ISSN 1725-2466

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 175

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

50o anno
27 luglio 2007


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

III   Atti preparatori

 

Comitato economico e sociale europeo

 

436a Sessione plenaria del 30 e del 31 maggio 2007

2007/C 175/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 92/84/CEE relativa al ravvicinamento delle aliquote di accisa sull'alcole e sulle bevande alcoliche COM(2006) 486 def.

1

2007/C 175/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al programma statistico comunitario 2008-2012 COM(2006) 687 def. — 2006/0229 (COD)

8

2007/C 175/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle statistiche trimestrali sui posti di lavoro vacanti nella Comunità COM(2007) 76 def.

11

2007/C 175/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1059/2003 relativo all'istituzione di una classificazione comune delle unità territoriali per la statistica (NUTS) a seguito dell'adesione della Bulgaria e della Romania all'Unione europea COM(2007) 95 def. — 2007/0038 (COD)

13

2007/C 175/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il mercato interno dei servizi — Esigenze per il mercato del lavoro e per la protezione dei consumatori

14

2007/C 175/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Norme di qualità relative ai contenuti, alle procedure e ai metodi delle valutazioni di impatto sociale dal punto di vista delle parti sociali e degli altri attori della società civile

21

2007/C 175/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo relativa all'attuazione della direttiva 1997/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 1997, riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza COM(2006) 514 def.

28

2007/C 175/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 78/855/CEE del Consiglio relativa alle fusioni delle società per azioni e la direttiva 82/891/CEE del Consiglio relativa alle scissioni delle società per azioni, per quanto riguarda l'obbligo di far elaborare ad un esperto indipendente una relazione in occasione di una fusione o di una scissione COM(2007) 91 def. — 2007/0035 (COD)

33

2007/C 175/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento n. 11, riguardante l'abolizione di discriminazioni nel campo dei prezzi e delle condizioni di trasporto, emanato in applicazione dell'articolo 79, paragrafo 3, del Trattato che istituisce la Comunità economica europea e il regolamento (CE) n. 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio sull'igiene dei prodotti alimentari COM(2007) 90 def. — 2007/0037 (COD)

37

2007/C 175/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'installazione dei dispositivi di illuminazione e di segnalazione luminosa dei trattori agricoli o forestali a ruote COM(2007) 192 def. — 2007/0066 (COD)

40

2007/C 175/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull'esportazione ed importazione di prodotti chimici pericolosi COM(2006) 745 def. — 2006/0246 (COD)

40

2007/C 175/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla commercializzazione dei prodotti fitosanitari COM(2006) 388 def. — 2006/0136 (COD)

44

2007/C 175/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2003/87/CE al fine di includere le attività di trasporto aereo nel sistema comunitario di scambio delle quote di emissione dei gas a effetto serra COM(2006) 818 def. — 2006/0304 (COD)

47

2007/C 175/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio recante norme specifiche per il settore ortofrutticolo e recante modifica di taluni regolamenti COM(2007) 17 def. — 2007/0012 (CNS)

53

2007/C 175/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2006/66/CE relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori, per quanto riguarda le competenze di esecuzione conferite alla Commissione COM(2007) 93 def. — 2007/0036 (COD)

57

2007/C 175/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Sfide e opportunità per l'Unione europea nel contesto della globalizzazione

57

2007/C 175/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde — Modernizzare il diritto del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo COM(2006) 708 def.

65

2007/C 175/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio sulla costituzione del Quadro europeo delle qualifiche e dei titoli per l'apprendimento permanente COM(2006) 479 def. — 2006/0163 (COD)

74

2007/C 175/19

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Strategia comunitaria volta ad affiancare gli Stati membri nei loro sforzi per ridurre i danni derivanti dal consumo di alcol COM(2006) 625 def.

78

2007/C 175/20

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme comuni per la prestazione di servizi di trasporto aereo nella Comunità (rifusione) COM(2006) 396 def. — 2006/0130 (COD)

85

2007/C 175/21

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La politica europea di sicurezza stradale e i conducenti professionisti — Parcheggi sicuri e custoditi

88

2007/C 175/22

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La futura legislazione in materia di e-accessibilità

91

IT

 


III Atti preparatori

Comitato economico e sociale europeo

436a Sessione plenaria del 30 e del 31 maggio 2007

27.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 175/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 92/84/CEE relativa al ravvicinamento delle aliquote di accisa sull'alcole e sulle bevande alcoliche

COM(2006) 486 def.

(2007/C 175/01)

Il Consiglio, in data 26 settembre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 93 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 19 aprile 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore IOZIA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 30 maggio 2007, nel corso della 436a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 78 voti favorevoli, 10 voti contrari e nessuna astensione:

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato ritiene che non sia corretto applicare un adeguamento automatico del tasso di inflazione rilevato a partire dal 1992 nell'UE 12, considerato che nel frattempo sono diventati membri nell'Unione altri 3 paesi nel 1995, altri 10 dal 1o maggio 2004 e altri 2 dal 1o gennaio 2007.

1.2

Il Comitato ritiene che per realizzare l'auspicata armonizzazione nell'ambito dell'UE 27 occorra considerare anche l'adozione di un'aliquota massima di accise: questa è infatti sicuramente una misura che consente, in prospettiva, di contrastare efficacemente il contrabbando e la frode e di ravvicinare i livelli di tassazione, favorendo il vero sviluppo del mercato interno. La difesa degli interessi dei consumatori, che non sono da considerare alla stregua di trafficanti se acquistano prodotti alcolici là dove costano meno, si realizza con una progressiva armonizzazione.

1.3

Il Comitato raccomanda che sia esplicitamente vietato agli Stati membri di aggiungere al normale regime delle accise e dell'IVA altre forme di tassazione al consumo, magari denominandole «tassa comunitaria», conformemente a quanto stabilito dalla Corte di giustizia delle Comunità europee (1).

1.4

Il Comitato non ritiene che nella proposta sussistano le condizioni di coerenza per giustificare la base giuridica richiamata con l'art. 93 del Trattato, che autorizza il Consiglio ad adottare all'unanimità disposizioni che riguardano l'armonizzazione delle legislazioni nazionali in materia fiscale. La proposta, infatti, lasciando liberi gli Stati membri di fissare le loro aliquote a partire dalle minime, non armonizza alcunché.

1.5

Il Comitato considera errata la minimizzazione della proposta fatta dalla Commissione, che ha così giustificato la mancanza della valutazione di impatto e della consultazione delle parti interessate. Nel corso di un'audizione tenuta presso il Comitato tutti i partecipanti, oltre a dichiarare la propria contrarietà alla proposta della Commissione, hanno chiesto per il futuro che quest'ultima proceda ad una accurata valutazione d'impatto.

1.6

Il Comitato auspica il ritiro della proposta e chiede che per il futuro la Commissione aggiorni i riferimenti ai codici della nomenclatura combinata indicati nella direttiva 92/83/CEE e riveda i metodi di classificazione.

2.   La proposta della Commissione

2.1

La Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 92/84/CEE relativa al ravvicinamento delle aliquote di accisa sull'alcole e sulle bevande alcoliche fissa le aliquote minime di accisa per l'alcole e le diverse categorie di bevande alcoliche. L'articolo 8 prevede che la Commissione è tenuta a effettuare esami periodici e a presentare una relazione e, eventualmente, una proposta di modifica.

2.2

Il dibattito seguito alla relazione presentata dalla Commissione il 26 maggio 2004, nella quale la stessa concludeva sull'opportunità di una maggiore convergenza delle aliquote minime per garantire un migliore funzionamento del mercato interno e per prevenire le frodi e il contrabbando favoriti dalla diversità dei regimi esistenti negli Stati membri, ha determinato l'invito del Consiglio a «presentare una proposta volta ad adeguare le aliquote minime di accisa al fine di evitare un calo del valore reale delle aliquote minime della Comunità, prevedendo periodi transitori e deroghe per gli Stati membri che potrebbero avere difficoltà ad aumentare le aliquote». Il Consiglio aggiungeva inoltre che «la Commissione dovrebbe anche tenere debitamente conto della sensibilità politica globale di tale speciale questione».

2.3

La Commissione propone pertanto di modificare la direttiva:

rivalutando le aliquote minime sull'alcole, sui prodotti intermedi e sulla birra per tenere conto della inflazione registrata dal 1993 al 2005, che è dell'ordine del 31 %, con effetto a decorrere dal 1o gennaio 2008,

prevedendo una moratoria all'entrata in vigore delle nuove aliquote pari ad un anno per i paesi che dovrebbero incrementare le loro aliquote effettive di oltre il 10 %, e pari a due anni per quelli che invece dovrebbero incrementare le loro di oltre il 20 %,

prolungando da due a quattro anni i termini previsti all'articolo 8 della direttiva per la procedura di riesame.

2.4

L'obiettivo principale della proposta, così come richiesto dal Consiglio, è quello di ripristinare il valore reale delle aliquote ai corsi del 1992, vale a dire quello che, secondo la Commissione, è in grado di «assicurare il funzionamento del mercato interno senza frontiere fiscali».

3.   Osservazioni

3.1

Il Comitato, in mancanza di una valutazione di impatto, ha ritenuto opportuno ascoltare direttamente il parere della associazioni dei produttori, dei consumatori e delle organizzazioni sindacali. Nel corso dell'audizione tutti i partecipanti hanno unanimemente esposto le loro perplessità sulla proposta di direttiva. Alcune organizzazioni hanno anche osservato che con questa proposta il divario di trattamento tra le diverse bevande alcoliche aumenterebbe, con evidente svantaggio per quelle assoggettate ad accisa. D'altro canto i produttori delle bevande non assoggettate chiedono di non modificare l'attuale assetto, peraltro definito negli accordi della politica agricola comune.

3.2

I partecipanti all'audizione (2) hanno altresì convenuto sul fatto che gli aspetti sociosanitari devono essere considerati, ma non devono costituire il punto di riferimento per la tassazione, mentre richiedono — e il Comitato su questo è d'accordo — una campagna di «consumo responsabile» per contenere i rischi degli abusi. È stato altresì sottolineato come l'industria europea sia la prima al mondo nel settore, contribuendo in misura non indifferente al PIL europeo e all'occupazione sia diretta che indiretta.

3.3

Apparentemente, la proposta di modifica della direttiva sembra un intervento di routine, di semplice adeguamento di valori numerari all'inflazione registrata dal 1993 ad oggi. Di fatto, però, essa affronta un tema estremamente complesso e delicato che dimostra come le politiche e gli interessi nazionali siano ben lontani dal cedere il passo ad un profilo realmente alto di convergenza fiscale comunitaria. Il Comitato si è espresso più volte in favore di un processo di armonizzazione fiscale e considera tale processo uno strumento indispensabile per far apprezzare ai consumatori i vantaggi del mercato unico.

3.4

Le riunioni Ecofin del 7 e del 28 novembre del 2006, dedicate tra l'altro anche all'esame di questa proposta, hanno riaperto discussioni infinite tra gli Stati membri, riproponendo sostanzialmente il quadro che nel 1992 aveva determinato il tenore della direttiva, la quale era riuscita a fissare esclusivamente le aliquote minime, senza nessuna possibilità di individuare un percorso comune di armonizzazione e di riavvicinamento delle aliquote delle accise.

3.5

Se si osservano attentamente le aliquote praticate dai singoli Stati membri, si rilevano delle differenze realmente macroscopiche. La relazione del 26 maggio 2004 riportava le misure applicate per le diverse tipologie di bevande dai 25 Stati membri e dagli allora paesi candidati, che dal 1o gennaio 2007 sono entrati a far parte dell'Unione, vale a dire Romania e Bulgaria (3). Tra le aliquote minime e quelle massime le differenze sono del 1.100 %!

3.6

A titolo di esempio, per il vino si passa da 0 a 273 € per hl; per lo spumante da 0 a 546 € per hl; per la birra da 0,748 per grado Plato (4) equivalenti a 1,87 — a 19,87 € per hl/grado alcolico, per i prodotti intermedi tranquilli e spumanti da 45 a 497 € per hl, per l'alcole puro da 550 a 5.519 € per hl, cosa che per le bevande alcoliche a 40o significa un passaggio da 220 a 2.210 € per hl.

3.7

L'adeguamento del valore delle aliquote minime proposto dalla Commissione farebbe scendere la differenza tra le aliquote praticate tra i diversi paesi dal 1.100 % a una misura oscillante tra l'800 % e il 1.000 %. Appare dunque veramente temeraria l'affermazione della Commissione che questa misura è in grado di assicurare il funzionamento del mercato interno! Per ottenere un risultato efficace, il Comitato suggerisce l'introduzione, accanto all'aliquota minima, di una aliquota massima, una misura che consente, in prospettiva, di contrastare il contrabbando e la frode.

3.8

Altrettanto inconcludente appare la sottolineatura che l'adeguamento del valore delle aliquote minime al tasso di inflazione non determina un aumento del loro valore reale. Per completezza di informazione la Commissione avrebbe dovuto presentare in modo dinamico l'andamento delle accise praticate negli Stati membri, a partire dall'anno di presentazione della proposta di armonizzazione, cioè dal Libro bianco del 1985. L'effetto concreto che si è avuto, invece, è stato quello di determinare con alcune eccezioni, al termine del periodo di deroga previsto per alcuni paesi, la crescita del valore reale delle accise negli Stati membri. Il Comitato valuta negativamente tutte quelle pratiche nazionali che aggiungono alle accise altre forme di tassazione, magari sotto il nome di «tassa comunitaria».

3.9

Tale andamento è confermato da uno studio richiesto dalla stessa Commissione (5), nel quale si evidenzia che a parte tre Stati membri, tutti gli altri hanno incrementato il valore delle rispettive accise ogni anno o ogni pochi anni.

3.10

Nello stesso studio, che teneva conto dell'elasticità della domanda rispetto ai prezzi, veniva evidenziato che, nell'ipotesi di un riallineamento delle aliquote minime all'inflazione:

le bevande spiritose ne beneficerebbero sostanzialmente, in particolare nei paesi nordici ma anche nel Regno Unito e in Irlanda,

nel caso di un'elasticità relativamente alta del prezzo, il consumo di bevande spiritose (ad alto contenuto alcolico) aumenterebbe rispetto all'ipotesi dell'elasticità incrociata (rapporto tra la domanda di un determinato tipo di prodotto e i prezzi di altre categorie di prodotti) (6),

nel caso di una elasticità di prezzo elevata, i maggiori perdenti sarebbero la birra e il vino: i paesi nordici dovrebbero registrare delle perdite significative nel consumo di vino, mentre Germania, Belgio, Francia e Lussemburgo dovrebbero registrare delle perdite nei consumi di birra.

3.11

Sarebbe peraltro interessante effettuare una comparazione tra gli effetti della variazione delle aliquote minime descritti nello studio, che si limitava all'UE 15, e quelli calcolati sulla base della nuova dimensione dell'UE a 27.

3.12

Il Comitato si domanda se su un tema che è stato esplicitamente dichiarato estremamente sensibile, la Commissione debba continuare a limitarsi ad assumere un ruolo da notaio, o se essa non dovrebbe invece, anche in dialettica con gli Stati membri, presentare delle proposte che possano effettivamente attenuare le forti distorsioni alla concorrenza determinate dal mantenimento di un regime di tassazione così differenziato.

3.13

Un altro elemento che la Commissione non ha tenuto in alcuna considerazione nel formulare la sua proposta di modifica della direttiva 92/84/CEE è il fatto che nel 1992, nella Comunità europea a 12 il divario del reddito pro-capite interno non era tale da rendere effettivamente onerose le aliquote stabilite. Nell'Europa a 27, dove i livelli di salari e pensioni sono così differenziati, continuare a parlare della stessa tassazione per nuovi e vecchi Stati membri è una misura iniqua, che colpisce esclusivamente i redditi più modesti. Per lavoratori e pensionati i cui salari e pensioni non superano i 100-150 € mensili e che hanno già dovuto subire un aumento delle accise sugli alcoli dal 50 % al 400 %, un ulteriore aumento del 31 % determinerebbe sicuramente un effetto negativo sui consumi. Considerando proprio le nuove adesioni intervenute nel tempo, che hanno portato all'inserimento di 12 nuovi paesi, il Comitato ritiene che non sia corretto applicare un adeguamento automatico del tasso di inflazione rilevato nell'UE 12 a partire dal 1992.

3.14

Salvo rarissime eccezioni, poi, l'automatismo proposto contraddice tutte le politiche antinflazioniste messe in campo dagli Stati membri che da tempo hanno abolito, là dove esistevano, i meccanismi di adeguamento automatico al tasso di inflazione di stipendi e pensioni. La Commissione non spiega bene perché si debba mantenere in vita un tale meccanismo solo per tasse ed accise!

3.15

Il Comitato ritiene, invece, che l'attuale regime sia assolutamente inadeguato e considera l'adeguamento al tasso di inflazione (dell'UE a 12, a 25, o a 27 ?) una misura inutilmente punitiva, in particolare per i redditi più bassi, così come lo sono tutte le tassazioni indirette che prescindono dal reddito effettivo del contribuente.

3.16

Come avviene per il vino per alcuni Stati membri, il consumo, sempre a livelli moderati, di altri tipi di bevande alcoliche fa parte della cultura e della storia di altri popoli europei. Il problema, pur nelle sue articolazioni, va pertanto visto globalmente.

3.17

Il Comitato rispetta le scelte di quei paesi che hanno adottato una severa politica fiscale su alcoli e tabacchi, probabilmente dovuta a epifenomeni di abusi, in particolare nelle giovani generazioni. Alcuni Stati membri hanno dichiarato che le loro politiche fiscali devono tener conto della salute pubblica ma queste libere decisioni non possono influire sulle scelte e le motivazioni di altri Stati membri.

3.18

A questo proposito il Comitato si è già espresso in un articolato parere (7), nel quale veniva sottolineato che «il modo migliore per combattere gli abusi passa attraverso i programmi di istruzione, informazione e sensibilizzazione, rivolti in primo luogo a chi fa abuso di alcolici».

3.19

Il Comitato non ritiene che sussistano le condizioni previste dall'art. 93 del Trattato CE, che autorizza il Consiglio ad adottare, deliberando all'unanimità, disposizioni che riguardano l'armonizzazione del regime fiscale, nella misura in cui tale armonizzazione sia necessaria per instaurare o migliorare il funzionamento del mercato interno entro i termini previsti dall'art. 14. L'aumento delle accise minime, infatti, non favorisce l'armonizzazione, ma solo la base minima che ogni Stato membro può decidere di incrementare senza limite. Dall'adozione della direttiva 92/84/CEE ad oggi, le aliquote effettive si sono ulteriormente distanziate, a dimostrazione del fatto che non è stato possibile realizzare l'armonizzazione mediante tale direttiva.

4.   La lotta alla frode e al contrabbando

4.1

Un altro degli aspetti negativi causati da livelli elevati di differenziale di tassazione, oltre a quello di ostacolare il buon funzionamento del mercato interno, è la forte propensione all'evasione delle accise: o parziale, pagandole in un altro Stato membro piuttosto che in quello di consumo finale, o totale, importando da paesi terzi o dirottando dei beni che viaggiano in regime di sospensione di imposta.

4.2

Lo sviluppo dell'e-commerce determina un'ulteriore area di potenziale frode fiscale, vista l'impossibilità di controllare le vendite a distanza e l'assenza di una politica coordinata di contrasto alla frode delle accise sugli alcoli, dovuta al fatto che alcuni Stati membri non considerano tali frodi un problema e che il fenomeno interessa quasi esclusivamente le aree a più elevata tassazione.

4.3

Con l'allargamento, le frontiere esterne dell'Unione hanno raggiunto paesi ove i livelli di tassazione sono molto più bassi di quelli praticati mediamente nell'UE e il potenziale di frode è aumentato esponenzialmente. In alcuni Stati che oggi confinano con l'UE, la corruzione è molto elevata e interessa anche le autorità doganali. Le misure per contrastare il contrabbando dovranno esser ulteriormente rafforzate e se l'aumento delle accise dovesse essere accolto così come proposto, i margini di profitto per i trafficanti internazionali saranno ancora più importanti.

4.4

Fin dal 1992 l'Unione si è posta il problema del contrasto alle frodi sui prodotti in regime di accisa, emanando la direttiva del Consiglio 92/12/CEE del 25 febbraio 1992 relativa al regime generale, alla detenzione, alla circolazione ed ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa. A seguito degli scarsi risultati ottenuti, tale direttiva è stata modificata nel 2004 con la direttiva 2004/106/CE del Consiglio, del 16 novembre 2004, che modificava anche la direttiva 77/799/CEE relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri in materia di imposte dirette, di talune accise e imposte sui premi assicurativi.

4.5

A questo proposito il Comitato sosteneva in un suo parere (8) che per contrastare efficacemente le frodi «appare evidente la necessità di modernizzare, rafforzare, semplificare e rendere più efficiente lo strumento della cooperazione amministrativa e dello scambio di informazioni, tra Stati membri, in materia di accise.»

4.6

Nel medesimo parere veniva altresì posto in rilievo il fatto che «ancora una volta i benefici che deriverebbero da un più efficace funzionamento del mercato unico, e nella fattispecie delle procedure atte a rilevare e combattere le frodi e l'evasione fiscale, vengono limitati dalla volontà di tutelare gli interessi nazionali.» Ed ancora: «È indubbio infatti che molte pratiche di frodi sono direttamente in relazione con le differenze talvolta notevoli che esistono tra le aliquote di accisa applicate nei vari Stati membri.»

«Il CESE coglie l'occasione per denunciare i limiti legati alla vigenza del principio dell'unanimità, che attualmente governa la maggior parte delle decisioni comunitarie in materia di legislazione fiscale, e ribadisce la necessità di un superamento dello stesso a favore del principio di maggioranza, pur qualificata, quando si tratti di imposte che influiscono sul funzionamento del mercato interno o sono causa di distorsioni della concorrenza.»

4.7

Il Comitato ha espresso e ribadito nel tempo i concetti che considera fondamentali in questo campo:

rafforzare la cooperazione amministrativa, il dialogo costante tra amministrazioni fiscali, la reciproca assistenza, la formazione continua e comune degli addetti alla repressione delle frodi, collegando in rete su piattaforme compatibili le forze di polizia e tributarie e condividendo le banche dati,

favorire i processi di armonizzazione fiscale, sia nel campo della tassazione diretta che in quello più complesso delle accise,

avviare un processo di superamento dell'unanimità su alcuni temi fiscali, partendo da quelli di più semplice realizzazione,

superare il modello di tassazione IVA, che favorisce la pratica della frode,

non aumentare la pressione fiscale.

4.8

In Svezia, ad esempio, nel solo settore della birra sono stati importati nel 2004, da viaggiatori o di contrabbando, circa 164 milioni di litri, che equivalgono alle vendite del monopolio di Stato (Systembolaget) pari a 173 milioni di litri, e che corrispondono a una perdita per l'erario svedese di circa 190 milioni di euro tra accise e IVA. Tali acquisti sono cresciuti del 40 % a partire dal 2002, anno della eliminazione del regime speciale di restrizioni all'acquisto dall'estero. Si calcola che negli ultimi due anni il contrabbando sia raddoppiato. La Danimarca stima a 95 milioni di litri i quantitativi di birra acquistati dai viaggiatori in Germania: se a questa cifra si aggiunge circa un 10 % di merce di contrabbando, si arriva al risultato che circa il 30 % della birra consumata in Danimarca sfugge alla tassazione danese. Nel 2005 in Finlandia sono stati importati dai viaggiatori oltre 42 milioni di litri, pari al 10 % del consumo totale, causando una perdita di gettito di oltre 50 milioni di euro. Quanto all'Austria e alla Repubblica ceca, i quantitativi importati dai viaggiatori dalla Germania ammontano a 30 milioni di litri, mentre quelli importati nel Regno Unito sono pari a 100 milioni di litri, a cui si devono aggiungere quelli oggetto di un contrabbando su larga scala (9).

5.   Struttura delle accise applicate alle bevande alcoliche

5.1

Nella relazione del 2004, la Commissione esponeva i problemi che erano stati individuati nel corso del tempo nel contesto dell'attuazione della direttiva 92/84/CEE, evidenziandone in particolare tre:

l'opzione che consente agli Stati membri di tassare diversamente le bevande alcoliche tranquille e quelle spumanti,

la necessità di aggiornare i riferimenti ai codici della nomenclatura combinata indicati nella direttiva 92/83/CEE per la definizione delle categorie di bevande alcoliche a fini impositivi, allo scopo di tener conto degli eventuali cambiamenti dei codici NC intercorsi dal 1992 ad oggi,

il fatto che la classificazione delle bevande alcoliche nelle categorie previste dalla direttiva 92/83/CEE ha determinato l'esistenza di classificazioni divergenti e, di conseguenza, di una tassazione diversa dello stesso prodotto in differenti Stati membri.

5.2

Per quanto riguarda il primo punto, la Commissione motiva la proposta di superare la possibilità di assoggettare a un trattamento diverso i vini spumanti e quelli tranquilli, con il fatto che ormai sono venute meno le ragioni all'origine di questa opzione, cioè il considerare i vini spumanti come prodotti di lusso (laddove, semmai, per alcuni vini tranquilli è vero il contrario!).

5.3

Per quanto riguarda il secondo punto, la direttiva 92/83/CEE (relativa alla struttura delle accise), prevedeva, all'art. 26, che i codici della nomenclatura combinata in essa menzionati erano quelli in vigore il giorno della sua adozione (19 ottobre 1992); la Commissione propone invece di fare riferimento ai codici NC applicabili alla data più recente possibile, impegnandosi ad adottare in futuro le decisioni di modifica in conformità all'art. 24 della direttiva 92/12/CEE (coinvolgendo il comitato per le accise, come stabilito anche per i prodotti energetici).

5.4

In relazione al terzo punto, infine, per ovviare al problema, segnalato da molti operatori, della genericità della formulazione della direttiva, che non specifica la misura di alcole distillato che è possibile aggiungere alle «altre bevande fermentate», la Commissione propone di rendere la classificazione delle bevande alcoliche ai fini dell'accisa meno dipendente dalla classificazione NC.

5.5

Il Comitato ritiene fondate e coerenti le modifiche richieste dagli operatori nel senso di una maggiore semplificazione e tutela della concorrenza. Il Comitato condivide nel merito le proposte a suo tempo formulate dalla Commissione e si domanda perché esse non siano state attuate, modificando in tal senso la direttiva 92/83/CEE.

5.6

Il Comitato auspica il ritiro della proposta di direttiva e nel contempo raccomanda di adottare le modifiche proposte dalla Commissione alla direttiva 92/83/CEE.

Bruxelles, 30 maggio 2007.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  C-437/97 Evangelischer Krankeshausverein Wien (EKW).

(2)  CEPS — The European Spirits Organisation; AICV — The Association of Cider and Fruit Wine; The Brewers of Europe; Comité Européen des Entreprises Vins.

(3)  Cfr. in allegato alla Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 92/84/CEE relativa al ravvicinamento delle aliquote di accisa sull'alcole e sulle bevande alcoliche, le tabelle pubblicate dalla Commissione nella relazione 26 maggio 2004.

(4)  Da Wikipedia, l'enciclopedia libera: I gradi Plato sono una delle unità di misura usate per misurare la densità di una soluzione. La scala Plato è particolarmente utilizzata nell'industria birraria per la sua immediatezza d'uso. Per definizione si dice che la densità di una soluzione misurata in gradi Plato è l'equivalente della densità misurata in percentuale peso/peso di una soluzione di saccarosio diluita in acqua. In altre parole, dire ad esempio che un litro di mosto di birra ha un contenuto pari a 12 gradi Plato equivale a dire che la densità di estratto (o zuccheri disciolti nel mosto) in questione è pari a quella di un litro di soluzione acquosa contenente il 12 % peso/peso di saccarosio, approssimando il peso specifico dell'acqua a 1 kg/l e supponendo di essere sul livello del mare e a temperatura ambiente. Si può dire che il nostro campione di mosto contenga circa 120 grammi di estratto.

(5)  Customs Associates Ltd, Study on the competition between alcoholic drinks — Final report — febbraio 2001.

(6)  L'elasticità incrociata rispetto al prezzo dà un'indicazione del grado di concorrenza esistente tra le bevande.

(7)  GU C 69 del 21.3.2006, pag. 10 (relatore: WILKINSON).

(8)  GU C 112 del 30.4.2004, pag. 64 (relatore: PEZZINI).

(9)  Oxford economics The consequences of the proposed Increase in the minimum excise duty rates for beer. Febbraio 2007.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Qui di seguito si riportano gli emendamenti che, pur essendo stati respinti durante il dibattito, hanno ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi:

Punto 4.6

Sopprimere una parte del punto:

Nel medesimo parere veniva altresì posto in rilievo il fatto che «ancora una volta i benefici che deriverebbero da un più efficace funzionamento del mercato unico, e nella fattispecie delle procedure atte a rilevare e combattere le frodi e l'evasione fiscale, vengono limitati dalla volontà di tutelare gli interessi nazionali.»Ed ancora: «È indubbio infatti che molte pratiche di frodi sono direttamente in relazione con le differenze talvolta notevoli che esistono tra le aliquote di accisa applicate nei vari Stati membri.»

«Il CESE coglie l'occasione per denunciare i limiti legati alla vigenza del principio dell'unanimità, che attualmente governa la maggior parte delle decisioni comunitarie in materia di legislazione fiscale, e ribadisce la necessità di un superamento dello stesso a favore del principio di maggioranza, pur qualificata, quando si tratti di imposte che influiscono sul funzionamento del mercato interno o sono causa di distorsioni della concorrenza.»

Motivazione

Le modalità di voto richieste per l'adozione delle decisioni è un tema di grande rilevanza politica che dovrà essere oggetto di un accordo nel futuro Trattato. La politica fiscale, una volta introdotta la moneta unica e scomparsa quindi la possibilità di sviluppare politiche monetarie adattate alla situazione economica di ogni Stato, resta l'unico strumento di cui dispongono gli Stati membri per indirizzare la loro politica economica. Fintanto che non si approfondisce la coesione economica e sociale, non si deve proporre che una maggioranza, seppur qualificata, possa imporre i suoi criteri a tutti gli Stati membri dell'UE.

Inoltre, con l'abbandono della regola dell'unanimità, determinati paesi, che grazie ad essa riescono a mantenere il loro appoggio a settori chiave della loro economia (come per esempio il vino e/o la birra in determinati paesi), si vedrebbero obbligati a scendere a patti in un contesto decisionale diverso, perdendo la possibilità di bloccare determinate posizioni contrarie ai loro interessi nazionali, facoltà di cui si stanno avvalendo attualmente.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 21

Voti contrari: 54

Astensioni: 4

Punto 4.7

Inserire quanto segue:

Il Comitato ha espresso e ribadito nel tempo i concetti che considera fondamentali in questo campo:

rafforzare la cooperazione amministrativa, il dialogo costante tra amministrazioni fiscali, la reciproca assistenza, la formazione continua e comune degli addetti alla repressione delle frodi, collegando in rete su piattaforme compatibili le forze di polizia e tributarie e condividendo le banche dati,

rafforzare l'esercizio dei diritti dei consumatori in materia di acquisto a distanza di tutti i prodotti nel mercato interno,

favorire i processi di armonizzazione fiscale, sia nel campo della tassazione diretta che in quello più complesso delle accise,

avviare un processo di superamento dell'unanimità su alcuni temi fiscali, partendo da quelli di più semplice realizzazione, nel quadro di una politica fiscale europea coerente,

superare il modello di tassazione IVA, che favorisce la pratica della frode,

non aumentare la pressione fiscale.

Motivazione

Motivazione 1

Il concetto di aliquota massima va tenuto distinto dai concetti di armonizzazione, ravvicinamento dei livelli impositivi e armonizzazione progressiva. Benché uno degli effetti di tale aliquota massima sarebbe la limitazione del differenziale attualmente esistente tra aliquote, come si precisa nei punti 3.5, 3.6 e 3.7, con il conseguente aumento dell'armonizzazione effettiva, la redazione di questo punto può indurre a identificare l'aliquota massima con l'aliquota obiettivo. Lo scopo dell'emendamento è evitare una tale identificazione.

Il problema attuale, effettivamente, è causato dal fatto che alcuni paesi (Irlanda, Regno Unito, Finlandia o Svezia) impongono aliquote elevate creando in tal modo enormi differenziali con le aliquote dei paesi vicini.

Si propone inoltre di modificare l'espressione «prodotti alcolici» e sostituirla con quella più appropriata di «bevande a contenuto alcolico». Esistono prodotti alcolici che si possono trovare in farmacia e che non hanno nessun rapporto con le bevande cui si fa riferimento in questo punto.

D'altra parte, un modo efficace di sviluppare il mercato interno e combattere la frode è quello di permettere ai cittadini dell'Unione europea di esercitare i loro diritti di acquisto di tali prodotti a distanza, come succede con altri prodotti alimentari. In tal modo si istituirebbero canali legali di distribuzione, che possono essere controllati dalle autorità sotto il profilo fiscale o sanitario, con il vantaggio per i consumatori di una più ampia informazione su tali prodotti. Sarebbe anche un modo di rispettare il principio, sancito nel Trattato, di libera circolazione delle merci, che non si riferisce soltanto al commercio tra operatori che esercitano tale attività, ma anche alle operazioni effettuate dai privati. La libera circolazione implica che i consumatori residenti in uno Stato membro debbano poter acquistare beni nel territorio di un altro Stato membro in base a un complesso minimo e uniforme di norme eque che disciplinino la compravendita di tali beni di consumo.

Il Comitato ha recentemente dichiarato che la promozione dei vantaggi del mercato unico tra i consumatori deve essere una delle priorità per il suo completamento. (Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Riesame del mercato unicoGU C 93 del 27.4.2007 — INT/332).

Motivazione 2

Un chiarimento è necessario dato che, come si afferma al punto successivo, il modello istituito nel quadro dell'IVA ha dato luogo ad un'abbondante giurisprudenza, a causa delle lacune presenti nella legislazione e nella sua applicazione a livello europeo e nazionale. È quindi importante che vi sia un coordinamento se si avvierà il processo menzionato nel parere.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 20

Voti contrari: 55

Astensioni: 4


27.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 175/8


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al programma statistico comunitario 2008-2012

COM(2006) 687 def. — 2006/0229 (COD)

(2007/C 175/02)

Il Consiglio, in data 19 gennaio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 19 aprile 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore SANTILLÁN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 30 maggio 2007, nel corso della 436a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 159 voti favorevoli, 1 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1

Il CESE accoglie favorevolmente la proposta relativa al programma statistico comunitario 2008-2012 e condivide l'affermazione secondo cui la disponibilità di statistiche armonizzate e comparabili è fondamentale per far comprendere l'Europa ai cittadini, per garantirne il coinvolgimento nel dibattito e la partecipazione degli operatori economici al mercato unico.

1.2

Il CESE sottolinea la necessità di assegnare tanto ad Eurostat quanto agli istituti nazionali di statistica le migliori risorse umane e materiali tenendo conto delle disponibilità di bilancio. Data l'importanza che assume l'Unione europea come attore sulla scena mondiale, si tratta di un requisito indispensabile affinché l'informazione statistica sia in grado di rispondere a sfide sempre maggiori.

1.3

Il Comitato giudica necessario sottolineare maggiormente gli aspetti legati al benessere dei cittadini europei. In tale contesto, propone di ampliare il programma statistico ai seguenti settori:

politiche a favore dell'infanzia,

invecchiamento della popolazione e situazione degli anziani,

conciliazione tra impegni familiari e vita professionale,

politica sociale nel senso che deve essere trattata in un capitolo a parte.

1.4

L'attenzione rivolta nel Programma statistico 2008-2012 al miglioramento dell'informazione concernente l'istruzione e la formazione professionale è da considerarsi insufficiente data l'importanza che assumono tali aspetti per la realizzazione degli obiettivi di Lisbona.

1.5

È inoltre opportuno fornire statistiche concernenti l'economia sociale, considerando l'elevato livello di sviluppo di cui quest'ultima gode all'interno dell'Unione europea.

1.6

Esistono però settori sui quali i dati statistici attualmente disponibili non sono sufficienti e ai quali il programma quinquennale dovrebbe pertanto attribuire maggiore attenzione. Si tratta in particolare dei seguenti:

l'immigrazione e l'asilo, questioni che hanno ripercussioni sempre più importanti e sulle quali non esistono statistiche abbastanza affidabili,

la criminalità e la giustizia penale,

l'occupazione. Nonostante esistano attualmente statistiche relative a questo settore, concernenti la popolazione attiva, il livello di occupazione e di disoccupazione, ecc., la rapida evoluzione del mercato del lavoro — con il sorgere di nuove attività economiche, la creazione di nuove professioni e di nuove forme di contrattazione — rende assolutamente necessario un costante aggiornamento dei metodi di indagine e di lavoro sul campo.

1.7

Il CESE ricorda che secondo quanto dispone il Trattato «l'elaborazione delle statistiche della Comunità non comporta oneri eccessivi per gli operatori economici» (1). Questo esige:

a)

da un lato, sforzi per non imporre oneri inutili o eccessivi alle imprese, in particolare alle PMI;

b)

dall'altro, la necessità di non presentare richieste ripetute per gli stessi dati. Il principio fondamentale è che i singoli dati vanno forniti un'unica volta e devono essere distribuiti tra i vari organismi statistici e fra loro condivisi osservando sempre i principi che reggono le statistiche comunitarie (segreto statistico, ecc.).

1.8

Nel settore del commercio estero, sono state rilevate contraddizioni, che sarà opportuno correggere, tra le cifre relative alle esportazioni di un determinato paese verso un altro paese e le cifre relative alle importazioni del secondo paese provenienti dal primo. In altre parole, la cifra concernente le esportazioni del paese A verso il paese B è diversa dalla cifra concernente le importazioni del paese B provenienti dal paese A.

1.9

Dato il grado di diversità che presenta l'UE a 27, il CESE sottolinea quanto sia importante cercare di ottenere il massimo coordinamento terminologico possibile in campo statistico.

1.10

Il CESE giudica fondamentale, per garantire una maggiore neutralità dei dati statistici e il rispetto degli altri principi previsti dal codice di buone pratiche (tra cui il segreto statistico), controllare l'attività delle agenzie private che operano, direttamente o meno, all'interno del sistema statistico europeo.

2.   Contenuto della proposta

2.1

Il regolamento (CE) n. 322/97 (2) del Consiglio prevede l'elaborazione di un Programma statistico comunitario (PSC) pluriennale (3). Quest'ultimo definisce gli orientamenti, i principali settori e gli obiettivi delle azioni previste per un periodo massimo di cinque anni e stabilisce il quadro della produzione di tutte le statistiche comunitarie. Il PSC viene attuato tramite programmi di lavoro annuali, che fissano obiettivi di lavoro più dettagliati per ciascun anno, e tramite atti legislativi specifici per le azioni più importanti. Il PSC è oggetto di una relazione intermedia sullo stato di avanzamento e di una valutazione formale dopo la scadenza del periodo del programma.

2.2

In tale contesto, l'obiettivo della proposta all'esame, basata giuridicamente sull'articolo 285 del Trattato, è di introdurre un programma strategico globale per le statistiche comunitarie ufficiali. Quest'ultimo dovrebbe comprendere la produzione e la fornitura di prodotti e servizi agli utenti, il miglioramento della qualità delle statistiche e l'ulteriore sviluppo del sistema statistico europeo (4).

2.3

Lo scopo principale delle statistiche comunitarie ufficiali è di puntellare con regolarità l'elaborazione, il controllo e la valutazione delle politiche comunitarie con informazioni concrete, affidabili, oggettive, comparabili e coerenti. In alcuni settori le informazioni statistiche vengono inoltre utilizzate direttamente dalle istituzioni comunitarie per la gestione di politiche chiave.

2.4

Il PSC 2008-2012 è strutturato intorno alle seguenti priorità politiche:

prosperità, competitività e crescita,

solidarietà, coesione economica e sociale e sviluppo sostenibile,

sicurezza, e

ulteriore allargamento dell'Unione europea.

2.5

Per elaborare la proposta di decisione, la Commissione ha consultato le parti interessate, vale a dire gli Stati membri dell'UE, i paesi dell'EFTA, i paesi candidati e i gruppi tecnici di lavoro del SEE. Hanno espresso il proprio parere sulla proposta sia il Comitato consultivo europeo dell'informazione statistica nei settori economico e sociale (CEIES) (5) sia il Comitato delle statistiche monetarie, finanziarie e della bilancia dei pagamenti (CMFB) (6).

2.6

Per quanto concerne l'approccio seguito, dinanzi alle due possibili opzioni (una «limitata» e l'altra «completa»), la Commissione ha scelto la seconda, tenendo conto di tre fattori: la capacità e l'efficacia del SEE, i costi sostenuti dagli Stati membri responsabili dell'attuazione e gli oneri gravanti sulle imprese e sui nuclei familiari.

3.   Osservazioni generali

3.1

Nel corso degli anni, il CESE si è espresso più volte in merito ai programmi statistici (7) e ai diversi aspetti della politica dell'Unione in materia. Il Comitato ha generalmente sottolineato quanto il sistema statistico sia importante per conseguire gli obiettivi economici, sociali e politici dell'Unione. Il CESE ha inoltre messo costantemente in risalto la necessità di sostenere e potenziare sia Eurostat, elemento chiave per il funzionamento del sistema, sia gli istituti di statistica nazionali, nell'ambito decisionale degli Stati membri.

3.2

Il CESE ribadisce tali affermazioni e, per quanto concerne la proposta di decisione all'esame, segnala tre aspetti che giustificano la necessità di disporre del sistema statistico migliore possibile: il ruolo dell'UE come attore sulla scena mondiale, la realizzazione degli obiettivi di Lisbona e l'allargamento. Il coordinamento delle statistiche di 27 Stati rappresenta infatti una sfida senza precedenti. In breve: per garantire il successo dell'Unione è importante, tra le altre cose, che vi sia un sistema statistico efficace.

3.3

In materia di risorse il programma quinquennale 2008-2012 dispone di una dotazione finanziaria di 274,2 milioni di euro (con un incremento del 24,3 % rispetto alle risorse operative previste nel programma 2003-2007). Occorre tuttavia tener presente altri aspetti non inclusi in questa cifra (8). Se si tiene conto delle spese amministrative e del cofinanziamento da parte degli Stati membri o di altri organismi, il totale degli stanziamenti d'impegno sale a 739,34 milioni di euro.

3.4

Governance statistica. In base al codice di buone pratiche (9), le autorità statistiche nazionali e l'autorità statistica comunitaria:

a)

creano un ambiente istituzionale ed organizzativo volto a promuovere l'efficacia e la credibilità delle autorità statistiche nazionali ed europee, elaborando e diffondendo statistiche ufficiali;

b)

osservano le norme, gli orientamenti e le buone pratiche europee nelle procedure adottate dalle autorità statistiche nazionali ed europee per organizzare, raccogliere, elaborare e diffondere statistiche ufficiali e cercano di ottenere una buona reputazione in materia di gestione ed efficienza al fine di rafforzare la credibilità delle statistiche in questione;

c)

si assicurano che le statistiche comunitarie rispettino i requisiti europei in materia di qualità e soddisfino le esigenze degli utenti istituzionali dell'UE, dei governi, dei centri di ricerca, delle organizzazioni della società civile, delle imprese e del pubblico in generale.

3.5

Il Programma statistico comunitario 2008-2012 si propone di conseguire 32 obiettivi trasversali (illustrati all'Allegato I) e prevede circa 90 obiettivi e azioni concrete (Allegato II), che fanno riferimento sia alle politiche generali sia a 18 settori specifici delle politiche comunitarie.

3.5.1

Il programma definisce le azioni previste nei seguenti settori principali:

libera circolazione delle merci,

agricoltura,

libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali,

visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone,

trasporti,

norme comuni sulla concorrenza, sulla fiscalità e sul ravvicinamento delle legislazioni,

politica economica e monetaria,

occupazione,

politica commerciale comune,

cooperazione doganale,

politica sociale, istruzione, formazione professionale e gioventù,

cultura,

sanità pubblica,

tutela dei consumatori,

reti transeuropee,

industria (comprese le statistiche sulla società dell'informazione),

coesione economica e sociale,

ricerca e sviluppo tecnologico,

ambiente,

cooperazione allo sviluppo,

cooperazione economica, finanziaria e tecnica con i paesi terzi.

4.   Osservazioni particolari

4.1

Considerando che il Programma 2008-2012 persegue obiettivi ambiziosi e prevede anche un intenso coordinamento tra Eurostat e gli istituti di statistica dei 27 Stati membri, è opportuno sottolineare la necessità di dare priorità all'attività statistica e di utilizzare con la massima efficacia possibile le limitate risorse esistenti.

4.2

L'articolo 4 della proposta di decisione fa riferimento alla definizione delle priorità statistiche necessarie per garantire l'uso più efficiente possibile delle limitate risorse disponibili. Tuttavia, non vengono stabiliti i criteri o le procedure per la definizione di tali priorità, definizione che risulta ancor più difficile quando si riconosce, al tempo stesso, l'esigenza di potenziare gli ambiti di lavoro esistenti o di crearne di nuovi.

4.3

Il CESE condivide l'affermazione secondo cui «la rapida evoluzione della funzionalità e disponibilità di Internet in futuro farà della rete lo strumento principale per la diffusione di dati statistici. Ciò amplierà in maniera significativa la potenziale comunità degli utenti e in tal modo creerà nuove opportunità di diffusione» (10). Per conseguire tale obiettivo e tenendo conto anche che le pagine web di Eurostat danno un'immagine dell'Unione europea, è necessario che la presentazione dei dati e la loro lettura siano, tecnologicamente parlando, il più semplice e interessante possibile.

4.4

Il CESE condivide l'affermazione della Commissione circa la necessità di una più intensa cooperazione tra Eurostat e gli istituiti nazionali di statistica (11). Osserva tuttavia che la proposta di decisione non stabilisce procedure concrete per il potenziamento di detta cooperazione.

4.5

Ambito e priorità delle statistiche europee. Il CESE sottolinea che il sistema statistico — come si evince dalle azioni previste elencate al punto 3.5.1. del presente parere — si concentra essenzialmente sugli aspetti economici e offre informazioni insufficienti in merito ad aspetti sociali che hanno ripercussioni dirette sulla vita dei cittadini europei. Segnala inoltre che, contrariamente a quanto avviene per le altre materie, la politica sociale è trattata insieme all'istruzione, alla formazione professionale e alla gioventù.

Bruxelles, 30 maggio 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Articolo 285, paragrafo 2, del Trattato che istituisce la Comunità europea.

(2)  GU L 52 del 22.2.1997, pag. 1.

(3)  Articolo 3, paragrafo 1.

(4)  È una partnership comprendente Eurostat, le autorità statistiche nazionali e altre autorità nazionali responsabili, in ciascuno Stato membro, dell'elaborazione e della diffusione di statistiche europee.

(5)  Istituito dalla decisione 91/116/CEE del Consiglio (modificata dalla decisione 97/255/CE del Consiglio).

(6)  Istituito dalla decisione 91/115/CEE del Consiglio (modificata dalla decisione 96/174/CE del Consiglio).

(7)  Nel 1998 il CESE si è espresso in merito alla Proposta di decisione del Consiglio sul Programma statistico della Comunità 1998-2002, GU C 235 del 27.7.1998, pag. 60, e nel 2002 in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al Programma statistico comunitario 2003-2007, GU C 125 del 27.5.2002, pag. 17.

(8)  Spese per il personale e amministrative, risorse operative su altre linee di bilancio statistiche che potrebbero essere aperte in via supplementare al fine di coprire le nuove esigenze normative durante il periodo 2008-2012 (azioni del tipo Edicom), risorse operative messe a disposizione da altre direzioni generali sulle loro linee di bilancio, risorse a livello nazionale e regionale. Eurostat ridistribuirà le proprie risorse operative ed umane per conformarsi alle priorità globali del programma statistico.

(9)  Raccomandazione della Commissione relativa all'indipendenza, all'integrità e alla responsabilità delle autorità statistiche nazionali e dell'autorità statistica comunitaria (COM(2005) 217 def.).

(10)  Allegato I. 3.6 — Diffusione.

(11)  Ibidem.


27.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 175/11


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle statistiche trimestrali sui posti di lavoro vacanti nella Comunità

COM(2007) 76 def.

(2007/C 175/03)

Il Consiglio europeo, in data 4 aprile 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo ha incaricato la sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 436a sessione plenaria del 30 e 31 maggio 2007, ha nominato relatrice generale FLORIO e ha adottato il 31 maggio 2007 all'unanimità il seguente parere.

1.   Premessa

1.1

La disponibilità di dati statistici affidabili e di qualità è uno strumento indispensabile agli operatori istituzionali, economici e sociali per monitorare e valutare l'efficacia di determinate scelte legislative e per prendere le decisioni del futuro.

1.2

Avere infatti una idea il più possibile precisa e rispondente alla realtà dello stato attuale delle cose è un elemento indispensabile per adottare le politiche più conformi ed adeguate.

1.3

Ciò è vero in particolar modo per le statistiche che riguardano lo stato dell'occupazione in Europa, al fine di analizzare i progressi compiuti dagli Stati membri nei confronti degli obiettivi posti dalla strategia di Lisbona.

1.4

Al fine di comprendere l'andamento del mercato del lavoro nell'Unione europea è di grande importanza conoscere in quali settori, in quali regioni e in quali quantità vi siano posti di lavoro vacanti. Le offerte di lavoro non soddisfatte riflettono le variazioni congiunturali per settore di attività economica e possono fornire un quadro utile ad individuare le regioni europee dove vi è una maggiore mancanza di manodopera o — al contrario — una significativa crescita economica ed occupazionale.

1.5

I posti di lavoro vacanti sono inclusi nella serie dei principali indicatori economici europei (PIEE) e sono un indicatore che, se disponibile in termini brevi, è utile anche alla Banca centrale europea e alla Commissione per misurare gli effetti dell'andamento economico in determinati settori, nonché per bilanciare le decisioni relative alla politica monetaria.

1.6

Il rilancio della strategia di Lisbona, che ha uno dei suoi punti fermi nel Consiglio europeo del marzo 2005, ha posto tra le sue principali priorità la creazione di una nuova e migliore occupazione; inevitabilmente, questo ha rafforzato l'esigenza di migliorare l'informazione statistica sul bisogno di manodopera.

1.7

Gli orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione 2005-2008 e gli indirizzi di massima per le politiche economiche (GOPE), nel contesto della strategia europea per l'occupazione (EES), richiedono dati strutturali aggregati, su scala europea, sui posti di lavoro vacanti ripartiti per attività economica per poter analizzare il livello e la struttura della domanda di manodopera.

1.8

La disponibilità di dati statistici affidabili e frequentemente aggiornati consente anche ai singoli Stati membri di monitorare il mercato del lavoro e di adottare in modo conseguente le loro decisioni in materia di politiche del lavoro, anche su base regionale.

2.   La proposta della Commissione

2.1

I dati nazionali sui posti di lavoro vacanti e sui posti occupati sono raccolti, dal 2003, sulla base di un gentlemen's agreement, ovvero di un accordo informale. Tale accordo, pur avendo garantito flessibilità e indipendenza agli Stati membri, non ha però soddisfatto completamente le necessità degli utilizzatori dei dati.

2.2

A tutt'oggi quattro Stati membri non hanno inviato ad Eurostat i dati e quelli forniti non sono sempre perfettamente comparabili. Quanto alla raccolta dei dati trimestrali, non sono soddisfatte del tutto le esigenze della BCE e della Commissione in termini di copertura, tempestività ed armonizzazione.

2.3

Con la proposta di regolamento in esame, nata su iniziativa del comitato per l'occupazione, la Commissione mira, dunque, a instaurare una regolamentazione che consenta di ottenere statistiche comparabili sui posti vacanti in tempi stabiliti.

2.4

Nel corso della preparazione della proposta, che ha visto anche la consultazione di esperti e del comitato del programma statistico (CPS), diverse opzioni sono state prese in considerazione; quella infine ripresa nella proposta di regolamento sancisce che nel breve periodo la rilevazione di dati annuali continuerà ad essere soddisfatta nell'ambito del gentlemen's agreement.

2.5

La proposta, dunque, si concentra maggiormente sulla disciplina di rilevazione dei dati trimestrali riguardanti i posti di lavoro vacanti; essa prevede, sulla base dell'esperienza di funzionamento del regolamento la possibilità di emanare, nel futuro, un nuovo regolamento che consentirà di soddisfare il fabbisogno di dati annuali.

2.6

La determinazione del livello di dettaglio richiesto per ogni singola attività economica è affidato all'ultima versione della classificazione statistica delle attività economiche nelle Comunità europee (NACE).

2.7

Ove possibile, è stata lasciata agli Stati membri la facoltà di ricorrere, pur nel rispetto di determinati standard qualitativi, a fonti amministrative o di limitare lo spettro delle attività economiche da considerare, al fine di alleggerire l'onere per le imprese (art. 5).

2.8

La Commissione (art. 8) prevede la realizzazione di una serie di studi di fattibilità da parte degli Stati membri che incontrano difficoltà nel fornire i dati per:

a)

le imprese con meno di 10 dipendenti e/o

b)

le seguenti attività:

i)

agricoltura, silvicoltura e pesca;

ii)

amministrazione pubblica e difesa, assicurazione sociale obbligatoria;

iii)

istruzione;

iv)

servizi sanitari e di assistenza sociale;

v)

arti, spettacolo e tempo libero;

vi)

attività di organizzazioni associative, riparazione di computer e di beni per uso personale e per la casa e altre attività di servizi personali.

2.9

La fase di avvio (i primi tre anni) prevede per gli Stati membri dei contributi da parte dell'UE. Per questi primi tre anni i relativi costi staranno inclusi nel programma comunitario per l'occupazione e la solidarietà sociale Progress (1) (art. 9); potranno così essere lanciate iniziative di innovazione e miglioramento nel settore della rilevazione dati, oltre al completamento della fase di gentlemen's agreement.

3.   Conclusioni e raccomandazioni

3.1

Il CESE sottolinea l'importanza di avere a disposizione statistiche sullo stato dell'occupazione europea il più coerenti e affidabili possibile e, di conseguenza, esso apprezza e sostiene lo sforzo della Commissione di instaurare un quadro giuridico volto a permettere di disporre di dati sui posti di lavoro vacanti più aggiornati, comparabili e pertinenti a livello europeo.

3.2

Il conseguimento degli obiettivi della strategia di Lisbona, in termini economici e soprattutto occupazionali, ha bisogno di un supporto statistico costante ed efficiente, che sia a disposizione di tutti gli utilizzatori di statistiche e degli operatori economici, sociali ed istituzionali sia a livello europeo che nazionale.

3.3

Il CESE condivide anche la scelta del regolamento come strumento normativo, in quanto lo scopo della proposta, come d'altronde la maggior parte delle iniziative in materia di statistica, richiede un'applicazione dettagliata e uniforme in tutta l'Unione europea.

3.4

La scelta di includere nella proposta di regolamento soltanto la raccolta dei dati trimestrali e di continuare quella dei dati strutturali annuali sulla base dell'accordo informale è certamente dettata da un apprezzabile desiderio di gradualità nel passare da una raccolta di dati basata su un accordo informale ad una che ha invece le sue basi in un regolamento europeo. Il conseguente periodo transitorio dovrà però essere necessariamente accompagnato da un monitoraggio costante dei risultati ottenuti: il CESE auspica che nel prossimo futuro si possa raggiungere un quadro più completo ed affidabile delle potenzialità del mercato del lavoro europeo sia per i dati annuali, sia per quelli trimestrali.

Il CESE si rammarica per il fatto che non vi sia ancora una valutazione d'impatto, ma spera che la Commissione ne prepari una prima dell'adozione di un regolamento d'attuazione in quanto vi saranno, in linea di massima, aumenti dei costi e degli oneri per le aziende europee che non saranno compensati da riduzioni per altre attività di indagine.

3.5

Il CESE ritiene però che, spinti dalla necessità di semplificare la rilevazione statistica e di diminuirne i costi, si sia scelto in modo non del tutto chiaro di rendere facoltativa la raccolta dei dati nei settori definiti «stagionali», in particolare quelli legati alle attività agricole, alla pesca ed alla silvicoltura.

3.6

Il problema della «destagionalizzazione» apre però una serie di questioni sulla affidabilità di tali statistiche, poiché in altri settori industriali e/o dell'amministrazione pubblica (tessile, industria agroalimentare, turismo, ecc.), le forme di contratto stagionale sono una prassi utilizzata da anni.

3.7

Inoltre l'articolazione dei contratti di lavoro in tutti i paesi dell'UE prevede attualmente decine di forme diverse di rapporti di lavoro. Sarebbe per questo importante sapere di che tipo di posti di lavoro vacanti si tratta (a tempo indeterminato, a tempo determinato, part-time, a progetto, collaborazioni, ecc.).

3.8

Un quadro più vicino alla realtà delle potenzialità del mercato del lavoro, delle sue evoluzioni o delle sue debolezze in alcuni settori o regioni consentirebbe, inoltre, una focalizzazione migliore sulle strategie da attuare per perseguire gli obiettivi di Lisbona.

3.9

Anche per questo il CESE ritiene che, soprattutto su queste materie, sia necessaria la consultazione ed il diretto coinvolgimento delle parti sociali europee.

Il CESE si compiace del fatto che la proposta, soggetta alla procedura di codecisione, sia sottoposta al potere di controllo del Parlamento europeo. I regolamenti d'attuazione rientreranno nella procedura di comitato, in conformità alla procedura di regolamentazione con controllo prevista nelle decisioni del Consiglio 1999/468/CE e 2006/512/CE.

Bruxelles, 31 maggio 2007.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Approvato tramite la decisione 1672/2006 del PE e del Consiglio del 24 ottobre 2006. Nella sezione «1 — Occupazione» è espressamente menzionato il finanziamento delle azioni (statistiche incluse) che mirano a migliorare «[…] la comprensione della situazione relativa all'occupazione e alle prospettive del settore, in particolare mediante […] l'elaborazione di statistiche e indicatori comuni […]».


27.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 175/13


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1059/2003 relativo all'istituzione di una classificazione comune delle unità territoriali per la statistica (NUTS) a seguito dell'adesione della Bulgaria e della Romania all'Unione europea

COM(2007) 95 def. — 2007/0038 (COD)

(2007/C 175/04)

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 25 aprile 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo ha incaricato la sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 436a sessione plenaria del 30 maggio 2007, ha nominato relatore generale BURANI e ha adottato all'unanimità il seguente parere.

1.   Introduzione

1.1

Il regolamento (CE) n. 1059/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio ha istituito una classificazione comune delle unità territoriali per le rilevazioni statistiche (NUTS) degli Stati membri.

1.2

Una prima modifica è stata apportata nel 2005 a seguito dell'adesione di 10 nuovi Stati membri. A seguito dell'adesione della Bulgaria e della Romania si rende necessaria una nuova modifica, che consiste nell'inserire nell'allegato al regolamento le tabelle relative ai predetti nuovi Stati.

2.   Osservazioni e conclusioni

2.1

Il CESE prende atto della proposta della Commissione e, tenuto conto del fatto che essa si è resa necessaria a seguito dell'adesione di nuovi Stati ed è inoltre di carattere puramente tecnico, non può che dare la sua approvazione.

Bruxelles, 30 maggio 2007.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


27.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 175/14


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il mercato interno dei servizi — Esigenze per il mercato del lavoro e per la protezione dei consumatori

(2007/C 175/05)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 settembre 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'art. 29, par. 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema: Il mercato interno dei servizi — Esigenze per il mercato del lavoro e per la protezione dei consumatori.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 maggio 2007, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice ALLEWELDT.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 30 maggio 2007, nel corso della 436a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 110 voti favorevoli, 2 voti contrari e 2 astensioni.

