività, grazie, ad esempio, all'espansione del mercato di beni e servizi e alla libertà d'investimento.

2.3   La graduale rimozione delle barriere nei settori direttamente collegati alle quattro libertà può creare problemi e tensioni nei campi in cui permangono differenze significative fra i vari paesi; ciò riguarda in particolare aspetti quali le retribuzioni, la sicurezza sociale, il diritto del lavoro e i diritti delle parti sociali. Tensioni di tale natura possono essere eliminate, e in certa misura lo sono, attraverso ulteriori regolamentazioni tese a:

chiarire la confusione giuridica determinata dall'applicazione delle regolamentazioni dei diversi paesi,

combattere il dumping sociale e la concorrenza sleale;

proteggere i diritti dei consumatori (3),

assicurare che i produttori e i fornitori di beni e di servizi abbiano effettivamente accesso al mercato interno europeo,

garantire l'accessibilità di tutti i beni e servizi, con particolare riferimento ai servizi di interesse generale, attraverso politiche di progettazione per un accesso universale (4),

promuovere politiche attive per assicurare la parità di genere e combattere qualsiasi tipo di discriminazione.

2.4   Per garantire il corretto funzionamento del mercato interno è necessario risolvere le varie ambiguità relative all'applicazione del diritto comunitario. È assolutamente inaccettabile che, per aspetti di importanza cruciale, le parti sociali debbano essere costrette ad adire la Corte di giustizia delle Comunità europee, le cui decisioni sono a volte fonte di incomprensioni o controversie.

2.5   A tale proposito è positivo che la Commissione abbia a suo tempo deciso d'invitare le parti sociali e gli Stati membri ad esaminare i problemi sollevati dalle recenti sentenze della Corte di giustizia e di organizzare un Forum per promuovere il dibattito sul rispetto dei diritti sociali in una situazione di mobilità crescente dei lavoratori (5).

3.   Mercato interno: vantaggi e sfide

3.1   L'elenco dei vantaggi prodotti dal mercato interno è lungo. Si tratta di vantaggi sia per le imprese, che per i lavoratori e per i cittadini in generale, i quali possono beneficiare del suo buon funzionamento in numerosi ambiti. Fra le indiscutibili conquiste del mercato interno figurano l'aumento della prosperità legato all'incremento del PIL, la libertà di viaggiare, risiedere, lavorare e studiare in qualsiasi paese dell'Unione europea, un accesso notevolmente più ampio a beni e servizi di alta qualità, spesso a prezzi più convenienti, derivante da un maggiore accesso al mercato interno per produttori, operatori commerciali e fornitori di servizi, e, non da ultimo, l'estensione dei diritti dei consumatori all'intero territorio dell'UE, a prescindere dal paese in cui è stato effettuato l'acquisto.

3.2   I limiti imposti da diversi Stati membri alla libera circolazione delle persone, sotto forma di «periodi transitori», continuano a suscitare controversie, nonostante la loro durata limitata. Occorre peraltro sottolineare che nei paesi che li hanno introdotti la protezione del mercato del lavoro si è rivelata più difficile del previsto; inoltre, l'esodo di lavoratori qualificati in cerca d'occupazione rappresenta un problema reale per i paesi d'origine di tali lavoratori.

3.3   Il CESE è però del parere (6) che l'inserimento nel mercato del lavoro sia la migliore salvaguardia contro l'esclusione sociale. La Commissione dovrebbe collaborare con le parti sociali per sfruttare meglio il potenziale della manodopera europea all'interno delle nostre società in rapido mutamento. Rimane poi da risolvere il problema del riconoscimento reciproco delle qualifiche (7).

3.4   Fra i vantaggi per le imprese figurano l'accesso a un vasto mercato di quasi 500 milioni di persone, scambi transfrontalieri più agevoli e procedure più semplici per la creazione di imprese, una maggiore diffusione delle norme e dell'etichettatura europee, nonché il miglioramento della cooperazione transfrontaliera e del trasferimento di tecnologie. Un altro vantaggio consiste nel facile accesso ai mercati dei capitali, anche se il funzionamento dei servizi finanziari deve essere ulteriormente migliorato. Tutte queste conquiste del mercato interno, indipendentemente dal fatto che riguardino le imprese o direttamente i cittadini, hanno implicazioni sociali e comportano delle sfide.

3.5   Se, da un lato, l'introduzione del mercato interno ha manifestamente determinato una crescita economica senza precedenti, che ha anche avuto effetti positivi per il benessere sociale dei cittadini, dall'altro permane vivo il dibattito sulla misura in cui è socialmente auspicabile o accettabile aprire e regolamentare il mercato nei singoli settori. Sia le controversie suscitate dalle recenti sentenze della Corte di giustizia europea (casi Viking (8), Laval (9), Rüffert (10), Commissione/Lussemburgo (11)), sia il dibattito che le ha precedute in merito alla direttiva sui servizi e ai problemi concernenti l'apertura dei mercati del lavoro, il dumping sociale, la concorrenza sleale e l'impatto del mercato interno sul funzionamento del modello sociale europeo esigono senz'altro un'analisi, se non addirittura delle decisioni nel senso di nuove iniziative legislative o di una coregolamentazione.

3.6   Il mercato interno ha portato alla riduzione dei prezzi di molti prodotti, il che è positivo sia per i consumatori che per la competitività dell'economia europea. Tuttavia, il calo dei prezzi avviene spesso a spese dei lavoratori dipendenti, che perdono il lavoro a causa delle ristrutturazioni aziendali o della delocalizzazione dei posti di lavoro. Dal punto di vista sociale è dunque fondamentale conciliare gli interessi dei consumatori (prezzi bassi) con quelli dei lavoratori dipendenti, vale a dire la sicurezza del posto di lavoro, gli standard occupazionali, le condizioni retributive e di lavoro.

3.7   La crescita economica determinata dal mercato interno ha anche contribuito a creare nuovi posti di lavoro. Questo fenomeno sarebbe molto positivo se non si trattasse i posti di lavoro spesso sottopagati, data l'esigenza di restare competitivi.

3.8   In proposito va sottolineato che l'Europa ha conseguito il suo livello elevato di competitività anzitutto grazie ad investimenti nelle nuove tecnologie, nell'istruzione e formazione dei lavoratori, nei miglioramenti nell'organizzazione del lavoro, nel miglioramento delle condizioni di sicurezza e salute sul posto di lavoro e nella promozione del dialogo sociale. Tuttavia, poiché i lavoratori sono anche consumatori, aumentare la competitività di un'economia limitando il costo del lavoro può, di fatto, condurre a una diminuzione del potere d'acquisto o, in altri termini, alla riduzione dei consumi e ad un rallentamento della crescita economica.

3.9   La parziale apertura del mercato del lavoro agli immigrati economici crea una serie di problemi specifici. Alcuni Stati membri non sono riusciti a integrare efficacemente gli immigrati economici nei loro contratti collettivi di lavoro e/o in altre norme, disposizioni giuridiche o pratiche, indebolendo di conseguenza le norme sul lavoro a livello locale e favorendo l'espansione dell'economia informale. Ciò determina un degrado delle condizioni di lavoro e l'indebolimento del dialogo sociale, che a loro volta provocano il dumping sociale e la concorrenza sleale: sviluppi del genere dovrebbero essere energicamente contrastati sia dai sindacati che dalle associazioni dei datori di lavoro.

3.10   Da un lato, stando a talune parti interessate, le pratiche di talune imprese che impiegano lavoratori distaccati si configurano come forme di dumping sociale e di concorrenza sleale, dall'altro, nelle sue sentenze sulle cause Viking, Laval, Rüffert e Commissione/Lussemburgo la Corte di giustizia ha stabilito che tali pratiche sono legittime e conformi alla direttiva sul distacco dei lavoratori. Ciò ha innescato notevoli controversie, tanto più che le sentenze contrastavano manifestamente con le finalità dichiarate della direttiva. Per promuovere la fornitura transfrontaliera di servizi sono necessarie una concorrenza leale e garanzie sui diritti dei lavoratori. Sembrerebbe dunque che, per garantire pari opportunità, concorrenza leale e rispetto dei diritti dei lavoratori, occorreranno nuove iniziative legislative e ulteriori accordi fra le parti sociali soprattutto sul problema dei lavoratori distaccati.

3.11   Il Comitato (12) ritiene tuttavia che, prima di formulare nuove regolamentazioni, occorra urgentemente adottare misure che garantiscano la corretta applicazione della direttiva 96/71/CE, visto che gli obiettivi di quest'ultima non sono stati pienamente raggiunti neanche a dieci anni dall'adozione.

3.12   Il problema dell'apertura del mercato dei servizi e le difficoltà relative ai servizi di interesse generale, che, tra l'altro, rientrano nell'ambito della direttiva sui servizi di recente adozione, rimangono una questione a parte. La suddetta direttiva è al momento in fase di attuazione e pertanto non è ancora possibile valutarne l'impatto. È tuttavia evidente che la dimensione sociale dei servizi di base va ben al di là delle sole questioni relative ai lavoratori dipendenti e al dialogo sociale, e riguarda invece anche la necessità di garantire l'accessibilità di tali servizi per tutti i cittadini (13).

3.13   Nel contesto dei recenti aumenti dei prezzi in Europa, il problema dell'accessibilità dei servizi d'interesse generale è strettamente legato all'abbordabilità dei prezzi, soprattutto per quanto riguarda l'energia. Il problema degli approvvigionamenti energetici va però considerato tenendo conto non solo dei rincari recenti, e molto probabilmente anche futuri, ma anche degli aspetti ambientali dei consumi energetici.

4.   L'impatto delle recenti sentenze sul mercato interno

4.1   Per funzionare correttamente il mercato interno ha bisogno di una serie di norme chiare. La sua ulteriore integrazione dipenderà molto dalla capacità di trovare un equilibrio accettabile fra le sue dimensioni economica, sociale e ambientale in un quadro giuridico chiaro e prevedibile.

Le recenti sentenze della Corte di giustizia europea hanno suscitato polemiche negli ambienti industriali di tutta Europa. È dunque fondamentale trovare soluzioni chiare a questioni ancora controverse per ritrovare quella base comune che tanto è necessaria per assicurarsi la fiducia dei cittadini.

4.2.1   Nella causa Viking la International Transport workers' Federation (Federazione dei lavoratori dei trasporti internazionali — ITF) e la Finnish Seamen's Union (Sindacato dei marinai finlandesi) avevano minacciato la società finlandese Viking Line di procedere ad un'azione collettiva se essa avesse immatricolato una delle sue navi in Estonia e sostituito l'equipaggio con lavoratori estoni, pagati meno. La Corte ha sentenziato che in questo caso la minaccia di sciopero utilizzata per indurre un'impresa a sottoscrivere un contratto collettivo di lavoro con un sindacato poteva costituire una restrizione alla libertà di stabilimento.

4.2.2   La causa Laval riguardava un'impresa lettone che aveva distaccato lavoratori in Svezia applicando loro condizioni di lavoro lettoni, ben al di sotto di quelle previste dai contratti collettivi di lavoro svedesi. I sindacati svedesi avevano risposto avviando delle azioni industriali e decidendo un boicottaggio delle forniture al sito di Vaxholm. La Corte ha statuito che, laddove sia applicabile la direttiva sul distacco dei lavoratori, è illegale per i sindacati organizzare azioni industriali per ottenere condizioni al di sopra delle norme obbligatorie sulla protezione minima previste dalla direttiva.

4.2.3   Nella causa Rüffert una società tedesca aveva vinto una gara d'appalto lanciata dal Land Bassa Sassonia per lavori di costruzione in una prigione. L'impresa tedesca aveva subappaltato il lavoro ad una società polacca che pagava i lavoratori un salario pari solo al 47 % delle tariffe minime stabilite nei contratti collettivi regionali del settore. Di conseguenza il Land Bassa Sassonia aveva annullato il contratto. Secondo la Corte, tuttavia, una norma locale che obblighi le imprese aggiudicatarie degli appalti pubblici a rispettare i contratti collettivi è incompatibile con la direttiva sul distacco dei lavoratori, a meno che il contratto collettivo non sia dichiarato universalmente vincolante.

4.2.4   Nella causa Lussemburgo la Corte di giustizia ha dato ragione alla Commissione decidendo che il Lussemburgo si era spinto troppo in là nell'attuare la direttiva sul distacco dei lavoratori stabilendo per le imprese nazionali obblighi concernenti, fra l'altro, i periodi massimi e minimi di lavoro e di riposo, l'indicizzazione automatica dei salari e il rispetto dei contratti collettivi.

4.3   Le sentenze summenzionate hanno suscitato anche preoccupazioni riguardo all'interpretazione data dalla Corte di giustizia alla direttiva UE sul distacco dei lavoratori. Le cause citate hanno creato forti spaccature e sono state viste da molti attori come un incentivo al dumping salariale. Le aziende straniere oggetto di tali cause hanno eluso i contratti collettivi, le disposizioni giuridiche o le pratiche e i regolamenti in vigore nel paese in cui operavano, a scapito delle aziende locali e a spese dei lavoratori dipendenti.

4.4   Il mercato interno deve essere fonte di certezza giuridica e non di ambiguità. È dunque assolutamente indispensabile trovare un accordo sui principi che devono essere rivisti in conformità sia della lettera che dell'interpretazione della legge e trovare un terreno comune chiaramente definito.

5.   Meccanismi e strumenti che migliorano il funzionamento del mercato interno

5.1   Sono stati progressivamente introdotti una serie di meccanismi che hanno migliorato il funzionamento del mercato interno. Tali meccanismi possono rivelarsi utili per esaminare i canali attraverso cui migliorare l'integrazione della dimensione sociale e ambientale nel mercato interno.

5.2   Le discussioni sull'armonizzazione e sul riconoscimento reciproco si sono riaccese negli anni scorsi nel contesto degli ultimi processi di allargamento. Esiste un ampio consenso sul fatto che l'armonizzazione dovrebbe concentrarsi su ciò che è realmente necessario e che non è realistico mirare a obiettivi troppo ambiziosi in materia di armonizzazione in un'Unione europea a 27 Stati. D'altro canto, il riconoscimento reciproco, pur essendo uno dei pilastri del mercato interno, è ampiamente ignorato. L'armonizzazione potrebbe rivelarsi utile per la costruzione del modello sociale europeo, ma la dimensione sociale rimane in larga misura competenza esclusiva dei 27 Stati membri, nella maggior parte dei casi con il pieno sostegno delle parti sociali e in conformità del principio di sussidiarietà. Essa potrebbe ad ogni modo risultare utile sul fronte ambientale, per stabilire norme per prodotti e processi, sulla base degli obiettivi ambiziosi fissati dalla stessa Unione.

5.3   Come punto di mediazione fra le istituzioni e i cittadini, la rete Solvit potrebbe assumere un ruolo di notevole rilievo al riguardo. Essa ha il compito di fornire informazioni e consulenza e di sottoporre a revisione le questioni relative al mercato interno che riguardano aziende, consumatori, lavoratori, ecc. degli Stati membri. La rete raccoglie un'enorme quantità di dati e know-how, ma in generale va riconosciuto che essa non dispone di risorse finanziarie e umane sufficienti e che sarebbe opportuno rivederne sia il ruolo che il funzionamento.

5.4   Il «nuovo approccio» ha portato i legislatori comunitari a mantenere un basso profilo nello stabilire i requisiti di base e nel delegare gli aspetti tecnici agli organismi di normalizzazione. Anche se tale approccio può difficilmente essere riprodotto nell'ambito della dimensione sociale, potrebbe avere, e di fatto ha già, un'importanza fondamentale nel settore ambientale (norme di qualità, ecc.; sarebbe utile se la Commissione procedesse ad aggiornamenti in una serie di ambiti connessi).

5.5   Il principio del paese d'origine continua a essere un tema controverso: basti pensare che le organizzazioni dei consumatori non ne sono soddisfatte. Esso stabilisce che se l'esercizio di un'attività o la prestazione di un servizio avvengono in un paese, ma il beneficiario si trova in un altro, il diritto applicabile è quello vigente nel paese del prestatore d'opera. Scopo di tale principio è incentivare la libera circolazione di beni e servizi e incoraggiare la concorrenza transfrontaliera. Tuttavia, nel corso del dibattito riguardante la direttiva sui servizi, tale principio è stato respinto, poiché imporrebbe di fatto agli Stati di applicare normative diverse a seconda del paese d'origine delle imprese e dei singoli.

5.6   Il processo Lamfalussy ha fornito un buon esempio di come migliorare le questioni di regolamentazione a livello paneuropeo offrendo un'interpretazione più coerente e una più agevole convergenza delle pratiche e delle tradizioni nazionali su questioni normative specifiche. Al di là dell'esempio riguardante i servizi finanziari, il processo Lamfalussy è un punto di riferimento per la creazione di un sistema che offra qualità e semplicità. Resta da vedere se esso sia in grado di fornire un meccanismo più efficace per legiferare in altri settori, in particolare quello ambientale.

5.7   Nel contesto della libera circolazione dei beni, la clausola Monti significa che la direttiva non va interpretata come atta a pregiudicare in qualunque modo l'esercizio dei diritti fondamentali dell'UE, compreso quello di intraprendere un'azione sindacale. Alcune recenti sentenze della Corte di giustizia europea hanno peraltro contestato la validità di tale clausola, ed è fondamentale chiarire quali limiti la caratterizzano e con quali motivazioni.

6.   Un quadro migliore per integrare la dimensione ambientale nel mercato interno

6.1   Sia la questione energetica che quella ambientale sono divenute (e sono destinate a rimanere in un prossimo futuro) priorità fondamentali per i governi e per i cittadini europei. Sfortunatamente, la protezione dell'ambiente è spesso considerata come un onere per il mercato, un nuovo insieme di requisiti negativi che inevitabilmente finiscono per compromettere la competitività delle imprese.

6.2   Tuttavia, al momento esiste un ampio consenso sul fatto che uno dei modi più efficaci per garantire la competitività futura dell'Europa sta nel compiere nuovi e significativi progressi sul fronte dello sviluppo di idee, prodotti e standard atti a rispondere a una delle principali sfide che al giorno d'oggi interessano l'umanità, progredendo pertanto verso un mercato interno che tenga realmente conto della dimensione ambientale, in quanto componente centrale di tale obiettivo. Ciò non toglie, tuttavia, che le nuove regolamentazioni in questo ambito possano inevitabilmente causare tensioni in alcuni settori, specie se si considera che anche la competitività a breve termine resta di importanza cruciale.

6.3   Il Trattato di Amsterdam ha rafforzato l'idea che integrare la dimensione ambientale nelle altre politiche è determinante per promuovere lo sviluppo sostenibile. La Commissione europea ha esplorato possibili modi di migliorare le sinergie fra il mercato unico e le questioni ambientali considerando interventi su appalti pubblici, valutazioni d'impatto efficaci, normalizzazione, informazione finanziaria, o strumenti economici quali tasse ambientali, ecc. La Commissione ha anche preso in esame nuovi settori e problematiche che possono richiedere provvedimenti di armonizzazione.

6.4   Data la vastità dei settori e delle pratiche interessati dalla sostenibilità ambientale, finora l'integrazione delle considerazioni ambientali nell'ambito del mercato interno è stata lasciata abbastanza nel vago. Essa riguarda importanti settori strategici, quali energia e trasporti, mentre questioni che originariamente erano circoscritte alla libera circolazione delle merci si sono ora estese ad altri settori. Quindi, data la grande importanza dell'ambiente nel contesto dell'attuale agenda politica, sarebbe necessario conseguire maggiori progressi sulle questioni specifiche suscettibili di miglioramento e individuare gli strumenti del mercato interno più idonei a raggiungere tali obiettivi.

7.   Osservazioni finali

7.1   Il mercato interno è un'opera in corso di realizzazione: l'obiettivo ultimo è costruire un mercato interno privo di barriere, che sarà completo quando tutte le parti interessate potranno accedere a tutti i mercati nazionali a parità di condizioni. E, infine, questa parità di accesso ai mercati di tutti gli Stati membri significa anche far sì che le imprese, i lavoratori e i fornitori di servizi operino nel medesimo contesto giuridico, garantendo in tal modo condizioni uniformi di concorrenza ed evitando la concorrenza sleale all'interno dei confini dell'Unione europea o qualsiasi indebolimento della competitività del mercato interno nel suo insieme.

7.2   Il Comitato ha già affermato (14) che il successo del mercato interno è una responsabilità condivisa fra l'Unione europea e gli Stati membri, i quali devono sviluppare un maggior senso di appropriazione nei suoi confronti. Occorre però sottolineare anche il ruolo svolto dalle parti sociali nella sua costruzione e attuazione.

7.3   Il dibattito in corso sui limiti dell'integrazione europea, come anche le recenti discussioni riguardo alla direttiva sui servizi, mostrano per l'appunto quanto sia difficile conciliare i principi del mercato interno con la necessità di disporre di norme sociali elevate, protezione sociale, servizi pubblici funzionanti e accessibili e concorrenza leale. Le discussioni sul mercato interno dovrebbero anzitutto concentrarsi sulla risposta da dare a tali quesiti legittimi. A tale scopo le istituzioni europee devono tener conto sia dei legittimi interessi delle imprese, sia del fatto che le libertà economiche devono essere soggette a regolamentazione, in modo da garantire che il loro esercizio non comprometta i diritti sociali fondamentali sanciti dal diritto comunitario, dalle norme internazionali sul lavoro e dalle legislazioni dei singoli Stati membri, incluso il diritto di negoziare, stipulare e applicare contratti collettivi.

7.4   La recente Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni «Agenda sociale rinnovata: Opportunità, accesso e solidarietà nell'Europa del XXI secolo» (15) ribadisce il risoluto impegno dell'Europa a promuovere società armoniose, coese e inclusive, rispettose dei diritti fondamentali in economie sociali di mercato sane. La Commissione dichiara inoltre il suo impegno ad assicurare che non vi siano contraddizioni fra le libertà fondamentali sancite dal Trattato e la protezione dei diritti fondamentali.

7.5   Per quanto l'impatto delle disposizioni del Trattato di Lisbona sul funzionamento del mercato interno non sia stato ancora valutato, un primo giudizio del CESE sul testo del Trattato indica che il mercato interno, pur non subendo modifiche strutturali, sembrerebbe assumere connotazioni più sociali.

Bruxelles, 14 gennaio 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mari SEPI


(1)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni «Un mercato unico per l’Europa del XXI secolo», COM(2007) 724 def.

(2)  GU C 93 del 27.4.2007, pag. 25.

(3)  GU C 175 del 27.7.2007, pag. 14.

(4)  GU C 175 del 27.7.2007, pag. 14.

(5)  COM(2008) 412 def.

(6)  GU C 77 del 31.3.2009, pag. 15.

(7)  GU C 224 del 30.8.2008, pag. 100.

(8)  GU C 51 del 23.2.2008, causa C-438/05.

(9)  GU C 51 del 23.2.2008, causa C-341/05.

(10)  GU C 128 del 24.5.2008, causa C-346/06.

(11)  GU C 209 del 15.8.2008, causa C-319/06.

(12)  GU C 151 del 17.6.2008, pag. 45.

(13)  GU C 161 del 13.7.2007, pag. 80.

(14)  GU C 77 del 31.3.2009, pag. 15.

(15)  COM(2008) 412 def.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Benché oltre un quarto dei votanti si sia espresso a favore del suo mantenimento, il seguente punto del parere della sezione è stato soppresso a favore di un emendamento adottato dall'assemblea:

1.4   L'obiettivo finale è eliminare tutte le barriere che ostacolano il funzionamento del mercato interno, ossia garantire condizioni di concorrenza uniformi a tutti gli interessati, assicurandosi che operino nello stesso contesto giuridico. Ciò è fondamentale per creare condizioni di concorrenza leale per tutti e per aumentare la competitività dell'economia dell'Unione europea.

Esito della votazione:

Voti favorevoli: 79

Voti contrari: 46

Astensioni: 11

Pur avendo ottenuto oltre un quarto dei voti espressi, è stato respinto a seguito della votazione:

Punto 4.3 — sopprimere

Motivazione

Il CESE non ha competenze per mettere in discussione le sentenze della CGCE. Si tratterebbe di un pericoloso precedente che indebolirebbe il prestigio del Comitato.

Esito della votazione:

Voti favorevoli: 44

Voti contrari: 78

Astensioni: 14


4.8.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 182/8


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La dimensione esterna della politica energetica europea

(2009/C 182/02)

Relatrice: SIRKEINEN

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 e 17 gennaio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

La dimensione esterna della politica energetica europea.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 dicembre 2008, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SIRKEINEN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 gennaio 2009, nel corso della 450a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 181 voti favorevoli, 4 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni: Verso una politica energetica esterna dell'UE

1.1   Da molto tempo l'energia è al centro della politica internazionale, e in questo campo gli altri grandi protagonisti sulla scena mondiale hanno agende politiche decise, siano esse dichiarate o nascoste. L'energia, inoltre, è spesso utilizzata come strumento o addirittura come arma nelle controversie internazionali.

Il CESE giudica urgente che l'UE, in quanto maggiore entità economica a livello globale, reclami il ruolo che le spetta sulla scena energetica mondiale.

1.2   I cittadini europei sono preoccupati per la sicurezza dei loro approvvigionamenti di energia, per i prezzi dell'energia elevati ed instabili, nonché per i cambiamenti climatici e in generale per uno sviluppo mondiale non sostenibile. Secondo il CESE, l'UE necessita di una strategia energetica esterna globale per rispondere alle preoccupazioni dei suoi cittadini e, soprattutto, della volontà e della determinazione di attuarla.

Il CESE propone una politica esterna dell'energia fondata su due pilastri:

la garanzia degli approvvigionamenti all'UE,

una politica globale dell'energia e del clima che sia attiva e responsabile.

1.3   Numerosi elementi di tale strategia sono già operativi. La sicurezza energetica è uno degli argomenti trattati dal Consiglio europeo nelle sue conclusioni del 15-16 ottobre 2008, e la Commissione ha presentato ulteriori proposte nel suo Secondo riesame strategico della politica energetica del 13 novembre 2008 (1), sul quale il CESE si esprimerà in modo particolareggiato in un successivo parere.

A giudizio del CESE, l'UE ha bisogno di una strategia compiuta per la politica energetica esterna e di un piano d'azione pratico, che tenga conto, tra l'altro, delle osservazioni contenute nel presente parere.

Riconoscendo l'interdipendenza che caratterizza i rapporti tra fornitori e consumatori di energia, il CESE raccomanda in particolare che vi sia reciprocità in materia di accesso alle reti e di condizioni per gli investimenti, ivi compreso l'accesso agli investimenti a monte.

Sono in fase di sviluppo diversi progetti di oleodotti e gasdotti tra l'Europa da una parte e la regione del Caucaso, la Russia e l'Asia dall'altra. Si tratta di progetti della massima importanza, ma a medio termine potrebbero persino non essere sufficienti a soddisfare le esigenze europee.

1.4   La politica energetica dell'UE si è finora concentrata sulla creazione di un mercato interno dell'energia, in particolare di elettricità e gas.

Il CESE è d'accordo sul fatto che una strategia energetica esterna che sia efficace anche negli interventi concreti non può che essere fondata su una chiara politica interna comune e su un mercato interno dell'energia che funzioni correttamente.

Il CESE sottolinea che è possibile ridurre drasticamente la dipendenza energetica dall'esterno e aumentare la sicurezza degli approvvigionamenti mediante misure di politica energetica interna quali l'efficienza energetica, un mix energetico diversificato, investimenti sufficienti nell'infrastruttura, nonché misure anticrisi come i sistemi di allarme rapido, la condivisione di informazioni, lo stoccaggio e la sostituzione.

1.5   L'Europa ha la responsabilità, e anche il potenziale, per farsi promotrice di un profondo cambiamento della cultura del consumo di energia, e cioè di quella che può essere considerata la terza rivoluzione industriale.

L'UE deve restare all'avanguardia delle politiche mondiali in materia di cambiamenti climatici, e favorire con tutti i mezzi disponibili un futuro energetico sostenibile nei paesi in via di sviluppo.

1.6   Per far fronte alle sfide energetiche di breve come di lungo periodo, sia all'interno dell'UE che sulla scena mondiale, un ruolo fondamentale spetta alle nuove e migliori tecnologie.

Il CESE invita l'UE, gli Stati membri e le aziende a investire sufficienti risorse nella ricerca, nello sviluppo e nell'innovazione in campo energetico e raccomanda una cooperazione globale più inclusiva in materia.

1.7   Le disposizioni in materia di politica dell'energia e relazioni esterne contenute nel Trattato di Lisbona rafforzano le possibilità degli Stati membri dell'UE di agire insieme e di influenzare maggiormente la scena energetica mondiale.

Il CESE raccomanda a tutti i responsabili di impegnarsi al massimo per trovare quanto prima una soluzione che permetta l'entrata in vigore del Trattato.

Il requisito più essenziale è che l'UE agisca realmente di concerto. Di conseguenza la strategia dovrebbe fondarsi anche su una chiara definizione dei ruoli rispettivi dell'Unione europea, degli Stati membri e degli attori economici.

1.8.1   A livello esterno, puramente politico, la competenza spetta agli Stati membri. Per quanto riguarda l'obiettivo di far parlare all'unisono gli Stati membri dell'UE, si sono visti sviluppi positivi, in particolare nei rapporti con la Russia.

Il CESE invita gli Stati membri ad agire di concerto nella politica esterna, e di opporsi all'uso dell'energia come arma nelle controversie internazionali.

1.8.2   L'UE ha una politica commerciale comune basata su principi uniformi. La Commissione è responsabile della conduzione dei negoziati commerciali sulla base del mandato conferitole dal Consiglio.

Il CESE raccomanda che i mandati per i negoziati multilaterali e per quelli bilaterali con altri paesi e regioni siano sufficientemente ambiziosi ma al contempo funzionali per consentire di ottenere risultati tangibili in ambito energetico.

1.8.3   I contratti relativi agli acquisti, alle infrastrutture e ad altri progetti sono stipulati ed eseguiti dalle imprese, ma spesso i governi hanno un ruolo di facilitazione importante se non addirittura decisivo.

A giudizio del CESE, nel contesto di questi negoziati, i rappresentanti dei governi degli Stati membri dovrebbero esigere, come condizione dell'appoggio alla conclusione dei contratti, che il paese terzo in questione applichi ai suoi mercati determinate regole quali la reciprocità, la parità di trattamento, la trasparenza e la protezione degli investimenti, nonché il rispetto dello Stato di diritto e dei diritti umani. Il Consiglio dovrebbe convenire un quadro di principi in tal senso, da applicare a tutti i negoziati con i paesi terzi per la conclusione di contratti nel settore dell'energia.

1.9   L'obiettivo di una strategia energetica esterna è di rispondere alle esigenze e alle preoccupazioni dei cittadini, nell'ambito sia della vita privata che di quella professionale.

Il CESE raccomanda di ascoltare e coinvolgere attivamente nella definizione di detta strategia la parti sociali, le organizzazioni ambientaliste e altri rappresentanti della società civile, la cui capacità di favorire il dialogo e agevolare i negoziati internazionali devono essere pienamente sfruttate.

1.10   La società civile organizzata e i consigli economici e sociali hanno la capacità, e quindi la responsabilità, di influire sulla definizione della politica energetica esterna dell'UE.

Il CESE invita le organizzazioni della società civile a intervenire presso i rispettivi governi nazionali e regionali per esortarli ad agire in modo concertato a livello UE su questi temi. La solidarietà tra europei deve venire prima degli interessi strettamente locali o nazionali, perché il duplice obiettivo della sicurezza energetica e della responsabilità internazionale può essere conseguito meglio attraverso l'azione comune.

1.11   Visto il gran numero di questioni in gioco, sia geopolitiche che di merito, il dialogo e i negoziati sulle relazioni internazionali in ambito energetico si svolgono in molte sedi diverse. Un dialogo aperto che tenga conto, per quanto possibile, dei diversi aspetti del problema permetterebbe una più ampia comprensione e coinvolgimento delle parti interessate.

Il tema dell'energia dovrebbe essere o rimanere un punto importante all'ordine del giorno delle riunioni e delle tavole rotonde del CESE con i suoi partner internazionali.

Il ruolo che si può prevedere per il CESE è quello di organizzare periodicamente seminari aperti a un gran numero di partecipanti sugli aspetti esterni della politica energetica dell'UE, che coinvolgano in particolare le organizzazioni della società civile provenienti anche da paesi terzi e altre regioni. In questo senso si è già rivelata proficua l'audizione organizzata il 1o ottobre a Bruxelles dal gruppo di studio del CESE sulla politica energetica esterna.

2.   Introduzione

2.1   Il tema dell'energia è destinato a restare in cima alle priorità politiche a livello mondiale, come dimostrano i contrasti politici e anche militari chiaramente connessi all'approvvigionamento energetico. Questi sviluppi s'inquadrano nel contesto dell'incremento della domanda, soprattutto da parte dei paesi in via di sviluppo (a seguito dell'evoluzione positiva delle condizioni di vita delle loro popolazioni), e della prevista scarsità di taluni tipi di combustibili fossili. Gli approvvigionamenti di petrolio e di gas, inoltre, sono caratterizzati dalla forte dipendenza da un numero limitato di paesi produttori, e si prevede che in futuro l'offerta sarà sempre più concentrata in alcune regioni del mondo.

2.2   La crisi economica mondiale è legata all'andamento dei prezzi dell'energia. Meno di due anni fa il prezzo del petrolio e poi quello del gas hanno cominciato ad aumentare fortemente, causando un'impennata dell'inflazione e notevoli problemi per i consumatori e la società nel suo complesso. Il recente, repentino calo del prezzo del petrolio ha poi fatto nascere preoccupazioni per la sufficienza della produzione e la sicurezza degli approvvigionamenti. In questo contesto volatile, si prevede che i prezzi dell'energia aumenteranno per effetto degli equilibri di mercato e, soprattutto, delle misure politiche volte a combattere i cambiamenti climatici. La povertà energetica oggi minaccia i gruppi più deboli della nostra società.

2.3   Attualmente l'Unione europea importa il 53 % dell'energia primaria utilizzata. La dipendenza dalle importazioni è del 40 % per i combustibili solidi, del 56 % per il gas e dell'82 % per il petrolio (statistiche del 2005). Lo scenario di riferimento della Commissione, aggiornato al 2007, indica che per il 2030 è prevista una dipendenza complessiva dalle importazioni pari al 67 %. Stando al Secondo riesame strategico della politica energetica, le importazioni di combustibili fossili dovrebbero rimanere più o meno ai livelli attuali anche nel 2020, quando sarà pienamente operativa la politica energetica e climatica dell'UE.

2.4   Oltre il 40 % delle sue importazioni di gas, e un quarto di quelle di petrolio, vengono dalla Russia, e si prevede un aumento soprattutto della quota del gas. Dopo la Russia, i principali fornitori di petrolio sono il Medio Oriente e la Norvegia; quest'ultima, seguita dall'Algeria, è anche il maggior fornitore di gas. Si ha però un fenomeno di dipendenza reciproca, nel senso che per parte loro i fornitori dell'UE dipendono dalla nostra domanda. Questo vale soprattutto per la Russia, visto che oltre la metà delle sue esportazioni di energia sono assorbite dall'UE.

2.5   Le cifre elevate della dipendenza dalle importazioni e il prevalere di talune fonti d'importazione, non tutte rispettose delle stesse regole politiche e di mercato dell'UE, spiegano perché il problema della sicurezza energetica sia ora diventato una delle priorità dell'agenda dell'UE. L'urgenza del problema è stata ulteriormente evidenziata da alcune interruzioni delle forniture provenienti dalla Russia e dalla recente attività militare in Georgia.

2.6   Il settore dell'energia non ha implicazioni omogenee nei confronti della politica esterna o delle altre politiche energetiche. Il petrolio è usato prevalentemente nei trasporti e non può essere sostituito facilmente e per di più l'Unione europea è una componente del mercato globale del petrolio, e quindi dispone di un margine di manovra ristretto. Altre fonti e tecnologie energetiche hanno invece impieghi diversificati e sono in larga misura intercambiabili. Il carbone e l'uranio sono commerciati su un mercato mondiale aperto, mentre occorre prestare attenzione al gas, a causa della rapida crescita della domanda e del numero ridotto, e delle caratteristiche specifiche, dei fornitori.

2.7   In questi ultimi anni l'Unione europea ha intrapreso diverse iniziative per assicurare i propri rifornimenti dai paesi terzi.

2.8   Di recente, il Consiglio europeo del 15 e 16 ottobre 2008 ha chiesto alla Commissione di presentare proposte o iniziative pertinenti sul tema della sicurezza energetica, individuando sei priorità. La Commissione ha risposto con il suo Secondo riesame strategico della politica energetica. Il CESE elaborerà un parere separato e particolareggiato su quest'ultimo documento e sul pacchetto di proposte che lo accompagna.

3.   Elementi interni della politica esterna dell'energia

3.1   Numerosi sono gli interventi sia nell'ambito dell'UE che in quello degli Stati membri che potrebbero gettare le basi per una riduzione della dipendenza dall'esterno e una maggiore sicurezza energetica, e migliorare così la posizione dell'UE nella sua politica energetica esterna. Queste misure vengono ricapitolate solo brevemente in questa sede, visto che sono state esaminate a fondo in altri pareri del CESE.

3.2   Anzitutto è primordiale incoraggiare l'efficienza energetica, poiché essa influisce sullo sviluppo della domanda di energia e quindi sulla dipendenza dall'esterno.

3.3   Altre misure importanti sono un mix energetico equilibrato e una diversificazione delle fonti energetiche, privilegiando fonti locali a basse emissioni di carbonio, quali i biocarburanti, l'eolico e il nucleare.

3.4   Per quanto riguarda i combustibili fossili, occorre incrementare la produzione combinata di calore ed energia ad alta efficienza, nonché la cattura e lo stoccaggio del carbonio.

3.5   La concorrenza negli scambi commerciali di gas dovrebbe essere favorita promuovendo la costruzione di terminali GNL (gas naturale liquefatto) e di altre infrastrutture.

3.6   Un mercato interno dell'energia efficiente favorisce a sua volta l'efficienza delle risorse e la soluzione di possibili problemi di approvvigionamento a livello locale o regionale. Occorrono investimenti sufficienti nelle infrastrutture e la libertà di accesso alle reti e ad altre infrastrutture. Perché le interconnessioni siano efficienti è essenziale un'efficace cooperazione tra i regolatori dell'energia.

3.7   Occorrono iniziative specifiche per far fronte ai rischi inerenti alla sicurezza delle forniture. Dovrebbero essere creati meccanismi efficaci di solidarietà e di allerta precoce per agire di concerto nell'eventualità di crisi energetiche e di perturbazioni negli approvvigionamenti. A tempo debito il CESE esprimerà il suo parere sulle proposte della Commissione in materia.

3.8   Il CESE appoggia in particolare l'adozione di misure efficienti volte a collegare parti isolate dell'Unione, in special modo i paesi baltici, al mercato comune dell'energia, e a garantire un approvvigionamento di energia sufficiente e differenziato.

4.   Osservazioni generali del CESE su una politica esterna dell'energia

4.1   Il CESE definisce una politica esterna dell'energia fondata su due pilastri:

la garanzia degli approvvigionamenti all'UE,

una politica globale dell'energia e del clima che sia attiva e responsabile.

4.2   Per queste politiche è necessario avere una visione a breve termine e una a lungo termine. A breve termine, dato che la sostituzione massiccia delle fonti di energia e delle infrastrutture richiede tempo, occorre aumentare gli approvvigionamenti, adottando al contempo tutte le misure possibili per ridurre la domanda. Sul lungo periodo, una volta che gli investimenti nella ricerca e nelle nuove tecnologie cominceranno a dare risultati, la domanda potrà essere ulteriormente ridotta e, in particolare, le fonti limitate o altrimenti problematiche potranno essere sostituite da fonti alternative.

4.3   Nel frattempo, il CESE prevede che le politiche in relazione ai cambiamenti climatici avranno due conseguenze significative per il mercato dell'energia: l'aumento dei prezzi e una minore dipendenza dai combustibili fossili.

4.4   Le nuove tecnologie sono la via migliore per migliorare l'efficienza energetica e sostituire le fonti di energia problematiche. L'Europa, che è all'avanguardia delle politiche in materia di energia e clima, deve sfruttare tutte le possibilità, sviluppare le tecnologie necessarie, aiutare gli altri a risolvere i loro problemi e creare posti di lavoro. Perché tutto ciò sia possibile, è necessario fin da oggi investire a sufficienza nella ricerca e nello sviluppo tecnologico in campo energetico.

5.   Garantire gli approvvigionamenti di energia all'UE

5.1   L'UE ha intrapreso numerose iniziative, a livello sia bilaterale che multilaterale, per estendere le sue regole e la loro applicazione al resto del mondo, in particolare ai partner in campo energetico, però con un successo sinora limitato. Occorre dunque agire con maggiore decisione.

5.2   È urgente e necessario assicurare la reciprocità in materia d'investimenti. Molti paesi produttori di energia hanno bisogno d'investimenti esteri per sviluppare le loro fonti e infrastrutture energetiche, ma questi non possono intervenire fintantoché le regole saranno assenti, poco chiare o attuate in maniera non sistematica. Le disposizioni della Carta dell'energia vanno mantenute, e orientamenti analoghi andranno inclusi in futuri Trattati bilaterali.

5.3   Quanto detto vale per altre questioni relative alla regolamentazione, come la parità di trattamento, la libertà e il rispetto dei contratti, nonché l'accesso alle infrastrutture di transito.

5.4   L'UE deve pretendere e garantire il rispetto dei diritti e delle possibilità delle aziende europee di investire a monte nello sviluppo delle fonti di energia e nelle infrastrutture.

5.5   L'Europa ha bisogno di sicurezza delle forniture, mentre i nostri fornitori, e in particolare la Russia, fanno sapere che a loro serve la certezza della domanda per realizzare gli investimenti necessari. La base per lo sviluppo d'infrastrutture su vasta scala sono spesso i contratti a lungo termine. Ai fini di un migliore equilibrio dei poteri, tali contratti andrebbero conclusi in una «cornice europea». Ciò richiederebbe la condivisione delle informazioni fra gli Stati membri e una stretta cooperazione con gli attori sul mercato.

5.6   Il piano d'interconnessione prioritario riguarda una serie di grandi progetti, incluso uno per i collegamenti esterni (il gasdotto Nabucco dal Mar Caspio all'Europa centrale). Pur essendo estremamente rilevanti, a medio termine questi progetti potrebbero risultare insufficienti per l'Europa.

5.7   Il collegamento dell'UE con il Caucaso e l'Asia centrale potrebbe richiedere la costruzione di numerose nuove condotte oltre al progetto Nabucco. L'UE dovrebbe presentare proposte per coordinare progetti regionali che raggiungano dimensioni significative e per mobilitare investimenti pubblici e privati.

5.8   Il CESE prende atto dei sei interventi infrastrutturali prioritari proposti dalla Commissione nel suo Secondo riesame strategico della politica energetica. Il Comitato si esprimerà successivamente sui suddetti interventi e sul Libro verde Verso una rete energetica europea sicura, sostenibile e competitiva  (2).

5.9   Occorre approfondire il dialogo con l'OPEC e con il Consiglio di cooperazione del Golfo e attuare integralmente gli accordi con l'Azerbaigian e il Kazakistan. Occorre instaurare relazioni più strette con i paesi produttori dell'Asia centrale, come il Turkmenistan e l'Uzbekistan, per agevolare il trasporto di risorse energetiche dal Mar Caspio verso l'UE.

5.10   L'importanza dell'Africa come paese fornitore di energia è decisamente aumentata. Un partenariato avanzato con questo continente deve essere globale, e contribuire in maniera equilibrata allo sviluppo sostenibile delle economie dei produttori africani di petrolio e di gas.

5.11   La cooperazione mediterranea, in forte sviluppo, deve svolgere un ruolo importante nel coprire aspetti diversi dell'energia: produzione, transito e consumo.

5.12   Si può prevedere che aumenterà l'importanza della dimensione settentrionale. I giacimenti di petrolio e di gas nell'Oceano Artico e la cooperazione nelle regioni settentrionali dovrebbero avere una più alta priorità nella politica esterna dell'energia. Per parte sua la cooperazione nell'area del Baltico riguarda principalmente i paesi utilizzatori e di transito del petrolio, e in proposito il collegamento con la Russia svolge un ruolo chiave.

5.13   Con quest'ultimo paese l'obiettivo dovrebbe essere un solido accordo quadro a carattere globale, improntato alla parità e alla comprensione reciproca. La Russia dovrebbe consentire il transito del gas sulla rete russa e permettere alle imprese europee d'investire nello sviluppo delle sue reti e delle sue fonti, nonché fornire rassicurazioni circa la sua affidabilità in quanto fornitore di energia. I suoi partner europei, dal canto loro, devono rispettare i contratti e gli impegni assunti.

