52011DC0363

COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI Rio+20: verso un’economia verde e una migliore governance /* COM/2011/0363 definitivo */


COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI

Rio+20: verso un’economia verde e una migliore governance

1. Rio+20: un’opportunità che il mondo non può permettersi di lasciarsi sfuggire

Nel giugno del 2012 tutti gli occhi saranno puntati su Rio de Janeiro, dove, a vent’anni dal primo vertice della Terra, i capi di Stato e di governo parteciperanno alla conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile[1] (UNCSD o “Rio+20”). Rio+20 s’inscrive nella continuità dei vertici mondiali precedenti: la conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano, tenutasi a Stoccolma nel 1972, la conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo (il vertice per la Terra), svoltasi a Rio de Janeiro nel 1992, e il vertice mondiale di Johannesburg per lo sviluppo sostenibile del 2002. Riprende peraltro i contenuti del vertice del Millennio delle Nazioni Unite (tenutosi nel 2000), nella fattispecie gli obiettivi di sviluppo del millennio.

Rio+20 offre ai paesi del mondo, oggi così strettamente interdipendenti, un’opportunità unica di rinnovare l’impegno politico a favore dello sviluppo sostenibile. Nell’ambito del vertice saranno valutati i progressi compiuti e si cercheranno soluzioni per raggiungere gli obiettivi mancati e affrontare i problemi emergenti, il tutto all’insegna di due temi correlati: “un’economia verde nel contesto dello sviluppo sostenibile e dell’eliminazione della povertà” e “il quadro istituzionale per lo sviluppo sostenibile”.

Rio+20 può segnare l’avvio, a livello mondiale, di una transizione accelerata e profonda verso un’economia verde, un’economia che genera crescita, crea posti di lavoro ed elimina la povertà investendo nel capitale naturale, oltre a preservarlo, dal quale dipende la sopravvivenza a lungo termine del nostro pianeta. Può inoltre lanciare la riforma della governance internazionale dello sviluppo sostenibile, di cui si avverte da tempo l’urgenza.

La Commissione europea è determinata a far sì che Rio+20 sia un successo. Questa comunicazione, attingendo alle politiche dell’UE in materia di sviluppo sostenibile e alla strategia Europa 2020 e tenendo conto della consultazione pubblica lanciata nel febbraio 2011, delinea le prime osservazioni della Commissione sui risultati concreti che potrebbero scaturire da Rio+20, come base su cui costruire un dialogo con le istituzioni dell’UE, la società civile, le imprese e altri paesi[2].

2. Evoluzione della situazione dal 1992: obiettivi mancati e problemi emergenti 2.1. Sviluppo sostenibile a livello internazionale

Nei decenni passati si sono osservate svariate tendenze positive sul piano mondiale. Si pensi in particolare alla crescita del reddito, grazie alla quale tra il 2000 e il 2005 più di 120 milioni di persone hanno superato il parametro di un dollaro al giorno, per non parlare dell’accesso all’istruzione, alla sanità e all’acqua, tutti campi in cui si sono registrati miglioramenti.

La convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) e la convenzione sulla diversità biologica (CBD), lanciate a Rio nel 1992, hanno dimostrato la validità di interventi concordati a livello mondiale. I negoziati sul clima condotti a Cancún nel 2010 hanno segnato un passo avanti verso una nuova governance mondiale dei cambiamenti climatici e verso la realizzazione dell’obiettivo volto a contenere l’aumento della temperatura entro i 2 °C. Anche la conferenza 2010 sulla biodiversità tenutasi a Nagoya ha prodotto esiti soddisfacenti. Circolano inoltre più informazioni di carattere scientifico sulle questioni ambientali, in particolare sui cambiamenti climatici, vi è una maggiore sensibilizzazione a questi temi e la società civile partecipa alla definizione delle politiche su scala mondiale, non da ultimo grazie al miglioramento della comunicazione via internet.

Negli ultimi vent’anni vari paesi in via di sviluppo sono divenuti attori economici e politici di primo piano, e ha quindi iniziato a configurarsi un nuovo equilibrio di potere e influenze, che non comporta solo nuovi ruoli, bensì richiede l’assunzione di nuove responsabilità.

Malgrado gli sviluppi positivi, persistono molti problemi irrisolti e traguardi lontano dall’essere raggiunti, che dovranno figurare nell’agenda di Rio+20. Circa 1,4 miliardi di persone continuano a vivere in uno stato di povertà estrema (in gran parte nell’Africa subsahariana e nell’Asia meridionale) e un sesto della popolazione mondiale soffre di denutrizione. Il raggiungimento di parecchi obiettivi di sviluppo del millennio è gravemente compromesso, ad esempio, per quanto concerne l’igiene, solo metà della popolazione dei paesi in via di sviluppo ha visto migliorare le proprie condizioni igieniche. I progressi in direzione di tali obiettivi sono peraltro assai difformi a livello geografico, con alcune regioni che registrano maggiori ritardi rispetto ad altre, e non vi è un solo obiettivo che sia stato raggiunto in uno dei paesi fragili. Gli sforzi per far fronte a questi problemi sono stati frenati dalla recente crisi economica e dal rincaro dei generi alimentari, che hanno fatto aumentare il numero di persone che vive in povertà.

Molti problemi ambientali non solo non sono stati risolti ma si sono acutizzati: l’aumento della domanda di risorse (terra, acqua, foreste, ecosistemi) ha portato a un maggiore impoverimento e degrado dell’ambiente; la perdita di biodiversità e la deforestazione continuano ad un ritmo allarmante; la scarsità di risorse, così come l’accesso ad esse, sta divenendo un problema di portata planetaria; le emissioni di gas ad effetto serra continuano ad aumentare in tutto il mondo, alimentate dal cambiamento di destinazione d’uso dei terreni e dalla crescente domanda di combustibili fossili. Gli effetti del cambiamento climatico (come il mutare del regime delle precipitazioni e l’innalzamento del livello del mare) possono peraltro moltiplicare gli attuali problemi ambientali. Lo sfruttamento eccessivo e l’inquinamento delle risorse idriche e dell’ambiente marino destano sempre più preoccupazioni, a tal punto che entro il 2025 un terzo della popolazione mondiale dovrà probabilmente confrontarsi con la scarsità d’acqua. La desertificazione e il degrado del suolo interessano una serie di paesi in via di sviluppo la cui economia dipende in gran parte dal settore agricolo e da un’agricoltura di sussistenza. In questi paesi e nelle economie emergenti persiste altresì l’esposizione a sostanze pericolose (come pesticidi e rifiuti pericolosi), nonostante i passi avanti compiuti nell’applicazione delle convenzioni internazionali in materia. Molti di questi problemi non sono isolati, bensì sono correlati e interdipendenti.