1.   Obiettivo

1.1

La direttiva riguardante i servizi nel mercato interno (1) è intesa a promuovere la competitività, la crescita e l'occupazione conformemente alla strategia di Lisbona. Essa ha anche provocato un ampio dibattito su come possa configurarsi la libertà di prestazione dei servizi. Un punto critico a tale proposito è stato, e continua ad essere, il suo impatto sui mercati nazionali del lavoro, sulle condizioni sociali e sulle esigenze di protezione dei consumatori. A suo tempo, nel parere del febbraio 2005 (2) il CESE si era espresso in maniera esaustiva sulla proposta della Commissione in materia, ed è per questo motivo che il presente parere non intende esaminare la direttiva in quanto testo giuridico, bensì valutare gli effetti sull'occupazione e sugli interessi dei consumatori che è lecito attendersi dalla prevista realizzazione del mercato interno dei servizi.

1.2

La libera prestazione dei servizi è una delle quattro libertà del mercato interno sancite dal Trattato sull'UE ed è da tempo una realtà politica. La strategia perseguita dalla Commissione, come emerge dalla direttiva europea in materia, è pertanto quella di sopprimere ogni limitazione alla libera fornitura dei servizi. Di conseguenza, le questioni relative al mercato del lavoro o alla protezione dei consumatori non vengono prese direttamente in esame. Tuttavia, la necessità di realizzare maggiormente la libera prestazione dei servizi nella pratica rende più evidenti e tangibili le differenze nei diversi sistemi nazionali. Al tempo stesso, le disposizioni a livello europeo sulla protezione degli interessi dei lavoratori e dei consumatori sono relativamente poco numerose, dato che in questo campo predominano le disposizioni nazionali di natura giuridica, sociale e occupazionale, spesso ben diverse le une dalle altre. Per di più la direttiva sui servizi prevede che si applichino, parallelamente o parzialmente, talune disposizioni nazionali dei paesi di origine o di prestazione, la cui efficacia dovrà essere dimostrata dalla futura pratica.

1.3

La stabilità sociale e la fiducia dei consumatori sono fattori essenziali dell'integrazione europea nonché un presupposto per portare al successo il mercato interno dei servizi. Una grave lacuna del dibattito in merito alla direttiva europea sui servizi sta nell'assenza di analisi approfondite circa l'impatto sulle condizioni sociali dei vari paesi, sull'occupazione e sugli interessi dei consumatori. La mancanza di una base statistica che quantifichi la prestazione dei servizi e il libero stabilimento dei prestatori di servizi a livello transfrontaliero è stata uno degli aspetti criticati dal CESE (3). Dati affidabili non esistono nemmeno sui cambiamenti strutturali prevedibili nei mercati del lavoro degli Stati membri. Quello che esiste sono, da un lato, poche valutazioni d'impatto molto generiche e, dall'altro, analisi di singoli casi, spesso di carattere illegale o semi-legale, due tipi di strumenti che non bastano a garantire una valutazione oggettiva di tali ripercussioni.

1.4

La realizzazione del mercato interno dei servizi è un elemento importante della strategia di Lisbona. Le potenzialità di crescita in questo settore rappresentano un grande stimolo alla creazione di ulteriori posti di lavoro. La maggiore concorrenza conseguita grazie alla liberalizzazione del mercato dei servizi produrrà effetti positivi, in quanto permetterà di ampliare la gamma dei servizi offerti e di ridurre i prezzi. Al tempo stesso è tuttavia opportuno migliorare costantemente la protezione sociale dei lavoratori e garantire un livello adeguato di protezione dei consumatori. Lo stesso vale per gli standard di qualità e di sicurezza, compresi quelli ambientali, in vigore negli Stati membri. Gli effetti sull'occupazione varieranno a seconda dei settori e degli Stati membri. Un fattore determinante in tale contesto sono le ripercussioni sulle piccole e medie imprese.

1.5

Il presente parere d'iniziativa mira a mettere maggiormente in risalto le conseguenze dell'attuale strategia del mercato interno dei servizi sui mercati del lavoro, sulle condizioni occupazionali e sulla protezione dei consumatori in modo da offrire un utile contributo pratico alle categorie interessate e alle istituzioni europee. Questi aspetti non sono stati discussi a fondo nelle due audizioni già organizzate dal CESE sul mercato interno dei servizi (4).

1.5.1

Dopo aver stabilito cosa si intende, dal punto di vista del diritto europeo, per «libera prestazione dei servizi» (concetto che copre qualsiasi prestazione tra due soggetti economici nei rispettivi Stati membri) (5), è opportuno tener presente alcuni aspetti essenziali:

le informazioni sulle incidenze quantitative a livello occupazionale, per settore e per paese, e sui cambiamenti che derivano dal trasferimento, dalla delocalizzazione o dall'importazione di taluni servizi,

le nuove sfide in termini di condizioni occupazionali, dovute al fatto che all'intensificarsi della prestazione di servizi a livello transfrontaliero farà riscontro un rapido incremento della mobilità dei lavoratori distaccati,

gli interessi dei consumatori e il modo in cui vengono presi in considerazione nella strategia del mercato interno dei servizi,

il ruolo importante delle piccole e medie imprese (PMI) in quanto principali creatrici di posti di lavoro.

1.6

Il parere va considerato, da una parte, come un'introduzione all'argomento e d'altra parte anche come un contributo alla relazione definitiva della Commissione europea sulla revisione del mercato interno (6) e ai dibattiti all'interno dell'IMAC (7). Il parere si basa sui dati attualmente a disposizione nonché sulle esperienze pratiche e sulle aspettative di esperti e di soggetti coinvolti, le quali sono state raccolte durante un'audizione svoltasi a Vienna nell'aprile 2006 e grazie alle oltre 150 risposte a un questionario diffuso nell'autunno dello stesso anno che era stato rivolto a quasi 6 000 esperti provenienti da ambienti economici e sindacali, da diversi gruppi di interesse, da ambienti scientifici e ministeri. Il parere non ha la pretesa di essere uno studio scientifico, né può sostituirlo. Piuttosto, da un lato, vuole fornire degli spunti per risolvere determinati problemi e per far fronte a sviluppi futuri, che saranno ulteriormente approfonditi in uno studio a lungo termine dell'Osservatorio del mercato unico (OMU) del CESE e, dall'altro, intende offrire alle istituzioni europee e ad altri organi anche stimoli ed idee per le loro decisioni politiche e le loro analisi più specifiche.

2.   La dinamica del settore dei servizi nell'UE

2.1

La Commissione europea spiega di aver messo a punto la sua strategia del mercato interno a causa del debole sviluppo degli scambi transfrontalieri di servizi nell'UE. Un mercato interno dei servizi più dinamico dovrebbe comportare al tempo stesso impulsi positivi per l'occupazione e riflessi favorevoli per i consumatori e le imprese. Ma come farsi concretamente un'idea di questa dinamica mediante rilevazioni?

2.2

Un problema non ancora risolto è la rilevazione statistica del settore dei servizi a livello transfrontaliero. Fino ad oggi Eurostat e gli istituti nazionali di statistica hanno utilizzato la cosiddetta «statistica dei flussi di pagamento», in base alla quale un servizio è esportato o importato solo se dà luogo ad una corrispondente procedura di pagamento transfrontaliera. Se, da un lato, il settore dei servizi è caratterizzato da una intensa cooperazione, dal trasferimento di conoscenze e dallo scambio di prestazioni, dall'altro presenta un volume notevole di operazioni in compensazione tra diversi stabilimenti di un'impresa, tra partner di una stessa rete o anche tra unità economiche giuridicamente indipendenti nei rispettivi paesi le quali operano sulla base di una cooperazione di lunga durata. In queste strutture a rete, il rispettivo partner calcola sì il tempo messo a disposizione, nonché il trasferimento di conoscenze e lo scambio di servizi realizzati nel proprio paese come una prestazione fornita al cliente, ma questa non dà luogo ad alcun pagamento transfrontaliero.

2.3

Ne consegue, secondo il Comitato, che il settore dei servizi comporta un volume di scambi molto superiore, e quindi un'incidenza sul mercato interno, ben maggiore di quanto non emerga dalle attuali statistiche ufficiali. Il CESE è quindi fermamente convinto che l'Unione europea dovrebbe commissionare un'analisi, fondata su criteri scientifici, che evidenzi le modalità della cooperazione dei singoli comparti del settore dei servizi degli Stati membri dell'UE con imprese situate in altri paesi. Partendo da detta analisi ed estrapolando i dati, si dovrebbe predisporre un quadro chiaro del volume reale del mercato dei servizi dell'Unione europea per l'avvenire. Questo lavoro sarà corroborato dagli sforzi intrapresi dagli istituti di statistica europei, volti a predisporre indici dei prezzi per tutti i servizi e ad introdurli in ciascun paese.

2.4

Un esempio che illustra la situazione è il seguente: in base ai dati attuali, la Commissione ritiene che il settore dei servizi produca il 56 % del PIL dell'UE e rappresenti il 70 % dei posti di lavoro complessivi, ma solo il 20 % del volume degli scambi all'interno dell'UE. Essa giudica inoltre che l'aumento della produttività nel settore dei servizi dell'UE sia nettamente inferiore a quello degli Stati Uniti (8).

2.5

Questa debolezza non è avvertibile sul mercato mondiale, dove l'UE è la maggiore potenza per quanto riguarda lo scambio di servizi, con una netta tendenza all'incremento. Nel 2003 la quota europea era del 26 % mentre quella degli USA era di poco superiore al 20 %. Anche la quota complessiva di due partner commerciali in pieno sviluppo come l'India e la Cina, nonostante il loro grande dinamismo, finora non supera il 5 %. Tra il 1997 e il 2003, la quota dell'UE è aumentata dell'1,8 %, un risultato che la colloca in posizione avanzata anche sotto questo aspetto.

2.6

Si osserva che i punti deboli riguardano soprattutto gli scambi intracomunitari. Ma nemmeno questa conclusione è necessariamente suffragata dalle cifre. Tra il 2000 e il 2003 gli scambi di servizi sono aumentati del 10,8 % a livello intracomunitario, ma solo del 6,4 % con i partner extracomunitari. Il dinamismo del mercato interno risulta pertanto ancor più evidente se si considera che nel 2003 si è avuto nel complesso un rallentamento dell'economia, senza dimenticare la diminuzione del prezzo dei servizi.

2.7

Il CESE invita la Commissione a studiare più a fondo l'impatto del proseguimento nella realizzazione del mercato interno dei servizi. Al riguardo potrebbe essere utile effettuare una cosiddetta analisi SWOT (Strengths, Weaknesses, Opportunities and Threats, ovvero punti di forza e di debolezza, opportunità e rischi).

3.   L'impatto sull'occupazione di un mercato interno dei servizi più efficiente

3.1

Le stime relative all'impatto sull'occupazione sono legate alle previsioni sulla crescita. Una delle prime analisi sull'impatto della direttiva europea in materia di servizi risale all'ottobre 2004 ed è stata effettuata dall'Ufficio olandese per l'analisi delle politiche economiche (9). Essa si basa sulla tesi consueta dell'OCSE secondo cui ogni deregolamentazione favorisce la crescita e quindi l'aumento dei posti di lavoro. È interessante notare che secondo questo studio non sono le regolamentazioni in quanto tali a costituire un ostacolo quanto piuttosto la loro eterogeneità. Gli autori prevedono che la direttiva sui servizi potrebbe far aumentare gli scambi in questo settore tra il 15 e il 30 % e la quota degli investimenti diretti esteri nel settore del commercio tra il 20 e il 35 %.

3.2

Nella primavera del 2005 l'Istituto «Copenhagen Economics» ha pubblicato, su incarico della Commissione, uno studio (10) che conteneva osservazioni esplicite circa l'impatto occupazionale del settore considerato. Un eventuale aumento dei consumi pari allo 0,6 % del PIL dell'UE comporterebbe un incremento netto di circa 600 000 posti di lavoro per tutti i 25 Stati membri. Si prevedono anche un aumento della produttività e un incremento medio dei salari dello 0,4 %.

3.3

Le conclusioni dello studio del Copenhagen Economics sono state oggetto di accesi dibattiti, soprattutto perché partono da un ragionamento impostato esclusivamente in funzione dell'offerta e degli effetti causati da un aumento della domanda in presenza di un calo dei prezzi conseguente ad una deregolamentazione generalizzata. Non tengono conto di nessun fattore capace di ostacolare l'aumento della domanda, ad esempio una diminuzione del potere d'acquisto o una modifica nel comportamento dei consumatori. È stata peraltro contestata anche la scelta dei settori. Altre valutazioni circa l'impatto sull'occupazione semplicemente non esistono, oppure si basano sullo studio del Copenhagen Economics e giungono dunque alle stesse conclusioni (11). Occorre prestare maggiore attenzione all'impatto della ricerca e dell'innovazione, dei migliori livelli di qualificazione e dell'impiego delle tecnologie di comunicazione per una maggiore efficienza del mercato dei servizi.

3.4

I 600 000 posti di lavoro supplementari previsti sono certamente un fatto positivo ma costituiscono dopotutto un risultato modesto se si tiene conto delle elevate aspettative (12). Molto più importante è però il fatto che tale aumento può variare notevolmente a seconda dei settori, dei paesi e delle diverse categorie di lavoratori, ma finora non disponiamo di alcun tipo d'informazione al riguardo. Con l'aiuto dell'Osservatorio del mercato unico e sulla base della presente iniziativa il CESE intende fare maggior luce su queste modifiche strutturali riguardanti il mercato del lavoro.

3.5

Il questionario del CESE ha messo in risalto l'elevato interesse per questi dati. Il 90 % degli intervistati giudica insufficiente l'informazione disponibile circa le incidenze sull'occupazione di un mercato interno dei servizi. Le domande del Comitato vertevano innanzi tutto sui settori soggetti a una perdita o a un aumento particolarmente sensibili di posti di lavoro. Il 60 % degli intervistati conta su effetti occupazionali positivi in generale o per determinati comparti. I settori più citati sono quelli relativi alla consulenza aziendale o giuridica; seguono il commercio, l'artigianato/le PMI, i trasporti, la sanità, l'agricoltura e la silvicoltura, i servizi industriali, l'istruzione, il turismo, i servizi di assistenza alle persone, la gestione delle costruzioni e degli immobili. Alla domanda se ci si attenda una perdita di posti di lavoro, il 44 % degli intervistati ha risposto di sì. Tra i settori interessati a questo fenomeno figura al primo posto l'industria, seguita da: servizi pubblici, gestione delle costruzioni e degli immobili, agricoltura e silvicoltura, servizi alle imprese, l'alimentazione e altri generi di consumo, servizi di assistenza alle persone, commercio all'ingrosso e al dettaglio, turismo e industria tessile.

3.6

La domanda circa l'utilità di questo processo fa emergere una serie di interessanti contrapposizioni. Si può prevedere che sarà indispensabile adeguarsi al mercato e che risulteranno perdenti tutti coloro che non riusciranno ad adattarsi al nuovo contesto liberalizzato e al mercato transfrontaliero. Il lavoro qualificato offrirà maggiori opportunità di quello non qualificato, e i lavoratori giovani, specializzati e flessibili in termini di mobilità avranno maggiori possibilità rispetto a quelli più anziani e meno flessibili. I posti di lavoro caratterizzati da elevati standard sociali risultano perdenti rispetto ai posti di lavoro non tutelati o al lavoro autonomo, due realtà che in futuro avranno una maggiore influenza. Ne risentiranno anche la qualità rispetto ai prezzi, gli elevati standard di accesso ad una professione e i paesi caratterizzati da costi sociali elevati. Si ritiene che i nuovi Stati membri ricaveranno più vantaggi, mentre i vecchi Stati membri ne ricaveranno meno. Le piccole imprese e quelle a carattere locale saranno confrontate alle pressioni di grandi gruppi internazionali. Per quanto concerne i consumatori, la situazione resta più incerta.

3.7

L'avvenire delle piccole e medie imprese si è rivelato un punto di particolare importanza. È stato chiesto se un maggiore scambio di servizi a livello transfrontaliero favorirà un aumento dell'occupazione o se le pressioni al livello dei prezzi e della concorrenza determineranno l'eliminazione di piccole e medie imprese, e quindi una riduzione dei posti di lavoro. I due terzi degli intervistati (66 %) si aspettano opportunità positive a livello occupazionale. Al tempo stesso, però, il 55 % degli intervistati teme anche gli effetti di una concorrenza che porterà all'eliminazione di imprese. Per la grande maggioranza (69 %) degli intervistati la liberalizzazione del mercato interno dei servizi non ha comunque alcun impatto di rilievo sullo sviluppo delle PMI, sviluppo che dipende in misura maggiore da altri fattori. Conclusione: si prevedono in prevalenza dei benefici, che nel complesso potrebbero tuttavia avere ripercussioni di scarsa entità. Si prevede ad ogni modo che la qualificazione dei lavoratori, la capacità d'innovazione e la qualità dei servizi diventino i fattori decisivi di successo o di sopravvivenza. Si rafforza inoltre la pressione o meglio l'esigenza di una maggiore armonizzazione (titoli di studio e qualificazioni professionali, modalità di gestione, prezzi e salari, oneri sociali, fiscalità delle imprese, adeguamento agli standard UE e internazionali in generale). Ci si aspetta inoltre un peggioramento per quanto concerne gli standard sociali e la protezione di consumatori e ambiente. In caso di conquista dei mercati da parte di grandi operatori, si teme che possano essere sacrificate le specificità locali e culturali.

3.8

L'84 % degli intervistati è infine convinto che in futuro i lavoratori autonomi avranno maggiori possibilità di operare a livello transfrontaliero.

4.   Nuove sfide in termini di condizioni di lavoro e di occupazione

4.1

Nella quasi totalità dei casi i servizi transfrontalieri sono legati alla mobilità dei lavoratori. La limitata armonizzazione delle condizioni in vigore nell'UE determina l'esistenza di disposizioni sociali diverse nell'ambito dello stesso mercato (nazionale) del lavoro o all'interno di una stessa impresa. La direttiva europea sui lavoratori distaccati prevede condizioni essenziali minime per la parità di trattamento rispetto ai lavoratori locali. Inoltre, le questioni attinenti al diritto sociale e del lavoro sono state essenzialmente escluse dalla direttiva in materia di servizi. Ciò non toglie però che un mercato transfrontaliero dei servizi in pieno sviluppo avrà comunque un suo impatto al riguardo. Nonostante la direttiva sui lavoratori distaccati, nell'ambito dei contratti collettivi permane una serie di disposizioni non armonizzate. L'esclusione del diritto del lavoro dalla direttiva europea sui servizi implica che non è stato sancito alcun «principio del luogo di lavoro» per i lavoratori. Le formule giuridiche scelte sono state vivamente contestate e non sono necessariamente da considerarsi chiare e univoche. Non resta che aspettare il futuro recepimento nell'ordinamento giuridico nazionale. Infine, supponendo che il mercato interno dei servizi venga effettivamente portato a termine con successo, la frequenza e verosimilmente anche la durata sempre crescenti dei distacchi dei lavoratori gli conferiranno una nuova dimensione.

4.2

Il presente parere d'iniziativa non può né deve essere la sede per il dibattito sull'attuazione della direttiva concernente i lavoratori distaccati. La domanda principale è piuttosto un'altra: quali nuovi problemi possono sorgere e cosa può inasprire i problemi già esistenti, visto che in futuro, nell'ambito della prestazione dei servizi, i lavoratori di diversi Stati membri si troveranno a lavorare più spesso e a volte per un periodo più lungo nello stesso posto di lavoro ma a condizioni talvolta diverse? In che modo questo potrebbe rappresentare delle opportunità, se si tengono presenti le previsioni dello studio del Copenhagen Economics circa un aumento dei salari? Non si vuole certo attribuire agli operatori del mercato e ai responsabili politici l'intenzione di operare un dumping sociale, ma è opportuno dare un quadro realistico della situazione esistente in materia.

4.3

L'82 % degli intervistati ritiene che l'aumento dei servizi transfrontalieri, e quindi dell'attività di lavoratori distaccati in un altro Stato, comporterà anche una modifica delle condizioni occupazionali nel proprio paese. Il 20 % si attende un miglioramento delle condizioni di lavoro mentre il 17 % ne prevede un peggioramento. Solo il 7 % crede che i posti di lavoro saranno più sicuri. Per il 56 % è scontato che aumenteranno i rapporti di lavoro flessibili e i contratti a termine.

4.4

Questo aspetto della flessibilizzazione riemerge anche nelle risposte alla domanda successiva. Sono in tanti ad attendersi una riduzione degli organici in pianta stabile a favore del lavoro part-time, del lavoro a contratto e di un'intensificarsi del lavoro «parasubordinato». Vengono precisati anche gli effetti positivi previsti: formazione linguistica, nuovi approcci e nuovi impulsi positivi alla qualificazione, aumento dei salari e maggiore offerta di lavoro. Prevalgono tuttavia le preoccupazioni: una maggiore concorrenza, condizioni di lavoro peggiori, orari di lavoro più flessibili e più lunghi, aumento dei conflitti sociali e delle pratiche illegali, diminuzione dei salari. A questo si aggiungono nuovi oneri per i regimi di previdenza sociale. In futuro i lavoratori che hanno maggiori difficoltà di spostamento, e in particolare le donne, incontreranno maggiori problemi, e le strutture familiari risentiranno dell'aumento della mobilità. Per quanto concerne l'impatto che la futura liberalizzazione del mercato interno dei servizi produrrà sull'evoluzione dei salari, il 50 % degli intervistati ne prevede una diminuzione, il 43 % un aumento, mentre il 7 % non prevede alcun effetto o sottolinea che questo dipenderà dal settore interessato.

4.5

Il 48 % degli intervistati ritiene che la direttiva sui lavoratori distaccati sia sufficiente a garantire la protezione sociale, mentre il 52 % è di parere contrario. In caso risultino necessarie nuove disposizioni, la maggioranza degli intervistati (65 %) preferisce un approccio comunitario, un terzo ritiene che i problemi possano essere meglio risolti a livello nazionale, mentre il 2 % giudica necessari entrambi gli approcci. Alla domanda «Quali sono i principali problemi da affrontare?» è stato così risposto: al primo posto la mancanza di armonizzazione in campo sociale (compreso l'accesso all'esercizio di professioni e attività specifiche) e le disparità che questo comporta. Segue, per alcuni, la richiesta di ampliare la direttiva sui lavoratori distaccati in termini sia di contenuto sia di settori contemplati. L'inadeguata applicazione delle disposizioni in materia di lavoratori distaccati, l'insicurezza giuridica e l'aumento delle pratiche illegali, e infine le lacune in sede di controllo e di sanzioni applicabili sono considerati anch'essi problemi di grande importanza. A questo si aggiungono le difficoltà in settori quali la tutela della sicurezza e della salute sul luogo di lavoro, i regimi di previdenza sociale e la lotta alle tipologie di lavoro «parasubordinato». Sono inoltre oggetto di critiche l'eccesso di burocrazia, il permanere di ostacoli a livello nazionale e la tendenza alla compartimentazione nazionale. Infine, anche un'inadeguata presa in considerazione delle differenze linguistiche e culturali potrebbe essere fonte di problemi.

4.6

Che ripercussioni ci si possono aspettare nelle imprese se, nell'ambito di contratti di servizi, lavoratori di altri Stati membri svolgono la loro attività a condizioni parzialmente diverse rispetto ai lavoratori nazionali? Il 6 % degli intervistati non prevede particolari ripercussioni mentre il 23 % ritiene che sia ancora troppo presto per dare una valutazione precisa. Il 24 % prevede un aumento delle disparità nelle condizioni di lavoro all'interno delle imprese, il 34 % ritiene che sarà più difficile rispettare le disposizioni di carattere sociale e lavorativo, mentre il 13 % è convinto che le disposizioni nazionali in materia di partecipazione dei lavoratori non coprano pienamente i lavoratori distaccati. Nelle ulteriori osservazioni in merito a questa domanda gli intervistati hanno evidenziato nuovi aspetti. Emergerebbero nuove difficoltà sotto il profilo salariale e sociale, vuoi perché lo stesso lavoro verrebbe retribuito in maniera diversa vuoi perché diminuirebbero le prestazioni sociali volontarie da parte delle imprese. Altrettanto spesso gli intervistati esprimono la fiducia che la conoscenza delle «migliori pratiche» possa offrire l'opportunità di migliorare le condizioni e la qualità del lavoro. In questo senso, occorre che il dialogo sociale nelle imprese venga condotto in maniera più «intelligente». Gli ostacoli alla comunicazione potrebbero peggiorare la qualità del lavoro in generale e del lavoro di gruppo in particolare, nonché minare nell'insieme la solidarietà tra il personale. In taluni casi i singoli lavoratori potrebbero avere maggiori difficoltà per accertare e far valere i propri diritti. Disparità troppo evidenti potrebbero anche ostacolare il successo delle imprese (conflitti, carichi amministrativi, qualità del lavoro) e il rispetto delle disposizioni legislative potrebbe comportare vincoli eccessivi e un aumento degli abusi. Infine, il fatto di agevolare la libera prestazione dei servizi viene visto come un modo per risolvere il problema della scarsità di personale qualificato.

4.7

È difficile riassumere le risposte relative agli esempi pratici, perché la loro utilità per una migliore comprensione consiste proprio nel loro contenuto specifico. Pertanto, ci limitiamo a citare alcuni esempi concreti che illustrano problemi non ancora menzionati. In proposito si segnalano norme e procedure poco chiare in caso d'infortunio sul lavoro, particolari problemi concernenti il distacco all'interno della stessa impresa, la trasformazione dei contratti di lavoro, l'applicazione di contratti collettivi di altri paesi e infine problemi circa il trattamento riservato ai lavoratori migranti.

5.   Gli interessi dei consumatori nel mercato interno dei servizi

5.1

Il mercato interno dei servizi deve arrecare benefici anche ai consumatori. È una questione di disponibilità (prezzo, accesso, offerta), di qualità, di trasparenza (informazione, fiducia), e di certezza giuridica (responsabilità, protezione dei consumatori). È lecito chiedersi se, oggi come oggi, questi aspetti vengano adeguatamente presi in considerazione. Le proposte relative al completamento del mercato interno dei servizi presenteranno vantaggi al riguardo, oppure si possono prevedere problemi per i consumatori? Il terzo obiettivo del questionario sta nell'evidenziare esperienze pratiche nell'ambito dei servizi transfrontalieri dal punto di vista dei consumatori.

5.2

È impossibile valutare in maniera precisa la direttiva europea sui servizi dal punto di vista della protezione dei consumatori. Nell'audizione organizzata dal CESE nell'aprile 2006 alcuni hanno denunciato il fatto che nel complesso la protezione dei consumatori sia stata fortemente trascurata. Ma vi sono state anche valutazioni positive, soprattutto per quanto concerne i miglioramenti dal lato dell'offerta. Nell'insieme, le questioni relative alla protezione dei consumatori non sono evidenziate a sufficienza e molto probabilmente saranno affrontate solo quando verrà esaminato l'impatto della direttiva a livello nazionale. La fiducia dei consumatori riveste nondimeno una grande importanza per il successo del mercato interno europeo dei servizi.

5.3

Il questionario dovrebbe servire a classificare i criteri di un mercato interno dei servizi favorevole ai consumatori, testé elencati al punto 5.1 (disponibilità, qualità, trasparenza e certezza giuridica), secondo due punti di vista: da un lato l'importanza che detti criteri rivestono dal punto di vista personale dell'intervistato e dall'altro la misura in cui essi vengono favoriti dalla direttiva europea sui servizi. Mentre dal punto di vista personale si attribuisce grande importanza alla qualità e alla certezza giuridica (primo e secondo posto), si ritiene che la direttiva europea sui servizi promuova anzitutto la disponibilità lasciando la certezza giuridica all'ultimo posto. Solo il 23 % degli intervistati si dichiara soddisfatto della situazione attuale, mentre il 77 % giudica necessari dei miglioramenti.

5.4

Nonostante la direttiva europea sui servizi non metta sostanzialmente in discussione la validità delle disposizioni di tutela dei consumatori nel paese di prestazione dei servizi, il dibattito ha fatto emergere più volte il timore che la situazione non sia del tutto perfetta. Alla domanda se in futuro le norme di protezione dei consumatori potrebbero essere minacciate, il 52 % degli intervistati ha risposto di sì, lamentando il più delle volte peggioramenti nell'applicazione concreta delle norme giuridiche, specie in materia di reclami e di richieste di risarcimento. Ciò concorda con le risposte ad un'altra domanda, in cui il 76 % degli intervistati ha segnalato problemi in materia di responsabilità e di esecuzione amministrativa. Il 51 % degli intervistati teme una diminuzione generale del livello di protezione dei consumatori. Si considerano minacciati soprattutto gli standard nazionali elevati (vale a dire al di sopra delle norme minime UE), e anche le disposizioni amministrative concernenti l'esercizio di un'attività, che interessano da vicino i consumatori poiché in futuro saranno disciplinate in base al principio del paese di origine, ad esempio per la protezione nei casi di vantaggio indebito e per le condizioni da soddisfare nelle richieste di risarcimento. Alcuni temono un indebolimento delle condizioni relative alle garanzie e un calo nella qualità dei servizi. Infine, molti temono una perdita dei diritti d'informazione, riguardanti ad esempio i prodotti (rischi per l'ambiente, responsabilità, trasparenza generale), l'indicazione dei prezzi, i fornitori (integrità dei fornitori, livello di qualificazione, dovuta copertura assicurativa), le prestazioni di garanzia, la responsabilità, ecc.

5.5

Una domanda specifica riguarda le informazioni che è opportuno, o addirittura indispensabile, fornire ai consumatori per quanto concerne l'offerta di servizi transfrontalieri. Al primo posto troviamo le indicazioni sulle garanzie giuridiche, il risarcimento dei danni e i diritti di reclamo. Seguono l'identità dei fornitori e il loro luogo d'origine, la trasparenza dei prezzi e dati precisi sulla qualità del servizio nonché sulla sicurezza del prodotto e la garanzia. Visibilmente preoccupati dal dibattito relativo al principio del paese d'origine, molti chiedono che venga precisato quale legislazione sarà applicabile e quali autorità di controllo o di reclamo saranno competenti in materia.

5.6

Solo il 25 % degli intervistati vanta esperienze con gli Eurosportelli o una cooperazione a livello europeo in materia di protezione dei consumatori. Il loro giudizio è il più delle volte positivo, anche se vengono citate lacune in alcuni settori, quali la collaborazione transfrontaliera per ottenere l'applicazione delle norme o il contatto con gli interlocutori nazionali competenti in materia. Si sono levate anche critiche contro procedure troppo burocratiche e onerose e contro una cooperazione in materia di tutela dei consumatori considerata nell'insieme troppo debole e poco efficace, soprattutto nei casi complicati. Nel complesso, emerge l'impressione che le informazioni concernenti sia gli Eurosportelli sia le possibilità di cooperazione non vengano ampiamente diffuse.

5.7

Per garantire una migliore qualità dei servizi la direttiva europea in materia propone di introdurre standard e certificazioni volontarie. Il 54 % degli intervistati giudica molto positivamente questa proposta, che lascia invece perplesso il rimanente 46 %. I sostenitori della proposta ritengono gli standard volontari di qualità uno strumento efficace che si deve affermare sul mercato e nei confronti dei clienti. I critici sono invece unanimi nel sostenere che l'osservanza di questi standard non può essere garantita senza il controllo dello Stato. Alcuni preferiscono pertanto una chiara norma legislativa. Gli standard volontari verrebbero osservati dalle imprese serie ma non proteggerebbero dalle «pecore nere», aspetto che è di fondamentale importanza proprio nell'ambito della prestazione di servizi a livello transfrontaliero.

5.8

La direttiva europea sui servizi prevede inoltre che l'attività di controllo sia condivisa dalle autorità del paese di origine e da quelle del paese di prestazione del servizio. Il Comitato ha voluto accertare se questo contribuisca ad aumentare la fiducia dei consumatori: l'82 % degli intervistati ha risposto di sì, mentre il 18 % afferma di nutrire meno fiducia. Manifestamente, le maggiori perplessità riguardano l'attuazione pratica.

5.9

Infine, gli intervistati hanno avuto ancora una volta l'occasione di affrontare problemi in sospeso circa la protezione dei consumatori nel futuro mercato interno dei servizi. Di nuovo, l'aspetto che più preoccupa sembra essere la mancanza di chiarezza e di sicurezza giuridica, nell'ambito della tutela dei consumatori, per quanto concerne le garanzie, la responsabilità (ad esempio nei casi di insolvenza), i diritti di garanzia (mancanza di armonizzazione: problema dell'onere della prova) e la possibilità di far valere con successo le richieste di risarcimento (eccessiva durata e complessità delle procedure, desiderio di una maggiore armonizzazione). Al secondo posto troviamo la garanzia d'informazioni adeguate in merito ai servizi e ai loro fornitori. Altre lacune sono la mancanza di standard di qualità comuni e di comparabilità fra le competenze e le qualificazioni professionali. Spesso le norme di protezione dei consumatori non vengono attuate in maniera corretta, oppure semplicemente mancano in alcuni singoli settori (sistema previdenziale privato, servizi sanitari). Importanti per gli intervistati sono anche le questioni sociali (salario inferiore a quello minimo, lavoro nero, migrazioni), nonché il timore di perdere gli standard ambientali e di sicurezza. È opportuno definire un livello minimo dei servizi d'interesse generale che garantisca la partecipazione alla vita sociale. Altri timori espressi riguardano le distorsioni della concorrenza per i fornitori locali (ad esempio la disparità di oneri sociali) e i problemi dovuti alle differenze monetarie.

6.   I principali risultati

6.1

Le reazioni al questionario evidenziano un grande interesse nel raccogliere le nuove sfide che il mercato interno dei servizi presenta per i mercati del lavoro, l'occupazione e la protezione dei consumatori. Vari intervistati hanno segnalato problemi potenziali, ma anche future opportunità. Entrambi questi aspetti meritano generalmente una maggiore attenzione e andrebbero tenuti presenti nell'ormai imminente applicazione della direttiva europea sui servizi.

6.2

Un problema ancora in sospeso è quello della rilevazione statistica degli scambi transfrontalieri di servizi nell'UE. Capire la realtà di questo settore è indispensabile per valutare i potenziali sviluppi sul fronte occupazionale. Il CESE ribadisce pertanto la sua richiesta di procedere ad un'unica rilevazione a livello di base, che sarebbe il solo rimedio possibile al problema.

6.3

Il 90 % degli intervistati giudica insufficienti le informazioni relative agli eventuali effetti della nuova strategia del mercato interno sull'occupazione. Il 60 % si aspetta effetti positivi sull'occupazione mentre il 40 % prevede una perdita di posti di lavoro. Nel complesso ci si attende soprattutto uno «spostamento di posti di lavoro». In tale contesto sarebbe opportuno che, per le sue future analisi, l'OMU adottasse un approccio differenziato e specifico per settore, contemplando ad esempio i servizi legati all'industria, l'istruzione, alcuni servizi pubblici liberalizzati, i servizi alle persone, l'artigianato. Significativi sono i riferimenti a coloro che traggono i maggiori benefici. Sarà utile prendere attentamente in considerazione gli aspetti relativi al lavoro qualificato/non qualificato e le opportunità che i lavoratori specializzati e disposti a spostamenti hanno rispetto ai lavoratori meno flessibili sotto questo profilo. Nel primo caso si tratta di un fenomeno prevedibile sia tra gli Stati membri sia all'interno di un singolo settore. Nel secondo, si tratta di una sfida del tutto particolare sia per i mercati del lavoro sia per i regimi di previdenza sociale.

6.4

Le prospettive per le piccole e medie imprese, e quindi anche per l'occupazione, sono considerate per lo più positive, fermo restando che in proposito la direttiva comunitaria in materia di servizi ha un impatto piuttosto limitato. Si prevedono comunque nuove sfide che bisognerà affrontare puntando sia su una migliore qualità e maggiore qualificazione dei lavoratori, sia sulla capacità di innovazione. Per far fronte alla nuova pressione competitiva taluni raccomandano una maggiore armonizzazione delle condizioni generali. In caso di conquista dei mercati da parte di grandi operatori si teme che possano essere sacrificate le specificità locali e culturali.

6.5

Dal futuro completamento del mercato interno dei servizi la maggior parte degli intervistati (82 %) si aspetta una modifica nelle condizioni di lavoro e di occupazione a livello nazionale: questo non perché non si conosca la direttiva europea in materia di servizi, bensì perché si tiene conto delle carenze sotto il profilo dell'armonizzazione e di nuovi influssi al livello del mercato. La maggioranza degli intervistati prevede un aumento dei contratti di lavoro a tempo determinato e condizioni di lavoro più flessibili. Ci si aspettano inoltre sviluppi positivi in termini di offerta di lavoro, di formazione linguistica e di qualificazione in generale.

6.6

Le disposizioni in vigore sui lavoratori distaccati svolgono un ruolo importante in proposito. L'inadeguatezza della loro applicazione è stata spesso additata come un problema. Tenuto conto delle nuove sfide, la metà degli intervistati giudica comunque che le attuali disposizioni siano insufficienti a garantire una protezione sociale, cosa che risulta peraltro evidente anche da un'attenta osservazione del mondo aziendale. Quanto minore è l'armonizzazione, tanto maggiori sono le possibilità di disparità di trattamento per un lavoro dello stesso tipo. In taluni casi ciò può essere considerato anche come un'opportunità, a condizione che il contatto con le «migliori pratiche» diventi un incentivo a migliorare le condizioni di lavoro nel paese di origine. In linea di massima si osserva che le disparità nelle condizioni di lavoro e nelle regolamentazioni all'interno di un'azienda o di un'impresa rappresentano una sfida anche per le stesse imprese. Il presente parere non è la sede per discutere della direttiva riguardante i lavoratori distaccati: è comunque importante rilevare che si profila un aumento delle disparità e dunque dei conflitti. È un aspetto che dovrà essere affrontato dai legislatori europei e nazionali (soprattutto in vista dell'ormai imminente applicazione della direttiva europea in materia di servizi), ma che presenta anche una sfida per il dialogo sociale europeo.

6.7

La maggiore mobilità dei lavoratori nel quadro della prestazione di servizi a livello transfrontaliero e la minore conoscenza dei propri diritti rendono ancor più necessari i servizi di consulenza, che andranno assicurati a livello europeo. Una fonte importante d'informazioni è costituita dal lavoro degli Euro Info Centre e dalla creazione di una banca dati sulle questioni relative ai lavoratori dipendenti, che è seguita con vivo interesse anche dal CESE.

6.8

La direttiva europea sui servizi non ha ottenuto giudizi unanimi da parte dei consumatori: accanto alle osservazioni critiche vi sono state anche valutazioni positive. Le risposte al questionario evidenziano che la qualità e la sicurezza giuridica sono considerate molto importanti, ma che, secondo gli intervistati, esse non vengono promosse a sufficienza dalla direttiva europea sui servizi. Solo il 23 % degli intervistati si dichiara soddisfatto della situazione attuale.

6.9

Si avverte una particolare preoccupazione per la sicurezza giuridica e l'effettiva applicazione delle norme. Nonostante in linea di massima la direttiva europea sui servizi non metta in discussione la tutela dei consumatori a livello nazionale, il 52 % degli intervistati ritiene che in futuro le disposizioni nazionali potrebbero essere minacciate. Occorrono regole chiare in materia di garanzie e responsabilità, nonché procedure rapide per le richieste di risarcimento. Stando agli intervistati, le norme attuali non sembrano essere sufficienti al riguardo, oppure gli elevati standard nazionali appaiono minacciati dalla futura concorrenza. Altrettanto importante è la diffusione di informazioni adeguate sui servizi e sui fornitori. Altre lacune sono l'assenza di standard comuni di qualità (l'autocertificazione ottiene solo una parziale approvazione) e l'impossibilità di comparare le competenze e le qualificazioni professionali. Le norme di protezione dei consumatori spesso non vengono applicate correttamente, oppure mancano del tutto in alcuni settori (sistemi previdenziali privati, servizi sanitari).

6.10

Solo in pochi vantano esperienze con gli Eurosportelli istituiti per i consumatori o in una cooperazione a livello europeo in materia. Nell'insieme le iniziative al riguardo vengono valutate positivamente ma non bastano: sono poco incisive, poco utili nell'applicazione delle norme e inefficaci nei casi complessi.

6.11

Nel mercato interno dei servizi occorre tener maggiormente conto delle esigenze in materia di protezione dei consumatori. L'insicurezza giuridica constatabile nell'ambito dei servizi transfrontalieri deve essere combattuta mediante una strategia dell'informazione a livello nazionale e comunitario. Non bisogna sottovalutare la richiesta di dati precisi su servizi e fornitori: è un altro aspetto da tener presente in sede di attuazione della direttiva europea sui servizi.

6.12

L'Osservatorio del mercato unico del CESE continuerà ad occuparsi dell'impatto del mercato interno dei servizi sullo sviluppo degli scambi di servizi fra gli Stati membri, sull'occupazione e sulla protezione dei consumatori, in stretta collaborazione con la sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza dello stesso CESE. Le conclusioni del presente parere indicano che sarebbe utile procedere a un'analisi più approfondita di singoli settori e comparti specifici tenendo al tempo stesso presenti i principali insegnamenti tratti dal questionario.

Bruxelles, 30 maggio 2007.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, GU L 376 del 27.12.2006, pag. 36.

(2)  CESE 137/2005, GU C 221 dell'8.9.2005.

(3)  Cfr. CESE 137/2005, punto 3.2, GU C 221 dell'8.9.2005.

(4)  Il CESE ha organizzato un'audizione sulla strategia generale del mercato interno il 19 settembre 2001 e quindi un'audizione dedicata a sei questioni fondamentali, tra cui la responsabilità professionale, lo sportello unico, i metodi di rilevazione statistica, ecc., che si è svolta il 24 maggio 2004, nel quadro dell'elaborazione del parere in merito alla direttiva europea sui servizi.

(5)  Ai sensi dell'articolo 50 del Trattato CE, un servizio è un'attività economica autonoma nell'ambito della quale le prestazioni vengono normalmente fornite dietro retribuzione.

(6)  Questa relazione è prevista durante il semestre della presidenza portoghese del Consiglio.

(7)  IMAC: Comitato consultivo per il mercato unico.

(8)  Le cifre citate in questo punto e nei successivi punti 3.5 e 3.6 sono tratte da documenti della Commissione europea del 2004 e 2005.

(9)  The Free Movement of Services within the EU, Kox & al, CPB report, no 69, ottobre 2004.

(10)  Economic Assessment of the Barriers to the Internal Market for Services, Copenhagen Economics, gennaio 2005.

(11)  Ad esempio lo studio commissionato dal ministero austriaco dell'Economia e del lavoro intitolato: Deepening the Lisbon Agenda: Studies on Productivity, Services and Technologies, Vienna 2006.

(12)  Queste stesse previsioni sono state considerate poco realistiche da fonti attendibili.


27.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 175/21


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Norme di qualità relative ai contenuti, alle procedure e ai metodi delle valutazioni di impatto sociale dal punto di vista delle parti sociali e degli altri attori della società civile

(2007/C 175/06)

Con lettera del 19 settembre 2006 Wilhelm SCHÖNFELDER, Ambasciatore straordinario e plenipotenziario, rappresentante permanente della Repubblica federale di Germania presso l'Unione europea, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo, a nome della presidenza tedesca del Consiglio, di elaborare un parere sulla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 maggio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore RETUREAU.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 31 maggio 2007, nel corso della 436a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 102 voti favorevoli, 3 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Introduzione

La richiesta rivolta dalla presidenza tedesca al CESE perché elaborasse un parere esplorativo sul tema Norme di qualità relative ai contenuti, alle procedure e ai metodi delle valutazioni di impatto sociale dal punto di vista delle parti sociali e degli altri attori della società civile illustra il desiderio del governo tedesco di porre l'accento sul tema «legiferare meglio», in cooperazione con le presidenze portoghese e slovena, dando seguito alla dichiarazione delle sei presidenze resa nel 2004. In tale contesto, «il ricorso sistematico a valutazioni d'impatto (1) per i nuovi progetti sarà un elemento importante del piano d'azione tedesco, al fine di tener conto delle conseguenze sociali nel processo legislativo» (2). «Le valutazioni d'impatto possono essere definite semplicemente un metodo per individuare le conseguenze probabili o reali di un intervento; il loro obiettivo è quello di migliorare la base di dati probanti a partire dalla quale vengono adottate le decisioni, migliorando così la qualità del processo decisionale» (3).

2.   Osservazioni generali

Il convegno organizzato dalla Commissione europea sullo sviluppo delle valutazioni d'impatto nell'UE (svoltosi a Bruxelles il 20 marzo 2006) ha mostrato che esiste un ampio consenso sulla solidità dei principi su cui si basa il sistema utilizzato dalla Commissione europea per le valutazioni d'impatto e sul fatto che tali valutazioni devono determinare gli effetti economici, sociali e ambientali (4). Le valutazioni di impatto sono state introdotte in primo luogo nel quadro del miglioramento, a monte, del quadro regolamentare dell'Unione europea. Tener conto della dimensione sociale o delle conseguenze della legislazione comunitaria è essenziale per garantire il rispetto dell'Agenda sociale. I cittadini si aspettano che l'Europa sia sociale e che il mercato unico sia socialmente compatibile, ed esprimono in vari modi il desiderio di prender parte al processo il cui obiettivo è quello di avvicinarli all'UE.

2.1   L'iniziativa della Commissione in materia di valutazioni di impatto — una breve retrospettiva

L'iniziativa che la Commissione ha preso nel 2003 consiste nell'eseguire una procedura di valutazione d'impatto per tutte le proposte principali, vale a dire quelle contemplate nella sua strategia politica annuale o nel suo programma di lavoro, si fonda sul fatto che tali proposte hanno «un potenziale impatto economico, sociale e/o ambientale e/o, per la loro attuazione, richiedono una qualche forma di misura di regolamentazione» (5). L'iniziativa è stata lanciata al fine di integrare progressivamente la valutazione d'impatto nel processo legislativo entro il 2005 (6).

Dal 2003 in poi si è parlato molto delle valutazioni di impatto in generale, ma poco degli aspetti sociali di tali studi.

2.2   Gli aspetti sociali nelle valutazioni d'impatto — breve sintesi dei lavori della Commissione europea

2.2.1

Naturalmente, nelle loro valutazioni d'impatto, la DG Istruzione e cultura e la DG Occupazione, affari sociali e pari opportunità tengono conto degli aspetti sociali. D'altra parte, in virtù del «principio dell'analisi proporzionata» vi sono delle differenze quanto al grado di integrazione degli aspetti sociali in altri settori (7). Si pone quindi la questione della necessità o meno di considerare gli aspetti sociali (compresi quelli collegati all'Agenda sociale dell'UE) un criterio fondamentale anche nelle proposte che non vertono su temi sociali o che probabilmente avranno ripercussioni limitate sul piano sociale. A livello empirico, dallo studio dell'Istituto per la ricerca sociale (cfr. la nota 4) emerge che «le valutazioni d'impatto che non tengono conto degli aspetti sociali tendono a concentrarsi nel settore economico. In tale settore, infatti, un terzo delle valutazioni d'impatto non tiene conto degli aspetti sociali, o ne tiene conto solo marginalmente» (8).

2.2.2

Ovviamente, «quando la rilevanza sociale di una determinata misura è evidente (…), gli aspetti sociali vengono presi ampiamente in considerazione e trattati in modo particolareggiato in tutto il documento relativo alla valutazione dell'impatto» (9). In tale contesto, «l'aspetto dell'occupazione appare chiaramente la conseguenza sociale più ricorrente e maggiormente evidenziata» (10).

2.2.3

Secondo l'Istituto per la ricerca sociale, «il grado in cui si tiene conto degli aspetti sociali non è necessariamente “proporzionale” (…) al contenuto politico e al probabile impatto. (…) Molto spesso le conseguenze sociali vengono descritte solo in modo generico (…) e si basano su (…) ipotesi comuni (…). Tali relazioni vengono però discusse raramente quando vengono analizzati il contenuto specifico della misura, la popolazione a cui essa è rivolta e le aree territoriali interessate, la scelta specifica degli strumenti politici e il risultato del processo di attuazione» (11). Nello studio eseguito dall'Istituto per la ricerca sociale si afferma anche che «in parecchie valutazioni d'impatto non vengono prese in considerazione le relazioni con altri ambiti di intervento o altre misure dell'UE». Le valutazioni d'impatto rappresentano un compito importante, ma non devono essere lacunose o superficiali, altrimenti le loro manchevolezze comprometteranno il valore della legislazione.

2.3   Il ruolo delle parti direttamente interessate nelle valutazioni di impatto

2.3.1

La valutazione dell'impatto di una proposta legislativa non consiste semplicemente nel mettere delle croci in delle caselle. Essa deve anche essere monitorata, idealmente da parte o con la stretta cooperazione degli utenti della legge in questione, specialmente di quelli che ne saranno più direttamente interessati. Considerato che la dimensione sociale è uno dei tre criteri di valutazione delle misure dell'UE, è necessario mettere a punto una procedura standardizzata — al medesimo tempo trasparente e lineare — per raccogliere i contributi mirati nel quadro delle valutazioni d'impatto. Ecco alcune delle possibili opzioni:

consultazione tramite Internet: la consultazione on-line su larga scala non è adatta per proposte legislative specifiche aventi un impatto sociale. Questo tipo di consultazione va limitato agli attori direttamente interessati. Una consultazione mirata richiede la formazione di reti tematiche (comunità virtuali per valutazioni d'impatto tematiche?), un minimo di struttura e di coordinamento e di monitoraggio,

consultazione attraverso forum delle parti direttamente interessate: per motivi di tempo questa possibilità potrebbe non consentire di ottenere il livello di precisione necessario,

ricorso a piattaforme consultive formali: ciò solleva il problema del coinvolgimento di organi come il Comitato economico e sociale europeo nel processo di valutazione dell'impatto sociale (lo stesso discorso vale anche per le valutazioni d'impatto nel campo dello sviluppo sostenibile). Per definizione, tali organi sono stati creati per tener conto del pluralismo degli interessi e della correlazione tra le diverse politiche,

la consultazione mirata delle parti direttamente interessate: è questo il modello auspicato da diverse organizzazioni della società civile.

3.   Osservazioni metodologiche di base

3.1

Per stabilire quale sia la metodologia da consigliare è necessario rispondere a una serie di domande:

qual è la situazione attuale, vale a dire quali sono i risultati ottenuti dalla Commissione per quanto riguarda l'integrazione degli aspetti sociali nelle sue valutazioni d'impatto?

La valutazione dell'impatto sociale di una determinata proposta è applicabile a tutte le proposte legislative o ciascuna proposta richiede uno studio ad hoc?

Qual è il ruolo delle parti direttamente interessate? Come possono essere coinvolte nel processo in maniera ottimale?

Quale potrebbe essere il ruolo del Comitato economico e sociale europeo in quanto assemblea di rappresentanti della società civile organizzata e piattaforma situata in posizione strategica per i contatti e la messa in rete?

Fino a che punto la Commissione ha tenuto conto dei contributi delle parti sociali e delle principali ONG nel quadro della valutazione dell'impatto sociale delle sue proposte? Come coinvolgerle nel modo più adeguato?

Non andrebbero previsti un codice di condotta più preciso di quello utilizzato attualmente dalla Commissione o norme etiche per la realizzazione di questo tipo di valutazioni dell'impatto sociale?

In base a quali modalità andrebbero effettuate le valutazioni dell'impatto sociale? (Andrebbero eseguite all'interno dell'istituzione o esternalizzando i lavori mediante una gara d'appalto e, in tal caso, in base a quali criteri?)

4.   Considerazioni di carattere interno

4.1

Considerata la difficoltà e l'importanza di valutare le conseguenze sociali delle proposte legislative, tutti gli attori interessati, vale a dire tanto le parti sociali quanto i rappresentanti delle organizzazioni della società civile, dovrebbero riflettere sulle seguenti questioni metodologiche:

quali dovrebbero essere la forma e la portata di uno studio di questo tipo?

Questo tipo di valutazione copre un ampio spettro di tematiche (p. es. l'iniziativa «legiferare meglio», il Libro verde sul conflitto di leggi in materia di regime patrimoniale dei coniugi, compreso il problema del riconoscimento reciproco) o conviene concentrarsi su argomenti che abbiano un chiaro contenuto sociale (p. es. servizi portuali, sicurezza marittima, Libro verde Modernizzare il diritto del lavoro)?

Che cosa implica tutto questo in termini di lavori preparatori e di elaborazione?

Considerata la necessità di un approccio «scientifico» (nel titolo si parla di «norme di qualità»), è necessario stabilire standard impliciti basati su esperienze e casi pratici ovvero sviluppare in primo luogo tali standard?

4.2

L'organizzazione di un'audizione pubblica al Comitato ha offerto alle ONG attive nel settore sociale, alle parti sociali e ad altri attori della società civile organizzata e a degli esperti l'opportunità di esprimere il proprio punto di vista e di discutere il progetto di parere, rendendo possibile far passare un messaggio chiaro diretto alle istituzioni europee in generale e alla Commissione in particolare.

4.3

Infine, considerato che le valutazioni d'impatto sociale sono un elemento di fondamentale importanza nel processo decisionale comunitario, il Comitato dovrebbe formulare delle proposte su come apportare dei miglioramenti e come integrare meglio le organizzazioni della società civile in questo processo.

5.   Indicatori sociali: considerazioni generali e problemi metodologici

5.1

Esistono diversi sistemi di indicatori sociali a livello nazionale e internazionale, ma occorre verificarne la validità e l'adeguatezza alle necessità specifiche delle valutazioni d'impatto.

5.2

Tali indicatori hanno iniziato ad essere sviluppati in numerosi paesi da una trentina d'anni a questa parte per valutare l'opportunità e le conseguenze delle politiche economiche in termini diversi da quelli dei semplici dati quantitativi, al fine di «pilotare» lo sviluppo sociale parallelamente a quello economico, e di disporre di strumenti di valutazione del benessere sociale e della sua evoluzione.

5.3

Ne è conseguito un'importante espansione delle statistiche sociali, in primo luogo per quanto riguarda le principali responsabilità pubbliche: istruzione, sanità, protezione sociale, ambiente, alloggi, trasporti, ricerca, disoccupazione ecc. Tuttavia, i dati raccolti se non vengono organizzati, sintetizzati e interpretati, non producono automaticamente degli indicatori sociali.

5.4

«Un indicatore non è che una statistica alla quale si annette un'importanza particolare per la conoscenza, il giudizio e/o l'azione» (12). Nella prospettiva delle valutazioni d'impatto, non si tratta solo di compilare delle statistiche sociali per paese basandosi su diverse fonti, ma anche di organizzare tali dati per valutare la situazione relativa a determinati temi scelti in funzione del loro grado di pertinenza per la valutazione d'impatto.

5.5

È possibile che in taluni settori siano disponibili solo studi frammentari e indagini sparse, e che non sia possibile effettuare analisi costi-benefici. È risaputo, ad esempio, che determinate categorie di pesticidi hanno effetti nocivi per la salute e che il loro accumulo, a partire da una certa soglia, provoca malattie gravi. La decisione di ridurre l'uso dei pesticidi chimici avrà un impatto positivo sulla salute della popolazione e dei lavoratori che utilizzano tali prodotti, anche se nel quadro di uno studio d'impatto proporzionato non è possibile fornire dati precisi sui benefici a lungo termine di una tale misura.

5.6

È chiaro, però, che la dimensione sociale della «salute» giustifica la misura proposta e rafforza la logica economica (come ad esempio la riduzione dei costi di produzione in agricoltura e il conseguente aumento della competitività). Inoltre, a sostegno della proposta può essere citato il diritto fondamentale a un ambiente sano.

5.7

In pratica, da un lato abbiamo a disposizione un gran numero di statistiche sociali, diversificate in funzione dei diversi temi di attualità nei dibattiti pubblici nei vari paesi (ad esempio, condizioni di lavoro, occupazione dei giovani, degli anziani e delle donne, criminalità, disparità di reddito, discriminazione sul lavoro, delocalizzazioni). D'altro canto, però, fino a tempi recenti dalla massa delle statistiche sono stati ricavati solo pochi indicatori sociali, i quali per fortuna tornano ad essere di attualità nel nuovo contesto socioeconomico in cui viviamo da una decina d'anni e nel quale si ridà valore al ruolo degli Stati nella politica sociale e in quello della regolazione in campo economico.

5.8

Se restano isolati, tuttavia, questi indicatori sociali non sempre sono sufficientemente utili e diventano più significativi se vengono integrati in un concetto più ampio, come quello dello sviluppo sociale ed economico o dello sviluppo sostenibile. Le fonti di tali indicatori sono ormai diversificate, e i dati non provengono più solo dalle amministrazioni statali centrali, ma anche da ONG e da «piattaforme» di riflessione (think tanks di grandi fondazioni). La presentazione degli indicatori è altrettanto diversificata e va dalla selezione delle statistiche alle indagini tematiche, passando per aggregazioni di dati allo scopo di costruire indicatori compositi tematici o generali.

5.9

Numerosi organismi internazionali pubblicano indicatori e statistiche sociali ed effettuano comparazioni tra i loro paesi membri. I principali organismi sui quali ci si può basare e che forniscono dati significativi per i paesi dell'UE sono (in ordine casuale) l'OCSE, il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (PNUS), la Commissione europea (e in particolare Eurostat), l'Unesco, la Banca mondiale e l'OIL.

5.10

La diversità stessa delle fonti solleva il problema della qualità delle statistiche (non tutti i paesi, infatti, dispongono di uffici statistici sofisticati), della loro comparabilità e dell'armonizzazione dei concetti. La scelta degli indicatori utilizzati per misurare la convergenza sociale dei paesi dell'Unione europea costituisce una vera sfida politica. Gli indicatori utilizzati per le comparazioni, infatti, non sono neutri, bensì riflettono ordini di priorità e, talvolta, anche concezioni relative allo stato auspicabile della società, le quali possono legittimamente variare da un paese all'altro. L'esempio della disoccupazione dimostra che alcuni indicatori possono avere effetti tangibili, eventualmente anche perversi, sull'orientamento delle politiche (13). Va constatato però che, attualmente, la costruzione dei sistemi di indicatori è completamente lasciata ai tecnici (14).

5.11

Le critiche relative all'uso del PIL e della crescita come indici del benessere sociale sono da far risalire soprattutto al PNUS, che ha creato l'indice di sviluppo umano (ISU), soprattutto sotto l'impulso dei lavori di Amartya Sen sulla povertà, la fame, la democrazia e la critica degli indicatori quantitativi puramente economici, lavori che gli hanno valso il premio Nobel per l'economia.

5.12

I dati concernenti l'accesso all'acqua potabile, il livello di alfabetizzazione di uomini e donne, il sistema sanitario e i risultati delle campagne contro le pandemie, la partecipazione al processo democratico, l'aspettativa di vita in base al sesso, la mortalità perinatale e infantile ecc. sono tutti rilevanti per valutare il benessere in una società, così come pure la situazione dell'ambiente. Questi dati, però, non sono direttamente correlati con il PNL.