5.14   L'UE deve inoltre rafforzare la cooperazione con altri utilizzatori di energia, nel quadro dell'Agenzia internazionale dell'energia ma anche al di là della stessa.

6.   Una politica globale dell'energia e del clima attiva e responsabile

6.1   L'attuale cultura del consumo di energia è nata in Europa e negli Stati Uniti con la prima rivoluzione industriale. Molti paesi in via di sviluppo, che puntano a migliorare il tenore di vita dei loro cittadini, sono oggi nella stessa fase in cui si trovava l'Europa alcuni decenni fa. Ciò significa un rapido aumento dei consumi di energia, che rientra tra i diritti di quei paesi ed è necessario per la sicurezza mondiale e per uno sviluppo pacifico. Oggi l'Europa ha la responsabilità, e anche il potenziale, per farsi promotrice di un profondo cambiamento della cultura del consumo di energia, e cioè della terza rivoluzione industriale.

6.2   Circa 2 miliardi di persone nei paesi in via di sviluppo non hanno accesso all'elettricità e devono affidarsi alla legna, al letame e ai rifiuti agricoli, con il risultato che l'aria inquinata all'interno delle abitazioni è una delle prime dieci cause di morte prematura nel mondo. Dare a queste persone accesso alla rete elettrica e alla capacità di produzione è uno degli obiettivi più importanti a livello mondiale. Questo comporterà investimenti enormi e fortissimi aumenti dei consumi globali di energia. Si tratta però di investimenti necessari per garantire a tutti condizioni di vita umane e dignitose e la possibilità di migliorare il loro tenore di vita.

6.3   L'Unione europea si è giustamente posta all'avanguardia delle politiche di lotta ai cambiamenti climatici. L'obiettivo fondamentale dovrebbe essere un accordo internazionale efficace che copra tutti i paesi, perché gli effetti del riscaldamento globale, così come l'aumento delle emissioni di gas a effetto serra, saranno più forti al di fuori dell'Europa. La conferenza sul clima di Copenaghen del dicembre 2009 rappresenterà la pietra angolare dei negoziati a livello mondiale, e su detta conferenza l'Unione europea dovrà investire il più possibile. Azioni unilaterali da parte dell'UE imporrebbero invece un fardello insostenibile alla sua economia.

6.4   L'UE dispone oggi degli strumenti per mitigare i cambiamenti climatici (fonti rinnovabili e altre tecnologie per l'energia a basso tenore di carbonio, tecnologie per l'efficienza energetica) e lavora al loro ulteriore sviluppo. Queste tecnologie dovrebbero essere applicate a livello globale, in modo da generare una più forte domanda di know-how e prodotti europei e contribuire così alla creazione di nuovi posti di lavoro.

6.5   Il CESE appoggia decisamente l'idea di un accordo internazionale sull'efficienza energetica fra i principali paesi consumatori di energia (Stati Uniti, Canada, Giappone, Australia, India e Cina). Un passo in questa direzione è stato fatto con la decisione di creare un forum sul tema, presa alla riunione del G8 del luglio 2008 in Giappone. Occorre tuttavia assicurare che tutti i principali consumatori partecipino effettivamente all'accordo e vi contribuiscano adeguatamente. Oltre a promuovere politiche di efficienza energetica e a sviluppare e diffondere tecnologie e fonti di energia rinnovabili, questo accordo dovrebbe prevenire il doppio sistema di prezzi, ossia il ricorso a prezzi sovvenzionati per l'energia destinata agli utenti nazionali, sistema che provoca notevoli sprechi di energia.

6.6   L'UE dovrebbe anche appoggiare concretamente l'efficienza energetica nei paesi in via di sviluppo, che a loro volta dovrebbero evitare di investire nelle produzioni e nei consumi ad alta intensità energetica. Le politiche di sviluppo dell'UE dovrebbero essere utilizzate meglio a questo scopo.

6.7   L'appoggio ai programmi di istruzione e formazione dovrebbe essere il principale strumento della cooperazione in ambito energetico con i paesi in via di sviluppo.

6.8   Il CESE sottolinea che qualsiasi cooperazione, in particolare con i paesi in via di sviluppo, deve tenere conto dell'obiettivo dello sviluppo sostenibile di questi paesi, ivi compresi i progressi sul fronte della democrazia e del rispetto dei diritti umani.

Bruxelles, 14 gennaio 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Comunicazione della Commissione Secondo riesame strategico della politica energetica — Piano d'azione dell'UE per la sicurezza e la solidarietà nel settore energetico SEC(2008) 2794, SEC(2008) 2795.

(2)  COM(2008) 782 def.


4.8.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 182/13


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Lo strumento europeo per la democrazia e i diritti umani (EIDHR)

(2009/C 182/07)

Relatore: IULIANO

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 10 luglio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Lo strumento europeo per la democrazia e i diritti umani (EIDHR).

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 dicembre 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore IULIANO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 15 gennaio 2009, nel corso della 450a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 115 voti favorevoli e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Rafforzamento dei diritti economici, sociali e culturali

Il CESE chiede che ai diritti economici, sociali e culturali (1) si riconosca maggiore importanza nelle politiche dell'Unione europea (UE) attraverso l'utilizzo degli strumenti geografici e tematici disponibili, tra i quali si evidenzia, come elemento complementare, lo strumento europeo per la democrazia e i diritti umani (EIDHR).

A seguito della recente approvazione del protocollo facoltativo al Patto delle Nazioni Unite sui diritti economici, sociali e culturali, il CESE chiede che l'UE faccia un appello per la ratifica universale e per la messa in opera del suddetto Patto e del suo Protocollo (vedi allegato 1).

1.2   «Dialogo sociale “e” lavoro dignitoso» nelle priorità dell'EIDHR

Nel quadro dell'affermazione dei diritti economici, sociali e culturali, e fra le condizioni indispensabili per il mantenimento della pace e lo sviluppo democratico di ogni paese, il CESE sottolinea l'importanza della tutela del lavoro in tutti i suoi aspetti (lavoro come elemento determinante per l'identità sociale e il diritto di cittadinanza di ogni persona) (2). Il CESE evidenzia il legame tra la tutela del lavoro e tutti i diritti correlati, così come esplicitati dalle fondamentali convenzioni internazionali dell'Organizzazione internazionale del lavoro (diritto al lavoro, diritto di associazione e contrattazione collettiva, non discriminazione sul lavoro, divieto del lavoro minorile e del lavoro forzato), riconoscendoli fra i diritti umani fondamentali. Pertanto il lavoro dignitoso (secondo la definizione dell'OIL) e il dialogo sociale, condizione indispensabile per l'affermazione e la tutela dei diritti del lavoro, devono trovare adeguato riconoscimento fra le priorità dell'EIDHR.

1.3   Sostegno ai partner sociali

I partner sociali (organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro), in quanto protagonisti del dialogo sociale, devono essere visti pertanto come attori e interlocutori essenziali dell'UE in questo contesto. Le parti sociali devono essere integrate pienamente nel dialogo politico e devono poter beneficiare di un sostegno diretto.

1.4   Rafforzamento del ruolo della società civile nei processi di consultazione nel campo dei diritti dell'uomo

Il CESE chiede in termini generali che nelle politiche estere adottate dall'UE siano sempre in primo piano gli obiettivi di promozione della democrazia e dei diritti dell'uomo e che i programmi e gli strumenti tematici siano destinati in modo prioritario alla società civile organizzata, in tutti i casi dove ciò si renda possibile.

Il CESE chiede quindi che venga avviata una riflessione istituzionale sul ruolo della società civile nella politica estera dell'UE relativa ai diritti dell'uomo e sulla possibilità di coinvolgere più direttamente la società civile nella definizione e messa in opera di tale politica. La consultazione della società civile organizzata dovrebbe essere intervenire sistematicamente prima dell'elaborazione di ogni documento di strategia, compresi i documenti di strategia specifici per paese (CSP — Country Strategy Paper).

1.5   Il ruolo del CESE: indirizzo, monitoraggio e valutazione

Il CESE chiede di essere associato formalmente al processo di consultazione interna a monte della programmazione strategica pluriannuale e annuale dell'EIDHR, affinché questa possa beneficiare dei risultati del lavoro svolto dallo stesso Comitato con i partner della società civile dei paesi terzi, con i quali intrattiene relazioni privilegiate (Tavola rotonda con l'India, area euromediterranea, paesi ACP, ecc.). Chiede inoltre di essere consultato nel quadro della valutazione intermedia e dei bilanci dell'EIDHR.

Il CESE si propone di svolgere un ruolo attivo in questo processo, basandosi sulla propria esperienza e sulle proprie «reti» di riferimento (partner economici e sociali e consigli economici e sociali).

Il CESE suggerisce di avviare una riflessione sulla creazione di focal point per il sostegno dei difensori dei diritti umani, che permetterebbero alle istituzioni e agli organi dell'UE di lavorare in rete, ciascuno nella propria sfera di competenza.

Il CESE può altresì svolgere un ruolo importante rispetto alla società civile nell'ambito del follow-up post elettorale, per consolidare i sistemi democratici.

Il CESE propone che, come già è avvenuto al Parlamento europeo, venga creato un comitato di monitoraggio dello strumento europeo per la democrazia e i diritti umani (EIDHR). Esso avrebbe il compito, da un lato, di dar seguito alle richieste urgenti di consultazione nel contesto delle nuove procedure istituite per gli strumenti finanziari e, dall'altro, di monitorare la messa a punto e l'attuazione del suddetto strumento.

2.   L'Unione europea e i diritti umani

2.1   La tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali costituisce uno degli obiettivi principali dell'Unione europea (UE), sia all'interno dei suoi confini che nei suoi rapporti con paesi terzi. L'articolo 6 del Trattato sull'Unione europea, del 1999, recita: «L'Unione europea si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, e dello Stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati membri». Inoltre, l'articolo 7 del medesimo Trattato prevede un meccanismo per sanzionare violazioni gravi e persistenti di tali diritti da parte degli Stati membri.

2.2   L'articolo 11 del Trattato affronta poi la dimensione esterna dell'UE riguardo alla difesa dei diritti umani. Il Trattato di Nizza, concluso nel dicembre del 2000, amplia ulteriormente l'obiettivo della difesa dei diritti umani e delle libertà fondamentali, inserendolo nel contesto delle azioni di cooperazione allo sviluppo e di tutte le altre forme di cooperazione con paesi terzi (articoli 181 e 181 A del Trattato che istituisce la Comunità europea, o TCE). La Carta dei diritti fondamentali dell'UE, promulgata al vertice di Nizza nel 2000, costituisce infine il punto di riferimento in materia di diritti umani per la dimensione interna ed esterna dell'Unione (3).

2.3   In questi ultimi decenni lo sviluppo esponenziale del processo di globalizzazione ha reso il tema della protezione dei diritti umani sempre più rilevante per l'UE, soprattutto per quanto riguarda i suoi rapporti con i paesi in via di sviluppo. La Commissione e il Consiglio, con il consenso del Parlamento europeo (4), hanno da tempo rilevato il legame tra sviluppo (lotta alla povertà) e tutela dei diritti umani, in quanto sono questi ultimi a creare le condizioni per un reale e stabile sviluppo socioeconomico di un paese, e a contribuire agli obiettivi di sviluppo del millennio (OSM).

2.4   «… (L'UE) in quanto soggetto economico e politico di portata diplomatica mondiale, che dispone di risorse sostanziali per l'aiuto esterno, possiede un'influenza ed un potere negoziale considerevoli che può utilizzare a favore della democratizzazione e dei diritti umani (nei paesi terzi)» (5). Attualmente l'UE esercita questa influenza attraverso dialoghi politici sui diritti umani con i paesi con cui essa è in relazione. Si pensi ad esempio ai dialoghi strutturati dedicati esclusivamente ai diritti umani (Cina), oppure a quelli avviati a livello regionale e bilaterale nel contesto degli accordi di partenariato e cooperazione e degli accordi di associazione, rispettivamente con i paesi in via di sviluppo, con i nuovi vicini dell'UE e con i paesi candidati.

2.5   Un esempio particolare è la clausola per i diritti umani che l'UE ha introdotto negli accordi bilaterali con i paesi terzi, dove si sancisce che il rispetto per i diritti umani e la democrazia sono «elementi essenziali» dell'accordo. Tale clausola figura negli accordi bilaterali conclusi dall'UE dal 1992 e si applica attualmente ad oltre un centinaio di paesi (6). In caso di eventuali violazioni di un elemento essenziale, possono essere prese misure varie e a vari livelli, come l'interruzione dei contatti a livello politico o dei cambiamenti nei programmi di cooperazione. Per di più l'UE possiede un ulteriore strumento, e cioè la clausola d'«incentivazione sociale» all'interno del sistema delle preferenze generalizzate (SPG e SPG+), che prevede la concessione di preferenze supplementari per i paesi che rispettano talune norme dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) (7).

2.6   Tuttavia nella politica europea in tema di diritti umani si possono ravvisare ancora delle lacune e delle contraddizioni. Lo stesso Parlamento europeo, nel 2005, ha adottato una risoluzione (8) dove si mette in evidenza che molti accordi settoriali dell'UE (settore tessile, pesca, agricoltura, ecc.) non sono ancora dotati della «clausola diritti umani». Sul piano generale si lamenta la vaghezza dei termini e delle procedure utilizzate negli accordi esistenti, che non consentono un'effettiva applicazione delle clausole. Più in particolare si mette in evidenza il ruolo limitato del Parlamento nel processo di negoziazione (monitoring e sospensione) degli accordi stessi, cosa che lascia al Consiglio e alla Commissione il più ampio margine di decisione.

2.7   Negli accordi di partenariato economico (APE) (9) con i paesi dell'Africa, Caraibi e Pacifico (ACP), nonché negli accordi di libero scambio per il Mediterraneo (ENP), l'UE tende a concentrarsi maggiormente sugli aspetti commerciali. L'aiuto allo sviluppo dell'UE correrebbe pertanto il rischio di essere interpretato come strumento di pressione nei confronti dei partner del Sud e gli accordi finirebbero per non essere funzionali allo sviluppo (e quindi anche alla protezione dei diritti umani) dei paesi beneficiari.

2.8   Il CESE riafferma la necessità di politiche coerenti e complementari da parte dell'UE a sostegno dei diritti umani e della democratizzazione, che garantiscano il medesimo livello di priorità nei vari settori della politica estera, commerciale e di cooperazione allo sviluppo. Un più ampio processo di consultazione della società civile sembra altresì necessario per garantire che tale coerenza sia effettivamente rispettata. Le organizzazioni della società civile, infatti, potrebbero dare un valido contributo in varie fasi, dalla negoziazione degli accordi, al monitoraggio e valutazione in fase di esecuzione.

3.   Presentazione dello strumento europeo per la democrazia e i diritti umani (EIDHR: European Instrument for Democracy and Human Rights)

3.1   L'EIDHR rappresenta lo strumento finanziario dell'UE dedicato al sostegno di attività in favore della tutela dei diritti umani e della democrazia nei paesi terzi. In questo senso l'EIDHR si deve intendere come strumento complementare rispetto agli altri mezzi di attuazione delle politiche in materia di democrazia e diritti umani citati sopra, e cioè: dialoghi politici, iniziative diplomatiche, accordi commerciali, strumenti e programmi geografici e tematici di cooperazione.

3.2   Questo strumento è stato creato nel contesto delle prospettive finanziarie UE 2007-2013, con cui si è intrapreso un lungo processo di riorganizzazione dei programmi finanziari dell'assistenza esterna dell'UE. Il nuovo quadro comprende quindi oramai degli strumenti geografici — vale a dire IPA (strumento di preadesione, che include i paesi candidati e potenziali candidati), ENPI (strumento di vicinato, per i paesi del Caucaso, dell'Europa centrale e del Mediterraneo), DCI (strumento per la cooperazione allo sviluppo), ICI (per la cooperazione con i paesi industrializzati) — così come degli strumenti tematici — vale a dire EIDHR (diritti umani), SI (strumento di stabilità) e INSC (International Nuclear Safety Center, per il miglioramento della sicurezza dei reattori nucleari a livello mondiale). Gli strumenti tematici non richiedono l'accordo delle autorità dei paesi terzi per essere implementati.

3.3   È tramite il regolamento EIDHR (10), entrato in vigore il primo gennaio del 2007, che è stato istituito uno strumento che dispone di un suo bilancio proprio. Questo strumento ha avuto una genesi non facile, in quanto nelle proposte iniziali i diritti umani e la democrazia figuravano tra le linee tematiche dello strumento DCI, perdendo quindi autonomia rispetto ad altre azioni di cooperazione allo sviluppo. Grazie però alla pressione del Parlamento europeo, ed anche delle organizzazioni della società civile, si è finalmente potuto ottenere un regolamento specifico per i diritti umani e la democrazia.

3.4   Il nuovo strumento sostituisce l'Iniziativa europea per i diritti umani, vale a dire il programma in vigore 2000-2006. Esso costituisce la risposta alle critiche mosse all'Iniziativa europea, considerata come troppo rigida sul piano amministrativo e finanziario e poco adatta alla società civile dei paesi nei quali la democrazia e i diritti umani sono in difficoltà.

3.5   L'attuazione dello strumento si articola in varie fasi: (1) la programmazione strategica pluriannuale, che definisce il quadro dell'assistenza dell'UE, individuando le priorità e lo stanziamento finanziario indicativo. Il relativo documento strategico è elaborato dalla direzione generale Relazioni esterne della Commissione europea, in seguito a consultazione con le altre parti interessate (stakeholder), tra cui rappresentanti della società civile. (2) Il Piano d'azione annuale, invece, si basa sul documento strategico e ne definisce più in dettaglio gli obiettivi, i settori d'intervento, le procedure di gestione e l'importo del finanziamento. Detto piano viene elaborato da EuropeAid.

3.6   È importante notare che è stato introdotto il legal scrutiny da parte del Parlamento europeo dei documenti di strategia preparati dalla Commissione europea e adottati dagli Stati membri. La Commissione deve tenere conto delle osservazioni del Parlamento al momento dell'attuazione delle politiche.

3.7   Gli obiettivi (11) dell'EIDHR sono attualmente 5:

Obiettivo 1: Rafforzare il rispetto dei diritti umani nei paesi e nelle regioni del mondo in cui sono più minacciati

Obiettivo 2: Rafforzare il ruolo della società civile nella promozione dei diritti umani e delle riforme democratiche, nel sostegno alla conciliazione pacifica degli interessi dei vari gruppi e nel consolidamento della partecipazione e della rappresentanza politiche

Obiettivo 3: Sostenere le azioni in materia di diritti umani e di democrazia rientranti nell'ambito di applicazione degli orientamenti dell'UE, tra cui quelli riguardanti il dialogo sui diritti umani, i difensori di tali diritti, la pena di morte, la tortura e i bambini nei conflitti armati

Obiettivo 4: Sostenere e rafforzare il quadro internazionale e regionale per la tutela dei diritti umani, la giustizia, lo Stato di diritto e la promozione della democrazia

Obiettivo 5: Creare fiducia nel processo elettorale democratico, in particolare attraverso il monitoraggio delle elezioni

3.8   L'EIDHR è uno strumento di fondamentale importanza per la messa in pratica di azioni concrete a sostegno dei diritti umani. Esso costituisce uno strumento essenziale sopratutto per le organizzazioni della società civile, che trovano in esso la sede adatta per poter avviare le loro iniziative.

4.   Osservazioni generali

4.1   In maniera globale, Il CESE valuta positivamente il nuovo strumento EIDHR, la cui importanza per sostenere la politica dell'UE sui diritti umani nel mondo è indiscutibile. Vede altresì positivamente l'incremento delle risorse finanziare dedicate a questo strumento. Il CESE, grazie alla sua esperienza specifica, è pronto a sostenere nei paesi terzi la società civile, che deve rimanere il principale destinatario delle risorse dello strumento. Il CESE infine trova una forte corrispondenza tra i temi trattati da questo strumento e le priorità strategiche individuate dalla propria sezione Relazioni esterne.

4.2   Tuttavia il CESE intende sottolineare due esigenze di carattere generale: 1) quella di evidenziare maggiormente l'importanza della tutela dei diritti economici, sociali e culturali, in particolare del diritto internazionale del lavoro, nella struttura generale dell'EIDHR (i diritti economici e sociali e culturali, infatti, possono rappresentare un punto di partenza per poter sostenere successivamente i diritti civili e politici, soprattutto quando si tratta di paesi «difficili») e 2) quella di conferire un ruolo più attivo al CESE e alla società civile organizzata (SCO) nei vari processi di consultazione con le istituzioni europee in materia di diritti umani (12).

4.3   Come sancito dallo stesso regolamento EIDHR «la sfida di creare e alimentare una cultura di diritti e di garantire il funzionamento del processo democratico» non può prescindere dal pieno rispetto dei diritti economici e sociali. La tutela del lavoro e quella dei relativi diritti sanciti nelle convenzioni dell'OIL costituiscono oggi un aspetto centrale per lo sviluppo dei paesi terzi. Come ricorda la stessa Commissione europea, «l'UE ritiene che il rispetto dei diritti sociali e delle norme di lavoro siano determinanti per uno sviluppo sociale ed economico equo e duraturo» e di conseguenza che «gli attori fondamentali sono le parti sociali (imprese e sindacati) … I sindacati sono spesso le organizzazioni di massa più forti nei paesi partner e fungono da guardiani delle norme di lavoro internazionali» (13).

4.4   Si è già rilevato sopra come la SCO possa essere maggiormente coinvolta nei processi di negoziazione degli accordi tra UE e paesi terzi. Ma non basta. Sembra opportuno che, anche in sede di elaborazione delle programmazioni strategiche e delle programmazioni annuali per l'assistenza esterna, la SCO sia più integrata nel processo decisionale. Anche se di fatto già al momento attuale sono previste consultazioni — da parte della Commissione — delle organizzazioni delle società civile in tema di diritti umani, tale procedimento dovrebbe essere più trasparente e venire ufficializzato nelle agende istituzionali.

4.5   In particolare, la consultazione con le delegazioni UE nel paese beneficiario sembra fondamentale per garantire un'effettiva aderenza dell'assistenza ai reali bisogni della società (14).

4.6   Il CESE sottolinea l'importanza della consultazione sistematica con la società civile anche ai livelli transfrontaliero, regionale e locale. Esso auspica quindi che rappresentanti a tutti i livelli si uniscano alla società civile per tutte le decisioni politiche che precedono l'elaborazione di documenti strategici o qualsiasi decisione strategica. Mancando valutazioni comparative in proposito, per intensificare il processo di consultazione con la società civile il CESE propone di monitorare e valutare queste consultazioni con cadenza regolare e sulla base di fatti accertati e applicando metodi ufficialmente riconosciuti.

4.7   A tal fine il CESE sottolinea la necessità di ravvivare un vero dialogo tra la SCO e le delegazioni UE. Esso auspica pertanto che tutte le delegazioni UE siano coinvolte maggiormente nella messa in opera dei progetti e possano essere dotate di personale specifico, preposto a tale compito, come nel caso della figura del Civil Society Officer, di cui già esistono alcuni esempi.

4.8   Il CESE chiede che le risorse umane e di bilancio assegnate all'attuazione dell'EIDHR siano adeguate alla specificità dei progetti realizzati con la società civile e dei condizionamenti che pesano su di essi in termini di tempo, personale e rischi finanziari, e questo sia nelle delegazioni della Commissione nei paesi terzi che presso la sede stessa della Commissione (15). Ciò richiede un intervento specifico di selezione e formazione delle risorse umane, oltre a quanto già positivamente realizzato dalla Commissione.

4.9   In particolare il CESE chiede che gli strumenti concretamente a disposizione dell'UE per sostenere iniziative di capacity building a favore delle organizzazioni della SCO coinvolte, così come le piccole organizzazioni autonome e informali della società civile, vengano analizzati, tenendo conto della necessità di poter apportare a queste ultime un sostegno diretto (core funding) in casi particolari e spesso anche per importi limitati.

5.   Osservazioni specifiche

5.1   Obiettivo 1

Il CESE accoglie con favore l'inclusione specifica del diritto di associazione e del diritto di formare/aderire ad una organizzazione sindacale come base d'intervento prioritaria a titolo di questo obiettivo.

Sarebbe tuttavia auspicabile specificare anche il diritto di contrattazione, che è complementare al diritto di associazione, come sancito dalle stesse convenzioni dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL).

Il CESE rammenta quanto tali temi siano rilevanti e cruciali per molti paesi (16). In queste realtà vengono infatti negate le libertà fondamentali di espressione e di associazione; alcuni membri di organizzazioni sindacali pagano sovente con la vita il prezzo delle loro battaglie in difesa dei diritti umani. In questo contesto la solidarietà e l'assistenza internazionali sono necessarie per dare sostegno alle organizzazioni locali, coinvolgendo, qualora sia possibile, la totalità dei partner sociali (17).

Nondimeno il CESE sottolinea l'importanza della libertà d'impresa, diritto il cui esercizio, finalizzato allo sviluppo economico, è in vari paesi spesso ostacolato.

5.2   Obiettivo 2

Quest'obiettivo è incentrato sulle riforme democratiche, sul sostegno alla conciliazione degli interessi dei vari gruppi e sul consolidamento della partecipazione e della rappresentanza. Il CESE mette in evidenza l'assenza del dialogo sociale tra le priorità citate nel Piano d'azione.

Nonostante venga di nuovo citata la libertà di associazione, il dialogo sociale dovrebbe essere espressamente indicato come prioritario in quanto strumento, a pieno titolo, della partecipazione, della rappresentanza ed anche della conciliazione di gruppi d'interesse, che nella fattispecie sono appunto le parti sociali (datori di lavoro e lavoratori). Il dialogo sociale è una modalità che permette l'incontro degli interessi delle parti, sulla base dei quali le parti stesse trovano un accordo. Tale processo contiene dunque in sé il principio di uguaglianza della rappresentanza, nonché l'affermazione dei principi basilari della democrazia. Il dialogo sociale costituisce perciò una prova concreta dell'esercizio delle libertà d'espressione ed associazione, che, come recita lo stesso regolamento dell'EIDHR, «sono i prerequisiti del pluralismo politico e del processo democratico».

L'attuazione del dialogo sociale, sancito come modello di accordo tra i partner sociali in seno all'UE, dovrebbe essere sostenuta anche nei paesi terzi, dove appunto le dinamiche della democrazia necessitano di essere esercitate e fortificate. Non si deve dimenticare che, grazie alle sue caratteristiche, il dialogo sociale costituisce anche uno strumento di prevenzione, oltre che di risoluzione, dei conflitti.

Il CESE rammenta che la libertà di associazione e il dialogo sociale rappresentano delle componenti fondamentali per l'applicazione delle politiche a sostegno del lavoro dignitoso, che sia la Commissione che il Consiglio hanno recepito e fatto proprie nel 2006 (18). Si mette in evidenza che anche il documento strategico EIDHR fa un riferimento esplicito alla promozione di condizioni di lavoro dignitose. Si auspica quindi che queste considerazioni si possano trasformare in veri e propri obiettivi dello strumento per la democrazia e i diritti umani.

5.3   Obiettivo 3: Difensori dei diritti umani

Il CESE chiede che sia attribuita maggiore attenzione a quanti difendono i diritti del lavoro e si propone di rafforzare il sostegno per i difensori dei diritti dell'uomo esposti a minacce, in collaborazione con le reti delle organizzazioni della società civile (19).

Il CESE suggerisce di avviare una riflessione sulla creazione di focal points per il sostegno dei difensori dei diritti umani, che permetterebbero alle istituzioni e agli organi dell'UE di lavorare in rete, ciascuno nella propria sfera di competenza (compreso il Consiglio d'Europa che ha già intrapreso delle iniziative in questo senso).

Si propone infine di favorire una collaborazione ed un coinvolgimento diretto del Comitato delle regioni per quanto riguarda iniziative su questo tema (si vedano ad esempio les villes refuge (città rifugio) (20)).

5.4   Il ruolo specifico del CESE

Il CESE chiede alla Commissione europea di essere consultato regolarmente per quanto riguarda l'EIDHR. In quanto organo consultivo delle istituzioni europee, nel quale sono rappresentate le parti sociali ed altre organizzazioni della società civile, che a loro volta operano attivamente in partenariato con le organizzazioni della società civile dei paesi terzi, il CESE può infatti dare un valido contributo sia alla programmazione strategica dello strumento sia alla sua valutazione.

Following the example of the European Parliament, the EESC proposes that an EIDHR Monitoring Committee be set up tasked with: (1) meeting urgent consultation requests under the new procedures introduced for the financial instruments, and (2) monitoring the programming and implementation of the EIDHR.

Il CESE infine può svolgere un ruolo di sostegno alla società civile sia nei paesi considerati «difficili», sia nel contesto del follow-up post elettorale per consolidare i sistemi democratici (messa in opera di istituzioni democratiche, e più in particolare di istituzioni in grado di assicurare il dialogo fra le parti sociali).

Bruxelles, 15 gennaio 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  L'art. 3 del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali recita «Gli Stati parti del presente Patto si impegnano a garantire agli uomini e alle donne la parità giuridica nel godimento di tutti i diritti economici, sociali e culturali enunciati nel presente Patto.» Inoltre, gli articoli da 6 a 15 riconoscono i seguenti diritti:

al lavoro,

al godimento di giuste e favorevoli condizioni di lavoro,

di costituire con altri dei sindacati e di aderire ad un sindacato scelto liberamente,

alla sicurezza sociale,

alla protezione e all'assistenza più ampia possibile alla famiglia, alle madri, ai fanciulli e adolescenti,

a un livello di vita adeguato,

al godimento delle migliori condizioni di salute fisica e mentale possibili,

all'istruzione, e

di partecipare alla vita culturale.

Traduzione non ufficiale:

http://www.camera.it/cartellecomuni/leg14/RapportoAttivitaCommissioni/commissioni/allegati/03/03_all_legge1977881.pdf

(2)  Art. 23 della Dichiarazione universale dei diritti umani «Per un lavoro dignitoso» ripreso dagli articoli 6, 7, 8 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali del 1966.

(3)  Va comunque ricordata la Carta sociale europea del 1961, essendo la prima fonte giuridica a livello europeo che ha codificato i diritti economici e sociali. La Carta, entrata in vigore nel 1965, è stata riveduta nel 1996 e da ultimo nel 1999. Si ricorda infine la Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, del 1989.

(4)  Dichiarazione congiunta sulla politica di sviluppo della CE, Consiglio e Commissione, 10 novembre 2000, disponibile sul sito: http://europa.eu.int/comm/development/lex/en/council20001110_en.htm (http://register.consilium.europa.eu/pdf/en/00/st13/13458en0.pdf) La politica di sviluppo dell'Unione europea «Il consenso europeo» (COM(2005) 311 def.).

(5)  Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo — Il ruolo dell'Unione europea nella promozione dei diritti umani e della democratizzazione nei paesi terzi (COM(2001) 252 def.).

(6)  Comunicazione della Commissione sul richiamo al rispetto dei principi democratici e dei diritti dell'uomo negli accordi tra la Comunità e i paesi terzi (COM(1995) 216 def.).

(7)  Regolamento (CE) n. 2820/98 del Consiglio relativo all'applicazione di uno schema pluriennale di preferenze tariffarie generalizzate per il periodo 1o luglio 1999-31 dicembre 2001 (GU L 357 del 30.12.1998, pagg. 1-112).

(8)  Risoluzione del Parlamento europeo sulla clausola relativa ai diritti umani e alla democrazia negli accordi dell'Unione europea (2005/2057 INI).

(9)  Sulla base dell'Accordo di Cotonou (2000) nel 2002 sono iniziati i negoziati per concludere tali accordi. Questi prevedono la creazione di zone di libero scambio tra l'UE e i partner ACP.

(10)  Regolamento (CE) n. 1889/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 dicembre 2006 che istituisce uno strumento finanziario per la promozione della democrazia e dei diritti umani nel mondo (GU L 386 del 29.12.2006, pag. 1).

(11)  EIDHR Strategy Paper 2007-2010, DG RELEX/B/1 JVK 70618, EuropeAid web site.

(12)  Il CESE ricorda che la consultazione con la SCO è rilevante non solo per lo strumento EIDHR, ma anche per tutti gli altri strumenti che riguardano l'assistenza esterna dell'UE. Il CESE chiede per esempio che il programma tematico «asilo e migrazione» integrato nello strumento di cooperazione allo sviluppo — DCI — venga essenzialmente destinato a sostenere le iniziative della società civile nella promozione dei diritti economici, sociali e culturali dei migranti, conformemente alle priorità da esso definite nei suoi pareri sulla politica migratoria dell'UE adottati nel luglio 2008. Si veda il parere sul tema Migrazione e sviluppo: opportunità e sfide — (relatore: Sukhdev SHARMA) GU C 120 del 16.5.2008, pag. 82.

(13)  Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo — Il ruolo dell'Unione europea nella promozione dei diritti umani e della democratizzazione nei paesi terzi (COM(2001) 252 def.).

(14)  In particolare si deve assicurare la coerenza della distribuzione delle risorse finanziarie tra i vari paesi e aree geografiche, tenendo conto delle condizioni oggettive e dell’effettiva necessità.

(15)  Attualmente le risorse destinate all'EIDHR rappresentano all'incirca il 10 % del totale dei fondi disponibili per i programmi di cooperazione. Il resto delle risorse viene erogato attraverso gli accordi bilaterali e di «supporto al bilancio» a favore dei paesi beneficiari. Di conseguenza, oltre al fatto che gli stanziamenti più rilevanti sono veicolati a livello governativo, questo assetto fa sì che l'interesse e le disponibilità maggiori da parte dello stesso personale della delegazione debbano essere rivolte ai programmi che trovano una priorità più elevata dal punto di vista finanziario.

(16)  Per riferimenti vedi sito web UNHRC (United Nations Human Rights Council).

(17)  Cfr. il parere CESE sul tema La libertà di associazione nei paesi del partenariato euromediterraneo (relatore: Juan MORENO) GU C 211 del 19.8.2008, pag. 77.

(18)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo ed al Comitato delle regioni — Promuovere la possibilità di un lavoro dignitoso per tutti (COM(2006) 249 def.).

(19)  Si ricordano per esempio i meccanismi di coordinamento e di reazione in caso di violazioni di diritti umani e sindacali posti in essere dal dipartimento per i diritti umani e sindacali (Human and Trade Union Rights Department) della Confederazione internazionale dei sindacati (International Trade Unions Confederation, ITUC).

(20)  A titolo di esempio si veda il sito: http://www.icorn.org/ (International Cities of Refuge Network, ICORN).


4.8.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 182/19


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio recante applicazione del principio di parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale

COM(2008) 426 def. — 2008/0140 (CNS) (supplemento di parere)

(2009/C 182/04)

Relatore: CROOK

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 23 ottobre 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, lettera A delle Modalità d'applicazione del Regolamento interno, di elaborare un supplemento di parere in merito alla:

Proposta di direttiva del Consiglio recante applicazione del principio di parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale

COM(2008) 426 def. (supplemento di parere d'iniziativa).

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha adottato il proprio parere in data 10 dicembre 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore CROOK.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 gennaio 2009, nel corso della 450a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 183 voti favorevoli, 7 voti contrari e 18 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si compiace della proposta di direttiva in esame, che tiene ampiamente conto delle raccomandazioni formulate nel suo recente parere d'iniziativa Estendere le misure antidiscriminazione al di là del settore dell'occupazione  (1) e che dovrebbe portare all'uniformazione in tutta l'UE delle norme di tutela contro le discriminazioni di cui all'articolo 13 del Trattato CE.

1.2   Il CESE è tuttavia del parere che in taluni settori la direttiva offra un livello di protezione inferiore rispetto a quanto attualmente previsto nell'ambito delle direttive sull'uguaglianza razziale e sulla parità di genere.

1.3   Questo vale per l'articolo 2, che consente deroghe al divieto di discriminazione, in special modo per quanto concerne i servizi finanziari. Il CESE raccomanda di applicare anche all'età e alla disabilità gli stessi criteri di trasparenza, revisione e controllo previsti per la parità di genere.

1.4   Il CESE ritiene che i limiti fissati dall'articolo 3, che definisce il campo d'applicazione del testo in esame, e le ampie deroghe da esso autorizzate comprometteranno l'efficacia dell'intera direttiva.

1.5   Esso reputa che l'obbligo per i fornitori di beni e servizi di adottare misure preventive che rispondano alle esigenze dei disabili e di fornire soluzioni ragionevoli sia troppo limitato, così com'è formulato all'articolo 4.

1.6   Il CESE rileva che gli organismi di parità previsti all'articolo 12, contrariamente a quelli istituiti ai sensi delle direttive sull'uguaglianza razziale e sulla parità di genere, non sono competenti in materia di occupazione e raccomanda di colmare questa lacuna con l'aggiunta di un nuovo considerando.

1.7   Il CESE si rammarica che la direttiva non affronti in modo adeguato il problema della discriminazione multipla e invita la Commissione a presentare una raccomandazione in merito.

2.   Quadro generale

2.1   Nel succitato parere d'iniziativa, il CESE ha preso in esame la legislazione comunitaria e nazionale vigente in materia di antidiscriminazione, giungendo alla conclusione che è «ormai necessaria una nuova legislazione UE che proibisca le discriminazioni basate sulla religione, sulle convinzioni personali, sulla disabilità, sull'età e sull'orientamento sessuale anche al di fuori del settore dell'occupazione».

2.2   Avendo avuto l'opportunità di esaminare i contenuti della proposta di direttiva del Consiglio, presentata dalla Commissione, recante applicazione del principio di parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale e rilevando che talune delle sue dichiarate preoccupazioni non sono state pienamente affrontate, il CESE ha deciso di formulare un supplemento di parere sulla direttiva proposta.

2.3   Il CESE si compiace del fatto che molte delle disposizioni contenute nella proposta di direttiva riprendono le norme delle altre direttive basate sull'articolo 13, quali le definizioni di discriminazione diretta e indiretta e di molestie, le norme relative all'applicazione e ai rimedi giuridici, compresa l'inversione dell'onere della prova, e la protezione contro le ritorsioni e le sanzioni, che devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive. Come nel caso della direttiva sull'uguaglianza razziale (2), il campo d'applicazione della proposta di direttiva comprende la protezione sociale, inclusa l'assistenza sanitaria, le prestazioni sociali, l'istruzione e l'accesso a beni e servizi, incluso l'alloggio (pur introducendo, come si è già accennato prima, restrizioni ed esclusioni che potrebbero limitarne la portata).

2.4   Nelle osservazioni che seguono, il CESE si concentra su alcune disposizioni particolari che, a suo giudizio, potrebbero esplicitamente o implicitamente offrire un grado inferiore di protezione dalla discriminazione per motivi di religione o convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale rispetto alle direttive sull'uguaglianza razziale e sulla parità di genere.

3.   Commenti su alcuni articoli specifici

3.1   Articolo 2

L'articolo 2 enuncia il concetto di discriminazione; ai paragrafi 1, 2, 3 e 4 del suddetto articolo figurano le stesse definizioni dei concetti chiave contenute nelle altre direttive basate sull'articolo 13. L'articolo 2, paragrafo 5, considera il rifiuto di una soluzione ragionevole ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 1, lettera b) della stessa direttiva come una forma di discriminazione vietata.

3.1.1.1   Per garantire il corretto recepimento della direttiva nelle legislazioni nazionali, vista la sentenza della Corte europea di giustizia nella causa Coleman contro Attridge Law, che ha confermato che il divieto di discriminazione fondata sulla disabilità, previsto dalla direttiva 2000/78/CE, si applica anche a una persona che sia in rapporto con un disabile (3), il CESE ritiene che si debba specificare chiaramente nella direttiva che rientra nel campo di applicazione della stessa anche la discriminazione fondata sull'esistenza di un rapporto con persone che abbiano una determinata religione o convinzioni personali, disabilità, età od orientamento sessuale.

L'articolo 2, paragrafo 6, consente agli Stati membri di prevedere che le disparità di trattamento in ragione dell'età non costituiscano discriminazione laddove «esse siano giustificate da una finalità legittima e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari».

3.1.2.1   Il CESE ha raccomandato (4) di estendere anche ai disabili, sulla base delle stesse valutazioni di legittimità, la possibilità di un trattamento preferenziale: ciò si affiancherebbe alle norme tese a garantire un accesso efficace ai sensi dell'articolo 4.

3.1.2.2   Sarebbe opportuno precisare che una finalità, per definirsi «legittima», deve essere necessariamente coerente con il principio della parità di trattamento, ad esempio, nel favorire la partecipazione del gruppo in questione alla vita pubblica in condizioni di parità.

L'articolo 2, paragrafo 7, autorizza gli Stati membri a introdurre «differenze proporzionate di trattamento» nell'ambito dell'offerta dei servizi finanziari ove «i fattori età e disabilità siano determinanti nella valutazione dei rischi, in base a dati attuariali o statistici pertinenti e accurati».

3.1.3.1   Il CESE teme che tale ampia deroga perpetui i ben documentati svantaggi che incontrano giovani, anziani e disabili nei servizi bancari e in una seria di prodotti assicurativi.

3.1.3.2   Si tratta di una situazione in netto contrasto con quanto stabilito dalla direttiva sulla parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi (5), che contempla sì la possibilità per gli Stati membri di autorizzare differenze di genere in relazione a premi assicurativi e prestazioni individuali, ma solo in base ad accurati dati attuariali compilati, pubblicati e regolarmente aggiornati; gli Stati membri sono poi chiamati a riesaminare la loro decisione dopo cinque anni.

3.1.3.3   Il CESE ammette che alcune attività possono comportare maggiori rischi per determinate fasce di età o per le categorie affette da certi tipi di disabilità; tuttavia, l'articolo 2, paragrafo 7, ammette un campo d'applicazione troppo ampio per i premi differenziati senza imporre agli assicuratori l'obbligo di divulgare i dati attuariali. I potenziali clienti non sono così in grado di sapere se i prezzi differenziati siano o meno giustificati e gli operatori in concorrenza non vengono in alcun modo incentivati a offrire prezzi più equi.

3.1.3.4   Anche laddove i prezzi differenziati risultino giustificati, la diffusione dei dati attuariali o statistici è necessaria a garantire la proporzionalità richiesta ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 7.

3.1.3.5   Il CESE raccomanda di applicare anche all'età e alla disabilità gli stessi criteri di trasparenza, revisione e controllo richiesti agli Stati membri nel caso della parità di genere. La proposta di direttiva dovrebbe consentire agli Stati membri di ammettere differenze di trattamento solo chiedendo ai fornitori di servizi finanziari di pubblicare dati attuariali o statistici aggiornati attinenti alla particolare attività a «rischio», ad esempio la guida, i viaggi o il rimborso di prestiti ipotecari, e alla fascia d'età o alla particolare disabilità in questione. Tali dati andrebbero rivisti periodicamente per rilevare qualsiasi variazione del rischio e dopo un periodo stabilito sarebbe opportuno che gli Stati membri rivedessero le basi del trattamento differenziato e considerassero la graduale condivisione dei rischi e la perequazione dei premi.

3.2   Articolo 3

L'articolo 3 definisce il campo d'applicazione della direttiva proposta, vale a dire i settori di attività cui si applica il divieto di discriminazione per motivi di religione o convinzioni personali, disabilità, età od orientamento sessuale.

3.2.1.1   Il CESE si compiace del fatto che il campo d'applicazione della direttiva, definito all'articolo 3, paragrafo 1, lettere da a) a d) rispecchia quello della direttiva sull'uguaglianza razziale (6), come raccomandato dal CESE stesso (7).

3.2.1.2   Dopo aver introdotto all'articolo 3, paragrafo 1, lettera d) il divieto di discriminazione nel settore relativo all'«accesso a beni e servizi e la loro fornitura, inclusi gli alloggi», la proposta di direttiva stabilisce altresì che «la lettera d) si applica agli individui solo se esercitano una propria attività commerciale o professionale».

3.2.1.3   Tale deroga, che figura anche al considerando 16, non è contemplata dalla direttiva sull'uguaglianza razziale. Il CESE teme che, in assenza di una definizione dei termini «commerciale o professionale», la mancanza di chiarezza finisca per indebolire l'impatto della direttiva. Se, come suggerisce la Commissione (8), lo scopo è quello di escludere le transazioni fra privati, il CESE fa notare che tale precisazione è insita nel fatto che si sta parlando esclusivamente di beni e servizi a disposizione del pubblico. Inoltre, il considerando 17 stabilisce che: «Oltre a vietare la discriminazione, è importante che al tempo stesso vengano rispettati […] la tutela della vita privata e familiare e delle transazioni effettuate in questo ambito.»