Si prevede che nei prossimi anni le economie emergenti registreranno una crescita economica più rapida che, se ben gestita, potrà contribuire a far uscire molte persone dalla povertà. Se tuttavia si mantengono gli attuali modelli di consumo e produzione in molti paesi del mondo, assisteremo ad un aumento dello sfruttamento delle risorse naturali, all’accelerazione del degrado ambientale e al peggioramento dei cambiamenti climatici. La pressione e gli effetti sull’ambiente saranno esacerbati dall’aumento della popolazione (che si prevede arrivi a 9 miliardi nel 2050), dall’inurbamento e dai cambiamenti sociali (come ad esempio, un numero di persone dell’ordine di 1,2 miliardi che entreranno a far parte della “classe media” nelle economie emergenti).

2.2. Sviluppo sostenibile nell’UE

Negli scorsi decenni l’UE ha promosso lo sviluppo sostenibile tramite una serie di politiche. Ad esempio, ha adottato obiettivi vincolanti per il clima, accompagnati dal sistema di scambio di quote di emissioni, come pure una gamma di strumenti legislativi sulla biodiversità, la gestione dei rifiuti, la qualità dell’acqua e dell’aria. Questo approccio ha favorito la crescita nell’UE di imprese al servizio dell’ambiente (“ecoindustrie”), che attualmente costituiscono il 2,5% del PIL dell’UE e impiegano oltre 3,4 milioni di persone. Nel 2001 l’UE ha adottato la strategia per lo sviluppo sostenibile, che è stata riveduta nel 2006.

Dall’ultima relazione sulla suddetta strategia, del 2009, i progressi compiuti per raggiungere la sostenibilità nell’UE sono stati valutati in vario modo, anche per mezzo di indicatori e tramite la relazione sullo stato dell’ambiente dell’Agenzia europea dell’ambiente. Queste pubblicazioni mostrano che nonostante gli evidenti passi avanti, sussistono ancora molte difficoltà, in particolare per rendere la crescita più sostenibile.

Un atto strategico fondamentale è costituito dall’adozione, nel 2010, della strategia Europa 2020, che, mirando a trasformare l’UE in un’economia basata sulla conoscenza, efficiente sotto il profilo delle risorse e a basse emissioni di carbonio, offre una risposta sostenibile alle sfide che attendono l’UE fino al 2050. La strategia cerca di improntare l’elaborazione delle politiche al principio della sostenibilità propugnando una crescita che sia intelligente, sostenibile e inclusiva: a queste precise priorità, che operano in sinergia, si ispirano i cinque obiettivi principali e le sette iniziative faro (cfr. allegato).

Molte di queste iniziative faro interessano direttamente la presente comunicazione. Ad esempio, l’iniziativa sull’efficienza energetica mira a svincolare la crescita economica dall’uso delle risorse naturali e prefigura una serie di nuovi interventi a favore, ad esempio, delle materie prime, dell’efficienza energetica e della biodiversità, nonché la decarbonizzazione per fasi dell’economia, dell’energia e dei trasporti. Sostiene inoltre un uso più diffuso degli strumenti di mercato, accompagnato dall’eliminazione graduale delle sovvenzioni che hanno ripercussioni negative sull’ambiente e dalla riforma dei regimi fiscali in un’ottica “verde”.

I progressi sul fronte dell’efficienza energetica, gli altri obiettivi e le iniziative faro saranno monitorati nell’ambito del quadro di governance della strategia Europa 2020 e del “semestre europeo”. Procedendo in tal modo si potrà contare sul contributo di varie istanze, ossia i Consigli settoriali, i programmi nazionali di riforma degli Stati membri, i pareri della Commissione e le conclusioni del Consiglio europeo, e si disporrà quindi di un meccanismo rafforzato per ottenere una maggiore integrazione e coerenza politiche a favore dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile.

Per valutare i progressi compiuti nell’attuazione della strategia per lo sviluppo sostenibile, la Commissione europea, avvalendosi di Eurostat, il proprio servizio statistico, dell’Agenzia europea dell’ambiente e di altri servizi, continuerà a fornire dati statistici e indicatori che permetteranno di misurare la sostenibilità e di darne conto, anche nell’ambito della strategia Europa 2020.

Rio+20 segnerà una svolta per lo sviluppo sostenibile, sia per l’UE che per il resto del mondo. L’esito di questo vertice ispirerà la strategia e l’azione dell’UE in fatto di sviluppo sostenibile, in particolare concorrerà a perfezionare la strategia Europa 2020 rendendola uno strumento realmente efficace per conseguire uno sviluppo sostenibile.

3. Verso un’economia verde e una migliore governance 3.1. Favorire la transizione

A vent’anni dal vertice di Rio il mondo si trova ancora a confronto con due grandi problemi, interdipendenti: offrire condizioni di vita migliori ad una popolazione che nel 2050 sarà cresciuta di oltre un terzo e fronteggiare la pressione esercitata da più parti sull’ambiente, che, se incontrastata, pregiudicherà la capacità di risolvere il primo problema.

La soluzione a questi problemi non si troverà rallentando la crescita, quanto piuttosto promuovendo il tipo giusto di crescita. Vi sono ragioni impellenti che inducono a ripensare radicalmente il modello convenzionale di progresso economico: limitarsi ad operare solo sugli elementi marginali di un sistema economico che promuove l’uso inefficiente del capitale naturale e delle risorse non basterà a innescare il cambiamento. Serve invece un’economia che possa garantire crescita e sviluppo e, nel contempo, apporti benessere a un maggior numero di persone, offra posti di lavoro dignitosi, riduca le disuguaglianze, faccia fronte alla povertà e preservi il capitale naturale dal quale tutti noi dipendiamo. Con un’economia di questo tipo, un’economia verde, è possibile promuovere lo sviluppo sostenibile, eliminare la povertà, nonché trattare i problemi emergenti e gli obiettivi più vistosamente mancati.

Per passare ad un’economia verde occorre preservare il patrimonio costituito dalle risorse naturali chiave, così come investire in tale settore. Se questo è un elemento fondamentale per tutte le economie, lo è in particolare per quelle in via di sviluppo, che hanno l’opportunità di fondare la loro crescita sulla gestione sostenibile del capitale naturale. Un’economia verde si realizza anche ricorrendo a soluzioni a basse emissioni di carbonio ed efficienti sotto il profilo delle risorse e impegnandosi più a fondo per promuovere modelli di consumo e produzione sostenibili. Affinché tutto ciò sia praticabile occorre istituire quadri normativi adeguati, creare forti incentivi per i mercati e l’innovazione, mobilitare risorse finanziare e promuovere lo spirito d’impresa e una maggiore partecipazione del settore privato. È altresì necessario assegnare il giusto valore al capitale naturale e, più in generale, rivedere il modo in cui attualmente misuriamo la crescita e il progresso.