5.13

I primi indicatori ISU aggregati del PNUS hanno suscitato ampi dibattiti e grandi controversie poiché i paesi «ricchi» erano talvolta lontani dai primi posti della classifica della «felicità nazionale lorda». Questo indicatore è diventato però l'alternativa più incontestata agli indicatori puramente economici a causa della sua solidità (istruzione, aspettativa di vita, redditi aggiustati per tener conto della povertà).

5.14

Le statistiche sociali costituiscono il complemento inseparabile delle statistiche economiche e l'importanza che l'opinione pubblica annette alle principali questioni sociali conferisce loro un'importanza politica di cui chi è al governo deve assolutamente tener conto.

5.15

Obiettivamente va riconosciuto che, oltre ai pregiudizi economici o all'approccio contabile a breve o medio termine, alla presa in considerazione delle statistiche sociali si frappongono anche altri ostacoli, quali la molteplicità delle questioni sociali e la difficoltà di collegarle fra loro e di quantificarle per integrarle negli orientamenti di politica economica.

5.16

Intuitivamente si potrebbe giungere alle medesime conclusioni per la definizione di indicatori ambientali intesi a reintegrare le esternalità nella crescita economica. Al limite, la crescita legata al disboscamento di una foresta primaria dovrebbe portare al rifiuto di questo modello di crescita se la valutazione d'impatto tenesse conto di tutti i fattori sociali e ambientali che, come ormai sappiamo, hanno un peso maggiore dei fattori economico-monetari. Tuttavia è estremamente difficile quantificare in termini monetari fattori esterni quali ad esempio i cambiamenti climatici, la perdita di biodiversità, il destino delle persone che vivevano del raccolto o dello sfruttamento delle piante medicinali, il rapido impoverimento del suolo e la successiva erosione. Un bilancio contabile a breve termine potrebbe essere ampiamente positivo, mentre a più lungo termine, tenendo conto delle esternalità, sarebbe nettamente negativo non solo per la regione o i paesi considerati, ma per l'intero pianeta.

5.17

Il lavoro che sottende numerose valutazioni della «migliore legislazione» in termini di costi-benefici e che viene eseguito nelle valutazioni d'impatto comunitarie mostra dei limiti oggettivi per quanto riguarda la dimensione sociale e ambientale dell'impatto (15). Anche se l'impatto sociale è valutato sulla base di un indicatore pertinente (numero di posti di lavoro persi, mancanza di opportunità di riqualificazione professionale), esso non è necessariamente determinante nel processo decisionale politico. Esso comporta spesso elementi impossibili da quantificare, soprattutto quando le valutazioni d'impatto stilano un bilancio in termini finanziari a breve o al massimo a medio termine. L'impatto a lungo termine è più difficile da stabilire: del resto, come si fa a valutare il beneficio che ci si attende, in termini finanziari, dalla riduzione della mortalità legata all'inquinamento da carburanti marittimi (16)?

5.18

Infine, il dibattito sociale mette in gioco concetti dai contorni talvolta non ben determinati. Un indicatore relativo alla flessicurezza, ad esempio, sarebbe concepito in modo diverso a seconda dei paesi, indipendentemente dal fatto che esista una determinata esperienza in materia o che si cerchi di introdurre questo concetto nel dibattito europeo (17) o nazionale facendo riferimento a «modelli» nazionali sviluppati in un contesto particolare e difficilmente trasponibili in altre realtà sociali. Quali sarebbero gli elementi da prendere in considerazione e soprattutto quale valore, positivo o negativo, andrebbe attribuito loro? L'inclusione o l'esclusione di determinati indicatori può rivelare valori e ideologie non esplicite (18). E il problema è ancora più complicato per la definizione degli indici compositi: di quale indice si deve tener conto, quale coefficiente gli si deve attribuire e qual è il vero significato dell'indice composito ottenuto?

5.19

Tuttavia, gli indici compositi possono integrare sia dimensioni quantitative che qualitative, possono essere ripartiti in base all'età, al sesso e ad altri criteri significativi, ma devono restare di facile comprensione. Ad esempio, come si fa ad elaborare un indice della qualità di vita in Europa? Si potrebbe pensare di prendere in considerazione il reddito, la speranza di vita la percezione dell'efficacia del sistema sanitario, le pensioni di anzianità, il livello di istruzione medio, la percezione della soddisfazione sul lavoro ecc. E perchè allora non tener conto anche del tasso di disoccupazione e di sottooccupazione o delle condizioni abitative? E quale importanza relativa va accordata a ciascuna componente?

5.20

Come si vede, questa costruzione non è solo una questione puramente tecnica e rinvia a un sistema di valori condivisi o di tradizioni ancora vive nella società, richiede la consultazione delle organizzazioni sociali e, alla fine, rifletterà una posizione ideologica e politica. Attualmente «è raro che i metodi utilizzati per gli indicatori sociali tengano davvero conto degli obiettivi sociali e rispecchino i valori e le norme sociali (…). Un elemento fondamentale di questo (…) approccio sono l'individuazione e la classificazione, con l'aiuto di consultazioni e del consenso, di riferimenti (…) in diversi ambiti sociali. In questo processo vengono determinati anche i dati e i risultati, così come pure i legami tra di essi (…). In altre parole, affinché gli indicatori sociali possano ispirare delle politiche, il processo deve fare parte del prodotto» (Associés EKOS Inc. 1998).

5.21

Si pone anche la questione della scelta del campione sul quale condurre le analisi statistiche. Vanno analizzati degli individui, delle comunità o il nucleo familiare in quanto più piccola unità economica e sociale? La registrazione di dati relativi a gruppi etnici pone dei problemi a causa del requisito della non discriminazione, ma sarebbe utile per precisare la natura e la portata delle discriminazioni, al fine di proporre delle politiche per ridurle ed eliminarle più o meno a lungo termine.

5.22

La scelta delle statistiche e la messa a punto di indicatori possono essere effettuate allo scopo di valutare una politica già avviata o per chiarire fin dall'inizio le possibilità di scelta. Probabilmente per decidere una politica (obiettivi e strumenti per realizzarli) sarà necessario uno spettro più ampio di dati statistici, che potrà successivamente essere ridotto una volta individuati gli indicatori e le statistiche più pertinenti. Queste selezioni, malgrado tutto, hanno una forte connotazione empirica. Non si tratta di una scienza esatta e per la medesima serie di dati statistici, che conterrà dati monetari e non monetari, sono possibili varie interpretazioni.

5.23

A titolo di esempio, i dati grezzi raccolti dall'OCSE per gli indicatori sociali utilizzati nel suo «Panorama della società, 2000» (cfr. bibliografia succinta) sono i seguenti:

indicatori di contesto: reddito nazionale per abitante, tasso di dipendenza demografica, tasso di fecondità, stranieri e popolazione nata all'estero, matrimoni e divorzi,

indicatori di autonomia: occupazione, disoccupazione, famiglie senza lavoro, madri che lavorano, prestazioni in caso di non occupazione, redditi sociali minimi, livelli di studio, età di pensionamento, inattività dei giovani, studenti portatori di handicap,

indicatori di equità: povertà, disuguaglianze di reddito, povertà infantile, reddito degli anziani, spesa sociale pubblica e privata, spesa sociale complessiva, pensione di vecchiaia, promessa di pensione,

indicatori sanitari: aspettativa di vita, aspettativa di vita corretta in funzione dello stato di salute, mortalità infantile, spesa sanitaria totale, assistenza per i lungodegenti,

indicatori di coesione sociale: benessere soggettivo, isolamento sociale, partecipazione alla vita associativa, numero di figli nati da genitori adolescenti, uso di stupefacenti e decessi ad esso collegati, suicidi.

5.24

Da parte sua, Eurostat fa ricorso ai seguenti indicatori sociali:

indicatori strutturali:

occupazione: tasso di occupazione, tasso di occupazione dei lavoratori anziani, età media di uscita dal mercato del lavoro, divario retributivo tra uomini e donne, aliquota fiscale applicabile ai lavoratori a bassa retribuzione, pressione fiscale sul costo della manodopera, trappola della disoccupazione, trappola dei salari bassi, formazione permanente, infortuni sul lavoro (gravi o mortali), tasso di disoccupazione (totale o per sesso),

coesione sociale: disuguaglianza nella distribuzione del reddito, tasso di rischio di povertà, tasso di rischio di persistenza della povertà, dispersione dei tassi di occupazione regionali, tasso di dispersione scolastica, tasso di disoccupazione di lunga durata, persone appartenenti a famiglie di disoccupati;

sviluppo sostenibile:

povertà ed esclusione sociale: tasso di rischio di povertà dopo i trasferimenti sociali, povertà monetaria, accesso al mercato del lavoro, altri aspetti dell'esclusione sociale,

invecchiamento della società: tasso di dipendenza degli anziani, adeguatezza delle pensioni, cambiamenti demografici, stabilità delle finanze pubbliche,

sanità pubblica: anni di vita in buona salute dalla nascita per sesso, tutela della salute umana e modi di vita, sicurezza alimentare e qualità degli alimenti, gestione dei prodotti chimici, rischi per la salute dovuti alle condizioni ambientali;

mercato del lavoro:

tasso di disoccupazione armonizzato,

indice del costo della manodopera.

5.25

Occorre stabilire in che misura questi esempi non esaustivi di indicatori possano integrarsi in modo efficace negli obiettivi fondamentali del metodo aperto di coordinamento (MAC) del marzo 2006, vale a dire:

promuovere la coesione sociale, la parità uomo e donna e le pari opportunità per tutti attraverso regimi di protezione sociale e politiche d'inclusione sociale adeguate, accessibili, finanziariamente sostenibili, adattabili ed efficienti,

assicurare un'interazione efficace e reciproca sia con gli obiettivi di Lisbona intesi a conseguire una maggiore crescita economica, posti di lavoro migliori e più numerosi e una maggiore coesione sociale, sia con la strategia UE per lo sviluppo sostenibile,

migliorare la struttura gestionale, la trasparenza e la partecipazione degli interessati alla progettazione, all'attuazione e al controllo delle politiche.

5.26

Inoltre, è necessario che i concetti e i metodi impiegati per determinati indicatori siano precisi. Per quanto riguarda la povertà, ad esempio, il Consiglio per l'occupazione, i salari e la coesione sociale (CERC) (19) mette in evidenza la «multidimensionalità» di questo concetto.

5.26.1

La povertà ha quindi varie dimensioni: insufficienza delle risorse monetarie, condizioni di vita degradate, risorse cognitive, sociali e culturali insufficienti. Per ciascuna di queste dimensioni si seguono due approcci per individuare le situazioni di povertà:

il primo consiste nel definire in modo «assoluto» le necessità minime. Le persone i cui bisogni minimi non sono soddisfatti vengono definite povere,

il secondo approccio definisce la povertà in modo relativo. È questo l'approccio adottato nel 1984 dal Consiglio europeo che ha dato una definizione della povertà per i lavori statistici da svolgere nell'Unione europea: sono povere le persone il cui reddito e le cui risorse (materiali, culturali e sociali) sono insufficienti al punto tale da impedire loro di avere condizioni di vita considerate accettabili nello Stato membro in cui vivono.

5.27

In sintesi, concludendo si può affermare che l'obiettivo degli indicatori sociali è quello di richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica e dei responsabili delle decisioni sulle sfide sociali che rischiano di essere sottovalutate o mal comprese. Questa funzione consistente nel concentrare l'attenzione dei responsabili delle decisioni sulle questioni più fondamentali risulta ancor più importante se si considera che questi ultimi, molto spesso, sono confrontati con una sovrabbondanza di informazioni. Come ha espresso con chiarezza Herbert Simon, troppe informazioni uccidono l'informazione.

5.27.1

Da un punto di vista funzionale, ne risulta che la finalità dei sistemi di indicatori è quella di ottenere un'«aggregazione ottimale delle informazioni».

5.28

Un indicatore è più di una semplice statistica;

un sistema di indicatori non è una semplice raccolta di dati e questo ha diverse conseguenze:

1)

ciascun indicatore individuale deve potersi giustificare in riferimento a un'analisi dei fenomeni complessi che esso ha il compito di sintetizzare;

2)

nel medesimo ordine di idee, gli indicatori devono avere qualità «espressive», ossia avere un forte potere di rappresentazione e di evocazione della realtà. A questo proposito alcuni parlano di una virtù «metaforica» degli indicatori;

3)

tenuto conto della loro finalità (richiamare l'attenzione dei responsabili delle decisioni e dell'opinione pubblica sui fatti e le tendenze più importanti per poter influenzare le politiche), gli indicatori più utili sono quelli relativi a grandezze alle cui variazioni si può attribuire un valore (positivo o negativo) univoco. A questo proposito si parlerà di «chiarezza normativa». Un esempio contrario può venire dall'aumento del lavoro a tempo parziale, che non è considerato all'unanimità un fenomeno positivo, a meno che non dipenda da una scelta del lavoratore. Questo criterio di chiarezza può portare a scartare dai quadri di valutazione un certo numero di indicatori meno pertinenti per il nostro progetto, per esempio quelli relativi ai modi di vita o alle tendenze culturali (i gusti relativi all'abbigliamento o alla musica ecc.), benché questi ultimi abbiano un impatto sull'organizzazione del lavoro e dell'economia;

4)

da un punto di vista pratico, è auspicabile giustificare la scelta degli indicatori in base alle loro funzionalità. Essi sono infatti più o meno adatti ai tre seguenti tipi di uso: comparazioni internazionali o interregionali, comparazioni intertemporali, monitoraggio e valutazione dell'azione pubblica/qualità e prestazioni dei servizi pubblici;

5)

infine, gli indicatori vanno raggruppati in categorie e sottocategorie in un quadro strutturato che faciliti una buona intelligibilità dell'insieme. In particolare, è opportuno distinguere fra indicatori di contesto, indicatori strumentali e indicatori di risultato, nonché fra indicatori oggettivi e soggettivi.

5.29

In pratica, le qualità di un indicatore sono le seguenti:

univocità: un indicatore è utile solo se non esiste alcuna ambiguità quanto alla natura del fenomeno che esso riflette (classico esempio contrario: i dati relativi ai reati e alle infrazioni constatate riflettono sia l'evoluzione della delinquenza sia l'attività dei servizi di polizia),

rappresentatività: un indicatore è tanto più utile quanto più è in grado di sintetizzare in modo valido, mediante un unico dato, un ampio insieme di fenomeni,

chiarezza normativa (cfr. sopra),

affidabilità, regolarità: le informazioni necessarie per definire l'indicatore vanno fornite regolarmente mediante indagini affidabili,

comparabilità nel tempo e/o nello spazio (tra paesi, regioni ecc.): la comparabilità è strettamente collegata all'univocità e all'affidabilità.

5.30

Qualità di un sistema di indicatori:

completezza: devono essere presi in considerazione i principali aspetti della realtà che si intende osservare,

equilibrio: il numero e lo status degli indicatori relativi a ciascun tema devono riflettere la sua importanza relativa. Nessun aspetto della realtà va indebitamente privilegiato a danno degli altri,

selettività e/o gerarchia: gli indicatori devono essere poco numerosi oppure vanno classificati secondo una chiara gerarchia.

6.

Il CESE auspica che la valutazione dell'impatto sociale delle iniziative legislative e politiche dell'UE venga integrata in tutti i settori dell'azione politica. In altre parole, la Commissione dovrebbe valutare accuratamente l'impatto sociale di tutte le iniziative in questione, indipendentemente dalla DG responsabile e dalla materia trattata. Questo è importante se l'UE vuole veramente creare un'«Europa sociale» e vuole ottenere il sostegno dei cittadini. La iniziativa «legiferare meglio» offre la piattaforma adeguata per proseguire in questa direzione.

6.1

La valutazione dovrebbe esaminare singolarmente tutti i gruppi specifici che potrebbero essere interessati in vario modo dalla nuova legislazione. Andrebbe prestata un'attenzione particolare ai gruppi svantaggiati quali le donne, i disabili e le minoranze etniche. In qualche caso, a seconda dell'argomento dell'iniziativa in esame, potrebbe essere necessario anche valutare singolarmente dei sottogruppi specifici, quali ad esempio i ciechi.

7.   Conclusioni

7.1

Da quanto precede e dall'audizione pubblica organizzata dal Comitato economico e sociale europeo il 28 marzo 2007 risulta che imporre un indicatore sociale fondato su un criterio unico è impossibile a causa della multidimensionalità di certi concetti. La natura stessa del dibattito sociale, infatti, introduce dei concetti dai contorni mal definiti e necessariamente oscillanti da un paese all'altro oppure da una realtà sociale ad un'altra, senza dimenticare che l'inclusione o l'esclusione di certi indicatori è rivelatrice di valori o di ideologie più o meno esplicite. La selezione degli indicatori ha inoltre una forte connotazione empirica che dovrebbe, in linea di massima, opporsi a qualsiasi rigidità del modo di pensare.

7.2

È certamente lodevole e necessario, se non indispensabile, richiamare l'attenzione dei responsabili delle decisioni sull'impatto sociale di una legislazione in preparazione, ma è un campo in cui si pone un problema metodologico perché «troppe informazioni uccidono l'informazione». Il Comitato pensa che si debba dedicare un impegno particolare alla metodologia che rimane ancora da determinare.

7.3

Il Comitato ritiene, inoltre, che a questo stadio della riflessione sia fondamentale richiamare l'attenzione della Commissione, tra l'altro, sui criteri di qualità che un indicatore deve soddisfare, vale a dire:

univocità,

rappresentatività,

chiarezza normativa,

affidabilità e regolarità, oltre alla comparabilità nel tempo e/o nello spazio e alla necessità di completezza, equilibrio, selettività e/o gerarchia come condizione della qualità di un sistema di indicatori.

7.4

Il Comitato economico e sociale europeo chiede inoltre alla Commissione di integrare la valutazione dell'impatto sociale delle iniziative legislative e politiche dell'Unione europea in tutte le politiche comunitarie, senza preoccuparsi di sapere quale sia la direzione generale responsabile per decidere se ricorrere o no a una valutazione d'impatto sociale. Ciò è essenziale se si vuole veramente creare un'«Europa sociale» e ottenere il sostegno dei cittadini.

7.5

Il Comitato dovrebbe prendere in considerazione la tabella di marcia e la valutazione d'impatto e, simultaneamente, la proposta legislativa su cui deve emettere il suo parere; sarebbe opportuno che i lavori cominciassero senza indugio+, subito dopo la pubblicazione del documento che accompagna la proposta legislativa.

7.6

È fondamentale procedere a valutazioni regolari e ad eventuali aggiustamenti nell'attuazione di qualsiasi atto legislativo che ha formato oggetto di una valutazione d'impatto preliminare e coinvolgervi le parti sociali e, se del caso, le ONG interessate. Ciò è necessario per verificare la validità degli indicatori utilizzati, e della loro combinazione, nella valutazione d'impatto sociale e trarne insegnamenti ovvero, se ve ne fosse bisogno, stimolare il legislatore a studiare una possibile revisione.

7.7

In certi casi particolari e di estrema importanza sociale (diritto del lavoro, per esempio), la consultazione della parti sociali dovrebbe essere prevista a uno stadio ancora più anticipato per cercare gli indicatori più appropriati all'esecuzione di una valutazione d'impatto il più completa e oggettiva possibile.

7.8

L'iniziativa «Legiferare meglio» è incontestabilmente la piattaforma adatta per avanzare in questa direzione che consiste nel proporre una legislazione necessaria, efficace, con conseguenze prevedibili e stabili per i suoi destinatari, coinvolti più da vicino nel processo di valutazione e verifica dell'impatto grazie agli organi comunitari consultivi (CESE e CdR) e, in funzione della natura della legislazione, per il tramite delle parti sociali e delle ONG competenti nel settore considerato.

Bruxelles, 31 maggio 2007.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Abbreviato: “VI”.

(2)  «Europa gelingt gemeinsam», programma della presidenza, 1o gennaio — 30 giugno 2007 — pubblicato dal governo federale tedesco (cfr. anche

http://eu2007.de).

(3)  Citazione tratta da: C. Kirkpatrick e S. Mosedale, «European Governance Reform: The Role of Sustainability Impact Assessment», Università di Manchester 2002.

(4)  Il Parlamento propone un quarto pilastro delle valutazioni d'impatto, quello dei diritti fondamentali. La questione rimane aperta: differenziazione dei diritti fondamentali o integrazione di tali diritti nei tre pilastri proposti. Ad ogni modo l'impatto sui diritti fondamentali deve essere valutato.

(5)  «The inclusion of social elements in Impact Assessments». Documento a cura dell'Istituto per la ricerca sociale, gennaio 2006, pag. 13. Tale istituto ha elaborato documenti della Commissione (decisioni, regolamenti, comunicazioni e direttive) per 3 anni, vale a dire dal 2003 al 2005.

(6)  Nel giugno 2005 la Commissione europea ha pubblicato un documento intitolato «Impact Assessment Guidelines» (SEC(2005) 791). Cfr. anche

http://ec.europa.eu/enterprise/regulation/better_regulation/impact_assessment/docs/sec_2005_791_guidelines_annexes.pdf.

(7)  In virtù del principio dell'analisi proporzionata «il grado di dettaglio varia a seconda dei probabili effetti della proposta. Ciò significa che la profondità dell'analisi sarà proporzionata all'importanza delle ripercussioni probabili», COM(2002) 276 def.

(8)  The inclusion of social elements in Impact Assessments, pag. 28.

(9)  Idem, pag. 30.

(10)  Idem, pag. 31.

(11)  Idem, pag. 77.

(12)  Bernard Perret, Indicateurs sociaux, état des lieux et perspectives, in: Les Papiers du CERC, n. 2002/01,

www.cerc.gouv.fr.

(13)  La lotta contro la disoccupazione corre sempre il rischio di degenerare in una lotta contro i dati relativi alla disoccupazione, Jean-Baptiste de Foucault, in: Joelle Affichard «La pertinence des indicateurs statistiques pour le pilotage des politiques sociales», Institut Paris La Défense.

(14)  Bernard Perret, Indicateurs sociaux, état des lieux et perspectives, in: Les Papiers du CERC, n. 2002/01,

www.cerc.gouv.fr.

(15)  Dallo studio d'impatto relativo alla riforma dell'OCM delle banane attuata nel quadro della PAC, ad esempio, si evince che andranno irrimediabilmente perse decine di migliaia di posti di lavoro in equivalenti tempo pieno se non ci saranno possibilità alternative di occupazione nelle zone produttrici situate nelle regioni ultraperiferiche dell'UE, dove c'è già una forte disoccupazione. Nonostante gli enormi costi sociali si è deciso di procedere alla riforma dell'OCM imposta dall'Organizzazione mondiale del commercio (OMC).

(16)  Cfr. lo studio d'impatto su questo tema, che intende quantificare il valore monetario delle vite salvate e delle malattie evitate. In uno studio d'impatto più recente (relativo alla direttiva sui pesticidi) si rinuncia a prendere in considerazione questo aspetto.

(17)  Libro verde sull'evoluzione del diritto del lavoro («Modernizzare il diritto del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo»).

(18)  Les Associés de Recherche EKOS Inc., «L'utilisation d'indicateurs sociaux comme instruments d'évaluation», 1998 (relazione elaborata per il governo canadese).

(19)  http://www.cerc.gouv.fr.


27.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 175/28


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo relativa all'attuazione della direttiva 1997/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 1997, riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza

COM(2006) 514 def.

(2007/C 175/07)

La Commissione, in data 21 settembre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 maggio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore PEGADO LIZ.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 30 maggio 2007, nel corso della 436a sessione plenaria, ha adottato a maggioranza il seguente parere con 61 voti favorevoli, nessun voto contrario e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Con la comunicazione sull'applicazione della direttiva 1997/7/CE, la Commissione, oltre a informare il Consiglio, il Parlamento europeo e il Comitato economico e sociale europeo sui risultati del recepimento e dell'applicazione della direttiva, apre una consultazione pubblica delle parti interessate con l'intento di raccoglierne le posizioni; essa, però, non si propone di presentare una proposta di revisione della direttiva stessa fino a quando non sia stata portata a termine l'analisi più vasta sull'acquis comunitario in materia di diritto dei consumatori.

1.2

Il Comitato, pur rimarcando il ritardo di questa comunicazione rispetto alle scadenze previste nella direttiva, apprezza l'iniziativa e condivide una parte rilevante delle osservazioni della Commissione, molte delle quali, del resto, aveva già avanzato nei suoi pareri, segnatamente quelle sulle proposte di direttiva relative alle vendite a distanza, in generale, e sulle vendite a distanza dei servizi finanziari, in particolare. Il Comitato è altresì d'accordo sulla necessità di contemperare il regime della direttiva con quello di altri strumenti giuridici creati nel frattempo, a volte senza il coordinamento e la concatenazione indispensabili.

1.3

Il Comitato reputa, tuttavia, che vi sarebbe tutto da guadagnare se si ponesse mano immediatamente, senza aspettare la conclusione dei lavori relativi alla revisione dell'acquis comunitario in materia di contratti di consumo, a una revisione di questa normativa, contemporaneamente alla revisione della normativa sulle vendite a distanza dei servizi finanziari e su certi aspetti del commercio elettronico, nell'intento di rendere più accessibile e comprensibile l'insieme delle disposizioni oggi sparse.

1.4

Con questo obiettivo, il Comitato sollecita la Commissione a procedere ad un'analisi dettagliata delle risposte alla sua consultazione ricevute nel frattempo. A ciò dovrà aggiungere dati statistici affidabili sull'ambito e sulla portata delle vendite a distanza nel mercato interno, per arrivare infine a un'audizione pubblica delle parti interessate.

1.5

Il Comitato approva in generale le proposte della Commissione relative al miglioramento della redazione e della struttura della direttiva, ma riafferma la posizione già esposta in pareri precedenti, secondo cui l'oggetto della direttiva non deve limitarsi alle relazioni tra operatori professionali e consumatori e che la revisione dell'ambito di applicazione della direttiva, in modo da farlo coincidere, per certi aspetti fondamentali, con quello della regolamentazione del commercio elettronico, offrirebbe molti vantaggi.

1.6

Il Comitato non è d'accordo con la Commissione nella valutazione che essa fa delle conseguenze dell'utilizzazione della «clausola minima». Esso non ritiene che questa sia all'origine delle difficoltà di applicazione della direttiva giustamente denunciate, ma non esclude che si possa considerare l'ipotesi di avanzare verso un'armonizzazione totale, per mezzo di un regolamento, una volta che sia garantito un livello più elevato di protezione dei consumatori.

1.7

Il Comitato, con l'intenzione di offrire un contributo alla revisione approfondita del regime delle vendite a distanza, avanza tutta una serie di raccomandazioni particolari, che ritiene opportuno esaminare attentamente all'attuale stadio di sviluppo del mercato interno; lo fa con il proposito di promuovere la sicurezza e la fiducia dei consumatori, attraverso la garanzia di una protezione equiparabile, in questo tipo di operazioni, a quella di cui godono giustamente i consumatori nella stipula e esecuzione di contratti conclusi alla presenza delle parti.

1.8

Il Comitato sottolinea, inoltre, la necessità di attribuire la massima importanza all'effettiva informazione delle parti contraenti, specialmente di quelle che hanno minori possibilità di accesso all'informazione, accompagnata da un sistema efficace di sanzione delle pratiche che violino il regime giuridico istituito.

2.   Sintesi della comunicazione della Commissione

2.1

Con la comunicazione sull'applicazione della direttiva 1997/7/CE del 20 maggio 1997 (COM(2006) 514 def. del 21.9.2006), la Commissione intende informare il Consiglio, il Parlamento europeo e il Comitato economico e sociale europeo sul recepimento e sull'applicazione della direttiva nei dieci anni circa trascorsi dalla sua pubblicazione, ottemperando così, sebbene con circa sei anni di ritardo, al disposto del suo articolo 15, paragrafo 4.

2.2

Oltre a individuare alcuni problemi nell'applicazione della direttiva (1), conseguenza attribuita principalmente alla sua «redazione» e ai «problemi di traduzione» in alcune versioni linguistiche, la Commissione formula osservazioni su ciò che considera «divergenze nazionali nell'attuazione della direttiva» derivanti dall'utilizzo della clausola minima e sul suo eventuale carattere obsoleto «alla luce delle nuove prassi e tecnologie di commercializzazione».

2.3

Infine la Commissione ha predisposto un questionario, che andava compilato entro il 21.11.2006, destinato a organizzare una consultazione pubblica delle parti interessate, con l'intento di confermare o inficiare le sue osservazioni, ammettendo anche la possibilità di realizzare un'audizione pubblica.

2.4

La Commissione, nonostante riconosca l'esistenza nel regime istituito di difetti di concezione e difficoltà d'interpretazione, che sono all'origine dei problemi di applicazione, non ritiene utile presentare proposte di revisione della direttiva prima che giunga a termine la fase analitica della revisione «dell'acquis comunitario relativo al consumatore», per la quale non è stato fissato un termine certo.

2.5

Già nel corso della preparazione del presente parere, la Commissione ha messo a disposizione in rete 84 risposte ricevute nel quadro della consultazione menzionata e ha diffuso un documento di lavoro che riassume una parte significativa delle risposte, ripromettendosi di completare in breve tempo l'analisi delle risposte rimanenti e di proseguire il lavoro con uno studio di impatto più approfondito.

3.   Principali osservazioni del CESE sulle constatazioni della Commissione

3.1   Osservazioni generali

3.1.1

Il CESE apprezza l'iniziativa della Commissione, ma ne deplora il ritardo rispetto alla data prevista di presentazione (vale a dire giugno 2001) o, quanto meno, il ritardo rispetto al termine di quattro anni dalla data prevista per il recepimento della direttiva (vale a dire giugno 2004), considerando che in generale le questioni sollevate oggi avrebbero già potuto essere appianate e risolte almeno tre anni fa, con chiari vantaggi.

3.1.2

Il CESE ricorda del resto di aver denunciato nei suoi pareri, ancora nella fase di elaborazione della direttiva, molte delle questioni che vengono ora sollevate nella comunicazione.

In effetti, nel parere in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio riguardante la tutela dei consumatori in materia di contratti negoziati a distanza  (2), il CESE aveva già richiamato l'attenzione sulla necessità di rivedere alcuni concetti previsti nell'articolo 2 della direttiva, in particolare quelli relativi ai contratti soggetti al regime della direttiva e alla nozione stessa di consumatore.

D'altro canto, il CESE aveva già ritenuto che la Commissione avrebbe dovuto essere più chiara in ordine al diritto di recesso dal contratto previsto nella direttiva, diritto che, a suo parere, avrebbe dovuto essere inteso nell'ambito del diritto al termine di riflessione e non avrebbe dovuto essere confuso con la possibilità del consumatore di risolvere il contratto in caso di inadempimento o di pratiche fraudolente ovvero interpretato nel senso di mettere in dubbio tale possibilità.

Il CESE aveva anche fatto rilevare che il termine di sette giorni per il diritto di recesso era inferiore a quello esistente in altre direttive e nella legislazione già esistente in alcuni Stati membri, e aveva raccomandato alla Commissione di armonizzare i termini di esercizio di tale diritto. L'invito del CESE a chiarire il regime del diritto a un termine di riflessione, è stato, del resto, reiterato nel parere in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la vendita a distanza di servizi finanziari  (3).

Critiche di questo tenore erano state avanzate già da tempo anche nella dottrina specializzata più autorevole (4).

3.1.3

Il CESE esprime la sua sorpresa sulla mancanza di informazioni lamentata dalla Commissione riguardo all'entrata in vigore delle disposizioni di attuazione di diversi Stati membri (5); si meraviglia inoltre del fatto che, dinanzi all'affermata constatazione di alcune violazioni tanto flagranti nell'attuazione della direttiva da parte di certi Stati membri, non sia data notizia né di procedure d'infrazione contro questi Stati né dei loro eventuali risultati.

3.1.4

D'altro canto, il CESE è del parere che sarebbe stato più consono a un processo veramente partecipativo far precedere e non far seguire la comunicazione da una consultazione pubblica, in modo da evitare di basare molte delle osservazioni e constatazioni della Commissione solo su «impressioni» o «opinioni» soggettive (6).

Il Comitato ricorda anche la relazione del 10 marzo 2000 sui reclami dei consumatori in materia di vendite a distanza e di pubblicità comparativa (COM(2000) 127 def.) e raccomanda che sia portato avanti un lavoro analogo di aggiornamento e comparazione dei dati, basato ora su un'analisi oggettiva di tutte le risposte alla consultazione pubblica, come piattaforma oggettiva di riflessione.

3.1.5

Nelle attuali circostanze il CESE approva la proposta della Commissione e insiste perché si realizzi un'audizione pubblica con tutte le parti interessate; tale audizione però non deve essere diluita nel dibattito più ampio concernente l'acquis comunitario relativo al consumatore, in merito al quale sono stati appena pubblicati un voluminoso studio tecnico di circa 800 pagine (7) e il Libro verde della Commissione (8).

3.1.6

D'altronde, visto il modo in cui si sono svolti i lavori del CFR (9), il CESE dubita che sia vantaggioso o raccomandabile far dipendere la revisione della presente direttiva dalla conclusione di tali lavori e dalla consultazione e dalle decisioni che saranno prese alla fine sull'insieme dell'acquis comunitario in materia di diritto dei consumatori, anche nell'ultima versione ridotta presentata dalla Commissione (10).

3.1.7

Il CESE suggerisce inoltre di ripensare eventualmente la natura giuridica dello strumento comunitario da utilizzare nella futura revisione della direttiva, se si ritiene che possano essere riunite le condizioni perché la disciplina dei punti essenziali di questa materia sia realizzata vantaggiosamente attraverso un regolamento (11), salvaguardando l'obiettivo essenziale della direttiva, vale a dire quello di ricreare l'equilibrio e l'uguaglianza delle parti, come si suppone si verifichi nelle operazioni commerciali tra le parti presenti simultaneamente in uno stabilimento commerciale.

3.2   Osservazioni specifiche

3.2.1

Le osservazioni e i commenti della Commissione in merito alla direttiva sono di due tipi:

a)

relative alla sua redazione e struttura;

b)

relative alla sua applicazione.

A)   Questioni di redazione e struttura

3.2.2

In relazione alle questioni di redazione e struttura della direttiva, il CESE concorda con la Commissione sui punti che seguono:

a)

alcune nozioni e definizioni devono essere riviste al fine di precisarne meglio il significato (12);

b)

i termini e le modalità di comunicazione delle informazioni preliminari devono essere enunciati meglio per evitare interpretazioni divergenti;

c)

è opportuna l'armonizzazione di alcuni dispositivi con quelli della direttiva relativa alle pratiche commerciali sleali (13);

d)

è necessario il potenziamento delle disposizioni sulle informazioni relative ai prezzi nei servizi a sovrapprezzo;

e)

è assolutamente necessaria una maggiore precisione nella caratterizzazione, categorizzazione e definizione della natura del termine di recesso («cool down») nella sua duplice funzione di tecnica di tutela della volontà contrattuale, volta ad assicurare il pieno consenso del consumatore, e di sanzione per il mancato rispetto delle formalità che il fornitore deve osservare per rispettare gli obblighi di informazione (14), attraverso una comparazione con i concetti analoghi, ma giuridicamente distinti, di diritto al termine di riflessione («warm up»), diritto di rescissione e diritto di risoluzione;

f)

allo stesso modo s'impone l'uniformazione di tale termine, della sua modalità di calcolo, degli effetti, in particolare di quelli finanziari, del suo esercizio (rimborso, restituzione, ecc.), del vizio risultante dalla sua esclusione, espressa o tacita, nei contratti e delle eccezioni alla regola (15);

g)

la necessità di rivedere, in special modo, l'esclusione delle «aste» (leilões), tenendo presente non solo il fatto che la stessa espressione, nelle varie traduzioni e tradizioni legislative nazionali assume significati giuridicamente distinti (16), ma anche che le «aste» realizzate attraverso Internet pongono problemi specifici che non si conoscevano al momento dell'elaborazione della direttiva (17).

3.2.3

Il Comitato ha, tuttavia, una posizione diversa da quella della Commissione in ordine:

a)

all'esclusione, sin dall'inizio, dei servizi finanziari da un'unica direttiva sulle vendite a distanza (18);

b)

all'opportunità di mantenere la distinzione tra le direttive «vendite a distanza» e la direttiva «commercio elettronico», data la parziale sovrapposizione del loro contenuto e l'esistenza di soluzioni contraddittorie in vari aspetti essenziali del loro regime giuridico rispetto a fattispecie identiche (19); l'apparente giustificazione si troverà solo nel fatto che l'«origine» interna dei testi di legge non è la stessa o non è stata debitamente coordinata tra i servizi.

3.2.4

Il Comitato raccomanda inoltre alla Commissione che cerchi di semplificare e di rendere più accessibile e comprensibile l'insieme delle disposizioni relative alle vendite a distanza che oggi si trovano disseminate in vari strumenti giuridici.

B)   Questioni relative all'applicazione

3.2.5

In relazione all'applicazione della direttiva, il CESE, anche grazie alla conoscenza che ha di esperienze riguardanti alcuni Stati membri, può schierarsi a fianco della Commissione e condividere il complesso delle sue osservazioni, ma ritiene che occorra portare a termine un lavoro più approfondito per avere un quadro esaustivo, e non puramente episodico, delle situazioni di divergenza o incompatibilità nell'attuazione o nell'interpretazione della direttiva in tutti gli Stati membri.

Per tale motivo il Comitato insiste con la Commissione perché essa, dopo aver analizzato le risposte al questionario, effettui tale studio e ne riferisca i risultati.

Si aggiunga che la Commissione non ha ancora fornito dati statistici che consentano di determinare il peso relativo delle vendite a distanza ai consumatori sul totale delle operazioni transfrontaliere né l'entità del loro volume rispetto alle operazioni con i consumatori in ciascuno Stato membro; in effetti tali elementi non possono essere colti con la necessaria oggettività nei dati più recenti di eurobarometro (20), ma risultano indispensabili per valutare i criteri di inclusione e per determinare l'opportunità delle esclusioni previste dalla direttiva.

3.2.6

Il Comitato guarda con inquietudine alla posizione della Commissione, quando essa, da un lato, individua vari problemi a livello di attuazione della direttiva e, dall'altro, manifesta dubbi in riferimento alla loro importanza per la fiducia dei consumatori, dichiarando che non procederà a modifiche e non annunciando misure più energiche relativamente ai problemi di attuazione.

3.2.7

Nondimeno è la stessa Commissione che, riferendosi all'ambito di applicazione della direttiva 1997/7/CE, riconosce che le esclusioni previste sono state recepite in diverso modo negli Stati membri e che è necessario ripensare alcune di tali esclusioni. Per questo motivo il Comitato invita la Commissione a prendere iniziative più concrete in questa materia.

3.2.8

Per quanto riguarda gli effetti dell'impiego della clausola minima, il Comitato non è d'accordo con la Commissione sul fatto che le situazioni da essa registrate siano conseguenza di un'applicazione non corretta della clausola dell'articolo 14.

3.2.8.1

Al contrario, il Comitato ritiene che in generale le divergenze riscontrate, certamente reali, non siano conseguenza di un uso indebito della clausola minima, ma piuttosto di difetti già segnalati nella concezione, nella formulazione e nel recepimento o nella traduzione della direttiva.

3.2.8.2

A parere del CESE, in effetti, la clausola minima, la quale permette agli Stati membri di andare al di là delle misure comunitarie previste dalle direttive di armonizzazione minima, pur sempre nel rispetto del Trattato, come stabilisce l'articolo 153, costituisce uno strumento positivo che garantisce un'elevata tutela del consumatore e permette di prendere in considerazione le specificità culturali, sociali e giuridiche di ciascun sistema nazionale.

3.2.8.3

Ciò non impedisce al Comitato di invocare che, nella misura in cui sia assicurato un livello più elevato di protezione del consumatore, taluni istituti giuridici siano oggetto di armonizzazione totale, preferibilmente persino oggetto di un regolamento, a garanzia della loro uniformità, come potrà essere il caso della direttiva oggetto della comunicazione.

C)   Questioni omesse

3.2.9

A parere del Comitato esistono inoltre altre questioni che meritano un eventuale riesame nel quadro di una revisione della direttiva e che non sono state sollevate nella comunicazione.

3.2.10

Si tratta in particolare delle questioni seguenti:

a)

l'opportunità di rivedere la direttiva sulle vendite a distanza di servizi finanziari parallelamente e contemporaneamente alla direttiva oggetto del presente parere; il Comitato manifesta così il suo espresso disaccordo con il tenore della comunicazione della Commissione del 6 aprile 2006 (COM(2006) 161 def.);

b)

il fatto che si mantenga il carattere esclusivo dell'uso delle tecniche di comunicazione a distanza invece del concetto di prevalenza (articolo 2, paragrafo 1);

c)

la natura giuridica della proposta negoziale come invito all'acquisto e il fatto che i suoi termini e caratteristiche siano essenziali come elementi costitutivi dell'oggetto dello stesso contratto di compravendita;

d)

tutto il regime dell'onere della prova che la direttiva non disciplina, o disciplina male, con il rinvio ai principi generali del diritto degli Stati membri che regola i contratti con i consumatori, a meno che non si ricorra al meccanismo di inversione della prova previsto all'articolo 11, paragrafo 3;

e)

il fatto che si continui a prevedere come ambito esclusivo della direttiva quello delle relazioni con i consumatori, anche indipendentemente dalla discussione riguardante la correttezza della loro definizione, con cui non si è d'accordo, mentre la materia in generale riguarda un certo tipo di vendite con determinate caratteristiche e non unicamente un destinatario, come si stabilisce del resto correttamente, nella direttiva sul commercio elettronico;

f)

la chiarificazione di ciò che si intende per «tecniche di comunicazione a distanza» e «sistema organizzato di vendite a distanza» e la necessità di riflettere in modo più approfondito se sia giustificato mantenere tale criterio e se vi siano motivi tali da legittimare l'esclusione dalla protezione specifica di quei consumatori che stipulano contratti a distanza con chi utilizzi tali strumenti in modo sporadico;

g)

il fatto che si mantenga l'esclusione, che non sembra giustificata, dei viaggi organizzati e dei contratti di multiproprietà (time-sharing), oltre che della vendita di prodotti alimentari a distanza dal campo d'applicazione della direttiva;

h)

il mancato inserimento nell'elenco delle informazioni preliminari da fornire al consumatore dei servizi al cliente (servizi post-vendita) e delle garanzie commerciali, situazione da rivedere in linea con la direttiva relativa alle garanzie (21);

i)

il regime del diritto all'uso e al godimento, del dovere di custodia e conservazione e del rischio di sparizione o deterioramento della cosa, durante il periodo di recesso e del suo trasporto, sia dall'operatore al consumatore, sia da questi a quello, in caso di restituzione, indipendentemente dal motivo (recesso o non conformità/difetto/danno), in collegamento con il regime derivante dalla direttiva sulle garanzie;

j)

la questione della lingua dei contratti, che non deve continuare a essere «di competenza degli Stati membri» (considerando 8);

k)

la definizione di ciò che si debba intendere per «giorno lavorativo» nel diritto comunitario, elemento essenziale per un calcolo uniforme dei termini, in particolare nelle vendite transfrontaliere, o la pura e semplice fissazione di tutti i termini in giorni consecutivi del calendario;

l)

la natura della comunicazione dell'esercizio del diritto di recesso, se occorra o no la conferma del ricevimento della comunicazione da parte del destinatario, con le relative conseguenze giuridiche;

m)

la prevenzione dei rischi di inadempimento contrattuale e del regime di non esecuzione puntuale o di esecuzione imperfetta degli obblighi di consegna dei beni o di prestazione dei servizi (22);

n)

il mantenimento dell'esclusione dei beni confezionati secondo le indicazioni del consumatore;

o)

la necessità di dare più importanza alla considerazione del fenomeno crescente delle trattative per telefono e per telefonia mobile (m-commercio), valutando l'istituzione di un regime generale di opt-in per la protezione contro le sollecitazioni non desiderate;

p)

il riferimento nel regime della direttiva alle questioni relative alla contraffazione e certificazione di beni e alla protezione dei diritti di autore e diritti collegati particolarmente a rischio nelle vendite a distanza;

q)

l'estensione degli obblighi di informazione a tutte le parti interessate, con particolare riguardo per i gruppi di consumatori più vulnerabili, come i minori, le persone anziane o diversamente abili, analogamente a quanto previsto già oggi nella direttiva sulle pratiche commerciali sleali;

r)

la necessità di prevedere un sistema sanzionatorio efficace e sufficientemente dissuasivo in caso di mancato adempimento degli obblighi previsti dalla direttiva.

3.2.11

A parere del Comitato, una riflessione adeguata su queste questioni è fondamentale per conseguire l'obiettivo che la direttiva si propone di garantire, cioè assicurare ai consumatori di beni e servizi acquisiti con operazioni a distanza una protezione equiparabile a quella che è giustamente accordata ai contratti stipulati in presenza delle parti.

Bruxelles, 30 maggio 2007.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  La Commissione ha voluto escludere espressamente dall'ambito delle sue osservazioni e commenti aspetti quali le forniture non richieste, il pagamento mediante carta e le disposizioni sui mezzi di ricorso.

(2)  Parere CESE pubblicato nella GU C 19 del 25.1.1993, pag. 111, relatore: BONVICINI.

(3)  Parere CESE pubblicato nella GU C 169 del 16.6.1999, pag. 43, relatore: ATAIDE FERREIRA.

(4)  Cfr. per tutte La protection des consommateurs acheteurs à distance, Atti del colloquio organizzato dal CEDOC, a cura di Bernd Stauder, 1999, e in cui risaltano i contributi di Hans Micklitz, Jules Stuyck, Peter Rott e Geraint Howells (Bruylant, 1999).

(5)  Belgio (?), Lettonia, Lituania e Ungheria.

(6)  Cfr. per esempio capitolo 3, secondo paragrafo «la Commissione […] ritiene», terzo paragrafo «la Commissione ritiene».

(7)  «EC Consumer Law CompendiumComparative Analysis», Prof. Dr. Hans Schulte-Noltke, Dr. Christian Twigg Flesner e Dr. Martin Ebers, 12 dicembre 2006, Università di Bielefeld (preparato dalla Commissione europea nel quadro del contratto di prestazione di servizi n. 17.020100/04/389299: «Annotated Compendium including a comparative analysis of the Community consumer acquis»).

(8)  COM(2006) 744 def. dell'8.2.2007, in merito al quale si è già costituito un gruppo di studio del CESE per l'elaborazione del relativo parere di cui sarà relatore il consigliere ADAMS.

(9)  Sulla necessità del CFR una parte della migliore dottrina più recente esprime grandi perplessità (cfr. «the need for a European Contract LawEmpirical and Legal Perspectives», Jan Smits, Europa Law Publishing, Groningen, 2005).

(10)  In effetti, dei 22 strumenti legali comunitari iniziali individuati dalla Commissione nel maggio 2003 sono rimaste solo otto direttive.

(11)  L'opzione del regolamento permetterebbe di superare le varie situazioni riferite dalla Commissione in cui la direttiva sulle vendite a distanza non è stata attuata, o lo è stata in modo non corretto, per esempio in riferimento all'articolo 4, par. 2, circa il principio di lealtà e all'articolo 6 per i termini di rimborso nell'esercizio del diritto di recesso e alle situazioni di esclusione del diritto di recesso. Un regolamento di questo tipo potrebbe coprire, in modo particolare, materie come quelle riguardanti la definizione dei concetti, il campo di applicazione materiale e personale e le rispettive eccezioni, la struttura, il contenuto, l'ambito delle informazioni da fornire e il momento in cui lo devono essere, l'esercizio del diritto di recesso e le sue conseguenze, l'esecuzione del contratto e le modalità di pagamento e i principi di lealtà nel commercio specificamente applicabili.

(12)  Per esempio le nozioni di sistema di vendita, operatore di tecnica di comunicazione a distanza, diritti reali immobiliari, con particolare impatto sulla multiproprietà, distributori che effettuano giri frequenti e regolari, trasporto, compreso il noleggio di automobili, circostanze specifiche, supporto duraturo, ecc.

(13)  Direttiva 2005/29/CE dell'11 maggio 2005, GU L 149 dell'11.6.2005; parere CESE GU C 108 del 30.4.2004.

(14)  Cfr. Cristina Amato, Per un diritto europeo dei contratti con i consumatori, pag. 329, Giuffrè, Milano, 2003.

(15)  Va ricordato che il Consiglio, nell'approvare la direttiva 97/7/CE, emise una dichiarazione che invitava la Commissione a studiare la possibilità di armonizzare il metodo di calcolo del termine di riflessione esistente nelle direttive di tutela dei consumatori.

(16)  Per esempio il concetto di «leilão» nell'ordinamento portoghese non corrisponde giuridicamente a «vente aux enchères», a «auction» o a «vendita all'asta» negli ordinamenti giuridici francese, anglosassone o italiano.

(17)  Cfr., per la sua rilevanza, l'articolo del Prof. Gerard Spindler dell'Università di Gottinga «Internet Auctions versus Consumer Protection: The Case of the Distant selling Directive», in German Law Journal, 2005, Vol. 6, n. 3, pag. 752 e segg.

(18)  Come del resto aveva già espressamente affermato nel parere concernente la vendita a distanza di servizi finanziari ai consumatori (parere CESE pubblicato nella GU C 169 del 16.6.1999, pag. 43, relatore: ATAIDE FERREIRA); la stessa posizione è stata espressa dal Parlamento europeo nelle sue due letture.

(19)  Direttiva 2000/31/CE dell'8.6.2000 (GU L 178 del 17.7.2000); era questa del resto la posizione espressa dal Comitato nel parere pubblicato nella GU C 169 del 16.6.1999 (relatore: GLATZ).

(20)  Cfr. Special Eurobarometer 252 «Consumer protection in the Internal market», settembre 2006, su richiesta della DG SANCO e coordinato dalla DG Comunicazione, i cui dati permettono, comunque, di ricavare alcune indicazioni sulle tendenze generali degli orientamenti dei consumatori nei confronti dei risultati comunitari in materia di realizzazione del mercato interno.

(21)  Direttiva 1999/44/CE del 25 maggio 1999 (GU L 171 del 7.7.1999). Il Comitato aveva già menzionato nel suo parere sulla proposta di direttiva relativa alle vendite a distanza che ai consumatori avrebbe dovuto essere fornita l'informazione sull'esistenza di modalità di garanzia, segnatamente nel caso di esecuzione mancata o tardiva del contratto.

(22)  Il Comitato ha già esposto la sua posizione in materia nel parere sulle vendite a distanza, avvertendo la Commissione della necessità di riaffermare la salvaguardia degli interessi finanziari e la prevenzione dei rischi risultanti dalla non esecuzione del contratto, per esempio attraverso la fissazione di penalità. Il Comitato ha proposto che le imprese del settore creassero un fondo di garanzia per coprire tali situazioni.


27.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 175/33


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 78/855/CEE del Consiglio relativa alle fusioni delle società per azioni e la direttiva 82/891/CEE del Consiglio relativa alle scissioni delle società per azioni, per quanto riguarda l'obbligo di far elaborare ad un esperto indipendente una relazione in occasione di una fusione o di una scissione

COM(2007) 91 def. — 2007/0035 (COD)

(2007/C 175/08)

Il Consiglio, in data 29 marzo 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 maggio 2007, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice unica SÁNCHEZ MIGUEL.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 30 maggio 2007, nel corso della 436a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 143 voti favorevoli, 26 voti contrari e 12 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

La proposta di modifica avanzata dalla Commissione in merito alla regolamentazione delle fusioni e delle scissioni delle società per azioni si inserisce nel quadro del piano d'azione Modernizzare il diritto delle società e rafforzare il governo societario nell'Unione europea  (1). Essa prevede un piano di azione volto a completare, sul breve, medio e lungo termine, una profonda trasformazione normativa che va oltre la finalizzazione delle proposte di direttive il cui iter non si è ancora concluso.

1.2

Inoltre, più in generale, nell'Allegato III del Programma d'azione per la riduzione degli oneri amministrativi nell'Unione europea  (2) figurano dieci proposte concrete di «azioni rapide» miranti a ridurre i requisiti di minore rilievo, senza che ciò alteri il livello di protezione della norma giuridica. È questo l'obiettivo della proposta in esame, che infatti si limita a prevedere la possibilità di rinunciare alla relazione di esperti sui progetti di fusione o di scissione, se «tutti» gli azionisti sono d'accordo in tal senso.

1.3

Va segnalato come precedente il fatto che la direttiva 2005/56/CE relativa alle fusioni transfrontaliere delle società di capitali (3) prevede, all'articolo 8, paragrafo 4, l'esenzione dall'obbligo riguardante la relazione di esperti sui progetti di fusione qualora tutti i soci così decidano. Analogamente, l'ultima modifica apportata alla direttiva 77/91/CEE relativa alla costituzione delle società per azioni nonché alla salvaguardia e alle modificazioni del loro capitale sociale (4) introduce due nuovi articoli, il 10 bis e il 10 ter, che prevedono l'esenzione dall'obbligo di presentare una relazione di esperti in caso di conferimenti non in contanti, purché venga rispettata una serie di condizioni a garanzia del valore reale dei beni conferiti.

2.   Contenuto della proposta

2.1

L'obiettivo di questa modifica delle direttive sulla fusione e sulla scissione delle società per azioni è quello di armonizzarne il contenuto con la direttiva relativa alle fusioni transfrontaliere, per quanto riguarda l'intervento di esperti nella redazione della relazione sul progetto di fusione o scissione, purché tutti gli azionisti e tutti i detentori di altri titoli con diritto di voto così decidano.

3.   Osservazioni sulla proposta

3.1

Il CESE osserva con interesse il processo di semplificazione, e in particolare la riduzione degli oneri amministrativi per le imprese europee, e ritiene che il contenuto della proposta vada in questa direzione, particolarmente attenta a dare garanzie agli azionisti, chiedendo il loro accordo unanime per rinunciare all'elaborazione della relazione di esperti sui progetti di fusione o di scissione.

3.2

Il Comitato constata tuttavia l'esistenza di problemi, specie per quanto riguarda le fusioni delle grandi imprese, per via della composizione diversificata dell'azionariato, principalmente costituito da investitori. La mancanza di una gestione diretta delle azioni può dare luogo a una maggiore vulnerabilità degli azionisti di minoranza, che si vedono costretti ad accettare gli accordi adottati dagli organismi di gestione dei titoli. Sebbene le norme vigenti prevedano il diritto di opposizione e quello di separazione in caso di disaccordo con i risultati economici delle operazioni effettuate, specie in caso di scambio di azioni, l'esercizio di tali diritti può rivelarsi particolarmente difficoltoso se manca la relazione di esperti sul progetto di fusione.

3.3

In questa stessa ottica, il CESE reputa che i creditori e i lavoratori delle imprese non siano tutelati, a causa di un'eventuale non conoscenza della situazione derivante dalla mancanza di una valutazione obiettiva realizzata sotto la responsabilità degli esperti. Per quanto riguarda i creditori, si riconosce loro il diritto di opposizione una volti pubblicati gli annunci di fusione, purché essi non abbiano garantito i loro crediti in precedenza. Occorre tuttavia considerare che né nella direttiva sulle fusioni né in quella sulle scissioni non si prevede alcun diritto per i lavoratori, mentre nella direttiva sulle fusioni transfrontaliere si offre loro un'opzione di partecipazione (articolo 16), modalità che facilita il conseguimento di migliori risultati grazie all'utilizzo di canali di informazione adeguati.

3.4

Per essere efficace, una norma deve garantire i diritti di tutte le parti coinvolte nelle varie operazioni giuridiche, in questo caso nelle fusioni e nelle scissioni: dato che queste ultime sono operazioni complesse, occorre promuovere degli strumenti che ne favoriscano la trasparenza e non generino conflitti tra le parti. La soppressione della relazione di esperti per volontà di tutti gli azionisti dovrebbe avvenire alle condizioni previste a tale riguardo nell'articolo 10 bis della direttiva 2006/68/CE, vale a dire quando i conferimenti sono costituiti da valori mobiliari, strumenti del mercato monetario o beni valutati di recente da esperti indipendenti, dato che il relativo valore è verificabile e in conformità con le norme applicabili in materia.

4.   Conclusioni

4.1

Il CESE riconosce che la proposta di modifica delle direttive sulla fusione e sulla scissione delle società per azioni si inserisce effettivamente nel quadro della riduzione degli oneri amministrativi per le imprese europee. Va tuttavia considerato che questo tipo di operazioni giuridiche si verifica con maggiore frequenza nelle grandi società di capitali, in cui coesistono azionisti manager e azionisti investitori con interessi differenti. Gli azionisti investitori puntano a ottenere il massimo rendimento possibile dallo scambio delle loro azioni.

4.2

La riforma deve puntare a ricercare l'interesse generale di tutte le parti coinvolte in tali operazioni giuridiche, e in questo quadro le valutazioni di esperti assicuravano una maggiore trasparenza e affidabilità delle offerte contenute nei progetti di fusione o di scissione, dato che gli esperti agivano sotto la loro responsabilità, definendo pertanto criteri obiettivi relativi ai contenuti dei progetti stessi.

4.3

Inoltre, il Comitato ritiene che la regola generale per l'intervento di esperti sia rinvenibile negli articoli 10, 10 bis e 10 ter della seconda direttiva, in cui si subordina la non realizzazione della relazione di esperti all'esistenza di valori verificabili in date recenti.

4.4

D'altra parte, il CESE reputa che occorra tenere conto del contenuto della decima direttiva, non solo perché è di recente pubblicazione, ma anche perché si adatta meglio ai nuovi criteri applicabili agli interessi tutelati attraverso le norme societarie, in quanto in tale documento non si considerano solo gli azionisti e i creditori, ma anche i lavoratori che fanno parte della struttura aziendale. In questo senso, il Comitato ritiene necessario ampliare il contenuto della proposta in conformità con il disposto dell'articolo 16 di tale direttiva, dato che ciò risponde meglio all'obiettivo di armonizzazione delle norme nazionali in materia di fusioni o scissioni.

Bruxelles, 30 maggio 2007.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeoModernizzare il diritto delle società e rafforzare il governo societario nell'Unione europeaUn piano per progredire (COM(2003) 284 def.).

(2)  COM(2007) 23 def.

(3)  GU L 310 del 25.11.2005, pag. 1

(4)  Direttiva 2006/68/CE, GU L 264 del 25.9.2006.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Gli emendamenti seguenti, votati in blocco, sono stati respinti nel corso del dibattito, ma hanno ottenuto un quarto dei voti espressi.

1.   Punto 3.2 — sopprimere

3.2

Il Comitato constata tuttavia l'esistenza di problemi, specie per quanto riguarda le fusioni delle grandi imprese, per via della composizione diversificata dell'azionariato, principalmente costituito da investitori. La mancanza di una gestione diretta delle azioni può dare luogo a una maggiore vulnerabilità degli azionisti di minoranza, che si vedono costretti ad accettare gli accordi adottati dagli organismi di gestione dei titoli. Sebbene le norme vigenti prevedano il diritto di opposizione e quello di separazione in caso di disaccordo con i risultati economici delle operazioni effettuate, specie in caso di scambio di azioni, l'esercizio di tali diritti può rivelarsi particolarmente difficoltoso se manca la relazione di esperti sul progetto di fusione.

Motivazione

La proposta di modifica delle direttive relative alle fusioni e alle scissioni delle società per azioni ha lo scopo di rendere conforme il loro contenuto con quello della direttiva sulle fusioni transfrontaliere per quanto riguarda la partecipazione degli esperti all'elaborazione della relazione sul progetto di fusione o di scissione, qualora tutti gli azionisti o i detentori di titoli che conferiscono un diritto di voto decidano in tal senso. La proposta di semplificazione delle procedure contribuisce a promuovere l'efficacia e la competitività delle imprese, senza comunque limitare la tutela riconosciuta agli azionisti di minoranza e ai creditori della società.