L'articolo 3, paragrafo 2, non stabilisce alcun tipo di tutela contro le discriminazioni dovute ai quattro succitati motivi per quanto concerne la prassi nell'ambito del diritto nazionale in materia di stato coniugale o di famiglia e diritti di riproduzione.

3.2.2.1   Il CESE riconosce che lo stato coniugale, lo stato di famiglia e i diritti di riproduzione sono questioni che rientrano fra le competenze legislative degli Stati membri, ma non accetta che tali competenze debbano negare totalmente la possibilità di una protezione giuridica a livello comunitario nei confronti delle discriminazioni.

3.2.2.2   Stato coniugale. Con riferimento alle prerogative nazionali in merito alla regolamentazione dello stato coniugale, la Corte di giustizia ha recentemente stabilito che «lo stato civile e le prestazioni che ne derivano costituiscono materie che rientrano nella competenza degli Stati membri e il diritto comunitario non pregiudica tale competenza. Tuttavia, occorre ricordare che gli Stati membri, nell'esercizio di detta competenza, devono rispettare il diritto comunitario, in particolare le disposizioni relative al principio di non discriminazione» (9).

3.2.2.3   Stato di famiglia. Il concetto di «stato di famiglia» non viene definito e risulta pertanto troppo vago per essere usato come fondamento per l'esclusione dal campo d'applicazione della direttiva.

3.2.2.4   Diritti di riproduzione. Il CESE considera l'accesso ai servizi riproduttivi come parte integrante dei servizi sanitari, e a tale riguardo non dovrebbe essere ammessa alcuna discriminazione per qualsivoglia motivo, sia nell'ambito della legislazione nazionale che di quella comunitaria. Esistono prove di discriminazione nell'ambito dei servizi riproduttivi per motivi di orientamento sessuale, disabilità ed età. Inoltre, poiché sono le donne che chiedono e utilizzano i servizi riproduttivi, la scelta di non fornire una tutela contro la discriminazione in tale settore potrebbe costituire una discriminazione per motivi di genere, oltre che per ragioni di disabilità, età od orientamento sessuale.

3.2.2.5   Pertanto, il CESE è del parere che sia opportuno riconsiderare l'articolo 3, paragrafo 2, nel suo insieme e che qualsiasi formulazione definitiva debba precisare che le normative nazionali in materia di stato coniugale o di famiglia e diritti di riproduzione devono essere attuate senza discriminazioni nei confronti di nessun individuo e in relazione a nessuno dei motivi considerati nella direttiva.

3.2.2.6   L'articolo 3, paragrafo 3, stabilisce che il divieto di discriminazione in materia di istruzione è soggetto alle «responsabilità degli Stati membri per i contenuti dell'insegnamento, le attività e l'organizzazione dei propri sistemi d'istruzione, inclusa la messa a disposizione dell'insegnamento speciale.»

3.2.2.7   Il CESE teme che tale deroga, che non figura nella direttiva sull'uguaglianza razziale e che oltrepassa le disposizioni specifiche dell'articolo 149 del Trattato CE in materia d'istruzione (10), possa limitare eccessivamente l'impatto della direttiva al fine di eliminare discriminazione e molestie dalle scuole e dagli altri istituti d'istruzione.

3.2.2.8   Il CESE fa notare che l'articolo 150 del Trattato CE stabilisce, in termini quasi identici a quelli dell'articolo 149, che il contenuto e l'organizzazione della formazione professionale sono di competenza degli Stati membri, ma che la formazione professionale rientra nel campo d'applicazione della legislazione comunitaria antidiscriminazione senza alcuna restrizione (11).

3.2.2.9   L'esistenza di discriminazioni in tutta l'UE nel settore dell'istruzione per motivi di religione o convinzioni personali, disabilità, età od orientamento sessuale è stato uno dei principali incentivi per la formulazione della proposta di direttiva in esame. Il CESE è del parere che il divieto di discriminazione e la promozione della parità di trattamento nel campo dell'istruzione rivestano un'importanza così fondamentale per lo sviluppo di società democratiche e tolleranti, per lo sviluppo sociale ed economico e per il raggiungimento della coesione sociale da richiedere normative comunitarie destinate a tale finalità che risultino coerenti con i principi di sussidiarietà e proporzionalità di cui all'articolo 5 del Trattato CE.

3.2.2.10   È particolarmente importante stabilire un elevato grado di protezione dalla discriminazione nell'erogazione dell'insegnamento speciale, al fine di garantire un trattamento equo e leale di tutti i minori, indipendentemente dalla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale. Operando in tal senso non si interferirebbe con le politiche degli Stati membri in materia di istruzione separata o integrata, ma si garantirebbe l'attuazione di tali politiche senza discriminazione. La sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo nella causa D.H. e altri contro Repubblica ceca chiarisce in che modo le decisioni sui destinatari dell'istruzione speciale possano favorire modelli radicati di discriminazione in materia d'istruzione (12).

3.2.2.11   Il CESE è del parere che la coerenza nella tutela dalla discriminazione nell'istruzione sia particolarmente importante data la frequente sovrapposizione delle discriminazioni dovute alla razza o all'origine etnica con quelle dovute alla religione o alle convinzioni personali. Se una restrizione come quella introdotta all'articolo 3, paragrafo 3, non è stata necessaria nella direttiva sull'uguaglianza razziale, non è chiaro per quale motivo debba esserlo nella proposta di direttiva in esame.

3.2.2.12   Quali che siano i confini delle competenze degli Stati membri in materia d'istruzione, la direttiva dovrebbe stabilire esplicitamente che tutte queste funzioni devono essere esercitate senza discriminazioni.

3.2.2.13   La seconda frase dell'articolo 3, paragrafo 3, ammette differenze di trattamento nell'accesso agli istituiti scolastici sulla base di motivi di religione o convinzione; il CESE è del parere che la direttiva dovrebbe provvedere affinché tali istituzioni non siano in grado di discriminare sulla base di nessun altro motivo.

3.3   Articolo 4

L'articolo 4 riguarda la parità di trattamento nei confronti delle persone con disabilità.

3.3.1.1   La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (13) comprende una descrizione non esaustiva delle persone che rientrano in tale categoria. Gli Stati membri dell'UE dovrebbero tenere conto di tale descrizione nella fase di elaborazione delle normative nazionali tese a proteggere e promuovere i diritti dei disabili in tema di parità. Nella proposta di direttiva si dovrebbero includere degli orientamenti in tal senso.

3.3.1.2   Il CESE accoglie con favore il duplice approccio dell'articolo 4, teso a rimuovere le barriere di accesso alla protezione sociale, alle prestazioni sociali, all'assistenza sanitaria, all'istruzione e ai beni e servizi disponibili al pubblico, compresa la loro fornitura, inclusi gli alloggi e i trasporti. Tale approccio, che è in linea con le precedenti raccomandazioni del CESE (14), prevede sia l'obbligo di adottare misure preventive per soddisfare le esigenze di accesso delle persone con disabilità (articolo 4, paragrafo 1, lettera a)) che quello di offrire, in casi particolari, soluzioni ragionevoli che garantiscano un accesso non discriminatorio (articolo 4, paragrafo 1, lettera b)). L'articolo 2, paragrafo 5, considera la non osservanza dell'articolo 4, paragrafo 1, lettera b) una forma di discriminazione vietata. Il CESE raccomanda di chiarire nella direttiva il concetto di accesso «effettivo e non discriminatorio».

3.3.1.3   Il CESE guarda con preoccupazione alle tre restrizioni degli obblighi preventivi di cui all'articolo 4, paragrafo 1, lettera b), vale a dire il fatto che le misure adottate per soddisfare le esigenze di accesso non devono:

a)

costituire un onere sproporzionato;

b)

richiedere la modifica sostanziale della protezione sociale, delle prestazioni sociali, dell'assistenza sanitaria, dell'istruzione o dei beni o servizi in questione; o

c)

imporre la messa a disposizione di beni o servizi alternativi.

3.3.1.4   Le restrizioni di cui alla lettera b) e c) mancano di precisione e sono verosimilmente destinate a perpetuare pratiche discriminatorie ingiustificate. Ad esempio, un operatore sanitario che offra servizi sanitari esclusivamente alle persone prive di handicap potrebbe, avvalendosi della lettera b), respingere le richieste di modifica del servizio da lui offerto. Oppure un'autorità locale che attualmente fornisca all'ospedale locale un servizio di trasporto bus inaccessibile agli utenti su sedia a rotelle potrebbe opporsi alle richieste di offrire una forma di trasporto alternativa facendo riferimento alla lettera c). Il CESE fa presente che sarebbe sufficiente chiedere che le misure preventive siano «ragionevoli», criterio ora non previsto nell'ambito dell'articolo 4, paragrafo 1, lettera a) e al contempo subordinare l'obbligo definito allo stesso punto della direttiva alla sola condizione che tali misure non costituiscano un onere sproporzionato.

3.3.1.5   L'articolo 4, paragrafo 2, intende rendere giuridicamente vincolanti determinati fattori che devono essere tenuti in considerazione per stabilire se le misure di cui all'articolo 4, paragrafo 1, lettera a) e b) «costituiscano un onere sproporzionato». Il considerando 19, fra i fattori da considerare nella valutazione della proporzionalità dell'onere, identifica la dimensione, le risorse e la natura dell'organizzazione. Si tratta di fattori analoghi a quelli contemplati al considerando 21 della direttiva 2000/78/CE. L'articolo 4, paragrafo 2, elenca due ulteriori fattori: «il ciclo di vita di beni e servizi» e i «possibili benefici del migliore accesso per le persone con disabilità». Il CESE ritiene che tali fattori aggiuntivi siano inutili, poiché entrambi dovrebbero fare parte di qualsiasi valutazione di proporzionalità; inoltre potrebbero disincentivare i fornitori di servizi di protezione sociale, prestazioni sociali, assistenza sanitaria, istruzione, beni e servizi, alloggi e trasporti dal riconoscere l'esigenza di adottare misure tese ad assicurare un accesso effettivo alle persone con disabilità.

3.3.1.6   L'articolo 15, paragrafo 2, consente agli Stati membri di prorogare fino a quattro anni la piena attuazione dell'obbligo di fornire un accesso effettivo. Pur auspicando che tutti gli Stati membri si attivino al fine di garantire quanto prima un buon accesso a favore delle persone con disabilità, il CESE non respinge l'ipotesi di concedere agli Stati membri questo limitato periodo di proroga per l'attuazione degli obblighi preventivi di cui all'articolo 4, paragrafo 1, lettera a). È indispensabile tuttavia che la direttiva chiarisca che non sarà consentita alcuna proroga oltre il termine previsto per quanto riguarda l'obbligo di offrire una soluzione ragionevole in casi particolari, come stabilito all'articolo 4, paragrafo 1, lettera b).

3.4   Articolo 12

3.4.1   Il CESE si compiace che agli Stati membri sia fatto obbligo di istituire uno o più organismi incaricati di promuovere la parità di trattamento senza distinzioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, eventuali handicap, l'età o le tendenze sessuali, con competenze parallele a quelle già stabilite per tali organismi nell'ambito della direttiva sull'uguaglianza razziale e di quella sulla parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi. Si compiace altresì dell'esplicita dichiarazione contenuta nel preambolo (15), in base alla quale tali organismi devono operare con modalità coerenti con i principi di Parigi delle Nazioni Unite, tesi in particolare a garantire l'indipendenza delle istituzioni nazionali che si occupano dei diritti umani. Come già affermato dal CESE, tali organismi dovrebbero essere incaricati di valutare regolarmente i risultati delle politiche di lotta contro le diverse forme di discriminazione (16). Essi dovrebbero incontrare regolarmente le organizzazioni di rappresentanza delle persone a rischio di discriminazione per i motivi che rientrano nel campo d'applicazione della direttiva e condurre con esse un dialogo incisivo.

3.4.2   La proposta dell'articolo 12 è, tuttavia, destinata a creare una lacuna, poiché continua a non essere contemplato l'obbligo di istituire uno o più organismi incaricati di promuovere la parità di trattamento in base ai suddetti motivi per quanto riguarda l'occupazione e le condizioni di lavoro, dal momento che la direttiva quadro sulla parità di trattamento in materia d'occupazione (direttiva 2000/78/CE) non impone l'istituzione di un organismo di parità specializzato. Gli organismi istituiti ai sensi della direttiva sull'uguaglianza razziale sono chiamati ad affrontare le questioni relative alla parità di trattamento per motivi di razza od origine etnica sia all'interno che all'esterno del contesto occupazionale, e gli organismi istituiti ai sensi della direttiva sulla parità di genere in relazione all'accesso a beni e servizi e della direttiva (rifusione) sulla parità di trattamento (2006/54/CE) dovrebbero occuparsi delle questioni relative alla parità di genere sia in ambito occupazionale che non.

3.4.3   Pertanto, il CESE raccomanda di aggiungere al preambolo della proposta di direttiva un nuovo considerando, che incoraggi gli Stati membri ad attribuire agli organismi istituiti ai sensi dell'articolo 12 competenze equivalenti in materia di parità di trattamento per motivi di religione o convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale nell'ambito della direttiva quadro sull'occupazione.

4.   Discriminazione multipla

4.1   Nel suo recente parere d'iniziativa, il CESE ha parlato dell'esistenza documentata di un'elevata incidenza di casi di discriminazione multipla — una forma di discriminazione fondata su più aspetti all'interno del campo d'applicazione dell'articolo 13. Il CESE ha quindi raccomandato di formulare una nuova direttiva in cui si confermi che il principio della parità di trattamento comprende anche la protezione dalla discriminazione multipla, da attuare a livello legislativo sia in ambito nazionale che comunitario.

4.2   La direttiva proposta riconosce (17) che le donne sono spesso vittime di multidiscriminazione, ma non considera la discriminazione multipla basata su altre motivazioni. Per progredire verso il pieno riconoscimento della discriminazione multipla, il CESE raccomanda i due strumenti seguenti:

a)

l'aggiunta, alla proposta di direttiva, di un nuovo considerando che incoraggi gli Stati membri ad assicurare la disponibilità di procedure giuridiche tese ad affrontare le situazioni di discriminazione multipla, specificando in particolare che le procedure giuridiche nazionali devono consentire al ricorrente di invocare tutti gli aspetti connessi a una denuncia per discriminazione multipla nell'ambito di un'unica azione legale;

b)

la formulazione di una raccomandazione da parte della Commissione che affermi la necessità di tenere conto della discriminazione multipla nella fase di elaborazione e applicazione della legislazione nazionale; tale raccomandazione, pur non avendo carattere vincolante per gli Stati membri, dovrebbe essere tenuta in debita considerazione dai tribunali nazionali.

Bruxelles, 14 gennaio 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Parere del CESE sul tema Estendere le misure antidiscriminazione al di là del settore dell'occupazione: per un'unica direttiva globale contro la discriminazione, relatore: CROOK (GU C 77 del 31.3.2009, pag. 102).

(2)  Direttiva 2000/43/CE del Consiglio, articolo 3.

(3)  Causa CGCE C-303/06 del 17 luglio 2008, discriminazione nei confronti di un genitore non disabile con un figlio disabile principalmente a suo carico.

(4)  Nota 1, punto 8.10.5.

(5)  Direttiva 2004/113/CE del Consiglio, articolo 5.

(6)  Direttiva 2000/43/CE del Consiglio, articolo 3.

(7)  Nota 1, punto 8.6.

(8)  Capitolo 5 Spiegazione dettagliata delle disposizioni specifiche del COM(2008) 426 def.

(9)  Causa C-267/06, Maruko contro Versorgungsanstalt der deutschen Bühnen, 1o aprile 2008, paragrafo 59.

(10)  L’articolo 149, paragrafo 1, del Trattato CE stabilisce che: «La Comunità contribuisce allo sviluppo di un'istruzione di qualità incentivando la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, sostenendo ed integrando la loro azione nel pieno rispetto della responsabilità degli Stati membri per quanto riguarda il contenuto dell'insegnamento e l'organizzazione del sistema di istruzione, nonché delle loro diversità culturali e linguistiche.»

(11)  Ad esempio, l’articolo 3, paragrafo 1, lettera b) della direttiva 2000/43/CE del Consiglio oppure l’articolo 3, paragrafo 1, lettera b) della direttiva 2000/78/CE del Consiglio.

(12)  Sentenza della Grande camera del 13 novembre 2007 (n. 57325/00).

(13)  Articolo 1.

(14)  Nota 1, punto 8.10.2.

(15)  Considerando 28.

(16)  Nota 1, punto 8.10.8.

(17)  Considerando 13.


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

450 a sessione plenaria del 14 e 15 gennaio 2009

4.8.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 182/24


450 A SESSIONE PLENARIA DEL 14 E 15  GENNAIO 2009

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sui requisiti dell'omologazione per tipo riguardo alla sicurezza generale degli autoveicoli

COM(2008) 316 def. — 2008/0100 (COD)

(2009/C 182/05)

Relatore: RANOCCHIARI

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 9 giugno 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sui requisiti dell'omologazione per tipo riguardo alla sicurezza generale degli autoveicoli

COM(2008) 316 def. — 2008/0100 (COD).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 gennaio 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore RANOCCHIARI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 gennaio 2009, nel corso della 450a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 173 voti favorevoli, 2 voti contrari e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il CESE è da sempre favorevole ad ogni iniziativa che vada nel senso della semplificazione della legislazione, tanto più quando essa può riguardare temi sensibili come la sicurezza e l’ambiente. In questa ottica non può che apprezzare il tentativo della Commissione europea che con la sua proposta di regolamento intenderebbe ottenere questi tre importanti risultati legiferando sull’omologazione degli autoveicoli e degli pneumatici.

1.2   L’opzione scelta dalla Commissione che consiste nell'abrogare oltre 150 direttive vigenti sostituendole con il regolamento proposto appare a prima vista molto interessante e decisamente in linea con la semplificazione auspicata. Tuttavia questa opzione rischia, se non opportunamente calibrata e corretta, di sovrapporre nuove procedure non sempre coerenti con le esistenti, aggravando difficoltà ed oneri per le industrie e per le amministrazioni degli Stati membri.

1.3   In particolare il CESE si chiede come si raccordi questa proposta con la recente direttiva quadro sull’omologazione europea (2007/46/CE), come pure sulle norme UN-ECE attualmente in elaborazione, di cui si dirà più ampiamente nel seguito del parere.

1.4   In effetti il CESE ritiene che la semplificazione dell'iter omologativo e procedurale previsto dalla Commissione mediante l'introduzione di prescrizioni armonizzate possa essere raggiunta tramite l'inserimento degli attuali e futuri regolamenti UN-ECE nell'Allegato IV della già citata direttiva sull’omologazione europea, in maniera graduale ed in concomitanza con la necessità di un adeguamento di tali prescrizioni al progresso tecnico.

1.5   Circa le «tecnologie avanzate di sicurezza», considerato che non sono disponibili per tutte e in ugual misura specifiche tecniche adeguate, il CESE riterrebbe più opportuno che le stesse fossero oggetto di singole proposte, avendo presente lo stato dell’arte dei gruppi tecnici dell’UN-ECE di Ginevra.

1.6   Per quanto riguarda infine le prescrizioni relative agli pneumatici, il CESE ritiene accettabile la proposta dell’industria del settore, che rispettando i termini temporali della proposta della Commissione la semplifica, prevedendo due cicli di attuazione invece dei cinque previsti.

1.7   Alla luce dei dubbi fin qui espressi, il CESE aveva apprezzato l’iniziativa del PE che ha voluto un ulteriore studio sull’argomento, dopo quello effettuato per conto della Commissione europea; tuttavia i risultati di questo secondo studio non hanno fornito i chiarimenti attesi.

1.8   Il CESE teme pertanto che, in assenza di adeguati riscontri sui costi/benefici di alcune delle soluzioni proposte, i sensibili maggiori costi che ne conseguono per l’industria e quindi per i consumatori rallenteranno ulteriormente il rinnovo del parco circolante europeo, che già conosce gli effetti della crisi economica in atto.

1.9   Da ultimo il CESE raccomanda fin d’ora alle autorità degli Stati membri preposte ai controlli di omologazione una rinnovata, rigorosa attenzione ai requisiti di sicurezza dei veicoli e soprattutto degli pneumatici che saranno importati in Europa dopo l’approvazione del regolamento in esame.

2.   Introduzione

2.1   Pur essendo notevolmente migliorate nell'ultimo decennio, la sicurezza dei veicoli e la protezione dell'ambiente permangono giustamente al centro dell'attenzione per l'intera Unione europea. Resta in particolare la preoccupazione per i risultati ancora modesti nella riduzione dell'inquinamento originato dai trasporti, in particolare le emissioni di CO2, nonché per il numero di vittime della strada. Ogni anno nei 27 Stati membri muoiono ancora oltre 44 000 persone e altre 1,7 milioni rimangono ferite a seguito di incidenti stradali (1).

2.2   Come è noto, la legislazione europea in materia di omologazione impone regole precise per la costruzione degli autoveicoli, regole tese da un lato a garantire la maggior sicurezza possibile per gli occupanti dei veicoli e per tutti gli utenti della strada, dall'altro a salvaguardare la protezione dell'ambiente. Attualmente nel settore dell'omologazione esistono circa 60 direttive di base, 50 riguardanti la sicurezza e una decina l'ambiente, alle quali vanno aggiunte un altro centinaio di direttive di modifica.

2.3   La continua ricerca e sviluppo del settore autoveicolare consente oggi di rispondere più e meglio alle due esigenze citate applicando ai veicoli di nuova progettazione ma anche, almeno in parte, a quelli già circolanti, nuove tecnologie in grado di ridurre incidentalità e inquinamento.

2.4   Secondo le raccomandazioni di CARS 21 (2) anche questi rilevanti problemi vanno affrontati con un approccio integrato per il raggiungimento di obiettivi che — come ha ricordato il vicepresidente della Commissione VERHEUGEN nel presentare la proposta di questo regolamento — favoriscano i cittadini, l'ambiente e l'industria. Per cogliere gli obiettivi di sicurezza e di tutela dell'ambiente dell'UE, è necessario continuare ad aggiornare i vari regolamenti che disciplinano la costruzione dei veicoli nuovi. D'altra parte, è anche necessario limitare gli oneri normativi che gravano sull'industria semplificando, laddove possibile, la legislazione vigente. A questo fine il documento CARS 21, appena citato, raccomandava anche l’utilizzo delle norme UN-ECE (3) ove disponibili.

3.   La proposta della Commissione

La proposta di regolamento intende modificare l'attuale legislazione di omologazione dei veicoli nell'ambito di tre tematiche: semplificazione, sistemi di sicurezza avanzati e pneumatici.

In dettaglio, la proposta di regolamento dispone:

3.1.1   La modifica dell'attuale legislazione di omologazione sulla sicurezza dei veicoli e dei componenti

La Commissione intende abrogare più di 150 direttive ancora vigenti sostituendole con un solo regolamento del Consiglio e Parlamento, direttamente applicabile nell'UE.

3.1.2   L'introduzione dei seguenti requisiti di sicurezza

A partire dal 2012, il montaggio obbligatorio di sistemi di controllo elettronico della stabilità (Electronic Stability Control — ESC) per le nuove serie di autovetture e veicoli commerciali; tutte le autovetture nuove ne saranno dotate entro il 2014. Gli ESC agiscono sui sistemi di frenata e di trazione per aiutare il conducente a mantenere il controllo del veicolo in situazioni critiche (causate, ad esempio, da cattive condizioni della strada o da eccessiva velocità in curva).

A partire dal 2013, il montaggio obbligatorio dei dispositivi avanzati di frenata d'emergenza, (Advanced Emergency Braking Systems — AEBS) sui veicoli di grandi dimensioni, che usano sensori per allarmare il conducente se il veicolo è troppo vicino a quello che precede e, in certe situazioni, azionano il freno d'emergenza per impedire o ridurre le conseguenze di una collisione. Tutti i veicoli nuovi ne saranno dotati entro il 2015.

A partire dal 2013, il montaggio obbligatorio di sistemi di avviso di deviazione dalla corsia (Lane Departure Warning Systems — LDWS) sui veicoli di grandi dimensioni che avvisano i conducenti, quando il veicolo minaccia di uscire dalla corsia in modo involontario, soprattutto a causa di una disattenzione da parte del conducente. Tutti i veicoli nuovi ne saranno dotati entro il 2015 (4).

3.1.3   Nuovi requisiti riguardanti gli pneumatici (5):

A partire dal 2012 saranno obbligatori gli pneumatici a bassa resistenza al rotolamento (Low Rolling Resistance Tyres — LRRT) che diminuiscono il consumo di carburante riducendo la resistenza al moto che interviene nel rotolamento del pneumatico, causata soprattutto dalla deformazione della ruota, del pneumatico o della strada.

A partire dal 2012 saranno obbligatori i sistemi di controllo della pressione degli pneumatici per autovetture (Tyre Pressure Monitoring Systems — TPMS), che avvertono il conducente se la pressione del pneumatico è inferiore a quella ottimale.

Riduzione del livello di rumore: come da allegato I della proposta di regolamento.

Aderenza su suolo bagnato: come da allegato I della proposta di regolamento.

4.   Osservazioni generali

4.1   Il CESE accoglie favorevolmente la proposta della Commissione di fissare norme armonizzate per la fabbricazione degli autoveicoli al fine di garantire il buon funzionamento del mercato interno e, al tempo stesso, un elevato grado di tutela della sicurezza e dell'ambiente.

4.2   Il CESE ritiene che la proposta di regolamento in oggetto sia potenzialmente un ottimo strumento per incrementare da un lato la sicurezza attiva e passiva, riducendo il numero degli incidenti stradali e dall'altro prevedere l'introduzione di dispositivi in grado di ridurre i consumi di CO2, previo accurato esame delle direttive da abrogare e delle conseguenze di tale abrogazione.

4.3   Il CESE riconosce che l'opzione prescelta ha l'obiettivo di massimizzare la semplificazione favorendo soprattutto autorità nazionali e industria. Il CESE tuttavia ritiene che la semplificazione normativa non possa limitarsi a raggruppare le procedure attualmente in vigore sotto una sorta di regolamento quadro per la sicurezza. Inoltre il CESE ritiene che si debba tenere conto delle implicazioni relative all'introduzione della nuova direttiva quadro per l'omologazione europea (direttiva 2007/46/CE) (6), onde assicurare coerenza ed evitare che la sovrapposizione di nuove procedure possa appesantire gli oneri per le amministrazioni e i costruttori, invece di ridurli.

4.4   Il CESE concorda con il principio enunciato dalla Commissione secondo cui il calendario per l'introduzione dei nuovi requisiti specifici di omologazione dei veicoli dovrà tener conto dell'effettiva applicabilità di tali requisiti. In genere, i requisiti si dovranno applicare inizialmente solo ai nuovi tipi di veicoli. I tipi di veicoli già esistenti usufruiranno di un certo periodo di tempo per conformarsi alle prescrizioni.

4.5   In relazione alle prescrizioni per gli pneumatici, non bisogna dimenticare che il pneumatico è l'unico elemento di connessione tra il veicolo e la strada e le sue caratteristiche di sicurezza devono avere la priorità su ogni altro obiettivo. Di conseguenza il CESE ritiene:

necessario raggiungere la certezza che il miglioramento previsto delle prestazioni ambientali non riduca gli altrettanto importanti imperativi della sicurezza degli utenti dei veicoli e dei cittadini,

che debba essere perseguito un approccio integrato che non riduca le prestazioni complessive (resistenza al rotolamento, aderenza sul bagnato, ecc.) degli pneumatici a discapito della sola, pur importante, riduzione della rumorosità.

4.6   Il CESE avanza quindi dei dubbi sull'efficacia dello studio di impatto realizzato per conto della Commissione e ha visto favorevolmente la scelta del PE di procedere all'esecuzione di un ulteriore studio indipendente. Il CESE ritiene, infatti, che i dati utilizzati nella analisi di impatto possano aver portato ad una distorsione dei risultati.

Spiace tuttavia rilevare che lo studio commissionato dal Parlamento europeo e pubblicato a fine novembre 2008 (7) non risponde alle domande e non fuga i dubbi avanzati dal CESE, sia per quanto riguarda gli aspetti amministrativi e tecnici, sia per quanto attiene una più precisa valutazione dei costi/benefici della proposta della Commissione.

4.7.1   Lo studio in questione è centrato esclusivamente sugli pneumatici e sul TPMS, affermando per quest’ultimo una discutibile preferenza per il più costoso sistema «diretto» rispetto all'«indiretto» di cui si farà cenno più avanti, mentre nulla aggiunge sugli altri sistemi avanzati di sicurezza nonché sugli effetti della semplificazione proposta.

4.8   In questa situazione sembra al CESE che i maggiori costi prevedibili per l’industria e quindi per i consumatori nel caso di applicazione del regolamento così come presentato non siano compensati da benefici adeguatamente dimostrati, con il rischio evidente di rallentare ulteriormente il rinnovo del parco circolante (mediamente vecchio di oltre otto anni) che già conosce gli effetti della crisi economica in atto.

4.9   Il CESE ritiene inoltre che per garantire la competitività dell'industria europea che si attesta ad un livello di prestazioni di eccellenza per quanto concerne la sicurezza, occorra predisporre un regolamento che nel complesso non distorca la concorrenza a vantaggio di costruttori extraeuropei che presentano costi, ma spesso anche livelli di sicurezza complessiva, sicuramente inferiori. Ciò significa controllare che veicoli e soprattutto pneumatici importati rispondano a tutti i requisiti che saranno previsti dal regolamento.

4.10   Il CESE ritiene debba anche essere valutato in maniera adeguata l'impatto del regolamento su tutta la filiera dell'industria degli pneumatici. La sostenibilità economica del business delle piccole e medie imprese della distribuzione può ad una prima analisi essere messa a repentaglio. Le eccedenze di stock, prevedibili nel caso di entrata in vigore nelle date proposte dalla Commissione, potrebbero mettere in difficoltà la catena distributiva. Infatti, l'eliminazione di stock anche ingenti non sembra alla portata della maggioranza delle imprese del settore, per lo più di piccole dimensioni e non in grado di operare sul mercato internazionale.

4.11   Anche se l'argomento non riguarda un campo di competenza esclusivo della Comunità, il CESE è d'accordo con la Commissione che, giustamente attenta ad evitare barriere al mercato unico e cosciente delle implicazioni transfrontaliere dell'oggetto della proposta di regolamento, ritiene che gli obiettivi della proposta non possano essere conseguiti su iniziativa dei soli Stati membri, essendo necessarie misure vincolanti concordate su scala europea.

4.12   Certamente il CESE non può che supportare la proposta che spetti agli Stati membri stabilire le sanzioni applicabili in caso di violazione del presente regolamento e che tali sanzioni siano effettive, proporzionate e dissuasive.

4.13   Il CESE apprezza altresì lo strumento legislativo prescelto, vale a dire il regolamento, che assicura tempi e modi certi di applicazione in tutti gli Stati membri, aspetto particolarmente rilevante per una normativa di alto contenuto tecnico. Inoltre aver scelto anche in questo caso l'approccio a più livelli (split approach) consente di definire con questo regolamento in codecisione le norme fondamentali previste, rimandando ad un secondo regolamento adottato secondo la formula della comitologia, gli aspetti più squisitamente tecnici.

5.   Considerazioni specifiche

5.1   Il CESE supporta ogni iniziativa che intenda portare ad una semplificazione normativa; tuttavia come già accennato sopra, esprime forti riserve sulle modalità di raggiungimento della stessa. Il CESE, infatti, ritiene che la semplificazione debba essere reale nel senso che il presente regolamento non dovrà essere la somma dei precedenti, evitando in ogni caso oneri aggiuntivi per gli uffici di certificazione.

In particolare, il CESE ritiene però che la semplificazione dell'iter omologativo e procedurale previsto dalla Commissione mediante l'introduzione di prescrizioni armonizzate debba essere raggiunto tramite l'inserimento degli attuali e futuri regolamenti UN-ECE nell'Allegato IV della già citata direttiva 2007/46/CE (8) in maniera graduale (soprattutto, quando le prescrizioni dei regolamenti sono più severe e richiedono un certo lead-time  (9) per adeguare il prodotto) ed in concomitanza con la necessità di un adeguamento di tali prescrizioni al progresso tecnico.

5.2.1   Queste modalità di azione non sono prospettate nell'ipotesi (c) della valutazione dell'impatto di questo regolamento «Sostituire tutte le attuali direttive con il regolamento proposto», ma in quella (b) che invita «all'esame di ciascuna direttiva ogni qual volta occorra modificarla, per decidere se sostituirla». Inoltre la motivazione di scelta dell'opzione (c) della valutazione d'impatto non pare adeguatamente motivata («rappresenta il modo più rapido di semplificare l'attuale regime ed è in linea con le raccomandazioni di CARS 21») e non tiene in debito conto altri elementi fondamentali di CARS 21 quali la sostenibilità, il richiamo all'UN-ECE e la necessità di garantire un adeguato lead-time industriale ai soggetti destinatari della norma.

5.2.2   Adottando la scelta prospettata dall'ipotesi (c), la funzione del presente regolamento sarebbe efficace laddove il regolamento UN-ECE equivalente non esistesse o nei casi in cui siano necessarie prescrizioni di installazione non previste nel regolamento UN-ECE, come nel caso degli pneumatici.

5.3   In alternativa, il CESE vede come possibile compromesso volto a rendere realmente efficace il regolamento la determinazione di una data di entrata in vigore tale da evitare i problemi sottesi ad oggi dal regolamento proposto, eliminando il rischio che l'adozione dei regolamenti UN-ECE comporti un disallineamento delle prescrizioni (o delle date di applicazione) previste dalle direttive che sarebbero eliminate.

5.4   Il CESE dunque, per quanto concerne gli aspetti amministrativi, ritiene e propone, alla luce dello studio delle direttive elencate nell'Allegato IV, che indipendentemente dall'entrata in vigore del regolamento o delle sue parti, il regolamento stesso mantenga la coerenza con le date di applicazione contenute nelle direttive che saranno sostituite e tenga conto delle transitional provisions previste nei regolamenti UN-ECE che saranno introdotti in sostituzione.

5.5   Il CESE ritiene inoltre che per quanto riguarda le «tecnologie avanzate di sicurezza», invece di essere inserite in un regolamento «trasversale», dovrebbero essere oggetto di singole proposte di nuovi e/o modiche ai regolamenti UN-ECE da presentare e discutere nei pertinenti gruppi tecnici dell'UN-ECE di Ginevra (GRB, GRRF, GRSP (10)), dove è possibile effettuare le corrette valutazioni tecniche dei sistemi di sicurezza proposti. Analoga procedura dovrebbe essere adottata nei casi segnalati dalla Commissione di assenza di determinate prescrizioni in ambito UN-ECE rispetto a quanto prescritto dalle direttive CE.

Per quanto riguarda gli aspetti relativi ai sistemi avanzati di sicurezza stradale, il CESE segnala, nello specifico:

5.6.1   Controllo elettronico della stabilità: è stato oggetto di un adeguamento dei regolamenti a Ginevra ed è già tutto pianificato per M2, N2, M3, N3 (11). Il CESE ritiene che il riferimento temporale deve rimanere quello della tabella 12.4.1 concordata per R 13 UN-ECE (12), che prevede un'introduzione graduale, a partire dal luglio 2009 fino a luglio 2016 in funzione del tipo di veicolo.

Dispositivi avanzati di frenata d'emergenza: l'industria può sviluppare sistemi obbligatori soltanto se dispone di specifiche tecniche definite chiaramente e queste, stando alle informazioni disponibili, non esistono nel caso degli AEBS. Non si possono fissare date di introduzione su un sistema non tecnicamente definito e l'introduzione deve essere conseguente ad un'adeguata valutazione di impatto con costi e benefici accuratamente valutati.

5.6.2.1   La definizione di dispositivo avanzato di frenata d'emergenza riportata nell'art. 3 della proposta è quanto mai estesa e può comprendere anche sistemi non ancora sufficientemente affidabili. Questi possono diventare essi stessi un rischio per la sicurezza a causa di tecnologie non mature. È necessario prevedere un'adeguata attività di studio e sviluppo e un lead-time sufficientemente lungo.

5.6.3   Il campo di applicazione del provvedimento relativo agli AEBS riguarda le categorie M2, M3, N2 e N3. In molti casi i veicoli commerciali leggeri di categoria N1 hanno anche versioni che appartengono a categorie superiori (N2, M2, e M3), ciò comporta l'esigenza di diversificazione della gamma per le versioni più pesanti caratterizzate da volumi relativamente bassi. Si ritiene opportuno restringere la prescrizione AEBS ai veicoli commerciali pesanti o perlomeno ai veicoli con PTT superiore a 7,5 t e valutare la necessità di esentare specifiche categorie, quali ad esempio autobus urbani, automezzi per la raccolta di rifiuti ed altri veicoli di utilizzo pubblico che circolano a velocità contenute.

5.6.4   Sistemi di avviso di deviazione della corsia: il CESE ritiene che possano valere le stesse considerazioni fatte per gli AEBS:

necessità di specifiche tecniche, da definire in sede UN-ECE di Ginevra,

differenziazione tecnica per le diverse categorie di veicoli,

valutazioni dei costi/benefici e esenzione di categorie specifiche.

5.7   In sintesi il CESE ritiene che per gli AEBS e LDWS che per ora sono applicabili solo a mezzi pesanti, sia prematura l'introduzione. Serve ancora un periodo di ricerca e sperimentazione, in modo da consentire di valutare quale sia il reale beneficio di tali sistemi. Ciò consentirebbe anche di disporre di validi elementi in vista di una futura applicazione degli stessi sistemi agli autoveicoli leggeri.

5.8   TPMS: il CESE chiede alla Commissione, poiché i requisiti tecnici di tale sistema sono attualmente in discussione nell'Informal Group del GRRF (13), di attendere le conclusioni dei lavori (che dovrebbero tenere in considerazione anche le prescrizioni già esistenti nei paesi extraeuropei) prima di prendere decisioni in merito. Per non gravare ulteriormente sui costi delle autovetture sarebbe auspicabile una scelta della sensibilità del rilevamento che consentisse anche l'applicazione del sistema «indiretto», tenendo conto dei suoi molteplici aspetti positivi, primo fra tutti quello di funzionare anche nel caso di sostituzione degli pneumatici. Infatti, il sistema «diretto» esige la presenza di un sensore in ogni pneumatico per cui il cambio degli pneumatici obbligherà anche al ricambio dei sensori o ad un’operazione di smontaggio/recupero e rimontaggio, operazione costosa e non facile per l’elevato rischio di danneggiamento dei sensori, non visibili dall’esterno.

5.9   Il CESE relativamente alle disposizioni tecniche sugli pneumatici rileva che:

Rumore: i livelli proposti per abbattere la rumorosità potrebbero comportare una riduzione di sicurezza sia per i veicoli che quindi per i consumatori, quando riducendo la velocità nelle zone congestionate e/o restaurando il manto stradale si avrebbe una riduzione del rumore di 3-4 volte superiore. Inoltre, per esempio, nella classe C3 la riduzione di 3dB sarebbe difficile da ottenere senza diminuire le proprietà di aderenza degli pneumatici stessi. La classe C3 ovvero pneumatici trazione devono avere battistrada «aggressivi» per permettere buona aderenza su fondi scivolosi.

Resistenza al rotolamento: è necessaria una revisione delle date di applicazione per le categorie C1 e C2 mentre vista la particolare tipologia degli pneumatici C3, è necessario effettuare nuove analisi ed al limite procrastinarne l'introduzione dopo un'ulteriore valutazione d'impatto.

Aderenza sul bagnato: la proposta della Commissione di introdurre requisiti obbligatori in base all'UN-ECE R 117 (14) deve essere accolta nei termini proposti.

5.10   Il CESE rileva che la proposta di regolamento impone cambiamenti ogni due anni non coincidendo con il lead-time necessario all'industria degli pneumatici. Questo non va certo nella direzione di una «better regulation». Pertanto il CESE supporta la soluzione suggerita dall'industria che rispettando i termini temporali della proposta la semplifica, prevedendo due cicli di attuazione (2012-2016 e 2016-2020) invece dei cinque attualmente ipotizzati. Ciò consentirà di gestire in modo efficace i processi di omologazione nonché la logistica e gli eventuali stock.

5.11   Un altro aspetto da chiarire riguarda il trattamento a cui saranno sottoposti gli pneumatici rigenerati. Infatti, la definizione di questo tipo di pneumatici (regolamento UN-ECE R 109) si rifà al sito di produzione e non al pneumatico in se stesso. È evidente la difficoltà di definire il «tipo» di pneumatico in linea con le nuove prescrizioni, per esempio sul rumore, in una stessa fabbrica che rigenera pneumatici dei tipi più diversi. A parere del CESE, considerata la estrema difficoltà di applicazione e gli enormi costi che graverebbero sulle aziende, per lo più PMI, tale settore andrebbe esentato dal regolamento, fermo restando il rispetto di tutti i requisiti di sicurezza previsti.

5.12   Infine il CESE chiede alla Commissione di valutare l'opportunità di considerare la data di fabbricazione come referenza per quanto concerne i requisiti degli pneumatici in quanto la data può essere facilmente riconosciuta dai rivenditori, consumatori e autorità nazionali a causa del vigente obbligo di marchiatura di tale data su tutti gli pneumatici immessi sul mercato dell'Unione europea. Questa data e non quella di introduzione sul mercato o di vendita dovrebbe far fede sulla rispondenza degli pneumatici ai nuovi requisiti che fossero imposti.

Bruxelles, 14 gennaio 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Fonte: CARE (Community Road Accident Database): banca dati che raccoglie ed elabora i dati sugli incidenti stradali forniti dagli Stati membri.

(2)  COM(2007) 22 def. del 7 febbraio 2007 — Un quadro normativo competitivo nel settore automobilistico per il XXI secolo.

(3)  Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite, Ginevra. Promuove tra i 56 Stati membri cooperazione ed integrazione sviluppando standard e norme comuni anche nel settore dell’omologazione degli autoveicoli.

(4)  Riepilogo date obbligatorie requisiti di sicurezza:

ESC: 29.10.2012 nuovo omologato, 29.10.2014 nuovo immatricolato,

AEBS: 29.10.2013 nuovo omologato, 29.10.2015 nuovo immatricolato,

LDWS: 29.10.2013 nuovo omologato,29.10.2015 nuovo immatricolato.

(5)  Per chiarezza sono elencate di seguito, le date previste dalla Commissione in relazione ai requisiti per gli pneumatici:

2012 nuovo omologato per i soli pneumatici C1 all'aderenza sul bagnato, e C1-C2-C3 alla RR (resistenza al rotolamento) fase 1 e al rumore esterno,

2014 nuovo immatricolato solo pneumatici C1 conformi all'aderenza sul bagnato e C1-C2 conformi a RR fase 1,

2016 nuovo omologato per tutti i nuovi tipi di pneumatici C1-C2-C3 in linea con RR fase 2; potranno essere immatricolati e immessi nel mercato EU solo pneumatici C1-C2-C3 conformi al rumore esterno,

2018 potranno essere immatricolati nel mercato EU solo pneumatici C1-C2 conformi alla RR fase 2,

2020 potranno essere immessi nel mercato UE solo pneumatici C3 conformi alla RR fase 2.

(6)  Direttiva 2007/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 settembre 2007, che istituisce un quadro per l'omologazione dei veicoli a motore e dei loro rimorchi, nonché dei sistemi, componenti ed entità tecniche destinati a tali veicoli.

(7)  Type approval requirements for the general safety of motor vehicles (IP/A/IMCO/ST/2008-18).

(8)  Direttiva 2007/46/CE — Allegato IV: Elenco delle prescrizioni per l’omologazione CE dei veicoli.

(9)  Tempo necessario all’industria per implementare qualsiasi nuovo requisito che comporti interventi sulla struttura del prodotto.

(10)  Gruppi Tecnici dell’UN-ECE di Ginevra: Working Party on Brakes and Running Gear (GRRF); Working Party on Noise (GRB); Working Party on Lighting and Light-Signalling (GRE); Working Party on General Safety Provisions (GRSG); Working Party on Pollution and Energy (GRPE); and, the Working Party on Passive Safety (GRSP).

(11)  I veicoli di categoria N sono i veicoli con almeno 4 ruote adibiti al trasporto di merci. Essi sono suddivisi in 3 classi, N1, N2 e N3, in base alla massa massima: N1 < 3 500 kg; N2 < 12 000 kg; N3 > 12 000 kg. La classe N1 si suddivide poi a sua volta in 3 sottoclassi, dette NI, NII ed NIII, sempre identificate in base alla massa. Per veicoli di categoria M si intendono invece i veicoli con almeno 4 ruote adibiti al trasporto passeggeri. Essi sono suddivisi in 3 classi (M1, M2, M3) in base al numero dei posti e alla loro massa massima: M1 < 9 posti; M2 > 9 posti e < 5 000 kg; M3 > 9 posti e > 5 000 kg. Categoria O sono i veicoli con rimorchio.