In un’economia verde molte sfide possono essere trasformate in opportunità economiche, che non solo possono invertire tendenze negative per l’ambiente, ma anche generare crescita e occupazione. L’esperienza ci dimostra, ad esempio, che gli strumenti di mercato, come lo scambio di quote di emissioni, oltre ad essere strumenti efficaci in termini di costi per far fronte ai problemi ambientali, sono anche una fonte di investimenti.

L’economia verde offre opportunità a tutti i paesi, indipendentemente dal livello di sviluppo e dalla struttura dell’economia. Se in molti casi il passaggio a un’economia verde può avvenire mediante investimenti che, a breve termine, si rivelano soluzioni vantaggiose per tutti, in altri casi si dovrà adottare una prospettiva a medio termine, mettendo in conto costi di transizione, anche generati da politiche favorevoli alle fasce sociali svantaggiate. Sebbene non vi sia un modello universale, vi sono problemi e soluzioni comuni a tutti, e i paesi trarranno beneficio dallo scambio di esperienze e da una maggiore cooperazione internazionale.

Ciò detto, tale passaggio a un’economia verde non è da farsi ex novo. Vi sono già svariate strategie in atto sulle quali i paesi possono basare le proprie, in particolare nell’ambito dei cambiamenti climatici, della biodiversità, della produzione e dei consumi sostenibili, della ricerca e dell’innovazione. Sono tutti esempi di come sia possibile concretizzare un’economia verde, esempi ai quali le future strategie nazionali e internazionali dovrebbero rifarsi, anche con maggiore ambizione, proprio come nel caso della strategia Europa 2020 e, più di recente, della Tabella di marcia verso un’economia competitiva a basse emissioni di carbonio nel 2050.

Le organizzazioni internazionali, tra cui il programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) e l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici (OCSE) stanno sviluppando strategie in materia di economia verde e crescita verde. L’Organizzazione internazionale del lavoro sta elaborando programmi per la creazione di posti di lavoro dignitosi e rispettosi dell’ambiente. La realizzazione di un’economia verde figura con sempre maggior frequenza tra i temi all’ordine del giorno del G8 e del G20. A Cancún le parti della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici hanno concordato che tutti i paesi debbano sviluppare strategie di sviluppo a basse emissioni di carbonio, compatibili con lo sviluppo sostenibile.

Si desume dalle suddette iniziative che per passare ad un’economia verde occorre agire su tre fronti strategici interdipendenti:

1) investire nella gestione sostenibile delle risorse chiave e del capitale naturale (“cosa”);

2) istituire le giuste condizioni di mercato e un’adeguata regolamentazione (“come”);

3) migliorare la governance e la partecipazione del settore privato (“chi”).

Nelle prossime sezioni questi tre aspetti saranno esaminati nel dettaglio, al fine di tracciare un quadro entro cui concepire interventi e investimenti mirati.

3.2. Investire nella gestione sostenibile delle risorse chiave e del capitale naturale

Risorse quali l’acqua, l’energia, il suolo, le foreste e le materie prime costituiscono le basi di qualsiasi economia, in particolare dell’economia verde. Il sostentamento di moltissime persone in tutto il mondo dipende da esse, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, in cui l’impossibilità di accedere a buone risorse e la mancanza di conoscenze su come gestirle in maniera sostenibile sono importanti cause soggiacenti alla povertà. Sono molti gli esempi che illustrano come sia possibile uscire dalla povertà se si ha accesso a risorse gestite in maniera sostenibile. Pertanto, i settori legati alle risorse di cui si tratta di seguito potrebbero divenire i mercati chiave per la crescita dell’economia verde, atti a generare lo sviluppo economico futuro, creare posti di lavoro ed eliminare la povertà, in special modo nei paesi in via di sviluppo.

L’acqua è una delle risorse più preziose, indispensabile per la vita e la salute, ma anche per la crescita di molti settori economici, quali l’agricoltura, l’industria manifatturiera e la produzione di energia. Nella lotta alla povertà non si può prescindere da una gestione sostenibile dell’acqua, in quanto le vite delle persone indigenti sono strettamente legate all’accesso a questo bene e ai suoi molteplici usi e funzioni. L’acqua riveste inoltre una forte importanza per le relazioni regionali, la pace e la sicurezza. È quindi evidente che occorre perseguire con tenacia politiche volte a migliorare l’accesso all’acqua, la sua qualità e il suo impiego razionale.

L’accesso all’energia è un presupposto fondamentale per lo sviluppo sociale ed economico, oltre a rappresentare un elemento imprescindibile per l’eliminazione della povertà. Nei paesi in via di sviluppo oltre 1,4 miliardi di persone non hanno oggigiorno accesso all’energia elettrica e 2,7 miliardi ricorrono a metodi tradizionali a base di biomassa per cuocere il cibo. Molte parti del mondo in via di sviluppo racchiudono un enorme potenziale in fatto di energia da fonti rinnovabili, in particolare le regioni in cui l’estensione della rete elettrica non è conveniente sul piano economico. Lo sviluppo dell’energia rinnovabile dovrebbe essere accompagnato da misure volte ad aumentare l’efficienza energetica e ridurre la dipendenza dai combustibili fossili.

Le risorse marine sono una fonte di cibo e di prosperità economica. Il settore della pesca è essenziale per lo sviluppo economico e per il sostentamento di milioni di persone in tutto il mondo, in particolare nei paesi in via di sviluppo. I mari e gli oceani sono elementi basilari dell’ecosistema terrestre e svolgono un ruolo importantissimo nel mitigare i cambiamenti climatici. Le barriere coralline e le mangrovie non sono solo delle riserve di carbonio e di biodiversità, ma proteggono anche le zone costiere dalle inondazioni, riducendo il rischio di catastrofi. Sull’ambiente marino incombono però varie minacce: il depauperamento degli stock ittici, la perdita di biodiversità, i rifiuti marini e l’inquinamento, ivi compresa l’acidificazione. Molti di questi problemi hanno carattere transfrontaliero e devono essere affrontati a livello internazionale.

Una delle grandi sfide per l’agricoltura consiste nel riuscire a sfamare 9 miliardi di persone entro il 2050 senza degradare e inquinare ulteriormente i terreni. L’uso sostenibile dei terreni e dell’agricoltura sarà la chiave di volta dell’economia verde. Le pratiche agricole attualmente in uso consumano il 70% delle risorse mondiali di acqua dolce e causano il 13% delle emissioni di gas a effetto serra. L’agricoltura sostenibile può aumentare notevolmente le rese, in special modo nelle aziende di piccole dimensioni. Non si investe a sufficienza nelle tecniche di gestione sostenibile del suolo, che eppure esistono in buon numero. Il degrado del suolo è direttamente legato all’agricoltura e si ripercuote direttamente su circa 1,5 miliardi di persone, tra cui il 42% dei poveri del pianeta. Siccome il degrado del suolo è un problema di portata mondiale, che non riguarda solo le regioni aride e semiaride, richiede una risposta mondiale. Una buona governance è fondamentale per far fronte a questi problemi, mediante il rispetto della proprietà e dei diritti fondiari, anche delle comunità e delle popolazioni indigene. Tutti questi aspetti devono essere affrontati per garantire un’offerta sostenibile di prodotti alimentari.