Dal momento che esiste unanimità, i problemi sollevati al punto 3.2 non si pongono più. Gli organismi di gestione dei titoli sono stati scelti dagli azionisti proprio per difendere i loro interessi. Di conseguenza, il problema dell'adozione di decisioni che sarebbero contrarie agli interessi degli azionisti di minoranza non si pone poiché anche essi avranno dato il loro accordo.

2.   Punto 3.3 — sopprimere

3.3

In questa stessa ottica, il CESE reputa che i creditori e i lavoratori delle imprese non siano tutelati, a causa di un'eventuale non conoscenza della situazione derivante dalla mancanza di una valutazione obiettiva realizzata sotto la responsabilità degli esperti. Per quanto riguarda i creditori, si riconosce loro il diritto di opposizione una volti pubblicati gli annunci di fusione, purché essi non abbiano garantito i loro crediti in precedenza. Occorre tuttavia considerare che né nella direttiva sulle fusioni né in quella sulle scissioni non si prevede alcun diritto per i lavoratori, mentre nella direttiva sulle fusioni transfrontaliere si offre loro un'opzione di partecipazione (articolo 16), modalità che facilita il conseguimento di migliori risultati grazie all'utilizzo di canali di informazione adeguati.

Motivazione

In merito al punto 3.3, va precisato che sia la fusione che la scissione sono problemi propri delle società. I creditori dispongono del diritto irrevocabile e riconosciuto di esercizio del loro diritto di opposizione una volta pubblicato l'annuncio dell'offerta o del progetto di fusione. La regolamentazione proposta dalla Commissione non riguarda la soppressione di tale diritto, ma la semplificazione delle procedure. Per quanto riguarda i diritti dei lavoratori, il fatto che esista o no un progetto e una valutazione realizzata sotto la responsabilità degli esperti non cambia minimamente la loro situazione. Inoltre, le somme necessarie all'elaborazione della relazione, talvolta abbastanza cospicue, rimangono disponibili per il finanziamento di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro e dei diritti salariali.

3.   Sopprimere il punto 3.4:

3.4

Per essere efficace, una norma deve garantire i diritti di tutte le parti coinvolte nelle varie operazioni giuridiche, in questo caso nelle fusioni e nelle scissioni: dato che queste ultime sono operazioni complesse, occorre promuovere degli strumenti che ne favoriscano la trasparenza e non generino conflitti tra le parti. La soppressione della relazione di esperti per volontà di tutti gli azionisti dovrebbe avvenire alle condizioni previste a tale riguardo nell'articolo 10 bis della direttiva 2006/68/CE, vale a dire quando i conferimenti sono costituiti da valori mobiliari, strumenti del mercato monetario o beni valutati di recente da esperti indipendenti, dato che il relativo valore è verificabile e in conformità con le norme applicabili in materia.

Motivazione

Il punto 3.4 del progetto di parere fa riferimento all'articolo 10 bis della direttiva 2006/68/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 settembre 2006 che modifica la direttiva 77/91/CEE del Consiglio relativamente alla costituzione delle società per azioni nonché alla salvaguardia e alle modificazioni del loro capitale sociale, la quale non si applica nel caso in specie e non è modificata dalla proposta di direttiva. L'articolo 10 bis della direttiva 2006/68/CE prevede che si sia effettuata un'equa valutazione preliminare da parte di un esperto indipendente abilitato e che si possa procedere a una nuova valutazione su iniziativa e sotto la responsabilità dell'organo di amministrazione o di direzione. In mancanza di tale nuova valutazione, gli azionisti di minoranza che detengano almeno il 5 % del capitale sottoscritto della società possono chiedere una valutazione da parte di un esperto indipendente. Tenendo conto che la proposta si riferisce a una situazione estremamente rara, seppure chiaramente definita come l'accordo unanime di tutti gli azionisti, la possibilità che si crei un conflitto tra le diverse parti coinvolte, espressa al punto 3.4 del progetto di parere, non sussiste.

4.   Punto 4.1 — Modificare come segue:

4.1

Il CESE, riconoscendo che la proposta di modifica delle direttive sulla fusione e sulla scissione delle società per azioni si inserisce effettivamente nel quadro della riduzione degli oneri amministrativi per le imprese europee, esprime il suo sostegno alla proposta. Va tuttavia considerato che questo tipo di operazioni giuridiche si verifica con maggiore frequenza nelle grandi società di capitali, in cui coesistono azionisti manager e azionisti investitori con interessi differenti. Gli azionisti investitori puntano al massimo rendimento possibile dallo scambio delle loro azioni.

Motivazione

Orale.

5.   Punto 4.2 — sopprimere

4.2

La riforma deve puntare a ricercare l'interesse generale di tutte le parti coinvolte in tali operazioni giuridiche, e in questo quadro le valutazioni di esperti assicuravano una maggiore trasparenza e affidabilità delle offerte contenute nei progetti di fusione o di scissione, dato che gli esperti agivano sotto la loro responsabilità, definendo pertanto criteri obiettivi relativi ai contenuti dei progetti stessi.

Motivazione

Si propone di eliminare i punti 4.2, 4.3 e 4.4 sulla base degli argomenti citati per la soppressione dei punti 3.2, 3.3 e 3.4.

6.   Punto 4.3 — sopprimere

4.3

Inoltre, il Comitato ritiene che la regola generale per l'intervento di esperti sia rinvenibile negli articoli 10, 10 bis e 10 ter della seconda direttiva, in cui si subordina la non realizzazione della relazione di esperti all'esistenza di valori verificabili in date recenti.

Motivazione

Si propone di eliminare i punti 4.2, 4.3 e 4.4 sulla base degli argomenti citati per la soppressione dei punti 3.2, 3.3 e 3.4.

7.   Sopprimere il punto 4.4:

4.4

D'altra parte, il CESE reputa che occorra tenere conto del contenuto della decima direttiva, non solo perché è di recente pubblicazione, ma anche perché si adatta meglio ai nuovi criteri applicabili agli interessi tutelati attraverso le norme societarie, in quanto in tale documento non si considerano solo gli azionisti e i creditori, ma anche i lavoratori che fanno parte della struttura aziendale. In questo senso, il Comitato ritiene necessario ampliare il contenuto della proposta in conformità con il disposto dell'articolo 16 di tale direttiva, dato che ciò è più conforme all'obiettivo di armonizzazione delle norme nazionali in materia di fusioni o scissioni.

Motivazione

Si propone di eliminare i punti 4.2, 4.3 e 4.4 sulla base degli argomenti citati per la soppressione dei punti 3.2, 3.3 e 3.4.

Esito della votazione

Voti contrari: 104

Voti favorevoli: 44

Astensioni: 28


27.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 175/37


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento n. 11, riguardante l'abolizione di discriminazioni nel campo dei prezzi e delle condizioni di trasporto, emanato in applicazione dell'articolo 79, paragrafo 3, del Trattato che istituisce la Comunità economica europea e il regolamento (CE) n. 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio sull'igiene dei prodotti alimentari

COM(2007) 90 def. — 2007/0037 (COD)

(2007/C 175/09)

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 11 maggio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo ha incaricato la sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 436a sessione plenaria del 30 maggio 2007, ha nominato GKOFAS relatore generale e ha adottato all'unanimità il seguente parere.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

La proposta trasmessa al CESE è intesa a modificare due regolamenti: il regolamento n. 11 riguardante l'abolizione di discriminazioni nel campo dei prezzi e delle condizioni di trasporto, emanato in applicazione dell'articolo 79, paragrafo 3, del Trattato che istituisce la Comunità economica europea, e il regolamento (CE) n. 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio sull'igiene dei prodotti alimentari.

1.2

Il Comitato, che valuta positivamente le politiche comunitarie intese a migliorare la legislazione, giudica particolarmente importante e necessario ridurre gli oneri amministrativi che la legislazione vigente impone alle imprese, giacché si tratta di un elemento fondamentale per migliorare la competitività e conseguire gli obiettivi dell'Agenda di Lisbona. Le comunicazioni della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni intitolate, rispettivamente, Esame strategico del programma per legiferare meglio nell'Unione europea e Programma d'azione per la riduzione degli oneri amministrativi nell'Unione europea vanno senz'altro in questa direzione.

1.3

La prima modifica riguarda il regolamento n. 11, che evidentemente risale a molto tempo fa e concerne l'abolizione delle discriminazioni nel campo dei prezzi e delle condizioni di trasporto, in applicazione dell'articolo 79, paragrafo 3, del Trattato che istituisce la Comunità economica europea. Il CESE approva la proposta di eliminare l'obbligo di fornire informazioni su itinerari, distanze, prezzi e altre condizioni di trasporto e consentire l'utilizzo delle note di spedizione per fornire le altre informazioni che secondo le norme vigenti devono figurare sul documento di trasporto, poiché ciò permette di ridurre gli oneri amministrativi inutili, mantenendo nel contempo inalterato il livello delle informazioni essenziali.

1.4

Il CESE approva quindi la modifica del regolamento n. 11 e, in particolare, la soppressione dell'articolo 5, come pure la modifica che prevede la soppressione del quinto e del sesto trattino del paragrafo 1 dell'articolo 6. Approva inoltre la modifica intesa a sopprimere la terza frase del paragrafo 2 dell'articolo 6, come pure la sostituzione del paragrafo 3 con il seguente testo: «Quando i documenti esistenti, come le note di spedizione o qualsiasi altro documento di trasporto, comprendano tutte le indicazioni di cui al precedente paragrafo 1 e rendano possibile, unitamente al sistema di registrazione e alla contabilità dei vettori, una verifica completa dei prezzi e delle condizioni di trasporto che permetta di eliminare o di evitare le discriminazioni di cui all'articolo 75, paragrafo 1, del Trattato, i vettori non sono tenuti ad introdurre nuovi documenti».

1.5

Il CESE approva la proposta di modifica del regolamento (CE) n. 852/2004 intesa ad esentare talune imprese dalle prescrizioni dell'articolo 5, paragrafo 1, del regolamento stesso, dato che tali imprese devono comunque rispettarne tutti gli altri requisiti. Ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 852/2004, tutte le imprese, soprattutto piccole imprese come le panetterie, le macellerie, le drogherie, le bancarelle, i ristoranti e i bar, che per lo più vendono i loro prodotti direttamente ai consumatori finali e che rientrano nella categoria delle microimprese quale definita dalla raccomandazione 2003/361/CE della Commissione del 6 maggio 2003 relativa alla definizione delle microimprese, piccole e medie imprese del settore alimentare, predispongono, attuano e mantengono procedure basate sui principi del sistema di analisi dei pericoli e punti critici di controllo (Hazard analysis and critical control points — HACCP).

1.6

Il CESE ritiene tuttavia che l'esenzione accordata alle imprese di cui sopra, che vendono i loro prodotti direttamente al consumatore finale, come panetterie, macellerie, drogherie, ristoranti e bar, debba essere estesa alle piccole imprese, così come sono definite dalla raccomandazione 2003/361/CE del 6 maggio 2003 relativa alla definizione delle microimprese, piccole e medie imprese del settore alimentare.

1.7

Al momento di modificare l'articolo 5 del regolamento (CE) n. 852/2004 bisognerebbe forse prevedere due parametri, estendendo il campo d'applicazione alle piccole imprese (quelle che occupano fino a 50 persone, numero troppo elevato per beneficiare di un'esenzione dal sistema HACCP) e, qualora fossero incluse, introducendo un'indicazione specifica e fissando dei limiti per le imprese di ristorazione.

1.8

Il primo parametro potrebbe consistere nell'obbligo di rispettare scrupolosamente i requisiti generali e specifici in materia di igiene formulati all'articolo 4 del regolamento (CE) n. 852/2004, come pure di formare il personale, due elementi — questi — che bastano a garantire l'igiene dei prodotti alimentari e, al tempo stesso, a facilitare alle imprese l'adempimento degli obblighi di legge.

1.9

Sempre con l'obiettivo di esentare le piccole imprese di ristorazione (quelle cioè che per definizione contano meno di 50 dipendenti), il secondo parametro, complementare al primo, potrebbe prevedere che, specificamente per queste imprese, le persone addette alla preparazione dei prodotti (laboratorio-cucina) non possano superare le 10 unità per turno di lavoro. L'impresa sarà obbligata ad indicare in anticipo su una tabella i nomi delle persone che lavorano alla preparazione degli alimenti.

1.10

Introducendo questa differenziazione, che è al tempo stesso una chiarificazione, si rispetta il disposto della raccomandazione 2003/361/CE e si fissano contemporaneamente i limiti della produzione e dei turni di lavoro, in particolare per le imprese di ristorazione come panetterie, macellerie, drogherie, ristoranti e bar, in modo tale da ottemperare anche ai requisiti di tutela e di garanzia della salute pubblica.

2.   Introduzione

2.1

La Commissione invita il CESE a formulare un parere sulla modifica di due regolamenti: il regolamento n. 11 riguardante l'abolizione di discriminazioni nel campo dei prezzi e delle condizioni di trasporto, emanato in applicazione dell'articolo 79, paragrafo 3, del Trattato che istituisce la Comunità economica europea, e il regolamento (CE) n. 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio sull'igiene dei prodotti alimentari.

2.2

Per quanto riguarda il regolamento n. 11 riguardante l'abolizione di discriminazioni nel campo dei prezzi e delle condizioni di trasporto, emanato in applicazione dell'articolo 79, paragrafo 3, del Trattato che istituisce la Comunità economica europea, viene esaminata l'eventualità di sopprimere i requisiti divenuti ormai obsoleti e di modificarne altri, con l'obiettivo di ridurre al minimo gli oneri amministrativi che gravano sulle imprese. In concreto, l'articolo 5 imponeva alle imprese di trasporto (ma anche ai governi degli Stati membri) di fornire informazioni su tariffe, prezzi e condizioni di trasporto prima del 1o luglio 1961. Quanto all'articolo 6, paragrafo 1, del regolamento, esso rende obbligatorio l'utilizzo di un documento di trasporto contenente varie informazioni circa il mittente, la natura delle merci trasportate, il luogo d'origine e di destinazione, come pure circa l'instradamento o la distanza da percorrere, con l'eventuale indicazione dei punti di transito di frontiera. Questi ultimi elementi non sono più indispensabili per raggiungere gli obiettivi del regolamento e possono quindi essere soppressi. La terza frase dell'articolo 6, paragrafo 2, del regolamento richiede che il vettore conservi un esemplare del documento di trasporto nel quale siano indicati i prezzi definitivi di trasporto, le altre spese, gli abbuoni ed ogni altro fattore tale da influire sui prezzi e sulle condizioni di trasporto. Questa frase può essere soppressa perché al giorno d'oggi tali informazioni sono comunque disponibili nei sistemi contabili dei vettori. L'articolo 6, paragrafo 3, va integrato con un riferimento esplicito alle note di spedizione, che sono assai conosciute e spesso utilizzate nel settore dei trasporti interni. Questo riferimento migliora la certezza del diritto per le imprese di trasporto, poiché chiarisce che le note di spedizione sono sufficienti purché contengano tutti gli elementi richiesti dal paragrafo 1 dell'articolo 6.

2.3

Un'altra «azione rapida» si riferisce al regolamento (CE) n. 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio sull'igiene dei prodotti alimentari. L'obiettivo è quello di esentare le microimprese del settore alimentare che siano in grado di controllare l'igiene dei prodotti semplicemente rispettando le altre prescrizioni del regolamento (CE) n. 852/2004, dall'obbligo di predisporre, attuare e mantenere una o più procedure permanenti basate sui principi del sistema HACCP. L'esenzione si applica alle microimprese che vendono prodotti alimentari direttamente ai consumatori finali.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1

Il CESE approva la modifica del regolamento n. 11 riguardante l'abolizione di discriminazioni nel campo dei prezzi e delle condizioni di trasporto, emanato in applicazione dell'articolo 79, paragrafo 3, del Trattato che istituisce la Comunità economica europea. Tale modifica punta a sopprimere i requisiti divenuti ormai obsoleti e a modificarne altri, con l'obiettivo di ridurre al minimo gli oneri amministrativi che gravano sulle imprese.

3.2

Il CESE ritiene che nella modifica del regolamento (CE) n. 852/2004 occorra tenere conto anche delle piccole imprese, così come sono definite nella raccomandazione 2003/361/CE del 6 maggio 2003. Come è stato dimostrato dalla pratica, è necessario introdurre un certo livello di flessibilità per queste imprese.

3.3

Bisogna riconoscere che, così come avviene per le microimprese, neanche per talune piccole imprese è possibile stabilire dei criteri HACCP. Si possono unicamente fissare dei punti critici di controllo (CCP), proprio perché la conservazione dei documenti è difficile e appesantisce eccessivamente gli oneri che gravano su tali imprese.

3.4

Ai sensi della raccomandazione 2003/361/CE si definiscono microimprese quelle imprese che occupano in tutto meno di 10 persone e realizzano un fatturato annuo non superiore a 2 milioni di euro. Questa definizione potrebbe essere senz'altro corretta per quanto riguarda il numero dei dipendenti delle imprese di taluni Stati membri, se non che, in proporzione, il fatturato di 2 milioni di euro appare eccessivo rispetto al numero di dipendenti negli stessi Stati membri.

3.5

Inoltre, nella categorizzazione delle imprese di cui alla raccomandazione 2003/361/CE non si traccia alcuna distinzione tra le imprese, ossia non si indica se si tratti di imprese di ristorazione o di imprese commerciali, almeno per quanto riguarda il numero di dipendenti. Nei fatti, il criterio dei 2 milioni di euro è stato aggiunto in particolare per le imprese commerciali, poiché un'impresa commerciale con appena 3 dipendenti può realizzare, quanto meno in taluni Stati membri, un fatturato superiore a 1,5 milioni di euro. All'inadeguatezza di tale definizione si è rimediato soltanto per un determinato tipo di imprese. È quindi logico, almeno nel quadro del presente parere, tenere presente che non ci si può limitare a considerare microimprese soltanto le imprese di ristorazione operanti in diversi Stati membri che contano meno di 10 dipendenti e il cui fatturato annuo non supera i 2 milioni di euro. Vi sono Stati membri in cui le imprese di ristorazione funzionano con due turni di lavoro, con il risultato che il personale supera ampiamente le 10 unità, anche se naturalmente il fatturato è di molto inferiore a 500.000 euro.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Il CESE ritiene che, nel testo oggetto del presente parere, il riferimento alla raccomandazione 2003/361/CE per la definizione delle imprese, in particolare nel caso dell'applicazione dell'HACCP, debba configurarsi in modo diverso.

4.2

Al momento di modificare l'articolo 5 del regolamento (CE) n. 852/2004 bisognerebbe forse prevedere due parametri, estendendo il campo d'applicazione alle piccole imprese (quelle che occupano fino a 50 persone, numero troppo elevato per beneficiare di un'esenzione dal sistema HACCP) e, qualora fossero incluse, introducendo un'indicazione specifica e fissando dei limiti per le imprese di ristorazione.

4.3

Il primo parametro potrebbe consistere nell'obbligo di rispettare scrupolosamente i requisiti generali e specifici in materia di igiene formulati all'articolo 4 del regolamento (CE) n. 852/2004, come pure di formare il personale, due elementi — questi — che bastano a garantire l'igiene dei prodotti alimentari e, al tempo stesso, a facilitare alle imprese l'adempimento degli obblighi di legge.

4.4

Sempre con l'obiettivo di esentare le piccole imprese di ristorazione (quelle cioè che per definizione contano meno di 50 dipendenti), il secondo parametro, complementare al primo, potrebbe prevedere che, specificamente per queste imprese (come ad esempio panetterie, macellerie, drogherie, bancarelle, ristoranti e bar) le persone addette alla preparazione dei prodotti non possano superare le 10 unità per turno di lavoro. L'impresa sarà obbligata ad indicare in anticipo su una tabella i nomi delle persone che lavorano alla preparazione degli alimenti.

4.5

Introducendo questa differenziazione, che è al tempo stesso una chiarificazione, si rispetta il disposto della raccomandazione 2003/361/CE e si fissano contemporaneamente i limiti della produzione e dei turni di lavoro, in particolare per le imprese di ristorazione, in modo tale da ottemperare anche ai requisiti di tutela e di garanzia della salute pubblica.

4.6

In particolare, il CESE ritiene opportuno aggiungere la seguente frase all'articolo 5, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 852/2004:

4.6.1

«Fatto salvo il rispetto delle altre prescrizioni del regolamento, il paragrafo 1 può essere modificato in modo da esentare dall'applicazione dei criteri HACCP anche le piccole imprese di ristorazione come panetterie, macellerie, drogherie, bancarelle, ristoranti e bar, a norma di quanto precisato dalla raccomandazione 2003/361/CE, a condizione che ottemperino scrupolosamente ai requisiti generali e specifici in materia di igiene, formulati all'articolo 4 del regolamento (CE) n. 852/2004, e di formazione del personale, elementi — questi — sufficienti a garantire l'igiene degli alimenti prodotti e, allo stesso tempo, a facilitare alle imprese l'adempimento degli obblighi di legge. Il presupposto fondamentale a questo riguardo è la tutela della salute pubblica».

4.6.2

«Inoltre, perché le piccole imprese di ristorazione — come panetterie, macellerie, drogherie, bancarelle, ristoranti e bar, che hanno per definizione un numero di dipendenti inferiore a 50 — possano essere esentate, è necessario che ottemperino a una condizione complementare e specifica per questo tipo di imprese: il numero delle persone addette alla preparazione dei prodotti (laboratorio-cucina) non deve superare le 10 unità per turno di lavoro».

Bruxelles, 30 maggio 2007.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


27.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 175/40


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'installazione dei dispositivi di illuminazione e di segnalazione luminosa dei trattori agricoli o forestali a ruote

COM(2007) 192 def. — 2007/0066 (COD)

(2007/C 175/10)

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 11 maggio 2007, ha deciso, a norma dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, in data 30 maggio 2007, nel corso della 436a sessione plenaria, ha deciso, con 162 voti favorevoli, 1 voto contrario e 8 astensioni, di esprimere parere favorevole al testo proposto.

 

Bruxelles, 30 maggio 2007.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


27.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 175/40


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull'esportazione ed importazione di prodotti chimici pericolosi

COM(2006) 745 def. — 2006/0246 (COD)

(2007/C 175/11)

Il Consiglio, in data 21 dicembre 2006, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 133 e 175, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 maggio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore PEZZINI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 30 maggio 2007, nel corso della 436a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 148 voti favorevoli, 2 voti contrari e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ha sempre appoggiato il ruolo attivo che la Commissione europea ha assunto nella realizzazione ed attuazione della convenzione di Rotterdam sulla procedura PIC di previo assenso informato nel contesto del commercio internazionale di prodotti chimici e pesticidi pericolosi, così come della convenzione di Stoccolma sulle sostanze organiche inquinanti persistenti (POP).

1.2

Il Comitato concorda sulla necessità di un approccio armonizzato da parte della Commissione, volto a migliorare la tutela della salute umana e dell'ambiente nei paesi importatori, specie di quelli in via di sviluppo, e sulla necessità di utilizzare meccanismi snelli, chiari e trasparenti, fondati su procedure fluide ed omogenee per garantire, senza aggravi e ritardi, un'adeguata informazione dei paesi che importano sostanze chimiche pericolose.

1.3

Il Comitato ritiene che le disposizioni più rigorose previste dal regolamento (CE) n. 304/2003, annullato dalla Corte di giustizia per errata base giuridica, e riprese nella presente nuova proposta di regolamento costituiscano un elemento di primaria importanza per la sicurezza globale e per la gestione dei prodotti chimici pericolosi.

1.4

Il Comitato condivide l'intenzione della Commissione di approfittare della rettifica della base giuridica del regolamento per aumentare l'efficienza del dispositivo comunitario e la certezza giuridica, in stretto collegamento con il regolamento (CE) n. 1907/2006 sulla legislazione sui prodotti chimici (REACH), che entrerà in vigore nel giugno del 2007.

1.5

A parere del Comitato, la nuova normativa dovrebbe prevedere, da un lato l'elaborazione di guide applicative e di documentazione informativa, e dall'altro l'organizzazione di azioni formative sulla base di standard comunitari, rivolte soprattutto ai funzionari doganali, con l'intervento di responsabili dei servizi della Commissione, e in particolare del Centro comune di ricerca (CCR).

1.5.1

Il Comitato sottolinea l'importanza di utilizzare la lingua madre del paese importatore nell'etichettatura e nelle schede tecniche.

1.6

Il CESE ritiene pienamente condivisibile il fatto di prevedere la possibilità di procedere alle esportazioni in via temporanea mentre continuano le procedure per ottenere il consenso esplicito.

1.7

Il Comitato ritiene che l'elemento chiave per un funzionamento efficace, corretto e trasparente dei meccanismi proposti sia rappresentato dai sistemi di controllo doganale e da una piena cooperazione tra le autorità doganali e le autorità nazionali designate (DNA) per l'applicazione del regolamento.

1.8

Il Comitato sottolinea come i miglioramenti proposti alla nomenclatura combinata e lo sviluppo di una versione della banca dati Edexim, specificamente dedicata alle autorità doganali, debbano necessariamente essere completati da interventi informativi e formativi sistematici e armonizzati a livello comunitario.

1.8.1

A tale proposito il CESE ritiene del tutto insufficienti le risorse finanziarie ed umane a disposizione dei servizi della Commissione, e in particolare del CCR che dovrebbero assicurare:

la messa a punto di pacchetti informativi e formativi armonizzati e di guide per le diverse categorie di utenza,

la correttezza delle schede tecniche di sicurezza, per gli utenti intermedi e finali, in particolare per i lavoratori,

il dialogo con assistenza tecnica ai paesi importatori, specie a quelli in via di sviluppo e a quelli con economie in transizione,

una maggiore consapevolezza, nella società civile, dei rischi esistenti e della loro prevenzione.

2.   Motivazioni

2.1

Il Comitato si era a suo tempo (1) espresso favorevolmente sulle finalità e sui meccanismi previsti dalla convenzione di Rotterdam (2), che istituiva una procedura di assenso preliminare all'esportazione e all'importazione di prodotti chimici pericolosi, migliorando nel contempo l'accesso alle informazioni e fornendo un'assistenza tecnica ai paesi in via di sviluppo.

2.2

Il Comitato aveva condiviso la posizione degli Stati membri, secondo la quale «era opportuno andare al di là delle disposizioni previste dalla convenzione per fornire piena assistenza ai paesi in via di sviluppo» (3).

2.3

Il regolamento (CE) n. 304/2003, che regola l'esportazione e l'importazione di prodotti chimici pericolosi, adottato il 18 gennaio 2003 ed entrato in vigore il 7 marzo dello stesso anno era, infatti, principalmente finalizzato a dare esecuzione alla convenzione di Rotterdam, per quanto riguarda la procedura del previo assenso informato per taluni prodotti chimici e pesticidi pericolosi nel commercio internazionale.

2.3.1

Tuttavia, detto regolamento conteneva alcune disposizioni che andavano al di là delle prescrizioni della convenzione.

2.4

Tale regolamento prevede, in particolare, che l'esportatore di un prodotto chimico elencato nel regolamento, prima di procedere alla prima esportazione in assoluto del prodotto, presenti una notifica all'autorità nazionale designata. Una volta verificata sul piano della completezza, tale notifica viene trasmessa alla Commissione, che la registra nella base dati Edexim come notifica di esportazione comunitaria, precisandone prodotto e paese importatore.

2.5

Analogamente, nel caso di un'importazione comunitaria di un prodotto chimico proveniente da un paese terzo, la Commissione riceve la relativa notifica di esportazione, ne accusa ricevuta e la registra nella base dati Edexim.

2.6

Più in generale, la Commissione è incaricata di garantire l'effettiva applicazione del regolamento e deve quindi, in altri termini, gestire le notifiche di esportazione e quelle di importazione.

2.7

Attualmente la procedura UE di notifica di esportazione si applica a circa 130 prodotti chimici e gruppi di prodotti/sostanze, elencati nell'allegato I, parte 1, del regolamento (CE) n. 304/2003 (4).

2.8

Sono previsti, infine, chiari obblighi concernenti l'imballaggio e l'etichettatura.

2.9

Il regolamento (CE) n. 304/2003 prevede altresì un regime di sanzioni in caso di infrazione e specifica che tali sanzioni devono essere «effettive, proporzionate e dissuasive» e devono essere stabilite dagli Stati membri.

2.9.1

Inoltre, il 18 dicembre 2006 è stato adottato il regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la registrazione, la valutazione, l'autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH), che entrerà in vigore il 1o giugno 2007 (5).

2.10

La Corte di giustizia delle Comunità europee, nelle sentenze relative alle cause C-94/03 e C-178/03 (entrambe del 10 gennaio 2006) ha stabilito che la base giuridica del regolamento (CE) n. 304/2003 avrebbe dovuto essere costituita dagli articoli 133 e 175 del Trattato CE e non dal solo articolo 175 e che quindi il regolamento stesso veniva annullato. La Corte specificava tuttavia che gli effetti del regolamento sarebbero stati mantenuti sino all'adozione, entro termini ragionevoli, di un nuovo regolamento, fondato sulle basi giuridiche adeguate.

2.11

Nella relazione 2003-2005 (6), presentata il 30 novembre 2006 ai sensi dell'articolo 21 del regolamento (CE) n. 304/2003, sono stati esaminati gli aspetti seguenti:

la situazione in materia di attuazione del regolamento,

i problemi che si sono verificati nelle fasi procedurali,

le modifiche necessarie per aumentarne l'efficienza.

2.12

Allo stato attuale, tutti gli Stati membri dispongono delle normative e dei sistemi amministrativi necessari per applicare e far rispettare il regolamento: a tutt'oggi sono state effettuate 2.273 notifiche di esportazione (di cui oltre l'80 % è riconducibile a Germania, Regno Unito, Paesi Bassi, Francia e Spagna) e il numero dei paesi importatori è passato da 70 nel 2003 a 101 nel 2005.

2.13

Il punto critico del sistema è rappresentato dai sistemi di controllo doganale: è dunque necessaria una più intensa collaborazione tra autorità nazionali designate ed uffici doganali, con uno scambio regolare di informazioni ed una maggiore chiarezza nelle disposizioni, in particolare per quanto riguarda gli obblighi specifici degli esportatori e l'applicazione di strumenti di controllo migliori sulla nomenclatura combinata e sulla tariffa comunitaria TARIC.

2.14

Il Comitato concorda sulla necessità di un approccio armonizzato da parte della Commissione, volto a migliorare la tutela della salute umana e dell'ambiente nei paesi importatori, specie di quelli in via di sviluppo, e sulla necessità di utilizzare meccanismi snelli, chiari e trasparenti, fondati su procedure fluide ed omogenee che permettano di garantire, senza aggravi burocratici e ritardi, una adeguata informazione dei paesi importatori in merito alle esportazioni UE di prodotti e sostanze chimiche pericolose.

3.   La proposta della Commissione

3.1

Oltre a sanare la questione delle basi giuridiche, che aveva portato all'annullamento del regolamento (CE) n. 304/2003, la proposta della Commissione per un nuovo regolamento prevede, rispetto al passato, delle modifiche concernenti gli aspetti seguenti:

nuove basi giuridiche,

nuove definizioni. È necessaria l'estensione della definizione di «esportatore» e la rettifica della nozione di «preparato»,

una nuova procedura di consenso esplicito,

un rafforzamento ed inasprimento dei controlli doganali,

nuove regole in materia di comitatologia (7).

4.   Osservazioni generali

4.1

Il Comitato conferma il proprio pieno appoggio alle strategie comunitarie a favore dello sviluppo sostenibile, ivi compreso il quadro volontario SAICM (8), e sottolinea la necessità di un approccio preventivo alla gestione dei prodotti chimici, al fine di prevenire possibili effetti negativi sulla salute umana e sull'ambiente; esso ha d'altronde avuto a più riprese (9) l'occasione di ribadire tale posizione nel suo contributo al varo della legislazione REACH.

4.2

È in tale ottica che il CESE ha sostenuto l'introduzione del sistema REACH, e in particolare la responsabilizzazione delle imprese produttrici, importatrici o utilizzatrici nel predisporre la documentazione sulle sostanze chimiche, ai fini della registrazione e di una prima valutazione del rischio; per questo il CESE ha valutato positivamente l'istituzione di un sistema europeo di registrazione e di un organismo comunitario per la gestione dello stesso (10).

4.2.1

Il CESE sollecita la Commissione a rivedere, nell'ambito delle comunicazioni previste dalle normative specifiche sui prodotti chimici pericolosi, la lista dei prodotti che presentano un rischio per la salute umana e per l'ambiente, sostituendoli con prodotti e preparati meno pericolosi, qualora la ricerca e l'innovazione tecnologica abbiano messo a punto e testato alternative concrete.

4.3

Il CESE ha sempre appoggiato il ruolo attivo che la Commissione europea ha assunto nella realizzazione ed attuazione della convenzione di Rotterdam sulla procedura PIC di previo assenso informato nel contesto del commercio internazionale di prodotti chimici e pesticidi pericolosi, così come della convenzione di Stoccolma sulle sostanze organiche inquinanti persistenti (POP), volta ad eliminare la produzione e l'uso di determinati prodotti chimici, fra cui 9 tipologie di pesticidi. Su tale problematica, d'altronde, il Comitato ha avuto modo di pronunciarsi recentemente (11).

4.4

Il Comitato ritiene che le disposizioni più rigorose previste dal regolamento (CE) n. 304/2003, annullato dalla Corte di giustizia per errata base giuridica, e riprese nella presente nuova proposta di regolamento (12) costituiscano un elemento di primaria importanza per la sicurezza globale e per la gestione dei prodotti chimici pericolosi.

4.5

Il Comitato ritiene altresì che sia opportuno apportare delle modifiche al dispositivo regolamentare, per porre rimedio alle lacune operative ed alle difficoltà attuative messe in luce dalla relazione 2003-2005.

4.6

Il Comitato condivide quindi l'intenzione della Commissione di approfittare della rettifica della base giuridica del regolamento in conformità alla sentenza della Corte (questione sulla quale esso aveva già a suo tempo avuto modo di pronunciarsi (13)), per aumentare l'efficienza del dispositivo comunitario, garantendo una maggiore chiarezza, trasparenza e certezza giuridica sia per gli esportatori che per gli importatori.

4.7

Il CESE ritiene opportuno assicurare certezza giuridica, univocità e trasparenza alla nuova normativa comunitaria proposta migliorando le definizioni dei termini «esportatore», «preparato» e «prodotto chimico soggetto alla procedura PIC».

4.8

Per contribuire al processo di semplificazione e snellimento burocratico e di miglioramento della tempistica, il CESE ritiene pienamente condivisibile il fatto di prevedere la possibilità di procedere alle esportazioni in via temporanea mentre continuano le procedure per ottenere il consenso esplicito, così come quella di derogare all'obbligo del consenso nel caso di prodotti chimici da esportare verso paesi OCSE.

4.9

Il Comitato sottolinea parimenti l'importanza del fatto che le richieste di consenso e di riesame periodico dello stesso siano fatte tramite la Commissione, al fine di evitare sovrapposizioni e duplicazioni superflue, nonché fraintendimenti ed incertezze nei paesi importatori. Esso considera che le risorse finanziarie ed umane a disposizione dei servizi della Commissione e, in particolare, del CCR a tale fine devono essere poste in grado di assicurare anche pacchetti informativi e formativi armonizzati, guide e schede di sicurezza per le diverse categorie di utenza, e infine un dialogo con i paesi importatori, specie quelli in via di sviluppo, per individuare e chiarire i problemi connessi con le notifiche di import/export.

4.9.1

Alla luce della gravità degli infortuni sul lavoro talvolta provocati dalle sostanze chimiche pericolose e tenuto conto anche delle convenzioni internazionali dell'OIL al riguardo (14), il Comitato ribadisce l'importanza di fornire nella lingua madre del paese importatore le informazioni contenute nell'etichettatura e nelle schede tecniche di sicurezza, e ciò a vantaggio dei consumatori intermedi e finali, soprattutto per coloro che operano nell'agricoltura e nelle PMI.

4.10

Il Comitato ritiene che l'elemento chiave per un funzionamento efficace, corretto e trasparente dei meccanismi posti in essere dalla normativa proposta sia rappresentato dai sistemi di controllo doganale e da una piena cooperazione tra le autorità doganali e le autorità nazionali designate (DNA) per l'applicazione del regolamento. I miglioramenti proposti in termini di integrazione della nomenclatura combinata con «segnali d'avvertimento» e di sviluppo di una versione della banca dati Edexim specificamente dedicata alle autorità doganali, devono essere completati da interventi informativi e formativi sistematici e armonizzati a livello comunitario.

4.11

A parere del Comitato, la nuova normativa dovrebbe prevedere sia l'elaborazione di guide applicative e di documentazione informativa, sia gli interventi formativi, sulla base di standard comunitari, specie per i paesi di nuova adesione.

Bruxelles, 30 maggio 2007.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Parere del CESE del 17.7.2002 in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio sull'esportazione ed importazione dei prodotti chimici pericolosi, GU C 241 del 7.10.2002, pag. 50.

(2)  La Convenzione di Rotterdam, firmata l'11 settembre 1998 ed entrata in vigore il 24 febbraio 2004, disciplina le esportazioni e importazioni di alcuni prodotti chimici e pesticidi pericolosi ed è basata sul principio fondamentale del previo assenso informato (la cosiddetta procedura PIC, da prior informed consent) da parte dell'importatore di un prodotto chimico. Attualmente oltre 30 prodotti chimici sono assoggettati alla procedura PIC, a norma della convenzione.

(3)  Cfr. parere di cui alla nota 1.

(4)  Successivamente modificato dal regolamento (CE) n. 777/2006 della Commissione.

(5)  Cfr. ITACA, n. 3 (dicembre 2006) pag. 8 — ROMA, Sergio GIGLI.

(6)  Cfr. COM(2006) 747 def., del 30.11.2006.

(7)  Cfr. la decisione 1999/468/CE, modificata nel luglio 2006.

(8)  SAICM, Strategic Approach to International Chemicals Management — UNEP.

(9)  Cfr. pareri CESE 524/2004 e 850/2005 sulla legislazione in materia di sostanze chimiche (REACH). GU C 112 del 30.4.2004 e GU C 294 del 25.11.2005.

(10)  Cfr. parere CESE 524/2004, punto 3.1. GU C 112 del 30.4.2004.

(11)  Cfr. parere NAT/331, CESE 419/2007. GU C 93 del 27.4.2007.

(12)  Secondo le disposizioni comunitarie, l'esportazione di ogni prodotto chimico/antiparassitario vietato o strettamente regolamentato nell'UE, nonché dei composti che contengono tali prodotti, deve essere accompagnata da una notifica, nonché dal consenso esplicito dell'importatore. Questo vale per i prodotti che soddisfano i requisiti per essere oggetto di notifica PIC anche se non rientrano nel campo di applicazione della convenzione e non fanno parte dei prodotti già soggetti alla procedura PIC.

(13)  Cfr. nota 1, punto 5.10.

(14)  Cfr. artt. 7 e 8 della Convenzione internazionale OIL n. 170 del 1990 concernente la sicurezza nell'utilizzo dei prodotti chimici e la Convenzione internazionale OIL n. 174 del 1993 sulla prevenzione degli incidenti industriali maggiori, artt. 9, 10 e 22.


27.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 175/44


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla commercializzazione dei prodotti fitosanitari

COM(2006) 388 def. — 2006/0136 (COD)

(2007/C 175/12)

Il Consiglio, in data 15 settembre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 37, paragrafo 2, e dell'articolo 152, paragrafo 4, lettera b), del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 maggio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore van OORSCHOT.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 31 maggio 2007, nel corso della 436a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 65 voti favorevoli, 1 voto contrario e 1 astensione:

1.   Sintesi delle conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione intesa ad elaborare un nuovo regolamento riguardante la commercializzazione dei prodotti fitosanitari (fungicidi, insetticidi, erbicidi e altri prodotti analoghi destinati all'agricoltura e al giardinaggio).

1.2

Oltre alla commercializzazione di prodotti fitosanitari sicuri e di buona qualità, un'altra priorità fondamentale è l'uso sostenibile e sicuro di questi prodotti. Il CESE si compiace inoltre del fatto che, parallelamente alla proposta di regolamento in esame, la Commissione abbia presentato una proposta di direttiva che disciplina l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari.

1.3

Il CESE constata che le considerazioni contenute nella proposta prestano particolare attenzione alla prevenzione e alla limitazione degli effetti negativi dei prodotti fitosanitari sull'uomo e sull'ambiente. Pur ritenendo essenziale prevenire tali ripercussioni, il CESE fa presente che, nell'ottica della sostenibilità, occorre anche tenere conto, in modo equilibrato, degli interessi economici. Oltre a dimostrare sempre maggiore interesse verso i prodotti derivati dall'agricoltura biologica (organic farming), attualmente la stragrande maggioranza dei consumatori chiede soprattutto prodotti di buona qualità, disponibili tutto l'anno ad un prezzo accettabile. La sicurezza del prodotto per il consumatore è una condizione imprescindibile, richiede grande impegno nella catena del valore della produzione agricola e presuppone la disponibilità di prodotti fitosanitari sicuri e di buona qualità in quantità sufficienti.

1.4

Il CESE esprime perplessità per quanto riguarda sia l'introduzione di criteri di approvazione dei prodotti fitosanitari basati sulle proprietà intrinseche delle sostanze attive, sia le sue conseguenze sul lancio di prodotti nuovi e di migliore qualità. Ove tali criteri vengano applicati in maniera rigorosa, potrebbe venir negata l'autorizzazione a una sostanza che, pur non soddisfacendo uno di essi, rappresenti un miglioramento rispetto a tutti gli altri. Il CESE chiede una valutazione dei rischi che tenga maggiormente conto dell'impiego reale e dell'esposizione.

1.5

Il CESE ritiene che la proposta riguardante un'autorizzazione zonale e il riconoscimento reciproco costituisca il primo passo verso una completa armonizzazione delle autorizzazioni a livello europeo. Il CESE suggerisce che il riconoscimento reciproco delle autorizzazioni sia consentito anche tra zone diverse quando si tratta di paesi (limitrofi) dove il clima e l'agricoltura hanno caratteristiche analoghe.

1.6

Il CESE condivide il principio di una valutazione comparativa dei prodotti fitosanitari contenenti sostanze di cui si prevede la sostituzione. Per queste sostanze il CESE chiede tuttavia valutazioni meno frequenti e l'applicazione del normale periodo di protezione dei dati, per motivare l'industria a continuare ad investire in queste sostanze e per prevenire così strozzature nel settore agricolo.

1.7

Secondo il CESE la proposta non contiene incentivi sufficienti per l'autorizzazione di prodotti fitosanitari destinati ad impieghi secondari. Per porvi rimedio il CESE propone due interventi: in primo luogo, suggerisce di istituire un sistema secondo il quale il primo richiedente beneficia di una protezione dei dati più prolungata man mano che vengono aggiunti impieghi secondari, e, in secondo luogo, invita la Commissione ad agevolare l'elaborazione, ad uso degli Stati membri, di un elenco aggiornato che indichi tutti gli impieghi (secondari) autorizzati.

2.   Introduzione

2.1   Osservazioni di carattere generale

2.1.1

I prodotti fitosanitari vengono utilizzati per proteggere le piante e il loro stato sanitario. Consentono agli agricoltori di ottenere un rendimento migliore e metodi di produzione più flessibili, il che garantisce una produzione affidabile di prodotti (alimentari) sicuri a prezzi accessibili nelle rispettive regioni.

2.1.2

La maggior parte dei consumatori europei è sempre più esigente per quanto riguarda la qualità dei prodotti alimentari e la loro disponibilità nel corso dell'anno: la sicurezza degli alimenti viene quindi ritenuta una condizione imprescindibile e ovvia, e ciò rappresenta una sfida importante per la catena di produzione agricola. Per poter rispondere alle esigenze di questo grande gruppo di consumatori è necessario disporre di una gamma sufficientemente ampia di prodotti fitosanitari sicuri e di buona qualità.

2.1.3

È però vero che l'impiego di prodotti fitosanitari può ripercuotersi sugli ecosistemi agricoli, comportare pericoli per la salute degli utenti, influenzare la qualità dei prodotti alimentari e avere effetti negativi sulla salute dei consumatori, specie se, in caso di utilizzo improprio (ossia non conforme alle buone pratiche), i prodotti fitosanitari lasciano residui nocivi nei prodotti alimentari.

2.2   Quadro normativo

2.2.1

La proposta di regolamento in esame prevede fra l'altro la sostituzione dell'attuale direttiva 91/414/CEE sull'immissione in commercio dei prodotti fitosanitari, volta a prevenire i rischi alla fonte attraverso una procedura molto esauriente di valutazione dei rischi per ciascuna sostanza attiva e per i prodotti che la contengono, prima che ne possano essere autorizzati la commercializzazione e l'uso.

2.2.2

La proposta prevede anche l'abrogazione dell'attuale direttiva 79/117/CEE del Consiglio relativa al divieto di immettere in commercio e impiegare prodotti fitosanitari contenenti determinate sostanze attive.

2.2.3

Il quadro normativo comunitario riguardante i prodotti fitosanitari include inoltre il regolamento (CE) n. 396/2005 del Parlamento europeo e del Consiglio, concernente i livelli massimi di residui di antiparassitari nei o sui prodotti alimentari e mangimi di origine vegetale e animale e che modifica la direttiva 91/414/CEE del Consiglio, la quale fissa i livelli massimi di residui (LMR) delle sostanze attive nei prodotti agricoli.

2.2.4

La proposta di regolamento viene presentata insieme ad una proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi (COM(2006) 373 def.). Questa mira a disciplinare l'utilizzo e la distribuzione degli antiparassitari, sempre che queste fasi non siano previste nella proposta di regolamento in esame.

2.3   Contesto della proposta

2.3.1

A seguito della valutazione della direttiva 91/414/CEE effettuata dalla Commissione, nel 2001 il Parlamento europeo ed il Consiglio hanno chiesto che la direttiva venga riesaminata per:

stabilire criteri per l'approvazione delle sostanze attive,

rendere più rigorosi i criteri per l'approvazione delle sostanze ad alto rischio,

introdurre una procedura semplificata per le sostanze a basso rischio,

introdurre il principio di valutazione comparativa e di sostituzione,

migliorare il riconoscimento reciproco grazie alla creazione di zone di autorizzazione dei prodotti fitosanitari.

2.3.2

Dopo un intenso periodo di consultazione (5 anni) delle parti interessate e dopo una valutazione d'impatto, nel luglio 2006 la Commissione ha presentato la propria proposta di revisione della direttiva 91/414/CEE, decidendo di sostituirla con un regolamento destinato a semplificare e armonizzare ulteriormente le legislazioni degli Stati membri.

2.4   Sintesi della proposta

2.4.1

L'elenco positivo delle sostanze attive viene redatto a livello comunitario dal comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali. L'approvazione delle sostanze attive viene decisa sulla base di una serie di criteri ben definiti, che mirano a garantire un livello elevato di protezione dell'uomo, degli animali e dell'ambiente.

2.4.2

La valutazione di una sostanza attiva deve evidenziare almeno un utilizzo sicuro per l'utente e per il consumatore, e non deve rivelare alcun effetto inaccettabile per l'ambiente. Vengono previste scadenze chiare per le diverse fasi della valutazione e della decisione circa l'approvazione delle sostanze attive.

2.4.3

Gli Stati membri mantengono la responsabilità dell'autorizzazione nazionale dei prodotti fitosanitari, le cui componenti devono figurare nell'elenco delle sostanze attive approvate.

2.4.4

Nel valutare i dossier di autorizzazione a livello nazionale, gli Stati membri sono tenuti ad applicare gli eventuali criteri armonizzati e a tener conto delle circostanze nazionali.

2.4.5

Per le sostanze che presentano un rischio basso o normale, la Commissione prevede un sistema di «autorizzazione zonale», che introduce l'obbligo di riconoscimento reciproco delle autorizzazioni di prodotti fitosanitari. In base a questo sistema, uno Stato membro di una qualsiasi delle tre zone climatiche proposte (la Commissione divide l'UE in tre zone) valuta la richiesta di autorizzazione nazionale di una sostanza, la quale deve essere autorizzata solo negli Stati membri in cui il suo produttore abbia presentato anche una domanda di riconoscimento reciproco dell'autorizzazione.

3.   Osservazioni generali

3.1   Importanza dei prodotti fitosanitari per un approvvigionamento alimentare di qualità nell'UE

3.1.1

Nel preambolo alla direttiva vengono illustrate le considerazioni che hanno condotto alla proposta di regolamento. Occorre menzionarvi esplicitamente anche l'importanza della sufficiente disponibilità di prodotti fitosanitari per garantire la sicurezza sotto il profilo sanitario, la certezza e la qualità elevata dell'approvvigionamento alimentare, destinato a un consumatore esigente come quello europeo.

3.2   Autorizzazioni provvisorie condizionate

3.2.1

Il documento in esame non prevede la possibilità che uno Stato membro accordi un'autorizzazione provvisoria a livello nazionale. Ciò può ritardare l'arrivo sul mercato di sostanze innovatrici migliori di quelle in uso. La Commissione cerca di ovviare a tale problema prevedendo scadenze più brevi, che devono consentire l'iscrizione più rapida di nuove sostanze nell'elenco positivo.

3.2.2

Il CESE propone di includere nel regolamento anche la possibilità di concedere un'autorizzazione provvisoria a livello nazionale nei casi in cui il mancato rispetto dei termini stabiliti sia dovuto a ritardi amministrativi e in cui sia comunque rispettato l'obbligo derivante dal regolamento (CE) n. 396/2005 sui livelli massimi di residui.

4.   Osservazioni specifiche

4.1   Gestione del rischio nell'applicazione delle condizioni di approvazione

4.1.1

L'articolo 4 della proposta tratta i criteri di approvazione delle sostanze attive rinviando a quelli previsti dall'allegato II. Visto che tutti i requisiti devono essere soddisfatti, l'applicazione rigorosa di questi criteri implica che un'autorizzazione può essere rifiutata anche a causa di una sola delle proprietà delle sostanze attive.

4.1.2

Tali criteri di approvazione per i prodotti fitosanitari, che si basano soltanto sulle proprietà intrinseche delle sostanze attive e non tengono conto né dell'impiego reale né dell'esposizione, pregiudicano il principio secondo cui la decisione deve basarsi sulla valutazioni dei rischi. Ciò comporterà la progressiva scomparsa dal mercato di diversi prodotti/impieghi attuali, che potrebbero rivelarsi utili qualora fosse necessaria un'ampia gamma di prodotti.

4.1.3

L'articolo 4 impedisce quindi l'immissione sul mercato di prodotti innovativi che, pur dimostrando un miglioramento rispetto a tutti i criteri, non rispondono ai requisiti richiesti per uno solo di essi. Il CESE non condivide questo approccio, perché esso frena inutilmente l'innovazione verso sostanze nuove e migliori, e ritiene che i criteri d'approvazione intrinseci debbano essere applicati solo per individuare i candidati alla sostituzione, e non per rifiutare dei prodotti a priori, senza una valutazione approfondita.

4.2   Estensione dell'autorizzazione zonale e del riconoscimento reciproco

4.2.1

Il CESE ritiene che il sistema d'autorizzazione zonale e di riconoscimento reciproco rappresenti un passo importante verso un sistema completamente armonizzato a livello europeo per l'immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari.

4.2.2

L'introduzione di un riconoscimento reciproco obbligatorio delle autorizzazioni negli Stati membri rientranti in una stessa zona, parallelamente alla normale procedura di autorizzazione a livello nazionale, permette di evitare la duplicazione degli sforzi negli Stati membri, e di garantire una più rapida disponibilità di prodotti fitosanitari innovativi ed ecologici.

4.2.3

Il CESE propone che il riconoscimento reciproco delle autorizzazioni sia reso possibile anche tra zone diverse quando si tratta di paesi vicini caratterizzati da condizioni di produzione simili.

4.2.4

Per quanto riguarda l'uso in serra o il trattamento post-raccolto, la Commissione propone un approccio che prevede l'obbligo di riconoscimento reciproco da parte di tutti gli Stati membri di tutte le zone (articolo 39). Il CESE ritiene necessario estendere questo regime alle sementi: ciò rappresenterebbe un importante pilastro nel contenimento integrato delle specie nocive (integrated pest management: IPM).

4.3   Adattamento della valutazione comparativa

4.3.1

Per quanto riguarda i prodotti fitosanitari basati su sostanze più critiche (candidate cioè alla sostituzione), i singoli Stati membri sono tenuti a procedere ad una valutazione comparativa entro i quattro anni successivi alla concessione dell'autorizzazione (articolo 48). Questa valutazione ha lo scopo di trovare un prodotto alternativo per sostituire il prodotto più nocivo, a meno che quest'ultimo non risulti necessario per continuare a proteggere le piante quando si sia sviluppata una resistenza.

4.3.2

Secondo il CESE la valutazione quadriennale e il periodo settennale di protezione previsto per i dossier relativi ai cosiddetti «candidati alla sostituzione» non offrono una sicurezza sufficiente per l'industria, e condurranno al ritiro prematuro di questi prodotti dal mercato, con possibili ripercussioni negative per la disponibilità sufficiente di prodotti in caso di resistenza e d'impieghi secondari.

4.3.3

Il CESE auspica valutazioni meno frequenti e l'applicazione del periodo normale di tutela dei dati per i candidati alla sostituzione, in modo da motivare l'industria a proseguire gli investimenti in queste sostanze e da prevenire strozzature nel settore agricolo e nella catena del valore dannose per i consumatori.

4.4   Incentivi insufficienti per gli impieghi secondari

4.4.1

L'articolo 49 offre la possibilità, fra l'altro agli utenti professionali ed alle organizzazioni professionali, di chiedere un'estensione delle autorizzazioni per gli impieghi secondari di un prodotto fitosanitario, e invita inoltre gli Stati membri a tenere un elenco aggiornato di tali impieghi secondari.

4.4.2

Pur accogliendo con favore questo articolo, il CESE constata che esso non offre ai detentori di un'autorizzazione incentivi sufficienti ad adoperarsi per eventuali estensioni circa gli impieghi secondari.

4.4.3

Il CESE propone di accordare un «bonus» sotto forma di proroga del periodo di protezione dei dati del dossier a quei detentori di un'autorizzazione che per primi, dopo averla ottenuta, chiederanno più estensioni per impieghi secondari.

4.4.4

Il CESE propone, in sostituzione dell'elenco per Stato membro di cui all'articolo 49, paragrafo 6, che la Commissione agevoli la compilazione di un elenco centrale europeo degli impieghi secondari, consultabile dagli Stati membri.

4.5   Informazione

4.5.1

Il regolamento prevede l'eventuale obbligo di informare preventivamente dell'impiego del prodotto (articolo 30) i vicini che rischino di essere esposti alla nebulizzazione del pesticida e che abbiano chiesto di essere informati.

4.5.2

Per quanto la trasparenza sull'impiego dei prodotti fitosanitari sia un fatto molto positivo il CESE ritiene che l'obbligo d'informazione proposto comprometta la fiducia nella legislazione che disciplina l'immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari. Trattandosi pur sempre di prodotti giudicati sicuri, l'obbligo d'informazione può far supporre il contrario.

4.5.3

Ritiene inoltre che l'applicazione del suddetto articolo, invece di garantire una comprensione reciproca tra gli utenti ed i vicini, possa pregiudicare la coesione sociale nelle comunità rurali: l'obbligo d'informazione può infatti suscitare l'impressione che i prodotti utilizzati non siano sicuri. Questa disposizione risulta quindi controproducente.

Bruxelles, 31 maggio 2007.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


27.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 175/47


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2003/87/CE al fine di includere le attività di trasporto aereo nel sistema comunitario di scambio delle quote di emissione dei gas a effetto serra

COM(2006) 818 def. — 2006/0304 (COD)

(2007/C 175/13)

Il Consiglio, in data 8 febbraio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 175, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 maggio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore ADAMS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 31 maggio 2007, nel corso della 436a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 50 voti favorevoli, 8 voti contrari e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato accoglie con favore la proposta di direttiva, che offre un sistema attentamente ponderato e pragmatico per moderare e compensare la rapida crescita del volume di gas ad effetto serra prodotti dal settore del trasporto aereo.

1.2

L'inserimento del settore dei trasporti aerei nel sistema comunitario di scambio delle quote di emissione dei gas a effetto serra (Emissions Trading Scheme — ETS) contribuisce di per sé a rafforzare e consolidare il sistema stesso quale modello di riferimento nella lotta alle emissioni di CO2 a livello mondiale.

1.3

La proposta di direttiva è realistica: da un lato, infatti, riconosce la forza delle pressioni provenienti sia dal mondo politico ed economico sia dai consumatori a favore dello sviluppo dei viaggi e dei trasporti per via aerea e, dall'altro, ricorre al meccanismo di mercato dell'ETS per compensare una delle principali ripercussioni negative esterne di tale settore.

1.4

La proposta presenta tuttavia un punto debole: le sue sorti sono legate a quelle dell'ETS, un sistema criticato da molte delle parti interessate, che ancora non ha dimostrato la sua validità e che dipende a sua volta da un'assegnazione corretta e coerente delle quote di CO2, da investimenti innovativi negli strumenti di riduzione di CO2 e dall'attuazione, da parte degli Stati membri, dei piani nazionali di assegnazione delle quote.

1.5

Il CESE accoglie con favore l'inserimento nel sistema di tutti i voli in arrivo e in partenza dall'Europa a partire dal 2012, ma ritiene che, come per gli operatori europei, tale data dovrebbe essere anticipata al 2011.

1.6

Il Comitato rileva che la direttiva consente di integrare nel sistema i crediti da progetti flessibili «esterni» ottenuti nell'ambito del meccanismo dell'attuazione congiunta (Joint implementation — JI) e del meccanismo di sviluppo pulito (Clean Development Mechanisms — CDM) previsti dal protocollo di Kyoto. Sostenere la riduzione del carbonio e i programmi certificati in materia di energie rinnovabili/efficienza energetica nei paesi in via di sviluppo è sì apprezzabile, ma a condizione che si mantengano rigidi meccanismi di auditing.

1.7

Pur riconoscendo la complessità della questione, il Comitato ritiene che la proposta non sia del tutto trasparente e non riesca ad illustrare chiaramente i suoi vantaggi. La proposta si rivolge, con modalità diverse e a vari livelli, all'UE nel suo insieme, ai singoli Stati membri, a diversi settori industriali e ai cittadini. In particolare va sottolineato il potenziale della direttiva nel sostenere e rafforzare l'ETS. Il Comitato rileva inoltre che sarà necessario il sostegno attivo e complementare di altri servizi della Commissione, in particolare di quelli responsabili dei trasporti, dell'energia e della ricerca.