(12)  UN-ECE Regulation 13: Heavy vehicles braking.

(13)  GRRF: Working party on Brakes and Running Gear.

(14)  UN-ECE Regulation 117: Tyres with regard to rolling sound emissions.


4.8.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 182/30


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — «Pensare anzitutto in piccolo» (Think Small First) — Uno «Small Business Act» per l'Europa

COM(2008) 394 def./2

(2009/C 182/06)

Relatore: MALOSSE

Correlatore: CAPPELLINI

La Commissione, in data 25 giugno 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — «Pensare anzitutto in piccolo» (Think Small First) — Uno «Small Business Act» per l'Europa

COM(2008) 394 def./2

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 gennaio 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore MALOSSE e dal correlatore CAPPELLINI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 gennaio 2009, nel corso della 450a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 112 voti favorevoli, 10 voti contrari e 9 astensioni.

1.   Sintesi e conclusioni

1.1   Nei pareri INT/390 e INT/394 (1) il CESE si è già espresso a favore di uno Small Business Act europeo (SBA). Questo deve però essere ambizioso e all'altezza del potenziale di crescita e di occupazione che rappresentano per l'Europa i 23 milioni di piccole e medie imprese esistenti, come pure tutte quelle che potrebbero essere create in futuro.

1.2   Nonostante le dichiarazioni di intenti e alcuni progetti positivi (in particolare in materia di società privata europea e ritardi di pagamento), il CESE ritiene che il progetto della Commissione europea non sia all'altezza della sfida, in particolare nel contesto delle attuali difficoltà economiche e finanziarie.

1.3   Il CESE propone quindi uno SBA ambizioso che comporti in particolare:

uno strumento giuridico vincolante per l'applicazione del principio pensare anzitutto in piccolo per garantire, con il grado massimo di obbligatorietà, un'attuazione efficace e concreta di questi principi di governance sia a livello comunitario che negli Stati membri e nelle regioni,

una tabella di marcia corredata di un calendario preciso e dotata di risorse adeguate per l'attuazione delle disposizioni concrete e di ampio respiro dello SBA,

una serie di impegni chiari in materia di riduzione degli oneri burocratici e, in particolare, il principio del «soltanto una volta» per tutte le formalità amministrative,

una riorganizzazione dei servizi della Commissione europea per mettere a disposizione delle PMI un interlocutore reale ed offrire loro degli strumenti per favorirne l'«europeizzazione»,

strumenti europei che possano servire come stimolo per favorire la capitalizzazione, la creazione di reti, gli investimenti e la formazione per tutto l'arco della vita nelle piccole e medie imprese,

un quadro politico coerente per tutte le politiche europee affinché le piccole e medie imprese vengano considerate la regola e non più l'eccezione,

una strutturazione a livello nazionale degli obiettivi dello SBA, anche a livello legislativo;

il ritorno alla pratica della consultazione permanente delle organizzazioni intermedie e delle parti sociali.

2.   Introduzione

2.1   La presidenza francese dell'Unione europea ha promosso una riflessione in merito all'idea di un quadro normativo europeo per la piccola impresa, sull'esempio della legge per le PMI (Small Business Act) attualmente in vigore negli Stati Uniti. L'idea di un tale quadro normativo era stata d'altronde menzionata dal CESE (2) e dal Parlamento europeo.

2.2   Si ricorda che la legge statunitense istituisce un ente (la Small Business Administration) incaricato di aiutare le PMI nazionali, e prevede misure di sostegno alla creazione e allo sviluppo di piccole imprese, in particolare da parte di membri delle minoranze etniche, di donne e di giovani. Lo Small Business Act americano prevede inoltre delle misure volte a favorire le PMI nazionali nell'aggiudicazione di appalti pubblici da parte dell'Amministrazione federale e delle sue varie agenzie.

2.3   Mentre l'Unione europea sta attraversando, come tutto il mondo, una grave crisi finanziaria ed economica, sono proprio le imprese, e in particolare le PMI, gli ingranaggi più delicati ma più importanti per quanto riguarda l'occupazione e la capacità di ripresa. Pertanto lo SBA, se riveduto in chiave molto più ambiziosa, potrebbe costituire uno strumento fondamentale di una nuova strategia a lungo termine dell'UE a favore degli investimenti, della crescita e dell'occupazione.

2.4   Il CESE si è pronunciato recentemente sull'argomento in due occasioni:

con un parere esplorativo, elaborato su richiesta della presidenza slovena, sulle «diverse misure politiche atte a contribuire alla crescita e allo sviluppo delle piccole e medie imprese», nel quale ha presentato delle proposte per uno SBA efficace, che vada al di là di una semplice dichiarazione politica (3),

con un parere esplorativo, elaborato su richiesta della presidenza francese, sul tema degli «appalti pubblici internazionali», in cui faceva esplicitamente riferimento ai negoziati in corso per la revisione dell'accordo sugli appalti pubblici (AAP) dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e proponeva in particolare l'elaborazione di una tabella di marcia ambiziosa per l'attuazione dello SBA (4).

2.5   Pur compiacendosi delle numerose iniziative utili previste dallo SBA in esame, il Comitato si rammarica del fatto che la Commissione abbia optato per la forma della comunicazione, che non comporta alcun obbligo in termini di calendario e di stanziamenti né alcuna proposta che garantisca l'effettiva attuazione del principio pensare anzitutto in piccolo.

2.6   Il CESE deplora altresì che il principio pensare anzitutto in piccolo non sia oggetto di una misura legislativa specifica volta a garantirne l'applicazione sistematica nel processo legislativo e l'attuazione. Il CESE ritiene che la sfida posta dal carattere vincolante dei provvedimenti sia particolarmente importante quando si tratta di attuare principi di governance a favore delle piccole imprese. La concreta applicazione di questo principio e la sua declinazione in tutte le fasi dell'elaborazione delle normative e delle politiche comunitarie, nazionali e territoriali meritano quindi di essere sancite da un testo o da uno strumento adeguato.

2.7   Il CESE si rammarica fortemente che la sua proposta — già citata — di una «tabella di marcia» vincolante non sia stata accolta per quanto riguarda il programma di lavoro e le priorità, che non devono essere oggetto di procedure legislative poiché sono già parte dei programmi esistenti o possono esserlo, in particolare nel quadro della loro revisione intermedia. Allo stesso modo, gran parte delle misure concrete proposte sono già in fase di elaborazione oppure annunciate da tempo. Le proposte più interessanti ed utili, in particolare lo statuto di società privata europea, la direttiva sui ritardi di pagamento, le aliquote IVA ridotte o anche l'esenzione per categoria riguardo agli aiuti di Stato, sono piuttosto rappresentative di questa situazione.

2.8   Lo SBA deve tracciare una distinzione chiara tra, da un lato, le piccole imprese a carattere familiare o artigianale e con un mercato locale, che rappresentano la grande maggioranza delle PMI — la maggior parte delle quali, al fine di conservare il controllo dell'impresa, non desidera crescere in dimensione — e, dall'altro, le imprese medie o piccole a forte potenziale di sviluppo che si possono definire i «precursori». A questo proposito si dovrebbe prestare particolare attenzione alle piccole e medie imprese situate nelle regioni con handicap strutturali, in particolare le regioni insulari, le zone di montagna e quelle scarsamente popolate.

2.9   In tale contesto il CESE è stato invitato a formulare un parere sulla comunicazione della Commissione. Per preparare meglio la propria risposta esso ha organizzato un'audizione il 7 ottobre 2008 a Parigi, con la cooperazione dell'Assemblea permanente delle camere dell'artigianato.

3.   Raccomandazione n. 1 del CESE: uno strumento giuridico vincolante per l'applicazione del principio pensare anzitutto in piccolo

3.1   Lo SBA non deve limitarsi ad ottenere un semplice riconoscimento politico in più: esso deve essere oggetto di una trasposizione legislativa che renda la sua applicazione vincolante.

Per quanto riguarda il principio pensare anzitutto in piccolo il CESE ribadisce la posizione precedentemente espressa (nel parere INT/390) e chiede che venga sancito come norma vincolante in una forma ancora da definire (codice di condotta, accordo interistituzionale, decisione del Consiglio) ma che dovrebbe impegnare il Parlamento europeo, la Commissione e il Consiglio. La «pista» di un accordo interistituzionale fondato sulle stesse basi giuridiche dell'accordo Legiferare meglio del 2003 sembra essere un'opzione interessante che il CESE potrebbe esplorare insieme con altre possibilità. In modo molto concreto, quest'atto vincolante dovrebbe garantire:

3.2.1   che i testi legislativi a qualsiasi livello siano concepiti tenendo conto delle situazioni specifiche e delle esigenze particolari delle varie categorie di PMI; ogni nuova normativa europea riguardante le imprese deve essere oggetto di una consultazione preliminare delle organizzazioni intermedie interessate, tra cui le parti sociali e le organizzazioni dell'economia sociale, con un termine di risposta di almeno 12 settimane (e non 8 come proposto dalla Commissione europea);

3.2.2   che nessuna legislazione riguardante l'impresa sia modificata troppo spesso (l'intervallo minimo dovrebbe essere di 6 anni). Si dovrebbe proporre anche di raggruppare al 1o gennaio di ogni anno le date di entrata in vigore di tutte le nuove normative quando esse possono avere effetti vincolanti, mentre le norme intese ad alleggerire o a semplificare gli oneri dovrebbero potere entrare in vigore, con effetto immediato, in qualsiasi momento;

3.2.3   che le legislazioni a tutti i livelli rispettino quattro principi fondamentali:

un'analisi d'impatto sistematica sulle PMI deve essere resa obbligatoria per qualsiasi nuova normativa: nessun atto legislativo dovrebbe potere essere adottato se non è stato oggetto di un'analisi dell'impatto per le varie categorie di imprese del settore di attività interessato,

il principio di proporzionalità, applicato in modo sistematico alle varie tipologie di imprese,

il principio del «soltanto una volta» per ogni formalità richiesta ad un'impresa,

il principio di salvaguardia o di precauzione per premunirsi da ogni legislazione vincolante supplementare;

3.2.4   che sia fissato un obbligo quantificato di semplificazione degli oneri amministrativi per le imprese nel mercato interno in base all'obiettivo di ridurre il carico burocratico della legislazione europea di circa il 25 % entro il 2012.

4.   Raccomandazione n. 2 del CESE: una tabella di marcia precisa corredata di un calendario e dotata di mezzi e finanziamenti se necessario

4.1   Il CESE raccomanda di definire una tabella di marcia precisa che comprenda azioni prioritarie, misure concrete, termini d'attuazione, mezzi di realizzazione e, se necessario, anche finanziamenti. Occorre garantire che tutte le azioni proposte vengano realizzate entro il 2013 tramite misure di controllo e di valutazione.

4.2   Per quanto riguarda la parte operativa, ossia l'elenco di 92 azioni: pur sostenendo queste azioni — di cui auspica una rapida attuazione a livello sia comunitario che degli Stati membri — il CESE ribadisce la propria posizione secondo cui queste misure costituiscono l'attuazione o la proroga di azioni già intraprese o decise, come le quattro misure legislative. Queste misure non tengono sufficientemente conto delle aspettative e delle esigenze delle diverse categorie di PMI, e il CESE chiede un piano più ambizioso, adeguato al ruolo effettivo delle piccole imprese e alla situazione economica mondiale. Propone dunque alla Commissione, al Consiglio e al Parlamento di realizzare un vero progetto europeo a favore delle PMI e delle microimprese, basato non soltanto sul sostegno alle imprese a forte tasso di crescita ma anche alle imprese dell'economia di prossimità, alle imprese dell'economia sociale e delle attività tradizionali, su una migliore governance che consenta un dialogo più proficuo tra i poteri pubblici, i partner economici e sociali, le organizzazioni rappresentative delle varie categorie di PMI nonché su una considerazione effettiva delle diverse realtà di queste categorie di PMI.

4.3   Per quanto riguarda le misure proposte a livello comunitario, il CESE sostiene in particolare:

il progetto di regolamento riguardante la creazione di una società privata europea  (5), iniziativa proposta dal CESE in un parere d'iniziativa nel 2001 per creare «euroimprese» in grado di sfruttare le opportunità di crescita offerte dal mercato unico e ridurre così le formalità e i costi legati alla creazione di filiali in altri Stati membri. Il CESE auspica che questo progetto sia approvato rapidamente trovando una formula che non crei distorsioni della concorrenza, né — in un modo o nell'altro — un indebolimento dei diritti sociali,

il progetto di direttiva riveduta sui ritardi di pagamento  (6) che dovrebbe rafforzare gli obblighi e inasprire le penalità per le autorità pubbliche in caso di pagamento oltre i 30 giorni.

4.4   Il CESE raccomanda di prevedere ulteriori azioni ambiziose e concrete, in particolare:

azioni pilota a favore dell'efficienza energetica per le PMI del settore edile a causa della loro importanza in questo settore (l'80 % delle imprese) e del loro notevole contributo potenziale all'obiettivo di riduzione delle emissioni di CO2 (il 40 % delle emissioni proviene dagli insediamenti abitativi),

dispositivi adeguati ai vari rami e settori d'attività e processi progressivi di gestione ambientale a tappe per le piccole imprese, per garantire che gli obiettivi ambientali ed energetici non escludano le piccole imprese dal mercato,

azioni concrete dell'UE a favore dell'«europeizzazione» delle imprese sotto forma di programmi di ravvicinamento e di cooperazione (cfr. i vecchi programmi Europartenariato e Interprise, eliminati a torto negli anni 2000 dalla Commissione europea),

sforzi per associare più strettamente le imprese alle azioni europee di formazione e di istruzione, in particolare tramite un nuovo programma inteso ad avvicinare le imprese agli istituti d'insegnamento. Il CESE ribadisce inoltre la richiesta di rafforzare i programmi per favorire la mobilità degli apprendisti e dei giovani in formazione professionale iniziale,

azioni per agevolare e incoraggiare la trasmissione di imprese: il CESE sottolinea la sfida costituita dalla trasmissione e dall'acquisizione di imprese, in particolare di piccole imprese di produzione e di servizi in ambiente urbano e rurale, la cui scomparsa annunciata avrà considerevoli effetti negativi. Raccomanda in particolare di promuovere sistemi di ravvicinamento, incentivi fiscali, iniziative di incentivazione della capitalizzazione e partenariati pubblico-privati,

uno sviluppo più coerente della rete Enterprise Europe Network per farne una vera e propria rete europea di informazione e cooperazione.

4.5   Di fronte alla sfida della recessione mondiale, il CESE sostiene in particolare l'introduzione di meccanismi finanziari rafforzati attraverso la BEI e il FEI per agevolare l'accesso al finanziamento a breve termine e sostenere, quando è ancora utile, le imprese in difficoltà. A tale riguardo le iniziative in corso e quelle proposte dallo SBA dovrebbero essere ampliate considerevolmente in ragione dell'attuale situazione economica. Occorrerebbe soprattutto porre fine ai progetti pilota marginali e adoperarsi veramente per decompartimentare e rafforzare le reti di finanziamento di prossimità (capitale di rischio, business angels, mutua garanzia) nonché sostenere la creazione di fondi destinati a promuovere i progetti europei e transfrontalieri.

4.6   Inoltre il CESE chiede, come indicato nel precedente parere INT/390, che lo SBA lanci nuove iniziative in risposta alle richieste delle organizzazioni, espresse sia nel quadro di molte conferenze comunitarie che da parte del CESE e del Parlamento europeo:

integrare la dimensione delle PMI in tutte le politiche comunitarie: il CESE ha sottolineato che, al di là ai discorsi politici, ancora troppo spesso, al momento di elaborare le normative, prevale il modello della grande impresa,

proseguire la politica di semplificazione amministrativa, ma assicurando soprattutto un coordinamento perfetto con le organizzazioni intermedie settoriali interessate; la Commissione deve far sì che vi sia una collaborazione più forte con queste organizzazioni e con il CESE, per evitare che la semplificazione produca effetti contrari all'obiettivo auspicato. Il CESE ribadisce il proprio scetticismo sulla fondatezza e sull'efficacia dell'esenzione sistematica delle piccole imprese dell'applicazione di alcune misure legislative: preferisce piuttosto la proporzionalità nell'attuazione dei testi,

sostenere le attività di accompagnamento e di consulenza delle organizzazioni intermedie: il CESE attribuisce una grande importanza alle questioni di governance, in particolare ai temi della consultazione e del follow-up. Si rammarica che la Commissione europea non dia maggiore importanza al ruolo delle organizzazioni intermedie, elemento fondamentale se si vuole dialogare con milioni di imprese nonché con i loro dirigenti e dipendenti. Il CESE ribadisce che queste organizzazioni sono un ingranaggio essenziale per il successo delle politiche comunitarie e svolgono un ruolo insostituibile nella trasmissione delle informazioni e nell'assistenza alle imprese, in particolare alle più piccole,

attuare una politica allargata e coerente dell'innovazione per sostenere non soltanto le imprese già note come innovative ma anche l'innovazione corrente, di immissione sul mercato, di bassa e media tecnologia come pure l'innovazione non tecnologica, in particolare nelle piccole imprese,

ampliare l'accesso ai programmi comunitari semplificando i vincoli giuridici, finanziari e amministrativi che scoraggiano le PMI e promuovendo i progetti raggruppati proposti dalle organizzazioni intermedie. Il CESE ribadisce la propria richiesta alla Commissione di lanciare una concertazione con le organizzazioni europee rappresentative delle imprese per semplificare le norme d'accesso ai programmi e definire nuove condizioni per l'elaborazione e la partecipazione ai programmi ai diversi livelli territoriali. Per quanto riguarda il ricorso delle PMI ai finanziamenti europei, occorre semplificare al massimo le procedure di accesso. In questa prospettiva, un primo passo potrebbe consistere nell'articolare tra loro i diversi programmi comunitari (fondi strutturali, CIP, 7° Programma quadro di R&S, ecc.), tenendo presente che per ciascuno di essi le procedure da seguire sono diverse. Inoltre, rendendo più chiaro il linguaggio utilizzato nei documenti d'inquadramento, si consentirebbe alla maggior parte delle PMI di utilizzare più facilmente i diversi strumenti di sviluppo proposti da questi programmi. Infine, appare necessaria un'azione concertata di semplificazione delle procedure tra istituzioni europee e nazionali: i vincoli amministrativi continuano infatti ad essere troppo gravosi per imprese tra le cui attività non figura di norma la «competenza amministrativa».

4.7   In materia di appalti pubblici, ogni Stato membro dovrebbe creare una struttura di sostegno personalizzato per le PMI che desiderano accedere agli appalti pubblici tanto a livello nazionale che a livello comunitario. Questo sostegno consentirebbe alle PMI di conoscere le procedure da seguire per preparare una candidatura, diffondendo il vocabolario specifico degli appalti pubblici (l'inaccessibilità degli appalti alle PMI dipende anche dalla mancata comprensione della terminologia utilizzata).

5.   Raccomandazione n. 3 del CESE: proposte specifiche per il livello comunitario

5.1   Affinché lo SBA sia efficace, il CESE raccomanda a livello comunitario una politica visibile e ambiziosa che attualmente non esiste. Raccomanda in particolare di:

riconferire ad un commissario europeo la piena responsabilità per l'applicazione dello SBA europeo,

procedere ad una riorganizzazione dei servizi affinché, come all'epoca della task force per le PMI, le piccole e medie imprese dispongano anche di un interlocutore politico visibile ed accessibile a livello europeo, dedicato soltanto alle PMI e alla difesa dei loro interessi in seno alle istituzioni europee, in particolare nel quadro del processo decisionale,

creare un comitato di gestione «comitato europeo dello SBA» che comprenda, oltre ai rappresentanti degli Stati membri, i delegati delle organizzazioni europee rappresentative interessate, comprese le parti sociali. Il CESE auspica che questo comitato disponga di ampi poteri di controllo dell'applicazione dello SBA, di follow-up del piano di azione e di coordinamento con i piani attuati dagli Stati membri. Il CESE chiede inoltre che nel quadro dell'attuazione dello SBA si provveda a:

nominare in ogni direzione generale della Commissione un corrispondente per le PMI incaricato di garantire che le misure legislative e i programmi gestiti dalla DG in questione tengano adeguatamente conto delle priorità e delle aspettative delle PMI e delle microimprese,

creare a livello sia della società che delle istituzioni il contesto imprenditoriale necessario per l'applicazione concreta del principio pensare anzitutto in piccolo . Infatti, per applicare il principio secondo cui «le regole devono rispettare la maggioranza di coloro cui si applicano» — in questo caso le PMI — bisogna avere una certa conoscenza del loro mondo. È per questo motivo che la Commissione europea dovrebbe incoraggiare gli Stati membri a seguire il suo esempio in materia, attraverso il programma Enterprise Experience Program che permette a molti funzionari europei di familiarizzarsi con il mondo delle PMI. Tale iniziativa dovrebbe ispirare i vari Stati membri, almeno quelli che non hanno ancora preso provvedimenti di questo tipo.

6.   Raccomandazione n. 4 del CESE: azioni specifiche a livello nazionale

6.1   Per quanto riguarda i settori di competenza nazionale, il CESE raccomanda che ogni Stato membro:

faccia adottare una legge nazionale per rendere vincolante il principio pensare anzitutto in piccolo,

elabori un «Piano nazionale per lo Small Business Act» in stretto partenariato con i soggetti economici e sociali interessati. Ogni anno si dovrebbe presentare una relazione, distinta dalla relazione sui PNR (Programmi nazionali di riforma), per fare conoscere i risultati conseguiti da ogni piano nazionale. Una conferenza annuale potrebbe mettere in risalto le buone pratiche e le esperienze positive. Inoltre, un'attiva partecipazione delle organizzazioni europee interessate e del CESE permetterebbe di convalidare quest'esercizio,

sostenga azioni comuni per realizzare delle iniziative intese a favorire, ad esempio, la trasmissione d'impresa (questioni giuridiche e fiscali), il diritto fallimentare (per dare sempre un'«altra possibilità» alle imprese e agli imprenditori), la creazione di sportelli unici e l'applicazione del principio «soltanto una volta» per le formalità amministrative,

crei un rappresentante delle PMI (SME Envoy) a livello nazionale, incaricato da un lato di gestire l'applicazione dello SBA nello Stato membro in questione e, dall'altro, di fare in modo che le legislazioni nazionali di attuazione della normativa comunitaria rispettino il principio fondamentale pensare anzitutto in piccolo.

6.2   Per i settori di intervento di competenza nazionale, il CESE raccomanda che gli Stati membri si concertino maggiormente tra loro e prevedano azioni comuni, se necessario nell'ambito di cooperazioni rafforzate, per realizzare in comune interventi relativi, ad esempio, alla trasmissione di un'impresa (questioni giuridiche e fiscali) oppure al diritto fallimentare, per dare sempre un'«altra possibilità» alle imprese e agli imprenditori.

6.3   A livello nazionale e transfrontaliero, il CESE insiste sulla necessità di sviluppare e rendere interoperabili gli sportelli unici in tutta l'UE. Si potrebbero incoraggiare gli Stati membri a rafforzare l'interoperabilità e a prevenire la compartimentazione dei loro sportelli nazionali per le formalità, siano essi materiali o virtuali. Su quest'ultimo punto sono state prese delle iniziative nel quadro della direttiva sui servizi o anche del regolamento inteso a migliorare il funzionamento del principio del riconoscimento reciproco. In generale, occorrerebbe che la creazione di questi sportelli unici fosse accompagnata da una comunicazione rivolta alle PMI per informarle, fin dal momento della loro costituzione e nel corso della loro «vita», dell'esistenza di tali servizi.

7.   Raccomandazione n. 5 del CESE: coerenza, partecipazione e valutazione

7.1   Di fronte alle grandi sfide internazionali, alla situazione economica attuale e all'obiettivo di revisione del processo di Lisbona, il Comitato ritiene che lo SBA debba prevedere:

iniziative strutturanti per garantire i diritti di proprietà intellettuale, ossia: il brevetto comunitario, la giurisdizione competente in materia di brevetti a livello dell'Unione, ma anche la creazione di un Osservatorio europeo della contraffazione e della pirateria (richiesto per la prima volta dal CESE nel 2001),

promozione di un approccio integrato della politica a favore delle PMI, che integri tutte le politiche settoriali condotte a livello comunitario, a livello nazionale e a livello regionale,

sviluppo della gestione, del partenariato e della cooperazione tra i pubblici poteri, le comunità, i partner economici e sociali, le organizzazioni rappresentative delle varie categorie di PMI a tutti i livelli sul territorio europeo,

sostegno allo sviluppo e alla competitività di tutte le imprese, comprese le imprese che agiscono in mercati di prossimità; per quanto riguarda le azioni positive dello SBA occorre tracciare una distinzione chiara tra, da un lato, le imprese a carattere familiare e con un mercato locale che rappresentano la stragrande maggioranza delle PMI e, dall'altro, le imprese a forte potenziale di sviluppo tecnologico o extraterritoriale. Le prime hanno bisogno di trovare un ambiente favorevole alle loro attività, le seconde invece necessitano di mezzi per accelerare la crescita ed assurgere ad un livello europeo o anche internazionale. Al riguardo occorre tenere presente che numerose imprese di prossimità possono avere l'opportunità di svilupparsi in mercati allargati o di agire nell'ambito di cooperazioni e di cluster così da raggiungere la massa critica necessaria per riuscire ad europeizzarsi o internazionalizzarsi.

7.2   Il CESE ritiene che, oltre che dalla volontà politica dei poteri pubblici a livello europeo, nazionale e locale di impegnarsi a favore delle PMI, e in particolare delle microimprese, il successo dello SBA dipenderà in gran parte dall'azione delle organizzazioni intermedie rappresentative. Chiede quindi alle autorità interessate di mettere in atto tutte le misure e il sostegno volti a favorire l'azione di tali organizzazioni e di associarle alle riflessioni sul processo comunitario del dopo Lisbona.

7.3   Il CESE ribadisce la richiesta esplicita di una valutazione annuale dell'attuazione dello SBA, per quanto riguarda sia il programma di azioni che l'applicazione del principio pensare anzitutto in piccolo, come pure dell'insieme delle politiche per le PMI a livello comunitario e nazionale. Chiede altresì che venga presentata una relazione annuale sui progressi realizzati anche per quanto riguarda la concertazione con le organizzazioni intermedie. È necessario che tale relazione costituisca un'iniziativa a sé nel quadro dell'attuazione della strategia di Lisbona; essa deve dare luogo a raccomandazioni della Commissione agli Stati membri e alle regioni, permettere un adattamento o una revisione dello SBA ed essere presentata al Parlamento europeo, al Comitato delle regioni e al CESE.

Bruxelles, 14 gennaio 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Parere esplorativo del CESE sul tema Le diverse misure politiche, al di là di finanziamenti adeguati, atte a contribuire alla crescita e allo sviluppo delle piccole e medie imprese (GU C 27 del 3.2.2009, pag. 7) e parere esplorativo del CESE sul tema Gli appalti pubblici internazionali (GU C 224 del 30.8.2008, pag. 32).

(2)  Cfr. il parere del CESE (relatrice: FAES — GU C 256 del 27.10.2007, pag. 8).

(3)  Parere esplorativo del CESE sul tema Le diverse misure politiche, al di là di finanziamenti adeguati, atte a contribuire alla crescita e allo sviluppo delle piccole e medie imprese (GU C 27 del 3.2.2008, pag. 7).

(4)  Parere esplorativo del CESE sul tema Gli appalti pubblici internazionali (GU C 224 del 30.8.2008, pag. 32).

(5)  COM(2008) 396 def.

(6)  Direttiva 2000/35/CE (GU L 200 dell’8.8.2000, pag. 35), parere CESE: GU C 407 del 28.12.1998, pag. 50.


4.8.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 182/36


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2006/116/CE del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la durata di protezione del diritto d'autore e di alcuni diritti connessi

COM(2008) 464 def. — 2008/0157 (COD)

(2009/C 182/07)

Relatore: GKOFAS

Il Consiglio, in data 4 settembre 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 47, paragrafo 2, e degli articoli 55 e 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2006/116/CE del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la durata di protezione del diritto d'autore e di alcuni diritti connessi

COM(2008) 464 def. — 2008/0157 (COD).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 gennaio 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore GKOFAS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 gennaio 2009, nel corso della 450a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 115 voti favorevoli, 3 voti contrari e 15 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il CESE invita a creare un sistema unico di protezione che armonizzi, a livello di Stati membri, le norme che si applicano alle composizioni musicali con testo contenenti contributi di diversi autori, in modo da evitare problemi nella ripartizione transfrontaliera delle royalties.

1.2   Il CESE chiede inoltre che una composizione musicale con testo sia considerata come un'opera unica, con un periodo di protezione di 70 anni dopo il decesso dell'ultimo dei coautori.

1.3   Negli Stati membri spesso operano numerosi organi di gestione collettiva, diversi in rapporto all'oggetto del diritto d'autore, con il risultato che l'utilizzatore deve rispondere e sottostare a più di uno di essi, anche per un'opera che abbia acquisito come completa, indipendente e unica, registrata su un supporto materiale. Occorre prevedere e indicare espressamente che l'opera così registrata costituisce un prodotto unico, completo e indiviso, e va quindi trattata come tale.

1.4   Per la riscossione, ma anche per la protezione dei diritti dei beneficiari occorre istituire un unico organismo di gestione dei diritti d'autore che sarà anche l'unico responsabile per la riscossione, nonché — in seguito — per l'assegnazione degli importi dovuti, se del caso, agli altri organismi di rappresentanza dei beneficiari, già esistenti oppure appena creati. In questo modo gli utilizzatori potranno avere un unico interlocutore di riferimento — e non già diversi — con cui trattare e stipulare contratti.

1.5   Il CESE propone che la durata della protezione per le fissazioni di esecuzioni venga estesa da 50 a 85 anni. Per intensificare lo sforzo di protezione degli interpreti anonimi, che, nella maggior parte dei casi, cedono le royalties dei loro fonogrammi in cambio di una «equa remunerazione» o di un pagamento forfettario, sarà necessario creare una regolamentazione intesa a garantire che i produttori discografici accantonino almeno il 20 % dei ricavi supplementari generati dalla vendita dei fonogrammi che decideranno di sfruttare nel periodo di estensione della protezione dei diritti.

1.6   Il CESE propone che sia introdotto l'obbligo di creare un fondo per gli interpreti e soprattutto per quelli meno noti, dato che i grandi nomi riescono sempre ad accordarsi con i produttori sulle percentuali che spettano loro dalle vendite dei fonogrammi.

1.7   Il CESE ritiene che dovrà essere concluso un contratto scritto tra gli interpreti rappresentati e i membri delle società di gestione collettiva, affinché sia garantita la legalità della gestione e della riscossione dei diritti. In assenza di tale contratto — scritto e datato — con ogni singolo beneficiario, le società non saranno in alcun modo autorizzate a riscuotere delle somme a nome di quest'ultimo.

1.8   Per assicurare la ridistribuzione dei fondi, le società non dovranno avere fini di lucro e dovranno garantire la piena trasparenza per quanto riguarda i documenti comprovanti la riscossione e la ridistribuzione delle royalties.

1.9   Il CESE teme tuttavia che i proventi derivanti da fonti di remunerazione «secondarie» costituiscano un onere considerevole per i debitori. In particolare bisognerà chiarire a livello comunitario il concetto di esecuzione pubblica tramite mezzi radiotelevisivi e poi trasporlo nella legislazione di ogni Stato membro, intendendo senza possibilità di equivoco la riproduzione giustificata e la ritrasmissione, tramite mezzi privati, di esecuzioni pubbliche prepagate.

1.10   Il CESE ritiene che la remunerazione debba essere equa per ambo le parti, i beneficiari e i debitori. Occorre ovviare alla mancanza di chiarezza per quanto riguarda la remunerazione equa per il trasferimento del diritto di noleggio degli interpreti. È inammissibile che non vi sia un'unica normativa comunitaria in materia e che questa responsabilità venga lasciata alla discrezionalità dei legislatori di ogni Stato membro i quali, a loro volta, la trasferiscono alle società di riscossione, che fissano una remunerazione non controllabile e spesso non equa.

1.11   A giudizio del CESE, occorre stabilire in modo chiaro ed esplicito che l'utilizzo pubblico è quello in cui lo sfruttamento di un'opera avviene da parte dell'utilizzatore a scopo di lucro e nel quadro di un'attività imprenditoriale che richieda o giustifichi l'utilizzo concreto (di un'opera, del sonoro, di immagini oppure di sonoro e immagini).

1.12   Si potrebbe indicare in particolare se l'opera viene riprodotta o diffusa tramite un'attrezzatura oppure in modo diretto (dischi ottici, onde magnetiche (ricevitori)). In quest'ultimo caso la responsabilità della diffusione pubblica (e della scelta) viene assunta dall'emittente e non dall'utilizzatore e quindi, poiché colui che sfrutta l'opera non coincide con l'utilizzatore, non si applica il concetto di esecuzione pubblica.

1.13   L'utilizzo dei media non può costituire un'esecuzione pubblica primaria qualora la ritrasmissione avvenga da luoghi come ristoranti, caffè, autobus, taxi, ecc., e deve quindi essere esentato dal pagamento dei diritti d'autore agli interpreti. I diritti d'autore per i fonogrammi sono già stati pagati anticipatamente da coloro che hanno acquisito il diritto di diffondere i fonogrammi su filo o senza filo. L'ascolto dei fonogrammi alla radio va considerato come uso privato da parte del cittadino, sia questi in casa oppure al lavoro, in autobus o al ristorante, e poiché una persona non può trovarsi contemporaneamente in due luoghi, il diritto per i beneficiari è stato pagato dalle stazioni, che costituiscono le vere utilizzatrici.

1.14   Occorre esentare i settori professionali nella cui attività la musica o l'immagine non svolgono alcun ruolo a livello di processo di produzione. I settori per i quali la diffusione di musica o di immagini svolge un ruolo di secondo piano nell'esercizio dell'attività imprenditoriale dovrebbero versare soltanto un importo minimo prestabilito, determinato chiaramente a seguito di negoziati tra gli organismi di rappresentazione collettiva e l'organo unico di gestione dei diritti d'autore.

1.15   Il CESE ritiene che, per garantire la ridistribuzione degli importi dovuti agli interpreti da parte delle società di gestione collettiva, occorra costituire un fondo di garanzia nel caso in cui esse si trovino in difficoltà. Si dovrà inserire la clausola use it or lose it nei contratti tra interpreti e produttori di fonogrammi, oltre al principio della «nuova piattaforma» per i contratti che coprono il periodo di estensione successivo ai 50 anni iniziali.

1.16   Il CESE esprime particolare preoccupazione poiché la legislazione comunitaria in generale mira a proteggere i diritti d'autore e i diritti connessi senza tuttavia tenere conto dei corrispondenti diritti degli utilizzatori e dei consumatori finali. In particolare, mentre si sostiene che le attività creative, artistiche ed imprenditoriali rappresentano in larga misura attività svolte da liberi professionisti e in quanto tali devono essere agevolate e protette, non viene adottato lo stesso approccio nei confronti degli utilizzatori. Per questo motivo occorre appianare le divergenze nelle legislazioni nazionali degli Stati membri e sostituire, laddove esistano, le sanzioni penali inflitte per il mancato versamento delle royalties con ammende amministrative.

1.17   Il CESE concorda con la modifica dell'articolo 3, paragrafo 1, ma raccomanda l'introduzione di un periodo di protezione di 85 anni. Anche nella seconda e terza frase dell'articolo 3, paragrafo 2, il CESE propone che il periodo sia di 85 anni. Il CESE approva l'inserimento, nell'articolo 10, del paragrafo 5, che fa riferimento all'effetto retroattivo della direttiva.

1.18   Il CESE chiede alla Commissione di tenere conto delle sue raccomandazioni e proposte intese a migliorare la giurisprudenza in vigore e agli Stati membri di conformarsi alle direttive e di adottare le necessarie misure legislative per trasporle nella legislazione nazionale.

2.   Introduzione

2.1   Il regime vigente, che prevede un periodo di protezione di 50 anni, è basato sulla direttiva 2006/116/CE del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la durata di protezione del diritto d'autore e, in generale, di alcuni diritti degli interpreti.

2.2   Inoltre, come viene sottolineato anche nella relazione introduttiva alla proposta, la scadenza del periodo di protezione avrà effetti sugli artisti riconosciuti, ma soprattutto su quelli che hanno ceduto i propri diritti esclusivi a un produttore di fonogrammi dietro corresponsione di un pagamento forfettario. Infatti cesserebbero — naturalmente — di essere loro erogati i pagamenti dell'unica ed equa remunerazione per la diffusione radiotelevisiva dei loro fonogrammi.

3.   Osservazioni generali

3.1   L'obiettivo del parere è modificare determinati articoli in vigore della direttiva 2006/116/CE che disciplinano la durata della protezione applicabile alle esecuzioni e ai fonogrammi, mettere in evidenza alcune misure supplementari e sollevare alcune problematiche che potrebbero contribuire in modo efficace al conseguimento di tale obiettivo, ossia l'attenuazione sul piano sociale delle disparità tra produttori, interpreti più noti e musicisti di sessione.

3.2   Il CESE nutre forti timori riguardo alla protezione dei diritti d'autore e, in generale, dei diritti connessi degli interpreti, soprattutto quando si tratta di fonogrammi, e propone di venire incontro alle loro esigenze prevedendo un contributo minimo a loro favore con l'estensione della durata della protezione.

4.   Osservazioni specifiche

4.1   La Commissione sostiene in particolare l'estensione della durata della protezione dei diritti d'autore di cui godono gli interpreti.

4.2   Il CESE ritiene necessaria questa armonizzazione tra le normative dei diversi Stati membri per evitare eventuali ostacoli alla ridistribuzione transfrontaliera delle royalties derivanti dallo sfruttamento dell'opera in diversi Stati membri.

4.3   Il CESE ritiene inoltre che la creazione di una composizione musicale con testo vada considerata come un'opera unica, con un periodo di protezione che si concluderà 70 anni dopo il decesso dell'ultimo dei coautori, in quanto una maggiore e migliore protezione dei diritti d'autore è preferibile a un periodo più limitato che potrebbe causare una grande quantità di problemi.

4.4   Alla luce di quanto sopra, il CESE propone che la durata della protezione per le fissazioni di esecuzioni venga estesa da 50 a 85 anni.

4.5   Per intensificare lo sforzo di protezione degli interpreti anonimi, che nella maggior parte dei casi cedono le royalties dei loro fonogrammi in cambio di una «equa remunerazione» o di un pagamento forfettario, sarà necessario creare una regolamentazione intesa a garantire che i produttori discografici accantonino almeno il 20 % dei ricavi supplementari generati dalla vendita dei fonogrammi che decideranno di sfruttare nel periodo di estensione della protezione dei diritti.

4.6   Per conseguire questo obiettivo il CESE ritiene che vada creato un fondo per gli interpreti, soprattutto quelli meno noti.

4.7   Il CESE propone che la gestione e la riscossione delle remunerazioni venga effettuata dalle società di gestione collettiva che amministrano i cosiddetti diritti di remunerazione secondaria. Andranno tuttavia introdotte determinate salvaguardie per l'istituzione e il funzionamento di queste società.

4.8   Il CESE ritiene che in primis dovrà essere concluso un contratto scritto tra gli interpreti rappresentati e i membri delle società di gestione collettiva, affinché sia garantita la legalità della gestione e della riscossione dei diritti.

4.9   Le società non dovranno avere fini di lucro e dovranno garantire la piena trasparenza per quanto riguarda i documenti comprovanti la riscossione e la ridistribuzione delle royalties. Il CESE ritiene che tali società, le quali andranno istituite nel rispetto delle norme e delle leggi vigenti nel paese interessato, dovranno essere suddivise in due categorie soltanto, a seconda che esse rappresentino gli autori o gli interpreti. A giudizio del CESE, l'esistenza di società ripartite in modo diverso creerebbe confusione, rendendo sicuramente più difficile l'esercizio della trasparenza e del controllo.

4.10   Gli interpreti, però, riscuotono entrate anche da altre fonti. Le società di gestione collettiva sono state istituite soprattutto per la gestione dei cosiddetti diritti di remunerazione secondaria, i quali sono sostanzialmente tre: a) una remunerazione equa per la radiodiffusione e comunicazione al pubblico, b) i prelievi per copia privata e c) una remunerazione equa per il trasferimento del diritto di noleggio da parte degli artisti, interpreti o esecutori. Ovviamente l'ammontare di queste entrate è destinato ad aumentare se il periodo di protezione dei diritti verrà portato da 50 a 85 anni.

4.11   Il CESE teme tuttavia che i proventi derivanti da fonti di remunerazione «secondarie» costituiscano un onere considerevole per i debitori, il che è del tutto indipendente dall'estensione del periodo di protezione. In particolare bisognerà chiarire a livello comunitario il concetto di esecuzione pubblica tramite mezzi radiotelevisivi e poi trasporlo nella legislazione di ogni Stato membro, intendendo senza possibilità di equivoco la riproduzione giustificata e la ritrasmissione, tramite mezzi privati, di esecuzioni pubbliche prepagate.

4.12   Il CESE ritiene che il versamento dell'equa remunerazione per la ritrasmissione della riproduzione già protetta, soprattutto quando tale ritrasmissione non viene effettuata a scopo di lucro, costituisca una pratica abusiva che contribuisce alla pirateria musicale.

4.13   Il CESE inoltre nutre preoccupazioni riguardo alle modalità di gestione delle risorse provenienti dalle altre due fonti di entrate degli artisti. Grandi sono gli interrogativi che la questione suscita in tutti coloro che sono tenuti a versare i diritti d'autore. Senza un contratto scritto preventivamente concluso tra il beneficiario del ricavo supplementare e il soggetto designato a rappresentarlo in seno alla società di gestione collettiva, come garantire che il debitore versi effettivamente l'importo supplementare dovuto?

4.14   Occorre inoltre ovviare alla mancanza di chiarezza per quanto riguarda la remunerazione equa per il trasferimento del diritto di noleggio degli interpreti. Il CESE ritiene che la remunerazione debba essere equa per ambo le parti, i beneficiari e i debitori. Inoltre la remunerazione equa dovrà essere definita di conseguenza e per una durata di circa 5 anni, previa negoziazione collettiva bilaterale.

4.15   Il CESE ritiene che, così facendo, e con la definizione di prelievi specifici per copia privata, soprattutto per i professionisti dell'industria dell'intrattenimento che non utilizzano le copie solo per uso puramente privato, si garantirà un flusso di ricavi stabile proveniente dai diritti di remunerazione secondaria per tutto il periodo di estensione della protezione, si lotterà contro la pirateria musicale e aumenteranno le vendite on line di fonogrammi.

4.16   Il CESE ritiene inoltre che, per garantire la distribuzione delle risorse da parte delle società di gestione collettiva agli interpreti, occorra costituire un ulteriore fondo di garanzia che possa restituire gli importi spettanti in caso di difficoltà da parte della società.

4.17   Il CESE ritiene altresì che, per riuscire a conseguire l'obiettivo del presente parere, alle iniziative sopra descritte vadano anche affiancate determinate misure di accompagnamento. Più specificamente, si dovranno inserire la clausola use it or lose it nei contratti tra interpreti e produttori di fonogrammi e il principio della «nuova piattaforma» per i contratti nel periodo di estensione oltre i 50 anni iniziali. Trascorso un anno dall'estensione della durata della protezione, scadono i diritti sia sul fonogramma che sulla fissazione dell'esecuzione.

4.18   Il CESE, la cui priorità è naturalmente tutelare gli interpreti nel caso in cui le loro interpretazioni restino «bloccate» in fonogrammi che il produttore non presenta al pubblico per difficoltà personali, ritiene necessario adottare ulteriori misure, sotto forma di pene amministrative, ammende o sanzioni, che impediscano ai produttori di gettare nella spazzatura le opere degli interpreti.

4.19   Il CESE ritiene inoltre che, dal momento che gli Stati membri hanno una grande tradizione di canzoni popolari, occorra una regolamentazione specifica per questo genere di canzoni e per altre canzoni analoghe, che possono essere considerate «orfane», allo scopo di farle rientrare nel patrimonio comune.

4.20   Il CESE concorda con la menzione, nell'articolo 10, dell'effetto retroattivo della legge nel caso di tutti i contratti in vigore.