Le foreste sono alla base del sostentamento di milioni di persone, molte delle quali vivono nelle regioni tropicali e appartengono alle fasce più indigenti della società. Le foreste sono inoltre una parte essenziale dell’ecosistema terrestre, in quanto svolgono funzioni quali la protezione del suolo, dell’acqua e della biodiversità. Pur tuttavia, il tasso mondiale di deforestazione resta ancora a livelli preoccupanti e ha ripercussioni notevoli sui cambiamenti climatici e sulla biodiversità. Si stima che le emissioni ascrivibili alla deforestazione delle regioni tropicali e al degrado delle foreste e delle torbiere si aggirino intorno al 15% delle emissioni mondiali di CO2. È probabile che le foreste divengano sempre più importanti in un’economia verde, come fonti di nuovi materiali quali la bioplastica, e nelle strategie in materia di energia rinnovabile. In tale contesto la loro conservazione e una gestione sostenibile sono di fondamentale importanza.

L’uso sostenibile della terra, l’agricoltura, le foreste, l’acqua e gli oceani dipendono dagli ecosistemi e dalla biodiversità, che determinano la resilienza e la salute a lungo termine dell’ambiente. Si osserva una maggiore consapevolezza dei benefici offerti dai servizi ecosistemici alle aziende e alla società nel suo insieme[3], così come delle possibilità che possono dischiudersi per l’economia verde se si investe nel capitale naturale.

I rifiuti possono costituire una risorsa preziosa, ma se non sono gestiti correttamente sono fonte di rischi per la salute e l’ambiente. Una buona gestione dei rifiuti consente di ridurre al minimo gli effetti sull’ambiente quali le emissioni di gas serra, promuove l’uso efficiente delle risorse e offre una nuova fonte di materiali riciclati. Il potenziale economico costituito dalla gestione dei rifiuti è in crescita in molte parti del mondo, e si traduce in importanti sbocchi commerciali e occupazionali. È fondamentale garantire che si tratti di posti di lavoro dignitosi, soprattutto in termini di condizioni lavorative. A mano a mano che i paesi in via di sviluppo crescono economicamente, cresce l’esigenza di una migliore gestione dei rifiuti e aumentano le opportunità economiche che essa dischiude. Altri settori che destano particolare preoccupazione, sia a livello nazionale che internazionale, sono quelli dei rifiuti pericolosi e delle sostanze chimiche.

La transizione verso un’economia mondiale verde richiederà l’adozione di politiche mondiali più attente nei suddetti settori, e Rio+20 dovrà offrire una piattaforma per realizzarle.

3.3. Istituire le giuste condizioni di mercato e un’adeguata regolamentazione

Per favorire e orientare la crescita nei settori summenzionati occorre introdurre una serie di condizioni a livello di mercato e regolamentazione, necessarie non solo per promuovere gli obiettivi ambientali, ma anche per garantire alle imprese prevedibilità e concorrenza equa. Oltre a ciò, offrono una base solida per incoraggiare gli investimenti e l’ecoinnovazione mediante nuove tecnologie e nuovi metodi di lavoro.

Gli strumenti regolamentari svolgeranno un ruolo importante nel rendere l’economia più compatibile con l’ambiente, sia a livello nazionale che internazionale. Tali strumenti si coniugheranno a strumenti di mercato (ossia imposte, permessi negoziabili, sovvenzioni ambientali) che, essendo strumenti flessibili e convenienti in termini di costi, possono contribuire a far raggiungere contemporaneamente più obiettivi di diversa natura - economici, sociali e ambientali. Le riforme dei regimi tributari che spostano l’onere fiscale dal lavoro alle attività che incidono sull’ambiente e sull’energia possono rivelarsi vantaggiose sia per l’occupazione che per l’ambiente. I sistemi di limitazione e scambio (“cap and trade”), come quello per lo scambio delle quote di emissioni, si sono dimostrati strumenti di mercato efficaci, al pari di altri meccanismi quali gli incentivi fiscali per le PMI, le tariffe dell’acqua, le ecotasse e le tariffe di riacquisto. In alcuni paesi vigono già sistemi di pagamento per i servizi ecosistemici, che sono peraltro un tema dei negoziati in corso sulla riduzione delle emissioni da deforestazione e degrado forestale (REDD).

Le sovvenzioni che hanno ripercussioni negative sull’ambiente sono un grande ostacolo sul cammino verso un’economia più verde. Oltre a perpetuare pratiche non sostenibili, distolgono le risorse finanziarie dagli investimenti favorevoli per l’ambiente, di cui vi è invece necessità. Ma i tempi sono ormai maturi per una loro riconsiderazione. Nel 2009 il G20 si è impegnato a razionalizzare ed eliminare gradualmente le sovvenzioni inefficaci a favore dei combustibili fossili che incoraggiano gli sprechi, impegno che sarà rivisto nel 2011. Nel 2010 le Parti della convenzione sulla diversità biologica si sono impegnate a sopprimere, eliminare gradualmente o riformare entro il 2020 le sovvenzioni negative per la biodiversità.

Per rendere possibile la transizione verso un’economia verde a livello mondiale, occorrerà mobilitare ingenti risorse finanziarie, e quindi tutti i paesi, le organizzazioni internazionali e le banche saranno chiamati ad agire in tal senso. Secondo le stime dell’UNEP, l’entità degli investimenti mondiali necessari potrebbe essere dell’ordine del 2% del PIL mondiale all’anno fino al 2050, il che richiederà un ripensamento paradigmatico dei metodi finanziamento, in modo che i paesi ricorrano a soluzioni innovative, pubbliche e private. I fondi pubblici da soli non saranno sufficienti; anzi, i finanziamenti pubblici dovranno catalizzare e mobilitare una maggiore quantità di investimenti privati. Si dovranno istituire incentivi per attrarre investimenti privati in attività compatibili con l’ambiente e ricercare modi per incanalare su ben più vasta scala i fondi di investimento, assicurazione e pensione verso lo sviluppo sostenibile. In parallelo, sia il settore pubblico nazionale sia i finanziamenti pubblici internazionali rivestiranno un ruolo importante nel definire le condizioni volte a ridurre i rischi per gli investitori privati e nel garantire che gli investimenti avvengano su basi trasparenti ed eque. L’accesso ai finanziamenti e al capitale di rischio, accompagnato da un ambiente normativo favorevole, è peraltro fondamentale per stimolare l’ecoinnovazione, le tecnologie ambientali e le PMI verdi.