1.8

Il CESE formula pertanto le seguenti raccomandazioni:

1.8.1

l'inclusione del settore dei trasporti aerei nell'ETS va colta come un'opportunità per rivedere il sistema, correggerne gli errori e rafforzarne i punti deboli, al fine di consentire lo sviluppo di un autentico ed efficace mercato degli scambi di emissioni, un elemento chiave dell'impegno dell'UE a ridurre del 20 % le emissioni di CO2 entro il 2020;

1.8.2

il tetto di emissioni proposto per il trasporto aereo deve essere abbassato, in modo che l'adeguamento richiesto al settore aereo sia comparabile a quello richiesto ad altri settori già inclusi nell'ETS;

1.8.3

l'assegnazione a titolo gratuito di quote agli operatori andrebbe abolita o fortemente ridotta, stabilendo che tutte le quote, o la maggior parte di esse, vengano assegnate mediante asta;

1.8.4

all'acquisto di crediti ottenuti nell'ambito dei meccanismi JI e CDM viene applicato un limite comune, per garantire che una percentuale elevata delle riduzioni di emissioni sia ottenuta all'interno dell'UE;

1.8.5

è opportuno pianificare anticipatamente le modalità con le quali gli effetti della direttiva saranno presentati al pubblico. Oltre a consentire di sensibilizzare maggiormente i cittadini all'impatto dei trasporti aerei sui cambiamenti climatici, ciò dovrebbe altresì incoraggiare una maggiore trasparenza circa le implicazioni finanziarie del sistema per gli utenti e per gli operatori, riducendo al minimo il rischio di profitti rapidi e ingiustificati;

1.8.6

si dovrebbe chiedere agli Stati membri di dare il buon esempio compensando volontariamente le emissioni causate dagli spostamenti aerei voli dei capi di Stato, dei capi di governo o dei ministri di governo, che sono attualmente esentate per motivi amministrativi (la maggior parte di questi voli viene effettuata da unità militari);

1.8.7

i lavori complementari sulle misure di riduzione del carbonio al di fuori del sistema ETS dovrebbero essere considerati prioritari. Tra tali misure figurano la soppressione degli ostacoli giuridici alle misure fiscali e normative (specie in materia di carburante per aerei), la riduzione delle emissioni di ossidi di azoto, la migliore gestione del traffico aereo e l'attività di ricerca finalizzata ad una maggiore efficienza dei motori e delle cellule degli aerei.

2.   Introduzione

2.1

Il trasporto aereo ha svolto e svolge ancora un ruolo centrale ed essenziale nell'espansione dell'economia mondiale. Per molti versi, questo settore vanta una storia di successo: dal 1960 ha infatti registrato una crescita media pari al 9 % annuo, cioè un tasso di 2,4 volte superiore all'aumento del PIL mondiale. Questa crescita continua e, se si confermano le tendenze attuali, entro il 2020 il traffico aereo raddoppierà.

2.2

Si tratta di un successo che, inevitabilmente, ha creato diversi problemi quali, ad esempio, l'espansione degli aeroporti e il loro impatto a livello locale. Tuttavia, nel contesto dei cambiamenti climatici, l'attenzione si concentra sempre più sull'impatto del trasporto aereo sul riscaldamento del pianeta attraverso le emissioni di gas a effetto serra e di altri gas. Nel settore dei servizi, il trasporto aereo rappresenta all'incirca lo 0,6 % del valore aggiunto dell'UE sotto il profilo economico, ma produce ben il 3,4 % delle emissioni di gas a effetto serra (GES) nel territorio comunitario. Dal 1990 le emissioni aeree nell'UE hanno registrato un aumento dell'87 %, mentre nello stesso periodo le emissioni totali di GES (prodotte da tutte le fonti) sono diminuite del 3 %.

2.3

Storicamente, i carburanti utilizzati nei voli internazionali sono esentasse, e gli obiettivi contenuti nel protocollo di Kyoto non riguardano questi voli. Vista la lunghezza della vita degli aeromobili e le possibilità di conseguire una maggiore efficienza tecnica ed operativa, la crescita del trasporto aereo comporterà un aumento delle emissioni di GES, cosa che comprometterà gli sforzi profusi in altri settori per ridurre le emissioni. Sebbene, nell'insieme, nel settore dei trasporti aerei si siano registrati notevoli miglioramenti per quanto riguarda la normativa, il coordinamento e l'applicazione delle misure in materia di sicurezza, giungere ad un accordo internazionale su questioni ambientali che possono anche incidere sugli interessi commerciali si è rivelato molto arduo.

2.4

La Commissione sta studiando da tempo con quali modalità incoraggiare o imporre una riduzione delle emissioni di GES nel settore dei trasporti aerei. Nel 2005 ha adottato una comunicazione dal titolo Ridurre l'impatto del trasporto aereo sui cambiamenti climatici  (1). Nell'aprile del 2006, nel parere in merito a tale comunicazione (2), il CESE affermava la necessità di misure politiche aggiuntive per controllare l'impatto del trasporto aereo sui cambiamenti climatici e raccomandava, tra l'altro, di fare rientrare il settore dei trasporti aerei nel sistema comunitario di scambio delle quote di emissione dei gas a effetto serra. Posizioni simili sono state adottate anche dal Consiglio Ambiente, dal Consiglio europeo e dal Parlamento europeo. La Commissione propone ora una direttiva, oggetto del presente parere, che include il settore dei trasporti aerei nel sistema comunitario di scambio delle quote di emissione dei gas a effetto serra.

3.   Sintesi della proposta di direttiva

3.1

Dalla relazione introduttiva alla proposta di direttiva emerge che, entro il 2012, l'aumento delle emissioni prodotte dai trasporti aerei può annullare oltre un quarto dei benefici ambientali ottenuti dall'UE nel quadro del protocollo di Kyoto. Nonostante le difficoltà che ostano alla conclusione di un accordo internazionale sulle misure da adottare in materia, la proposta di direttiva intende fungere da modello per iniziative analoghe a livello mondiale, ed è, ad oggi, la sola iniziativa esistente ad offrire questa possibilità.

3.2

La proposta in esame modifica la direttiva 2003/87/CE, che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissione dei gas a effetto serra nella Comunità, al fine di incorporare il settore del trasporto aereo nel sistema comunitario di scambi. Nella valutazione d'impatto che accompagna la proposta si giunge alla conclusione che, se è vero che lo scambio delle quote di emissione si prefigura come la soluzione più efficiente per ridurre l'impatto del trasporto aereo sul clima, è anche vero che le misure previste nella direttiva avrebbero «un effetto modesto sull'aumento previsto della domanda», e quindi sul volume di emissioni (3). Si deve pertanto dedurre che la proposta non mira a ridurre la crescita del settore dei trasporti aerei in quanto tale, bensì ad assicurare che parte delle sue ripercussioni negative sul piano ambientale vengano compensate da iniziative avviate prevalentemente in altri settori economici.

3.3

Attualmente, l'ETS comunitario (4) riguarda circa 12.000 impianti industriali ad alto consumo di energia, che sono responsabili del 50 % delle emissioni complessive di CO2 nell'UE. La proposta prevede l'assegnazione agli operatori aerei di quote trasferibili, permettendo l'emissione di una certa quantità di CO2 all'anno, con un limite massimo di emissioni complessive definito in base alla media annua di emissioni prodotte dal settore del trasporto aereo nel periodo 2004-2006. Gli operatori possono vendere eventuali quote in eccesso o acquistarne di aggiuntive sul mercato dell'ETS, ad esempio da impianti industriali che hanno ridotto le loro emissioni o da progetti per la produzione di energia pulita nel quadro dei meccanismi previsti dal protocollo di Kyoto.

3.4

La direttiva proposta si applicherà dal 2011 alle emissioni imputabili ai voli interni comunitari, e dal 2012 a tutti i voli in arrivo o in partenza dagli aeroporti dell'UE, e riguarderà sia gli operatori comunitari che quelli extracomunitari. Secondo le stime, la proposta potrebbe comportare, entro il 2020, un aumento del prezzo di un biglietto intracomunitario di andata e ritorno compreso tra 1,8 e 9 euro, e un aumento più cospicuo per i voli di lungo raggio, ad esempio tra 8 e 40 euro per un biglietto di andata e ritorno a New York. L'assai modesto impatto di tali costi sul settore del trasporto aereo, che è caratterizzato da una certa elasticità dei prezzi, è la ragione per cui si ritiene che il sistema proposto avrà un effetto limitato sulla crescita.

3.5

Si deve osservare che la Commissione riconosce che l'inclusione del trasporto aereo nell'ETS è solo una delle possibili iniziative da adottare a livello internazionale per lottare contro il crescente impatto che le emissioni prodotte dal trasporto aereo hanno sul clima. Entro la fine del 2008 la Commissione presenterà una proposta riguardante gli ossidi di azoto, previa realizzazione di una valutazione d'impatto. Anche l'Organizzazione internazionale dell'aviazione civile (ICAO) intende avanzare ulteriori proposte in occasione della sua assemblea del settembre 2007, sebbene alcuni elementi sembrino indicare l'esistenza di pressioni sempre maggiori miranti ad indebolire e compromettere l'iniziativa dell'UE.

4.   Osservazioni generali

4.1

Il CESE accoglie con favore l'inclusione del settore dei trasporti aerei nell'ETS, cosa che sul piano internazionale rappresenta un primo passo per far sì che il trasporto aereo paghi una parte dei costi ambientali che sin dai suoi inizi ha esternalizzato. Il Comitato è inoltre favorevole all'inclusione nel sistema degli operatori non europei. Inoltre, in base al sistema proposto, gli aeromobili meno efficienti sul piano dei consumi dovranno utilizzare un maggior numero di quote, il che costituirà un modesto stimolo ad accrescere l'efficienza tecnica ed operativa. Dato che le compagnie aeree a basso costo hanno un fattore di carico che in media risulta del 10 % superiore rispetto a quello delle compagnie «storiche», la proposta avrà un impatto leggermente inferiore sulle prime e incoraggerà al tempo stesso tutte le compagnie aeree a vendere i posti ancora liberi a prezzi scontati.

4.2

Il Comitato riconosce che le misure riguardanti l'efficienza delle rotte aeree, i carburanti alternativi, una migliore progettazione e fattori di carico più elevati contribuiranno, senza distinzione, a frenare la crescita delle emissioni di GES. Benché gran parte di queste misure, in realtà, venga applicata al settore dei trasporti aerei già dal 1990, le emissioni hanno comunque registrato, da allora, un aumento pari ad oltre l'85 %, cifra che continua a crescere a causa del forte aumento del numero di passeggeri e del volume di merci trasportati.

4.3

Nella direttiva si propone di far fronte al crescente impatto dei trasporti aerei sul cambiamento climatico inserendo il settore nell'ETS comunitario. Durante la fase di prova, che si concluderà nel 2007, questo strumento — unico meccanismo internazionale su vasta scala legato al mercato e mirato a regolamentare e a compensare le emissioni di CO2 — ha tuttavia incontrato grosse difficoltà, principalmente dovute ad un'assegnazione eccessiva di quote da parte degli Stati membri. Affinché l'ETS comunitario possa raggiungere l'obiettivo di essere uno strumento di mercato in grado di ridurre le emissioni di CO2, è essenziale che la Commissione, con il sostegno di tutti gli Stati membri, sia ben determinata nel definire e applicare con rigore le quote di emissione di CO2 e nel garantirne il rispetto.

4.4

In pratica, l'inclusione dei trasporti aerei potrebbe essere di grande vantaggio per l'ETS. I trasporti aerei sono meno sensibili al fattore prezzo rispetto alla maggioranza delle industrie di lavorazione e di produzione energetica responsabili della maggior parte delle emissioni di CO2. L'aumento (inevitabile) della percentuale di emissioni di CO2 prodotte dai trasporti aerei comporterà l'immissione nell'ETS di un volume importante di nuovi fondi, cosa che consentirà di realizzare investimenti intesi a ridurre ulteriormente il carbonio in altri settori. Se, da una parte, è vero che i trasporti aerei dispongono di un margine limitato per ottenere tali riduzioni, dall'altra è anche vero che essi possono apportare fondi per consentire ad altri settori di realizzarle.

4.5

Secondo le stime della Commissione, ad esempio, la direttiva porterà, entro il 2020, ad una riduzione netta delle emissioni di GES pari a 183 milioni di tonnellate di CO2, a scenario immutato. Le proiezioni sul prezzo del carbonio per lo stesso periodo sono imprecise e dipendono da un rigido regime di assegnazione delle quote, ma se, ad esempio, nel periodo in questione il settore del trasporto aereo acquistasse 100 milioni di tonnellate di carbonio ad un prezzo medio di 30 euro a tonnellata, esso apporterebbe in linea di principio 3 miliardi di euro da utilizzare per la riduzione delle emissioni di CO2.

4.6

Nel corso del 2007, il CESE ha avviato un ampio programma volto ad incoraggiare, nella società civile, iniziative e migliori pratiche in materia di cambiamenti climatici. La riduzione al minimo della crescita delle emissioni di GES è un elemento essenziale di tale programma. Pur riconoscendo che la proposta in esame costituisce, dal punto di vista pragmatico, un approccio ottimale per inserire il trasporto aereo in una strategia di riduzione del carbonio, il CESE sottolinea tuttavia che la direttiva proposta non farà praticamente nulla per limitare le crescenti emissioni di GES prodotte dal settore dei trasporti aerei. Ciò crea un grave problema di «presentazione». Già adesso, infatti, il settore del trasporto aereo è la fonte di emissioni di GES in più forte crescita in Europa, e la direttiva in esame asseconda la tendenza del settore a promuovere la crescita senza però imporre limiti sulle emissioni. I cittadini dovranno capire che la direttiva può mobilizzare notevoli risorse, le quali saranno utilizzate a titolo di compensazione per ridurre le emissioni di CO2.

5.   Osservazioni particolari

5.1

Se l'obiettivo dichiarato è quello di ridurre in modo significativo le emissioni prodotte dal settore, la proposta di direttiva non risulta adeguata allo scopo. Dato che gli operatori aerei possono acquistare a prezzi di «mercato» le quote necessarie per coprire le emissioni che superano il tetto assegnato loro, l'impatto sulla riduzione dei GES prodotti dai trasporti aerei sarà minimo: secondo le stime, si tratterebbe di una riduzione netta del 3 % entro il 2020, vale a dire un valore inferiore alla crescita — in un solo anno — delle emissioni di GES prodotte dai trasporti aerei. Sulla base dei dati presentati dalla stessa Commissione si può constatare che l'aumento del costo marginale dei prezzi dei biglietti avrà uno scarso impatto sulla domanda di trasporti aerei.

5.2

Distribuendo gratuitamente agli operatori aerei la grande maggioranza delle quote iniziali e consentendo loro acquisti supplementari nell'ambito del sistema generale di scambio delle quote di emissione (un sistema aperto rispetto ad un eventuale sistema chiuso riservato al trasporto aereo o al settore dei trasporti nel suo complesso), la Commissione accetta lo status quo e fa ben poco per incidere sulla rapida crescita del settore, che è fonte di emissioni di GES. Il nucleo del problema, tuttavia, è che attualmente una tale limitazione è politicamente ed economicamente inaccettabile. Per indicare che, comunque, ci sono dei progressi, la Commissione ha calcolato che l'inclusione dei trasporti aerei nell'ETS non solo comporterà una maggiore efficienza interna in materia di riduzione del carbonio, ma, compensando l'aumento delle emissioni di CO2 prodotte dai trasporti aerei con riduzioni in altri settori, fungerà anche da vero e proprio stimolo per il mercato e per il finanziamento di nuove attività di ricerca e nuove applicazioni intese a ridurre altrove le emissioni di CO2.

5.3

La Commissione osserva che, in un sistema «chiuso» di scambio delle quote (vale a dire limitato al solo settore dei trasporti aerei), il prezzo delle quote varierebbe da 114 a 325 euro a tonnellata, rispetto ai 30 euro ipotizzati. È probabile che un tale sistema comporterebbe un aumento dei prezzi dei biglietti dell'ordine di 8-30 euro per un volo a corto raggio. Sebbene questo possa sembrare un modo più realistico sia per influenzare la domanda che per promuovere un consumo più efficiente dei carburanti e lo svolgimento di attività di ricerca mirate a ridurre al minimo le emissioni, è improbabile che esso trovi appoggio a livello comunitario, dove le priorità in materia di trasporti sono molto diverse. Un sistema chiuso o limitato al settore dei trasporti renderebbe un accordo globale ancora più improbabile.

5.4

Nella proposta di direttiva, la Commissione ha riconosciuto i risultati dell'ottima analisi condotta, secondo la quale le emissioni degli aeromobili sono da due a quattro volte più dannose per il clima rispetto alle emissioni prodotte dagli altri settori (5), ma ha deciso di non tenerne conto. (Questi dati sono dovuti in larga misura al fatto che la maggior parte delle emissioni viene prodotta nella stratosfera, e agli effetti delle emissioni di gas diversi dalla CO2, quali le scie di condensazione e gli ossidi di azoto). Occorre pertanto adottare iniziative complementari per ridurre o compensare gli ossidi di azoto.

5.5

Gli operatori aerei godono già dell'esenzione dalle imposte dei carburanti, e la distribuzione a titolo gratuito delle quote iniziali di emissioni di carbonio accrescerà ulteriormente i vantaggi concessi loro dagli Stati di riferimento rispetto ad altri settori di trasporto. Esiste il rischio che gli operatori approfittino dell'introduzione dell'ETS per aumentare i prezzi in modo indiscriminato. Una chiara presentazione al pubblico da parte della Commissione del reale impatto finanziario del sistema sui costi del settore potrebbe limitare i profitti ingiustificati.

5.6

È inoltre opportuno riflettere sulle «esenzioni» proposte nella direttiva. Quella prevista per le emissioni provocate dagli spostamenti aerei dei capi di Stato, dei capi di governo o dei ministri di governo, ad esempio, è particolarmente inopportuna, dato che proprio questo gruppo dovrebbe dare il buon esempio. Malgrado vi siano ragioni amministrative per concedere questa esenzione (si tratta di voli effettuati per lo più da unità militari), si dovrebbe chiedere agli Stati membri di compensare volontariamente tali emissioni, come alcuni Stati hanno già deciso di fare.

5.7

Dato che la Commissione ha optato per un sistema aperto di acquisto delle quote aggiuntive, non è del tutto giustificabile il fatto che essa non abbia dimostrato maggiore rigore nell'allineare il «calendario» del sistema con gli impegni attualmente sottoscritti dall'UE per la prima fase del protocollo di Kyoto (per il periodo 2008-2012, riduzione dell'8 % rispetto ai livelli del 1990) e con i futuri impegni (entro il 2020, ad esempio, riduzione del 30 % rispetto ai livelli del 1990). La scelta del 2005 come anno di riferimento concede al settore un livello di partenza che è già di circa il 100 % superiore rispetto a quello previsto nel protocollo di Kyoto. Beninteso, visto che il trasporto aereo è il primo settore dei trasporti cui viene applicato il sistema comunitario di scambio delle quote di emissione dei gas a effetto serra, è bene che la prima assegnazione delle quote avvenga in linea con i principi previsti nelle regole ETS.

5.8

È improbabile che questa direttiva possa contribuire in modo significativo a rallentare l'aumento delle emissioni complessive imputabili ai trasporti aerei. Tuttavia, il fatto che grazie all'ETS possa stabilizzare le emissioni nette di CO2 e, in tal modo, fornire risorse da investire in ulteriori riduzioni, è una giustificazione più che sufficiente del costo e della complessità amministrativa della sua attuazione. La proposta di direttiva in esame non si limita ad offrire al trasporto aereo un alibi ambientale, ma potrebbe contribuire in modo efficace a sensibilizzare l'opinione pubblica, offrire nuove e importanti risorse per la riduzione del carbonio e fornire un metodo per internalizzare i costi ambientali esterni che finora il settore del trasporto aereo ha potuto permettersi di ignorare.

Bruxelles, 31 maggio 2007.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  COM(2005) 459 def. del 27.9.2005.

(2)  NAT/299 — Impatto del trasporto aereo sui cambiamenti climatici.

(3)  Sintesi della valutazione d'impatto, punto 5.3.1.

(4)  Cfr. Allegato I per una breve descrizione dell'ETS.

(5)  IPCC Summary for Policymakers 2007, The science of climate change,

http://www.ipcc.ch/pub/sarsum1.htm


ALLEGATO I

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Qui di seguito si riportano gli emendamenti che, pur essendo stati respinti durante il dibattito, hanno ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi.

Punto 1.8.2

Modificare come segue:

1.8.2

Il tetto di emissioni proposto per il trasporto aereo va abbassato in modo che l'adeguamento richiesto al settore aereo sia deve essere comparabile a quello richiesto ad altri settori già soggetti all'ETS comunitario.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 18

Voti contrari: 33

Astensioni: 9

Punto 1.8.3

Modificare come segue:

1.8.3

L'assegnazione a titolo gratuito di quote agli operatori andrebbe abolita o notevolmente ridotta, stabilendo che tutte le quote, o la maggior parte di esse, vengano assegnate mediante asta. stabilita in linea con le norme dell'ETS comunitario e con i documenti guida.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 13

Voti contrari: 24

Astensioni: 6


ALLEGATO II

Nel 2005, l'Unione europea ha creato un mercato paneuropeo delle emissioni di anidride carbonica per i principali settori industriali responsabili delle emissioni di gas a effetto serra. Questo sistema è il precursore di un meccanismo analogo che dal 2008 impegnerà i firmatari del protocollo di Kyoto. L'obiettivo dell'ETS comunitario è quello di preparare gli Stati europei a Kyoto.

Il sistema si basa sull'assegnazione, sotto la supervisione della Commissione europea, di quote di emissione di gas a effetto serra, chiamate quote comunitarie, a settori industriali specifici per mezzo di piani nazionali di assegnazione (PNA). Tali quote possono essere scambiate. La prima fase dell'ETS comunitario copre il periodo 2005-2007, mentre la seconda coincide con il primo periodo di impegno previsto dal protocollo di Kyoto (2008-2012).

La prima fase dell'ETS comunitario riguarda 7.300 aziende e 12.000 impianti appartenenti ai settori dell'industria pesante comunitaria, in cui rientrano le imprese produttrici di energia, le raffinerie petrolifere, i produttori di ferro e acciaio, l'industria della pasta di carta e della carta, nonché i cementifici, le vetrerie e i produttori di calce, mattoni e ceramica.

In base all'ETS, a ciascun paese dell'UE vengono imposti obiettivi annuali di emissioni di CO2; a sua volta, ciascun paese distribuisce le proprie quote nazionali tra le aziende le cui fabbriche e impianti sono i principali responsabili di tali emissioni: centrali elettriche, produttori di materiali da costruzione e altre industrie pesanti.

Ciascuna quota comunitaria consente al relativo proprietario di emettere una tonnellata di anidride carbonica. Le imprese che non utilizzano tutte le proprie quote di emissione, vale a dire che producono emissioni in quantità inferiore rispetto alle quote loro assegnate, possono vendere le quote in eccesso. Le imprese che superano il tetto massimo di emissioni devono compensare le emissioni in eccesso acquistando quote comunitarie o pagando una multa di 40 euro per tonnellata.

Per gestire lo scambio e la contabilità delle quote, l'ETS prevede l'obbligo, per tutti gli Stati membri dell'UE, di creare un registro nazionale delle quote di emissione, in cui venga registrata la contabilità delle quote per tutte le imprese soggette al sistema.

Il mercato opera mediante broker o intermediari e transazioni elettroniche in cui le quote sono scambiate su base quotidiana. Oggetto principale degli scambi sono i contratti a termine, vale a dire le quote da scambiarsi ad una data futura. Queste date future corrispondono alla fine dell'anno solare cui si riferiscono le quote.


27.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 175/53


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio recante norme specifiche per il settore ortofrutticolo e recante modifica di taluni regolamenti

COM(2007) 17 def. — 2007/0012 (CNS)

(2007/C 175/14)

Il Consiglio, in data 14 febbraio 2007, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 36 e 37 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 maggio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore CAMPLI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 30 maggio 2007, nel corso della 436a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere all'unanimità.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE ritiene che gli obiettivi della riforma, se perseguiti nella loro globalità, possono costituire una politica coerente per lo sviluppo di questo importante settore dell'economia agricola, industriale ed alimentare dell'Unione europea.

1.2

Il CESE sottolinea positivamente la conferma della centralità dell'organizzazione di produttori nell'Organizzazione comune di mercato del settore ortofrutticolo.

1.3

Il CESE considera la dotazione finanziaria una componente essenziale di una politica coerente atta a garantire la competitività del settore ortofrutticolo europeo; esso invita pertanto la Commissione ad una riflessione più accurata sulle conseguenze finanziarie delle innovazioni introdotte, pur positive e condivisibili.

1.4

Il CESE, infatti, rileva che l'introduzione di nuove e importanti misure nei programmi operativi porta ad un'obiettiva diminuzione delle risorse disponibili per gli investimenti e l'occupazione.

1.5

Il CESE sostiene la strategia della Commissione tesa a ricondurre entro il 2013 tutto il primo pilastro ad un insieme omogeneo ed equilibrato; a tal fine invita la Commissione ad impostare anche nel settore ortofrutticolo un adeguato percorso di transizione per condurre l'insieme degli operatori della filiera all'appuntamento con il nuovo sistema e, nello stesso tempo, per dare ai consumatori europei la sicurezza di un'offerta quali-quantitativa adeguata.

1.6

Il CESE sottolinea positivamente la politica della Commissione tesa alla salvaguardia attiva dell'ambiente; a tal fine raccomanda misure flessibili e premianti delle pratiche e degli orientamenti dei diversi operatori. Per quanto riguarda la promozione del consumo dei prodotti ortofrutticoli presso categorie particolari di consumatori, si raccomanda una strategia più incisiva nelle politiche orizzontali di promozione.

1.7

Il CESE raccomanda di mantenere le norme di commercializzazione a garanzia dei consumatori, con particolare riferimento alla sicurezza sanitaria e alla provenienza dei prodotti.

2.   Riflessioni e proposte della Commissione

2.1

La Commissione enuncia i seguenti obiettivi:

potenziare la competitività e l'orientamento al mercato dei prodotti ortofrutticoli dell'UE: in altre parole, contribuire a rendere la produzione sostenibile e competitiva sia sul mercato interno che sui mercati esteri,

ridurre le fluttuazioni del reddito dei produttori ortofrutticoli dovute alle crisi,

aumentare il consumo di ortofrutta nell'UE,

portare avanti l'impegno del settore a conservare e tutelare l'ambiente,

semplificare e, se possibile, ridurre l'onere amministrativo per tutti gli interessati.

2.2

L'architettura della riforma è imperniata su tre opzioni fondamentali:

neutralità sul piano del bilancio,

adeguamento dell'Organizzazione comune di mercato (OCM) alla riforma della PAC del 2003 e ai successivi regolamenti,

consolidamento della struttura dell'OCM grazie ad un rafforzamento delle organizzazioni di produttori (OP).

2.2.1

La Commissione dichiara che gli obiettivi sopra menzionati sono stati definiti alla luce delle esigenze di compatibilità con l'Organizzazione mondiale del commercio (OMC), di coerenza con la PAC riformata e di conformità alle prospettive finanziarie vigenti.

2.2.2

La Commissione ricorda che la produzione di ortofrutticoli dell'UE-27 rappresenta il 3,1 % del bilancio della Comunità e il 17 % della produzione agricola complessiva dell'UE.

2.2.3

Le risorse che la proposta di riforma assegna agli ortofrutticoli freschi rimangono pari al 4,1 % del valore della produzione commercializzata (VPC) dalle OP, mentre i massimali nazionali relativi al prodotto trasformato vengono trasferiti al premio unico aziendale (PUA) secondo i valori storici per paese e, per i nuovi Stati membri, secondo quelli definiti in virtù dei Trattati di adesione.

2.2.4

Nelle regioni in cui i produttori sono scarsamente organizzati, viene autorizzata l'erogazione di aiuti finanziari supplementari a carattere nazionale.

2.2.5

Il cofinanziamento del programma operativo viene mantenuto al 50 %, salvo alcuni casi particolari per i quali arriva al 60 % (azioni a carattere transnazionale, azioni svolte a livello interprofessionale, produzione biologica, produttori di nuovi Stati membri, fusione di OP, regioni ultraperiferiche, regioni con meno del 20 % di produzione organizzata).

2.2.6

Il 5 % della produzione potrà beneficiare di ritiri di mercato pagati dalla Commissione al 100 % per le seguenti destinazioni: opere di beneficenza, enti caritativi, istituti di pena, scuole, colonie di vacanze, nonché ospedali e ospizi per persone anziane.

2.2.7

Si prevede l'abrogazione dell'articolo 51 del regolamento (CE) n. 1782/2003, e conseguentemente l'eleggibilità delle superfici ortofrutticole al PUA.

2.2.8

Gli Stati membri stabiliscono gli importi di riferimento e il numero di ettari ammissibili nell'ambito del regime di pagamento unico (RPU) in base ad un periodo rappresentativo idoneo per il mercato di ciascun prodotto ortofrutticolo e secondo adeguati criteri oggettivi e non discriminatori.

2.2.9

La Commissione prevede cha almeno il 20 % della spesa totale di ciascun programma operativo debba essere destinato ad azioni dedicate a misure agroambientali.

2.2.10

La proposta non tocca la disciplina vigente in materia di commercio estero; si propone tuttavia l'abolizione delle restituzioni all'esportazione.

2.2.11

Una parte della regolamentazione del settore ortofrutta prevista dalla proposta in esame figurava già nella proposta di regolamento sulla «OCM unica» (attualmente all'esame del Consiglio).

2.2.12

Nella sua proposta di riforma la Commissione prevede anche una successiva revisione delle norme di commercializzazione, in particolare per quanto riguarda la qualità, la classificazione, il peso, la calibrazione, il condizionamento, l'imballaggio, il magazzinaggio, il trasporto, la presentazione, l'immissione in commercio e l'etichettatura. La proposta della Commissione conferma per gli ortofrutticoli freschi il ruolo fondamentale delle organizzazioni di produttori:

modificando l'elenco dei prodotti per i quali si può costituire una OP,

conferendo alle OP anche la responsabilità di gestione delle crisi fino ad un terzo del programma operativo,

prevedendo un livello di vendita diretta fissato dallo Stato membro, a partire da un minimo del 10 %.

2.2.13

La proposta riconosce le organizzazioni interprofessionali e prevede l'estensione ai produttori non organizzati delle regole previste per gli aderenti ad una OP, a condizione che quest'ultima controlli almeno il 60 % dell'offerta nella circoscrizione economica interessata.

2.2.14

La Commissione prevede che gli Stati membri individuino una strategia nazionale per consentire la valutazione dei programmi operativi da parte delle OP.

2.2.15

All'interno dei singoli programmi operativi vengono proposte azioni obbligatorie di promozione in favore dei giovani al di sotto dei 18 anni.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1

Il CESE ritiene che gli obiettivi della riforma, se perseguiti nella loro globalità, possono costituire una politica coerente per lo sviluppo di questo importante settore dell'economia agricola, industriale ed alimentare dell'Unione europea. La Commissione stessa, infatti, nelle «Motivazioni della riforma» sottolinea che «dei 9,7 milioni di aziende agricole dell'Unione europea a 25, 1,4 milioni producono ortofrutticoli. Questo settore copre il 3 % delle superfici coltivate e produce il 17 % del valore della produzione agricola dell'UE. Esso deve fare fronte alle pressioni delle catene di vendita al dettaglio, caratterizzate da un'elevata concentrazione, e all'aumento della concorrenza dei prodotti provenienti da paesi terzi (…). Il settore riceve circa il 3,1 % del bilancio della PAC» (1). Dal canto suo, il CESE sottolinea che il settore ortofrutticolo — a parità di superficie utilizzata — è il settore produttivo agricolo che assorbe il più alto grado di occupazione. Esso si colloca, inoltre, in un contesto di competizione internazionale (negoziati OMC, zona di libero scambio euromediterranea nel 2010) che sempre di più influirà sull'evoluzione delle produzioni ortofrutticole europee.

3.2

Dal canto suo, la Corte dei conti europea nella relazione speciale n. 8/2006 intitolata Coltivare il successo? L'efficacia del sostegno dell'Unione europea ai programmi operativi a favore dei produttori ortofrutticoli, analizzando anche criticamente l'operato delle organizzazioni di produttori e riscontrando altresì un «significativo passo in avanti, rispetto alla situazione iniziale», ha invitato a migliorare il monitoraggio dell'efficacia dell'aiuto ed ha chiesto di «focalizzare meglio la politica» al fine di rafforzare le OP.

3.3

Il CESE rileva la distanza che separa gli obiettivi enunciati e la dotazione finanziaria — componente essenziale di una politica coerente — resa disponibile per l'attuazione degli stessi, che conferma uno squilibrio della PAC nei confronti delle produzioni mediterranee.

Il CESE constata che la Commissione ha formulato le sue proposte all'interno di un vincolo di bilancio non superato. Rileva altresì che attraverso la soppressione dei ritiri dal mercato e delle restituzioni alle esportazioni la Commissione determina un aumento delle risorse potenziali a disposizione dei futuri programmi operativi, risorse che rischiano però di rimanere inutilizzate e che non potranno formare oggetto di investimenti da parte delle OP più efficienti.

3.4

Il CESE constata, inoltre, che la proposta da una parte introduce nei programmi operativi nuove misure di grande valenza politica ed economica (gestione delle crisi di mercato, politica ambientale, promozione dei consumi) e, dall'altra, eleva il cofinanziamento (fino al 60 %) di alcune misure ritenute strategiche.

Questa politica innovativa, combinata con la permanenza del massimale per l'aiuto finanziario comunitario ai programmi operativi, pari al 4,1 % del valore della produzione commercializzata (VPC) da ciascuna OP, configura, di fatto, una diminuzione delle risorse disponibili per investimenti.

3.5

Il CESE rileva, peraltro, che l'introduzione del disaccoppiamento totale degli aiuti al prodotto trasformato potrebbe molto verosimilmente configurare una riduzione del VPC, e conseguentemente la riduzione delle risorse finanziarie a livello aggregato rispetto allo status quo.

3.6

Per tutte queste ragioni, il CESE considera quindi necessario introdurre almeno tre correzioni, restando all'interno del principio di una «vera» neutralità sul piano del bilancio:

non contabilizzare la gestione delle crisi di mercato all'interno del programma operativo della OP,

derogare al vincolo del 4,1 %, quando le azioni sono cofinanziate al 60 %, per permettere anche alla OP già consolidata di proseguire il suo impegno nel riequilibrare «il potere commerciale della grande distribuzione» (2),

includere le azioni congiunte tra due o più OP tra quelle con cofinanziamento comunitario al 60 %, promuovendo in tal modo la collaborazione tra OP e la concentrazione dell'offerta.

3.7

Il CESE, peraltro, prende atto della proposta della Commissione di affidare la gestione delle crisi alle OP e invita la Commissione a predisporre criteri trasparenti per la gestione delle crisi e a far sì che gli strumenti previsti a tale scopo possano essere utilizzati da tutti i produttori, in modo tale che un eventuale intervento in situazioni di crisi sia efficace e consenta il ripristino effettivo dei mercati.

3.8

Il CESE è a conoscenza che la Commissione ha più volte dichiarato la sua strategia di lungo periodo tesa a ricondurre tutte le OCM nel regime del PUA entro il 2013. Il CESE ritiene possibile, anche in coerenza con le riforme fin qui approvate, prendere in considerazione un adeguato periodo di transizione, tenendo conto delle specificità di ogni Stato membro e dei diversi prodotti. Il CESE infatti ha ben presenti le conseguenze di un approccio affrettato, destrutturante per l'occupazione e per l'industria di trasformazione. Quest'ultima infatti deve affrontare una complessa strategia di ristrutturazione — che potrà comportare anche la chiusura di impianti — per la quale la proposta di riforma non prevede specifiche misure di accompagnamento.

3.9

Il CESE, inoltre, prende atto che la Commissione per esigenze di compatibilità con l'OMC ritiene necessario il superamento dell'articolo 51 del regolamento (CE) n. 1782/2003. Questa eventualità viene a configurare una concorrenzialità aggiuntiva all'interno del settore tra ortofrutticoltori storici e potenziali nuovi produttori. Al fine di evitare distorsioni artificiali nella dinamica reddituale del settore, il CESE — per un periodo transitorio — considera indispensabile dare facoltà agli Stati membri di mantenere la validità dell'articolo 51 in maniera selettiva per alcuni prodotti sensibili, oppure di prevedere nuovi diritti per gli ortofrutticoltori che non ne hanno generati con le loro produzioni storiche.

3.10

Il CESE prende atto che la Commissione, nell'ambito degli scambi con i paesi terzi, propone l'abolizione delle restituzioni all'esportazione del settore ed osserva che ciò si colloca all'interno di una politica generale dell'Unione europea non omogenea e non pienamente coerente tra i diversi settori dell'agricoltura. Chiede inoltre alla Commissione di evitare qualsiasi concessione commerciale contraria al principio della preferenza comunitaria e le raccomanda di garantire una gestione rigorosa dei contingenti tariffari e di mantenere la clausola di salvaguardia speciale: questo anche considerando che l'UE è il più grande importatore mondiale di ortofrutticoli, che oltre il 70 % delle sue importazioni proviene da paesi che fruiscono di accordi commerciali preferenziali e che nel settore sono presenti prodotti cosiddetti sensibili.

3.11

Il CESE, pur condividendo l'obiettivo di una tendenziale semplificazione, ritiene che il mantenimento delle norme di commercializzazione costituisca uno strumento fondamentale sia per la garanzia che esse offrono ai consumatori, con riferimento alla sicurezza e all'origine del prodotto, sia per l'importante ruolo che esplicano nella regolazione del mercato. A tal fine, il CESE sottolinea l'importanza per l'UE di riuscire ad introdurre la tracciabilità, in quanto misura di base per la gestione del rischio sanitario e fitosanitario, nelle norme che regolano gli scambi internazionali.

3.12

Il CESE rileva, inoltre, la necessità che l'Unione europea si faccia promotrice, a livello internazionale, dell'introduzione e del riconoscimento di standard ambientali e di standard sociali con riferimento ai lavoratori impegnati nei processi produttivi.

3.13

Il CESE sottolinea positivamente la politica della Commissione tesa alla salvaguardia attiva dell'ambiente. A tale proposito il CESE ritiene che, più che definire vincoli e parametri percentuali fissi, sarebbe maggiormente efficace applicare una metodologia di cofinanziamento incrementale, partendo da una base minima obbligatoria, tesa a premiare i programmi operativi orientati verso questi obiettivi.

3.14

Per quanto riguarda la promozione del consumo dei prodotti ortofrutticoli presso categorie particolari di consumatori, il CESE condivide l'attenzione che la Commissione riserva a tale obiettivo, e quindi la sollecita a programmare una strategia promozionale specifica nell'ambito della politica di promozione orizzontale; esprime per contro dubbi sull'efficacia dell'obbligatorietà di azioni promozionali, inevitabilmente di ridotte dimensioni, all'interno dei programmi operativi.

4.   Osservazioni di carattere specifico

4.1

Il CESE osserva che la proposta della Commissione non apporta alcuna soluzione al problema dei produttori di frutti rossi destinati alla trasformazione. Il CESE ritiene opportuno creare un sistema di aiuti diretti per il settore dei frutti rossi, analogamente a quanto avviene per altri prodotti ortofrutticoli destinati alla trasformazione (per es. la frutta secca).

4.2

Il CESE sottolinea positivamente l'inserimento delle erbe aromatiche tra i prodotti per cui è possibile costituire una OP e invita inoltre la Commissione a verificare se l'elenco definito nella sua proposta risponde alle esigenze di tutti i territori dell'UE.

4.3

Il CESE, sulla base delle esperienze analoghe già maturate nelle distribuzioni per beneficenza, richiama l'attenzione della Commissione sulla necessità di prevedere modalità applicative snelle ed efficaci.

4.4

Il CESE invita la Commissione a considerare anche le destinazioni non alimentari, tra quelle contemplate nelle misure relative alla distribuzione gratuita.

4.5

Il CESE invita la Commissione a considerare la particolare difficoltà dei produttori dei nuovi Stati membri nel cofinanziare la gestione delle crisi.

4.6

Il CESE considera contraddittorio rispetto agli obiettivi della riforma prevedere un limite minimo di commercializzazione diretta da parte del produttore e suggerisce di mantenere la formulazione del regolamento precedente.

4.7

Il CESE non è contrario a prevedere l'individuazione da parte degli Stati membri di una strategia nazionale in tema di programmi operativi, anche per l'utilizzo e la valorizzazione di strutture pubbliche già esistenti; ritiene però che queste strategie nazionali debbano essere facoltative per lo Stato membro interessato e non debbano portare alla riedizione di liste di azioni positive nazionali.

4.8

Il CESE inoltre osserva che in alcuni casi può manifestarsi un contrasto tra la politica comunitaria tesa a incentivare la concentrazione dell'offerta, anche attraverso la fusione tra OP, e l'azione dell'autorità comunitaria o nazionale a difesa della concorrenza. Chiede pertanto che l'applicazione delle norme sulla concorrenza tenga conto del dimensionamento europeo del mercato ortofrutticolo.

4.9

Il Comitato propone alla Commissione di costituire un Osservatorio comunitario dei prezzi e delle pratiche commerciali: un tale strumento potrà, a suo avviso, migliorare la trasparenza del mercato a vantaggio di tutti gli operatori.

4.10

Il CESE, considerando che la riforma proposta conferma un'Organizzazione comune di mercato autonoma per il settore, invita la Commissione a non introdurre nel regolamento relativo alla cosiddetta OCM unica ulteriori norme specifiche relative all'ortofrutta.

Bruxelles, 30 maggio 2007.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Documento di lavoro dei Servizi della Commissione SEC(2007) 75 — Verso una riforma delle Organizzazioni comuni di mercato degli ortofrutticoli freschi e trasformati; Sintesi della valutazione di impatto.

(2)  GU C 255 del 14.10.2005, pag. 44, parere CESE 381/2005 — La grande distribuzione: tendenze e conseguenze per agricoltori e consumatori.


27.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 175/57


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2006/66/CE relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori, per quanto riguarda le competenze di esecuzione conferite alla Commissione

COM(2007) 93 def. — 2007/0036 (COD)

(2007/C 175/15)

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 19 aprile 2007, ha deciso, a norma dell'articolo 175, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

Poiché si era già pronunciato sul contenuto della proposta nel parere, adottato il 28 aprile 2004 (1), il Comitato, in data 30 maggio 2007, nel corso della 436a sessione plenaria, ha deciso, con 159 voti favorevoli e 11 astensioni, di non procedere all'elaborazione di un nuovo parere in materia ma di rinviare alla posizione a suo tempo sostenuta nel documento citato.

 

Bruxelles, 30 maggio 2007.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  2003/0282 (COD), GU C 117 del 30.4.2004.


27.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 175/57


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Sfide e opportunità per l'Unione europea nel contesto della globalizzazione

(2007/C 175/16)

Nel quadro delle attività della presidenza tedesca dell'Unione europea, il ministro federale tedesco dell'Economia e della tecnologia Michael GLOS ha richiesto, con lettera datata 26 settembre 2006, un parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema: Sfide e opportunità per l'Unione europea nel contesto della globalizzazione.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 maggio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore Henri MALOSSE e dal correlatore Staffan NILSSON.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 31 maggio 2007, nel corso della 436a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere all'unanimità.

1.   Sintesi

Per una strategia comune di fronte alla globalizzazione

L'UE si può considerare come un banco di prova per il mondo globalizzato. Si è sviluppata sulla base di principi democratici e non egemonici, nel rispetto della diversità di opinioni e di culture e all'insegna della coesione economica e sociale e dell'apertura. Pur se il nuovo ordine mondiale non può essere a sua immagine e somiglianza, l'UE deve far valere i propri valori e principi, nonché operare a favore di una governance mondiale che si ispiri alle principali acquisizioni della costruzione europea. L'UE è credibile quando si fa portatrice dei propri valori e propone il suo modello d'integrazione senza mostrare arroganza o volontà egemonica. Se l'UE non avrà una visione o una strategia comune di fronte alle sfide e alle opportunità offerte dalla globalizzazione, rischierà che i popoli europei si sentano abbandonati e si interroghino sull'utilità stessa dell'Europa.

1.1   Uno «Stato di diritto planetario»

La prima risposta dell'UE deve essere quella di contribuire con maggior vigore alla creazione di uno «Stato di diritto» che tenga conto delle realtà quali esse sono veramente, ma anche che si adoperi, senza risparmiarsi, per far progredire con tutti i mezzi disponibili una globalizzazione umanista fondata sul multilateralismo e non sui rapporti di forza, sui diritti fondamentali dell'uomo — soprattutto i diritti al lavoro e le condizioni di lavoro, su una gestione responsabile del nostro patrimonio naturale, su una maggiore trasparenza dei mercati finanziari, su un livello elevato di salute e di sicurezza alimentare per tutta la popolazione, soprattutto le fasce più fragili, sulla diversità culturale e linguistica, sulla condivisione e la diffusione delle conoscenze tra tutti.

1.2   Incoraggiare l'emulazione

In secondo luogo, l'UE può e deve favorire le integrazioni regionali. A quanto si rileva, la maggior parte dei paesi al mondo, con rare eccezioni, è al momento impegnata in processi di ravvicinamento che vanno dalla semplice cooperazione tematica ad autentici processi d'integrazione paragonabili a quello dell'UE. La globalizzazione sarebbe probabilmente più facile da regolamentare se l'UE incoraggiasse gli altri paesi ad emularla e se un maggior numero di raggruppamenti regionali coerenti, anch'essi fondati sul pluralismo, sul rispetto delle diversità e sulla pratica del consenso avviassero un dialogo invece di restare fedeli a una logica basata sui rapporti di forza. L'integrazione regionale, peraltro, è di certo una delle soluzioni del futuro per le regioni più fragili del mondo, che vedono nella compartimentazione dei mercati un ostacolo invalicabile e non possono oggi far sentire la loro voce.

1.3   Un'apertura agli scambi equilibrata e responsabile

In materia di scambi commerciali internazionali, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che degli approcci bilaterali siano utili solo se complementari al multilateralismo dell'OMC. Il CESE esorta a compiere passi avanti sulle questioni dell'accesso ai mercati, della reciprocità e della lotta contro gli ostacoli al commercio e le prassi illecite. Il CESE propone di avviare un dialogo sugli altri aspetti della governance mondiale che hanno un impatto sul commercio (in particolare norme sociali e ambiente). L'UE deve altresì contribuire a una strategia inclusiva che consenta a tutti i paesi in via di sviluppo, soprattutto del continente africano, di trarre vantaggio dal processo di globalizzazione.

A livello comunitario, il CESE ravvisa altresì la necessità di valutare attentamente l'impatto di qualunque nuova concessione commerciale, di fare un uso migliore degli strumenti di difesa commerciale, soprattutto al fine di difendere gli interessi dei produttori dell'UE, e di promuovere azioni comuni sui mercati esterni. Il CESE ritiene che il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione vada utilizzato come strumento strategico d'intervento a favore delle persone e delle regioni colpite dalla globalizzazione, e vada integrato da fondi nazionali.

1.4   Accelerare l'integrazione e mantenere la diversità culturale

Più l'Europa sarà coerente ed integrata, più essa sarà convincente ed avrà la forza trainante necessaria a far prevalere una governance mondiale multipolare e responsabile. La globalizzazione può oggi andare a vantaggio del processo d'integrazione europea in quanto costringe l'UE ad accelerare il passo. L'Europa è impegnata oggi in una gara di velocità: le chiavi del suo successo potrebbero essere innovazione, diffusione generalizzata delle conoscenze e democratizzazione. È tempo ormai di portare a compimento il mercato interno, di eliminare la compartimentazione delle reti per l'istruzione e la ricerca e di mettere a punto nuove politiche comuni in materia soprattutto di energia, ambiente e ricerca.

1.5   Fare della società civile organizzata la promotrice di una globalizzazione dal volto umano

L'Europa stessa deve coinvolgere e far partecipare maggiormente i suoi cittadini sostenendo al contempo il dialogo tra civiltà a livello mondiale. Il ricorso alla società civile, alle sue organizzazioni e alle sue istituzioni, come il CESE, costituisce una strada finora non esplorata a sufficienza. Essa assume un significato particolare nel caso della globalizzazione perché emerge chiaro che le relazioni internazionali coinvolgono oggi direttamente, al di là del livello statale, anche i mezzi di comunicazione, le parti sociali, le imprese, la comunità scientifica e culturale, le associazioni e tutte le altre forze della società civile.

2.   Un approccio globale per raccogliere le sfide della globalizzazione

2.1

Sin dall'inizio, la costruzione europea si è realizzata all'insegna dell'apertura. Eliminando poco per volta le proprie frontiere interne, l'UE ha potuto creare un grande mercato interno, modernizzare la propria economia, sviluppare le infrastrutture e conquistare un posto di spicco nel commercio internazionale.

2.2

L'integrazione europea, però, va ben oltre il mercato interno. L'UE si è dotata di regole comuni, di un proprio ordinamento giuridico e giurisdizionale, di una Carta dei diritti fondamentali e di politiche comuni. Una menzione particolare merita la politica di coesione economica e sociale, portatrice del principio di solidarietà tra i paesi e le regioni e destinata a contribuire alla riduzione dei divari di sviluppo accentuatisi dopo gli ultimi allargamenti.

2.3

Oggi la sfida della globalizzazione si situa in un contesto e in condizioni alquanto diverse, caratterizzate in particolare da una governance ai suoi primi passi, da tentazioni egemoniche e da tensioni crescenti tra paesi avanzati ed economie emergenti. Questi squilibri mondiali costituiscono una vera e propria novità per l'UE.

2.4

In origine, il progetto europeo non era affatto «eurocentrico». Gli ispiratori dei primi Trattati immaginavano già che le Comunità europee potessero aprirsi a tutti i popoli d'Europa, una volta liberati dalle dittature, e rappresentare dunque un modello per un nuovo ordine mondiale basato sullo Stato di diritto, sull'apertura e sulla fiducia.

2.5

La globalizzazione presenta ovviamente numerose analogie con gli effetti positivi già riscontrati dai paesi europei al momento di aprire i loro mercati su base di reciprocità, quali lo sfruttamento di vantaggi comparativi e di economie di scala, nonché di nuove dinamiche di sviluppo e di nuovi mercati.

2.6

La globalizzazione pone però anche una serie di nuove sfide che richiedono risposte e adeguamenti spesso molto complessi; si considerino in particolare le innumerevoli difficoltà e asimmetrie di accesso ai mercati, la fuga di cervelli, la tutela del multilinguismo e della diversità culturale, le migrazioni, l'estrema diversità delle condizioni di lavoro e produzione, l'internazionalizzazione del capitale e dei mercati finanziari in una misura finora sconosciuta, la fragilizzazione delle conquiste sociali dei paesi avanzati, sotto l'influsso di una concorrenza globalizzata, e infine le importanti sfide legate alla tutela ambientale, alla sanità e alla sicurezza.

2.7

La globalizzazione non produce ovunque i medesimi effetti. Se essa favorisce lo sviluppo economico e sociale di alcune parti del mondo, ne fragilizza invece altre, come le regioni avanzate soggette a una concorrenza più intensa o i paesi in ritardo di sviluppo che vengono «ignorati» da tale fenomeno.

2.8

Per far fronte a queste sfide l'UE deve dimostrare che sa trarre vantaggio dalla globalizzazione, invece di subirla. Essa deve, da un lato, cogliere tutte le opportunità che la globalizzazione offre, ma, dall'altro, accertare come questa si ripercuota sulle regioni, sui settori e sui gruppi di popolazione, allo scopo di determinare, di concerto con gli Stati membri, le parti sociali ed altri attori interessati della società civile, le azioni concrete che consentiranno di operare i necessari adattamenti.

2.9

Le sfide della globalizzazione non possono essere affrontate da un'angolazione puramente economica, in quanto presentano aspetti politici, sociali, ambientali, ma anche culturali, tutti tra loro strettamente legati. La risposta dell'UE deve pertanto coprire anche tutti questi aspetti per non rischiare di essere scarsamente convincente e persuasiva.

2.10

L'approccio dell'integrazione regionale, caratteristico dell'UE, consente a quest'ultima, in sede di OMC, di parlare a nome dei suoi Stati membri. Esistono al mondo altri esempi di integrazione regionale, che però non hanno raggiunto uno stadio equivalente a quello europeo. Se si eccettua la Comunità caraibica (Caricom), questi raggruppamenti regionali non si esprimono ad una voce in sede di OMC. Una governance mondiale meglio strutturata e più efficace avrebbe invece molto da guadagnare da una simile evoluzione.

2.11

Nell'UE si rileva una percezione diversa della globalizzazione a seconda dei gruppi di popolazione e degli Stati membri. Questa diversità può essere fonte di ricchezza, ma le sfide della globalizzazione, dati il loro ritmo sempre più serrato e la loro portata sempre più ampia, richiedono oggi una strategia comune e proposte concrete.

3.   Contribuire a fissare regole mondiali più efficaci ai fini di una «globalizzazione dal volto umano»

3.1

I valori portati avanti dal progetto europeo (in particolare diversità e collegialità, Stato di diritto, sussidiarietà, equilibrio tra fattori economici, sociali e sviluppo sostenibile) non risultano oggi sufficientemente diffusi sulla scena internazionale.

3.2

Le relazioni interstatali non possono da sole coprire l'intero fenomeno della globalizzazione, che riguarda tra l'altro i movimenti migratori, i flussi di capitali, l'inquinamento e i danni climatici, i circuiti d'informazione (soprattutto Internet). Oltre agli Stati, le imprese multinazionali, i mercati finanziari, i mezzi di comunicazione, la comunità scientifica, la società civile organizzata con le sue istituzioni, le parti sociali, le ONG e numerosi altri attori sono tutti interessati in qualche forma dalla globalizzazione.

3.3

È pertanto essenziale che l'UE continui ad adoperarsi, e con determinazione ancora maggiore, a favore di una governance mondiale tramite:

il rilancio del processo di Doha in sede di OMC, ai fini di una maggiore apertura commerciale associata però a una regolamentazione che consenta scambi più equilibrati e giusti,

lo sviluppo e l'attuazione efficace delle altre regolamentazioni mondiali, come le convenzioni dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL — diritto del lavoro), le convenzioni dell'Unesco nel settore culturale (diversità), il protocollo di Kyoto in materia ambientale, le decisioni dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica (AIEA) sull'energia, le convenzioni dell'OMPI sulla proprietà intellettuale, le disposizioni dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) sulla salute, quelle dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale (UNIDO) sulla cooperazione industriale, ecc.,

un coordinamento tra i diversi strumenti di governance mondiale, sotto l'egida delle Nazioni Unite, allo scopo di creare «linee direttrici» per uno Stato di diritto dotato di meccanismi di regolamentazione e di giurisdizione fondati sul principio del pluralismo.

3.4

In questa ottica, per quanto concerne le regole di concorrenza internazionale si dovrà in particolare:

concludere l'accordo dell'OMC sull'agevolazione degli scambi, al fine di fissare degli standard in fatto di regole e procedure doganali, semplificazione e snellimento delle procedure stesse — soprattutto creazione di un regime di sportello unico — promozione di norme efficaci e trasparenti e infine impiego di strumenti informatici,

consolidare l'adozione, l'applicazione e il rispetto delle misure sanitarie e fitosanitarie e degli accordi SPS dell'OMC (sicurezza dei prodotti alimentari dal punto di vista sanitario, salute degli animali e conservazione delle specie vegetali), nonché garantire la protezione degli animali ed il loro benessere,

lottare con maggior efficacia contro la pirateria e la contraffazione, che arrecano danni sempre più considerevoli alla produzione europea, elaborando in particolare una vera e propria strategia per la tutela efficace dei diritti di proprietà intellettuale tramite l'accordo TRIPS (sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale),

subordinare i progressi commerciali al rispetto delle norme sociali, etiche e ambientali,

contribuire allo sviluppo delle capacità dei paesi emergenti (soprattutto Cina e India) e di quelli in via di sviluppo in questi settori.

3.5   Altre regolamentazioni

3.5.1

L'eventuale realizzazione di progressi significativi per tutti questi aspetti commerciali non basterebbe comunque da sola a garantire le condizioni per un vero e proprio «sviluppo sostenibile», un obiettivo pur sempre riconosciuto espressamente dall'OMC nell'agenda di Doha. Per perseguirlo si renderanno necessarie altre regolamentazioni, per le quali l'UE può anche svolgere un ruolo propulsivo e che riguardano principalmente le tematiche dell'ambiente, della sicurezza, dei diritti fondamentali, delle condizioni di lavoro e della diversità culturale.

3.5.2

Un'esigenza fondamentale è quella di proteggere l'ambiente da minacce sempre crescenti (tutela delle condizioni di vita, delle specie, lotta contro l'effetto serra e le diverse forme d'inquinamento ecc.). È una sfida che per definizione travalica qualunque frontiera ed è indissolubilmente legata al concetto stesso di globalizzazione; essa dovrebbe diventare parte essenziale dei negoziati commerciali ed essere considerata in modo trasversale nelle varie sedi di negoziato. L'UE, da parte sua, dovrebbe attribuire a questa esigenza la massima priorità.

Da un lato, l'UE dovrebbe prendere l'iniziativa di rinnovare gli accordi di Kyoto sulla riduzione dei gas ad effetto serra, con l'obiettivo di coinvolgere tutti i paesi del pianeta nello sforzo di limitare il riscaldamento climatico (il rapporto del Gruppo intergovernativo di esperti sull'evoluzione del clima — GIEC, elaborato a livello internazionale, ha approvato l'obiettivo dell'UE).

Dall'altro, l'UE dovrebbe svolgere attività, anche congiunte, di ricerca e di gestione delle tecnologie ambientali che consentano di offrire, di fronte alle nuove esigenze mondiali, conoscenze di primo piano in termini di processi, prodotti e servizi attinenti a molteplici settori (ad es. agricoltura e spazio rurale, acqua ed energia, industria e riciclaggio, alloggi ed urbanistica, ecc.).

3.5.3

Le esigenze di sicurezza hanno assunto anch'esse un'importanza maggiore e diversa a seconda dei casi. Si pensi alla tutela della salute, soprattutto di fronte al rischio di pandemie, alla lotta contro la criminalità, alla sorveglianza nucleare, alla protezione degli scambi informatici, alla sicurezza dei prodotti, soprattutto alimentari. La globalizzazione non deve essere in alcun caso associata a un incremento dell'insicurezza. Occorre pertanto definire regole efficaci che garantiscano una maggiore sicurezza per quanto concerne sia lo sviluppo degli scambi, sia i compiti fondamentali degli Stati, sia, infine, le condizioni di vita. I progressi in questo campo devono andare di pari passo con il miglioramento delle pratiche di governance, nonché delle misure di lotta contro la corruzione ed ogni forma di minaccia.

3.5.4

La dimensione sociale della globalizzazione e in particolare le norme in materia di lavoro, basate sulle convenzioni OIL (1), devono essere correttamente applicate in tutto il mondo. Grazie alla definizione dei concetti di «lavoro dignitoso» e di «commercio giusto ed equo» l'UE può, in collaborazione con l'OIL, elaborare un corpus di valori e di buone prassi. Va infine posta la questione dell'effettiva applicazione delle convenzioni OIL, arrivando anche a stabilire la giurisdizione competente.

3.5.5

Numerose iniziative sociali molto incoraggianti sono state già avviate nei paesi in via di sviluppo da attori non statali, imprese e parti sociali. Si pensi alle politiche messe a punto da numerose imprese europee sulla base dei «principi direttori» decisi in sede di OCSE e delle norme sociali dell'OIL, più in particolare le iniziative degli attori non statali in fatto di occupazione, formazione, sanità e condizioni di vita e di lavoro, anche nel quadro di un dialogo sociale regionale che travalica le frontiere nazionali. Il sostegno offerto dall'UE a simili iniziative, a cominciare da quelle attuate nei paesi ACP, andrebbe rafforzato. L'aiuto dell'UE dovrebbe essere maggiormente condizionato all'esistenza di questi programmi che prevedono la partecipazione attiva degli attori della società civile, comprese, in particolare, le iniziative a livello regionale.