4.21   Il CESE concorda altresì con i paragrafi 3 e 6 dell'articolo 10.

4.22   Il CESE è d'accordo che venga riconosciuto il diritto di ottenere una remunerazione annuale supplementare per gli anni di durata del periodo di estensione del contratto di trasferimento o cessione concluso dagli artisti o dagli interpreti.

4.23   Il CESE è d'accordo sul fatto che il 20 % dei ricavi ottenuti dal produttore nell'anno precedente a quello a cui si riferisce la remunerazione in questione costituisce un importo sufficiente per tale remunerazione.

4.24   Il CESE non è d'accordo con la proposta di consentire agli Stati membri di stabilire se il diritto a ottenere la remunerazione annuale supplementare debba essere amministrato dalle società di gestione collettiva.

4.25   Il CESE giudica necessaria la conclusione di un contratto scritto tra i singoli interpreti, ciascuno separatamente, e i rappresentanti della società. La conclusione del contratto dovrà necessariamente precedere la riscossione dei diritti da parte dei rappresentanti a nome del beneficiario. Ogni anno le società dovranno rendere conto ad un organo unico distinto — composto di interpreti e produttori — della gestione dei ricavi derivanti dalle remunerazioni supplementari prodotte dall'estensione del periodo di protezione.

4.26   Il CESE concorda con la disposizione transitoria di cui all'articolo 10 e con quella relativa allo sfruttamento del fonogramma da parte dell'interprete.

4.27   Il CESE giudica inoltre necessaria una regolamentazione unica in base alla quale determinati produttori siano esentati dall'accantonamento del 20 % quando le loro entrate annuali non superano una soglia minima di 2 milioni di EUR. Naturalmente andrà effettuato un controllo annuale dei produttori per certificare quali appartengono a questa categoria.

4.28   Il CESE teme che l'adozione della direttiva in esame causerà enormi problemi di applicazione, soprattutto per quanto concerne gli aspetti della gestione e ridistribuzione del 20 % dei ricavi supplementari in mancanza di una precedente legislazione unica in materia di modalità, controllo e prova del versamento, fallimento delle società, morte del beneficiario, rinuncia alla remunerazione da parte del beneficiario, contratti tra beneficiari e società di gestione collettiva, controllo delle società e tanti altri aspetti giuridici ancora, senza risolvere una volta per tutte il problema delle disparità di trattamento tra grandi interpreti ed interpreti sconosciuti.

4.29   La soluzione a tale problema non è data solo dall'estensione del periodo di protezione, ma anche dalla stesura di contratti intelligenti contenenti la clausola use it or lose it. Il CESE ritiene che, contemporaneamente alla direttiva modificata, andranno adottate le disposizioni legislative che contribuiranno ad evitare che le esecuzioni restino bloccate per 50 anni. Sono necessarie disposizioni integrative soprattutto in materia di modalità di versamento dei diritti al beneficiario prima che la direttiva modificata sia trasposta nella legislazione di ciascuno Stato membro.

4.30   Il CESE ritiene che, per evitare interpretazioni troppo generali e differenziate, si debba definire e chiarire a sufficienza il concetto di pubblicazione di un fonogramma. Vi è infine la questione della presentazione simultanea al pubblico di un fonogramma ad opera di interpreti diversi e soprattutto di musicisti di sessione che non abbiano ceduto al produttore i loro diritti (diffusione tramite i media, prove di canzoni per concorsi, diffusione di canzoni on line).

Bruxelles, 14 gennaio 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


4.8.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 182/40


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio relativo al quadro giuridico comunitario per l'Infrastruttura di ricerca europea (ERI)

COM(2008) 467 def. — 2008/0148 (CNS)

(2009/C 182/08)

Relatore: STANTIČ

Il Consiglio, in data 5 settembre 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 172 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Consiglio relativo al quadro giuridico comunitario per l'Infrastruttura di ricerca europea (ERI)

COM(2008) 467 def. — 2008/0148 (CNS).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 gennaio 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore STANTIČ.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 15 gennaio 2009, nel corso della 450a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 149 voti favorevoli, 1 voto contrario e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Un'infrastruttura di ricerca di alto livello rappresenta uno dei pilastri essenziali del futuro sviluppo dello Spazio europeo della ricerca (SER).

1.2   La creazione e la gestione di infrastrutture di ricerca (ERI) europee competitive e di livello mondiale richiedono delle capacità e anche un potenziale di utilizzazione che superano di regola quelle dei singoli Stati membri: per questo motivo un'azione comune in questo campo crea un valore aggiunto europeo particolare. La forza d'attrazione esercitata da queste infrastrutture porterà a un rafforzamento delle reti e della cooperazione all'interno dello spazio europeo di ricerca e contrasterà il fenomeno ancora presente della frammentazione.

1.3   Il CESE sostiene pertanto la tabella di marcia proposta dal Forum strategico europeo sulle infrastrutture di ricerca (ESFRI) per la realizzazione di 44 nuove grandi infrastrutture di ricerca di interesse paneuropeo nei prossimi 10-20 anni.

1.4   È alquanto improbabile che il quadro giuridico dei singoli Stati membri possa fornire una base giuridica adeguata per la creazione di un'infrastruttura di ricerca di livello mondiale di interesse paneuropeo. Il CESE sostiene quindi pienamente la proposta di regolamento in esame, che prevede l'istituzione di un quadro comunitario unico per le ERI atto a facilitare e accelerare la realizzazione dei progetti proposti dall'ESFRI.

1.5   La creazione di nuove infrastrutture di ricerca di livello mondiale può potenziare in misura significativa l'attrattiva del SER e impedire la «fuga dei cervelli» dall'Europa. Tuttavia, concentrando queste grandi infrastrutture esclusivamente nei paesi sviluppati sarà possibile attirare, per lo meno a breve termine, ricercatori da tutta Europa. A lungo termine, questi effetti potenzialmente negativi per alcuni paesi possono essere compensati attraverso un'adeguata distribuzione geografica delle ERI e garantendo la massima libertà di accesso possibile a tali strutture.

1.6   Il CESE chiede agli Stati membri di seguire l'iniziativa dell'ESFRI e della Commissione e di stabilire quanto prima le tabelle di marcia nazionali per lo sviluppo e la modernizzazione delle infrastrutture di ricerca.

1.7   Il CESE sostiene la proposta esenzione delle ERI dall'imposta sul valore aggiunto (IVA) e dalle accise, in quanto ciò può contribuire a potenziarne l'attrattiva e arrecare loro un vantaggio competitivo rispetto a progetti analoghi in altre parti del mondo.

1.8   Il CESE raccomanda che la Comunità contribuisca più attivamente al cofinanziamento delle ERI aumentando i fondi dell'ottavo programma quadro per la ricerca e lo sviluppo. In questo modo, facendo leva su una sua partecipazione alla proprietà, la Comunità può garantire una più equilibrata distribuzione geografica delle ERI e assicurare il libero accesso a tali infrastrutture a una cerchia quanto più vasta possibile di ricercatori europei.

1.9   Il CESE raccomanda che nella politica di coesione europea e nei suoi strumenti finanziari — i fondi strutturali — venga data maggiore priorità allo sviluppo di nuove capacità di ricerca e di innovazione. Esorta inoltre la Commissione e gli Stati membri a sviluppare ulteriori strumenti di intervento per incentivare il settore privato a investire di più nell'infrastruttura di ricerca.

1.10   Il CESE richiama l'attenzione sui costi di gestione e manutenzione delle ERI che dovranno essere sostenuti una volta completati gli investimenti iniziali. Questi costi, che possono arrivare annualmente fino al 20 % dell'investimento iniziale, potrebbero compromettere l'idea della libertà di accesso ai ricercatori di paesi non membri. Sarebbe quindi opportuno prevedere anche per questi costi un cofinanziamento da parte dei fondi europei nell'ambito dell'ottavo programma quadro di R&S.

2.   Introduzione

2.1   Lo scopo principale di tutte le misure adottate dalla Comunità dal 2000 in poi in materia di ricerca e sviluppo è stata la creazione di uno Spazio europeo della ricerca (SER) (1). Ma anche se da allora gli Stati membri hanno avviato numerose iniziative in questo settore, sussistono tuttavia numerose barriere nazionali e istituzionali che ostacolano il raggiungimento dell'obiettivo finale, vale a dire l'introduzione della «quinta libertà» in Europa: la libera circolazione delle conoscenze. Uno dei problemi centrali cui è confrontata l'Europa nel settore della scienza e della ricerca è la frammentazione, che le impedisce di sfruttare pienamente il suo potenziale di ricerca.

2.2   Sicuramente un'infrastruttura di ricerca di alto livello rappresenta uno dei pilastri fondamentali per il futuro sviluppo del SER (2) in quanto consente di:

promuovere l'eccellenza scientifica,

svolgere attività di ricerca fondamentale e applicata competitive a livello mondiale,

attirare i migliori ricercatori,

stimolare l'innovazione nell'industria e promuovere il trasferimento di conoscenze

contribuire all'integrazione europea,

generare un maggiore valore aggiunto su scala europea.

2.3   Una delle caratteristiche delle grandi infrastrutture di ricerca europea è il fatto che gli ingenti investimenti e gli alti costi di gestione che comportano, così come la capacità di sfruttarne pienamente le potenzialità, sono spesso al di là della portata dei singoli Stati membri. Ciò significa che molto spesso i centri europei d'eccellenza non riescono a raggiungere la massa critica necessaria. Alcuni soffrono inoltre dell'assenza di un'adeguata rete di contatti e della mancanza di cooperazione. Malgrado queste carenze, in passato l'Europa è riuscita a realizzare una serie di importanti progetti paneuropei di livello mondiale come il CERN, l'ITER, l'EMBO, l'ESA, l'ESRF (3) e altri ancora.

2.4   La proposta di regolamento in esame (COM(2008) 467 def.) fa parte di un insieme di cinque iniziative previste dalla Commissione per il 2008, intese ad accelerare in misura significativa la creazione del SER (4).

2.5   Essa contribuirebbe alla realizzazione degli obiettivi di Lisbona accelerando gli investimenti sia pubblici che privati nella ricerca, che sono ancora ben al di sotto dell'obiettivo del 3 % del PIL fissato per il 2010 (attualmente essi vanno in media dall'1,7 all'1,8 % del PIL). La proposta pone le basi per il necessario consolidamento delle infrastrutture europee di ricerca che potenzierà il SER e rafforzerà la competitività delle imprese europee.

3.   Contesto

3.1   Già nel 2002, il Consiglio europeo, allo scopo di affrontare più efficacemente le numerose sfide relative all'infrastruttura di ricerca, aveva creato l'ESFRI (5), incaricandolo di tracciare una tabella di marcia per lo sviluppo e la costruzione di una nuova generazione di grandi infrastrutture di ricerca di interesse paneuropeo.

3.2   L'ESFRI, in collaborazione con la Commissione e a seguito di vaste consultazioni che hanno coinvolto 1 000 esperti di alto livello, ha individuato 35 progetti (6) paneuropei che soddisferebbero il fabbisogno di infrastrutture di ricerca su larga scala per i prossimi 10-20 anni (7).

3.3   La tabella di marcia da esso elaborata prevede la creazione di nuove infrastrutture di ricerca di importanza fondamentale, di dimensioni e valore diversi, che abbracciano una grande molteplicità di settori: dalle scienze sociali e naturali ai sistemi elettronici per l'archiviazione delle pubblicazioni scientifiche e le banche dati (8). Si stima che il valore complessivo dei progetti superi i 20 miliardi di EUR.

3.4   Nell'individuare i fattori che ostacolano la creazione di infrastrutture di ricerca paneuropee di livello mondiale, l'ESFRI ha messo in luce, oltre alle restrizioni finanziarie e organizzative, la mancanza di un quadro e di strutture giuridiche a livello europeo che consentano di creare partenariati internazionali in modo semplice ed efficace. Attualmente, i soggetti che desiderano collaborare tra loro allo sviluppo di un'infrastruttura di ricerca comune devono prima mettersi d'accordo sulla base giuridica nazionale (9) che intendono utilizzare (o in alternativa ricorrere a un trattato internazionale), il che causa ulteriori problemi amministrativi.

3.5   L'ESFRI ha quindi evidenziato la necessità di elaborare uno specifico quadro giuridico comunitario per la creazione di infrastrutture europee di ricerca (in appresso ERI) che coinvolgano più Stati membri.

3.6   L'espressione «infrastrutture di ricerca» designa oggetti, installazioni, risorse e servizi utilizzati dalla comunità scientifica per svolgere ricerche di alto livello. Sono comprese nella definizione attrezzature scientifiche, risorse cognitive (raccolte scientifiche, archivi, dati scientifici strutturati), infrastrutture basate sulle tecnologie dell'informazione e della comunicazione e qualsiasi altro strumento unico che sia essenziale per garantire l'eccellenza della ricerca. Tali infrastrutture possono essere ubicate in un sol luogo o essere decentrate.

4.   La proposta della Commissione

4.1   Essendo giunta alla conclusione che gli attuali quadri giuridici formati dalle diverse normative nazionali non sono in grado di soddisfare l'esigenza di nuove infrastrutture paneuropee, la Commissione, su iniziativa degli Stati membri, ha elaborato, sulla base dell'articolo 171 del Trattato CE, una proposta di regolamento del Consiglio relativo a un quadro giuridico comunitario per le ERI.

4.2   Scopo principale della normativa proposta è consentire agli Stati membri e ai paesi terzi che partecipano al programma quadro comunitario di ricerca e sviluppo di creare e gestire congiuntamente delle strutture di ricerca di interesse paneuropeo.

4.3   Le ERI sono entità fondate sui loro membri (sono necessari almeno tre Stati membri, cui possono aggiungersi paesi terzi e organizzazioni intergovernative), dotate di personalità giuridica e di piena capacità giuridica in tutti gli Stati membri. Il regolamento stabilisce un quadro che fissa i requisiti e le procedure per la costituzione di un'ERI.

4.4   Le ERI godono dello statuto di organizzazione internazionale ai fini delle direttive sull'IVA, sulle accise e sugli appalti pubblici. Sono quindi esenti dal pagamento dell'IVA e delle accise e nell'aggiudicazione degli appalti pubblici non sono soggette alle disposizioni della direttiva in materia (10).

4.5   Le ERI possono essere cofinanziate dagli strumenti finanziari della politica di coesione conformemente al regolamento del Consiglio recante disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo di coesione (11).

5.   Osservazioni generali

5.1   Il CESE ritiene che il nuovo strumento giuridico proposto, inteso a completare gli strumenti giuridici esistenti, faciliterà e promuoverà il processo decisionale relativo alle nuove infrastrutture di interesse paneuropeo, contribuendo così ad accelerare la realizzazione del SER e il conseguimento degli obiettivi di Lisbona.

5.2   Il CESE accoglie con favore l'impegno chiaro e deciso della Commissione e degli Stati membri ad armonizzare lo sviluppo futuro delle ERI. Soltanto in questo modo sarà possibile attuare la tabella di marcia proposta dall'ESFRI.

5.3   La creazione di nuove infrastrutture di ricerca di livello mondiale può contribuire in modo significativo a migliorare l'attrattiva generale del SER. Queste sono fondamentali per trattenere e motivare di più i 400 000 giovani ricercatori di grande talento necessari per raggiungere l'obiettivo del 3 % del PIL in materia di investimenti nella ricerca e sviluppo. Inoltre, un'infrastruttura di ricerca di livello mondiale può attirare ricercatori dotati e altamente qualificati da altre parti del mondo.

5.4   Dato il carattere estremamente impegnativo dei progetti di infrastrutture di ricerca proposti (12), per i paesi più piccoli e meno sviluppati le possibilità di ospitare o di partecipare alle grandi infrastrutture di ricerca sono, realisticamente parlando, piuttosto limitate. È verosimile che le future grandi infrastrutture saranno ubicate principalmente nei paesi più sviluppati, il che potrebbe accelerare, sul breve periodo, la «fuga dei cervelli» all'interno dell'UE. Sul lungo periodo tuttavia questo squilibrio dovrebbe ridursi, dato che 28 dei 44 progetti previsti riguardano infrastrutture decentrate: in altri termini, infrastrutture articolate in una rete europea di un qualche tipo. Ciò dovrebbe aumentare le possibilità di partecipazione dei paesi più piccoli e meno sviluppati. Per garantirne una partecipazione effettiva, il CESE chiede che venga assicurato ai ricercatori un ampio accesso a tali infrastrutture. È inoltre importante stabilire un buon collegamento tra il personale scientifico, tecnico e amministrativo di queste strutture decentrate.

5.5   Circa il 15 % dei ricercatori attivi negli istituti di ricerca europei collabora con l'industria nell'uso delle infrastrutture di ricerca. La creazione di nuove infrastrutture può quindi generare nuova domanda, comportare numerose ricadute positive e stimolare ulteriormente il trasferimento di conoscenze e tecnologia all'industria. Può inoltre contribuire al conseguimento dell'obiettivo di Barcellona, che prevede di portare gli investimenti privati nella R&S al 2 % del PIL.

5.6   Il piano europeo per la ripresa economica presentato dalla Commissione il 26 novembre 2008 per attenuare l'impatto della crisi finanziaria cita espressamente la R&S. Nell'elenco delle misure a lungo termine enunciate nel piano, la Commissione pone particolarmente l'accento sui cosiddetti «investimenti intelligenti» e chiede agli Stati membri e al settore privato di investire di più nella R&S, nell'innovazione e nell'istruzione. Il CESE sottolinea gli effetti positivi degli investimenti nelle infrastrutture di ricerca, il cui valore commerciale potenziale supera i 10 miliardi di EUR. Essi possono contribuire a preservare molti posti di lavoro nelle imprese che realizzeranno le progettate infrastrutture. Fornirebbero inoltre uno stimolo positivo per accelerare il passaggio alla società della conoscenza.

5.7   La tabella di marcia europea sulle infrastrutture di ricerca costituisce un'ottima base per l'elaborazione delle tabelle di marcia nazionali. Il CESE osserva che alcuni Stati membri non hanno preso con sufficiente serietà queste iniziative. Li invita perciò a cercare di recuperare quanto prima il tempo perduto e a seguire le iniziative dell'ESFRI e della Commissione.

5.8   Nel futuro finanziamento delle infrastrutture di ricerca continueranno a prevalere le fonti di finanziamento degli Stati membri. Per questo è importante coordinarle. Solo così sarà possibile raggiungere la necessaria massa critica, assicurare l'efficacia degli investimenti e garantire un'adeguata specializzazione delle infrastrutture e la loro eccellenza scientifica.

5.9   Malgrado l'incremento dei finanziamenti per le infrastrutture di ricerca previsto dal Settimo programma quadro e le possibilità offerte dalla politica di coesione, il bilancio dell'UE è molto inferiore a quanto è necessario per attuare gli ambiziosi piani stabiliti. Il CESE richiama quindi l'attenzione sulla necessità di rafforzare le sinergie tra il Settimo programma quadro e i fondi strutturali per quanto riguarda il finanziamento dell'infrastruttura di ricerca. Chiede inoltre alla Commissione e agli Stati membri di sviluppare altri strumenti di intervento per incentivare il settore privato a investire maggiormente in quest'ambito. Sarebbe auspicabile anche un maggiore impegno da parte della Banca europea per gli investimenti (BEI) — ad esempio sotto forma di sostegno da parte dello strumento di finanziamento con condivisione dei rischi (RSFF) — e di altre istituzioni finanziarie.

5.10   Il CESE raccomanda inoltre che nella politica europea di coesione e nei relativi strumenti finanziari, vale a dire i fondi strutturali, venga data maggiore priorità allo sviluppo di nuove capacità di ricerca e innovazione. Al tempo stesso, chiede ai governi degli Stati membri di fare fin d'ora maggior uso dei fondi strutturali per aggiornare e ampliare le loro capacità di ricerca. Nei nuovi Stati membri in particolare capita spesso che i finanziamenti europei rimangano inutilizzati a causa della scarsa partecipazione finanziaria dei governi o della scarsa priorità da questi accordata al miglioramento delle capacità di ricerca. Molti ricercatori, così, lasciano per mancanza di opportunità di ricerca il loro paese. Occorre pertanto realizzare progressi in questo settore se si vuole risolvere il problema della «fuga dei cervelli» all'interno dell'Europa.

6.   Osservazioni specifiche

6.1   Il CESE sostiene la proposta esenzione dall'IVA, in quanto tale misura può contribuire in modo significativo a potenziare l'attrazione esercitata dalle ERI conferendo loro al tempo stesso un vantaggio competitivo rispetto a progetti analoghi in altre parti del mondo. Il CESE appoggia perciò l'idea di garantire alle ERI le massime agevolazioni fiscali possibili (compatibilmente con le norme sugli aiuti di Stato). Molte infrastrutture di ricerca esistenti, conformi ai criteri previsti dalla direttiva pertinente per la concessione dello statuto di «organizzazioni internazionali», beneficiano già di un regime di esenzione dall'IVA e dalle accise. La procedura attualmente in vigore a questo fine comporta però negoziati lunghi e complessi e causa ritardi nella creazione dell'infrastruttura e notevole incertezza sia giuridica che finanziaria. Un'esenzione automatica come quella prevista dal regolamento eliminerebbe le principali barriere allo sviluppo e al funzionamento delle infrastrutture di ricerca in Europa.

6.2   Il CESE raccomanda di considerare seriamente la possibilità di una partecipazione più attiva della Comunità al finanziamento delle ERI. Facendo leva su sovvenzioni mirate, infatti, la Comunità può garantire una più equilibrata distribuzione geografica delle ERI e assicurare un migliore accesso ad esse ai paesi che non ne fanno direttamente parte. Per attuare una tale politica occorre però destinarle specifici finanziamenti aggiuntivi nell'ambito dell'ottavo programma quadro di ricerca e sviluppo.

Il CESE ritiene che non vi sia motivo perché l'UE non adotti per le infrastrutture di ricerca lo stesso approccio che applica al cofinanziamento di altre reti infrastrutturali europee (ad esempio strade, ferrovie, line elettriche, gasdotti, ecc.).

Il CESE richiama l'attenzione sul problema dei costi di gestione e di manutenzione da affrontare una volta completati gli investimenti iniziali, che in base ad alcune stime possono arrivare ogni anno fino al 20 % del valore degli investimenti iniziali. Tali costi sono spesso trascurati negli studi di investimento e possono ostacolare il buon funzionamento a lungo termine delle infrastrutture di ricerca. Il CESE raccomanda perciò di prevedere nell'ambito dell'ottavo programma quadro di R&S la possibilità di cofinanziare questi costi con i fondi europei.

6.3.1   Per quanto riguarda le spese di gestione, il CESE raccomanda di considerare come un'«attività economica limitata» ai sensi dell'articolo 2 l'imposizione di un ragionevole canone d'utenza per l'uso congiunto dell'infrastruttura.

6.4   Il CESE sottolinea l'importanza di garantire un libero accesso a tutte le ERI ad una cerchia quanto più vasta possibile di ricercatori e scienziati europei. Non sarebbe giusto restringere in pratica l'accesso ad una data ERI unicamente ai paesi che ne fanno parte o a quelli che sono in grado di pagare. Anche la proposta, avanzata al punto 6.2, di una partecipazione della Comunità alla proprietà faciliterebbe la libertà di accesso contribuendo così a migliorare l'integrazione nel SER.

6.5   Nello sviluppo e utilizzo di infrastrutture di alto livello è anche importante tenere conto della tutela della proprietà intellettuale. I problemi potenziali in questo campo andranno risolti in modo responsabile e in tempo utile.

Bruxelles, 15 gennaio 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Nel 2000 la Commissione ha pubblicato la prima comunicazione in questo settore, intitolata Verso uno Spazio europeo della ricerca.

(2)  Consiglio Competitività (Mercato interno, industria e ricerca), 29-30 maggio 2008.

(3)  CERN — Centro europeo di ricerca nucleare; ITER — Reattore sperimentale termonucleare internazionale; EMBO — Organizzazione europea per la biologia molecolare; ESA — Agenzia spaziale europea; ESRF — Laboratorio europeo delle radiazioni al Sincrotrone.

(4)  Le altre iniziative/politiche sono incentrate sui temi seguenti: la programmazione comune della ricerca, il partenariato europeo per i ricercatori, la gestione della proprietà intellettuale e l'apertura del SER al mondo.

(5)  ESFRI — European Strategy Forum on Research Infrastructures, http://cordis.europa.eu/esfri/home.html.

(6)  European Roadmap for Research Infrastructures, Report 2006 (Tabella di marcia europea per le infrastrutture di ricerca, relazione 2006), cfr. http://cordis.europa.eu/esfri/roadmap.html (disponibile solo in inglese). La tabella, completata nel 2008 con l'aggiunta, in particolare, di progetti nei settori dell'ambiente, della biologia e delle scienze mediche, comprende ora in totale 44 progetti.

(7)  European Roadmap for Research Infrastructures, Report 2006.

(8)  Questi progetti infrastrutturali investono 7 diversi settori scientifici: scienze sociali e umanistiche, scienze ambientali, energia, le scienze biomediche e della vita, scienze dei materiali, astronomia e astrofisica, fisica nucleare e delle particelle, computazione e trattamento dati.

(9)  Ad esempio la societé civile francese, la GmbH tedesca, la limited liability company (Ltd) britannica, o la stichting («fondazione») olandese.

(10)  Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, art. 151, par. 1, lettera b); direttiva 92/12/CEE del Consiglio, del 25 febbraio 1992, relativa al regime generale, alla detenzione, alla circolazione ed ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa, art. 23, par. 1, e direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, art. 15, lettera c).

(11)  Regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio, dell'11 luglio 2006.

(12)  Si stima che in media il valore di una ERI vada dai 500 milioni al miliardo di EUR.


4.8.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 182/44


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente le macchine per l'applicazione di antiparassitari, che modifica la direttiva 2006/42/CE del 17 maggio 2006 relativa alle macchine

COM(2008) 535 def. — 2008/0172 (COD)

(2009/C 182/09)

Relatore unico: JÍROVEC

Il Consiglio, in data 24 settembre 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente le macchine per l'applicazione di antiparassitari, che modifica la direttiva 2006/42/CE del 17 maggio 2006 relativa alle macchine

COM(2008) 535 def. — 2008/0172 (COD).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 gennaio 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore JÍROVEC.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 gennaio 2009, nel corso della 450a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 192 voti favorevoli e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il CESE concorda pienamente con il documento presentato dalla Commissione.

1.2   Il CESE accoglie con favore le modifiche intese ad aumentare la protezione della salute e della sicurezza e a garantire un approccio più rispettoso dell'ambiente nell'utilizzo delle macchine per l'applicazione di antiparassitari in tutta la Comunità e/o nell'intero Spazio economico europeo.

1.3   Le riserve riguardano alcuni aspetti poco chiari riguardanti le conseguenze per l'occupazione negli Stati che non hanno ancora trasposto i requisiti della direttiva nella legislazione nazionale.

2.   Introduzione

2.1   Il Parlamento europeo e il Consiglio hanno riconosciuto, nella decisione che istituisce il 6° programma comunitario di azione in materia di ambiente, la necessità di ridurre ulteriormente gli effetti nocivi degli antiparassitari sulla salute umana e sull'ambiente.

2.2   La Commissione europea ha adottato una strategia tematica e ha presentato una proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in cui tratta dei principali aspetti legislativi della sua attuazione (di seguito «la direttiva quadro»). La strategia tematica fissa cinque grandi obiettivi:

ridurre al minimo i rischi e i pericoli per la salute e l'ambiente derivanti dall'impiego dei pesticidi,

migliorare i controlli sull'uso e la distribuzione dei pesticidi,

sostituire le sostanze più pericolose con alternative più sicure,

incentivare pratiche agricole che comportino un ricorso limitato o nullo a pesticidi,

istituire un sistema trasparente di comunicazione e monitoraggio dei progressi compiuti.

2.3   La direttiva quadro proposta prevede che gli Stati membri istituiscano un sistema di manutenzione e ispezione regolari delle attrezzature in uso, così come indicato nel primo obiettivo della strategia tematica.

3.   Contesto generale

3.1   L'obiettivo della proposta è garantire che le nuove macchine per l'applicazione di antiparassitari non causino inutili danni all'ambiente. A tale scopo, la proposta introduce requisiti essenziali di tutela dell'ambiente supplementari che le nuove macchine per l'applicazione di antiparassitari devono soddisfare per poter essere immesse sul mercato e/o messe in servizio nella Comunità.

3.2   L'armonizzazione dei requisiti è indispensabile per assicurare un alto livello di protezione e garantire nel contempo la libera circolazione di questi prodotti nella Comunità.

3.3   La direttiva in esame abroga la direttiva 98/37/CE ed entrerà in vigore il 29 dicembre 2009.

3.4   La proposta è pienamente coerente con gli obiettivi e le finalità del 6° programma comunitario di azione in materia di ambiente, della strategia dell'Unione europea per uno sviluppo sostenibile, della strategia di Lisbona e della strategia tematica per l'uso sostenibile dei pesticidi.

3.5   La proposta è in linea con l'accordo interistituzionale «Legiferare meglio».

3.6   La proposta si basa sulla comunicazione della Commissione del luglio 2002 Verso una strategia tematica per l'uso sostenibile dei pesticidi, in merito alla quale il CESE aveva dato parere positivo.

3.7   La proposta è la risposta alle valutazioni di impatto effettuate nel quadro della consultazione che hanno confermato, per quanto riguarda le nuove macchine per l'applicazione di antiparassitari, la necessità di stabilire requisiti di tutela dell'ambiente cui esse devono conformarsi per potere essere immesse sul mercato o messe in servizio.

3.8   Nella valutazione di impatto della direttiva vengono affrontati i temi del controllo e della certificazione, definiti in modo più dettagliato, e come soluzione decisiva si propone l'introduzione di un sistema di certificazione obbligatorio delle nuove attrezzature per l'applicazione di antiparassitari a livello comunitario.

3.9   Il consulente esterno (BiPRO) ha analizzato i possibili effetti e prevede che l'armonizzazione di tali requisiti rafforzerà gli standard di protezione ambientale per le nuove macchine. L'aumento dei costi sarà distribuito in modo diseguale, dato che alcuni costruttori già producono macchine rispondenti alle regolamentazioni o ai sistemi di certificazione. L'armonizzazione avrebbe tuttavia il vantaggio di garantire una concorrenza equa sul mercato interno.

4.   Base giuridica

4.1   La proposta introduce nuovi requisiti di tutela dell'ambiente. Questi requisiti essenziali supplementari sono disposizioni obbligatorie intese ad assicurare che i prodotti non causino inutili danni all'ambiente.

4.2   La base giuridica è l'articolo 95 del Trattato CE, che enuncia i principi dell'istituzione del mercato interno. La direttiva garantisce la libera circolazione delle macchine che rientrano nel suo campo d'applicazione.

4.3   È di applicazione il principio di sussidiarietà, in quanto la proposta non rientra nella sfera di competenza esclusiva della Comunità.

4.4   Alcuni Stati membri hanno già introdotto requisiti obbligatori di tutela dell'ambiente e procedure di valutazione della conformità per le attrezzature per l'applicazione di antiparassitari. Altri Stati membri hanno annunciato progetti di regolamentazione. Lasciare che i requisiti siano stabiliti mediante un sistema di certificazione volontario avrebbe la conseguenza di moltiplicare disposizioni e procedure nazionali divergenti, e questo comporterebbe costi inutili per l'industria e ostacoli alla libera circolazione delle merci nella Comunità.

4.5   L'armonizzazione dei requisiti è il solo modo per raggiungere l'obiettivo perseguito di tutela dell'ambiente garantendo un livello equivalente di protezione in tutta la Comunità, la concorrenza equa tra i produttori e la libera circolazione delle merci nel mercato interno.

4.6   La proposta è conforme al principio di sussidiarietà.

4.7   La proposta non va al di là di quanto è necessario per raggiungere il suo obiettivo ed è quindi conforme al principio di proporzionalità di cui all'articolo 5 del Trattato.

4.8   La direttiva è anche intesa a ridurre al minimo l'onere amministrativo gravante sui costruttori di attrezzature per l'applicazione di antiparassitari.

4.9   La proposta è in linea con l'accordo interistituzionale «Legiferare meglio».

4.10   La proposta non ha alcuna incidenza sul bilancio delle Comunità.

4.11   Gli Stati membri sono tenuti a comunicare alla Commissione il testo delle disposizioni nazionali di attuazione della direttiva, nonché una tavola di concordanza tra queste ultime e la direttiva.

4.12   L'atto proposto riguarda una materia di competenza dello Spazio economico europeo e va pertanto esteso ad esso.

5.   Spiegazione

5.1   I requisiti di tutela dell'ambiente sono limitati alle macchine per l'applicazione di antiparassitari e ai rischi per l'ambiente contemplati dai nuovi requisiti essenziali di cui è proposta l'aggiunta nell'allegato I della direttiva.

5.2   L'inclusione della tutela dell'ambiente nella definizione di «requisiti essenziali di sicurezza e tutela della salute» evita la necessità di modificare i numerosi riferimenti ai requisiti essenziali di sicurezza e tutela della salute contenuti nella direttiva.

5.3   L'obiettivo della tutela dell'ambiente è anche menzionato nelle modifiche dell'articolo 4, paragrafo 1, dell'articolo 9, paragrafo 3, e dell'articolo 11, paragrafo 1.

5.4   È previsto l'obbligo per i costruttori di macchine per l'applicazione di antiparassitari di valutare i rischi di danno per l'ambiente.

5.5   La direttiva definisce le macchine per l'applicazione di antiparassitari che rientrano nel suo campo d'applicazione.

5.6   La direttiva definisce i requisiti essenziali per ridurre al minimo i rischi di danno per l'ambiente.

5.7   I requisiti essenziali proposti dovranno essere affiancati da specifiche tecniche definite nelle norme armonizzate per le diverse tipologie di macchine per l'applicazione di antiparassitari. A questo proposito la Commissione darà opportuno mandato agli enti europei di normazione competenti.

Bruxelles, 14 gennaio 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


4.8.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 182/46


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle emissioni degli impianti industriali (prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento) (rifusione)

COM(2007) 844 def. — 2007/0286 (COD)

(2009/C 182/10)

Relatore: BUFFETAUT

Il Consiglio, in data 25 febbraio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 175, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle emissioni degli impianti industriali (prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento) (rifusione)

COM(2007) 844 def. — 2007/0286 (COD).

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 30 ottobre 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore BUFFETAUT.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 gennaio 2009, nel corso della 450a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 152 voti favorevoli, 2 voti contrari e 4 astensioni.

1.   Introduzione

1.1   Il testo in esame viene presentato come una rifusione della direttiva attualmente in vigore. In realtà, esso è più che una semplice revisione o riassetto del testo attuale. La Commissione assicura che questa rifusione si iscrive nella logica di semplificazione dell'iniziativa «Legiferare meglio», affermazione che alcuni contestano. La normativa in esame si prefigge due obiettivi fondamentali:

un obiettivo ambientale — protezione efficace dell'ambiente tramite un approccio integrato che tenga conto dell'insieme dei fattori ambientali — e

un obiettivo economico — armonizzazione di procedure e pratiche per evitare le distorsioni della concorrenza.

2.   Gli obiettivi della Commissione

2.1   Pur dando atto della riduzione delle emissioni avvenuta negli ultimi anni, la Commissione la giudica insufficiente e auspica andare oltre nella lotta alle emissioni inquinanti.

2.2   La direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento (IPPC) riguarda circa 52 000 impianti nell'Unione europea e, malgrado gli sforzi realizzati, le emissioni inquinanti continuano a essere ben al di là degli obiettivi fissati nella strategia tematica sull'inquinamento atmosferico.

2.3   L'inquinamento provocato dalle attività industriali contribuisce in maniera significativa alle conseguenze negative sulla salute e sull'ambiente. Circa l'83 % dell'anidride solforosa, il 34 % degli ossidi di azoto, il 25 % delle emissioni di diossina e il 23 % del mercurio provengono da questi impianti (1). Tali emissioni non interessano soltanto l'atmosfera, ma possono tradursi nel rilascio di sostanze inquinanti nell'acqua e nel suolo. Le attività industriali sono tra le maggiori consumatrici di materie prime, acqua ed energia e contribuiscono alla produzione di rifiuti. L'approccio integrato (IPPC) basato sulla procedura di rilascio delle autorizzazioni da parte dalle autorità nazionali competenti, che disciplina l'emissione di rifiuti da parte delle imprese interessate, rappresenta quindi un valido strumento per ridurre l'inquinamento.

2.4   Per la Commissione, questo approccio deve essere fondato principalmente sull'utilizzo delle migliori tecniche disponibili (Best Available Techniques — BAT): si tratta fondamentalmente di utilizzare le tecniche più efficaci per la protezione dell'ambiente in un dato settore, fermo restando che queste tecniche devono essere disponibili a livello commerciale ed essere economicamente praticabili.

2.5   Per favorire questo approccio, la Commissione organizza uno scambio di informazioni sulle BAT con gli Stati membri e le parti interessate allo scopo di elaborare documenti di riferimento (Reference Documents on Best Available Techniques — BREF) che definiscano ciò che si può considerare la migliore tecnica disponibile a livello comunitario per ciascun settore industriale. Poiché l'Ufficio IPPC ha sede a Siviglia, questo processo viene denominato processo di Siviglia.

2.6   Alcuni settori industriali (ma soltanto alcuni) rientrano inoltre nel campo d'applicazione di direttive settoriali che determinano le condizioni di esercizio e le prescrizioni tecniche considerate come requisito minimo, fissando in particolare anche dei valori limite di emissione per talune sostanze inquinanti e lasciando impregiudicata l'attuazione della direttiva IPPC.

2.7   Al termine di numerosi studi e indagini, la Commissione è giunta alla conclusione che per lottare più efficacemente contro le emissioni industriali occorre rafforzare le disposizioni in vigore. Essa è inoltre dell'avviso che nella legislazione vigente esistano delle lacune che porterebbero a un'attuazione insoddisfacente della direttiva e renderebbero difficile controllarne l'applicazione.

2.8   La Commissione propone quindi di rivedere e fondere in un'unica direttiva (direttiva sulle emissioni industriali) sette direttive distinte, allo scopo di:

rafforzare il concetto di BAT,

rivedere i valori limite di emissione per i grandi impianti di combustione,

istituire un comitato con l'incarico di adattare le prescrizioni tecniche non essenziali al progresso tecnico e scientifico o di definire le relazioni che dovranno presentare gli Stati membri,

introdurre disposizioni in materia di ispezioni,

promuovere l'innovazione e l'introduzione di nuove tecniche,

semplificare e chiarire talune disposizioni relative alla procedura di autorizzazione,

estendere e chiarire il campo d'applicazione della direttiva,

incentivare a tenere conto delle tecniche emergenti.

3.   Considerazioni generali

3.1   I tre principi su cui si basa la direttiva attuale — vale a dire:

approccio integrato all'impatto dell'attività industriale,

utilizzo delle BAT,

possibilità di tener conto delle circostanze locali nel fissare le condizioni per il rilascio delle autorizzazioni,

riscuotono il consenso delle imprese interessate e corrispondono a un approccio globale e sistematico di miglioramento delle prestazioni ambientali dei siti industriali.

3.2   È vero che l'attuazione della direttiva del 1996 presenta differenze da uno Stato membro all'altro, ma va detto anche che essa è stata completata solo di recente (ottobre 2007 per gli impianti esistenti) e che non si dispone del distacco necessario per valutarla pienamente. Secondo la Commissione, tuttavia, dalle valutazioni effettuate su autorizzazioni specifiche e, più in generale, sulle pratiche degli Stati membri emergono numerosi problemi di attuazione, dovuti in particolare alle disposizioni poco chiare della direttiva attuale. Sempre a detta della Commissione, tutte le consultazioni e proiezioni realizzate mostrano che la situazione non migliorerà se non si modifica la legislazione. Va notato peraltro che l'attuazione della legislazione è di competenza degli Stati membri e che l'obbligo di conformità alle condizioni previste dalle autorizzazioni grava sugli impianti interessati.

3.3   L'adozione e la diffusione dei BREF risalgono già al 2001, ma c'è voluto molto tempo per tradurre questi documenti nelle lingue ufficiali dell'Unione europea. È comunque dimostrato dagli studi di attuazione che non tutte le amministrazioni nazionali hanno svolto perfettamente i loro compiti, senza che si possa attribuire la responsabilità dell'attuazione tardiva o incompleta unicamente alle industrie interessate se le condizioni per il rilascio delle autorizzazioni non sono in linea con i BREF. Sarebbe quindi auspicabile ottenere un maggiore riscontro dall'attuazione generalizzata dei BREF su tutto il territorio dell'UE, date le notevoli differenze d'approccio nel loro utilizzo.

3.4   Tutto questo può probabilmente spiegare le disfunzioni rilevate. Ci si può chiedere tuttavia se non sia prematuro intraprendere una riscrittura radicale della direttiva, visto che un certo numero di Stati membri ha rilasciato tardi le autorizzazioni di esercizio agli impianti esistenti, talvolta addirittura dopo la scadenza dei termini fissati dalla direttiva.

3.5   Ma la preoccupazione è lecita, visto che le previsioni degli Stati membri in materia di emissioni lasciano pensare che l'attuazione delle BAT, in particolare nel caso dei grandi impianti di combustione, non consentirà di conseguire gli obiettivi della strategia sull'inquinamento atmosferico.

3.6   In ogni caso, una tale rifusione deve essere intrapresa nel rispetto dei «principi di trasparenza, efficienza economica e in termini di costi, equità e solidarietà nella ripartizione degli sforzi tra gli Stati membri», per riprendere i termini usati dal Consiglio europeo.

4.   Punti che sollevano difficoltà particolari

4.1   Il ruolo dei BREF

4.1.1   Finora i BREF hanno svolto un duplice ruolo:

da un lato, essi sono serviti da parametro di riferimento nella definizione delle tecniche da considerarsi BAT al momento di redigere le autorizzazioni. I BREF sono utilizzati come principale fonte di informazione sulle molteplici possibilità offerte dalle BAT per rispondere alle diverse situazioni specifiche locali. Essi rappresentano il risultato di un approccio multilaterale alla definizione di ciò che si può considerare BAT. Le autorità competenti scelgono lo standard più appropriato tra le tecniche adatte ai diversi tipi di processi,

dall'altro, la loro elaborazione è stata sede di scambi di informazioni sui risultati e l'evoluzione delle tecniche all'interno dell'UE.

Le BAT sono state selezionate in base al fatto che la conformità a questi parametri tecnici non comportava costi tali da minacciare la competitività dell'industria. Tale requisito è implicito nella definizione stessa delle BAT, in quanto, per essere qualificate come tali, queste tecniche «devono essere sviluppate su una scala che ne consenta l’applicazione in condizioni economicamente e tecnicamente valide nell’ambito del pertinente comparto industriale (…) purché il gestore possa avervi accesso a condizioni ragionevoli» (articolo 2, paragrafo 11 della direttiva IPPC, articolo 3, paragrafo 9 della nuova versione). Negli altri casi, ad esempio per le tecniche emergenti non considerate BAT, queste ultime rappresentavano al tempo stesso le buone pratiche e lo stato dell'arte del processo di produzione, fornendo una banca dati dei risultati delle diverse tecnologie e metodi operativi applicati nel ramo industriale interessato.

4.1.2   È importante mantenere la logica attuale: le BAT rappresentano tecniche che consentono, caso per caso, di soddisfare i requisiti normativi e, fra gli altri obiettivi, di controllare le emissioni industriali garantendo la protezione dell'ambiente e tenendo conto al tempo stesso dei costi e dei vantaggi dell'applicazione di tali tecniche. Le normative dal canto loro devono rimanere applicabili a tutti contemporaneamente nell'Unione, onde evitare la confusione generale per quanto riguarda le date di riesame delle autorizzazioni, le date di riesame dei BREF settoriali o il grado di prudenza dei settori interessati. Le BAT devono anche contribuire a ridurre le distorsioni della concorrenza.

4.1.3   Nel quadro del riesame, occorre chiarire il ruolo dei BREF: essi non definiscono i livelli di emissione, ma devono rimanere un punto di riferimento e uno strumento di progresso, consentendo, fra gli altri obiettivi, di rispettare i valori limite di emissione o le norme di qualità ambientale (acqua, aria, suolo) definite altrove. Va ricordato che, come indicato nelle linee guida ai BREF del 2005 (IPPC BREF Outline and Guide), «i BREF non prescrivono tecniche né valori limite di emissione». La definizione dei valori limite di emissione spetta alla politica economica e ambientale dell'UE. Infine, questi strumenti non devono precludere la necessaria flessibilità in funzione delle condizioni locali e tecniche.