Senza le dovute competenze e conoscenze sarà impossibile realizzare la transizione verso un’economia verde. Occorre nel contempo provvedere a che i nuovi posti di lavoro siano “dignitosi”, ossia offrire garanzie in materia di diritti sul luogo di lavoro, protezione sociale e dialogo sociale. Le politiche economiche dovranno coniugarsi a politiche del lavoro che dotino i lavoratori di nuove competenze e concorrano a creare nuovi sbocchi occupazionali. Considerato che dei 211 milioni di persone che le stime davano senza impiego nel 2009 quasi il 40% aveva un’età compresa tra i 15 e i 24 anni, urge adottare varie misure per offrire opportunità ai giovani. Inoltre, molti ostacoli che si frappongono alla transizione verso un’economia verde e a un futuro più sostenibile possono essere eliminati solo attraverso una maggiore cooperazione scientifica e nel campo della ricerca.

L’introduzione di modelli sostenibili di domanda e offerta su scala internazionale può essere favorita rafforzando le sinergie tra il commercio e lo sviluppo sostenibile. Ciò si ottiene, ad esempio, mantenendo un sistema di scambi multilaterali aperto e non discriminatorio e garantendo che a nessun paese sia impedito di adottare misure per promuovere lo sviluppo sostenibile, a patto che tali misure non costituiscano una discriminazione arbitraria o ingiustificata, né una restrizione dissimulata degli scambi internazionali. Tali sinergie possono anche essere promosse riducendo o sopprimendo gli ostacoli tariffari e non tariffari per i beni, le tecnologie e i servizi ambientali, come pure per i prodotti rispettosi dell’ambiente e quelli appartenenti al commercio equo e solidale. Inoltre, dato che i programmi a garanzia della sostenibilità e le pratiche di responsabilità sociale delle imprese si diffondono sempre più, lo sviluppo di linee guida e norme internazionali, sistemi di certificazione ed etichette può apportare vantaggi economici, ambientali e sociali. È necessario rafforzare le misure internazionali per contrastare il commercio illegale di merci che mettono particolarmente a repentaglio l’ambiente (come animali selvatici, sostanze pericolose e risorse naturali): un buon esempio di quanto può essere fatto su questo fronte è costituito dagli accordi di partenariato su base volontaria che l’UE sta attualmente negoziando nell’ambito dell’iniziativa concernente l’applicazione delle normative, la governance e il commercio nel settore forestale (FLEGT). È infine opportuno promuovere l’inserimento di disposizioni in materia di sostenibilità negli accordi commerciali multilaterali e bilaterali.

Per garantire il compimento degli obiettivi in questo campo e misurare i progressi realizzati occorre applicare dei criteri di misurazione e degli indicatori comparabili. Alcune organizzazioni, tra cui l’OCSE, sono all’opera per mettere a punto vari tipi di indicatori che possano rispecchiare lo stato dell’ambiente e del patrimonio naturale, del benessere e della qualità di vita. Questi indicatori dovrebbero essere utilizzati insieme al prodotto interno lordo (PIL). Pur tuttavia, solo alcuni di essi, quali l’intensità di CO2 e l’indice di sviluppo umano, sono stati finora impiegati diffusamente per giustificare la necessità di determinate scelte politiche. Agenda 21 conteneva già richieste in tal senso ai governi, esortandoli a mettere a punto, oltre agli indicatori, un sistema di contabilità ambientale, ma tali richieste sono state solo parzialmente soddisfatte e non dappertutto allo stesso modo. Rio+20 dovrebbe promuovere la trasparenza dei sistemi nazionali di rendicontazione e giungere a un accordo sull’impiego della contabilità ambientale e di indicatori chiari a livello nazionale e mondiale per misurare, oltre al PIL, i progressi intesi in questo senso più ampio.

3.4. Migliorare la governance e la partecipazione del settore privato

Per raggiungere uno sviluppo sostenibile, rendere le nostre economie più compatibili con l’ambiente ed eliminare la povertà è indispensabile poter disporre di valide strutture di governance. È però ampiamente riconosciuto che quelle attuali hanno bisogno di essere riformate a fondo, riforma che deve andare principalmente in quattro direzioni, come indicato di seguito.

Occorre rafforzare e razionalizzare la governance dello sviluppo sostenibile all’interno del sistema delle Nazioni Unite, in particolare migliorando la coerenza e l’integrazione tra le attività che sono condotte a titolo dei pilastri “economia”, “società” e “ambiente”. Le Nazioni Unite stesse stanno attualmente impegnandosi su questo fronte, ad esempio cercando di migliorare i meccanismi di coordinamento tra le varie agenzie e mettendo in campo azioni nello spirito dell’iniziativa “Delivering as One”, destinata a promuovere la coerenza nei settori dello sviluppo, dell’assistenza umanitaria e dell’ambiente. Anche le questioni trasversali, come i cambiamenti climatici, richiedono una maggiore razionalizzazione. Occorre quindi consolidare questi processi. Se da un lato è indispensabile rafforzare la governance internazionale dello sviluppo sostenibile, dall’altro anche le rispettive strutture regionali, nazionali e locali devono essere oggetto di attenzione.

Rispetto alle strutture economiche esistenti a livello mondiale, sul piano ambientale la governance internazionale è debole. Ciò è dovuto alla frammentazione istituzionale, all’assenza di obblighi di rendicontazione per quanto riguarda l’attuazione delle politiche concordate, all’assenza di una voce forte e autorevole all’interno del sistema mondiale di governance, come pure alla carenza di risorse umane e finanziarie. Oltre a tutto ciò, i nuovi ruoli e le responsabilità delle economie emergenti non sono definiti con precisione. Nei decenni scorsi sono stati fatti tentativi per migliorare la governance internazionale dell’ambiente - da ultimo nell’ambito del gruppo consultivo di alto livello posto sotto l’egida dell’UNEP (processo Nairobi-Helsinki) - ma finora si è dimostrato difficile compiere progressi tangibili.

La governance socioeconomica internazionale è esercitata da una serie di istituzioni. A svolgere un ruolo centrale nelle politiche e negli interventi mondiali in campo economico sono le istituzioni finanziarie internazionali (come il gruppo della Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale), insieme alle banche di sviluppo regionali (quali la Banca asiatica di sviluppo, la Banca interamericana di sviluppo, la Banca africana di sviluppo, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo e la Banca europea per gli investimenti). Il ruolo dell’Organizzazione mondiale del commercio è fondamentale per regolare gli scambi mondiali. Inoltre, istituzioni quali l’Organizzazione internazionale del lavoro e altri organismi dell’ONU intervengono nelle questioni sociali e dell’occupazione. Ciascuna di queste istituzioni avrà un proprio ruolo da svolgere per rendere più verde l’economia mondiale.