3.5.6

Di fronte alla crescente internazionalizzazione dei mercati finanziari, l'UE deve poter muoversi all'unisono per fare dell'FMI un autentico strumento di stabilizzazione. I paesi della zona euro dovrebbero decidersi a partecipare all'FMI come un'entità unica, accrescendo così il peso dell'Europa. Parallelamente, traendo ispirazione dalle convenzioni dell'OCSE, l'UE deve promuovere una governance mondiale in materia di lotta contro il riciclaggio di denaro e le frodi.

3.5.7

La questione dell'istruzione e della condivisione delle conoscenze è fondamentale ai fini di una governance mondiale al servizio dei popoli. È necessario sviluppare i progetti dell'Unesco e sostenere reti che consentano la condivisione più ampia possibile delle competenze e delle conoscenze nel rispetto del pluralismo e nel quadro di un dialogo interculturale. La strategia dell'UE per una migliore governance mondiale deve tener conto altresì della diversità culturale e del multilinguismo che, pur rappresentando due punti forti dell'Europa, attualmente sono a rischio.

3.5.8

Riguardo ai diritti fondamentali, infine, l'UE deve agire di concerto perché siano rese più efficaci le disposizioni della Dichiarazione dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite e sia esteso il ruolo del Tribunale penale internazionale nel rispetto delle diversità culturali.

3.6   L'originalità del contributo dell'UE

3.6.1

Nella prospettiva di una governance mondiale rafforzata, l'UE può altresì avvalersi della propria esperienza in settori che potrebbero servire a renderla più generalmente accettata:

la sussidiarietà, che consente di affidare le responsabilità al livello più adeguato e lascia pertanto un reale margine di manovra agli Stati membri, alle regioni ed anche agli attori della società civile,

la pratica della gestione di situazioni complesse, che si fonda sul ricorso a velocità differenziate e sul rispetto delle diversità culturali,

la consultazione degli attori socioeconomici e la loro partecipazione al processo decisionale.

3.6.2

Come già fa attualmente con i paesi ACP, nelle relazioni politiche, economiche e commerciali con i suoi partner l'UE dovrebbe pertanto preferire, ogniqualvolta ciò sia possibile, un approccio regionale. Questo sviluppo dei legami reciproci tra l'UE ed altre entità regionali, in uno spirito di emulazione e di apertura reciproca, andrebbe a vantaggio di tutti gli interessati, completando e rafforzando in modo probabilmente decisivo il quadro multilaterale dell'OMC.

4.   Mettere a punto una strategia comune in materia di scambi internazionali per l'UE

4.1   Multilateralismo o bilateralismo?

Questo approccio è già stato illustrato nella comunicazione della Commissione europea intitolata Europa globale: competere nel mondo, del 4 ottobre 2006.

4.1.1

Le difficoltà incontrate dall'OMC nel portare avanti l'agenda di Doha e i limiti stessi di tale agenda devono indurre l'UE a prendere nuove iniziative. Il CESE si compiace pertanto che la Commissione abbia raccomandato nella sua comunicazione di avviare una nuova strategia commerciale basata su approcci sia bilaterali sia multilaterali.

4.1.2

Per risolvere i problemi legati alla globalizzazione, l'approccio multilaterale è il migliore in quanto più degli altri garantisce risultati equilibrati e duraturi. Il CESE, pertanto, è d'accordo con la Commissione nel ribadire il sostegno ai meriti intrinseci del multilateralismo e dell'OMC. L'obiettivo resta quello di portare a termine l'agenda di Doha in un quadro globale, imponendo a tutti i paesi partecipanti il rispetto delle norme comuni.

4.1.3

Il CESE sottolinea la necessità di inquadrare adeguatamente le proposte della Commissione in base alle quali l'UE dovrebbe, di fronte alle persistenti difficoltà dei negoziati OMC, esplorare più attivamente la possibilità di strategie complementari, soprattutto bilaterali. Essa potrebbe ad esempio approfondire il dibattito con le economie emergenti in forte espansione (Cina, India, ASEAN, Mercosur, Golfo), potenziare i legami strategici con le economie di paesi vicini (Russia, Ucraina, Moldova, Mediterraneo) e modernizzare proficuamente le relazioni dell'UE con i paesi ACP (Africa, Caraibi, Pacifico) attraverso gli accordi regionali di partenariato economico in corso di negoziazione.

4.1.4

Il CESE sottolinea che una trasformazione della strategia internazionale dell'UE in tanti approcci bilaterali non potrebbe rimpiazzare l'approccio multilaterale, che deve restare l'obiettivo essenziale in quanto conforme ai valori europei.

4.1.5

È opportuno non solo garantire che tali approcci siano compatibili con gli impegni OMC, come la Commissione ha giustamente ricordato, ma anche:

evitare di ostacolare le possibilità di successo dei negoziati multilaterali,

promuovere al contrario tali negoziati in fase conclusiva, una volta che il dibattito è stato approfondito e si è raggiunto un ravvicinamento delle posizioni emergenti dagli approcci bilaterali.

4.1.6

Qualunque approccio bilaterale dell'UE dovrebbe pertanto limitarsi ad integrare quello multilaterale con l'obiettivo di:

preparare il terreno per i negoziati multilaterali, dando particolare rilievo ai punti più salienti per l'UE (i temi «ignorati» a Doha, le pratiche commerciali, la lotta contro la contraffazione, gli appalti pubblici, ecc.),

adottare un approccio bilaterale per gli altri aspetti — politico, sociale, ambientale, culturale, energetico — della governance mondiale.

4.1.7

Restano ancora numerosi chiarimenti e adattamenti da fare riguardo, in particolare, alle modalità di applicazione dei criteri e alle politiche da seguire nei confronti di paesi quali la Cina, la Corea, l'India o la Russia.

4.2   Valorizzare i rapporti di vicinato e le relazioni privilegiate

4.2.1

Meritano particolare attenzione i paesi vicini (soprattutto Russia, Ucraina, Bielorussia, Moldova, paesi mediterranei), con i quali vanno realizzati partenariati privilegiati inseriti in una strategia coerente di vicinato e di comunione d'interessi.

4.2.2

Nel quadro del dialogo transatlantico, l'UE e gli Stati Uniti dovrebbero adoperarsi per armonizzare la loro visione della globalizzazione e per offrire una certa stabilità alla loro cooperazione e ai loro scambi.

4.2.3

L'UE dovrà inoltre continuare a promuovere, attraverso contatti bilaterali, i processi d'integrazione regionale in atto in altri continenti (ad es. paesi ACP, Mercosur, ASEAN, ecc.); questi processi consentiranno di meglio strutturare ed equilibrare il commercio mondiale nonché di far avanzare le discussioni in sede di OMC. L'integrazione dell'UE, oltre ad essere di per sé una esperienza originale, deve in effetti continuare ad essere fonte di ispirazione e di sostegno per altri processi di integrazione regionale, indispensabili per una globalizzazione sostenibile e strutturata. Si tratta di un approccio particolarmente valido soprattutto nei confronti dei paesi in via di sviluppo, come gli ACP. I negoziati per gli accordi di partenariato economico (APE) devono essere abbinati alla promozione di questi processi di integrazione, senza dubbio essenziali per impedire che questi paesi siano «ignorati» dalla globalizzazione. In questo senso, l'esempio positivo del Caricom è molto significativo e lascia ben sperare. L'UE deve a tal fine sostenere sia le capacità amministrative d'integrazione a livello regionale sia i raggruppamenti degli attori della società civile.

4.2.4

Si può d'altro canto cercare di prendere esempio dalle prassi buone e meno buone adottate da altri paesi o raggruppamenti regionali. L'UE da parte sua deve continuare a promuovere e a privilegiare i raggruppamenti regionali (Mercosur, ASEAN, ecc.) che — con vocazioni e a ritmi diversi — seguono un cammino analogo a quello comunitario.

4.2.5

In questo approccio bilaterale non vanno trascurati il ruolo e l'azione della società civile. La partecipazione del CESE al Dialogo della società civile avviato dalla Commissione per dar seguito ai negoziati in sede di OMC e le attività intraprese dal CESE tramite le diverse strutture da esso create emergono così in tutta la loro importanza strategica e devono pertanto trovare un maggior riconoscimento ed acquisire visibilità.

4.3   Un'apertura agli scambi più responsabile

4.3.1

L'impatto dei vantaggi, delle restrizioni e delle concessioni contenuti in qualunque accordo va analizzato tenendone in debito conto le conseguenze economiche e sociali, in particolare a livello di settore (comprese l'agricoltura e le industrie a forte intensità di manodopera). Queste analisi, da realizzare su iniziativa della Commissione europea per ciascun nuovo negoziato, dovrebbero prevedere una maggiore partecipazione degli esperti locali e dei rappresentanti della società civile. Si dovrà inoltre approfondire la strategia di gestione dei rischi affrontata dalla Commissione nella sua comunicazione.

4.3.2

Il CESE si è pronunciato a favore del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, che andrebbe utilizzato come strumento strategico d'intervento a favore delle persone e delle regioni colpite dalla globalizzazione; pur essendo complementare ai finanziamenti nazionali, tale fondo deve guadagnare visibilità e raggiungere una massa finanziaria critica. Il CESE insiste perché, al pari del Fondo sociale europeo, anch'esso sia gestito da un comitato tripartito con il coinvolgimento delle parti sociali.

4.3.3

Il settore agricolo merita a questo proposito particolare attenzione. Oltre alla produzione agricola propriamente detta, è necessario tener conto dell'industria agroalimentare, che rappresenta il 14 % del valore aggiunto europeo e dà lavoro a 4 milioni di persone. È per rendere possibile un accordo in sede di OMC che la PAC ha subito una riforma radicale a partire del 2003, con sacrifici notevoli per le categorie di lavoratori coinvolte. Un futuro accordo in sede di OMC dovrà pertanto consentire di ottenere l'accesso ai mercati su base di reciprocità e una riduzione equivalente e significativa delle sovvenzioni ai produttori americani.

4.4   Azioni comuni nei confronti dei mercati terzi

4.4.1

Gli Stati membri dovrebbero appropriarsi maggiormente degli obiettivi e degli strumenti di una vera strategia comune in materia di accesso ai mercati mondiali, colmando in particolare le tre lacune descritte di seguito.

4.4.2

I regimi di assicurazione dei crediti all'esportazione restano essenzialmente nazionali, nonostante l'integrazione politica, economica, finanziaria e (dopo l'introduzione dell'euro) monetaria dell'Europa. L'UE dovrebbe sostenere tali strumenti nazionali al fine di coordinarli ed armonizzarli per tutte le imprese europee, in particolare le PMI.

4.4.3

I nostri grandi partner commerciali ricevono, a turno, la visita di missioni commerciali essenzialmente nazionali e tra loro concorrenti. Non si vuole rimettere in discussione questi approcci bilaterali, spesso fondati sull'esistenza di rapporti storici, ma completarli (se giustificabile dal punto di vista economico) e valorizzarli con missioni settoriali di promozione di dimensione europea che ribadiscano l'identità comune dei paesi in questione.

4.4.4

Gli strumenti di difesa commerciale (soprattutto l'antidumping) devono essere maggiormente diffusi e meglio utilizzati grazie all'assegnazione di risorse più consistenti.

5.   Rafforzare l'integrazione perché i popoli d'Europa possano trarre beneficio dalla globalizzazione

L'UE deve far fronte alle sfide della globalizzazione traendo forza dalla propria integrazione economica, dalla propria solidarietà e dalla costante ricerca di un miglior livello di produttività, tutti aspetti questi che animano la strategia europea di Lisbona. Solo se rafforzata l'UE acquisirà un suo peso, nell'ambito della globalizzazione, rispetto alle potenze commerciali di dimensione continentale.

5.1   Incrementare l'attrattiva del sistema Europa

5.1.1

L'UE deve innanzitutto poter contare su un mercato interno sufficientemente integrato, efficace e dalle prestazioni elevate. Sarebbe inutile pretendere dai propri partner mondiali concessioni che difficilmente gli Stati membri dell'UE si farebbero tra loro. All'UE resta ancora tanta strada da compiere in questo senso.

5.1.2

Molti dei vecchi ostacoli sono ancora presenti e a tutt'oggi le imprese non dispongono ancora degli strumenti per potersi sentire europee. I servizi, che rappresentano i due terzi del PIL, restano ampiamente compartimentati; quanto agli appalti pubblici indetti dagli Stati membri — che si tratti di forniture, di servizi, di lavori o di qualsiasi altro aspetto relativo alla difesa — dagli ultimi studi autorevoli in materia, risalenti a 10 anni or sono, emerge che oltre il 90 % di tali appalti continua ad essere aggiudicato a fornitori nazionali.

5.1.3

È necessario assicurarsi che l'acquis comunitario non sia minacciato dalle varie forme di concorrenza sterile tra Stati membri: dumping, sovvenzioni, politica dei campioni nazionali, nuove barriere e ostacoli. Lo sviluppo di una politica industriale europea, anche nel settore della difesa, contribuirebbe notevolmente a rafforzare la posizione economica e tecnologica dell'UE in un contesto globalizzato. D'altro canto è indispensabile rafforzare la politica comunitaria di concorrenza e creare all'interno dell'UE un quadro fiscale e sociale trasparente, nonché lottare contro le doppie imposizioni, le distorsioni della concorrenza più eclatanti e le frodi all'IVA intracomunitaria.

5.1.4

La carenza di infrastrutture dotate di un'autentica dimensione europea (trasporti, energia, nuove tecnologie, parchi tecnologici, centri di ricerca, ecc.) pesa oggi sulla capacità da parte dell'Europa di offrire le migliori opportunità d'investimento in quello che resta comunque il primo mercato mondiale.

5.2

Sviluppare le qualifiche e la formazione dei cittadini europei nell'ottica di una società innovativa e fondata su una conoscenza accessibile a tutti

5.2.1

L'Europa scarseggia di materie prime e non può competere con il resto del mondo ricorrendo al dumping sociale, ambientale o fiscale, né può diventare il «supermercato» del mondo lasciando invece all'Asia il ruolo di «fabbrica». Il suo futuro dipende soprattutto dalla sua capacità innovativa e imprenditoriale, nonché dal talento dei suoi cittadini. Gli investimenti a lungo termine nell'apprendimento permanente sono la chiave di uno sviluppo armonioso. È importante dunque favorire non solo l'istruzione e la formazione in tutti i loro aspetti, ma anche la mobilità volontaria all'interno dell'UE, all'insegna del multilinguismo e della pianificazione di carriere, perfino nella funzione pubblica, dotate di una dimensione europea e internazionale.

5.2.2

L'Europa resta ancora troppo compartimentata. Il CESE è favorevole all'avvio di progetti di ampio respiro nei seguenti ambiti: l'effettiva introduzione del multilinguismo nelle scuole, un programma di mobilità per i giovani (siano essi studenti delle scuole superiori, tirocinanti o giovani lavoratori), la creazione di università europee, percorsi europei di apprendimento permanente, un quadro comune per il riconoscimento di tutte le qualifiche.

5.2.3

L'UE merita pertanto una iniziativa di ampio respiro in materia di istruzione, formazione e diffusione delle conoscenze su scala europea. Particolare attenzione andrà riservata in questo caso alle persone e ai territori colpiti dai fenomeni della ristrutturazione e della delocalizzazione, in modo da organizzare iniziative di formazione specifiche e creare nuova occupazione.

5.3   Dotarsi di strumenti concreti per far fronte alle sfide della globalizzazione

5.3.1

La sfida della globalizzazione impone all'UE di incrementare la competitività dei suoi prodotti e dei suoi servizi. L'UE persegue una serie di interessi economici tanto importanti quanto diversi. Per restare al primo posto negli scambi mondiali, deve in particolare rafforzare la sua posizione per quanto concerne sia i prodotti e i servizi di qualità, che rappresentano la metà delle sue esportazioni e un terzo della domanda mondiale, sia altri tipi di prodotti e di servizi rispondenti alle richieste dei cittadini.

5.3.2

Una politica europea di sostegno all'imprenditorialità e all'innovazione dovrebbe costituire in futuro, al pari dell'istruzione, della formazione e della diffusione delle conoscenze, una priorità essenziale nel quadro della nuova strategia europea per il «dopo Lisbona». In questi settori il CESE propone di elaborare una tabella di marcia che riunisca gli sforzi intrapresi dagli Stati membri e dall'UE, i finanziamenti pubblici e i contributi privati.

5.3.3

Di fronte all'impossibilità di migliorare il bilancio UE per il periodo 2007-2013, non resta che impiegare al meglio le dotazioni disponibili, vale a dire:

assicurare un finanziamento adeguato delle reti transeuropee prioritarie, con il contributo dei partenariati pubblico-privati,

aumentare le capacità di prestito e di garanzia dell'UE ed elaborare una ingegneria finanziaria più innovativa per i fondi strutturali, attualmente troppo circoscritti alla semplice erogazione di sovvenzioni.

5.3.4

Oggi uno dei punti forti dell'Europa è rappresentato dall'euro, diventato non solo la moneta unica di tredici Stati membri, ma anche una grande valuta internazionale di riserva e di cambio. L'euro offre ormai a un numero crescente di paesi al mondo un'alternativa valida e credibile al dollaro. Nel caso delle imprese europee, l'euro agevola la conclusione di contratti commerciali e ne garantisce la sicurezza finanziaria. Crea inoltre un autentico sentimento di unità europea, sia all'interno sia all'esterno dell'UE. L'euro manca però di un vero centro di decisione delle politiche economiche, il che frena oggi le possibili ricadute positive.

5.3.5

La coesione dell'UE si basa sulle politiche comuni. Se ormai il carbone e l'acciaio non possono più essere considerati come gli elementi coesivi, gli operatori economici e sociali sono fortemente propensi all'acquisizione da parte dell'UE di una maggiore responsabilità in materia di politica energetica (conservazione delle risorse, sicurezza degli approvvigionamenti, nuovi investimenti nelle energie non inquinanti, efficacia e risparmio energetico) e di protezione ambientale. Questi due settori richiedono infatti una maggiore presenza dell'Europa e politiche autenticamente comuni.

5.3.6

L'UE deve altresì dotarsi di una politica di più ampio respiro e più coerente in materia di migrazione, che preveda interventi coordinati di integrazione ed accoglienza conformi alla Carta europea dei diritti fondamentali e alle convenzioni di Ginevra sul diritto di asilo, collaborando al contempo, con strumenti più efficaci, alla lotta contro i circuiti clandestini. L'UE dovrebbe inoltre favorire più attivamente la creazione di posti di lavoro qualificati nei paesi in via di sviluppo, tramite una politica di partenariato e di incentivazione delle integrazioni regionali che offrano prospettive di mobilità, di perfezionamento e di scambi nuovi.

5.4   Per una globalizzazione dal volto umano

5.4.1

Nel quadro di una strategia volta a far fronte alle sfide della globalizzazione, l'UE può ancora una volta mobilitare i cittadini europei attorno al proprio progetto di integrazione.

5.4.2

In linea generale, il CESE insiste sulla necessità di coinvolgere appieno le parti sociali e i diversi attori rappresentativi della società civile organizzata nel nuovo approccio globale che esso raccomanda per far fronte alle sfide della globalizzazione. Maggior trasparenza va richiesta da parte del Consiglio e della Commissione anche in occasione dei negoziati commerciali. Il CESE vorrebbe in particolare essere coinvolto, assieme ai suoi partner della società civile dei paesi terzi, nelle iniziative avviate a livello sia multilaterale sia bilaterale.

5.4.3

Più in concreto, il CESE raccomanda di coinvolgere le parti sociali ed altri attori della società civile nelle seguenti azioni:

campagne europee d'informazione e dibattito sulle sfide della globalizzazione, condotte con le organizzazioni della società civile,

sedute periodiche d'informazione e consultazione in merito alla nuova strategia internazionale prevista dalla Commissione e dal Consiglio, analoghe a quelle organizzate dal CESE in occasione dei lavori per la Convenzione europea,

analisi d'impatto sugli effetti economici e sociali di nuovi accordi commerciali, nonché gestione del Fondo di adeguamento alla globalizzazione,

diverse misure necessarie per rafforzare le politiche dell'UE (mercato unico, strategie di cooperazione e di coesione, euro, ecc.),

sostegno allo sviluppo di un dialogo sociale efficace sui diversi aspetti degli adeguamenti e delle riforme necessarie all'interno dell'UE, dei suoi Stati membri e delle sue regioni, anche a livello transfrontaliero,

follow-up dei negoziati bilaterali con i raggruppamenti regionali in materia, ad esempio, di accordi APE con le regioni ACP, ai quali il CESE può contribuire con la sua esperienza e con quella dei suoi partner della società civile dei paesi terzi.

5.4.4

Il CESE si dichiara favorevole ad assegnare una dimensione europea ai compiti d'interesse generale ricorrendo, al di là della semplice cooperazione, a strumenti integrati in materia di sicurezza economica, di protezione civile e ambientale, di sorveglianza doganale delle frontiere esterne, di polizia e perfino di difesa, invece di lasciare questo concetto alla mercé degli interessi nazionali, contrari per definizione a nuovi progressi in campo europeo.

5.4.5

Il CESE sostiene inoltre un approccio più partecipativo al mercato unico, incoraggiando le iniziative legate all'associazionismo, il dialogo sociale, la responsabilità sociale delle imprese, l'autoregolamentazione e la coregolamentazione socioprofessionali (specie per i servizi, gli scambi commerciali, i mercati finanziari, l'ambiente, l'energia, gli aspetti sociali, i diritti dei consumatori).

5.4.6

Gli attori della società civile organizzata possono anch'essi contribuire in modo diretto e autonomo a sviluppare i legami con i loro omologhi dei paesi e dei raggruppamenti regionali che sono partner commerciali dell'UE.

5.4.7

La dimensione umana della globalizzazione e dell'integrazione europea coinvolge in via diretta i cittadini e la società civile organizzata. Se saranno meglio informati e consultati, nonché coinvolti sistematicamente, i popoli europei si riconosceranno in una strategia che essi stessi avranno definito e potranno quindi sentire propria.

Bruxelles, 31 maggio 2007.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Convenzione n. 87 sulla libertà sindacale e la protezione dei diritti sindacali, Convenzione n. 98 sul diritto di organizzazione e di negoziazione collettiva, Convenzione n. 29 sul lavoro forzato, Convenzione n. 105 sull'abolizione del lavoro forzato, Convenzione n. 138 sull'età minima, Convenzione n. 182 sulle peggiori forme di lavoro minorile, Convenzione n. 100 sulla parità di retribuzione, Convenzione n. 111 sulla discriminazione nell'impiego e nella professione.


27.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 175/65


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde — Modernizzare il diritto del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo

COM(2006) 708 def.

(2007/C 175/17)

La Commissione, in data 22 novembre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al: Libro verde — Modernizzare il diritto del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 maggio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore RETUREAU.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 30 maggio 2007, nel corso della 436a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 140 voti favorevoli, 82 voti contrari e 4 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Il Libro verde sulla modernizzazione del mercato del lavoro persegue le seguenti finalità:

identificare i principali problemi che rispecchiano l'evidente solco che separa, da un lato, i contesti normativi e contrattuali esistenti e, dall'altro, le realtà del mondo del lavoro. L'accento verte più sull'applicazione della normativa sul lavoro ai singoli che sulle questioni riguardanti il diritto del lavoro in quanto diritto collettivo,

avviare un dibattito per esaminare in quale modo il diritto del lavoro possa contribuire a promuovere la flessibilità combinata alla sicurezza del posto di lavoro, indipendentemente dalla forma del contratto, contribuendo in tal modo ad aumentare l'occupazione e a ridurre la disoccupazione,

stimolare il dibattito sui modi in cui i vari tipi di rapporti contrattuali, insieme a diritti del lavoro applicabili a tutti i lavoratori, potrebbero giovare sia ai lavoratori che alle imprese, agevolando le transizioni nel mercato del lavoro, incoraggiando l'apprendimento permanente e sviluppando la creatività della manodopera nel suo insieme,

contribuire alla realizzazione dell'obiettivo «legiferare meglio» incoraggiando la modernizzazione del diritto del lavoro, senza dimenticare di considerarne globalmente i benefici ed i costi, e in particolare gli eventuali problemi delle PMI.

1.2

Il Libro verde mira giustamente ad affrontare temi del tutto diversi, come i rapporti di lavoro triangolari, il caso dei lavoratori che, pur avendo lo status di lavoratori autonomi, in realtà si trovano in condizioni di dipendenza economica dall'impresa che dà loro lavoro, ma anche la revisione della direttiva Orario di lavoro, come pure il grave problema del «lavoro non dichiarato».

1.3

Circa le possibili piste di modernizzazione del diritto del lavoro, l'UE può intraprendere un'azione complementare a quella degli Stati membri. Essenzialmente il Libro verde si fonda sull'idea che il contratto standard (a tempo pieno e a durata indeterminata) e le relative tutele potrebbero rivelarsi inadeguati per molti datori di lavoro e lavoratori rendendo difficili sia il rapido adattamento delle imprese sia l'evolvere del mercato, e potrebbero quindi costituire un ostacolo alla creazione di nuovi posti di lavoro. Ciò spiega la necessità di avanzare proposte per la revisione del diritto del lavoro.

1.4

La Commissione annuncia che il Libro verde, oltre ad affrontare il problema del diritto del lavoro individuale, prepara un dibattito che contribuirà a una comunicazione sulla flessicurezza, da pubblicare nel giugno 2007 e destinata a sviluppare questo concetto (già esistente in vari Stati membri), il quale, da quanto risulta, associa la flessibilità esterna e interna dei lavoratori a una sicurezza la cui portata e il cui finanziamento non sono ancora meglio precisati a questo stadio. Durante la seconda metà del 2007 il dibattito proseguirà quindi su una tematica più ampia: esso dovrà indubbiamente includere sia i fattori di flessibilità già ottenuti mediante la legge o la contrattazione collettiva sia il finanziamento di questa flessicurezza, senza però concentrarsi specificamente su alcuno di questi aspetti.

2.   Osservazioni di carattere generale

2.1

Il Comitato accoglie con favore l'iniziativa della Commissione di avviare un lavoro di riflessione sul modo in cui il diritto del lavoro soddisfa agli obiettivi della strategia di Lisbona, finalizzati alla crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro, oltre che alla coesione sociale e allo sviluppo sostenibile. Il Comitato si rammarica tuttavia che questa consultazione debba avvenire in tempi così ristretti e che manchi tutta una serie di lavori preparatori.

2.2

La relazione di Wim Kok del novembre 2003 (1) rilevava: «Occorre promuovere la flessibilità del mercato del lavoro, combinata alla sicurezza, essenzialmente migliorando l'organizzazione del lavoro, rendendo i contratti di lavoro “tipici” e “atipici” più interessanti sia per i lavoratori che per i datori di lavoro, onde evitare che si crei un mercato del lavoro a due velocità. La nozione di “sicurezza del posto di lavoro” va modernizzata e ampliata, non solo per proteggere l'occupazione, ma anche per mobilitare la capacità dei lavoratori di mantenere un'attività lavorativa e conseguirvi avanzamenti. Occorre creare il maggior numero possibile di posti di lavoro e migliorare la produttività riducendo gli ostacoli alla creazione di nuove imprese, come pure anticipando e gestendo meglio le ristrutturazioni».

2.3

È utile rammentare tutti questi diversi elementi delle conclusioni della task force, che sono state approvate dal Consiglio in quanto offrono un quadro delle riforme del mercato del lavoro da porre in atto per attuare la strategia di Lisbona rinnovata che è più esauriente di quello offerto nel Libro verde della Commissione, il quale si concentra su aspetti puntuali del diritto del lavoro individuale. In effetti, il Libro verde considera solo una parte degli elementi contemplati da Kok, e per di più non affronta la problematica dell'ambiente più sicuro, sollevata dall'Agenda sociale.

2.4

Un approccio riduttivo rischierebbe di suscitare una certa sfiducia nei cittadini europei, peraltro già sempre più scettici riguardo al progetto sociale europeo. La Commissione reputa opportuno rivedere il livello di flessibilità previsto nei contratti standard (contratti a tempo indeterminato a tempo pieno) sotto il profilo dei termini di preavviso, dei costi e delle procedure nei licenziamenti individuali o collettivi, o ancora della definizione del «licenziamento illegittimo», nonostante, per tradizione, tutti questi elementi costituiscano la chiave di volta della sicurezza professionale del lavoratore.

2.5

Il Comitato nutre preoccupazione per l'idea secondo cui al momento il diritto del lavoro sarebbe incompatibile con la strategia di Lisbona rinnovata, ostacolando l'occupazione, e allo stato attuale delle cose non garantirebbe un'adattabilità sufficiente da parte delle imprese e dei lavoratori.

2.6

Il Comitato constata che la strategia stabilita nel 2000 non ha conseguito tutti gli obiettivi previsti. Esso ritiene però necessario dar prova di cautela nella disamina delle cause di questa situazione, evitando di concentrare l'attenzione esclusivamente sul diritto del lavoro. La strategia di Lisbona rinnovata mira ad accrescere la competitività europea, ma anche a far sì che l'Europa sia in grado di ritrovare la piena occupazione in una società non solo più attenta al rispetto di un equilibrio tra la vita familiare e quella professionale, ma anche meglio rispondente alle scelte di carriera, investendo nella capacità di adattamento delle persone e combattendo l'esclusione sociale. La modernizzazione del diritto del lavoro deve essere solo uno degli elementi ai quali è possibile ricorrere per il conseguimento di tali obiettivi.

2.7

Prima di pronunciarsi sugli orientamenti di un'azione di modernizzazione del diritto del lavoro in Europa, il Comitato desidera anzitutto inquadrare una serie di considerazioni o d'iniziative della Commissione stessa, ad esempio il rapporto commissionato al prof. Alain Supiot, di cui troppo poco si parla in questo contesto, o le conclusioni prese dal Consiglio Occupazione, politica sociale, salute e consumatori (EPSCO) il 30 novembre e il 1o dicembre 2006 sul tema Un lavoro dignitoso per tutti. Il rapporto del prof. Supiot si era proposto di eseguire un'indagine longitudinale e costruttiva sull'avvenire dell'occupazione e del diritto del lavoro in un quadro comunitario, interculturale e interdisciplinare. Non sembra tuttavia che il Libro verde ne abbia tenuto sufficientemente conto.

2.8

Quale consuntivo si può trarre, sulla scorta delle statistiche pubbliche, dai risultati positivi del sistema di tutela consentito dal diritto del lavoro, nell'ottica di «nuovi e migliori posti di lavoro»?

2.9

Il rapporto finale del gruppo Supiot ha elencato una serie di temi che raggruppano quesiti utili circa l'evoluzione del rapporto di lavoro, ossia la mondializzazione della concorrenza e delle attività economiche, l'impatto dei comportamenti e delle abitudini in tema di consumi, la liberalizzazione dei mercati, gli sviluppi tecnologici, il fatto che gli stessi lavoratori cambiano, sono meglio istruiti e più qualificati, più autonomi e più mobili, più individualisti, senza dimenticare le nuove prassi seguite dalle imprese sotto il profilo della gestione delle risorse umane, dei compensi ai lavoratori, delle esigenze di polivalenza o di flessibilità degli orari di lavoro. Il rapporto Supiot ha affrontato il problema della flessibilità e della sicurezza e anche il tema molto importante della transizione professionale annunciando «la fine del modello della carriera professionale lineare».

2.10

Circa le diverse esigenze democratiche specifiche che la legislazione sociale ha presentato in campo socioeconomico, il gruppo Supiot ha prestato attenzione ai seguenti quattro aspetti che restano di attualità nel dibattito prospettato nel Libro verde (2):

l'esigenza della parità, con la problematica delle pari opportunità fra uomini e donne e più in generale della non discriminazione, resta attuale, perché attraverso quest'ottica è possibile individuare meglio una soluzione dei problemi del precariato e del mercato del lavoro a due velocità,

l'esigenza della libertà, ossia la necessità di tutelare i lavoratori dalle situazioni di dipendenza, deve ispirare la soluzione dei problemi connessi ai rapporti di lavoro mascherato, ai lavoratori parasubordinati e al lavoro nero,

l'esigenza della sicurezza individuale va tenuta presente dinanzi alla crescente incertezza sociale (nell'accezione più ampia del termine) avvertita dai lavoratori e dai beneficiari di prestazioni sociali,

i diritti collettivi, che in pratica si traducono nel coinvolgere i lavoratori in modo che apprezzino il senso e le finalità del lavoro, e nell'associarli allo sviluppo economico.

2.11

Il Comitato ritiene che la Commissione debba inquadrare il dibattito sulla modernizzazione del diritto del lavoro e sulle tutele (salute, sicurezza, infortuni sul lavoro, organizzazione dell'orario di lavoro, congedi retribuiti, ecc.) normalmente contemplate nel contesto del contratto di lavoro ispirandosi alle esigenze menzionate al punto precedente.

2.12

Il Libro verde evidenzia il solco esistente nella maggior parte dei paesi fra, da un lato, le legislazioni e i sistemi contrattuali in vigore e, dall'altro, le attuali realtà del mondo del lavoro, emerse durante un lasso di tempo relativamente breve tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90. In nessuna sua parte il Libro verde accenna al ruolo di tutela e di emancipazione storicamente svolto dal diritto del lavoro in senso lato, compreso anche quello risultante dalle contrattazioni collettive, con le sue specificità legate alle impostazioni di ordine culturale, sociale, economico e giuridico diverse a seconda degli Stati membri.

2.13

Al rispetto di un certo equilibrio fra le parti provvedono non solo il diritto del lavoro ma anche il dialogo sociale.

2.14

Il Comitato giudicherebbe semplicistica l'idea di considerare come un impedimento alla crescita e all'occupazione il diritto del lavoro che eserciti funzioni di tutela: significherebbe interpretarlo in maniera riduttiva, come semplice strumento della politica del mercato del lavoro o variabile economica.

2.15

Dal momento che i lavoratori sono sempre in una posizione di dipendenza nei confronti dei datori di lavoro, occorre ribadire il ruolo fondamentale che il diritto del lavoro assolve in termini di tutela e di emancipazione, e garantirne maggiormente l'applicazione in modo da evitare che i lavoratori subiscano delle pressioni e da tener conto delle nuove sfide della globalizzazione e dell'invecchiamento demografico. Tutto ciò comporta indubbiamente un ruolo dell'Unione europea nei confronti dei suoi Stati membri.

2.16

Nel 2000 la Commissione aveva promosso un'iniziativa in vista di un dibattito sulla necessità di valutare gli elementi essenziali del sistema legislativo e dei contratti collettivi, per assicurare che essi siano all'altezza di un'organizzazione moderna, ma al tempo stesso permettano un miglioramento delle condizioni di lavoro.

2.17

Non si è poi dato seguito a quest'iniziativa, nonostante l'evidente necessità di portarla a termine per soddisfare l'ambizione di condizioni di lavoro più moderne e migliori, tema che è stato ripreso anni dopo dall'attuale Commissione da un punto di vista diverso.

2.18

Il Comitato deve infatti constatare varie, e importanti, lacune che indeboliscono notevolmente la tesi e le prospettive prefigurate dal Libro verde. E richiama quindi l'attenzione su taluni punti che con suo rammarico non sono stati approfonditi o evidenziati:

l'obiettivo di una crescita economica sostenuta non è incompatibile con la dimensione sociale della costruzione europea e del suo sviluppo,

le implicazioni del diritto del lavoro riguardano non solo il contratto di lavoro individuale, bensì anche i contratti collettivi di lavoro,

non si deve permettere che restino vani né il concetto di «lavoro dignitoso» sancito negli impegni di cooperazione fra l'Unione europea e l'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), né l'impegno costruttivo di cui gli Stati membri e i paesi candidati all'UE hanno dato prova nel giugno 2006 al momento dell'adozione della raccomandazione n. 198 dell'OIL, la quale prospetta definizioni adeguate e principi operativi per ovviare alle incertezze circa il sussistere di un rapporto di lavoro, e quindi garantire una concorrenza leale e l'effettiva protezione dei lavoratori in un rapporto di lavoro (3),

le parti sociali, a livello sia nazionale che europeo, hanno già contribuito, con i loro accordi e contratti collettivi, a porre in essere garanzie per nuove forme di contratti di lavoro, compresi i contratti atipici, dimostrando così di saper adattare il rapporto di lavoro a nuove realtà e di contemplare tipologie flessibili provviste di garanzie adeguate,

il dialogo sociale è uno strumento di coregolamentazione, che in quanto tale va promosso e reso effettivo e più efficiente, poiché serve a disciplinare meglio la flessibilità del contratto di lavoro,

la sicurezza nel rapporto di lavoro è una condizione per accrescere la produttività (in quanto la precarietà non genera nuovi posti di lavoro). La mobilità e la flessibilità possono consentire un aumento della produttività e della sicurezza, ma i cambiamenti non devono realizzarsi in modo tale da comportare un grande aumento dei lavoratori poveri,

la soluzione non sta in un modo di vedere che oppone fra di loro i lavoratori addossando loro la responsabilità di risolvere i problemi della disoccupazione e dell'inadeguatezza delle competenze e delle abilità rispetto a quelle richieste dal mercato,

il nuovo tipo di contratto standard flessibile previsto per far fronte al presunto conflitto fra lavoratori «integrati» (insiders) e lavoratori «esclusi» (outsiders), non può addossare loro la responsabilità dei compromessi da ricercare per comporre il dualismo del mercato del lavoro. Inoltre, ove fosse introdotto, questo contratto non sopprimerebbe i veri ostacoli alla creazione di posti di lavoro.

2.19

Secondo il Comitato è giunto il momento di compiere un'analisi seria e completa, principalmente sulla scorta di quanto segue:

un bilancio dei sistemi giuridici degli Stati membri sotto il profilo delle tutele previste, della loro finalità ed efficacia, dell'accesso a organi e a procedure per dirimere conflitti, sia giudiziari che non giudiziari,

l'utilità del dialogo sociale negli sforzi intrapresi per modernizzare e migliorare il diritto del lavoro, per assicurare a tutti un lavoro dignitoso e per contrastare il lavoro nero, nonché il suo contributo al funzionamento del mercato e all'organizzazione del lavoro nelle imprese ai livelli appropriati (europeo, nazionale, regionale, di azienda e di gruppo, nonché transfrontaliero, a seconda dei casi),

la presa in considerazione dei servizi pubblici, e del ruolo attivo che servizi pubblici efficienti e di qualità assolvono nell'occupazione e nella crescita,

la presa in considerazione della governance dell'impresa, della partecipazione dei lavoratori e dei meccanismi di controllo e di allerta degli organismi rappresentativi dei lavoratori (in particolare nell'ambito dei comitati aziendali) nell'adeguamento ai cambiamenti e dinanzi alle ristrutturazioni,

il ruolo riconosciuto ai veri lavoratori autonomi, che è essenziale nel promuovere lo spirito imprenditoriale e la creazione delle PMI, come anche nell'economia sociale, nonché la messa in atto di una tutela adeguata dei lavoratori in condizioni di dipendenza economica (i parasubordinati), tenendo conto delle specificità di alcuni lavoratori autonomi (per es. coloro che sono addetti alla vendita diretta),

la promozione della raccomandazione dell'OIL del 2006 sul rapporto di lavoro (n. 198),

l'impatto del lavoro nero e gli strumenti di repressione di questa pratica attraverso un migliore coordinamento, a livello europeo, delle amministrazioni competenti: una sorta di Europol sociale?

l'impatto dei flussi migratori, che andranno coordinati meglio,

le soluzioni win-win, ossia vincenti per tutti i soggetti coinvolti, che consistono in un buon utilizzo della flessibilità rispetto alle esigenze delle imprese e alle esigenze e istanze dei lavoratori, che possono essere così nuovamente padroni delle loro scelte,

il lavoro di riflessione e le iniziative in tema d'istruzione e di formazione iniziale e continua rivolte ai lavoratori, ad esempio quelli attivi, quelli minacciati da ristrutturazioni, o quelli che rientrano nel mercato del lavoro dopo aver interrotto la carriera per motivi personali; inoltre, garanzie del percorso professionale anziché puntare su talune proposte per un ipotetico «contratto unico».

2.20

Il programma della presidenza tedesca, la nuova visione della problematica della «qualità» del lavoro durante l'incontro formale dei ministri del Lavoro e degli affari sociali del gennaio 2007, nonché la recente lettera di 9 ministri del Lavoro circa il nuovo impulso da imprimere all'Europa sociale, con in particolare gli indirizzi menzionati nell'allegato sulle politiche a favore dell'occupazione e della flessicurezza, hanno schiuso delle prospettive per l'analisi approfondita auspicata dal Comitato e per il rilancio della componente sociale della costruzione europea.

3.   Osservazioni particolari: risposte o commenti circa le domande che la Commissione europea pone nel Libro verde

3.1   Quali sarebbero secondo voi le priorità di un programma coerente di riforma del diritto del lavoro?

3.1.1

Il diritto del lavoro non ha perso la sua validità come diritto a tutela dei soggetti, siano essi lavoratori dipendenti o datori di lavoro. Ai lavoratori assicura una base equa di riferimento per la stipulazione di un contratto di lavoro giuridicamente valido, che bilancia i diritti e gli obblighi, ferma restando la loro subordinazione al datore di lavoro, il quale ha il potere di dirigere e impartire istruzioni. Ai datori di lavoro offre una sicurezza giuridica estremamente importante, in quanto i vari tipi di contratti standard sono chiaramente definiti, con clausole essenziali prestabilite o disciplinate a seconda dei casi, inclusa l'eventualità di risoluzione unilaterale. Inoltre, sotto il profilo della responsabilità civile, ad esempio, il diritto del lavoro assicura anche ai lavoratori e ai datori di lavoro delle garanzie e una sicurezza giuridica consistenti nell'indennizzo e nel riconoscimento delle eventuali invalidità di cui fosse vittima il lavoratore dipendente, nonché nella limitazione, per il datore di lavoro, della responsabilità civile in assenza di colpa, purché risultino rispettate le norme di sicurezza. La contrattazione collettiva e le istituzioni consultive favoriscono le buone relazioni industriali, e ove necessario la ricerca di soluzioni adeguate in caso di vertenza.

3.1.2

Per quanto concerne i cambiamenti auspicabili in via prioritaria, sarebbe opportuno che, nel rispetto delle legislazioni e delle prassi proprie a ciascuno Stato membro, il diritto del lavoro disciplini le nuove forme flessibili dei contratti che vanno sviluppandosi, in modo da continuare ad assolvere, in un nuovo contesto, il suo ruolo di tutela e di bilanciamento del rapporto di lavoro, nonché di garanzia della sicurezza giuridica per le parti in caso di licenziamento motivato, d'infortunio sul lavoro o di malattia professionale. Inoltre, il moderno diritto del lavoro dovrebbe consentire ai lavoratori dipendenti di acquisire dei diritti in materia di percorso professionale lungo tutto l'arco della vita attiva, per poter alternare la formazione permanente, le diverse forme di contratto che in un qualsiasi momento possano rispondere ad esigenze individuali di conciliazione del lavoro con la vita privata, di promozione o di riconversione professionale, ecc. Infine, con un diritto del lavoro moderno i datori di lavoro avrebbero tutto da guadagnare, a lungo termine, grazie al lavoro prestato da dipendenti soddisfatti.

3.1.3

Le riforme del diritto del lavoro devono sostenere le azioni positive a favore delle persone maggiormente escluse dal mercato del lavoro. Senza creare posti di lavoro precari, tali riforme devono servire a individuare dei percorsi di accesso al mercato del lavoro, anche promuovendo l'accesso all'apprendimento permanente e alle iniziative di economia sociale miranti all'integrazione professionale.

3.1.4

Occorrerebbe inoltre una migliore disciplina dei rapporti di lavoro triangolari onde precisare i diritti e gli obblighi di tutte le parti interessate, inclusi quelli attinenti alla responsabilità civile o penale. Occorrerebbe prevedere una tutela adeguata anche per i lavoratori in condizioni di dipendenza economica da un datore di lavoro principale, al quale siano praticamente subordinati nella gestione del loro lavoro (i parasubordinati). Ciò sarebbe opportuno soprattutto per gli infortuni sul lavoro, le malattie professionali e la protezione sociale. Le modifiche delle norme in tale ambito devono tuttavia essere effettuate con molta prudenza e tener conto delle specificità dei diversi gruppi di lavoratori autonomi che sono economicamente dipendenti (per es. coloro che esercitano un'attività di vendita diretta), evitando che tali lavoratori perdano la loro fonte del loro reddito e una forma di attività che soddisfa le loro aspettative.

3.1.5

Inoltre, è indispensabile sia combattere il lavoro non dichiarato, sia conferire forma giuridica ai rapporti di lavoro. È necessario intensificare le ispezioni sul lavoro non solo sotto questo profilo, ma anche, in linea più generale, per garantire l'efficacia delle disposizioni normative o contrattuali applicabili.

3.1.6

La raccomandazione n. 198 dell'OIL sul rapporto di lavoro, adottata dalla Conferenza internazionale del lavoro nel giugno 2006, offre agli Stati membri spunti importanti cui ispirarsi per adattare il diritto del lavoro in funzione degli sviluppi tecnologici, economici e sociali che da oltre 20 anni vanno modificando profondamente la produzione, i servizi e gli scambi mondiali (4).

3.2   L'adattamento del diritto del lavoro e degli accordi collettivi può contribuire a migliorare la flessibilità e la sicurezza dell'occupazione e a ridurre la segmentazione del mercato del lavoro? Se sì, come?

3.2.1

L'esperienza pratica dimostra che senza un'apposita normativa il proliferare dei contratti flessibili accentua la segmentazione del mercato e accresce l'insicurezza, ad esempio portando sia ad una compressione dei redditi nei contratti più diffusi (tempo parziale), il che non permette di far fronte in maniera soddisfacente ai bisogni fondamentali, sia ad un indebolimento della protezione sociale (limiti per l'accesso alle prestazioni di disoccupazione, a una pensione complementare, a cicli di formazione continua). Occorre altresì tener conto della durata della giornata lavorativa, perché quando essa risente del frazionamento del tempo pieno o di quello parziale nella pratica i lavoratori non possono utilizzare il tempo non lavorato per attività personali.

3.2.2

Inoltre, l'esperienza pratica insegna che i contratti flessibili più diffusi (contratto a tempo determinato e contratto a tempo parziale) vengono spesso offerti a persone che preferirebbero un lavoro a tempo pieno. Benché questi contratti possano rappresentare un buon punto di partenza per la carriera futura dei giovani e un'eccellente opportunità per conciliare il lavoro con la vita privata o con lo studio, non sempre sono il frutto di una scelta volontaria. D'altro canto i lavoratori anziani hanno difficoltà a trovare un lavoro, anche solo a tempo determinato. La frammentazione del mercato non è imputabile ai lavoratori, bensì a una scelta dei datori di lavoro cui in ultima analisi spetta decidere, in maniera unilaterale, che tipo di contratto offrire. Il diritto del lavoro deve mirare a impedire che i giovani, le donne e i lavoratori anziani siano vittime di discriminazioni in materia di accesso al mercato del lavoro e sotto il profilo retributivo.

3.2.3

Affinché la flessibilità sia frutto di una scelta e non sia discriminatoria, affinché permetta ai lavoratori di organizzare la loro vita in maniera autonoma (giovani che lavorano con contratti a tempo determinato costretti a vivere con i genitori a causa del costo eccessivo delle abitazioni, famiglie monoparentali nelle quali il genitore è costretto a un contratto di lavoro a tempo parziale, e quindi diventa spesso un lavoratore povero — o una lavoratrice povera), occorre intraprendere riforme profonde del diritto del lavoro nel senso indicato nella risposta alla prima domanda: anzitutto mediante il dialogo sociale (tripartito o bipartito a seconda del paese) e condotto al livello più adeguato.

3.3   La regolamentazione esistente — sotto forma di leggi e/o di contratti collettivi — frena o stimola le imprese e i lavoratori nei loro sforzi per cogliere le opportunità di aumentare la produttività e di adeguarsi alle nuove tecnologie e ai cambiamenti collegati alla concorrenza internazionale? Come può essere migliorata la qualità della regolamentazione applicabile alle PMI, mantenendone gli obiettivi?

3.3.1

Pur non potendo rispondere per conto dei 27 Stati membri dell'UE, il Comitato formula alcune osservazioni specifiche, e considera anzitutto che misurarsi con la concorrenza significhi il più delle volte innovare o puntare sulla qualità.

3.3.2

I fattori che veramente determinano la produttività sono la competenza dei lavoratori, e quindi la formazione e l'esperienza, e l'utilizzo di nuove tecnologie, il che dipende dagli investimenti, da un lato, nell'istruzione e nella formazione e, dall'altro, nella ricerca e sviluppo, sia pubblici che privati (e sono questi ultimi ad essere insufficienti in Europa).

3.3.3

Le disposizioni (siano esse a carattere legislativo o contrattuale come il quadro d'azione delle parti sociali sulla formazione) devono quindi mirare a proseguire l'istruzione e la formazione, come pure l'adeguamento alle nuove tecnologie, nel quadro del lavoro o della carriera professionale, e interessare equamente tutte le diverse categorie di lavoratori dipendenti. L'impresa desiderosa di formare competenze e quindi conservarle ne sosterrà gli sforzi, assieme alle autorità pubbliche o a istituzioni competenti. In compenso, l'impresa ne trarrà un vantaggio competitivo e i dipendenti saranno avvantaggiati dall'aumentata occupabilità. Per parte sua la legislazione può favorire il miglioramento delle competenze e delle qualifiche organizzando o agevolando la realizzazione dei finanziamenti, delle strutture e della formazione, precisando gli incentivi alla formazione (congedi per la formazione, possibilità di «risparmiare» un certo periodo di tempo o importo, acquisendo un «credito di tempo o denaro» da utilizzare per congedi remunerati (5)) nell'arco della carriera professionale (attraverso contratti e datori di lavoro successivi), conformemente alle legislazioni e alle prassi vigenti o da introdurre, e ai contratti collettivi (6).

3.3.4

Una mutualizzazione delle iniziative di qualificazione/formazione può essere incoraggiata dalla legislazione e da finanziamenti locali per quanto riguarda, ad esempio, le PMI onde ripartire i costi su un determinato territorio, visto che, al di là dell'esperienza acquisita attraverso il lavoro stesso, le microimprese e i lavoratori autonomi non sono in grado di organizzare e di finanziare iniziative di formazione di una certa durata.

3.3.5

Il diritto del lavoro in senso lato può influire solo su una piccola parte degli elementi indispensabili per padroneggiare le nuove tecnologie e l'adeguamento alle trasformazioni industriali e sociali (formazione continua, coinvolgimento dei lavoratori). Anche l'insegnamento superiore, la ricerca, il capitale di rischio, gli incubatori di nuove imprese e i poli d'innovazione hanno una loro funzione nel quadro di una politica industriale competitiva e coordinata, a livello regionale, nazionale ed europeo.

3.4   Come facilitare il reclutamento mediante contratti a tempo indeterminato e determinato, sia per via legislativa sia attraverso accordi collettivi, in modo da aumentare la flessibilità di tali contratti garantendo al tempo stesso un livello sufficiente di sicurezza dell'occupazione e di protezione sociale?

3.4.1

Questo è un approccio difficilmente accettabile, se con flessibilità s'intendono forme di impiego più numerose o più precarie. In effetti, per flessicurezza si intende la possibilità di associare diverse forme di flessibilità e di sicurezza in materia di occupazione, allo scopo di rafforzare in modo equilibrato l'adattabilità dei lavoratori e delle imprese, proteggendoli entrambi dai rischi. La flessicurezza, quindi, è qualcosa di più dell'equilibrio tra la flessibilità esterna e il sistema di sicurezza sociale. Quanto più flessibile è il contratto, tanto più debole è la sicurezza nell'occupazione, e tanto maggiore deve essere la tutela (protezione sociale, garanzia di un percorso professionale duraturo e certo o sicurezza professionale nell'arco di tutta la vita attiva) (7).

3.4.2

La domanda posta implica che la flessibilità crei posti di lavoro, tesi che non è tuttavia suffragata da alcuna argomentazione o prova. La sicurezza dipende maggiormente dal diritto sociale, tema che non viene affrontato dal Libro verde.

3.5   Sarebbe utile prendere in considerazione una combinazione di una normativa di tutela dell'occupazione più flessibile e di una ben congegnata assistenza per i disoccupati, sotto forma di compensazioni per la perdita di reddito (politiche passive del mercato del lavoro) ma anche di politiche attive del mercato del lavoro?

3.5.1

Un sostegno ai disoccupati che sia veramente ben congegnato deve comunque, indipendentemente dal livello di «protezione» dell'occupazione, essere affiancato da cicli di formazione seri o da corsi di aggiornamento validi. Inoltre esso comporta un sostegno su misura per le imprese disposte ad assumere persone ai margini del mercato del lavoro (come i disoccupati di lunga durata). Una «politica attiva del mercato del lavoro» non significa l'obbligo di accettare qualsiasi impiego venga proposto, anche se meno qualificato o meno ben retribuito, per non perdere tutte le indennità.

3.5.2

Le soluzioni varieranno a seconda dei paesi, in funzione della storia e delle condizioni sociali di ciascuno di essi, nonché del peso che vi hanno le contrattazioni collettive. La sussidiarietà deve avere un ruolo importante in materia di diritto del lavoro, non da ultimo nell'attuazione delle direttive europee, originate sia da un accordo quadro europeo sia da un'iniziativa comunitaria. È comunque certo che anche il livello comunitario deve assumere le sue responsabilità, incoraggiare i negoziati, sottoporre proposte concrete negli ambiti di sua competenza, senza confondere l'idea di «legiferare meglio» con quella della «deregolamentazione».

3.6   Quale può essere il ruolo della legge e/o degli accordi collettivi negoziati dalle parti nella promozione dell'accesso alla formazione e le transizioni tra le varie forme di contratto, al fine di sostenere la mobilità verticale lungo tutto l'arco di una vita professionale pienamente attiva?

3.6.1

Sono indispensabili supporti normativi solidi e continuativi per assicurare la formazione permanente e le transizioni professionali. Il peso rispettivo delle disposizioni legislative e dei contratti collettivi varierà in funzione dei diversi «modelli» dei singoli paesi. In effetti, la storia sociale e gli strumenti disponibili per garantire il rispetto — nel lunghissimo periodo — dei compromessi accettati dalle parti sociali hanno determinato differenze per quanto concerne le condizioni legislative e sociali, il peso degli organismi rappresentativi, nonché le tradizioni e le consuetudini. Tutto ciò riconduce alla necessità di creare un autentico statuto a tutela dei lavoratori dipendenti.

3.6.2

Il sistema da introdurre interessa al tempo stesso anche i contratti di lavoro, e si deve concretare in istituzioni che assicurino un sostegno alle transizioni: sostegno finanziario (forme di finanziamento da negoziare o da discutere) ed istituti di formazione a carattere pubblico, collettivo o mutualistico, o tipologie formative basate sul lavoro nell'impresa (impresa «qualificante»), fermo restando il riconoscimento delle qualifiche così acquisite.

3.6.3

È su questo fronte che il diritto del lavoro potrebbe contribuire efficacemente alla realizzazione degli obiettivi di Lisbona, con interventi a favore sia della società della conoscenza, sia di una sicurezza che permetta di organizzare la propria vita, di avere un'idea dell'avvenire e di attuare progetti, il che favorisce direttamente anche la produttività e la qualità del lavoro.

3.7   Le definizioni giuridiche nazionali del lavoro dipendente e del lavoro autonomo devono essere chiarite in modo da facilitare le transizioni in buona fede tra lo status di lavoratore dipendente e quello di lavoratore autonomo e viceversa?

3.7.1

È un problema su cui si può beninteso riflettere sulla scorta di studi comparativi abbastanza approfonditi, ma il quesito sembra decisamente teorico, in quanto l'armonizzazione del diritto del lavoro o della protezione sociale non è all'ordine del giorno. Le definizioni e le giurisprudenze nazionali al riguardo sono operative, e sembra ragionevole mantenerle poiché offrono una nitida demarcazione fra diritto del lavoro e diritto civile (commerciale).

3.8   È necessario prevedere un «nucleo di diritti» relativo alle condizioni di lavoro di tutti i lavoratori, indipendentemente dalla forma del loro contratto di lavoro? Quale sarebbe, secondo voi, l'impatto di tali requisiti minimi sulla creazione di posti di lavoro e la tutela dei lavoratori?

3.8.1

Tutto dipende da quello che un tale «nucleo dei diritti relativo alle condizioni di lavoro» comporterebbe. Aspetti come la durata del lavoro, la modulazione degli orari, le retribuzioni sono determinati dal tipo di contratto e dalle condizioni generali applicabili per legge.

3.8.2

Invece, i diritti di partecipazione, le libertà fondamentali, il principio della parità di trattamento e di non discriminazione, il diritto alla protezione contro i rischi (infortuni, malattia, disoccupazione, ecc.) costituiscono tutti dei diritti fondamentali, ed esulano per loro stessa natura dal contratto di lavoro. È quindi assolutamente escluso descriverli come «obblighi minimi» o «flessibilità» in materia.

3.9   Ritenete che le responsabilità delle varie parti nell'ambito di rapporti di lavoro multipli dovrebbero essere precisate per determinare a chi incombe la responsabilità del rispetto dei diritti del lavoro? Sarebbe realizzabile ed efficace ricorrere alla responsabilità sussidiaria per stabilire questa responsabilità nel caso dei subappaltatori? In caso di risposta negativa, vedete altri mezzi che consentano di garantire una sufficiente tutela dei lavoratori nei «rapporti di lavoro triangolari»?

3.9.1

Il diritto del lavoro poggia sul principio di un ordine pubblico «sociale» valevole per tutte le parti. I committenti devono disporre di un certo potere di controllo o di supervisione sui rispettivi subappaltatori, e prendere la precauzione d'iscrivere nei contratti taluni principi (rispetto delle norme vigenti, di carattere sia sociale che tecnico), per evitare di ritrovarsi involontariamente complici di violazioni del diritto del lavoro o di altre norme nazionali applicabili ad un determinato cantiere o stabilimento.

3.9.2

Una responsabilità solidale in base alla quale il committente ha la facoltà di rivalersi nei confronti dei subappaltatori inadempienti sembra la soluzione che tutela maggiormente i diritti dei lavoratori, i quali possono avere grandi difficoltà a difendersi da sé quando la sede sociale del subappaltatore si trovi all'estero, ed eventualmente in un paese terzo, mentre essi lavorano in un cantiere del committente sotto la direzione di quest'ultimo. La regola della solidarietà, per le condizioni di lavoro e la garanzia della corresponsione delle retribuzioni, dovrebbe essere applicabile a prescindere dal fatto che il committente sia un soggetto di diritto privato, di diritto pubblico o a carattere misto pubblico-privato.

3.9.3

Occorre rafforzare la protezione dei dipendenti che lavorano all'estero. I subappaltatori esteri dovrebbero versare i contributi previdenziali alle casse o agli enti previsti per la tutela dei crediti dei dipendenti in caso d'inadempienza del datore di lavoro. Fra gli obblighi giuridici imposti dagli Stati membri al committente dovrebbe rientrare anche il rimborso spese per l'eventuale rimpatrio in caso d'inadempienza del subappaltatore.