4.2   Il processo di Siviglia

4.2.1   Si tratta di un processo aperto e fondato sulla concertazione, quantunque non democratico nel senso stretto del termine. Vi sono rappresentate, o possono esserlo, le tre parti interessate «classiche» — Stati, esperti tecnici e organizzazioni non governative. Si tratta sempre però di un processo «verticale», con pochi scambi tra rami industriali. I redattori dei BREF si avvicendano ed è raro (nel caso della Commissione e gli Stati membri) che siano le stesse persone a redigere versione successive dei BREF o BREF di settori diversi. Ciò comporta una perdita di conoscenze e di know-how per quanto riguarda le tecniche utilizzate nell'affrontare talune sostanze del tipo «mortale» (NOx, CO, CO2, ecc.) o globale (SOx, metalli, polveri), che dovrebbero essere comunicate al Forum per lo scambio di informazioni (Information Exchange Forum — IEF). Il processo di Siviglia ha tuttavia il merito di valutare periodicamente i risultati registrati dai settori industriali. Un maggiore coinvolgimento offrirebbe agli Stati membri l'opportunità di migliorarne il funzionamento: potrebbero infatti apportarvi i dati raccolti in occasione delle ispezioni che hanno l'obbligo di effettuare.

4.3   Il riesame delle autorizzazioni

4.3.1   Un impianto può rientrare nel campo d'applicazione di più BREF contemporaneamente. Bisogna dunque assicurarsi che il riesame periodico dei BREF e la frequenza del riesame delle autorizzazioni, che possono tradursi in una modifica delle disposizioni, siano compatibili con i cicli di ammortamento degli impianti. Anche in questo caso, l'unica soluzione adatta è una regolamentazione/programmazione di tipo legislativo. Le tecniche emergenti vi troveranno tanto più facilmente impiego se le sfide saranno state precisate in anticipo. Allo stesso modo, una BAT sarà tanto più efficace quanto più seguirà l'evoluzione delle tecniche: appare tuttavia impensabile di imporre modifiche negli investimenti con la stessa frequenza con cui vengono riesaminati i BREF. Spetta dunque al legislatore europeo stabilire uno scadenzario coerente, alla luce dei risultati ottenuti e dei progressi tecnici: questo compito non può infatti essere delegato al processo di Siviglia.

4.4   Il concetto di tecnica emergente

Il nuovo testo introduce il concetto di tecnica emergente. Ciò che contraddistingue una tecnica emergente è la necessità di essere testata in un contesto industriale reale: essa può infatti apparire promettente in laboratorio o persino in impianti pilota, ma rivelarsi poi insoddisfacente nel normale utilizzo. Bisogna dunque assicurarsi che sia chiaro che l'introduzione di questo concetto nel testo è da intendersi come uno strumento per stimolare l'innovazione al fine di testare tecniche nuove, e non come un preludio alla definizione di nuovi riferimenti.

4.5   Approccio integrato

Il nuovo testo mantiene il principio dell'adeguamento al contesto locale e alle specifiche condizioni di esercizio e sceglie di procedere per deroghe. Questo sistema, pur lasciando alle autorità competenti una certa flessibilità per tenere conto di condizioni specifiche, è più rigido del precedente. È importante che la definizione delle BAT sia il frutto di una discussione autentica e trasparente tra le amministrazioni locali e nazionali e le industrie interessate.

4.6   Integrazione delle direttive settoriali

Bisognerà vigilare affinché l'integrazione non dia luogo a un testo particolarmente gravoso e complesso, andando così nel senso opposto all'obiettivo di semplificazione perseguito. L'integrazione delle direttive settoriali nella proposta di direttiva in esame varia piuttosto sensibilmente da una direttiva all'altra, principalmente per quanto riguarda i valori limite di emissione, la ragione principale essendo quella di avvicinare i valori limite di emissione ai valori ottenuti dalle BAT. Chiarezza e coerenza, sia per gli Stati membri che per gli operatori interessati, devono rimanere un obiettivo essenziale di tale integrazione, che consente anche di diminuire gli oneri amministrativi inutili.

4.7   Procedura di comitato, IEF e Ufficio IPPC di Siviglia

La proposta di direttiva in esame propone un maggiore ricorso alla procedura di comitato, in particolare nella definizione dei criteri di deroga ai BREF. Quale sarà quindi il ruolo delle parti interessate? E quale ruolo verrà attributo all'IEF e all'Ufficio IPPC di Siviglia? C'è da temere che in futuro l'industria europea sarà sempre più restia a fornire all'Ufficio IPPC informazioni pertinenti sulle BAT, mentre fino a oggi tale collaborazione era stata accolta unanimemente come un successo europeo. Inoltre, la procedura di comitato è una procedura piuttosto opaca, generalmente poco apprezzata dal Parlamento europeo. Il suo uso dovrebbe quindi essere circoscritto alla modifica di elementi secondari della legislazione.

4.8   Protezione del suolo

Il nuovo testo prevede l'obbligo di ripristino delle condizioni esistenti sul sito prima dell'avvio dell'impianto. La grande diversità dei suoli europei presuppone l'applicazione del principio di sussidiarietà, con un maggiore margine di manovra per le autorità nazionali. L'opzione migliore sembra essere quindi quella di bonificare il sito creando condizioni che corrispondano al previsto uso futuro.

4.9   Pubblicazione delle relazioni

Il testo prevede che entro due mesi dal termine delle ispezioni le autorità pubblichino la relativa relazione. Si tratta di un termine troppo breve: è opportuno infatti dare all'industriale interessato tempo a sufficienza per presentare le sue osservazioni e definire un piano d'azione ed è inoltre opportuno che questi elementi siano resi pubblici.

4.10   Applicazione della direttiva

La data prevista per l'applicazione della direttiva (gennaio 2016) appare troppo ravvicinata alla luce dell'esperienza dell'attuazione della direttiva IPPC vigente. Inoltre, attualmente è in via di elaborazione una serie di progetti di direttive europee la cui applicazione è prevista per il 2020 (riesame della direttiva sui limiti nazionali di emissione, attuazione del green package agreement). Per il 2020 è inoltre fissata anche la definizione dei nuovi obiettivi del protocollo di Göteborg, in via di revisione presso la Commissione economica per l'Europa dell'ONU a Ginevra.

Sarebbe più coerente armonizzare la proposta di direttiva con le altre norme ambientali proponendo il 2020, anziché il 2016, come data di attuazione.

5.   Conclusione

5.1   Se è vero che la direttiva IPPC è stata attuata in modo insoddisfacente, va detto anche che sarebbe opportuno impegnarsi quanto più possibile con gli Stati membri e le altre parti interessate per migliorare rapidamente la qualità dell'attuazione della direttiva attuale affinché questa possa servire da fondamento concreto per la rifusione, prevista nella comunicazione della Commissione e nel piano d'azione 2008-2010 sull'attuazione della legislazione relativa alle emissioni industriali. La revisione del testo dovrebbe essere finalizzata al conseguimento di obiettivi di efficacia ambientale ed economica, trasparenza, concertazione con i soggetti interessati, equilibrio tra costi e benefici, e rispetto dei principi di equità e solidarietà nella ripartizione degli sforzi tra gli Stati membri.

5.2   La rete IMPEL potrebbe contribuire a migliorare l'attuazione della direttiva attuale, mentre una traduzione ufficiale dei documenti BREF nelle lingue dell'Unione dovrebbe concorrere a migliorare la comprensione di questi ultimi e quindi la loro applicazione a livello nazionale. Bisognerebbe inoltre adoperarsi, in collaborazione con l'Ufficio IPPC di Siviglia, per evitare che nei BREF siano inserite opinioni divergenti che intacchino la coerenza e la pertinenza di questi documenti a livello europeo.

Bruxelles, 14 gennaio 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  SEC(2007) 1679.


4.8.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 182/50


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica dei regolamenti (CE) n. 549/2004, (CE) n. 550/2004, (CE) n. 551/2004 e (CE) n. 552/2004 al fine di migliorare il funzionamento e la sostenibilità del sistema aeronautico europeo

COM(2008) 388 def. — 2008/0127 (COD)

e alla

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 216/2008 per quanto riguarda gli aeroporti, la gestione del traffico aereo e i servizi di navigazione aerea e abroga la direttiva 2006/23/CE del Consiglio

COM(2008) 390 def. — 2008/0128 (COD)

(2009/C 182/11)

Relatore: KRAWCZYK

Il Consiglio europeo, rispettivamente in data 4 settembre 2008 e 18 luglio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 80, paragrafo 2, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica dei regolamenti (CE) n. 549/2004, (CE) n. 550/2004, (CE) n. 551/2004 e (CE) n. 552/2004 al fine di migliorare il funzionamento e la sostenibilità del sistema aeronautico europeo

COM(2008) 388 def. — 2008/0127 (COD) e alla

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 216/2008 per quanto riguarda gli aeroporti, la gestione del traffico aereo e i servizi di navigazione aerea e abroga la direttiva 2006/23/CE del Consiglio

COM(2008) 390 def. — 2008/0128 (COD).

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 novembre 2008 sulla base del progetto predisposto dal relatore KRAWCZYK.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 15 gennaio 2009, nel corso della 450a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 131 voti favorevoli e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   L'attuazione rapida e completa del Cielo unico europeo (SES), basato sulla proposta della Commissione, è un importantissimo passo avanti strategico verso l'ulteriore integrazione europea e il rafforzamento del mercato comune europeo, e contribuisce altresì a rafforzare la coesione sociale e la mobilità sociale in Europa.

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione, che considera un'importante mossa verso l'effettiva attuazione del Cielo unico europeo. Questo pacchetto, noto come Cielo unico europeo II (SES II) affronta molti dei punti deboli riscontrati durante l'attuazione del primo pacchetto sul Cielo unico europeo (SES I), adottato nel 2004.

1.2.1   È importante quindi che la proposta legislativa sul SES II non subisca ritardi; per tale motivo il CESE invita il legislatore UE a raggiungere un accordo definitivo entro il marzo 2009. E per conseguire gli obiettivi del Cielo unico europeo è indispensabile che il legislatore UE (Consiglio e Parlamento) non indebolisca le proposte avanzate dalla Commissione in questo ambito.

1.3   Parallelamente alla crescita del traffico aereo occorre soprattutto migliorare le prescrizioni in materia di sicurezza.

1.4   Il CESE in particolare sostiene fortemente:

le proposte relative al quadro di monitoraggio delle prestazioni e agli obiettivi prestazionali vincolanti, a condizione che le prestazioni siano valutate in base a quattro parametri fondamentali: la sicurezza (safety), la capacità, l'ambiente e l'efficacia dei costi,

l'ampliamento delle competenze dell'Agenzia europea per la sicurezza aerea (AESA), mediante l'inclusione della sicurezza degli aeroporti e della gestione del traffico aereo (ATM)/servizi di navigazione aerea,

il riconoscimento dell'importanza del fattore umano nella sicurezza aerea,

ulteriori azioni intese a migliorare il grado di competenza del personale incaricato della sicurezza, l'applicazione di una «cultura giusta»,

la riformulazione dell'art. 5 del regolamento sulla fornitura di servizi di navigazione aerea, soppresso nel quadro della proposta SES II, per consentire un'estensione del sistema delle licenze a tutto il personale incaricato della sicurezza e in primo luogo ai tecnici e agli informatici della navigazione (ATSEP).

la fissazione del 2012 come termine ultimo per l'attuazione dei blocchi funzionali di spazio aereo,

il rafforzamento del SESAR e dei suoi metodi di finanziamento,

il rafforzamento della funzione di gestione della rete europea,

la riforma di Eurocontrol,

il riconoscimento dei limiti delle capacità aeroportuali,

la modifica dell'art. 18 bis: il CESE non è contrario alla realizzazione di uno studio, purché quest'ultimo non sia esplicitamente finalizzato all'apertura dei servizi ausiliari di gestione del traffico aereo (ATM) alla concorrenza.

1.5   L'ottimizzazione della gestione del traffico aereo europeo, grazie all'attuazione di SES II, contribuirà ampiamente a ridurre le emissioni di CO2 del settore del trasporto aereo. Rotte più brevi possono infatti comportare un risparmio di quasi 5 milioni di tonnellate di CO2 all'anno. E una migliore gestione del traffico aereo e delle operazioni aeroportuali potrebbe ridurre le emissioni anche del 12 % per un volo medio, con un risparmio complessivo di 16 milioni di tonnellate di CO2 all'anno.

1.6   Benché SES II goda generalmente di un ampio sostegno da parte dei soggetti interessati, vi è una forte necessità di ulteriori consultazioni sui regolamenti di attuazione dopo l'approvazione di SES II. Tali consultazioni dovrebbero svolgersi a ciascun livello di attuazione di SES II (UE, nazionale e regionale) e tra i partner/soggetti interessati sociali e/o industriali.

1.7   Dall'attuazione di SES II deriveranno una serie di vantaggi per i cittadini e i consumatori, ad esempio in termini di:

innalzamento dei livelli di sicurezza,

riduzione dei tempi di viaggio,

miglioramento di servizi/prestazioni compresa una maggiore affidabilità e una migliore prevedibilità degli orari, con una conseguente riduzione del numero di coincidenze perse per i passeggeri in transito,

tariffe più basse, a seguito dei minori costi per le compagnie aeree,

riduzione delle impronte personali di carbonio.

2.   Introduzione

2.1   L'adozione, da parte del Parlamento europeo e del Consiglio, del regolamento (CE) n. 549/2004 che stabilisce i principi generali per l'istituzione del Cielo unico europeo (1), del regolamento (CE) n. 550/2004 sulla fornitura di servizi di navigazione aerea nel Cielo unico europeo (2), del regolamento (CE) n. 551/2004 sull'organizzazione e l'uso dello spazio aereo nel Cielo unico europeo (3), e del regolamento (CE) n. 552/2004 sull'interoperabilità della rete europea di gestione del traffico aereo (4) (gli elementi costitutivi del primo pacchetto della normativa sul Cielo unico europeo) ha creato una solida base legislativa per un sistema di gestione del traffico aereo, a livello europeo, privo di discontinuità, interoperabile e sicuro. Il CESE si è pronunciato sul regolamento iniziale in un parere del 2002 (TEN/080 Programma d'azione/Cielo unico europeo e TEN/098 Creazione del Cielo unico europeo).

2.2   Il massiccio aumento della domanda di trasporto aereo esercita una continua pressione sulla capacità delle infrastrutture: con gli attuali 28 000 voli giornalieri operati da 4 700 aerei commerciali, gli aeroporti e la gestione del traffico aereo stanno toccando il loro limite. L'allargamento dell'UE, insieme con un'attiva politica di vicinato, ha esteso il mercato dell'aviazione europeo a 37 paesi con oltre 500 milioni di cittadini (5).

2.3   La frammentazione della gestione del traffico aereo impedisce un uso ottimale delle capacità esistenti e comporta un inutile onere finanziario di circa 1 miliardo di euro per l'aviazione (in media, gli aeromobili volano 49 km in più del necessario). Nel 2007, a causa delle inefficienze nella gestione dei voli, sono stati percorsi 468 milioni di chilometri in più, che si sono tradotti in 2,4 miliardi di euro di costi supplementari per l'industria del trasporto aereo. I ritardi dovuti a problemi di gestione del flusso di traffico aereo sono stati pari a 21,5 milioni di minuti che hanno rappresentato ulteriori 1,3 miliardi di euro di inutili costi per le compagnie aeree e, di conseguenza, per i loro clienti.

2.4   In risposta alla pressante domanda proveniente dall'industria, dagli Stati membri e da altri soggetti interessati, che chiedono la semplificazione e il miglioramento dell'efficacia del quadro normativo per l'aviazione in Europa, nel luglio 2007 il Gruppo ad alto livello per il futuro quadro normativo per la navigazione aerea in Europa ha presentato una relazione contenente una serie di raccomandazioni sulle modalità con cui migliorare il funzionamento e la gestione del sistema aeronautico europeo. Tale relazione e le relazioni della commissione per la valutazione dei risultati di Eurocontrol hanno confermato che è opportuno che la rete europea di gestione del traffico aereo (EATMN) sia progettata e realizzata con particolare attenzione all'efficienza, alla sicurezza e alla sostenibilità ambientale dell'intera rete di trasporto aereo a livello europeo.

2.5   Nel dicembre 2007 l'AESA ha inviato alla Commissione il parere relativo agli aeroporti, seguito da quello sulla gestione del traffico aereo e sui servizi di navigazione nell'aprile 2008. Dalla consultazione è emerso un ampio consenso a favore del completamento del processo avviato nel 2002, con l'aggiunta degli aspetti di sicurezza degli aeroporti, dell'ATM e dei servizi di navigazione aerea (air navigation services — ANS).

2.6   La comunicazione della Commissione europea Cielo unico europeo II: verso un trasporto aereo più sostenibile ed efficiente e l'intero pacchetto (COM(2008) 388 def., COM(2008) 389 def., COM(2008) 390 def.) sono stati pubblicati il 25 giugno 2008.

3.   La proposta della Commissione (SES II)

3.1   Per completare la costruzione del Cielo unico europeo è necessario adottare ulteriori provvedimenti a livello comunitario, per migliorare il funzionamento del sistema aeronautico europeo in settori critici, quali la sicurezza, la capacità, l'efficacia delle operazioni di volo, la redditività e l'impatto ambientale, nel rispetto degli obiettivi imperativi di sicurezza.

Il Cielo unico europeo II (SES II) si fonda su quattro pilastri:

Primo pilastro — istituzione di un sistema di regolamentazione delle prestazioni

a)

Migliorare le prestazioni del sistema ATM istituendo un organo indipendente per la valutazione delle prestazioni che segua e controlli le prestazioni del sistema. Tale organo stabilisce gli indicatori di prestazione nelle varie aree e propone obiettivi generali, validi per tutta la Comunità (per es. ritardi, riduzione dei costi, accorciamento delle rotte). La Commissione approva gli obiettivi prestazionali e li comunica alle autorità nazionali di vigilanza. Gli obiettivi concordati sono vincolanti;

b)

agevolare l'integrazione della fornitura dei servizi mediante il sostegno della Commissione alla creazione di blocchi funzionali di spazio aereo, fissando termini perentori per la loro l'attuazione (non oltre la fine del 2012), estendendo il campo di applicazione dello spazio aereo inferiore fino all'aeroporto ed eliminando gli ostacoli giuridici e istituzionali esistenti a livello nazionale;

c)

rafforzare la funzione di gestione della rete mediante una serie di compiti — esercitati da vari soggetti — fra i quali: configurazione della rete delle rotte europee, gestione di risorse limitate, gestione dei flussi di traffico e gestione dell'introduzione delle tecnologie SESAR e acquisto degli elementi costitutivi dell'infrastruttura paneuropea.

Secondo pilastro — quadro normativo unico per la sicurezza

Le competenze dell'AESA si sono progressivamente estese dal 2002 fino a comprendere l'aeronavigabilità, l'esercizio degli aeromobili e la concessione delle licenze al personale di volo. In base a tale approccio, la Commissione propone di allargare le competenze dell'Agenzia agli altri settori fondamentali per la sicurezza: la sicurezza degli aeroporti e la gestione del traffico aereo/servizi di navigazione aerea.

Terzo pilastro SESAR — aspetto tecnologico e operativo del SES

L'Europa deve accelerare lo sviluppo del suo sistema ATM per rispondere adeguatamente alle sfide e assicurare che il sistema venga attuato in modo sincronizzato a terra e sugli aeromobili. Il sistema SESAR dovrà moltiplicare per dieci i livelli di sicurezza ottenendo una capacità di gestione del traffico tre volte superiore, per un costo, per ciascun volo, inferiore alla metà del costo attuale. Nel 2006 il CESE ha elaborato un parere (TEN/232) in cui appoggia pienamente l'attuazione di SESAR.

Quarto pilastro — gestione delle capacità a terra

Il quarto pilastro comporterà un miglior utilizzo delle infrastrutture esistenti, una migliore pianificazione delle infrastrutture, la promozione dell'intermodalità e il miglioramento dell'accesso agli aeroporti e l'istituzione di un Osservatorio comunitario sulla capacità aeroportuale.

4.   Osservazioni particolari

Il CESE sostiene fortemente il sistema di prestazioni proposto per i prestatori di servizi di navigazione aerea (rif. art. 11).

4.1.1   Il CESE accoglie con grande favore il sistema di prestazioni proposto (art. 11 del regolamento quadro) e ne sostiene la creazione in quanto strumento per garantire un più elevato livello di prestazioni. Per conseguire gli obiettivi del Cielo unico europeo è però indispensabile che il legislatore UE (Consiglio e Parlamento) non indebolisca le proposte avanzate dalla Commissione in questo ambito.

4.1.2   Il CESE sostiene la proposta relativa a un sistema di prestazioni (art. 11 del regolamento quadro), a condizione che le prestazioni siano valutate in base a quattro criteri fondamentali che sono, in ordine di priorità: la sicurezza (safety), la capacità, l'ambiente e l'efficacia dei costi.

4.1.3   Vista l'importanza di garantire coerenza tra gli obiettivi nazionali/regionali e gli obiettivi a livello della rete, per la Commissione è essenziale procedere all'approvazione dei piani nazionali (regionali) di miglioramento delle prestazioni. Ciò richiederà altresì un efficace ed efficiente processo di consultazione a livello europeo, regionale e nazionale, per assicurare che gli obiettivi e le finalità dei singoli prestatori di servizi di navigazione aerea siano compatibili e complementari rispetto agli obiettivi del SES.

4.1.4   Il CESE ritiene che l'attenzione debba essere inizialmente incentrata sulla sicurezza, l'efficienza dei voli (ambiente), l'efficacia dei costi e la capacità (ritardi), prima di passare ad analizzare gli altri ambiti. La definizione degli obiettivi deve basarsi, tra l'altro, su un giusto equilibrio tra i diversi indicatori di prestazione, che riflettono la diversità delle operazioni svolte in tutta Europa.

4.1.5   Il CESE è dell'avviso che gli obiettivi di sicurezza possano essere fissati e conseguiti soltanto dopo aver introdotto, in tutti gli Stati europei, sistemi di gestione della sicurezza e di segnalazione degli inconvenienti/incidenti. Tuttavia, a causa dei diversi sistemi giuridici in vigore in Europa, i dati attualmente disponibili risultano incompleti. Occorre pertanto diffondere una «cultura giusta» nell'insieme degli Stati membri, per assicurare la diffusione di un sistema di segnalazione dei problemi di sicurezza aperto e completo.

4.1.6   Il CESE giudica necessaria l'istituzione di un organo di valutazione delle prestazioni, realmente indipendente e dotato di risorse adeguate, con il compito di monitorare e valutare le prestazioni del sistema, che riferisca direttamente alla Commissione europea e preveda una procedura di ricorso.

4.1.7   Il CESE desidera sottolineare che l'organo di valutazione delle prestazioni e le autorità nazionali di vigilanza (NSA) devono essere indipendenti e separati (in termini di gestione, ubicazione e personale) dalle organizzazioni le cui prestazioni sono valutate. Tale indipendenza è parte integrante della credibilità del processo di verifica.

4.2   Sicurezza/AESA

4.2.1   Il CESE appoggia decisamente l'estensione delle competenze dell'AESA alla gestione del traffico aereo (ATM) e alla regolamentazione della sicurezza degli aeroporti, per garantire lo sviluppo, sul territorio europeo, di una strategia integrata in materia di sicurezza. È essenziale che il legislatore non ritardi l'ampliamento di tali competenze. Ciò è indispensabile specie per assicurare un'efficace attuazione del piano di modernizzazione SESAR, che renderà necessaria una forte integrazione dei sistemi aerei e terrestri.

4.2.2   È imperativo che le norme di sicurezza dell'AESA si fondino su una valutazione d'impatto della regolamentazione accettabile e che le istituzioni europee assicurino la disponibilità di finanziamenti pubblici sufficienti a garantire che l'AESA possa acquisire le competenze necessarie per svolgere queste funzioni aggiuntive.

4.2.3   Il CESE invita gli Stati membri dell'UE ad assicurare che venga posta in essere una tabella di marcia per la graduale soppressione delle attività di regolamentazione della sicurezza di Eurocontrol (SRC/SRU) e per il loro trasferimento all'AESA. Eurocontrol sarà chiamato a svolgere un ruolo particolarmente significativo durante il processo di transizione all'AESA, ma una volta che questa avrà acquisito le competenze necessarie, non vi sarà più alcun bisogno di mantenere le risorse presso Eurocontrol e pertanto sarà necessario introdurre una clausola di temporaneità per l'insieme delle attività SRU/SRC di Eurocontrol. A questo proposito, il CESE desidera segnalare il modello utilizzato per le JAA (Autorità aeronautiche comuni) (relazione FUJA approvata da tutti i DGCA (direttori generali dell'aviazione civile) della CEAC (Conferenza europea dell'aviazione civile), che si è rivelato particolarmente utile e potrebbe quindi essere esteso anche alle funzioni SRC/SRU di Eurocontrol.

4.2.4   Il CESE ritiene che la diffusione di una «cultura giusta» debba costituire un aspetto centrale del pacchetto, compresa l'attuazione dei sistemi di gestione della sicurezza e di segnalazione degli inconvenienti/incidenti. La diffusione uniforme di una «cultura giusta», come confermato dal gruppo ad alto livello, è la necessaria premessa per la disponibilità di statistiche sulla sicurezza. Ciò consentirà al sistema di prestazioni proposto di stabilire obiettivi in materia di sicurezza e di valutare, secondo criteri affidabili, i risultati conseguiti in tale ambito.

4.2.5   Il CESE invita il Consiglio e il Parlamento a riformulare l'articolo 5 del regolamento sulla fornitura dei servizi di navigazione aerea, soppresso nel quadro della proposta SES II, per consentire un'estensione del sistema delle licenze a tutto il personale responsabile della sicurezza e in primo luogo agli ATSEP.

4.3   Cultura giusta, fattori umani e competenza del personale

4.3.1   Il CESE si rammarica che la legislazione proposta non preveda un quinto pilastro relativo alla cultura giusta, ai fattori umani e alla competenza del personale. La gestione del traffico aereo e i servizi di navigazione aerea, infatti, resteranno ancora per lungo tempo fortemente dipendenti dai fattori umani, che sono pertanto strettamente connessi con il mantenimento e il rafforzamento del livello di sicurezza aerea. È quindi opportuno prestare particolare attenzione alla competenza del personale responsabile della sicurezza.

4.4   Blocchi funzionali di spazio aereo (FAB)

4.4.1   Il CESE sostiene con vigore la necessità di introdurre una data vincolante, corrispondente alla fine del 2012, entro la quale tutti gli Stati membri dovranno attuare blocchi funzionali di spazio aereo conformi a specifici obiettivi di prestazioni; nel primo pacchetto, infatti, non essendo prevista alcuna scadenza, non era stato attuato nessun FAB.

4.4.2   In quest'ottica, è indispensabile che i ministeri dei Trasporti e della Difesa sfruttino pienamente le potenzialità dei blocchi funzionali di spazio aereo (FAB), attraverso un maggiore coordinamento a livello civile-militare e militare-militare in materia di gestione del traffico aereo e il consolidamento dei servizi e delle infrastrutture di ATM.

Il CESE sostiene l'ampliamento della definizione dei FAB e il calendario per il loro sviluppo. Inoltre, giudica importante l'adozione di provvedimenti volti a rimuovere gli ostacoli che si frappongono, a livello nazionale, all'attuazione dei FAB, e che interessano, tra l'altro, i seguenti aspetti: sovranità, responsabilità e piena integrazione delle forze armate. Occorre comunque promuovere un approccio dal basso verso l'alto, che figura tra i principi che sottendono l'attuazione dei FAB.

4.4.3.1   Tenendo conto di tali aspetti, il CESE si rammarica del fatto che la Commissione non abbia dato seguito alle raccomandazioni dei Gruppi ad alto livello concernenti l'istituzione di un coordinatore del sistema aeronautico per sostenere lo sviluppo dei FAB.

4.4.4   Il CESE desidera sottolineare che per conseguire gli obiettivi di efficacia dei costi occorre certamente ridurre il numero di prestatori di servizi nel settore della gestione del traffico aereo in Europa. Per realizzare un Cielo unico europeo efficace sotto il profilo dei costi, occorrerà, infatti, adeguare rigorosamente i Centri di controllo di area (ACC) in Europa alle esigenze operative, prescindendo dai confini nazionali. Inoltre, per centrare gli obiettivi concernenti le prestazioni, è opportuno sviluppare un sistema di cooperazione rafforzata tra prestatori.

4.4.5   Dagli sviluppi tecnologici, combinati con una riduzione del numero di prestatori di servizi e di ACC, ci si può attendere un aumento della produttività dei sistemi di gestione del traffico aereo. L'evoluzione tecnologica (ad esempio, il telelavoro) e il fatto che l'aviazione in Europa è uno dei settori di crescita contribuiranno ad attenuare gran parte dell'impatto, comprese le conseguenze di tipo sociale.

4.4.6   Secondo le norme del SES i prestatori di servizi di navigazione aerea (ANSP) hanno l'obbligo di predisporre, per tutti i servizi forniti, piani di emergenza da attuare nel caso in cui si verifichino eventi suscettibili di compromettere o impedire l'erogazione di tali servizi. Attualmente tutti gli ANSP riproducono l'infrastruttura attuale degli ACC. Il CESE sottolinea l'importanza per gli ANSP di orientarsi verso soluzioni più efficienti ed efficaci in termini di costi, valutando innanzitutto le soluzioni di ripiego nell'ambito delle infrastrutture nazionali esistenti (altri ACC o strutture militari), e di anticipare le disposizioni relative allo sviluppo dei FAB, per far fronte a tali emergenze.

4.4.7   Il CESE ribadisce l'importanza del dialogo sociale a livello di UE e di FAB, nel momento in cui viene gestita la transizione.

4.5   Tariffe di rotta e progetti comuni/SESAR

4.5.1   Il CESE riconosce le difficoltà esistenti in materia di finanziamento di nuove tecnologie e programmi di sostegno. La mancanza di adeguati meccanismi di finanziamento costituisce un rischio per l'introduzione del primo pacchetto di attuazione di SESAR e per le successive fasi di diffusione di SESAR. Pertanto, il CESE desidera sottolineare la necessità per le istituzioni UE di erogare finanziamenti ponte a sostegno dell'attuazione del SESAR. Si tratta di un elemento importante per poter sostenere i costi di transizione verso il nuovo sistema SESAR. Il CESE, peraltro, sostiene fortemente il progetto SESAR fin dall'inizio.

4.5.2   Il CESE non condivide il ricorso alle tariffe per prefinanziare i progetti comuni, come proposto nell'emendamento all'articolo 15 del regolamento sulla prestazione di servizi, che continua a prevedere la possibilità di utilizzare le tariffe di rotta per finanziare progetti comuni volti ad «assistere categorie specifiche di utenti dello spazio aereo e/o fornitori di servizi di navigazione aerea, al fine di migliorare le infrastrutture collettive della navigazione aerea …».

4.5.3   Il CESE accoglie con favore i nuovi concetti operativi descritti nel piano di modernizzazione ATM SESAR, in quanto rappresentano un'integrazione di tipo tecnico/operativo al SES, risultante dalla fase di definizione di SESAR. Desidera sottolineare tuttavia che occorrerà lavorare ancora molto durante la prossima fase di SESAR e nell'ambito dell'impresa comune per la realizzazione del sistema SESAR. Pertanto, accoglie con favore la decisione del Consiglio di avviare la fase di sviluppo di SESAR. Sottolinea inoltre come sia importante che la prossima fase di SESAR rimanga orientata agli utenti e produca rapidamente effetti benefici.

4.5.4   Il CESE approva la proposta della Commissione di non ammettere sovvenzioni trasversali tra i servizi ATM di rotta e i servizi presso i terminal. Tuttavia, si rammarica che la Commissione non abbia proposto un divieto totale delle sovvenzioni trasversali tra i servizi di navigazione aerea. Infatti, poiché le sovvenzioni trasversali in generale provocano una distorsione della concorrenza, il problema non può essere circoscritto al caso delle sovvenzioni trasversali tra servizi di rotta e servizi presso i terminal, ma interessa anche i casi in cui esse si verificano tra una qualsiasi di tali categorie, in particolare tra servizi presso i terminal in aeroporti diversi.

4.6   Regolamento sullo spazio aereo e funzione di gestione della rete

4.6.1   Il CESE sostiene fortemente la necessità di una solida gestione e progettazione della rete europea, con particolare attenzione ai seguenti aspetti: progettazione delle rotte, coordinamento e assegnazione di risorse scarse (frequenze radio e codici dei transponder radar), funzioni supplementari della rete, in base alle definizioni contenute nel piano di modernizzazione ATM. Il CESE desidera inoltre attirare l'attenzione sulla necessità di applicare alle funzioni di gestione della rete il principio consistente nell'assicurare la chiara separazione tra fornitura di servizi e attività di regolamentazione; le funzioni di fornitura di servizi devono essere svolte dall'industria.

4.6.2   È indispensabile che queste funzioni siano svolte a livello europeo, indipendentemente dagli interessi specifici dei singoli prestatori di servizi di navigazione aerea. In particolare, la mancanza di una strategia paneuropea ha impedito di ottimizzare gli itinerari, con conseguenti inutili consumi di carburante e danni ambientali che avrebbero potuto essere evitati.

4.6.3   Per il CESE non è chiara la necessità di adottare le norme di attuazione che comprendono la coerenza tra i piani di volo e le bande orarie presso gli aeroporti e il necessario coordinamento con le regioni adiacenti. Se l'obiettivo della Commissione è porre fine agli abusi osservati in relazione alle attuali norme relative all'utilizzo delle bande orarie, obiettivo che incontra peraltro il favore del CESE, allora basterebbe intervenire nell'ambito del quadro normativo esistente.

4.7   Riforma di Eurocontrol

4.7.1   Il Comitato desidera sottolineare l'importanza della riforma di Eurocontrol, in accordo con il testo della comunicazione («La riforma interna di questa organizzazione deve allineare le sue strutture di governance con il Cielo unico europeo allo scopo di (i) soddisfare i requisiti per l'esercizio di funzioni relative alla rete e (ii) intensificare la partecipazione del settore in sintonia con la politica comune dei trasporti»).

4.7.2   Il CESE reputa che Eurocontrol possa continuare a fornire consulenza specialistica all'UE anche se c'è bisogno di una maggiore trasparenza riguardo al ruolo e ai criteri di finanziamento di tale organismo. Le funzioni governative, in particolare, devono essere finanziate con fondi pubblici. La ricerca a lungo termine (oltre il 2020), ad esempio, deve essere interamente finanziata mediante fondi pubblici piuttosto che attraverso le tariffe di rotta.

4.7.3   Il CESE è dell'avviso che, laddove possibile, per quanto riguarda i compiti di fornitura di servizi (ad es.: Centro sperimentale, Istituto per i servizi di navigazione aerea) Eurocontrol debba competere con altri prestatori di servizi, secondo i principi del mercato e senza ricorrere alle sovvenzioni dal bilancio generale di Eurocontrol o alle tariffe di rotta ATM.

4.8   La carenza di capacità aeroportuale è un rischio riconosciuto per quanto riguarda il conseguimento dei futuri obiettivi di prestazione. A questo proposito, il CESE accoglie con favore il riconoscimento dell'importanza della capacità aeroportuale e il relativo inserimento tra i quattro pilastri del SES II e, in particolare, la necessità di allineare tale capacità con quella in materia di gestione del traffico aereo.

4.9   Servizi ausiliari di gestione del traffico aereo

4.9.1   Se da un lato la necessità di fornire servizi ausiliari di gestione del traffico aereo è fuori discussione, dall'altro è comunque importante tener conto del fatto che tali servizi hanno attualmente costi significativi. A titolo di esempio, i costi annui per i servizi meteorologici di rotta ammontano a circa 300 milioni di euro, una cifra piuttosto esorbitante.

4.9.2   Il CESE chiede una modifica dell'articolo 18 bis che implica, in futuro, una ristrutturazione del settore e un'apertura di taluni servizi alle leggi del mercato; non è contrario alla realizzazione di uno studio, purché quest'ultimo non sia esplicitamente finalizzato all'apertura di questi servizi alla concorrenza; ricorda che questo settore della gestione del traffico aereo ha come obiettivo primario quello di assicurare la sicurezza aerea.

La consapevolezza dell'urgenza tra le parti interessate crea un ambiente favorevole all'attuazione dei cambiamenti.

4.10.1   Subito dopo l'approvazione di SES II, la Commissione europea dovrebbe presentare una tabella di marcia relativa alle prossime azioni da intraprendere.

4.10.2   Poiché SES II comporta anche una serie di cambiamenti di mentalità e di cultura, il gruppo di gestione del progetto dovrebbe comprendere anche esperti qualificati in materia di gestione dei cambiamenti. Se verrà attuato con successo, SES II fornirà, per le prossime generazioni, una serie di soluzioni sostenibili per la gestione del traffico aereo.

Bruxelles, 15 gennaio 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  GU L 96 del 31.3.2004, pag. 1.

(2)  GU L 96 del 31.3.2004, pag. 10.

(3)  GU L 96 del 31.3.2004, pag. 20.

(4)  GU L 96 del 31.3.2004, pag. 26.

(5)  Diversi Stati confinanti hanno deciso di entrare a far parte dello Spazio aereo comune europeo per promuovere la crescita e l'occupazione.


4.8.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 182/56


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 717/2007 relativo al roaming sulle reti mobili pubbliche all'interno della Comunità e la direttiva 2002/21/CE che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica

COM(2008) 580 def. — 2008/0187 (COD)

(2009/C 182/12)

Relatore generale: HENCKS

Il Consiglio, in data 6 novembre 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 717/2007 relativo al roaming sulle reti mobili pubbliche all'interno della Comunità e la direttiva 2002/21/CE che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica

COM(2008) 580 def. — 2008/0187 (COD).

L'Ufficio di presidenza del Comitato, in data 21 ottobre 2008, ha incaricato la sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 450a sessione plenaria del 15 gennaio 2009, ha nominato relatore generale HENCKS e ha adottato il seguente parere con 132 voti favorevoli e 1 voto contrario.

1.   Conclusioni

1.1   L'obiettivo dichiarato del regolamento (CE) n. 717/2007, ovvero garantire che gli utenti delle reti di telefonia mobile non debbano pagare prezzi eccessivi per i servizi di roaming intracomunitario quando effettuano o ricevono chiamate, è stato complessivamente raggiunto, poiché 400 milioni di consumatori beneficiano ormai degli effetti dell'eurotariffa.

1.2   Secondo la Commissione, tuttavia, l'andamento delle tariffe per i servizi vocali di roaming intracomunitario a partire dall'entrata in vigore del suddetto regolamento non fa prevedere che dopo il 2010, in assenza di una regolamentazione, l'esercizio della concorrenza nel mercato al dettaglio e all'ingrosso potrà essere duraturo. Le tariffe al dettaglio e all'ingrosso non si discostano infatti sufficientemente dai limiti massimi fissati dal regolamento per consentire una sana concorrenza.

1.3   Pertanto, onde continuare a garantire che ai consumatori non vengano imposte tariffe eccessive per i servizi di invio e ricezione di chiamate in roaming regolamentate, la Commissione propone essenzialmente di:

prorogare la validità del regolamento (CE) n. 717/2007 fino al 30 giugno 2013,

continuare ad abbassare, durante il periodo di proroga, le tariffe massime al minuto delle chiamate, nell'ordine di 0,03 euro l'anno,

fissare delle tariffe massime di roaming per gli SMS (all'ingrosso e al dettaglio) e per la trasmissione di dati (all'ingrosso).

1.4   Il CESE approva le nuove riduzioni delle tariffe massime per le chiamate vocali in roaming, che ritiene proporzionate e adeguate.

1.5   Dà anche la propria approvazione all'introduzione sia di un'eurotariffa massima per il prezzo degli SMS al dettaglio, sia di un massimale per i prezzi all'ingrosso.

1.6   Per quel che riguarda i servizi di trasmissione di dati in roaming, il CESE si rammarica che la proposta di riduzione delle tariffe riguardi unicamente i servizi per la trasmissione all'ingrosso, visto che anche le tariffe al dettaglio sono eccessive a causa della mancanza di una pressione concorrenziale sufficiente.

1.7   Infine, il CESE reputa assolutamente necessario rafforzare il diritto di accesso dei consumatori alle informazioni per accrescere il loro livello di tutela e il grado di trasparenza delle tariffe applicate.

2.   Antefatto

2.1   Il Consiglio europeo del 23 e 24 marzo 2006 ha concluso che politiche mirate, efficaci e integrate nei settori della tecnologia dell'informazione e della comunicazione, a livello europeo come a livello nazionale, sono essenziali per raggiungere gli obiettivi in materia di crescita economica e produttività della strategia di Lisbona riveduta e, in questo contesto, ha sottolineato l'importanza di ridurre i costi del traffico telefonico mobile transfrontaliero.

2.2   In precedenza, la Commissione aveva espresso più volte la sua preoccupazione per le tariffe al dettaglio eccessive che gli utenti delle reti pubbliche di comunicazione mobile erano costretti a pagare per utilizzare il cellulare in un altro paese della Comunità (tariffe di roaming), imputabili ai prezzi elevati praticati all'ingrosso dall'operatore straniero della rete ospitante nonché, in numerosi casi, ai forti ricarichi applicati al dettaglio dall'operatore di rete dell'utente.

2.3   Il quadro normativo per le comunicazioni elettroniche del 2002 non fornisce alle autorità nazionali di regolamentazione uno strumento sufficiente per poter adottare misure efficaci contro le tariffe eccessive di roaming intracomunitario.

2.4   Alla luce della situazione, l'Unione europea, conformemente all'articolo 95 del Trattato CE, è intervenuta nel mercato mediante un regolamento (1), con cui fissava per il periodo compreso dall'1.9.2007 al 30.9.2010:

la tariffa massima al minuto all'ingrosso e

un'eurotariffa massima per il mercato al dettaglio,

che gli operatori di telefonia mobile possono addebitare per la prestazione di servizi di roaming intracomunitario per chiamate vocali effettuate a partire da e verso destinazioni all'interno della Comunità.

2.5   Nel suo parere in materia (2) il CESE ha approvato l'iniziativa, affermando che la proposta risulta necessaria e proporzionata e accresce il livello di tutela dei consumatori, in particolare ampliando il diritto di questi ultimi ad accedere alle informazioni attraverso l'adozione di misure di trasparenza e tutelandone gli interessi economici grazie all'introduzione di massimali tariffari per la prestazione di servizi di roaming per le chiamate vocali tra gli Stati membri.

2.6   Prendendo a sua volta posizione, il Parlamento europeo ha approvato il fatto che l'approccio comune sia istituito per un periodo di tempo limitato, ma ha chiesto che esso possa essere prorogato o modificato alla luce dei risultati della verifica della Commissione, prevista entro il 3 dicembre 2008, la quale dovrebbe esaminare altresì l'impatto del suddetto regolamento sui piccoli fornitori di telefonia mobile nella Comunità e sulla loro posizione nel mercato del roaming intracomunitario.

2.7   Dal momento che, oltre alla telefonia vocale, stanno guadagnando sempre più terreno i nuovi servizi di trasmissione mobile di dati, il Parlamento europeo aveva invitato la Commissione europea a monitorare gli sviluppi di mercato dei suddetti servizi di roaming intracomunitario, inclusi i messaggi SMS (short message service) e MMS (multimedia messaging service).

3.   La proposta della Commissione

3.1   La proposta di regolamento oggetto del parere è basata su una comunicazione (3) relativa all'esito della verifica del funzionamento del regolamento (CE) n. 717/2007 e su due documenti di lavoro (4) della Commissione.

3.2   Secondo tali documenti, i prezzi al dettaglio e all'ingrosso delle chiamate vocali in roaming non variano a sufficienza — al di sotto dei livelli massimi fissati dal regolamento (CE) n. 717/2007 — per poter consentire una sana concorrenza.

3.3   In termini di introiti, i servizi per la trasmissione di SMS e dati in roaming rappresentano rispettivamente il 12,3 % e l'8,6 % del mercato complessivo del roaming. Lo scorso anno, le tariffe per la trasmissione di SMS in roaming hanno mostrato in generale variazioni limitate, nonostante la pressione esercitata sugli operatori affinché le riducessero, onde evitare una regolamentazione ufficiale.