L’Agenda 21 e il piano di attuazione di Johannesburg ribadiscono l’importanza degli attori non governativi (i cosiddetti “gruppi principali”), che comprendono le popolazioni indigene, le donne, i giovani, i lavoratori, gli agricoltori, gli enti locali, la comunità scientifica, il mondo delle imprese e le ONG. Il loro ruolo e la loro influenza hanno tuttavia avuto finora una portata limitata, che deve pertanto essere ampliata, con un’attenzione particolare alle imprese, da cui è essenziale ottenere una maggiore partecipazione. In vari casi le imprese stanno già impegnandosi per rendere le loro attività più compatibili con l’ambiente, come ad esempio nel settore alimentare e delle bevande e nell’industria chimica. Questa tendenza va assecondata mediante la costituzione di partenariati pubblico-privato più dinamici, nuove reti e alleanze di imprese, nonché con meccanismi di finanziamento volti ad accelerare l’innovazione e la creazione di imprese verdi.

4. Linee d’azione proposte per Rio+20 4.1. Un quadro che consenta di ottenere risultati

Per imprimere un nuovo slancio allo sviluppo sostenibile, Rio+20 deve sfociare in una visione condivisa del cambiamento, sostenuta da un quadro decisionale che consenta di mettere in campo misure precise. Il risultato finale potrebbe essere costituito dai seguenti elementi:

1. una vasta mobilitazione politica basata su una visione e obiettivi ambiziosi condivisi;

2. una serie di azioni specifiche da condurre a livello internazionale, regionale e nazionale, e articolate secondo una “tabella di marcia per l’economia verde”;

3. una gamma di approcci strategici ed esempi di buone pratiche da adottare per raggiungere gli obiettivi concordati;

4. un meccanismo che inciti a compiere progressi e monitorare quelli che vengono compiuti.

La tabella di marcia per l’economia verde, assicurando un seguito sistematico della visione e degli obiettivi concordati, può garantire che gli impegni assunti al vertice Rio+20 siano mantenuti. Può tracciare una serie di azioni da condurre a livello internazionale, regionale e nazionale, fissandone le fasi, gli indicatori, gli obiettivi, così come i meccanismi per monitorare tutti i progressi compiuti.

Tale tabella di marcia può incitare tutti i paesi ad adoperarsi maggiormente per rendere le loro economie più compatibili con l’ambiente, attingendo dalle iniziative esistenti e rispettando le differenze nazionali. È estremamente importante che l’elaborazione delle strategie destinate a rendere l’economia più verde rientri nelle politiche e nei piani economici e di sviluppo generali dei singoli paesi. Tali strategie, da elaborarsi secondo il modello ascendente, dovrebbero comprendere obiettivi e calendari in base ai quali organizzare l’azione a livello nazionale e, eventualmente, regionale. L’azione dovrebbe fondarsi sulle iniziative esistenti e potrebbe essere integrata nelle strategie nazionali in campo economico e dello sviluppo, anche associandovi le strategie di riduzione delle emissioni e i piani di produzione e consumi sostenibili. Se necessario i paesi donatori e le organizzazioni internazionali potrebbero fornire assistenza, in accordo con le strategie nazionali di sviluppo. Nell’ideazione delle misure specifiche, i paesi potrebbero avvalersi di una gamma di approcci strategici e di esempi di buone pratiche.

Le misure nazionali da sole non basteranno, tuttavia, a rendere più compatibile con l’ambiente l’economia dell’intero pianeta. Poiché molti problemi richiedono una risposta regionale e mondiale, la tabella di marcia per l’economia verde dovrebbe prevedere anche misure a questi livelli.

Per monitorare i progressi compiuti per realizzare un’economia verde non si potrà prescindere dall’individuare e elaborare indicatori precisi e un sistema di contabilità ambientale e sociale, concordato a livello internazionale, che verrà ad aggiungersi all’attuale sistema di contabilità economica. Esistono già dispositivi di questo genere a cui ispirarsi: il sistema di contabilità integrata ambientale ed economica (SEEA), l’indice di sviluppo umano (UNDP) e l’iniziativa dell’OCSE Measuring the Progress of Societies. Il progetto dell’UE volto a istituire un quadro regolamentare per la contabilità ambientale potrebbe anch’esso fungere da esempio.

In base ai fronti strategici delineati nella sezione 3 (“cosa”, “come” e “chi”), le sezioni che seguono presentano una prima serie di misure precise, che potrebbero far parte della tabella di marcia per l’economia verde.

4.2. Misure inerenti alle risorse, ai materiali e al capitale naturale

Il vertice Rio+20 deve servire a rinnovare l’impegno a favore di una gestione sostenibile dell’acqua, che potrebbe essere agevolata dalla creazione di partenariati internazionali per l’acqua. Questi sfrutterebbero, ampliandola, l’iniziativa dell’UE sull’acqua, che ha contribuito a migliorare la gestione e la governance in questo settore, insistendo tuttavia sugli aspetti economici e su una maggiore partecipazione delle imprese. Occorre anche affrontare la questione della gestione dei bacini idrografici che si estendono su più paesi, in particolare nell’ambito delle commissioni fluviali transfrontaliere.

Potrebbero essere avviati partenariati anche per estendere l’accesso all’energia, migliorare la sicurezza dell’approvvigionamento energetico e promuovere l’energia da fonti rinnovabili e l’efficienza energetica. Anche in questo ambito non mancano esempi a cui guardare: il partenariato UE-Africa per l’energia, gli strumenti regionali di investimento dell’UE, il fondo fiduciario UE per le infrastrutture in Africa, lo strumento ACP-UE per l’energia e il fondo globale per l’efficienza energetica e le energie rinnovabili, da cui, in particolare, trarre insegnamenti in fatto di mobilitazione di capitali privati.

Per una maggiore tutela dell’ambiente marino e degli oceani, è necessario che i paesi che ancora non hanno ratificato la convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (convenzione UNCLOS) siano sollecitati a farlo. Occorre intraprendere nuove iniziative per proteggere e conservare le zone non soggette a giurisdizione nazionale (alto mare e fondali marini), una delle quali potrebbe consistere in un accordo di attuazione concluso a titolo della suddetta convenzione. Per contribuire a conservare la biodiversità marina in queste zone, l’accordo dovrebbe stabilire zone marine protette con finalità multiple e garantire la giusta ed equa ripartizione dei benefici derivanti dall’uso delle risorse genetiche e di altra natura. Dovrebbe inoltre prevedere meccanismi di vigilanza che ne garantiscano l’applicazione. Un’attenzione particolare dovrebbe essere dedicata alla stesura di un programma d’azione mondiale per contrastare i rifiuti marini e l’inquinamento.