3.9.4

Uno dei problemi dei rapporti di lavoro triangolari, o di quelli particolarmente complessi, è che espone i dipendenti/lavoratori a maggiori rischi d'inadempienza di uno degli anelli della catena e di diluizione delle responsabilità. Nel caso dei dipendenti dei subappaltatori esteri una protezione abbastanza completa sul fronte del rispetto dei diritti, nonché del pagamento del lavoro compiuto e della corresponsione dei contributi previdenziali è possibile unicamente grazie alla responsabilità solidale, basata su norme giuridiche, fra, da un lato, il committente e, dall'altro, qualsiasi subappaltatore. I sistemi di garanzia adeguati, previsti a livello nazionale conformemente alla direttiva sulla tutela dei crediti dei lavoratori dipendenti in caso di insolvenza del datore di lavoro, dovrebbero essere sufficientemente efficaci e addirittura estesi alle imprese di paesi terzi i cui sistemi nazionali di garanzia siano insufficienti o inesistenti; in tal caso la responsabilità solidale dei committenti verrebbe ridotta proporzionalmente. Inoltre, i sistemi giuridici nazionali devono creare un meccanismo che consenta l'utilizzo dei pagamenti corrisposti dai committenti ai subappaltatori esteri per finanziare un meccanismo di garanzia destinato a far fronte agli obblighi residui di questi ultimi nei confronti dei dipendenti in caso d'inadempienza del datore di lavoro (8).

3.10   È necessario chiarire lo statuto dei lavoratori impiegati dalle agenzie di lavoro temporaneo?

3.10.1

L'assenza di un quadro giuridico comunitario schiude la possibilità di abusi, come l'elusione delle norme sul distacco temporaneo di lavoratori. Sarebbe opportuno adoperarsi affinché il Consiglio giunga a un consenso che permetta di regolamentare a livello europeo le attività delle agenzie di lavoro temporaneo.

3.11   Come si potrebbero modificare i requisiti minimi in materia di organizzazione dell'orario di lavoro al fine di offrire una maggiore flessibilità ai datori di lavoro e ai lavoratori, garantendo al tempo stesso un elevato livello di protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori? Quali dovrebbero essere gli aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro da trattare in via prioritaria da parte della Comunità?

3.11.1

La vigente direttiva del 1993, unitamente alla relativa giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, offre un quadro di tutela che può essere ancora adattato, completato o sviluppato a livello nazionale in funzione delle necessità, in particolare mediante contrattazioni collettive a vari livelli.

3.11.2

Il quesito riconosce implicitamente il rapporto che intercorre fra durata/ampiezza degli orari di lavoro e rischi d'infortuni o di pregiudizio per la salute. Tale rapporto esiste e la riduzione dell'orario di lavoro effettivo può a lungo termine migliorare lo stato di salute dei lavoratori, innanzi tutto riducendo lo stress e la stanchezza permanente cui sono sottoposti e al tempo stesso rendendo possibile la creazione di nuovi posti di lavoro.

3.12   Come è possibile garantire nell'insieme della Comunità i diritti del lavoro di lavoratori che effettuano prestazioni in un contesto transnazionale, in particolare dei lavoratori frontalieri? Ritenete che sia necessario migliorare la coerenza delle definizioni di «lavoratore» contenute nelle direttive europee, in modo da garantire che questi lavoratori possano esercitare i diritti connessi alle loro attività lavorative, quale che sia lo Stato membro nel quale lavorano? O ritenete che gli Stati membri debbano mantenere un margine di manovra in questo settore?

3.12.1

In proposito si rimanda alla domanda n. 1 e alla raccomandazione n. 198 dell'OIL. A causa delle attuali divergenze, la definizione dovrebbe restare di competenza degli Stati membri, poiché riguarda non solo i contratti di lavoro, ma anche l'applicazione della legislazione sociale (definizione dei beneficiari e delle condizioni di accesso alle prestazioni).

3.12.2

Non sembra che le direttive europee, le quali definiscono le persone considerate in funzione della natura della legislazione, costituiscano un vero problema. Prima d'introdurre modifiche, sempre che risultino necessarie, sarebbe necessario uno studio approfondito al riguardo.

3.13   Ritenete che sia necessario rafforzare la cooperazione amministrativa tra le autorità competenti, in modo che esse possano controllare più efficacemente il rispetto del diritto del lavoro comunitario? Ritenete che le parti sociali abbiano un ruolo da svolgere in tale cooperazione?

3.13.1

Il ruolo delle parti sociali è indispensabile, nel contesto del dialogo sociale e nello spirito dei Trattati e della Carta, per verificare l'attuazione e il rispetto del diritto del lavoro dell'UE.

3.14   Ritenete che altre iniziative siano necessarie a livello dell'UE al fine di sostenere l'azione degli Stati membri nella lotta contro il lavoro non dichiarato?

3.14.1

Occorre sviluppare il ruolo di Eurostat per comprendere a dovere i fenomeni in atto nei vari paesi. Pare che l'importanza del lavoro informale o non dichiarato venga sottovalutata nel calcolo dei PIL nazionali. Se le cause di questo fenomeno dipendono maggiormente dalle situazioni particolari a livello nazionale, come alcuni studi fanno pensare, occorrerà sostenere e incoraggiare soprattutto l'azione degli Stati membri.

3.14.2

Ad ogni modo, trattandosi di fenomeni poco conosciuti, sarebbe opportuno chiarire i rapporti che intercorrono fra queste forme di lavoro e la contraffazione, come pure il peso dei circuiti criminali nel lavoro non dichiarato e i rapporti con l'immigrazione clandestina, tutti elementi che potrebbero giustificare una cooperazione giudiziaria attiva nell'ambito dell'Unione europea, e un ruolo accresciuto dell'UE, nella misura in cui queste tipologie di lavoro influiscono anche sul mercato interno e sulla concorrenza.

3.14.3

Le parti sociali hanno un ruolo importante nella repressione del lavoro nero e nel contenimento dell'economia sommersa. Occorrerebbe incoraggiare con misure di livello comunitario le parti sociali degli Stati membri ad avviare, tra loro o insieme con le autorità, dei progetti nazionali e settoriali per risolvere tali problemi. A livello comunitario le parti sociali potrebbero analizzare insieme le buone prassi in uso negli Stati membri e diffondere informazioni in materia.

3.14.4

Per reprimere il lavoro nero occorre che le autorità degli Stati membri predispongano efficacemente, a livello transfrontaliero, delle attività di cooperazione, di controllo e di informazione sulle sanzioni comminate a chi ingaggi altri o si impegna direttamente in un lavoro irregolare.

Bruxelles, 30 maggio 2007.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  http://ec.europa.eu/employment_social/publications/2004/ke5703265_it.html (disponibile in FR, EN e DE).

http://ec.europa.eu/employment_social/employment_strategy/emco/opinion2004/spc_final_2004_fr.pdf (in FR, ma disponibile anche in EN e DE).

(2)  Au delà de l'emploi, éditions Flammarion, 1999 (pag. 294 e ss.) [Il futuro del lavoro, ed. Carocci, 2003].

(3)  Alla Conferenza internazionale del lavoro il gruppo Datori di lavoro non ha appoggiato l'adozione della raccomandazione n. 198 dell'OIL sui rapporti di lavoro.

(4)  Cfr. nota n. 2.

(5)  Ad. es. i conti «épargne-temps» che possono essere previsti in Francia dai contratti collettivi, in parte simili alle «banche delle ore» in Italia.

(6)  Cfr. OCSE: PISA (Programme for International Student Assessment): programma per la valutazione delle rese scolastiche a livello internazionale) 2003 e PISA 2006 sull'efficacia dei sistemi educativi: nelle classifiche i paesi nordici risultano ben piazzati, con la Finlandia in testa: http://www.oecd.org/pages/0,2966,en_32252351_32236130_1_1_1_1_1,00.html.

(7)  In questo contesto, è importante ricordare che in Europa il 78 % dei contratti di lavoro è a tempo pieno e a tempo indeterminato e il 18,4 % dei lavoratori ha contratti a tempo parziale anch'essi a tempo indeterminato. Circa il 14,5 % della forza lavoro dell'Unione europea ha contratti a tempo determinato e il 2 % degli occupati dell'UE-27 ha un lavoro temporaneo. Ciononostante, oltre il 60 % dei nuovi contratti di lavoro è costituito da contratti flessibili.

(8)  Cfr. la direttiva 80/987/CEE del Consiglio, del 20 ottobre 1980, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro (GU L 283 del 28.10.1980, pag. 23).


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Le seguenti proposte di emendamento sono state respinte nel corso della discussione, ma hanno ottenuto un numero di voti favorevoli almeno pari a un quarto dei voti espressi.

Sostituire l'intero parere con il seguente testo:

Attualmente l'Europa si trova di fronte a una serie di sfide importanti, tra cui un'economia che si sta evolvendo da un modello fondato sulle attività industriali a un modello orientato verso i servizi e fondato sulla conoscenza, la globalizzazione, la rapidità dei progressi tecnologici, l'invecchiamento della popolazione europea, la diminuzione del tasso di natalità e i cambiamenti in atto nella società e nelle sue esigenze.

Per rispondere a tali sfide e mantenere il modello sociale europeo è necessario, tra l'altro, modernizzare il diritto del lavoro.

Pertanto il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore il Libro verde della Commissione europea che lancia un dibattito pubblico sulla modernizzazione del diritto del lavoro. I contributi a tale documento arricchiranno la comunicazione sulla flessicurezza prevista dalla Commissione. L'equilibrio tra la flessibilità dell'occupazione e la sicurezza dovrebbe soddisfare le esigenze dei lavoratori come pure quelle delle imprese.

La modernizzazione del diritto del lavoro dovrebbe rispondere agli obiettivi della strategia di Lisbona finalizzati alla crescita, alla competitività, e a nuovi e migliori posti di lavoro, oltre che alla coesione sociale. Per realizzare tali obiettivi il CESE avanza le seguenti proposte:

1.

Il gran numero di forme di contratti di lavoro esistenti va mantenuto, a patto che vi sia un quadro giuridico stabile che tenga conto delle necessità dei lavoratori nonché di quelle delle imprese, in particolar modo delle PMI. Benché il 78 % dei contratti di lavoro sia costituito da contratti a tempo pieno e a tempo indeterminato, il numero di nuove forme contrattuali flessibili sta crescendo in tutta Europa. Contratti di lavoro flessibili come i contratti a tempo parziale e i contratti a tempo determinato possono contribuire a sviluppare le competenze professionali che non si acquisiscono sui banchi di scuola, accrescendo così le probabilità di trovare un contratto a tempo pieno e a tempo determinato. I contratti di lavoro flessibili possono rappresentare un buon punto di partenza per la carriera futura dei giovani e un'eccellente opportunità di conciliazione del lavoro con la vita privata, contribuendo così alla creazione di un mercato del lavoro inclusivo. È essenziale che questi lavoratori siano protetti contro la discriminazione, conformemente alle direttive comunitarie sul lavoro a tempo parziale e sul lavoro a tempo determinato, che si fondano sugli accordi tra le parti sociali in Europa.

2.

La modernizzazione del diritto del lavoro deve avvenire principalmente a livello degli Stati membri. Dato che il diritto del lavoro è soltanto un elemento del principio di flessicurezza è in ciascun quadro nazionale che va definito il giusto equilibrio tra flessibilità e sicurezza. Le riforme nazionali dovrebbero essere completate da un'azione europea che accresca, attraverso l'individuazione e la promozione dello scambio di buone pratiche, una maggiore sensibilizzazione.

3.

Va dato sostegno al ruolo importante che le parti sociali svolgono, a livello nazionale, settoriale e aziendale, per la modernizzazione del diritto del lavoro e per il raggiungimento dell'equilibrio tra flessibilità e sicurezza. La contrattazione collettiva deve essere basata sul principio dell'autonomia delle parti sociali e varierà in funzione della storia e della cultura delle relazioni industriali nei diversi Stati membri.

4.

Una tutela occupazionale più flessibile nell'ambito di contratti di lavoro a tempo indeterminato dovrebbe unirsi a politiche attive del mercato del lavoro che offrano un sostegno su misura per lavoratori dipendenti che scelgono di migliorare le loro qualificazioni in funzione dei bisogni del mercato del lavoro. Si dovrebbe concentrare l'attenzione sulla sicurezza dell'occupazione piuttosto che sulla protezione di determinati posti di lavoro. Le azioni positive dell'economia sociale e delle imprese andrebbero sostenute in modo da integrare nel mercato del lavoro le persone che ne sono escluse. Un partenariato tripartito e caratterizzato da legami stretti tra datori di lavoro, lavoratori e settore pubblico contribuisce a individuare i bisogni di formazione e a ripartire l'onere finanziario. Regimi di sicurezza sociale favorevoli all'occupazione sia per i lavoratori dipendenti che per i lavoratori autonomi dovrebbero contribuire ad agevolare la transizione tra diverse forme di lavoro.

5

Il lavoro autonomo dà un grande apporto allo spirito imprenditoriale, un settore in cui l'Europa è in ritardo rispetto ai suoi principali concorrenti a livello mondiale, e costituisce il segnale migliore del dinamismo di un'economia moderna. Tuttavia, il lavoro autonomo economicamente dipendente deve essere nettamente distinto dal lavoro autonomo che lo è solo formalmente: quest'ultimo dovrebbe avere lo stesso livello di protezione del lavoro dipendente per quanto riguarda, per esempio, la previdenza sociale, la sicurezza sul lavoro, e la protezione della salute e del posto di lavoro.

6.

Il lavoro non dichiarato distorce la concorrenza e distrugge la base finanziaria dei regimi nazionali di sicurezza sociale e dei regimi fiscali. Esso è un fenomeno complesso le cui cause sono molteplici. La lotta contro il lavoro non dichiarato richiede, quindi, una corretta combinazione di politiche, con un adattamento del diritto del lavoro, una semplificazione degli obblighi amministrativi, politiche salariali coerenti, incentivi fiscali, miglioramento delle strutture pubbliche e dei servizi pubblici, ma anche controlli e sanzioni dissuasive. La Commissione europea dovrebbe pertanto assumere l'iniziativa per garantire le buone pratiche e agevolarne la diffusione tra gli Stati membri al fine di stimolare un'azione contro il lavoro non dichiarato.

Motivazione

Sarà esposta oralmente.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 89

Voti contrari: 126

Astensioni: 7

Nuovo punto 3.9.2

Aggiungere il seguente punto:

Di regola il committente non ha nessuna incidenza sull'adempimento quotidiano degli obblighi del prestatore nei confronti dei suoi lavoratori dipendenti, e inoltre non conosce la sua situazione finanziaria né esercita un'influenza su di essa: non è quindi in grado di valutare se il prestatore può adempiere ai suoi doveri nei confronti dei dipendenti. Pertanto non può assumere la responsabilità del relativo rischio finanziario.

Motivazione

La domanda posta dalla Commissione nel Libro verde è di carattere generale e non si applica soltanto alle relazioni transnazionali. Si propone quindi di inserire un nuovo punto, di natura generale, tra gli attuali punti 3.9.1 e 3.9.2. In questo modo il punto 3.9.2, che descrive in dettaglio la deroga da questa affermazione generale (relazioni transnazionali), sarebbe corretto.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 75

Voti contrari: 122

Astensioni: 12


27.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 175/74


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio sulla costituzione del Quadro europeo delle qualifiche e dei titoli per l'apprendimento permanente

COM(2006) 479 def. — 2006/0163 (COD)

(2007/C 175/18)

Il Consiglio, in data 19 ottobre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali e cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 maggio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 30 maggio 2007, nel corso della 436a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 156 voti favorevoli, 1 voto contrario e 1 astensione.

1.   Conclusioni

1.1

Il Comitato considera necessaria la proposta di costituire un Quadro europeo delle qualifiche e dei titoli per l'apprendimento permanente, ritenendo che un adeguato livello di trasparenza delle qualifiche e delle competenze favorisca la mobilità nell'Unione e permetta un accesso normalizzato e generalizzato al mercato del lavoro a livello europeo, consentendo l'impiego in ogni Stato membro dei diplomi ottenuti in un altro Stato membro. Tuttavia rileva nel modello proposto alcuni problemi, che potrebbero intralciarne l'attuazione e che sono evidenziati nel presente parere.

1.2

Il CESE osserva che la forma giuridica adottata per l'adozione della proposta è la raccomandazione, una forma che, conformemente al disposto dell'articolo 249 del Trattato che istituisce la Comunità europea, non ha carattere vincolante.

1.3

Il CESE reputa necessaria una maggior chiarezza e una semplificazione dei descrittori del modello, in particolare per quanto concerne le qualifiche professionali, per renderli più facilmente comprensibili per i cittadini in generale, così come per le imprese e per gli esperti. Il processo di semplificazione dovrebbe essere completato da un allegato che costituirebbe per gli Stati membri un riferimento su cui basarsi per completare i quadri nazionali delle qualifiche e dei titoli, permettendo così di garantire l'auspicata coerenza dell'intero sistema di riferimento.

2.   Introduzione

2.1

La proposta in oggetto risponde ad uno degli obiettivi fissati nel Consiglio europeo di Lisbona del 2000. In tale occasione si concluse che una maggior trasparenza delle qualifiche e la promozione dell'apprendimento permanente avrebbero reso possibile l'adeguamento dei sistemi europei di istruzione e formazione per raggiungere gli obiettivi fissati dal Consiglio in materia di competitività, crescita, occupazione e coesione sociale in Europa.

2.2

Tali conclusioni sono state ribadite dal Consiglio europeo di Barcellona del 2002, che ha invitato gli Stati membri a promuovere la cooperazione per collegare tra loro l'apprendimento formale, non formale e informale, come condizione indispensabile per creare uno spazio europeo dell'apprendimento permanente, fondato sui risultati del processo di Bologna. Tutto questo con l'obiettivo di fare dell'istruzione e della formazione europea un riferimento mondiale di qualità entro il 2010.

2.3

Sempre nel 2002, inoltre, il Consiglio europeo di Siviglia ha invitato la Commissione a sviluppare, in stretta collaborazione con il Consiglio dell'UE e gli Stati membri, un quadro per il riconoscimento delle qualifiche in materia di apprendimento e formazione.

2.4

Il rapporto congiunto di metà percorso del Consiglio e della Commissione sull'attuazione del programma di lavoro Istruzione e Formazione 2010, adottato nel 2004, ha sottolineato la necessità di creare un Quadro europeo delle qualifiche e dei titoli. Il Consiglio di Copenaghen del 15 novembre 2004 ha anch'esso dato priorità allo sviluppo di un Quadro europeo delle qualifiche aperto e flessibile, fondato sulla trasparenza e sul riconoscimento reciproco, suscettibile di rappresentare un riferimento comune per l'istruzione e per la formazione.

2.5

Nel corso della conferenza dei ministri per l'Istruzione superiore, svoltasi a Bergen nella primavera del 2005, è stato adottato il Quadro delle qualifiche dell'istruzione superiore per lo spazio europeo, ed è stata evidenziata l'importanza di salvaguardare la complementarità necessaria tra lo Spazio europeo dell'istruzione superiore e il Quadro europeo delle qualifiche e dei titoli.

2.6

Nel contesto della revisione della strategia di Lisbona, gli orientamenti 2005-2008 per l'occupazione hanno insistito sulla necessità di garantire vie di accesso a un apprendimento flessibile, accrescendo in tal modo le opportunità di mobilità per studenti e persone che stanno seguendo una formazione, migliorando la trasparenza dei titoli e la validazione dell'apprendimento non formale in tutta l'Europa.

2.7

Il Consiglio europeo del marzo 2005 ha sollecitato l'adozione di un Quadro europeo delle qualifiche e dei titoli. Tale posizione è stata ratificata dal Consiglio europeo del marzo 2006.

2.8

La proposta in esame e, concretamente, i descrittori che definiscono il Quadro europeo delle qualifiche e dei titoli (EQF) sono stati elaborati nel corso di un processo sistematico di consultazione organizzato dalla Commissione con la collaborazione del Cedefop e del gruppo di monitoraggio del processo di Bologna, sulla base del documento di lavoro Verso un Quadro europeo delle qualifiche per l'apprendimento permanente  (1) al quale hanno partecipato i 32 paesi coinvolti nel programma di lavoro Istruzione e formazione 2010, le parti sociali, gli organismi settoriali, le istituzioni più attive nel campo dell'istruzione e le organizzazioni non governative, grazie ai dibattiti della conferenza di Budapest del febbraio 2006 e grazie al lavoro svolto dai gruppi di esperti e consulenti che hanno assistito la Commissione.

2.9

Dopo aver analizzato l'impatto della misura in esame in riferimento alle diverse forme giuridiche possibili che la proposta di costituzione del Quadro europeo delle qualifiche poteva assumere, è stato deciso di presentarla come raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio.

2.10

Il Parlamento europeo ha approvato nel 2006, a fine settembre, una relazione sulla costituzione del Quadro europeo delle qualifiche e dei titoli (2).

3.   Sintesi della proposta

3.1

La proposta di raccomandazione offre uno strumento di riferimento che consentirà di comparare i livelli dei titoli dei diversi sistemi nazionali di qualificazione. Il documento si basa su un gruppo di otto livelli di riferimento europei, definiti da una serie di descrittori che indicano i risultati dell'apprendimento, che comprendono insegnamento generale e per adulti, istruzione e formazione professionale e istruzione superiore. La proposta include, oltre al testo della raccomandazione, una serie di definizioni e due allegati (il primo allegato raccoglie i descrittori che definiscono i livelli del Quadro europeo delle qualifiche e dei titoli; il secondo i principi di garanzia della qualità nell'istruzione e nella formazione).

3.2

Il Parlamento europeo e il Consiglio raccomandano agli Stati membri:

di usare l'EQF come uno strumento di riferimento per comparare i livelli delle qualifiche e dei titoli,

di sviluppare quadri nazionali delle qualifiche e dei titoli e di allineare i sistemi nazionali all'EQF entro il 2009,

di garantire che, entro il 2011, tutte le nuove qualifiche e i documenti dell'Europass contengano un chiaro riferimento al livello appropriato del Quadro europeo delle qualifiche e dei titoli,

di utilizzare un approccio basato sui risultati dell'apprendimento nel definire e descrivere le qualifiche e i titoli,

di promuovere la validazione dell'apprendimento non formale e informale,

di designare un centro nazionale che sostenga e coordini le relazioni tra il sistema nazionale delle qualifiche e dei titoli e l'EQF allo scopo di:

collegare i livelli delle qualifiche e dei titoli dei due sistemi,

promuovere e applicare i principi di garanzia della qualità nel contesto di tale collegamento,

assicurarsi che il metodo usato per collegare i livelli sia trasparente,

orientare le parti interessate e garantirne la partecipazione.

3.3

Il Parlamento europeo ed il Consiglio approvano l'intenzione della Commissione di:

assistere gli Stati membri e le organizzazioni settoriali internazionali nell'uso dei livelli e dei principi di riferimento dell'EQF,

istituire un gruppo consultivo europeo dell'EQF al fine di monitorare coordinare e garantire la qualità e la coerenza del processo di collegamento tra i sistemi di qualificazione e l'EQF,

monitorare i provvedimenti presi e riferire, entro 5 anni, al Parlamento europeo e al Consiglio sull'esperienza acquisita e sulle implicazioni future.

3.4

Nell'allegato I, si descrivono gli 8 livelli di riferimento, i quali sono in funzione dei risultati dell'apprendimento individuale, basati su quanto ciascuno sa, comprende ed è in grado di fare. Nei descrittori dei livelli tali elementi vengono classificati in termini di conoscenze, abilità e competenze.

4.   Osservazioni generali

4.1

Il Comitato accoglie favorevolmente la proposta di raccomandazione in oggetto, fatte salve le osservazioni che seguono. Il Comitato concorda sul fatto che la necessaria trasparenza delle qualifiche e delle competenze favorisce la mobilità nell'Unione e consente l'accesso al mercato del lavoro a livello europeo in maniera normalizzata e generalizzata, permettendo l'impiego in tutti gli Stati membri di diplomi ottenuti in un diverso Stato membro.

4.2

Nelle conclusioni del parere (3) sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali  (4), il Comitato economico e sociale europeo si è pronunciato a favore della creazione di una piattaforma europea comune per il riconoscimento di tutte le qualifiche, vale a dire insegnamento superiore, insegnamento e formazione professionale e apprendimento formale ed informale. L'EQF rappresenta un importante passo avanti in materia di riconoscimento e trasparenza delle qualifiche.

4.3

L'approccio del Quadro europeo delle qualifiche e dei titoli, basato sui risultati dell'apprendimento, dovrebbe contribuire a migliorare la corrispondenza tra le necessità del mercato del lavoro e l'offerta di istruzione e formazione, agevolando anche la validazione dell'apprendimento non formale e informale e favorendo in tal modo il trasferimento e l'utilizzazione delle qualifiche tra i diversi paesi ed i differenti sistemi di insegnamento e formazione. Questi sono a parere del CESE i vantaggi più importanti dell'iniziativa, cui vanno aggiunte le ripercussioni occupazionali che i livelli di riferimento comporteranno.

4.4

Il Quadro europeo delle qualifiche e dei titoli deve comprendere le esigenze dell'apprendimento individuale, la validazione delle conoscenze, le competenze e la loro integrazione sul piano sociale, l'occupabilità e lo sviluppo e l'utilizzazione delle risorse umane. La validazione dell'apprendimento non formale e informale dei lavoratori europei deve essere una priorità alla base del Quadro europeo delle qualifiche e dei titoli.

4.5

Secondo il Comitato, l'EQF contribuirà a rendere i sistemi di istruzione e formazione europei più chiari e accessibili per tutti i cittadini. È necessario che i lavoratori dell'Unione ed i loro potenziali datori di lavoro dispongano di un quadro di riferimento che permetta di comparare le qualifiche ottenute in uno o più Stati membri con le qualifiche di riferimento degli altri Stati membri in cui gli interessati intendano trasferirsi per svolgere un'attività lavorativa. In tal senso il Comitato valuta positivamente le conseguenze che la proposta avrà nel rendere inoperanti gli ostacoli alla mobilità transnazionale. L'EQF dovrebbe creare dei ponti tra i sistemi di formazione, agevolando la mobilità tra la formazione professionale ed i sistemi di istruzione in senso più generale, compresa l'istruzione superiore.

4.6

Per quanto riguarda la forma giuridica utilizzata per l'EQF, il Comitato apprezza l'analisi realizzata dalla Commissione nel documento di valutazione dell'impatto della proposta di raccomandazione (5), e riconosce che gli Stati membri hanno appoggiato, in maggior o minor misura, le successive raccomandazioni adottate nei settori dell'istruzione, formazione e mobilità. Tuttavia il Comitato reputa che per sua natura la raccomandazione, in quanto atto non vincolante, che pertanto non crea obblighi giuridici per i destinatari, potrebbe risultare all'atto pratico uno strumento inadeguato, non in grado di conseguire nel medio termine gli obiettivi prefissati. Ciò vale soprattutto se il collegamento dovrà essere stabilito con gli ancora ipotetici «quadri nazionali delle qualifiche (QNQ)» di ciascuno Stato membro.

4.7

Va infatti ricordato in tale contesto che nel corso della conferenza di Budapest del febbraio 2006 era emerso che cinque paesi dell'Unione avevano già stabilito un quadro nazionale delle qualifiche, mentre dei restanti Stati membri alcuni lo stavano sviluppando, altri avevano manifestato l'intenzione o la disponibilità a farlo, altri ancora avevano deciso di non mettere a punto un quadro nazionale delle qualifiche.

4.8

Una tale situazione di partenza lascia presagire notevoli difficoltà nel portare a termine il progetto, e fa pensare al Comitato che, senza i quadri nazionali delle qualifiche, quello europeo risulterà compromesso dal punto di vista dei contenuti. La stessa Commissione osserva infatti correttamente (nel documento di lavoro Verso un Quadro europeo delle qualifiche e dei titoli per l'apprendimento permanente  (6)) che dal punto di vista dell'EQF l'impostazione migliore sarebbe che ciascun paese creasse un quadro nazionale delle qualifiche e lo collegasse al Quadro europeo delle qualifiche e dei titoli.

4.9

A parere del Comitato la priorità deve essere assegnata alla validazione concreta ed al riconoscimento delle diverse qualifiche relative ai risultati dell'apprendimento formale, non formale ed informale dei vari paesi e dei diversi settori dell'istruzione, grazie ad una maggior trasparenza e a una maggior garanzia della qualità. Con tale affermazione il Comitato fa proprio, testualmente, il punto della risoluzione del Consiglio del 27 giugno 2002 riguardante l'apprendimento permanente (7). Nel riprendere tale posizione, il Comitato desidera sottolineare che in questa risoluzione il Consiglio ha chiesto alla Commissione di sviluppare un quadro per il riconoscimento delle qualifiche nell'ambito dell'istruzione superiore e della formazione professionale. Per tale motivo, e sulla base di questo nuovo argomento, il Comitato ribadisce che lo sforzo compiuto per completare gli 8 livelli di riferimento dell'EQF non può dipendere alla fine del processo dalla buona volontà degli Stati membri, sottoposto, in definitiva, alla procedura giuridica della raccomandazione.

4.10

Il CESE reputa necessario che la Commissione chiarisca quali sarebbero le ripercussioni su tale processo se uno o più d'uno Stato membro non adottasse un quadro nazionale delle qualifiche e dei titoli, o non lo collegasse all'EQF. Il Comitato ritiene che se tale circostanza si verificasse la Commissione dovrebbe disporre di un'analisi di tale scenario, con le possibili soluzioni, allo scopo di poter sempre rispondere a posteriori a situazioni impreviste. Il documento definitivo deve contemplare la necessità di incentivare gli Stati membri ad adottare questo strumento.

4.11

Il CESE non esige la costruzione di un sistema uniforme di istruzione e formazione nell'ambito dell'Unione europea, né pretende di dettare agli Stati membri quali qualifiche e quali titoli debbano venir rilasciati nei loro istituti di insegnamento. Il Comitato desidera invece sottolineare la necessità di consolidare i passi avanti nella ricerca della trasparenza e nel riconoscimento e trasferimento delle qualifiche e dei titoli tra i diversi Stati membri. Ciò richiede anche meccanismi perfezionati di garanzia della qualità, in particolare dei certificatori, a livello degli Stati membri. Senza un quadro d'attuazione di questo tipo, la mobilità degli studenti e di quanti seguono corsi di formazione non ha senso, mentre quella dei lavoratori diviene più difficile.

A livello nazionale e regionale, le decisioni relative al quadro nazionale delle qualifiche e dei titoli dovrebbero venir adottate insieme con le parti sociali, che, insieme con le autorità responsabili, dovrebbero definire ed applicare principi, norme ed obiettivi per elaborare il quadro nazionale delle qualifiche e dei titoli. Bisogna inoltre tener conto del ruolo svolto dalle organizzazioni della società civile che operano in questo campo.

4.12

La proposta di raccomandazione prevede la creazione di un gruppo consultivo dell'EQF, incaricato di effettuare il monitoraggio e il coordinamento nonché di garantire la qualità e la coerenza del processo di collegamento tra i sistemi nazionali delle qualifiche e dei titoli nel quadro europeo. In relazione a ciò e allo scopo di garantire l'omogeneità dei criteri all'atto di collegare i sistemi nazionali all'EQF, il Comitato considera che il gruppo in questione, dati i titoli dei membri che ne dovrebbero far parte, potrebbe svolgere anche la funzione di validare, a monte della sua fissazione definitiva, il collegamento tra i livelli nazionali e quello europeo.

5.   Osservazioni particolari

5.1

A pagina 9 della versione italiana della proposta di raccomandazione viene fatto riferimento ai 25 Stati membri dell'Unione. Il riferimento va modificato per comprendervi i 27 Stati dell'Unione dopo l'ultimo allargamento.

5.2

Il Comitato ritiene che le scadenze per gli Stati membri previste nella raccomandazione in esame, in particolare quella menzionata al punto n. 2, siano troppo ravvicinate vista la situazione nella quale si trovano i diversi Stati membri per quanto riguarda l'elaborazione dei quadri nazionali delle qualifiche e dei titoli. Il CESE interpreta la data prevista come puramente facoltativa, ma data la situazione, i tempi saranno probabilmente molto più lunghi.

5.3

Tra i compiti che la raccomandazione assegna alla Commissione figura, al numero 3, «monitorare i provvedimenti presi e riferire al Parlamento europeo e al Consiglio sull'esperienza acquisita compreso l'eventuale riesame della presente raccomandazione». A parere del Comitato, per rispettare lo spirito degli articoli 149(4) e 150(4) del Trattato che istituisce la CE, tra i destinatari della relazione dovrebbe figurare anche il CESE.

5.4

Il Comitato ritiene necessario semplificare la redazione dei descrittori di cui all'allegato I del testo in esame, che rappresentano i criteri in base ai quali stabilire i collegamenti tra i livelli, allo scopo di renderli più comprensibili, chiari e concreti, definendoli in un linguaggio meno accademico e più vicino alla formazione professionale. L'allegato con i descrittori potrebbe venir corredato di un secondo allegato esplicativo che permetterebbe di collegare le qualifiche ed i titoli ai livelli, facilitandone in tal modo la successiva trasposizione tra gli Stati membri a scopi comparativi.

5.5

Definizioni chiare permettono di comprendere più agevolmente il significato dei termini impiegati nell'elaborazione del documento in esame. In tal senso il Comitato reputa che alcune delle definizioni che figurano nel documento della Commissione Verso un Quadro europeo delle qualifiche per l'apprendimento permanente  (8) siano più chiare di quelle che figurano nella proposta di raccomandazione in oggetto. Concretamente, e a titolo di esempio, si propone di sostituire la definizione di «competenze» con quella che figura alla pag. 45 del documento succitato.

5.6

Il Comitato è d'accordo sulla corrispondenza stabilita fra i tre ultimi livelli dell'EQF ed i gradi accademici previsti nel quadro del processo di Bologna (diploma di laurea, master e dottorato). In queste fasi della formazione, le conoscenze, le abilità e le competenze acquisite devono venir classificate in funzione dell'apprendimento realizzato attraverso la formazione universitaria ricevuta.

5.7

Il Comitato condivide l'idea che sia necessario continuare ad applicare criteri di qualità in tutti i livelli dei cicli di istruzione e formazione degli Stati membri. Il Comitato ha ripetutamente preso posizione in tal senso, sia nel parere sulla Proposta di raccomandazione del Consiglio relativa alla cooperazione europea in materia di garanzia della qualità nell'istruzione superiore  (9), sia in quello sulla Proposta di raccomandazione del Consiglio e del Parlamento europeo sul proseguimento della cooperazione europea in materia di certificazione della qualità nell'istruzione superiore  (10). In quest'ultimo parere il Comitato osservava che «l'esigenza di una qualità elevata in materia di istruzione e formazione è un fattore cruciale per raggiungere gli obiettivi fissati nel quadro della strategia di Lisbona».

5.8

Il Comitato condivide nell'insieme il contenuto dell'allegato II della proposta di raccomandazione. Tuttavia, anche allo scopo di adeguarsi alle tendenze attuali in materia di qualità in tutti i settori, il Comitato considera che l'allegato II dovrebbe intitolarsi Principi per il miglioramento continuo della qualità nell'istruzione e nella formazione, adeguando il testo a tale nuovo titolo.

5.9

Il Comitato raccomanda agli Stati membri, ai loro centri di istruzione e formazione ed alle parti sociali di lavorare prendendo a esempio la Fondazione europea per la gestione della qualità (EFQM). Questo modello autorevole, che gode del sostegno dell'Unione europea, potrebbe costituire il referente in relazione al quale i centri di insegnamento stabiliscono il loro processo di miglioramento costante della qualità.

Bruxelles, 30 maggio 2007.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  SEC(2005) 957.

(2)  A6-0248/2006. Relatore: MANN.

(3)  Parere CESE del 18.9.2002 in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali. Relatore: EHNMARK (GU C 61 del 14.3.2003).

(4)  COM(2002) 119 def.

(5)  COM(2006) 479 def.

(6)  SEC(2005) 957.

(7)  GU C 163 del 9.7.2002, pag. 1.

(8)  SEC(2005) 957.

(9)  Parere CES del 29.10.1997in merito alla Proposta di raccomandazione del Consiglio relativa alla cooperazione europea in materia di garanzia della qualità nell'istruzione superiore. Relatore: RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO (GU C 19 del 21.1.1998).

(10)  Parere CESE del 6.4.2005 in merito alla Proposta di raccomandazione del Consiglio e del Parlamento europeo sul proseguimento della cooperazione europea in materia di certificazione della qualità nell'istruzione superiore. Relatore: SOARES (GU C 255 del 14.10.2005).


27.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 175/78


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Strategia comunitaria volta ad affiancare gli Stati membri nei loro sforzi per ridurre i danni derivanti dal consumo di alcol

COM(2006) 625 def.

(2007/C 175/19)

La Commissione, in data 24 ottobre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 maggio 2007, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice van TURNHOUT e dal correlatore JANSON.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 30 maggio 2007, nel corso della 436a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 96 voti favorevoli, 14 voti contrari e 6 astensioni.

1.   Sintesi

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie favorevolmente la comunicazione della Commissione Strategia comunitaria volta ad affiancare gli Stati membri nei loro sforzi per ridurre i danni derivanti dal consumo di alcol. Il Comitato si rammarica tuttavia che la comunicazione sia ben lungi dal proporre quella «strategia globale» richiesta nelle conclusioni del Consiglio del 5 giugno 2001.

1.2

Il presente parere affronta la questione, concernente la salute pubblica, di ridurre i danni derivanti dal consumo di alcol: il consumo nocivo e pericoloso di alcol e la diffusione delle bevande alcoliche tra i minori contribuiscono a far aumentare tali danni.

1.3

Il CESE si sarebbe aspettato dalla Commissione un'analisi più completa e più trasparente di tutti i settori politici comunitari pertinenti, individuati nella valutazione d'impatto, e delle difficoltà che alcuni Stati membri hanno incontrato nel mantenere il livello di qualità delle loro politiche alcologiche a causa delle norme di mercato dell'UE.

1.4

Il CESE invita urgentemente la Commissione, in linea con gli obblighi conferiti dal Trattato, ad assumere un ruolo guida nel sostenere attivamente gli Stati membri nei loro sforzi intesi a fornire un livello elevato di tutela della salute mediante la riduzione dei danni derivanti dal consumo di alcol e a garantire che l'azione comunitaria completi le politiche nazionali.

1.5

Il CESE riconosce che le abitudini culturali variano da un paese europeo all'altro. Tali differenze dovrebbero essere prese in considerazione nell'ambito delle varie iniziative ed azioni proposte.

1.6

Il CESE è favorevole alla costituzione di una base comune di conoscenze scientificamente comprovate — comprendenti anche definizioni standardizzate per la raccolta dei dati — che apporterà un forte valore aggiunto comunitario. Il CESE si rammarica che la maggior parte dei settori prioritari identificati non prevedano obiettivi specifici, chiaramente quantificabili e con tempi definiti.

1.7

Il CESE si rammarica che nella comunicazione la Commissione non riconosca che una delle ragioni di tanti danni alcol-correlati consiste nel fatto che l'alcol è una droga psicoattiva, una sostanza che, se usata in eccesso, è tossica e per alcuni crea dipendenza.

1.8

Il CESE sostiene fortemente i diritti dei minori e ritiene che questi ultimi, a causa della loro vulnerabilità e di necessità particolari, richiedano misure di salvaguardia e assistenza particolari e un'adeguata protezione giuridica. Ai fini della strategia, il CESE raccomanda di definire il minore come qualsiasi persona al di sotto dei 18 anni, conformemente alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo.

1.9

Il CESE chiede urgentemente che la riduzione dell'esposizione dei minori ai prodotti alcolici e alla loro pubblicità venga inserita fra gli obiettivi specifici per garantire una maggiore tutela dei minori.

1.10

Il CESE invita la Commissione ad affrontare le conseguenze economiche dei danni alcol-correlati. Gli effetti negativi sono contrari agli obiettivi della strategia di Lisbona e hanno un impatto sull'occupazione, la società e l'economia.

1.11

Il CESE è favorevole alla creazione del forum Alcol e salute, che potrebbe costituire una piattaforma utile di dialogo tra tutte le parti interessate e portare all'adozione di azioni concrete volte a ridurre i danni derivanti dall'alcol. Il CESE sarebbe lieto di poter partecipare al forum in qualità di osservatore.

1.12

Il CESE chiede con insistenza che le iniziative di educazione e di sensibilizzazione facciano parte di una strategia globale integrata per ridurre i danni alcol-correlati.

1.13

Il CESE esprime preoccupazione per l'inquietante incoerenza fra i dati che emergono dalle ricerche sulle misure più efficaci per ridurre i danni derivanti dal consumo di alcol e le misure comunitarie proposte. In tutta la comunicazione, l'educazione e l'informazione figurano frequentemente fra le misure avanzate. Le ricerche sembrano tuttavia dimostrare che esse hanno un tasso di efficacia molto limitato nel ridurre i danni alcol-correlati.

2.   Contesto

2.1

L'Unione europea possiede le competenze e i poteri necessari per affrontare i problemi di salute pubblica derivanti da un consumo nocivo e pericoloso di alcol. L'articolo 152, paragrafo 1, del Trattato (1) dispone che «nella definizione e nell'attuazione di tutte le politiche ed attività della Comunità è garantito un livello elevato di protezione della salute umana». Vi si afferma inoltre che «l'azione della Comunità, che completa le politiche nazionali, si indirizza al miglioramento della sanità pubblica, alla prevenzione delle malattie e affezioni e all'eliminazione delle fonti di pericolo per la salute umana».

2.2

Nel 2001 il Consiglio ha adottato una raccomandazione sul consumo di bevande alcoliche da parte di giovani, in particolare bambini e adolescenti (2), e ha invitato la Commissione a seguire, valutare e monitorare gli sviluppi della situazione e le misure adottate e a riferire sulla necessità di ulteriori azioni.

2.3

Nelle sue conclusioni del 5 giugno 2001 il Consiglio ha sollecitato la Commissione a presentare proposte per una strategia comunitaria globale intese a ridurre i danni alcol-correlati a complemento delle politiche nazionali. Nel giugno 2004 il Consiglio ha ribadito il suo invito (3).

3.   Osservazioni generali

3.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie favorevolmente la comunicazione della Commissione Strategia comunitaria volta ad affiancare gli Stati membri nei loro sforzi per ridurre i danni derivanti dal consumo di alcol  (4).

3.1.1

Il consumo di alcol e i danni da esso derivanti variano notevolmente da un paese all'altro sia in termini quantitativi sia sotto il profilo delle modalità del fenomeno, come pure in termini di pericolosità sanitaria e sociale. Tenuto conto di questo, il CESE ritiene che le «azioni comunitarie» da intraprendere «nel rispetto delle competenze degli Stati membri» siano da intendere come «indirizzi comuni» ispirati a concetti condivisi riguardanti l'obiettivo di ridurre i danni derivanti dal consumo di alcol, in tutte le loro forme. Nell'ambito di tali indirizzi comuni i singoli Stati membri individueranno i modi, le tecniche e l'intensità delle azioni da svolgere.

3.2

Il CESE si rammarica tuttavia che la comunicazione sia ben lungi dal proporre quella «strategia globale» chiesta nelle conclusioni del Consiglio, nonostante il lungo processo di elaborazione e i dati comprovati sui problemi derivanti dal consumo di alcol in tutta l'UE e sul loro impatto sulla salute, il benessere sociale e la prosperità economica dei cittadini europei.

3.3

Il Consiglio ha invitato la Commissione a proporre una serie di azioni comunitarie in tutti i pertinenti settori di intervento per garantire un livello elevato di tutela della salute. Fra tali settori figuravano le accise, i trasporti, la pubblicità, la commercializzazione, la sponsorizzazione, la tutela dei consumatori e la ricerca, pur nel rispetto delle competenze degli Stati membri.

3.4

Il CESE si compiace che venga riconosciuto il fatto che il consumo nocivo e pericoloso di alcol è un fattore determinante per la salute ed è una delle principali cause di cattiva salute e di morte precoce nell'UE. Per molte situazioni alcol-correlate, non esiste un limite «sicuro» del consumo di alcol (5).

3.5

Il CESE si rammarica che nella comunicazione la Commissione non riconosca che una delle ragioni di tanti danni derivanti dal consumo di alcol risieda nel fatto che l'alcol è una droga psicoattiva, una sostanza tossica se usata in eccesso e per alcuni una sostanza che crea dipendenza. È deludente se si pensa che la strategia è stata elaborata sotto la guida della DG Salute della Commissione che dispone di vaste competenze in campo medico.

3.6

Il CESE apprezza il fatto che si riconosca che il consumo nocivo e pericoloso di alcol ha effetti negativi non soltanto sulla persona che beve, ma anche su terzi, soprattutto in seguito a incidenti, lesioni e violenza. Il CESE riconosce che i minori rappresentano il gruppo più vulnerabile a rischio e che altri gruppi vulnerabili sono costituiti dalle persone con disabilità di apprendimento o con problemi di salute mentale e da quelle con dipendenza dall'alcol o da altre droghe.

3.7

La violenza domestica rappresenta un problema grave in molti paesi (6). Il CESE chiede con insistenza che venga dedicata una particolare attenzione alla questione, considerati i forti legami esistenti fra violenza domestica e consumo eccessivo di alcol (7). Se è vero che la violenza domestica può avvenire in assenza di alcol, è altrettanto vero che il consumo eccessivo di alcol contribuisce a provocare comportamenti violenti in alcune persone in determinate circostanze. Il consumo massiccio di alcol può indurre ad atti di violenza più numerosi e più gravi. È stato dimostrato che il trattamento della dipendenza da alcol riduce la violenza tra partner. Una riduzione del consumo massiccio di alcol va non solo a vantaggio delle vittime e degli autori della violenza, ma anche dei minori che vivono nelle famiglie interessate.

3.8

Il destino dell'Europa dipende dalla buona salute e dalla produttività della sua popolazione. È per questo che il fatto che siano in larga misura i giovani ad essere vittime dei danni alla salute provocati dall'alcol è fonte di grave preoccupazione per il CESE (8).

3.9

Se in Europa continuano a sussistere abitudini culturali diverse in relazione al consumo di alcol, i modelli di consumo dei giovani e dei bambini tendono invece a convergere. Il CESE esprime preoccupazione per l'aumento, in numerosi Stati membri, del consumo nocivo e pericoloso di alcol da parte dei giovani e dei bambini nell'ultimo decennio, e in particolare del consumo concentrato di un certo numero di bevande alcoliche in un'unica occasione che va sotto il nome di binge drinking. L'accettazione sociale di uno stile di vita in cui l'alcol è sempre presente incoraggia questi modelli nocivi di consumo.

3.10

Il CESE sollecita la Commissione a riconoscere che le persone che assumono regolarmente alcol in misura moderata e che solo saltuariamente adottano modelli di consumo nocivo contribuiscono a provocare i danni derivanti da un consumo elevato di alcol, per esempio la guida in stato di ebbrezza, la violenza nei luoghi pubblici e il consumo eccessivo di alcol in occasione di eventi sportivi o di altro tipo. Tale consumo occasionale e nocivo di alcol da parte della maggioranza dei bevitori moderati può sfociare in notevoli problemi di salute e di sicurezza pubblica (9).

3.11

La strategia richiama espressamente l'attenzione sulla competenza che il Trattato conferisce all'UE di completare le politiche nazionali di tutela della salute pubblica. Rileva anche che la Corte di giustizia europea ha ripetutamente confermato che la riduzione dei danni alcol-correlati costituisce un importante e valido obiettivo di sanità pubblica da perseguire con misure adeguate e conformemente al principio di sussidiarietà.

3.12

Alla luce di ciò, il CESE si sarebbe aspettato dalla Commissione un'analisi più completa e più trasparente di tutti i settori d'intervento pertinenti a livello dell'UE.

3.13

La valutazione d'impatto effettuata dalla Commissione ha messo in evidenza tutti i settori di intervento pertinenti e le difficoltà che alcuni Stati membri hanno incontrato nel mantenere il livello di qualità delle loro politiche alcologiche, a causa di attività transfrontaliere, come le importazioni transfrontaliere private e la pubblicità transfrontaliera. La strategia dell'UE in materia di alcol non presenta però alcuna proposta per ovviare a questo problema.

4.   Gli effetti nocivi

4.1

Globalmente, l'Unione europea è la regione dove il consumo di alcol è più elevato, con 11 litri di alcol puro per persona all'anno (10). Se da un lato il consumo globale tende a diminuire, dall'altro si osserva però anche una tendenza verso modelli di consumo di alcol più nocivi.

4.2

Pur notando che per lo più la maggioranza dei consumatori beve in modo responsabile, il CESE esprime preoccupazione per il fatto che, secondo le stime, 55 milioni di adulti nell'UE (ovverosia il 15 % della popolazione adulta) assumono regolarmente alcol in quantità nocive (11). Si stima che nell'UE il consumo nocivo di alcol sia responsabile annualmente di circa 195.000 decessi dovuti ad incidenti, affezioni epatiche, tumori, ecc. Il consumo nocivo di alcol è la terza causa di decessi precoci e di malattia nell'UE (12).

4.3

Il consumo nocivo di alcol incide anche sull'economia, a causa dei maggiori costi di assistenza sanitaria e sociale e della perdita di produttività. Il costo dei danni alcol-correlati per l'economia dell'UE è stato valutato in 125 miliardi di euro per il 2003, pari all'1,3 % del PIL e comprende la criminalità, gli incidenti stradali, i danni alla salute, le morti premature e il trattamento e la prevenzione delle malattie (13).

5.   Problematiche prioritarie

5.1

Il CESE si rammarica che per quattro delle cinque problematiche prioritarie individuate la comunicazione non stabilisca obiettivi precisi, chiaramente quantificabili e con tempi definiti.

La protezione dei minori

5.2

I minori sono particolarmente vulnerabili per quanto riguarda i danni derivanti dal consumo di alcol. Si stima che da 5 a 9 milioni di minori che vivono in famiglia soffrano per gli effetti nocivi dell'alcol, che l'alcol sia una concausa nel 16 % dei casi di abusi e abbandono di minori e che ogni anno 60.000 nascite sottopeso siano imputabili all'alcol (14).

5.3

La Commissione riconosce già i diritti dei minori e sostiene le azioni necessarie per rispondere ai loro bisogni fondamentali. Essa considera i diritti dei bambini una priorità e ha affermato che i minori hanno diritto ad un'efficace tutela contro lo sfruttamento economico e tutte le forme di abuso (15).

5.4

Il CESE sostiene fermamente i diritti dei minori e ritiene che, per la loro vulnerabilità e i loro bisogni particolari, essi abbiano bisogno di una speciale attenzione e cura, compresa un'adeguata tutela giuridica. Il CESE ha anche riconosciuto il ruolo essenziale della famiglia e la responsabilità degli Stati membri di assistere i genitori nell'esercizio delle loro responsabilità educative (16).

5.5

Il CESE ammette che l'esposizione dei minori ai danni provocati dall'alcol può avere gravi conseguenze negative, fra le quali la negligenza, la povertà, l'esclusione sociale, gli abusi e la violenza, che possono incidere negativamente sulla loro salute, sulla loro istruzione e sul loro benessere, sia nell'immediato che nel futuro.

5.6

Il CESE chiede urgentemente che la protezione dei minori dai danni alcol-correlati venga inserita fra gli obiettivi specifici della prevista strategia dell'UE sui diritti dei minori sia per quanto riguarda le priorità fissate che per quanto concerne il processo di consultazione.

5.7

Il CESE raccomanda che la strategia dell'UE in materia di alcol adotti la definizione di minore come qualsiasi persona di età inferiore a diciotto anni, conformemente alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo (UNCRC) e come riconosciuto nella comunicazione intitolata Verso una strategia dell'UE sui diritti dei minori.

5.8

Il CESE sollecita la Commissione ad incoraggiare azioni a livello locale, considerato che i dati emersi dalle ricerche indicano il ruolo positivo di tali approcci nel ridurre il consumo di alcol da parte dei minori e i danni alcol-correlati. Un'azione efficace a livello locale comporta l'elaborazione di politiche e pratiche locali, sostenuta da iniziative di educazione e informazione, e presuppone il coinvolgimento di tutte le parti interessate (17).

5.9

Il CESE invita la Commissione a riconoscere la Carta europea dell'OMS sul consumo di alcol (18), adottata da tutti gli Stati membri dell'UE nel 1995, ed in particolare il principio etico secondo cui tutti i bambini e gli adolescenti hanno il diritto di crescere in un ambiente protetto dagli effetti negativi che possono derivare dal consumo di bevande alcoliche e, per quanto possibile, dalla pubblicità di queste.

5.10

La raccomandazione del Consiglio sollecitava gli Stati membri a creare meccanismi efficaci nei settori della promozione, commercializzazione e vendita al dettaglio e a garantire che le bevande alcoliche non fossero concepite o promosse in modo da costituire un richiamo per i bambini e per gli adolescenti. A tale proposito, il CESE attira l'attenzione sul fatto che tra gli adolescenti europei si registra la tendenza a consumare alcopops  (19).

5.11

La tendenza crescente al binge drinking e l'età precoce alla quale, in numerosi Stati membri, i bambini iniziano a consumare alcol sembrerebbero indicare che le attuali politiche non stanno ottenendo gli effetti auspicati. Nella sua comunicazione, la Commissione riconosce la necessità di prevedere misure supplementari per contenere il consumo di alcol da parte dei minorenni e il consumo nocivo di alcol fra i giovani.

5.12

Il CESE chiede urgentemente che la riduzione dell'esposizione dei minori ai prodotti alcolici, nonché alla pubblicità e alla promozione di tali prodotti venga inserita quale obiettivo specifico per garantire una maggiore tutela dei minori.

5.13

Il CESE si compiace della dichiarazione degli operatori della catena di produzione e distribuzione delle bevande alcoliche contenuta nella comunicazione, secondo cui essi sarebbero disposti a diventare più proattivi nel vigilare sull'applicazione delle disposizioni regolamentari e delle misure di autoregolamentazione. L'industria dell'alcol ha un importante ruolo da svolgere per garantire che gli alcolici siano prodotti, distribuiti e commercializzati in modo responsabile e contribuire così a ridurre i danni alcol-correlati.

5.14

Il CESE chiede con insistenza che, al fine di proteggere i giovani, gli Stati membri continuino ad utilizzare con la necessaria flessibilità le tasse per affrontare i problemi derivanti dal consumo di determinate bevande alcoliche particolarmente popolari tra i giovani, quali ad esempio i cosiddetti alcopops.

Riduzione degli incidenti stradali alcol-correlati

5.15

Il CESE accoglie con soddisfazione l'obiettivo specifico di riduzione degli incidenti stradali inteso a dimezzare il numero di decessi sulle strade europee, che dovrebbe passare da 50.000 a 25.000 nell'arco di dieci anni (2000-2010) (20). Gli incidenti stradali alcol-correlati possono anche provocare invalidità di lunga durata.

5.16

Il CESE concorda sul fatto che per ridurre il numero di incidenti stradali alcol-correlati la realizzazione di frequenti e sistematici alcoltest a campione è notevolmente più efficace e che le campagne di educazione e di sensibilizzazione costituiscono una strategia di sostegno, ma non risultano efficaci nel ridurre il numero di decessi per incidenti stradali dovuti all'alcol (21). Il CESE raccomanda di stabilire un tasso alcolemico massimo di 0,5 mg/ml e limiti inferiori per gli autisti neopatentati o per i conducenti di mezzi pubblici e di veicoli commerciali, in linea con la raccomandazione della Commissione sulla sicurezza stradale (22). Una legislazione più rigorosa in materia di alcolemia nel sangue deve essere accompagnata da un'efficace applicazione e da un attento monitoraggio.

Prevenire i danni alcol-correlati negli adulti e sui luoghi di lavoro

5.17

Il CESE invita la Commissione ad affrontare le conseguenze economiche dei danni alcol-correlati. Gli effetti negativi sono incompatibili con gli obiettivi della strategia di Lisbona e hanno un impatto sull'occupazione, la società e l'economia.

5.18

Il CESE riconosce la necessità di una regolamentazione efficace della disponibilità, della distribuzione e della promozione dell'alcol, per es. orari di apertura dei locali o dei negozi, offerte «due per uno» e limiti d'età. Il CESE ritiene che in tale ambito l'autoregolamentazione non sia un metodo adeguato.

5.19

Il luogo di lavoro è un ambiente in cui il consumo di alcol può causare danni non solo agli interessati ma anche a terzi. I danni alcol-correlati dovrebbero essere affrontati sui luoghi di lavoro nel quadro delle norme relative alla salute e alla sicurezza che sono innanzitutto di competenza del datore di lavoro. Delle politiche alcologiche sul luogo di lavoro potrebbero contribuire a ridurre gli infortuni alcol-correlati e l'assenteismo e ad aumentare la produttività (23).

5.20

Il CESE invita datori di lavoro, sindacati, enti locali ed altre organizzazioni ad affrontare la questione più seriamente e a cooperare per ridurre i danni alcol-correlati sul luogo di lavoro. Negli Stati membri esistono esempi di cooperazione stretta e a lungo termine tra le parti sociali allo scopo di creare ambienti di lavoro liberi dall'alcol (24).

Informazione, educazione e sensibilizzazione

5.21

Il CESE è lieto che la Commissione riconosca che una delle funzioni fondamentali dell'educazione e dell'informazione sia quella di mobilitare l'adesione dei cittadini per l'attuazione di interventi efficaci. Un secondo compito importante riconosciuto nella comunicazione consiste nel fornire informazioni affidabili e pertinenti sui rischi e sulle conseguenze per la salute di un consumo nocivo e pericoloso di alcol.

5.22

Il CESE chiede che le iniziative in materia di educazione e sensibilizzazione facciano parte di una strategia globale integrata. L'educazione non dovrebbe essere destinata esclusivamente ai giovani, ma dovrebbe invece partire dalla constatazione che il consumo nocivo di alcol interessa tutte le fasce d'età. Tali iniziative dovrebbero incoraggiare i giovani a scegliere stili di vita sani, cercando di correggere sia l'immagine attraente di cui gode l'alcol sia l'idea che un consumo eccessivo di alcol sia un'abitudine del tutto normale, due aspetti questi comunemente presentati dai mass media.

Una base comune di conoscenze

5.23

Il CESE accoglie favorevolmente l'elaborazione, con il sostegno della Commissione, di una base comune di conoscenze scientificamente comprovate al fine di stabilire definizioni normalizzate per i dati relativi al consumo di alcol e i danni alcol-correlati, tenendo conto delle differenze tra i sessi, le fasce di età e le classi sociali. Il CESE inoltre approva l'intenzione di effettuare nuovi studi per valutare l'efficacia della politica alcologica e delle iniziative proposte nella comunicazione. Sollecita infine l'elaborazione di una serie di indicatori quantificabili per individuare i progressi compiuti nella riduzione dei danni alcol-correlati in Europa. Le azioni proposte in questo settore presentano un elevato valore aggiunto comunitario.

6.   Mappatura delle azioni realizzate dagli Stati membri

6.1

Dato che la Commissione, in vista di elaborare la strategia europea, ha commissionato una relazione approfondita sullo stato delle conoscenze e sulle misure veramente efficaci nel ridurre i danni alcol-correlati, è sorprendente notare come la strategia proposta non ne tenga conto (25).

6.2

Il CESE teme che vi sia una grave incoerenza tra i risultati dalla ricerca concernente le misure efficaci di riduzione dei danni alcol-correlati e le azioni comunitarie proposte. In tutta la comunicazione della Commissione, l'educazione e l'informazione vengono frequentemente citate come misure intese a ridurre tali danni. Tuttavia, i risultati della ricerca indicano che l'educazione e l'informazione presentano un bassissimo grado di efficacia a tale scopo.