3.4   Pertanto, poiché il regolamento (CE) n. 717/2007 non ha portato a una sana concorrenza e dato che si rivela impossibile rilanciare la concorrenza aumentando il numero di operatori alternativi per la scarsità delle frequenze disponibili, la Commissione si è vista costretta a proporre di:

prorogare la validità del regolamento attuale di ulteriori tre anni oltre il 30 giugno 2010,

fissare, per la durata della proroga, nuovi limiti massimi per le tariffe applicabili alle chiamate vocali in roaming dagli operatori di telefonia mobile,

specificare le disposizioni in materia di fatturazione al secondo,

anticipare la data prevista per l'abbassamento dei massimali tariffari per le chiamate in roaming dal 30 agosto 2009 al 1o luglio 2009,

estendere il campo di applicazione del regolamento (CE) n. 717/2007 ai servizi di trasmissione intracomunitaria di SMS in roaming,

fissare limiti massimi per le tariffe all'ingrosso applicabili ai servizi di trasmissione di dati in roaming, nonché creare un clima di trasparenza e introdurre meccanismi di salvaguardia,

incoraggiare la trasparenza tariffaria.

4.   Osservazioni specifiche

4.1   Nel suo parere sul regolamento (CE) n. 717/2007, il CESE aveva approvato senza riserve l'obiettivo della Commissione di ridurre le tariffe di roaming fino al 70 %, con un risparmio per i consumatori pari a circa 5 miliardi di euro.

4.2   Grazie alla proposta in esame che prevede un ulteriore abbassamento dei prezzi massimi, come illustrato nella seguente tabella, tale obiettivo sarà superato per quanto concerne le chiamate in entrata (–76 %), mentre per le chiamate in uscita la riduzione totale sarà pari al 55,8 %.

Euro/min. (IVA esclusa)

Prezzo all'ingrosso

Diff. %

Prezzo al dettaglio MOC  (5)

Diff. %

Prezzo al dettaglio MTC  (6)

Diff. %

Prezzo medio prima dell' 1.9.2007

 

 

0,7692

 

0,417

 

 

 

 

 

 

 

 

Regolamento (CE) n. 717/2007

 

 

 

 

 

 

Prezzo massimo 1.9.2007-31.8.2008

0,30

 

0,49

 

0,24

 

Prezzo massimo 1.9.2008-30.6.2009 (7)

0,28

6,67

0,46

6,12

0,22

8,33

Prezzo massimo 1.7.2009 (7)-30.6.2010

0,26

7,14

0,43

6,52

0,19

13,64

 

 

 

 

 

 

 

Proposta di regolamento COM(2008) 580 def.

 

 

 

 

 

 

Prezzo massimo 1.7.2010-30.6.2011

0,23

11,54

0,40

6,98

0,16

15,79

Prezzo massimo 1.7.2011-30.6.2012

0,20

13,04

0,37

7,50

0,13

18,75

Prezzo massimo 1.7.2012-30.6.2013

0,17

15,00

0,34

8,11

0,10

23,75

 

 

 

 

 

 

 

Riduzione totale

 

 

0,4292

55,79

0,317

76,01

4.3   Il CESE approva le nuove misure e si congratula con la Commissione per la sua iniziativa, necessaria e adeguata, che inoltre rafforza il diritto di accesso dei consumatori alle informazioni, accrescendo così il loro livello di tutela e il grado di trasparenza delle tariffe applicate.

4.4   Il CESE rileva con compiacimento che, secondo le informazioni fornite dalla Commissione, le riduzioni tariffarie conseguenti all'entrata in vigore del regolamento (CE) n. 717/2007 non hanno comportato né una perdita di posti di lavoro, né un peggioramento delle condizioni lavorative nel settore.

4.5   Nei suoi documenti d'analisi, la Commissione distingue tra due diverse formule di pagamento dei servizi vocali e SMS, ovvero la carta ricaricabile e l'abbonamento. Tale differenza, tuttavia, non viene poi presa in considerazione nella struttura tariffaria fissata o proposta dalla Commissione, sebbene per gli operatori le due tipologie di contratto apportino un valore economico aggiunto notevolmente diverso.

4.6   Inoltre, il CESE ritiene che la richiesta del Parlamento europeo di esaminare l'impatto del regolamento sui piccoli operatori di telefonia mobile nella Comunità e sulla loro posizione nel mercato del roaming intracomunitario sia stata solo vagamente considerata.

4.7   Nel suo parere sul regolamento (CE) n. 717/2007, il CESE aveva espresso il timore che l'attuazione dello stesso potesse comportare un adeguamento delle tariffe di telefonia mobile nazionali, vale a dire che alcuni operatori potessero, in determinate circostanze, tentare di recuperare i costi sostenuti aumentando le entrate generate da altri servizi.

4.8   Ora, la Commissione afferma di non aver constatato, successivamente all'entrata in vigore dei primi massimali regolamentati, alcun aumento delle tariffe nazionali imputabile specificamente al regolamento (CE) n. 717/2007. Occorre tuttavia constatare che certi operatori hanno applicato una forte maggiorazione delle tariffe per i servizi in roaming internazionale a partire da o verso paesi terzi che sfuggono alla competenza della Commissione o delle autorità di regolamentazione nazionali.

4.9   Per quanto concerne la fatturazione della durata delle chiamate, sebbene le tariffe massime al dettaglio fissate dal regolamento siano espresse al minuto, la soluzione sostenuta dalla Commissione consisteva nel consentire agli operatori di applicare una tariffa di connessione pari al massimo ai primi 30 secondi di telefonata in roaming, seguita poi da una fatturazione al secondo.

4.10   Molti operatori hanno tuttavia mantenuto le loro pratiche usuali o persino modificato la struttura tariffaria, fatturando per una durata superiore a 30 secondi, fino a 60 secondi. Si è osservato che la durata fatturata per le chiamate in uscita supera in media del 24 % la durata effettiva.

4.11   La nuova proposta della Commissione prevede che, a partire dal 1o luglio 2009, per tutte le chiamate in roaming regolamentate, sia in entrata che in uscita, si applichi una tariffa calcolata al secondo, con la possibilità tuttavia di applicare un periodo iniziale minimo non superiore a 30 secondi. Questo periodo di fatturazione di 30 secondi è motivato dal fatto che tutte le chiamate, indipendentemente dalla loro durata, richiedono l'impiego di notevoli infrastrutture tecniche.

4.12   Tale deroga alla regola generale di fatturazione al secondo vale esclusivamente per le chiamate in uscita, sebbene anche le chiamate in entrata richiedano notevoli infrastrutture tecniche.

4.13   La proposta della Commissione anticipa dal 30 agosto al 1o luglio 2009 la data prevista per l'abbassamento dei massimali tariffari all'ingrosso e al dettaglio per le chiamate in roaming, affinché gli utenti possano beneficiare delle nuove tariffe nel periodo di maggiore richiesta di questi servizi. Ciò presuppone che il regolamento oggetto del parere entri in vigore al più presto.

4.14   La proposta in esame introduce, a decorrere dal 1o luglio 2009 fino al 30 giugno 2013, un'eurotariffa per SMS che non può superare 0,11 euro e un massimale per i prezzi all'ingrosso di 0,04 euro.

4.15   Per quanto concerne i servizi di trasmissione dati in roaming, la proposta della Commissione non prevede, in questa fase, una regolamentazione del livello della tariffa al dettaglio, ma fissa una tariffa media all'ingrosso di 1 EUR/MB a partire dal 1o luglio 2009. Eppure la stessa Commissione constata, nei considerando della proposta di regolamento in esame, il livello elevato delle tariffe al dettaglio per i servizi di trasmissione dati in roaming e il livello insufficiente di concorrenza in questo mercato, e definisce tale situazione preoccupante, tanto più che a suo avviso la trasparenza tariffaria lascia a desiderare.

4.16   In tali circostanze il CESE nutre forti dubbi che il ricorso ad altri mezzi per accedere ai servizi di trasmissione dati, come l'accesso pubblico senza fili a Internet, possa esercitare la pressione concorrenziale necessaria. Sarebbe stato preferibile che la Commissione intervenisse contemporaneamente anche sulle tariffe di questo mercato.

4.17   La proposta prevede inoltre l'introduzione di un meccanismo di interruzione del servizio quando si raggiunge l'importo liberamente scelto dal cliente, nonché l'invio di un messaggio automatico di avvertimento all'approssimarsi di tale limite.

4.18   Ora, un tale approccio, per quanto pertinente, oltre a non essere in linea con l'obiettivo di trasparenza e di orientamento delle tariffe in funzione dei costi, pone notevoli problemi tecnici e comporta il rischio di un blocco del servizio se il cliente non ha la possibilità di elevare, mediante una semplice operazione, il limite che egli stesso ha fissato. Il CESE si rammarica pertanto che tali aspetti non siano stati affrontati nell'ambito della valutazione d'impatto.

4.19   La proposta della Commissione intende anche promuovere la trasparenza delle tariffe estendendo ai fornitori di telefonia mobile l'obbligo di offrire alla clientela che utilizza i loro servizi in roaming informazioni personalizzate in merito alle tariffe quando questi entrano in un altro Stato membro, comprese le informazioni sul costo di trasmissione di SMS e dati in roaming.

4.20   Il CESE approva tale misura, ma ribadisce che occorrerà evitare l'invio ripetuto di messaggi d'informazione ad ogni attraversamento di frontiera e che, inoltre, sarà necessario vigilare sulla chiarezza e comprensibilità di queste informazioni tariffarie e sulla loro comparabilità con offerte alternative.

Bruxelles, 15 gennaio 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Regolamento (CE) n. 717/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2007, relativo al roaming sulle reti pubbliche di telefonia mobile all'interno della Comunità e che modifica la direttiva 2002/21/CE.

(2)  Relatore: Hernández Bataller, GU C 324 del 30.12.2006, pag. 42.

(3)  COM(2008) 579 def.

(4)  SEC(2008) 2489 e SEC(2008) 2490.

(5)  MOC = mobile originating call/chiamata in uscita.

(6)  MTC = mobile terminal call/chiamata in entrata.

(7)  La Commissione propone di anticipare di 2 mesi la data inizialmente fissata al 30 agosto 2009.


4.8.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 182/60


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Far fronte alle sfide petrolifere

(2009/C 182/13)

Relatore generale: OSBORN

Il Parlamento europeo, in data 21 novembre 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema:

Far fronte alle sfide petrolifere.

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 12 novembre 2008, ha incaricato la sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 450a sessione plenaria del 14 gennaio 2009, ha nominato relatore generale OSBORN e ha adottato il seguente parere con 140 voti favorevoli, 6 voti contrari e 2 astensioni.

1.   Sintesi e conclusioni

1.1   I due fattori cruciali che plasmeranno il futuro dell'industria petrolifera nei prossimi decenni sono:

l'accelerazione dei cambiamenti climatici, dovuta in larga misura all'aumento delle emissioni di CO2 prodotte dalla combustione di fonti fossili di energia,

il carattere limitato delle riserve globali e il progressivo aumento delle difficoltà tecniche e politiche di ottenere un accesso sicuro e agevole alle riserve rimaste.

1.2   L'interazione di questi due fattori sta oggi portando il mondo in una posizione sempre più instabile, dato che l'aumento delle emissioni di carbonio accelera i cambiamenti climatici e l'aumento del consumo di petrolio ci avvicina al punto in cui i vincoli di approvvigionamento potrebbero condurre a situazioni critiche di scarsità di energia e a gravi perturbazioni dell'economia.

1.3   Il solo modo efficace di uscire dalla crisi dei cambiamenti climatici sarà avviare e gestire una rapida trasformazione della base energetica dell'economia mondiale, ponendo fine all'attuale eccessiva dipendenza dall'utilizzo di combustibili fossili. È infatti necessario che la domanda mondiale di petrolio cessi di crescere nel giro di qualche anno per poi diminuire costantemente fino a raggiungere, alla metà del secolo, livelli molto inferiori a quelli attuali. Questa sfida è particolarmente pressante per l'Europa, data l'ampiezza della sua dipendenza dalle importazioni di petrolio.

1.4   I nuovi giacimenti di petrolio diventano più rari, e il loro sfruttamento comporta spesso problemi politici e ambientali. Il mondo in generale (e l'Europa in particolare) sarà più prospero e più sicuro se si riuscirà a ridurne la dipendenza dal petrolio.

1.5   Entro il 2050 la domanda europea dovrebbe ridursi almeno del 50 %, e probabilmente di una percentuale ancora maggiore.

1.6   Il mercato non può realizzare da solo questa necessaria trasformazione volta a superare la dipendenza dal petrolio.

1.7   Le misure fiscali intese a spingere in alto il prezzo del petrolio (1) (e degli altri combustibili fossili) rispetto a quello delle altre fonti di energia attraverso le tasse sulle emissioni di carbonio o sul greggio oppure i sistemi di scambio di quote di emissione possono svolgere un ruolo importante e andrebbero sviluppate ulteriormente. Sono, però, necessarie anche misure di altro tipo, differenziate per settore.

1.8   Il sistema europeo di scambio delle quote di emissione andrebbe sviluppato in modo tale da consentire la fissazione di un prezzo minimo del carbonio che garantisca al mercato una maggiore certezza. Tale prezzo dovrebbe poi essere aumentato costantemente nei prossimi tre decenni, in modo da esercitare una pressione di mercato sempre più forte sugli operatori di ogni tipo che li spinga a diversificare, abbandonando i combustibili fossili.

1.9   Nel settore dei trasporti i cambiamenti fondamentali necessari sono:

una pianificazione urbana e degli altri insediamenti nel territorio che riduca, ove possibile, la lunghezza e la durata degli spostamenti,

un continuo miglioramento dell'efficienza energetica e delle prestazioni — in termini di emissioni di carbonio — di aerei, navi, treni e veicoli stradali di ogni tipo,

una politica tesa a privilegiare:

il trasporto ferroviario piuttosto che quello aereo,

i trasporti pubblici piuttosto che quelli privati,

l'uso dei veicoli elettrici o alimentati a idrogeno piuttosto che di quelli a combustione interna,

gli spostamenti in bicicletta e a piedi, ovunque ciò sia possibile.

1.10   Nelle abitazioni e negli altri edifici l'utilizzo del petrolio (e degli altri combustibili fossili) per il riscaldamento, il condizionamento e la cottura degli alimenti dovrà essere gradualmente sostituito dall'elettricità ricavata da fonti di energia «verde».

1.11   Nella produzione di energia bisogna ampliare il più rapidamente possibile l'uso di fonti rinnovabili. Ancora per molti anni, tuttavia, i combustibili fossili rimarranno inevitabilmente la fonte principale per la produzione di energia, ed è quindi essenziale sviluppare e applicare il più rapidamente possibile le tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio. L'uso del petrolio come combustibile per la produzione di energia dovrebbe diminuire, ma, nelle centrali dove si utilizza ancora tale combustibile, andrebbe applicata la tecnologia per la cattura della CO2 come per il carbone.

1.12   In alcuni paesi, una nuova generazione di centrali nucleari potrebbe contribuire ad agevolare la transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio. Tuttavia, si deve evitare che gli investimenti in questo settore distolgano risorse e attenzione politica dallo sviluppo di fonti rinnovabili di energia.

1.13   L'Unione europea e i suoi Stati membri hanno iniziato presto a svolgere un ruolo guida nell'indirizzare le politiche verso la giusta direzione per tutte queste questioni, ma adesso devono spingersi più in là e agire più rapidamente. Inoltre, devono cercare di ottenere un impegno simile anche da parte di altri paesi sviluppati del mondo, e dedicare notevoli risorse finanziarie a promuovere analoghi sforzi da parte dei paesi in via di sviluppo.

1.14   La società civile deve essere coinvolta molto più estesamente e sistematicamente nel processo di sensibilizzazione ai cambiamenti necessari e di accettazione degli stessi, in particolare per quanto riguarda i cambiamenti che incidono sugli stili di vita e sui comportamenti.

1.15   In futuro l'industria petrolifera mondiale sarà posta di fronte a una doppia sfida:

aiutare il mondo ad adattarsi a situazioni di costante diminuzione della dipendenza dal petrolio,

applicare le enormi risorse di cui dispone in termini di conoscenza, competenza specifica e mezzi finanziari per assumere (o aiutare altri ad assumere) un ruolo di pioniere delle nuove tecnologie applicate ai combustibili non fossili.

2.   Le emissioni di carbonio e i cambiamenti climatici

2.1   Il rischio di devastanti cambiamenti climatici indotti dall'aumento delle emissioni di gas a effetto serra (Greenhouse Gases — GHG) è una delle sfide più imponenti che attendono il mondo nel 21° secolo.

2.2   Il Comitato intergovernativo sui cambiamenti climatici (Intergovernmental Panel on Climate Change — IPCC) ha stabilito che, se si vuol limitare l'aumento della temperatura globale causato dalle emissioni dei GHG a non più di 2 °C rispetto ai livelli preindustriali, bisognerà che entro 5-10 anni le emissioni di CO2 cessino di aumentare e che in seguito diminuiscano costantemente entro il 2050 in misura compresa tra il 50 % e l'85 % rispetto ai livelli del 2000.

2.3   Tutto ciò esigerà una radicale trasformazione degli attuali modelli di consumo e di produzione in tutto il mondo — un cambiamento di portata paragonabile a quella di una nuova rivoluzione industriale. Le riduzioni del livello delle emissioni derivanti dalla combustione del petrolio dovranno contribuire alla riduzione generale delle emissioni di carbonio. Sarebbe utile stabilire un percorso o parametro di riferimento ampiamente concordato per la progressiva riduzione della domanda globale di petrolio per i prossimi quattro decenni, e, in tale contesto, stabilire un percorso specifico per l'Europa. Entro il 2050 il consumo europeo di petrolio deve essere ridotto almeno del 50 %, e probabilmente di una quota molto maggiore.

2.4   Oggi l'andamento del consumo globale di petrolio continua ad essere contrassegnato, anno dopo anno, da una crescita ormai dovuta principalmente alla rapida espansione della domanda nelle economie emergenti. Benché in Europa la domanda sia ormai prossima a stabilizzarsi, non siamo ancora entrati in quella fase discendente che sarà necessaria.

2.5   Il tipo di misure ora adottate in Europa nell'ambito del pacchetto energetico costituisce un primo passo, ma secondo il Comitato la Commissione dovrà presto proporre un secondo pacchetto volto a conseguire il giusto livello di riduzione della domanda.

2.6   La domanda europea di petrolio rappresenta solo meno del 20 % di quella globale. Sarà quindi altrettanto importante assicurarsi, nell'ambito dei negoziati in corso sulla lotta ai cambiamenti climatici, che gli altri paesi sviluppati e i paesi emergenti assumano analoghi impegni a ridurre la propria domanda.

3.   L'offerta di petrolio

3.1   Le risorse petrolifere mondiali sono limitate e non potranno durare per sempre. Nel mondo vengono tuttora scoperti nuovi giacimenti di petrolio, ma si tratta perlopiù di riserve di minore entità e più difficili da sfruttare, talora situate in regioni del mondo politicamente instabili od ostili. Questi nuovi giacimenti potrebbero quindi essere più costosi da sfruttare.

3.2   Alcuni dei nuovi giacimenti sono situati in zone particolarmente vulnerabili sul piano ambientale, come l'Artico. Altri, come le sabbie bituminose del Canada, saranno più difficili da sfruttare, e il solo processo di estrazione produrrà maggiori emissioni di CO2. Sarebbe opportuno evitare, ove possibile, di utilizzare tali riserve, o almeno di rinviarne l'utilizzo fino a quando sarà possibile adottare sistemi migliori di protezione dell'ambiente e di cattura del carbonio.

3.3   Per quanto concerne l'approvvigionamento di petrolio, l'Europa si trova a dover affrontare dei problemi particolari. In Europa, infatti, le riserve petrolifere si stanno esaurendo, e l'Europa sta diventando sempre più dipendente dalle importazioni, che rappresentano ormai oltre l'80 % del suo approvvigionamento.

3.4   In futuro la posizione dell'Europa potrebbe diventare più difficile. Le riserve di petrolio potrebbero diventare meno prontamente disponibili, o esserlo solo a prezzi molto più elevati. La volatilità dell'offerta e dei prezzi potrebbe inoltre diventare più frequente.

3.5   Il rischio che si verifichino questi problemi «dal lato dell'offerta» rende ancor più importante per l'Europa compiere rapidi progressi per ridurre la sua dipendenza dal petrolio. Prima riusciremo a ridurre la domanda generale e a diversificarla orientandoci verso altre e più prontamente disponibili fonti di energia, maggiori saranno la nostra indipendenza e la nostra sicurezza e maggiore sarà la nostra capacità di esercitare pressioni sui paesi terzi affinché facciano la loro parte per ridurre la domanda e lottare così contro i cambiamenti climatici.

4.   Cosa è necessario fare? — Uscire dalla dipendenza dal petrolio

4.1   Il petrolio viene usato principalmente nel settore dei trasporti, ma quote significative vengono usate anche per il riscaldamento domestico e la cottura dei cibi, per il riscaldamento e il condizionamento di edifici non residenziali, per la produzione di energia e come materia prima per l'industria petrolchimica. In tutti questi settori sarà necessario ridurre o eliminare il più rapidamente possibile la dipendenza dal petrolio.

4.2   Il settore dei trasporti: sono necessari tre cambiamenti

una pianificazione urbana e degli altri insediamenti nel territorio che riduca, ove possibile, la lunghezza e la durata degli spostamenti,

un continuo miglioramento dell'efficienza energetica nonché delle prestazioni — in termini di emissioni di carbonio — di aerei, navi, treni e veicoli stradali di ogni tipo,

una politica tesa a privilegiare:

il trasporto ferroviario piuttosto che quello aereo,

i trasporti pubblici piuttosto che quelli privati,

l'uso dei veicoli elettrici o alimentati a idrogeno piuttosto che di quelli a combustione interna,

gli spostamenti in bicicletta e a piedi, ovunque ciò sia possibile.

4.3   Per usi essenziali, il settore del trasporto aereo può dover continuare ad essere un consumatore privilegiato di petrolio almeno per i prossimi due o tre decenni. Tuttavia, esso dovrebbe migliorare il più possibile la propria efficienza energetica, mentre, laddove possibile, l'espansione del trasporto ferroviario ad alta velocità dovrebbe essere preferita al trasporto aereo. Inoltre, occorre scoraggiare l'ulteriore espansione del trasporto aereo e degli aeroporti.

4.4   Per quanto riguarda il trasporto via acqua, occorre ricercare continuamente una migliore efficienza energetica e incoraggiare attivamente idee innovative quali l'aggiunta di energia eolica supplementare per ridurre il consumo di carburante.

4.5   Il consumo di petrolio per uso domestico

la combustione diretta di fonti fossili di energia in stufe, caldaie o cucine dovrà essere gradualmente ridotta, e l'elettricità (sempre più generata localmente a partire da fonti rinnovabili operanti parallelamente alla rete di distribuzione) o il legno prodotto in maniera sostenibile dovranno diventare il combustibile ordinario per uso domestico. È necessario fissare un calendario per questa transizione.

4.6   Il consumo di petrolio per usi industriali

una transizione analoga dovrà avvenire anche nel settore industriale e commerciale dell'economia, per il riscaldamento generale e per tutti gli altri usi. Riguardo ai processi industriali oggi basati sull'uso di combustibili fossili come materia prima, sarà necessaria un'analisi settore per settore che indichi la misura in cui le emissioni di carbonio derivanti da tali processi possono essere catturate e stoccate o i casi in cui tali processi possano essere sostituiti da altri basati su combustibili non fossili.

4.7   La produzione di energia

nel campo della produzione di energia dovrà essere compiuto un grande sforzo per ampliare nel più breve tempo possibile l'uso delle fonti rinnovabili. Gli obiettivi che l'Europa si è prefissa rappresentano un buon inizio, ma è necessario fare di più per rendere le diverse tecnologie disponibili sul mercato a prezzi accessibili.

4.8   Il carbone (e in minor misura gli altri combustibili fossili) continuerà ad essere ancora per diversi decenni una fonte importante per la produzione di energia. Le tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio andrebbero sviluppate il più presto possibile. L'uso di tali tecnologie dovrebbe poi essere reso obbligatorio anche per le rimanenti centrali elettriche a petrolio.

4.9   Un utile contributo potrebbe recarlo anche lo sviluppo di una nuova generazione di centrali nucleari. Tuttavia, la tecnologia nucleare ha i suoi problemi di sostenibilità, e non bisogna permettere che essa distolga risorse per investimenti ed attenzione politica dallo sviluppo su grande scala delle fonti rinnovabili e dell'efficienza energetica, che sono l'obiettivo primario della transizione.

4.10   Per aiutare tutte le parti interessate a pianificare questi cambiamenti, sarebbe utile stabilire percorsi indicativi per i livelli di risparmio energetico da raggiungere in ciascun sottosettore che utilizza petrolio, nonché i probabili calendari di queste transizioni a livello sia globale che regionale.

5.   Cosa è necessario fare? Misure di politica energetica per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e incoraggiare la diversificazione dell'approvvigionamento di energia

5.1   Molte delle misure necessarie per incoraggiare e promuovere le trasformazioni in questione sono già ben note. Il complesso di misure contenuto nel pacchetto energetico recentemente proposto dalla Commissione copre molti degli aspetti di questa problematica e dovrebbe costituire un buon punto di partenza per ulteriori sviluppi. In qualsiasi parte del mondo, Europa compresa, la gamma delle misure deve essere ampliata e le misure stesse vanno applicate con più decisione e con più urgenza.

5.2   Misure fiscali volte a fissare un prezzo appropriato per le emissioni di carbonio

il prezzo dei combustibili fossili dovrebbe rispecchiare pienamente i costi degli oneri che l'emissione di CO2 impone al mondo. A tal fine, è necessario tassare i prodotti che emettono biossido di carbonio (come la benzina) oppure imporre un sistema di contingentamento e scambio delle quote di emissione di CO2, oppure ancora adottare entrambe queste misure.

5.3   Il sistema di scambio delle quote di emissione dell'Unione europea deve essere attuato con decisione in modo da inviare al mercato un segnale chiaro e costante a favore della riduzione del consumo di combustibili fossili e della diversificazione delle fonti di energia. È necessario rimediare alle anomalie e ridurre le esenzioni oggi esistenti. Soprattutto, è necessario estendere questo sistema al resto del mondo sviluppato e, non appena concretamente possibile, anche ai paesi emergenti. Questo dovrebbe essere un obiettivo fondamentale nel contesto dei negoziati internazionali sulla lotta ai cambiamenti climatici.

5.4   Sarebbe opportuno sviluppare questo sistema prevedendo la fissazione di un prezzo minimo del carbonio in modo da offrire al mercato una maggiore certezza. Tale prezzo minimo potrebbe quindi essere spinto costantemente verso l'alto nei prossimi tre decenni, in modo da esercitare una pressione di mercato sempre crescente sugli operatori di ogni tipo per indurli a diversificare le fonti di energia, passando a fonti diverse dai combustibili fossili.

5.5   Misure normative

le misure fiscali non sono di per sé sufficienti a trainare la necessaria transizione dal petrolio verso altre fonti di energia. La domanda è troppo inelastica, ed esistono vincoli politici a un innalzamento troppo rapido dei prezzi dei prodotti petroliferi. È necessario varare un programma completo di misure normative che innalzino gli standard ed eliminino i processi e i prodotti inefficienti sul piano energetico. Inoltre, si deve garantire il sostegno alla ricerca, allo sviluppo e all'introduzione delle nuove tecnologie necessarie.

5.6   Riguardo all'efficienza, è necessario un programma completo e urgente che innalzi gli standard di efficienza energetica di tutti i prodotti e i servizi che consumano energia. L'Europa ha ancora della strada da fare, per quanto concerne sia la fissazione degli standard che la garanzia della loro osservanza. Il riscaldamento e il raffreddamento degli edifici, per esempio, sono ancora largamente inefficienti, e al riguardo è necessario un programma d'azione vigoroso che assicuri il rapido miglioramento di questa situazione.

5.7   In questo contesto gli standard per il miglioramento delle emissioni di carbonio dei veicoli assumono un particolare rilievo. Il CESE accoglie con favore i nuovi standard ora concordati, ma esorta a fissarne presto di ancora più stringenti per il futuro, in modo da instaurare un solido quadro di pianificazione cui l'industria automobilistica debba adeguarsi. Adesso il prossimo passo necessario e urgente è la definizione di un programma altrettanto rigoroso per il progressivo miglioramento delle emissioni dei furgoni e degli automezzi più pesanti per il trasporto merci. Anche in questo caso, l'azione da intraprendere in Europa deve trovare riscontro in analoghi sforzi da compiere in altre parti del mondo.

5.8   Ricerca, sviluppo e sostegno finanziario

alcune delle nuove tecnologie necessarie sono ancora in fase di sviluppo e la loro rapida introduzione e la loro ampia diffusione richiederanno un sostegno e un incoraggiamento sostanziali dal settore pubblico. La cattura e lo stoccaggio del carbonio, l'ulteriore sviluppo delle fonti rinnovabili, le fonti rinnovabili di terza e quarta generazione, i veicoli elettrici (o alimentati a idrogeno) e l'infrastruttura di cui avranno bisogno, sono tutte tecnologie che rientrano in questa categoria e richiedono un notevole sostegno pubblico, se si vuole che il loro uso si diffonda nel mondo il più presto possibile.

5.9   In campo ferroviario sono necessari cospicui investimenti per diffondere l'elettrificazione e fare del trasporto ferroviario l'alternativa preferita a quello aereo per la maggior parte delle tratte a corto raggio in Europa e in altre parti del mondo.

5.10   La partecipazione della società civile

è necessario fare molto di più per concludere partenariati con la collettività, le imprese, i sindacati e le altre organizzazioni della società civile, coinvolgendoli nello sforzo comune.

I cittadini devono essere incoraggiati e incentivati ad apportare il proprio contributo, ad esempio migliorando l'efficienza energetica delle loro abitazioni e dei loro veicoli, utilizzando forme di energia più ecologica per l'illuminazione e il riscaldamento, acquistando beni e servizi più efficienti sotto il profilo energetico e riducendo l'impatto in termini di emissioni di carbonio dei loro spostamenti abituali e di quelli effettuati a fini ricreativi. Il CESE ritiene che siano ormai sempre più numerosi i cittadini e le organizzazioni della società civile che sarebbero pronti e disposti ad agire, se solo ricevessero un segnale politico forte ed efficace circa ciò che ci si attende da loro, oltre ad adeguati incentivi.

Numerosi enti locali e regionali hanno già dato prova di lungimiranza e coraggiosa leadership politica in materia: essi vanno incoraggiati e incentivati a fare di più.

Analogamente, è necessario spingere le imprese a compiere ulteriori progressi. Esse devono essere esortate e incentivate a migliorare costantemente l'efficienza energetica delle loro attività e a utilizzare energia prodotta da fonti a basse emissioni di carbonio. Si dovrebbe ricorrere più sistematicamente e più vigorosamente a strumenti normativi per migliorare le prestazioni energetiche di tutti i tipi di prodotti e servizi.

Anche i sindacati hanno un ruolo importante da svolgere. Molti dei loro iscritti sono impegnati in prima linea nel miglioramento dell'efficienza energetica e nella diffusione delle informazioni pratiche, e il loro potenziale contributo deve essere riconosciuto e incoraggiato. Se ben gestiti, i nuovi metodi di produzione dovrebbero fornire altrettante possibilità occupazionali dei vecchi metodi di produzione ad alta intensità di carbonio, mantenendo nel contempo buone condizioni di lavoro.

5.11   Tutte queste misure dovranno essere adottate e attuate con decisione in Europa al fine di ridurre la domanda di combustibili fossili in genere e di petrolio in particolare. Esse dovranno inoltre essere promosse con altri partner nel mondo sviluppato e, in misura crescente, nei paesi emergenti e in via di sviluppo.

5.12   I paesi emergenti e in via di sviluppo potrebbero a loro volta diventare innovatori e pionieri dell'economia a basse emissioni di carbonio, e tale sviluppo andrebbe incoraggiato attivamente. Le politiche commerciali non dovrebbero mai essere usate in nessuna parte del mondo per proteggere vecchie industrie meno efficienti sul piano delle emissioni di carbonio.

6.   L'adeguamento dell'industria petrolifera e del gas

6.1   Finché l'economia mondiale continua a dipendere dal petrolio, l'industria petrolifera deve naturalmente lavorare per soddisfare tale fabbisogno. Ciò nonostante, continuare a lavorare come se nulla fosse non sarebbe una risposta appropriata da parte di tale industria. Esiste tutta una serie di ambiti in cui l'industria petrolifera mondiale può dare il suo contributo alla transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio. Essa dovrebbe:

riconoscere la necessità della transizione dell'economia globale verso un uso sempre minore di combustibili fossili nei prossimi decenni, e pensare, pianificare e comportarsi di conseguenza,

continuare a migliorare, nelle sue stesse attività, le proprie prestazioni in termini di emissioni di carbonio,

utilizzare, nei propri prodotti, biomassa o altre risorse neutrali sul piano delle emissioni di carbonio al posto dei combustibili fossili, laddove ciò sia fattibile e sostenibile,

utilizzare le proprie enormi risorse in termini di competenza tecnica e mezzi finanziari per contribuire ad altri aspetti di questa transizione, nonché allo sviluppo e all'impiego nel più breve tempo possibile delle tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio,

lavorare a stretto contatto con l'industria automobilistica per contribuire ad accelerare la transizione verso veicoli a basse o senza emissioni di carbonio.

6.2   Da parte loro, l'Unione europea, gli Stati membri e gli altri governi dovrebbero mantenere un intenso dialogo con l'industria petrolifera mondiale per cercare di sviluppare un'intesa comune sul percorso da stabilire per ridurre l'uso del petrolio e offrire incentivi appropriati per incoraggiare (o, se necessario, costringere) l'industria a muoversi in queste cinque direzioni fondamentali.

6.3   Per quanto concerne gli investimenti, il CESE desidererebbe che tale industria compisse maggiori sforzi per contribuire alla transizione verso un mondo futuro con una minore domanda di petrolio anziché per sfruttare fonti marginali di petrolio, in particolare quando tale sfruttamento è destinato a provocare gravi danni ambientali.

6.4   Il CESE è convinto che sia ancora possibile sviluppare l'uso dei biocarburanti (e in particolare ampliare quello della biomassa), ma che i criteri di sostenibilità debbano comunque essere applicati e che ciò possa limitare l'ambito di diffusione di tale tecnologia. La pirolisi della biomassa al fine di produrre bio-char, che può essere usato per migliorare i suoli, facendo del terreno un deposito di carbonio, appare promettente. Nel settore dei trasporti l'elettricità o l'idrogeno appaiono più promettenti come soluzioni a lungo termine. Occorre continuare le intense discussioni con i settori industriali interessati per cercare di definire percorsi ottimali per queste transizioni.

6.5   Dato che il prezzo del petrolio è aumentato, l'industria ha già un forte incentivo finanziario a migliorare l'efficienza dell'estrazione e della raffinazione e a minimizzare i costi di trasporto. La direttiva sulla qualità dei combustibili offrirà un ulteriore, utile incentivo in questo senso, oltre a incentivare l'introduzione di biocarburanti.

6.6   La tassazione dei prodotti petroliferi genera già un notevole gettito per i governi, che potrebbe crescere ulteriormente se le quote di emissione di carbonio fossero vendute all'asta in maniera più ampia. Una parte di questo gettito dovrebbe essere utilizzata per sostenere lo sviluppo delle nuove tecnologie energetiche necessarie. Si potrebbe inoltre valutare la possibilità di incentivare la stessa industria petrolifera a contribuire maggiormente alla transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio, offrendole sgravi o detrazioni in conto capitale per i necessari investimenti.

Bruxelles, 14 gennaio 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Il CESE tratterà in maggior dettaglio l'argomento dei prezzi petroliferi nel suo parere (già in corso di elaborazione) in merito alla comunicazione della Commissione intitolata Il rincaro del petrolio: come affrontare la sfida (dossier CESE 348/2008).


4.8.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 182/65


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Agenda sociale rinnovata: Opportunità, accesso e solidarietà nell'Europa del XXI secolo

COM(2008) 412 def.

(2009/C 182/14)

Relatrice: REGNER

Correlatore: PEZZINI

La Commissione europea, in data 2 luglio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Agenda sociale rinnovata: Opportunità, accesso e solidarietà nell'Europa del XXI secolo

COM(2008) 412 def.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 dicembre 2008, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice REGNER e dal correlatore PEZZINI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 gennaio 2009, nel corso della 450a sessione plenaria ha adottato il seguente parere con 162 voti favorevoli, 21 voti contrari e 25 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il CESE accoglie con favore la comunicazione della Commissione Agenda sociale rinnovata e la considera, nel quadro delle altre iniziative sociali attualmente in corso, come un giusto passo verso la modernizzazione del welfare state europeo intesa a porre ciascuno nelle condizioni di realizzare appieno le proprie potenzialità e di conferire una dimensione sociale più forte all'Unione europea.

1.2   Alla luce della gravissima crisi finanziaria ed economica mondiale, è ancora più importante che l'Unione europea si adoperi a favore di un'Europa sociale forte e competitiva. Il CESE chiede pertanto con forza — al di là di un'agenda sociale rinnovata — il lancio di un vero e proprio programma d'azione sociale.

1.3   La comunicazione della Commissione si concentra prevalentemente sulla necessità di reagire alle nuove realtà, in particolare preoccupandosi dell'adeguamento della politica sociale alle trasformazioni sociali ma soprattutto alle trasformazioni dell'economia e del mercato del lavoro. L'Europa ha urgente bisogno di politiche moderne del mercato del lavoro e di sistemi sociali forti, sostenibili e capaci di favorire l'occupazione.

1.4   Il CESE constata la ritrosia della Commissione a sviluppare ulteriormente delle norme minime di diritto del lavoro. In passato queste norme hanno formato la struttura portante della politica sociale europea e del miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, e anche in futuro dovrebbero, ove necessario e opportuno, fare parte di ogni agenda sociale.

1.5   Il CESE ritiene che il dialogo sociale resti uno dei pilastri principali del modello sociale europeo a livello sia nazionale che europeo. Le parti sociali svolgono un ruolo chiave in tutte le questioni relative alle trasformazioni sociali e andrebbero quindi coinvolte nella definizione, attuazione e controllo di tutte le misure dell'agenda sociale rinnovata. Un altro pilastro fondamentale sarà in futuro il dialogo con la società civile.

1.6   Il metodo aperto di coordinamento (MAC) dovrebbe essere rafforzato in particolare introducendo in maggior misura requisiti quantitativi e qualitativi. Il CESE raccomanda a questo proposito di prevedere un maggiore coinvolgimento del Parlamento europeo e l'obbligo di tenere conto degli obiettivi e/o degli orientamenti sociali nel quadro dell'aggiudicazione degli appalti pubblici.

1.7   Il CESE ritiene che l'Unione debba sostenere gli Stati membri, in stretta cooperazione con le parti sociali, nell'utilizzare, adeguare e controllare i principi comuni della flessicurezza. Il CESE auspica quindi un legame più stretto tra il dibattito sulla flessicurezza, il rafforzamento del dialogo sociale a tutti i livelli e le contrattazioni di categoria ai livelli adeguati.

1.8   Alle azioni comunitarie per la parità di genere, le persone diversamente abili, la lotta all'esclusione sociale e la promozione dell'inserimento attivo dovrebbe, a parere del Comitato, affiancarsi il rafforzamento delle misure di politica attiva, rivolte anche all'occupazione dei senior, alle categorie più svantaggiate e agli inoccupati. Anche la lotta alla povertà deve costituire una priorità.

1.9   A giudizio del CESE, occorre reagire in modo adeguato alle recenti sentenze della Corte di giustizia europea in merito al distacco dei lavoratori e alle misure sindacali. Il forum di discussione creato dalla Commissione costituisce un primo passo in tal senso. In particolare andrebbero indicate diverse alternative per poter risolvere il conflitto tra, da un lato, le libertà del mercato interno e, dall'altro, i diritti fondamentali. Qualora fosse necessario e opportuno, si dovrebbero prendere al più presto delle misure concrete e adeguate a tutela dei lavoratori che stabiliscano chiaramente che né le libertà economiche né le norme della concorrenza hanno la priorità sui diritti sociali fondamentali.

1.10   Dato che ampie fasce della popolazione europea temono che tra 20 anni a molti non sarà più garantito l'accesso a un'assistenza sanitaria di qualità (1), occorrerebbe definire obiettivi appropriati, chiari e trasparenti e perseguirli tramite un monitoraggio e una comunicazione adeguati.

1.11   Oltre ad offrire nuove opportunità e a permettere l'aumento della crescita economica e della competitività, la migrazione presenta anche delle ombre. In futuro la Commissione dovrebbe affrontare anche questi aspetti negativi ed elaborare misure che consentano di evitarli.

1.12   Così come la Commissione, anche il CESE attribuisce grande importanza all'attuazione e all'applicazione delle norme giuridiche vigenti. A questo proposito, e specie nel caso della direttiva relativa al distacco, non basta rivolgere semplici appelli agli Stati membri.: Si deve in particolare anche prestare maggiore importanza all'adozione di provvedimenti efficaci applicabili ai casi transfrontalieri. Il CESE approva inoltre l'invito rivolto dalla Commissione a tutti gli Stati membri affinché diano il buon esempio ratificando e applicando le convenzioni dell'OIL classificate come aggiornate da tale organizzazione.

2.   La proposta della Commissione

2.1   Il 2 luglio 2008 la Commissione europea ha presentato una comunicazione dal titolo Agenda sociale rinnovata  (2), in cui dichiara che le nuove realtà sociali richiedono risposte nuove. La Commissione osserva che i cambiamenti sono rapidi e che le politiche devono tenere il passo, dando risposte innovative e flessibili alle sfide della globalizzazione, dei progressi tecnologici e dell'evoluzione demografica.

2.2   La Commissione spiega che il potenziale campo d'azione è vasto e chiede che siano stabilite delle priorità. Per questo motivo l'agenda si concentra su alcuni aspetti fondamentali, nei quali l'azione dell'UE presenta un evidente valore aggiunto e rispetta pienamente i principi di sussidiarietà e proporzionalità:

Infanzia e gioventù: l'Europa di domani

Investire nelle persone, in più e migliori posti di lavoro, in nuove competenze

Mobilità

Vivere più a lungo e in migliore salute

Lotta contro la povertà e l'esclusione sociale

Lotta contro la discriminazione

Opportunità, accesso e solidarietà sulla scena mondiale.

2.3   Le azioni previste in ciascuno di questi settori contribuiscono al conseguimento dei tre obiettivi stabiliti dall'Agenda: le opportunità, l'accesso e la solidarietà.

2.4   Secondo la Commissione, l'inventario della realtà sociale ha confermato che i cittadini e i soggetti interessati auspicano che l'UE apporti un valore aggiunto europeo allo sviluppo sociale.

2.5   La Commissione intende continuare ad utilizzare gli strumenti previsti dal Trattato CE (legislazione, dialogo sociale, metodo comunitario, metodo aperto di coordinamento, finanziamento comunitario, partecipazione della società civile) e a sfruttare le possibili sinergie tra di essi grazie ad un approccio globale e ad una combinazione più «intelligente» dei mezzi d'azione. Anche il coordinamento e la sorveglianza delle politiche economiche e di bilancio svolgono un ruolo importante al riguardo.

3.   Osservazioni generali

3.1   Nell'Agenda sociale rinnovata la Commissione sostiene che le politiche europee presentano già una forte dimensione sociale e hanno ripercussioni positive sul piano sociale. Il CESE condivide in ogni caso il punto di vista secondo cui l'UE deve avere una forte dimensione sociale e ripercussioni positive sul piano sociale, in particolare in un periodo di crisi finanziaria per il cosiddetto «villaggio globale». La crisi finanziaria porta con sé una crisi economica, e negli Stati membri dell'UE si sta profilando una recessione. Ciò a sua volta significa difficoltà per le imprese e tempi duri per i lavoratori e per la società in generale. Nonostante il fatto che la politica sociale sia in gran parte di competenza dei governi degli Stati membri, il CESE approva le iniziative realizzate nel 2007 dalla Commissione con l'inventario della realtà sociale e, ora, la presentazione dell'Agenda sociale rinnovata e ritiene che una strategia comune contribuirà ad attenuare le paure sull'andamento futuro del benessere. Sarebbe però opportuno inviare ai cittadini europei un messaggio sociale ancora più forte.

3.2   Il CESE dà un giudizio sostanzialmente positivo anche del fatto che l'Agenda non si limiti ai tradizionali ambiti della politica sociale, bensì copra anche altri settori come la formazione, la sanità, e il dialogo interculturale.

3.3   Il CESE ritiene però che attualmente non sia sufficiente un'impostazione comunitaria «tradizionale», anche se rinnovata ed aperta ad altri settori: la questione dell'indirizzo di base da imprimere alla politica macroeconomica non può essere esclusa. Altrimenti si corre il rischio che alcuni orientamenti cruciali restino privi di una dimensione sociale tangibile.