È opportuno intervenire per promuovere la sostenibilità dell’agricoltura, dell’uso del suolo e dell’approvvigionamento alimentare. Ciò potrebbe essere realizzato rafforzando le iniziative che già esistono in materia di agricoltura sostenibile e sotto forma di azioni multilaterali (come la FAO), attività regionali (per l’agricoltura biologica, ad esempio) e iniziative a livello di imprese. Si potrebbero inoltre costituire partenariati internazionali nel settore dei prodotti alimentari per rendere più sostenibili il consumo e la produzione di alimenti. Occorre adoperarsi maggiormente per migliorare la qualità del suolo, dato che da essa dipende l’agricoltura, e lottare contro la desertificazione. Si potrebbe iniziare dal valutare i costi e i benefici economici che sarebbero generati a livello mondiale dal miglioramento della qualità del suolo; si potrebbe poi imprimere un maggiore slancio al partenariato mondiale per il suolo e avviare i servizi volti a monitorare a livello mondiale l’uso del suolo, nell’ambito del sistema GEOSS (Sistema di sistemi per l’osservazione globale della terra).

La costituzione di partenariati con i governi, la società civile e il settore privato può anch’essa concorrere a promuovere la gestione sostenibile delle foreste e a lottare contro la deforestazione. Questo tipo di partenariati potrebbero configurarsi su modello della riuscita iniziativa FLEGT (applicazione delle normative, governance e commercio nel settore forestale) e delle prime esperienze di REDD+.

È giunto il momento di istituire un regime internazionale più rigoroso e coerente in materia di prodotti chimici e sostanze pericolose e il vertice Rio+20 potrebbe essere l’occasione per avviare un processo che conduca a questa meta, basandosi su impegni precedenti, come l’approccio strategico alla gestione internazionale dei prodotti chimici (SAICM) e l’esperienza maturata con l’approccio scelto dall’UE in fatto di gestione dei prodotti chimici. Tale regime, che potrebbe assumere la forma di una convenzione quadro, dovrebbe essere imperniato sull’obiettivo fissato a Johannesburg, in base al quale entro il 2020 i prodotti chimici dovrebbero essere utilizzati e prodotti in modo da non comportare effetti nocivi di rilievo per la salute umana e per l’ambiente. Dovrebbe poi tenere conto della relazione Global Chemicals Outlook che l’UNEP sta attualmente preparando e delle attività in corso sulle opzioni possibili di finanziamento per aiutare i paesi in via di sviluppo a rispondere alla sfida costituita dalla globalizzazione dell’industria dei prodotti chimici e dei rifiuti. Il regime dovrebbe infine prevedere criteri per individuare i prodotti chimici e le sostanze che sono fonte di rischio a livello mondiale, nonché un quadro per valutare tali sostanze.

Poiché tutte queste sfide richiedono un livello di cooperazione scientifica e tecnologica su scala mondiale che non ha precedenti, si dovrà studiare un meccanismo di cooperazione scientifica mondiale in materia di problemi collettivi di portata planetaria (penuria di risorse, cambiamenti climatici, oceani).

4.3. Offrire strumenti economici, finanziamenti e investimenti nel capitale umano

Rio+20 dovrebbe incoraggiare i paesi, in special modo le economie industrializzate e quelle emergenti, a introdurre sistemi nazionali e regionali per lo scambio delle quote di emissioni, allo scopo di ridurre le emissioni sostenendo costi minimi e gettare le basi di un futuro mercato internazionale del carbonio. Tali strumenti potrebbero peraltro svolgere un ruolo importante nella creazione di forme innovative di finanziamento.

Rio+20 dovrebbe inoltre lanciare una serie di azioni coordinate tra i paesi per individuare e sopprimere gradualmente le sovvenzioni aventi ripercussioni negative sull’ambiente, accompagnate da obiettivi e un calendario con scadenze da rispettare. L’impegno assunto dal G20 di rivedere le sovvenzioni a favore dei combustibili fossili potrebbe servire da esempio concreto. Tale iniziativa si avvarrebbe di linee guida ed esempi di buone pratiche che in passato sono sfociati con successo nella soppressione di questo tipo di sovvenzioni.

Per orientare e mobilitare fondi a favore dell’economia verde, Rio+20 dovrebbe raccomandare di consolidare e rafforzare le strategie e i meccanismi di finanziamento esistenti, o d’instaurare, laddove necessario, nuovi regimi di finanziamento pubblico-privato. Gli organismi preposti allo sviluppo (come l’UNDP) e le istituzioni finanziarie internazionali (come la Banca mondiale e le altre banche multilaterali per lo sviluppo, la Banca europea per gli investimenti, il Fondo mondiale per l’ambiente) dovrebbero svolgere un ruolo di primo piano, impegnandosi a mettere in atto strategie di finanziamento dell’economia verde che possano produrre risultati dimostrabili. Anche le banche private, le compagnie di assicurazione e gli istituti di previdenza dovrebbero essere coinvolti. Una delle priorità che dovrebbe animare l’operato di queste istanze dovrebbe essere l’assistenza ai paesi meno sviluppati e alle PMI.

Nei paesi in via di sviluppo, l’aiuto pubblico allo sviluppo (APS) continuerà a rappresentare una fonte notevole di investimento. L’UE, il cui attuale contributo all’aiuto mondiale è pari al 58%, mantiene il proprio impegno di innalzare, entro il 2015, il volume di aiuti allo 0,7% del reddito nazionale lordo (RNL). L’APS continuerà ad essere erogato e potrà aiutare i paesi partner ad attuare strategie nazionali e regionali in materia di economia verde, nell’ambito dei loro piani nazionali di sviluppo. In tale contesto l’azione mondiale a favore della produzione e dei consumi sostenibili potrebbe includere programmi come EU SWITCH, che promuove modelli di consumo e pratiche di produzione sostenibili in Asia.

Rio+20 dovrebbe istituire programmi di formazione alle competenze verdi in settori prioritari quali l’energia, l’agricoltura, l’edilizia, la gestione delle risorse naturali, i rifiuti e il riciclaggio. Poiché il passaggio ad un’economia verde creerà posti di lavoro che andranno a sostituirsi ad altri, sarà necessario riconvertire la manodopera esistente. Occorrerà quindi prevedere regimi che tutelino gli interessi dei lavoratori, offrendo protezione sociale e facendo emergere il lavoro sommerso; i lavori dell’OIL sulla “transizione giusta” potrebbero costituire una base di partenza. Servono inoltre programmi di formazione per i giovani, che accompagnino il passaggio dalla scuola al mondo del lavoro offrendo formazioni specifiche e sollecitino l’introduzione di competenze verdi nei programmi nazionali d’istruzione secondaria.

4.4. Migliorare la governance

Se si vuole accelerare l’azione condotta a livello mondiale per rendere l’economia più verde e sostenibile e per eliminare la povertà è indispensabile disporre di una governance migliore e più efficace, a cui tutte le parti interessate dovrebbero avere la possibilità di partecipare e contribuire.

Esistono varie opzioni per potenziare la governance dello sviluppo sostenibile all’interno delle Nazioni Unite. Una di esse consiste nel rafforzare il ruolo del consiglio economico e sociale (ECOSOC) in materia di sviluppo sostenibile, attribuendo pari importanza ai tre pilastri – economico, sociale e ambientale. In alternativa si potrebbe elevare la commissione per lo sviluppo sostenibile al rango di organismo più permanente con funzioni ampliate. Questi cambiamenti dovrebbero essere effettuati in modo che tutti gli organi pertinenti dell’ONU improntino maggiormente il proprio operato allo sviluppo sostenibile. In vari casi è possibile apportare miglioramenti nell’ambito dei mandati attuali.

Tenendo conto delle raccomandazioni emerse nel processo Nairobi-Helsinki dell’UNEP volte a rafforzare la governance internazionale dell’ambiente, s’impone un rafforzamento dell’UNEP, che può essere conseguito in vari modi: i) migliorando il funzionamento dell’UNEP nell’ambito dell’attuale mandato; ii) rafforzando l’UNEP dotandolo di nuove competenze e responsabilità; iii) creando un’organizzazione mondiale multilaterale per l’ambiente, ad esempio trasformando l’UNEP in un’agenzia specializzata dell’ONU (come l’ILO). Quest’ultima opzione, che implicherebbe l’adozione di un trattato giuridicamente vincolante, parrebbe la via migliore per pervenire a questo obiettivo e avanzare verso uno sviluppo planetario sostenibile. È tuttavia evidente che tutte le opzioni presentano vantaggi e svantaggi e dovranno essere esaminate più a fondo.

Per riuscire a rafforzare la governance internazionale dell’ambiente, occorre accelerare i lavori volti a razionalizzare e potenziare il sistema degli accordi ambientali multilaterali. Pur rispettando l’autonomia dei singoli accordi, è possibile razionalizzare notevolmente la loro gestione e ridurre le sovrapposizioni, creando in tal modo una piattaforma in grado di garantire meglio una direzione e una supervisione politiche coerenti e mirate, favorendo l’instaurarsi di condizioni favorevoli per una crescita verde.

Occorre rafforzare la capacità dell’ONU ad operare a favore dell’ambiente. Ciò potrebbe essere conseguito dotando le agenzie locali di maggiore preparazione tecnica in campo ambientale e sensibilizzandole di più all’economia verde, in modo da incoraggiare l’integrazione di questi aspetti nei programmi-paese, ampliando la gamma di competenze presenti negli uffici regionali dell’UNEP e mettendo a punto, a livello dell’intero sistema, un quadro volto a rafforzare le capacità inerenti all’attuazione degli accordi ambientali multilaterali.

Dato che le imprese sono il motore dell’economia, Rio+20 deve portare a un maggior impegno del settore privato. È fondamentale che le imprese e la società civile svolgano un ruolo importante nei vari partenariati e regimi proposti dalla presente comunicazione, in settori quali l’acqua, l’energia, i prodotti alimentari, le foreste e il finanziamento.

5. La strada da seguire

Sebbene dal vertice di Rio de Janeiro del 1992 certi settori abbiano registrato progressi in direzione dello sviluppo sostenibile, al mondo restano ancora grandi sfide ambientali, economiche e sociali da affrontare. Con la presente comunicazione la Commissione presenta le sue prime osservazioni nell’ambito dei lavori preparatori per il vertice Rio+20.

Rio+20 costituisce un’ottima occasione per far progredire il pianeta all’insegna dello sviluppo sostenibile, ma è necessario che non sfoci in mere dichiarazioni di intenti: servono azioni concrete per garantire che esso sia determinante per la transizione verso l’economia verde e una migliore governance. L’UE è pronta a discutere con tutti i paesi e i soggetti interessati per dare forma con più precisione al programma di questo vertice. Tutti i paesi e le parti in causa devono lavorare di concerto per garantire che l’esito di Rio+20 sia all’altezza delle sfide con cui è confrontato il pianeta. Insieme, dobbiamo far sì che siano prese misure tangibili ed efficaci che possano produrre effetti concreti nel mondo intero.

Allegato

Strategia Europa 2020: obiettivi e iniziative faro

Obiettivi principali

1) Il 75% delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni deve avere un lavoro.

2) Il 3% del PIL dell’UE deve essere investito in ricerca e sviluppo.

3) Devono essere raggiunti i traguardi “20/20/20” in materia di clima ed energia: ridurre del 20% le emissioni di gas serra, portare al 20% la percentuale di energia da fonti rinnovabili, innalzare al 20% l’efficienza energetica (prevedendo una riduzione del 30% delle emissioni di gas serra se le condizioni lo permettono).

4) Il tasso di abbandono scolastico deve essere inferiore al 10% e almeno il 40% dei giovani deve riuscire ad ottenere un diploma di istruzione superiore.

5) 20 milioni di persone in meno devono essere a rischio di povertà.

Iniziative faro

1) “L’Unione dell’innovazione”, per migliorare le condizioni generali e l’accesso ai finanziamenti per la ricerca e l’innovazione, facendo in modo che le idee innovative si trasformino in nuovi prodotti e servizi tali da stimolare la crescita e l’occupazione.

2) “Youth on the move”, per migliorare l’efficienza dei sistemi di insegnamento e agevolare l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro.

3) “Un’agenda digitale europea”, per accelerare la diffusione dell’internet ad alta velocità e sfruttare i vantaggi di un mercato unico del digitale per nuclei famigliari e imprese.

4) “Un’Europa efficiente sotto il profilo delle risorse”, per contribuire a scindere la crescita economica dall’uso delle risorse, favorire il passaggio a un’economia a basse emissioni di carbonio, incrementare l’uso delle fonti rinnovabili di energia, modernizzare il nostro settore dei trasporti e promuovere l’efficienza energetica.

5) “Una politica industriale per l’era della globalizzazione”, per migliorare il clima imprenditoriale, specialmente per le PMI, e favorire lo sviluppo di una base industriale solida e sostenibile in grado di competere su scala mondiale.

6) “Un’agenda per nuove competenze e nuovi posti di lavoro”, per modernizzare i mercati del lavoro e consentire alle persone di migliorare le proprie competenze in tutto l’arco della vita, nell’ottica di aumentare la partecipazione al mercato del lavoro e conciliare meglio l’offerta e la domanda di manodopera, anche tramite la mobilità dei lavoratori.

7) “Piattaforma europea contro la povertà”, per garantire coesione sociale e territoriale in modo tale che i benefici della crescita e i posti di lavoro siano equamente distribuiti e che le persone vittime di povertà e esclusione sociale possano vivere in condizioni dignitose e partecipare attivamente alla società.

[1]               www.uncsd2012.org.

[2]               http://ec.europa.eu/environment/consultations/un_2012.htm.

[3]               The Economics of Ecosystems and Biodiversity for Business – “TEEB for Business”.