6.3

Il CESE osserva che nella mappatura delle azioni realizzate dagli Stati membri, la Commissione ha omesso due delle strategie efficaci, ovvero una politica dei prezzi basata su un'elevata tassazione dell'alcol e una regolamentazione legislativa della commercializzazione dell'alcol, strumenti questi utilizzati con successo da alcuni Stati membri per contrastare i danni alcol-correlati.

7.   Coordinamento delle misure a livello comunitario

7.1

Il CESE invita la Commissione ad esercitare un forte ruolo di guida, conformemente agli obblighi previsti dal Trattato, sostenendo attivamente gli Stati membri nei loro sforzi di assicurare un livello elevato di tutela della salute mediante la riduzione dei danni alcol-correlati, e a garantire che l'azione comunitaria completi le politiche nazionali.

7.2

Il CESE approva il ruolo della Commissione volto ad agevolare la condivisione delle buone pratiche fra gli Stati membri e l'impegno a migliorare la coerenza tra le politiche dell'UE che hanno un impatto sui danni alcol-correlati.

7.3

Il CESE accoglie con favore l'istituzione del forum Alcol e salute che, oltre ad adempiere il ruolo attribuitogli nella comunicazione della Commissione, potrebbe costituire una piattaforma utile di dialogo fra tutte le parti interessate e portare all'adozione di azioni concrete volte a ridurre i danni alcol-correlati. Il CESE sarebbe lieto di poter partecipare al forum in qualità di osservatore.

7.4

Eccezion fatta per la creazione di una base più solida di conoscenze comprovate su scala europea, la strategia dell'UE in materia di alcol conta sugli Stati membri affinché continuino a prendere le necessarie misure politiche per ridurre i danni alcol-correlati. Le norme comunitarie relative al mercato interno continueranno tuttavia a comportare problemi per alcuni Stati membri e potranno potenzialmente rallentare il ritmo con cui verranno ridotti tali danni. Il CESE si rammarica che la strategia dell'UE in materia di alcol non raccomandi un'azione volta a colmare questa lacuna.

7.5

Il CESE chiede alla Commissione di assumersi l'impegno di procedere a valutazioni d'impatto sulla salute che costituiscono una buona pratica per poter garantire ancor più efficacemente, nell'ambito di altre politiche comunitarie, quell'elevato livello di protezione previsto dall'articolo 152 del Trattato.

Bruxelles, 30 maggio 2007.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Trattato che istituisce la Comunità europea:

http://europa.eu.int/eur-lex/it/treaties/selected/livre235.html.

(2)  Raccomandazione del Consiglio del 5 giugno 2001 (2001/458/CE). Relazione completa pubblicata all'indirizzo

http://ec.europa.eu/health/index_it.htm.

(3)  Conclusioni del Consiglio 2001 e 2004.

http://europa.eu/rapid/pressReleasesAction.do?reference=PRES/04/163&format=HTML&aged=1&language=FR&guiLanguage=fr.

(4)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Strategia comunitaria volta ad affiancare gli Stati membri nei loro sforzi per ridurre i danni derivanti dal consumo di alcol — COM(2006) 625 def. La comunicazione è accompagnata da due approfondite relazioni commissionate dalla Commissione europea: P. Anderson & A. Baumberg, Alcohol in Europe: A public health perspective, (L'alcol in Europa — Una prospettiva di salute pubblica) St.Ives, Cambridgeshire, Instiitute of Alcohol studies, 2006, http://ec.europa.eu/health-eu/news_alcoholineurope_en.htm (riassunto in italiano all'indirizzo http://ec.europa.eu/health-eu/doc/alcoholineu_sum_it_en.pdf) e una dettagliata analisi economica dell'impatto dell'alcol sullo sviluppo economico dell'UE nell'ambito della procedura di valutazione d'impatto (http://ec.europa.eu/health/ph_determinants/life_style/alcohol/documents/alcohol_com_625_a1_en.pdf).- il cosiddetto RAND Report.

(5)  Alcohol in Europe: A public health perspective.

(6)  Parere del CESE del 16.3.2006 sul tema La violenza domestica contro le donne (GU C 110 del 9.5.2006) e parere del CESE del 14.12.2006 sul tema I minori in quanto vittime indirette della violenza domestica (GU C 325 del 30.12.2006), relatrice: HEINISCH.

(7)  Alcohol in Europe: A public health perspective.

(8)  Alcohol-related harm in EuropeKey data October 2006, Bruxelles, MEMO/06/397, 24 ottobre 2006 (disponibile solo in lingua inglese). Fonte: Global Burden of Disease Project (Rehm et at 2004).

(9)  Alcohol in Europe: A public health perspective.

(10)  Ibidem.

(11)  Oltre 40 g di alcol, cioè 4 bicchieri al giorno, per gli uomini e oltre 20 g di alcol cioè 2 bicchieri al giorno, per le donne.

(12)  Alcohol-related harm in EuropeKey data October 2006, Bruxelles, MEMO/06/397, 24 ottobre 2006 (disponibile solo in lingua inglese). Fonte: Global Burden of Disease Project (Rehm et at 2004).

(13)  Ibidem.

(14)  Alcohol in Europe: A public health perspective.

(15)  Comunicazione della Commissione — Verso una strategia dell'Unione europea sui diritti dei minori, COM(2006) 367 def.

(16)  Parere del CESE del 13.12.2006 in merito alla Comunicazione della Commissione — Verso una strategia dell'Unione europea sui diritti dei minori (GU C 325 del 30.12.2006) (relatrice: van TURNHOUT).

(17)  Alcohol in Europe: A public health perspective.

(18)  Organizzazione mondiale della sanità — Carta europea sul consumo di alcol, Copenaghen, Organizzazione mondiale della sanità, Ufficio regionale per l'Europa, 1995.

(19)  Alcopop è un termine coniato dai media per indicare le bevande alcoliche gasate vendute in bottigliette che ricordano le bibite analcoliche.

(http://en.wikipedia.org/wiki/Alcopop).

(20)  Parere del CESE sul tema La politica europea di sicurezza stradale e i conducenti professionisti (TEN/290), relatore: ETTY.

(21)  Alcohol in Europe: A public health perspective.

(22)  Raccomandazione della Commissione 2004/345/CE del 6.4.2004 relativa all'applicazione della normativa in materia di sicurezza stradale, GU L 111, 17.4.2004.

(23)  Alcohol in Europe: A public health perspective.

(24)  Cfr. per esempio www.alna.se.

(25)  Alcohol in Europe: A public health perspective.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Qui di seguito si riportano gli emendamenti che, pur essendo stati respinti durante il dibattito, hanno ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi (articolo 54, paragrafo 3, del Regolamento interno).

Punto 1.1

Modificare come segue:

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie favorevolmente la comunicazione della Commissione Strategia comunitaria volta ad affiancare gli Stati membri nei loro sforzi per ridurre i danni derivanti dal consumo di alcol e sostiene la proposta di sviluppo di una strategia comune e coerente di riduzione dei danni derivanti dall'abuso di alcol in tutta Europa che è stata avanzata dalla Commissione. Il Comitato si rammarica tuttavia che la comunicazione sia ben lungi dal proporre quella «strategia globale» richiesta nelle conclusioni del Consiglio del 5 giugno 2001.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 31

Voti contrari: 67

Astensioni: 6

Punto 1.5

Sopprimere l'intero punto:

Il CESE si rammarica che nella comunicazione la Commissione non riconosca che una delle ragioni di tanti danni alcol-correlati consiste nel fatto che l'alcol è una droga psicoattiva, una sostanza che, se usata in eccesso, è tossica e per alcuni crea dipendenza.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 29

Voti contrari: 74

Astensioni: 5

Punto 1.11

Cancellare il punto:

Il CESE esprime preoccupazione per l'inquietante incoerenza fra i dati che emergono dalle ricerche sulle misure più efficaci per ridurre i danni derivanti dal consumo di alcol e le misure comunitarie proposte. In tutta la comunicazione, l'educazione e l'informazione figurano frequentemente fra le misure avanzate. Le ricerche sembrano tuttavia dimostrare che esse hanno un tasso di efficacia molto limitato nel ridurre i danni alcol-correlati.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 27

Voti contrari: 80

Astensioni: 2

Punto 3.5

Sopprimere l'intero punto:

Il CESE si rammarica che nella comunicazione la Commissione non riconosca che una delle ragioni di tanti danni derivanti dal consumo di alcol risieda nel fatto che l'alcol è una droga psicoattiva, una sostanza tossica se usata in eccesso e per alcuni una sostanza che crea dipendenza. È deludente se si pensa che la strategia è stata elaborata sotto la guida della DG Salute della Commissione che dispone di vaste competenze in campo medico.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 30

Voti contrari: 82

Astensioni: 4

Punto 6.2

Sopprimere l'intero punto:

Il CESE teme che vi sia una grave incoerenza tra i risultati dalla ricerca concernente le misure efficaci di riduzione dei danni alcol-correlati e le azioni comunitarie proposte. In tutta la comunicazione della Commissione, l'educazione e l'informazione vengono frequentemente citate come misure intese a ridurre tali danni. Tuttavia, i risultati della ricerca indicano che l'educazione e l'informazione presentano un bassissimo grado di efficacia a tale scopo.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 31

Voti contrari: 81

Astensioni: 3

Punto 7.4

Sopprimere una parte del testo:

Eccezion fatta per la creazione di una base più solida di conoscenze comprovate su scala europea, la strategia dell'UE in materia di alcol conta sugli Stati membri affinché continuino a prendere le necessarie misure politiche per ridurre i danni alcol-correlati. Le norme comunitarie relative al mercato interno continueranno tuttavia a comportare problemi per alcuni Stati membri e potranno potenzialmente rallentare il ritmo con cui verranno ridotti tali danni. Il CESE si rammarica che la strategia dell'UE in materia di alcol non raccomandi un'azione volta a colmare questa lacuna.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 28

Voti contrari: 83

Astensioni: 4


27.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 175/85


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme comuni per la prestazione di servizi di trasporto aereo nella Comunità (rifusione)

COM(2006) 396 def. — 2006/0130 (COD)

(2007/C 175/20)

Il Consiglio, in data 15 settembre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 80, paragrafo 2, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 maggio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore McDONOGH.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 31 maggio 2007, nel corso della 436a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 58 voti favorevoli e 4 astensioni.

Raccomandazioni

1.

Tutte le compagnie aeree soggette a oneri di servizio pubblico (OSP) dovrebbero essere tenute a fornire garanzie di buona esecuzione.

2.

Gli aeroporti da cui vengono effettuati voli soggetti a OSP e lo Stato contraente dovrebbero concludere un accordo sul livello dei servizi.

3.

Ai passeggeri dei voli soggetti a OSP, che potrebbero non disporre di alternative al trasporto aereo, andrebbero offerti rimborsi più elevati di quelli previsti dal regolamento (CE) n. 261/2004.

4.

Le procedure di gara per i servizi soggetti a OSP dovrebbero prevedere almeno due offerte.

5.

Nei collegamenti europei i biglietti dei voli di ritorno dovrebbero avere lo stesso prezzo di quelli di andata. Eventuali differenze consistenti devono essere giustificate.

6.

I biglietti dei voli soggetti a OSP dovrebbero essere risarcibili a determinate condizioni, al pari di tutti gli altri biglietti aerei.

7.

Sul biglietto dovrebbero essere chiaramente indicati gli elementi che entrano nel computo della tariffa (tasse, oneri aeroportuali, ecc.).

8.

a)

L'approccio all'intermodalità dovrebbe essere tale da garantire parità di condizioni a tutti i modi di trasporto.

b)

Oggi il settore aereo è gravato in misura sproporzionata dai costi di sicurezza. Questo stato di cose andrebbe corretto.

9.

Il riferimento ai treni ad alta velocità andrebbe mantenuto, in quanto non tutti gli Stati membri dispongono di treni di questo tipo.

10.

La Commissione europea dovrebbe effettuare verifiche per accertare che le autorità nazionali di regolamentazione dell'aviazione svolgano il loro compito in modo equo e imparziale e che nessuno dei loro interventi provochi distorsioni della concorrenza.

11.

Per i passeggeri che transitano per gli aeroporti europei andrebbe introdotto il sistema di sicurezza unico (one-stop security) originariamente proposto dalla Commissione.

12.

Il sistema per il controllo dei passeggeri negli aeroporti andrebbe modificato anche in modo da includere una procedura accelerata (biometrica) destinata ad agevolare i passeggeri abituali.

13.

I biglietti acquistati con più di un mese di anticipo dovrebbero prevedere un periodo di riflessione che consenta ai clienti di esercitare entro 48 ore il diritto di recesso senza penalità. In questo caso il consumatore dovrebbe avere diritto anche al rimborso integrale delle tasse pagate.

1.   Introduzione

1.1

A più di dieci anni dalla sua entrata in vigore, il terzo pacchetto sul mercato interno dell'aviazione ha largamente assolto alla sua funzione, consentendo al trasporto aereo di realizzare in Europa una espansione senza precedenti. I vecchi monopoli sono stati spazzati via, è nato il «cabotaggio» intracomunitario e la concorrenza si è intensificata in tutti i segmenti di mercato a vantaggio dei consumatori.

1.2

Nonostante questi indubbi successi, la maggior parte delle compagnie aeree comunitarie continua a risentire di fenomeni di sovraccapacità e dell'eccessiva frammentazione del mercato. L'applicazione non omogenea delle disposizioni del terzo pacchetto nei vari Stati membri e il perdurare di restrizioni sui servizi aerei intracomunitari producono gli effetti seguenti:

1.3

non vi è parità di condizioni per tutti: le distorsioni della concorrenza (p. es. divergenze nell'applicazione dei requisiti per il rilascio delle licenze di esercizio, discriminazione tra vettori dell'UE a seconda della nazionalità, trattamento discriminatorio sui collegamenti con i paesi terzi e altre ancora) incidono negativamente sull'efficienza del mercato;

1.4

le norme disciplinanti la locazione di aeromobili di paesi terzi con equipaggio (wet lease) non sono applicate in modo omogeneo, con conseguenti distorsioni della concorrenza e ricadute sul piano sociale;

1.5

i passeggeri non beneficiano pienamente del mercato interno a causa della scarsa trasparenza dei prezzi o di pratiche discriminatorie basate sul luogo di residenza.

2.   Disposizioni vigenti nel settore oggetto della proposta

2.1

La proposta in esame è finalizzata alla revisione e al consolidamento dei regolamenti vigenti.

2.2

Essa rafforza il mercato interno favorendo un contesto più concorrenziale nel quale i vettori aerei europei siano in grado di affrontare la concorrenza internazionale.

2.3

Alcune delle modifiche proposte possono avere incidenze sul piano ambientale, in quanto tenderanno a stimolare un'ulteriore espansione del traffico aereo. La continua crescita del traffico aereo sta diventando un'importante causa di incremento delle emissioni di gas serra; il Comitato economico e sociale europeo ne è consapevole e sta elaborando un parere in materia. A prescindere dai provvedimenti necessari in quell'ambito, però, il Comitato appoggia l'intento dichiarato dalla Commissione nella proposta di accrescere l'omogeneità delle condizioni di concorrenza nel settore aereo.

3.   Valutazione d'impatto

3.1

La revisione del terzo pacchetto aereo non prevede modifiche radicali del quadro normativo, ma piuttosto una serie di adattamenti tesi a risolvere vari problemi che sono emersi nel corso della sua applicazione.

3.2

Lo scenario «senza cambiamenti» non ha alcuna ripercussione sui tre regolamenti che attualmente costituiscono il terzo pacchetto sul mercato interno dell'aviazione.

3.3

L'opzione «con cambiamenti» prevede tutta una serie di modifiche al terzo pacchetto allo scopo di assicurare l'applicazione omogenea ed efficace delle sue disposizioni. Andrebbe modificato anche il sistema per il controllo dei passeggeri negli aeroporti in modo da includere una procedura accelerata (biometrica) destinata ad agevolare i passeggeri abituali.

3.4

La proposta in esame garantirà un'applicazione efficace ed omogenea della normativa comunitaria sul mercato interno dell'aviazione imponendo il rispetto di criteri più severi e dettagliati (es. per le licenze di esercizio, la locazione di aeromobili, gli oneri di servizio pubblico e la ripartizione del traffico). Rinforzerà inoltre il mercato interno sopprimendo le residue restrizioni sulla prestazione di servizi aerei, contenute nei vecchi accordi bilaterali stipulati fra gli Stati membri, nonché autorizzando la Comunità a negoziare con i paesi terzi i diritti di traffico intracomunitario. La proposta assicurerà infine una migliore tutela dei diritti dei consumatori favorendo la trasparenza dei prezzi e la non discriminazione.

3.5

L'esperienza acquisita nell'applicazione del terzo pacchetto ha dimostrato che la normativa attualmente vigente non è interpretata né applicata in modo uniforme negli Stati membri. Questa situazione ostacola l'instaurarsi di un'autentica parità di condizioni per tutti i vettori aerei comunitari.

3.6

La proposta determinerà una semplificazione della legislazione.

4.   Esposizione dettagliata della proposta

4.1

Rafforzamento dei requisiti per il rilascio e la revoca delle licenze di esercizio. Oggi la solidità finanziaria delle compagnie aeree viene controllata con maggiore o minore severità a seconda dello Stato membro che ha rilasciato la relativa licenza.

4.2

La proposta impone agli Stati membri di intensificare la vigilanza sulle licenze di esercizio fino al punto di ordinarne la sospensione o la revoca quando i requisiti del regolamento non risultino più soddisfatti (articoli 5-10).

4.3

La proposta è stata redatta in modo tale da ammettere la possibilità di un futuro allargamento delle competenze dell'EASA, l'Agenzia europea per la sicurezza aerea, in materia di controllo della sicurezza e/o di rilascio delle licenze, al fine di garantire una vigilanza più efficace e coerente di tutti i vettori aerei.

5.   La proposta rafforza i requisiti per la locazione di aeromobili

5.1

L'utilizzazione di aeromobili di paesi terzi con equipaggio (wet lease) offre alle compagnie aeree dell'UE una grande flessibilità. Questa pratica comporta tuttavia alcuni inconvenienti se non addirittura rischi gravi per la sicurezza, come dimostrato da vari incidenti verificatisi recentemente.

5.2

La valutazione della sicurezza degli aeromobili in locazione provenienti da paesi terzi non è effettuata con lo stesso rigore in tutti gli Stati membri. È pertanto cruciale che l'articolo 13 (wet leasing/dry leasing) sia applicato fino in fondo dall'autorità competente per il rilascio delle licenze.

6.   La proposta chiarisce le norme applicabili agli oneri di servizio pubblico (OSP)

6.1

La normativa in tema di oneri di servizio pubblico è stata rivista nell'intento di alleggerire gli adempimenti amministrativi, evitare un eccessivo ricorso agli OSP e aumentare il numero delle imprese candidate alle gare pubbliche.

6.2

Per evitare un eccessivo ricorso agli OSP, la Commissione può imporre, in determinati casi, la presentazione di una relazione economica che chiarisca il contesto nel quale gli OSP sono attivati; inoltre l'analisi della loro idoneità andrebbe svolta in modo particolarmente approfondito ogniqualvolta le autorità nazionali intendano imporli per collegamenti dove già operano servizi ferroviari ad alta velocità con percorrenze inferiori a 3 ore. La procedura di gara pubblica è stata modificata portando la durata massima del periodo di concessione da 3 a 4 anni.

7.   Concorrenza

7.1

Per garantire la coerenza tra il mercato interno e i suoi aspetti esterni, compresi quelli inerenti al Cielo unico europeo, l'accesso delle compagnie aeree di paesi terzi al mercato intracomunitario dovrebbe essere gestito in modo omogeneo negoziando i diritti di traffico con questi paesi a livello comunitario.

7.2

Saranno eliminate le residue restrizioni contenute negli accordi bilaterali tuttora vigenti fra gli Stati membri, così da evitare che i vettori aerei comunitari pratichino discriminazioni, in fatto di code sharing e determinazione delle tariffe, su collegamenti verso paesi terzi che prevedono scali in altri Stati membri.

8.   La proposta favorisce la trasparenza dei prezzi per i passeggeri e una politica dei prezzi equa

8.1

La pubblicazione di tariffe non comprensive di tasse, imposte e del supplemento per il carburante è ormai una prassi generalmente invalsa che nuoce alla trasparenza dei prezzi. A sua volta la mancata trasparenza dei prezzi provoca distorsioni della concorrenza, cosicché i consumatori si trovano di fronte a tariffe mediamente più elevate. La Commissione rileva anche che esistono ancora casi di discriminazione motivati dal luogo di residenza del passeggero.

8.2

La proposta in esame prevede che le tariffe aeree debbano comprendere tutte le tasse e le imposte e tutti i diritti applicabili e che le compagnie aeree debbano fornire al pubblico informazioni complete sulle tariffe per il trasporto di passeggeri e di merci.

8.3

All'interno della Comunità le tariffe aeree devono essere stabilite senza discriminazioni fondate sul luogo di residenza o sulla nazionalità del passeggero. Inoltre, l'accesso alle tariffe aeree di una compagnia non deve essere oggetto di discriminazioni basate sul luogo di stabilimento dell'agenzia di viaggi.

8.4

Le tariffe aeree devono essere indicate chiaramente. Attualmente alla tariffa di base si vanno a sommare numerosi oneri addizionali che possono far aumentare notevolmente il prezzo complessivo del biglietto; tra questi spiccano in particolare le tasse aeroportuali, che risaputamente le linee aeree tendono a gonfiare per accrescere i loro introiti.

All'interno dell'Europa le tariffe sono spesso distorte dalle differenze valutarie, anche se il fenomeno dovrebbe essere stato ridimensionato dall'introduzione dell'euro. Rimane tuttavia difficile spiegare come mai i biglietti dei voli diretti a Londra, Roma e Madrid costino meno di quelli dei voli in partenza da tali località.

Questa differenza tariffaria tra viaggio di andata e viaggio di ritorno si ritrova nella maggior parte delle rotte in tutta Europa.

8.5

Il Comitato condivide pienamente la proposta di dotare l'EASA di adeguate risorse umane e finanziarie e di poteri normativi vincolanti per tutti gli Stati membri dell'UE. Questa idea era peraltro già stata suggerita dal Comitato in un suo precedente documento (1).

8.6

Mantenere gli OSP è tuttora necessario e auspicabile per promuovere i servizi verso le aree più isolate, ma le regole e le normative cui sono soggette le compagnie aeree interessate sono molto permissive. Gli OSP, infatti, pur imponendo un certo numero di voli e di posti a sedere negli aeromobili, non sembrano prevedere alcuna sanzione per la scarsa puntualità e i ritardi dei voli.

Bruxelles, 31 maggio 2007.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  GU C 309 del 16.12.2006, pag. 51.


27.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 175/88


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La politica europea di sicurezza stradale e i conducenti professionisti — Parcheggi sicuri e custoditi

(2007/C 175/21)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 febbraio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema: La politica europea di sicurezza stradale e i conducenti professionisti — Parcheggi sicuri e custoditi

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 maggio 2007 sulla base di un progetto di cui sono stati relatori dapprima ETTY e in seguito CHAGAS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 30 maggio 2007, nel corso della 436a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 118 voti favorevoli, 4 voti contrari e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Per ragioni attinenti alla sicurezza stradale, alla criminalità ai danni del trasporto merci su strada e alla salute e alla sicurezza degli autotrasportatori, è necessario creare in tutta l'Unione europea un maggior numero di parcheggi sicuri e custoditi per i conducenti professionisti.

1.2

L'Unione internazionale dei trasporti stradali (International Road Transport Union — IRU) e la Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (European Transport Workers' Federation — ETF) hanno elaborato una serie di criteri comuni che, oltre ad essere frutto di una scelta avveduta, risultano anche applicabili; occorrerà tenerne conto nella costruzione di queste strutture di sosta.

1.3

Il Comitato economico e sociale europeo accoglie con favore l'iniziativa del Parlamento europeo, appoggiata dalla Commissione europea, di elaborare un progetto pilota che prevede studi di fattibilità e aiuti all'avviamento per la creazione di parcheggi sicuri e custoditi per i conducenti professionisti.

Il Comitato formula le seguenti raccomandazioni:

1.4

la Commissione dovrebbe tener conto della questione dei parcheggi sicuri e custoditi per i conducenti professionisti nel quadro della messa a punto e del cofinanziamento delle reti stradali transeuropee;

1.5

la Commissione dovrebbe fare altrettanto al momento dell'approvazione di progetti di infrastrutture stradali cofinanziati nel quadro del Fondo europeo di sviluppo regionale. Anche la Banca europea per gli investimenti dovrebbe tenere conto della questione nell'erogare prestiti per lo sviluppo di infrastrutture stradali;

1.6

gli Stati membri dovrebbero esaminare la questione nel quadro dell'applicazione a livello nazionale del Programma di azione per la sicurezza stradale;

(NB: in merito a queste tre raccomandazioni, andrebbe prestata particolare attenzione alla necessità di creare un maggior numero di strutture di sosta di questo tipo, specialmente alla luce del costante aumento del traffico tra «vecchi» e «nuovi» Stati membri);

1.7

la Commissione dovrebbe valutare, nel periodo fino all'aprile 2009, il ruolo che potrebbe svolgere l'UE legiferando in merito agli aspetti pertinenti della questione ed elaborando strumenti legislativi non vincolanti negli ambiti essenzialmente di competenza degli Stati membri. Ciò dovrebbe permettere alla Commissione e agli Stati membri di adottare delle misure tempestive e coordinate al termine del progetto pilota menzionato ai punti 2.9, 2.10 e 2.11. La valutazione andrebbe effettuata conformemente all'articolo 71 del Trattato, ma anche tenendo conto del rapporto tra le misure relative all'orario di lavoro da un lato e quelle relative alla salute e alla sicurezza dei lavoratori dall'altro. I provvedimenti adottati potrebbero contemplare anche la questione dei parcheggi sicuri e custoditi per i conducenti professionisti;

1.8

la Commissione dovrebbe garantire la piena partecipazione delle parti sociali a questo esercizio;

1.9

la Commissione dovrebbe esaminare i possibili modi per rafforzare le iniziative adottate dalla società civile in merito alla questione dei parcheggi sicuri e custoditi e per contribuire alla loro attuazione, nonché per far sì che le organizzazioni interessate aiutino i loro aderenti a utilizzare in modo ottimale le strutture di sosta esistenti e quelle di nuova concezione. La Commissione potrebbe, ad esempio, aiutarle a integrare e migliorare le informazioni sulle strutture di sosta e a rendere queste informazioni più accessibili, anche on line, ai loro aderenti. Si potrebbero inoltre prevedere un sistema di certificazione dei parcheggi sicuri e custoditi (che utilizzi i criteri comuni IRU-ETF) e un sistema di informazione quotidiana sui posti ancora disponibili nei parcheggi. Insieme agli Stati membri e alle organizzazioni interessate, la Commissione potrebbe mettere a punto dei metodi per informare in tempo utile i conducenti.

2.   Osservazioni generali

2.1

La politica europea in materia di sicurezza stradale, comprendente il Terzo programma di azione europeo per la sicurezza stradale (2003) e il Programma di azione europeo per la sicurezza stradaleBilancio intermedio (2006), è stata incentrata su alcune categorie ben precise tra cui i motociclisti, i pedoni, i giovani e anche i conducenti professionisti. La Commissione ha tuttavia trascurato diversi aspetti rilevanti, uno dei quali è di fondamentale importanza agli occhi delle parti sociali: si tratta, nel quadro della sicurezza delle infrastrutture stradali, delle aree di sosta per i conducenti professionisti, in particolare delle aree di sosta sicure e custodite.

2.2

Perché è una questione così cruciale? Si può rispondere adducendo almeno tre validi motivi.

2.3

Il primo riguarda la questione della sicurezza stradale. È di recente entrato in vigore il nuovo regolamento (CE) n. 561/2006 sui periodi di guida e di riposo. Implicitamente, all'articolo 12 riconosce l'importanza di disporre, lungo la rete autostradale dell'UE, di un numero sufficiente di strutture di sosta per conducenti professionisti sicure e custodite (1). A parte questa considerazione legata alle normative europee, occorre ricordare che in alcuni Stati membri la legislazione nazionale prevede il divieto di circolazione per i mezzi pesanti nel fine settimana. In questo ambito è pertanto necessario che gli Stati membri migliorino la diffusione di informazioni e il coordinamento tra di loro.

2.4

Il secondo motivo è la diffusione degli atti criminali ai danni del trasporto merci su strada. Benché i dati statistici provenienti dagli Stati membri siano per molti aspetti insufficienti e difficilmente comparabili, sembra che il numero di furti (di camion e carico) e di aggressioni ai conducenti sia in aumento. In base a diverse fonti, il 40 % degli atti criminali commessi nel contesto di un trasporto internazionale su strada avviene nei parcheggi situati lungo le autostrade. Tra breve uno studio attualmente condotto dalla Conferenza europea dei ministri dei Trasporti e dall'Unione internazionale dei trasporti su strada fornirà dati aggiornati sulle aggressioni e sugli atti di violenza subiti dai conducenti professionisti nelle aree di sosta.

2.4.1

Recentemente (maggio 2007) il Parlamento ha pubblicato uno studio sul furto organizzato di veicoli commerciali e del loro carico nell'UE (2) in cui si stima il valore delle perdite causate da furti a oltre 8,2 miliardi di euro, pari a un valore di 6,72 euro per ogni viaggio con carico. Secondo lo studio, ogni anno circa 9.000 conducenti professionisti sono vittime di questo tipo di criminalità sulle autostrade dell'UE.

2.5

Il terzo motivo è la necessità di tenere conto della salute e della sicurezza degli autotrasportatori. Un conducente stanco rappresenta un problema per la sicurezza stradale. La politica dei trasporti, tuttavia, dà importanza alla limitazione dei periodi di guida essenzialmente sotto il profilo della concorrenza, mentre la questione di per sé, anche nel migliore dei casi, ha uno spazio molto limitato nella legislazione attuale.

2.6

Vi sono anche altri aspetti da tenere in considerazione: ad esempio, i conducenti professionisti di veicoli di peso inferiore a 3,5 tonnellate non sono soggetti alle normative europee sui periodi di guida e di riposo e a quelle sui dispositivi di limitazione della velocità. E ciò nonostante il fatto che il traffico di questo tipo di veicoli non cessi di crescere, compresi i trasporti di merci di valore, e che il numero di incidenti in cui sono coinvolti sia in aumento.

2.7

Si pone inoltre l'ampia questione delle modalità per agevolare l'applicazione degli elementi sociali delle normative sui conducenti di camion, alla quale finora non si è dato sufficiente rilievo.

2.8

Infine, la presenza lungo le principali autostrade europee di parcheggi sicuri e custoditi che si trovino a una distanza adeguata potrebbe anche determinare effetti positivi sull'ambiente e contribuire a rendere il traffico più scorrevole.

2.9

L'importanza di mettere a disposizione dei conducenti professionisti aree di sosta sicure e custodite è attualmente al centro di un dibattito che si sviluppa soprattutto attorno ad un punto, vale a dire il fatto che di recente (2006) i datori di lavoro e i sindacati del settore, l'Unione internazionale dei trasporti stradali e la Federazione europea dei lavoratori dei trasporti, abbiano richiesto all'UE e alle autorità nazionali, regionali e locali degli Stati membri di predisporre un numero sufficiente di strutture di questo genere che rispettino una serie di criteri stabiliti congiuntamente.

2.10

Anche il Parlamento europeo, nelle sue deliberazioni sul nuovo regolamento (CE) n. 561/2006, ha trattato la questione delle aree di sosta sicure e custodite, esprimendo particolare preoccupazione per la criminalità ai danni del trasporto merci su strada. Su iniziativa del Parlamento, appoggiato dalla Commissione, una dotazione di 5,5 milioni di euro è stata destinata all'elaborazione di un progetto pilota. Questo progetto, attualmente in corso, prevede studi di fattibilità e aiuti all'avviamento per l'allestimento di tali aree di sosta.

2.11

Nel 2006 la Commissione ha commissionato uno Studio sulla fattibilità della creazione, sulla rete stradale transeuropea, di una rete di parcheggi sorvegliati per gli operatori del trasporto su strada, che è stato completato all'inizio del 2007 (3).

2.12

Gli aiuti all'avviamento sono stati concessi a cinque progetti modello i cui obiettivi principali sono i seguenti: la definizione di requisiti comuni in materia di parcheggi sicuri e la costruzione di alcuni parcheggi sicuri di nuova concezione in almeno due Stati membri. Tra le questioni fondamentali da esaminare vi è quella dei modelli di partnership pubblico-privato.

2.13

La Commissione procederà alla valutazione del progetto pilota non appena sarà stato completato, entro il mese di aprile 2009, coinvolgendo le parti direttamente interessate così come le avrà coinvolte nella sua attuazione. Nel 2009 la Commissione potrebbe formulare delle proposte di intervento (normative, strumenti legislativi non vincolanti, coordinamento, scambio di migliori prassi, ecc.) fondate sulla valutazione effettuata.

2.14

Nel bilancio 2007 il Parlamento ha inoltre destinato 2 milioni di euro allo sviluppo di un sistema di certificazione per i parcheggi sicuri e custoditi.

2.15

Di recente il Comitato ha accennato alla questione dei parcheggi sicuri e custoditi per i conducenti professionisti nel parere TEN/217 (4) e nel parere TEN/270 (5).

2.16

La questione dei posti disponibili nei parcheggi è inoltre affrontata nella relazione del Parlamento sul tema Gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali (2006/0182(COD), versione preliminare) del 20 marzo 2007.

3.   Osservazioni particolari

3.1

A giudizio del Comitato la Commissione, stabilendo norme relative ai periodi di guida e di riposo, si è anche impegnata a far sì che i conducenti professionisti fossero in grado di rispettarle. Ciò significa che lungo le principali autostrade europee occorre prevedere dei parcheggi adeguati a una distanza tale da permettere ai conducenti di rispettare i periodi di riposo obbligatori.

3.2

I criteri per la messa a punto di questo genere di parcheggi definiti dall'IRU e dall'EFT nel marzo 2006 sono frutto di una scelta avveduta e risultano applicabili. Essi tengono adeguatamente conto di molte delle raccomandazioni di intervento formulate nello studio di fattibilità menzionato al punto 2.10. I criteri si riferiscono a due tipi di strutture di sosta: un primo tipo che offre servizi di base e un secondo tipo, per gli snodi strategici, che presenta un maggior numero di servizi obbligatori. L'IRU e l'ETF propongono inoltre altre strutture o servizi che, per gli operatori delle aree di sosta, sono altamente auspicabili oppure facoltativi in funzione del livello della domanda. Secondo il Comitato, questi criteri garantiscono un adeguato equilibrio tra le considerazioni relative alla sicurezza stradale, alla protezione del conducente e del carico, alla salute e sicurezza sul luogo di lavoro per il conducente.

3.3

Attualmente nell'UE i parcheggi che rispondono ai criteri stabiliti dall'IRU e dall'ETF sono in numero insufficiente, sia nei vecchi Stati membri che in quelli nuovi. Nell'Europa centrale e orientale tali parcheggi dovrebbero essere previsti già nelle fasi di pianificazione e costruzione delle nuove autostrade. Sarebbe inoltre opportuno dedicare un'attenzione particolare ai valichi delle frontiere esterne dell'UE, dove i conducenti devono spesso attendere per lunghi periodi.

3.4

La Commissione europea e gli Stati membri dovrebbero affrontare la situazione con urgenza, tenendo conto delle rispettive responsabilità e competenze. Il Comitato prende atto con interesse delle iniziative prese dal Parlamento e dalla Commissione e auspica che inducano quanto prima la Commissione stessa e gli Stati membri a impegnarsi nella preparazione di politiche da sviluppare dopo la conclusione dei progetti pilota menzionati al punto 2.11.

3.5

Il Comitato osserva con soddisfazione che la società civile organizzata, e in particolare le parti sociali del settore del trasporto su strada, ha affrontato la questione dei parcheggi sicuri e custoditi con un'iniziativa costruttiva e concreta. Incoraggia quindi la Commissione a esaminare i possibili modi per rafforzare questa iniziativa e per contribuire alla sua attuazione, nonché per far sì che le organizzazioni interessate aiutino i loro aderenti a utilizzare in modo ottimale le strutture di sosta esistenti e quelle di nuova concezione. La Commissione potrebbe, ad esempio, aiutarle a integrare e migliorare le informazioni sulle strutture di sosta e a rendere queste informazioni più accessibili, anche on line, ai loro aderenti. Si potrebbe inoltre prevedere un sistema di informazione quotidiana sui posti ancora disponibili nei parcheggi. Insieme agli Stati membri e alle organizzazioni interessate, la Commissione potrebbe mettere a punto dei metodi per informare in tempo utile i conducenti.

Bruxelles, 30 maggio 2007.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Articolo 12: A condizione di non compromettere la sicurezza stradale e per poter raggiungere un punto di sosta appropriato, il conducente può derogare alle disposizioni degli articoli da 6 a 9 nei limiti necessari alla protezione della sicurezza delle persone, del veicolo o del suo carico. Il conducente indica a mano sul foglio di registrazione dell'apparecchio di controllo, nel tabulato dell'apparecchio di controllo, o nel registro di servizio il motivo della deroga a dette disposizioni al più tardi nel momento in cui raggiunge il punto di sosta appropriato.

(2)  Versione provvisoria, 3.5.2007, IP/B/TRAN/IC/2006-194. Lo studio è stato effettuato dalla società NEA Transport. Research and Training su richiesta della commissione per i trasporti e il turismo del Parlamento europeo.

(3)  NEA Transport Research Training, Rijswijk, Paesi Bassi, gennaio 2007.

(4)  Parere sul tema La sicurezza dei modi di trasporto, CESE 1488/2005 del 14.12.2005, cfr. punto 3.10. GU C 65 del 17.3.2006.

(5)  Parere in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali, CESE 613/2007 del 26.4.2007, cfr. punto 4.8.


27.7.2007   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 175/91


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La futura legislazione in materia di e-accessibilità

(2007/C 175/22)

Con lettera datata 26 febbraio 2007, la Commissione ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di elaborare un parere sul tema: La futura legislazione in materia di e-accessibilità

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 maggio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore HERNÁNDEZ BATALLER.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 30 maggio 2007, nel corso della 436a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 136 voti favorevoli e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE sostiene l'azione della Commissione in materia di e-accessibilità e invita quest'ultima a procedere lungo la strada intrapresa, ma si riserva la possibilità di adottare un parere complementare, dato il vivo interesse che suscita questo tema.

1.2

Il CESE ritiene che la Commissione debba adottare una serie di iniziative a livello comunitario, vale a dire:

rafforzare la legislazione vigente per renderla coerente e vincolante al fine di eliminare le disparità e gli sfasamenti attualmente osservabili tra gli Stati membri, soprattutto nel settore delle comunicazioni elettroniche (specie per quanto riguarda il servizio universale) e dei mercati pubblici, potenziando a sua volta l'acquis normativo mediante l'adozione di nuove misure sovranazionali basate sugli articoli 13 e 95 del Trattato CE, che salvaguardino gli obblighi di accessibilità come obblighi di servizio pubblico,

estendere trasversalmente l'e-accessibilità a tutte le politiche comunitarie,

adottare misure non vincolanti in materia di e-accessibilità che consentano di migliorare la qualità della vita delle persone con disabilità e delle persone anziane.

1.3

La partecipazione delle organizzazioni della società civile organizzata è importante ai fini dell'attuazione di una politica adeguata in materia di e-accessibilità, per l'impulso che esse danno alle misure di accompagnamento, ad esempio su aspetti relativi ai codici di condotta o alla coregolamentazione.

1.4

Le azioni di sostegno dovrebbero concentrarsi su ambiti che agevolino l'accesso delle persone con disabilità e delle persone anziane alla società dell'informazione, e le avviino all'uso delle nuove tecnologie quali strumenti atti a realizzare la loro integrazione sociale, evitarne l'esclusione digitale e migliorare la loro qualità di vita.

1.5

I poteri pubblici degli Stati membri, applicando modelli indicativi sovranazionali, dovrebbero adottare tutte le misure di appoggio dirette a finanziare il coinvolgimento e un accesso più facile delle persone con disabilità e delle persone anziane nell'ambiente digitale.

2.   Introduzione

2.1

Con lettera del 26 febbraio 2007, la Commissione ha invitato il CESE ad elaborare un parere esplorativo sul tema La futura legislazione in materia di e-accessibilità, rivolgendo l'attenzione in particolare alle persone anziane.

Il superamento delle barriere e delle difficoltà tecniche che si trovano ad affrontare e subire le persone con disabilità e altri gruppi quando cercano di partecipare a pieno titolo alla società dell'informazione è noto sotto il nome di e-accessibilità. È una nozione che forma parte del concetto più vasto di e-inclusione, che tratta anche altri tipi di ostacoli di carattere economico, geografico o relativi al livello d'istruzione.

2.2

L'obiettivo essenziale è quello di identificare il tipo di atto di diritto derivato sulla cui base sarà perseguito, nel contesto attuale di rapida ristrutturazione economica e sociale, l'obiettivo dell'UE di creare una società pienamente inclusiva.

2.3

È incontestabile il solido ancoraggio di questo progetto normativo nelle basi giuridiche che incarnano i valori e i principi europei, com'è il caso dell'articolo 13 del Trattato CE, o delle referenze specifiche alla partecipazione di «tutti i suoi abitanti» alla vita democratica e al progresso sociale che figurano nei considerando secondo e quarto del preambolo al Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa e, tra gli altri, nei relativi articoli I-3, paragrafo 3, II-81 e II-86.

2.4

Inoltre, le posizioni e le decisioni in materia adottate dalle istituzioni e dagli organi dell'UE formano già un acquis molto ampio che, malgrado il suo carattere frammentario, contribuisce a delineare progressivamente politiche comunitarie improntate in modo proattivo alla non discriminazione e all'e-accessibilità. Ecco alcuni esempi:

nella risoluzione del Consiglio del 2 dicembre 2002 in materia di e-Accessibility per le persone con disabilità si invita la Commissione a sfruttare il potenziale della società dell'informazione a favore delle persone con disabilità e, in particolare, a eliminare tutti i tipi di barriere,

dal canto suo, il Consiglio Telecomunicazioni ha sottolineato la necessità di migliorare l'e-accessibilità in Europa (1) e, nella risoluzione sull'e-accessibilità del 2003 (2), il Consiglio Affari sociali ha invitato gli Stati membri ad adottare tutte le misure necessarie per giungere ad una società basata sulla conoscenza aperta, inclusiva e accessibile a tutti i cittadini.

2.4.1

Nel 2005, la Commissione ha pubblicato la comunicazione sul tema «i2010» (3) al fine di definire un nuovo quadro strategico per una società dell'informazione europea, cui ha fatto seguito la comunicazione sull'e-accessibilità (4), in cui la Commissione propone una serie di iniziative politiche per promuovere l'e-accessibilità.

2.4.2

In particolare, in quest'ultima comunicazione sull'e-accessibilità venivano presentate tre diverse strategie per affrontare il problema:

promuovere la fissazione di requisiti in materia di accessibilità nell'aggiudicazione di appalti pubblici,

garantire la certificazione dell'accessibilità,

migliorare l'utilizzo della legislazione vigente.

La Commissione aveva previsto di realizzare un monitoraggio di tali azioni due anni dopo la pubblicazione della comunicazione per prendere in esame la possibilità di adottare, se del caso, misure complementari.

2.4.3

Il Comitato ha adottato un parere su tale comunicazione (5), affrontando temi quali le norme armonizzate e l'interoperabilità, gli appalti pubblici, la certificazione, la certificazione rilasciata da terzi e l'autocertificazione, il ricorso alla legislazione vigente, l'integrazione (mainstreaming), l'accessibilità di Internet, la legislazione e il nuovo quadro strategico per la società dell'informazione.

2.5

Inoltre, più di recente, nel punto 6 della Risoluzione del Consiglio del 22 marzo 2007 su una strategia per una società dell'informazione sicura in Europa si sottolinea la necessità di «prestare particolare attenzione agli utenti con esigenze speciali o poco sensibilizzati alle questioni della sicurezza delle reti e dell'informazione», tra i quali figurano le persone anziane e le persone con disabilità.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE accoglie con notevole interesse l'invito della Commissione ad elaborare questo parere esplorativo, e sottolinea che, sebbene le iniziative comunitarie a favore dell'inclusione nella società dell'informazione debbano basarsi, in linea generale, su un approccio globale, esistono determinati gruppi, come quello delle persone anziane o delle persone con disabilità (6), a cui è necessario dedicare un'attenzione speciale per garantirne un'adeguata inclusione nella società dell'informazione.

Inoltre, dato il forte interesse del tema oggetto della consultazione, il CESE si riserva la possibilità di elaborare un parere complementare o un supplemento di parere in materia.

3.1.1

Questo approccio risulta pienamente coerente con il punto otto della Dichiarazione ministeriale di Riga (7), in cui si afferma che, per affrontare la e-inclusione in modo convincente, le differenze riscontrabili in riferimento all'utilizzazione media di Internet da parte della popolazione UE e quella delle persone anziane, delle persone con disabilità, delle donne, dei gruppi con un basso livello di istruzione, dei disoccupati e degli abitanti delle regioni «meno sviluppate» dovrebbero essere dimezzate entro il 2010.

Il CESE ritiene prioritaria un'azione comunitaria sull'e-accessibilità, a causa degli importanti cambiamenti di carattere politico e sociale avvenuti negli ultimi anni, sancendo l'accesso alle TIC come un diritto dei cittadini nel quadro dei servizi pubblici.

Questa azione comunitaria deve combinare uno strumento giuridico in grado di rafforzare la legislazione esistente con altre misure non vincolanti in diverse politiche, dato il valore aggiunto apportato dall'intervento comunitario.

Il CESE sostiene questo intervento comunitario:

sul piano sociale infatti esso migliora i diritti dei cittadini, e sul piano economico potenzia le economie di scala, il funzionamento del mercato interno, la competitività in un settore chiave e l'innovazione,

la diversità e la frammentazione degli approcci adottati dagli Stati membri sono alla radice di determinati problemi, dovuti in particolare alle divergenze osservabili nell'attuazione delle direttive esistenti: è pertanto necessario un chiarimento, specie per quanto riguarda i mercati pubblici o il servizio universale,

tutto questo va realizzato senza pregiudicare l'applicazione migliore possibile delle misure di sostegno eventualmente adottate.

3.2

Per quanto riguarda la base giuridica delle norme destinate a disciplinare le questioni relative alla e-accessibilità, è consigliabile utilizzare i seguenti articoli:

da una parte l'articolo 13 del Trattato CE, che autorizza in maniera generale il Consiglio ad adottare qualsiasi tipo di atto comunitario che combatta le discriminazioni,

dall'altra, anche l'articolo 95 del Trattato CE, dato che si tratta di questioni riguardanti l'instaurazione e il funzionamento del mercato interno, e le proposte della Commissione in materia devono basarsi su un livello di protezione elevato.

Quanto sopra non deve pregiudicare l'effetto trasversale che devono avere le questioni in materia di e-accessibilità.

3.2.1

Sfortunatamente, non essendo in vigore il Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa, non sarà possibile adottare tali atti in conformità con l'articolo III-124, paragrafo 1, che prevede la delibera del Consiglio all'unanimità «previa approvazione del Parlamento europeo». Dato che il vigente articolo 13 del Trattato CE prevede solamente che il Consiglio adotti tali atti all'unanimità «previa consultazione del Parlamento europeo», per l'elaborazione di queste disposizioni si dovrà fare a meno dell'ampio dibattito democratico e della maggiore legittimità di cui dispongono gli atti comunitari adottati secondo la procedura di codecisione.

3.2.2

Ciononostante, il fatto che sia espressamente prevista l'adozione all'unanimità da parte del Consiglio è particolarmente opportuno, dato che tutti gli atti normativi in questione dovranno rispettare il principio di sussidiarietà. Logicamente, il sostegno unanime dei governi dell'UE coinvolgerà più efficacemente le rispettive amministrazioni nazionali nell'attuazione e applicazione interne di tali atti. Questo significherà inoltre che gli obiettivi delle misure applicate non si limiteranno all'eliminazione degli ostacoli esistenti in questo ambito, ma includeranno contributi effettivi all'inclusione, in conformità con il carattere proattivo che devono rivestire le iniziative comunitarie basate sugli articoli 13 e 95 del Trattato CE.

3.2.3

In tal senso, l'atto normativo più adeguato sarebbe la direttiva, dato l'ampio margine di discrezionalità che si suole lasciare agli Stati membri nella scelta degli strumenti per realizzare gli obiettivi stabiliti a livello sopranazionale.

3.3

Per quanto riguarda il contenuto concreto del futuro quadro normativo comunitario, è indispensabile includere, tra gli altri, gli obiettivi seguenti, distinguendo quelli di portata generale da quelli di carattere specifico.

3.4

Quanto agli obiettivi di carattere generale, si dovrebbero considerare le iniziative seguenti:

a)

promuovere, attraverso standard e specifiche comuni, l'interoperabilità dei servizi prestati dalle TIC, in modo tale che gli organismi di normazione europei tengano conto dell'accessibilità nell'adottare e attuare le norme in materia;

rafforzare le disposizioni in materia di e-accessibilità nelle direttive sulle comunicazioni elettroniche, in linea con le raccomandazioni di INCOM (comitato Inclusive Communications) (8) e promuovere nel contempo l'e-accessibilità in ambiti quali la riforma della direttiva sui servizi audiovisivi (Televisione senza frontiere), come già raccomandato dal Comitato (9), o la direttiva sui diritti d'autore nella società dell'informazione, ad esempio,

b)

facilitare l'accesso alle reti delle TIC mediante la fornitura di apparecchiature e infrastrutture periferiche nelle zone e nelle regioni europee in cui esiste il problema del divario digitale. Nei fondi strutturali e nel Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale, nonché nel Fondo di ricerca e sviluppo di recente creazione, dovranno figurare voci specifiche sulla e-inclusione, per far sì che entro il 2010 il 90 % del territorio dell'UE disponga di accesso alle TIC;

c)

fare in modo che tutti i prodotti e i servizi forniti dalle TIC possano essere utili a tutti i membri della società, esigendo pertanto che la loro progettazione e il loro funzionamento tengano conto anche delle esigenze dei gruppi più svantaggiati della società, e in particolare dei disabili e delle persone anziane. A tale scopo, occorrerà definire un doppio livello di responsabilità, con il coinvolgimento sia dei poteri pubblici che del settore privato.

3.4.1

Da una parte, le istituzioni comunitarie e le autorità degli Stati membri dovranno, in funzione dei rispettivi ambiti di competenza, definire i criteri di azione per le imprese che operano nel settore TIC nel mercato interno, specie in ambiti come la normazione, e garantirne la corretta applicazione.

3.4.2

Nei limiti del possibile, questi requisiti dovranno essere applicati alla politica commerciale comune per far sì che i benefici dell'accessibilità assumano una dimensione non solo europea ma anche universale. Andranno inoltre promossi dei codici di condotta adeguati alle necessità di ciascun gruppo svantaggiato, allo scopo di dare vita a una cultura della responsabilità sociale delle imprese in questo ambito.

3.4.3

D'altra parte, è necessario coinvolgere gli attori interessati della società civile nel campo dell'innovazione tecnologica e della diffusione di buone prassi in materia di accesso e utilizzo delle TIC, mediante la creazione di reti transnazionali che colleghino i centri di ricerca universitari e quelli delle imprese del settore. Tra le varie misure possibili, andrebbero lanciati progetti annuali cofinanziati a tale scopo dall'UE e dalle amministrazioni nazionali, e andrebbe promossa una cultura dell'eccellenza nel campo della ricerca, anche con la creazione di un premio europeo per la qualità delle nuove tecnologie a favore dell'e-inclusione.

3.5

Quanto agli obiettivi di carattere specifico, si dovrebbero considerare le iniziative seguenti:

a)

estendere il campo di applicazione della direttiva sul servizio universale (che copre attualmente l'accesso ai telefoni pubblici a pagamento, ai servizi di emergenza e ai servizi che permettono di consultare gli elenchi degli abbonati) alle tecnologie a banda larga e ai telefoni cellulari, come il CESE ha già chiesto in ripetute occasioni;

b)

proibire alle amministrazioni pubbliche di utilizzare prodotti e servizi delle TIC non conformi alle norme vigenti in materia di accessibilità, e includere nella futura normativa comunitaria sugli appalti pubblici disposizioni vincolanti sull'accessibilità;

c)

armonizzare i requisiti di accessibilità per l'utilizzo delle reti IP, includendo i servizi di emergenza e quelli di televisione digitale interattiva;

d)

come già raccomandato dal CESE (10), assicurare che gli Stati membri adottino integralmente la seconda versione degli orientamenti relativi all'accessibilità di Internet, integrandola nei siti web pubblici;

e)

promuovere l'uso generalizzato degli strumenti di creazione di siti web, purché conformi alla seconda versione degli orientamenti relativi all'accessibilità di Internet di cui sopra.

4.   Osservazioni particolari

4.1

La categoria delle persone con più di 65 anni si sta espandendo nella piramide della popolazione o distribuzione della struttura della popolazione per fasce di età. Il basso tasso di natalità e il miglioramento della qualità e della speranza di vita sono le cause principali di questo fenomeno. Per questo motivo, le presidenze del Consiglio hanno incluso l'invecchiamento della popolazione tra i punti da affrontare nei programmi congiunti della presidenza.

4.2

Nella nuova società caratterizzata dalla forte presenza di persone anziane, vi sono fattori che tendono a favorire la solitudine, come la scomparsa della famiglia allargata e l'emergere della famiglia con un solo genitore. Attraverso la promozione di iniziative miranti a ridurre il divario digitale esistente, la società dell'informazione offre nuove opportunità di porre fine all'isolamento sociale, e le persone anziane devono approfittarne.

Ciò risulta particolarmente evidente in riferimento all'e-accessibilità. Come ha constatato la dichiarazione ministeriale di Riga, adottata all'unanimità, solo il 10 % delle persone con più di 65 anni residenti in Europa utilizzano Internet.

4.3

Oltre alla generalizzazione dell'accesso a Internet, per promuovere l'inclusione sociale delle persone anziane e delle persone con disabilità nella società dell'informazione occorre proporre, nel rispetto del principio di sussidiarietà, delle politiche sociali trasversali miranti all'uguaglianza e al miglioramento della qualità della vita, ottimizzando i servizi e promuovendo la partecipazione delle persone anziane nella società dell'informazione, sopprimendo gli ostacoli all'accesso alla formazione informatica e al software libero.

Agevolare l'accessibilità delle persone anziane e di quelle con disabilità alla società dell'informazione può stimolarne l'attività intellettuale e farle vivere più comodamente, attraverso la prestazione di servizi come, tra gli altri, i seguenti:

servizi di consulenza gratuiti,

consegna di documenti a domicilio,

consulenza giuridica a privati o a centri di pensionati o di disabili,

attività ricreative e del tempo libero,

assistenza gerontologica e collegamento con servizi sociali di zona,

formazione mediante aule virtuali,

programmi di vacanze e

servizi di telemedicina facoltativi.

Il CESE sottolinea l'importanza delle TIC nel promuovere la partecipazione economica e sociale delle persone anziane e delle persone con disabilità attraverso le rispettive organizzazioni rappresentative al fine di migliorare la situazione attuale nell'UE. La partecipazione degli attori della società civile organizzata può essere importante in ambiti come la coregolamentazione, l'elaborazione di codici di condotta o la responsabilità sociale delle imprese.

4.4

Il CESE ritiene che occorra adottare azioni di sostegno a progetti e interventi che agevolino l'accesso delle persone con disabilità e delle persone anziane alla società dell'informazione e le avviino all'utilizzo delle nuove tecnologie quali strumenti atti a realizzare la loro integrazione sociale, evitarne l'esclusione digitale e migliorare la loro qualità di vita; tali azioni dovrebbero concretamente:

creare e potenziare reti digitali che promuovano la professionalizzazione e l'efficienza dei sistemi di gestione dei vari organismi e associazioni adeguatamente finanziate e adattate alle necessità dei diversi gruppi di persone anziane e di persone con disabilità,

realizzare esperienze pilota basate su applicazioni e strumenti che contribuiscano ad incoraggiare la vita attiva e indipendente delle persone con disabilità e delle persone anziane integrandole nella società dell'informazione.

4.5

La coesione economica, sociale e territoriale può essere rafforzata applicando, nelle politiche attuate dall'UE, i principi dell'ONU per le persone anziane e dando impulso all'accesso a programmi di istruzione e di formazione adeguati.

4.6

Nel quadro della revisione che deve avviare sul «nuovo approccio», la Commissione dovrà tenere conto, nell'elaborazione della normativa in materia, dei bisogni delle persone anziane in modo che i prodotti che saranno sviluppati offrano servizi facilmente accessibili. Dal canto loro, gli organismi di normazione e l'industria dovranno tenere conto di queste circostanze nei rispettivi ambiti di azione.

4.7

Nell'ottica della protezione dell'ambiente esiste un potenziale di crescita dell'uso dell'ambiente digitale in grado di tradursi in una riduzione del ricorso agli spostamenti per ottenere certi servizi in loco. La Commissione dovrebbe esplorare tale potenziale per proporre future misure sovranazionali di e-accessibilità più ambiziose.

Bruxelles, 30 maggio 2007.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Risoluzione del Consiglio del 25.3.2002 sul piano d'azione e-Europe 2002: accessibilità del pubblico ai siti web e al loro contenuto (GU C 86, del 10.4.2002).

(2)  Risoluzione 14892/02 del Consiglio.

(3)  COM(2005) 229 def. Cfr. parere del CESE in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regionii2010Una società europea dell'informazione per la crescita e l'occupazione (GU C 110 del 9.5.2006, pag. 83).

(4)  COM(2005) 425 def.

(5)  Parere CESE 404/2006, adottato nella sessione plenaria del 15.3.2006. Relatore: CABRA DE LUNA. GU C 110 del 9.5.2006.

(6)  Cfr. parere del CESE 404/2006, punto 3.4: «I disabili costituiscono un gruppo eterogeneo. Tuttavia in tale ambito i disabili che incontrano le maggiori difficoltà d'accesso alle TIC sono le persone con difficoltà cognitive o di apprendimento, le persone con disabilità sensoriali (non udenti e ipoudenti, non vedenti e ipovedenti; persone non udenti e non vedenti e persone con difficoltà di parola) e le persone con disabilità fisiche». GU C 110 del 9.5.2006.

(7)  La dichiarazione ministeriale dell'UE sulla e-inclusione, adottata a Riga l'11.6.2006 nel quadro dell'iniziativa i2010, ha ribadito l'impegno politico di migliorare l'e-accessibilità. La dichiarazione è consultabile al seguente indirizzo:

http://ec.europa.eu/information_society/events/ict_riga_2006/index_en.htm.

(8)  Il comitato Inclusive Communications (INCOM) è stato creato nel 2003 ed è costituito da rappresentanti degli Stati membri, operatori di telecomunicazioni, associazioni di utenti e organismi di normazione.

(9)  Parere CESE 486/2006. GU C 185 del 8.8.2006.

(10)  Parere CESE 404/2006, punto 7.5.1: «Il Comitato invita tutti gli Stati membri ad approvare formalmente, e senza alcuna modifica, la seconda versione degli orientamenti relativi all'accessibilità di Internet, e chiede che tale seconda versione sia rispettata appieno da tutti i siti web pubblici». GU C 110 del 9.5.2006.