3.4   Il CESE ritiene che la dimensione sociale dell'Europa dovrebbe trovare espressione tra l'altro in un autentico programma d'azione sociale. Una semplice agenda sociale rinnovata non basta. Il programma d'azione dovrebbe basarsi su una cooperazione positiva tra gli Stati membri, e non su una «corsa al ribasso» in termini di diritti sociali, protezione sociale e condizioni di lavoro (3). Deve inoltre concentrarsi su aspetti che diano risultati in termini di miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, potenziamento dei sistemi di sicurezza sociale fondato sulla loro sostenibilità e sul loro effetto positivo sull'occupazione, rafforzamento della competitività, migliore capacità di adattamento di imprese e lavoratori come pure creazione di nuovi e migliori posti di lavoro.

3.5   Occorre un impegno più attivo sul fronte degli obiettivi sociali. Una posizione reattiva, che consideri che il compito della politica sociale sia quello di rispondere ai cambiamenti e di adattare i cittadini alle nuove sfide dell'economia, non è sufficiente. Al centro dell'attenzione vanno poste le persone e gli investimenti nelle persone, l'obiettivo deve essere il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, e strumenti chiari, efficaci e vincolanti devono costituire la struttura portante di una politica sociale europea.

3.6   Soprattutto di fronte all'attuale crisi non si può dimenticare che esiste una responsabilità dell'intera società per il benessere degli individui. Ciò presuppone, in particolare, un'equa distribuzione del reddito, sufficienti possibilità di occupazione in imprese competitive, una protezione sociale contro rischi come la malattia, l'invalidità e la disoccupazione, come pure durante la vecchiaia, sostegno alle famiglie, opportunità di formazione per tutti, tutela dalla povertà, nonché servizi di interesse generale di qualità a prezzi abbordabili.

3.7   La dinamica economica e il progresso sociale non sono in contraddizione, ma si sostengono a vicenda. Un'economia sociale di mercato unisce la competitività e la giustizia sociale. È importante mettere sullo stesso piano il settore sociale, l'economia e l'ambiente.

4.   Obiettivi e priorità

4.1   Il CESE ritiene opportuno e necessario che l'Unione sostenga gli Stati membri, in stretta cooperazione con le parti sociali, nell'utilizzare, adeguare e controllare i principi comuni della flessicurezza. In primo luogo l'obiettivo dovrebbe essere quello di aiutare i cittadini e migliorare le loro condizioni di vita e di lavoro. Occorre prestare particolare attenzione alle considerazioni sociali. La Commissione e gli Stati membri dovrebbero sforzarsi di collegare i dibattiti sulle eventuali riforme al consolidamento e alla modernizzazione delle relazioni industriali a tutti i livelli. Il CESE auspica quindi un legame più stretto tra il dibattito sulla flessicurezza e il rafforzamento del dialogo sociale a tutti i livelli, nonché le contrattazioni di categoria ai livelli adeguati. Il concetto di flessicurezza dovrebbe migliorare, in maniera equilibrata, sia la flessibilità che la sicurezza. Esso non implica in alcun caso una riduzione unilaterale e illegittima dei diritti dei lavoratori, idea che il CESE respinge (4).

4.2   Soprattutto i giovani in cerca di lavoro incontrano grandi difficoltà nell'accesso all«occupazione. La cosiddetta» generazione stage deve spesso fare i conti con forme di lavoro atipiche che in alcuni casi possono portare a rapporti di lavoro precari (5). Sono particolarmente auspicabili misure per l'inserimento attivo e il sostegno all'apprendimento permanente. Posti di lavoro validi e sicuri sono strettamente legati ad una formazione ampia e di buona qualità. L'Unione europea e in particolare gli Stati membri devono inoltre sviluppare un policy-mix per una migliore corrispondenza fra le qualifiche e le competenze da un lato e i requisiti richiesti dalle imprese dall'altro. Si dovrebbe garantire una migliore «occupabilità» dei neodiplomati e dei neolaureati e si dovrebbero migliorare le condizioni quadro per le imprese affinché possano offrire posti di lavoro di qualità. Si devono inoltre attuare misure appropriate per evitare rapporti di lavoro precari. Alla vigilia della valutazione del Patto europeo per la gioventù (2005), sarebbe utile compiere finalmente dei passi avanti.

4.3   Sarebbe opportuno lanciare anche un'iniziativa comunitaria per promuovere posti di lavoro di qualità per i giovani. Lo scopo dovrebbe essere quello di premiare la qualità e i meriti dei neodiplomati e dei neolaureati con il sostegno attivo delle parti sociali e con l'aiuto di un nuovo sportello ad hoc nel quadro del programma Jasmine — microcredito (6).

4.4   Il CESE reputa importanti la promozione dello spirito imprenditoriale, l'educazione all'imprenditorialità e la formazione in campo finanziario nell'UE. L'imprenditorialità intesa nel suo senso più ampio, cioè come fattore in grado di stimolare e incoraggiare la capacità di innovare e la creatività, è uno strumento fondamentale dell'agenda di Lisbona, che consente di rafforzare la crescita, creare posti di lavoro migliori, rendere la società più coesa e combattere l'esclusione sociale (7).

4.5   Nel quadro della strategia per l'occupazione e del metodo aperto di coordinamento andrebbero fissati obiettivi molto più ambiziosi, efficaci e quantificabili e andrebbero affidate alla Commissione europea maggiori competenze esecutive. Occorre concentrarsi nuovamente su obiettivi quantitativi su scala europea, in particolare nel campo del collocamento in attività, dell'istruzione e della formazione permanente, dell'occupazione giovanile, dell'accesso a un'assistenza sanitaria di qualità e della parità tra i sessi (8).

4.6   Nel sostenere l'apprendimento permanente bisognerebbe tenere particolarmente conto del paradosso della politica di formazione, ossia la situazione per cui i meno qualificati sono anche svantaggiati nella formazione continua.

4.7   Lotta alla disoccupazione di lunga durata e alla disoccupazione dei giovani, come pure impegno a favore della parità tra i sessi e di un maggiore tasso di occupazione femminile, rafforzamento del programma comunitario per l'occupazione e la solidarietà sociale — Progress 2007-2013 (9) — specie per potenziare la capacità delle principali reti dell'Unione di promuovere e sostenere le politiche comunitarie e per adottare strumenti avanzati nell'analisi dei bisogni e delle prospettive (foresight) tramite procedure partecipative bottom-up.

4.8   Occorre inoltre migliorare le condizioni generali in cui si svolge il dialogo sociale. A questo proposito il Comitato osserva che non è ancora stato creato un quadro facoltativo per la contrattazione collettiva transnazionale quale elemento dell'Agenda sociale 2005 (10).

4.9   Il CESE condivide il punto di vista della Commissione secondo cui è molto importante giungere rapidamente ad un accordo positivo sulle proposte di direttiva sull'orario di lavoro (11) e sul lavoro temporaneo (12). Il CESE si compiace pertanto dell'approvazione, in sede di Consiglio, della direttiva sul lavoro temporaneo.

4.10   Diverse sentenze recenti della Corte di giustizia europea (cause Laval (13), Viking (14) e Rüffert (15)) hanno mostrato in modo dirompente il conflitto che esiste tra, da un lato, i diritti del mercato interno e, dall'altro, i diritti fondamentali, e in particolare i diritti sindacali, e hanno sollevato diverse questioni di principio. Da ciò risulta evidente la necessità di affrontare queste problematiche, e il forum di discussione creato dalla Commissione costituisce un primo passo. Ora la Commissione dovrebbe esaminare in modo approfondito le conseguenze del mercato interno sui diritti dei lavoratori e le contrattazioni collettive. Qualora fosse necessario e opportuno, si dovrebbero prendere al più presto, delle misure concrete e adeguate a tutela dei lavoratori che stabiliscano chiaramente che né le libertà economiche né le norme della concorrenza hanno la priorità sui diritti sociali fondamentali.

4.11   La mobilità delle persone offre numerose opportunità e contribuisce a stimolare la crescita economica e la competitività. Il Comitato ritiene necessario esaminare, accanto a questi aspetti positivi, anche gli aspetti negativi, specie in relazione ai grandi flussi migratori. Per aspetti negativi si intendono in particolare gli effetti sociali, come la situazione sociale e familiare dei migranti e dei loro familiari, il dumping sociale, soprattutto legato all'occupazione illegale, le condizioni abitative degli immigrati e le possibili conseguenze per il mercato del lavoro. Inoltre si dovrebbero analizzare anche gli effetti a medio-lungo termine sul sistema scolastico nei paesi di origine e la «fuga dei cervelli» (brain drain) (16). I risultati dell'analisi dovrebbero quindi costituire la base per l'adozione di misure atte a scongiurare tali effetti.

4.12   Il CESE approva l'impegno della Commissione a far sì che le norme del mercato interno e della concorrenza facilitino lo sviluppo di servizi sociali di qualità, accessibili e sostenibili. Ritiene che l'interesse generale legato a questi servizi debba avere la priorità sulle norme relative al mercato interno e alla concorrenza. È necessario in ogni caso chiarire i relativi concetti e le relative norme. Il Comitato propone quindi un approccio plurimo e progressivo che coniughi la dimensione settoriale a quella tematica, portando all'adozione di iniziative legislative quando risultino necessarie e/o all'adeguamento di tali principi e condizioni ai diversi settori interessati (approccio orizzontale a orientamento settoriale) (17).

4.13   Dato che ampie fasce della popolazione europea temono che tra 20 anni a molti non sarà più garantito l'accesso a un'assistenza sanitaria di qualità (18), occorrerebbe definire obiettivi appropriati, chiari e trasparenti e perseguirli tramite un monitoraggio e una comunicazione adeguati.

4.14   Tenuto conto della sentenza pronunciata dalla CGCE nella causa Rüffert, sembra quanto meno azzardato sostenere, proprio in relazione al diritto degli appalti, che «le considerazioni di ordine sociale sono già fortemente presenti» (19). Non si deve nemmeno trascurare il fatto che le direttive europee sugli appalti sono orientate prevalentemente agli aspetti economici e la realtà degli appalti pubblici lo è quasi esclusivamente. Per poter tener conto adeguatamente degli aspetti sociali, gli enti pubblici aggiudicatori hanno bisogno di condizioni quadro chiare e vincolanti. Gli appalti pubblici acquisterebbero inoltre una dimensione sociale se il fatto di tenere conto di determinate considerazioni sociali non fosse solo consentito, ma fosse anche prescritto in modo vincolante. Il CESE ritiene quindi opportuno che la Commissione avvii delle riflessioni concrete in tal senso. In questo modo, ad esempio, si potrebbero far valere delle considerazioni sociali sulla base di orientamenti europei, così da sfruttare maggiormente il potenziale offerto dal metodo aperto di coordinamento.

4.15   Nel parere in merito alla direttiva sull'orario di lavoro (20) il CESE ha già osservato con rammarico che l'Unione europea potrebbe perdere un'occasione se non tenesse conto della necessità di conciliare la vita privata con quella professionale. Il CESE accoglie quindi con grande favore i risultati della consultazione della Commissione con le parti sociali sulla conciliabilità della vita privata e di quella professionale e le proposte pubblicate nel frattempo sul miglioramento delle condizioni di tutela della maternità (21) e sul miglioramento dei diritti delle donne che esercitano un'attività autonoma (22). Il Comitato apprezza anche che le parti sociali europee abbiano intrapreso una revisione della direttiva sul congedo parentale.

4.16   Alle azioni comunitarie per la parità di genere, i diversamente abili, la lotta all'esclusione sociale e la promozione dell'inserimento attivo dovrebbero, a parere del Comitato, affiancarsi il rafforzamento delle misure di politica attiva, rivolte anche all'occupazione senior, alle categorie meno favorite e agli inoccupati. Anche la lotta alla povertà deve costituire una priorità. Alle donne e alle madri singole deve essere riservata una particolare attenzione e, nello stesso tempo, andrebbe perseguito un rafforzamento delle politiche per un'integrazione equilibrata degli immigrati. Il CESE può contribuire attivamente a queste analisi mediante l'Osservatorio del mercato del lavoro.

5.   Strumenti

5.1   Negli ultimi decenni l'UE ha adottato delle norme giuridiche minime nel campo della parità dei sessi e della non discriminazione, come pure in alcuni settori relativi alle condizioni di lavoro e alla difesa collettiva dei diritti dei lavoratori. Queste norme rappresentano una parte molto importante della politica sociale europea. Anche se sono stati compiuti alcuni passi avanti, vi è però ancora ampio spazio per ulteriori miglioramenti.

5.2   Il CESE raccomanda di ricorrere all'intera gamma degli strumenti di politica sociale (norme giuridiche, metodo aperto di coordinamento, accordi autonomi tra le parti sociali) impiegando, per ciascun tema, lo strumento più adeguato. È un dato di fatto che alcuni ambiti finora non sono mai stati affrontati a livello europeo, ad esempio il mantenimento della retribuzione in caso di malattia, la definizione di lavoratore subordinato o la tutela dal trasferimento. Altri ambiti, quali la conciliabilità di lavoro e famiglia e la protezione dal licenziamento, sono coperti sono in parte.

5.3   Senza dubbio è importante recepire nel diritto nazionale, attuare e applicare efficacemente le norme giuridiche vigenti. Su questo punto il CESE concorda pienamente con la Commissione. È importante anche che l'attuazione delle norme minime venga vista come un trampolino di lancio per l'effettivo miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro e non come un punto di arrivo. Una buona attuazione necessita di sostegno e di strumenti efficaci e adeguati soprattutto in caso di questioni transfrontaliere. Quest'ultimo aspetto è risultato particolarmente evidente nell'attuazione e applicazione della direttiva sul distacco dei lavoratori (23). A questo proposito non basterà un semplice appello alla collaborazione: saranno necessarie condizioni quadro vincolanti a livello europeo. Più specificamente, si dovrà soprattutto dare maggiore importanza all'adozione di provvedimenti efficaci applicabili ai casi transfrontalieri.

5.4   Il dialogo sociale interprofessionale, settoriale e transnazionale resta uno dei pilastri principali del modello sociale negli Stati membri e a livello dell'UE. I datori di lavoro e i sindacati, in quanto importanti forze motrici nella realizzazione del progresso economico e sociale, hanno un ruolo essenziale da svolgere nell'affrontare le sfide sociali (24).

5.5   Il dialogo civile — da non confondere con il dialogo sociale — costituirà un altro dei pilastri principali. Il coinvolgimento dei cittadini e delle loro organizzazioni a tutti i livelli nella costruzione di un'Europa sociale costituirà un'autentica sfida (25).

5.6   Il CESE condivide il punto di vista della Commissione secondo cui è necessario sfruttare le potenzialità del metodo aperto di coordinamento (MAC) e, a questo proposito, utilizzare obiettivi sia quantitativi che qualitativi. Il CESE ribadisce che il MAC dovrebbe essere maggiormente incentrato sulla dimensione locale, riflettendo così l'approccio partecipativo dal basso verso l'alto e il necessario coordinamento tra le parti e le politiche (26). Si raccomanda però anche di coinvolgere maggiormente il Parlamento europeo in questo metodo: in tal modo la legittimità democratica del MAC risulterebbe rafforzata.

5.7   Il CESE accoglie con favore la definizione di obiettivi per il benessere dei cittadini che vadano oltre il solito indicatore del PIL pro capite: ciò può contribuire a relativizzare la visione prevalentemente economica dei risultati dell'economia (27).

Bruxelles, 14 gennaio 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Cfr. Expectations of European citizens regarding the social reality in 20 years«time (Aspettative dei cittadini europei riguardo alla realtà sociale tra vent»anni), Analytic Report, maggio 2008, punto 2.9, Flash Eurobarometer Series #227.

(2)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Agenda sociale rinnovata: Opportunità, accesso e solidarietà nell'Europa del XXI secolo, COM(2008) 412 def.

(3)  Parere CESE sul tema Un nuovo programma europeo di azione sociale (GU C 27 del 3.2.2009), punto 4.1, pag. 99.

(4)  Parere CESE sul tema La flessicurezza (dimensione della flessibilità interna — contrattazione collettiva e ruolo del dialogo sociale come strumento di regolazione e riforma dei mercati del lavoro), relatore: JANSON, GU C 256 del 27.10.2007, punto 1.4, pag. 108.

(5)  Cfr. il pacchetto di misure proposto dal CESE per offrire ai giovani delle prospettive per il futuro che vadano al di là del lavoro precario (parere di iniziativa del 12 luglio 2007 sul tema L'occupazione per le categorie prioritarie, relatore: GREIF, punto 5 «Combattere efficacemente la disoccupazione giovanile», GU C 256 del 27.10.2007, pag. 93).

(6)  Parere CESE sulla comunicazione della Commissione Iniziativa europea per lo sviluppo del microcredito a sostegno della crescita e dell'occupazione (relatore: PEZZINI) GU C 77 del 31.3.2009, pag. 23.

(7)  Parere CESE sul tema Spirito imprenditoriale e agenda di Lisbona, relatrice: SHARMA, correlatore: OLSSON, GU C 44 del 16.2.2008, punto 1.1, pag. 84.

(8)  Parere CESE sugli orientamenti a favore dell'occupazione, relatore: GREIF, GU C 162 del 25.6.2008, punto 2.1, pag. 92.

(9)  Decisione n. 1672/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 2006, che istituisce un programma comunitario per l'occupazione e la solidarietà sociale — Progress (GU L 315 del 15.11.2006).

(10)  Comunicazione della Commissione sull’Agenda sociale (COM(2005) 33 def. del 9.2.2005).

(11)  Proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2003/88/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro (COM(2005) 246 def.).

(12)  Proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle condizioni di lavoro dei lavoratori temporanei (COM(2002) 701 def.).

(13)  Causa CGCE C-341/05: Laval un Partneri Ltd contro Svenska Byggnadsarbetareförbundet (sindacato svedese dei lavoratori del settore edilizio e dei lavori pubblici).

(14)  Causa CGCE C-438/05: International Transport Workers’ Federation et al. contro Viking Line ABP et al.

(15)  Causa CGCE C-346/06: Rechtsanwalt Dr. Dirk Rüffert, in qualità di curatore fallimentare della Objekt und Bauregie GmbH & Co. KG contro il Land Niedersachsen.

(16)  L'emigrazione, da un paese, di persone particolarmente istruite o capaci.

(17)  Parere CESE sul tema Un mercato interno per l'Europa del 21° secolo (relatore: CASSIDY, correlatori: HENCKS e CAPPELLINI) GU C 77 del 31.3.2009, pag. 15, punti 1.13 e 1.15.

(18)  Cfr. Expectations of European citizens regarding the social reality in 20 years«time (Aspettative dei cittadini europei riguardo alla realtà sociale tra vent»anni), Analytic Report, maggio 2008, punto 2.9; Flash Eurobarometer Series #227; Indagine condotta da «The Gallup Organization Hungary» su richiesta della DG Occupazione.

(19)  COM(2008) 412 def., punto 5.6.

(20)  Parere CESE in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2003/88/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, relatrice: ENGELEN-KEFER, GU C 267 del 27.10.2005, pag. 16.

(21)  Proposta di modifica della direttiva 92/85/CEE del 3 ottobre 2008, COM(2008) 600/4.

(22)  Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'applicazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un'attività autonoma, che abroga la direttiva 86/613/CEE, COM(2008) 636 def.

(23)  Direttiva 96/71/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 1996, relativa al distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi, GU L 18 del 21.1.1997.

(24)  Parere CESE 1209/2008 del 9 luglio 2008 sul tema Un nuovo programma europeo di azione sociale (GU C 27 del 3.2.2009, pag. 99), punto 5.6.

(25)  Idem, punto 5.7.

(26)  Idem, punto 7.9.3.

(27)  Idem, punto 7.9.2.


4.8.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 182/71


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Comunicazione della Commissione al Consiglio europeo — Un piano europeo di ripresa economica

COM(2008) 800 def.

(2009/C 182/15)

Relatore generale: DELAPINA

La Commissione europea, in data 26 novembre 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla

Comunicazione della Commissione al Consiglio europeo — Un piano europeo di ripresa economica

COM(2008) 800 def.

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 2 dicembre 2008, ha incaricato la sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, in data 15 gennaio 2009, nel corso della 450a sessione plenaria, ha nominato relatore generale DELAPINA e ha adottato il seguente parere con 179 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Sintesi e conclusioni

1.1   Con il programma globale di stabilizzazione del settore finanziario, in tutte le sue varianti nazionali, la comunità internazionale ha indicato chiaramente che la politica economica intende farsi carico della stabilità economica globale. Adesso anche l'UE, mediante il piano europeo di ripresa economica, ha affermato la propria determinazione a contrastare la crisi con tutti i mezzi disponibili.

1.2   Il piano avrà sicuramente un impatto psicologico altrettanto importante degli effetti delle risorse monetarie messe in campo. I segnali di politica economica che esso trasmette dovrebbero avere infatti un forte effetto stabilizzatore sulla fiducia dei consumatori e degli investitori. Tuttavia, per evitare che le aspettative negative si rafforzino ulteriormente, sarà necessario che a questi segnali seguano rapidamente interventi di tutte le parti in causa, tra cui in particolare la Commissione europea e gli Stati membri.

1.3   Gli interventi volti a rivitalizzare l'economia reale potranno avere gli effetti sperati solo se sarà ripristinata la funzionalità del settore finanziario. Affinché questo avvenga occorrono, accanto ai vari pacchetti di misure di salvataggio, anche un riordinamento e una nuova regolamentazione dei mercati finanziari a tutti i livelli, atti a ripristinare la fiducia.

1.4   I responsabili della politica economica europea hanno riconosciuto la necessità di integrare il loro tradizionale approccio orientato all'offerta con un'attiva politica macroeconomica anticiclica. Il Comitato si compiace anche del fatto che venga riconosciuta l'esigenza di tutelare meglio le componenti più deboli della società e di coordinare più efficacemente la politica economica. Nondimeno le dimensioni del piano europeo di ripresa appaiono relativamente modeste a paragone dei pacchetti adottati in altre regioni del mondo.

1.5   Il CESE ritiene indispensabile che i programmi di investimenti pubblici e di incentivazione finanziaria intesi a favorire la ripresa economica contribuiscano anche a facilitare la transizione all'economia a basse emissioni di carbonio necessaria per il futuro, ed esorta la Commissione e gli Stati membri a strutturare di conseguenza i programmi e i piani da loro varati per rilanciare l'economia.

2.   Dalla crisi dei mutui sub-prime alla recessione globale

2.1   Le cause dell'attuale crisi finanziaria ed economica sono molteplici; nella dichiarazione conclusiva del vertice del 15 novembre scorso, i capi di Stato e di governo del G20 hanno menzionato le seguenti cause: politiche monetarie e dei cambi responsabili che hanno contribuito a creare un eccesso di liquidità, mancata o insufficiente regolamentazione di determinati settori e soggetti, caccia a rendimenti irrealisticamente elevati in un contesto in cui i soggetti di mercato e le autorità di vigilanza e di regolamentazione non hanno riconosciuto o valutato adeguatamente i rischi, ricorso eccessivo alla leva finanziaria, coordinamento insufficiente delle politiche macroeconomiche e riforme strutturali inadeguate. Tutto ciò ha provocato delle distorsioni, che hanno reso evidente la necessità di modificare le regole in vigore per gli operatori, i prodotti e i mercati.

2.2   Negli Stati Uniti alla metà del 2007, allorché i prezzi immobiliari hanno smesso di aumentare, la piramide dei crediti immobiliari è crollata. In un contesto di surriscaldamento del mercato immobiliare e di aspettative irrealisticamente ottimistiche, sono stati concessi a prestatari poco solvibili mutui, che le banche hanno successivamente messo sul mercato e venduti. Sono nati nuovi prodotti finanziari, altamente speculativi, opachi e sottratti a qualsiasi vigilanza o regolamentazione. In tale contesto numerose parti coinvolte non si sono rese conto dell'entità del rischio.

2.3   Lo scoppio della bolla immobiliare, negli Stati Uniti ma anche in alcuni Stati membri dell'UE, è sfociato in una crisi degli hedge funds, delle banche di investimento e commerciali e delle assicurazioni. Il meccanismo della cartolarizzazione dei rischi ha provocato su scala globale onde d'urto che hanno profondamente scosso il settore finanziario. L'incertezza e la sfiducia diffusesi tra gli enti finanziari hanno portato a un blocco del credito anche tra istituti creditizi sani e alla paralisi del mercato interbancario.

2.4   Infine la crisi dei mercati finanziari si è ripercossa anche sull'economia reale attraverso molteplici canali tra cui si possono menzionare la contrazione del credito, l'aumento dei costi di finanziamento, gli effetti patrimoniali negativi dei crolli delle quotazioni di borsa, il collasso dei mercati di esportazione, la perdita di fiducia, e le implicazioni di bilancio delle rettifiche dei valori e dei rischi di insolvenza. Nel frattempo si è evidenziato che in questo inizio del 2009 tutti, i paesi dell'OCSE si trovano in una fase di recessione di cui neanche gli esperti possono pronosticare con certezza la durata e la gravità.

3.   Le sfide più pressanti

3.1   La prima cosa da fare è fermare la reazione a catena sui mercati finanziari. Le banche centrali, e in particolare la BCE, hanno fornito liquidità ai mercati per garantirne la continuità di funzionamento. A livello nazionale e internazionale sono stati varati numerosi pacchetti di salvataggio, contenenti misure quali iniezioni di capitale o acquisizioni di partecipazioni negli istituti finanziari colpiti o addirittura la loro nazionalizzazione, concessione di garanzie pubbliche, miglioramento della garanzia dei depositi bancari ecc. Entro certi limiti questi interventi hanno aiutato le banche a proseguire la loro normale attività.

3.2   Il secondo, importante passo consiste nel rafforzare l'economia reale. Occorre restituire la fiducia ai consumatori e agli investitori e, a tal fine, adottare misure di sostegno della domanda interna e di stabilizzazione dei mercati del lavoro. Devono essere rafforzati in particolare le fasce di popolazione a più basso reddito, perché sono quelle più colpite dagli effetti della crisi, ma anche quelle che hanno il massimo impatto sui consumi interni.

3.3   Parallelamente bisogna creare condizioni generali tali da attutire gli effetti della crisi sulle imprese. Queste ultime, in veste di produttrici, investitrici, esportatrici e promotrici di attività di ricerca e sviluppo, svolgono un ruolo primario ai fini della ripresa economica e contribuiscono in maniera decisiva alla creazione di posti di lavoro e quindi di domanda interna. Occorre tuttavia tenere conto, oltre che degli aspetti ciclici, anche delle questioni relative alla sostenibilità e degli aspetti strutturali.

3.4   Bisogna inoltre procedere ad una ristrutturazione dell'architettura finanziaria internazionale, e regolamentare in maniera più efficace i mercati finanziari. Le disposizioni relative alle autorità di vigilanza e al loro coordinamento, alle agenzie di rating e alla stesura dei bilanci come pure le regole contabili vanno cambiate in modo da renderle adatte a prevenire crisi come quella attuale.

4.   Il ruolo della politica economica europea

4.1   Sebbene all'origine la crisi sia nata negli Stati Uniti, l'economia europea vi è stata coinvolta a causa dell'interconnessione economica globale. In tale contesto l'euro ha dato buona prova di sé in quanto punto di riferimento stabile. Senza una valuta comune, le conseguenze sulle economie nazionali sarebbero state ben più gravi. Una crisi internazionale richiede risposte internazionali e l'esigenza di interventi da parte della politica economica europea è enorme. Le sfide descritte nel capitolo 3 richiedono un intervento proattivo rapido, determinato, massiccio, proporzionato allo scopo e coordinato, nel cui quadro molte misure sono di carattere temporaneo.

4.2   È necessario apprendere dalle esperienze passate. All'inizio del decennio, quando lo scoppio della bolla tecnologica e gli attentati terroristici negli Stati Uniti causarono un brusco calo dell'attività economica in tutte le principali regioni del mondo, solo l'Europa rinunciò ad intervenire attivamente per rilanciare l'economia attraverso la politica monetaria e di bilancio con misure dal lato della domanda. Anche a causa di ciò ci sono voluti quattro anni per superare la crisi e ampie zone dell'Europa soffrono tutt'ora di una debolezza della domanda interna che le rende molto più vulnerabili alle flessioni della domanda internazionale.

4.3   Le principali istituzioni di politica economica hanno riconosciuto troppo tardi la gravità della crisi in corso. Ancora in settembre i ministri dell'economia e delle finanze, riuniti nel Consiglio Ecofin, si mostravano scettici sulla necessità di un piano di ripresa. Sebbene l'economia dell'eurozona fosse in fase di contrazione già nel secondo trimestre del 2008, in estate la BCE ha rialzato ancora una volta i tassi di interesse. Anche le divergenze tra capi di governo emerse in occasione del vertice di Parigi sulla crisi economica hanno offuscato le speranze di una rapida azione comune. Inoltre, il mancato coordinamento degli interventi nazionali rivolti a garantire i depositi di risparmio non hanno certo dato l'impressione di un'unità d'intenti all'interno dell'Unione europea. Tutto questo dimostra che la soluzione non consiste tanto nel mettere in atto degli interventi a tutti i costi, quanto piuttosto nel coordinare meglio, specialmente a livello nazionale, i programmi e i pacchetti di misure.

5.   Il piano di ripresa economica della Commissione europea

5.1   In considerazione di quanto sopra suscita particolare compiacimento il fatto che la Commissione europea dichiari adesso di volere intervenire in modo deciso e coordinato e di essere pronta a farlo. La sua strategia per il contenimento della crisi finanziaria prevede un approccio più ampio ai problemi economici e riconosce all'Europa un ruolo fondamentale nella risposta globale alla crisi. I capi di Stato e di governo hanno invitato la Commissione a preparare delle proposte di interventi coordinati da discutere nel vertice di dicembre. Tali proposte sono state presentate, alla fine dello scorso mese di novembre, sotto forma di un Piano europeo di ripresa economica, che intende essere tempestivo, temporaneo, mirato e coordinato. Il Consiglio europeo ha quindi varato, nel vertice di Bruxelles dell'11 e 12 dicembre 2008, un programma corrispondente.

5.2   In concreto viene previsto per il periodo 2009-2010 uno stimolo finanziario pari all'1,5 % del PIL comunitario, ossia a 200 miliardi di euro. Di questi, 170 miliardi proverranno dagli Stati membri e gli altri 30 saranno messi a disposizione dal bilancio comunitario e dalla BEI.

5.3   Oltre all'intensificazione delle attività della BEI, in particolare per quanto riguarda le PMI, attraverso la semplificazione e l'accelerazione delle procedure si mettono a disposizione anticipatamente le risorse dei fondi strutturali e di coesione e del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale. Il Fondo sociale europeo finanzierà misure a sostegno dell'occupazione, mirate in particolare ai gruppi sociali meno favoriti. Inoltre si renderà più efficace il Fondo di adeguamento alla globalizzazione. Sono previste anche facilitazioni in materia di aiuti di Stato e misure dirette a sveltire le procedure degli appalti pubblici.

5.4   Nel quadro della maggiore flessibilità offerta dalla revisione del patto per la crescita e la stabilità, le misure degli Stati membri stimoleranno la domanda, sommandosi così agli effetti degli stabilizzatori automatici sulla spesa pubblica e/o gli sgravi fiscali. La proposta della Commissione fornisce alcuni esempi concreti di tale meccanismo: aumento temporaneo dei trasferimenti a favore dei disoccupati o delle famiglie a basso reddito, investimenti pubblici nelle infrastrutture e nella formazione, sostegno alle PMI (attraverso prestiti o la partecipazione al capitale di rischio), misure volte a contrastare i cambiamenti climatici, riduzione delle imposte e degli oneri sociali per datori di lavoro e lavoratori e riduzione temporanea dell'aliquota IVA ordinaria. Il carattere temporaneo delle misure garantirà che il pacchetto per la ripresa economica non comprometta a medio e a lungo termine la sostenibilità delle finanze pubbliche.

5.5   Occorre coordinare le misure degli Stati membri, data la diversità delle posizioni di partenza e dei margini di manovra dei singoli Stati membri. Esse devono essere limitate nel tempo, dato che in seguito bisognerà tornare a rispettare gli obiettivi di bilancio di medio termine. Tali misure andrebbero sostenute con riforme strutturali che provvedano a migliorare il funzionamento dei mercati e ad accrescere la competitività.

5.6   Occorre perseguire uno stretto coordinamento del piano di ripresa economica con le priorità della strategia di Lisbona per la crescita e l'occupazione (persone, economia, infrastrutture ed energia, ricerca e innovazione). La Commissione europea ha varato un pacchetto di misure volte a sostenere l'attuazione del piano europeo di ripresa economica e a rafforzare la strategia di Lisbona per la crescita e l'occupazione. L'adozione dei capitoli dedicati ai singoli Stati membri, in cui si valutano i progressi compiuti da ciascuno di essi nell'attuazione di tale strategia, avrà luogo all'inizio dell'anno prossimo (1). Il piano di ripresa economica presenta al riguardo un'ampia gamma di misure, e ciascun governo è invitato a selezionare quelle appropriate.

5.7   Un altro importante impulso del piano di ripresa economica va nella direzione dell'economia «verde», ossia di prodotti intelligenti per un'economia a basse emissioni di carbonio. Le misure proposte includono tra l'altro investimenti nel campo dell'efficienza energetica, dell'ambiente e della protezione del clima. Anche le misure di sostegno ai settori come quello automobilistico e dell'edilizia particolarmente colpiti dalla crisi vanno abbinate ad obiettivi di tutela ambientale e di risparmio energetico.

5.8   Il programma sottolinea, elemento non trascurabile, che è necessario un approccio concertato su scala globale, che coinvolga anche i paesi emergenti, per tornare alla crescita economica.

6.   Una prima valutazione da parte del CESE

6.1   Valutazione qualitativa

6.1.1   Il documento della Commissione individua in modo appropriato le sfide, le esigenze operative e le necessità attuali. L'Europa deve agire con rapidità e consapevolezza del proprio ruolo, in maniera mirata ed ambiziosa. Essa deve essere consapevole della sua importanza e porre tutto il suo peso sulla bilancia internazionale.

6.1.2   Se si vuole bloccare l'attuale spirale discendente, si devono rafforzare la fiducia e la domanda. In particolare, si devono combattere vigorosamente le ripercussioni negative della crisi sul mercato del lavoro e sulle componenti più deboli della società. Il mix di politiche macroeconomiche adottato finora non ha offerto risposte appropriate ai problemi esistenti, avendo trascurato l'importanza della domanda interna nel ciclo economico. Pur se in ritardo, la Commissione prevede adesso, come il CESE chiedeva da anni, un ruolo attivo e di sostegno alla domanda per la politica di bilancio e la politica monetaria, che devono collocarsi, su un piano di parità, a fianco delle misure di rafforzamento della competitività relative al lato dell'offerta. La Commissione e gli Stati membri hanno finalmente riconosciuto che la politica di bilancio deve prevedere misure espansive, dato che nella situazione attuale l'efficacia delle misure di politica monetaria è estremamente limitata.

6.1.3   In proposito, appare particolarmente interessante il riferimento della Commissione alla maggiore flessibilità del Patto di stabilità e di crescita dopo la sua riforma, avvenuta nel 2005. Nella situazione attuale tale flessibilità va utilizzata, vale a dire che, nelle attuali, straordinarie circostanze, caratterizzate dalla presenza contemporanea di una crisi finanziaria e una recessione, sembra opportuno anche un temporaneo superamento del limite massimo del 3 % del PIL per il disavanzo pubblico.

6.1.4   Il CESE accoglie con favore il fatto che Commissione metta in rilievo il ruolo positivo che la BCE è chiamata a svolgere nel sostegno all'economia reale. In questo contesto la Commissione fa riferimento al contributo essenziale dato dalla BCE alla stabilizzazione dei mercati attraverso la concessione di prestiti alle banche e il sostegno alla liquidità, menzionando anche il margine di manovra per la riduzione dei tassi di interesse.

6.1.5   È evidente che, una volta superata la crisi, nella prossima fase di ripresa si dovranno prendere nuovamente in considerazione gli obiettivi di medio termine della politica di bilancio, in modo da non mettere a repentaglio la sostenibilità delle finanze pubbliche. Bisognerà allora evitare, sotto il profilo del controllo della spesa, di gravare ulteriormente il fattore lavoro o di introdurre limitazioni inaccettabili delle prestazioni. Bisognerebbe quindi pensare già adesso a delle strategie, che ad esempio schiudano nuove fonti di entrate. Inoltre, si dovrebbe, tra l'altro, tener conto del fatto che la riduzione della spesa pubblica incrementata durante la crisi non rappresenta un obiettivo in sé. Con una popolazione che invecchia, e in presenza di standard sociali elevati come quelli del modello sociale europeo, un più elevato livello di spesa pubblica non è necessariamente un male. In definitiva, anche gli Stati generalmente elogiati per il successo delle loro strategie di flessicurezza presentano quote di spesa pubblica superiori alla media.

6.1.6   È imprescindibile garantire che le misure nazionali siano non solo integrate da quelle europee, ma anche che siano tra loro coordinate. In tal modo si dovrebbero realizzare effetti positivi di trascinamento (spillover) a livello transfrontaliero e si dovrebbe evitare il problema dei «vantaggi ottenuti grazie agli sforzi degli altri». Gli Stati che non partecipano al piano europeo di ripresa economica possono attenuare l'efficacia delle misure. E i paesi che si sforzano di stabilizzare attivamente la congiuntura economica rischiano di essere stigmatizzati per aver fato aumentare il loro disavanzo. In una prospettiva globale, una responsabilità particolare ricade quindi sugli Stati membri che, per le loro dimensioni, esercitano un'influenza decisiva sullo sviluppo globale e dispongono di margini di manovra di bilancio relativamente elevati.

6.1.7   Tra gli aspetti positivi va registrato anche il fatto che, nel dare impulso alla crescita, in pratica non sono stati trascurati né gli obiettivi in materia ambientale, di cambiamenti climatici e di energia né una visione che supera le frontiere dei paesi industrializzati altamente sviluppati. Da un punto di vista globale assume rilievo anche l'impegno contro le misure protezionistiche ingiustificate.

6.2   Valutazione quantitativa

6.2.1   Nel presente parere il CESE intende mettere l'accento sulla valutazione macroeconomica generale. Il Comitato, tuttavia, continuerà a occuparsi del tema in oggetto, e in un successivo parere esaminerà e valuterà in dettaglio le misure proposte e adottate al riguardo. In questo contesto bisognerà discutere le necessarie modifiche della normativa in materia di aiuti di Stato, nonché le eventuali modifiche di quella relativa al Fondo di adeguamento alla globalizzazione. Alcune delle misure incluse nello «strumentario» proposto dalla Commissione andranno esaminate criticamente. Fra queste, anche la controversa riduzione degli oneri sociali e dell'IVA sui servizi a elevata intensità di lavoro. Inoltre, andrebbe esaminata anche la questione della compatibilità della concessione degli aiuti e dell'ammissione ai programmi con le regole di concorrenza.

6.2.2   Poiché il pacchetto per la ripresa economica va accompagnato da riforme strutturali, si deve cercare di evitare che queste ultime contrastino l'obiettivo di rilancio della domanda. Le riforme strutturali devono piuttosto essere concepite in modo tale da risultare socialmente accettabili e da dare impulso alla crescita e all'occupazione.

6.2.3   Tra gli aspetti negativi, va tuttavia segnalato che l'importo di 200 miliardi di euro in due anni appare molto più consistente di quanto non sia in realtà. È chiaro, infatti, che il «denaro fresco» è ben inferiore. Infatti, per quanto riguarda le risorse provenienti dal bilancio dell'UE e dalla BEI, si tratta in parte solo dell'anticipazione di pagamenti comunque già previsti. E, in quanto alle risorse nazionali, in molti casi esse non rappresentano iniziative nuove, supplementari, bensì un catalogo di misure già previste o addirittura adottate dai governi nazionali, a prescindere dal piano europeo di ripresa economica.

7.   Riordino dei mercati finanziari

7.1   Due gravi crisi in rapida successione costituiscono un motivo sufficiente per procedere a una nuova regolamentazione dei mercati finanziari, ossia delle transazioni, dei prodotti, degli operatori, della vigilanza, delle agenzie di rating, ecc., all'interno dell'UE ma anche e soprattutto a livello globale. Ciò si rende necessario al fine di ristabilire il più presto possibile la fiducia negli istituti finanziari e fra di loro, nonché quella degli investitori e dei consumatori. Una riforma dei mercati finanziari e il rapido ripristino della loro funzionalità sono una condizione essenziale perché essi possano tornare ad assolvere il loro compito di sostegno dell'economia reale e quindi per il successo delle misure di rilancio dell'economia.

7.2   L'Europa ha accolto acriticamente molte novità provenienti dagli Stati Uniti, dall'introduzione delle cosiddette innovazioni finanziarie, passando per il finanziamento dei sistemi pensionistici, fino alle regole di contabilità — con risultati poco lusinghieri come si sa. In futuro occorrerà quindi tornare ad attribuire una maggiore importanza alle concezioni, ai punti di forza, alle esperienze e alle tradizioni europee, tra cui anche le forme ad esse peculiari come la forma organizzativa cooperativa. In tal senso bisognerà sfruttare maggiormente la «massa critica» della zona dell'euro, cresciuta con gli allargamenti dell'UE. Il vertice del G20 svoltosi a Washington ha inviato alcuni segnali incoraggianti in tal senso, e i risultati conseguiti in tale occasione devono ora essere sviluppati ulteriormente in vista del prossimo vertice del G20, che si terrà a Londra il 2 aprile 2009.

7.3   Il necessario riordinamento dei mercati finanziari e la loro nuova regolamentazione non sono affrontati nel piano di ripresa economica presentato dalla Commissione. Il CESE spera che ciò sia dovuto solo al fatto che la Commissione ha in programma un'iniziativa sulla «vigilanza dei mercati finanziari dell'UE», da pubblicare nel luglio 2009. Nel riconfigurare il quadro di riferimento vanno prese in esame anche quelle ricerche scientifiche che indicano che i mercati speculativi — anche a causa dei sistemi di effettuazione delle operazioni e di decisione, basati su modelli informatici, utilizzati dai principali attori del mercato — reagiscono in modo eccessivo in entrambe le direzioni in quanto si manifesta sistematicamente un comportamento «gregario» (herding behaviour). Il CESE si riserva di formulare le sue osservazioni e le sue proposte al riguardo in un secondo momento, e in proposito richiama l'attenzione sul convegno, da esso organizzato, intitolato Rien ne va plus? Come ricostruire l'economia sociale di mercato europea dopo il crollo del «capitalismo d'azzardo», che si svolgerà a Bruxelles il 22 e 23 gennaio 2009.

Bruxelles, 15 gennaio 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Per maggiori dettagli riguardo al contenuto di questo pacchetto di misure, si rinvia al comunicato stampa del 16 dicembre 2008 (non disponibile in italiano) intitolato Décisions de la Commission relatives à la stratégie de Lisbonne pour la croissance et l'emploi («Decisioni della Commissione relative alla strategia di Lisbona per la crescita e l'occupazione») (IP/08/1987).


4.8.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 182/75


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 98/8/CE relativa all'immissione sul mercato dei biocidi per quanto riguarda l’estensione di determinati periodi di tempo

COM(2008) 618 def. — 2008/0188 (COD)

(2009/C 182/16)

Il Consiglio, in data 5 dicembre 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 98/8/CE relativa all'immissione sul mercato dei biocidi per quanto riguarda l’estensione di determinati periodi di tempo

COM(2008) 618 def. — 2008/0188 (COD).

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, in data 14 gennaio 2009, nel corso della 450a sessione plenaria, ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 192 voti favorevoli e 6 astensioni.

Bruxelles, 14 gennaio 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


4.8.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 182/76


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a taluni elementi e caratteristiche dei trattori agricoli o forestali a ruote (versione codificata)

COM(2008) 690 def. — 2008/0213 (COD)

(2009/C 182/17)

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 8 dicembre 2008, ha deciso, conformemente all'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a taluni elementi e caratteristiche dei trattori agricoli o forestali a ruote

(versione codificata)

COM(2008) 690 def. — 2008/0213 (COD).

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, in data 14 gennaio 2009, nel corso della 450a sessione plenaria, ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 186 voti favorevoli, 1 voti contrario e 7 astensioni.

Bruxelles, 14 gennaio 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


4.8.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 182/77


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (codificazione)

COM(2008) 691 def. — 2008/0206 (CNS)

(2009/C 182/18)

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 19 novembre 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 94 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Consiglio concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (codificazione)

COM(2008) 691 def. — 2008/0206 (CNS).

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, in data 14 gennaio 2009, nel corso della 450a sessione plenaria, ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 180 voti favorevoli, 2 voti contrari e 6 astensioni.

Bruxelles, 14 gennaio 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI